あなたへの歌

di steffirah
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1 ***
Capitolo 3: *** 2 ***
Capitolo 4: *** 3 ***
Capitolo 5: *** 4 ***
Capitolo 6: *** 5 ***
Capitolo 7: *** 6 ***
Capitolo 8: *** 7 ***
Capitolo 9: *** 8 ***
Capitolo 10: *** 9 ***
Capitolo 11: *** 10 ***
Capitolo 12: *** 11 ***
Capitolo 13: *** 12 ***
Capitolo 14: *** 13 ***
Capitolo 15: *** 14 ***
Capitolo 16: *** 15 ***
Capitolo 17: *** 16 ***
Capitolo 18: *** 17 ***
Capitolo 19: *** 18 ***
Capitolo 20: *** 19 ***
Capitolo 21: *** 20 ***
Capitolo 22: *** 21 ***
Capitolo 23: *** 22 ***
Capitolo 24: *** 23 ***
Capitolo 25: *** 24 ***
Capitolo 26: *** 25 ***
Capitolo 27: *** 26 ***
Capitolo 28: *** 27 ***
Capitolo 29: *** 28 ***
Capitolo 30: *** 29 ***
Capitolo 31: *** 30 ***
Capitolo 32: *** 31 ***
Capitolo 33: *** 32 ***
Capitolo 34: *** 33 ***
Capitolo 35: *** 34 ***
Capitolo 36: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


0



 
 
 
Non aveva idea di come fosse finita così.
Da poco si era iscritto all’università, non aveva neppure finito di pagare tutte le tasse – ragion per cui era alla disperata ricerca di un lavoro –, aveva cominciato a seguire i corsi da una manciata di giorni e, fortunatamente, era già riuscito a stringere amicizia con alcuni suoi coetanei e senpai. Il suo essere socievole – almeno di norma – coinvolgeva il prossimo, sebbene a nessuno sfuggisse che talvolta ci fosse un’ombra che oscurava quel volto solitamente allegro, una tristezza più grande, un qualche segreto che celava il suo sorriso gentile. E fu proprio durante uno di quei suoi momenti in cui si sentiva più giù di morale che i suoi vecchi amici ne approfittarono bonariamente, sperando di poter fare qualcosa di buono per lui. Senza capire che così, invece, facevano esattamente l’opposto di ciò che il ragazzo desiderava.
Quando si rese conto di non reggere più quella situazione festosa si alzò, usando la scusa di dover andare in bagno. Passò oltre i divanetti attorno a quel tavolino imbandito di bottiglie, lattine, patatine e caramelle e uscì da quella minuscola stanza variopinta; si chiuse la porta alle spalle e, con essa, il suono della spensieratezza. Tirò un sospiro di sollievo. Finalmente, silenzio.
Rimase per un po’ fermo in quella posizione, rendendosi conto che erano numerosi i pensieri che affollavano la sua mente e ciò non gli giovava per niente alla salute. Ma troppe faccende erano rimaste irrisolte: in primis, questione più importante di tutte, doveva ancora trovare un impiego; poi ci si mettevano quei ricordi vaghi, sfocati, del suo passato. Quella mano femminile che si tendeva verso di lui, prima di scomparire. Quella schiena che gli voltava le spalle, incamminandosi per non più tornare. Ricordi, che si manifestavano nei suoi sogni, ma che non si sentiva in grado di decifrare.
Riaprì gli occhi, dandosi una scrollata. Agire. Doveva agire, come aveva sempre fatto.
Si avviò quindi realmente verso le toilette, quanto meno per sciacquarsi il viso e rinfrescarsi le idee. Doveva riprendersi e vivere il presente, goderselo appieno, per ripagare la cortesia dei suoi compagni.
Sentendosi più tranquillo ripercorse il corridoio all’inverso, notando soltanto in quel momento due dettagli: tra una porta e l’altra c’erano vasi contenenti piante che si estendevano verso l’alto, dalle foglie larghe di un verde vivo e sull’apice un’infiorescenza giallastra a spadice, avvolta da una spata di colore bianco; dinanzi a una di queste porte, proprio al centro dei due vasi, sostava una donna in abiti neri, un tailleur avrebbe osato dire, con occhiali da sole a nasconderle gran parte del volto. Alzò un sopracciglio dinanzi a questa, perplesso. Le sue conoscenze in ambito biologico lo avevano portato alla conclusione che le piante fossero spathiphyllum wallisi; tuttavia, riguardo la donna in questione, non aveva idea alcuna di chi si trattasse e quale fosse la sua mansione. Che stessero girando qualche film di spionaggio in quello stesso edificio o nei dintorni di esso?
Decise di lasciar perdere e stava per proseguire, quando udì una voce. Non conosceva quella canzone, né sapeva chi l’avesse scritta, composta e cantata. Fatto sta che colei che in quel momento vi stava dando forma aveva la voce più dolce e cristallina che avesse mai udito prima. Era come miele. Sembrava la voce di una bambina, una bambina triste che si spingeva verso il cielo, alla ricerca di qualcosa, ricevendo in cambio da esso soltanto pioggia. Quanta mestizia e rassegnazione si celavano in quelle note carezzevoli. Chiuse gli occhi, lasciando che lei rapisse per un po’ il suo cuore e lo purificasse con le sue lacrime.
Non appena ella tacque si riscosse, rendendosi conto che era come entrato in trance. Da quanto tempo era fermo lì? Tre minuti? Quattro? Notò che la donna lo scrutava con sospetto e le rivolse un breve sorriso, facendole un cenno di saluto col capo. In parte, era anche di scuse.
Mentre rientrava si domandò a chi potesse appartenere quel canto così… angelico. Sì, quella doveva proprio essere la voce di un cherubino sceso in Terra per curare cuori afflitti, come il suo. Perché adesso, dopo aver ascoltato la sua canzone, si sentiva molto meglio.
Abbassò quindi la maniglia, rientrando in quella stanzina, dove lo attendevano i suoi amici. Stavolta non dovette fingere nulla, e quando gli venne chiesto di cantare non se lo fece ripetere due volte. Scorse i titoli sullo schermo, finché uno di essi non attirò la sua attenzione.
“Dilemma no yoru”.
Eh sì, era proprio tutto un gran dilemma. Tra l’altro conosceva già quel brano, sapeva che parlava di un pentimento, di un desiderio che le cose andassero diversamente. Sapeva che per se stesso non poteva valere molto, ma quando cominciò a cantarlo decise di dedicarlo alla ragazza che lo aveva curato poco fa.
Se quella storia parlava di lei, se quelle lacrime erano le sue, allora desiderava averla potuta incontrare prima per cambiarne il destino e asciugargliele, così come lei aveva fatto con lui.
 
***
 
Una giovane fanciulla, dagli occhi umidi per il pianto, uscì proprio in quel momento da una stanza del karaoke, accompagnata dalle sue amiche più intime. Si inchinarono tutte dinanzi alla donna che le attendeva lì fuori, la quale le guidò fino all’ingresso dell’edificio.
Tuttavia, ella ben presto si arrestò nei suoi passi, voltandosi verso la porta adiacente a quella da cui erano uscite poco prima.
Si morse le labbra, nuove lacrime si raccolsero nei suoi occhi, mentre tacita ascoltava quella melodia.
Non aveva mai sentito una voce maschile così sottile, morbida, come seta, ma anche tanto… tanto espressiva, tanto rassegnata. E il sentimento divenne forte, prepotente, quando pronunciò queste parole:
 
Moshi mo deau no ga
futari motto hayakattara
kono unmei sae
sukoshi kawatteta no kana
 
Sembrava una risposta diretta al suo pezzo:
 
Doushite sekai wa sakasa ni muryoku ni nagareteku no?
Yuuyake
itsuka mita akane kumo
soba ni irenai sono kawari ni
 
Ma non era possibile, no? D’altronde, così come lei non aveva la minima idea di chi fosse a cantare lì dentro, lui non poteva essere a conoscenza di ciò che lei serbava nel suo animo.
Eppure, proprio ad egli si sentiva inspiegabilmente legata, come a nessun altro.










 
Angolino autrice:
Salve a tutti! Dunque, questa è una storia che ho finito di scrivere parecchio tempo fa, ma sembrava quasi che stessi attendendo il momento giusto per pubblicarla. Stanotte ho fatto un sogno ad essa correlato, e mi sono detta "Ecco, ci siamo!". E quindi eccomi qui!
Dovrei fare parecchie precisazioni, e non so nemmeno fino a dove posso spingermi senza spoilerare... Quindi mi concentro sull'aspetto più tecnico. 
Perché il prologo si intitola "0"? ... Segreto! Lo dirò nell'epilogo x'D
Lo stile cambierà nei capitoli successivi: prologo ed epilogo sono scritti in terza persona, al passato; tutti gli altri sono in prima, al presente. Perché tutto questo? Perché l'inizio e la fine dovevano essere raccontati, mentre il contenuto vero e proprio va vissuto. E mi sono detta che non sarebbe stato male sperimentare un pochino in tal senso. 
Mi dispiace se per questo la storia dovesse risultare confusionaria, ma tranquilli, vi avviserò prima di qualsiasi variazione.
Com'è immaginabile, il primo capitolo è dal punto di vista di Syaoran (ne saranno 10, prima che il pov cambi). 
Ah, ci tengo a precisare che lo Syaoran qui trattato è Tsubasa. Questa cosa verrà specificata anche a breve nella storia, ma per ovvie ragioni (soprattutto caratteriali) ci tengo a specificarlo da subito. Stessa cosa con Sakura/Tsubasa. 
Ora, come nasce questa storia? Semplicissimo, è un'idea venuta fuori a forza di sentirmi in loop delle canzoni cantate da Irino Miyu (seiyuu di Syaoran) e Makino Yui (seiyuu di Sakura). Sono una sempliciotta, già. Ero in viaggio verso Napoli, e a un certo punto bam, nella mia testa ha preso vita un nuovo mondo. Ammetto che inizialmente volevo ruotasse tutto attorno alla musica, ma nello scrivere le cose - come sempre - hanno preso una piega diversa. Per questo il titolo, in romaji anata he no uta, significa "una canzone verso di te". Alla fine l'ho lasciato perché, per come si mette la situazione, rimane adatto. 
Ora, passando al contenuto del prologo: la prima canzone citata è di Irino-sama (abituatevi al mio chiamarlo così, please), il titolo è scritto anche nel testo, e la parte presa recita "Se ci fossimo incontrati prima, questo destino sarebbe stato almeno un poco diverso?"; la seconda è "Amrita", una ost proprio di TRC  (o meglio, del film "La principessa del regno delle gabbie per uccelli") cantata da Yui-chan, di cui ho preso "Perché il mondo è sostenuto da contraddizioni e impotenza? Tu non puoi più stare al mio fianco, e al posto delle nuvole rosse che un giorno vedemmo al tramonto...
" (qui andrebbe aggiunto il continuo, perchè si lega alla pioggia che cade). Devo precisare che sono traduzioni mie, che si allacciano ad una mia interpretazione di esse per poterle adeguare al meglio alla storia.
Bene, penso di aver detto tutto! A presto col primo capitolo, con l'augurio che questa storia possa piacervi! ^_^
Steffirah


p.s.: "senpai" indica compagni più grandi/con più esperienza

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Capitolo 2
*** 1 ***


I



 
 
 
Suono al campanello, in attesa.
«Un attimo!» esclama qualcuno all’altro lato della porta. Sembra una voce abbastanza giovanile, molto allegra.
Si odono diversi rumori e altri suoni ovattati, prima che essa si spalanchi. Un uomo alto, dal fisico asciutto e slanciato, i capelli biondi di media lunghezza, legati in una coda dietro la nuca, mi guarda con due grandi occhi celesti, sorridendomi apertamente.
«Sei Syaoran-kun?»
Annuisco, inchinandomi mentre mi presento.
«Via con queste formalità, non ce n’è bisogno visto che da oggi vivremo insieme.»
«Ma lei è più grande di me -» provo a ribattere debolmente, venendo subito interrotto.
«Senz’altro sei ancora un ragazzo, ma se ti dico che in questa casa puoi evitarle, evitale pure. A noi non può che fare piacere.»
Si sposta di lato, facendomi spazio per lasciarmi entrare, aiutandomi a portare dentro la valigia.
Mi tolgo le scarpe, indosso delle ciabatte, e poso le prime in un apposito scaffale che egli mi indica. Rifletto sulle sue parole e, sapendo che c’è anche un altro coinquilino, mi guardo intorno, alla ricerca di questi.
«Kuro-sama non c’è, oggi aveva lezione.»
Kuro-sama? Che sia un soprannome? So che si chiama Kurogane, almeno stando a quel che mi ha riferito il proprietario della casa.
«Anche lei – ehm» mi mordo la lingua, notando la sua occhiata di ammonimento, per cui mi correggo. «Anche tu, Fay-san, insegni. Giusto?»
«Esattamente, all’accademia di belle arti», conferma in tono cantilenante. «Vedo che sei ben informato!»
«L’ooya-san mi ha parlato di voi quando ho comprato l’appartamento», spiego, dando un’occhiata ad esso. È infatti la prima volta che lo vedo dal vivo. Sembra abbastanza arioso, almeno quanto basta per tre persone.
«Mmh, spero abbia detto soltanto cose positive», riflette e subito lo tranquillizzo.
«Assolutamente, mi ha parlato benissimo di voi.»
Lui mi scruta con fare riflessivo, prima di aprirsi in un nuovo sorrisone.
«Ti abituerai presto a noi, senz’altro!» esclama energicamente. Sembra una persona molto pimpante e allegra, oserei dire spensierata.
«Sono nelle vostre mani.»
«Ancora con questo keigo!» Sospira, posandomi una mano sulla spalla per spingermi più verso l’interno. «Vieni, ti faccio fare un piccolo tour.»
Lo lascio condurmi oltre l’ingresso e scopro così che in fondo al corridoio, a destra rispetto alla porta, c’è una cucina, aperta su una piccola sala munita di tavolo e sedie. Nell’angolo c’è un bagno e quando vi entriamo mi accorgo che è più grande di quanto supponessi, visto che ospita sia una vasca che una doccia. Mi indica poi due camere parallele, dicendomi che quella a sinistra è la sua e quella a destra è di Kurogane-san, mentre l’ultima nel corridoio – accanto alla lavanderia – è la mia. Nel tragitto mi ha mostrato anche il balcone su cui stendono i panni e curano delle piantine, mentre, andando verso esso, c’è una gabbia con un coniglio bianco. È enorme.
«Lei è Mokona, stai attento perché è iperattiva», mi mette in guardia, approfittandone per darle da mangiare.
«È tua?»
«Diciamo che è di tutti, io e Kuro-pin l’abbiamo trovata insieme.»
Di nuovo, il suo nome è cambiato.
Mi rivolgo al coniglio, allungando un dito per toccarne il pelo: è morbidissimo.
«Yoroshiku, Mokona.»
Quasi mi avesse capito strofina il musetto umido contro il mio polpastrello, sniffandomi.
«Andrete d’accordo!» assicura Fay-san con un sorrisetto.
Chissà come fa, a sorridere così tanto senza provare dolore… A me, a lungo andare, comincia a far male la mascella. Evidentemente, dev’essere una persona molto solare.
Successivamente mi concede del tempo nella mia stanza per poter mettere a posto le mie cose. Non che nel mio bagaglio ci sia molto, soltanto lo stretto necessario.
Do un’occhiata alla camera, notando che è sufficientemente ampia da potermi permettere di fare esercizio, ed è poco arredata. Ci sono soltanto un armadio a due ante, una scrivania di un legno scuro vuota con due cassetti ai lati, una tenda bianca semitrasparente e un letto a una piazza separato dalla finestra da un piccolo comò. Stranamente, già c’è un copriletto di un colore sobrio, a tinta unita. Che ci abbiano pensato gli altri due inquilini? Dovrò ricordarmi di ringraziarli.
Apro la valigia, svuotandola poco alla volta, e metto tutto a posto, cominciando a crearmi i miei spazi.
Dopo pochi minuti ho già finito, per cui esco di lì, recandomi in cucina, dove trovo Fay-san con la testa nella credenza.
«Ti va un po’ di torta?» domanda, sentendomi arrivare. «L’ho preparata ieri sera.»
«Volentieri», accetto, e ad un suo cenno mi accomodo.
Ne taglia una fetta, ponendomela davanti, insieme a del tè caldo già pronto.
«Non essere tanto teso, rilassati», mi rimbrotta bonario.
«Mi dispiace, è che è la prima volta che mi trasferisco in un appartamento in cui vivono persone adulte», provo a giustificarmi. Gli spiego brevemente che fino a poco prima che cominciassi l’università abitavo presso mio fratello, finché non sono riuscito a racimolare dei soldi per potermi staccare dalla famiglia.
Detto ciò assaggio la torta bicolore, scoprendo che – come previsto – la parte scura è al cioccolato. È buonissima. Provo anche il tè, dopo averne annusato l’ottima fragranza. Sa di cannella e arancia.
Mi congratulo con lui e, dopo avermi ringraziato, nota un piccolo particolare.
«Non so se è giusto chiedertelo, e non sei tenuto a rispondermi, ma se vivevi con tuo fratello perché hai deciso di andartene?»
Abbasso lo sguardo e prendo tempo sorseggiando il tè, intervallandolo col dolce.
Lui attende pazientemente, ma quando sta per riaprire bocca lo anticipo, tagliando corto: «Noi non siamo veramente fratelli e mi sembrava di vivere a sue spese. Mi sentivo in colpa».
Fay-san mi fissa dubbioso e leggo la curiosità nei suoi occhi, ma più di questo non me la sento di rivelare. Anche perché neppure io stesso sono sicuro del mio passato.
«A proposito, devo contattarlo per dirgli che sono arrivato», ricordo improvvisamente.
«Fai pure!» concede alzandosi. «Io aziono la lavatrice, se hai bisogno di me sai dove trovarmi.»
Attendo che Fay-san esca dalla cucina prima di comporre il suo numero.
«Moshi moshi?»
«Sono Syaoran.»
Lo sento sospirare, ma subito il suo tono si alleggerisce. «Sei arrivato?» Confermo, al che investiga ad oltranza: «Com’è andato il viaggio?»
«Bene.»
«Hai già conosciuto i tuoi coinquilini?»
«Uno solo, l’altro è a lavoro. Sembrano entrambi brave persone.»
«Lo saranno di certo.» Mi sembra di vederlo sorridere anche da qui.
«Kimihiro, tu come stai?» mi accerto, impensierito.
«Io sto bene. Certo, un po’ si sente la tua mancanza, ma ci farò l’abitudine.»
Chino il capo, scusandomi.
«Ma di cosa, Syaoran? Era giusto che prima o poi ci lasciassi. Non erano queste le tue radici, dopotutto.»
Taccio, non sapendo come ribattere. Non posso dire che non sia così, ma non posso neppure ferirlo ulteriormente.
«Mi dispiace», ripeto afflitto.
«Ancora?» sbuffa. «Ascolta, per me la cosa più importante è che tu stia bene e possa trovare la tua strada.»
Mi si formano le lacrime agli occhi, ma tento di scacciarle, alzando lo sguardo verso il soffitto bianco.
«Anche per me, tutto ciò che conta è che tu stia bene e sia felice.»
«Io già lo sono», replica in tono serio. «Concentrati unicamente su te stesso, non pensare più a me. Il tuo nii-san ci sarà sempre per te, lo sai. Ma pensa prima di tutto a trovare la tua felicità.»
Prendo un respiro tremante, sperando che non si accorga che sono sull’orlo di un pianto. Tuttavia è stata una mia scelta abbandonare l’unica famiglia che avevo e, a questo punto, è troppo tardi per pentirsene. Non si può più tornare indietro.
«Grazie», sussurro, asciugandomi gli occhi.
«Non mi ringraziare Syaoran. Stammi bene, e aggiornami se dovessi trovarla.»
«La felicità?»
«La tua vera casa.»
Detto ciò attacca e io ancora sono imprigionato nel suo tono accorato. Per questo non mi accorgo che è rientrato anche l’altro ospite di quella casa, finché una voce possente, molto profonda e virile, non mi richiama.
«Oi, ragazzo. Sei il nuovo arrivato?»
Alzo la testa di scatto, voltandomi, trovandomi davanti un uomo alto e muscoloso, con corti capelli neri come la notte e gli occhi dal taglio sottile, affilato, con iridi di un colore bizzarro. Sembra quasi scarlatto.
Mi metto in piedi, facendogli un breve inchino.
«Mi chiamo Syaoran, sono arrivato da poco. Yoroshiku onegaishimasu.»
«Io sono Kurogane, piacere mio», risponde secco, appoggiandosi alla parete. Quindi ricordavo bene il nome! «Evita questi convenevoli.»
«Prego?»
«Sii semplicemente te stesso.» Dinanzi alla mia confusione sospira, sembrandomi scocciato e parzialmente rassegnato. «Dovremo convivere per un bel po’, no?»
«Sì.»
«Bene, allora prendi un respiro e rilascia la tensione. Fa’ come se fossi a casa tua.»
Sgrano gli occhi, ma poi svio lo sguardo, tentennando. Può mai essere davvero così semplice?
«Ma sentiti, Kuro-tan. Non è “come se”, questa è anche casa sua.»
Fay-san compare dal nulla alle sue spalle, facendolo sobbalzare, portandosi dietro anche Mokona.
«Hai cacciato il coniglio!»
«È l’ora della passeggiata», canticchia il biondo.
«L’ora della passeggiata un corno! E come mi hai chiamato?!»
Fay-san finge di pensarci su, puntandosi un indice alla bocca. «Se non erro, Kuro-tan.»
«Il mio nome è Kurogane!!» sbraita, facendo come per acciuffarlo.
«Waah! Kuro-pun si è arrabbiato!» esclama il biondo per niente spaventato, tutt’altro. Sembra se la stia spassando.
«Piantala o giuro che stavolta ti ammazzo!» lo minaccia, ma l’altro riesce a sfuggirgli e così fa Mokona che corre come un razzo tra l’uno e l’altro.
«Ohh guarda», rimarca Fay-san in tono accusatorio. «Per colpa tua Mokona è impazzita.»
«Se non te la riprendi subito la acciacco e la butto nel forno.»
«Syaoran-kun, vedi che crudele che è?» piagnucola, guardandomi coi lacrimoni.
Non ci sto capendo niente, ma prima che riesca a pronunciarmi il coniglio fa un balzo verso di me.
Mi abbasso a prenderlo prima che fugga e, sorprendentemente, si acquieta tra le mie braccia. Entrambi ci restano di stucco, ma repentinamente Fay-san si riprende dallo sgomento per esultare.
«Mokona adesso è anche tua!»
Ripenso alla loro vitalità, alle loro parole. Se questa è la mia casa, prevedo tante scenette comiche a tinteggiarmi quotidianamente.
Sorrido loro, mettendomi totalmente nelle loro mani. Sperando che almeno essi riescano a riempire quella piccola assenza che sento in me.










 
Spiegazioni:
Ooya-san = proprietario di una casa
Keigo = linguaggio onorifico/gentile 
Yoroshiku (onegaishimasu) = "Piacere di conoscerti" (con onegaishimasu è ancora più formale)
Moshi moshi = "Pronto?" (A telefono)
Nii-san = fratello maggiore

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Capitolo 3
*** 2 ***


II



 
 
 
È già trascorso un mese da quando mi sono trasferito qui. In effetti, stando ogni giorno a contatto con Kurogane-san e Fay-san la mia vita si sta riempiendo di leggerezza. Non ci conosciamo ancora molto bene, soprattutto perché io faccio molta difficoltà ad aprirmi – per il semplice fatto che se dovessi spiegare determinate cose di me non saprei come farlo. Né da dove dovrei partire. Né cosa di preciso dovrei raccontare. Sono aspetti, purtroppo, che sono oscuri persino a me medesimo. Per questo per il momento la nostra è una convivenza serena e civile – nei limiti del possibile.
Quel che ho un po’ scoperto e un po’ capito di loro è che Fay-san ha origini nord-europee. Non ha raccontato nulla sulla sua famiglia e la sua vita lì, soltanto che il paese in cui viveva era molto freddo, per cui inizialmente ha avuto difficoltà ad abituarsi al clima giapponese. Kurogane-san, invece, è nativo del Giappone e appartiene ad un’antica stirpe di guerrieri – da un lato me lo aspettavo, visto che emana egli stesso l’aria di un samurai.
Il primo è un tipo energico, di indole buona, perennemente sereno, come se nulla potesse mai turbarlo o disturbarlo, anche se a volte assume una serietà tutta sua; a tratti sembra infantile, ma questo suo aspetto lo rende simpatico a tutti – tranne che a Kurogane-san, ma sono convinto che ormai si sia abituato alle sue stramberie, visto che mi è parso di capire che convivono da mesi. Questi, al contrario, ha un carattere un po’ rude e irriverente, ma al contempo è una persona seria, senza peli sulla lingua, e anche perspicace – il che talvolta mi provoca disagio. Ma in altri frangenti questo suo istinto mi è d’aiuto per svincolarmi da situazioni e questioni spiacevoli.
Eppure, sebbene li conosca da poco, devo confessare che mi sento già legato a loro. Prendere confidenza con essi, abituarmi alla loro routine, è stato più semplice del previsto.
Naturalmente non ho dimenticato Kimihiro e non ho neppure smesso di vederlo, dato che lui studia alla mia stessa università, seppure sia iscritto alla specialistica in una facoltà diversa. Ciononostante di tanto in tanto abbiamo l’occasione di incontrarci per pranzo, oppure scambiamo qualche chiacchiera nei corridoi o nel cortile della sede universitaria, interessandoci delle nostre reciproche esistenze.
Quando gli parlo della mia quotidianità i suoi occhi si illuminano e mi rivolge sempre un ampio sorriso. Quello che a me sembra un sorriso fiero e soddisfatto.
Inoltre, proprio ieri mentre pranzavamo mi ha detto «Vedrai Syaoran, d’ora in avanti non può che migliorare», in riferimento alla mia vita.
Mio fratello è sempre stato ottimista, ma non è soltanto questo. Ha sempre avuto una sorta di particolare dono: sin da bambino diceva di vedere cose invisibili ai miei occhi, e inoltre ha un’innata abilità di garantire i desideri degli altri. Ad esempio, se io da piccolo gli dicevo «Quanto vorrei trovassimo una gelateria nei dintorni», lui rispondeva «Tra poco la troverai» e, magari, ne incontravamo una proprio svoltando l’angolo. Lo ammiravo per questo suo… chiamiamolo “sesto senso”. Non funzionava soltanto con me, ma con chiunque, anche con gente a caso incrociata per strada.
Una volta, ai tempi in cui lui frequentava il liceo e io le medie, notammo fuori la mia scuola una ragazza inginocchiata, con la testa tra le gambe. Piangeva, i singulti le scuotevano la schiena, nascosta in un angolino all’ombra di alberi e cespugli. Stavo già per avvicinarmi a lei, preoccupato, quando ecco che Kimihiro mi anticipò, chiedendole cosa fosse successo. Lei si sfogò con lui, spiegandogli che aveva perso un ciondolo che le aveva regalato la sua migliore amica, simbolo della loro amicizia, e nonostante avesse cercato in lungo e in largo, persino nell’immondizia, non riusciva più a trovarlo. Lui le consigliò di smettere di cercare perché prima o poi esso sarebbe tornato di sua iniziativa da lei; la ragazza sembrò seguire il suo suggerimento e, dopo qualche giorno, mi si approcciò, chiedendomi di ringraziare il mio nii-san, raccontandomi piena di gratitudine che mentre stava studiando, spostando per un attimo lo sguardo, si era ritrovata il ciondolo sotto agli occhi, sulla scrivania, accanto al libro di testo.
Tuttora non riesco a trovare una spiegazione razionale a tutto questo, ma qualunque sia il “potere” di Kimihiro è qualcosa di eccezionale: è in grado di apportare gioia agli altri e io, a mia volta, desidero riuscire a fare lo stesso.
Ma come posso farlo se neppure io conosco il vero significato della gioia?
Prima di fare le valigie ero ancora insicuro delle mie scelte. Dubitavo, per il semplice fatto che volevo una certezza. Sapevo soltanto quel che volevo studiare, ma non il perché. Sapevo dove sarei andato, ma non ciò che avrei trovato. E allora, in mezzo a tutti quei miei turbamenti, Kimihiro lesse più a fondo nel mio animo, capendo meglio di me che il problema principale risiede nel mio passato. Per questo, quando ci siamo salutati in stazione, poco prima che si richiudessero le porte del treno pronunciò: «Troverai la tua famiglia, Syaoran».
E adesso, seduto a tavola con Fay-san e Kurogane-san, mi chiedo se possano mai essere loro.
«Come sta andando l’università?» si interessa il secondo, buttando giù del sushi – sotto lo sguardo disgustato di Fay-san. A quanto pare detesta cibi acidi e pesce crudo.
«Bene, ogni giorno è divertente.»
«Scommetto che è interessante», ammicca Fay-san.
«È qualcosa che mi piace davvero.»
Sanno, naturalmente, che sono iscritto al dipartimento di archeologia.
«Cosa state studiando?»
«Ultimamente ci stiamo concentrando sul periodo Yayoi e Jomon, poi tra due settimane comincia un ciclo di conferenze su dei reperti trovati in Hokkaido», lo informo, gasandomi. Gli racconto di cosa si tratta, almeno per quel che ne so, e lui alla fine sorride altrettanto entusiasta.
«Poi dovrai farci una tesi?»
«Esattamente.»
«Sappi che vorrò leggerla.»
È un po’ imbarazzante in realtà, ma… «Se non ti annoia…»
«Al contrario! È sempre bello vederti così su di giri, neh Kuro-daddy?»
Ultimamente ha preso la fissa di chiamarlo “papà”, in tutte le lingue che conosce. Inizialmente l’altro se la prendeva, ora sembra preferire ignorarlo.
«Hai trovato la tua ambizione?» chiede invece.
Entrambi sono consapevoli che non ho un vero e proprio scopo nella vita, per cui abbasso gli occhi sul sashimi e scuoto la testa, afferrando del salmone.
«Via, è ancora presto! Magari lo capirai proprio durante quei seminari», tenta di rincuorarmi Fay-san.
«Magari sì», provo a convincermi.
«Per il resto, con i tuoi amici?»
«Ogni tanto andiamo in giro e – ah!»
«Cosa?»
Mi guardano entrambi curiosi, mentre io soltanto adesso rievoco quel che è successo proprio qualche giorno prima del trasferimento.
«Ecco, il mese scorso mi portarono al karaoke e lì sentii una voce.»
Kurogane-san alza un sopracciglio, guardandomi come se mi fossi ammattito.
«Intendo, la voce di una ragazza. Che cantava», mi affretto a precisare. «Però, anche se ci siamo tornati altre volte, non l’ho più sentita…» mi rammarico.
«Oh? Ti sei innamorato di una sconosciuta?» mi punzecchia Fay-san, sembrandomi deliziato all’idea.
«No, soltanto che… era una voce molto bella. Mi è rimasta impressa in maniera nitida, tanto che a volte mi sembra di risentirla prima di addormentarmi.»
Mi fissano taciti per un po’, poi Kurogane-san scrolla le spalle, mentre Fay-san mi si accosta maggiormente.
«L’hai sentita soltanto una volta?»
«Sì.»
«E già l’hai memorizzata?»
«Non esattamente…» mi tiro un po’ indietro, imbarazzato. «Non ricordo la canzone, soltanto alcune parole. Forse erano del ritornello perché si ripetevano. Ma più che esse, è stessa la sua voce che sento. Come se in determinati momenti parlasse direttamente nel mio orecchio. Come se essa fosse racchiusa nel mio cuore e ogni tanto uscisse di lì per cantare per me.» Mi interrompo, capendo quanto possa suonare ridicolo per loro. «Scusatemi, è un’assurdità», ridacchio nervoso.
«Secondo me rischia di diventare un’ossessione, quindi smetti di pensarci.»
«Farò dei tentativi», prometto a Kurogane-san. Ma, onestamente, non so quanto mi riusciranno.
«Parlando di cose serie, il lavoro procede bene?»
«Sì! Fortunatamente riesco anche a ritagliarmi del tempo per fare ricerche e studiare.»
«Ottimo allora.»
«Tuttavia, penso che non basti. Vorrei fare anche qualcos’altro, magari di più redditizio. Lo stipendio di adesso non è poi così alto, quindi immagino che con due lavori -»
«Ce la farai poi a stare al passo con gli studi?»
«Assolutamente sì. Quando c’è qualcosa che devo fare, la porto a termine fino alla sua conclusione», dichiaro convinto. È sempre stata questa mia determinazione a spingermi in avanti.
«Se è così, trova l’obiettivo che ti manca e prosegui a testa alta verso quella meta.»
Mi sento confuso da quel discorso, per cui Fay-san interviene: «Vuole dire che hai sempre la tendenza a buttarti a terra, sentendoti insicuro di ciò che realmente vuoi. Per cui, appena trovi una risposta, non permettere a niente e nessuno di metterti i bastoni tra le ruote e insegui quel sogno».
Capendo, li ringrazio entrambi per il loro caro pensiero. Sono stato fortunato a trovare due persone così altruiste ad aspettarmi.
«E ti senti periodicamente con tuo fratello?»
«Kuro-daddy, sei proprio un paparino ficcanaso. Lascia un po’ in pace nostro figlio.»
Lui lo guarda malissimo e capisco da quello sguardo assassino cosa sta comunicando. Stavolta la tacita minaccia fa rabbrividire anche me, perché in essa leggo un “Se non chiudi il becco e la pianti con questa farsa ti faccio diventare sul serio donna”. Già sto soffrendo.
«Ci incontriamo spesso all’università, quindi alla fine è come se stessimo ancora insieme», intervengo tempestivamente, ponendo fine a quella muta guerra.
«Te la senti di parlare di voi?»
«Ancora no…»
Senza insistere Kurogane-san fa spallucce e si allontana dal tavolo, cominciando a sparecchiare. Sia io che Fay-san ci alziamo per aiutarlo, e mentre quest’ultimo lava le stoviglie – ci siamo divisi le faccende di casa in diversi turni – il primo mi scompiglia i capelli.
«Quando deciderai di parlarcene, noi siamo qui.»
Faccio un cenno di comprensione col capo, incapace di esprimermi. Per il momento ancora non me la sento. Non ho ancora scoperto la verità sul mio passato e, allo stato attuale, non dispongo di molti indizi.
Dopo aver messo tutto a posto esco sul balcone per prendere un po’ d’aria, dando una carota a Mokona nel tragitto, e mi appoggio alla balaustra, rimuginando. Riflettendoci, forse è proprio questo che mi ha spinto, inconsciamente, a studiare archeologia e interessarmi alla storia. Probabilmente nel mio subconscio ho sempre sperato di poter dare una risposta a tutti i dubbi che riguardano me stesso, scavando nel passato degli altri. Forse avrei trovato delle tracce, delle prove, delle situazioni che avrebbero potuto ripetersi, mostrandosi simili alla mia vicenda.
Osservo le luci di una Tokyo notturna, abbattuto. Alzo lo sguardo verso il cielo, purtroppo completamente nero. Chiudo gli occhi, non trovando alcuna differenza.
Perché vedo solo le loro mani? Perché soltanto sagome che mi voltano la schiena?
Dove sono i miei genitori?
Chi sono i miei genitori?
Perché Kimihiro è la mia unica sicurezza?
Perché mio “fratello” è Watanuki Kimihiro?
E perché io mi chiamo Syaoran, se quello non è il mio nome?
Perché io non posso essere semplicemente Li Tsubasa?
Stringo le mani in pugno, serrando le dita sulla ringhiera.
Nulla. Non ci capisco nulla. E ogni volta che ci penso, ogni volta che mi sforzo di ricordare, mi sembra soltanto di annegare negli abissi più bui della più completa ignoranza.
Tuttavia, è da un mesetto circa che, ogni volta che sto per disperarmi, la sua voce mi culla verso la superficie, verso la luce, facendomi tornare a galla. Esattamente come sta facendo adesso.










 
Spiegazioni:
Il periodo Jomon va dal 10.000 a.C. al 300 a.C circa; quello Yayoi lo segue, andando dal 400/300 a.C al 250/300 d.C.  Non sto qui a dare lezioni di archeologia, ma se ci dovesse essere qualcuno interessato, può chiedere! ^_^

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Capitolo 4
*** 3 ***


III



 
 
 
«Syaoran-kun, perdonami, potresti finire di occuparti tu di questi?»
Sposto lo sguardo dal computer a Ijūin-senpai, che mi posa innanzi una pila disordinata di libri.
«Certo.» Lo osservo oltre la mini torre, notando che sembra agitato. «È successo qualcosa?»
Annuisce con vigore, esclamando tra la preoccupazione e l’eccitazione: «Devo correre in ospedale, mia moglie sta per partorire».
«Oh», riesco a malapena a mormorare, colto di sorpresa.
«Che splendida notizia!» interviene Hōōji-senpai, facendogli segno di affrettarsi mentre prende le sue cose. «E porgile i miei auguri!»
«Sì, grazie!»
Ci saluta pieno di ansia e gioia, filando via. 
Mi volto verso Hōōji-senpai, e lei sorride dinanzi alla mia confusione.
«Non te l’aspettavi?»
«Proprio no», ammetto. «Non sapevo neppure fosse sposato.»
«Utako-san è una fanciulla adorabile. Pensa, si conoscono da quando erano bambini!» mi informa, indicando poi i libri. «Ti aiuto a metterli a posto.»
«Grazie.»
Mi alzo dalla mia postazione, sgranchendomi finalmente le gambe. Sono stato seduto lì per più di tre ore e adesso le sento tutte indolenzite.
La affianco in fretta e afferro parte di quella pila disordinata, scandagliandone i titoli e i numeri di collocazione e di inventario per comprendere in quali scaffali riporli.
«Non sei un tipo che ficcanasa, eh?» chiede dopo un po’, sembrando trattenere un risolino.
«Non sono affari miei», rispondo distratto. «L’unica cosa che mi interessa è che il bambino possa nascere sano, ed entrambi possano essere felici.»
Pur senza guardarla la sento sorridere, ma non aggiunge altro; mi scompiglia lievemente i capelli, prima di comunicarmi: «Inizio a mettere a posto questi».
Annuisco e mi riempio le braccia degli altri, spostandomi in diverse sezioni. Quando me ne mancano solo due e sto per passare oltre noto una ragazza disperatamente alle prese con un libro. La vedo che si allunga sulle punte, stendendo un braccio e le dita all’inverosimile, saltellando.
Sorrido percependo la sua frustrazione e mi avvicino alle sue spalle, prendendo quello che suppongo sia il libro che cerca. È una versione illustrata di “Peter Pan” di Barrie, in lingua originale, sebbene piuttosto semplificata.
«Ti serve questo?» domando, abbassando il capo.
Lei si volta, facendo un giro su se stessa, alzando la testa per guardarmi. I suoi occhi si spalancano e io resto stupito dinanzi a quella cromatura così chiara, così sgargiante di verde. Che iridi stupefacenti.
Noto le sue gote arrossire e suppongo sia per il caldo. Qui dentro, naturalmente, i condizionatori sono accesi, e ciononostante lei indossa un cappello che le copre fronte e orecchie e un foulard alzato fino al naso. Che sia raffreddata?
Sposta lo sguardo sul libricino e me lo toglie rapidamente dalle mani, facendomi un cenno col capo.
«Grazie.»
La sua voce è a malapena udibile, ovattata dalla stoffa. Eppure che strano, mi sembra di conoscerla già. Come se mi fosse familiare da sempre.
Quasi in automatico allungo due dita verso il suo scialle, desiderando inconsciamente vedere di più del suo viso; ma quando il mio polpastrello quasi sfiora la sua rosea pelle lei si tira indietro. Si inchina stringendosi il libro al petto, prima di voltarmi le spalle e correre via.
Resto un po’ immobile lì, a fissarmi la mano. Che diamine mi è preso? Come ho potuto essere così scortese?
Mi riscuoto e concludo in fretta il mio dovere, tornando alla reception. Lì mi viene ricordato che il mio turno è finito, per cui mi accomodo nella sala ristoro e mi approprio del tomo di iconografia e tradizione classica, riprendendo lo studio da dove mi ero fermato.
Ho cominciato a lavorare nella biblioteca nazionale da un mesetto e mezzo circa, per potermi pagare gli studi naturalmente. Non mi è stata affidata nessuna mansione complicata, e i compiti assegnatimi variano in base alla situazione. Inizialmente mi veniva chiesto per lo più di catalogare i volumi e i documenti nell’archivio, ora invece mi hanno spostato alla reception per accogliere e assistere i lettori in caso di bisogno, al di là della scrivania. All’occorrenza mi viene domandato di aiutare a mettere a posto i libri prestati, che vengono lasciati in un cassetto sul banco prestito e, di conseguenza, finiscono alla rinfusa nel momento in cui ci vengono restituiti.
Onestamente, adoro questo part-time. Ho sempre provato un certo fascino per tutto ciò che è antico, e in particolare i libri hanno sempre attirato la mia attenzione. Sarà sempre per la questione che narrano, raccontano, danno risposte, e io spero ogni volta di trovarne qualcuna anche per me stesso.
Essi non possono sbagliare. Essi sono scritti, non possono cambiare idea, non possono fuorviarmi. Essi non possono ingannarmi.
Solitamente studio nella biblioteca universitaria, ma negli ultimi tempi approfitto del lavoro per guadagnarci conoscenze, oltre che denaro. D’altronde, quest’edificio contiene almeno il triplo dei libri conservati in quella della mia facoltà.
Rivedo quindi alcuni appunti, confrontandoli con ciò che c’è scritto nel manuale, ma per quanto io sia concentrato un rapido movimento coglie la mia attenzione. Alzo la testa di scatto, notando la stessa ragazza di prima guardarsi intorno con circospezione, nascondersi dietro agli scaffali e scrutare a destra e sinistra, prima di procedere. La fisso perplesso, chiedendomi cosa stia facendo. Com’è bizzarra.
Prosegue con il volume di Barrie davanti al volto, quasi stesse cercando di non farsi vedere. Non è che per caso qualcuno la sta inseguendo? Sta forse fuggendo? Che ci sia uno stalker?
Incapace di concentrarmi, decido di mettere tutto a posto per il momento. Afferro la borsa e mi alzo, avvicinandomi a lei. Magari posso aiutarla in qualche modo.
«È successo qualcosa?» domando, attirando la sua attenzione.
Lei sobbalza, voltandosi con aria colpevole, come se l’avessi colta in flagrante a fare qualcosa di illegale. Sembra tuttavia rilassarsi in fretta e sospira, abbassandosi di poco il foulard, mostrandomi così un sorriso timido.  
«Sai mantenere un segreto?»
Annuisco senza esitare e lei, quasi senza pensarci, mi afferra una manica, tirandomi più verso l’interno in mezzo a due alti scaffali, nella sezione dedicata alla psicologia. Che si sia semplicemente persa?
«Ecco, vedi…» esordisce sottovoce, torturandosi le dita, come fosse nervosa. «Il fatto è che ci sono delle persone che mi stanno cercando, ma non mi sento ancora pronta a -» Si interrompe bruscamente, sgranando gli occhi per qualcosa alle mie spalle. Posa fulmineamente il libro su una mensola, piagnucolando silenziosamente, e mi rivolge uno sguardo implorante, prima di buttarsi tra le mie braccia, nascondendo il viso sul mio petto.
Ma cosa…?
Mi pietrifico, non sapendo come reagire. Ripenso a quel poco che è riuscita a dirmi e analizzo la situazione, mantenendomi lucido. Delle persone la stanno cercando, per qualche ragione a me ignota. E se quelle persone fossero appena passate dietro di me? Se lei stesse agendo in questo modo per non farsi vedere?
Giunto a quella conclusione avvolgo le mie braccia attorno alla sua schiena, sebbene mi senta un po’ a disagio. Lei alza la testa per pochi secondi, guardandomi sorpresa, prima di riabbassarla e celarsi nuovamente, infossando il viso contro il mio petto.
Delle donne vestite con tailleur scuri passano accanto a noi e nello stesso istante la sconosciuta si stringe maggiormente a me. Noto che le sue mani, serrate in pugno attorno alla mia maglietta, tremano, per cui tento di tranquillizzarla come posso, carezzandole lievemente la schiena. Che siano costoro le persone da cui è in fuga? Le analizzo senza farmi notare, provando un senso di déjà-vu, che tuttavia non riesco a spiegarmi.
Passato il pericolo le do un lieve buffetto su una spalla, attirando la sua attenzione.
Si distanzia esitante e scandaglia l’area affacciandosi appena dalle mie braccia, prima di rilasciare un sospiro di sollievo. Incontra il mio viso, sorridendomi piena di gratitudine.
«Sei stato gentilissimo.»
Scuoto il capo in segno di negazione, come a dire che è un’inezia. Mi rendo poi conto che non l’ho ancora lasciata del tutto, per cui mi affretto a farmi indietro, alzando le mani. Mi scuso per tanta vicinanza, chiedendomi intanto cosa mi prende, ma stavolta lei scrolla la testa, rivolgendomi un sorriso radioso.
«Ora posso stare un altro po’ in giro. Mi hai fatto dono della libertà e non potrò mai finire di ringraziarti per questo.»
Mi sento incapace di reagire dinanzi a parole tanto accorate. Sembra una questione seria, molto seria.
Leggo la mestizia nelle sue iridi, che adesso però luccicano di speranza. Qualunque cosa io abbia fatto, spero soltanto di averle apportato felicità.
«Posso sapere come ti chiami?»
Mi attenuo al suo tono basso, rispondendo dopo un attimo di tentennamento. «Syaoran.»
«Grazie ancora, Syaoran. Non dimenticherò mai ciò che hai fatto per me oggi.»
Non capisco perché lo renda così importante.
«Non ho fatto nulla di che», replico, un po’ imbarazzato.
Lei ridacchia nascondendosi con una mano, le sue piccole spalle sono leggermente scosse dalla sua risata soppressa.  
«So che non puoi capire, ma credi nelle mie parole.»
È incredibile come io mi senta spiazzato da ogni singola mora che pronuncia. Mi sento così inerme, così… privo di difese. All’improvviso, mi sento come se per lei potessi fare qualunque cosa, come se per lei fossi disposto persino a gettarmi nel fuoco. Me ne sento in grado, e ciò mi spaventa. È terrificante, perché non ho mai provato nulla del genere per nessuno, con nessuno, e non ho idea di come agire, di come sia meglio comportarmi, di cosa dovrei rispondere a questa fanciulla sconosciuta, entrata così di slancio nella mia incerta vita.
Una fanciulla sconosciuta, misteriosa… Sarei riuscito a risolvere quest’altro mistero?
«Posso sapere anch’io il tuo nome?»
Sorride lieta, cominciando: «Io sono Sa-», venendo però interrotta da un’altra voce sibilante.
«Hana-chan, ecco dove t’eri cacciata! Dobbiamo andare!»
Ci voltiamo contemporaneamente in direzione di essa e così vedo un’altra ragazza, dai capelli scuri anch’essi raccolti in un largo cappello e occhiali da sole. È tutto troppo strano.
Hana mi sorpassa, rivolgendomi un ultimo sorriso che mi pare a metà tra il triste e il gioviale.
«Spero di rincontrarti, Syaoran.»
Solo ora mi accorgo che mi chiama direttamente per nome, senza attaccarci onorifici. Neppure a questo so come reagire, essendo stato finora soltanto Kimihiro l’unico ad appellarsi così a me.
Mi fa un breve cenno di saluto che ricambio incerto, finché non sparisce con quella che suppongo essere una sua amica, riflettendo intanto su tutto.
Afferro il libro che ha lasciato, sfogliandolo, sperando in un’illuminazione da parte di esso. Noto che ha un profumo strano, come di ciliegio. Chiudo per un attimo le palpebre, sentendomi al di sotto di innumerevoli sakura.
Pensavo il suo nome cominciasse con “Sa”, ma ha risposto ad “Hana”. Eppure, non suona bene. Per niente. Come se quel nome così generico non le si addicesse. Come se lei fosse qualcosa di più. Come se lei stessa fosse quei sakura. Sakura.
Ma no, non è possibile.
Mi do dell’idiota, affrettandomi a mettere il tomo al suo posto prima di andarmene. Per oggi ho già vissuto fin troppe emozioni.










 
Angolino autrice:
Questa volta sono brava, e pubblico velocemente, yay! (Le ultime parole famose...) Il fatto è che ora come ora la mia vita è imprevedibile, quindi quando posso ne approfitto e aggiorno, anche se ciò dovesse avvenire per più giorni consecutivi. Spero solo che ciò non disturba voi che leggete ;_; Forse sto procedendo troppo veloce? *partono i mille complessi*
Via, meglio passare subito alle spiegazioni.
I personaggi introdotti qui sono stati inseriti col loro cognome, e sono in ordine 
Ijūin Akira (che trovate come protagonista in "Il ladro dalle mille facce" e "CLAMP school detective") e Hōōji Fū (una delle protagoniste di "Magic Knight Rayearth"). 
Le "more" sono unità di suono usate in fonologia che determinano una sillaba e la sua durata (lunga/breve); insomma, in altre parole si può dire che siano le "sillabe" giapponesi.
Infine, "Hana" è qui definito un "nome generico" perché significa "fiore". 
Alla prossima!
Steffirah

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Capitolo 5
*** 4 ***


IV



 
 
 
Ho raccontato di quel casuale incontro a Kurogane-san e Fay-san, chiedendo il loro parere.
Il primo mi ha consigliato di non immischiarmi in faccende pericolose, da cui palesemente sarebbe meglio tenersi alla larga; il secondo, invece, ha elencato tutta una serie di possibilità che possano spiegare quella situazione apparentemente incomprensibile. Tra le tante cose se n’è uscito con l’idea che potrebbe trattarsi di una persona famosa, addirittura della figlia dell’imperatore, ma è impossibile.
Non gliene faccio una colpa, essendo straniero e trasferitosi da poco qui in Giappone, ma è risaputo che egli ha soltanto due figlie che si dice somiglino a due divinità, con lunghissimi capelli corvini e occhi d’ametista. Chi ha avuto la fortuna di vederle di persona le ha paragonate persino ad Amaterasu e Tsukuyomi, quindi allo splendore del sole e la bellezza della luna.
Non che quella ragazza non fosse bella, anzi. Anche se ho intravisto poco di lei, non sono mai rimasto tanto colpito dal viso di qualcuno. Ma i suoi colori non rispecchiavano quelli che si tramandano, i suoi occhi al massimo ricordano la diopside e, sebbene fossero nascosti, ho intravisto qualche ciocca dei suoi capelli. Ed erano chiari, molto chiari. Inoltre, ritengo impossibile che possa avere dei capelli lunghi e riuscire a nasconderli in maniera tanto efficace in un cappello così piccolo.
Secondo Fay-san potrebbe anche essersi travestita per non farsi riconoscere, ma la cosa non mi convince. Una parte di me la sente giusta, un’altra la ritiene del tutto sbagliata.
Kurogane-san è poi intervenuto con l’ipotesi che possa trattarsi di una fuggitiva. Ma non mi sembrava una persona che potesse aver compiuto qualche azione malvagia. Non sembrava una criminale, né qualcuno che potesse infrangere le regole. Quindi, non può essere una fuorilegge. Piuttosto, mi ha dato quasi l’idea di poter essere lei la vittima. Quasi sia lei l’uccellino in gabbia che brama di spiccare il volo. Tuttavia è una teoria così triste, cui preferisco non pensare.
Sposto lo sguardo verso l’esterno della finestra, sulla pioggia battente. Lo tsuyu, anche quest’anno, sta per giungere al termine. Sistemo meglio le ajisai all’interno di un vaso passandovi davanti, prima di raggiungere la sezione coi libri di storia.
Oggi, seppure non debba lavorare, sono venuto in biblioteca per studiare, decidendo di dedicarmi principalmente alla storia occidentale. Da quella che è stata la mia formazione finora ne so ben poco, ma da autodidatta mi sono informato per farmi un quadro generale della situazione nel resto del mondo. Ciononostante, ora che sono uno studente universitario non mi accontento più della superficie e desidero scavare quanto più a fondo possibile nel passato, sperando di scoprire quanti più dettagli fino a ritenerli soddisfacenti. Soprattutto per comprendere cosa spinge l’essere umano a compiere determinate azioni, qual è il vero succedersi degli eventi, cosa hanno realmente pensato i personaggi celebri e coloro che erano attorno ad essi; per questo motivo sono solito mettere a confronto fonti diverse e quando trovo contraddizioni me le segno in un block-notes a parte, decidendo che, quando sarò più libero, indagherò io stesso per scoprire la verità.
Afferro il libro che mi serve per il momento, sennonché, mentre sto per voltarmi per tornare al tavolino che sto occupando nella sala lettura, vengo approcciato da Hōōji-senpai.
«Syaoran-kun, ascolta, potresti aiutarmi a trovare un libro?» domanda a mani giunte, sembrando in difficoltà.
«Ma certo.» Le sorrido apertamente, chiedendo: «Quale ti serve?»
«Mi è stato chiesto un volume di “Peter Pan” illustrato, in lingua originale, ma quell’edizione particolare non è al suo posto.»
A quella menzione spalanco gli occhi, sentendo il mio cuore saltare un battito. Non può mica essere…?
«Chi è a cercarlo?»
Si punta un dito al mento, riflettendo.
«Mmh, non ti saprei dire. È una ragazza poco più bassa di me, ma essendo coperta con una mascherina e indossando occhiali da sole non so se si tratta di una studentessa o meno…» rimugina tra sé, finché non si illumina, quasi fosse giunta ad una conclusione. «Ah! Ma se così fosse potresti conoscerla!»
«Forse sì…» Dubito un po’ che si tratti veramente di lei, ma tentare non costa nulla. «Vado a controllare», annuncio, passandole oltre.
«Ti ringrazio! E scusami se ti disturbo in un giorno di riposo.»
Scuoto una mano per farle capire che la cosa non mi pesa affatto, anche perché Ijūin-senpai si è preso dei giorni di ferie per supportare sua moglie, ora che devono prendersi cura di ben tre gemelli. E d’altra parte, sono veramente curioso di scoprire se si tratta realmente di lei.  
Mi sposto nella zona ovest, in mezzo ad un labirinto di alti scaffali con volumi antichi, solitamente poco consultati, fino a giungere sul posto. Infatti, non è qui. Mi chiedo se l’ultima volta, per sbaglio, non lo abbia spostato da qualche parte. Leggo rapidamente i titoli delle coste consunte, trovandolo in basso, all’altezza del mio ginocchio. Chissà com’è finito quaggiù.
Allungo una mano, e contemporaneamente un’altra, con dita più piccole e sottili, si aggiunge alla mia.
«Ah!»
Mi volto a quella breve esclamazione, trovando una persona che corrisponde alla descrizione della senpai accovacciata alla mia sinistra. Ritrae la mano, togliendosi rapidamente gli occhiali, mostrandomi due verdi gioielli sorridenti. Sono senza fiato.
«Ci siamo rincontrati, Syaoran!»
La sua voce sembra gioire e io sposto lo sguardo sul libro, prendendolo. Non ci avrei mai creduto, ma mi è mancata. La sua voce da bambina mi è mancata. I suoi occhi così espressivi, così veri, mi sono mancati. Il suo buon profumo floreale mi è mancato.
Guardo per una frazione di secondo il libro in questione, porgendoglielo più lentamente di quel che vorrei.
«È quello che volevi?» mi accerto.
«Sì!» conferma prendendolo, sembrandomi felicissima. «Sono riuscita a ritrovare il libro e con esso anche te. Non è magnifico?»
Mi guarda dritto negli occhi e io, di nuovo, non so come reagire.
Sentendomi accaldato, sposto lo sguardo sul suo abbigliamento. Indossa una camicia a maniche lunghe e una gonna a vita alta che le arriva alle caviglie, di tonalità tenui, color crema, e un tessuto leggero suppongo. Altrimenti non mi spiego come faccia a sopportare il calore estivo. Torno poi a guardare il suo viso, notando che i suoi capelli stavolta sono di un colore diverso da quello che ricordo, di un rosso carico. Le arrivano poco al di sotto delle spalle, in un taglio irregolare, con una frangia a coprirle tutta la fronte, sfiorandole persino le palpebre. Che si sia tinta?
«Syaoran? Mi hai riconosciuta, vero?»
La preoccupazione si palesa tramite le sue sopracciglia corrugate. Le scruto attentamente. Non mi sbagliavo, sono bionde.
«Scusami, il colore dei tuoi capelli mi ha un po’ spaesato», spiego, sorridendole.
«Oh!» Se ne tocca una ciocca, guardandosela ridacchiando. «In realtà non sono i miei veri capelli. Te n’eri accorto?»
Mi guarda sorpresa, al che mi stringo nelle spalle. «Li ho intravisti l’altra volta.»
Sbatte le ciglia, come colpita, ma non replica nulla.
Punto poi alla mascherina, mostrando apprensione.
«Sei raffreddata?»
«Ah, no», scuote la testa, togliendosela con una mano. «Fa parte del travestimento.» Il suo tono è giocoso, quasi si trattasse di un passatempo.
«Se ti stai nascondendo perché ora ti mostri?»
Devo discernerne di più, assolutamente.
«Perché si tratta di te, Syaoran, e ho fiducia in te.»
Resto spiazzato da questa risposta.
«Ma… neppure ci conosciamo», ribatto, sottolineandolo.
«Appunto per questo», replica pacata. «Mi hai aiutata, senza neppure sapere chi sono.»
Mi rivolge di nuovo un sorriso, stavolta calmo e grato.
«Avevi bisogno di aiuto e io -» “non potevo ignorarti”, concludo nella mia mente, dato che lei mi interrompe.
«Non tutti si sarebbero lasciati coinvolgere. Sicuramente dal tuo punto di vista sembrerà una cosa piuttosto losca, ma ti assicuro che non lo è.»
La vedo agitarsi, come se sul serio la preoccupasse quel che penso.
Sospiro, alzandomi, e le porgo una mano per aiutarla a fare altrettanto.
«Non dubito di te.» Faccio una pausa, pensando al suo nome. Potrei chiamarla Hana, ma non sono per niente convinto che sia quello, per cui faccio un tentativo: «Sa…»
«Sakura», completa per me, allegramente; accetta la mia mano, mettendosi a sua volta in piedi.
Una volta di fronte a me so già che un’espressione incredula domina il mio volto, non ho bisogno di specchi per assicurarmene.
«Quindi davvero non sei Hana…» sussurro, sbigottito.
«Hana?» ripete perplessa. Trascorre qualche secondo, prima che si porti una mano alla fronte, dandosi un sonoro colpetto. «Oh no, dovevo dirti di chiamarmi Hana! Accidenti!»
Piego la testa su un lato, capendoci sempre meno.
Lei stringe le sue dita attorno alle mie, scuotendo la testa.
«Ma non me la sento di mentirti, quindi puoi chiamarmi “Sakura”. Basta che…» Mi si avvicina maggiormente, abbassando la voce di un tono. «… non te lo fai sfuggire in pubblico. D’accordo?»
Allunga un mignolo e, quasi automaticamente, faccio altrettanto, promettendoglielo.
Successivamente mi guardo intorno, assicurandomi che non ci sia nessuno nei dintorni, e prendo un respiro, sperando di non ferirla in alcun modo.
«Se posso chiederlo… sei una celebrità?»
«Potremmo dire di sì e di no», risponde in maniera ambigua, sorridendo triste. Cavolo. Mi lascia le mani per stringere la presa sul libro, abbassando lo sguardo. «Ha qualche importanza?»
«No, ma…» Mi scompiglio i capelli, frustrato. Ho così poche informazioni su di lei, di questo passo non potrei mai riuscire a esserle d’aiuto.
«Ma?»
«Vorrei almeno capire se le persone da cui scappi vogliono farti del male.»
Apre la bocca in una “o” perfetta, quasi non se l’aspettasse. Dopodiché scuote vigorosamente la testa.
«Adesso no, al contrario, sono persone che mi proteggono.»
Adesso no? Cosa ha dovuto passare? Cosa ha vissuto per dover avere delle persone che la proteggono? E se è così, perché sta fuggendo da esse?
Non ho bisogno di chiederglielo. La risposta è lì, scritta sul suo viso. La risposta già ce l’avevo, si è espressa con la sua mesta allegria. Il bisogno di andare via. Il bisogno di stare un po’ sola, a scontrarsi col desiderio di avere qualcuno al suo fianco. Qualcuno di cui fidarsi.
Cambio argomento, sperando di alleggerire l’atmosfera e farle sparire quell’espressione dolorosa dal viso.
«Sei venuta con delle amiche?»
«Oggi no, con un… familiare.» Noto che ha esitato prima di descriverne la relazione. «Pensandoci, mi sta aspettando da un pezzo», si dispiace.
«Ti accompagno da lui?» mi offro.
«Eh? Davvero lo faresti?»
I suoi occhi si illuminano e, dinanzi ad essi, non riesco più a tirarmi indietro. Non che io voglia, d’altronde.
«Sì. Fammi strada.»
Esulta, cedendomi un attimo il libro per tornare in incognito, e se ne riappropria prima di incamminarsi.
La affianco, facendo sì che lei si trovi tra me e le pareti di libri, sperando che così possa sentirsi protetta.
Fa un risolino e quando mi volto la trovo estremamente felice.
«Scusami, pensavo che se tu fossi una delle mie guardie mi sentirei molto più a mio agio e non tenterei di scappare per liberarmene», si fa sfuggire.
Guardie. Ecco cosa sono.
Impallidisco, sempre più preoccupato. Perché ha bisogno di guardie? Da chi si sta proteggendo?
«Oh, eccolo lì.»
Indica una persona seduta su un divanetto in pelle, di cui purtroppo non riesco a scorgere molto, dato che ci dà le spalle e ha il cappuccio della felpa alzato. Capisco che è nervoso dal piede che sbatte ritmicamente a terra. Probabilmente sta andando nel panico, non vedendola tornare dopo tutto questo tempo.
«Grazie Syaoran, puoi lasciarmi qui.»
«Sei sicura?» esito, indeciso se scortarla fino da lui o meno. Ma ha detto che è un suo familiare, quindi non dovrebbero esserci problemi.
«Sì.» Annuisce, sembrandomi convinta. Mi si pone poi di fronte, salutandomi con una mano. «A presto, Syaoran.»
Non faccio in tempo a ricambiare che già si è allontanata, accostandosi a colui che l’attendeva, mostrandogli il libro radiosa come una primavera.
Sospiro, facendo dietrofront per tornare alla mia postazione. Immagino che non ci sia ragione di allarmarsi, visto che era così tranquilla.
Mi siedo al mio posto, e poggio una guancia sulla mano mentre guardo la pioggia scivolare lentamente giù dal vetro.
Sakura… Si chiama veramente Sakura…
Scuoto la testa, concentrandomi sul qui ed ora. Non devo lasciare che i miei pensieri mi distraggano.
Sposto l’attenzione sul libro di testo, aprendolo, ma poco riesco a decifrare di quelle parole. Perché, per quanto mi stia sforzando, l’immagine di lei non scompare, né il timore per quello che potrebbe essere il suo destino.
“Sakura… Spero di rincontrarti presto.”










 
Spiegazioni:
- Amaterasu = divinità shintoista del sole, considerata antenata della famiglia imperiale; Tsukuyomi = divinità shintoista della luna
- Tsuyu = periodo delle piogge (da inizio giugno a metà luglio circa)
- Ajisai = ortensie

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Capitolo 6
*** 5 ***


V



 
 
 
Ad una settimana di distanza dall’ultima volta in cui l’ho vista, durante un caldo pomeriggio nel cuore dell’estate, vengo avvicinato da un uomo. Sembra poco più grande di me, avrà sui 25 anni su per giù. I suoi occhi sono dello stesso colore delle castagne, i suoi capelli hanno un che di argenteo, i tratti del suo viso sono gentili e un po’ infantili, tanto da donargli un’aria giovanissima. Indossa un abito formale, con giacca e cravatta, e io per un attimo lo osservo con sospetto. Cosa vuole da me?
Mi si accomoda di fronte al tavolino dell’area ristoro, sorridendomi amichevole.
«Sei tu Syaoran?»
«Sì?» confermo poco convinto.
Mi scruta dalla testa ai piedi senza neppure mascherarlo, sembrandomi sempre più sollevato.
«Menomale, sembri un ragazzo per bene.»
Eh?
«Oh, perdonami, non mi sono presentato.» Si mette dritto, allungando una mano. «Mi chiamo Tsukishiro Yukito, piacere di conoscerti.»
«Il piacere è mio.»
Stringo la mano alla sua, un po’ esitante a causa del suo strano comportamento, e gli rivolgo un cenno gentile con la testa. In questa biblioteca sto incontrando persone molto singolari.
A proposito di persone singolari… Sakura.
Sospiro, pensando a lei. Sebbene sia trascorso poco tempo, mi sembra sia passata una vita dall’ultima volta in cui ci siamo incontrati. Chissà come sta.
«Syaoran-san?»
«Mi scusi.»
Torno al presente, notando che mi sta sventolando una mano dinanzi al viso.
«Non preoccuparti. Stavo dicendo, so che suona come una richiesta irragionevole, ma se ti facessi delle domande risponderesti?»
Cosa dovrebbe significare?
«Se non si tratta di domande personali, penso non ci siano problemi», replico con diffidenza. Che sia un agente dei servizi segreti?
«Stai tranquillo, di personale mi piacerebbe sapere soltanto quanti anni hai e se la tua fedina penale è pulita.»
Alzo un sopracciglio, rispondendo: «Ho 19 anni e non ho mai commesso alcun crimine».
«Ottimo!» Il suo sorriso si allarga, quasi ci sperasse. «Sei uno studente?» Punta ai libri e quaderni posti dinanzi a me, per cui confermo.
«Quest’anno ho cominciato a studiare all’università di Tokyo.»
«Che dipartimento?» investiga curioso.
«Archeologia.»
Sembro spiazzarlo, tanto che mi guarda affascinato.
«Incredibile. Ah, ma so che le tasse sono piuttosto alte!»
«Infatti mi pago gli studi lavorando qui», spiego in breve.
«Capisco. Ciononostante, ti interesserebbe un altro lavoro?»
«Mi sarebbe molto d’aiuto.»
Lo guardo attentamente, soprattutto ora che sembra stia trattenendo un’espressione soddisfatta. Che sia un datore di lavoro? In tal caso, devo fare bella figura.
Mi siedo composto, schiarendomi la gola, giusto poco prima che lui riprenda.
«Hai abilità particolari?» Lo fisso confuso da quella domanda, pensando subito alle capacità innate di Kimihiro. Proprio no. «Nel tempo libero cosa fai?»
«Oh, ehm…» Dubito che voglia sapere delle mie uscite, quindi escludendo quelle e lo studio… «Pratico taekwondo.»
Sembra sbalordito. Davvero è così eccezionale?
«Non karate?»
Giustamente, può sembrare inusuale, essendo una disciplina coreana.
Scuoto la testa, aggiungendo: «Da piccolo ho cominciato col kung fu, poi al liceo ho provato anche kendo».
«Non sei giapponese?»
«No, so di avere origini cinesi.»
Mi scruta dubbioso, ma in questo lo sono anche io. Non potrei essere più preciso di così neppure volendo.
«Quindi parli più lingue?»
«Cinese, giapponese e inglese sono quelle che so parlare meglio; ho provato ad interessarmi anche ad altre come appunto il coreano, il russo, l’arabo, il francese, l’italiano, il portoghese, l’olandese e il tedesco. Queste ultime cinque per una questione storica, più che altro.» Trovo spesso dei termini stranieri nei libri di testo, per cui devo cercare di capire cosa significano e imparare le parole originali mi fa sentire più vero. Più onesto con la storia di un Paese. Oltre al fatto che il più delle volte leggere fonti originali mi torna più utile, per comprendere gli avvenimenti anche da un punto di vista eurocentrico.
«È magnifico!» esclama colpito. «Ascolta, ora ti farò un piccolo test sulla storia del Paese, ma dato che non sei nativo di qui non te ne faccio una colpa se non sai rispondere.»
Deglutisco a fatica, sentendomi sudare freddo. Non mi sono preparato a questo.
Fortunatamente le domande che mi pone sono tutte a sfondo politico e storico. Mi chiede se so il nome dell’attuale imperatore e primo ministro, cosa so delle loro famiglie (ben poco in effetti, ma siamo persone comuni e più di quel che si trova scritto non ci è dato sapere), il susseguirsi dei periodi e delle ere, le battaglie principali, le lotte tra clan, i titoli di opere letterarie che ne parlano, il capolavoro di Murasaki Shikibu – quando gliene recito un passaggio resta basito –, composizioni poetiche, celebri spettacoli, passando poi al resto del mondo. Domande sull’America e l’Europa in particolare, sul come e quando il Giappone si è aperto ad essi, i rapporti che vi ha instaurato, in cosa si differenziano le nostre culture, l’attuale situazione in quei Paesi, chiedendomi chi li governa e che tipo di governo c’è. Alla fine è un po’ come se stessi facendo un ripasso generale delle mie conoscenze.
Finito questa specie di esame, comincia senza preavviso a parlarmi in inglese, intrattenendo una conversazione quotidiana che, non capisco come, sfocia in ambito biologico e algebrico. Dato che però riesco a mantenere la calma nel rispondergli non mi rimprovera nulla e dopo parecchie ore, nel tardo pomeriggio, finalmente smette, sembrando più che soddisfatto.
«Syaoran-san, sei proprio quel che cercavo!»
Totalmente consumato dalla fatica non ho la forza di ribattere. Mi sento del tutto privo di energie, oltre che di voce. Ho bisogno di bere.
Mi passa un bigliettino da visita dal tavolo e io lo prendo, leggendo il suo nome, un numero di telefono e un indirizzo.
«Lunedì recati lì, ti aspetto», conclude, alzandosi.
Balzo in piedi, col cuore in gola. Sto sul serio per ricevere un’offerta di lavoro?!
“D’ora in poi, non può che andare meglio.” Le parole di Kimihiro riecheggiano nella mia mente, ma non può essere vero. Eppure so, so che non dovrei mai dubitare di ciò che dice e avere fiducia in lui. Però può mai essere così facile…?
«La ringrazio.»
Mi abbasso in un inchino e lui ricambia congedandosi.
«A lunedì.»
Non appena sparisce dalla mia visuale mi risiedo, sentendomi mancare. Chino il capo sul libro e prendo qualche profondo respiro, posando indugiante gli occhi sul biglietto. Devo parlarne con Fay-san e Kurogane-san, quanto prima. Essendo più grandi e avendo avuto più esperienze di me, sapranno certamente consigliarmi.
Metto tutto a posto in borsa, compro una bottiglina d’acqua prima di uscire dalla caffetteria e dopo essermi rinfrescato telefono a Kimihiro, decidendo di raccontargli quel che è successo.
Lui, come di consueto, risponde dopo pochi squilli.
«Kimihiro», esordisco, non concedendogli tempo di parlare. «Inaspettatamente, ho appena fatto un colloquio di lavoro.»
«Oh!» esclama entusiasta. «Come pensi sia andata?»
«Suppongo bene, mi è stato lasciato un bigliettino da visita e mi è stato dato appuntamento per lunedì», spiego incredulo, avviandomi verso casa.
«Non mi sarei aspettato di meno da te.»
Anche da qui lo vedo sorridere con orgoglio e, inevitabilmente, sento affiorare un mezzo sorriso anche sul mio viso.
«Di cosa ti occuperai?»
«Il punto è proprio questo: non ne ho idea.» Gli racconto brevemente tutto quello che ho vissuto nelle ultime ore, arrestandomi a pochi passi dal condominio. «Non capisco come sia possibile, non so nemmeno se faccio bene a fidarmi. D’altronde è stato un incontro così casuale -»
«Syaoran.» Mi interrompe prontamente, usando un tono di rimprovero. «Cosa ci ha insegnato nostra madre a tal riguardo?»
Serro le labbra, sentendomi punto sul vivo.
«Che il caso non esiste, perché tutto è dettato dal fato», rispondo prontamente, quasi stessi recitando una poesia imparata a memoria.
«Esattamente. “Al mondo non esistono le coincidenze”», rievoca.
«“Esiste solo l’inevitabile”», termino per lui.
«Vedo che te lo ricordi. Anche se eri ribelle alla fine ascoltavi le sue parole, neh?»
«Non ero ribelle», ribatto, sbuffando. «Voglio ricordarti che eri tu a lamentarti di ogni singola cosa che ti veniva chiesta di fare. Io ho sempre assecondato ogni sua richiesta.»
«Nostra madre ha sempre dato la priorità alle nostre scelte e alla nostra libertà, lo sai.»
Abbasso la testa, serrando le labbra.
«In ogni caso, siamo maturati entrambi e questo è ciò che conta. Adesso devo staccare, Maru e Moro stanno facendo baccano giù.»
«Salutamele», borbotto, certo che possa sentirmi.
«Sicuramente ricambieranno. Buona fortuna per lunedì, e stai tranquillo. Sicuramente andrà tutto bene.»
Detto ciò attacca e io, in quelle parole, ci sento qualcosa in più.
La testa comincia a dolermi, per cui mi appoggio alla parete esterna del nostro condominio, lasciandomi supportare. Chiudo gli occhi, massaggiandomi le tempie.
“Sicuramente andrà tutto bene.”
Un’altra voce, una voce femminile, si sovrappone a quella di mio fratello. È insopportabile. Si scavalcano, si sostituiscono, si alzano e abbassano, roteando vorticosamente nella mia mente.
Lo so, lo so che devo essere fiducioso nel futuro. Lo so che tutto andrà bene. Ma a chi appartiene quella voce? A nostra madre?
Mi siedo a fatica sulle scale esterne e riprendo fiato, scrutando il crepuscolo fiammeggiante. Riempiendomi dei ricordi di lei.
Ad essere sincero, non sono mai riuscito a chiamare Yuuko-san “mamma”. Lei è la donna che ci ha cresciuti, entrambi. Lei ci ha trovati. Lei ci ha presi sotto la sua ala protettrice.
Da quando cominciano i miei ricordi, quelli più nitidi, ho sempre avuto Kimihiro al mio fianco. So che non siamo realmente fratelli, un po’ perché non ci assomigliamo per niente, ma anche perché lui stesso me l’ha confessato, quando avevo dodici anni. Io avevo dieci anni, quando fui adottato da Yuuko-san. Lui ne aveva quattordici. Per questo, l’ho sempre chiamato “nii-san”. Con lui mi è riuscito semplice, naturale. Forse perché mi sentivo come se fosse realmente così, perché lui per davvero, c’era sempre stato per me. Era sempre stato con me. Invece, con Yuuko-san, sentivo fosse sbagliato.
D’altronde, non che lei volesse essere chiamata “mamma” da noi. Soltanto una volta si commosse quando glielo disse Kimihiro, ma poi lo invitò a chiamarla col suo nome proprio – cosa che cominciò a fare anche lui, tranne quando si arrabbiava con lei. Allora la chiamava “strega”, con grande diletto di Maru e Moro, due gemelle che ha preso in affido prima di noi, quando ancora era sposata con un certo “Clow”. Non ho avuto modo di conoscerlo, ma ho sempre pensato che Yuuko-san dovesse averlo amato tanto, immensamente. Almeno ciò è quel che traspariva dal suo sguardo ogni volta che parlava di lui.
Tutti e cinque insieme abitavamo in una casa nella periferia di Tokyo, in un vicolo che quasi scompariva se non si prestava molta attenzione. Da piccolo mi dava sempre l’impressione che mi bisbigliasse: “Tu non esisti davvero. Voi tutti, non esistete davvero”.
Chissà perché avevo sempre avuto quella paura. Più del buio assoluto. Più della totale solitudine. Più dell’essere abbandonato da tutti. Non essere nessuno. Non avere identità.
Forse tutto dipendeva dalle mie origini oscure. Forse da ciò sono sorte le mie passioni, da ciò ho ricevuto le spinte che mi hanno guidato nel corso della vita, da ciò ho deciso di interessarmi alla storia e all’archeologia. E forse, in parte, sarà anche stato grazie a quella donna, e al negozio d’antiquariato che gestiva.
Quel negozio, era pieno zeppo di stranezze. E Yuuko-san non era da meno. A volte aveva quel modo di parlare criptico e, parzialmente, ipnotico. Quasi avesse sul serio l’abilità di lanciarci un incantesimo. E la sera, ricordo, come favola della buonanotte ci raccontava di mondi lontani. Di altre esistenze, simili alle nostre, che condividevano la nostra anima, vivendo tuttavia vite del tutto diverse. Devo riconoscere che ne aveva di fantasia.
Sorrido al cielo che si copre di cobalto, sussurrando: «Mi dispiace di non essere mai riuscito a chiamarti “mamma”. Ma sappi, Yuuko-san, che anche per me lo sei stata».
Mi pento di non essere riuscito a dirglielo quando era ancora in vita. Allora mi sentivo sempre un po’ come “lo scarto” della “famiglia”. Era palese che Kimihiro fosse il suo “figlio” preferito, e da bambino ne ero anche geloso. In maniera incontrollabile, perché sapevo che non aveva senso ed era ingiusto nei suoi confronti comportarmi così. Ma il mio unico capriccio è stato richiudermi nel mio silenzio, nella mia serietà, anche quando facevano di tutto per farmi ridere.
Raramente riuscivo a lasciarmi andare, perché prima dovevo convincermi di non essere un peso inutile. Di non essere un fardello. Di essere apprezzato per quello che ero, qualunque cosa ero.










 
Spiegazioni:
- Per i cognomi, come avrete notato, sto usando quelli delle altre opere CLAMP. Forse avrei dovuto specificarlo prima, quindi perdonatemi per questa mancanza.
- Il taekwondo è un'arte marziale coreana, basata principalmente sulle tecniche di calcio; il kendo è un'arte marziale giapponese, che nasce dalle tecniche di combattimento con la katana utilizzate dai samurai. Non penso di dover spiegare anche karate e kung fu, perché immagino siano abbastanza conosciuti.
- Il capolavoro di cui qui si parla sarebbe il "Genji Monogatari", un lungo romanzo dell'XI secolo scritto dalla dama di corte Murasaki Shikibu; in esso (per farla veramente molto breve) si parla di uno dei figli dell'imperatore, conosciuto come Genji lo splendente, ruotando soprattutto attorno alla sua vita amorosa.

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Capitolo 7
*** 6 ***


VI



 
 
 
È proprio come ha detto Fay-san. Ma no, forse ho sbagliato strada. D’altronde non sono mai stato in queste zone e non è difficile perdersi in questo labirinto di vicoli e curve.
Torno indietro sui miei passi, fermandomi all’incrocio, controllando meglio le insegne. I caratteri sono gli stessi tracciati sul foglietto lasciatomi da Yukito-san. E la trascrizione in rōmaji combacia con quella detta da Fay-san.
Nagatachō: il quartiere in cui si trova la casa del primo ministro.
Svolto nuovamente nella strada trascritta, seguendo la recinzione alberata, e mi arresto dinanzi al numero civico. 2-3-1. Sposto lo sguardo dal pezzetto di carta al cancello inferriato, sempre più basito.
Dev’esserci un errore, senz’altro.
Sto per voltarmi e lasciar perdere, quando precisamente in quell’istante il cancello si apre e ne fuoriesce proprio Yukito-san.
Spalanco la bocca, incredulo, vedendolo sorridermi a trentadue denti. 
«Eccoti qui Syaoran-san! Menomale, temevo ti fossi smarrito e stavo per venire a cercarti.»
«Buongiorno…» È l’unica parola che ho la forza di pronunciare, mentre lui fa altrettanto, prima di avvicinarsi per posarmi una mano sulla spalla, spingendomi all’interno delle mura.
«Su, non esitare, ti aspettano tutti.»
«Tutti?» ripeto, deglutendo a fatica, cominciando a sudare. Indossare abiti formali in questa stagione non aiuta, soprattutto quando si è posti dinanzi ad una situazione fonte di tanta agitazione. 
«Beh, in realtà soltanto il primo ministro e sua moglie.»
Pianto i piedi al suolo, bloccandomi, quasi desiderando che vi crescano delle radici e io mi trasformi in un albero, confondendomi in quel boschetto. Non può dire sul serio!
Lui si ferma al mio fianco, guardandomi curioso.
«Cosa c’è che non va?»
«Io… Non capisco, cosa ci faccio qui?» 
Mi sento terribilmente spaesato. 
Yukito-san sorride gentilmente, spronandomi ad avanzare. 
«C’è una persona che ha bisogno di te.»
«Chi… chi ha bisogno di me?» lo interrogo, deglutendo a fatica. 
«Lo scoprirai presto.» 
Mi lascia indietro, sorpassandomi per aprirmi la strada su quel vialetto selciato. 
Lo seguo restando alle sue spalle, rimuginando. Chi è Yukito-san in realtà? Non mi sembra sia il segretario del primo ministro. Da quelle poche volte in cui l’ho visto in televisione lo ricordavo come un uomo adulto, sulla quarantina. Però con quale altro ruolo potrebbe avere il diritto di portarmi fin qui, al suo cospetto? E se fosse sul serio un agente in borghese? Ho commesso qualche crimine senza saperlo? Ho offeso involontariamente il governo? E chi è che ha bisogno di me? Come posso essere in grado di aiutare questa persona?
Un milione di domande affolla la mia mente già piena di quesiti. Provo a guardarmi intorno per liberarla almeno di una percentuale di questo peso, concentrandomi sulla foresta in miniatura che stiamo attraversando, notando quanto sia lussureggiante, d’un verde acceso. Sulla sinistra, al di là delle chiome e di arbusti abilmente potati, si intravede un giardino tradizionale, e a breve distanza si ergono edifici moderni in vetro. Gli alti grattacieli ci circondano, quasi come un recinto. 
Alla fine del vialetto mi ritrovo dinanzi un edificio simile ad una casa da tè di era Shōwa, con alle spalle una struttura molto più immensa. Anche da quaggiù, mi è chiaro che sul tetto piano vengono fatti atterrare elicotteri. 
«L’incontro si terrà qui», annuncia, penetrando nei miei pensieri. 
Mi fissa intensamente negli occhi, quasi mi stesse scrutando per capire come mi sento. 
Prendo un profondo respiro, celando al meglio il nervosismo, ripetendomi le parole che Kurogane-san mi ha rivolto stesso quel mattino, come incoraggiamento. 
“Se c’è qualcosa che devi fare, guarda sempre avanti.”
Gli faccio un cenno col capo, come a dirgli che mi sento pronto, e la sua espressione sembra rilassarsi.
Riprende a condurmi a destinazione e io mantengo una breve distanza tra di noi, cercando di non voltarmi mai a guardare ciò che ci circonda, regolandomi sui suoi silenziosi passi. Fortuna che, esattamente come lui, abbia indossato dei calzini bianchi. 
Si arresta dinanzi ad una porta scorrevole, sulla cui carta sono dipinti quelli che mi sembrano alberi di pesco e di ciliegio in fiore, e capendo che oltre essa mi attendono due delle personalità più eccelse del mondo mi appresto a rassettarmi.
Mi liscio la giacca, aggiustandomi la cravatta, e Yukito-san mi rivolge una breve occhiata d’approvazione, prima di aprire le porte. Se la mia vita deve cambiare, che sia in meglio o in peggio, voglio quanto meno essere presentabile. 
Sorprendentemente, l’interno della stanza è vuoto, eccetto che per qualche pannello ritraente scene mitologiche riprese, apparentemente, dal Kojiki, e qualche rotolo appeso alle pareti, che identifico come opere paesaggistiche di Yosa Buson. Al centro vi è un basso tavolino, con attorno quattro cuscini. 
Yukito-san mi fa accomodare su uno di questi, chiedendo ad una cameriera apparsa proprio in quel momento di avvisare i padroni di casa del mio arrivo. 
Non appena esce resta in silenzio, e io non mi azzardo a pronunciare parola, seppure la mia mente torni ad essere affollata da decine di domande. Queste affievoliscono, divenendo un mormorio di sottofondo, non appena la porta al lato opposto si apre, con una lentezza che mi lascia in uno stato di sospensione d’attesa. Trattengo il fiato, non appena vedo farne capolino i due coniugi. 
Fotografie e video, non riescono affatto a rendervi giustizia. Sono entrambi bellissimi, e sembrano molto più giovani della loro età. Emanano una raffinatezza e un’eleganza impareggiabili, soprattutto la signora Kinomoto. Anche perché, tra noi quattro, col suo kimono dal colore della stagione, si adegua meglio all’ambiente.
Ella ha un modo di procedere pacato, e un sorriso gentile a tingerle il volto. Lo stesso sorriso comparso sul volto affabile di suo marito. 
Mi alzo subito in piedi, seguendo Yukito-san, e mi inchino profusamente, attendendo che finisca di introdurmi prima di aggiungere: «È un vero onore conoscervi». 
«L’onore è tutto nostro. Puoi anche sollevare il capo, non sono mica l’imperatore.»
Alla risata del primo ministro faccio come dice, trattenendomi dal replicare che ormai, nel Giappone moderno, la sua figura è ben più importante. E che quindi è naturale che io mi senta in soggezione. 
Mi fanno segno di accomodarmi e aspetto che essi siano i primi a farlo, prima di seguirli, poggiandomi sui talloni. 
Entrambi si presentano a loro volta, finché sua moglie non mi spiazza, concedendo: «Poiché può crearti confusione chiamarci entrambi col nostro cognome, puoi rivolgerti a me col mio nome».
Provo a ribattere, ma mi basta un’occhiata ammonitoria dai due uomini per capire che non mi conviene farlo. 
«Come lei desidera, Nadeshiko-sama.» 
Per qualche ragione la vedo imbronciarsi, rivolgendosi al marito. 
«Caro, ha usato il -sama.»
«Dagli del tempo per abituarsi a noi», sorride, guardandomi poi con una benevolenza senza pari.
Sembra così gentile, e ho come l’impressione che entrambi stiano facendo di tutto per mettermi a mio agio. Anche Yukito-san alla mia destra ha un’aria serena, e tale impressione si accentua quando Nadeshiko-sama chiede alla cameriera di portarci del tè. 
Non appena ella si congeda, il primo ministro dà una rapida occhiata al mio curriculum, per poi rivolgersi direttamente a me; incrocia le dita, dopo aver poggiato i gomiti sul tavolo. 
«Syaoran-kun, so che probabilmente ti sentirai alquanto spaesato. Confesso che anche noi siamo rimasti stupiti, quando Yukito-kun ci ha parlato di te. Ma avendoti raccomandato a noi, sapevamo che potevamo fidarci della sua opinione.» 
Mi metto dritto, preparandomi a qualsiasi tipologia di test mi aspetti. 
«Hai 19 anni, giusto?»
«Esatto.»
«E quest’anno ti sei iscritto alla facoltà di archeologia, all’Università Imperiale di Tokyo.»
«È così.»
«Però qui leggo che sei nato il primo aprile.»
Non ne capisco la ragione, ma Nadeshiko-sama gli rivolge uno sguardo meravigliato, portandosi una mano alle labbra per nasconderlo. 
«Come mai hai perso un anno?» 
«Alla fine del liceo, essendomi diplomato col massimo dei voti, ho avuto modo di ottenere una borsa di studio per studiare a Cambridge, per la durata di sei mesi. Sono partito a settembre, e nei mesi precedenti ho acquisito le certificazioni linguistiche fino al livello C1.»
«E poi, appena tornato, hai fatto subito il test d’ingresso alla Tōdai?» mi chiede Nadeshiko-sama, incredula. 
Non mi sembra nulla di eccezionale.
«Avevo già la preparazione di cui necessitavo.»
«Sembri molto sicuro di te stesso.» 
Dinanzi a quest’osservazione del primo ministro, fatta con indubbio rispetto, non so bene come replicare.
«Sono sicuro di quel che sono sicuro», confermo, sperando di non risultare sgarbato o egocentrico. «Sono consapevole di mettercela tutta negli studi, quindi ho grande fiducia nelle mie conoscenze. Certo, ci sono molte cose che devo ancora scoprire e imparare, ma ciò mi invoglia soltanto a fare sempre di più.» 
«È un tratto bellissimo, avere una simile determinazione.» 
Ringrazio Nadeshiko-sama per quel gentile complimento, cui Kinomoto-sama esprime il suo assenso. 
«È stato fruttuoso il periodo lì?»
«Certamente, ho stretto diverse amicizie, e soprattutto sono riuscito a progredire molto nella lingua.»
«Questo posso confermarlo.» 
Kinomoto-sama annuisce in direzione di Yukito-san, spiegando a me: «L’inglese è come se fosse la sua lingua madre, essendo cresciuto bilingue».
«I miei nonni materni erano originari di Londra», spiega, dedicandomi un sorriso fiero. «Parlare con te è stato come tornare a fare loro visita.» 
Sento le mie orecchie scaldarsi e chino di poco la testa, ringraziandolo. 
La cameriera di poco prima torna col tè, versandocelo nelle tazze, per poi uscirsene silenziosa come è entrata. Ad un invito della padrona di casa ne bevo un sorso, esprimendo i miei apprezzamenti. 
«Syaoran-kun, sei molto elegante e utilizzi un linguaggio estremamente cortese. Provieni da una famiglia benestante?» 
Anche se non vorrei rivelarmi, non riesco a non restare sorpreso e confuso da quell’insinuazione.
Ella si apre in un misurato sorriso, spiegando: «Il compito di mio marito è analizzare le tue capacità cognitive, il mio è scrutinare i tuoi comportamenti. Il tuo modo di fare e di porti. Perdonami se non l’ho detto subito, ma volevo che fossi il più naturale possibile».
Faccio un cenno di comprensione, stringendo tuttavia le dita attorno alla tazza, sentendomi sperduto. Vorrei darle qualche certezza, ma se dovrò essere sincero non mi sarà possibile. E se le dirò la verità, probabilmente tutte le impressioni positive che hanno su di me crolleranno. Eppure, è un rischio che devo correre.
«Non si scusi, la prego, è comprensibile. Rispondere alla sua domanda, tuttavia, non è semplice. Dopo aver compiuto dieci anni sono stato adottato da una donna che si potrebbe definire benestante, sebbene non fosse proprietaria di grandi magazzini o altro, perché pur gestendo un umile negozio di antiquariato poteva contare sull’eredità del defunto marito. Egli era uno scienziato eccentrico di cui avrete probabilmente sentito parlare, Clow Reed.» 
Al loro spalancare gli occhi comprendo che, molto probabilmente, avranno anche avuto modo di conoscerlo.
«Era un brav’uomo, molto stimato nel suo campo, nonostante la sua stravaganza», rievoca Kinomoto-sama con una certa nostalgia. 
Non potendo né confermare né negare, riprendo col discorso: «Lì ho vissuto insieme ad altri bambini, che sono diventati le mie sorelle e il mio fratello maggiore. È stata un’infanzia per lo più serena e quieta, ma Yuuko-san era una donna sempre piuttosto impegnata, quindi credo… credo di essermi educato da solo, seguendo la mia indole». 
«Ciò dimostra che sei un ragazzo forte.» 
Forse sì, ma non sono stato di certo un figlio esemplare.
Sospiro, tornando al tè, e Kinomoto-sama fortunatamente si affretta a passare ad un altro argomento, dopo che Nadeshiko-sama ha aggiunto con dolcezza: «Sicuramente è stata dura, ma sei stato molto coraggioso ad accettare una nuova famiglia».
Una nuova famiglia… “Famiglia”, quale? 
Per ora Kimihiro è la mia famiglia, la persona di cui mi fido di più. E parzialmente, solo negli ultimi tempi sto cominciando a considerarne parte i miei due coinquilini – anzi, tre, contando Mokona.
«Per quanto riguarda le arti marziali?»
Narro loro dell’esperienza nel campo, sollevato per l’essere passati ad un tema più spensierato, raccontando anche dei campionati e delle medaglie vinte, nonché delle ragioni per cui ho scelto proprio quelle discipline. Dopo aver raggiunto un equilibrio fisico e mentale che mi sembrava ideale, sentivo che dovessi avvicinarmi ad una nuova arte; una che mettesse in gioco il mio bisogno costante di aiutare il prossimo, di agire per la giustizia, di mantenere il mio animo nobile e umile, integro e controllato, e invogliarmi a perseverare.
Quando sembra finire questo interrogatorio il primo ministro guarda l’orologio da polso e, esattamente nello stesso momento, veniamo interrotti da colui che riconosco essere il suo segretario. 
«Signore, è ora.» 
Kinomoto-sama si alza e lo imitiamo tutti, io col cuore in gola. E adesso? Cosa mi aspetta?
«Syaoran-kun, purtroppo ho un meeting con alcuni politici cui presenziare. Mia moglie ti illustrerà le ragioni per cui sei stato convocato e spero che, una volta ascoltate, tu possa accettare la nostra offerta.» Allunga una mano verso di me, e io mi affretto a stringerla, augurandomi di non avere il palmo sudato come temo. «È stato un piacere.» 
«Il piacere è mio», ribatto inchinandomi, stringendo la sua mano con la stessa forza che mi riserva. 
Mi dedica un ultimo sorriso, prima di affidare il resto a sua moglie. 
Attendiamo che se ne vada, per poi risederci composti. Mi rivolgo lievemente verso Nadeshiko-sama, la quale con calma e diplomazia mi sorride, posandosi le mani in grembo.
«Ricapitolando, come già ci aveva informati Yukito-san, sei un giovane dalla vasta cultura e di grande intelletto, e sei anche abile nel combattimento. Hai tutti i requisiti che servono per il compito che vorremmo assegnarti.»
Attendo che prosegua, col batticuore, sentendo il mio organo vitale rimbombarmi nelle orecchie. Ci siamo.
«Vorremmo tu diventassi l’insegnante privato di nostra figlia.» 
Mi pietrifico, non aspettandomelo. Il primo ministro ha una figlia? Perché non ne so nulla?
«M-ma…» D’accordo, forse non è dato saperlo. Ciò non toglie che «Non ho nessuna qualifica per poterlo fare, non sono neppure laureato -»
«Non serve alcuna qualifica», mi interrompe, sollevando con eleganza una mano per indicare Yukito-san. «Era sufficiente superare un test con l’uomo dal quoziente intellettivo più alto al mondo.» 
Lo guardo con ammirazione; lui sembra vergognarsi e le sorride tirato. 
«Mia signora, lei mi adula troppo.» 
«Dico solo i fatti come sono. E il secondo test da superare, era ottenere la fiducia di mia figlia.» 
Ottenere la sua fiducia? 
«Yukito-kun, la vai a chiamare?» 
Lui annuisce, alzandosi e inchinandosi, prima di uscire. 
Rimasti soli, mi faccio leggermente più teso, soprattutto quando lei riprende il discorso.
«Non è semplice parlarne, ma vedi, in seguito ad una serie di eventi spiacevoli siamo diventati tutti molto… protettivi, nei suoi riguardi. Purtroppo è una bambina così ingenua, si fida subito di chiunque… Tranne che degli uomini, e trovare istitutrici donne qui in Giappone non è impresa facile. Quando tornerai, se accetterai, ti accorgerai anche che la nostra servitù è composta unicamente da donne. Gli unici uomini con cui entra in contatto sono suo padre, suo fratello e i rispettivi segretari, escludendo occasionali diplomatici con cui dialoga in qualche rara occasione. Tu sei il primo con cui, invece, è entrata in contatto di sua spontanea volontà, al di fuori della sua famiglia, senza provare alcuna ansia. Anzi, da quando ti ha conosciuto non fa altro che parlare di te. Ti ha preso in simpatia, e per il suo modo di descriverti, di raccontare come l’hai aiutata, capisco che ha già una cieca fiducia in te. Ecco perché ci piacerebbe se, oltre che come istruttore, lavorassi qui anche in qualità di sua guardia del corpo. Sebbene, per questo, ci sarà un altro test da superare, per comprendere fino in fondo la tua bravura. Te lo faremo fare dopo un po’ di tempo dalla tua assunzione, senza preavviso. Credi di farcela?» 
Per tutto il tempo l’ho ascoltata senza battere ciglio, concentrandomi su ogni sua singola parola. Per quanto volutamente imprecisa nello spiegarmi la situazione, non sono riuscito a reprimere un brivido. Qualunque cosa sia successa, non deve essere stato bello, per nessuno. 
Cionondimeno, come fa a dire che sua figlia mi abbia preso in simpatia? Quando l’avrei conosciuta?
«Penso di farcela», replico con una certezza che si rifà a quel mio desiderio di apportare serenità agli altri, lasciando per un attimo perdere quel dubbio. 
«Ottimo. Stai tranquillo, per quanto riguarda i giorni e gli orari in cui tenere le lezioni ci adegueremo ai tuoi corsi. Naturalmente, potrai lasciare il lavoro in biblioteca. Tuttavia, se diventerai anche bodyguard, dovrò chiederti di trasferirti qui.» 
Mi mordo il labbro, indeciso. Ecco che escono fuori le condizioni. Da un punto di vista economico va certamente tutto a mio favore, anzi, non avrei potuto essere più fortunato di così, quindi dovrei essere loro grato per quest’offerta. Però…
«Non potrei restare al mio appartamento?»
Sbatte le ciglia, piegando la testa su un lato, come se non capisse. 
«Se vivi qui lo potrai fare gratuitamente. Non è più conveniente?»
«Non voglio essere un onere per voi», ribatto prontamente, mostrandomi deciso. Non voglio che si ripeta la storia già vissuta con Yuuko-san e Kimihiro. Non voglio essere un parassita che vive a spese degli altri. «Tra non molto entrerò nel mondo degli adulti, quindi vorrei assumermi tutte le mie responsabilità come tale.» 
Restiamo in silenzio per lunghi secondi, guardandoci a testa alta, finché lei non si apre in un sorriso. 
«Capisco. Allora che così sia! Scommetto che, anche se tutti avranno da ridire, Touya-kun sarà l’unico contento.» Ride deliziata, figurandosi qualche scena nella sua mente, per poi farmi notare un dettaglio non poco trascurabile: «Ma se diventassi sul serio la guardia del corpo di mia figlia, come pensi di proteggerla se non vivete nella stessa casa?» 
«In casa sua sicuramente sarà al sicuro, protetta da tutti. L’importante è avvisarmi quando vorrà o dovrà uscire, io verrò fin qui per scortarla ovunque, e la riaccompagnerò quando sarà il momento di rincasare. Lo prometto solennemente.»
La donna dinanzi ai miei occhi mi fissa sbalordita, prima di ridere e prendermi una mano. 
«Spero proprio che tu lo diventi, saresti un “guardiano” perfetto.» 
Appena finisce di pronunciare tale frase si sente la porta alle mie spalle scorrere e una voce femminile domandare, cortesemente: «Madre, mi avete convocata?»
Una voce cristallina, familiare… Non può essere… 
«Ah, tesoro, vieni qui.»
Si alza e io la seguo a ruota, voltandomi immediatamente per accertarmene. Accertarmi di cosa, non so, non avendola mai vista chiaramente, priva di travestimenti. Eppure i suoi capelli chiari sono proprio di quel biondo fragola che immaginavo e, avendoli lasciati sciolti, posso vedere come le incorniciano perfettamente quel piccolo e candido ovale. Anche a distanza, quegli occhi dello stesso colore degli alberi lì fuori risplendono, soprattutto quando si posano su di me. Finalmente, noto con sollievo, sta indossando un abito estivo, sui toni del bianco e del rosa. 
Avrei così tanto da dire, così tanto da chiedere, ma a parte ammirarla immobile, per colei che realmente è, non riesco a fare altro. 
«Syaoran!» esclama in tono pimpante, aprendosi in un sorriso enorme, come non ne ho mai visti prima. 
Sobbalzo involontariamente, ridestandomi da quel sogno ad occhi aperti in cui non mi sono neppure reso conto di essere sprofondato, e la vedo correre nella mia direzione, con una felicità senza pari ad illuminarla tutta. Inciampa tuttavia nel tatami, con Nadeshiko-sama che emette un’esclamazione, mentre io, in maniera del tutto istintiva, mi affretto a raggiungerla. Mi inginocchio dinanzi a lei, aiutandola a rialzarsi. 
«Sakura, ti sei fatta male?» 
Controllo con apprensione che i gomiti e le ginocchia non siano arrossati, ma vengo distratto dai suoi occhi lucidi. Le fa così male?
«Mi hai riconosciuta…» mormora incredula, stringendomi le mani. 
«Certo che ti ho riconosciuta», confermo, dedicandole un piccolo sorriso, e tuttavia impensierendomi. «Sei ferita?» 
Scuote la testa, rimettendosi dritta, lasciandomi per raggiungere Nadeshiko-sama, la quale sospira carezzandole i capelli. 
«Insomma, Sakura-chan, quante volte ti dico di non correre?»
«Mi perdoni, okaa-sama.» Le rivolge un piccolo sorriso imbarazzato, prima di tornare accanto a me, sembrando molto entusiasta. «Syaoran, cosa ci fai qui?» 
Incredibile che Fay-san ci avesse quasi preso, sbagliando di poco la sua origine. È la figlia del primo ministro…
Notando forse il mio sbigottimento, al mio posto risponde sua madre, spiegandole il lavoro che mi hanno offerto. 
«E tu hai accettato?» domanda, sembrandomi su di giri. 
Se prima avevo qualche dubbio, ormai esso s’è dissipato, perché c’è una cosa di cui sono certo già da tempo: anche se ci conosciamo da poco, voglio aiutare e proteggere Sakura, in qualsiasi ambito e situazione. Ad ogni costo. 










 
Spiegazioni:
- Il rōmaji è il sistema di scrittura giapponese che usa i caratteri latini per la traslitterazione di kanji e kana.
- L'era Sh
ōwa va dal 1926 al 1989.
- Il "Kojiki" è la più antica cronaca giapponese pervenutaci; composta a inizio dell'VIII sec., narra delle origini mitiche del Giappone dall'era delle divinità shintoiste all'imperatrice Suiko (592-628).
- Yosa Buson è un poeta di haiku e pittore del XVIII secolo. Ne scrivo qui una celebre poesia, che c'entra anche con la storia (Aretha, la dedico soprattutto a te perché voglio sentirti urlare *sadica mode on*): «Una lieve pioggia cade, senza rumore, sul muschio - quanti ricordi del passato
- Per quanto riguarda il "kimono del colore della stagione", essendo estate l'ho immaginato sui toni hanatachibana, quindi verde e arancio (per maggiori informazioni leggere qui: https://kimono.fandom.com/it/wiki/Tachibana).
- Il motivo per cui Fujitaka chiede come mai ha perso un anno, è che dato che chi nasce il primo aprile fa una sorta di primina, a 19 anni Syaoran dovrebbe stare già al secondo anno di università.
- Tōdai è un'abbreviazione di Tōkyo daigaku = università imperiale di Tokyo; non prendete per oro colato quello che ho scritto perché gran parte delle cose sono fittizie (in questo caso, sappiate che non esiste un dipartimento di archeologia perché è stato spostato in sede ad Hokkaido).
- Onorifici: -sama indica un alto grado di rispetto e deferenza, -san è abbastanza neutro e gentile, -kun (maschile) e -chan (femminile) sono più familiari (almeno in questo caso). 
- Il tatami è il tradizionale pavimento composto da pannelli rettangolari in legno o paglia intrecciata pressata.
Mi rendo conto di essere stata abbastanza sintetica oggi, quindi se resta qualche dubbio non esitate a chiedere ^_^

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Capitolo 8
*** 7 ***


VII



 
 
 
Ho cominciato a lavorare a casa del primo ministro da più di tre settimane, eppure ancora non sono riuscito ad abituarmi a tutto il lusso e lo sfarzo che mi circonda.
Quando metto piede nella dimora principale del kantei, mi sento quasi come se venissi teletrasportato in un altro mondo. Un mondo in cui, inizialmente, mi sentivo spaesato, proprio come uno straniero che non sa dove direzionarsi, ma che poi ha cominciato ad orientarsi, al punto da memorizzarne le tappe e trovarvi una certa familiarità, provando una vaga nostalgia ogni volta che vi rimette piede. 
Quando ho dato la notizia del nuovo impiego ai miei coinquilini, quella stessa sera dopo che fui congedato, anch’essi sono rimasti senza parole.
Inizialmente erano sorpresi quanto me, poi Fay-san mi ha abbracciato facendomi dondolare da un lato all’altro, ripetendo: «Te lo avevo detto che sarebbe andata a meraviglia! Congratulazioni!» 
L’ho ringraziato, nonostante la testa avesse cominciato a girarmi, e fortunatamente prima che mi venisse anche la nausea Kurogane-san glielo ha fatto notare, arrestandolo in quel suo moto circolare. 
«Piantala di torturarlo.»
In seguito mi si è avvicinato, mi ha poggiato una grossa mano sulla testa, arruffandomi i capelli, e mi ha mostrato uno dei suoi rari sorrisi, pieno di fierezza.
«Sono contento per te, ragazzo. Ma ho un avvertimento: non andare a spiattellarlo ai quattro venti, non è consigliato.» 
«Non c’è rischio che io lo faccia. Nel contratto che ho firmato rientra anche la segretezza, ma a voi ho voluto dirlo perché… ho fiducia in voi. So che non lo rivelerete a nessuno.» 
A questo Fay-san mi ha guardato con le lacrime agli occhi, poggiandosi con aria melodrammatica a Kurogane-san. 
«Si fida di noi! Syaoran-kun, d’ora in avanti puoi anche chiamarmi “mamma”!» 
Ho cercato di non ridere mentre Kurogane-san gli tirava le orecchie, digrignando i denti, prima di spintonarlo via e tornare a dedicarsi a me. 
«Immagino lo dirai anche a tuo fratello?»
«Sì, Kimihiro sa mantenere la segretezza.»
Se fosse stato il vecchio Kimihiro, considerando quanto era distratto e brioso, avrebbe potuto rischiare di farselo scappare. Tuttavia, dalla morte di Yuuko-san, è diventato completamente un’altra persona. Ha sempre un’aria stanca e rassegnata, quasi come se avesse perduto una parte di sé, e questa è una delle tante ragioni per cui ancora mi pento delle mie scelte. Ma, come mi dice sempre, devo vivere la mia vita. E se la mia vita mi porta lontano da casa, allora che così sia.
Quando l’ho telefonato per dare anche a lui la notizia, ne è parso parecchio entusiasta. Anche lui mi ha ribadito di non rivelarlo ad altri, ma non sono uno sprovveduto, non potrei mai mettermi nei guai da solo, né metterei nei guai Sakura. Perché, stando a quanto mi hanno riferito, seppure non me ne spieghi le ragioni, pare che anche la sua esistenza debba restare celata.
Ai miei amici, pertanto, ho detto che mi ha preso a lavorare Fay-san con sé, nel suo piccolo atelier, come assistente e segretario. Lui mi ha assicurato che, eventualmente, avrebbe potuto coprirmi. 
Con Kurogane-san non sarebbe stato possibile farlo, essendo un docente di educazione fisica e sensei dell’arte della spada. Avendo abbandonato quella disciplina, di tanto in tanto mi alleno con lui, e devo riconoscere la sua immensa maestria. Si vede che ha molti più anni d’esperienza di me. Forse, considerando il suo milieu familiare, è nato e cresciuto insieme alla katana. Chissà perché, ma in parte sento che quella sia un’arte che ho portato avanti anche io per lungo tempo, più di quello che riesco a rievocare. 
Fatto sta che, in quella stessa calda notte di fine luglio, Fay-san aveva deciso che bisognasse fare un brindisi al mio nuovo impiego.
Nonostante Kurogane-san gli avesse fatto presente che io ancora non potessi bere, lui ha finto di non sentirlo, esclamando: «Nel mio Paese può, quindi… alla salute!» E così l’ha avuta vinta.
Non ho idea di quante bottiglie di sakè siano volate. Kurogane-san è un gran bevitore, e sembra reggere benissimo l’alcool. Non ha neppure fatto le schiocche rosse. Fay-san, invece, dopo un bicchiere già era diventato più allegretto. In realtà, a tratti non capivo se lo facesse apposta o sul serio gli venisse da ridere per qualsiasi cosa di cui si parlasse, proponendo giochi di cui, fortunatamente per me a detta di Kurogane-san, non ho traccia di ricordo. Ciononostante, il giorno successivo aveva una forte emicrania.
E per quanto mi riguarda… non ho idea di cosa sia successo, ma credo di essere crollato dopo pochi gocci, perché in seguito mi è stato riferito che fossi finito con la faccia sul tavolo e Kurogane-san aveva dovuto portarci entrambi di peso nei nostri letti. Quando l’ho ringraziato, il mattino seguente, mi ha consigliato di non bere più fino a che non avessi raggiunto l’età per farlo. Gliel’ho assicurato, ma ho avuto come l’impressione che ci fosse altro che volesse dirmi, e lui era indeciso se farlo o meno. Alla fine ha cambiato idea e mi ha ammonito a non bere proprio, a meno che non mi trovi soltanto con loro. Quando ho espresso la mia curiosità a riguardo, mi ha lasciato solo intendere che, a quanto pare, ho la tendenza ad adombrarmi e diventare depresso. 
Ho avuto un po’ timore di quello di cui potrei aver parlato, ma il loro atteggiamento nei miei confronti non è cambiato di una virgola. Quindi, qualunque cosa sia stata, non deve averli turbati più di tanto. O almeno così mi auguro. 
Altra cosa che mi ha stupito, è la loro scarsa reazione alla menzione di Sakura. Possibile che davvero fossi l’unico ad essere ignorante in tal senso? Eppure fino a quel momento ero stato pienamente convinto che il primo ministro avesse solo un figlio maschio…
Sospiro e mi scrollo da quel pensiero, entrando nella dimora.
«Buonasera, Syaoran-san.» 
Sorrido alle cameriere e guardie all’ingresso, ricambiando il saluto. 
«Buonasera.»
«Syaoran!» 
Sakura si scaraventa giù dalle scale, nonostante io mi senta sudare freddo nel timore che possa scivolare sul liscio e lucido marmo da un momento all’altro; fortunatamente non accade, ma si arresta a pochi passi da me, guardando le sue sottoposte con colpevolezza. 
Si raddrizza, schiarendosi la voce, prima di fare un piccolo inchino. 
«Buonasera, sensei.» 
«Buonasera a lei, ojou-san. Come si sente oggi?» rispondo prontamente. 
«Bene, grazie. E lei, sensei?» 
Rispondo allo stesso modo, accingendomi a seguirla sull’ondosa scalinata.
Quello è il nostro accordo: in presenza di altri, finché saremmo rimasti nella sua dimora, avremmo rispettato i nostri ruoli. Anche per evitare rimproveri e, soprattutto, l’ira di suo fratello maggiore. Già non è parso prendermi molto in simpatia, al contrario. 
L’ho conosciuto proprio il primo giorno di lezione, quando ancora mi sentivo insicuro e non sapevo bene come dovessi comportarmi o rivolgermi a Sakura. Spontaneamente avevo cominciato a chiamarla “signorina”, seguendo la voce degli altri, ma una volta rimasti soli nella loro biblioteca – che invidio in una maniera smisurata – mi ha invitato a continuare a chiamarla Sakura. 
Non ero certo che fosse una buona idea, soprattutto perché lei, invece, insisteva nel voler appellarsi a me col titolo di “sensei”. Quando ho provato a ribattere a tal riguardo, ricordandole della nostra differenza sociale, lei ha argomentato piccata: «Non c’entra, perché da un punto di vista sociale in questo momento, nel rapporto insegnante-allieva, ti trovi in uno status più elevato di me. Sei anche più grande di me, quindi è un mio dovere portarti rispetto».
Alla fine ho rinunciato a provare a ribellarmi, sennonché è capitato che Touya-sama facesse il suo ingresso proprio mentre la chiamavo col suo nome, dimenticando di attaccarci almeno un “-sama”. È stato un errore madornale, perché così mi sono guadagnato tutto il suo disprezzo. Non che io non provi antipatia nei suoi confronti, anzi. Sembra avere un carattere insopportabile, mi è bastato che ci scambiassimo poche parole per capire che è eccessivamente iperprotettivo con la sorella minore, e uno sguardo a quest’ultima è stato sufficiente per rendermi conto che lei non ne sia molto felice. 
Ancora non conosco tutta la vicenda, sembra che tutti facciano fatica a parlarne, e con Sakura non voglio farlo, onde evitare di rievocare traumi e riaprire vecchie ferite. A meno che non sia lei a volermene parlare, ma non sembra affatto disposta a farlo. 
Ciononostante, ho capito che è un problema che riguarda il genere maschile, e per questo preferisco non pensarci. Spero solo che non sia tremendo come temo. 
Per questa stessa ragione, dopo avermi fatto una testa piena della differenza tra le nostre classi e ciò che potessi o non potessi permettermi, Touya-sama ha concluso con: «Non posso crederci che hanno sul serio concesso ad un moccioso inesperto di occuparsi di mia sorella! Devono essere impazziti!» 
«Vedi di finirla, nii-sama!» ha sbottato all’improvviso Sakura, stupendomi con la sua foga. Non me l’aspettavo da una ragazza dalla parvenza tanto fragile e aggraziata. «Esci subito di qui, disturbi miei studi!» Dopodiché ha cominciato a spintonarlo fino alla porta, urlando una volta che fu oltre l’uscio: «E sappi che ho scelto io Syaoran, l’ho scelto perché so che ha tutte le qualifiche per rendermi una signorina per bene, per riempirmi di tutta la cultura che mi manca, per avere cura di me. E sono io stessa che gli ho concesso di chiamarmi per nome, quindi stanne fuori e fatti gli affari tuoi!» 
Concluso ciò gli ha chiuso la porta in faccia, ignorando i suoi strepiti all’altro lato. Ha preso un profondo respiro, voltandosi verso di me, chiedendomi scusa mortificata. Come se lei avesse dovuto scusarsi.
L’ho fatto a mia volta, abbastanza sicuro di non essere riuscito a nascondere un’occhiataccia verso suo fratello. E tuttora non riesco a celare il fastidio, quando mi capita di vederlo, notando tutto l’astio che cova nei miei confronti. 
Torno con la mente al presente, nel momento in cui mettiamo piede nella biblioteca.
È immensa, totalmente in legno, piena di alti scaffali, con un secondo piano dedicato prettamente all’angolo lettura, in cui si trovano una serie di divanetti e tavolini con sedie. Giusto al centro di essa, sul pavimento, sono tassellate delle grosse ali, mentre nel posticino che abbiamo scelto come “aula studio” ci sono diverse lanterne in stile arabico, che se accese al buio riflettono i loro cangianti colori su tutte le pareti. Sakura stessa me l’ha mostrato la prima settimana, rivelandomi che in tutta la casa questa, insieme alla sua camera, è la sua stanza preferita. 
«Mi rilasso molto tra i libri», mi ha spiegato un giorno, dopo che avevamo concluso con la nostra sessione di studio e stavamo bevendo del tè inglese sul divano accanto ad un’ampia finestra. «Mio padre è un avido lettore, molto attratto dalla letteratura straniera, ma in particolare dalla cultura e le tradizioni di tutto il mondo. È un magnate dell’arte, e credo che in te abbia rivisto un po’ di se stesso. Forse per questo ha subito accettato di assumerti.» 
Ha riso, affascinandomi. Non avevo idea che io e il primo ministro potessimo avere qualche tratto in comune. 
«Quando ero piccola lo seguivo spesso qui, dove trascorreva ore intere a leggermi libri ad alta voce. Io non sono un cosiddetto “topo di biblioteca”, non sono neppure veloce nella lettura, eppure di tanto in tanto mi piace chiudermi in un’altra storia, in un altro mondo, e vivere una vita diversa dalla mia.» 
Dopo questo discorso si è rattristata, per cui anche se non mi ha detto altro non ho voluto indagare. So solo per certo che le impressioni che lei mi ha dato, di non voler essere qui, di essere lontano, di essere qualcun altro, diventano giorno dopo giorno sempre più potenti, sempre più reali. 
Mi accomodo al mio solito posto, facendole segno di fare altrettanto, notando che, come di consueto, ha già preparato tutto ciò che utilizzeremo. È ben organizzata, da come ho potuto accertarmi quando ho visto il calendario e i vari schemi con la suddivisione di materie e argomenti che già si è fatta, proprio per venirmi incontro e non farmi perdere ulteriore tempo, consapevole che l’università occupa già gran parte delle mie giornate. Fortunatamente ora ci sono le vacanze estive, quindi sono un po’ più libero e posso dedicarmi maggiormente a lei. 
«Com’è andato il test che ti ho lasciato?» 
«Meglio del precedente, credo.»
Ogni fine settimana le faccio fare dei test sui diversi argomenti trattati, vedendo quanto sia riuscita a memorizzare. E il lunedì, mentre le faccio studiare qualcosa di nuovo, mi tengo occupato correggendoli. Le do come compiti anche dei temi, nelle tre lingue che parla – giapponese, inglese e cinese –, considerando importante la produzione scritta. Per la maggior parte, però, facciamo una sorta di “interrogazioni” sul modello occidentale. Le ho sempre ritenute importanti, per imparare ad esprimere la propria opinione. È risaputo che, in Giappone, così come in Oriente in generale, a causa del sistema adottato dalle scuole la maggior parte degli studenti si ritrova ad avere difficoltà nella vita sociale. Fortunatamente, proprio per compensare a questo vengono effettuati dei corsi extra o vengono offerte diverse borse per studiare in Occidente, per imparare quale sia, per l’appunto, il metodo di studio più adeguato. Soprattutto per chi vuole ottenere un posto rispettabile all’interno della società, in futuro. 
Controllo quindi il test di Sakura, mentre la faccio proseguire nello studio delle civiltà egizie e mesopotamiche. Nella storia dell’Asia mi è sembrata molto preparata, ma dell’Occidente ne sa poco e niente. Soprattutto delle popolazioni estinte. È stata una fortuna trovare dei libri che ne raccontano anche l’aspetto culturale, oltre a quello storico, geografico e politico. Almeno così possono sembrarle più interessanti.
Controllo le risposte, confermando che ha fatto meno errori. Al solito, casca sempre di più sui problemi algebrici. La sezione dedicata alla politica, invece, è impeccabile. Non ci si aspetterebbe di meno dalla figlia del primo ministro. E anche in quelle in lingua, non ha commesso errori. Tra quelle dedicate alle scienze, sembra essere più interessata ad astronomia e biologia. 
Le correggo quei pochi sbagli che ha fatto, passando subito al tema. Stavolta l’argomento che le ho fatto trattare è “L’invecchiamento della società”, incentrandomi ancora sul Giappone. Deve imparare ad esprimere il proprio punto di vista su svariate questioni, ma ancora non me la sento di metterle a confronto Occidente e Oriente o affrontare problematiche più pesanti. Ci sono ancora molte cose che deve imparare. 
Leggo con attenzione e interesse quello che ha scritto, concentrandomi su un passaggio in particolare: “Dovremmo avere più cura dei nostri cari, soprattutto una volta diventati anziani. Penso non ci sia nulla di peggiore della morte in solitudine, senza neppure una persona accanto che possa dedicarci una parola di conforto”.
Sollevo lo sguardo su di lei, chiedendomi se non sia successa una cosa simile ai suoi nonni.
Lei è concentratissima nella lettura, finché non alza di scatto gli occhi su di me, guardandomi con un’infinita voglia di sapere.
«Non ho ben capito alcune cose.»
«Ossia?»
«Come venivano costruiti i papiri dalle foglie? E perché c’era tutta questa importanza dietro il culto dei morti?» 
Metto da parte quello che sto facendo per delucidarglielo in maniera semplice, mostrandole dei video per farle meglio comprendere i processi di creazione dei papiri; proseguo poi nello spiegarle meglio tutte le concezioni di vita e morte e i ruoli delle divinità presso gli egizi.
Lei pende letteralmente dalle mie labbra, finché d’improvviso non fa riferimento a “Miira” di Nakajima Atsushi.
«Fa un po’ paura come racconto, vero?» sussurra, rabbrividendo.
«Un po’, ma dipende da come lo si interpreta e dalla predisposizione che si ha mentre lo si legge.» 
«Mmh. Tu ci credi nelle reincarnazioni?» 
Ecco, questo è un tratto peculiare di Sakura. Fa tutta una serie di associazioni mentali, e poi comincia a riempirmi di domande, finendo fuori contesto. I primi giorni non sapevo come reagire, se assecondarla o mantenermi rigido col mio “compito”, ma in seguito ho capito che, anche se si perde per un po’, ritorna ben presto al suo dovere e lo porta a termine con diligenza. 
«Non saprei», ammetto. Non ci ho mai pensato prima. 
«A me piace pensare che i nostri corpi si reincarnino. Così come mi piace pensare che, da sempre, siamo legati alla stessa persona.»
«Ti riferisci alla leggenda cinese del filo rosso?» 
Annuisce, arrossendo leggermente alla luce della lampada. 
«Forse ora mi dirai che sono troppo romantica, ma non è bello pensare che, qualunque sia stata la tua precedente vita, tu l’abbia condivisa sempre con la stessa persona?» 
Non ho idea di come siamo finiti in un’argomentazione tanto astratta, né ho idea di come dovrei rispondere. 
«Forse è una consolazione, perché sarebbe una certezza che si porta avanti per diverse vite», osservo, riflettendoci.
«Esatto! E poi, se si è amata una persona una volta, la si può amare in qualsiasi forma essa assuma, no?»
È in questi frangenti, oltre a quelli in cui leggo ciò che scrive con un linguaggio elegante e forbito, che capisco che suo padre è riuscito a trasmetterle la sua stessa passione per la letteratura. 
«Presumo di sì.» 
«Non ne sembri molto convinto.» 
«Non so, Sakura. Non sono molto esperto in questo campo», ammetto, vergognandomi alquanto. Chissà se questo non mi dequalifichi come “sensei”. 
Lei fa un piccolo sorriso, chinando lo sguardo sul libro. 
«Neppure io ne so nulla di amore o di vite anteriori, solo che ogni tanto mi smarrisco in queste fantasticherie. Perdonami.» 
«Non c’è bisogno di chiedere scusa. Dimostra che hai un grande cuore.» 
Le sorrido rassicurante e lei mi guarda mordicchiandosi il labbro, quasi volesse dirmi qualcosa, ma faccia fatica ad esternarlo. 
«Ehm… Syaoran… avrei un favore da chiederti…» 
Attendo che prosegua; lei prende tempo, torturandosi le dita. 
«Presto sarà il compleanno di mia madre e vorrei farle un regalo.»
«Hai già pensato a cosa acquistarle?» 
Nega col capo, spiegando: «È proprio questo il punto. Di solito facciamo un regalo “di famiglia”, ma visto che compie cinquant’anni è un evento importante, e vorrei ne avesse uno che fosse soltanto da parte mia. Solo che non so cosa prenderle, e c’è anche un altro problema». 
Si fa piccina sulla sedia, sviando lo sguardo, non mostrandomi il suo viso mentre spiega: «Da sola non mi è concesso uscire. Dovrei necessariamente chiedere a qualche mia amica, ma so che in questo periodo sono piuttosto impegnate». 
Trattiene il respiro, voltandosi di scatto allarmata: «N-non voglio insinuare che tu non sia impegnato, così come non voglio impormi su di te! Se hai altre cose da fare non insisto, è solo che… se uscissi con qualcun altro dovremmo travestirci, e avrei l’ansia perenne di essere pedinata. Anche se sono consapevole che si tratta delle mie guardie, non è una sensazione gradevole. Se ci fossi tu, però, loro non sarebbero costrette a venire. Mia madre e Yukito-san mi hanno detto che sei abile nel combattimento, quindi mi sentirei al sicuro con te, e non avrei nulla da temere. Scommetto che mio padre sarebbe d’accordo, però ecco, non voglio costringerti». 
Si posa improvvisamente le mani sul viso, mugolando: «Ugh, scusami, mi sto comportando come una bambina!» 
Faccio un mezzo sorriso e le tolgo le mani dagli occhi, mostrandomi compiacente.
«Va bene, ti accompagno.»
«Davvero?» si accerta, le sue iridi scintillano per l’incredulità. 
«Sì.»
«Grazie!» esclama, stringendomi le mani con forza, trattenendo a stento un’emozione che sembra più grande di lei. 
Mi limito a sorriderle, annuendo soltanto quando mi dice che avrebbe pensato ad un giorno ottimale per uscire e me lo avrebbe annunciato. 
D’altronde, l’ho promesso sia a Nadeshiko-sama che a me stesso: mi sarei reso garante della sua felicità.










 
Spiegazioni e traduzioni:
- Il "kantei" è il complesso immobiliare che ospita gli uffici e la residenza del primo ministro (come avrete capito, sono sedi separate).
- "Miira" ("La mummia") è un racconto breve di Nakajima Atsushi; parla di un ufficiale persiano che, entrando in una piramide, si trova davanti una mummia, e nel vederla comincia ad avere visioni della sua precedente vita, capendo di essere proprio lui stesso quella mummia e finire così per impazzire.
- La leggenda del filo rosso credo sia ben conosciuta: 
ogni persona ha, fin dalla nascita, un invisibile e indistruttibile filo rosso attorno al mignolo della mano sinistra, che lo lega alla propria anima gemella. Essa racconta di un uomo che, nonostante avesse raggiunto l'età adulta, non era riuscito a sposarsi, e per questo cercava moglie; il dio dei matrimoni gli disse allora che sua moglie all'epoca aveva soli 3 anni, e avrebbe dovuto attenderne altri quattordici prima di conoscerla. tuttavia, volendo andare contro il suo destino, cercò di far uccidere la bambina da un servo. Trascorsi quei 14 anni conobbe e sposò una fanciulla, e solo dopo del tempo le domandò come mai non si togliesse mai la fascia che le ricopriva la fronte; ella gli rivelò che quando aveva 3 anni avevano tentato di assassinarla e le era rimasta una cicatrice di cui si vergognava, e così l'uomo capì che quella era proprio la donna cui era destinato.

- sensei = maestro; ojou-san = signorina; nii-sama = fratellone.

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Capitolo 9
*** 8 ***


VIII



 
 
 
Nel fine settimana io e Sakura ci ritroviamo, con sua immensa gioia, a passeggiare per le strade affollate di Tokyo, confondendoci tra la ressa di un centro commerciale e l’altro. 
Quando sono venuto a prenderla questa mattina, devo ammettere che mi sentivo un po’ impensierito. Stavolta non ne ho parlato con nessuno, ai miei coinquilini ho solo detto che dovevo fare certi acquisti, ma ciò non toglie che io provi un certo disagio. È come se stessi facendo qualcosa di illegale, pur avendo ricevuto un consenso proprio dalla legge. 
Quando Sakura è uscita di casa, tuttavia, ho cercato di mostrarmi tranquillo e rilassarmi, affinché anche lei si sentisse a suo agio. Lei mi si è avvicinata rapidamente, chiedendomi se fosse riconoscibile. L’ho analizzata dalla testa ai piedi, rassicurandola a riguardo.
Indossa un abito molto semplice con dei sandaletti aperti, in uno stile perfettamente estivo, senza alcun gioiello, con una borsetta a tracolla che dà poco nell’occhio, occhiali da sole e un cappello di paglia. Mi è parsa perfettamente in tono con il clima. Menomale che anch’io ho pensato di vestirmi in maniera casual, per una volta. Dalla mia prospettiva, per chi ci guarda da fuori, dovremmo sembrare due semplici studenti che fanno shopping. Oppure, potrebbero anche scambiarla per mia sorella minore. 
Ha salutato le sue guardie e, una volta usciti alla luce, dopo esserci lasciati alle spalle il suo quartiere, ha sollevato il viso e preso un profondo respiro, sussurrando con un filo di voce: «Finalmente sono libera». 
Non ho commentato nulla, limitandomi a guardarla con apprensione e parziale empatia. 
Si è poi voltata verso di me, mostrandosi pimpante. 
«Bene, ora dove andiamo?»
«Non ci hai pensato tu?»
«Mmm… Conosco la mappa della città, ma non ci sono mai stata fisicamente. Non saprei da dove partire.» 
Questa è una cosa che non mi aspettavo. Dato che veniva in biblioteca, ero convinto che ne approfittasse anche per fare un giro in centro. È stupido, forse, da parte mia, sperare che sia così. Dovrei aver capito ormai che le sue uscite sono limitate e controllate, per quanto una simile situazione mi sembri irreale, inconcepibile. Ma comprendo anche che, se si fosse recata in luoghi affollati con le sue guardie, avrebbe attirato troppo l’attenzione, avrebbero eventualmente scoperto la sua identità e i media non le avrebbero dato pace. È terribile la vita delle celebrità, decisamente. 
Alla fine l’ho condotta nei luoghi più rinomati, passando per l’incrocio di Shibuya – dove ha letteralmente dato di matto per un minuto buono, ripetendo: «C’è veramente un mare di persone!» 
Proprio per questa ragione, onde evitare di perderla nella ressa, ho dovuto necessariamente tenermela vicina, prendendola per mano, ma lei non ne è parsa infastidita. Al contrario, ha stretto le dita attorno alle mie, trascinandomi fino alla statua di Hachiko. 
«È reale! Non ci posso credere! È così bella, fatta così bene!» 
Ci ha girato attorno saltellando, raggiante come un pulcino che ha appena scoperto il mondo al di fuori del suo nido. 
«Pensi che potrei farmi una foto?» ha domandato insicura. 
«Credo che, se non la rendi pubblica, non ci sia problema.» 
«Non era nei miei piani, vorrei solo avere un ricordo di questo momento. Ho pochissime fotografie a casa.» 
Mi ha prestato il suo telefono, ringraziandomi mentre si metteva in posa accanto al cane. 
Ho scattato la foto rapidamente, ragionando sul fatto che dovessi cercare di farle vivere quante più esperienze possibili, per quel giorno. 
Ecco perché le ho fatto fare una sorta di giro turistico, passando per alcuni celebri santuari e il palazzo metropolitano del governo, prima di cominciare a cercare tra i grandi magazzini. 
Ora ci troviamo in una gioielleria, e lei passa da una vetrina all’altra, sembrando indecisa. 
«Syaoran, vieni a vedere!» 
Mi fa segno di avvicinarmi con una mano e non appena mi pongo alla sua sinistra indica l’interno di un tavolino coperto da una spessa lastra di vetro. 
«Guarda, cosa ne pensi?» 
Tra i tanti gioielli, c’è una graziosa collana d’oro bianco con un fiore realizzato in madreperla. Lo riconosco immediatamente come un garofano e comprendo perché abbia attirato la sua attenzione. Tra l’altro, vicino il gancetto, sull’estremità, ha una piccola piuma. 
«È carino e delicato. Credo che tua madre ne sarebbe felice.»
Controllo il prezzo sulla targhetta accanto al cuscinetto, assicurandomi che rientri nella somma prevista da Sakura. In realtà, non la comprende neppure tutta. 
«Quindi lo prendo?» 
Noto il suo nervosismo e capisco quanto possa essere importante per lei, fare per la prima volta un regalo. 
«Stai tranquilla. Le piacerà sicuramente.» 
Le sorrido gentilmente e lei annuisce, con le guance che per qualche ragione si fanno più rosee su quel suo candido pallore. 
Attira l’attenzione di una commessa, chiedendole se può mostrarcela ed eventualmente farcela toccare. Ad un suo consenso la osserva da diverse angolazioni, dandomi la sua conferma con uno sguardo. Mi accosto quindi alla cassa, domandando alla cassiera se può farmi un pacchetto regalo, prima di prendere la carta per pagare. 
Io e Sakura abbiamo pensato che, considerando l’età, sarebbe stato meglio se fossi stato io ad occuparmi dei soldi, per cui per l’occasione mi ha fatto una ricarica con un certo budget. Ovviamente, la somma che avanzerà provvederò a restituirgliela, sebbene secondo lei non ce ne sia bisogno. 
«Un regalo per vostra madre?» domanda la cassiera di punto in bianco. 
Le sorrido con convinzione, annuendo.
«Sono certa che la adorerà.» 
Mi mostra il pacchetto, con l’aggiunta di un nastro chiuso in un fiocco e al centro delle roselline color crema. 
«La ringrazio.» 
Provvedo a pagare, prima di prendere la bustina e tornare da Sakura. 
Una volta fuori dalla gioielleria sembra voler portare lei il sacchetto, al che mi rifiuto e tengo occupata la sua mano con la mia, riprendendo a camminare. 
«Ci ha scambiati per fratelli», commenta dopo una breve distanza, sembrando incredula.
«Meglio così, no?»
Fa un cenno di assenso, pensandoci su.
«Saresti una compagnia migliore di nii-sama.»
Senza volerlo, mi faccio scappare una risata.
Anche lei fa una mezza risatina, spostando l’attenzione su di me. 
«Tu hai fratelli?» 
«Un fratello e due sorelle, tutti più grandi.» 
«Davvero? Scommetto che ogni giorno è pieno di allegria! Ti hanno viziato?» 
«Per niente. Le mie sorelle vivono praticamente in un mondo tutto loro, mio fratello ha sempre avuto cura di me, ma alla fine… alla fine, mi hanno trattato non diversamente dagli altri. E per quanto riguarda l’allegria… in effetti, tutti e tre, insieme a Yuuko-san, erano piuttosto eccentrici.» 
Faccio un mezzo sorriso, rievocando alcuni momenti. Alla fine il più tranquillo in casa ero proprio io. 
«Yuuko-san?» 
«Nostra “madre”», spiego brevemente. Pensandoci, come io so ben poco di lei, neppure Sakura sa molto di me. 
«Uhm… Se un giorno vorrai parlarne con qualcuno, sappi che puoi farlo sempre con me.» 
Questa proposta è inaspettata. La guardo sorpreso, rivolgendole un sorriso. 
«Lo stesso vale per te.» 
Dal suo schiudere le labbra capisco che ne è stupita, ma poi annuisce e mi strizza la mano, chinando lo sguardo per nascondermi un minuscolo sorriso. 
«Ora dove vorresti andare?» 
«Mmm…» 
Al suo posto, risponde il suo stomaco che brontola. Si porta la mano libera sulla pancia, guardandomi imbarazzata. Controllo l’orologio, notando che è l’una passata. 
«Scusami…»
«Scusami tu, dovevo accorgermene prima. Dove vorresti mangiare?» 
Ragiono su dei buoni ristoranti nei dintorni, ma lei, con mia grande sorpresa, indica qualcosa alle mie spalle.
«Lì!»
Mi volto, sbattendo gli occhi, non aspettandomelo. 
«Al Mc Donald’s? Sei sicura?»
«Mou, solo perché mangio quotidianamente cibi preparati da grandi chef non significa che non possa apprezzare anche junk food.» 
È la prima volta, questa, in cui la vedo imbronciata. Il problema però è un altro. 
«L’hai mai mangiato prima?»
«No», risponde candidamente, in maniera fin troppo cristallina. 
Sospiro pesantemente, avendolo immaginato. 
«Proprio perché hai sempre mangiato cibi salutari, potrebbe farti male.» 
«Ti prego, non ho mai mangiato fuori prima, non sono mai stata in un fast food, non penso che mi sentirò male. Anzi, ti prometto che starò bene, e se sento che comincia a darmi problemi allo stomaco te lo dirò subito. Ti pregoooo…» 
Giunge le mani in preghiera, e io mi sento in difficoltà. Sarebbe più ragionevole negarglielo, anche perché non voglio si senta sul serio male, e temo che la sua famiglia possa sgridarla per tanta sconsideratezza. Allo stesso tempo, però, vorrei accontentarla. Non si è davvero goduta nulla della vita, e se questa è una piccola cosa che può renderla felice… 
«E va bene», cedo, direzionandomi lì.
«Evviva! Grazie, Syaoran!» 
Dondola le nostre mani contenta, mentre io faccio sempre più fatica a mostrarmi perentorio. Ma come potrei, quando lei è così raggiante, così genuina, così lieta di questa piccolezza che stiamo vivendo? 
Mi schiarisco la gola, specificando: «Se però cominci a sentirti nauseata, me lo devi dire subito». 
«Sì, te lo prometto!» 
Così entriamo e immediatamente ringrazio i condizionatori, staccandomi un po’ la maglia di dosso. 
«Ora che ci penso, come ti senti?» 
Mi rivolgo a lei, che adesso mi guarda spaesata mentre ci mettiamo in fila. Probabilmente era impegnata a decidere cosa prendere. 
«Bene. Perché lo chiedi?» 
«Per il caldo. Non ti stai scottando?» 
Mi assicuro che non sia arrossata sulle spalle, e lei immediatamente nega. 
«Mi sono preparata, mettendo la crema protettiva su tutte le zone scoperte. Poi ho il cappello e gli occhiali, quindi non mi dà fastidio il sole. E in generale, ho una buona resistenza al calore.» Stringe poi le labbra, mostrandosi preoccupata. «Tu invece?» 
«Tranquilla, non sono pallido come te, e in ogni caso sono già abituato anche alle temperature più torride.»
«Hai viaggiato tanto?» chiede entusiasta. 
Faccio appena in tempo ad annuire, visto che tocca a noi. Decido di prendere la prima cosa che leggo, mentre Sakura sembra in difficoltà tra due panini col pollo. Scelgo per lei quello senza curry – meglio limitare al massimo le spezie – e che mi sembra più salutare, facendo aggiungere una porzione piccola di patatine e una bevanda piccola di coca cola. 
Quando porto i nostri vassoi ad un tavolo libero – dopo che lei si è appropriata del regalo – mi guarda con un certo risentimento. 
«Pensi che non ce la faccia a mangiare di più?» 
Ne sono abbastanza sicuro, considerando quanto è minuta. Ma questo evito di dirglielo. 
«Vorrei evitare il più possibile che la situazione possa divenire grave.» 
Si toglie il cappello imbronciata e se lo poggia sulle gambe, continuando a tenersi gli occhiali. Giustamente, per un colore così raro di capelli può sempre fingere di essersi tinta, ma per gli occhi è tutt’altro conto. Non può neppure mentire fingendo che siano lenti a contatto, perché si capirebbe che non è vero. 
Senza aggiungere altro mi augura “itadakimasu”, controllando quel che c’è sotto i fazzoletti e le patatine. 
«Cosa cerchi?» domando dopo averle augurato altrettanto, mettendo la cannuccia nel bicchiere di carta.
Afferro il mio panino e, come d’abitudine, comincio ad infilarci in mezzo alcune patatine, mentre lei si mostra spaesata. 
«Sto cercando le posate, senza come potrei – oh!» 
Ci guardiamo per un istante, il suo viso avvampa fino alle orecchie. 
«M-ma certo, sono così stupida…» borbotta tra sé, mettendo la cannuccia al suo posto, bevendo un sorso per sbollire. 
Un colpo di calore?
«Stai bene?» 
«Sì, solo che… potresti…» Timidamente continua, quasi rimpicciolendo sulla sedia. «Potresti mostrarmi come mangi tu?» 
Mi do dell’idiota. Ovviamente, è come avere a che fare con una bambina. 
«Ma certo. Prima di tutto, ti consiglio di mettere i fazzoletti da parte, per pulirti dopo le mani.» Annuisce, seguendo le mie direttive. «Poi, utilizza la carta che avvolge il panino per non sporcarti più del necessario, assicurandoti di tenerlo all’altezza del cartone. Così, se qualche pezzo dovesse cadere, almeno finisce lì dentro invece che su di te.» 
Fa come dico, guardandomi interrogativa. 
«È enorme, ho paura che cada, come faccio a mangiarlo?» 
Menomale che è uno dei panini più piccoli.
Intervengo nel suo panico, aiutandola a stringere la presa ai lati, spostando di poco l’incarto affinché non finisca per mangiarsi anche quello. 
«Fatti in avanti e prova a mordere.» 
Per quanto esiti, riesce a dare un piccolo morso. 
«È buono!» esclama contenta, non appena finisce di ingoiarlo. 
«… Ascolta, Sa- Hana.» È difficile ricordare che, fuori casa, devo chiamarla così. «Puoi anche dare morsi più grandi, non c’è nessuno qui a giudicare il modo in cui mangi.»
«Ma dando morsi più grandi potrei sporcarmi la bocca e -» 
«Non fa niente, davvero. Rilassati e pensa unicamente a mangiare. Se ti dà fastidio farti vedere sporca evito di guardarti.» 
«Non è che mi dia fastidio, è solo che mi vergogno. Sembrerei così… rozza e poco femminile, no?» 
A stento trattengo una risata. Si sta facendo troppi problemi inutili. 
«Cos’hai detto quando siamo usciti dalla tua strada?»
«Che oggi sono libera…» ripete, quasi non credendoci neppure lei. 
«Esatto. Quindi liberati di qualsiasi etichetta e sii semplicemente te stessa.»
«Posso… posso davvero farlo?» si accerta, la voce leggermente incrinata.
«Assolutamente sì, anzi devi. Sarà il nostro piccolo segreto.» 
Mi guarda stupita, aprendosi poi in un sorriso enorme, forse il più grande che mi abbia rivolto finora. 
«Grazie, Syaoran!»
E detto ciò, finalmente, comincia a mangiare con gusto, non nascondendo neppure mormorii d’apprezzamento.
Risollevato torno al mio panino, finendolo quando lei è poco oltre la metà del suo. Come promesso, sto cercando di osservarla il meno possibile per non farla sentire a disagio, e dopo che finisco anche le patatine rimaste sorseggio la cola, guardando distrattamente i passanti fuori dalle vetrate. 
«Syaoran…» 
Anche se mi richiama in un tono bassissimo, che quasi mi porta ad interrogarmi se l’ha fatto sul serio, mi volto verso di lei. 
Si copre la metà del viso esposta con quel che resta del panino, mortificata. 
«Perdonami, sono così lenta, ti faccio aspettare.» 
«Non fa niente, prenditi tutto il tempo che ti serve. Piuttosto, non ti stai forzando a finirlo, vero?» 
Scuote la testa, replicando: «È veramente buono, e non è neppure troppo pesante. Anche se, in effetti, non so se riesco a finirmi tutte quelle patatine…» 
«Vuoi che le condividiamo?» 
«Lo faresti? Ma se non ti vanno…» 
«Tranquilla, ce la faccio ancora a mangiare.» 
Gliene rubo una per dimostrarglielo e lei ridacchia, tornando al suo panino. Attendo che lo finisca prima di passare alle patatine, permettendo sempre a lei di prenderle per prima. 
«Neh Syaoran, mi racconti dei tuoi viaggi?» 
Tra un morso e l’altro comincio a narrarle di quello più recente, sintetizzando al meglio le esperienze lì vissute e descrivendole i luoghi visitati. Le mostro anche qualche fotografia per farglielo raffigurare e lei mi ascolta affascinata. 
«In quanti altri posti sei stato?» 
«Ho avuto modo di trascorrere brevi periodi in Corea, Olanda, Francia e Italia. Queste tre le ho girate nell’arco dello stesso mese, insieme a Yuuko-san e Kimihiro. In Corea ci andai ai tempi del liceo, con alcuni amici.» 
«Che meraviglia! Non immagini quanto ti invidio.» Sospira trasognante, giocherellando con la cannuccia, poggiando la guancia su una mano. «Io a malapena sono uscita dal Giappone, credo che siamo stati solo in Cina e in America, ma ero troppo piccola e non ho ricordi di quel periodo. Vorrei tanto avere anch’io la possibilità di viaggiare.» 
La sua voce si adombra, così mi affretto a mostrarmi positivo. 
«Non è detto che tu non possa. Sei ancora giovane, non dimenticare che ti aspetta una lunga vita davanti. In futuro sono certo che potrai farlo.» 
Fa un mezzo sorriso triste, scuotendo la testa. «La questione è sempre la stessa, non posso farlo senza… una “scorta”.» 
Abbasso anche io la voce, adeguandomi al suo tono. 
«Anche quando un giorno sarai sposata?» 
Piega la testa su un lato, aggrottando le sopracciglia. 
«Non ci ho mai pensato. Ma anche se così fosse, significherebbe comunque che devono trascorrere molti anni e non so se riesco a resistere così ancora a lungo…» Gli angoli delle sue labbra si piegano in giù, manifestando la sua mestizia, ma repentinamente aggiunge con finta allegria: «Non dovrei parlare così, lo so che è tutto fatto per il mio bene. Dovrei semplicemente essere grata a tutti, per avere così tanta cura di me». 
Mi si stringe il cuore dinanzi a ciò. C’è qualcosa di concreto che posso fare per lei, per cancellarne o perlomeno affievolirne la tristezza? 
Poso la mano sulla sua, carezzandone con delicatezza le nocche, sperando di confortarla. 
«Se ti trovi bene con me, potremmo chiedere ai tuoi genitori se possiamo viaggiare insieme. Andremo dovunque vorrai.» 
Le sue labbra tremano, insieme alla sua voce. 
«Syaoran, tu… tu sei una persona così buona, così altruista, e io non voglio approfittare della tua gentilezza. Non voglio essere un peso.» 
«Non sei affatto un peso.» Taccio, ripensando alla condizione di me stesso con la mia “famiglia”. A come mi sono sentito sempre in debito nei loro confronti, come se avessi un prezzo da pagare e non sarei riuscito a saldarlo neppure per tutta la vita. Non voglio che lei si senta in questo modo, con me. «Consideralo un viaggio con un amico.» 
«Un viaggio con un amico…» ripete in tono soffocato.
Noto una lacrima scintillare sulla sua gota, scivolandole fino al mento. Mi allungo ad asciugargliela col pollice, sentendomi in colpa. Non era mia intenzione farla piangere. 
Eppure, voglio assicurarmene. 
«Lo accetteresti, se fosse così? Naturalmente, se ti fa sentire più sicura puoi pure vedermi come se fossimo sul serio una famiglia. Saresti la mia prima sorellina.» 
Fortunatamente, riesco a farla sorridere. 
«Se si tratta di te, Syaoran, lo accetterei qualunque fosse il tuo ruolo. Lo accetterei per te.» 
«Perché stai bene in mia compagnia?»
Alla sua conferma tiro un sospiro di sollievo. 
«Scusami, non volevo farti piangere.»
«Ah, scusami tu, non era mia intenzione farlo.»
Ci rialziamo entrambi e prontamente si tiene il regalo, infilandoselo in borsa prima che riesca a riprendermelo io. Lascio perdere, pensando a come distrarla ora che, senza volerlo, le ho guastato l’umore.
Rimugino per tutto il tempo mentre butto l’immondizia e poso i vassoi, ripensando a quello che dice sempre Fay-san sulle donne. Ossia, che per farle felici e distoglierle da qualsiasi preoccupazione, bastano gioielli, borse e vestiti. 
Torno quindi da Sakura e le propongo, pur consapevole di ciò a cui vado incontro: «Vuoi fare un po’ di shopping con i soldi avanzati?» 
A questo il suo viso si illumina e annuisce con enfasi, rimettendosi il cappello. 
«Così se okaa-sama prova ad indagare avrò un alibi.» 
Che astuta.
Sogghigno divertito, capendo che devo direttamente condurla tra le grandi firme.
Nel vedere un negozio in particolare si esalta tutta e ci si fionda dentro, cominciando sin da subito a guardare abiti su varie stampelle. Ammetto che i capi sono piuttosto graziosi, hanno un che di delicato, quasi fossero fatti di un tessuto leggerissimo; ma nel momento in cui i miei occhi cadono sui prezzi impallidisco. Ecco, mi sento di nuovo come se avessi messo piede in un mondo che non mi appartiene. 
Un po’ a disagio attendo che Sakura finisca di misurarsi quello che ha trovato, spostando il peso da un piede all’altro. Di questo passo, mi sa che ne riuscirà a comprare solo uno. 
Dopo qualche minuto mi sento chiamare sottovoce, per cui mi volto verso i camerini e noto una mano farmi segno. Mi avvicino, prendendogliela. 
«Hana, cosa -» 
Non riesco a proseguire che mi tira all’interno, con una forza imprevista, chiudendo per bene la tenda alle mie spalle. Si distanzia all’angolo opposto, facendo un giro su se stessa per mostrarmi l’abito che ha trovato. 
«Come sto?»
Anche questo ha delle sottili bretelline dorate, ma è stretto sotto il petto e la gonna è asimmetrica, più corta davanti e più lunga dietro. È del colore delle colombe, con fiori realizzati da piccole gemme colorate e ricami sulla parte superiore, a partire dalla scollatura squadrata. 
«D’incanto.» 
Soltanto vedendola sgranare quegli occhi che finalmente mi mostra e farsi tutta rossa realizzo quello che ho detto. Accidenti, a volte essere del tutto schietti non è proprio un bene. 
Tossicchio, sviando lo sguardo. 
«Dovresti prenderlo, sembra fatto su misura per te», suggerisco, facendo come per uscire, ma lei mi trattiene, avvolgendo le sue piccole braccia attorno al mio busto. 
«Syaoran, questo… questo è per ringraziarti di tutto quello che fai e hai fatto per me, anche se forse non mi basterà tutta la vita per dimostrarti la mia gratitudine. Se c’è qualcosa che desideri, ti prego di dirmelo. Qualunque cosa sia, farò di tutto affinché si realizzi.» 
Sorrido tra me, raddolcito da quel suo bel pensiero. Poso le mani sulle sue per farle allentare la presa, e una volta che mi lascia mi giro verso di lei, trovandola ancora con le gote rosse e gli occhi lucidi. 
Le sfioro quella stessa guancia fino a poco prima solcata da una lacrima, parlandole col cuore. 
«L’unica cosa che desidero, adesso, è che tu sia felice.» 
Di nuovo le lacrime si raccolgono nei suoi occhi, per cui li serra, annuendo. 
«Lo sono.» 
«Perfetto allora, hai già realizzato un mio desiderio!» Le aggiusto i capelli, carezzandoglieli affettuosamente. «Ti aspetto fuori, cambiati con calma.» 
Esco di lì e, ignorando le occhiate curiose degli altri clienti, torno accanto ad una vetrina. Mi porto una mano al petto, sentendomi per qualche ragione più leggero.
Da quando ho conosciuto Sakura, la mia vita ha preso un nuovo ritmo: più accelerato, più emozionante, totalmente nuovo e contemporaneamente familiare. Come se qualcosa di simile lo avessi già vissuto prima, forse nella scura selva di quel mio antico passato obliato.










 
Spiegazioni:
- Il ciondolo col garofano è stato scelto perché il nome "Nadeshiko" ha il significato di quel fiore.
- Nii-sama = fratellone; okaa-sama = mamma.
- "Mou" è un'interiezione che esprime qui lamento.
- "Itadakimasu" = è quello che si dice prima di cominciare a mangiare, lo potremmo tradurre come un "Buon appetito".

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Capitolo 10
*** 9 ***


IX



 
 
 
Dopo aver finito di fare compere, abbiamo pensato di fare un ultimo giro salendo sulla Tokyo Tower. Neppure qui, Sakura c’è mai stata. Pensare che è una meta talmente scontata che vi si fanno persino le gite scolastiche, sin dalle elementari. Anche noi ci venimmo, al sesto anno. E invece, lei, è la prima volta che mette piede in questo gigante di acciaio.
Ecco perché non appena arriviamo invece di prendere l’ascensore le faccio salire le scale – dopo essermi assicurato che non le facesse paura, ma lei ha ribattuto «Per niente!» tutta esaltata, non mantenendosi neppure alla ringhiera, troppo impegnata a reggersi il cappello dal vento e guardare la città dall’alto. Per questo cammino dietro di lei, assicurandomi che non sbandi o inciampi negli alti gradini.
Ci fermiamo così alla prima piattaforma panoramica, dove le presento la mascotte della torre, e le faccio fare un rapido giro tra i negozietti contenuti in questi piani; in uno di essi acquisto per lei un piccolo souvenir, ossia un portachiavi con la mascotte in questione. 
«Un regalino, per ricordarti di oggi», spiego quando mi guarda confusa.
Nell’udire ciò mi ringrazia di cuore, appendendolo immediatamente accanto alla borsa. 
«Si intona bene», commentiamo all’unisono, prima di guardarci e scoppiare a ridere. 
Essendomi lasciato la parte più bella per ultima, la conduco successivamente ancora più su, prendendo l’ascensore in vetro, dal quale osserva costantemente il suolo che si distacca dai suoi piedi, mostrando un sorriso a trentadue denti. 
«È come volare!» sussurra in continuazione, come un disco rotto. 
Le do ragione, pur aggiungendo: «In realtà questo non è ancora niente». 
Mi guarda non nascondendo affatto la trepidazione. 
Una volta aperte le porte la guido fino all’osservatorio speciale, e non appena vi mettiamo piede esclama un acutissimo «Waaaaah è bellissimo!».
Corre a guardare gli specchi caleidoscopici che costituiscono la struttura centrale, restando senza fiato, per poi spostarsi subito ad occupare la prima finestra libera, sporgendosi dal parapetto senza alcun timore.
Ammira la metropoli da tutti i lati, sembrando arricchirsi sempre più di meraviglia, e io mi appoggio alla ringhiera alla sua destra, osservandola rasserenato. 
In realtà, non l’ho detto a Sakura per non farla preoccupare inutilmente, ma è da stamattina che ho l’impressione che siamo seguiti. Probabilmente sono semplicemente le sue guardie che non vogliono perderla di vista, anche perché loro non avrebbero ragioni di fidarsi di me. Ciononostante, la percezione che ne ho è meno piacevole. Come se sul serio ci stessero pedinando. 
È anche per questa ragione che l’ho condotta quassù, dove il numero di persone è nettamente inferiore.
Rivolgo uno sguardo attento ai turisti presenti, scrutandoli uno per uno, in cerca di comportamenti ambigui. Non identifico nessuno di sospetto e non mi sembra ci sia qualcuno che ci stia dedicando attenzioni. 
«Syaoran.» 
Mi volto verso Sakura, vedendo che mi tira per un braccio. 
«Guarda!» 
Mi abbasso alla sua altezza, avvicinandomi a lei per vedere cosa sta osservando, e noto che il dito posato contro il vetro è direzionato verso la sua casa. 
«Dov’è il tuo appartamento?» domanda curiosa. 
Dovrebbe essere più a nord e più lontano, quindi lo cerco con attenzione, prima di indicarglielo. Anche se, non che da qui si veda molto.
«Al settimo piano, il balcone che affaccia in questa direzione appartiene alla cucina, e la finestra accanto è quella del bagno. Sul lato sinistro c’è la camera di Kurogane-san, dirimpetto alla sua quella di Fay-san, e in mezzo alle due all’angolo opposto c’è la mia, sul lato affacciante ad est. La cucina, avendo il balcone verso nord, permette di vedere alba e tramonto.» 
«Sembra bellissimo…» 
«È piuttosto piccolo, ma confortevole. Non ci manca nulla e abbiamo anche un animale da compagnia.» 
«Che animale?» Si volta verso di me, con occhi brillanti. 
«Un coniglio bianco, Mokona. A quanto pare avrebbe dovuto essere nano, ma è cresciuto più del previsto. Per questo Kurogane-san lo chiama “shiroi manjū”.» 
Scoppia a ridere, coprendosi bocca e pancia. 
«Mi piacerebbe tanto incontrarli tutti.» 
«Mmh… vedrò cosa posso fare», prometto, pur immaginando già gli eventuali rimproveri di Kurogane-san. 
«E l’università, invece?» 
Cerco anche quella e una volta trovata gliela mostro, con lei che strizza gli occhi, portandosi persino una mano alla fronte, quasi così possa riuscire a vederla meglio. 
«Sembra un edificio così grande e antico!»
«Ci sono varie facoltà, compreso un dipartimento dedicato agli studenti stranieri. E ad essere antica… beh, lo è, essendo stata fondata nel 1877», spiego. 
«Ohh!» esclama affascinata. «Tu come ti ci trovi?» 
«Bene, c’è un clima abbastanza tranquillo. Forse anche perché ognuno è impegnato col proprio studio, quindi non ci sono tutta quella vivacità e frenesia tipiche del liceo.»
«Capisco. È molto difficile?» 
«Dipende dai punti di vista. I programmi per ogni esame sono certamente più ampi che in precedenza, ma è piacevole studiarli. Sono tutti interessanti, e la maggior parte dei docenti sono molto preparati. Sono particolarmente abili nello spiegare la loro materia, mantenendo viva la nostra attenzione e coinvolgendoci.» 
«Anche tu sei così.»
«Eh?» 
Mi rivolge un sorriso, ripetendo: «Anche tu sei così. Sei molto bravo a spiegare e chiarificare le cose, utilizzi dei buoni metodi per farmele memorizzare, hai un tono di voce molto rilassante e al contempo penetrante, che mi permette di assimilare subito qualunque parola tu mi dica. Ancora riesco a ricordare quello che mi hai insegnato i primi giorni, e non mi è mai accaduto con altri istruttori prima. La cosa buffa è che ricordo persino i toni che hai utilizzato nel pronunciare determinate frasi. Hai una voce molto melodica. Non sei giapponese, vero?» 
Scuoto la testa, incapace di esprimermi, troppo lusingato e al contempo spiazzato. 
«Lo immaginavo, anche perché il tuo nome non è nipponico.» 
«Il mio nome…» mormoro appena, guardando proprio in quel momento una rondine che vola più in basso di noi. 
«Mmh?» 
«No, niente.» Mi ridesto dai miei pensieri, guardandola grato. «In effetti ho origini cinesi, ma… sei sicura che riesca ad essere un buon insegnante?» 
Sorride apertamente, annuendo. 
«Talmente sicura che te lo consiglio come professione futura. Non so se hai già le idee chiare su quel che vorrai diventare una volta laureato, ma sappi che io ti ci vedo benissimo come docente, soprattutto se di storia o archeologia.» 
«Dici sul serio…?» 
Possibile che Sakura possa trovare per me l’ambizione che mi manca?
«Sì. Secondo me dovresti prenderlo in considerazione. A meno che tu non abbia dei piani più grandi.» 
«Che piani pensi io possa essermi fatto?» 
È interessante ascoltare le sue idee su di me. Magari può davvero essermi d’aiuto. 
Si porta un dito al mento, meditabonda. 
«Mmm non so, magari vuoi lavorare all’estero? Visto che ti piace viaggiare? Quindi… vuoi diventare un diplomatico? Saresti bravo a trattare con gli altri.» 
Scoppio a ridere, scuotendo la testa. Non mi ci vedo affatto. 
«Ambasciatore, forse?» 
Nego di nuovo, provando a reprimere almeno un po’ le risate.
«Ministro degli esteri?» 
«Hana, stai puntando troppo in alto!» È esilarante, ma d’altronde avrei dovuto aspettarmelo, pensa pur sempre con una mente direzionata verso la politica. 
Fa spallucce, replicando: «Io ti ci vedo bene anche come primo ministro, hai così tanto in comune con mio padre, e se ce l’ha fatta lui potresti farcela tranquillamente anche tu». 
«Ti ringrazio per credere così tanto in me e donarmi tanta autostima, ma dubito che, qualunque cosa deciderò di fare, rientrerà nell’ambito governativo.» 
«In tal caso, provo con qualcosa di più semplice. Archeologo, restauratore, critico dell’arte, proprietario di un museo?» 
C’è stata di nuovo un’escalation, ma quanto meno stavolta s’è mantenuta in una sfera più raggiungibile. 
«Forse archeologo?» propongo incerto, ma lei non esita neppure per un istante.
«Sì, ti ci vedo. Diventa docente di archeologia e archeologo insieme, affascinerai tutti i tuoi studenti.» 
Sembra così onesta, ma non riesco a non ridacchiarne. 
«Vedremo. Lo terrò in considerazione.» 
Le faccio segno di cominciare a scendere e mentre siamo in ascensore abbassa la voce e mi si avvicina, in modo tale che possa udirla soltanto io. 
«Vuoi sapere una cosa che solo in pochi sanno? Anche mio padre, prima di diventare un politico, ha fatto i tuoi stessi studi, seppure da autodidatta. Ciononostante è stato notato per il suo talento e un suo conoscente gli ha dato la possibilità di lavorare per un certo periodo in degli scavi. Come vedi, la vita è imprevedibile, e a volte ad aiutarti sono persone da cui neppure te lo aspetti.» 
Ci sono diverse cose che ultimamente sto percependo in Sakura. Nonostante il suo aspetto pacato, se ci si mette sa essere piuttosto peperina. Sembra ingenua, ma in realtà è molto decisa e sicura di sé, delle proprie scelte, delle proprie idee, tanto da insistere per farle valere fino alla fine. Sembra fragile e debole, e invece nasconde una forza imprevista, soprattutto interiore. Il suo cuore è enorme, e ha una tendenza a preoccuparsi per gli altri e dare loro la precedenza, nonostante non si senta bene con se stessa. O meglio, con la sé attuale. Ciò è palese perché non è in grado di fingere, e anche se talvolta si forza di farlo – forse convincendosi che sia ciò che è meglio per il bene di tutti –, non le riesce a lungo, e al di là di quei finti sorrisi si scorge la sua insoddisfazione. E poi, per chi la guarda da fuori può sembrare infantile; sicuramente qualcuno avrà anche osato definirla viziata, ma lei è esattamente l’opposto. Oltre ad essere acculturata, ci sono momenti in cui lascia emergere una maturità inaspettata, una saggezza che neppure si addice ad una sedicenne. Capisco però che tutto ciò deriva dall’esperienza offertale finora dalla vita. 
Ad ogni modo, per ringraziarla per avermi tracciato dei sentieri sulla strada verso il futuro, prima di riaccompagnarla decido di darle la possibilità di mangiare qualcosa di tipicamente estivo. L’immagine di un buon gelato artigianale si forma subito nella mia mente e provvedo immediatamente a portarla in una gelateria che ha appena aperto e offre anche cibi più sfiziosi. 
Ci accomodiamo ad un tavolino e, già solo nel guardare il menù, mi sembra di vederla sbavare. A quanto pare è stata una buona idea. 
Ordino una coppetta col triplo cioccolato, spolverata di matcha coi pocky, mentre Sakura punta immediatamente a quella più grande, con diversi sapori fruttati e vaniglia, pezzi di frutta di stagione, riccioli di panna, cioccolato, granella di nocciole e una fetta di torta alle mele. 
Quando ci viene posato innanzi e lo comparo al mio bicchiere, mi rendo conto che il suo è veramente gigantesco.
Esulta come un’infante, scattandovi fotografie da qualsiasi angolazione, prima di assaggiarne una cucchiaiata. 
«È così buonoooo», canticchia, offrendomene un po’. «Vuoi assaggiare?»
Incuriosito mi lascio imboccare, riconoscendo che in effetti ha un buon sapore. 
«Tu vuoi un po’ del mio?» 
Nega con la testa, passando subito alla fetta di torta. 
«È deliziosa, aaaah! Lo sai che le mele sono il mio frutto preferito?»
«Non me l’aspettavo», ammetto. Di solito alle persone piacciono frutti meno comuni, ad esempio le fragole, l’anguria, le pesche…
«Forse perché quand’ero piccola mia madre le grattugiava apposta per me, e dopo aver visto quanto le apprezzassi, ad ogni mio compleanno ha cominciato ad usarle come ingrediente base nelle torte. Quindi, come puoi immaginare, a casa non mancano mai. Tu hai qualche frutto preferito?»
«Mmm… forse i ribes, è raro che riesca a mangiarli. E i gelsi. Quelli neri sono particolarmente buoni. Quando andai in Italia ce n’erano molte piantagioni.»
«Gelsi… non credo di averli mai assaggiati. Che sapore hanno?»
«Non è semplice da descrivere, perché è dolce, ma contemporaneamente aspro. Somiglia un po’ a quello delle more.» 
Fa un cenno di comprensione, sgranocchiando le fragole insieme alla panna, ammettendo poi: «Non sono mai venuta in un locale simile, specializzato proprio nei dolci. Io amo tantissimo i dolci. A casa li mangio quasi ogni giorno». 
«Così frequentemente?» 
«In un pasto che si rispetti non può certamente mancare il dessert, piccolo o grande che sia.» 
Lo dice come se stesse recitando una parte già scritta, facendomi ridere. 
Fingo di stare al gioco, facendo un piccolo inchino. «Mademoiselle, perdoni la mia ignoranza a riguardo. Se lo avessi saputo, avrei provveduto prima a completare il nostro pasto.» 
Anche lei ridacchia, coprendosi con una mano con fare elegante. 
«Monsieur, la perdono per questa volta.» 
Sopprimo anch’io il riso con un pugno, tornando al mio gelato prima che si sciolga. Mi sembra sia trascorsa un’infinità di tempo dall’ultima volta in cui mi sono divertito tanto, stando con qualcuno. 
Con un sorriso osservo di sottecchi Sakura alle prese coi pezzetti di frutta, che cerca di mettere insieme anche panna e torta. Non dubiterò più del suo stomaco d’ora in avanti, anzi, devo prendere nota del fatto che sembra averne uno a parte per i dolci. 
Si spazzola via tutto, stavolta impiegandoci il mio stesso tempo, e mi rivolge un’espressione pienamente appagata. 
A mia volta soddisfatto mi affretto a pagare il cameriere e mi alzo, prendendo la busta col vestito. Le porgo una mano per aiutarla a rialzarsi e lei la accetta volentieri, lasciandosi scortare all’esterno.
«Siamo ancora in tempo?» 
Controlla l’orario, confermando. 
«Tranquillo, mio fratello non cercherà di farti fuori. E se anche ci provasse, ci penserei io a proteggerti.» 
«Ah sì?» 
«Non usare questo tono ironico, dico sul serio. Anche se in effetti ti saprai proteggere da solo, quindi al massimo io gli do il resto per vendicarti.» 
«Insomma, vedo che gli vuoi molto bene», scherzo, al che emette un sospirone simile ad uno sbuffo.
«Gli voglio bene, però è asfissiante. Capisco che, essendo la sua sorellina, mi consideri il suo tesoro più prezioso, ma non sono più una bambina. Posso cavarmela. Deve imparare a lasciarmi andare.» 
«Su questo sono d’accordo.» 
«Tu credi in me, Syaoran?» mi chiede incredula. 
«Certo che credo in te», rispondo con onestà, e con essa sembro quasi farla sciogliere.
«Saresti il primo, forse.» 
Sto per ribattere che sicuramente non è così, quando si rifà viva la sensazione di poco prima, stavolta in modo più intenso.
Metto la busta nelle mani di Sakura, per quanto possa risultare sgarbato, e faccio sì che finisca contro il muro della stradina secondaria che mi ha indicato Yukito-san come scorciatoia per raggiungere il kōtei senza dare nell’occhio. Le sussurro accanto all’orecchio di non muoversi, voltandomi immediatamente, parandomi dinanzi a lei in posizione di difesa. Quasi nello stesso momento individuo diverse presenze, le quali si palesano dinanzi a noi formando un semicerchio, bloccandoci qualsiasi via di fuga. Osservo il loro abbigliamento, così simile a quello dei ninja, certamente fatto apposta per non farsi vedere in viso. A questo punto, non possono certamente essere le guardie del corpo di Sakura. 
La sento trattenere il fiato e allungo una mano facendole segno di mantenersi indietro, prima di passare immediatamente all’attacco, non perdendo ulteriore tempo. Come osano rovinare una giornata che ho fatto di tutto per rendere perfetta per lei? 
Colpisco prima i due più prossimi a noi, passando rapidamente dall’uno all’altro, riconoscendone le mosse. Ninjutsu.
Li metto k.o. in pochi colpi e reagisco immediatamente agli altri tre, che mi vengono addosso tutti insieme. Anche sleali. Sfrutto i calci per riuscire a voltarmi e tenere costantemente d’occhio Sakura, assicurandomi che i due non si rialzino. La vedo con una mano sulle labbra, la busta stretta al petto, evidentemente impaurita e preoccupata. Non è quello che volevo. Non desideravo si concludesse così la nostra uscita. 
Digrigno i denti, facendo sì che i due ai miei lati si colpiscano l’un l’altro per sbaglio, dedicandomi a quello centrale, toccandogli un punto preciso dietro il collo per fargli perdere i sensi. Mi accerto che gli altri due si siano atterrati da soli, prima di voltarmi verso Sakura, raggelandomi per un istante. Me lo sentivo che ne mancava uno, e a quanto pare stava celando la sua presenza tra gli arbusti oltre il muro alle nostre spalle. Dannati ninja. 
Raggiungo immediatamente Sakura, proprio mentre la ghermisce per un braccio – nonostante i suoi tentativi di resistenza –, e afferro il suo polso, costringendolo a lasciarla, prima di strattonarlo per farlo cadere e tirargli un calcio nello stomaco, lasciandolo a contorcersi sul suolo. 
Ritenendo che ci metterà un po’ a rialzarsi mi volto verso Sakura, controllandola. 
«Non sei ferita, vero? Ti ha fatto male?»
«N-no…» mormora appena, sembrando smarrita, serrandomi il cuore in una morsa. Avrà avuto così tanta paura! 
La stringo a me, con tutte le mie forze. 
«Va tutto bene, è finita. Nessuno ti farà del male, te lo prometto», le ripeto, cercando di rassicurarla, affondando il viso sui suoi capelli. Dovevo essere più accorto, forse… Forse avrei potuto evitare che accadesse. Forse se mi fossi allontanato con un pretesto, se li avessi individuati prima - 
«Syaoran?» 
Accorgendomi che mi sta dando dei colpetti sulla spalla, mi tiro un po’ indietro. 
«Ti ringrazio tanto, ma… non ne hai ucciso nessuno, vero?» 
È questo che la preoccupa? Perché si dà pena per persone tanto spregevoli? 
«No.» 
Tira un sospiro di sollievo, lasciandomi sbigottito. Mi allontano di poco, ma nell’udire dei passi mi volto immediatamente, parandomi di nuovo dinanzi a lei. Ancora non si sono arresi? 
Stavolta intercede verso di noi un uomo ben vestito, forse della stessa età di Yukito-san, dai capelli biondi un po’ ondulati e gli occhi azzurri, dal taglio affilato. Rivolge lo sguardo verso gli uomini a terra con aria di sconforto. 
«Yōou-sama avrà sicuramente da ridire.»
Del tutto ignorandomi si accosta a Sakura, prendendole una mano per posarvi un bacio. 
«Sakura-sama, mi auguro che i nostri uomini non le abbiano incusso troppo timore.»
«No, li ho riconosciuti subito. Anche se confesso che ho dubitato per poco che potessero non essere loro.» 
Non capisco cosa sta succedendo. Sakura li conosce? Un attimo, quindi ho frainteso? Non avrei dovuto combatterli?
L’uomo si volta verso di me e incrocia le braccia, scrutinandomi. 
«Quindi, tu saresti Syaoran-san.» Mi ruota attorno, facendomi letteralmente una radiografia da capo a piedi, per poi dedicarsi agli uomini a terra, controllandone il battito cardiaco. 
«Sono ancora tutti vivi», osserva, tirando un sospiro di sollievo. «Ma in effetti non so se conviene loro, a casa riceveranno anche il resto.» Rabbrividisce, prima di rialzarsi e pulirsi le mani con un fazzoletto, tornando da me. «Se fossero stati armati, cosa avresti fatto?» 
«Avrei provveduto a disarmarli, prima di combatterli.» 
«E metterli fuori gioco?» 
«E chiamare le forze dell’ordine», aggiungo. Mi volto verso Sakura, impensierito. «Sakura, sei sicura di conoscerlo?» 
Lei annuisce, spiegando: «È Imonoyama Nokoru-san, il manager di Tomoyo-chan.»
«Tomoyo-chan?»
Non credo che l’abbia mai sentita nominare.
«Tsukuyomi», spiega in breve, mostrando un piccolo sorriso impacciato.
… Il manager della figlia dell’imperatore?! 
Mi volto a guardarlo, abbassandomi in un inchino. 
«Sono profondamente mortificato per le mie azioni e parole, non era nelle mie intenzioni mancare di rispetto né a lei né alla principessa. La prego di porgerle le mie più sentite scuse.» 
«Che ragazzo a modo. Tranquillo, non preoccuparti di queste cose, e dammi pure del tu. D’altronde siamo noi ad essere in difetto, ma non potevamo certamente avvisarvi o il test non avrebbe funzionato.» 
«Il test?» ripetiamo entrambi spaesati, mentre un qualche distante scampanellio risuona nella mia mente, ben presto sostituito dalla voce di Nadeshiko-sama. 
«Congratulazioni per averlo superato a pieni voti.» Mi prende una mano e la scuote, sentenziando: «D’ora innanzi tu sarai la guardia del corpo di Sakura-sama».










 
Angolino autrice:
Buonasera e buona domenica! Non aggiornavo da un po', e quindi eccomi qui con la seconda parte dell'uscita per comprare il regalo a Nadeshiko, per concludere in bellezza la settimana!
Dunque, so già molti di voi cosa si stanno chiedendo, ma non posso parlare. E quindi mi limiterò a dare spiegazioni "safe". 
Qui si parla di sesto anno perché le elementari in Giappone durano 6 anni (le medie 3, il liceo 3, l'università di norma 4). 

"Shiroi manjū" è traducibile come "polpetta bianca" (se non erro, dovrebbe essere così anche nella traduzione della Star Comics), dove i manjū sono dolcetti dalla forma tonda a base di farina, grano saraceno e riso in polvere e hanno ripieni vari (solitamente di "anko", una sorta di confettura fatta da fagioli azuki bolliti e zucchero).
I "pocky" non sono altro che i "Mikado".
Il "kōtei" è la residenza del primo ministro (è quindi una parte del "kantei" precedentemente citato).
Il ninjutsu, come immagino già sappiate, consiste in strategie e tattiche militari non convenzionali portate avanti dagli shinobi (spie, assassini, esploratori). 
E dopo questo posso anche sparire.
Spero che la storia stia piacendo!
Ringrazio tutti coloro che leggono, e vi auguro una buonanotte!

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Capitolo 11
*** 10 ***


X



 
 
 
Essere la guardia del corpo di Sakura implica, naturalmente, tutte le cose che sua madre già mi ha illustrato, ossia fungerle da scorta ogni qualvolta lei desideri uscire e assicurarmi che rientri in casa sana e salva. Purtroppo però non le viene concesso spesso, quindi per lo più ho continuato a portare avanti il mio compito col ruolo di “istruttore”.
Un giorno, mentre stavo per andarmene dopo una lezione, Nadeshiko-sama, avvolta in un kimono meno sfarzoso di quello con cui l’ho conosciuta, mi si è approcciata, offrendomi una busta di carta dalla superficie crespa. Mi ha lasciato interdetto, visto che ci siamo accordati che i pagamenti avvengano direttamente sul mio conto, alla fine di ogni mese – che poi, nonostante siamo giunti ad un accordo sulla paga (considerando eccessiva quella da loro proposta), continua ad essere una cifra troppo alta per me. Potrei sul serio permettermi un viaggio all’estero ogni settimana, recandomi anche all’altro capo del mondo, senza temere di finire in bancarotta. A mio parere è uno sperpero di denaro, ma quando ho detto loro che potevano ridurlo ancora mi hanno guardato straniti, quasi avessi parlato in aramaico. 
«Ma è così poco!» hanno ribattuto, in una maniera che lasciava temere potessero persino sentire dolore fisico per quella cifra così misera (a loro parere).
A quel punto ci ho rinunciato, lasciandoli fare come desideravano. È inutile aprire discussioni sull’utilizzo del denaro, quando mensilmente si guadagna più di quanto io, qualsiasi lavoro intenda fare nella mia vita, potrei guadagnare in mezzo anno. O forse persino in un intero anno. 
Tra l’altro, non provo alcun piacere nel discutere su queste cose, ci andrei unicamente a perdere. Anzi, già mi hanno fatto un grosso piacere venendomi incontro. 
Fatto sta che non mi aspettavo di ricevere la paga in anticipo, quindi, poco convinto, non ho potuto fare a meno di indagare sul suo contenuto. 
«È un invito, per il mio compleanno.» 
«Devo consegnarlo a qualcuno?»
L’ho voltato, cercando il destinatario, pietrificandomi quando ho letto il mio nome. 
«Hai detto che non hai intenzione di venire a vivere qui.» 
Ho ribadito quel concetto più volte, anche in presenza di Sakura, la quale tuttora non riesce a capacitarsene; l’unico che per una volta mi ha appoggiato, apprezzando quell’aspetto così responsabile di me, è stato Touya-sama. 
«Questo non toglie che, se in questa famiglia si tiene un evento, e a questo evento partecipano molti personaggi illustri, tra cui diplomatici e politici stranieri, è richiesta la tua presenza.» 
«Nonostante tutte le guardie che ci saranno?»
«Syaoran-kun, per quante guardie ci siano, tu sei la sola ed unica per mia figlia. Come lei conta su di te, noi tutti abbiamo fiducia e grandi aspettative per te.» 
Sapevo di non poter osare replicare in alcun modo, né sarebbe stato garbato rifiutare una simile cortesia, e neppure potevo tirarmi indietro dal mio dovere. Insomma, non ho avuto alternative. 
Così ora eccomi qui, lindo e pulito, formale e profumato, dopo essere stato preparato da Fay-san – che in vista dell’occasione mi ha fatto acquistare un nuovo abito che, in altri tempi, non avrei mai potuto permettermi. Yukito-san mi dà un ultimo tocco finale, aggiustandomi i capelli e stirandomi meglio il colletto della camicia sulla cravatta non appena scendiamo dall’auto.
Già sto morendo di caldo, ma quanto meno, a quanto ho sentito, nel salone in cui si terrà il party ci sarà l’aria condizionata. 
Quel che mi ha stupito, in ogni caso, è il fatto che la festa non si tiene nella dimora a Tokyo, bensì in una lussuosa villa con piscina affacciata sul lungomare, molto più grande e sfarzosa di quella che conosco, che ho scoperto essere una delle loro tante residenze estive. Insomma, non si fanno mancare proprio nulla. 
Per raggiungerla, io e Yukito-san abbiamo dovuto fare un viaggio di oltre due ore di macchina, e per quando siamo scesi già mi sentivo grondare acqua sulla schiena. Fortunatamente, considerando che al nostro arrivo mancava ancora un’oretta prima che si presentassero gli ospiti, lui ha avuto il tempo di darmi una sistematina. 
Una volta che mi ritiene presentabile ci spostiamo quindi nel salone, il quale si rivela essere di una grandezza incommensurabile; contro una parete perlacea ci sono due lunghi tavoli coperti da tovaglie immacolate, pieni zeppi di vassoi celati da coperchi d’argento, piatti di porcellana, posate che suppongo essere a loro volta d’argento, calici di cristallo, tovaglioli di seta e, ad intervallare il tutto, giganteschi vasi dalla superficie lucida e iridescente, avvolti da nastri che scivolano fino a terra e riempiti di rose, garofani, eustoma, gigli, ortensie, gelsomini, limonio, tulipani e camelie in bouquet perfettamente sferici, sui toni del bianco, rosa e lilla. Questi ultimi sono anche piazzati nei quattro angoli della sala, riempiendola di un profumo dolce e penetrante.
Andando avanti, tra i due tavoli c’è una gigantesca fontana di punch in cui galleggiano viole, con ai lati sculture in ghiaccio raffiguranti dei cigni. Al lato opposto, in maniera angolare, sosta un pianoforte a coda nero, che riconosco essere uno Steinway. Dal soffitto pendono quelli che a questo punto non dubito neppure essere lampadari di cristallo vero, considerando i riverberi arcobaleno dei pendagli a goccia contro la luce del tramonto, e infine una quantità impensabile di delicati dipinti paesaggistici impressionisti tappezza tutte le pareti.
Come lo guardo lo guardo, mi sembra piuttosto di trovarmi in un castello. 
Di fronte a me le porte vetrate sono aperte su un’ondosa piscina blu, mostrando che anche all’esterno sono stati allestiti tavolini con sedie e vasi più moderati, divanetti con accanto posaceneri, ombrelloni e tendaggi arricchiti di altri fiori e nastri, e persino delle sdraio già aperte, con un angolo dedicato ai cocktail. Oltre tutto questo si estende il mare, nel rosso dorato della sera.
Torno a contemplare i dipinti, ammirando in particolare quelli di Venezia e del giardino giapponese di Monet. È sempre stato uno dei miei artisti preferiti, per il suo pensiero, col suo incentrarsi su un singolo istante e catturarlo per sempre, per la sua estetica, lo stile di pittura, l’utilizzo dei colori e i soggetti che prediligeva. 
Ci pensa Yukito-san a ridestarmi dal mio incanto, facendomi segno di mettermi composto; così capisco che la festeggiata sta per fare il suo ingresso. Mi posiziono ritto accanto a lui, volgendo lo sguardo verso l’ingresso della sala.
Nadeshiko-sama indossa un lungo abito di seta d’un pallido glicine, che avvolge morbidamente la sua dolce figura, aprendosi in un lungo strascico a partire dalle sue ginocchia. Gran parte dei suoi capelli sono raccolti sul capo, intrecciati con quegli stessi fiori che adornano e olezzano la sala, e il suo viso è truccato in maniera delicata.
Yukito-san è il primo a porgerle i suoi auguri, abbassandosi in un inchino e baciandole il dorso della mano destra. Quindi funziona così. 
Memorizzo i suoi movimenti, imitandoli non appena il suo turno finisce. Appena mi stacco le porgo il mio regalo, pronunciando: «È soltanto un umile pensiero». 
Non so se è per rispetto di me, considerando che siamo in pochi, fatto sta che, dopo avermi ringraziato, decide subito di aprirlo. Quando vede il portacandela di vetro artistico che si apre in cinque petali, con al centro una candela profumata intagliata a forma di fiore di loto, e cristalli d’ametista e quarzo rosa incastonati alla base, mi guarda con le lacrime agli occhi.
Lo adagia delicatamente sul tavolo, avvicinandosi a me per abbracciarmi. 
«Ti ringrazio di cuore, Syaoran-kun. È un dono bellissimo. Non ce n’era bisogno.» 
«Sono lieto di sapere che le piace.» Attendo che si tiri indietro per mostrarle un sorriso moderato. «Confesso che Sakura-sama mi ha aiutato nella scelta.» 
Naturalmente, ho dovuto necessariamente rivolgermi a lei, e dopo averle chiesto consiglio ha approvato quello, certa che lo avrebbe apprezzato. 
Mi rivolge un sorriso consapevole, poggiandomi poi una mano su una spalla: «Perché non vai a vedere a che punto è? Scommetto che non ha intenzione di scendere finché non avrà una scorta». 
Annuisco, congedandomi, ma prima rimedio al mancato saluto a Kinomoto-sama e suo figlio. Il secondo mi punta immediatamente un dito al petto, minacciandomi: «Attento a quello che fai con mia sorella, non azzardarti ad entrare in camera sua, e non -» 
«Touya-kun», sospira suo padre, abbassandogli la mano. «Ricordati che stiamo parlando di Syaoran-kun». 
«Ma padre, proprio per questo!» 
«Ve lo prometto», assicuro, prima di inchinarmi e uscire di lì. 
Mi appoggio per un attimo alla parete, massaggiandomi le tempie. Prevedo per fine serata una tremenda emicrania. 
Prendo un respiro, per poi subito dirigermi verso il piano superiore, considerando solo adesso che non ho idea di dove si trovi Sakura. Chiedo ad una cameriera di passaggio, la quale mi indica la stanza. La ringrazio e mi fermo dinanzi ad una porta in legno verniciata di bianco, esitando prima di bussare. Dubito che l’abbiano lasciata sola, quindi devo essere attento a come mi rivolgo a lei.
Mi schiarisco la voce, dando due colpetti leggeri, richiamandola: «Ojou-san, sono Syaoran».
Quando la porta viene aperta ne fa capolino una giovane cameriera, la quale mi adocchia con diffidenza. Ha una coda alta e un viso sottile, con occhi attenti. Non mi sembra di averla mai vista alla dimora principale.
«Cosa devo riferire alla signorina?»
«Sua madre -»
«Onorevole madre», mi corregge pungente. 
Raccolgo tutta la mia pazienza e cortesia, riprendendo: «La sua onorevole madre mi ha mandato a riceverla, per condurla alla festa».
«Non è ancora pronta.» 
E detto questo, chiude la porta. 
Mi appoggio alla parete, ricominciando a massaggiarmi le tempie. Figuriamoci se attendeva fine serata, l’emicrania già ha cominciato a farsi sentire. 
Approfitto del passaggio di un’altra cameriera per chiederle se può gentilmente portarmi un bicchiere d’acqua, prendendo un’aspirina. Chiudo gli occhi, isolando il vociare dei primi ospiti, rendendolo quanto più distante possibile, e distendo per bene i nervi e la mente, finché non odo la porta alla mia destra scattare.
Mi giro prontamente, e da essa ne fuoriesce la cameriera bambina; si congeda gentilmente a Sakura, prima di guardarmi nuovamente assottigliando gli occhi. 
«Adesso è pronta», sbotta, dandomi subito le spalle per andarsene. 
La ringrazio secco, per poi pormi subito dinanzi alla porta. 
«Ojou-san, sono venuto a chiamarla per…» 
Mi interrompo in quello che sto dicendo, restando senza fiato non appena la sua immagine rientra nel mio campo visivo. Indossa lo stesso abito acquistato insieme, abbinato ad alti sandali con lacci incrociati fin sotto le ginocchia, e gioielli in perle e diamanti a fantasia floreale. 
«Syaoran!» esclama stupita, ad occhi sgranati. 
Le sue palpebre sono incorniciate da un rosa perlato ricco di brillantini, che insieme all’eyeliner e al mascara nero esalta in maniera indescrivibile il verde delle sue iridi. 
Sebbene anche il suo viso sia truccato, mi accorgo che un leggero porpora si fa largo sulle sue gote lucenti, dando più colore al rosa caldo che le tinge le labbra. 
«Ehm… cosa ne pensi?» domanda timidamente, voltandosi per mostrarmi anche la sua acconciatura. 
Per quanto siano corti i suoi capelli, la cameriera ha fatto un lavoro eccellente: in qualche modo è riuscita a realizzare due basse trecce vaporose, lasciando poche ciocche ondulate a carezzarle la nuca scoperta, e nelle intersezioni vi ha inserito forcine con punti luce. 
«Sei stupenda», mi faccio scappare, totalmente rapito. «Sembri una fata.» 
Mi mordo la lingua, pentendomene subito. Ora l’avrò di nuovo messa in imbarazzo. 
Sorprendentemente si volta, e seppure sia persino più rossa in viso mi rivolge un sorriso accecante. 
«Anche tu sei bellissimo, Syaoran.»
Non aspettandomelo, mi sento balzare il cuore in gola. Fa anche improvvisamente più caldo. 
Sposto lo sguardo su uno specchio lì accanto, notando di essere altrettanto rosso in viso. Cerco di sbollire, spiegando: «Ero venuto anche prima, ma la tua cameriera mi ha chiesto di aspettare».
«Chunyan? Oh, spero non sia stata troppo sgarbata! In tal caso perdonala, è che diffida delle persone che non conosce, non intendeva arrecarti alcun danno. Al contrario, è una così cara bambina. Ha soli tredici anni, deve ancora maturare.»
Annuisco capendo, sorpreso tuttavia della sua giovane età. Già l’hanno presa al loro servizio?
«So cosa ti stai chiedendo. “Come mai tra la servitù c’è una ragazza così giovane?” Giusto?» 
Fisso Sakura sbalordito. Al mio assentire esulta, applaudendosi da sola. 
«Evviva, ci ho preso! Ad ogni modo, è perché per molti anni sua madre è stata la dama di compagnia di Amaterasu-sama, per cui dopo che è nata sua figlia l’hanno messa al servizio di Tomoyo-chan e, occasionalmente, le permette di occuparsi di me. Soprattutto durante questi eventi, considerata la sua bravura.» 
«È veramente abile», riconosco, per poi notare: «Avete una stretta connessione con le figlie dell’imperatore».
«Tomoyo-chan è la mia migliore amica e, dato che i nostri genitori sono praticamente cresciuti insieme, si ipotizzava di far sposare Amaterasu-sama con Touya-niisama. Peccato che nessuno dei due abbia intenzione di impegnarsi e, in ogni caso, non riescono a tollerarsi. Quando si ritrovano l’uno di fronte all’altra o litigano o si lanciano frecciatine costanti.»
«Immagino che anche Amaterasu-sama abbia un bel caratterino.» 
«Stasera la conoscerai, e te ne accorgerai. Ma sappi che in pubblico non lo lascia trapelare.» 
Quasi mi sembra di vivere un sogno. Sto per incontrare di persona persino l’imperatore e le sue figlie. 
Ritorno al presente, sentendo il vociare sottostante farsi più chiassoso e una leggera musica di pianoforte. Lancio una rapida occhiata al mio riflesso, assicurandomi che sia tutto in ordine, prima di fare un piccolo inchino verso Sakura. 
«Vogliamo andare?»
«Resterai al mio fianco?» 
«Sarò la tua ombra», prometto, e la vedo aprirsi in un sorriso rasserenato. 
Attendo che prenda il regalo e mi preceda, restando alle sue spalle.
La tengo d’occhio tutto il tempo, finché non giungiamo all’ingresso del salone, dove tutti gli sguardi si spostano su di noi. Quanta soggezione. 
Mi raddrizzo, notando che Sakura continua a procedere a testa alta, ignorando tutti, fino a raggiungere la madre accanto al piano. Le fa una riverenza, porgendole il suo dono. 
«Madre, buon compleanno.» 
«Ti ringrazio, mio piccolo ciliegio.» 
C’è una cosa che mi colpisce: non ci sono fotografi, né giornalisti, né paparazzi. Pensavo che ad un evento di questa portata fossero stati invitati, soprattutto considerandone l’importanza, ma a quanto pare la famiglia Kinomoto ci tiene a differenziare il pubblico dal privato. Ciò non toglie che gli invitati siano tantissimi, ma immagino si tratti soltanto di quei pochi fidi che hanno già avuto modo di conoscere Sakura. 
Cionondimeno, non mi sfugge che alcune donne in tailleur – le loro stesse guardie – siano armate di videocamere d’ultima generazione. Saranno state educate anche a questo.
In pratica, per lavorare in questa famiglia bisogna essere un factotum. 
Dopo che apre il regalo Nadeshiko-sama ne resta felicemente colpita, e chiede a suo marito di aiutarla ad indossarlo, sostituendo con la collana regalatole da sua figlia quella che portava. Una volta fatto la sfoggia con fierezza, chinandosi di poco per baciare sua figlia su una guancia e augurarle di divertirsi. 
Dopo Sakura è il turno di altri ospiti di porgerle i loro omaggi, e la mia protetta mi guarda per un nanosecondo, mostrandomi il sollievo nei suoi occhi. Rispondo con certezza, perché ero sicuro che le sarebbe piaciuta. Dopodiché immediatamente si dedica al salutare a sua volta alcuni invitati, ripetendo sempre le stesse frasi fatte con un sorriso impeccabile e approfittandone per presentarmi come suo bodyguard – al che faccio solo un breve cenno col capo. 
Continuiamo con questa routine per un po’, finché non veniamo accostati da due fanciulle bellissime, talmente eteree e divine che sembrano non posare neppure i piedi a terra, avvolte nelle loro ricche vesti di broccato. Ora capisco perché le paragonano a Tsukuyomi e Amaterasu. 
Alle loro spalle riconosco Imonoyama-san, che mi saluta allegramente, mentre al suo fianco c’è un altro giovane uomo che si presenta come Takamura Suō – che scopro essere il manager di Amaterasu-sama.
Senza perdere ulteriore tempo, la più giovane delle due sorelle afferra con impeto le mani di Sakura, quasi commovendosi. 
«Aaahh Sakura-chan, sei di una bellezza senza pari! Sapevo che affidarti a Chunyan sarebbe stata la scelta più saggia!» 
«G-grazie, Tomoyo-chan. Anche tu sei splendida.» 
«Ti ringrazio. Oh, e sono così lieta di vedere che hai acquistato proprio questo vestito! Quando l’ho disegnato ho immaginato proprio come potesse essere addosso a te!» 
Eh?! L’ha disegnato la figlia dell’imperatore? Un attimo, pensandoci… Com’era il nome di quel negozio? “Piffle”?
Sapevo in effetti che la figlia dell’imperatore avesse creato una linea d’abbigliamento, ma fino ad adesso ero sempre stato convinto che fosse la maggiore. 
«A quanto pare la mia fantasia colpisce sempre il punto giusto! Quando abbozzai questo modello aggiunsi anche delle ali da fata alle tue spalle, ed effettivamente sembri proprio una fatina dei boschi! Sei così graziosa!» 
Sakura trattiene un sorriso, guardandomi di sbieco.
«È una cosa simile a quello che mi ha detto Syaoran.»
Arrossisco appena, ma questo significa che ho detto semplicemente la verità. 
«Syaoran-san… il tuo istruttore, giusto? E la tua guardia del corpo.» 
Come ormai fanno tutti, anche le due principesse mi analizzano dalla testa ai piedi. La più piccola si apre poi in un sorriso, coprendosi elegantemente con una manica. 
Si avvicina a Sakura, esprimendo il suo giudizio in maniera sufficientemente alta: «È proprio come lo hai descritto. Giovane, alto, slanciato, bello, affascinante, raffinato -»
«Kyaaa Tomoyo-chan, non dirlooo!» Le poggia una mano sulla bocca, guardandomi avvampando. «Hai… hai sentito?» 
«Ehm… Giovane, alto, slanciato», comincio ad elencare, sentendomi sempre più lusingato, ma lei si lamenta. 
«E va bene, prendimi anche in giro.»
«Perché dovrei? Ojou-san, lei non ha fatto altro che riempirmi di complimenti, e per questo la ringrazio.» 
Mi fissa sbalordita e ammetto che un tantino mi sento imbarazzato, ma non devo provare bizzarre emozioni. Devo semplicemente vederle come candide osservazioni. 
«Ohohoh che persona interessante!» esclama Tomoyo-sama, sorridendomi con astuzia. «E lei, Syaoran-san? Cosa ne pensa di Sakura-chan?»
«Tomoyo, finiscila», interviene immediatamente sua sorella, dandole un colpetto in testa. «Non è il momento di affrontare argomenti tanto frivoli.» 
Si rivolge poi a me, fissandomi dritto negli occhi. 
«Congratulazioni per aver battuto i nostri ninja e ottenuto una posizione inedita, al fianco di Sakura. Ma sappi che lei per me è come un’altra sorellina, quindi se ti azzardi a fare una sola mossa sbagliata sei finito.» 
Detto ciò si allontana, proseguendo con l’offrire il suo dono alla festeggiata.
Mi volto verso Sakura, bisbigliando: «Mi ha minacciato allo stesso modo di Touya-sama». 
Si scambia uno sguardo d’intesa con Tomoyo-sama ed entrambe ridacchiano, annuendo. 
«Anche noi diciamo sempre che sono fatti l’uno per l’altra, loro sono gli unici che non vogliono accettarlo.» 
In quello stesso momento Kinomoto-sama attira l’attenzione di tutti per inaugurare il buffet, dedicando un brindisi a Nadeshiko-sama. Mi unisco a tutti, ma faccio soltanto finta di bere prima di posare il calice al suo posto, ricordando gli avvertimenti di Kurogane-san. Non vorrei rovinare la leggera atmosfera col mio umore nero. 
Noto che Sakura fa lo stesso, posando il bicchiere pieno accanto al mio, prima di domandarmi: «Cosa ti piacerebbe mangiare?» 
«Posso?» 
«Certo che puoi!» 
Osservo le tavolate, adocchiando tutta la gente che vi si approssima. Mi rivolgo allora ad entrambe.
«Voi cosa vorreste?» 
«È indifferente, mangiamo di tutto.» 
«Vi preparo dei piatti», mi offro, ma Tomoyo-sama rifiuta per sé.
«Per me ci penserà Sōma.»
«Non è venuto Yōou-san, oggi?» 
«Lo conosci, non è un tipo da feste. Preferisce occuparsi di disciplina.» 
Provo ad intromettermi, correggendomi. 
«Ojou-san, allora vado a prenderle qualcosa. Resti accanto a Tomoyo-sama.»
«Stia tranquillo,» interviene quest’ultima, «le assicuro che è in ottime mani». 
La ringrazio tacitamente, per poi spostarmi accanto ai tavoli, ammirando quel menù sfarzoso da ristorante. Stuzzichini, antipasto di terra e mare, barche di sushi e sashimi, composizioni mai viste prima realizzate con carne e pesce, verdure e formaggi, quiche e quant’altro. Ce n’è davvero per tutti i gusti. 
Riempio un vassoio con un po’ di tutto, e quando mi sembra abbastanza mi sposto al tavolo opposto, dedicato interamente a dolci e frutta. Agguanto tutto quel che contiene mele e vaniglia, certo che entrambi i sapori piacciano a Sakura, notando anche dei tartufi e praline al cioccolato ricoperte di cocco. Supponendo che anche quelli possano essere buoni li aggiungo tra gli spazi vuoti, prima di tornare dalle due signorine. 
Quando mi avvicino a loro le sento lamentarsi, dispiaciute del fatto che non abbia potuto essere presente la famiglia Nekoi, ma nel momento in cui Sakura vede i piatti cessa di parlarne e strabuzza gli occhi, illuminandosi tutta. 
«Quante cose! E ci sono anche i miei dolci preferiti! È tutto per me?» 
Confermo col capo, preoccupandomi solo ora di un piccolo dettaglio: «Sono troppe cose?» 
«Affatto, sono giuste. Per entrambi.» 
Sogghigna e non mi lascia replicare nulla, decidendo di andare a consumarle fuori, all’aria fresca. 
Lei e Tomoyo-sama occupano un divanetto in una zona più all’ombra e isolata, affacciante sull’oceano, mentre io e Sōma-san poggiamo i rispettivi piatti sul basso tavolino dinanzi ad esso; provvediamo subito a fornire loro fazzoletti e bevande, portando una bottiglina d’acqua con dei bicchieri.
Mentre la poso nel ghiaccio Tomoyo-sama fa notare: «Sōma, hai dimenticato di prendere i bicchieri per voi». 
«Ma noi -» 
«Niente “ma”, anche voi avrete sete con questo caldo, no?» 
Esegue gli ordini senza più ribattere e io mentalmente ringrazio il cielo di non avere questo genere di servilismo con Sakura. Anche se forse, è una mia mancanza? Dovrei essere più ossequioso? Non voglio dire che io mi senta al suo stesso piano, però… prima di qualsiasi altra cosa, Sakura è una mia amica. E lei sembra contenta del rapporto che abbiamo instaurato, quindi, a meno che non sia lei stessa a chiederlo, non ho intenzione di cambiarlo. 
Sōma-san torna dopo poco con altri due bicchieri, che posa alle spalle dei precedenti, per poi porsi dietro Tomoyo-sama. La affianco, ponendomi perfettamente parallelo a Sakura, e in tale posizione restiamo per quelle che mi sembrano ore. Ammutisco le chiacchiere delle signorine, volendo preservare la loro privacy, e mi concentro totalmente sul mio compito. Rimetto in funzione l’udito solo quando si accostano a noi altri ospiti, e mi accorgo che entrambe acquisiscono tutto un altro atteggiamento, divenendo la personificazione della formalità. Tra l’altro, non sembrano mai contente di quelle interruzioni. 
Poi, ogni volta che gli ospiti si allontanano, tirano un sospiro di sollievo, e di tanto in tanto Sakura si volta verso di me, invitandomi a favorire del cibo. Tomoyo-sama tenta lo stesso con la sua guardia, che tuttavia sembra irremovibile. Vorrei attenermi anch’io al mio ruolo, ma non riesco a dire di no a Sakura, soprattutto quando mi guarda con così tanta aspettativa. Così accetto più volte, ma ora, non appena mi chino alla loro altezza e allungo una mano verso il tavolo, ringraziandola, lei imbocca me.
La fisso interdetto, persino Sōma-san si raggela sul posto, pietrificandomi con uno sguardo. 
Sakura ride deliziata e Tomoyo-sama la prende in giro, altrettanto divertita. Qualcosa non torna. 
Appena ingoio, a malapena sentendo il sapore di quello che mi ha dato, poggio le mani sul suo viso, notando immediatamente che è accaldata. 
«Hai la febbre? Oppure hai bevuto? Sakura, avevamo fatto un patto», le ricordo. Proprio ieri sera ne abbiamo parlato, prima che me ne andassi, e lei aveva giurato che non avrebbe toccato neppure l’alcool.
«Si, scusami», biascica ridacchiando. «Ma ti assicuro che era solo un goccio.» 
Guardo direttamente Tomoyo-sama, in cerca di conferma. 
«Dopo un sorso le ho tolto il bicchiere. Solo che era un grande sorso perché, distratta com’è, ha confuso il punch per succo alla pesca.» 
Osservo Sakura apprensivo. Mi ha detto che quando beve ci sono due stadi: il primo è quello dell’allegria. Il secondo è il miagolio. Spero resti soltanto nel primo. 
La costringo a mangiare la frutta che ho preso e a farle bere bicchieri d’acqua pieni fino all’orlo. Nella villa sembra siano tutti impegnati con dei valzer, quindi nessuno a parte Tomoyo-sama si sta dedicando a noi. 
«Tra non molto ci sarà il taglio della torta, poi gli ospiti cominceranno a disperdersi. Molti resteranno in villa, approfittando della piscina», mi avverte quest’ultima.
Comincio già a sudare freddo.
Sakura continua a buttare giù della frutta, guardando lontano verso il mare con aria gongolante. 
«Facciamo una passeggiata, dopo?» 
Acconsento immediatamente. Ottima idea, un po’ d’aria salmastra potrebbe schiarirle la mente. 
Le faccio bere un ultimo bicchiere, alzandoci non appena la musica cambia e Tomoyo-sama mi avvisa che è giunto il momento. La seguiamo in sala e a malapena mi accorgo della torta, troppo impegnato ad assicurarmi che nessuno ci stia notando. Ma in effetti, sono un po’ tutti brilli. 
Della torta scorgo appena che è a cinque piani e che anch’essa è avvolta da variopinti fiori di panna piuttosto realistici, prima che la nostra attenzione si sposti tutta verso l’esterno, nel momento in cui nel cielo vengono sparati fuochi d’artificio che si riflettono sulla superficie del mare. Permetto a Sakura di poggiarsi allo stipite della porta per ammirarli, e la nascondo agli altri coprendola col mio corpo. Con sgomento, vedo il suo sguardo incantato farsi sempre più annebbiato mentre fissa il cielo dai mille colori. 
Fortunatamente finisce tutto presto, qualcuno si congeda, qualcun altro inaugura la seconda parte di quella serata gettandosi in acqua, mentre io mi accingo a portare via Sakura, facendo segno di coprirci a Tomoyo-sama. Se Touya-sama lo viene a sapere, stavolta è davvero la fine. Mi farebbe licenziare in tronco, e forse mi aspetterebbe un destino anche peggiore. 
Afferro entrambe le mani di Sakura mentre scendiamo le scale in legno della passerella che conduce in spiaggia, camminandole davanti per ogni evenienza. Il sorriso sta ricomparendo sul suo viso, e si allarga soprattutto quando giungiamo sulla sabbia. Si toglie i sandali con una sveltezza che mi spiazza, raggiungendo lesta la battigia per affondare i piedi nell’acqua.
Raccolgo le sue scarpe, avvicinandomi, e la vedo prendere un profondo respiro, espirando beata; volta di poco la testa, mostrandomi un sorriso pago. 
«Amo tantissimo l’acqua, è il mio elemento preferito. Mi fa sentire sempre pulita, come se il mio cuore e la mia anima fossero privi di macchie.» 
Mi arresto nei miei passi, ascoltandola, capendo che quel che mi sta dicendo ora potrebbe essere importante, essenziale. 
«È una connessione con mondi distanti, che non so se potrò effettivamente mai esplorare, ma mi sento anche come se… come se potesse sempre innescare i miei ricordi, da un momento all’altro.» 
«I tuoi ricordi?» 
«Sì. C’è una parte dei miei ricordi che ho totalmente obliato. È come se tutta la mia vita, dai 4 ai 7 anni, fosse stata cancellata.» 
Anche lei ha buchi vuoti nella sua memoria?
«La cosa buffa è che nessuno sembra preoccuparsene, ma a me… a me importa. Mi sento incompleta. Però, a volte, è meglio non sapere. Non è così, Syaoran?» 
Mi sorride con mestizia e io, per qualche assurda ragione, vedo la notte e il mare storcersi e curvarsi attorno a lei, per poi inghiottirla, lasciando indietro soltanto le sue dita. Sbando, sentendomi precipitare, e allungo una mia mano per recuperarla; ma non appena afferro la sua la vedo sorridere allegramente, come se nulla la stesse preoccupando.
Che cosa è successo?
Non faccio in tempo a rimuginarci ad oltranza che si china verso l’acqua, schizzandomela addosso e divertendosi a deridermi. 
Mi passo una mano sul viso, notando che ormai sono tutto sfatto. Poso i suoi sandali sul bagnasciuga, per disfarmi di scarpe, calzini e giacca; mi arrotolo anche il pantalone e le maniche e allento la cravatta, preparandomi a vendicarmi. 
«Se è la guerra che vuoi, che guerra sia!» 
«Wah, no!» esclama ridendo, non appena la ripago con la stessa moneta. 
Continuiamo a combatterci con vigorosi schizzi, finché un’onda non le fa perdere l’equilibrio, facendola scivolare sulla coda del suo vestito. La afferro sostituendomi a lei nella caduta, col risultato che ormai mi inzuppo del tutto. Ne approfitto per bagnarmi anche i capelli, già spettinatisi da soli, controllando poi le condizioni di Sakura. Escludendo la gonna, sembra che dalla vita in su sia essenzialmente asciutta. Menomale. 
Mi guarda con un barlume di lucidità e, anche se siamo al buio e le uniche luci provengono dalla villa, visto che il cielo è ancora coperto dalle nubi dei fuochi, dal calore che emana il suo viso capisco che sta arrossendo di nuovo. 
«S-Syaoran, scusami, non volevo. Non so cosa mi è preso.» 
Si risolleva di botto, alzandosi la gonna per evitare di cadere, e raggiunge in fretta le sue scarpe.
Mi metto in piedi a mia volta, assicurandole che è stato divertente, e mi accingo a riprendere le mie cose. Tuttavia, non appena la vedo rabbrividire, le poso la mia giacca sulle spalle, cedendogliela. 
«Indossala pure, io sto benissimo così», la rassicuro non appena cerca di protestare.
Indosso i calzini e le scarpe, nonostante ormai siano un agglomerato di sabbia, mentre lei mette per bene le braccia nelle maniche e si siede, provando invano a ripulirsi i piedi. Mi allungo allora a prendere il fazzoletto che avevo nel taschino e lo sfrutto per asciugarle i piedi, aiutandola a calzare le scarpe e risollevarsi, prima di sciacquare le mani e asciugarle strizzandole all’aria. 
«Dici che rischiamo grosso?» 
La sento trattenere una risata, per poi giungere le mani in preghiera. «Visto che stanotte c’è la pioggia di stelle cadenti, anche se non le vediamo esprimerò un piccolo desiderio. Che Amaterasu-sama abbia tenuto a bada nii-sama come solo lei sa fare.»
Scoppio a ridere, accompagnandola in questa preghiera. Chiudo gli occhi, auspicandomi in cuor mio che, d’ora in avanti, Sakura possa riempire la sua vita di esperienze belle, che le avrebbero apportato unicamente felicità.










 
Angolino autrice:
Buon inizio di weekend con il capitolo della festa! In realtà ho aggiornato subito perché non so quando avrò possibilità di rifarlo (spero il prima possibile), e anche perché questo è l'ultimo capitolo (per ora) dal POV di Syaoran - segue quello di Sakura. 
Non mi sembra ci siano molte spiegazioni da dare qui. Voglio solo ricordarvi che "Amaterasu" e "Tsukuyomi" sono dei titoli, e che "ojou-san" significa "signorina". 
A presto! *incrocia le dita*
Steffirah

 

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Capitolo 12
*** 11 ***


NdA: Da qui in poi i capitoli saranno dal POV di Sakura (appena si torna al POV di Syaoran avviserò). Questo, in realtà, non è altro che una ricapitolazione di quello che c'è stato finora.
 







XI



 
 
 
Sono trascorsi un paio di mesi da quando Syaoran ha cominciato a lavorare per me. 
Nel corso di tutto questo tempo, diverse cose sono cambiate nel mio relazionarmi con lui. E molte di esse non riesco neppure a spiegarmele. 
Il nostro rapporto è così complesso, eppure al contempo è il più semplice che io abbia mai instaurato con una persona. 
Sin da quando ci siamo conosciuti, con la sua sola esistenza sembra aver segnato una svolta nella mia vita. È come se finalmente la ruota della sorte avesse cominciato a girare, e la freccia al centro di essa puntasse sempre verso una “buona fortuna”. Lui è diventato la mia buona stella. Ma forse… forse è anche qualcosa di più. 
In realtà, questo cambiamento nella mia misera vita è avvenuto tempo addietro, quando per il mio compleanno io, Tomoyo-chan e Yuzuriha-chan ci siamo recate al karaoke. Naturalmente, esclusivamente per questa ragione mi è stato concesso di andare. Naturalmente, eravamo tutte e tre camuffate. E naturalmente, con noi c’erano tre delle mie guardie, insieme alle guardie del corpo delle mie due amiche più fidate.
Non ho idea di come Yōou-san e Kusanagi-san ci abbiano sopportate quel giorno. Quel giorno di inizio aprile, in cui mi sentivo più triste che mai. 
Per la prima volta da quando ho memoria, il mio compleanno non era stato festeggiato. Mio padre e mio fratello si trovavano all’estero, mia madre doveva occuparsi di alcune faccende interne in un incontro, e l’unica persona rimasta al mio fianco è stata Tomoyo-chan, che ce l’ha messa tutta per risollevarmi l’umore. Soltanto grazie a lei sono riuscita a non sentirmi sola. Soltanto grazie a lei sono riuscita a sorridere. 
Ma in seguito mi sono ingrigita nuovamente, e seppure dopo pochi giorni mi avessero portata al karaoke per risollevarmi, non mi sentivo comunque in vena. Ed è strano per me, che adoro cantare. Quante volte lo faccio a casa, per la mamma, accompagnata da nii-sama al pianoforte… 
Fatto sta che, per questo, avevo preferito uscire dalla stanza che avevamo prenotato usando il pretesto di dover andare in bagno, per rinfrescarmi un po’ le idee. Di restare in solitudine, non se ne parlava. La guardia lì fuori non me lo avrebbe mai concesso. 
Passando dinanzi alla porta adiacente alla nostra, si poteva sentire un chiacchiericcio allegro. Alcuni ragazzi cantavano, altri battibeccavano senza realmente litigare. Pensai che dovesse essere bello, poter essere così liberi
Dopo essermi sciacquata un po’ il viso tornai nella stanza che stavamo occupando, sentendomi un tantino più motivata. Anche perché, ciò di cui si stavano lamentando i ragazzi accanto era il fatto che uno di essi si rifiutasse di cantare. 
«Eddaaai, che sei venuto a fare se non per divertirti?» 
Quelle parole, finsi che fossero rivolte a me. Per cui, una volta dentro, con una nuova risoluzione afferrai il microfono e scorsi diversi brani, stupendo le ragazze; dopo una lunga ricerca selezionai una delle mie canzoni preferite, una di quelle che più mi rappresentavano, intitolata “Amrita”. Solitamente quando la cantavo cominciavo a piangere verso la metà del brano, ma stavolta pensai che, piuttosto che dedicarla unicamente a me stessa, l’avrei usata per lanciare un messaggio agli altri. E so che Yuzuriha-chan e Tomoyo-chan lo hanno captato.
Infatti la prima, non appena ebbi finito, decise di andare via, essendo giunto il momento di “spegnere le candeline” per continuare a celebrare il mio “compleanno non celebrato” – secondo loro, ciò andava compensato festeggiando per almeno tre giorni. E questo andava assolutamente fatto nell’immenso giardino inglese di casa Nekoi. 
Fu proprio mentre ce ne andavamo che udii la sua voce. Ancora non so a chi appartenga, ma so che le sue parole mi sono entrate nel cuore. So che mi hanno scosso l’anima, e che mi hanno aperto una strada verso un futuro in cui mi sento compresa, almeno da una persona al mondo.
Da allora quella voce culla le mie notti, e di tanto in tanto continuo a canticchiare a bocca chiusa la strofa che è sembrato dedicarmi, mentre faccio il bagno o osservo dalla mia stanza il distante tramonto all’orizzonte. Un tramonto che non mi è mai piaciuto a Tokyo, troppo costretto tra alti palazzi, reti di corrente e grattacieli, ma che improvvisamente, anche nella sua limitatezza, mi appare più cangiante, più brillante, sempre più infuocato. 
Sono andata avanti così per più di un mese, finché non è giunto il periodo delle piogge. Era da un po’ che io e Tomoyo-chan stavamo architettando un piano per sgusciarcene via di casa passando inosservate, essendoci un posto in cui volevo assolutamente andare, perché a sua detta lì sarei riuscita a trovare un libro che mi è caro. Non so neppure perché sono tanto affezionata a quella versione in particolare di “Peter Pan”, con quelle belle illustrazioni di inizio novecento. So soltanto di averlo già letto in passato, seppure non a casa mia, perché noi non possediamo quell’edizione straniera. Ma in tal caso, dove l’avrò mai letto? 
Volevo cercare una risposta in quel libro, ecco perché, munendoci di cappelli, sciarpe e abiti lunghi dai colori sobri, sgattaiolammo via da casa mia. Sapevo già che, una volta che saremmo state scoperte, sarebbe successo il finimondo. Ma almeno per un’oretta, contavo sul fatto che saremmo state libere. Avevo lasciato anche un bigliettino, informando tutti che fossi con Tomoyo-chan e non ci fosse bisogno di preoccuparsi. 
A rievocarlo adesso, è buffo pensare che, insieme a quel libro, io abbia trovato anche Syaoran. È quasi come se il destino mi avesse voluto dire: “Lui ti aiuterà a trovare te stessa. Lui cercherà insieme a te i tuoi ricordi, sfogliando pagine e pagine, sorvolando terra e mare tra le stelle, finché non li troverà. Lo farà per te, con te”. 
Anche se allora neppure ci conoscevamo, né poteva avere alcuna idea di chi io fossi, Syaoran è sempre stato molto gentile con me. Mi ha persino nascosta dalle mie guardie – ovviamente, non ci avevano messo nulla a trovarmi, ed è stata prettamente una mia disattenzione, visto che mi ero portata dietro il cellulare –, mi ha mostrato apprensione per un presunto pericolo, e per questa stessa ragione mi ha accompagnata fino da Yukito-san, la seconda volta in cui sono andata in biblioteca. 
Non so perché ho scelto proprio quel libro, così triste nel messaggio che porta con sé. Forse perché c’è una parte di me che si sente come se fosse morta, e la vita che sta vivendo, per quanto reale, sia tutta percepita come il riflesso di un sogno. È come se il mio corpo e la mia anima fossero due entità distinte, eppure perfettamente congiunte, che si infondono forza e coraggio a vicenda. Come se io fossi una bambina sperduta nella sua Isola che non c’è… e se così realmente fosse, Syaoran potrebbe essere stato davvero il mio Peter Pan. Un Peter Pan che, tuttavia, mi ha rapita dalla morte, per riportarmi indietro, alla vita vera.
Non so perché avverto una sensazione simile con lui. Voglio dire, è vero che sono sempre stata piuttosto ingenua, ma ho sviluppato una certa diffidenza con gli sconosciuti. E Syaoran non lo conoscevo, quindi sarebbe stato più sensato starmene sulle mie, proteggere la mia identità, non rivelarmi troppo. Invece, ho fatto sin da subito l’opposto. Gli ho detto il mio nome, seppure non il mio vero nome, ma ormai lo si può considerare tale, visto che vengo chiamata “Sakura” da anni. “Tsubasa” è solo un vago, sfocato, lontano ricordo, che riecheggia ad una grande distanza.  Appartiene, ormai, a quella vita lasciata al passato, ma che una parte di me vorrebbe tanto riscoprire o ritrovare. 
Gli ho persino dato un assaggio delle mie sofferenze, sebbene non fosse nelle mie intenzioni. Ma forse, aprire il mio cuore ad uno “sconosciuto” era proprio ciò di cui avevo più bisogno. Era la cosa migliore da fare. Proprio perché non avevamo legami, lui non mi avrebbe giudicata; si sarebbe pronunciato in maniera oggettiva, sarebbe riuscito forse a capirmi e, eventualmente, a darmi anche dei suggerimenti. Tuttavia, al contempo, non volevo asfissiarlo con i miei problemi. 
Non che io abbia potuto permettermelo, soprattutto dopo che lo hanno preso a lavorare per me. È stato così inaspettato, eppure già allora, quando a malapena conoscevamo i nostri visi e i nostri nomi, in cuor mio speravo di poter stare sempre a contatto con lui, con tutta me stessa. 
Un simile dono mi è stato fatto solo grazie all’intercessione di Yukito-san, che ormai, dopo tutti questi anni al mio fianco, considero come un altro fratello maggiore. È sempre così comprensivo e benevolo con me, si sforza costantemente di accontentare ogni mia richiesta, nei limiti del possibile. Per questo ha acconsentito ad accompagnarmi la seconda volta in biblioteca, affinché io potessi finire di leggere il libro in santa pace, senza sentirmi il costante fiato sul collo dalle mie guardie. Ed è in quella stessa occasione che, approfittando di un momento in cui siamo stati soli, gli ho parlato di Syaoran. Meglio dire che ne ho elogiato ogni singola azione, e lui mi ha ascoltato attentamente, senza però rivelarmi nulla di quello che ne avrebbe fatto di queste informazioni. Ecco perché quando poi me lo sono ritrovata in casa, come istruttore e guardia del corpo, non riuscivo a crederci. Mi sembrava di vivere un bellissimo sogno, il migliore che avessi mai potuto fare. 
I nostri primi giorni di studio sono stati un po’ impacciati, ma dopo avergli spiegato i metodi utilizzati dalla mia precedente insegnante privata e i livelli cui sono arrivata, lui ha voluto accertarsene, prima di prepararsi un programma su diverse discipline.
Ammetto che Syaoran ha un approccio e una metodologia totalmente diversi rispetto a Mme Emeraude, per cui inizialmente mi sono sentita spaesata. Lei è stata mia istitutrice fino a inizio anno (purtroppo è venuta a mancare), e ad uno studio cognitivo alternava quello pratico, con lezioni di canto, ballo e pianoforte; manteneva costantemente presente il nostro rapporto sensei-gakusei, non mi chiamava mai per nome e, nonostante fosse paziente, sapeva essere anche severa.
Di contro, Syaoran non ha mai avuto da ribattere su nulla, venendo costantemente incontro alle mie richieste. Se gli dico che può chiamarmi “Sakura” lo fa, se gli dico che in presenza d’altri deve essere formale ci riesce perfettamente, passando da “Sakura” a “Sakura-sama” a “Ojou-san” con naturalezza, senza lamentarsi. Forse la cosa lo diverte; o almeno così mi auguro, visto che è così giovane e desidero viva quel che resta della sua adolescenza con allegria e spensieratezza, non considerandomi un fardello.
Quando poi mi ha illustrato i suoi metodi d’insegnamento sono rimasta colpita, non sapendo neppure cosa fossero queste “interrogazioni”, ma dopo qualche prova e la mia iniziale insicurezza ho finito per accettarle, comprendendone l’utilità. Idem dicasi per i temi che mi assegna settimanalmente, lasciandomi il sabato e la domenica liberi per completarli. Capisco che mi servono in vista del futuro.
Inoltre, pur essendo molto paziente e serio in quello che fa, è anche gentile, perché quando sbaglio non mi rimprovera, semplicemente mi rispiega quella determinata cosa utilizzando parole o formule (nel caso di algebra e quant’altro) più semplici. 
Confesso che, inizialmente, non sapevo come fosse meglio comportarmi: se dovessi attenermi al mio ruolo di allieva, oppure potessi tentare di essergli amica. Ecco perché ho esitato quando gli ho chiesto se potesse farmi compagnia per scegliere il regalo della mamma; ma lui ha accettato subito, sembrandone lieto. 
Così attesi quel giorno trepidante come un’infante che aspetta l’arrivo di Babbo Natale. E la notte precedente alla nostra uscita, la mia prima uscita senza guardie, non riuscivo neppure a chiudere occhio, in preda alla trepidazione. Alla fine dovetti necessariamente farmi preparare una tisana calmante alla melissa e telefonare a Tomoyo-chan, sfogando con lei le mie ansie e aspettative, le mie paure e gioie.
Ero un misto di emozioni, ma lei mi ha ascoltata pazientemente mentre balzavo da una all’altra come una biglia impazzita, riuscendo infine a calmarmi esortandomi a prendere respiri profondi. Ho seguito i suoi consigli, concentrandomi sul mio respiro. Ho continuato ad ascoltare le sue indicazioni, stendendomi supina e mettendomi comoda, e avendo le cuffiette ho posato il cellulare sul comodino, per congiungere le mani in grembo. Dopo aver chiuso gli occhi, mi ha invitata a focalizzarmi sul viso di una persona che avrei voluto al mio fianco in quel momento. Senza neppure rendermene conto, al di là delle mie palpebre ha preso forma proprio la figura di Syaoran. Perché lui mi fa sentire bene, mi fa sentire bene per davvero. E infine, mi ha chiesto di parlarle di tale persona, finché non mi sarei addormentata. 
Essendo caduta subito in dormiveglia, neppure ricordavo cosa avessi detto a Tomoyo-chan su di lui, finché non ha deciso di rievocarlo proprio al compleanno di mia madre. È stato così imbarazzante, non avevo idea di averlo elogiato fino a quel punto. Eppure, tutte quelle cose erano veritiere. 
Sia il giorno in cui scegliemmo il regalo per mia madre, che quello in cui scoprii che sarebbe stato presente al party e mi chiese cosa fosse meglio regalarle permettendomi di accompagnarlo, che la festa stessa, furono come una boccata d’aria.
Non penso di essermi mai divertita tanto in vita mia, né sentita tanto bene e a mio agio con una persona appena conosciuta, al punto da sentirmi come se… come se lo conoscessi da tutta la vita. E anche se al compleanno della mamma ho finito per comportarmi in maniera indecorosa, lui non me ne ha fatto una colpa, né mi ha rimproverata, sebbene sarebbe stata la cosa più consona da fare. 
Da allora è trascorso del tempo, e anche se effettivamente non abbiamo più avuto occasione di uscire e trascorro tutto il tempo in casa, non mi pesa più. Non mi sento più come un uccellino in gabbia, cui sono state tarpate le ali. E sono certa che ciò sia dovuto unicamente al fatto che, in questa silenziosa casa dominata dalla mia solitudine, finalmente ha potuto entrarci qualcuno che, da fuori, ha potuto portarvi un po’ di sole, rischiarandone le cupe ombre. 










 
Traduzioni: 
  • sensei = maestro/insegnante - gakusei = studente/allievo
  • ojou-san = signorina
 

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Capitolo 13
*** 12 ***


XII



 
 
 
«Sakura, pensi che ti permettano di uscire venerdì prossimo?» 
Fisso Syaoran confusa, non aspettandomi quella domanda. 
«Potrei provare a chiedere. Non hai i corsi da seguire, all’università?» 
Da quando sono ricominciate le sue lezioni, purtroppo, le nostre sessioni di studio si sono drasticamente ridotte. Secondo Syaoran non è un problema, perché sono poche, a suo parere, le carenze che ho. E la mia mente può anche dargli ragione, ma il mio cuore non ci riesce. Del fatto che le sue visite si siano ridotte, che trascorriamo meno tempo insieme, ne risento eccome.
Il mio cuore sembra piangere ogni volta in cui siamo lontani, mi rattristo, mi incupisco, e non faccio che chiudermi in un egoismo represso. So che non posso esigere più di così. Per quanto vorrei che stessimo costantemente insieme, non posso pretendere tanto. Non devo legarlo a me, devo lasciargli il suo spazio, senza opprimerlo o imporgli la mia presenza. D’altronde, in questi giorni ha anche cominciato un seminario che attendeva con trepidazione, e ogni volta che viene da noi dopo averlo seguito, se gli chiedo com’è andata, i suoi occhi si illuminano e ne parla con grande entusiasmo. A quanto pare è stato organizzato dal suo docente preferito, un certo Arisugawa-sensei, ed è stato chiesto di partecipare a due fratelli, un ricercatore e un collezionista rinomati in campo archeologico, chiamati Seishirō e Fūma. Sembra che entrambi siano molto d’ispirazione per Syaoran. 
«Kuzuki-sensei e Kishu-sensei hanno cancellato le lezioni, per una conferenza a Kyoto.» 
Syaoran mi ha parlato di tutti i suoi docenti, e questi rientrano tra i più bravi a sua detta. Se non ricordo male, il primo dovrebbe insegnare religioni e filosofie, la seconda antropologia. 
«E avendo la giornata libera, alcuni miei amici hanno pensato di approfittarne per uscire. Vorresti venire con noi?» 
Sbatto le palpebre, chiedendomi se non ho sentito male. 
«Lo so che probabilmente potresti sentirti a disagio, ma ti assicuro che sono tutte brave persone. E ti presenterò come una mia amica d’infanzia della mia precedente città, sanno che non sono originario di Tokyo e potrebbe sembrare credibile. Sarai Hana per tutto il giorno, però -» 
Scatto in piedi, esclamando con foga: «Sì! Voglio venirci!» 
Una giornata intera con Syaoran! Dopo tutto questo tempo! E mi presenterà nuove persone! Avrò nuovi amici, che non mi giudicheranno, né tenteranno di approfittare di me! Perché so che Syaoran mi proteggerà. 
«Sicura che non sia un problema?» 
«Sicurissima!» affermo con certezza. «Non vedo l’ora! Che cosa faremo?» 
Lo vedo poggiarsi alla sedia, con aria riflessiva. 
«Onestamente, non ne ho idea. Forse andremo al karaoke per stare al chiuso, e poi a mangiare del ramen.»
«Adoro cantare!» approvo contenta. «E il ramen non l’ho mai mangiato!»
«Non l’hai mai mangiato?!» ripete, sgranando gli occhi per l’incredulità. 
Mi risiedo composta, spiegando contrariata: «Non è previsto nel nostro menù. So come è fatto solo per averlo visto in qualche pubblicità». 
Lo vedo aggrottare la fronte, sembrandone turbato. 
Abbassa di poco la voce, esordendo con: «Sakura, tu…» Scuote poi la testa, volendo evidentemente lasciar perdere, ma ormai mi ha incuriosita. 
«Puoi dirmi quello che vuoi, non mi arrabbio.»
«Non credo ti arrabbieresti. Non voglio rattristarti.» 
Giocherella con la penna, sembrando immerso nei suoi pensieri, mentre io attendo che prosegua. Rattristarmi? 
Prende un respiro, sollevando gli occhi nei miei. Attraverso quelle spettacolari iridi ambrate, vedo tutta la sua indecisione e una traccia di mestizia. 
«La tua vita è immersa nella sfarzosità, e per questo chi viene da fuori penserebbe che qualunque tua richiesta venga assecondata, ma in realtà… di quante cose sei stata privata?» 
Riesco a rivolgergli un piccolo sorriso, spostando lo sguardo verso le nuvole aranciate oltre la finestra. So che la sua non è pena, ma un mero dispiacere.
«Di quelle più semplici.» Di quelle che sono alla base della felicità. 
Rendendomi conto di suonare mogia e rassegnata mi schiarisco la voce, tornando da lui; gli sorrido grata, parlandogli con onestà.
«Ma tu me le stai donando, poco alla volta. Stai illuminando la mia vita con tanti, piccoli, semplici momenti di gioia.» 
Lui schiude le labbra, sorpreso, stendendole poi in un minuscolo sorriso. Mi prende una mano, con la sua caratteristica delicatezza, e ne sfiora le nocche, riducendomi il cuore in poltiglia. Non ho proprio idea di come ci riesca, anche con le più minuscole azioni. 
«Sai che ogni volta che desideri qualcosa puoi dirmelo, vero? Io farò tutto ciò che è in mio potere per realizzarlo.» 
“Vorrei che restassi al mio fianco, per sempre.”
Taccio, rinchiudendo quell’egoistico pensiero nelle profondità del mio cuore. Annuisco soltanto, stringendo la mano attorno alla sua. 
Lui si apre in un sorriso ancora più grande, prima di lasciarmi e ritornare al suo lavoro. Continua a spiegarmi il passaggio da medioevo a periodo moderno, con la scoperta di Colombo delle Americhe, spiegandomi le ragioni per cui supponeva fossero le Indie Orientali, e raccontandomi delle invenzioni del tempo, sfruttando le immagini che sono sui libri per illustrarmele. 
Mi concentro sulle sue parole e prendo qualche appunto, segnandomi soprattutto date e nomi, ma mentre la mia mente segue il suo discorso e la mia mano lavora automaticamente, il mio cuore sembra deviare. Come spesso sta succedendo negli ultimi tempi.
Lo osservo, incantandomi per quel suo modo di esprimersi, di guardarmi e attirare tutta la mia attenzione. Come dissi a Tomoyo-chan, è così affascinante… E non mi riferisco soltanto al piano estetico, è stesso il suo intelletto, la sua immensa conoscenza e cultura, il suo carattere, il suo animo altruistico, i suoi modi di porsi, e anche quella vaga aria di mistero che talvolta gli aleggia intorno a renderlo così… attraente…
So che non dovrei pensare queste cose, soprattutto quando lui mi è accanto come istruttore, ma non posso fare a meno di ammirare e apprezzare ogni singolo aspetto di lui. Anche quando è la mia “guardia”, tutta la sua dedizione e attenzione nei miei confronti, tutta quella cura e quella gentilezza che mi riserva, per quanto siano un suo “dovere”, non mi sembrano mai forzate. Non sembra mai fingere. E tutte quelle volte in cui si inchina dinanzi a me, sebbene io mi senta in colpa perché non vorrei ci fossero differenze di grado sociale tra di noi, quelle volte in cui mi parla in maniera formale, mi permette di appoggiarmi a lui o contare su di lui, per qualunque cosa… Nonostante mi dispiaccia che debba comportarsi così finemente, ne sono felice. Perché non sembra andare mai contro la sua natura. 
E quelle rare volte, come poco fa, in cui mi prende per mano, carezzandomi con delicatezza, o quando mi rivolge quei meravigliosi sorrisi, quando vedo la tenerezza di cui imprime quel suo sguardo carezzevole, quando mi protegge, e soprattutto quando mi abbraccia… Mi sento come se potessi sciogliermi da un momento all’altro, e allo stesso tempo come se non fosse possibile, perché mi sento come un razzo lanciato verso il cosmo… e più delle farfalle nello stomaco, è come se tutto il mio corpo fosse attraversato da frenetici usignoli, che cantano per me una canzone nata da lui. 
Mi porto automaticamente la mano libera sulla camicetta, stringendola all’altezza dell’addome. 
Accorgendosene, la sua espressione muta repentinamente, divenendo apprensiva. Riesce sempre a notare tutto, anche il più minimo cambiamento in me. 
«Ti fa male la pancia?» 
Scuoto la testa, non sapendo come potrei spiegargli tutto quello che provo. Tutto quello che lui mi fa provare. 
Lancia un’occhiata all’orologio a pendolo sulla parete alle mie spalle, allarmandosi. 
«Accidenti, ti ho trattenuta più del solito. Hai fame?»
«Forse», riconosco, avvertendo in effetti una sorta di vuoto nello stomaco. Nel momento in cui brontola sembra darmi una conferma.
Avvampo, vergognandomi da morire.
Lui ridacchia e chiude i libri, cominciando a metterli a posto.
«Per oggi concludiamo qui, va bene?» 
Ora che le giornate si sono accorciate, anche il tempo che trascorriamo insieme si è ridotto. Ovviamente sono stata io stessa a proporlo, affinché non rincasasse troppo tardi. Ma per questa stessa ragione, dato che è già ora di cena…
Gli afferro un lembo della manica, fermandolo mentre si alza, e lo guardo di sottecchi, esitante. 
«Vorresti… vorresti fermarti qui stasera?» 
Sento le mie guance accaldarsi, ma provo lo stesso a sollevare la testa, per vedere la sua reazione. Lui resta immobile, sembrando stralunato.
«Intendi a cena?» 
«Anche a dormire! S-se vuoi, e se puoi.»
La mia voce cala di un’ottava, mentre aggiungo: «Oggi ci siamo solo io e la mamma, scommetto che a lei farebbe immensamente piacere. Sembra averti preso in simpatia, non fa altro che chiedermi quando potresti restare qui». E questo è vero. Una volta l’ho persino sentita parlottare con mio padre di lui: entrambi ne stavano elogiando il lavoro e tutto l’impegno con cui vi si dedica. Mi sono sentita rincuorata nel vederli tanto fieri e fiduciosi di lui, soprattutto considerando l’astio di mio fratello.
«Credo ci sia rimasta un po’ male per il tuo rifiuto a trasferirti, ma non preoccuparti, ne capisco le ragioni. È perché non vuoi lasciare Kurogane-san e Fay-san.»
«E perché tu sei al sicuro, in casa tua», soggiunge. 
Annuisco, chiedendomi se quella non sia la sua risposta. Per cui mi faccio coraggio, specificando: «Non è una richiesta da allieva a istruttore, né da protetta a guardia del corpo. Bensì, è una richiesta da amica». 
Tace, come se stesse soppesando le mie parole, e io comincio a pentirmene. 
«Non vuoi?» 
So bene di suonare piagnucolosa, ma ci terrei che restasse. Ci sono così tante cose che vorrei mostrargli, e così tante cose poco chiare su di me che vorrei rendere limpide, ma allo stesso tempo ho paura… paura di confessarle, paura di ciò che lui ne potrebbe pensare. 
«Resto.»
Sollevo la testa di scatto, chiedendomi se non ho sentito male. Lui mi guarda seriamente, dandomi una conferma. 
«Dovrei però avvisare che non torno. Kurogane-san, anche se non lo dà a vedere, può diventare molto apprensivo.» 
«Va bene! Prenditi tutto il tempo che ti serve per chiamare, io vado ad avvisare mia madre!» 
Non riesco a nascondergli un sorrisone, seppure mi volti immediatamente ed esca di corsa dalla biblioteca.
Scendo le scale a saltelli e trattengo dei risolini coprendomi la bocca, sentendomi il cuore in gola e gli occhi lucidi. Non posso crederci, ha accettato! Faccio un balzo in aria non appena giungo sul pavimento, ignorando le occhiate stranite delle cameriere di passaggio, e corro a cercare mia madre. La trovo in salone a leggere dei documenti, controllando delle cose in agenda. 
Dato che mi sente arrivare si volta a guardarmi, sorridendomi amorevolmente. 
«Sakura-chan, cosa succede? Sembri particolarmente felice.» 
«Ho invitato Syaoran a fermarsi qui!» mi esce tutto d’un fiato, mentre faccio altri salterelli sul posto. «E ha accettato!» 
Mia madre si alza in piedi, prendendo le mie mani per arrestare la mia euforia. Si mantiene composta, ma dalle sue iridi brillanti e le sue labbra rivolte verso l’alto capisco che ne è altrettanto entusiasta. 
«Si ferma a cena?» 
«Anche a dormire», specifico, sforzandomi di non sogghignare come un’idiota. 
I suoi occhi smeraldo scintillano e immediatamente si tira indietro, portandosi una mano al mento. 
«Devo far preparare una camera per lui. E avvisare di aggiungere un posto a tavola.» 
Presa una qualche decisione mi dà un lieve bacio tra i capelli, letteralmente scappando, lasciando tutto lì in disordine.
Provo a mettere i documenti a posto alla bell’e meglio, posando tutto in una fila ordinata sul tavolino in vetro. Dopodiché filo in bagno, dandomi una rassettata. Mi rinfresco il viso e controllo il mio aspetto nello specchio, aggiustandomi i capelli. Li spazzolo per bene, e raddrizzo la camicetta e la gonna, prendendo profondi respiri prima di uscire, mostrandomi calma – dentro di me facendo le capriole dalla gioia. 
Mi affaccio nella biblioteca, ma capisco subito che Syaoran non è più lì, anche perché tutte le luci sono state spente. Proseguo per il corridoio, trovandolo a sostare al centro delle scale, intento a contemplare un dipinto. 
Lo affianco silenziosa, ponendomi alla sua sinistra. 
«Ti piace? È un ritratto fatto da un fidato amico di famiglia, di origini finniche.» 
«È molto bello», commenta, osservandolo con minuziosità. 
Mi volto anch’io a guardarlo, soffermandomi sulle nostre figure, molto vicine alla realtà.
Yui-san è molto influenzato sia dall’arte astratta che dalla preraffaelita – tant’è vero che quel giorno in cui ci chiese di posare, ci fece indossare abiti lunghi in stile epico occidentale. È riuscito a replicarli a perfezione, nelle sfumature di colore, nelle ombre, nelle pieghe e nella riproduzione del tessuto, ma con lo sfondo si è sbizzarrito. Per lo più è nero, chiazzato d’oro, come se sul serio vi avesse spruzzato colore, tanto che sembrano piccoli fuochi d’artificio, ma anche tanti piccoli soli – egli stesso li ha definiti tali, volendosi rifare almeno parzialmente alla bandiera del Giappone. Per questo ha realizzato anche sottili strisce di colore, quasi invisibili, prediligendo il blu scuro e il violetto della nostra casata. In alto a destra c’è anche il nostro simbolo, delle ali rinchiuse in un cerchio, incise in maniera tale da sembrare essere fatte da granelli di sabbia.
È molto dotato e rinomato per aver creato design piuttosto eccentrici per diverse mostre e sculture. Ha persino collaborato con Tomoyo-chan per le mostre sponsorizzate dalla famiglia imperiale, ma non ama mostrarsi in pubblico e se lo fa indossa sempre una maschera di un gatto. Sono pochi, infatti, coloro che conoscono il suo vero volto, e noi rientriamo in questa cerchia ristretta di privilegiati. 
Guardo di sbieco Syaoran, trovandolo totalmente incantato. Pensando a quanto gli debba piacere l’arte, mi viene un’idea geniale. 
«Syaoran, ti andrebbe di vedere la collezione di mio padre?» 
I suoi occhi si spostano immediatamente su di me, luccicanti come due stelle nel cielo. 
«Posso?» si accerta. 
«Certo che puoi.» Sorrido, notando che sta cercando con tutto se stesso di contenersi, mentre in realtà muore di curiosità.
Gli faccio strada, scendendo per prima, dirigendomi verso il sottoscala, da dove svolto a sinistra per seguire un lungo corridoio che porta sul retro della casa; questa zona è poco frequentata, eccetto che dagli inservienti che regolarmente vengono a pulire.
Apro una porta e, automaticamente, la stanza si illumina di bianco. Sento Syaoran trattenere il fiato e quando lo guardo ha un’espressione di pura meraviglia. Gli faccio segno che può entrare e lui non se lo fa ripetere due volte, cominciando a guardarsi intorno, analizzando diverse opere da vicino. 
«Sono tutte originali,» spiego, «anche se non è stato facile ottenerne alcune da certi musei. Soprattutto da quelli esteri.» 
La collezione di mio padre prevede piccole sculture, ma per lo più quadri e affreschi occidentali e rotoli, paraventi e porcellane asiatiche. Quelle occidentali le abbiamo ottenute per gran parte proprio grazie all’amicizia con Yui-san.
«Questi qui», gli dico, indicando piccoli frantumi di terracotta e una scatola laccata quasi interamente integra, «sono ritrovamenti di mio padre.»
Syaoran sgrana gli occhi, pieno di evidente ammirazione, mentre io prendo la scatola cinese tra le mani, posandola delicatamente tra le sue per fargliela osservare più da vicino. 
«Ormai il colore è un po’ sbiadito, ma come vedi sono rimaste delle tracce degli intarsi in oro. Dovevano essere fiori di peonie.» 
«È così nostalgico…» mormora tra sé, osservando l’oggetto tra le sue mani come se lo conoscesse da sempre. 
«L’hai già visto prima?» 
Scuote la testa, analizzandolo da diverse angolazioni. 
«Non te lo so spiegare, è come se lo avessi già avuto tra le mani… Ma è assurdo…» 
Corruga la fronte, impegnandosi, mentre io presumo: «Avendo origini cinesi, potresti già averne vista e toccata una, no? Forse è per questa ragione che ti senti così». 
«Forse sì», annuisce, pur non sembrando del tutto convinto. 
La mette a posto con cura, e io aggiungo: «Mio padre mi ha detto che veniva utilizzata per riporvi gli strumenti del letterato».
Mi guarda interessato, indicando i frammenti. 
«Questi si sa a cosa appartenevano?» 
«Considerandone la forma e il materiale, hanno ipotizzato che potrebbe essere una statuetta votiva del tardo periodo jōmon.» 
Annuisce, bofonchiando: «È la stessa supposizione cui ero giunto. Quella parte rigonfia, sembra proprio appartenere ai fianchi larghi delle piccole Venere. Venivano sotterrate in prossimità dei campi, in vista di fertili raccolti».
Lo fisso sorpresa, aprendomi in un sorriso. 
«Perfetto! È la dimostrazione che anche tu puoi diventare archeologo!» 
«O docente, giusto?» ricorda, ricambiando con un piccolo sorriso. 
«Giusto!» 
Lo prendo automaticamente per mano, uscendo di lì, chiedendomi se la cena è pronta, visto che lo stomaco protesta di nuovo.
Sbuffo contrariata, mentre lui si fa scappare un risolino. 
«Non capisco perché ogni volta fa tutto questo rumore.» 
«È del tutto naturale, oggi non ti ho neppure lasciato prendere il tè del pomeriggio. Spero ci sia qualcosa che ti piace tanto, per rimediare.» 
«Io spero possa piacere a te!» replico, entrando nel salone. 
Syaoran si guarda intorno meravigliato, e io mi rendo conto di non averlo mai condotto neppure qui. Eppure, eccetto che una lunga tavola con candelabri e una quantità infinita di vasi non mi sembra ci sia molto per cui stupirsi. Fissa gli occhi sul mobilio in legno di abete bianco spazzolato, intarsiato d’oro, con un’espressione come a chiedersi se è tutto vero. Beh, lo è. E pensare che questa è una delle stanze più piccole, visto che ci mangiamo soltanto. 
Alla finestra le tende sono tirate, quelle in velluto rosso coprono le più sottili color crema, celandole alla vista. Lì c’è un balcone che affaccia direttamente sul centro della città, ma non ho mai osato andarci, visto che la mia “immagine” deve rimanere segreta. E per quanto sia stretta la sicurezza, non possiamo rischiare che qualche eventuale paparazzo appostato lì fuori mi veda. 
Sospiro sconfortata, finché non mi accorgo che mia madre ha fatto il suo ingresso. Si avvicina a Syaoran, ringraziandolo per aver accettato di restare e deliziarci con la sua compagnia. Lui risponde umilmente, ma come sempre senza asservimento.
Tiro un sospiro di sollievo, ringraziando il cielo che non abbia la tendenza ad essere remissivo. Anche perché, quando lo fanno gli altri, il più delle volte sembra una farsa e ben poco di sincero c’è scritto nei loro occhi, nel loro prostrarsi, nei loro sogghigni. 
Mia madre ci fa segno di accomodarci e io adocchio uno dei due posti apparecchiati vicini – solitamente è lei che sceglie la disposizione dei posti a tavola quando abbiamo ospiti (cosa piuttosto rara, in effetti), quindi la ringrazio tacitamente. Permetto così a Syaoran di mettersi di fronte a lei, ma non faccio in tempo a sedermi che lui mi spiazza. Mi volto stupita, e lui mi fa segno di accomodarmi, accompagnandomi con la sedia. 
Chino la testa, col batticuore. Questo non è un compito a lui affidato, quindi sicuramente l’avrà fatto per indole, o per gentilezza. Tutta questa attenzione e cura che mostra nei miei confronti, a volte mi spingono sull’orlo delle lacrime. Non sono mai stata trattata così da nessuno, come se sul serio fossi una principessa, e non soltanto per una forma di rispetto o una facciata da mantenere. 
Sbircio in direzione di mia madre, vedendola contenta e lusingata quando Syaoran fa altrettanto con lei, prima di tornare con calma al suo posto, chiedendole com’è stata la sua giornata. Non dopo averla ringraziata, per avergli permesso di restare. 
Mentre conversano sulla quotidianità di mia madre controllo che tutto sia a tavola, notando che hanno già posato il cestino col pane caldo e il vassoio con la frutta. Vedo poi entrare le cameriere, le quali ci versano la passata di zucca nei piatti, posandoci accanto un piatto contenente orata al cartoccio e purea di patate. Guardo tutto con l’acquolina in bocca, ma attendo che esse si congedino e di ricevere un segnale da okaa-sama, prima di favorire. 
Auguriamo buon appetito, cominciando a mangiare, e subito sento la gola e tutto l’apparato digerente che ringraziano. 
Tra una cucchiaiata e l’altra, mia madre domanda come stanno procedendo le lezioni. Syaoran ne parla con misurato entusiasmo, sembrandone tuttavia fiero, dichiarando di vedere progressi da parte mia ed elogiando inaspettatamente il mio intelletto. 
Arrossisco di nuovo e sorseggio dell’acqua per nascondere l’imbarazzo, mentre mia madre subito si interessa delle mie carenze. 
Con onestà spiega che sono nell’algebra, al che non ne sembra per niente sorpresa. Mi guarda con una certa rassegnazione, chiedendo retoricamente: «Non te la farai mai piacere, vero?» 
Mi stringo nelle spalle, attendendo che una cameriera porti via i piatti vuoti per passare al pesce. 
«Sakura-chan, è importante per comprendere l’economia del Paese.» 
Ugh. 
«Ma di quella già se ne occupa nii-sama, no?» faccio notare, spostando qualche lisca. Lui è perfettamente istruito in quell’ambito, è un esperto di calcoli e percentuali, e comprende perfettamente come funziona l’andamento del business. Non a caso, è il ministro delle finanze più giovane che sia mai stato in carica. Io, in questo, sono decisamente negata, e non vedo come potrebbe tornarmi utile riempirmi la testa di informazioni superflue. 
«È importante però comprendere se la nostra nazione sta andando verso il verso giusto, oppure se c’è uno sbilanciamento nel deficit pubblico. Se in futuro ti ritroverai a contrattare con uomini d’affari, dovrai tener conto di tutte queste cose.» 
Quell’idea non mi piace per niente, ma so che rientra tra i miei doveri, quindi… 
«Farò quel che posso», provo a promettere, non del tutto approvando. 
«Mi impegnerò per renderglielo quanto più chiaro possibile», interviene Syaoran, forse sperando che così cada il discorso. 
Mia madre sembra crederci e si accontenta di ciò, mentre io provo a cambiare argomento, rivolgendomi a lui. 
«Ti sta piacendo la cena?» 
«È ottima, complimenti al vostro cuoco.» 
Me ne sento risollevata e mia madre risponde che gli avrebbe fatto recapitare quel messaggio, prima di incuriosirsi: «Syaoran-kun, tu ti diletti in cucina?» 
«A casa facciamo a turno, in realtà. Di solito se ne occupa Fay-san, anche perché Kurogane-san ha la tendenza a bruciare tutto, quindi il più delle volte cerchiamo di collaborare. A Kurogane-san facciamo tagliare, noi cuociamo. Se invece tocca a me e Fay-san ci scambiamo i ruoli, sebbene trovi la sua cucina migliore rispetto alla mia. Quando vivevo ancora con mio fratello, invece, cucinava per lo più lui. E credo sia stato Kimihiro ad insegnarmi gran parte di quello che so.» 
Crede? Non ne è sicuro? 
«Un giorno mi piacerebbe assaggiare un pasto cucinato da te», mi faccio sfuggire, prima di riuscire a mordermi la lingua. 
Si volta di scatto, spiazzato. 
«Non è così buono», cerca di persuadermi, ma io non gli credo. So che lo dice solo per umiltà. 
«Starà a me giudicare», decreto, prendendo un po’ di pane da mangiare con le patate. 
Lui non replica più nulla e cala il silenzio, con mia madre che, per qualche ragione, sembra divertita.
Osservo Syaoran con la coda dell’occhio, notando solo adesso che la punta del suo orecchio è arrossata. L’ho reso nervoso? 
Prosegue tuttavia col pasto senza palesare nulla, mangiando con una certa raffinatezza. In effetti, è la prima volta in cui sediamo a tavola e lo vedo mangiare con le posate. È molto elegante e, in qualche modo, sembra conoscere le buone maniere. Oltretutto, sembra perfettamente a suo agio. 
I suoi occhi incontrano improvvisamente i miei, curiosi, quasi a chiedermi come mai io lo stia fissando tanto, per cui torno a rivolgermi verso il piatto mezzo vuoto, vergognandomi di essere stata scoperta. 
Cercando di essere più discreta mi concentro unicamente sul finire la cena, mangiando una mela e un budino.
Alla fine ci alziamo tutti e mentre mia madre chiede a una cameriera di mostrargli la sua stanza io ne approfitto per augurargli la buonanotte, filando a mettermi in ammollo per una buona mezz’ora, sperando di districare così tutti gli organi che, inspiegabilmente, mi si sono annodati a partire dal momento in cui Syaoran ha messo piede in questa casa.










 
Spiegazioni:
Come in precedenza, anche qui sono stati usati dei cognomi: Arisugawa Sorata, Kishu Arashi e Kuzuki Kakyou; tuttavia, nonostante i cognomi siano presi dall'opera originale in cui vivono ("X"), tenete conto che i personaggi (anche quelli che compariranno in seguito) sono trattati così come sono nei mondi di TRC.
Il ramen penso lo conosciate tutti: è un piatto di origine cinese a base di spaghetti di frumento serviti in brodo di carne/pesce, insaporito con salsa di soia o miso (condimento derivato da semi di soia) e guarnito da maiale affettato, alghe nori, cipolline ecc.
Il periodo J
ōmon, vi ricordo, va dal 10.000 al 300 a.C circa.
Traduzioni: okaa-sama = mamma; nii-sama = fratellone.

 

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Capitolo 14
*** 13 ***


XIII



 
 
 
Acque torbide mi avvolgono, rendendo la mia vista appannata. È tutto buio. È tutto freddo. Mi sento un macigno sul petto.
Provo a respirare, ma dinanzi ai miei occhi si sollevano soltanto bollicine bianche, che corrono verso una superficie invisibile. Cerco di seguirle, nuotando con tutte le mie forze contro la corrente che mi spinge giù, avvertendola come se dei mulinelli mi afferrassero i piedi; simili a mani artigliate si avvolgono attorno alle mie caviglie, tirandomi verso quegli abissi di tenebra. Sento il panico sopraffarmi, ma non mi arrendo, in cerca d’aria, riuscendo con molta fatica ad uscirne.
Respiro affannosamente, sentendomi bruciare occhi, naso, orecchie e gola, col sale che mi invade. 
Essendoci una lieve luce biancastra cerco la riva, notando che è proprio vicina a me. Mi basta infatti allungare un braccio per arrivarci, infilando le dita nella sabbia, appigliandomici per strisciare fin lì. Mi metto carponi e regolarizzo il respiro, prima di voltarmi a pancia in su, osservando il cielo. È completamente bianco, come un agglomerato di albume montato a neve. È accecante, e sembra portare con sé aria malata. 
Mi faccio forza e provo ad alzarmi, guardandomi intorno per cercare di comprendere in che posto mi trovo. C’è una sorta di boschetto oltre la spiaggia – ora che la osservo bene, mi accorgo che è fatta di sassolini, non di sabbia – e sulla destra quello che mi sembra un promontorio, da cui si intravede un molo in legno. Questo diventa più grande alla mia visione, come se si ingigantisse o io rimpicciolissi, come se improvvisamente fossimo vicinissimi, e quanto più guardo quelle assi di legno tanto più mi sento opprimere da un senso d’angoscia. 
Riesco a distogliere lo sguardo, notando che proprio in prossimità di esso ci sono dei vortici nell’acqua, quasi vi fossero dei tombini sul fondo e qualcuno li avesse improvvisamente stappati. Mi volto al lato opposto, ma non c’è assolutamente niente ad aspettarmi; ciononostante provo a fuggire da qualcosa che sembra più grande di me, un’ombra che mi pesa sulle spalle, che mi tiene paralizzata sul posto.
Guardo verso il mare, vedendo un’alta onda azzurrina, riflettente scie dorate di un sole inesistente, pronta ad abbattersi su di me. Sospiro rassegnata, rinunciando a scappare, guardandola con mestizia. Ne ho paura, ma allo stesso tempo non riesco né voglio spostarmi di lì; così lascio che mi travolga e, mentre l’acqua mi avvolge, pur non muovendomi neppure di un centimetro, accolgo la visione celeste che mi ondeggia dinanzi agli occhi, senza più ferirmi.
 
 
 
Scatto seduta, respirando affannosamente. Mi avvolgo tra le coperte, sentendomi infreddolita, come se sul serio fossi stata in acqua per tutto questo tempo. Mi rannicchio sul letto, concentrandomi per inspirare ed espirare con forza. 
Non è la prima volta in cui sogno di essere travolta da un’onda. E anche se di solito ci sono altre persone attorno a me, sono sempre soltanto io l’unica ad esserne colpita. Ma stavolta, ero del tutto sola. E il paesaggio sembrava quasi non esistere, più simile a macchie di colore su una tela immacolata. Cosa significherà mai? 
So che le onde simboleggiano dei cambiamenti nella propria vita, ma a me sembra sempre che ci sia un legame maggiore con quell’anomalia. Come se fosse una fune legata per un’estremità al mio passato, per l’altra al mio futuro. Forse non è altro che frutto dell’esperienza, ricordi sopiti che cercano di ridestarsi… 
Scuoto la testa, cancellando quel pensiero angoscioso. Mi porto le mani alla testa, chiedendomi se non sia meglio prendere qualcosa per rilassarmi. Anche un sonnifero, se necessario. 
Mi metto seduta per posare i piedi giù dal letto, affondando nel morbido tappeto. Come in trance vi giocherello con le dita, finché non mi dò una scrollata. Mi alzo, uscendo dalla mia stanza, avviandomi verso la cucina per prendere almeno un bicchiere d’acqua. Pensare che mi sono fatta preparare un bagno coi fiori di lavanda, apposta per stare rilassata. 
A metà tragitto, tuttavia, mi interrompo nei miei passi, notando un sottile e fioco cono di luce sprigionarsi dalla camera che mia madre ha fatto preparare per Syaoran. 
Senza rendermi conto di quello che faccio mi sporgo appena per spiare all’interno, socchiudendo un altro po’ la porta per avere una visuale migliore.
Lo trovo seduto sul letto ad occhi chiusi e gambe incrociate, quasi stesse meditando, e ha il cellulare posato sul materasso dinanzi a sé, con lo schermo illuminato rivolto verso il soffitto. C’è un’aria quasi surreale, come se da un momento all’altro potesse comparire uno spettro. A quel pensiero mi si rizzano tutti i peli, per cui mi sforzo di non attardarmici, cercando piuttosto di capire lui cosa stia facendo. Anche se non sento niente, sembra che stia mormorando delle parole tra sé, le sue labbra si muovono ad una velocità impressionante. 
All’improvviso apre gli occhi, trasalendo leggermente, prima di guardare proprio nella mia direzione. Sobbalzo, nascondendomi nel corridoio, per poi darmi della stupida. 
Mi riaffaccio mortificata, ma non faccio in tempo ad aprire bocca che lui parla, mentre accende l’abatjour e posa il telefono sul comodino. 
«Sakura, che ci fai già sveglia?» 
Tergiverso, fingendo di essermi casualmente svegliata, spiegando che stavo per andare a prendere un bicchiere d’acqua. 
Mi guarda perplesso, adocchiando quello che ha lui accanto al letto. Si vede che sono ancora rintronata, ovviamente anche io ce l’ho già pronta in camera. 
Mi scuso, facendo dietrofront, ma lui mi blocca, mettendosi seduto su un lato e toccando il materasso accanto a sé. Non ho la forza di rifiutare il suo invito, e mentre vado a sedermi mi versa dell’acqua, porgendomela non appena mi accomodo. 
Lo ringrazio e lui attende che finisca di berla tutta, prima di domandare: «Hai avuto un incubo?» 
«Mmm… si potrebbe dire sì e no, un sogno frequente…» mormoro sovrappensiero, rivolgendomi poi a lui. «Tu come mai sei sveglio?»
«Stavo facendo training.» Attendo maggiori spiegazioni, ma lui aggiunge soltanto: «E ripetevo».
«Ripetevi?»
«Le cose che sono state spiegate ieri a lezione.» 
Spalanco la bocca, ancora più mortificata. 
«Perdonami, ti ho disturbato mentre stavi studiando!» 
«Non mi hai disturbato, e in ogni caso…» Mi toglie il bicchiere vuoto dalle mani e incontra direttamente i miei occhi, rivolgendomi un sorriso sereno. «È un piacere, se posso parlare con te.» 
Mi sento andare a fuoco.
Chino lo sguardo, stringendomi la gonna della lunga vestaglia tra le mani. Come fa ad essere sempre così onesto? E così diretto? E così spontaneo? 
«Vuoi dell’altra acqua?» 
«No, ti ringrazio.» 
Giocherello con alcune ciocche di capelli, e mentre posa il bicchiere ne approfitto per osservare il pigiama che gli ha fatto prestare mia madre. Dovrebbe essere di Touya-niisama, ma non ne sono sicura. Pensavo che mio fratello fosse un po’ più alto, eppure sembra calzargli bene. 
Appena lo vedo voltarsi verso di me alzo lo sguardo sul suo viso, prima che mi scopra di nuovo a fissarlo. 
«Anche per me è piacevole parlare con te.» 
Si apre in un sorriso più grande, tornando ad indagare: «Allora, ti va di raccontarmi del brutto sogno?»
Temporeggio indecisa. Dovrei spiegargli così tante cose… Cose di cui neppure io stessa sono totalmente certa… 
«Posso provarci.»
Mi allaccio e slaccio le dita nervosa, raccontandoglielo in breve, spiegando quante altre volte mi è già accaduto, e che la cosa più buffa è che mi sento più andare nel panico nella realtà, dove sono al sicuro, che nel pericolo del sogno. 
Senza che io possa anticiparlo, mi prende le mani rinchiudendole tra le sue e posa la fronte contro la mia, chiudendo gli occhi. Trattengo il respiro, col cuore in gola.
Il suo viso… a pochi centimetri dal mio…
Comincia a girarmi la testa, ma cogliendomi di sorpresa Syaoran inizia a formulare una sorta di incantesimo, in un tono bassissimo, quasi cantilenante: «Esci brutto sogno, esci fuori da Sakura. Bel sogno che sei dentro di me, entra dentro Sakura. Mostrale il sogno più dolce…» 
Qui si interrompe, riaprendo le palpebre quasi fosse in trance, mentre io credo di essere sul punto di un infarto. Il sangue sembra essermi confluito tutto al viso per quanto mi sento calda, il cuore me lo sento rimbombare dappertutto, quasi tentando di offuscare la sua voce tanto dolce e mielosa. Percepisco tutto il corpo come se si fosse fatto di pietra, rendendomi incapace di muovere anche un solo muscolo, e mi domando cos’è che ancora spinge avanti gli ingranaggi della mia testa, perché anche il mio cervello sembra essere diventato okayu insieme al cuore. 
«Scusami.» Si tira indietro e mi lascia le mani, sembrando piuttosto confuso. Permettendomi di ritrovare il respiro. «Non so come continua. Non so neppure come…» 
Si porta una mano alla fronte, chiudendo gli occhi, quasi avesse le vertigini, e io mi riprendo repentinamente, allungandomi per sorreggerlo. 
«Syaoran? Stai bene?» 
«Mmh», mormora in conferma, sembrando però smarrito. «Lo recitava mia madre quando avevo incubi. Mia madre…» ripete, adombrandosi. 
Per quel che ne so, Syaoran è stato cresciuto da una donna che lui stesso chiama sempre “Yuuko-san”. Quindi, dicendo “madre” intende forse… la sua vera madre? 
«Sembra una persona molto gentile», commento con dolcezza. 
Lui mi guarda come un bambino sperduto, che non sa come reagire, che non sa cosa dire. 
«Io non… non lo so…» 
La sua voce si infrange come vetro rotto, e con essa sento spezzarsi il mio cuore. Una lacrima sfugge dal suo occhio destro e anch’io sento i miei riempirsi di lacrime. Come rugiada, le percepisco scivolarmi fino al mento, cascandomi sulle maniche. Non so perché, ma mi sento così triste, così affranta…
Mi asciugo rapidamente gli occhi, decidendo di distrarlo. Mi metto subito in piedi, ponendomi davanti a lui per asciugargli la guancia rigata, prima di prendergli le mani e invitarlo ad alzarsi. 
Una volta in piedi lo spingo ad uscire di lì, portandolo invece verso la mia stanza. Sulla soglia di essa si arresta, piantando i piedi sul pavimento. 
«Syaoran?» 
«Non posso entrare», sussurra in tono sommesso, per non destare nessuno. 
«Perché?» 
«Ho fatto una promessa a Touya-sama», risponde, fin troppo seriamente.
Alzo gli occhi al cielo, trascinandolo dentro di forza. 
«Sono io a darti il consenso per entrare, non farti problemi. C’è una cosa che mi piacerebbe mostrarti.» 
Prova a lamentarsi, ma fingo di non sentirlo, e muovendomi al buio – naturalmente la mia stanza la conosco a perfezione – sposto il baldacchino affinché non ci inciampi sopra e lo faccio sedere sul letto, costringendolo a stendersi. 
Si mostra docile, ma prova ancora a protestare, per cui lo zittisco definitivamente accendendo il planetario in miniatura che ho sulla mensola accanto al letto. Tiro su le tende per non impedirne la vista e mi stendo all’altro lato, mettendomi comoda in mezzo ai miei tanti cuscini in piuma.
Sbircio nella sua direzione, vedendolo sgranare occhi e bocca dallo stupore, troppo incantato evidentemente per parlare.
Torno rasserenata su quel firmamento in miniatura, l’unico che io abbia mai potuto direttamente osservare. Chissà se lì fuori è altrettanto bello. 
«Syaoran», infrango il silenzio, attraversata da un pensiero, mentre con lo sguardo ripercorro tutte le costellazioni che riesco a riconoscere. «Hai presente “Ginga tetsudō no yoru” di Miyazawa Kenji?» 
Attendo un suo mormorio di assenso, prima di continuare: «Ne ho lette due versioni, ma c’è sempre una cosa che mi lascia scontenta». Mi volto su un fianco, girandomi verso di lui. «Tu conosci la storia della costellazione dei Gemelli?»
Annuisce, cominciando a narrarmela con gli occhi fissi sul mio finto cielo.
«Rappresenta i gemelli Castore e Polluce, che si dice fossero figli di Zeus e fossero inseparabili. Crebbero molto legati l’uno all’altro, non litigavano mai, né prendevano alcuna decisione senza prima consultarsi. Oltre a somigliarsi fisicamente, si vestivano anche allo stesso modo, ma mentre il primo divenne un cavaliere il secondo fu un campione di pugilato. Entrambi si imbarcarono con gli Argonauti alla ricerca del vello d’oro, ma pare che in seguito ad una lite, dopo che Castore morì, Polluce chiese a Zeus di renderli entrambi immortali, e ciò fu garantito sistemandoli nel cielo come due gemelli abbracciati, inseparabili nell’eternità.»
Lo ascolto rapita dall’inizio alla fine, chiedendogli alcune delucidazioni su cose che non capisco. Lui me le spiega pazientemente, e non sembra affatto infastidito dalla mia ignoranza.
Quando finisce guardo anch’io verso il soffitto illuminato dalla notte, sospirando assonnata.
«Come Giovanni e Campanella, anche a me piacerebbe percorrere il Fiume del Cielo, sai? Eppure, in parte, mi sembra di averlo già attraversato. Forse in un sogno.» 
Sento le palpebre farsi improvvisamente pesanti, e non faccio neppure più caso a quello che dico. 
«In quel sogno occupavamo lo stesso vagone?» 
Sorrido appena contro il cuscino che abbraccio.
«Forse sì, ma allo stesso tempo non ne sarei felice.» 
«Io non sarei felice, se tu fossi su quel treno. Non salirci, Sakura.»
«No», gli prometto, avvertendo la mia coscienza abbandonarmi. 
«Fai dolci sogni.»
Mi sembra di percepire una lieve pressione sulla fronte, al che, spinta da un tenue sospiro, mi ritrovo a volteggiare tra campi di smeraldo, fiori di cristallo, animali di vetro e fiumi di turchese, sotto il velo del cielo che mi protegge e veglia con dolcezza su di me.










 
Angolino autrice:
Salve! Ho cercato di aggiornare quanto prima per completare la giornata trattata, ma avviso che sto approfittando di giorni "liberi" in cui ho poco e niente da fare. Dato che, se tutto va bene, il mese prossimo dovrei cominciare col tirocinio per l'università, probabilmente trascorreranno più giorni tra un capitolo e l'altro. 
Venendo alla storia, qui ci dovrebbero essere soltanto due cose da spiegare.
1) L'okayu non è altro che riso e acqua (viene anche definito "riso stracotto" o "porridge") che, essendo morbido (simile a una pappina) e facile da digerire, viene comunemente mangiato da bambini/anziani e quando si sta male.
2) Il testo qui citato, 
in italiano "Una notte sul treno della Via Lattea", di Miyazawa Kenji, è una "fiaba"/racconto fantastico che esiste in più versioni e ha ricevuto molte interpretazioni. La trama, in breve, parla di un bambino, Giovanni (i nomi sono italiani anche nell'originale), che durante una festa si addormenta e si ritrova a viaggiare su un treno che procede lungo la Via Lattea; qui incontra diversi personaggi, tra cui il suo migliore amico, Campanella, e si fermano in diverse stazioni, ciascuna caratterizzata da scenari spettacolari (c'è un grande uso di colori, cristalli, suoni, e per questo è molto evocativo). Quando poi Giovanni si sveglia, scopre che il suo amico è annegato per salvare un loro compagno di classe caduto nel fiume, e per questo il viaggio attraverso la Via Lattea è visto come un "viaggio verso il Paradiso" (abbonda anche di elementi religiosi cristiani). 
La domanda che pone Sakura sulla costellazione dei Gemelli è dovuta al fatto che, seppure vengano nominate diverse costellazioni e vengano in qualche maniera spiegate, questa è citata senza alcuna vera delucidazione, perché uno dei due bambini morti annegati (si suppone nel Titanic) non lascia parlare la sorella che sembra conoscerne la storia, accennando solo vagamente ai "palazzi di cristallo" della costellazione, a un gioco e un litigio, e all'arrivo di una cometa.
Scusate se mi sono dilungata tanto per spiegarlo, ma come si sarà certamente notato è uno dei miei racconti preferiti giapponesi, e non potevo non inserirlo in una storia dai toni "eruditi". Spero comunque che dopo questa breve spiegazione siano chiare le allusioni che trovate nel capitolo (ma anche nella storia in generale). 

A presto, spero, col continuo!
Grazie a chi legge, e a voi che recensite ^w^
Steffirah 

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Capitolo 15
*** 14 ***


XIV



 
 
 
Il venerdì dell’uscita con gli amici di Syaoran è finalmente giunto.
Per l’occasione mi sono fatta dare dei consigli da Yuzuriha-chan sul come dovessi vestirmi per non attirare troppo l’attenzione – se avessi chiesto a Tomoyo-chan sarei sicuramente risultata troppo vistosa – e lei mi ha aiutata a scegliere un vestitino lungo fino al ginocchio color crema, privo di alcuna fantasia, la cui unica particolarità sta nella scollatura arricciata con del merletto rosa pesca e un nastrino con un fiocchetto al centro del petto. Essendo sbracciato, al di sopra ho indossato un cardigan di quella stessa cromatura, solo un po’ più calda, e ho calzato ai piedi degli stivaletti che mi arrivano sopra la caviglia. Mi sono truccata in modo molto leggero, e ho appuntato tra i capelli una mollettina da bancarella con un fiocchetto, seguendo la moda ora in voga tra gli adolescenti.
Ho fatto bene ad affidarmi a lei, che ne sa più di me delle tendenze della nuova generazione, tant’è vero che mi ha prestato anche un bauletto in vernice rossa a forma di cuore.
Ringrazio anche il fatto che sia una bella giornata di sole, il che mi permette di indossare gli occhiali – almeno finché non giungeremo al coperto. 
Io e Syaoran camminiamo fianco a fianco da un po’, con lui che, come la volta precedente, si mette al lato delle macchine o degli altri passanti, così che niente o nessuno possa infastidirmi o toccarmi. Inoltre, quando giungiamo in zone più affollate mi prende anche per mano, assicurandosi di non perdermi. 
Ora stiamo conversando su quello che dovremmo riferire ai suoi amici su di me, in qualità di “Ichihara Hana”. Il cognome lo ha preso in prestito da Yuuko-san. 
«Quindi, ricapitolando. Prima di trasferirti in città abitavi ad Akiruno, in una zona nella valle tra le montagne Okutama, totalmente immersa nel verde. La tua casa era adiacente alla mia, quindi è stato inevitabile fare conoscenza. Siamo amici di infanzia», concludo, riassumendo il tutto. 
Annuisce, aggiungendo: «Perfezioniamo la bugia. Dopo che sono stato adottato, tu e i tuoi genitori siete venuti a porgermi i vostri saluti, e per l’occasione ci avete anche regalato delle mele che coltivate». 
Che astuto, non solo il mio frutto preferito, ma anche quello più “provinciale”.
«E di tanto in tanto mangiavamo tutti insieme?» propongo, cominciando ad immaginare quella vita alternativa. Chissà perché, per quanto sia fittizia, la sento così vera. 
«Non solo. Partecipavamo ai festival stagionali, andavamo a pregare al santuario locale, trascorrevamo quasi tutti i giorni insieme e tutte le notti ci stendevamo sugli erbosi argini del fiume, a contare le stelle. Per questo siamo diventati molto amici.»
«Migliori amici», lo correggo, sentendomi infinitamente felice. Non avrei mai pensato che una menzogna potesse apportarmi tanta gioia. 
«Sì. Poi purtroppo dopo che mi sono trasferito a Tokyo non ci siamo più visti, ma siamo rimasti in contatto, e dato che ti è stato concesso qualche giorno di “vacanza”, per così dire, abbiamo deciso di rivederci.»
Annuisco, considerandolo realistico.
«Se dovessero chiedermi dove sto alloggiando…»
«Da me.» 
«Eh?!» 
Lo fisso paonazza, mentre lui fa un mezzo sorriso. 
«Ti sto ospitando io per un po’, no? È naturale che lo faccia, con una persona che mi è così cara.» 
«Mm… mmh…» Mormoro qualcosa poco convinta, sperando che effettivamente non mi venga domandata una cosa simile. 
«E se dovessero indagare su altro?» 
«Lascia rispondere me.» 
Gli rivolgo un’occhiata divertita, al che mi fissa perplesso. 
«Cosa c’è?»
«Syaoran, ti conosco da poco, ma di te ho capito che sei una persona molto onesta e genuina. Quindi mi domando, come fai ad essere così abile nel mentire?» 
Lui sposta lo sguardo sulla strada, sembrando vagamente scontento. 
«A volte è necessario farlo.»
«Quando lo si fa con buone intenzioni?» 
Fa un breve cenno col capo, rivolgendomi un minuscolo sorriso. 
«E quando si vuole proteggere qualcuno.» 
Il mio cuore sembra fare le capriole dinanzi a tale affermazione, ma lui non sembra rendersene conto, arrestandosi dopo pochi passi. 
«Siamo arrivati», annuncia, indicando l’edificio di fronte a noi. 
Mi volto verso esso e resto basita, leggendo un’insegna su cui a caratteri cubitali c’è scritto “Ōto”, ritrovandomi inaspettatamente ad entrare nel karaoke gestito dal padre di Yuzuriha-chan. Non posso crederci, siamo finiti in un luogo così familiare…
«Come mai proprio qui?» mi faccio sfuggire. 
Syaoran si guarda attorno, crucciandosi. 
«Non ti piace l’ambiente?» 
«No, al contrario! Questo karaoke appartiene ad una mia amica», gli rivelo, abbassando la voce. 
«Sul serio?» replica stupito. «Non me l’aspettavo. I ragazzi adorano venire qui, si sentono a loro agio, e gli impiegati sono tutti molto cordiali.» 
Sorrido nel sentire ciò, segnandomi mentalmente di riferirlo a Yuzuriha-chan. Ne sarà più che lieta. 
Quando ci avviciniamo al bancone della reception per chiedere in che stanza andare, Karen-san ci adocchia con sorpresa.
«Syaoran-kun, hai compagnia oggi?» 
«Una mia cara amica», spiega brevemente, in maniera convincente. 
Mi inchino mentre esclama: «Che bello! A noi fa sempre piacere avere ragazze come clienti! È un piacere conoscerti tesoro. Io sono Kasumi Karen, ma tu chiamami semplicemente Karen. Mi raccomando Syaoran-kun, trattala bene». 
«Assolutamente», le garantisce, e non appena gli dice il nostro numero ci allontaniamo, accingendoci a salire le scale. 
«Non sembra avermi riconosciuta», osservo in tono basso, parlando tra me. 
«Non venite sempre camuffate?» 
«Per forza», sospiro, poggiandomi al corrimano mentre salgo. «I tuoi amici già sono qui?» 
Annuisce, e prima che mettiamo piede nel corridoio spiega rapidamente: «Sono tutti molto allegri e socievoli; soprattutto Shidō e Ryūō, sono dei gran chiacchieroni. Se dovesse venirti il mal di testa a forza di ascoltarli fammi un segno, ti porto subito via». 
«Addirittura!» Ridacchio, piegando poi un braccio per mostrare muscoli inesistenti. «Ce la metterò tutta.» 
Ci fermiamo davanti alla porta, e prima di fare il nostro ingresso Syaoran mi concede del tempo per togliere gli occhiali e riporli in borsa. Caccio lo specchietto dandomi una rapida occhiata e mi aggiusto i capelli sfattisi al leggero vento autunnale, cominciando ad innervosirmi. Lo metto a posto stirandomi la gonna, finché Syaoran non mi prende per mano; con la mano libera mi solleva il viso, facendomi incontrare direttamente i suoi occhi, per la prima volta oggi. Che colore lenente, rassicurante…
«Andrà tutto bene. Ti divertirai», mi assicura. 
Gli sorrido con convinzione. Non c’è neppure bisogno di oltrepassare quella porta, già mi sto divertendo. 
Metto quindi da parte l’ansia e lui aspetta un cenno da parte mia, prima di aprire.
Cammina davanti a me e fa un saluto generale, cui rispondono più voci concitate con «Era ora!» e «Heilà Syaoran!», insieme a saluti più gentili femminili. Mi affaccio incuriosita dal suo braccio e lui prontamente si fa da parte, presentandomi. Li osservo uno ad uno, col cuore che batte a mille. Questi sono gli amici di Syaoran. Questo è il suo bellissimo mondo ricco di colori. 
Seduto più vicino al televisore c’è un ragazzo coi capelli lunghi legati in un codino, dall’aria un po’ più adulta, chiamato Asagi Shōgo. Al suo fianco c’è una ragazza che sembra avere su per giù la mia stessa età, se non persino di meno, con lunghi capelli azzurri divisi in due alte code, e un viso molto grazioso e ben curato. Con mia sorpresa si presenta anche a Syaoran, col nome Primera.
A seguire siede un ragazzo che sembra molto vivace e solare, dai capelli sul castano rossiccio e, come me, occhi verdi, seppure i suoi siano più scuri. Tiro un sospiro di sollievo e prima ancora che si presenti presumo sia Ryūō-san. Di fronte a loro siede un’altra ragazza dall’aria elegante, con lunghi capelli dello stesso celeste dei suoi occhi, Ryūzaki Umi. Per esclusione, la ragazza coi capelli rossi e la treccia dev’essere Shidō-san, che scopro chiamarsi Hikaru. 
Mi inchino dinanzi a loro e prendo posto su uno dei due divanetti in pelle tra Syaoran e Hikaru-san, che subito mi tratta con cordialità, offrendomi le patatine e i succhi che stanno sul tavolo. 
«Queste patatine sono buonissime!» esclama pimpante, quasi accecandomi con la sua radiosità. «Sono uscite da poco, sono al gusto teriyaki. Sono sicura che non le hai mai mangiate», sospetta, facendomi ammettere: «Infatti, è così». 
Ne accetto una bustina e la apro, sorridendo dinanzi alla loro forma a spirale, prima di assaggiarle.
«Come sono?» domanda trepidante, non lasciandomi neppure finire di ingoiare. 
Mi porto una mano alla bocca, replicando: «Molto buone».
Si apre in un ghigno enorme, abbracciandomi di slancio.
«Hana-chan, sento che diventeremo ottime amiche! Ah, che buon profumo!» Mi sniffa apertamente, facendomi avvampare. «Cos’è?»
«Uhm… forse il bagnoschiuma? Era a rose e cioccolato.» 
«Dai, che buono! Umi-chan, sentilo anche tu! Non è delizioso?»
Anche l’altra ragazza mi si avvicina, e la rimprovera dandole un colpetto in testa.
«Hikaru, insomma. Quante volte devo ripeterti di avere più contegno quando conosci una persona nuova?» Hikaru-san la guarda come un cagnolino bastonato, ma Umi-san sembra irremovibile. Si volta a guardarmi con aria di scuse, ma non appena apre bocca riconosce: «Effettivamente ha ragione, è così dolce! Lo devo comprare anch’io! Poi mi dirai la marca?» 
Taccio, non sapendo come rispondere. Quello che ho io costa parecchio, se glielo rivelassi capirebbero tutto e… 
«Oi, Hikaru, Umi! Piantatela di importunarla, è appena arrivata.»
Ringrazio mentalmente Ryūō-san per aver deviato la loro attenzione. 
«Senti chi parla! Scommetto che se fosse stato un ragazzo ti saresti comportato persino peggio», ribatte Umi-san, focosa. 
Sento che sono sul punto di battibeccare, ma fortunatamente Shōgo-san interviene con calma e diplomazia. Sembra veramente maturo. 
«Hana-chan, è veramente un piacere conoscerti. Al solito Syaoran non parla mai di sé, ma quando ci ha raccontato di te ne è parso molto entusiasta.»
Davvero?
Sbircio verso di lui, trovandolo impegnato a sorseggiare un mogumogu a cocco e litchi.
«È vero!» confermano Umi-san e Hikaru-san, con foga. 
«Aveva proprio una gran voglia di presentarti a noi!» aggiunge Ryūō-san, con occhi brillanti. Ha un’aria così da bambino, mi fa tanta tenerezza. 
Mi volto di nuovo verso Syaoran, grata. Lo so che lo fa per me. 
Lui sembra impassibile, ma è ovvio che finga soltanto di non sentire. Posa la bottiglietta, rivolgendosi alla persona seduta dinanzi a lui.
«Primera-san, è bello poterti finalmente conoscere.»
«È bello poter avere un periodo di riposo», ribatte subito lei, sospirando teatralmente. 
Osservo la scena senza capirci molto, e forse Shōgo-san se ne accorge, perché interviene prontamente: «Primera è la mia ragazza, ma non ho mai avuto modo di presentarla ai miei amici, essendo impegnata coi concerti».
«Concerti?» ripeto stupita. 
«Non sai che è una idol emergente?»
Scuoto vigorosamente la testa, guardandola mortificata. Il suo viso mostra un misto tra sollievo e disappunto. 
«Alcune sue canzoni sono persino qui. Perché non ne canti qualcuna, così è come se Hana-chan assistesse ad un tuo concerto?» le propone. 
Lei sembra molto deliziata all’idea, per cui le sorrido incoraggiante: «Sarei molto lieta di ascoltarti!» 
«Waah sì, adoriamo le tue canzoni Primeraaa!» esclamano ad una voce Ryūō-san e Hikaru-san, gasandosi per lei. 
Primera-san ne pare lusingata e acconsente, scegliendo una canzone di un gruppo chiamato “Hanshin”; si mette in piedi e mi raccomanda di ascoltarla con attenzione, prima di cominciare a cantare. 
Non appena comincia resto a bocca aperta, non avendo mai udito qualcosa di tanto… allegro, spensierato, pimpante, energico e, soprattutto, incasinato. Senza che io ne comprenda la ragione, anche Ryūō-san e Hikaru-san si alzano in piedi, dando vita ad una semplice coreografia, che ha un che di spumeggiante. Sposto lo sguardo da loro a lei, seguendo quella vivace musica a tempo, non controllando il sorriso che mi spunta sul viso.
Primera-san ha, effettivamente, l’atteggiamento tipico di una persona abituata a cantare dinanzi ad una platea: è sicura di sé e della sua voce, facendola uscire con potenza, tanto che insieme alle sue corde vocali vibra anche il mio cuore. 
Quando giunge alla fine anche lei si mette in posa, facendomi l’occhiolino con un sorrisone, chiedendomi il mio parere prima ancora che la musica finisca. 
«Allora, che ne pensi?»
«Sei bravissima! Mi piacerebbe ascoltare qualcos’altro.» 
Pare che sia esattamente quello che voleva sentirsi dire, perché non se lo fa ripetere due volte e anche Ryūō-san e Hikaru-san si gasano, cimentandosi in balletti diversi per ogni brano che esegue. 
Di tanto in tanto Shōgo-san interviene, spiegandomi che i due sono suoi grandi fan e vanno ad ogni suo concerto, oppure canta con loro i ritornelli. Ad un certo punto finiscono per coinvolgere anche me e Umi-san in quella danza bambinesca, mentre solo Syaoran ne resta fuori; ciononostante, mi accorgo dal sorriso placido che aleggia sul suo volto che si sta divertendo.
Quando Primera-san sembra aver finito il suo repertorio si risiede composta e beve una fresca aranciata, pronunciando subito: «Farò in modo di farti avere dei biglietti per un mio concerto».
La ringrazio di cuore per il bel pensiero, anche se purtroppo non so se avrò mai la possibilità di andarci. 
Umi-san sembra essere entrata appieno nell’umore giusto e ne approfitta per appropriarsi del microfono; Ryūō-san ne prende un altro, e insieme passano immediatamente ad altre canzoni pop, duettando. Anche se sembra di più che sia una gara su chi canti più veloce, tanto che ci sono persino delle parti rappate, mentre Hikaru-san e Primera-san fungono da coro.
Li ascoltiamo dilettati, finché non sembrano stancarsi a loro volta, e a quel punto Umi-san mi porge il microfono. 
«Canta anche tu, Hana-chan!» mi invita, con un sorriso allegro. 
Accetto subito, cominciando a cercare tra i titoli qualcosa che conosco. 
Pur avendo gli occhi impegnati sullo schermo, sento Shōgo-san chiedere: «Stavolta canterai anche tu, Syaoran?» 
Non ricevendo risposta, Ryūō-san interviene in tono lagnoso: «Daaai non farti pregare, scommetto che Hana-chan non vede l’ora di ascoltarti!» 
A questo mi volto verso Syaoran alla mia sinistra, sorridendogli incoraggiante. 
«Lo vorrei tanto.»
Non ne sembra ancora persuaso, ma almeno ha il tempo in cui canterò per decidere cosa fare.
Trovo la mia canzone preferita, “Amrita”, ma stavolta cerco di cantarla soltanto per il puro gusto di farlo e deliziare le persone attorno a me, senza deprimermi. Ci metto tutta me stessa e, trovandone anche altre che mi piacciono tantissimo, intitolate “Jasmine”, “Kimi no erabu michi” e “Modokashii sekai no ue de”, finisco col dare voce anche a quelle.
Con mio grande piacere, Hikaru-san, Umi-san e Primera-san si aggiungono a me nei ritornelli, finché non giungiamo alla fine della mia selezione. 
Tutti si complimentano per la mia voce, ma io rispondo umilmente, elogiando invece la loro, molto più “presente” e “forte” della mia.
Mi volto poi verso Syaoran e lo trovo a fissarmi ammutolito, con un indecifrabile luccichio negli occhi. Chiude per un istante le palpebre, sorridendo tra sé, come se in questo momento si trovasse da tutt’altra parte, in un luogo in cui è circondato dalla pace più assoluta. Quando le riapre sembra ospite di una beatitudine eterna, oserei quasi dire divina.
Lasciando tutti di stucco, mi toglie il microfono da mano, affrettandosi a cercare una canzone. Si solleva un mormorio e Ryūō-san gli fischia, incoraggiandolo, mentre Umi-san mi sussurra in un orecchio che solitamente è molto reticente a cantare e finora ha ceduto soltanto una volta alle loro insistenze. 
Non conosco il brano che sceglie, eppure mi basta ascoltarne qualche nota non appena comincia per provare un forte senso di familiarità. E non appena Syaoran inizia a cantare, il cuore sembra salirmi in gola, per poi cascarmi nello stomaco, e danzare insieme alle farfalle lì radunatesi seguendo quella melodia.
Mi porto una mano al petto, sentendomi sempre più scaldata da lui, soprattutto quando, lasciando perdere il televisore, si volta a guardarmi, con una tenerezza che non mi ha mai mostrato prima. E mi dedica quelle stesse parole, quelle parole che ancora oggi ricordo a perfezione, che le mie labbra seguono silenziosamente insieme alle sue.
 
Moshimo deau no ga
Futari motto hayakattara
Kono unmei sae sukoshi kawatteta no ka na
 
Trattengo il fiato, percependo le lacrime pizzicarmi gli occhi. Vedo la sua figura sfocata, eppure luccica così tanto in questa piccola stanza immersa nel buio. 
Syaoran… quella era davvero una canzone che seguiva note di un pentagramma tracciato verso di me.
Syaoran… sei davvero tu ad avermi salvata.











 
Angolino autrice:
Buonasera! Come non detto, aggiorno prima del previsto perché tra due capitoli si parla di Halloween e non potendolo mai festeggiare, per una ragione o per un'altra, voglio commemorarlo pubblicando (cosa che qualcuno di voi già sa che ho fatto con qualche altra storia di CCS...). 
Qui mi sa che sono tante le cose da spiegare, per cui cercherò di procedere con ordine. 
Come avrete notato, il karaoke prende nome dal Regno di
Ō
to, ed è gestito da colei che nel manga è chiamata "Karen Dayu"; il cognome vero è quello che trovate qui (preso da "X"), mentre "dayu" è un titolo dato al leader di una compagnia teatrale. Tra gli altri cognomi, ci sono quelli di Umi e Hikaru da "Magic Knight Rayearth" e di Shōgo sempre da "X". 
Passando a ciò di cui si parla poi al karaoke, la salsa teriyaki è a base di mirin (sakè dolce da cucina), salsa di soia e zucchero fatti bollire fino ad assumere una consistenza cremosa; il mogumogu è una bevanda che esiste in svariati sapori, contenente morbidi pezzi di frutta (il termine è onomatopeico per indicare l'atto del masticare). 
Come per il nome del karaoke, anche con la band di Primera ho ripreso la Repubblica di Hanshin (ma forse queste sono cose superflue, che potrei anche evitare di sottolineare?). 
Passiamo adesso ai brani citati. Oltre alle cose già spiegate nel prologo, Sakura canta anche "Jasmine", rilasciata con "Amrita" per il film, e altre canzoni di Yui Makino: ho scelto, per i loro testi, "Kimi no erabu michi" ("La strada che tu scegli") e "Modokashii sekai no ue de" ("Sulla cima di un mondo frustrante"), come sempre interpretati per potersi meglio adeguare alla situazione narrata. 
E con questo, posso anche salutarvi, annunciandovi che domani o dopodomani pubblico il resto dell'uscita. 
A presto! 

P.S.: al solito, tutte le traduzioni sono mie, quindi se cercando su internet le trovate diverse è perché certi termini possono assumere diversi significati, in base alla situazione.

 

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Capitolo 16
*** 15 ***


XV



 
 
 
Dopo aver trascorso ben più di due ore al karaoke, approfittiamo del bel tempo per fare una passeggiata in città. Eppure, per quanto sia magica e inedita con le foglie dai colori autunnali che sfiorano i nostri corpi e le luci già accese che la adornano, continuo a camminare come se fluttuassi su nuvole di cotone rosato.
È dal momento in cui ho scoperto che la cara voce che ha cullato le mie giornate in tutti questi mesi appartiene a nient’altri che Syaoran che provo un’emozione inspiegabile. Se dovessi descrivere cos’è, non saprei proprio come farlo. So solo che è sopraffacente, che mi rende tanto gioiosa da portarmi sul punto di piangere, e che è divenuta sempre più soverchiante, dato che i suoi amici non si sono lasciati scappare questa chance e lo hanno convinto a non fermarsi ad una sola canzone. Non possono neppure immaginare quanto sono loro grata per questo, perché per me non ha significato altro che avere l’inaspettata opportunità di ascoltarlo persino di più. E il suo sfruttare frasi chiave per guardarmi in determinati momenti, sorridendomi dolcemente, non ha fatto che stringermi ulteriormente le budella, farmi palpitare maggiormente il cuore, condurmi sempre più in alto, verso l’universo infinito.
Pensavo che una volta fuori l’aria fresca autunnale mi avrebbe aiutata a ritornare lucida; e invece, ancora non riesco a togliermi dalla mente quei versi che è parso dedicarmi.
 
Okuretatte komatteiru, anata no te wo torou
Kimatteru sa
Kawaranakucha naranai sekai de


Yugandatte mayottatte
Bokura wa kowarenai
Uzukumatte tameterunda haneagaru yume wo

 
Arrossisco, chinando lo sguardo. Se fosse al suo fianco, raggiungerei qualsiasi luogo, anche se dovesse trovarsi lontano da questo mondo, e realmente non saprei più cos’è la tristezza… E con lui potrei continuare a sognare anche per il resto della mia vita…
 
Anata to no jikan wa imaya yume no yō
Iron'na koto ga okori
Iron'na hito to deai
Iron'na mono o mite kiite
Madamada shiranai koto ga aru koto o shiru
Jikkan suru koto de kawatte iku
 
E in fondo, non è tutto quello che mi sta permettendo di vivere adesso, stando al suo fianco?
Lo osservo di sottecchi, e non mi trattengo dal ridere dinanzi all’entusiasmo di Umi-san, Hikaru-san e Ryūō-san, che ancora gli girano attorno esaltati per essere riusciti a farlo cantare fino allo scadere dell’orario per cui avevano prenotato – contribuendo però ai suoi ritornelli o alle intro. Le canzoni che hanno scelto a forza per lui, intitolate “Furachi na session” e “Faith”, sono state del tutto inaspettate, molto allegre e vivaci. E aggiungendo quella gaiezza alla sua voce… Molto più armoniosa, avvolgente, calda di quanto ricordassi… Così vigorosa, sicura, magnetica…
Scuoto vigorosamente la testa, sforzandomi di non pensarci, e fortunatamente Primera-san mi si accosta, distraendomi nello sbuffare per quanto siano infantili gli altri.
In un certo qual senso mi sento a mio agio al suo fianco, poiché naturalmente ha dovuto celare il suo aspetto con occhiali e cappello, legandosi e alzandosi i capelli; così facendo, mi sono sentita meno fuori posto. Non che con gli amici di Syaoran abbia avuto tale impressione. Sono così simpatici, socievoli e spensierati.
Dopo poco Umi-san sembra riprendersi per prima dal fervore e mi rapisce, facendomi camminare giusto al centro tra lei e Hikaru-san, mentre Primera-san torna dal suo ragazzo e i ragazzi ci seguono stando alle nostre spalle.
Per non destare sospetti ho dovuto acconsentire anche a lasciarmi immortalare con loro, ringraziando il fatto che con gli occhiali e il cappello, anche se i selfie dovessero essere pubblicati, nessuno dovrebbe capire chi sono. In effetti, nessuno dovrebbe conoscere il mio aspetto, non più almeno, ora che sono cambiata, ora che non dovrei più esistere… Ma, in ogni caso, preferisco non rischiare. Il taglio del mio viso o la mia conformazione fisica potrebbero sempre tradirmi. Per non parlare dei miei occhi. 
Per non stare troppo tempo all’aperto, comunque, le ragazze decidono di approfittare del fatto che manchino ancora delle ore alla cena per visitare il teamLab – anche perché secondo loro è un’esperienza che non devo assolutamente perdermi.
Non ho idea di cosa sia, finché non scopro che si tratta di un museo completamente multimediale, di arte digitale.
Mentre ci mettiamo in fila all’entrata ci fanno posare in un armadietto borse, scarpe e calzini, viene chiesto di arrotolare i pantaloni e a noi ragazze con le gonne vengono prestati dei pantaloncini neri usa e getta, permettendoci di portare con noi soltanto il cellulare – purché non utilizziamo il flash. Procediamo poi per un corridoio buio, illuminato solo da vaghe luci circolari dapprima azzurre e poi bianche, mentre si avanza su per una pendenza coperta d’acqua fredda. Ora è chiaro perché ci hanno chiesto di togliere le scarpe.
Alla sua sommità c’è una piccola e brillante cascata, mentre sulla sinistra la prima stanza in cui si entra si dimostra sin da subito particolare: non appena poggio piede sul pavimento mi sento oscillare e affondare; mi aggrappo alla maglia della prima persona che mi capita a tiro, che scopro essere Syaoran. Mi scuso, ritrovando l’equilibrio, ma anche al buio e a queste fioche luci iridescenti lo vedo sorridere tranquillo.
«Non preoccuparti. Solo stai attenta, il pavimento cambia ad ogni passo.»
Annuisco, mettendomi dritta e impegnandomi. In effetti, è come procedere su morbidi cuscini, soffici e confortevoli, tanto che potrei anche decidere di sprofondarci dentro e non rialzarmi più. Al contempo, il pensiero che questo sia solo l’inizio e che probabilmente qualcosa di meglio mi sta aspettando mi spinge ad andare avanti.
Gasata provo a raggiungere Umi-san e Hikaru-san, traballando, e quando mi notano tutte e due mi afferrano per le braccia, facendomi cadere. Primera-san, non accorgendosene, inciampa su di noi e i ragazzi sospirano rassegnati; sennonché, dopo poco, anche Ryūō-san si sbilancia, trascinando con sé anche Syaoran e Shōgo-san. Le ragazze li prendono in giro, alzandosi per prime e afferrandomi per mano, facendo loro pernacchie per anticiparli nel proseguire.
Continuando ad essere guidati dalla musica, entriamo in una zona con tantissime porte e pareti, su cui è riflessa una foresta di fiori, di tutte le tipologie. Seguiamo alcuni petali e farfalle fluttuanti, mentre Umi-san mi spiega che le immagini cambiano a seconda di come interagiamo con esse e si influenzano l’una con l’altra; mi invita pertanto ad allungare una mano su un crisantemo, e io faccio un tentativo. Non appena vi poggio le dita tutti i petali volano via, e al suo posto compare una distesa di sakurasou. Li guardo meravigliata, sorridendole grata per avermi spiegato questa cosa.
Seguendo tale parete ci ritroviamo in un’area in cui l’acqua scorre di fronte a noi come una cascata immersa nell’autunno; al di sotto di essa c’è una roccia, su cui le persone si siedono per scattare fotografie, per cui non appena si libera vengo guidata lì, con Umi-san che affida il cellulare a Shōgo-san per commemorare il momento – a sua detta è molto abile nello scattare fotografie, tant’è che è egli stesso ad occuparsi degli album di Primera-san.
Fatto ciò ci spostiamo sulla parete opposta, dove fluttuano dei kanji. Mi accorgo che sono scritti come se fossero stati tracciati col pennello, e li osservo affascinata. Li scruto uno a uno, finché non sbatto contro la spalla di Syaoran. Di nuovo, mi scuso per essere tanto imbranata.
Lui ridacchia, come se davvero non gli desse fastidio questo tratto di me, e si china di poco per prendere una mia mano. La guida verso la parete, mentre il cuore mi salta in gola, e mi porta a toccare uno dei caratteri, quello col mio nome. E non appena le nostre dita unite vi si posano sopra esso sboccia in tanti rami di ciliegio dal colore acceso.
Trattengo il fiato, e con esso qualsiasi emozione che possa tradirmi, mentre mi giro di poco a guardarlo. Toccando il mio nome, quello che lui conosce come il mio vero nome, è come se stesse toccando direttamente il mio cuore. Come se mi stesse dicendo che lui c’è sempre, a prendersi cura di me, nel corpo e nell’anima.
Continua a rimirare con meraviglia i fiori rosati, finché non si volta nella mia direzione, sorridendomi raggiante. È accecante. Come il sole d’estate. Mi induce spontaneamente a sorridere, ma nonostante il cuore che batte a centomila all’ora è calmante, al punto che potrei restare per sempre lì a guardarlo del tutto rapita.
«Hana-chan, vieni, da questa parte!»
Hikaru-san mi si avvicina senza che io me ne renda neppure conto e mi trascina via di lì, correndo gioiosa in un’altra sezione.
«Hikaru, potevi aspettare un altro po’», sibila Umi-san, guardandomi mortificata.
Sbatto le palpebre, tentando di ridestarmi dalle mie fantasticherie, e cerco di ricompormi.
«Ma se non ci muoviamo potrebbero arrivare altre persone, e poi non ce la possiamo godere», ribatte accesa, spingendomi in una nuova sala. E non appena vi metto piede resto a bocca aperta.
«È… meravigliosa…» riesco a malapena a sussurrare.
Miriadi di luci pendono dal soffitto, riflettendosi da tutte le parti grazie agli specchi che ricoprono tutte le pareti. Lungo ciascuna di esse, i puntini di luce cambiano colore, creando di volta in volta immagini e impressioni diverse: acqua e cristalli turchesi, scie arcobaleno, pioggia color lavanda…
Scopro che a cambiarne i colori, gli effetti e la musica è Primera-san, che già aveva scaricato l’app del museo, avendo già scattato uno shooting qui. Ecco perché ci illustra anche come e dove metterci in posa, affidandosi ancora una volta a Shōgo-san per farci uscire belle alla pari di modelle.
Procediamo poi per i bui corridoi, illuminati solo dal traversamento di animali realizzati con i fiori o banchi di pesci, ritornando coi piedi nell’acqua. Qui essa brilla di un bianco leggero e profuma come un sapone all’ylang-ylang, finché non si apre in una stanza enorme, ove sulla superficie nebulosa dell’acqua sono proiettate variopinte carpe koi. Ci si sente esattamente come se si avanzasse in un reale stagno, e mentre si cammina e ci si sguazza è possibile anche giocare coi pesci, i quali, quando scontrano le persone, si trasformano in nuovi fiori.
Una volta fuori di lì i membri dello staff ci passano un asciugamano per asciugarci, da posare poi in delle ceste con gli asciugamani usati.
Proseguiamo allora per un’altra zona, somigliante ad un verde prato di una zona rurale, che richiama un campo di riso. Al di sotto delle piantagioni – che mi ricordano foglie di ninfee – è possibile vedere proiezioni di insetti, fiori o foglie soffiate via dal vento. È tutto sempre più fiabesco, evocativo e incredibile, ma torna divertente non appena giungiamo in uno spazio riempito completamente da giganti sfere fluttuanti, che bisogna spostare per poter raggiungere il lato opposto della stanza. Mentre lo si fa, però, i loro colori pastello variano, così come muta anche lo spazio e i percorsi che si aprono.
Ci divertiamo per un po’ a giocare a nascondino, affacciandoci dalle diverse sfere, finché non ci ritroviamo delle scale davanti.
Saliamo al secondo piano, dove finiamo in un universo di fiori fluttuanti. Qui è possibile sedersi o stendersi sul pavimento riflettente per ammirare i fiori sulle pareti e il soffitto che si muovono e cambiano, dando l’impressione che anche noi ci muoviamo con essi. In particolare, sono spettacolari la pioggia di rose e di girasoli.
Dopo che ci siamo riposati un po’ procediamo nella stanza successiva, che già dall’esterno mi blocca il respiro: essa è totalmente riempita da lanterne fluttuanti, che grazie ai giochi realizzati dagli specchi sembrano infinite. Entro insieme agli altri su di giri, notando che sembrano tante stelle variopinte. Quanto più avanziamo, tanto più mi sento trasportata in un altro mondo.
Tale pensiero me lo faccio sfuggire ad alta voce, al che le ragazze mi sorridono compiaciute.
«Preparati allora al gran finale!»
Scattiamo rapidamente delle fotografie scenografiche e spettacolari, essendo il tempo di sosta lì limitato, e raggiungiamo l’ultima stanza. Essa si rivela essere nient’altro che un enorme elastico immerso nel buio del cosmo, tra cui oscilla la Via Lattea, galassie, nebulose, pianeti.
Mentre lo guardo con le lacrime agli occhi – è mille volte meglio del mio mini-planetario – Hikaru-san si piazza giusto al centro, cominciando a saltare con vigore.
«Più salti, più gas si accumula, tanto più diventa grande la stella che riesci a creare», mi spiega Shōgo-san, notando probabilmente la mia aria perplessa.
Capendo mi cerco un posticino per imitarla, osservando stupita come la mia stella va via via formandosi, sempre più gasata. Dopo un po’ devo tuttavia cessare, sentendomi affannata e con la tachicardia, ma prima che si dissolva col mio spostamento riesco a vedere di essere riuscita a creare una supergigante blu.
«Wow…» ansimo stupefatta.
Syaoran mi si accosta, avvisandomi che gli altri hanno cominciato a spostarsi verso l’uscita, e mentre li seguiamo e io riprendo fiato mi si congratula, colpito da tanta tenacia.
«Eheh, hai visto? È estremamente rara ed enigmatica», mi vanto contenta, uscendo di lì.
«Ma è anche la più calda e luminosa», aggiunge con un tono di voce bassissimo, quasi ad illudermi che non l’abbia detto davvero.
Lo fisso di sottecchi, arrossendo lievemente, ma lui resta con l’espressione di sempre e mi passa la chiave del mio armadietto – ho preferito farla custodire da lui, dato che, conoscendomi, quasi sicuramente l’avrei persa.
Una volta usciti la mia mente rimane ancora in quel meraviglioso caleidoscopio, ma gli amici di Syaoran non mi concedono il tempo di metabolizzare nulla che decidono che, per cenare, ci vuole qualcosa di caldo e caratteristico. E così finiamo sul serio col mangiare del ramen!
Il ramen-ya non è molto grande, e ospita pochi clienti che non ci prestano alcuna attenzione. I camerieri non ci fanno neppure attendere molto dopo che ordiniamo – io prendo quello classico, per andare sul sicuro – e mi basta un solo assaggio per ammettere che è buonissimo. Non ho mai saggiato un sapore simile prima! E proprio per questo, anche stavolta, senza farmi notare, controllo come lo mangiano le altre ragazze, per essere certa di sembrare il più naturale possibile.
Ma anche quando esprimo il mio apprezzamento ad alta voce, fortunatamente, lo interpretano in maniera diversa, esclamando: «Non a caso è il ristorante che fa il ramen migliore di tutta Tokyo!» 
Durante la cena, comunque, chiacchieriamo a lungo di svariati argomenti. Mi raccontano delle loro relazioni, e così vengo a scoprire che Primera-san e Shōgo-san stanno insieme da cinque anni, Ryūō-san e Syaoran si sono conosciuti durante il suo anno di studio in America, mentre Umi-san e Hikaru-san sono amiche dalle medie, frequentando la stessa scuola. Inoltre, escludendo Primera-san e Shōgo-san che già è laureato, tutti sono compagni di accademia di Syaoran. Ryūō-san segue i suoi stessi corsi, mentre Umi-san è iscritta a giurisprudenza e Hikaru-san a scienze dell’educazione.
Inevitabilmente, ciò ha portato a una lunga serie di domande sul mio rapporto con Syaoran e sui nostri ricordi d’infanzia. Ogni volta che mi finiscono le idee sulle cose su cui non ci siamo accordati interviene lui per me, finché non decide di rivolgere la loro attenzione altrove, facendo riferimento a quelli che sono i loro hobby.
Così scopro che, inaspettatamente, Shōgo-san è un pilota automobilistico, Umi-san pratica scherma, mentre Ryūō-san a quanto pare è un abile kenshi e frequenta il dōjo della famiglia di Hikaru-san, che è la sua maestra; inoltre, lavora part-time come cassiere in un konbini.
Quando dico loro che i miei passatempi sono il balletto e il canto – ho cercato di evitare di parlare anche del piano, trovandolo inadeguato – mi fissano tutti allibiti. 
«Hana-chan, ammettilo, sarai anche della provincia, ma sei una signorina di buona famiglia.» 
A quest’astuta allusione di Umi-san mi sento raggelare e, automaticamente, guardo Syaoran, sperando venga nuovamente in mio soccorso. 
Senza scomporsi le chiede: «Cosa te lo fa pensare?» 
«È così raffinata!» 
«Effettivamente, sei così pacata, hai un tono di voce così sostenuto. È perché vieni dalla montagna?» ipotizza Ryūō-san, puntandosi un dito al mento. 
«Ah, dici che è per questo?» 
Hikaru-san assume la sua stessa posa, mentre io forzo un sorriso.
Shōgo-san mi sorride con gentilezza, forse notando il mio farmi tesa, e commenta: «Anche se così fosse, per noi non cambia niente. Almeno sarebbe una spiegazione per tanta raffinatezza». 
A queste parole si riceve una gomitata nel fianco da parte di Primera-san, la quale gonfia le guance come un pesce palla. 
«Stai dicendo che io sono priva di raffinatezza?» 
«Non ho mica detto questo! Non mettermi in bocca parole non mie!» prova a difendersi, invano, perché lei gli fa una bella lavata di capo che non riesco neppure a seguire. 
Quando la situazione sembra calmarsi tutti fanno oscillare lo sguardo da Syaoran a me e viceversa, quasi in cerca di una spiegazione.
Avendo finito la sua porzione Syaoran mette giù la ciotola e sospira, ammettendo: «I suoi genitori sono benestanti».
Loro reagiscono come se ciò desse una spiegazione a tutto, io invece mi sento un po’ scontenta. Per quanto mi sforzi, non riesco a confondermi nel loro mondo. 
Fortunatamente, o forse sfortunatamente, il loro interesse devia sul precedente argomento, che sembra loro più interessante, ossia la nostra amicizia. Stavolta mi chiedono più nello specifico come passavamo le nostre giornate insieme, sembrando molto interessati al periodo da liceale di Syaoran – di cui ahimè non so nulla – e, di nuovo, non so più che inventarmi.
Syaoran sembra agitarsi insieme a me per questa situazione spinosa, tant’è che ben presto si alza e raccoglie le sue cose, facendomi notare: «Hana, si è fatto tardi. Dobbiamo andare».
Mi alzo a mia volta, sollevata, e loro fanno altrettanto, lagnandosi.
«Di già?»
«Devo occuparmi di Mokona, non posso farla morire di fame.»
Per far sembrare più realistico il mio fermarmi da lui, ha finto che in questo periodo i suoi coinquilini siano assenti; e ciò, per qualche ragione, non ha fatto che rendere le ragazze ancora più curiose del nostro rapporto. Per quanto abbia insistito sul nostro essere soli amici non ne sembrano ancora convinte, e forse proprio perché non se ne sentono ancora sazie mi propongono di tornare a fare visita a Syaoran a fine mese, così da andare insieme a tutti loro a Disneyland, per festeggiare Halloween.
Li ringrazio per tale proposta, prima di salutarli e andarcene, sentendomi un po’ mogia.
«Cosa c’è che non va?» mi domanda Syaoran dopo che ci siamo allontanati, mentre svoltiamo verso i vicoli incrociati che conducono a casa mia.
«Mi dispiace non poter mantenere una promessa così semplice.»
Lui non risponde nulla per un po’, prima di proporre: «Vuoi che lo chieda io ai tuoi genitori?»
Scuoto vigorosamente la testa, rifiutando. Devo assumermi le mie responsabilità, farmi coraggio e affrontarli da sola.
«Proverò a parlargliene.»
«Dubito che te lo negheranno.»
«Credi sul serio che me lo concederanno?» chiedo insicura, guardandolo speranzosa.
Sorride, spiegando: «Non vedo perché non dovrebbero, soprattutto quando vedranno quanto sei radiosa dopo quest’uscita».
Sgrano gli occhi, non aspettandomi parole simili, e torno con lo sguardo sulla strada, portandomi le mani al viso, nel vano tentativo di raffreddarlo.
«Saranno lieti di vederti così felice. E se potranno averne un’altra occasione, non credo se la faranno sfuggire», aggiunge con fiducia.
Mi faccio scappare un risolino, osservando: «A volte ho l’impressione che conosca più tu i miei genitori che io».
«Loro vogliono soltanto il tuo bene. E se hanno la certezza che ci sono io al tuo fianco, non dovrebbero avere nulla da temere, no?»
Mi volto verso di lui, annuendo con vigore. Perché quando Syaoran è con me, ci sentiamo tutti più tranquilli – solo Touya-niisama rompe, ma quello è un altro discorso.
«Quindi non preoccuparti, è quasi certo al cento per cento che ti diranno di sì.»
«Lo spero davvero.»
Sospiro sonoramente, immaginando già quanto possa essere bello stare di nuovo insieme a tutti quanti.
Lui deve accorgersi che mi sto smarrendo nei miei sogni ad occhi aperti perché fa una mezza risata, prima di chiedere accorto: «Come ti sei sentita?»
«Completamente a mio agio», gli assicuro. «I tuoi amici sono fantastici.»
«Sono lieto di averteli presentati. Non pensavo che…» Fa una pausa, e io resto in attesa, incuriosita. Fissa dinanzi a sé con aria pensierosa, ma poi scuote lievemente il capo e, quando parla, mi dà l’impressione di pronunciare altro rispetto all’iniziale intenzione. Ciononostante, non posso che esserne ancora più felice.
«Non pensavo che la voce che udii al karaoke ad aprile fosse la tua», ammette, sembrandone imbarazzato.
«Questo dovrei dirlo io!» ribatto, spiegandogli tutto ciò che accadde quel giorno, e come la sua voce mi ha salvata.
Lui mi ascolta senza battere ciglio, sembrando spiazzato da ogni singola parola. Quando finisco condivide anche la sua esperienza, e mi stupisco di quanto possa essere stata simile alla mia.
Nel momento in cui anche lui giunge alla fine ne sorrido contenta, esclamando: «Quindi ci siamo incoraggiati a vicenda, inconsapevolmente!»
Non aggiunge altro; solo si arresta nei suoi passi e mi guarda, come se stesse trattenendo un’emozione grandissima nel cuore. Persino più grande di quella che poco prima aveva travolto me. E anche se non parla, in qualche modo mi sembra di sentire la voce del suo cuore, che tenuemente sussurra al mio.
“Non immagini quanto tu lo abbia fatto.”
Chiudo gli occhi, portandomi le mani all’altezza del cuore, rasserenata.
“Anche tu, mi hai incoraggiato tantissimo. Continui a farlo ancora oggi. E anche se non so se sarò mai in grado di ricambiare a dovere, sappi che per qualunque cosa ci sarò sempre per te. Sempre.”










 
Angolino autrice: 
Eccomi! Con un capitolo più lungo e che richiede anche più spiegazioni, yeee - se dovesse sfuggirmi qualcosa e dovesse restare qualche dubbio, al solito, non abbiate paura di farmelo notare.
Dunque, cominciamo coi versi delle canzoni. Il primo pezzetto è preso da una intitolata "Cocoro" (che potremmo tradurre con "Cuore"): "Mi chiedo se non sia un po' tardi, ma ho deciso di prendere la tua mano in un mondo che deve cambiare. Abbiamo sofferto, ci siamo smarriti, ma non abbiamo ceduto; ci siamo rannicchiati (su noi stessi per il pianto), ma ci siamo rialzati con un sogno che ci lancia verso le stelle". Il secondo da "Dare kara mo aisareru anata no you ni" ("Non essere amati da nessuno come lo sono da te"): "Il tempo con te ora è come un sogno. Succedono cose diverse, incontri tante persone, guardi e ascolti varie cose, scopri che ce ne sono altre che ancora non conosci; (solo così) potrai cambiare, vivendo tutto in prima persona". Per quanto riguarda il titolo "furachi na session", per me è "giro di bevute illegale", e mi piace tradurla così sia per l'andazzo del testo, che per i toni della canzone, oltre al fatto che sembra rispecchiare perfettamente le CLAMP *ridacchia subdolamente in un angolo*. Ad ogni modo, tutte le canzoni sono cantate da Irino Miyu e le traduzioni sono sempre mie. 
Per quanto riguarda il teamLab, ho mescolato insieme le esibizioni di Borderless e Planets (non essendo stata in nessuna delle due, mi sono basata su alcuni video che sono riuscita miracolosamente a trovare).
Il fiore sakurasou (lett. "che somiglia ai ciliegi") è la primula sieboldii o primula silvestre; non so se c'è effettivamente tra i numerosi fiori proiettati, ma l'ho citata perché col suo nome sembra quasi ironico, considerato che nella situazione descritta Sakura sia quasi sempre "Hana" ("fiore").
Il ramen-ya è il ristorante che vende ramen (ma va'?), dove "ya" sta per "negozio". "Konbini", invece, è diminutivo di "convenience store", negozi che vendono di tutto aperti 24/7. "Kenshi" significa "spadaccino", e il 
dōjo è la "palestra" in cui avvengono gli allenamenti. 
Credo di aver concluso, quindi... a domani per Halloween, wiiii! 

 

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Capitolo 17
*** 16 ***


XVI



 
 
 
Dopo essermi consultata coi miei genitori e aver parlato loro degli amici di Syaoran, come lui aveva supposto hanno approvato l’uscita, trovandola una buona idea. Inutile dire che io ne abbia gioito per tutta la settimana a venire.
E così adesso eccomi qui, per la prima volta nel più grande parco divertimenti del Giappone, completamente addobbato a tema: per le strade e le piazze ci sono palloncini, zucche intagliate posate tra le aiuole e lanterne di zucca appese alle ringhiere, oltre a scheletri, spaventapasseri e fantasmi, che lasciano respirare a pieni polmoni lo spirito della festività.
Purtroppo Primera-san non è potuta venire perché è in tour all’estero, Shōgo-san l’ha seguita e Umi-san si è beccata una brutta influenza, quindi ci sono solo Hikaru-san e Ryūō-san tra coloro che già conosco. Ciononostante è presente un’altra ragazza chiamata Suzuran, dall’aria da maschiaccio, che mi sembra avere un carattere forte. Grande è il mio stupore quando si rivela essere la sorella minore di Karen-san.
Come tutti, anche Suzuran-san è molto simpatica e pare sia un’altra loro collega universitaria, frequentante però la facoltà d’arte. È molto energica, ed è praticamente lei a trascinarmi su tutte le giostre più pericolose, sorbendosi le proteste di Syaoran.
«Oh insomma, Syaoran-kun, stai mettendo in dubbio il suo coraggio?» 
A un certo punto lo affronta di petto, posandosi le mani sui fianchi. 
«Non metto in dubbio il suo coraggio, è che non c’è mai salita, quindi temo possa sentirsi male.» 
«Wah, che iperprotettivo. Hana-chan, tu ne sei contenta?» 
Sorrido in difficoltà, sapendo di non poter confessare che, effettivamente, se è Syaoran a preoccuparsi tanto di me, sì, ne sono contenta. Ma allo stesso tempo, non mi piace essere fonte d’ansia. Soprattutto con lui.
Per cui gli sorrido convincente, promettendogli come quella volta al Mc: «Se dovesse diventare troppo per me, smetterò di salirci». 
A questo si arrende, ma comunque mi rimane accanto in qualsiasi momento, per ogni evenienza. E io non posso che esserne felice. 
In ogni caso, quello che nessuno poteva immaginare è che, a scapito di qualsiasi previsione, sto finendo con l’adorare tantissimo le giostre veloci, soprattutto le montagne russe. Siamo qui da questa mattina e ne abbiamo già provate diverse, senza mai stancarci.
Umi-san, la volta scorsa, mi disse perentoria che sarei dovuta necessariamente venire mascherata e ringrazio Tomoyo-chan per avermi preparato per l’occasione un vestito da cappuccetto rosso. Almeno mi permette di stare col cappuccio a coprirmi fino a metà volto, quando siamo sul suolo. Hikaru-san e Suzuran-san sono vestite, rispettivamente, da guerriera e da circense, ed entrambe ci stanno benissimo in quei costumi, mentre i ragazzi hanno rifiutato categoricamente di mascherarsi. Peccato. 
Ora che è scesa la notte ho anche il vantaggio delle luci multicolore a celarmi, che creano fantasmagorici riflessi sui nostri corpi, rendendoci simili a vetrate colorate. Stiamo affacciate da una ringhiera di una zona sopraelevata, mentre attendiamo che i ragazzi tornino con qualche dolcetto, e intanto assistiamo alla parata dei carri a tema con attori e intrattenitori, partecipando al gioco delle pose – non conoscendole, imito le ragazze per rispondere a dovere. 
Prima abbiamo anche assistito ad alcuni spettacoli e siamo entrati nella casa infestata, che per l’occasione è stata modificata basandosi sul film “Nightmare before Christmas”, tant’è vero che nel cortile all’ingresso vi erano jack-o’-lantern, candele e spaventapasseri dalla testa di zucca, il corpo di paglia e ossa e abiti da Babbo Natale. La storia, quindi, è stata raccontata da Jack Skellington in persona e narrava di ciò che avveniva nel momento in cui le due festività coincidono, guidandoci tra le diverse stanze mentre raccontava dei suoi tentativi di impersonare “Sandy Claws”. Tra di noi, sorprendentemente, colei che ne è sembrata più spaventata è stata Suzuran-san, rabbrividendo di tanto in tanto, anche se il più esilarante è stato Ryūō-san, che sussultava e urlava ogni volta che qualcosa lo toccava.
A me la casa è sembrata solo molto festiva, visto che celebrava entrambi gli eventi, e anzi emetteva parecchio calore. Dopotutto, è come se mi avesse permesso di vivere non solo Halloween, ma persino il Natale in un parco divertimenti, stando con tutti.
Sorrido ripensandoci, mentre le ragazze chiacchierano animatamente; per riuscire a farsi sentire in mezzo a tutto il brusio della folla e la musica alzano tantissimo la voce, avvicinandosi apposta alle mie orecchie.
«Hana-chan, devi tornare subito ad Akiruno?» 
«Stanotte stessa dovrò prendere il treno», confermo abbattuta.
«Mannaggia», si imbroncia Hikaru-san, illuminandosi però in fretta. «Ah, però a Natale verrai di nuovo?» 
«Penso di sì…» suppongo incerta. 
«Oooh! Così trascorrerai il Natale con Syaoran-kun, mmh?» sogghigna Suzuran-san in tono insinuante, punzecchiandomi col gomito. 
«Non ne sono sicura», ammetto. Anzi, a dirla tutta ne dubito fortemente.
«A lui sicuramente farà piacere, sembra adorarti», dichiara con certezza. 
«Davvero?» domando stupita, e interessata. Quello è il loro punto di vista, ed è fondamentale, anche per capire cosa ne pensano di me.
«Confermo!» esclama Hikaru-san, sporgendosi a sua volta sulla balaustra per farsi più vicina. «Anche l’altra volta, ti trattava con così tanta cura! Pensa, Suzuran-chan, quando ci salutarono se ne andarono mano nella mano.» 
Arrossisco leggermente, soprattutto visto che lei reagisce con enfasi esagerata.
«Dici sul serio?! E io che pensavo ti stesse trattando come una sorellina!» 
Parzialmente, penso sia così. Forse Syaoran prova un senso di responsabilità nei miei confronti, non molto dissimile da quello che si avrebbe per un membro della propria famiglia.
«Invece, si comporta proprio come un fidanzatino», cantilena, facendo sogghignare Hikaru-san come un gatto.
«E-eh?! F-fi…» 
Avvampo dalla testa ai piedi, diventando di un unico colore. Come è giunta a fare una considerazione del genere?
«Allora faccio il tifo per voi.» 
«Anch’io!» 
«A-aspettate, state fraintendendo!» Scuoto esagitata le mani davanti al viso, cercando di far tornare loro il senno. «Il mio rapporto con Syaoran non è così! È diverso!» 
«Ah, quindi non ve la intendete?» 
Sobbalzo spaventata nel veder comparire dal nulla la testa di Ryūō-san tra di noi, e finisco per inciampare nei miei stessi piedi; sarei quasi caduta all’indietro, se non fossi stata prontamente sorretta. 
«Attenta, Hana.» 
Sollevo lo sguardo su Syaoran trattenendo il fiato, ancora certa di essere della stessa tinta di quella mantella.
Lui continua a sostenermi, tenendo una mano sulla mia schiena, e intanto si abbassa accanto al mio orecchio per chiedermi: «Di cosa stavate parlando?» 
Il cuore mi parte alla rincorsa, soprattutto ora che vedo che tutti e tre sghignazzano come delle volpi, facendo dei cuoricini all’aria. Ringrazio il cielo che lui non le abbia sentite, anche se non mi spiego come abbia fatto a capirlo Ryūō-san. 
«N-niente di importante.» 
Aggrotta le sopracciglia, supponendo: «Ti stanno importunando?» 
«Affatto! Stanno solo scherzando!» 
Mi rimetto dritta composta e gli faccio capire tramite un cenno che può anche lasciarmi. Ritrovato il mio equilibrio fisico e mentale torno da loro, coprendomi maggiormente col cappuccio da eventuali insinuazioni. Loro ridacchiano, ma fortunatamente non aggiungono altro, e Ryūō-san riprende a riempire di chiacchiere Syaoran. 
I ragazzi ci passano le crêpes che ci hanno gentilmente offerto e mentre la mangio fisso lo sguardo sui carri variopinti. Mi concentro sul dolce sapore della panna mescolato a quello amaro del matcha, quello fondente del cioccolato fuso e quello ancora più zuccherino dei fantasmini di cioccolato bianco, mentre tento di regolarizzare i miei battiti cardiaci.
Non sta bene emozionarmi in questo modo per una situazione tanto… irrealizzabile. Improbabile. Inaccettabile. 
Ma perché dovrebbe essere così?
Perché non dovrebbe avverarsi?
Perché Syaoran lavora per me. Lavora per la mia famiglia. I miei genitori hanno fiducia in lui. E lui è un ragazzo serio e diligente. Ecco perché sarebbe improbabile. Non si innamorerebbe mai di me, e se io dovessi innamorarmi di lui non accetterebbe mai il mio amore. Questa è la realtà, e lo comprendo, eppure… eppure un simile pensiero fa così male. 
Mi ridesto da queste cupe considerazioni solo quando Syaoran mi avvisa che è arrivato il momento di rincasare. 
Mi congedo quindi dai suoi amici, un po’ rattristata, e mi allontano stringendo la sua mano più forte del solito, cercando conforto. Lui ricambia con altrettanta intensità, rispondendo ai miei bisogni. 
Gettiamo le cartacce in un cestino e oltrepassiamo il castello di Cenerentola, a questa tarda ora illuminato di viola e arancio. Costeggiamo in silenzio l’aiuola centrale circolare piena zeppa di fiori gialli e arancioni, zucche intagliate e al centro la faccia di Mickey Mouse realizzata con fiori arancio e foglie per darvi un sorriso spaventoso, finché non giungiamo nel parcheggio.
Quando siamo abbastanza lontani dal chiasso riesco a parlargli senza dover alzare la voce, per chiedergli: «Avrò ancora modo di incontrarli?» 
Lui annuisce, assicurandomi: «Quando lo vorrai, farò sì che ci siano per te. E poi, sembrano averti già presa a cuore. Scommetto che non mi daranno pace, tutti i giorni mi domanderanno: “Quando torna Hana-chan?”» 
Rido con lui, non faticando ad immaginare la scena.
«Spero che mi verrà concesso di nuovo», sospiro, augurandomelo con tutto il cuore. Mi sembra di star uscendo più negli ultimi quattro mesi che in tutta la mia vita. 
Syaoran si arresta a pochi passi dall’auto che ci attende, restando nell’ombra di alcuni alti alberi. Mi trattiene e faccio qualche passo indietro, fermandomi di fronte a lui. Neppure riesco a distinguerne bene le fattezze, in quest’assenza di luce. 
«Hana…» sussurra con un filo di voce, tanto che sembra un sibilo del vento. 
Mi faccio più vicina, adeguandomi al suo tono, sebbene qui non ci sia anima viva eccetto noi – e l’autista a qualche centinaio di metri. 
«Cosa c’è, Syaoran?» 
Lascia la mia mano per un istante, solo per avvolgermi delicatamente tra le sue braccia. Ma anche se è così dolce, la sua presa su di me sembra così ferrea, così presente, così potente.
Trattengo il respiro, come tutte le volte in cui ci troviamo in tale situazione, e resto inerme, non sapendo come reagire, vittima di una tachicardia che, di volta in volta, diventa sempre più preoccupante. 
«Sakura.» 
La sua voce mi vibra nel cuore, facendomi trasalire. Automaticamente avvolgo le braccia attorno alla sua schiena, stringendogli la maglia tra le dita.
«Cosa c’è?» ripeto, affondando il viso sul suo petto. 
«Ti sei divertita oggi?» si accerta, carezzandomi con leggerezza i capelli. 
«Sì.» 
«Anche la volta scorsa?» 
Riconfermo, mormorando: «Mi piace tanto stare con voi». 
Lo sento sospirare, quasi come se questa fosse una preoccupazione che lo stava tormentando da tempo.
Poggia le mani sulle mie spalle, allontanandomi di poco. 
Sollevo la testa e lui insiste: «Sicura sicura di sentirti a tuo agio?»
«Sicurissima.» 
«Nonostante a volte possano essere indiscreti?»
«Assolutamente.»
Anche nell’oscurità, riesco a vedere un piccolo sorriso increspare le sue labbra.
«Menomale.»
Mi mordo il labbro, spostando le mani sulle sue braccia. 
«Syaoran…» 
È sempre così premuroso, così ben disposto, e io… io non voglio diventare una nube che offusca il suo bianco umore, ma…
«Dimentica per un attimo i ruoli, i doveri, la condizione sociale e quant’altro. Lascia perdere tutto e rispondimi con onestà, senza temere la mia reazione. Io… voglio sapere quello che pensi davvero. Cosa… cosa rappresento per te?»
La voce mi esce a stento, troppo timorosa della sua risposta. Non voglio essere un obbligo. Voglio soltanto… non lo so. Per la prima volta nella mia vita, neppure io so quello che voglio davvero. 
Eppure, come sempre, Syaoran riesce a trovare la risposta giusta, per rischiarare il mio spirito, rendendolo limpido e cristallino. 
«Sei la persona per me più importante al mondo.» 
«Non una tua allieva?» domando incredula, prossima al pianto. 
«Anche una mia allieva.» 
«Non una tua protetta?» 
«Anche una mia protetta.» 
«Non… una tua amica?» la mia voce si rompe sempre di più, ma non riesco a tacere.
Lui mi prende il viso tra le mani, catturando quelle lacrime che mi sono sfuggite. 
«Anche una mia amica. Ma prima di ogni altra cosa…» Percepisco il suo respiro farsi sempre più vicino, finché le sue calde labbra non si poggiano esattamente al centro della mia fronte, lasciandovi l’impronta infuocata di un bacio. «Prima di ogni altra cosa», riprende, allontanandosi solo di pochi centimetri, «sei la persona per me più importante al mondo».
E con questa sua dichiarazione, il mio animo diviene talmente leggero che temo possa staccarsi dal mio corpo. Noi due, pensiamo le stesse cose l’uno dell’altra.
Forse, quel mio desiderio che sembra tanto improbabile, non è poi poco plausibile come temo…
Forse, una possibilità c’è, anche per noi.









 
Angolino autrice:
Eccomi qui! Il "gioco delle pose" è molto semplice: i personaggi Disney (gli attori che li impersonano) fanno una posa, e il pubblico deve rispondere con un'altra posa. Non mi sembra ci sia altro da dover spiegare - al massimo, vi ricordo che Akiruno è il paese da cui dovrebbe provenire "Hana Ichihara", quello in cui viveva prima Syaoran.
Detto questo, buon Halloween!

 

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Capitolo 18
*** 17 ***


XVII



 
 
 
I giorni si sono rincorsi, susseguendosi alla stessa velocità con cui volto le pagine dei libri. 
Nell’arco di questi ultimi due mesi, ho cercato di mantenermi sempre composta in presenza di Syaoran. Di tutte le emozioni che mi travolgono ogni qualvolta siamo insieme, non posso assolutamente fargliene parola. Così come non posso rivelarlo a nessuno, eccetto che alle mie due più care amiche.
Ecco perché, approfittando di un giorno in cui non c’è nessuno a casa e loro due sono fortuitamente libere, le ho invitate qui, per raccontarci quello che stiamo facendo negli ultimi tempi. Pur sentendoci periodicamente, soltanto tramite un cellulare non possiamo dirci tutto. 
Così, stando comodamente sedute sul lettone della mia camera formando un triangolo, cominciamo a raccontarci delle nostre vicissitudini più recenti. 
A quanto pare, il padre di Yuzuriha-chan ha intenzione di investire in una nuova impresa dedita all’intrattenimento. Continua ad approfittare di grandi eventi ludici, quali sfilate di moda o gare di bellezza, spettacoli e quant’altro, per dare il ricavato in beneficenza, occupandosi anche di filantropia, come benefattore di scuole e ospedali. L’ho sempre ammirato, perché nonostante il suo essere impresario non è totalmente preso da se stesso, mentre riesce anche a dedicarsi agli altri. 
Tomoyo-chan, invece, mi stupisce esordendo con: «Proprio qualche giorno fa abbiamo ricevuto una telefonata da Hana-chan». 
Per un attimo mi sono sentita spaesata, poi ho capito che si riferiva a sua cugina, che vive nelle Ryūkyū. Tomoyo-chan stessa ha proposto di sfruttare il suo nome, col suo consenso, quando sono fuori casa. 
«Come sta?» mi interesso, non vedendola da parecchio tempo. 
«Bene. Mi ha spedito dei biglietti, ordinandomi di dividerli con voi.» 
«Biglietti?» chiediamo in coro io e Yuzuriha-chan, mentre li cerca nella borsa. 
Ce li porge non appena li trova e io ci impiego qualche minuto buono a razionalizzare quello che ho tra le mani. 
«Oh mio dio, andiamo in Australia?!» esplode Yuzuriha-chan, esultando senza riuscire a frenarsi. 
«Esatto.»
Guardo Tomoyo-chan, trovandola con un sorriso gentile, mentre Yuzuriha-chan continua a dare di matto. Nelle sue limpide iridi d’ametista leggo: “Sakura-chan, finalmente possiamo divertirci un po’. Stando tutte insieme. Non ti dovrai più preoccupare di nulla”. 
Eppure…
«Sakura-chan, non avrai intenzione di rifiutare?!» 
Yuzuriha-chan mi fissa sconvolta, al che mi faccio piccina sul posto. 
«È che… non so se posso, devo prima chiedere…» 
Mi imbroncio, ma immediatamente Tomoyo-chan interviene: «Nell’invito è incluso chiunque vogliamo. Nel mio caso, verrà Yōou». 
«Con me, naturalmente, ci sarà Kusanagi.»
Si voltano entrambe verso di me, aprendosi in un sorrisone. 
«Quindi, potrà venire anche Syaoran-san!»
Arrossisco, ma tento di non scompormi. Per quanto mi piacerebbe fare un viaggio tutti insieme, non posso sognare invano.
Per cui resto coi piedi per terra, facendo notare: «Syaoran è impegnato con l’università, e dubito che i miei genitori mi permettano di viaggiare tanto lontano senza tutte le mie guardie al seguito. Touya-niisama, in particolare, avrà molto da ridire», borbotto tra me, stringendo i pugni sulle ginocchia. Che ingiustizia! 
Noto un sorrisetto furbo farsi largo sul viso di Tomoyo-chan, mentre mi rivela: «È qui che ti sbagli. Ne ho già parlato con i tuoi genitori e loro, sapendo che saremmo andate in un posto sicuro, con persone che, in caso di bisogno, sapranno proteggerti, hanno acconsentito. Per quanto concerne il periodo, non dovrebbe essere un problema per Syaoran-san. Se come hai detto è stato così tante volte all’estero non credo si lascerebbe scappare un’opportunità simile, e può sempre farsi mandare gli appunti da qualcuno. E in ogni caso non staremo lì per molto tempo, soltanto quattro giorni, e ci saranno unicamente persone che conosci. Pensa che Hana-chan ha persino invitato Yui-san per cucinare nella sua villa. Quindi non hai nulla da temere». 
Non ho paura, ma mi sembra tutto un bellissimo sogno. E se fosse tale? E se nulla di quello che sto vivendo è reale? 
Alla fine, nonostante l’incredulità, faccio un cenno di assenso.
«D’accordo, se lo dite voi mi fido. Verrò.»
«Evviva!» esultano, piene di gioia.
«Ora, passando ad argomenti più interessanti, cosa volevi dirci di tanto importante?», esordisce Yuzuriha-chan, scambiandosi un’occhiata con Tomoyo-chan.
«N-nulla di che…» balbetto, cominciando a sentirmi tesa. Le pulsazioni già stanno accelerando incontrollabilmente, e non ho neppure cominciato a spiegarmi…
«Riguarda Syaoran-san?» va dritta al punto, facendomi solo irrigidire maggiormente.
«È che… qualcosa è cambiato…» provo a introdurre l’argomento, incerta di come possa spiegarmi a dovere.
«Lui con te si comporta diversamente?»
Scuoto la testa, negando.
«Al contrario, è sempre gentilissimo, così educato, e mi rivolge tutte le sue cure e attenzioni, qualsiasi cosa facciamo. Sono io che fatico a comportarmi normalmente, in sua presenza.»
«Cosa intendi con “normalmente”?» chiede con delicatezza Tomoyo-chan. 
«Non riesco a rimanere tranquilla e non lasciar trasparire nulla… Perché quanto più tempo trascorriamo insieme tanto più sento il mio cuore battere all’impazzata, il calore avvolgermi tutto il corpo, gli occhi farsi lucidi, la voce spezzarsi…»
Mi copro il viso con le mani, vergognandomi, ma anche attraverso le dita le vedo aprire la bocca in una “o” perfetta.
«Ti sei inn-»
Tomoyo-chan ammutolisce Yuzuriha-chan coprendola con una mano, guardandomi con iridi luccicanti.
«Continua pure, Sakura-chan!» esclama trepidante, facendomi un cenno incoraggiante.
Prendo un respiro profondo e abbasso le mani, occupandole per stritolare un cuscino, continuando a sentirmi troppo tesa.
«Fortunatamente non mi succede in maniera costante, ma ci sono dei momenti in cui queste sensazioni diventano più intense. Soprattutto quando siamo completamente soli, quando lui mi rivolge parole dolci, quando mi prende per mano o mi abbraccia… Sono momenti in cui, nonostante l’agitazione che mi sconquassa, e il timore che lui stesso possa percepirla, ricambio sempre con la stessa intensità, desiderando però non lasciarlo più andare. E la sua vicinanza è diventata un bisogno talmente impellente che da un po’ di tempo ho cominciato persino a sognarlo…»
E dopo questa confessione, vorrei sprofondare.
Le sento trattenere il fiato, e quando le guardo noto che entrambe hanno i lacrimoni agli occhi.
Yuzuriha-chan si volta di scatto verso Tomoyo-chan, scuotendola.
«Posso dirglielo? Posso dirglielo? Ti pregooo fammelo dire.»
Ad un cenno di consenso di Tomoyo-chan entrambe mi abbracciano con foga, e la prima esclama piena di gioia: «Ti sei innamorata di lui!»
«Sono così felice per te, Sakura-chan!» esclama Tomoyo-chan all’altro lato.
«Anch’io, anch’io, nyaaa!»
Sgrano occhi e labbra, sentendomi precipitare.
Innamorata…? Io… di Syaoran…
Ma chi voglio prendere in giro, lo sapevo. L’ho sempre saputo. Solo, non avevo ancora trovato il coraggio di ammetterlo a me stessa. Perché per quanto io mi sia convinta che possiamo avere una chance, in realtà… so che non è così semplice…
«Io non… non posso…» mormoro appena, sentendomi mancare tutte le forze.
«Perché no?!» sbotta Yuzuriha-chan, tirandomi indietro. «Non sarà perché è il tuo tutore?»
Mi guarda male, al che scuoto la testa.
«Allora perché è il tuo bodyguard?» suppone, sembrando irritata. «Se è questo non ti devi affatto preoccupare. Può anche sembrarti illecito, ma ti assicuro che tra di voi sarebbe del tutto legale, è diverso da -» Si interrompe di scatto, adombrandosi. «Tu hai una possibilità, non lasciartela scappare.»
La guardo dispiaciuta, e Tomoyo-chan si mostra altrettanto empatica.
«Non è questo, è che… la mia vita è costellata da troppi problemi, troppi rischi, troppe restrizioni, troppe incertezze… È un caos in cui è difficile trovare un ordine, e… non voglio coinvolgerlo…»
Entrambe mi guardano commiserevoli, ma poi mi pongono dinanzi ad un inaspettato quesito: «E se lui volesse esserne coinvolto?»
Titubante, ribatto: «Lui non… non credo che voglia…»
Ma se avessero ragione? Potrei mai essere tanto fortunata?
«Oh, lascia che siamo noi a giudicare!» esclama Yuzuriha-chan, spintonandomi.
«Lo osserveremo per bene durante la vacanza, ohohoh!» ridacchia Tomoyo-chan, maleficamente.
«E poi condivideremo con te quello che scopriremo!» ammicca Yuzuriha-chan.
«Ora, saluta la videocamera», mi invita Tomoyo-chan gioviale, e solo ora mi accorgo che ha il cellulare puntato verso di me.
«Mi stavi registrando!» esclamo incredula, facendomi paonazza.
«Non potevo perdermi quest’occasione!» spiega, sembrando brillare per quanto la situazione la delizia.
«Mooou!» Indispettita le lancio addosso il cuscino che stavo seviziando, minacciandola: «Guai a te se lo mostri a qualcuno!»
«Prometto, prometto di non mostrarlo a nessuno!» assicura, ricambiando con un’altra cuscinata.
Yuzuriha-chan si aggiunge alla battaglia, sogghignando come un gatto.
«Ma almeno io potrò rivederlo quando voglio, no?» chiede quest’ultima, facendole gli occhi dolci.
«Insomma, smettetelaaaa», le imploro, sprofondando col viso contro il letto per nascondermi.
Entrambe ne approfittano per agguantarmi, bloccandomi e distraendomi col solletico, facendomi quasi morire di risate. E tale allegria mi accompagna anche nei giorni a seguire.
Devo ammettere che adesso mi sento molto più leggera, quasi fluttuante.
È forse perché, sfogandomi con loro, mi sono tolta un piccolo peso dal cuore?
È forse perché, per quanto continui a sembrarmi poco probabile, hanno illuminato il mio cammino con una nuova speranza? Una speranza che mi accompagna, giorno dopo giorno, ora dopo ora, minuto dopo minuto, fino a che non entriamo in periodo natalizio. E con esso, mi giunge un’inaspettata proposta da parte di Syaoran, dopo che una sera, a fine lezioni, mi faccio coraggio per parlargli del viaggio. Gli illustro con precisione i giorni in cui partiremmo e insisto che, se per lui è problematico, non è obbligato a partecipare.
Al contrario di quello che temevo, lui reagisce illuminandosi come il sole. 
«Un viaggio in Australia! Non ci sono mai stato!» 
«Vuoi venirci?» mi accerto timorosa, nel profondo del mio cuore sperando in un consenso. Non soltanto per me, ma soprattutto per lui, considerando il suo amore per i viaggi.
«Certo, ne sarei lieto! Quanto dovrei darvi?» 
«Darci?» 
«Per pagare il volo e quant’altro», specifica, facendomi ridere. Chissà perché pensa sempre che gli tocca qualcosa, quando lui lavora per me, quindi siamo noi a doverlo pagare. 
«Syaoran, purtroppo non saremo lì come amici, bensì come guardiano e -» 
Mi interrompe, tirandomi una guancia, forse notando la tristezza che mi assale ogni volta che gli dico questo genere di cose. 
«Ciò non toglie che restiamo amici», precisa, facendomi notare con un gran sorriso: «E poi, finalmente posso mantenere la promessa».
«Quale promessa?» domando spaesata, massaggiandomi la guancia – seppure non mi abbia fatto per niente male, tutt’altro. 
«Quella di viaggiare insieme», mi rammenta, facendomi provare un tuffo al cuore. 
È da allora, da quando ha acconsentito, e quella vaga speranza si sta trasformando in realtà, che mi sembra di camminare sulle nuvole. 
Soprattutto da quando ha poi aggiunto, poco prima di andarsene: «Comunque, ho scoperto che a Natale i tuoi genitori e tuo fratello saranno impegnati in una cena formale, e mi hanno chiesto se posso farti compagnia».
«E tu hai accettato?»
«Non avevo ragione di rifiutare. È la volta buona che ti faccio conoscere Kurogane-san e Fay-san. E poi, per quanto io non sia così bravo, avrai l’occasione di assaggiare quello che cucino.» 
Questo mio sogno ad occhi aperti diventa sempre più meraviglioso… E stasera, finalmente, mi permetterà di muovere un altro passo verso la radiosa vita di Syaoran. 
Vista la situazione inedita e irripetibile, Tomoyo-chan mi ha fatto indossare l’abito più bello che mi abbia mai confezionato: è completamente rosso, di un tessuto morbidissimo al tatto, con una gonna ampia che si apre tutta se faccio un giro su me stessa. Mi arriva al ginocchio, le maniche sono strette e lunghe, e l’unica particolarità è data dall’ampio scollo a barca realizzato da pizzo bianco, su cui sono ricamati cristalli di neve con diamantini. Mi lascia poi con Chunyan, ordinandole di occuparsi del mio viso con un trucco leggero, oltre a farmi fare i capelli mossi e farli sollevare di poco, inserendovi giusto qualche forcina con punti luce.
Una volta pronta nascondo il regalo per Syaoran in borsa e lo attendo trepidante, finché non sento la governante aprirgli; mi fiondo all’ingresso e gli sorrido radiosa quando lo vedo sulla soglia, affiancandolo lesta per indossare cappotto, sciarpa, guanti e cappello. Saluto le mie cameriere e guardie e lui si congeda gentilmente, prima di porgermi una mano per avviarci.
Gli chiedo come sta, non vedendolo da qualche giorno, e lui si mostra in piena salute, interessandosi piuttosto della mia. 
«Io sto benissimo», cantileno, sentendomi troppo felice. Questo sarà il miglior Natale di sempre! 
Mi stringo a lui, supponendo che arriveremo a casa sua a piedi, ma una volta raggiunta la strada principale ed esserci confusi tra la folla si accosta al marciapiede, chiamando un taxi.
«Pensavo abitassi più vicino», osservo stupita, entrando dopo che mi apre la portiera. 
Gira all’altro lato e dopo aver lasciato l’indirizzo mi spiega: «Ci impiegheremmo almeno un’oretta se andassimo a piedi, quindi di solito vengo con i mezzi». 
«È così lontano?!»
«Nel distretto Hongō, più prossimo all’università. Se provi ad immaginare la mappa della città, il mio appartamento si trova più a nord rispetto a…» 
Tace, dando un’occhiata all’autista, e io prontamente annuisco. 
«Capisco.» Quando me lo aveva mostrato dalla Tokyo Tower, sembrava molto più vicino.
Attendiamo di arrivare, dopo appena una decina di minuti, e una volta fuori dall’abitacolo mi mortifico. 
«Scusami, ogni volta ti faccio fare tutta questa strada…» 
«Figurati, non mi pesa per niente. Quello è il complesso in cui vivo.» 
Seguo il suo indice, notando un condominio a 12 piani.
Ci avviamo verso esso, superando un cancello in ferro, e io mi guardo intorno, notando che qui tutti gli edifici si somigliano. Come fa a non sbagliarsi?
Mi ricorda che loro occupano il settimo piano, per cui non appena entriamo saliamo nell’ascensore.
Nell’udire quel pronome al plurale ricordo che sto per incontrare i suoi coinquilini, per cui mi stendo meglio la gonna e il cappotto, osservandomi nello specchio alle nostre spalle per assicurarmi di essere presentabile. Mi sembra di sentirlo ridacchiare, ma vedendo solo la sua schiena immobile non posso esserne certa. Forse è stata una mia impressione. 
Appena si aprono le porte lascia passare prima me, arrestandosi di fronte alla porta del suo appartamento. Mentre recupera le chiavi da una tasca osservo la ghirlanda appesa alla porta, chiedendomi se gli aghi e le pigne che la compongono siano veri o meno. Al centro c’è scritto “Merry Christmas” in un rosso cangiante, ricoperto di brillantini, e tutto attorno vi sono nastrini rossi, che si concludono in un fiocco. Non siamo neppure entrati, e già percepisco lo spirito natalizio.
Siccome sembra impiegarci del tempo mi volto verso di lui, notando che ha assunto un’aria confusa. 
«C’è troppo silenzio», osserva poco convinto; gira finalmente la chiave più grande nella toppa, mentre io prendo un respiro. 
Quando la apre entrambi ci stupiamo del buio che ci accoglie, e mentre ci annuncia accendendo la luce io comincio a guardarmi intorno, sempre più meravigliata.
È tutto così semplice e pulito, non sembra esserci nulla fuori posto o di superfluo – eccetto qualche candela e decorazioni tipicamente natalizie. Sollevo lo sguardo su una parete del corridoio, vedendo che, ad incorniciare piccoli quadretti con scene rustiche, ci sono lucine al led tenute con lo scotch e con puntine da disegno.
Ci togliamo le scarpe e mi appresto ad indossare delle pantofole che mi presta, mentre lui mi anticipa accedendo le lucine ed entrando in una stanza in fondo al corridoio. Prendo tempo osservando gli addobbi sul mobile nel corridoio, soffermandomi soprattutto su alcune decorazioni dorate appese a piantine, costituite da linee geometriche dalle forme diverse, che mi ricordano candelabri e lampadari. Chissà cosa sono, non le ho mai viste prima.
Mi affretto a raggiungerlo con l’intenzione di chiederglielo, e scopro così che girando l’angolo si arriva in cucina. Essa è provvista di un piano cottura ad angolo, diversi mobili e credenze, qualche mensola con bottiglie, vasi e barattoli sulla parete, e al centro un tavolino circolare con quattro sedie. Anche qui, tutto è perfettamente in ordine e brillante, come se fosse stato appena lucidato.
All’angolo opposto, in prossimità di una porta scorrevole, si trova un albero di Natale non troppo alto, ricco di luci e addobbi con, al di sotto, alcuni pacchetti regalo. Mi ci avvicino stupita, meditando se non debba mettere qui anche il mio regalo per lui, e solo così mi accorgo che, oltre alle solite decorazioni, esso è addobbato anche con canditi, cartoncini e piccole candeline vere. A giudicare dal suo odore pungente e dalla sua verosimiglianza, anche l’abete sembrerebbe vero, ma non mi spiego come avrebbero potuto procurarselo.
Sentendo Syaoran sospirare pesantemente mi rimetto in piedi e mi volto verso di lui, accorgendomi che sta leggendo un foglietto lasciato in bacheca, con aria impensierita. 
«Va tutto bene?»
Lui lo piega e lo butta in un cestino, spiegando: «A quanto pare sia Fay-san che Kurogane-san hanno avuto impegni improvvisi legati al lavoro». Si volta a guardarmi, grattandosi una guancia, quasi fosse colpa sua. «Credo che saremo soli.» 
A quella notizia il cuore mi fa un balzo nel petto, quasi volendone uscire. Soli. Io e Syaoran, soli… Trascorrerò il Natale da sola con Syaoran…
«Ti dispiace?» 
Scuoto vigorosamente la testa, negando con foga: «Al contrario, sono contentissima di poter stare sola con te!» Tuttavia, non appena mi accorgo di quello che ho pronunciato, considerando anche la sua espressione allibita, mi affretto a riparare: «N-non voglio dire che non mi dispiaccia che non ci siano! Vorrei davvero conoscerli!» 
Stavolta lo vedo palesemente che cerca di trattenersi dal ridere, pur sembrandone confortato. 
«Menomale allora. L’ultima cosa che vorrei è farti sentire a disagio.»
«Non mi faresti mai sentire a disagio», lo contraddico, sorridendogli con certezza. 
Lo vedo avvicinarsi, e mi chiede il permesso per aiutarmi a togliermi quello che ho addosso. Lo seguo fino all’attaccapanni all’ingresso, dove accettando il suo aiuto appendo cappotto e quant’altro, posando la borsa su quello stesso mobile; ne approfitto allora per chiedergli cosa siano quegli oggetti bizzarri, e mentre ripercorriamo il corridoio mi spiega che si tratta di decorazioni chiamate “himmeli”, tipiche del paese di Fay-san. Invece di tornare in cucina mi fa svoltare a sinistra, per presentarmi un adorabile coniglio bianco che prima non avevo visto, in prossimità della lavanderia e di un balcone. 
«Lei è Mokona.» 
«Ciao, Moko-chan!» esclamo automaticamente, allungando un dito oltre la gabbia per carezzarla sul capo. 
«Fay-san sarebbe sicuramente lieto di questo nomignolo.»
«Voi come la chiamate?» 
«Io e lui Mokona, Kurogane-san, come già sai, “shiroi manjū”.» 
«Shiroi manjū!» ripeto, scoppiando a ridere, ricordandone la ragione. «In effetti lo sembra.»
«Mmh. Vuoi giocare con lei mentre preparo la cena?» 
«Oh, no!» rispondo prontamente, esaltandomi. Aspetto un’occasione simile da tutta la vita. «Cucino con te!»
Gli sorrido a trentadue denti e lui mi fissa in silenzio, portandosi una mano al mento.
«Mmm…»
«Lo so che non ho nessuna esperienza, e potrebbe essere disgustoso quello che preparo…» 
Sto per deprimermi, ma lui prontamente nega col capo, squadrandomi dalla testa ai piedi. 
«Non vorrei ti si sporcasse il vestito, sembra essere piuttosto… costoso.» 
Mi rimbocco le maniche, mostrandomi pronta ad affrontare qualunque cosa. 
«Non preoccuparti di questo!»
Lui si rassegna, accettando il mio aiuto, ed io esulto vistosamente, seguendolo verso il bagno per lavarmi le mani dopo di lui.
È mentre le asciugo che, all’improvviso, vedo comparire nello specchio il riflesso di Tomoyo-chan. Sobbalzo e per poco non mi graffio, vedendo quella proiezione della mia mente scuotere il dito con aria delusa, mentre una distante Yuzuriha-chan schiocca più volte la lingua al palato. 
“Ricordati come prima cosa di chiedergli cosa ne pensa del vestito.”
… L’avevo totalmente dimenticato! 
La loro voce mi riecheggia in testa mentre corro in cucina, trovandolo a preparare tutto ciò che ci serve. 
Evidentemente avvertendomi alle sue spalle si volta, e io mi sento fare rossa come un peperone, considerando quello che sto per mettere in atto. Chiudo per un istante le palpebre, visualizzando la loro immagine, dopodiché faccio l’elegante piroette che mi hanno illustrato, per mostrargli ogni angolatura di ciò che indosso. Mi fermo in posa, tenendo in una mano un lembo della gonna. Sorrido poco convinta, desiderando sprofondare. 
Dato che non replica nulla mi sento sudare freddo, finché sorprendendomi non esclama con spontaneità: «Sei molto carina!»
Probabilmente il peperone che sono diventata è appena esploso nel forno, perché mi sento il fumo uscire dalle orecchie. 
«G-grazie», balbetto, raggiungendolo a testa bassa. «È un regalo di Tomoyo-chan.»
«Ora si spiega. Sei nelle mani di un’ottima stilista.» 
Waah, questo sì che le avrebbe fatto piacere sentirselo dire! 
Lo ringrazio ancora, dopodiché mi chiede quando lo affianco: «I capelli mossi?»
«Opera di Chunyan.»
«Ah, la cameriera sgarbata», ricorda, al che gli tiro una gomitata. 
«Oh, insomma Syaoran. Ti ho già detto che l’hai fraintesa.»
Sorride, ammettendo: «Può darsi che sia così. Pronta a metterti al lavoro?» 
«Pronta!» 
Sollevo le braccia e lui mi passa un grembiule, indossando il proprio. Lo imito nel modo in cui lo mette, ma mi perdo nel riuscire a legarlo dietro. 
«Cosa prevede il menù?» mi interesso, sforzandomi inutilmente di fare un fiocco.
Senza avvisarmi si pone alle mie spalle, rubandomi le estremità dalle mani. 
«Classiche pietanze natalizie.»
«Ossia?» 
Stringe prima sulla mia schiena, facendomi sussultare, scusandosi chiedendo se sia troppo stretto. Nego col batticuore e lui mi fa un altro fiocco dietro la nuca, mentre io tengo alzati i corti capelli. 
«Sushi a tema, pollo del KFC, wagashi, yuzu e torta di Natale. Il pollo bisogna solo scaldarlo un po’ in forno, i wagashi li ho preparati stamani insieme a Kurogane-san, e a quanto pare Fay-san si è già occupato della torta.» 
«Uh, posso vederla?» 
«No, sarà a sorpresa. Ecco fatto», annuncia, allontanandosi e passandomi gli strumenti da lavoro. 
Ci impegniamo così nella preparazione di temari sushi a forma di renne, con l’aburaage a conferirvi colore, e a forma di Santa Claus, col vestito realizzato dal salmone, prima di dedicarci in maniera imprevista ad uno stufato cremoso di carne con cipolle, carote, patate, cavolo e roux bianco. Credo sia dovuto al fatto che Syaoran abbia capito quanto io mi stia divertendo, per cui ha cercato di prolungare questo momento il più possibile.
Da lui imparo tante cose nuove, persino dei trucchetti per non far staccare i chicchi di riso né rendere la crema troppo densa, e sono certa che un giorno mi torneranno utili. Magari potrei sorprenderlo cucinando per lui, prima o poi.
Naturalmente lui si occupa delle parti più pericolose, che riguardano il taglio – pur volendo provarci, appena mi ha vista col coltello in mano me l’ha subito tolto, guardandomi terrorizzato, e non so se per l’incolumità del suo o del mio dito. Ciononostante cucinare è una delle attività più dilettevoli che io abbia mai svolto finora, e per questo resterà impressa nella mia memoria per tutta la mia vita. Soprattutto perché al mio fianco, in questo momento prezioso, non c’è altri che Syaoran, e non potrei chiedere regalo migliore al mondo.










 
Angolino autrice:
B
uon Nataleee! Con un leggero ritardo, lo so, ma ho perso la cognizione del tempo, e sebbene volessi aggiornare già la settimana scorsa non ho avuto modo di farlo. Spero stiate tutti bene, abbiate ricevuto tanti bei regali (questo è il mio per voi, sperando possa strapparvi almeno un sorriso) e che in questo periodo di festa vi stiate abbuffando come si deve! 
Cercherò di aggiornare anche domani col capitolo successivo, in modo tale da chiudere col natale (vorrei continuare nei giorni a venire, e cercherò di fare quel che posso, tesi permettendo).
Passando al capitolo, come avrete intuito la Hana qui citata è la stessa Hana di "Gate 7". Le Ry
ūkyū in cui vive sono delle isole che formano un arcipelago, posto tra Taiwan e il Kyūshū (so di essere sgamabile, quindi ammetto di essermi ispirata all'arco "Nirai kanai" per questo).
Non so se lo sapete già, ma per ovviare a ogni dubbio è tradizione in Giappone mangiare il pollo fritto del KFC per natale. I wagashi sono dolcetti tradizionali giapponesi, dalle forme che variano in base alla stagione (es. fiori di ciliegio in primavera, foglie rosse degli aceri in autunno), e che solitamente vengono serviti col tè verde. Il temari sushi non è altro che il classico sushi ma con una forma arrotolata, simili a palline (potremmo dire polpettine?), e l'aburaage è un prodotto a base di soia che si ottiene tagliando il tofu in fettine sottili che poi vengono fritte ("abura" significa letteralmente "olio").
Credo di aver detto tutto, ma se restano dubbi, al solito, sapete che potete chiedere in qualunque momento (così come potete farmi notare eventuali errori, se ne trovate).
Grazie a chi ancora non mi ha abbandonata, nonostante siano trascorsi due mesi dall'ultimo aggiornamento. Spero che la storia continui a piacervi, nella sua semplicità.
Saluti da Steffirah

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Capitolo 19
*** 18 ***


XVIII



 
 
 
Durante la cena io e Syaoran parliamo del più e del meno, incentrandoci maggiormente sulle aspettative che abbiamo per l’imminente vacanza. Mi chiede che tipo di persona sia Hana-chan, e io gliela descrivo come meglio riesco a rammentarla. 
«Ricordo che a primo impatto quasi mi intimorì, quando ci conoscemmo. Sembrava così seriosa, e invece alla fine si è rivelata essere un po’ imbranata e molto golosa. Tuttavia non la vedo da parecchi anni, quindi non saprei dirti se è cambiata o meno.» 
«Però ti metteva a tuo agio», commenta con certezza, prima di addentare il pollo. 
Ne afferro una coscetta anch’io, replicando: «Sì, andavamo molto d’accordo». 
«Allora deve essere una bella persona.»
Annuisco con un sorriso, assaggiandolo a mia volta, facendomi scappare di nuovo un mormorio di apprezzamento. Ma è più forte di me, per quanto mi sforzi non riesco a trattenermi – e d’altronde, qui non c’è nessuno a rimproverarmi per il mio mancato adempimento alle regole di bon ton.
«Ti sta piacendo la cena?» 
«Tantissimo! Non solo il pollo, ma anche tutto il resto! Sei veramente un ottimo cuoco!» 
Ed è vero. Nonostante a casa abbiamo uno chef di prima classe che cucina per noi, non ho mai assaporato qualcosa di tanto delizioso nella sua semplicità.
Vedo le sue guance farsi leggermente purpuree e un timido sorriso farsi largo sul suo viso. 
«Ti ringrazio. Anche se secondo me stai esagerando.»
«Non esagero, dico sul serio», insisto, mostrandogli ulteriormente il mio gradimento mangiando con gusto lo stufato. 
«In tal caso, devi complimentarti con te stessa. Anche tu hai contribuito», mi fa notare, sebbene io abbia fatto ben poco. 
Mi stringo nelle spalle, sottolineando: «Con te che mi guidavi». 
Si pulisce le mani, riconoscendo: «Per essere la prima volta, sei stata un’ottima allieva».
«Perché tu sei un ottimo insegnante», replico prontamente. «Non mi riferisco solo ad adesso, ma in generale.» 
Stavolta le sue gote arrossiscono in maniera più palese, e sposta lo sguardo sul cibo. Che i complimenti lo imbarazzino?
Mi schiarisco la gola e bevo qualche sorso d’acqua, pensando ad un nuovo argomento. Ci sarebbero così tante cose di cui vorrei parlare con lui… 
«Come trascorri solitamente il Natale?» 
«Dai tempi del liceo con amici, organizzando ogni anno feste a tema a casa di qualcuno. Quando ero più piccolo lo trascorrevo a casa mia, dove Maru e Moro addobbavano tutte le stanze e il cortile, mentre io e Kimihiro cucinavamo per Yuuko-san. Ah!» Il suo sguardo, da malinconico, diventa improvvisamente più presente, quasi come se si fosse appena ricordato qualcosa. «Sai che anche noi avevamo un coniglio?»
«Sul serio?» 
«Sì, si chiamava Soel, ed era tutto bianco, proprio come Mokona. Dopo che morì ne prendemmo un altro nero, che ribattezzammo Larg. Ora se ne prendono cura i miei fratelli.»
«Come mai questi nomi?» 
«Derivano da due rune, Sôwilô, che significa “sole”, e Laguz, che significa “acqua”.»
Lo ascolto ammutolita, sempre più ammaliata dalla sua immensa conoscenza. 
«Yuuko-san amava questo genere di cose. Ti ho mai detto che era un’antiquaria?» Ad una mia negazione prosegue: «Quel negozio era tutto per lei. Ci teneva tantissimo, e ricordo che vi trascorreva quasi l’intera giornata. Era pieno di cianfrusaglie, appartenenti a tutte le epoche, e molti di quegli oggetti li trovavo estremamente interessanti. Ci fu un periodo in particolare in cui vendette e acquistò numerosi articoli esoterici». 
«Del tipo?» 
«Talismani, libri di magia e stregoneria, cristalli, resine e incensi, cere e così via. Tra questi c’erano anche delle rune, e così Yuuko-san le scoprì, ne imparò i significati e li insegnò anche a noi. Se ne appassionò a tal punto che divenne il suo hobby praticare divinazione e coltivare piante “magiche”, tanto che la gente cominciò a pensare che fosse entrata a far parte di qualche setta.»
Serro le labbra, volendone sapere di più, ma indecisa se chiedere o meno. 
«Naturalmente non era così. Semplicemente era una persona piuttosto estrosa, poco convenzionale. Meglio dire che fosse totalmente fuori dai canoni.» 
A questo tace, assumendo un’espressione indecifrabile. Chissà a cosa sta pensando… 
«Cosa intendi con “fuori dai canoni”?»
Con questa domanda sembro metterlo a disagio, per cui immediatamente me ne pento.
«S-scusami, non devi necessariamente rispondere.»
«No, è che… Se te la descrivessi potrebbe non sembrarti una brava persona e non vorrei che tu fraintendessi, né vorrei involontariamente danneggiare la sua immagine.» 
Mi chiedo come mai si faccia tanti problemi, ma poi capisco: evidentemente, ne vuole mantenere un ricordo pulito.
Prende un respiro, sembrando decidersi, sebbene riprenda a parlare con gli occhi fissi nel suo piatto, dove fa rotolare gli ossicini del pollo con le bacchette.
«In poche parole, aveva diversi vizi, tra cui l’alcool e il fumo. Essenzialmente era una scansafatiche e trascorreva quasi tutto il giorno a comandarci a bacchetta, ma escludendo questi piccoli difetti non ci ha mai trattati male. È sempre stata buona e, in definitiva, gentile con noi. Non ci ha fatto mancare nulla e, anche se ci dichiarava quotidianamente il suo amore e noi non le credevamo sempre, sapevamo che nel profondo del suo cuore era costantemente vero. E poi, sebbene fosse trascorso del tempo dalla morte di suo marito, per quanto fosse una donna avvenente, sfacciata e seducente, non ha mai avuto occhi per nessun altro uomo. Era completamente dedita ai suoi figli.» 
«Avrei tanto voluto conoscerla…» mi faccio sfuggire, provando ad immaginarla.
Lui fa un minuscolo sorriso intriso di tristezza, prima di allungare una mano su una mensola alla sua sinistra e afferrare il cellulare lì posato. Lo sblocca scrollando varie applicazioni e probabilmente diverse immagini, prima di porgermelo. 
«Io, Yuuko-san, Kimihiro, Maru e Moro.» 
Lo afferro con la mano pulita e lo volto nella mia direzione, spalancando subito le labbra dinanzi alla fotografia che mi mostra. 
Essa ritrae Syaoran nella sua prima adolescenza, affianco ad un ragazzo che sembra poco più grande di lui, due ragazze all’altro lato, identiche – ma quindi sono gemelle! –, e una donna stupenda al centro che cerca di cingerli tutti.
Il fratello di Syaoran è molto alto e slanciato, quasi sembra librarsi in altezza, e forse tale impressione è accentuata dal fatto che sia piuttosto mingherlino; ha i capelli lisci e neri e due occhi azzurri che non sfigurano per niente dietro gli occhiali, anzi, le lenti sembrano accentuarne ancora di più il chiarore. Le gemelle si somigliano in maniera incredibile, sia nei tratti del viso che nella corporatura e statura; le uniche differenze stanno nel taglio di capelli e nello stile di abbigliamento, con quella coi capelli corti rosa che indossa un abito da bambolina, e quella coi lunghi capelli celesti che indossa un vestito gothic lolita. Sposto poi lo sguardo su Yuuko-san, e mi basta un’occhiata per capire cosa voleva dire Syaoran. Sembra infatti indossare soltanto un kimono nero in maniera molto provocante, che ha come fantasia nuvole di fumo e fiori scarlatti. Mi soffermo sul suo viso, sul suo pallido incarnato, i suoi occhi dalla tinta cremisi e il taglio sottile, le sue labbra vermiglio, i suoi lunghissimi e liscissimi capelli corvini. E non posso fare a meno di notare quanto Kimihiro-san le somigli.
«Siete tutti bellissimi. E Yuuko-san era veramente meravigliosa.» 
«Grazie.» 
Gli riporgo il cellulare, chiedendogli: «Quanti anni avevi lì?» 
«Quattordici, compiuti da poco.» 
Quattordici… soltanto due anni fa anche io avevo quattordici anni. Ora mi sento così piccola a confronto… 
«Tu hai mai avuto animali domestici? Non mi sembra di averne visti al kōtei.»
«Avevamo un canarino, ma dopo che è morto non ne abbiamo più presi. Tomoyo-chan ha un gatto siberiano. È una gatta in realtà ed è super pelosa e morbida quanto un peluche. Si chiama Shirasaki.» 
Afferro anche il mio cellulare, mostrandogliene qualche foto. 
«Puoi anche andare avanti, ce ne sono varie.»
«Ti piacciono i gatti, quindi?» 
«Mi piacciono tutti gli animali, in realtà.» 
Fa un cenno di comprensione con la testa, non replicando nulla, continuando a guardare Shira-chan.
«Tu invece?»
«Non ho alcuna preferenza particolare, ma se dovessi chiedermi di scegliere tra cani e gatti probabilmente opterei per i primi.»
«Mmh, sembri più un tipo da cani in effetti.» 
«Tu invece non sembri una tipa da gatti. Solitamente le persone che amano i gatti hanno la tendenza ad essere scostanti, fredde, introverse.» 
«Allora a quanto pare io sono un’eccezione», scherzo, al che fa una mezza risata. «Tu invece sei dolce, premuroso e ispiri tanta fiducia. Rientri nella categoria.» 
Sta per replicare, ma sembra ripensarci; trattiene una risatina, nascondendosi con una mano. 
«Forse potrei cambiare idea sui gatti», mormora tra sé.
«È adorabile, vero?» 
«Decisamente.» 
Toglie la galleria, restituendomi il telefono, e mentre lo poso si alza, cominciando a sparecchiare. 
«È il momento della torta», annuncia allegramente.
Mi faccio scappare un’esclamazione di giubilo, battendo le mani. 
«Torta torta torta», cantileno, mentre lui si alza per aprire il frigo. 
Si affaccia da una spalla, ridendo. 
«Non sbirciare.»
«No.» 
Mi copro gli occhi con le mani, attendendo trepidante. Sento la porta del frigo chiudersi, una sedia spostarsi, dopodiché silenzio. 
«… Posso guardare?» 
«No, non ancora.» 
Attendo confusa un suo segnale, ma resto muta e immobile, finché non percepisco qualcosa di sottile e freddo toccarmi il braccio. Lo sposto in automatico, ma le dita di Syaoran si posano su di esso, tenendomelo e ammonendomi: «Mantieni gli occhi chiusi». 
Faccio un cenno col capo, sentendomi il viso accaldato, e tento di normalizzare il respiro. Le sue dita mi sfiorano il polso e io avverto la pelle d’oca su tutto il corpo, come se mi avesse appena lasciato una scarica elettrica nelle vene, permettendole di scorrere nel mio sangue. 
Quando si allontana mi permette di riaprire gli occhi, e io direziono lo sguardo direttamente sulla torta, posta davanti alle candele del centrotavola.
«Wow!» esclamo strabiliata. È così ricca di dettagli e dalla forma impeccabile! È totalmente ricoperta da panna bianca come neve, altri riccioli ne contornano la parte superiore a formare un cerchio, nel cui centro ci sono fragole rossissime, stelle di cioccolato ricoperte da brillantini dorati, e un babbo natale fatto in pasta di zucchero.
Appoggio le mani sul legno per sporgermi verso essa, notando solo allora il sottile braccialetto che mi scivola sulla mano. Sollevo il polso, osservandolo controluce. Si tratta di una sottile catenina d’oro, fatta da minuscoli anelli uniti gli uni agli altri, nelle cui congiunture sono incastonati piccoli brillanti rosati. All’estremità, vicino al gancetto, pende una piccola piuma che sembra in madreperla, su cui è tracciato una sorta di simbolo simile ad un cuore con ali e protuberanze. Mi ricorda un po’ quella del regalo fatto a mia madre. Forse appartiene alla stessa linea.
«È stupendo…» mormoro incantata, prendendo quella piccola piuma tra due dita. 
«Ti piace?» si accerta Syaoran, sembrando insicuro. 
«Tantissimo!» confermo emozionata, guardandolo col batticuore. Lui non immagina di certo che con quella piuma rappresenta la libertà che mi sta donando. «Come mai questa scelta?» 
«Non ti saprei dire con certezza… Appena l’ho visto l’ho visualizzato subito sul tuo braccio. Mi sembrava realizzato apposta per te. Successivamente, al momento dell’acquisto, la commessa mi ha rivelato che l’incisione sul ciondolo rappresenta la memoria.» 
Dinanzi a quelle parole sgrano gli occhi, sentendomi mancare il fiato. Avevo quasi rimosso che Syaoran sa, sa già che c’è un pezzo mancante in me… E nonostante questo… nonostante questo, è rimasto al mio fianco…
«E ho pensato che sarebbe potuto diventare un portafortuna, che ti potesse aiutare a ritrovare il passato. Ma soprattutto…» China lo sguardo, sembrando vergognarsi nel continuare con un borbottio: «… Mi farebbe piacere se, ogni volta che lo indossi, ti ricordassi di me». 
Continuo ad osservarlo ad occhi spalancati, sentendo le lacrime raccogliervisi. Certo che mi ricorderei di lui. Lo ricorderei per sempre. E anche se, malauguratamente, dovessi dimenticarlo, il mio cuore sono certa che non lo cancellerebbe. 
Mi alzo da tavola, schiarendomi la voce.
«Anche io ti ho fatto un regalo. Posso andare a prenderlo?»
Ne sembra stupito, ma ciononostante acconsente con un cenno.
Corro a cercare il pacchetto in borsa, osservando che, inconsciamente, ci siamo fatti anche un regalo simile. Glielo porto emozionata, sperando possa piacergli. D’altronde, è il primo dono che gli faccio. 
«È solo un piccolo pensiero, una sorta di ringraziamento per tutto quello che fai per me. Se l’incarto è fatto male è colpa mia, ho voluto occuparmene io stessa, e se non si è ancora capito non sono molto brava con i lavori manuali…» specifico, mettendo a tappeto i miei difetti. 
Lui mi fa un complimento inaspettato, commentando che è ben fatto, e quasi in rispetto dei miei sforzi lo apre ponendo la massima attenzione, cercando di togliere lo scotch senza strappare la carta. Dinanzi a tanta meticolosità e precisione mi tremano le gambe, soprattutto se considero che tutto questo lo fa per me.
Mi stringo la gonna tra le dita, sfiorandomi il regalo che mi ha fatto mentre lui apre il suo, rivelando l’orologio da polso che cela. La particolarità sta nel quadrante, su cui è incisa una mappa del mondo in stile antico su un mare di stelle. 
Prima che possa esprimersi lo anticipo, spiegando: «È per non farti fare mai tardi. So che sei sempre pieno di impegni, quindi ho pensato potesse essere un oggetto utile nella tua vita quotidiana, che potessi usare tutti i giorni. Per le sue peculiarità mi sono rifatta al nostro discorso sul firmamento e al tuo amore per i viaggi, sperando che tu possa visitare più luoghi possibili e scoprire tutto ciò che li caratterizza. Ecco perché lo stile è antico. Le punte delle lancette somigliano alla stella polare, per guidarti senza farti perdere», concludo arrossendo, chiedendomi se non mi sono spinta troppo oltre. 
Senza dire nulla si mette in piedi a sua volta, mi si avvicina e mi avvolge tra le sue braccia. Resto per un attimo impietrita, ma ormai sto cominciando ad abituarmi al suo calore. Alla sua gentilezza. Alla sua bellezza. Alla sua forza. Chiudo le palpebre, ricambiando il suo abbraccio, impacciata e contemporaneamente pienamente a mio agio. Ancora mi è poco chiaro come io, in sua presenza, possa avvertire sensazioni tanto contrastanti.
«Grazie. È bellissimo», sussurra appena accanto al mio orecchio, facendomi rizzare tutti i peli. 
Stringo le dita sul suo maglione, ricambiando allo stesso modo.
«Grazie a te.»
Mi sembra che passino minuti interi. In quel silenzio assoluto, le uniche cose che si odono sono il ticchettio delle lancette, il lento gocciolare di qualche rubinetto, il pigro scorrimento del traffico a distanza e qualche clacson. Mentre vicino, più vicino che mai, c’è il muto suono della ferrea presa di Syaoran su di me. Delle sue mani che mi carezzano i vestiti. Del suo pacato respiro, che mi soffia tra i capelli. Del suo cuore, che palpita dolcemente contro la mia guancia. Ad occhi chiusi vi poggio l’orecchio, ascoltandolo meglio. Cosa mi sta dicendo…? 
«Sakura», mi richiama, distraendomi da quel piacevole ascolto.
Mi distanzio di poco, notando che ha un’espressione travagliata; indica la torta, tornando coi piedi per terra prima di me. 
«Se non la mangiamo presto si scioglie.» 
La sua voce, ha assunto una nuova cadenza. È come se fosse imbarazzato, ma felice, e contemporaneamente dispiaciuto. Non riesco proprio ad inquadrarla, ma per il momento lascio perdere, dedicandomi ai fatti concreti.
«Hai ragione, sarebbe un peccato!» 
Mi apro in un sorriso e torno subito al mio posto, facendo gli occhi a cuoricino. Me ne taglia una fetta e, non appena la assaggio, mi sembra di sciogliermi sulla sedia. 
«È così buona! Devi assolutamente congratularti con Fay-san!» 
«Riferirò.»
Continuo a mangiarla con gusto, pensando intanto che se il suo coinquilino aprisse una pasticceria avrebbe un successo assicurato.
Quando finiamo di cenare lo aiuto a lavare piatti e stoviglie, nonostante le sue obiezioni. Io asciugo, mettendoli a posto dove mi indica, e una volta che tutto è tornato pulito mi chiede: «Ti va di rivedere i ragazzi?»
«Tantissimo!» esclamo emozionata, non aspettandomelo. «Però non ho nessun regalo per loro…» mi adombro.
«Non è necessario, credo che per loro poter stare con te un’altra volta sia più che sufficiente.» 
«Continuano a domandarti di me?» chiedo sorpresa, al che ridacchia, confermando.
«Quasi ogni giorno. Mi domandano come stai, se mi hai scritto, cosa racconti dalla provincia, eccetera.» 
Commossa acconsento, preparandomi con lui ad uscire. Ci imbacucchiamo a dovere, visto che la temperatura è calata: mi aiuta a sollevarmi la sciarpa fino al naso e mi abbassa il cappello di lana sino a nascondermi le orecchie, spostandomi i capelli dagli occhi affinché non mi diano fastidio; poi, non appena scendiamo nelle strade di Tokyo, afferra la mia mano, per non perdermi tra la calca.
Mi lascio guidare da lui verso il luogo di ritrovo con gli altri, e nel tragitto sposto meravigliata lo sguardo dalla tenue neve leggera che cade dal cielo biancastro all’asfalto quasi scomparso, dietro questo mare di persone. Mai viste così tante. Mai sono stata tanto a contatto con la neve, avendola osservata sempre tramite il vetro di una finestra. Forse solo da bambina ho avuto modo di toccarla e giocarci. Forse. E mai ho visto così tante luci illuminare e colorare la mia città, rendendola tanto magica. 
Quando ci ricongiungiamo ai suoi amici loro mi salutano con allegria, le ragazze persino mi abbracciano esprimendo la loro nostalgia. Con Suzuran-san stavolta c’è un uomo che scopro – con grandissimo stupore – essere suo marito, mentre Shōgo-san, purtroppo, è da solo, essendo Primera-san impegnata in un concerto all’estero. Hikaru-san e Umi-san sono a loro volta accompagnate da un’altra ragazza, Fuu-san, e tutte e tre mi presentano i rispettivi fidanzati. Ryūō-san è amichevole ed espansivo come sempre, e subito si adopera a mettermi a mio agio, nonostante le nuove presenze.
Passeggiamo in gruppo nel centro, in mezzo alle luminarie, facendoci poi una foto accanto all’albero più grande di Tokyo, davanti al quale si ammassa tantissima gente. Cerco di non farmi notare troppo, facendomi piccina stringendomi a Syaoran, ma allo stesso tempo mi rendo presente, volendo lasciare a coloro che oramai sono diventati anche miei amici una minima parte di me. Della vera me.
Dopo averne scattata più di una, Umi-san insiste che vorrebbe taggarmi, e si sorprende del fatto che io non abbia né instagram né altri social. Ho ovviamente line, ma non posto mai nulla e, comunque, posso condividerlo solo con pochi. Forse dovrei crearmi un falso account, come Hana, e non come Sakura. Ma se lo scoprisse mio fratello, sicuramente avrebbe da ridire che è rischioso.
Ryūō-san, invece, non se ne stupisce, trovandola una conseguenza naturale del mio essere provinciale. Lo assecondo al meglio, e fortunatamente il discorso non dura a lungo, in quanto risolvono la questione mandando le foto direttamente a Syaoran – che in seguito le avrebbe mandate a me. 
Per le strade, e soprattutto attorno agli alberi illuminati, mi accorgo che ci sono tantissime coppie, e Suzuran-san subito coglie la palla al balzo, rifacendosi a questa mia osservazione per spiegare: «È perché popolarmente Natale è visto come se fosse San Valentino. Stanotte starai da Syaoran-kun?» 
Lo ha chiesto con una certa allusione, dinanzi alla quale anche Hikaru-san ha assunto un’espressione da gatto, Fuu-san da volpe, nascondendosi le labbra dietro una mano, mentre Umi-san sembra l’unica che prova un po’ di empatia per me.
«S-sì», balbetto impacciata, anche se non è detto che sia realmente così. Anzi, suppongo che dopo mi accompagni direttamente a casa.
Loro sogghignano sotto i baffi, cozzandomi con la spalla. 
«Ehehe, fate i bravi – ma non troppo.»
Le guardo perplessa, non capendo del tutto cosa vogliono insinuare, ma dato che fanno un occhiolino all’unisono mi limito ad annuire, incerta. 
Successivamente andiamo tutti insieme a comprare un bubble tea, giochiamo in una sala giochi – dove io mi scopro essere talmente fortunata da vincere praticamente tutto e dobbiamo necessariamente andarcene prima che mi possano accusare di imbrogliare – e ci facciamo tante foto buffe in una purikura. Ce ne prendiamo tutti una copia in ricordo e io, dopo averla messa in borsa, me la stringo al petto come un tesoro inestimabile. Per ricambiare tutto questo cedo loro i premi vinti, consistenti per lo più in buoni sconto, peluche e portachiavi – anche perché io non so che farmene.
Quando le nostre strade si separano mostro la mia gioia a Syaoran, ma lui sembra leggere la stanchezza al di là delle mie iridi brillanti. 
«Rincasiamo», consiglia e non ho la forza di oppormi, per cui ancora una volta mi lascio condurre da lui fino a casa, con le palpebre pesanti. È solo quando ci ritroviamo di fronte alla porta del suo appartamento che mi ridesto di botto, fissandola esterrefatta.
Senza darmi spiegazioni apre la porta, invitandomi ad entrare, e mentre si spoglia dice con tutta la tranquillità del mondo: «Puoi dormire in camera mia, non preoccuparti. Ti posso prestare un cambio di vestiti e, uhm… vuoi farti un bagno caldo?» 
«S-Syaoran! P-perché…» Non riesco a formulare neppure una frase, restando imbambolata all’ingresso. Cosa ci faccio di nuovo qui?
Lui mi osserva confuso. 
«I tuoi genitori non te l’hanno detto? Mi hanno chiesto di ospitarti stasera, per non farti stare sola a casa.» 
Mi si raccolgono le lacrime agli occhi, non riuscendo a crederci. Posso realmente restare?
«Ma se disturbo…»
«No che non disturbi», ribatte prontamente. «Mettiti comoda e fa’ come se fossi a casa tua. Vado a prepararti il bagno, anche se devi tener conto che sicuramente non sarà come alla villa.»
«Grazie e… scusami», replico impacciata, cominciando a togliermi sciarpa e cappello. 
«Non scusarti», mi rimbrotta bonariamente, rimettendomi a posto i capelli, evidentemente scompigliatisi. «È un piacere per me averti qui. Almeno mi fai compagnia.»
Solo allora, mentre mi volta le spalle con apparente spensieratezza, mi rendo conto che, proprio come me, anche lui potrebbe sentirsi solo.
Mi adopero quindi ad essere una buona convivente, ringraziandolo quando mi prepara il bagno riempiendomi già la vasca di acqua calda e mettendo da parte per me diversi asciugamani e un suo pigiama per cambiarmi. Cerco di non impiegarci troppo tempo, pur concedendomi qualche minuto per distendere i nervi e annusare l’aria, riconoscendo una vaga essenza molto delicata. Raccolgo un po’ di schiuma, avvicinandola al naso, e così mi accorgo che è simile ad un miscuglio di agrumi, bergamotto e lavanda. Adocchio i prodotti posati su una mensola, chiedendomi quale abbia utilizzato – e se sia lo stesso che usa anche lui. Scuoto vigorosamente la testa, cercando di non soffermarmi troppo su quel pensiero, e così facendo alcune bolle mi volano attorno. Soffio su alcune di esse dalla schiuma che ho raccolto tra le mani, cercando di non bagnare il pavimento più del dovuto, ma rendendomi conto di star perdendo tempo mi appresto ad asciugarmi e rivestirmi.
Fortunatamente, ho l’abitudine di portare sempre con me delle salviettine struccanti per ogni evenienza (ad esempio, se mi si scioglie il trucco e devo aggiustarlo all’ultimo minuto), per cui mi strucco anche e mi sciacquo il viso, assicurandomi che non ne resti neppure una traccia. Mi sciolgo anche i capelli una forcina alla volta, aggiustandomi le onde con le dita, e raccolgo tutte le mie cose, stringendomele tra le braccia.
Prima di uscire, tuttavia, mi osservo in tutta la mia lunghezza allo specchio, ridacchiando alla mia immagine. I vestiti di Syaoran mi vanno larghissimi! E poi, non è questa la prima volta in cui indosso abiti maschili? Assumo un’aria da maschiaccio, trattenendo una risata. Paradossalmente, non sembra starmi poi così male.
Divertita apro la porta e trovo Syaoran a dare da mangiare a Moko-chan. Notandomi mi accompagna fino in camera e mi invita ancora una volta a mettermi a mio agio prima di lasciarmi lì, sostituendomi in bagno.
Mio malgrado mi siedo rigidamente sul suo letto, del tutto a disagio. Mi guardo intorno in quel suo minuscolo mondo ordinato e spartano, dove non c’è niente di superfluo. Le ante dell’armadio sono ben chiuse, il letto è completamente ben fatto, sulla scrivania ci sono libri, penne, e un portatile, impilati in una maniera impeccabile. Eppure, in quello zelo riecheggia Syaoran. È così presente, in quel piccolo posto dove passa gran parte del suo tempo. E soltanto adesso realizzo di trovarmi nella sua stanza, e di star praticamente invadendo la sua intimità. E poi, ho usato i suoi stessi prodotti, e adesso lui farà il bagno dopo di me, e questo è il suo pigiama, e praticamente condividiamo lo stesso odore, e…
Avvampo e mi butto sul letto, scalciando all’aria. Affondo la faccia tra due cuscini, ma nel momento in cui inspiro contro la federa mi sembra di impazzire ulteriormente. Ahhh, profuma tutto di lui!
Prendo a testate uno dei cuscini, dandomi una regolata. Non posso emozionarmi così proprio adesso, non in sua presenza! Devo comportarmi in maniera cortese e garbata.
Mi volto pertanto a pancia in su, e facendo respiri profondi tento di ritrovare la compostezza. Provo a distrarmi prendendo il cellulare, scorrendo le immagini in galleria. Cerco di non concentrarmi eccessivamente sulle foto che ritraggono anche Syaoran – consapevole che continuerò a guardarle una per una ogni notte una volta che tornerò a casa, come al solito – e passo subito alla cartella dedicata a Shira-chan. Sorrido nel vedere quella bellissima batuffolina, finché poi non mi accorgo che ce ne sono alcune di me con lei. In una addirittura sono in posa da gatto. Arrossisco come un pomodoro, sperando che Syaoran non le abbia viste.
Poso il cellulare, riguardando le foto fatte in cabina con tutti e ricordando quanto abbiamo dovuto stringerci per poterci entrare. Ridacchio nel vedere le scritte e i disegni ridicoli di cui ci siamo circondati, per poi mettere tutto a posto sul suo comodino e ristendermi.
Allungo un braccio e ammiro controluce il bracciale, lasciandomi rapire dai suoi scintillii rosati, finché Syaoran non bussa alla porta e si affaccia.
«Sei ancora sveglia?»
«Aspettavo che finissi», spiego, celando al meglio l’agitazione che mi imperversa.
«Non ce n’era bisogno.» Fa un piccolo sorriso e piega di poco la testa, augurandomi serenamente: «Buonanotte, Sakura». 
«A-aspetta!» Lo blocco prima che possa andare via, stringendomi una mano al petto. «Tu dove dormirai?» 
«Sul divano in cucina», risponde con naturalezza, al che scuoto vigorosamente il capo. 
«Non se ne parla.» Lui è sempre più stanco di me, fa molte più cose di me, per cui ha bisogno di riposare meglio di me. Mi alzo e corro da lui per afferrarlo per un braccio, trascinandolo fino al letto, dove lo costringo a sedersi. «Tu dormi qui. Io dormo in cucina.» 
«Sakura, sei mia ospite», argomenta testardo. «Il letto tocca a te.»
«Ma io non voglio privartene», ribatto impettita. 
Continuiamo a battibeccare per un po’, finché non mi torna in mente un mio minuscolo, intimo desiderio. Potrebbe effettivamente esaudirsi…
Mi siedo accanto a lui, sperando di sembrare sicura di me. 
«D’accordo allora, dormiremo tutti e due qui», proclamo decisa, celando tutta la vergogna che provo. «Dopotutto il tuo letto è abbastanza grande per entrambi.»
Non appena apre bocca, con un’espressione che lascia subito intendere che stia per obiettare, spengo la lampada sul comodino e mi stendo. 
«Buonanotte», gli auguro, voltandomi verso la finestra. 
Fa un sospiro, prima di augurare altrettanto debolmente, girandosi presumibilmente al lato opposto.
Osservo tacita la neve che cade contro la notte, avvertendo il mio cuore placarsi poco alla volta.
«Neh, Syaoran…» mormoro impacciata, stringendomi le coperte sotto il mento.
«Mh?»
Mi volto verso di lui, osando sottovoce: «Posso… posso tenerti la mano…?»
Si gira anche lui su un fianco e fa solo un breve cenno d’assenso, porgendomela. La avvolgo tra le mie un po’ esitante, ma non appena entro in contatto con la sua pelle riesco a farmi coraggio per dare voce anche alla mia seconda richiesta.
«Mi canticchi qualcosa?»
Avvampo e mi nascondo contro le nostre mani giunte. Non gliene faccio una colpa se adesso mi deriderà. Mi sto comportando proprio come una bambina…
Sorprendentemente, senza commentare alcunché intona a bocca chiusa “Twinkle Twinkle Little Star”. Mi lego a qualche nota con lui, chiudendo le palpebre, per poi perdermi nelle nostre voci fuse insieme, e da quel minuscolo sentiero canoro mi lascio guidare verso il mondo dei sogni.










 
Spiegazioni:
- Come detto nel capitolo 9, col termine "kōtei"  si indica la residenza del primo ministro.
- Il nome della gatta, Shirasaki, è il nome del castello in cui vivono Tomoyo e Amaterasu a Nippon.
- Il disegno sulla piuma del braccialetto regalato a Sakura è lo stesso che sta sulle piume di Sakura nel manga (ma immagino si fosse intuito).
- Il bubble tea, chiamato anche "boba", è una bevanda taiwanese a base di tè contenente palline gommose di tapioca o gelatina di frutta, che esiste in diverse varianti.
- I purikura somigliano alle cabine per fototessere, ma lì oltre a scattare e stampare foto è possibile anche ritoccarle seguendo dei temi o in maniera "kawaii", con la possibilità di aggiungervi adesivi e anche scrivervi sopra.

 

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Capitolo 20
*** 19 ***


XIX



 
 
 
Da quando siamo atterrati in Australia non faccio altro che scusarmi con Syaoran, ripetutamente. 
Stamattina abbiamo preso il jet privato di famiglia, dinanzi al quale lui è rimasto senza parole, finché, una volta dentro, non lo ha descritto come “un attico tra le nuvole”. In effetti non aveva tutti i torti, visto che il pavimento di esso è interamente ricoperto da un soffice tappeto color crema con motivi tribali color caffè, lungo tutta una parete al di sotto degli oblò ci sono mobiletti su cui sono posati un vaso con calle bianche, calici, bibite e una tv al plasma, di fronte c’è un divano letto in pelle con molti cuscini, e oltre questi ci sono quattro morbide poltrone terapeutiche in ambo i lati.
Raggiunta l’alta quota io ho abbandonato il mio posto davanti alla tv, spostandomi al suo fianco per osservare insieme a lui il mondo dall’alto del piccolo finestrino. Ben presto le nuvole hanno assunto la forma di pecorelle nella mia mente e, senza neppure accorgermene, ho finito con l’addormentarmi, quasi stendendomi completamente addosso a lui. Dal momento in cui me ne sono resa conto, una volta sveglia, ho continuato a sentirmi in colpa e mortificarmi, certa che abbia potuto dargli fastidio – anche se continua a negarlo.
E per questo continuo a scusarmi, anche dopo essere scesi dall’aereo, finché non veniamo raggiunti dalle due guardie del corpo di Hana-chan, Sakura-san e Tachibana-san. Solitamente non si separano mai dalla loro protetta, ma visto che è al sicuro con Kusanagi-san e Yōou-san, seppure a malincuore sono potuti venire a prelevarci.
Ci scortano fino a casa della mia amica, con Tachibana-san che resta tutto il tempo in silenzio, trasportando la mia valigia, mentre Sakura-san ci chiede senza sosta com’è andato il viaggio, come ci sentiamo e se abbiamo bisogno di qualcosa, tentando di creare un clima familiare e fare amicizia con Syaoran. 
Giunti all’enorme villa Syaoran ne rimane a bocca aperta, e notandolo ridacchio tra me, nascondendomi educatamente con una mano. Pensare che questa è solo la facciata, non ha idea di cosa lo aspetta all’interno.
Essa si sviluppa su due piani, è quadrangolare, con tanti tetti per ogni sezione, e quasi completamente in vetro. Unicamente le colonne portanti e quelle poche pareti presenti sono dipinte di bianco.
Superato il giardinetto tropicale, non appena entriamo ci ritroviamo dinanzi un androne che termina in delle scale a spirale. Tutto è rigorosamente ricoperto da mattonelle in marmo e assi di legno lucido, ed è arredato in maniera moderna ed esotica.
«Le signorine vi aspettano in piscina», ci informano congedandosi, concedendoci il tempo di mettere a posto le nostre cose. 
Dopo che ci indicano la strada per le nostre stanze conduco Syaoran verso l’edificio a est, dove dobbiamo salire al primo piano. Mi fermo dinanzi alla mia stanza, dirimpetto alla sua; qui lo saluto, dicendogli che ci saremmo rivisti tra pochi minuti nel corridoio, ed entro nella mia camera. Sicuramente non è un caso che siano antistanti. Sicuramente è stato fatto per motivi di sicurezza. 
Faccio qualche passo, notando un’altra valigia già posata accanto al letto, che riconosco come quella di Tomoyo-chan. Evidentemente, hanno deciso che almeno una di loro dormisse con me, e forse la scelta è stata dettata in base a chi avrebbe dovuto dormire con Syaoran; di certo Yōou-san avrebbe avuto molto da insegnargli. Conoscendolo, potrebbe trattarsi proprio di una sua esplicita richiesta: si sarà incuriosito, dopo aver scoperto che è stato in grado di battere i suoi ninja.
Mi cambio velocemente, indossando il costume e al di sopra un prendisole. Oggi è il 28, staremo qui fino al 31. Per quel che ne so, l’indomani avremmo fatto delle escursioni o gite, mentre l’ultimo giorno dell’anno saremmo andati al mare e avremmo festeggiato sulla spiaggia. 
Ci penso su uscendo, già non vedendo l’ora di scoprire cosa faremo e come sarà, visto che è la prima volta che trascorro un dicembre estivo. In generale, è la prima volta dopo anni di “prigionia” che vado all’estero, quindi più riusciamo a vedere e meglio è! 
Sono talmente immersa in questa mia trepidazione da non accorgermi che Syaoran già mi aspetta in corridoio, finché non mi chiama. Sollevo lo sguardo, sorridendo con aria di scuse per avere la testa tra le nuvole. Mi fa segno di scendere e, paradossalmente, si direziona giù ostentando sicurezza – nonostante sia la prima volta che viene qui. Lo osservo colpita, chiedendomi se non sono soltanto io a perdermi in luoghi tanto grandi e, invece, sia naturale memorizzare subito il percorso.
I miei pensieri deviano poi, notando che anche lui si è cambiato in abiti più freschi e comodi, con t-shirt e bermuda. Meglio così, almeno avrà più facilità di movimento e si sentirà sicuramente molto più a suo agio, rispetto agli abiti formali con cui è partito. Doveva, necessariamente, o a sua detta “non avrebbe fatto bella figura con i miei genitori, doveva darsi un’aria professionale”. 
Si blocca al pianterreno, in prossimità dell’ingresso, dove incrocia lo sguardo con Tachibana-san. Avendo sempre visto questi in abiti eleganti, quasi mi fa strano vedere anche lui con una t-shirt. E lunghi pantaloni neri. Chissà come fa a sopportare il caldo…
«Da questa parte», ci rivolge un cenno secco, sembrando scontento. Mi sa che lo hanno forzato a guidarci, separandolo dalla sua protetta.
Tra le due guardie, è sempre stato quello un po’ più scorbutico. Da piccola ammetto che mi incuteva un certo timore, e in parte è dovuto al suo fascino tanto misterioso quanto inquietante, ma poi si è scoperto che si comporta in maniera antipatica e ha una lingua tagliente solo perché è iperprotettivo con Hana-chan e vuole il meglio per lei. Sotto certi aspetti è un po’ simile a Touya-niisama, e so effettivamente che anche lui vede Hana-chan come una sorella minore – oltre che come padroncina. Almeno così mi ha riferito lei.
Rivolgo uno sguardo a Syaoran, chiedendomi che impressione abbia lasciato su di lui, ma il suo viso è imperturbabile; sembra solo molto interessato a quello che lo circonda, lanciando sguardi furtivi ai vari angoli delle quattro pareti, particolarmente concentrato. Chissà a cosa sta pensando. 
Torna a fissare dritto davanti a sé non appena usciamo fuori e anche io mi volto, restando a bocca aperta. È una vera e propria oasi! E da qui si può anche vedere il mare!
La piscina è gigantesca, dalla forma ondulata (che mi ricorda una hyōtan), con delle scale per scendere in essa al centro delle due estremità ricurve; tutt’attorno vi sono sdraio, ombrelloni e tavolini, intervallati da lampioni sferici e rigogliose palme, mentre poco prima del sentiero che conduce in spiaggia c’è una terrazza con gazebo e un lungo tavolo con sedie. Sono pronta a scommettere che consumeremo tutti i pasti lì.
Le ragazze balzano in piedi vedendoci e io corro a bordo piscina, lasciandomi stringere in un abbraccio dalle mie amiche. 
«Sakura-chan, sono lieta che tu ce l’abbia fatta a venire.»
Mi rivolgo a Hana-chan una volta che ci separiamo e scuoto la testa, mostrandole tutta la mia gratitudine. 
«Grazie a te per l’invito!» Faccio un cenno a Syaoran, presentandolo a lei, a Yuzuriha-chan che ancora non ha avuto modo di incontrarlo di persona, e alle diverse guardie del corpo. «Lui è Syaoran, ha cominciato da poco a lavorare per me. Syaoran, loro sono -» 
Mi blocco, notando la sua espressione stupita e costernata. Cosa lo sta sconvolgendo tanto? Seguo la traiettoria del suo sguardo, notando che i suoi occhi sono fissi su Yōou-san, il quale ricambia con un ghigno compiaciuto. 
«Yo, moccioso.»
«Come…»
Spaesato, si guarda intorno, quasi si aspettasse di vedere qualcun altro.
Proprio in quel momento veniamo raggiunti da Yui-san, con un vassoio tra le mani pieno di aperitivi e stuzzichini. E nel vederlo, l’espressione di Syaoran diviene ancora più sconvolta. Che mi sono persa?
«Oh, siete arrivati!» Ci rivolge un sorriso allegro, mentre posa il vassoio su uno dei tavolini alle spalle dei lettini sdraio, per avvicinarmisi in fretta. 
«Sakura-chan, è così tanto tempo che non ci vediamo! Come stai?»
«Bene!» esclamo gioviale, coinvolta dalla sua allegria, e sollevata dal fatto che stia rispettando il nostro patto: come Syaoran, anche Yui-san ha il permesso, in situazioni informali, di essere familiare con me. 
Se ne mostra lieto, e poi osserva Syaoran con un sogghigno enorme. Lui sembra essersi ripreso dallo shock, ora mostra solo un po’ di sospetto. 
«Sorpresa!» esclama allargando le braccia, coinvolgendo anche Yōou-san. 
«Potevate avvisarmi», sospira, scuotendo la testa, rilasciando un sorriso sollevato. 
«Non se ne parlava, poi non sarebbe stato divertente», ammicca, stringendo ancora di più le spalle di Yōou-san, che lo trucida con uno sguardo. 
Mi sento ancora più confusa.
«Vi conoscete già?» interviene Kusanagi-san, facendosi avanti. 
Syaoran s’affretta a presentarsi formalmente, mentre Yui-san ci informa: «Diciamo che siamo coinquilini».
«Eh?!» mi faccio scappare, sbigottita. 
Syaoran mi guarda altrettanto perplesso, pronto ad aprire bocca, ma Yui-san glielo impedisce esclamando: «Sakura-chan, vieni un attimo con me. Ho una cosa da mostrarti, sono certo che ti piacerà!»
Mi affretto a seguirlo, sperando di poter ricevere delle risposte da lui.
Tornati in casa si ferma, fronteggiandomi con aria di scuse. 
«Non riesco a capire», ammetto, rimuginando. «Syaoran non vive con Kurogane-san e Fay-san?»
«Precisamente», conferma, stupendomi. 
«Ma allora, loro due…»
«Siamo noi. Ti sembrerà strano, forse, che usiamo nomi diversi, ma dovresti anche esserne abituata, no?»
Sto per ribattere, ma a quella frecciatina taccio. Proprio io non dovrei parlare, quando ho ben tre nomi, due con cui farmi conoscere, uno da celare… 
«Puoi vederli come una sorta di nickname.»
«Quali…» Sto per chiedergli quale sia il loro vero nome, ma poi taccio, rendendomi conto che possa risultare sgarbato.
«Stai per chiedermi quali sono i nostri veri nomi, non è così?» mi scopre. Annuisco, incerta che sia una buona idea, ma lui sembra bendisposto nel rispondere. «Quelli che conoscete voi signorine e le vostre famiglie.»
«Ma anche il mondo ti conosce come l’eccentrico artista Yui…» osservo.
«Però il mondo non ha idea di quale sia il mio vero aspetto e mai potrebbe associarlo al “docente di arte Fay D. Flowright”, no?» mi fa notare.
Lo fisso stupita. Non me lo sarei mai aspettata.
«Quindi lo stesso vale per Yōou-san. Questo è il suo nome come guardia del corpo di Tomoyo-chan, e solo noi lo conosciamo così. Per il resto del mondo è…»
«Il professore Suwa Kurogane del liceo Kirigaoka, in cui insegna educazione fisica. In realtà devo ammettere che Kuro-rin mi stupisce, pensavo che avesse concesso soltanto a Tomoyo-chan di chiamarlo col suo vero nome», medita, guardandomi curioso. 
Mi stringo nelle spalle, ma suppongo che sia anche ovvio che lo abbia detto a tutte noi, in modo tale da evitare confusioni. E d’altronde, anche Tomoyo-chan è più conosciuta come Tsukuyomi che con il suo vero nome.
«Quindi adesso come dobbiamo appellarci a voi?»
«Prima che arrivaste ci siamo messi d’accordo per usare tutti “Fay” e “Kurogane” – anche perché questi sono i nostri nomi “ufficiali”.»
«D’accordo.» Devo cercare di tenerlo a mente.
«Comunque, volevo presentarti qualcuno!»
Mi conduce verso le cucine, e si arresta dinanzi ad una gabbietta familiare.
«Ta-dan! Lei è -»
«Moko-chan!» esclamo contenta, allungando un dito per carezzarla.
«Bel soprannome! Già la conosci?»
«Me l’ha presentata Syaoran a Natale», confermo, guardandolo luminosa. «Non pensavo di ritrovarla qui. Beh, in realtà non pensavo nemmeno che già lo conosceste», confesso, facendomi un po’ indietro.
Lui mi guarda comprensivo, posandomi poi una mano su una spalla, sorridendomi franco.
«È un bravo ragazzo.»
«Lo so.»
Mi apro in un sorriso più grande, e lui segue il mio, prima di tornare serio.
«Anche se», sospira afflitto, «rifiuta di aprirsi con noi. Credo non voglia caricarci di un peso che considererà “inutile”. È molto responsabile e maturo, considerata la sua età, ma è anche molto chiuso in se stesso. Si vede che molte volte si sente solo, anche se cerca di non darlo a vedere. Spero solo che tu abbia più fortuna di noi.»
Detto ciò si allontana, facendo dietrofront per tornare dagli altri.
Rifletto sulle sue parole, impensierendomi. Syaoran non è sereno a casa? Con me non si è mai lasciato sfuggire nulla, tranne… tranne quando rimase a dormire da noi, e pianse. Anche se subito si asciugò le lacrime. Chissà qual era la vera origine di quella reazione… 
Torno anch’io da tutti e cerco di non farmi vedere nebulosa; con mio sollievo noto che Syaoran già parla sembrando a suo agio sia con Yō – ehm, Kurogane-san, che con Kusanagi-san e Sakura-san.
Notandomi, le ragazze mi circondano subito, trascinandomi verso gli aperitivi, dichiarando che aspettavano solo me. Mi immergo nella loro conversazione mentre mangiucchiamo a bordo piscina, guazzando con le gambe nell’acqua, interessandomi della vita di Hana-chan. Sono trascorsi anni dall’ultima volta in cui ci siamo viste, e tra una chiacchiera e l’altra quasi non mi strozzo con un gamberetto quando scopro che sta per sposarsi. 
«Dici sul serio?»
Lei annuisce grave, e io automaticamente rivolgo uno sguardo ai suoi bodyguard. Evidentemente ci stanno ascoltando, perché Sakura-san mostra un sorriso forzato, mentre Tachibana-san non nasconde il disappunto. 
«Con chi?»
«Il figlio di un magnate australiano. Anche per questo sono tornata per un po’ qui.»
Fa spallucce, quasi come se ormai si fosse rassegnata all’idea.
«E come l’hai conosciuto?»
«A dire la verità, sarebbe un matrimonio combinato.» Spalanco le labbra, incredula. «Ma entrambi l’abbiamo scoperto solo dopo esserci conosciuti. In ogni caso, sembriamo andare d’accordo.»
«Ma…» Rivolgo uno sguardo a Tomoyo-chan e Yuzuriha-chan, chiedendo tacitamente il permesso per porgere quella domanda. Loro sembrano altrettanto in difficoltà, per cui mi faccio coraggio, abbassando la voce. «Hana-chan, vi… vi amate?»
«Lui sì. Per quanto mi riguarda, vedremo come andrà.»
Sembra davvero indifferente alla cosa, e io non capisco fino a che punto finga. Al suo posto non riuscirei mai ad accettare una tale imposizione.
«Comunque ci siamo baciati tre volte finora, da quando abbiamo cominciato a frequentarci, e non mi è mai dispiaciuto. C’è da riconoscere che, considerando l’ambiente in cui è cresciuto, è molto più gentile di quanto ci si aspetti. È naturalmente educato, ma anche abbastanza timido e insicuro. A volte devo essere io a spronarlo a fare delle scelte, o non si muove.»
La ascoltiamo tacite, e riflettendoci, visto il suo carattere forte, potrebbe funzionare. Le prendo una mano, stringendola nella mia.
«Spero soltanto che tu possa essere felice.»
Lei scoppia a ridere, guardando le altre.
«Siete tutte uguali! Tranquille, davvero, non rinuncio di certo alla mia felicità. E comunque i miei due uomini», e con questo indica i suoi bodyguard, impegnati in una conversazione ma palesemente origliando, «non mi permetterebbero di essere triste.»
Una volta udito questo mi sento più serena.
Dopo questa scioccante rivelazione si dedica a questioni più pratiche, informandoci che la cerimonia avrà luogo poco dopo il periodo delle piogge, e date tutte le sue insistenze si svolgerà ad Okinawa. Naturalmente siamo tutte invitate a parteciparvi e, visto che c’è, ne approfitta per chiedere a Tomoyo-chan se può disegnarle lei stessa il vestito. A questo mi illumino. Piacerebbe tanto anche a me, un giorno! Non per questo, però, non ha intenzione di fare un po’ di shopping e provarsi qualche abito, per cui per l’indomani già ha previsto di fare un giro nella città più vicina.
Così trascorriamo il primo giorno a riposo assoluto, tra chiacchiere e aggiornamenti sulle nostre vite, stando più in piscina che sulla terraferma, mentre la sera, dopo una gara per vedere chi riuscisse a consumare più ciotole di ramen – con schiacciante vittoria di Hana-chan –, approfittiamo del fatto che noi siamo troppo stanche per andarcene subito a letto, mentre i ragazzi restano un altro po’ giù per conoscersi meglio.
 
 
 
Il giorno successivo, come programmato, ci alziamo presto per andare in città; prendiamo un’auto a otto posti, lasciando Tachibana-san e Fay-san a casa a fare da guardiani – contro la volontà del primo. Kurogane-san, dal suo canto, si sarebbe risparmiato volentieri l’uscita, ma Fay-san lo ha assillato talmente tanto che prima di beccarsi un esaurimento nervoso è stato lui stesso a metterci fretta per andarcene. E ora lui è alla guida con Sakura-san davanti, mentre tutti noi occupiamo i sei posti posteriori. 
Durante il percorso che conduce in città, effettuato a finestrini abbassati, col caldo vento che ci frusta i capelli, ammiriamo meravigliati il paesaggio, accogliendo le lande australiane e indicando i canguri ogni volta che ne individuiamo uno. Alcuni sono incredibilmente vicini a noi, quasi non ci temano affatto e siano abituati al passaggio di macchine e persone. Un po’ mi ricordano i celebri cervi di Nara, anche se i canguri sono molto più grandi. Hanno però la stessa aria simpatica – sebbene Hana-chan ne denunci la pericolosità.
Giunti in città ci rechiamo direttamente nella zona dei grandi magazzini; lì ci divertiamo come delle matte a provarci diversi vestiti e improvvisare sfilate nei camerini, finché non convinciamo Hana-chan ad indossarne qualcuno da sposa – anche perché così Tomoyo-chan può prendere spunto dalle mode inglesi. 
C’è da dire che tutti quelli che prova sono molto belli, non particolarmente ricchi di dettagli, ma nella loro semplicità hanno un che di classico e fine.
Stanno molto bene su Hana-chan, la quale però, dopo averne cambiati una decina, si lamenta: «Sono tutti penosamente bianchi. Vorrei un po’ di colore».
Detto fatto, Tomoyo-chan immediatamente ribatte ammiccante: «Per questo lascia fare a me, sarai variopinta come un fiore».
Scoppiamo tutte a ridere, e io effettivamente riconosco che, per quel che ne so, nei negozi di abiti da sposa in Giappone si vendono anche vestiti multicolore. Sicuramente Hana-chan, col suo carattere frizzante, preferirebbe uno di essi. Di certo la rispecchierebbe di più.  
Per pranzo Kurogane-san insiste che dobbiamo andare in un locale raffinato, che possa adeguarsi al palato della sua signorina, e Hana-chan ce ne consiglia uno localizzato in un palazzo altissimo, all’ultimo piano, da cui si può godere di una vista mozzafiato sui faraglioni e l’oceano. Qui per la prima volta mi ritrovo ad assaggiare il pollo alla parmigiana, il barramundi e, come dessert, la pavlova, con base meringata ricoperta da panna e frutti di bosco, e un lamington ricoperto di cioccolato e cocco. È tutto a dir poco delizioso!
Dopo mangiato facciamo un ultimo giro, notando le varie decorazioni natalizie, alcune realizzate con reti da pesca e conchiglie, e percependo la frenesia che si respira per la preparazione al capodanno. 
La sera, dopo cena, ci intratteniamo un po’ di più al pianoterra, con i ragazzi mezzi distesi sul divano, sfiniti per averci dovuto seguire dappertutto ed essersi caricati delle nostre buste – anche se cercano di non darlo a vedere –; per ringraziarli di tanta pazienza decidiamo di intrattenerli con ciò in cui siamo più abili: Hana-chan suona il pianoforte a coda bianco che ha nel salone, Tomoyo-chan canta, mentre io e Yuzuriha-chan ci esibiamo in un breve balletto di danza classica. Quando finiamo decidiamo di cantare tutte e quattro insieme, ed è solo allora che mi accorgo che, ogni volta che la mia voce si ode di più, gli occhi di Syaoran indugiano su di me, e un sorriso sereno si apre sul suo volto, rendendosi sempre più luminoso. Quasi come se, con la mia voce soltanto, lo stessi curando da tutto. Dalla stanchezza, e da quell’ignoto dolore che ho scoperto vive in lui.










 
Angolino autrice:
Buon anno nuovooo!
Eccomi qui con i capitoli dedicati all'Australia, anche se sono ancora abbastanza... natalizi. Per questo, cercherò di pubblicarli tutti il prima possibile!
Come state? Com'è iniziato il nuovo anno? Spero bene per tutti, ma in caso contrario mi auguro che le cose possano migliorare al più presto. Nel mio piccolo, cerco di rallegrarvi con questa storiella (e anche se da qui in avanti i capitoli assumerano una nota più "ombrosa", vi assicuro che il fluff resta).
Ma bando alle ciance, passo subito alle spiegazioni. 
Sakura-san e Tachibana-san, come avrete intuito, sono i due personaggi che accompagnano Hana sia in "Gate 7" che in "World Chronicle", e il promesso sposo, seppure di nazionalità diversa, è ispirato a Chikahito. Quindi, immaginatevelo come lui (è un bravo ragazzo, giuro, e vi posso dire che dal momento in cui si conosceranno per bene saranno felici insieme).
La hyōtan è la zucca a fiasco, che come lascia intendere il nome viene utilizzata spesso come contenitore per acqua, vino, etc.
La questione dei nomi può sembrare complessa (verrà spiegata meglio più avanti), ma per ora l'unica cosa che posso dire è che "Suwa", il cognome di Kurogane, è preso dal suo clan.
Il cibo citato è tipico dell'Australia: la pavlova è costituita da una meringa di base morbida dentro e croccante fuori, ricoperta da panna e frutta, mentre il lamington consiste in un cubetto di un impasto simile a pan di spagna che può essere farcito o meno, ricoperto di cioccolato fondente e scagliette di cocco.
A presto con il continuo! :3

 

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Capitolo 21
*** 20 ***


XX



 
 
 
Il mattino successivo abbiamo deciso di dedicarci, invece, all’aspetto naturale del Paese, recandoci in alcune sezioni di un parco a dir poco meraviglioso, il Springbrook National Park. Non solo è ricco di vegetazione e di magnifiche cascate da ammirare, ma abbiamo anche avuto modo di vedere dei koala sugli eucalipti e, sotto la vigilanza della forestale, abbiamo persino potuto prenderli tra le braccia! Sono a dir poco adorabili! Certo, hanno degli artigli pericolosamente lunghi, ma sono sorprendentemente tranquilli. Quasi fossero già abituati a farsi cingere come dei bambini. Probabilmente, è realmente così; chissà quante volte al giorno lo faranno gli addetti e i turisti, ormai, li avranno coccolati e viziati tantissimo. 
Un altro aspetto bello di questa gita è che, essendo il percorso un po’ pericoloso, vista l’irregolarità del terreno stretto e sdrucciolevole, dobbiamo necessariamente camminare in fila, due alla volta, tenendoci per mano per sostenerci gli uni con gli altri; e naturalmente al mio fianco non può che esserci Syaoran. Così vedo anche quanto sia meravigliato da tutto quello che ci circonda – più di ieri sicuramente –, e ringrazio il fatto che Tomoyo-chan, al solito, abbia deciso di registrare tutto in un video, così, se sono fortunata, potrebbe catturare qualcuna di queste sue amabili espressioni. 
Mentre passeggiamo tra la selva, lungo il sentiero, con Yuzuriha-chan e Kusanagi-san davanti a noi e Hana-chan e Tachibana-san, stavolta, ad aprire la fila, Syaoran si arresta improvvisamente, attirando la mia attenzione. Lo fisso confusa e lui indica alla sua sinistra, mostrandomi uno spiazzale da cui si intravedono delle farfalle gigantesche, dai colori lucidi e vividi. Non ne ho mai viste di così grandi, quanto la mia mano! Spalanco le labbra e sgrano gli occhi, colma di meraviglia. Vorrei avvicinarmi, ma ho paura di spaventarle…
Quasi mi avesse letto nel pensiero, Syaoran mi fa segno di appropinquarci a degli arbusti, procedendo zitti e lesti. Ci accovacciamo tra le fronde di bassi cespugli, separandoci momentaneamente dal gruppo, e ci facciamo largo tra le foglie per sbirciare in quella mini radura. Eccole lì, tutte cangianti, posate sui robusti tronchi di alberi di evodia rosa in fiore, mentre altre vi volano attorno. Syaoran mi sussurra che si tratta di una razza denominata “papilio ulysses”, nota anche come “farfalle blu imperatore”; la ragione è piuttosto ovvia: l’interno delle ali è di un iridescente blu elettrico, contornato da nero, mentre all’esterno esse sono essenzialmente di diverse sfumature di marrone. A quanto pare, per poterle preservare sono stati piantati diversi alberi di evodia, che usano per deporci le uova.
Lo ascolto interessata, non staccando gli occhi da esse e da quei fiorellini rosati, finché non avverto qualcosa strisciarmi sul dorso della mano. Chino la testa, scoprendo che si tratta di una lumachina. Ricordando che una volta Yuzuriha-chan ci disse – con fin troppa eccitazione – che in Australia ci sono gli animali più velenosi del mondo, è la prima cosa di cui ho premura di accertarmi. 
Syaoran mi assicura che non c’è pericolo e me la ruba, facendola scivolare sul suo dito, prima di posarla sulle foglioline verdi. Mi osservo rapita la scia che mi ha lasciato sulla pelle, notando che ci sono riflessi arcobaleno contro la luce del sole, finché Syaoran non mi porge un fazzoletto di stoffa per pulirmi. Lo ringrazio, alzandomi con lui, e glielo restituisco per permettergli di fare altrettanto. 
Quando ci ricongiungiamo agli altri, scusandoci per la mini sparizione, scopriamo che sono diretti verso una grotta. Una volta raggiunta restiamo senza parole, qualcuno di noi trattiene pure il fiato, perché è piena di vermicelli luminosi che fanno sfumare l’acqua della piccola gola da un blu zaffiro a un verde smeraldo, creando il miraggio di trovarci al centro dell’universo.
«Wow!!» sussurriamo tutte in coro, saltellando piano sul posto per non disturbare troppo l’ambiente. 
Senza perdere tempo Yuzuriha-chan caccia dalla borsa la stecca per i selfie e ci fa stringere tutti, bodyguard compresi, per immortalarci insieme a quel prezioso spettacolo. 
Ridiamo ilari quando riguardiamo la foto, notando che, tra i sorrisi cheti di Syaoran e Kusanagi-san, ci sono due espressioni contrariate e ombrose. Da come vedo, sia Kurogane-san che Tachibana-san ancora detestano farsi fotografare.
Per pranzo ritorniamo a casa, trovando un pasto delizioso a base di mare preparato con cura da Fay-san ad attenderci; dopodiché andiamo subito a cambiarci per scendere in spiaggia, scoprendo che quello è un lido privato. 
In attesa di digerire prendiamo per un po’ il sole, dopodiché decidiamo di farci un bagno. I ragazzi ovviamente di tuffano con noi, ma io esito per qualche istante sul bagnasciuga, osservandomi i piedi lambiti dalle onde. 
«Sakura? Va tutto bene?»
Mi volto verso Syaoran alla mia destra, trovandolo preoccupato.
«Sì, è solo che è trascorso così tanto tempo dall’ultima volta che sono stata al mare che non ricordo nemmeno più se ho mai imparato a nuotare.» Ridacchio imbarazzata, portandomi dei capelli dietro l’orecchio, guardando altrove. 
«Non c’è problema», ribatte prontamente, facendomi scattare con la testa nella sua direzione. «Non dobbiamo necessariamente andare lontano. E comunque, possiamo scoprirlo restando dove tocchi», mi assicura, porgendomi una mano. «Andiamo?»
Annuisco, col batticuore, afferrando il suo palmo, trovandolo caldo quanto la sabbia su cui camminavamo poco fa. Stringo le dita attorno alle sue, sorpresa da quanto l’acqua sia gelida, soprattutto dopo che mi arriva a metà coscia. Rabbrividisco, e senza che io possa prevederlo Syaoran mi lascia la mano, schizzandomi l’acqua addosso. Lancio un urletto, arretrando, difendendomi come posso con le braccia.
«Syaoran!» esclamo esterrefatta, ricambiando con tutta la forza che ho.
Lui non ne pare affatto dispiaciuto, anzi, si mette a ridere, spiegando: «Serve per farti abituare».
Mi sembra un po’ una scusa, ma visto che, in effetti, l’acqua ora mi arriva alla vita e non dà fastidio come prima, decido di perdonarlo. Come se poi avessi mai potuto arrabbiarmi sul serio con lui…
«Sakura-chan, giochiamo!» 
Mi volto verso Yuzuriha-chan, trovandola ad agitare un pallone sopra la testa. Sono tutti schierati a formare una specie di cerchio che io e Syaoran completiamo, con lui che si pone affianco a Fay-san e io accanto a Tomoyo-chan. 
«Però non sono molto brava…» mormoro tra me e solo Tomoyo-chan sembra sentirmi, perché bisbiglia «Lasciamo fare a loro», indicando Syaoran e Kurogane-san.
Questi rivolge un’occhiata a Syaoran, mettendo su un sorriso sghembo. 
«Oi ragazzo, facciamo una sfida? Chi se la lascia sfuggire deve pagare un pegno.»
«D’accordo», accetta senza esitare, mostrandosi determinato.
«E ciò include anche le nostre principesse.»
Non mi stupisco più dinanzi a quell’appellativo – Kurogane-san ha sempre avuto l’abitudine di chiamare me e Tomoyo-chan “principesse” –, ma piuttosto comincio a preoccuparmi. Devo mettercela tutta per non far perdere Syaoran. 
Gli rivolgo una breve occhiata e lui mi sorride rassicurante, fissando poi gli occhi sulla palla. 
Yuzuriha-chan annuncia l’inizio del gioco che, con mio stupore, fila più liscio dell’olio. Nessuno dei due sfidanti si fa sfuggire un colpo, tanto da recuperare persino i nostri lanci perduti. Solo che, ad un certo punto, Kurogane-san sembra dimenticare la sfida e comincia ad abbaiare come un cane rabbioso contro Fay-san, lanciandogli con foga la palla addosso, dopo che questi, con la scusa di farsela sfuggire o tirarla male, gliel’ha sempre fatta finire in testa, scusandosi affatto pentito. E il gioco finisce improvvisamente, con loro due che si inseguono nel vano tentativo di Kurogane-san di affogarlo, Tomoyo-chan e Hana-chan con i suoi bodyguard che decidono di asciugarsi e Yuzuriha-chan che va a provare dei tuffi a largo con Kusanagi-san.
«Non avevo idea che andassero tanto d’accordo», mi rivolgo a Syaoran, indicando i suoi coinquilini.
Trattiene un sorriso, replicando: «Eppure sono sempre così».
Mi sorprendo, guardandoli interagire con tanta familiarità. Davo per scontato che Kurogane-san vivesse con i suoi ninja a palazzo, e non avevo neppure idea che conoscesse Fay-san. Pensare che abitano persino insieme!
«Allora, vogliamo scoprire se sai nuotare?»
Deglutisco a fatica, un po’ preoccupata, fronteggiando Syaoran. 
«Non andiamo dove non tocco, vero?» mi assicuro.
«Certo che no. Non ti metterei mai in pericolo.»
Il mio cuore fa una capriola all’indietro dinanzi a quella sua dolce schiettezza. 
Faccio un cenno di consenso col capo, rinfrescandomi il viso con le mani bagnate. 
«Ti basterà seguire le mie indicazioni, ma sono certo che sei già in grado di nuotare. O, comunque, imparerai in fretta.»
Tutta quella fiducia nei miei confronti mi stringe il cuore.
Mi affretto ad ascoltarlo, dedicandogli tutte le mie attenzioni, galleggiando e posizionandomi stesa, piegando braccia e gambe come dice lui. Per qualche ragione, nel momento in cui mi invita a fare qualche bracciata, mi riesce in maniera istintiva; e anche se quando torno a galleggiare scopro di essere finita più lontano di quanto pensassi, dove non tocco, non ne ho paura. Sono calmissima, e anche fiera di me stessa, notando l’orgoglio che tinge il suo viso. 
Mi raggiunge in men che non si dica, facendomi notare: «Te l’avevo detto. Abbiamo fatto bene a tentare».
Sembra approvare la cosa, e io gongolo tra me, finché non mi domanda: «Vuoi provare a farti una nuotata?» 
Ci penso su e, effettivamente, mi conviene approfittarne; lui sembra fraintendere il mio silenzio, perché si affretta ad aggiungere: «Resto con te, se non vuoi rimanere sola».
Lo fisso per qualche istante rimuginando, trattenendomi dal sorridere e palesare la mia contentezza. Per contratto, dovrebbe stare 24 ore su 24 al mio fianco, ma lui dà sempre la precedenza alle mie scelte, alla mia libertà, ai miei bisogni. 
«Grazie», mormoro, accettando la sua offerta. 
Scuote la testa e mi segue, stando alla distanza dovuta alla mia destra. 
Prima del calar del sole torniamo in spiaggia, per asciugarci, e io e le ragazze ci sediamo tra la sabbia in cerca di conchiglie, lasciandoci bagnare dalle onde. Ne riesco a trovare una carinissima, che Syaoran mi spiega si chiama “bassina yatei”. È buffissima, sembra formata da tanti strati, e un po’ mi ricorda le patate duchesse mangiate proprio la sera prima.
Tra una chiacchiera e l’altra mi distraggo osservando il mare cristallino assumere tonalità sempre più cobalto e rossastre, con l’oro del sole che vi si riflette sulla superficie, creando una scia serpentina. Ammiro tacita il tramonto, seguendolo fino all’ultimo spicchio di sole, finché le ragazze non mi richiamano alla realtà per rientrare.
Dopo cena, forse a causa della gita, forse per il mare, siamo tutte un po’ stanche. Per questo, come il primo giorno, lasciamo i ragazzi giù e saliamo, riunendoci nella stanza di Hana-chan, essendo la più grande; qui occupiamo il suo enorme letto a baldacchino e rubiamo alcuni dei suoi dieci cuscini.
Trascorriamo qualche momento scherzando tra di noi, finché non sentiamo fischi e incitazioni provenire da fuori. Ci alziamo incuriosite e usciamo sull’ampio balcone, affacciandoci dalla balaustrata.
A quanto pare Kurogane-san non ha accettato il pareggio, perché sembra star sfidando nuovamente Syaoran, stavolta in un incontro corpo a corpo. Probabilmente non si capacita del fatto che abbia sconfitto tutte le sue guardie, addestrate personalmente da lui stesso, ma Tomoyo-chan pare leggermi nella mente per contraddirmi.
«Chissà a chi deve dimostrare la sua bravura.»
Yuzuriha-chan assume un’aria colpevole.
«Kusanagi inizialmente non poteva crederci che fosse riuscito a battere i vostri ninja. Sa che solo Kurogane-san ne è in grado.»
«E probabilmente anche Sakura e Tachibana avranno voluto metterlo alla prova», aggiunge Hana-chan, scusandosi a nome loro.
«Approfittando della sua competitività», conclude, scuotendo leggermente la testa.
Torno con lo sguardo su di lui, notando che, anche se con maggiore difficoltà rispetto a quanto mi ha mostrato finora, Syaoran riesce a tenergli testa. Le loro mosse, però, appartengono a stili completamente differenti. Kurogane-san segue tecniche ben definite, intrise di una potenza a tratti micidiale; Syaoran, invece, sembra improvvisare al momento per rispondere al meglio a qualsiasi attacco, muovendosi con una certa grazia e scioltezza, tanto da sembrare fluido. È come uno scontro tra roccia e acqua.
In qualche modo, anche questo duello sembra concludersi in pareggio, e da quassù ci facciamo sentire battendo le mani e complimentandoci con entrambi, prima di augurare loro la buonanotte.

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Capitolo 22
*** 21 ***


XXI



 
 
 
Anche dopo che sono passate ore da quando io e Tomoyo-chan ci siamo messe a letto non riesco a prendere sonno. Il mio cuore batte fortissimo, e lo stomaco sembra come stretto in una morsa. Chissà che non abbia mangiato qualcosa che mi ha fatto male, anche se lo escluderei, visto che il pesce era fresco e i cibi cucinati da Fay-san sono sempre stati deliziosi e sani.
No, è più qualcosa dentro di me che imperversa e mi agita, come un mare in tempesta. Il mare…
Ad occhi chiusi tento di sgomberare la mente e concentrarmi sul suono delle onde, seppure distante.
Ho sempre ritenuto di vivere un rapporto ambiguo col mare. Lo amo, e al contempo lo temo; soprattutto quando scendono le tenebre. 
Incapace di addormentarmi decido di alzarmi e uscire dalla villa, per prendere una boccata d’aria. Indosso le ciabatte per raggiungere la riva, da dove fisso la notte stellata. La luna piena, come il sole quel pomeriggio, si riflette pallida e contemporaneamente brillante su queste acque nere, ricreando quel sentiero tortuoso che conduce verso l’orizzonte.
Mi arresto a pochi passi dal bagnasciuga, immergendomi nei miei pensieri, ancora una volta. Chiudo gli occhi e, quasi stessi unendo anelli di una catena, improvvisamente rivivo diverse scene di vita. Di quella volta in cui andammo in America, al mare, e mio padre mi aveva comprato un gonfiabile rosa a forma di fenicottero; a mio fratello aveva preso, su sua richiesta, quello dell’orca assassina, e lui mi inseguiva a cavallo di essa, minacciandomi. Naturalmente, giocavamo. Era in quella stessa occasione che nii-sama, per assicurarsi che non mi succedesse nulla, mi aveva insegnato a nuotare. 
Ma non è l’unico ricordo col mare… No, una volta siamo andati ad Okinawa, a trovare Hana-chan, insieme a Tomoyo-chan e alla sua famiglia. Il mare lì era pulito e cristallino come in Australia, della stessa trasparenza, con la differenza che lì le spiagge erano più bianche e il colore dell’acqua, anche a largo, si manteneva di un lucente verde acqua interrotto dal turchese.
Continuo a scavare nella mia mente, cercandone altri. Devono essercene altri. So che dopo l’incidente in cui ho quasi perso la vita non mi è stato più concesso uscire per vacanze o cose simili, ma prima… prima dei miei sette anni…
Visualizzo una spiaggia… no, degli scogli, e una parete fatta di rocce frastagliate. Non sembra molto sicura, e somiglia spaventosamente a una di quelle che compare nei miei sogni. Che io stia confondendo il mondo onirico con quello reale? Ci sono alberi al di là dei sassolini, mentre dalla scogliera si staglia un dirupo vertiginoso… Anche al di sotto di esso, ci sono diverse rocce…
Mi sento cadere…
Precipito, e vengo avvolta dall’acqua, dal freddo, ma c’è qualcuno… Qualcuno a cui tendo disperatamente la mano, tentando di salvarmi… Il suo viso, non riesco a scorgerlo. È soltanto una figura buia, che grida il mio nome con una voce senza suono, e per qualche ragione sento che sillaba il mio vero nome… 
Annaspo, in cerca d’aria, e riapro gli occhi, rendendomi conto di essere finita stesa, e di essere sorretta dalle braccia di Syaoran. Dall’espressione sul suo viso, mi sembra spaventatissimo.
«Menomale!» esclama agitato, tirando un sospiro di sollievo. Mi sposta alcuni capelli dal viso, aiutandomi a mettermi seduta. «Ti senti bene?»
«Io… sì…» Mi guardo intorno spaesata, e dal mio corpo bagnato capisco che, inconsapevolmente, devo essere entrata in acqua più di quanto fosse nelle mie intenzioni.
Mi stringo le braccia al petto, rabbrividendo, e Syaoran prontamente mi attira a sé, strofinando le mani sulla mia schiena. Quasi cercasse di trasmettermi calore. Arrossisco, riconoscendo che si sta rivelando efficace.
«Che cos’è successo? Ho notato che eri uscita e ti ho raggiunta, anche se è stato solo un fortuito caso visto che ero ancora sveglio e stavo sul balcone. Perché non sei venuta da me, se stavi male?»
Mi accorgo che c’è una nota di panico a infrangere la sua voce, mista a un lieve rimprovero, per cui cerco di tranquillizzarlo come posso.
«Non sto male, semplicemente non riuscivo a dormire.»
«Perché non sei venuta da me?» insiste allo stesso modo.
«Non pensavo fosse il caso, per una sciocchezza simile.»
«Non è una sciocchezza!» Alza la voce, stupendomi, e solo ora che mi ritrovo il suo viso tanto vicino mi rendo conto che altro che spaventato, sembra terrorizzato. «Non è una sciocchezza», ripete, «se quando arrivo ti trovo quasi completamente sommersa, e per quanto io ti chiami non mi rispondi, come se fossi vittima di un incantesimo, e continuassi a proseguire e ti buttassi in avanti, come se…»
La sua voce trema, quasi volesse negare quell’idea, e io vengo attraversata da un lampo di comprensione. Improvvisamente rievoco il discorso vago e surreale che facemmo sul “Ginga tetsudō no yoru”, e la sua richiesta finale.
«Oh, devo essermi addormentata in piedi! Scusami, non volevo allarmarti, stavo solo rivivendo dei ricordi. Ti assicuro che non volevo… andare da nessuna parte.»
Mi prende per le spalle, allontanandomi solo per guardarmi dritto negli occhi.
«Me lo prometti? Prometti che non tenterai mai, mai, di suicidarti?»
«Tu pensi che io potrei…» mi esce in tono flebile, ma lui non mi concede il tempo di continuare; mi stringe di nuovo tra le sue braccia, sembrando disperato.
«Promettilo!»
«Lo prometto!» Alzo la voce, avvolgendo anche le mie braccia attorno alla sua schiena, notando che sta tremando. Non mi spiego come mai abbia pensato subito al peggio. Abbasso la voce, adattandomi ad una tonalità più morbida, che possa tranquillizzarlo. «Syaoran… vuoi parlarne?»
Dato il suo silenzio suppongo che preferisca di no, ma quando parla stringendomi ancora più forte a sé mi dice qualcosa di inaspettato.
«Negli ultimi tempi mi sta capitando spesso di sognare… te…» Avvampo, non aspettandomelo, felicemente sorpresa nell’udirlo. Allora non sono l’unica ad aver cominciato a sognarlo… Anche se, nei miei sogni, viviamo una condizione del tutto diversa da quella reale. Siamo semplicemente due amici che si frequentano, vivendo una vita normale, concedendoci quel che si concedono tutti gli adolescenti. Forse, nei miei sogni, io sono realmente la sua amica di infanzia.
Ma nel suo caso, non sembra essere lo stesso.
«E sono brutti sogni?» Mi rabbuio. Potessi dargli i miei sogni meravigliosi… Pensandoci, un metodo ci sarebbe! Ma prima preferisco che finisca di parlare.
«Sempre.» Serra le dita attorno alla mia maglia, la sua voce si spezza ancora di più. Infossa il viso contro il mio collo, quasi singhiozzando. «Ti vedo sempre sparire. Ti vedo sempre morire. E io non posso mai fare nulla per salvarti. Il tuo corpo si dissolve, il tuo calore scompare, e quello che mi resta di te, alla fine, è solo una lapide bianca e un ricordo doloroso…»
«Syaoran…»
Mi distanzio di poco, scoprendo le copiose lacrime che gli rigano le guance. Mi guarda straziato, e io sento il mio cuore spappolarsi. Non è giusto che lui stia tanto male…
Poso le mani ai lati del suo viso, asciugandogli le gote, e poso la fronte contro la sua, chiudendo gli occhi.  
«Esci brutto sogno, esci fuori da Syaoran», recito, ricordando la formula che lui ha usato con me, per farmi stare meglio. L’incantesimo di sua madre. Spero solo che possa funzionare anche con lui… «Bel sogno che sei dentro di me, entra dentro Syaoran. Mostragli il sogno più dolce…» Mi interrompo, non sapendo come continuare. Riapro le palpebre e lo trovo a sua volta ad occhi chiusi, con un’aria più rasserenata, più confortata. Penso a quale dei tanti sogni che ho vorrei trasmettergli e mi faccio ancora più vicina, al punto che i nostri nasi si sfiorano. «E rendilo felice», sussurro per concludere, pensando intensamente a uno degli ultimi sogni di cui lui era protagonista. 
C’eravamo io e lui, stesi come quella volta nel mio letto, a guardare le stelle. Ma lì il firmamento era vero, e noi eravamo distesi supini in un campo di cosmos. Lui mi indicava molte costellazioni, e me ne narrava le storie, inventandone di nuove ogni volta che prendevo io l’iniziativa, individuando stelle mai scoperte, unendole a formare delle figure e battezzandole.
Mi distanzio di poco, chiedendomi se sono pronta, finalmente, a sollevare il viso. Incrocio per un attimo il suo sguardo e, vedendolo più tranquillo di prima, decido che sì, posso farlo. Soprattutto se lui è al mio fianco.
Così mi stendo, decidendo di realizzare quel sogno, e quando mi ritrovo dinanzi quel manto stellato, tanto fitto da sembrare appena dipinto, resto senza fiato. Un’emozione più grande mi travolge, pungendomi gli occhi con le sue lacrime. 
«Credo che questa sia la prima volta, dopo tanto tempo, in cui posso vedere le stelle», sussurro commossa.
Lui si stende al mio fianco, posandosi le mani sull’addome, guardando a sua volta sopra di noi. 
«Sei fortunata, c’è anche la luna piena, e nemmeno una nuvola a coprirle», osserva, con una voce meno gracile e roca di prima. 
Tiro un inudibile sospiro di sollievo, tornando con gli occhi su quei luccichii. 
«Tu prima vivevi in una zona montuosa…» Al suo mormorio di consenso proseguo con la mia curiosità: «Era sempre così visibile il cielo, di notte?»
«C’erano dei periodi dell’anno in cui era particolarmente chiaro, al punto tale che si vedeva ad occhio nudo la Via Lattea. Anche qui si intravede, ma lì era ancora più turchese. Yuuko-san diceva che fosse opera della magia.»
«Magia?» ripeto, incantata dalle sue parole.
«Te l’ho detto, è sempre stata affascinata da storie e teorie bizzarre. Soprattutto se metafisiche e inconsuete. Secondo lei quel colore tanto cangiante era un accumulo di tutti gli incantesimi attuati in quell’ultimo periodo, che da questo mondo si stavano trasferendo e propagando verso altri mondi.»
«Sono racconti meravigliosi.»
«A me sembravano sempre troppo trascendentali, però… forse un fondo di verità, un piccolo insegnamento, c’era in ogni sua storia.»
Per lunghi minuti non aggiunge più altro, e io decido di voltarmi su un lato, titubante. Vorrei davvero, davvero parlargli anche di me, ma non so se è un bene… Non saprei neppure da dove cominciare…
«Syaoran, i miei genitori… che spiegazione ti hanno dato per il lavoro che ti hanno assegnato?» 
«Hanno detto che c’era bisogno di una persona di cui ci si potesse fidare… E sono onorato di essere io.»
Si volta verso di me, pieno di gratitudine, e io gli rivolgo un piccolo sorriso in risposta. 
«E poi? Sai la ragione?»
«Non sono entrati in dettagli, ma…» Mi osserva inquieto, puntellandosi su un gomito, aggiungendo austero: «Ma non sei tenuta a rivelarmelo, se ti fa male».
Mi risollevo anch’io col busto, mettendomi seduta. 
«Non mi ascolteresti se io volessi parlartene?»
«Certo che ti ascolterei, ma se devi rievocare brutte esperienze per questo -»
Alzo una mano per interromperlo, scuotendo il capo. Ormai sono cose superate e, soprattutto da quando conosco lui, mi sento così sicura. Sicura di me stessa, sicura che al mondo non ci siano solo persone malvagie e con doppi fini, ma anche persone in grado di voler bene con onestà. 
Fisso lo sguardo sulla luna piena, lasciando che essa illumini tutta la risoluzione che c’è in me per parlarne. 
«Non ho molti ricordi del mio passato, ma ti posso dire con certezza cos’è successo da… da quando cominciano le mie memorie. Avevo poco più di sette anni quando mi sono svegliata in una stanza d’ospedale. Inizialmente ero confusa, a malapena avevo idea di chi fossi, e riuscii a riconoscere solo i miei genitori e mio fratello per i loro ruoli, ma non come le persone che sono. Col tempo, durante il periodo di riabilitazione, ho cominciato a riacquisire una certa coscienza di me e degli altri. Soprattutto, ho cominciato a capire come fossi fatta davvero. Quando migliorai provai ad indagare sulle mie ferite, per capire cosa mi fosse successo, e il perché di quel risveglio immerso in un niveo odore di disinfettante, ma nessuno sembrava disposto a darmi delle risposte esaurienti. Si parlava vagamente di un incidente, di me che ero scivolata e caduta sbattendo la testa… Eppure io sentivo che ci fosse di più dietro, e poiché dopo qualche anno ho cominciato a divenire alquanto indisponente e volevo rivendicare la mia libertà, i miei genitori hanno dovuto necessariamente rivelarmi la verità – o perlomeno una parte di essa. Così ho scoperto che da piccola sono stata rapita e che, a causa di alcuni fraintendimenti, la consegna del riscatto non è andata a buon fine, per cui per poco non mi hanno uccisa.» 
Faccio una pausa, raccogliendo i pensieri, spostando di poco lo sguardo verso gli scogli lontani. Aggrotto la fronte, sentendomi un po’ confusa. Per qualche ragione, sento che in qualche modo c’entri il mare. E quella mano…
«Comunque», riprendo, tornando al discorso e sperando, per entrambi, di riuscire a concluderlo il prima possibile. «A lungo andare i miei genitori cominciarono a sentirsi in colpa, in quanto da quando facemmo ritorno a casa non mi avevano più permesso di mettere piede fuori dal perimetro di essa. Ecco perché quando compii dodici anni mi iscrissero ad una scuola privata, dando un falso nome e chiedendo al preside e al corpo docenti di mantenere segrete le mie vere origini. Inizialmente stava andando tutto a meraviglia, avevo stretto molte amicizie, e mi stava piacendo davvero la scuola… D’altronde, era finalmente una boccata d’aria dopo tanti doveri e tante costrizioni. Tuttavia, dopo nemmeno due semestri, accadde l’inevitabile. In qualche modo si venne a sapere chi fossi realmente, nuovi “amici”, per così dire, mi si presentarono, palesemente ambendo al mio denaro più che a ciò che ero. E un giorno la situazione degenerò. La nostra scuola era affiancata da un istituto superiore e alcuni ragazzi più grandi, evidentemente sentendo le voci che giravano, mi incastrarono prima che io riuscissi ad andarmene. Nessuno dei miei cosiddetti amici mi aiutò, anzi, sembravano tutti avidi di vedere se quei tipi potessero riuscire nel loro intento. Alla fine non volevano nulla di che, anche loro puntavano ai miei soldi, pensando ingenuamente che li portassi con me a scuola.» 
Taccio per un secondo, rendendomi conto che la voce mi trema. Dopotutto, è una storia ancora abbastanza fresca e vivida nella mia mente.
«Quando hanno scoperto di essersi sbagliati ci sono rimasti male, e hanno pensato di compensare quella perdita con altri ricatti. Pensavano che delle mie foto avrebbero potuto vendere e -»
«Sakura.» Sobbalzo, venendo sorprendentemente interrotta, e mi stupisco di sentire anche la sua voce cupa e tremolante. «Non… Non devi per forza rievocarlo. Non sono certo di voler sapere il seguito, posso immaginarlo.»
«Oh no! Devi sapere, o potresti fraintendere!»
Mi volto a guardarlo e mi sento ghiacciare, notando che effettivamente il suo corpo sembra attraversato da fremiti; ha i pugni serrati sulle ginocchia, al punto tale che le sue nocche anche a questa fioca luce sembrano essersi fatte livide, la testa china, e ciononostante vedo che gli pulsa la mascella e digrigna i denti. Mi do una scossa, gattonando fino da lui, per posare le mie mani sulle sue.
«Non farti del male. Non è colpa tua e non avresti potuto farci niente.»
Sta per ribattere con foga, e già immagino cosa stia per dire, per cui lo zittisco posandogli due dita sulla bocca. Gli sorrido un po’ mesta, specificando: «Non intendevo fotografie erotiche. Mi hanno soltanto, uhm… spintonata un po’, ecco, fatta inciampare e cadere, e a quel punto mi hanno fotografata, sperando di ridicolizzarmi. Non che sia stato difficile comunque, come avrai notato sono piuttosto imbranata. Fortunatamente Yukito-san, che allora veniva a prendermi tutti i giorni, è intervenuto tempestivamente. Ha cancellato le foto dai loro cellulari prima ancora che avessero il tempo di pubblicarle o condividerle con qualcuno, e poi ha raccontato tutto alla mia famiglia. I miei genitori si sono pentiti della loro scelta, e hanno deciso di far tornare la mia precedente istruttrice, mentre Touya-niisama era deciso a non fargliela passare liscia; così, dopo aver ottenuto una lista dei colpevoli, è riuscito a far sì che venissero incastrati e arrestati. Non avevano poi una bella fama». 
Mi accerto che gli occhi lampeggianti di rabbia di Syaoran si spengano, prima di decidere che posso lasciarlo.
«Questo è quanto. Da allora mio fratello è diventato ancora più iperprotettivo, ed è solo dopo quell’evento che ho scoperto che era stato un diplomatico corrotto a rapirmi. Pare che lavorasse anche con la yakuza. Di conseguenza mio fratello, per “farmi aprire gli occhi e diffidare degli altri”, ha preso l’abitudine di elencarmi ogni volta che poteva tutta una serie di azioni infime e malvagie, soprattutto compiute da uomini privi di scrupoli, spaventandomi non poco… E ha anche fatto sì che, a parte lui, otou-sama e Yukito-san, e qualche sporadico politico fidato di tanto in tanto, ci fossero unicamente donne in casa nostra. Per questo, inizialmente, ha avuto difficoltà ad accettarti.»
Mi scuso da parte sua, ma lui mi guarda contrariato.
«Tuo fratello ha fatto bene», sbotta, infiammandosi di nuovo. «Io avrei fatto lo stesso, se non persino peggio!»
Ho tralasciato di dire il fatto che mio fratello avesse inizialmente intenzione di ammazzare tutte le persone coinvolte in quegli spiacevoli incidenti, ma non pensavo che Syaoran potesse prendere tanto a cuore la questione. Quasi lo coinvolgesse in prima persona.
Prende dei respiri profondi, chiudendo gli occhi, come se stesse cercando di calmarsi; quando sembra riuscirci mi guarda corrucciato, avvicinandomisi con cautela, sfiorandomi appena una guancia.
«Hai dovuto sopportare così tanto…» La sua voce si infrange come mille cocci di vetro, ma io gli sorrido, scuotendo la testa. Gli prendo la mano, aprendomi in un sorriso sincero.
«Non mi pesa più, e sai perché?»
Scuote la testa, sembrando non capacitarsene affatto. Di nulla.
«Perché tutto questo mi ha portato ad incontrare te, e tu sei ciò di più bello che mi sia mai capitato.»
Mi sento scaldarsi le guance, e ringrazio il buio per non tradirmi nel mio stato di agitazione. 
Lui mi fissa stupefatto, con gli occhi lucidi, prima di attrarmi a sé, nascondendomi contro il suo petto. 
«Anche tu, Sakura. Anche tu sei ciò di più bello che mi sia capitato.» Mi lascia un bacio tra i capelli, stringendomi ancora più forte, facendo fare i salti mortali al mio cuore. «E non devi più temere nulla. Ti prometto che ti proteggerò sempre. Da qualunque cosa.»
Annuisco senza esitazione, chiudendo gli occhi, accoccolandomi contro la sua spalla.
Lo so a perfezione. So bene che, qualunque cosa accadrà, Syaoran sarà sempre qui per me. Ci sarà sempre, per ascoltarmi, per supportarmi, per consolarmi e per proteggermi. E io da lui voglio essere protetta, perché è solo stando nelle sue braccia che mi sento tanto calma e quieta, come se esse fossero delle grosse ali che mi cingono e mi avvolgono, tenendo lontana qualsiasi intemperia. E forse è realmente così. Forse Syaoran rappresenta veramente le mie ali.










 
Angolino autrice:
Buonsalveee! Come preannunciato, la storia ha cominciato ad assumere una tonalità più dark (ma è necessario per capire meglio alcune cose - e ahimé, non è ancora finita qui). Niente paura però, prometto che ci saranno anche rose e fiori.
Ora, non voglio prolungarmi troppo sul capitolo perché temo di spoilerare (restano dei dettagli che verranno spiegati meglio più avanti), quindi mi limito a ricordarvi che nii-sama significa "fratellone" e che i riferimenti al "Ginga" e alla formula scaccia-incubi li trovate nel tredicesimo capitolo.
A domani col continuo! 
Steffirah

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Capitolo 23
*** 22 ***


XXII



 
 
 
Dopo quella sera, nel mio rapporto con Syaoran sembra essere avvenuta una nuova mutazione. 
Seppure nessuno dei due abbia chiuso occhio, e la notte sia trascorsa a guardare le stelle fino al levarsi del sole – di cui abbiamo ammirato ogni singolo colore con cui ha tinto il mondo –, per tutta la mattinata non abbiamo dato alcun segno di stanchezza.
Durante la colazione ci siamo uniti agli altri, fingendo di essere usciti da poco giusto per ammirare l’alba, ma dopo che scendiamo in spiaggia, mentre ci aiutiamo a metterci la crema solare le une con le altre, Tomoyo-chan osserva sottovoce: «Allora, dove ve ne siete andati stanotte?»
Le altre ragazze ci guardano altrettanto incuriosite, e io arrossisco leggermente nel rispondere: «Da nessuna parte, eravamo qui». Dato che nessuna di loro commenta nulla, attendendo che io aggiunga nuove informazioni, rivelo solo una cosa. «Abbiamo guardato le stelle e poi il sorgere del sole, e io ne ho approfittato per raccontargli quello che mi è successo in questi anni, ecco.»
Sia Hana-chan che Yuzuriha-chan si adombrano, mentre Tomoyo-chan mi guarda partecipe, posandomi una mano su una spalla, quasi a volermi trasmettere supporto. Ma non ce n’è bisogno, perché già in passato sia lei che le ragazze ci sono sempre state, nei momenti per me più tremendi.
«Come l’ha presa?»
«Non molto bene, ma… è stato molto comprensivo e gentile con me», minimizzo, sentendomi nuovamente le gote farsi calde. A dirla tutta, ha fatto molto più di questo. Syaoran ha reagito quasi come se fosse tutto accaduto lì, dinanzi ai suoi occhi, e con quelle sue emozioni a stento trattenute mi ha fatto capire che quando mi dice che io sono la persona più importante per lui, le sue non sono solo parole.
«Menomale che lo hai conosciuto», sospira Hana-chan, sorridendomi lieta.
«È quello che penso tutti i giorni anch’io, visto che ti sta regalando tanto. Finalmente sei felice», osserva Yuzuriha-chan, sembrandone a sua volta contenta.
Confermo con un cenno della testa e Tomoyo-chan aggiunge sottovoce: «È proprio un bravo ragazzo».
«Direi perfetto per te», conferma Hana-chan, ricevendosi il supporto delle due mie amiche.
Avvampo, non sapendo cosa ribattere, e loro ridacchiano, decidendo fortunatamente di risparmiarmi un ulteriore imbarazzo.
Dato che abbiamo finito di olearci a dovere ci rimettiamo in piedi e, come prevedibile, Yuzuriha-chan immediatamente si rivolge a Kusanagi-san.
«Kusanagiiiiii, facciamo una “battaglia dei cavalieri” in acqua?»
Lui accetta, guardando immediatamente Kurogane-san.
«Ci stai?»
Questi rivolge uno sguardo a Tomoyo-chan, ma lei gli fa un cenno negativo con una mano.
«Oggi mi sento un po’ fiacca, preferisco farmi una nuotata più tardi e prendere il sole.»
Lui borbotta qualcosa di inudibile in risposta, ma fato vuole che proprio in quel momento Fay-san gli passi alle spalle con due ciotole di ramen appena pronte e ancora fumanti per Hana-chan – ancora non mi spiego come faccia a mangiarne così tante porzioni senza sentirsi male o ingrassare.
«Waah Kuro-pon, non puoi mica considerare guastafeste la tua padrona! Se poi ti punisce non lamentarti…»
Fischietta squagliandosela in fretta dopo aver posato le ciotole, prima che lui riesca ad acciuffarlo, mentre Tomoyo-chan lo guarda con un cipiglio. Incrocia le braccia, indicandomi con un cenno del capo.
«Se ci tieni tanto a gareggiare, puoi farlo con Sakura-chan.»
«Eh? Io?»
La guardo sconvolta, sentendomi chiamata in causa, e lei mi sorride a trentadue denti, afferrandomi le mani piena di aspettativa.
«Così ho l’opportunità di registrare la prima volta in cui partecipi a una battaglia a cavalcioni!» esclama gasata e parzialmente sognante. «Aaaah, che meraviglia!»
«Ma non so neppure di che gioco si tratta!» provo a ribattere, con lei che mi spinge verso l’acqua.
«Non importa, lo capirai subito! E poi, sei sempre stata fortunata in queste cose», mi ricorda allegramente, affiancandomi a Kurogane-san. 
Ci invoglia ad avanzare e noi due ci guardiamo abbastanza rassegnati, avviandoci più a largo.
«Cosa devo fare?»
«Salire sulle mie spalle e cercare di far cadere il cavaliere avversario. Io tenterò di mettere fuori gioco il suo cavallo», mi spiega con fin troppa serietà e determinazione.
Trattengo il riso, facendo come mi ha detto. Così non appena giungiamo dinanzi a Yuzuriha-chan e Kusanagi-san salgo sulle spalle di Kurogane-san come vedo fare lei, anche se, quando lui si rialza, per poco non scivolo giù.
«Tutto bene?»
«Sì sì», assicuro, ritrovando l’equilibrio.
Rivolgo uno sguardo a riva e noto che Hana-chan mangia con gli occhi puntati su di noi, Tomoyo-chan già si è armata di videocamera e sembra stare nel suo mondo, Sakura-san fa il tifo per entrambi, Tachibana-san si mostra annoiato – o forse disinteressato –, Fay-san è tornato con Moko-chan e ora la solleva al cielo, urlando accanto a Syaoran: «Sakura-chan, Kuro-pin, mettetecela tutta!»
Osservo Syaoran e lui mi rivolge un sorriso, stringendo una mano in pugno in maniera incoraggiante. Ricambio il gesto, mostrandomi risoluta.
Concentrandomi mi rivolgo alla mia nemica e allora diamo inizio alla battaglia.
Dura un bel po’, effettivamente, con vari sbilanciamenti, finché poi con mio stupore io stessa riesco a spingere con tanta forza Yuzuriha-chan da farla scivolare di lato e, con lei, faccio inesorabilmente cadere anche Kusanagi-san. 
Abbasso la testa verso Kurogane-san stupita e lui mi rivolge un ghigno trionfante. 
«Ce l’abbiamo fatta!» esclama fiero, afferrandomi di peso senza alcuna difficoltà e lanciandomi in acqua, prima che io abbia la forza di reagire in alcun modo.
Ne riemergo sputacchiandola, strizzando gli occhi che bruciano, e lo trovo a ridere pieno di sé, prendendo in giro i perdenti. Ora capisco perché Tomoyo-chan si lamenta del fatto che a volte si comporta come un bambino indisciplinato.
Trattengo un sorriso, notando che Syaoran si è spinto fino a riva, con un asciugamano pronto per me. Mi illumino tutta e mi affretto a raggiungerlo, ringraziandolo mentre gli permetto di avvolgermelo attorno come un burrito. 
«Era fredda l’acqua?» si accerta, strofinandomi le braccia per asciugarmi più velocemente.
Scuoto vigorosamente la testa, facendo schizzare qualche gocciolina anche su di lui. Ops. Lui tuttavia non ne sembra affatto infastidito, anzi ridacchia arricciando il naso e strizzando le palpebre. 
«Hai visto? Abbiamo vinto!» gioisco, saltellando sul posto.
«Sì. Sei stata fortissima», si complimenta, sorridendo radioso. 
Felice e contenta me ne vado con lui a sedermi tra gli altri, notando che Fay-san ha cominciato già a posare le portate per il pranzo. 
Il pomeriggio, dopo mangiato, mi addormento senza neppure accorgermene. Finalmente la stanchezza deve aver avuto il sopravvento perché quando mi riprendo, dopo tante ore, il sole è molto più basso di come lo ricordavo e sono stesa all’ombra, sotto le chiome di albizia. 
Mi guardo intorno un po’ spaesata, chiedendomi come sono finita quaggiù, e vengo notata da Fay-san, che mi raggiunge con Moko-chan tra le braccia. La prendo per coccolarla, e lui si siede sulla sdraio accanto a me.
«Fatto una bella dormita?»
Annuisco col capo, sbadigliando e stiracchiandomi mio malgrado, e mentre mi stropiccio gli occhi dò una rapida occhiata attorno. Non c’è più nessuno a parte noi due.
«Gli altri?»
«Sono rincasati, per cominciare a lavarsi.»
«Oh.» Mi guardo nuovamente intorno, accigliata.
«In cerca di Syaoran-kun?» mi prende in giro.
Colta in flagrante sobbalzo, avvampando da capo a piedi.
«N-no, stavo solo, ehm…» Rifletto velocemente per pensare a qualcosa da dire e lui ride ancora più forte, spettinandomi i capelli.
«Non c’è bisogno di nasconderlo.» Toglie la mano e io lo osservo grata, ancora col batticuore per essermi palesata tanto. «Comunque,» aggiunge, guardando verso il crepuscolo, «voleva restare, ma voleva anche completare una piccola ricerca, e io gli ho suggerito di essere “egoista” una volta tanto, proponendomi di farti compagnia al posto suo. Avrò fatto bene?» si chiede tra sé, piegando la testa su un lato.
«Una piccola ricerca?» mi interesso, non sapendone nulla.
Apre bocca per spiegarlo, ma poi sembra ripensarci. «Meglio non rovinare la sorpresa.»
Si mette in piedi, porgendomi gentilmente una mano per fare altrettanto. 
Mentre rimetto il prendisole gli chiedo: «Quindi mi hai spostato verso l’ombra?»
Lui stava fischiettando con le mani intrecciate dietro la testa, con aria molto rilassata, e dinanzi alla mia domanda si arresta, rivolgendomi un sorrisone. «Oh no, ti ha spostata Syaoran-kun.» 
Arrossisco lievemente, voltandogli le spalle, pensando a Syaoran che mi prende in braccio. Soprattutto quando sono in costume.
Mi copro il viso con l’asciugamano e prendo respiri profondi, prima di annunciare: «Possiamo andare».
Fay-san prende l’unica borsa rimasta e insieme ci avviamo verso la villa, raggiungendola in pochi minuti. Lì mi annuncio a tutti i presenti, seduti sui divani della sala d’ingresso, scusandomi per essermi addormentata, e li informo che vado a lavarmi velocemente prima di raggiungerli. Purtroppo Syaoran non è tra loro. 
Continuo a dedicare i miei pensieri a lui, chiedendomi cosa stia facendo, e a quale progetto stia lavorando. Forse doveva farlo per il prossimo esame e non mi ha detto nulla per non farmi preoccupare?
Imbronciata esco dalla mia stanza, ma passando davanti alla sala da pranzo lo trovo sorprendentemente seduto a tavola, chino su qualcosa.
Mi blocco sulla soglia, meditando di sbirciare per soddisfare la mia sete di sapere, ma non faccio neppure un passo che ecco che fa un po’ indietro la sedia, alzandosi.
«Fay-san, sicuro che non hai bisogno di una mano?» si accerta alzando la voce, in direzione della cucina.
Dalla porta di essa si affaccia Fay-san, sventolando una paletta forata mentre esclama: «Ma no, te l’ho detto, qui me ne occupo io!»
Nel momento in cui mi nota si pietrifica, trattenendo un sorrisetto; agito le braccia, facendogli cenno di non tradirmi, ma ormai è troppo tardi. 
Syaoran si volta con aria confusa, finché non trova me alle sue spalle, che tento in tutti i modi di non sembrare sospetta.
«Sakura!» Mi viene vicino con aria contenta e totalmente inconsapevole, accertandosi: «Hai dormito bene?»
Annuisco, facendo un passo avanti visto che ormai non serve più a niente restare mezza nascosta dietro lo stipite; porto le mani dietro la schiena, mostrandomi innocente.
«Tu cosa stai facendo?»
I suoi occhi, per qualche ragione, si illuminano tutti. Senza pronunciare parola corre a prendere qualcosa sul tavolo, e solo così mi accorgo che Fay-san si è ritirato dietro i fornelli.
Torna dopo pochi secondi, mostrandomi una specie di orologio da tasca, dal quadrante intagliato raffigurante quelle che sembrano figure marine, simili a alghe rampicanti, con una catenina dorata corrosa dal tempo. Me la porge con estrema delicatezza e io cerco di muoverla il meno possibile, osservandone la superficie da tutti i lati. 
«L’ho trovata mentre nuotavo a largo, in mezzo a quel poco che resta di altri relitti», spiega esaltandosi. «Ho intravisto questo luccichio e sono sceso più in profondità, scavando nella sabbia. Ci ho messo un po’ a ripulirlo al meglio, non avendo gli attrezzi giusti per farlo, ma Sakura-san mi ha assistito molto pazientemente. Fortunatamente hanno una cassetta per gli attrezzi in caso di bisogno di riparazioni, così ho potuto svitarlo e aggiustarne gli ingranaggi.»
«Quindi è un orologio?» chiedo conferma, lasciandomi coinvolgere dal suo entusiasmo.
«È anche più di un orologio!» nega, allungando una mano per riprenderlo.
Non appena glielo cedo spegne la luce e si avvicina a me, facendomi trattenere il fiato. E resto ancora più a bocca aperta quando preme un pulsantino e si solleva il coperchio, mostrando sì un quadrante, ma da esso si sollevano delle particelle di luci simili a onde oceaniche o un’aurora boreale, che fluttuano seguendo una dolce e lenta melodia, che in qualche modo ricorda proprio lo scrosciare delle onde… Quasi fosse il canto di una sirena.
«È bellissimo…» sussurro incantata. 
«Sembra risalire all’inizio dell’Ottocento. Non è incredibile che già allora abbiano inventato qualcosa del genere? Tra le ruote c’è un minuscolo carillon e un proiettore con queste immagini azzurre ruotanti, di diverse sfumature. Non appena l’ho scoperto ho pensato che dovessi vederlo. Sapevo ti sarebbe piaciuto.»
Mi rivolge un sorriso mozzafiato e io ricambio, piena di gratitudine.
Mentre riaccende la luce gli consiglio: «Dovresti mostrarlo anche a mio padre quando torniamo, scommetto che lo renderebbe altrettanto entusiasta. Adora questo genere di manufatti».
Annuisce e non appena mi fronteggia nuovamente, attorcigliandovi la catenina attorno, domando colpita: «Come hai fatto a capire che fosse dell’Ottocento?»
«C’è una data sul retro, con il nome del creatore suppongo, o della persona che l’ha commissionato. Purtroppo si legge soltanto l’anno e qualche lettera del nome in corsivo», si dispiace, sembrando insoddisfatto. 
Gli rivolgo un sorriso pieno di fiducia, guardandolo con sicurezza.
«Sono certa che riuscirai a scoprirne di più. Hai già trovato un reperto! Vedi, sei proprio fatto per diventare archeologo!» gli faccio notare, rallegrandomi per lui.
Le sue guance arrossiscono leggermente, ma mi guarda con gratitudine. 
«Vado a posarlo di sopra.» 
Convengo con lui che sia meglio metterlo da qualche parte al sicuro, prima che rischi di rovinarsi, e nel frattempo mi unisco agli altri, già attorno alla tavola.
Dopo cena, essendo la nostra ultima sera qui, ci attardiamo a giocare a “Uno” tutti insieme, rifiutando qualsiasi tentativo di svignarsela, costringendo pertanto anche i meno volenterosi – come Kurogane-san e Tachibana-san – a partecipare. Fortunatamente Fay-san e Sakura-san hanno la brillante idea di coinvolgerli maggiormente e scioglierli un po’ con dell’alcool, prendendo per noi minorenni dei succhi di frutta dai sapori più inaspettati.
Ne sto sorseggiando proprio uno ad arancia rossa, lime e pesca, che devo dire fonde perfettamente asprezza e dolcezza, quando Yuzuriha-chan mi lancia perfidamente un cambia colore con penalità “dici alla persona successiva che ti piace o pesca 25 carte”. Per poco non sputo tutto sul tavolo, tossicchiando, quasi facendomelo uscire anche dal naso, e Syaoran, che era concentrato sulle uniche due carte che gli restano, immediatamente si volta allarmato. Recupera in fretta un fazzoletto dal centro del tavolo e me lo porge, mentre mi dà delle pacche sulla schiena.
Sento un po’ tutti chiamarmi e io faccio un segno con la mano per dire che sono viva, prendendo respiri profondi, guardando una beffarda Yuzuriha-chan con occhi lacrimanti. Non può dire sul serio…
Lei sghignazza spietata e quando mi rivolgo a Tomoyo-chan e Hana-chan per chiedere aiuto loro riflettono la sua stessa espressione malvagia.
Non avendo scampo mi volto verso Syaoran, che mi fissa ancora impensierito. Abbasso lentamente il fazzoletto, prendendo tempo, preparandomi psicologicamente ed emotivamente, col cuore che sembra correre a mille all’ora. Oh cielo… Ma non poteva uscirmi qualcosa di meno… vero
“Forza Sakura, puoi farcela. Non è detto che lui lo interpreti in quel senso, in ogni caso.”
Lo guardo dritto negli occhi, cercando di ignorare il fatto che abbiamo ben otto sguardi in attesa puntati addosso, e comincio a sussurrare, ripetutamente: «M-mi… mi… miii…» L’ultimo suona più come un lamento e lui, chissà come, capisce che voglio che corra in mio aiuto. 
Dà un’occhiata al pegno da fare, dichiarando che l’avrebbe fatto al mio posto, voltandosi senza alcuna vergogna e alcuna esitazione verso Fay-san. 
Eh? No, così perdo la mia occasione! Anche se, effettivamente, non è per niente il momento giusto…
«Mi piaci», pronuncia con tutta la tranquillità del mondo, volgendomi le spalle, lasciandomi sbigottita.
«Mokona ne è lusingata!» cantilena Fay-san, facendomi notare che si è messo Moko-chan davanti al viso.
Tutti quanti ne ridono, io invece vorrei scomparire. Osservo le carte risentita, mentre il gioco prosegue tranquillo, dandoglielo per buono. E pensare che sono io quella fortunata nei giochi… 
Quando tocca a me Yuzuriha-chan mi impedisce di pescare, dicendomi che visto che mi sono rifiutata ora sono bloccata fino alla fine della partita. Imbronciata poso le carte, ma fortunatamente Syaoran riesce a chiudere subito, dedicandosi così a me.
«Ti verso da bere?»
Annuisco indicando qualcosa a caso, che Syaoran prende anche per sé, ed è solo mentre facciamo un piccolo brindisi e lo stiamo ingurgitando che Kurogane-san balza in piedi, sbottando: «Non quello, siete minorenni!» 
«Ohh accidenti, ormai è fatta», ride nervosamente Fay-san, scusandosi per avercelo passato distrattamente visto che giocava.
«Che buono! Che cos’è?» mi informo con occhi lucenti, mentre Syaoran osserva il suo bicchiere sembrando un po’ spaesato.
«Merlot», risponde prontamente Hana-chan, versandone dell’altro a Syaoran non appena allunga il braccio.
«Ma dai, pensavo fosse succo ai frutti rossi! Che buon profumo!»
Lo sniffo teatralmente dal capo opposto del tavolo, e anche se si viene a creare una sorta di chiasso Kurogane-san sovrasta tutti con le sue acute proteste.
«Hana-sama, sono ancora adolescenti!»
«Non capisco qual è il tuo problema, Kurogane-san. E comunque in Australia Syaoran-san non è minorenne, può berne quanto ne vuole», fa notare Hana-chan, versandogliene ancora.
«Eeeh? Anch’io anch’io!» mi intrometto, facendomi riempire anche il mio bicchiere e svuotandolo subito.
«D’altra parte Sakura-chan è adorabile quando beve, neh?» chiede conferma alle altre e io annuisco vigorosamente col capo, scoppiando a ridere. 
«Parzialmente, anche Syaoran-kun diventa piuttosto… interessante», osserva Fay-san, sorseggiando del vino, nascondendo mezzo viso nel suo calice.
Allungo immediatamente le orecchie. Syaoran interessante quando beve? Più di quanto lo è normalmente?
Mi volto verso di lui, mentre Kurogane-san ribatte: «E tu lo definisci interessante? Guardalo, già si è incupito!»
«Sembra stia reagendo diversamente, però», nota Fay-san, affacciandosi per scrutarlo più da vicino. 
Lui poggia il bicchiere sul tavolo, sospirando a occhi chiusi, prima di voltarsi a guardarmi. E allora, con mio grande piacere, si apre in un sorriso enorme.
«Sakura!» esclama, stringendomi tra le sue braccia, strappandomi una risata.
«Cosa c’è, Syaoran?» cantileno, carezzandogli i capelli. Fortuna che siamo seduti sui divani o già saremmo caduti a terra, probabilmente.
«Mh, niente. Volevo solo abbracciarti», mi informa serenamente, posizionandosi meglio.
Chiudo le palpebre e poggio la testa contro la sua, quasi facendogli le fusa, mormorando zuccherosa: «Io vorrei abbracciarti sempre».
È dopo quello che mi sembra qualche minuto che il lieve brusio di sottofondo diventa più accentuato, come se qualcuno avesse alzato il volume di uno stereo, e sembra essere scoppiata una specie di rissa. Apro un occhio per sbirciare, quasi accecata dalla luce, e mi trovo Tomoyo-chan con le lacrime agli occhi a puntarmi il mio stesso telefono contro e Fay-san con Moko-chan tra le braccia al suo fianco, altrettanto commosso. 
«Ma non sono adorabiliiii?» 
Vedo che Kurogane-san cerca di togliere entrambi da lì, mentre Kusanagi-san e Yuzuriha-chan quasi si scompisciano dalle risate, mezzi stesi sul tavolo. Hana-chan sembra molto interessata a tutto quello che la circonda, Tachibana-san beve in silenzio fingendo di non vedere, mentre Sakura-san brinda allegro alla gioventù.
Ma certo, la gioventù! Ora che sono libera di fare quello che voglio devo godermela appieno!
Mi allontano da Syaoran per prendere un’altra bottiglia dal tavolo, bevo direttamente da lì e poi mi alzo quasi saltellando, afferrandogli le braccia.
«Syaoran, balliamo!» esclamo allegra, tirandolo su. 
Lui non sembra pienamente in forze, ma allo stesso tempo capisco che è altrettanto presente perché, senza far sparire il sorriso, si mette prontamente in posizione per un valzer. Comincio a ballare con una certa raffinatezza, canticchiando tra me, ma poi cambio tonalità e con essa modo di ballare.
In qualche modo coinvolgiamo tutti alle danze – forse io stessa li ho presi con la forza e trascinati nella pista improvvisata –, ma dopo poco smetto di dedicarmi agli altri, troppo presa esclusivamente da lui. Seppure sento vaghe risate tutt’attorno, le uniche che realmente odo sono le nostre, soprattutto quando inizia a farmi volteggiare, vorticare e girare, alzando un braccio per permettermi di passarci sotto, allungandolo per farmici arrotolare, e quando mi afferra per i fianchi per farmi fluttuare in aria roteando su se stesso più volte, senza mostrare alcuna fatica, facendomi poi fare delle piroette e persino dei casquè.
Mi godo del tutto la sensazione di essere totalmente nelle sue mani, lasciandomi condurre dovunque lui vuole, e ringrazio l’aver scelto di indossare questo vestitino di chiffon con la gonna ampia e plissettata, che anche senza che la regga si alza tutta quando giriamo; ma ancora di più adoro il fatto che dietro la schiena l’abito sia aperto, con un piccolo fiocchetto solo dietro alla nuca; così ogni volta che le dita di Syaoran mi si posano sulla spina dorsale sento le gambe tremarmi, andando in fibrillazione, quasi ricevessi milioni di scariche elettriche. 
È tutto tremendamente meraviglioso, e lo è ancora di più quando, dopo tutto quel girare, inciampo nel tappeto e finiamo entrambi mezzi stesi sul divano, ridendo come due ossessi. 
Solo allora, stando a poche spanne dal televisore a 100 pollici, mi accorgo che qualcuno ha effettivamente messo della musica.
«Cantiamo!» propongo illuminandomi, attivando il karaoke qui installato con non poche difficoltà, dondolando e miagolando felice ad ogni azione, mentre affido a Syaoran il compito di prendere i microfoni. 
Scorro rapidamente i titoli delle canzoni e anche ora costringo Syaoran a duettare con me, selezionando una canzone chiamata “Yume no tsubasa”. È una delle mie canzoni preferite, sia perché parla d’amore, sia perché contiene il mio vero nome, anche se non la canto mai perché non ho nessuno a cui dedicarla.
Ma adesso, finalmente, le cose sono cambiate! Adesso posso intonarla insieme a Syaoran, immergerla di tutti i miei sentimenti per lui, e rimango felicemente stupita quando capisco che anche lui la conosce. E così, ogni volta che lo sento pronunciare “tsubasa”, mi sembra che un pezzettino di me lasci il mio corpo, volandosene nel cosmo più colorato e floreale mai visto prima. 
E quando alla fine giungiamo all’ultima strofa, cantandola perfettamente all’unisono, permettendo alle nostre voci di intrecciarsi, è una promessa che gli faccio con la mia stessa anima.
 
Soba ni iru yo… zutto. 











 
Angolino autrice:
Eccomi qui! Dunque, questo sarebbe il penultimo capitolo dedicato all'Australia, ma l'ultimo dal pov di Sakura (dal prossimo fino all'epilogo ci sarà sempre il pov di Syaoran). Ora, non so quando aggiornerò (la vedo un po' difficile nei giorni a venire), ma farò quel che posso per non far trascorrere troppo tempo. 
Passando al capitolo, la canzone "yume no tsubasa" (lett. "ali dei sogni") è una delle ost di TRC, che esiste duettata anche da Yui-chan e Irino-sama (e io potevo mai non approfittarne?); l'ultima frase corrisponde all'ultimo verso della canzone, e significa "Starò al tuo fianco per sempre". Bene, prima che mi metto a piangere scompaio.
Grazie a tutti voi che leggete, e voi che recensite.
Steffirah

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Capitolo 24
*** 23 ***


XXIII



 
 
 
Un nuovo anno è cominciato, e con sé ha sin da subito portato aria di cambiamento. Sembra più brillante, più positivo, più pieno di certezze. Io stesso, sin dal primo gennaio, ho cominciato a sentirmi più sicuro di me. E forse, chissà, potrebbe essere tutto dovuto a Sakura. 
Trascorrere con lei sia il Natale che il capodanno, è stata un’esperienza unica e irripetibile. Eppure, mi ha fatto desiderare che potesse replicarsi sempre, anche negli anni a venire. Perché quando le dicevo itsumo kimi no soba de e soba ni iru yo, zutto non mentivo. Non era solo per cantare, perché per quanto fossi ebbro, erano desideri e promesse che le stavo facendo, dal profondo del cuore. 
Ripensare a quel giorno, a quando abbiamo ballato e cantato insieme, è in parte imbarazzante. Dall’altro lato, tuttavia, sento che avrei potuto farlo ancora e ancora, costantemente; e in realtà sarei stato capace di farlo anche da prima, perché per quanto la cosa mi faccia sentire leggermente in colpa, è da un po’ di tempo che vedo Sakura sotto una luce diversa. Non più semplicemente come allieva. Non più semplicemente come protetta. Non più semplicemente come amica. Bensì, come qualcosa di più. Un qualcosa che probabilmente non potrò mai pienamente confessare, soprattutto non a lei – per quanto talvolta abbia la sensazione che sia ciò che anche lei, o forse lei in primis, desideri. 
Un esempio lampante è dato dal nostro risveglio, il 31 mattina: stranamente lei era già gironzolante, fresca, vivace e pimpante, luminosa come un sole primaverile. Stava aiutando Tomoyo-sama, Kurogane-san e Hana-sama a porgere delle tisane e centrifughe a coloro che si erano sentiti male. Io avevo solo una grande emicrania, così mi sono salvato grazie a un po’ di cibo e un’aspirina. 
Mi trovavo ancora sul divano – evidentemente dovevo essere crollato stesso lì – e Sakura mi si era inginocchiata dinanzi, porgendomi dei biscotti secchi, la bustina e il bicchiere d’acqua con aria serafica. 
Mi ero accertato che sul serio non avesse neppure un sintomo del post sbornia, ma lei mi ha assicurato di sentirsi benissimo e piena di energie, dimostrandomelo anche piegando le braccia a mo’ di palestrata, facendomi ridere. 
Quando ci siamo ripresi tutti, per chiudere l’anno in bellezza, Tomoyo-sama ci ha fornito dei costumi ideati da lei stessa a tema natalizio. Quelli di noi ragazzi erano a dir poco ridicoli, essendo tutti rossi, il mio decorato con alberelli di natale, quello di Fay-san con fiocchi di neve, quello di Kurogane-san con renne, quello di Kusanagi-san con babbo natale, quello di Sakura-san con palle e lucine e quello di Tachibana-san con strenne e bastoncini di zucchero. Quest’ultimo e Kurogane-san hanno quasi dato vita ad una guerra civile, rifiutandosi di scendere in spiaggia, finché le loro padrone non li hanno minacciati in qualche modo sibilato soltanto a loro. 
E così siamo scesi in spiaggia per il nostro ultimo bagno, rompendo angurie e facendo un barbecue sul lungomare, approfittando delle onde alte per fare una competizione di surf, soprattutto tra me, Fay-san e Sakura-san. Non era la prima volta che lo provavo, quindi non mi risultava molto difficile, ma dovevo ammettere che i miei due avversari erano entrambi molto abili. Alla fine non c’è stato un vero e proprio vincitore, e solo dopo quelle che ci sono sembrate ore abbiamo deciso di ritornare in spiaggia – anche perché Kurogane-san e Kusanagi-san già stavano accendendo la griglia, mentre Tachibana-san stava preparando gli spiedini con carne e verdure.
È una volta giunti lì che Sakura mi è venuta incontro con un asciugamano pronto, in maniera simile a me il giorno prima, e mentre posavo la tavola mi guardava con occhi intrisi di stima e ammirazione. 
«Sei veramente bravissimo!» non faceva che ripetere, completamente su di giri. E per quanto rispondessi umilmente non ne voleva sapere, insistendo finché non mi ha costretto ad ammetterlo.
Si è poi seduta al mio fianco per mangiare, passandomi lei stessa il cibo – sebbene avesse dovuto essere il contrario, ma era così di buonumore che non osavo in alcun modo contraddirla. Non che mi dispiacesse, comunque.
In seguito, anche dopo che mangiammo, venne a sedersi al mio fianco su degli scogli, chiedendomi curiosa dove avessi imparato a cavalcare le onde. Le raccontai delle mie esperienze passate, e fu in quel momento, mentre chiacchieravo, che mi sono fatto sfuggire qualcosa di bizzarro. 
Lei mi rispondeva mostrando interesse e gioia, dondolando i piedi nell’acqua, gareggiando con le onde nello schizzare le rocce, e quando la mia mente lo ha registrato ho esordito con: «Hai sempre avuto questo vizio». 
Lei mi ha fissato confusa, e io stesso mi sono domandato perché avessi usato proprio quel termine: “sempre”. Se la conosco da malapena mezzo anno, come posso insinuare con tanta certezza una cosa simile?
Lei ha aggrottato la fronte, ribattendo con una leggera risata: «Anche il modo in cui sei seduto, è così tipico di te». E ha puntato il dito sulla mia sola gamba piegata, e sul braccio poggiato su di essa. Non pensavo che fosse una mia abitudine, né che lei se ne fosse resa conto.
Il fatto che ci accorgiamo di simili quisquilie, di tali piccolezze e caratteristiche che ci riguardano, tanto naturali, tanto quotidiane, non significa forse che entrambi diamo tantissima importanza all’altro? Non vuole forse dire che lei prova per me quello che io provo per lei…?
Forse mi illudo. Forse sto sperando vanamente. Forse sto sognando ad occhi aperti, tutto è possibile.
Ma posso mai immaginarmi il suo modo dolce e soffice di guardarmi, di sorridermi, di chiamare il mio nome, di prendermi per mano, di poggiarsi a una mia spalla con un sorriso sereno, come se stando al mio fianco si sentisse completamente a suo agio? 
Posso mai essermi immaginato anche la sua felicità quando a capodanno i suoi genitori le hanno concesso di assistere ai fuochi d’artificio dalla baia di Tokyo (pur con la promessa che si sarebbe coperta a dovere), e io l’ho portata fino al porto con me, dove abbiamo rincontrato i miei amici?
Posso mai ignorare il suo sorriso, il suo rilassarsi al nostro fianco, come se fosse parte integrante di noi, come se facesse parte di me?
E anche dopo il countdown, non posso essermi inventato quel momento in cui si è voltata a guardarmi, fissando gli occhi nei miei, tenendo per tutto il tempo la mano intrecciata alla mia; allo scoppio dell’uno, seguito da botti e auguri, quasi senza pensare si è allungata in punta di piedi e ha chiuso gli occhi, posandomi un delicato quanto indelebile bacio sulla guancia, allontanandosi poi di poco per guardarmi grata.
«Buon anno, Syaoran. Abbi cura di me anche quest’anno.»
Io, che avrei dovuto ricambiare con la stessa formula, mi sono fatto sfuggire: «Avrò cura di te tutti gli anni». E nonostante il chiasso, le grida, e lo schiamazzo, so che l’ha sentito, perché le sue guance sono diventate purpuree, della stessa tinta del lungo cappotto che indossava, e il suo sorriso s’è allargato, illuminando tutto il suo sguardo.
Da allora non riesco a smettere di pensarci. Il fatto che Fay-san non faccia che parlare quotidianamente di lei non aiuta, anche se la sua attenzione è posta più sul momento in cui il primo dell’anno ci siamo incontrati a casa del primo ministro per fare tutta una serie di giochi di capodanno, e Kurogane-san ancora non si capacita di come Sakura, seppure poco competitiva, sia riuscita ad uscirne sempre vincente. 
«Da noi si dice che è la figlia favorita degli dei», ci spiega Fay-san una sera, rievocando proprio uno di quei momenti, quando giocando a hanetsuki ha ottenuto una vittoria schiacciante contro di lui – sebbene sia dovuto più che altro alla disattenzione e all’equilibrio traballante di Fay-san, dopo essersi goduto il miglior sakè del primo ministro, approfittando della sua generosità.
Per quanto mi riguarda, a me era toccata una partita contro Touya-sama. Inutile dire che tra di noi incorrevano fulmini e saette.
Visto comunque che ogni volta che Fay-san parla del suo passato è un’occasione rara, io e Kurogane-san cerchiamo di non farcela sfuggire.
Ci rivolgiamo uno sguardo e ad un suo consenso gli chiedo, sinceramente interessato: «Hai mai conosciuto altri “figli favoriti degli dei”?» 
«Ahimè no», sospira pesantemente, togliendo le morbide spine dalle aringhe con aria annoiata. «Sakura-chan è il primo caso, ma credo corrisponda.»
«C’è una leggenda particolare a riguardo?» mi informo, dedicandogli tutte le mie attenzioni.
«Non esattamente, è più una diceria. Quando alcune persone sono molto fortunate, per darvi una spiegazione si suppone che siano le divinità stesse a volerlo. Per questo vengono chiamati “figli favoriti”.»
Emetto un mormorio di comprensione, rimuginando. Qualcosa di simile mi sembra mi sia stato detto in passato anche da Yuuko-san. 
«Che sciocchezze», sbotta Kurogane-san, pestando violentemente i mochi, mentre io modello la pasta. «Ha solo giorni fortunati, non lo è sempre.»
“Anche questo è vero”, riconosco, ripensando alla sua condizione. Se fosse stata realmente la figlia favorita degli dei, non avrebbe avuto una vita così… ingiusta.
«Kuro-tan, prendi sempre tutto troppo sul serio», lo rimbecca, puntandogli contro il coltello con fare critico. «È solo una credenza.»
«Di persone superstiziose.»
«Ammetto che, provenendo da un piccolo villaggio, ero effettivamente circondato da persone così, ma -»
Capendo che non sarebbero arrivati da nessuna parte mi intrometto nel loro battibecco, dando voce alla mia curiosità.
«Che tipo di villaggio era quello in cui abitavi?»
Fay-san mi fissa spiazzato per qualche istante, prima di sorridere appena.
«Non molto dissimile da qualsiasi villaggio finlandese, con pochissimi abitanti. Solo che, trovandosi molto a nord, era quasi sempre ricoperto dalla neve. Sorgeva su un fiume, e tutt’attorno vi erano foreste.»
«Ti manca?» domando con delicatezza, ma lui scuote con vigore la testa.
«D’altronde lì non mi resta nulla.»
Aggrotto le sopracciglia, e rivolgo un’occhiata a Kurogane-san. Con uno sguardo mi lascia intendere di lasciar perdere, per cui mi adopero a cambiare argomento con un’altra questione. In fondo è passato del tempo e ancora non ne abbiamo discusso.
«Posso fare una domanda ad entrambi?»
«Ma certo!» si mostra immediatamente disponibile Fay-san, palesemente lieto della mia mancata insistenza. Spinge via Kurogane-san che grugnisce contro la sua mano, e io prendo anche il suo per un sì.
«Se mi è parso di capire bene, Fay-san, tu saresti il pittore che ha realizzato il ritratto di famiglia del primo ministro, giusto?»
Annuisce, e mi rivolgo all’altro.
«Mentre tu, Kurogane-san, sei la guardia del corpo di Tomoyo-sama.» Ad un suo cenno di consenso, proseguo. «Quindi i ninja che mi hanno messo alla prova, prima che diventassi guardia del corpo di Sakura, erano tuoi sottoposti.»
A questo mi rivolge un sorriso sghembo, dando un altro vigoroso colpo nel mortaio. 
«Li hai atterrati in men che non si dica, da quel che mi è stato riferito.»
Fay-san emette un fischio prolungato, mentre io mi stringo nelle spalle.
«Pensavo mirassero a Sakura, ho agito di istinto.»
«E hai fatto bene», mostra la sua approvazione, ma dura poco prima che mi rivolga un rimprovero. «Ciononostante sei stato un po’ troppo clemente.»
«Kurogane-san, io seguo una mia morale», spiego brevemente. «Non ho alcuna intenzione di finire in prigione compiendo atti efferati.»
Fay-san sembra alquanto commosso dalle mie parole, mentre Kurogane-san si mostra impassibile.
«Neppure se facessero del male alla tua principessa
Serro le labbra, stringendo i pugni. Per un attimo rievoco come mi sono sentito nel momento in cui Sakura mi ha raccontato la sua storia, il perché del mio ruolo, la rabbia mista a dispiacere provati per lei. In quel momento, ho pensato che se avessi potuto tornare indietro, avrei fatto di tutto per salvarla. Avrei evitato che la rapissero, io stesso avrei affrontato il suo rapitore, avrei evitato che si ferisse e perdesse la memoria. Avrei evitato che la rinchiudessero in una gabbia d’oro, trattandola come una bambola intoccabile. Avrei impedito agli altri di maltrattarla, l’avrei protetta dai bulli della scuola, sarei stato io a difenderla. Avrei combattuto per lei, sempre, costantemente, per preservare la sua felicità. 
E sì, li avrei picchiati, forse li avrei anche quasi massacrati. Tuttavia…
«Sono abbastanza sicuro che non ucciderei. Mi vendicherei… in altri modi.»
Kurogane-san sogghigna sembrando divertito, però stavolta anche nei suoi sottili occhi leggo consenso. 
«E nel caso in cui ti servirà una mano, noi saremo qui!» interviene Fay-san, piegando un braccio mingherlino per esprimere forza.
Gli sorrido grato, ma torno subito serio, riprendendo il discorso. 
«Ecco, qui volevo arrivare. Qual è il vostro rapporto con Sakura? E perché avete taciuto? Potevate dirmelo sin dall’inizio…»
Non sono risentito, sono solo un po’… deluso. Perché ormai ripongo in loro tutta la mia fiducia.
Fay-san emette un lungo sospiro, sedendosi più sistemato per raccontare, inaspettatamente: «Dopo aver abbandonato casa, prima di divenire un pittore abbastanza riconosciuto ero un artista errante. Per un certo periodo sono riuscito a guadagnarmi da vivere a Parigi, tra gli artisti di strada di Montmartre, ed è lì che sono stato notato dal primo ministro. Mi ha chiesto di realizzare un ritratto per la sua famiglia, e così l’ho seguito fino in Giappone, dove ho conosciuto tutto l’entourage politico che lo circonda, ma soprattutto il suo brillante figlio, la sua splendida moglie, e la sua graziosa figlioletta. Allora Sakura-chan aveva dieci anni, e lei stessa mi ha chiesto di rivolgermi a lei in maniera informale. Sperava, così, di creare un rapporto di amicizia tra di noi, perché era ciò in cui realmente sperava. Alla fine, era una piccola bambina in cerca di amici veri.»
Deglutisco a fatica, accordandomi al suo tono triste. 
«Da allora abbiamo mantenuto questo rapporto familiare, su sua esplicita richiesta. E se non te l’abbiamo detto, è perché entrambi abbiamo giurato ai suoi genitori che sarebbe rimasto un segreto e non ne avremmo mai parlato con nessuno. Persino io e Kuro-rin abbiamo scoperto di avere legami con lei dopo un annetto da quando abbiamo cominciato a vivere qui, solo perché ci siamo ritrovati faccia a faccia al compleanno di Touya-sama», spiega con ilarità.
Faccio un cenno di comprensione col capo, rivolgendomi a Kurogane-san con una certa sicurezza.
«Kurogane-san, tu invece l’hai conosciuta grazie a Tomoyo-sama?»
Annuisce, spiegando: «Tomoyo-hime è stata la prima amica di Sakura-hime, quindi la conosco a mia volta da quando sono entrato in servizio per la Casa Reale. Se te lo stai chiedendo – e so che te lo stai chiedendo», aggiunge prontamente, alzando una mano per impedirmi di intervenire, «la chiamo “hime” perché da bambina lei e Tomoyo-hime giocavano fingendo di essere sorelle, e io dovevo essere il loro servitore.»
Fay-san trattiene una risata, dandogli una pacca sulla spalla. 
«Ti si addice proprio!»
«Non osare prendermi in giro!» ringhia contro di lui, ritrovando una certa compostezza per tornare da me. «Comunque, loro mi hanno ordinato di continuare a chiamarle in questo modo. E questo è quanto.»
Rifletto sulle nuove informazioni ottenute, osando chiedere: «Eri già al servizio di Tomoyo-sama quando…» 
Incapace di proseguire, lo fisso dritto negli occhi, sperando di comunicarglielo così. 
«Sakura-sama era appena stata dimessa», nega, scuotendo la testa. Quindi non mi può dare maggiori informazioni sul rapimento, né sul presunto colpevole. «Proprio perché la sua memoria era ancora labile, lei e Tomoyo-hime hanno messo su quella scena. Per farla sentire amata, incoraggiata e al sicuro.»
Annuisco, comprendendo, e osservo: «Non toccava comunque a te, proteggerla…»
Perché non ci siamo conosciuti prima? Perché io non c’ero, quando lei più aveva bisogno di me? 
«E tu non sentirti così frustrato. Neppure tu avresti potuto farci nulla.»
Storco la bocca e svio lo sguardo, stizzito. Invece sì, è frustrante. 
«Non puoi fare nulla per cambiare il passato, Syaoran-kun.» Fay-san mi poggia una mano su una spalla, stringendola lievemente, e cerca di tirarmi su, lasciando per un po’ perdere la cena. «Ognuno di noi vorrebbe tornare indietro per modificare una cosa o un’altra, ma non si può. Quindi, ora non puoi far altro che riprometterti soltanto una cosa.»
Non lo lascio finire; li fronteggio determinato, completando per lui.
«Qualunque cosa accada, io ci sarò sempre. Non la lascerò più soffrire.»











 
Angolino autrice:
Saaaaalve!
Come state?
Finalmente aggiorno, con un capitolo dedicato prettamente all'anno nuovo ma pubblicato il primo febbraio, mmm... puntuale come sempre x'D
Dunque, le parti che devo spiegare sono le due frasi in giapponese, che sono due versi della canzone "Yume no tsubasa", e significano rispettivamente "sempre al tuo fianco" e "starò al tuo fianco per sempre" (questa c'era anche nel precedente capitolo). Ora non mi dilungo in spiegazioni più approfondite, ma come sempre, se siete curiosi potete chiedere :3 Poi, "hanetsuki" è un gioco tradizionale simile al badminton in cui si usa una specie di paletta di legno come racchetta e un volano molto colorato, i "mochi" sono dolcetti di riso glutinoso pestati per ottenere una pasta morbida e appiccicosa dalla forma sferica, che possono contenere diversi ripieni, mentre "hime" significa "principessa". 
A presto col continuo!
Steffirah

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Capitolo 25
*** 24 ***


XXIV



 
 
 
È trascorso un po’ di tempo da quando io, Fay-san e Kurogane-san abbiamo fatto quel discorso. Da allora non è stato più ripreso, ma la mia determinazione è diventata giorno dopo giorno sempre più grande. Così come il bisogno di essere affianco a Sakura, si è reso sempre più impellente; per questo ho approfittato del periodo datoci per le vacanze invernali per trascorrere più tempo a casa sua col pretesto di lezioni extra, per la gioia dei suoi genitori – non tanto di suo fratello. 
Ad una settimana esatta dal compleanno di Kinomoto-sama mi hanno persino invitato a pranzo, per dare la possibilità anche a me e Sakura di festeggiarlo con lui in maniera più intima e famigliare, avendo già fatto una festa con colleghi di politica il 3 gennaio.
In tale occasione ho dovuto stare necessariamente quanto più lontano possibile da Sakura, onde evitare di essere linciato vivo da suo fratello. Ma da un lato, lo capisco, per quanto le sue misure sembrino eccessive: Touya-sama non fa altro che pensare al meglio per lei. E non conoscendomi, fa bene a diffidare di me. 
Così io ho dovuto sedermi accanto a Yukito-san, con Touya-sama di fronte, e Sakura alla sua sinistra. È stato piuttosto inutile, in realtà, visto che Sakura usava ogni pretesto buono per rivolgermi uno sguardo o un sorriso, o dirmi qualcosa sottovoce – qualcosa che, il più delle volte, corrispondeva ad una frecciatina per suo fratello. 
Non avendo un regalo pronto per l’occasione – avendo ricevuto l’invito a sorpresa –, avevo pensato di donare al ministro il mio ritrovamento. La reazione di Kinomoto-sama alla sua vista è stata impagabile, forse la soddisfazione più grande che io abbia mai avuto l’onore ricevere in tutta la mia vita: ha sgranato gli occhi e mi ha guardato pieno di stima e meraviglia, espressione che sovente mi è stata rivolta anche da sua figlia. Mi ha riempito di elogi e fatto sentire particolarmente gratificato, nel momento in cui ha annunciato che lo avrebbe reso parte della sua collezione di ritrovamenti. Da un lato non voleva neppure accettarlo, lo considerava troppo prezioso, e ho dovuto insistere quando lui cercava di convincermi a mostrarlo ad un esperto del campo. Tuttavia, anche se alla fine ha ceduto, qualcosa mi dice che non si sia del tutto arreso.
Durante il pasto ho cercato di comportarmi nella maniera più elegante e formale possibile – tanto che stavolta persino Yukito-san si è complimentato per le mie buone maniere, mentre Touya-sama ha solo emesso un “Mpf!” seccato, storcendo il naso. Inoltre si è approfittato dell’occasione per discorrere dei vari compleanni dei presenti, escluso quello di Nadeshiko-sama, essendo già trascorso.
Yukito-san è nato a Natale, e mi ha apportato un certo dispiacere sapere che non ha avuto modo di festeggiarlo a dovere, essendo impegnato col lavoro anche in quella data. Touya-sama è nato il 29 febbraio, ragion per cui Sakura l’ha preso in giro dicendo velenosa: «Ecco perché anche se tra poco compi 27 anni ne dimostri a malapena 6 e mezzo».
«Come scusa?» le si è apostrofato, ostentando calma, anche se una vena gli è pulsata sulla fronte.
Lei gli ha cacciato la linguaccia, ma prima che potessi domandarle quando fosse il suo compleanno Nadeshiko-sama ha rievocato il giorno del colloquio.
«Syaoran-kun, se la memoria non mi inganna tu sei nato il primo aprile?»
«È così.»
«Eeeh?!» 
Sakura si è alzata repentinamente dal tavolo, sporgendosi su di esso quasi fino a raggiungermi, stupita e meravigliata.
«Sei nato il mio stesso giorno?»
A quell’informazione inaspettata siamo diventati un’unica immagine di pura sorpresa. Che coincidenza incredibile! No, coincidenza no. Hitsuzen. Se è tutto inevitabile, allora lo è anche il mio incontro con lei…?
«È una notizia splendida!» ha gioito lanciando le braccia in aria, prima di risedersi. «Così quest’anno possiamo festeggiare un doppio compleanno, no?»
Ha guardato il padre, quasi in cerca di conferma, e lui ha sorriso bonariamente. 
«Ma certo. Sarà anche il raggiungimento della maggiore età, per Syaoran-kun.»
Nel sentirglielo dire, mi sono sentito gelare. Sto per diventare adulto, e ancora non sono riuscito a risolvere i misteri della mia vita. Cosa ho fatto per tutto questo tempo? 
Semplice: ho trovato una distrazione. Ho cominciato a dedicarmi a Sakura. Le ricerche incentrate sul mio passato, ora convergono invece su di lei.
È da quando mi ha raccontato delle sue tremende esperienze che cerco su internet informazioni sulla “figlia del primo ministro”, ma riesco a trovarne solo di ministri passati. Nulla su di loro. Dato che suo padre ha ottenuto il mandato sei anni fa, ho provato a cambiare approccio, scrivendo “Kinomoto Sakura” nel motore di ricerca. Ciononostante mi sono usciti risultati di persone totalmente random. Ho ristretto la ricerca esplicitando “incidente” e “rapimento”, ma non c’è assolutamente nulla. Qualunque cosa abbia fatto la sua famiglia, è stata bravissima a non lasciare neppure una traccia dell’accaduto. Pensando che forse c’entrava il fatto che l’incidente fosse avvenuto prima del mandato, ipotizzai dovessi provare a cercare altro. Non sapevo cosa di preciso, ma ero sicuro che qualcosa doveva essere rimasto. Perché doveva aver fatto scalpore. E così, con quell’idea, quando successivamente ho avuto modo di recarmi in biblioteca, ho cominciato a spulciare tra tutti i vecchi giornali e articoli lì conservati, a partire da circa dieci anni fa. Anche così, ho trovato il nulla. 
Naturalmente, non ne ho parlato con nessuno. Avrei potuto chiedere direttamente ai suoi genitori di spiegarmi meglio l’accaduto, per sapere cosa ne è stato del o dei criminali, ma dubito che me lo confiderebbero. È un’informazione essenziale, avrebbero dovuto mettermene al corrente subito, e se non l’hanno fatto significa che non ritengono sia necessario che io venga a saperlo. Forse aspettavano che, appunto, fosse Sakura stessa a parlarmene. Ma visto che lei sembra saperne quanto me, semplicemente non vogliono includermi in quel segreto. Non penso sia per una questione di fiducia, quanto di tatto. Probabilmente non vorranno appesantirmi con ulteriori sofferenze, visto che già sanno della mia situazione. 
Mi sono deciso, pertanto, di indagare in segreto per entrambi, e risolvere insieme i misteri delle nostre vite. Per farlo, tuttavia, mi servono maggiori indizi. E ciò non è per niente facile: delle persone che conoscono Sakura nessuna vuole o sa rivelarmi alcunché; delle persone che conoscono me, nessuna vuole entrare in dettagli. 
Proprio ieri ho provato a discuterne con Kimihiro, dopo che ci siamo incontrati per berci qualcosa insieme alla caffetteria dell’università. Considerato tutto il chiasso che c’era, sapevo che nessuno avrebbe fatto caso a noi; così, gli ho posto la fatidica domanda.
«Kimihiro, hai presente il giorno in cui veniste a prendermi tu e Yuuko-san?»
Lui mi ha rivolto un sorriso indulgente, posando il suo caffè sul tavolino tondo. 
«Syaoran, la tua memoria fa cilecca. Sei stato portato tu da noi, ricordi?»
A questo riferimento mi sono sentito confuso.
«No», ho insistito. «Voi siete venuti a casa mia. Non ricordo bene come fosse fatta, non so nemmeno se io ero dentro o fuori casa, ma sono sicuro che vi stessi aspettando. Quindi, conoscevate i miei genitori?»
Ho atteso per qualche istante, mentre lui aggrottava la fronte, fissando poi pensieroso il soffitto immacolato.
«Mmm… allora forse è la mia di memoria a farmi brutti scherzi?»
«Avevi 14 anni, ricorderai per forza -»
Mi ha interrotto, alzando una mano, mantenendo quello stesso sorriso. Quasi stesse parlando con un bambino.
«Ora ne ho 23, quasi 24. Ammetto che la vecchiaia comincia a farsi sentire», ha riso, non sembrandone affatto convinto.
L’ho fissato imperturbabile, in attesa; ma dato che per più di un minuto non ha aggiunto altro, ho borbottato: «Perché non vuoi parlarmene?»
Lui ha emesso un lungo sospiro, fissandomi risoluto – sebbene nei suoi occhi cristallini ci fosse una traccia di dispiacere. 
«Non mi sembra il luogo adatto per farlo.»
«E dove sarebbe questo luogo? Neppure a casa me ne parlavi mai, ogni volta che provavo ad introdurre l’argomento tu o Yuuko-san lo sviavate abilmente.»
«Non è ancora giunto il momento, Syaoran.»
«Perché mi chiami “Syaoran”? Perché devo presentarmi con questo nome? Perché almeno tu non -»
Ma non ho fatto in tempo a pronunciare altro che lui si è alzato di scatto, sbattendo le mani sul tavolo, facendo tremare le tazze e voltare molti presenti.
Mi ha rivolto uno sguardo di rimprovero, prima di raccogliere le sue cose, fingendo allegria e spensieratezza: «Tra poco ho appuntamento col mio docente per la ricerca. Noi ci sentiamo. E Syaoran…» Mi ha guardato a lungo, con mestizia. «Smettila di trastullarti su queste cose. I tuoi genitori sono morti, lo sai. Non aggiungere altro dolore a quello che già hai. Sapere a volte corrisponde unicamente a soffrire.»
L’ho visto andare via, ripetendomi mentalmente le sue parole. 
Lo so. So che mio padre e mia madre sono morti, e so che anche se chiedo di loro non serve a nulla, perché certamente non me li riporterà indietro. Ma voglio sapere. Ho bisogno di sapere, perché non è naturale che dei diciannove anni della mia vita, i miei primi dieci anni, che dovrebbero essermi più cari essendo quelli trascorsi con loro, non esistono più nella mia memoria. In essa conservo solo mere impressioni, ombre e voci molto vaghe.
Perché non ricordo?
È stato un trauma così grande per me, dover affrontare una tale perdita, da spingermi a dimenticarli?
È veramente meglio non sapere?
Ma non posso continuare a vivere nell’ignoto. 
Ho provato a parlarne, parzialmente, anche con Fay-san e Kurogane-san. Mi sono aperto un po’ più del solito, anche se, come sempre, non ho potuto offrire maggiori dettagli. Ciononostante ho raccontato loro la verità, sul fatto che quello non fosse il mio vero nome – mi è sembrato il minimo, dopo aver scoperto dei loro –, che mi è stato dato da Yuuko-san – almeno credo, anche se stranamente mi ha concesso di mantenere il mio vero cognome, non facendomi usare quello del suo defunto marito –, che sono stato adottato quando avevo dieci anni e non ho più memorie del mio passato. Che l’unica cosa che so per certo è di avere origini cinesi, che la mia famiglia originaria fosse benestante e i miei genitori erano morti, abbandonandomi troppo presto. E che tutto questo non mi lascia soddisfatto, che ho troppa sete di sapere. Per cui, ho chiesto il loro parere. 
In definitiva, Kurogane-san mi ha consigliato di ottenere risposte con ogni mezzo, se è quello che realmente cerco, sembrando approvare il fatto che finalmente avessi deciso di sfogarmi con loro; lo stesso si potrebbe dire di Fay-san, il quale di contro mi ha consigliato di lasciar perdere, visto che sembra trattarsi di una storia dolorosa.
«Se avessi la possibilità di dimenticare le tragedie del mio passato, Syaoran-kun, io ne farei tesoro. Ritieniti fortunato per aver trovato una famiglia che ti ha cresciuto e amato, e che non ti abbia abbandonato.»
È naturale che io mi senta così, e sono anche grato a Yuuko-san per avermi accettato come un figlio; tuttavia tale discorso, uscito dalla bocca di Fay-san – per quanto cercasse di mostrarsi distaccato –, mi ha lasciato riflettere. Che parlasse per esperienza? 
Nonostante la curiosità, mi sono redarguito a non ficcanasare più nella vita degli altri. Prendendo tale decisione, devo necessariamente lasciar perdere anche il passato di Sakura. Non mi immischierò più nei suoi affari privati, a meno che non sia lei stessa a volermi coinvolgere. 
Con questa decisione mi presento oggi a casa sua, e ora sono fuori la sua porta, mentre cerco di scrollarmi la neve dal cappotto. Quando mi vengono ad aprire, invece delle solite cameriere, trovo ad aspettarmi Yukito-san, con un’espressione piuttosto costernata. 
«Buonasera», gli auguro educato, piegandomi in un piccolo inchino. 
Lui ricambia brevemente, facendomi spazio per entrare. 
«Syaoran-kun, devi perdonarmi per non averti avvisato, ma temo che oggi non riuscirai a fare lezione con Sakura-sama.»
«Si sente male?» mi allarmo, ma lui scuote la testa, sembrando abbattuto.
«È da questa mattina che si è barricata in camera e non mostra alcuna volontà di uscirne. Per un attimo Nadeshiko-sama ha temuto che potesse essere scappata dal balcone, ma anche quello è sigillato. Si rifiuta di parlarci, e per tenerci ulteriormente fuori ha persino messo su musica classica. Spero che stia ballando, se ha bisogno di sfogarsi per qualcosa.»
Quest’ultimo commento non l’ho ben capito, fatto sta che mi esce spontaneo propormi: «Posso provare a parlarle?»
I suoi occhi si illuminano immediatamente. «Sono d’accordo! Ho pensato anche io che, se si tratta di te, sicuramente te lo concederebbe!»
Mi afferra le mani, guardandomi grato, e mi permette di togliere giubbino, sciarpa e guanti, invitandomi a salire verso il piano superiore. Lo ringrazio, avviandomi a passo svelto, chiedendomi cosa sia successo. Fino a qualche giorno fa sembrava stare bene, sprizzava energia da tutti i pori. Non può essere una semplice litigata con suo fratello? No, sembra qualcosa di molto più serio.
Raggiunta la sua camera, non sento nessuna musica; si ode soltanto una lieve melodia soffusa, che mi fa capire che sta canticchiando a bocca chiusa. Quella voce che mi ha cullato dal giorno in cui l’ho udita al karaoke, quella voce che sento di conoscere da sempre, ora sembra piangere. Ancora più di quel giorno. 
Busso alla porta, annunciandomi, e improvvisamente quel sonoro mormorio si arresta. Scatta la serratura, e quando socchiude la porta mi accorgo che l’interno è in ombra. Che stia completamente al buio? 
Sakura si affaccia appena, strizzando le palpebre dinanzi alla forte luce del corridoio, e a me non sfugge che abbia gli occhi gonfi e arrossati. Ha pianto…? Se è così, è più grave di quanto pensassi. 
Si schiarisce la gola, forzando un sorriso. 
«Buonasera. Perdonami Syaoran, ma oggi non mi sento molto in forma…»
Sposta lo sguardo altrove, non sostenendo il mio per più di qualche secondo. 
«È successo qualcosa?» domando impensierito.
Lei si mordicchia le labbra, sembrando indecisa. Poi sposta i suoi occhi nei miei e vedo che si riempiono di lacrime.
«Posso parlarne con te?» si accerta; la sua voce si incrina, quasi infrangendosi come vetro. Non l’ho mai vista così. Non ho mai visto nessuno stare così, mostrarsi tanto fragile, e non ho idea di cosa fare. Come potrei consolarla, se non ascoltandola? 
Annuisco col capo, e lei mi rivolge un minuscolo sorriso, per poi spostarsi da parte e aprire un po’ di più la porta. Quando entro mi accorgo che non è completamente al buio, perché ha il mini planetario attivato e dappertutto, su mura e soffitto, si riflettono luminose stelle, bianche come il latte. 
Mi volto a guardarla, mentre richiude la porta sforzandosi di non fare il minimo rumore, e noto che, come aveva predetto Yukito-san, indossa un body, scaldamuscoli e delle scarpette da ballerina.
«Stavi danzando?»
Sobbalza, guardandosi nella sua interezza, sembrando alquanto imbarazzata.
«Oh, sì. Ehm… se mi concedi qualche momento, posso cambiarmi.»
Capendo che ci sono questioni ben più importanti del suo abbigliamento, la invito piuttosto ad aprirsi.
«Non preoccuparti, non ce n’è bisogno.» Mi faccio più vicino e le prendo una mano tra le mie, sperando di incoraggiarla. «Puoi dirmi tutto quello che ti preoccupa.»
Lei fa un breve cenno con la testa, portandomi a sedere su un divanetto che ha spostato verso il muro. Lo spazio normalmente occupato da esso, pouf e cuscini è stato completamente liberato, forse per poter ballare. 
Ci sediamo lì e lei si volta di poco a fronteggiarmi, intrecciandosi e sciogliendosi le mani in grembo.
«È un mistero, sai? Come io riesca a sentirmi tanto legata a te, come mai mi fidi tanto, perché ti senta così familiare, quasi ci conoscessimo da una vita…» mormora inaspettatamente, facendomi bloccare il respiro in gola. «La prima volta in cui ti ho sentito ridere, mi sembrava di averti già sentito prima. Mi sembrava di conoscere già la tua risata. Mi era così cara. Non è strano?»
«No», rispondo immediatamente, senza riuscire a controllarmi. «La prima volta in cui ti ho sentita cantare, ho avuto la stessa impressione. E anche quando ti ho vista davvero, mi sei parsa così… familiare…» Taccio, colpito da un’improvvisa realizzazione.
Né io né Sakura abbiamo ricordi. E se… se in quell’oscuro e ignoto passato noi due già ci eravamo conosciuti? E se eravamo stati amici? D’altronde lei stessa lo ha detto, da piccola è stata in Cina, e a quanto pare è stato l’ultimo viaggio oltreoceano fatto. L’ultimo…
«Tu pensi…» Mi si fa un po’ più vicina, abbassando la voce, quasi tema che qualcun altro possa sentirci. «Non è impossibile, vero? … Non sarebbe meraviglioso se scoprissimo che noi due già ci conoscevamo prima?»
La sua voce, stavolta, è ricca di emozione. A mia volta qualcosa sembra traboccare dal mio cuore, e per quanto mi senta altrettanto sopraffatto dall’idea, mi sforzo di rimanere ancorato coi piedi per terra.
«Se così fosse, i tuoi genitori avrebbero dovuto riconoscermi…» osservo, riflettendo e rendendomi conto che, effettivamente, a volte mi hanno dato l’impressione di saperne di me più di quanto io stesso sappia. 
«Probabilmente sì, a meno che per qualche ragione non tenevamo nascosta la nostra amicizia. Chissà», ridacchia, stringendosi le gambe al petto.
Il pensiero sembra deliziarla, ma mi astengo dal commentare. So che “tutto ciò che è proibito” la attrae, proprio perché si tratta di cose semplici e quotidiane, che le sono sempre state negate. 
«È questa l’idea che ti cruccia?» chiedo invece, ricordando come l’ho trovata al mio arrivo. 
Scuote la testa, mostrandomi un aperto sorriso. 
«Questa è l’idea che mi conforta», mi contraddice, stringendosi maggiormente le gambe tra le dita. «Mi risolleva pensare che già ci conoscevamo. Saresti una piacevole luce, in un passato costellato da tristezza e dispiaceri.»
Se io e Sakura abbiamo questa cosa in comune, può significare soltanto una cosa… E improvvisamente, non sono più sicuro di volerla scoprire. Non so se lo sopporterei.
«Un passato costellato da tristezza e dispiaceri…» le faccio eco, rabbuiandomi. «E se ne facessi realmente parte? Se fosse a causa mia che hai sofferto? Se quello che ti è successo… l’ho provocato io…?»
La sola ipotesi mi distrugge. 
«Non penso sia così, altrimenti i miei genitori non ti avrebbero mai permesso di entrare nella mia vita. Mi avrebbero protetta da te, non ti avrebbero chiesto di diventare persino la mia guardia del corpo», fa notare.
Nei suoi occhi leggo che, al di là di tale spiegazione, è convinta che non ci sia un mio coinvolgimento. Ma io mi sento così incerto. Così colpevole. Come se parzialmente già sapessi che è andata così.
Mi si chiude lo stomaco in una morsa, ipotizzando che i suoi genitori potrebbero avermi assunto proprio per tenermi d’occhio, approfittando del fatto che non abbia ricordi. Ma se davvero sono pericoloso per Sakura, non è rischioso per lei? 
«Syaoran.» Mi richiama dolcemente; mi prende una mano, lasciandovi una dolce carezza sul dorso. «Non tormentarti per questo. Sono certa della tua innocenza. Tu sei buono, retto, giusto. E all’epoca eri solo un bambino, non avresti mai potuto rapirmi.»
Forse no, ma se non fossi coinvolto direttamente? Se invece riguarda la mia famiglia originaria? E se per questo i miei genitori sono morti? 
Tutto comincia a quadrare. Poco alla volta i vari tasselli di un puzzle più grande di me si stanno incastrando, e io mi sento spinto sempre più in basso, da mani troppo forti, troppo potenti.
Mi pulsano le tempie, e a malapena vedo Sakura, sopraffatto da queste orribili supposizioni. Non può essere realmente così…
È quando la sento ripetere più volte il mio nome, e mi accorgo che si è fatta più vicina, scrutandomi preoccupata, che mi ravvedo. Avrò tutto il tempo di disperarmi a casa, non devo crollare davanti a lei. Devo mettere da parte il senso di colpa e concentrarmi, invece, unicamente su di lei. La mia missione ora è consolarla, non essere confortato. 
«Sì, scusami. Hai ragione», mormoro in tono roco, per cui mi schiarisco la gola, riprendendo l’argomento. «Se non è questo, allora…?» la incalzo, in attesa. 
Lei si tira un po’ indietro, chiudendo gli occhi. 
«Ho fatto un sogno», dichiara, spiazzandomi. Mi rendo conto che sta cercando di rievocarlo, perché sembra concentrata, con le mani giunte all’altezza del petto, quasi stesse pregando una divinità di mostrarglielo ancora una volta. O forse di non mostrarglielo mai più. «Ero in una macchina scura, con altre due persone. Non ne ho visto bene le figure, ma so che un uomo era alla guida, mentre al mio fianco c’era una donna. Mi carezzava i capelli, ripetendomi “Va tutto bene”. Ma, a sua volta, anche lei sembrava preoccupata. 
«All’improvviso l’auto si è fermata, e l’uomo ci ha fatte scendere. Sentivo il rumore delle onde del mare, a poca distanza, e mi sono resa conto che ci trovavamo in prossimità di una scogliera. La donna e l’uomo hanno cominciato a litigare. Lei alzava sempre più la voce, divenendo disperata, finché non siamo state accerchiate da altre figure vestite di nero. L’uomo ha fatto una telefonata e la donna gli ha risposto a tono, parlando, penso, con la persona all’altro capo del telefono. Mi sentivo confusa, ed ero terrorizzata. Non capivo cosa si dicessero, o cosa ci facessi io lì. Poi l’uomo ha preso una pistola, puntandola contro di me. Credo che io non gli servissi, che fossi stata un imprevisto, e per questo ha provato a spararmi… A quella vista la donna mi ha cinta tra le sue braccia, provando a tuffarsi dalla scogliera. Così si è presa il colpo destinato a me, e insieme siamo precipitate oltre il burrone. Lei ha continuato a proteggermi col suo corpo, anche dalle rocce frastagliate, e mi ha allontanata da sé. Ma io, in un disperato tentativo di salvarla, ho allungato una mano per afferrare la sua, col suo corpo insanguinato che già spariva tra alti cavalloni neri e scarlatti… E mi sono svegliata.»
Riapre gli occhi, riprendendo fiato, con aria distrutta.
«Credo… Temo che sia un ricordo. E se è così, vuol dire che quella donna, chiunque fosse, è morta per me. Per salvarmi.»
Scoppia a piangere, singhiozzando, e senza perdere tempo la stringo tra le mie braccia, cercando di rassicurarla che ora va tutto bene. Ora sì, ma se è tutto vero, non posso crederci che abbia passato tutto questo. Chiudo gli occhi, carezzandole i capelli, percependo un acuto dolore trapassarmi il cuore, quasi fosse appena stato infilzato con decine di aghi. Perché sto così male? Perché mi sta venendo da piangere? Perché mi sento sempre tanto impotente? 
Digrigno i denti, facendomi forza. Ci sto cascando di nuovo. Non devo concentrarmi su di me, devo tornare da Sakura. Lei mi sta aspettando. 
Prendo un respiro, spostando di poco lo sguardo su di lei, e mi accorgo con sollievo che le sue spalle non sono più scosse dai singulti.
La allontano di poco e lei si affretta ad asciugarsi gli occhi e il viso con le mani, prima di sollevarlo per guardarmi. Mi rivolge un minuscolo sorriso intriso di gratitudine, domandando: «È meglio se non ci penso, vero?»
Per lei, sarebbe sicuramente meglio. Ma se fossi in lei, non riuscirei mai a non pensarci… E non lo vorrei neppure.
Indeciso, faccio solo un breve cenno col capo, per dirle che parzialmente sono d’accordo. 
«Mh, hai ragione. A nulla serve piangerci su. Ciononostante…» Prende un respiro profondo, guardandomi determinata. «Lo chiederò ai miei genitori. Insisterò, finché non si decideranno a parlarmene.»
Avrei voluto dirle che non sarebbe consigliato, come ha fatto con me Fay-san. Ma io capisco Sakura. E in questo, siamo molto simili. Per cui…
«Hai tutto il mio appoggio.»
Mi guarda stupita per un secondo, ma immediatamente la gratitudine travolge tutto il suo volto, illuminandole finalmente gli occhi di emozioni positive. 
«Ti ringrazio, davvero.» La sua espressione si addolcisce, e io, col cuore in gola, mi chiedo se non debba distrarla in qualche modo. Così, istintivamente, pronuncio le prime parole che mi passano per la mente.
«Vuoi che faccia l’incantesimo per gli incubi?»
Sgrana gli occhi, ma un attimo dopo annuisce con vigore, portandosi le mani al cuore. 
«Per favore.»
Non mi faccio pregare ad oltranza. Mi faccio più vicino, poggio la fronte contro la sua e chiudo gli occhi, rievocando quella bizzarra formula, mormorandola a mezza voce. La completo allo stesso modo in cui ha fatto lei, provando ad allontanarmi non appena giungo alla fine, ma lei mi trattiene.
La guardo, trovandola nuovamente con gli occhi lucidi. Eppure, stavolta, non sembra più essere a causa di tristezza o pianto. C’è ben altra emozione oltre essi, ma forse mi sto solo impressionando…? O forse continuo a starmi illudendo…
Schiudo le labbra per provare a parlare, non so bene per dire cosa, forse per esprimere questi bizzarri sentimenti, ma lei mi anticipa, distraendomi. 
«Come mai hai i capelli umidi?»
«Fuori nevica, e ho dimenticato di mettere un cappello…» spiego stralunato, cercando di tornare in me. Non devo rimbambirmi proprio ora.
«Oh… Posso?» domanda, allungando timida una mano. «Così sarà come toccare la neve», si giustifica, sebbene non ce ne sia bisogno. 
Acconsento permettendoglielo e chiudo gli occhi, rilassandomi contro il suo tocco. Sforzandomi di non pensare a tutte le brutte scoperte e teorie che già so mi assaliranno, una volta tornato a casa. Per ora voglio solo godermi questo caro momento, in compagnia di Sakura, lasciandomi carezzare da questo suo innato potere calmante come camomilla, in questa burrasca che è la mia vita.













 
Spiegazioni:
Hitsuzen = inevitabile (termine utilizzato nella celebre frase CLAMPesca "Al mondo non esistono le coincidenze. Esiste solo l'inevitabile").

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Capitolo 26
*** 25 ***


XXV



 
 
 
Non sono riuscito a scoprire più nulla. E a quanto pare, neppure Sakura è riuscita a ricavare niente dai suoi genitori, visto che ogni volta che tentava di mettere in mezzo l’argomento loro lo cambiavano con la stessa abilità dimostrata da Kimihiro con me. E così i giorni si sono susseguiti, senza che noi ricevessimo risposte o spiegazioni, con i miei timori che si ammassano, pesandomi sempre più addosso. Mi stanno consumando dall’interno. 
Poiché anche Sakura si è resa conto che, nonostante io cerchi di non darlo troppo a vedere, ho bisogno di sapere, è giunta ad una conclusione: ossia, che dobbiamo incastrare i suoi genitori, insieme, approfittando di un momento in cui saranno a casa tutti per avere un resoconto completo. 
Il tempo tuttavia passa, e questa occasione sembra non presentarsi mai. 
Ciononostante non abbiamo intenzione di arrenderci, per cui abbiamo continuato a pianificare dei modi per poterli mettere con le spalle al muro. Lei si è fatta rivelare da Yukito-san l’agenda del primo ministro, mostrando un’innocente curiosità, e lui bonariamente le ha spiattellato tutti i prossimi impegni della casata. È quasi assurdo pensare che possano essere tanto occupati, ma a Sakura non è parsa una novità. Quando gliel’ho fatto notare si è stretta nelle spalle, spiegando rammaricata: «A inizio anno è sempre così, è difficile che siano qui per più di qualche ora. Se siamo fortunati, forse riusciamo a parlarci a inizio marzo».
Stando così le cose, non abbiamo potuto fare altro che portare avanti le nostre lezioni, fingendo che fosse tutto nella norma, e nulla ci crucciasse o distraesse.
Ho ideato dei nuovi test per Sakura, utilizzando metodi più creativi e logici per metterla alla prova, e nonostante tutto lei li ha superati in maniera impeccabile. Persino quelli di algebra e economia.
Oltre a ciò, ha continuato a portare avanti le lezioni di danza e piano, con la sua nuova insegnante indiana, che lei chiama sempre Ashura-ou. Non ho mai capito il perché di tale appellativo, finché un giorno, durante una pausa per il tè del pomeriggio, non gliel’ho finalmente chiesto. 
«Vedi, lei è una donna molto affascinante e talentuosa. È leggiadra quando danza e incantevole quando suona, ma quando non fa queste cose è simile ad un re.»
«In che senso?»
«Non che sia imperiosa, anche se ha una certa tendenza al comando. Piuttosto, per l’atmosfera che la circonda. Sembra quasi ergersi su un piedistallo, è sempre ritta e impettita, e quando la si guarda si prova una certa deferenza… proprio come se ci si trovasse al cospetto di un sovrano. È difficile da capire, finché non la incontri.»
Per questa ragione ha fatto sì che il mio arrivo, oggi, coincidesse con il suo andare via. E anche se ci siamo scambiati soltanto un breve saluto, dopo una presentazione molto sintetica, ho avvertito anch’io quell’aura di soggiogamento. Per qualche motivo, mi è sembrata una donna molto forte e risoluta.
Dopo che si congeda Sakura mi rivolge un sorriso luminoso, molto più del solito, il che mi fa chiedere se non sia successo qualcosa di bello. 
Mi fa segno di seguirla e mentre saliamo le scale riprende l’argomento: «Allora? Cosa ne pensi di lei?»
«Penso che sia bravissima nell’insegnarti quel che deve», rispondo convinto, con onestà.
Annuisce con vigore, portandosi le mani dietro la schiena. 
«È veramente molto brava, mi riempie anche di complimenti. A differenza di madame Emeraude», aggiunge borbottando. «Comunque mi rende felice, perché io stessa mi sto accorgendo di star migliorando. Soprattutto quando canto, ora sono più coinvolta.»
«Ti stai impegnando tanto, in tutti gli ambiti», mi congratulo a mia volta, rivolgendole un sorriso. 
Le sue guance si tingono di rosa, mentre sussurra: «È grazie a te».
Si ferma per un attimo prima di aprire la grossa porta in legno della biblioteca e precedermi all’interno. 
La seguo sentendomi più leggero, come tutte le volte in cui stiamo insieme, finché nell’accomodarmi al mio posto non mi accorgo che c’è un pacchetto posato sul tavolo, proprio davanti a me.
«E questo?» Lo prendo tra le mani, allungandomi in avanti, studiandomi l’incarto rosso. È molto semplice, solo in un angolo c’è un nastrino a righe argentato coi brillantini chiuso in un fiocchetto, e sotto di esso è stato attaccato un adesivo con un rametto di ciliegi in fiore. 
Sollevo lo sguardo su Sakura, basito, soprattutto nel vedere che è diventata di una nuova tonalità di porpora.
Si guarda le mani, spiegando timidamente: «È per San Valentino».
Resto a fissarla ammutolito.
So bene che data è oggi, dopo che per tutta la mattinata ho dovuto sorbirmi orde di ragazze che volevano regalarmi cioccolato, come al solito. Ormai mi sono abituato, visto che è una situazione che si ripete sin dai tempi del liceo. Allora mi dispiaceva un po’ doverle respingere, ma adesso, per quanto continui a dolermi per la loro espressione ferita ogni volta, ho imparato anche a passarci su. Kimihiro ha sempre avuto ragione, quando mi diceva che non dovevo sentirmi in colpa, visto che se non mi piacevano non ci potevamo fare nulla. Lui, d’altronde, non ha mai avuto di questi problemi. Ha sempre avuto occhi unicamente per Kunogi-san, quindi se anche altre ragazze avessero provato a regalargli del cioccolato non le avrebbe né viste né sentite.
Ciononostante ai tempi del liceo alcuni miei amici – soprattutto Masayoshi, un ragazzo gentilissimo e altruista – mi rimproveravano sempre, perché anche se non li volevo potevo almeno prendermi la cioccolata. A me sembrava ingiusto, perché così facendo sarebbe stato come se avessi “accettato i sentimenti” di quelle ragazze: sarebbe stato un imbroglio, le avrei meramente illuse. Eppure Masayoshi non se n’è mai capacitato, tant’è vero che sia lui che Subaru – un altro mio compagno di classe del liceo – hanno sempre accettato la cioccolata di chiunque. Una volta il gemello di questi, Kamui, gli ha chiesto il perché e la sua spiegazione è stata: «Si saranno impegnate tanto per prepararla, è per dimostrare che apprezzo i loro sforzi».
Sicuramente è un buon punto di vista, e in parte mi ci ritrovo anche; cionondimeno continuo ad essere fermo nella mia posizione. Purtroppo nessuna ragazza mi ha mai emozionato o fatto battere il cuore, come riesce a fare Sakura… E adesso, sorprendentemente, proprio lei mi ha fatto un regalo. Per San Valentino. 
Vedendo che mi sono letteralmente pietrificato comincia ad agitarsi; si siede e si fa piccina sulla sedia, blaterando: «Probabilmente sarà terribile, lo so. È la prima volta che mi metto ai fornelli da sola, avrà un saporaccio. Mi sono limitata a fare dei cioccolatini, non è nulla di complicato, ma temo siano venuti più duri e amari di come dovevano essere. L’unica cosa uscita buona è la forma, giusto perché avevo gli stampini… Non devi mangiarli per forza, puoi anche accettarli soltanto. Se lo facessi…» Prende un respiro tremante, guardandomi con gli occhi lucidi, deglutendo a fatica prima di proferire: «Mi renderesti felicissima». 
Non deve aggiungere altro. Riporto l’attenzione sul suo cioccolato, guardando quell’incarto irregolare. Avrebbe potuto farselo acquistare e impacchettare, ma no, ancora una volta ha fatto tutto lei. Con le proprie mani. Soltanto per me. 
Col cuore stretto in una dolce morsa mi siedo composto e lo apro, facendo attenzione a non strappare nulla, per non rovinare il suo operato.
Lei trattiene il fiato insieme a me non appena scoperchio la scatolina, rivelando tanti cioccolatini quadrati di diverse sfumature. La forma non è perfetta, alcuni sono più rigonfi di altri, eppure anche solo guardandoli percepisco tutto il suo impegno. Tutto l’affetto di cui li ha riempiti. 
Ne prendo uno, dandovi un morso, stupendomi. È effettivamente duro e croccante in superficie, ma dentro è sorprendente morbido. Non è molto zuccherato, ma non è nemmeno amaro come lei pensa.
Lo finisco in fretta, guardandola grato. 
«È buonissimo. Grazie per avermi pensato.»
Lei avvampa fino alla punta delle orecchie, allungandosi in avanti per accertarsi: «Sicuro sicuro che ti piace?»
«Sicurissimo.»
«È veramente commestibile? Non ti stai sforzando per me?»
A stento trattengo una risata, vedendola tanto nervosa.
«No che non mi sto sforzando», le assicuro.
«Dici davvero? Puoi essere onesto Syaoran, tu sei un ottimo cuoco, e sono certa che in questi anni avrai mangiato cioccolata migliore di questa. Forse… forse stesso oggi.»
La vedo adombrarsi, mentre si tira indietro, sembrando alquanto sconfitta. 
«Sono onesto, Sakura. E no, questa è la prima cioccolata che mangio oggi.»
Sgrana gli occhi, incredula.
«Nessuna ragazza te l’ha regalata?»
«Se la sono presa i miei amici, io non la volevo», spiego brevemente, prendendone dell’altra. È proprio buona. 
«Come mai non la volevi?»
«Disinteresse. A dirla tutta, questa è la prima volta in assoluto che mangio cioccolata di San Valentino», ammetto con un fil di voce, guardando i cioccolatini per non doverla fronteggiare, certo che il rossore sulle mie guance possa tradirmi.
Prima che riesca a portarmene un altro alla bocca lei mi interrompe, sporgendosi in avanti, guardandomi quasi non ci credesse.
«Però la mia l’hai voluta… Se è soltanto per cortesia, non -»
«È perché ti conosco», la interrompo, prima che si faccia l’idea sbagliata. «Perché siamo amici, perché sei importante per me, perché…» Taccio, incerto se posso continuare o meno. Mi schiarisco la voce, sperando di non ingannarmi. «Perché capisco che l’hai fatta per dirmi quanto mi vuoi bene, e quanto mi sei grata. Sono cose che provo anche io per te.»
«Quindi tu…» Stringe le dita attorno alla mia mano, sembrando quasi prossima alle lacrime. «Hai capito che non è “cioccolata di dovere”…?»
Si morde le labbra, in attesa di un responso.
La fisso dritto negli occhi, chiedendomi se sto capendo bene; se non sto fraintendendo. Non riesco a risponderle, nel timore di commettere un errore.
Lei prende un respiro tremante, aggiungendo accorata: «Che è perché… io… io sono…»
Trattengo il respiro, smarrendomi nelle sue parole. Nella sua debole voce che trema, eppure risuona così calda e sicura. Nella sua esitazione carezzevole, nelle sue dolci iridi trasparenti, nella chiarezza di quel sentimento che adesso, soltanto adesso, comprendo completamente che ci unisce.
Improvvisamente, vengo colto dal terrore. Una paura recondita, che si lega al fatto che, dentro di me, l’ho sempre saputo. Ho sempre finto di non vedere, di non capire, di non accettare. Ho sempre temuto che nessuno potesse approvare e adesso temo che, se quelle parole che tanto attendo, che tanto sogno, dovessero uscire dalle sue candide labbra, qualcuno potrebbe strappargliele. Qualcuno potrebbe interromperla, impedendole di parlare. Di dirmi ciò che prova. Ma me lo ha sempre, sempre dimostrato. E ora anche questo suo dono per me, si è fatto portavoce di questi suoi sentimenti. 
Poso anche l’altra mano sulla sua, carezzandogliene il dorso per rilassarla.
Lei sobbalza lievemente, facendosi di fuoco.
Continuo a guardarla negli occhi, impedendole di allontanarsi, intrecciando le dita alle sue. Che strana sensazione, è come se la prendessi per la prima volta per mano. Il suo calore mi investe, il mio cuore batte all’impazzata, trema e rimbalza nel petto. Qualcosa mi comprime i polmoni, lo stomaco, il cervello, annodandomi la gola. Ma non mi ruberà la voce. Non mi porterà via quest’occasione.
«Sakura.»
Mi guarda in attesa, spostando lo sguardo dalle nostre dita intrecciate a me, sembrando davvero sull’orlo del pianto.
Nonostante tutto ciò che mi sconquassa, mi stendo in un sorriso. Le sfioro una guancia con l’altra mano, confessando con tutta la tenerezza che mi riempie: «Ti amo».
Lei sgrana occhi e bocca, finché le lacrime non strabordano, scivolandole giù fino al mento. Gliele asciugo con le dita, mentre si apre in un sorriso enorme, ricambiando con gioia. 
«Ti amo anch’io. Ti amo così tanto.»
Piagnucola appoggiandosi contro la mia mano e io mi alzo, inginocchiandomi dinanzi a lei per stringerla tra le mie braccia. Chiudo gli occhi, e un sorriso prende vita sul mio viso, non sparendo neppure quando lei smette di singhiozzare; solo allora mi allontano, notando che la sua espressione raggiante riflette la mia. 
Le stringo un’ultima volta la mano, prima di tornare al mio posto per “assumere il mio ruolo”, almeno per il momento. 
Lei torna diligente, impegnandosi immediatamente in ciò con cui la occupo. E mentre legge o ripete quello che le spiego la osservo mangiando i cioccolatini, provando un miscuglio di emozioni.
Mi sento così fiero, orgoglioso di lei per i suoi progressi, e al contempo non faccio che pensare a quanto sia meravigliosa, bellissima, dolcissima, adorabile.
Mai avrei pensato che l’amore potesse essere così. 











 
Angolino autrice:
Buon San Valentino! Leggermente in ritardo, ma sono comunque soddisfatta di me, per essere riuscita ad aggiornare a soli due giorni di distanza dalla festività. Yeee! 
Come avete visto, in questo capitolo vengono nominati diversi personaggi: Ashura-ou (dove "ou" sta per "re"), Emeraude, Masayoshi, Kamui e Subaru. Se ne dice poco e niente, ma voi potete immaginarli pressocché uguali alla loro versione nel manga di TRC (sebbene, ad esempio, Emeraude sia un po' diversa, essendo più severa). Non penso ci sia comunque molto da dire su di loro, quindi passo direttamente a spiegare cos'è la "cioccolata di dovere" ("giri chokoreeto" in giapponese): è quella che si regala a persone con cui si lavora, ad esempio colleghi o superiori, compagni di classe, conoscenti o comunque amici, insomma persone verso cui si vuole dimostrare gratitudine (espressa tramite il cioccolato) con le quali non si ha alcun legame sentimentale. Si oppone quindi alla "honmei choko", dove "honmei" sta per "vero sentimento", che viene dato pertanto alla persona che si ama. Quella che Sakura dà a Syaoran, quindi, è "honmei choko", ma penso che questo fosse abbastanza ovvio. 
Bene, e con questo vi auguro di mangiare tanti dolci in questo periodo, e di trascorrere giorni felici insieme alle persone che amate.
A presto!
Steffirah

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Capitolo 27
*** 26 ***


XXVI



 
 
 
Nei giorni che hanno succeduto il quattordici febbraio sono stato così sopraffatto dai dolci sentimenti che provo verso Sakura, dal senso di leggerezza e liberazione avvertiti dopo essermi dichiarato, dalla gioia per poterlo finalmente dire oltre che dimostrare, da aver trascurato un dettaglio non poco importante: ossia, la questione dei nostri ruoli. Eppure mi sono costantemente ribadito di essere coscienzioso, di non superare nessuna linea, e allo stesso tempo sono sempre stato consapevole di quanto fosse vano. 
Era del tutto inutile, perché in cuor mio già sapevo che fosse troppo tardi. Ho finito con l’affezionarmi, dapprima, più di quanto mi fosse concesso; e poi, quanto più la conoscevo, tanto più mi innamoravo. 
Ed ora eccomi qui: per la prima volta provo qualcosa per qualcuno, e non posso neppure ammetterlo. Non posso dimostrarlo. Vorrei urlarlo al mondo, ma non posso esternarlo. Vorrei stare sempre con lei, ma non posso fuori dagli “orari di lavoro”. Vorrei parlare con lei ogni ora, ogni minuto, ogni secondo, ma non posso disturbarla per ventiquattro ore.
Certo, se avessi accettato di vivere con loro, come mi era stato offerto inizialmente da Nadeshiko-sama, forse non avrei avuto di questi problemi… Ma probabilmente, vivendo sotto lo stesso tetto della sua famiglia, mi sarei solo sentito in colpa. 
La cosa peggiore è che il pensiero che tutto questo faccia stare male Sakura stessa mi logora ancora di più. La nostra potrà mai essere una relazione felice? Potremmo mai condividerlo con la sua famiglia? Potremmo mai uscire allo scoperto? Potremmo mai essere liberi di fare tutto ciò che, un giorno, vorremmo fare? Senza dover tener conto di niente e nessuno?
Nonostante le restrizioni, mi sono detto che almeno a Kurogane-san e Fay-san avrei potuto riferirlo. Ormai abbiamo cominciato a confidarci, come se fossimo sul serio una famiglia. Così pochi giorni dopo la dichiarazione – dopo aver fissato quotidianamente la scatola di cioccolatini, capacitandomi che fosse accaduto davvero – gliel’ho rivelato, facendomi coraggio. 
Fay-san ne ha gioito quasi fosse stato coinvolto lui stesso; Kurogane-san invece se ne è mostrato preoccupato.
«Ragazzo, spero che tu sappia quello che fai.»
«Cercherò di stare attento, e d’altro canto non penso che il nostro rapporto sia molto diverso da prima.»
«Effettivamente siete sempre stati molto legati», fa notare Fay-san, portandosi una mano al mento.
«Non è cambiato nulla», insisto, ma Kurogane-san non ne sembra molto convinto.
Fa un sospirone, scompigliandosi i capelli, prima di guardare Fay-san in cerca di appoggio.
«Diglielo tu.»
«Dirgli cosa?»
«Non fare il finto tonto, lo sai cosa. Sai che succede quando…»
Non conclude, sembrando in difficoltà, e io osservo il loro scambio senza capire.
Fay-san sembra finalmente arrivarci e si porta una mano alla bocca, spalancandola in una “o” perfetta. 
«Uhhh Kuro-rin, non ti facevo tanto timido.»
Lui arrossisce lievemente sulle gote, ma svia lo sguardo, imbarazzato.
Fay-san mi guarda con fare da maestrino, alzando un dito.
«Papà è preoccupato, se dovessi metterla incinta -»
«Cosa?!» sbotto avvampando, e contemporaneamente anche Kurogane-san scatta, paonazzo.
«Non mi riferivo a questo!»
«Ah no?» chiede l’altro, innocentemente.
«C-comunque», tossicchio, ritrovando il contegno. «Non c’è rischio. Non dimentico che ha sedici anni.»
«Nel mio paesino c’è chi a quell’età già cresce figli, pensa!» sogghigna Fay-san, intrecciando le dita sotto il mento.
«Nel tuo paesino», sottolinea Kurogane-san, irritato. «Piantala con queste insinuazioni, lo metti in difficoltà.»
«Awww siete tutti e due così casti, mi fate tanta tenerezza», mormora addolcito, sorridendo sornione.
Fingo di non dare minimamente adito alle sue allusioni, liberandomi la mente da qualsiasi pensiero impuro, concentrandomi invece su ciò che sta cercando di comunicarmi Kurogane-san.
«Ad ogni modo!» Alza la voce, massaggiandosi le tempie. «Volevo soltanto dire che sicuramente qualcosa nel vostro rapporto cambierà. Forse non te ne accorgerai subito, ma succederà. E finché state da soli va bene, ma se doveste lasciare trasparire qualcosa in pubblico sarebbero guai.»
«Non la stai facendo più tragica di quanto sia?» osserva Fay-san, alzando un sopracciglio. 
Eppure no, io so che ha pienamente ragione. 
«I suoi genitori magari approveranno pure, visto che l’hanno accettato subito in casa, ma credo che anche lui si renda conto che il fratello di Sakura-hime è un caca-»
«Il linguaggio!» tossicchia Fay-san, quasi facendolo dare di matto.
«Parli a me di linguaggio quando tu prima te ne sei uscito con quella frase?!»
«Non ho detto nulla di male. Avrei potuto dire, “quando farete se-”»
Lo interrompe bruscamente, coprendogli la bocca con le mani, guardandomi esasperato.
«Insomma hai capito.»
«Ne sono pienamente consapevole. Per questo vi chiedo di non riferirlo a nessuno. Sakura ne ha parlato con Tomoyo-sama e Yuzuriha-san, ma anche lei si è assicurata che non lo dicessero ad anima viva. Se si venisse a sapere…»
«Ti licenzierebbero subito», osserva Fay-san tornando serio, rattristandosi.
«Non potrei più incontrarla…» mormoro io, sentendomi dilaniato dalla sola idea. È questo ciò che mi terrorizza, più di perdere il posto. Perdere Sakura. Essere costretto a starle lontano. 
«Anche se, conoscendo la principessa e la sua testardaggine, troverebbe sempre un modo per incontrarti. Soprattutto se così facendo dovesse infrangere le regole. Tutte uguali», sbotta Kurogane-san, incrociando le braccia. 
Fay-san scoppia a ridere, riconoscendolo come vero, e anche io mi apro in un piccolo sorriso, non faticando ad immaginarla. Sarebbe anche capace di chiedermi di scappare insieme, eventualmente. Lo so, perché io nella sua situazione farei lo stesso. 
«Continua a ribellarsi la tua principessa?» lo prende in giro Fay-san, punzecchiandolo. «Non riesci proprio a tenerla sotto controllo eh?»
«Ma sta’ zitto. Almeno non è insopportabile quanto sua sorella», borbotta sottovoce, ma a Fay-san non sfugge.
«Arara, devo assolutamente riferirlo ad Amaterasu-sama», fischietta, digitando qualcosa sul cellulare.
«Non ti azzardare!» sbraita, tentando di acciuffarlo.
Rido dinanzi al solito siparietto che mettono su e mi alzo, posando il mio piatto e bicchiere nel lavandino, cominciando a sparecchiare.
Approfitto della loro distrazione per dare da mangiare anche a Mokona, trovandola tuttavia a dormire, talmente attorcigliata attorno a se stessa da sembrare un batuffolo di neve, che non ha né capo né coda. Le scatto una fotografia, mandandola a Sakura – sicuramente vorrebbe che condividessi un momento simile con lei –, prima di andarmene in camera e sedermi sul letto. Qui mi poggio contro il muro, con un libro sulle gambe per studiare.
Dopo qualche ora i miei coinquilini fanno capolino nella stanza, incuriositi. 
«Cosa stai studiando?» domanda Fay-san, accomodandosi sul letto per affacciarsi a sbirciare.
«Una monografia sulle dinastie cinesi che si sono susseguite nel corso del tempo.»
Si siede scomposto accanto a me, scuotendo la testa.
«Non ne so proprio nulla di questa roba.»
«Nelle vostre scuole non studiavate la storia dell’Asia?» lo interroga Kurogane-san, restando sulla soglia.
«Lo stesso si potrebbe dire di voi con quella occidentale, no?» gli fa notare, ricevendosi un grugnito in risposta. «Tra noi quello più acculturato in storia mondiale è senz’altro Syaoran-kun.»
Arrossisco lievemente dinanzi a quell’osservazione, dalla quale Kurogane-san non sembra affatto offeso. 
«Sono stato assunto per i miei muscoli, non per il mio cervello», ci ricorda, incrociando le braccia.
Fay-san fischia colpito, mentre io mi affretto ad aggiungere: «Ciononostante, ci sono ambiti in cui siete molto più colti di me. Io ho ancora tanto da imparare».
«Ma sei ancora giovane, ne avrai eccome di esperienze da fare!»
Fay-san mi tira allegramente una pacca su una spalla, per poi indicare il libro.
«Quando avrai finito puoi prestarmelo? Sono curioso.»
«Oh?» lo sfotte l’altro.
«Mi serve per questioni di lavoro», spiega brevemente, e capisco che vuole trovare in esso una qualche ispirazione.
«Va bene, tanto l’ho già memorizzato.» Giro le pagine, mostrandogli alcuni capitoli dedicati alla moda del tempo. «Ti serve questo?» suppongo e lui annuisce, illuminandosi quando glielo rendo.
«Grazie mille! Pensavo di presentare un nuovo progetto alla classe, dedicato alle bellezze cinesi.»
«Sembra interessante. Se ti può servire altro, basta che me lo chiedi.»
Finge di asciugarsi una lacrimuccia, guardando commosso Kurogane-san.
«È proprio una fortuna che nostro figlio sia un intellettuale. Neh, paparino?»
Mi pare di vedere una vena pulsare sulla sua tempia, ma stavolta lo ignora e ci volta le spalle.
«Lascialo stare, quel povero ragazzo.»
«Agli ordini», cantilena, alzandosi e ringraziandomi di nuovo, augurandomi buono studio.
Mi lasciano lì, chiudendosi la porta alle spalle, ma io in realtà ho anche finito. 
Mi stendo sul letto, guardando distrattamente controluce l’orologio che mi ha regalato Sakura, attardandomi sulla punta delle lancette. A detta di Sakura, dovrebbero guidarmi… guidarmi, verso dove? In questo momento puntano verso sud-ovest, e l’unica cosa che mi è cara e si trova in quella direzione è Sakura. 
Quasi l’avessi chiamata, noto il mio cellulare illuminarsi. Lo afferro, restando supino, e vedo che mi ha mandato un lungo messaggio.
 
Syaoran, buonasera! Perdonami se ti rispondo solo ora, ma stavo con Ashura-ou. Oggi abbiamo fatto di tutto, tra canto, pianoforte e ballo. Non immagini quanto mi senta stanca! 
Ciononostante, trovarmi un messaggio da parte tua e vedere Moko-chan sembra avermi nuovamente ricaricata di energie! Quindi ti ringrazio!
 
E a questo seguono tanti sticker felici e cuoricini. 
Trattengo una risata, rispondendole con semplicità, chiedendole com’è andata.
La sua risposta è immediata, quindi suppongo si sia rintanata o in camera sua o sull’immenso divano del soggiorno, a perdere un po’ di tempo.
 
Benissimo! Oggi abbiamo eseguito “La primavera” e ne sono rimasta contentissima, visto che ormai manca poco a marzo.
A proposito di marzo! Ho una data in cui ci sono tutti a casa, ma se tu non puoi venire non preoccuparti; me la caverò!
 
Non dubito di questo, ma in un momento tanto importante per lei – forse persino per noi – vorrei essere al suo fianco. Non importa quanto possa fare paura la verità, io devo scoprirla. Entrambi dobbiamo scoprirla, o sento che non riusciremmo mai ad andare avanti. Forse è proprio per questo che, almeno per il momento, non può esserci alcuna evoluzione effettiva del nostro rapporto.
Le chiedo pertanto la data e controllo sul calendario, notando che è un venerdì.
 
Sono libero tutto il giorno.
 
Dici davvero? Fantastico! Io la sera ho lezione di danza, ma se tu venissi la mattina, potremmo stare un po’ di più insieme… magari potresti fermarti a pranzare qui… se non è un problema e non hai altro da fare, naturalmente!
 
Segue uno sticker imbarazzato e io sorrido sotto i baffi, trovandola adorabile.
 
Va bene. Verrò dalla mattina.
 
Mi aspetto un altro messaggio, ma al suo posto ricevo un breve video col suo mega sorriso in primo piano.
Ci clicco sopra, e lo stomaco sembra stringersi in una morsa non appena la vedo muoversi, la sento parlare. Sembra quasi essere lì con me. 
 
“È una splendida notizia!” esclama con occhi luminosi, sgargiante. “Sappi che non c’è orario, puoi venire qui appena ti svegli. Ne approfitteremo per fare altre lezioni, o un ripasso se vuoi, anche perché sento di averne un po’ bisogno, non vorrei aver dimenticato qualche informazione importante.” 
Ne dubito fortemente.
“Però davvero, grazie. Grazie!” ripete su di giri, quasi squittendo, facendomi ridere. “Non puoi immaginare quanto sia importante per me.”
Fa una breve pausa, guardandosi intorno con circospezione, e solo ora noto che alle sue spalle c’è la parete color crema del salone. Quindi sì, si sta riposando sul divano. 
Abbassa poi la voce, aggiungendo: “Non vedo l’ora di rivederti”. Le sue gote arrossiscono e io stesso sento il mio stomaco serrarsi. 
Si riprende in fretta, concludendo: “Ora purtroppo devo andare, ma ci sentiamo quando vuoi. O meglio, quando puoi. A presto, Syaoran”, sussurra con un sorriso, salutandomi con una mano. 
 
Chiudo per un istante gli occhi, sentendo un sorriso spontaneo nascere sul mio viso. Li riapro, giusto per far ripartire il video e risentirla, ma ogni volta che la vedo rivolgermi quel sorriso, chiamarmi con quella voce, tanto intima e confidenziale, mi sembra di sentirmi afferrare le interiora e stritolarle, mentre una felicità senza pari si impossessa di me. 
Lascio per un attimo perdere qualsiasi preoccupazione, immergendomi totalmente in lei, memorizzando ogni singolo dettaglio, al punto che quando abbasso le palpebre continuo a vederla attraverso esse. Rotolo sul materasso, finendo a pancia in giù, stringendomi il cuscino al petto. 
L’amore è realmente irrazionale. Mi ha regalato una felicità assurda, ma questa assurdità non mi dispiace. Al contrario, è come la voce di Sakura, come il sorriso di Sakura, come il calore di Sakura, che da quando è entrata nella mia vita sembra lenirmi da qualsiasi sofferenza, facendo svanire ogni dubbio e timore. Perché quando penso a lei, non esiste più niente, nient’altro che lei. E per lei, avrei curato il suo dolore, come lei faceva col mio.










 
Angolino autrice:
Buonasera! Sì, mi rifaccio viva dopo mesi, nonostante mi fossi ripromessa di essere costante con gli aggiornamenti... Il fatto è che per tutto marzo sono stata presa dalla tesi, ad aprile mi sono laureata, e da allora ho ripreso una mia vecchia storia originale. In questi mesi non ho fatto che dedicarmi ad essa, ma naturalmente non ho dimenticato le storie che ho in corso, né ho intenzione di abbandonarle; quindi spero possiate perdonarmi per quest'assenza prolungata T.T 
Passando al capitolo, non credo ci sia nulla da spiegare, eccetto "arara" detto da Fay, che è un'interiezione che esprime sorpresa/incredulità (tipo "Oooh?"). Se dovessero esserci altri dubbi non esitate a chiedere, perché ho fatto una lettura rapida e potrebbe essermi sfuggito qualcosa.
Grazie a chi non ha abbandonato questa storia TwT
A presto (stavolta per davvero)!

 

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Capitolo 28
*** 27 ***


XXVII



 
 
 
Il tre marzo, il giorno in cui Sakura ha deciso di mettere i genitori in trappola, è finalmente giunto. 
In realtà per tutta la mattinata portiamo avanti le nostre mansioni, diligentemente, finché non si fa quasi ora di pranzo. Prima di uscire dalla biblioteca, dopo aver messo a posto i libri insieme, la trattengo, portandola in un angolino più appartato.
«Sakura, sicura che non dovremmo provarci dopo mangiato? Non vorrei rovinare a tutti il pasto…»
Lei ci pensa su, prima di mostrarsi d’accordo. 
«In effetti hai ragione… Ma dobbiamo trovare un modo per convincerli a restare con noi.»
«Potrei usare il pretesto delle lezioni, raccontare come stai andando», propongo, e lei si illumina.
«Ma certo! Anche se sospetto che, in generale, sia mio padre che mia madre sarebbero felici di trascorrere altro tempo con te.»
«Forse mi dai troppa importanza», le faccio notare, trattenendo un sorriso.
«Affatto. Tu non c’eri, ma non hai idea di quante volte mi abbiano assillata per chiederti di restare. Loro ti adorano, davvero.» 
È rassicurante tutto ciò, ma allo stesso tempo non mi fa sentire del tutto tranquillo. 
Faccio un piccolo sorriso, chiedendole ancora, timoroso: «Però se restassi non sembrerei un ficcanaso?»
Lei mi guarda preoccupata; fa un passetto avanti, allungando una mano per carezzarmi il viso.
«Syaoran, sembri più nervoso di me.»
«Parzialmente, credo di esserlo», ammetto, prendendo la sua mano. 
Chiudo gli occhi, appoggiando una guancia contro il suo caldo palmo, e prendo un respiro profondo.
«Rilassati», sussurra, massaggiandomi un braccio con la mano libera.
Faccio un piccolo cenno col capo, provandoci. 
«Cos’è che ti preoccupa?» domanda accorta.
«Nulla di importante.»
Provo a sorridere, mostrandomi sereno. Non posso confessarle che ho letteralmente il terrore di quello che sentiremo. Per lei. Per me. Per noi. 
«Qualunque cosa ci verrà detta, ricorda che riguarda unicamente il passato. Non il presente, non il futuro.»
Mi fissa convinta, e io mi aggrappo a questa sua forza. Stando con lei, un po’ di paura inizia a scomparire. 
«Oi Sakura, moccioso.»
Ci allontaniamo di scatto, voltandoci, vedendo Touya-sama fare il suo ingresso. Non appena ci nota incrocia le braccia, scrutandomi con sospetto. 
«È pronto a tavola.»
Sakura al mio fianco si apre in un sorriso abbagliante, apparentemente spensierata, mentre lo ringrazia per averci avvisati. Mi passa davanti, voltandosi di poco per invitarmi a seguirla, e io resto muto alle sue spalle. 
Si affianca a suo fratello, rimbeccandolo per avermi chiamato con quell’appellativo, ma io li ascolto soltanto a metà. La mia mente è troppo ottenebrata da timori, e sebbene Sakura sia stata capace di cancellare qualche nube, non è riuscita a spazzarle via tutte.  Forse perché, per quanto si finga tranquilla e sicura di sé, so che in cuor suo ne è a sua volta impaurita… 
Continuo a guardarla camminarmi avanti, sentendola improvvisamente lontanissima, seppure ci sia a malapena un metro a distanziarci. La sua voce diviene un mormorio di sottofondo che non riesce più a zittire questo turbinio di pensieri che mi assilla da due mesi circa.
“E se realmente ci siamo già conosciuti?”
“E se è davvero per colpa mia che è stata rapita?”
“Se sono stato io stesso a ferirla?”
“Se io sono imparentato con dei criminali?”
La risposta che trovo è una sola: dovrò andarmene. Dovrò necessariamente allontanarmi da lei. Per il suo bene. Per proteggerla. 
Sorrido ai due coniugi non appena entriamo nella sala da pranzo e saluto Yukito-san, in maniera del tutto meccanica. 
Mi accomodo al solito posto, accanto a Yukito-san e di fronte a Touya-sama, e dopo che tutti augurano “itadakimasu” comincio a mangiare anche io. Non assaporando tuttavia nulla. Per quanto il cibo qui sia sicuramente buonissimo, non ne avverto il sapore. È come nutrirsi di aria, pesante però come mattoni. A fatica butto giù ogni forchettata di quella pasta, non riuscendo neppure a capire cosa contiene. Con cosa sia condita.
Kinomoto-sama prova ad intavolare una conversazione, ma io, distratto, emetto soltanto dei mormorii monosillabici. Fortunatamente interviene Sakura per me, e sentire la sua voce – che stavolta riesce a raggiungermi – è un grandissimo conforto. 
La sento cantare, e improvvisamente il suo viso si fa più tondo, le sue guance più piene e rosee, i suoi capelli più lunghi, tirati indietro con delle mollettine colorate; la vedo roteare su se stessa, alzando l’ampia gonna di un vestitino da bambina, rosa e lilla, guardando come si muove al vento. Batte le mani a tempo con la canzoncina che sta intonando, e poi si ferma a guardarmi, rivolgendomi un sorriso enorme, caldo come il sole. Un sorriso che mi porta a pensare: “Sarebbe bello se sorridesse per sempre”. E mi fa segno di raggiungerla con la minuscola manina, chiamando a pieni polmoni il mio nome.
Il mio nome…
«Syaoran!»
Sbatto le palpebre, sentendo la sua voce imperiosa e allarmata, che mi strappa dalla mente quell’immagine. Mi guardo intorno spaesato, rendendomi conto con sgomento ed imbarazzo di essere entrato in trance a tavola.
Vedo gli occhi di tutti puntati su di me, impensieriti, e io chino la testa, scusandomi per essermi incantato. 
E intanto mi chiedo, cos’è stato? Una mia fantasia? Un’illusione? Ma no, Sakura era troppo vivida, troppo vera per essermela soltanto immaginata. Anche se, mi chiamava col mio nome. Col mio vero nome. E tecnicamente lei non dovrebbe conoscerlo.
Le rivolgo un’occhiata di sottecchi, confuso, e la trovo a fissarmi con le sopracciglia aggrottate, il labbro inferiore serrato tra i denti. 
Le sue iridi lampeggiano, in esse leggo la domanda che vorrebbe porgermi ma non può. 
“Cosa ti sta succedendo?”
Vorrei saperlo anch’io. Vorrei capire se si è trattata di una qualche illogica rappresentazione, oppure più verosimilmente… di un ricordo. Ma sarebbe strano. Perché mi sarebbe tornato in mente così all’improvviso? Cosa lo avrebbe innescato? È stato simile a quella volta in cui, automaticamente, feci per la prima volta l’incantesimo scaccia incubi con Sakura. Le parole lasciarono le mie labbra, senza che io pensassi. Senza che io ragionassi. E quando poi mi ero reso conto delle mie azioni avevo provato un’intensa fitta alle tempie, come se qualcuno mi stesse perforando il cervello con un trapano.
Com’è potuta riaccadere una cosa simile? E per di più, mentre ci sono tutte queste persone attorno a me. Eppure sono sempre stato accorto al mio comportamento di fronte agli altri. Perché oggi mi sento così… smarrito? Così chiuso in una bolla d’aria, col terrore che possa scoppiare da un momento all’altro e lasciarmi precipitare violentemente nelle mani di una tempesta infuriante.
Chiudo gli occhi, prendendo un profondo respiro, ricercando l’autocontrollo. Mi sono allenato per anni per questo. Per non crollare mai, dinanzi a qualsiasi situazione. Per non mostrare mai alcuna debolezza, né agli altri né a me stesso. 
Riapro gli occhi, aggrappandomi con tutte le mie forze alla mia risoluzione, e mi ripeto continuamente le parole di Sakura. È il passato. Non il presente. Non il futuro. È soltanto il passato, qualcosa di finito, qualcosa di terminato. Qualcosa che è andato, e non ritornerà mai più. Ma allo stesso tempo, è la risposta che sto cercando da anni. 
Senza che neppure me ne renda conto abbiamo finito di mangiare, prima del previsto. È meglio così. Prima parliamo, prima posso liberarmi di questo peso che ho sullo stomaco. E in ogni caso, potrebbero anche essere soltanto delle mie fisime; non è ancora certo che io e Sakura ci conoscessimo già allora, per quanto anche lei abbia questa stessa impressione… E ammesso che possa essere realmente così, non è detto che ci sia stato un mio coinvolgimento… 
Ci rivolgiamo uno sguardo, prima che lei si dedichi ai suoi genitori.
«Madre, padre, ora avete da fare?»
Loro scuotono leggermente la testa, quasi all’unisono, in una maniera elegantemente comica. 
«Allora potremmo -»
«Qualunque cosa tu abbia intenzione di proporre, Sakura-chan», la interrompe suo padre sollevando una mano, «può aspettare. Prima trascorriamo un po’ di tempo con Syaoran-kun, no?»
«È così raro che resti», gioisce Nadeshiko-sama, guardandomi con una dolcezza che non saprei assolutamente spiegarmi. 
Li ringrazio entrambi, e Sakura ammutolisce, chinando la testa. So che è per nascondere il ghigno vittorioso che le sta nascendo sul viso, ma i suoi genitori fraintendono perché si scusano con lei, mortificati. 
Ci alziamo così tutti da tavola, spostandoci sugli immensi e morbidi divani nel salone, con me e Sakura seduti di fronte a loro, mentre Touya-sama – imbronciato – e Yukito-san ne occupano un altro alla nostra destra, paralleli al camino. 
«Allora, come stanno procedendo le lezioni?» si interessa Kinomoto-sama, con occhi lampeggianti.
Rispondo che stanno andando bene, Sakura è migliorata in moltissimi ambiti e ha poche carenze, compreso nel campo economico. Quest’ultima informazione la rivolgo direttamente a Nadeshiko-sama, che ne sembra incredibilmente fiera.
«È un’ottima notizia!» gioisce, battendo le mani una volta, per poi risedersi composta.
Avvolta in questo elegante kimono primaverile, un po’ mi ricorda Yuuko-san… Con la differenza che hanno due portamenti e modi di indossarli completamente diversi. Nadeshiko-sama è quasi un’incarnazione di eleganza, tradizione, raffinatezza e vereconda femminilità, esattamente l’opposto di ciò che esprimeva Yuuko-san con quella sua provocante sfrontatezza.
«E tu come ti stai trovando?»
«Io?» ripeto spaesato, non comprendendo le ragioni della domanda.
Noto che Touya-sama sembra finalmente interessato, perché scatta seduto e sembra drizzare le orecchie. Sakura al mio fianco resta muta, ma ho l’impressione che si stia trattenendo dal ridere.
«Sì. Ti trovi bene qui?» insiste, sorridendomi con candore. Ecco da chi l’ha preso Sakura.
«Mi trovo benissimo», rispondo con onestà, e lei ne sembra risollevata. 
Sono davvero preoccupati di una cosa simile? 
«E ci mancherebbe», commenta Touya-sama sprezzante. «Lo trattate coi guanti di velluto.»
Istintivamente mi volto a fulminarlo, e lui risponde prontamente con un’occhiataccia. 
«Nii-sama!» esclama Sakura facendosi finalmente sentire, ponendosi esattamente tra di noi. «Finiscila di tormentarlo!»
«Tu finiscila di difendertelo!»
«Ma perché lo odi tanto?!» esplode, in un tono che sfiora l’isteria.
«Sa-» Mi mordo la lingua, ravvedendomi. «Ojou-san, non è un problema. Non mi dà fastidio.»
«A me dà fastidio!» replica con foga, e quasi mi pare di vedere il fumo uscirle dalle orecchie. Mi sembra che stia cacciando fuori qualcosa che è sembrata trattenere per tutto questo tempo, senza poterlo esternare. «Non deve trattarti così!»
Si volta nuovamente verso di lui, agguerrita.
«Sarà anche più piccolo di te, ma Syaoran è una persona colta e matura. Dovresti portargli il rispetto che merita.»
«Rispetto?» ripete suo fratello in un sibilo, assottigliando gli occhi, e io per un attimo vengo attraversato da un’orribile sensazione. Lui non mi odia, lui mi detesta. E non ho alcuna idea della ragione. Che abbia scoperto di noi? Ma no, lui si è sempre comportato così. Mi ha sempre guardato col ghiaccio negli occhi, mi ha sempre parlato con freddezza, con l’aria di chi sarebbe felice di uccidere con uno sguardo.
«Rispetto, sì», rincara Sakura. 
«Adesso basta voi due», interviene Kinomoto-sama, suonando imperioso. 
Noto Nadeshiko-sama mortificata e, nonostante i brividi, cerco di sorriderle convincente, fingendo che davvero non mi importi.
«Otou-sama, ma lo vedi come si comporta? Sembra avere sul serio sei anni!» esclama la figlia, puntando il dito contro il fratello. «Anche tu e okaa-sama adorate Syaoran, no?»
«Certo che anche a noi piace», prova ad intervenire sua madre, cercando di calmare le acque con tono pacato, ma l’approccio diplomatico non sembra quello che Sakura ha intenzione di seguire.
«E allora diteglielo anche voi!»
«Me lo potete ripetere tutti quanto volete, ma io non accetterò mai la sua presenza in questa casa.»
Mi raggelo, letteralmente, e lo guardo sgomento. Ma cosa gli ho fatto?
«Touya-kun!» tuona suo padre, con un tono che mai mi sarei aspettato da una persona normalmente tanto placida. 
«Vedi di fartela piacere, perché lui ci sarà sempre!» esplode anche Sakura, alzandosi a sua volta in piedi.
Non sapendo come sia meglio agire guardo sua madre, cercando consiglio; cosa dovrei fare? Intromettermi e fermarli? 
Lei sembra indecisa quanto me, ma sia suo padre che Yukito-san si alzano, allontanandoli l’uno dall’altra, cercando di calmarli.
«Che cosa vorresti dire con “sempre”?»
Il tono di Touya-sama si è fatto più basso, più sospettoso, e io impallidisco. Oh no. Oh no! Sakura sicuramente si farà sfuggire qualcosa, e sarà la rovina per noi! 
Mi alzo a mia volta, tentando di intervenire, anche a costo di congedarmi e lasciar perdere il nostro piano iniziale, ma Sakura è troppo pronta a ribattere.
«Voglio dire che ora potrai accontentarti di vederlo come mio precettore e guardia del corpo, ma aspetta che cresco e -»
«Sakura!»
Tutti si zittiscono, voltandosi verso di me. Kinomoto-sama, Nadeshiko-sama e Yukito-san sono un’unica immagine di puro stupore. Ma ormai è fatta. 
La guardo dritto negli occhi, pregandola con lo sguardo. Non deve mettersi nei guai più di così. Non per me. 
«Non ce n’è bisogno.»
Le sorrido appena, decidendo che sia giunto il momento di andarmene. 
Sposto lo sguardo sul primo ministro per annunciarglielo, ma appena apro bocca Touya-sama mi anticipa, infrangendo la stanza con un tono pieno di furia.
«Non mi dire che vi state frequentando?!» 
Provo a negare, al contrario di Sakura che ammette: «Mi sono innamorata di lui. E allora?»
«Come puoi innamorarti di lui?» Nel pronunciare il pronome che mi indica, vi inserisce tutto il suo disprezzo. 
«Perché non dovrei?» lo fronteggia lei, caparbia.
Lui tuttavia la ignora, rivolgendosi unicamente a me, con occhi infuocati. 
«Che cosa le hai fatto?»
«Io… niente…» Vorrei difendermi meglio, ma la voce mi esce più debole di quanto avessi mai potuto prevedere.
Non ci sto capendo più nulla. Cosa sta succedendo? Come sta succedendo tutto questo? Come si fa a bloccare il tempo? Come si fa ad impedire che diventi peggio di così?
Non voglio rovinare la vita di Sakura… Non voglio apportarle brutti ricordi…
Accade tutto in pochissimi attimi. Varie voci si sovrappongono, alcune più perentorie, altre più rabbiose; ma l’unica che sento è quella di Touya-sama, mentre mi si avvicina minaccioso e mi colpisce, tirandomi un pugno, cogliendomi impreparato. No, non impreparato, indifeso. Come lo è il mio cuore mentre si fa distruggere da lui.
«Come puoi anche solo osare pensare di poter stare con lei, quando sei tu la causa di tutto quello che è successo?!»
Resto a terra, a fissare il vuoto. Di nuovo un ronzio sopra di me, ma non identifico più altro. La guancia mi pulsa, ma è un dolore così fioco, così vago, rispetto a quello che provo dentro di me. Il sangue, sembra non scorrermi più nelle vene. Ogni parte che mi compone, è come se si fosse cristallizzata. I miei sensi, smettono di funzionare.
Il mio timore, è reale. 
La mia più grande paura si è avverata.










 
Angolino autrice:
Buonsalve!
Stavolta sono tornata prima del previsto, sganciando una bomba, ops. Siamo arrivati ad una parte importantissima nella storia, quindi vi assicuro che aggiungerò il continuo il prima possibile.
Per quanto riguarda le parole straniere non credo ci sia nulla di nuovo, ma per ogni evenienza vi rinfresco la memoria: "itadakimasu" si dice prima di mangiare (simile al nostro "buon appetito", "nii-sama", "okaa-sama" e "otou-sama" significano rispettivamente "fratello maggiore", "madre" e "padre" (il linguaggio di Sakura è abbastanza formale, data la sua educazione), mentre "ojou-san" significa "signorina".
A presto!
Steffirah

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Capitolo 29
*** 28 ***


XXVIII




 
 
Resto così, in bilico nel vuoto, nel buio, in un tempo bloccato, per chissà quanto, finché non avverto una lieve percezione all’angolo del mio labbro. Cerco di riottenere il controllo del mio corpo, mettendo a fuoco l’esile figura di Sakura. Guarda il fazzoletto insanguinato che ha tra le dita piena di rimorso, con gli occhi liquidi, e lo riavvicina alla mia bocca, tamponando, scusandosi ripetutamente.
«Mi dispiace. Mi dispiace davvero. Non aveva alcun diritto di trattarti così, di rivolgerti quelle parole. Mi dispiace.»
Quelle parole… 
Deglutisco a fatica tutto il sangue che mi si è bloccato in gola, togliendo il fazzoletto dalle sue mani per occuparmi da solo di me stesso, non riuscendo ad affrontarla. Non finché non ho una risposta.
Mi volto alla mia sinistra, notando che sono rimasti solo i due coniugi, che a loro volta si sono seduti a terra dinanzi a noi, mortificati. Nadeshiko-sama in particolare, ha gli occhi pieni di lacrime, sembra che stia per scoppiare a piangere da un momento all’altro.
Né Touya-sama né Yukito-san sono più nella stanza, per cui mi dedico direttamente al primo ministro.
Mi siedo sui talloni, rivolto completamente verso di lui, pronto a subire qualsiasi cosa. Che sia la verità, che sia una punizione, che siano entrambe le cose, non mi importa.
«Ti prego di non dare troppo peso alle parole di Touya-kun», esordisce, sembrandone a sua volta ferito. «Lui non sa come si sono svolti i fatti. È soltanto giunto a conclusioni affrettate.»
«È stato crudele», interviene Sakura gelida. «Come ha potuto incolparlo? Syaoran non c’entra assolutamente niente!»
Né Nadeshiko-sama né Kinomoto-sama ribattono subito, e io così ricevo la mia risposta. La mia terribile risposta.
Vedo la mano di Sakura più vicina a me tremare, finché non la chiude in pugno. Percepisco tutta la sua frustrazione.
«Lui non c’entra», insiste, il suo tono è tremante.
«È quello che diciamo sempre anche noi», asserisce Kinomoto-sama, guardandomi con quella che riconosco essere compassione. «Syaoran-kun, credo sia giunto il momento di dirti quello che sappiamo. Non è tutto, ma almeno potrà rispondere ad una parte di tutti gli interrogativi che ti staranno assillando.»
«C’è una cosa in particolare di cui non mi capacito», confermo, ritrovando la calma, fronteggiandoli a testa alta. «Perché mi avete accolto in casa vostra? Perché mi avete permesso di avvicinarmi a Sakura?»
«Perché era la cosa più giusta», interviene Nadeshiko-sama, portandosi una mano al cuore. «Sapevamo che tu l’avresti protetta, in qualsiasi situazione, e ti saresti preso cura di lei. Perché gliel’hai promesso, quando eravate bambini.»
Sia io che Sakura tratteniamo il fiato, in attesa. Abbiamo avuto ragione, per tutto il tempo…
«Ma se io e Syaoran ci conoscevamo, perché non ricordiamo nulla? O meglio, quasi nulla?» 
«Non so bene cosa sia successo a Syaoran-kun», prosegue Kinomoto-sama, «ma tu prendesti un brutto colpo in testa. Probabilmente hai dovuto rinunciare a preziosi ricordi per poter sopravvivere, ma il medico ci disse che non era un danno permanente. Stanno ritornando, non è vero?»
Lei fa un mormorio di assenso, e la vedo guardarmi di sottecchi. Quindi non sono solo io a star ricordando adesso, proprio dopo averla conosciuta. Sebbene “conosciuta” non sia la parola giusta. E inconsciamente ho sempre saputo che non lo fosse.
«Sono lieto di sapere che stai cominciando a ricordare. Spero che presto si risveglino anche i tuoi ricordi», si rivolge poi a me il primo ministro.
«Qualcuno sta già tornando…» mormoro, osservando: «Ma io non sono stato ferito. O almeno, non ricordo di esserlo stato. Sono semplicemente stato adottato da Yuuko-san, lei mi ha portato via da casa mia…»
«Era una casa grandissima. Esprimeva tanta eleganza», sussurra Sakura, sembrando incantata. Chiude le palpebre, stringendosi le mani al petto, e si apre in un piccolo sorriso. «E la mia parte preferita era il giardino. Era enorme.»
Nadeshiko-sama si fa sfuggire un risolino, commentando: «Adoravi scorrazzarci e giocare a nascondino». 
«Con…»
Non aggiunge altro, apre soltanto gli occhi, fissandoli in quelli della madre. Lei la guarda addolorata, e gli occhi verdi di Sakura si riempiono di lacrime. 
«Non può essere…» 
La sua voce diviene un gemito soffocato; si porta le mani al viso, trattenendo un singulto. 
Nadeshiko-sama sembra trattenersi di nuovo dal piangere, ma prima che io possa chiedere cosa stia succedendo Kinomoto-sama richiama tutta la mia attenzione. Ed è proprio lui che comincia a raccontarmi la mia storia.
«Sakura-san ti ha detto che quando ero ministro degli esteri ero anche un appassionato di reperti archeologici?» Attende un mio cenno di assenso, prima di proseguire. «All’epoca avevo molti agganci e un mio caro amico un giorno mi offrì un’occasione irripetibile: partecipare, finalmente, a degli scavi veri e propri, in Cina. Normalmente quando viaggiavo mi portavo dietro solo Touya-kun, ma quella volta vollero venire con me anche Nadeshiko-san e Sakura-san. Quando questo mio amico lo seppe ne rimase contento e così, mentre eravamo sul luogo, mi propose di andare a trovarlo il giorno seguente.» Fa una breve pausa, guardandomi dritto negli occhi. «Quell’amico era un archeologo, ma anche un ricco imprenditore di Hong Kong. Si tratta di tuo padre.»
Cerco di non tradire nulla, ma il mio cuore, ritornato attivo, ora perde un battito. 
«Ci conoscevamo da anni ed eravamo grandi amici», ricorda con nostalgia. «Sin da giovane era così a modo, così diligente e serioso. Non puoi neppure immaginare quanto gli somigli.» Serra le labbra, e stavolta io perdo due battiti. «Forse è per questo che ti abbiamo accolto subito», suppone, guardando la moglie. 
«Ne sentiamo entrambi la mancanza. Quando ti abbiamo visto, e abbiamo avuto la conferma che fossi realmente tu…» La signora non completa la frase, la sua voce si frantuma in mille pezzi. 
«Non puoi immaginare quanto siamo stati felici, quando Yukito-kun e Sakura-san ci hanno parlato di te. Di quanto sperassimo che potessi essere veramente tu. È stato come rivedere il mio caro amico.»
Anche la voce del primo ministro si abbassa di un’ottava, ma repentinamente si dà una scrollata, riprendendo il discorso.
«Come stavo dicendo, accettai. Così tutti noi venimmo presentati alla sua famiglia. A sua moglie. E a suo figlio. Eravamo onorati di quell’invito, ho sempre provato un grande rispetto per lui, e dato che mi parlava spesso di sua moglie e suo figlio un po’ mi sembrava di conoscervi già. Eravate proprio come lui vi aveva descritti.»
Guarda sua moglie, che annuisce, sembrando commuoversi a quei ricordi. 
«Naturalmente, nostra figlia ha fatto subito amicizia con te. Per questo, su richiesta anche di tua madre, è venuta spesso a casa vostra, restando anche quando Nadeshiko-san non poteva stare con lei.»
Mi volto verso Sakura, trovandola ancora con la testa nascosta tra le mani, ma ora ha infossato tutto tra le ginocchia. Torno dai suoi genitori, confuso.
Kinomoto-sama prende un respiro profondo, saltando quei passaggi per giungere al dunque: «Non posso parlarvi del vostro rapporto perché non ero presente. Nessuno di noi c’era, quindi non sappiamo con certezza come si è evoluto… E proprio per questo non ti so dire con certezza cos’è successo a te quel giorno. So solo che, quando siamo rientrati dagli scavi, ti abbiamo trovato in preda ad una brutta febbre di cui fino a quel mattino non avevi dato alcun sintomo. Farneticavi su una specie di incidente, continuavi a chiederci se stessimo bene, ma non riuscivi a tenere un discorso troppo a lungo. Tuo padre pensava che tua madre fosse andata a comprare qualche medicinale, ma trovò strano che ti avesse lasciato completamente solo. Anche perché entrambi sapevamo che mia figlia avrebbe dovuto essere ancora lì. Ha quindi chiamato la moglie di Clow Reed, chiedendole come potesse curarti. Lei, fortuitamente, si trovava a sua volta a Hong Kong, perché bisognava sistemare alcuni affari di famiglia – almeno, per quel che ne so. Così tuo padre attese che lei arrivasse insieme al figlio, per prendersi cura di te, mentre noi cercavamo di capire dove fossero finite tua madre e mia figlia.
«Eravamo preoccupati e inquieti, perché sua moglie non rispondeva a telefono, non importava quante volte provasse a chiamarla, e io avevo parlato con Nadeshiko-san, che mi aveva confermato che Sakura-san non era tornata. Non appena arrivò Yuuko-san corse a controllarti, e le bastò mezza visita per capire che eri stato avvelenato. Secondo lei poteva aiutarti solo Clow, così provò a telefonarlo, ma lui la precedette. Le disse qualcosa che la fece impallidire, lei passò il telefono a tuo padre e anche lui sbiancò, divenendo come un cencio. Non pronunciò neppure una parola per tutto il tempo, continuando a fissarti come se ti stesse guardando per l’ultima volta. Ed effettivamente, così fu. Attaccò la chiamata, chiese a Yuuko-san di prendersi cura di te e proteggerti, poi mi ingiunse di seguirlo.
«Andammo via da casa vostra. Guidò come un pazzo, ed era strano per una persona calma e rigorosa come lui. Quando gli chiesi cosa stesse succedendo, mi disse che Clow Reed aveva ricevuto una telefonata di un ricatto. Avevano preso in ostaggio sua figlia e suo nipote.»
Spalanco gli occhi, sebbene ogni sua parola rappresenti uno shock dopo l’altro.
«Clow Reed era…»
«Il padre di tua madre. Tuo nonno», conferma, spiazzandomi.
Prendo un respiro profondo, provando a ragionare.
«M-ma… non riesco a capire, perché… perché Sakura…»
Torno a guardarla, trovandola scossa da silenziosi singulti. 
Allungo una mano, in un vano tentativo di conforto, ma mi blocco a metà strada, udendo le successive parole.
«Il nostro sospetto è che l’abbiano scambiata per te. Probabilmente il mandante conosceva soltanto il nome del o della nipote di Clow Reed, e…»
«Entrambi ci chiamiamo Tsubasa…» completo al posto suo, trattenendo il fiato. 
È stato tutto un errore. Un terribile sbaglio. C’era stato uno scambio. Si poteva evitare. Quel trauma, io… avrei potuto evitarglielo.
«Tuttavia, noi riteniamo che l’obiettivo non foste soltanto voi. Forse quello del mandante sì, ma non del sicario. Ecco perché poi abbiamo deciso di proteggere Sakura-san con tutti i mezzi che avevamo a disposizione. Ecco perché siamo arrivati persino a mentirle su certe cose, e abbiamo deciso di crearle una nuova identità. Seppure lei miracolosamente ricordasse il suo vero nome e noi chi fossimo, l’abbiamo convinta che agli altri si presentava come Sakura. Le abbiamo dato il nome di tua madre.»
«Per farla continuare a vivere in lei», aggiunge Nadeshiko-sama, non trattenendo più né lacrime né singhiozzi. «Per ringraziarla per averla salvata.»
Dopo questo diventa incapace di proferire altro, cedendo al dolore. Mi sento a mia volta stringere la gola, mentre torno dal primo ministro.
«Che cos’è successo dopo che ve ne siete andati?» Il mio tono esce piatto, ma ora non riesco ad esprimere nulla. Assolutamente nulla.
«Tuo padre aveva dei sospetti su una persona che, da anni, minacciava il signor Reed per una questione legata all’eredità, ma non mi ha dato maggiori dettagli a riguardo. Ancora non so con precisione chi possa essere stato a dare l’ordine, ma abbiamo scoperto chi l’ha eseguito. O meglio, Clow Reed l’ha scoperto, e ha trovato giusto riferircelo. Ma questo è accaduto dopo. Prima abbiamo ricevuto un’altra telefonata. Su una riva erano stati trovati due corpi in fin di vita, quello di una donna e quello di una bambina.
«Senza perdere ulterior tempo, ci recammo immediatamente in ospedale. La bambina, a parte ferite superficiali e un colpo alla testa, non aveva subito gravi danni. Fu un sollievo anche per tuo padre, che ormai l’aveva presa a cuore; ma era chiaro che la sua preoccupazione principale fosse la moglie, e quando udì che non le restava molto concedemmo loro degli ultimi momenti da trascorrere insieme. Morì tra le sue braccia. E quando uscì da quella stanza, con noi che piangevamo il suo lutto, lui ci ringraziò. Ma era una persona diversa. Ci voltò le spalle, e da allora non ne ho più avuto alcuna notizia.»
Fa una breve pausa, abbattuto. «Mi dispiace Syaoran-kun, non ti so dire se è ancora vivo o meno, se sia riuscito a vendicarsi, sia finito in prigione o…»
Non conclude, e completo io per lui con una sola certezza. 
«Kimihiro mi ha detto che entrambi i miei genitori sono morti. Sono certo che lui lo abbia saputo da Yuuko-san. Non mi mentirebbe mai su una cosa del genere.»
La notizia sembra distruggere il primo ministro tanto quanto me. 
Abbassa lo sguardo, facendo un piccolo cenno di comprensione.
«Lui ne saprà sicuramente di più.»
Tacciamo tutti, il silenzio interrotto unicamente dai singulti di Sakura. Mi volto completamente verso di lei, proprio mentre suo padre si alza, per venirmi a posare una mano su una spalla, cercando di farmi forza.
«Sei stato una vittima anche tu. Non accusarti.»
Mormoro un consenso, chiedendomi tuttavia se ci credo davvero.
Sia lui che Nadeshiko-sama danno una leggera carezza alla figlia, rivolgendomi un ultimo sguardo che sembra dire “la lasciamo nelle tue mani”. Ma ora mi domando, è realmente al sicuro nelle mie mani?
Sì, lo è. Perché se è come ha detto Nadeshiko-sama, io gliel’ho promesso. E se gliel’ho promesso, la proteggerò sempre, anche a costo della mia vita. 
Attendo che i due coniugi escano prima di avvicinarmi maggiormente a lei, posandole una mano sulla schiena, massaggiandogliela con fare terapeutico. 
Lei freme, affondando le dita nella sua carne. Con l’altra mano cerco di fargliele aprire, per lasciarsi e non farsi del male. Solleva di poco la testa, incontrando il mio viso, mostrandomi iridi dilaniate da paura e sofferenza. Posso solo immaginare quanto possa essere stato terrificante. Quanto possa averla spaventata, traumatizzata. Quanto abbia sofferto. 
«Mi dispiace…»
Lei mi guarda ancora più dilaniata, gemendo: «Non scusarti. Non devi scusarti. Siete tu e la tua famiglia ad aver perso tutto. E si poteva evitare… Si poteva evitare, se io fossi rimasta con te, se avessi vegliato su di te… Avrebbe potuto andare diversamente…» Ricomincia a piangere, e io la stringo tra le mie braccia. 
«Era inevitabile», mormoro appena, cercando di confortarla.
«Ti sbagli. Se io non avessi scelto mio padre, se io fossi rimasta con te invece di seguire loro, se io avessi ascoltato tua madre, lei avrebbe potuto essere ancora viva. Avrebbero trovato una soluzione. Non l’avrebbero uccisa, non era lei… Non era lei che doveva morire…»
Chiudo gli occhi, prendendo profondi respiri. Capisco cosa sta dicendo. Lo capisco davvero. Sono ragionamenti simili ai miei, e so che non ha ancora detto ciò che realmente la addolora. 
«Sakura, sfogati. Puoi dirmi tutto.»
Lei stringe la mia maglietta tra le dita, affondando il viso sul mio petto. 
«Mi dispiace che…» Fa una pausa, gemendo. «Mi sento così in colpa… Tua madre è morta solo per colpa mia… Solo per proteggere me… Sono… sono stata io ad ucciderla…»
«No», nego, cercando di mantenermi calmo e rassicurante, sebbene in cuor mio mi senta altrettanto sconquassato. E sballottato da una corrente imperiosa, da tutte le parti. «Non dire così.»
«Ma è così…»
«No», insisto. «Smettila di incolparti. È stata una scelta di mia madre, e per quanto dolore ci abbia apportato, è stata quella giusta.» 
La stringo maggiormente a me e chiudo gli occhi, carezzandole i capelli.
«Non fartene una colpa», ripeto, dondolandola tra le mie braccia, finché non sembra quietarsi. Allora solleva di poco la testa, asciugandosi gli occhi con le maniche.
«Tu come stai?»
Taccio, incerto. Non lo so. Non so come sto. Io stesso non ho alcuna idea di come la sto prendendo, di come la sto vivendo. Per questo scuoto la testa, abbattuto. 
Lei prende un profondo respiro, allontanandosi di poco solo per sostituirmi, accogliendo me tra le sue braccia. Spalanco gli occhi, non aspettandomelo. Mi fa appoggiare sul suo petto, replicando le mie stesse azioni, sembrando molto più calma.
«Syaoran, puoi lasciarti andare con me.»
Avvolgo le braccia attorno al suo esile corpo, chiudendo nuovamente le palpebre; ascoltando il ritmico battere del suo cuore.
«Mi basta stare così.»
«Sei sicuro? Davvero, se vuoi puoi piangere.»
«Sono sicuro.»
Sono sicuro. Non sento il bisogno di piangere. Non ancora almeno. Ora l’unica cosa che voglio è avere Sakura al mio fianco, sentirla vicina, sapere che sta bene. Nient’altro. Mi basta questo nel mio presente, e non pensare a ciò che ci riserverà il domani.

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Capitolo 30
*** 29 ***


XXIX



 
 
 
Dopo aver scoperto la verità, ho deciso di parlarne una volta per tutte con Kimihiro. Mi è bastato riferirgli che il primo ministro mi ha rivelato quel che sa per farlo smuovere, convincendolo finalmente ad aprirsi. E così pochi giorni dopo ci siamo incontrati nella mia precedente casa, la mia seconda casa, approfittando dell’assenza di Maru e Moro per bere un buon tè con dei wagashi, alla vecchia maniera, e parlarne guardando il nostro giardino tradizionale, stando seduti in veranda. 
Lui non ha fatto altro che confermare ciò che mi è stato già detto, dandomi qualche informazione in più. Informazioni che non hanno fatto altro che aggiungere ulteriore stupore e shock al mio turbamento.
La prima confessione riguarda lui stesso: Kimihiro, pur utilizzando un falso cognome, è realmente il figlio di Yuuko-san e Clow-san. Maru e Moro sono state adottate prima della sua nascita, perché entrambi temevano che non avrebbero potuto avere figli – o almeno, così avrebbe dovuto essere, finché non sono stati sorpresi da un miracolo insperato, con la nascita di Kimihiro. Il che spiega come mai, nonostante io sia sempre stato convinto che anche lui fosse stato adottato, l’ho sempre trovato molto simile ad entrambi.
Tuttavia, già con la scelta dell’adozione delle gemelle, sembra che Yuuko-san e Clow-san fossero andati a scontrarsi con le brame del fratello di quest’ultimo, Fei Wang Reed. A quanto pare egli è sempre stato un uomo molto ambizioso e arrogante, e proprio per questo temeva che suo fratello, essendo il primogenito, poco alla volta gli portasse via tutto ciò che desiderava. Prima la donna che anch’egli amava, ossia Yuuko-san. Poi la grande eredità dei Reed, che aspirava a raccogliere nelle proprie mani.
Finché non vi erano degli eredi consanguinei sembrava andare tutto secondo i suoi piani, ma dalla prima moglie di Clow-san nacque mia madre, Sakura Reed. Una donna di sangue misto, mezza inglese, mezza giapponese.
Essendo nato da un secondo matrimonio, Fei Wang non era lieto di essere il secondo in linea di successione, e detestava il fatto che il preferito di famiglia, Clow-san, non facesse altro che ripetere la storia, trovandosi un’altra compagna dopo la morte della moglie. Fei Wang aveva sperato di poter avere almeno Yuuko-san, ma per sua sfortuna anche lei aveva finito col rimanere affascinata da Clow-san. S’era innamorata anche della figlia, ma mia madre era ormai abbastanza grande e già aveva deciso di convivere con mio padre, dalla fine del liceo e per tutto il periodo universitario, fino poi a sposarsi. 
Nel frattempo, credendo di non poter avere figli, decisero di adottare Maru e Moro, e vissero felicemente con loro, finché non nacque Kimihiro.
«Visto il putiferio che si è scatenato con la nascita di tua madre, decisero di fingere che anch’io fossi stato adottato. Ecco perché mi hanno dato un altro cognome. Mio padre voleva lasciare soltanto la propria eredità a figli e nipoti, quindi noi e te, mentre avrebbe voluto dividere parimenti quella dei suoi genitori col fratello; questo mio zio non lo capiva, era convinto che la sua fosse soltanto una dimostrazione di perbenismo per mantenere un’immagine di sé immacolata, e perciò gli si è opposto con veemenza, facendogli persino causa e accusandolo di azioni mai compiute e complotti mai dichiarati. La situazione, per quanto critica, è andata avanti per un bel po’, finché, di punto in bianco, mio zio non sembrava essere sparito nel nulla. Secondo mia madre se n’era andato in giro per il mondo a sperperare il denaro che aveva. Mio padre ha sempre negato l’evidenza, cercando di vedere del buono in lui, mentre mia madre non s’è mai realmente fidata del cognato; per cui, covando qualche sospetto, ha cercato di rintracciarlo, in modo tale da seguirne il percorso. C’è riuscita, per un certo periodo, quando era in Europa. Sembrava si stesse comportando bene, finché non smisero di giungerle notizie. E quando dopo anni capirono dove fosse andato, era già troppo tardi. Tu eri già nato. Ora non c’eravamo più soltanto noi, ma persino tu diventavi un “intralcio”, e quindi, sentendosi forse minacciato e non volendo sentire ragioni, ha deciso di vendicarsi.»
«E per questo ha tentato di uccidere mia madre e me? Per i soldi?» ho chiesto attonito, cercando di capacitarmene.
Lui ha scosso la testa, spiegando: «Per quanto possa essere senza scrupoli, non erano certamente questi i suoi piani. Tutto quello che so è perché l’ho udito in alcune conversazioni segrete tra i miei genitori, prima che mio padre morisse. E qualcos’altro mi è stato detto anche da mia madre, prima che spirasse. Solo che… Syaoran, non so se sia un bene dirtelo».
L’ho pregato di non farsi remore, per questo. 
«Potrei dirti che la polizia ha trovato i colpevoli, li hanno arrestati e condannati. Ma purtroppo non è andata così, perché tuo padre li ha anticipati. Si trattava di una serie di persone provenienti da vari Paesi; personaggi illustri ed encomiabili, potenti filantropi e politici, all’apparenza benevoli e caritatevoli, che, per questo, avevano molta gente a supportarli. Questo aveva fatto Fei Wang durante i suoi viaggi: era andato alla ricerca di gente corrotta, circondandosi di persone potenti, per poter mettere in atto il suo piano.
«In realtà, non voleva far altro che rapire te e tua madre, minacciando Clow Reed: vi avrebbe restituiti, in cambio di sua moglie e dell’eredità. Era soltanto spinto dall’avarizia. Nemmeno io, come mio padre, penso che volesse spingersi fino all’omicidio… Preferiamo credere nel suo legame, nell’affetto che, nonostante l’astio e l’invidia, sicuramente doveva provare per la sua famiglia. Tuttavia, aveva l’abitudine di sfogare tutte le sue frustrazioni e spiattellare i suoi piani al suo uomo più fidato, Kyle Rondart, un celebre medico inglese che aveva salvato molte vite. Questi, pensando di agire per il bene del suo amico e benefattore, decise di procedere diversamente, uccidendo te, facendola sembrare una morte naturale, e rapendo soltanto tua madre. Per convincerla a seguirlo aveva usato come pretesto un incidente agli scavi, in cui tuo padre era rimasto ferito, per poi liberarsi di lei non appena ne avrebbe avuto la possibilità. Non poteva prevedere che ci fosse anche un’altra bambina, e per un attimo aveva ipotizzato che fosse una figlia segreta non dichiarata, quindi… Sai com’è andata.»
«Tutte queste cose… come facevate a saperle?»
«Tuo padre le ha raccontate al mio, prima di…» Fece una pausa, chinando la testa. «Andrò per gradi. In qualche modo, è riuscito a trovare tutte le persone implicate, anche indirettamente, facendosi confessare poco alla volta i nomi di ciascuno di essi per potersi vendicare. Lui stesso si è fatto giustizia, con le proprie mani, credendo che se avesse atteso indagini ufficiali ci sarebbe voluto più tempo, che probabilmente non avrebbe portato ad alcun risultato. E quando ha finito…»
«Ha deciso di raggiungere mia madre», ho concluso per lui. 
Per quanto tutta questa storia mi sembri irreale, pazzesca, terribile, riesco a capirla. Riesco a comprendere cosa abbia spinto mio padre ad agire così. Al suo posto, probabilmente, avrei fatto lo stesso.
«Intanto, ti aveva affidato a noi. Mio padre è morto non sopportando tutte queste perdite, poco dopo che ti prendemmo in famiglia. Mia madre ha deciso di rispettare il volere di tuo padre, facendo sì che anche tu potessi vivere una vita diversa. Ha utilizzato l’ipnosi per farti dimenticare alcuni dettagli della tua vita. Ciononostante, non c’è riuscita col tuo nome. Tu ricordavi ancora di essere Tsubasa, eppure hai accettato anche di chiamarti Syaoran, pur non sapendo da dove provenisse quel nome.»
«Perché lo sentivo vicino. Lo sentivo familiare», ho spiegato con voce spezzata. Finalmente, tutto diventava più chiaro. La mia infanzia nebulosa, cominciava a rischiararsi.
«Devo confessare che ne rimanemmo tutti stupiti. Nonostante fosse chiaro che avessi i tuoi dubbi, e avessi consapevolezza dei buchi vuoti che costellavano la tua memoria, accettasti tutto senza alcuna lamentela.»
«Perché avevo fiducia in voi. Dal mio punto di vista, eravate stati una seconda famiglia. Una famiglia che non mi aveva abbandonato, alla morte della prima, ma che mi aveva accolto e cresciuto come se ne fossi parte integrante. Per questo ho sempre provato un’immensa gratitudine per voi.»
A questo Kimihiro ha abbassato lo sguardo, pentito.
«Devi scusarci se ti abbiamo mentito.»
«Lo avete fatto per proteggermi.»
Tutti hanno compiuto quelle azioni, fatto quelle scelte, per proteggere chi amavano. 
Me ne sono fatto una ragione, perché io stesso ho deciso che agirò di conseguenza. 
Ho chiesto, infatti, se si sa cos’è accaduto a Fei Wang Reed. Lui mi ha risposto che non se ne hanno più notizie da allora, e io sono giunto ad un’unica conclusione: quel codardo, prima ha rovinato la vita di decine di persone, e ora si sta nascondendo. Perché sento che questa storia non sia ancora finita.
Una luce alla fine di questo buio tunnel, tuttavia, c’è: avendolo appreso da sua madre, ho pregato Kimihiro di praticare una contro-ipnosi per ri-innescare i miei ricordi. Sono servite diverse sedute, ma alla fine sembro aver recuperato quasi tutto. E nell’agevolare questo processo, mi ha aiutato molto anche Sakura. 
Lei ha cominciato a ricordare in maniera del tutto spontanea e naturale i momenti trascorsi da bambini a Hong Kong, e si è resa conto che, stando insieme, essi ritornano a galla ancora più facilmente. Ora le basta anche una percezione, una sensazione, un suono o un particolare odore per innescare qualcosa di “nuovo”. Così, per aiutarla, e quasi come un modo per farsi perdonare – sebbene a parer mio di questo non dovessero affatto preoccuparsi –, i suoi genitori le hanno concesso di trascorrere diversi giorni con me, facendola trasferire da noi finché non avrà ritenuto di aver richiamato alla memoria abbastanza del nostro passato. E lei, naturalmente, ne ha subito approfittato. 
Quando sono andato a prenderla sprizzava felicità da tutti i pori, e non faceva che abbracciare, baciare e ringraziare i genitori, facendoli ridere. Ammetto che anch’io mi sono lasciato sfuggire una risata dinanzi a tutta quell’euforia, e quando loro se ne sono accorti hanno coinvolto anche me in quelle dimostrazioni d’affetto, avvolgendomi del tutto tra le loro braccia. In quel momento, mi sono sentito come se mi accettassero davvero. Come se mi considerassero come un altro figlio. 
Mi hanno poi lasciato per farci andare, ma prima che recuperassi le valigie di Sakura ecco che Touya-sama mi si è approcciato. Non sembrava convinto al cento per cento che quello che stesse per fare fosse la cosa giusta, ma dopo aver ricevuto una spinta dai genitori ecco che, a sua volta, mi strinse lievemente in un breve abbraccio, scusandosi per il suo comportamento e per le parole che mi aveva rivolto. 
Io gli ho risposto semplicemente che non ce l’avevo con lui, e che anzi, un po’ me lo sono meritato. Questo gli ha dato da riflettere a quanto pare, sebbene l’abbia interpretato totalmente a modo suo, perché dopo che io e Sakura siamo usciti lo abbiamo sentito sbraitare dall’interno: «Ma quindi significa che se la intendono per davvero?!» E tale esclamazione ha quasi fatto rotolare di risate Sakura. 
Quella sera era estremamente ilare, e tale è rimasta anche dopo aver salutato Kurogane-san e Fay-san, contenta di poter stare finalmente tutti quanti insieme. Quest’ultimo l’ha scortata a fare un rinnovato tour della casa, mostrandole in particolare le camere da letto per farle scegliere quella che voleva, ma lei ha detto che non c’era bisogno che nessuno di noi rinunciasse alla propria. 
Dinanzi alla nostra perplessità, visto che di certo non l’avremmo fatta dormire sul divano, lei ha dichiarato candidamente: «Dormirò con Syaoran, come sempre!»
A questo io sono leggermente arrossito, Kurogane-san ha scosso la testa sospirando – come se parzialmente se lo fosse aspettato –, mentre Fay-san ne è parso parecchio entusiasta.
«Approvato! Allora questa sera festeggiamo la nostra prima convivenza!» ha gioito.
Pertanto aveva deciso di preparare una cenetta luculliana, tutto per festeggiare la nostra ospite “d’onore”, facendole letteralmente brillare gli occhi quando ci siamo messi a tavola. 
Dopo mangiato, secondo lui, per celebrare ulteriormente bisognava anche fare un brindisi, e per potercelo permettere ha promesso che a noi avrebbe dato solo un bicchiere di spumante, affinché non finissimo con l’ubriacarci. Kurogane-san aveva assicurato che avrebbe fatto lui da guardia, per accertarsi che fosse realmente così, ma ormai mi ero fatto un’idea di quella che era la nozione di divertimento secondo Fay-san. E in ogni caso non era detto che noi non ci ubriacassimo con un solo bicchiere.
Come prevedibile, alla fine è riuscito ad averla vinta e, anche dopo un solo kanpai, io e Sakura ci siamo letteralmente attaccati alla bottiglia, quasi facendo una gara per vedere chi riuscisse a bere di più, con lei che poi se ne è scappata per tutta casa per fuggire dalle grinfie di Kurogane-san. Io non ho idea di cosa abbia fatto nel frattempo, fatto sta che il mattino seguente mi sono risvegliato nel mio letto, con Sakura accoccolata contro il mio fianco con aria serena, e anche se dopo essermi alzato ho chiesto come sia andata stavolta, loro hanno detto soltanto: «Quando stai insieme a Sakura-chan, ti comporti solo in maniera più allegra e leggera».
«E insensata», ha aggiunto Kurogane-san, passandomi un frullato di cavoli.
«Dettagli, è bello vederlo tanto spensierato.»
«Perché tu ti diverti», ha puntualizzato l’altro, sedendosi accanto a me. 
«La prima volta in cui bevemmo come mi comportai?» 
Entrambi si sono rivolti un’occhiata, quasi si chiedessero se fosse un bene rivelarmelo o meno. Alla fine Fay-san ha ceduto, confessando: «Sei diventato una specie di alcolista depresso. Continuavi a bere e piangere e dichiarare di sentirti pieno di incertezze, insicurezze, sembrando sull’orlo di una crisi di identità. Per questo abbiamo voluto evitare che ti capitasse dinanzi ad altre persone».
Tale notizia mi ha colto alla sprovvista. Non me lo aspettavo di certo, ma ho assicurato loro di stare bene.
Dopo poco ci ha raggiunti anche Sakura, sprizzante energia da tutti i pori. Ancora mi domando se sia normale reagire così agli alcolici; ma in ogni caso, l’importante è che non le facciano male. 
Da allora sono trascorsi quattro giorni e, dato che questo periodo corrisponde alle vacanze primaverili, posso anche stare sempre in casa con Sakura. Anche nei giorni in cui dovrei fare la spesa o le pulizie, Fay-san ha spesso costretto Kurogane-san a sostituirmi, in modo tale da non interrompere le sessioni terapeutiche con lei.
In realtà, ciò che stiamo facendo corrisponde ad una sorta di meditazione. Ci rintaniamo in camera mia, sedendoci sul letto, e ci aggrappiamo a qualcosa, qualunque cosa percepiamo o ci viene in mente, ripetendo ad alta voce tutto quello che riusciamo a ricordare. È così che sono riuscito a riscoprire gran parte del legame che ci unisce. 
Ho scoperto che non è accaduto tutto in poco tempo. Che nel periodo di tre anni, per molti mesi, la famiglia del primo ministro ha fatto avanti e indietro da Tokyo a Hong Kong, e che tutte le volte, che fosse con o senza i suoi genitori, Sakura si faceva accompagnare a casa nostra. 
«Adoravo stare in compagnia di tua madre», rievoca un pomeriggio, prossima alle lacrime.
«Lei ti viziava tantissimo.»
«È vero», ridacchia, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio e rivolgendo uno sguardo nostalgico al sole calante, al di là della finestra. «Sei riuscito a ricordare il nostro primo incontro?»
«Sì.»
L’ho ricordato, in ogni singolo dettaglio. La sera prima che ci conoscessimo, mio padre ci informò che il giorno seguente avremmo avuto degli ospiti a pranzo. Mi adoperai ad aiutare lui e mia madre con le pulizie della casa, e il mattino successivo mi svegliai all’alba, per poter dare una mano in cucina. Quando poi arrivarono mio padre andò ad accoglierli, mentre io mi assicuravo che non mancasse nulla a tavola. Fui affiancato da mia madre e con lei li raggiungemmo in sala, presentandoci.
C’erano tutti e quattro. Kinomoto-sama e sua moglie erano più giovani di adesso, Touya-sama era a malapena un adolescente, mentre Sakura era una bambinetta di soli 4 anni.
Quando ci presentammo e scoprimmo di avere lo stesso nome, fu una sorpresa per tutti.
Ci sedemmo a tavola, coi grandi che chiacchieravano animatamente, Nadeshiko-sama che si complimentava per qualsiasi cosa – il cibo, la casa, il giardino –, imbarazzando leggermente mia madre, Touya-sama che mi scrutava con una certa diffidenza e Sakura che invece mi sorrideva ogni volta che incrociava il mio sguardo. E quello, pensai, era un sorriso che non avevo mai visto prima, caldo come il sole.
Dopo mangiato continuò a ronzare intorno a me o a mia madre, mostrandosi particolarmente curiosa per ogni singola cosa. Per il nostro abbigliamento, per quella lingua “strana” con cui ci rivolgevamo l’uno all’altro in casa – lei allora riconosceva solo poche parole basiche in cinese –, per il nostro modo di fare e così via. 
Le volte successive, si recavano da noi o solo lei e sua madre o veniva accompagnata e poi lasciata a casa nostra. Quando io mi allenavo lei trascorreva tutto il tempo con mia madre, cucinando con lei, giocando con lei, facendosi insegnare nuove parole, cantando con lei, dipingendo con lei nel nostro enorme giardino, e così via. Quando invece ero libero trascorreva tutto il suo tempo con me, coinvolgendomi in qualsiasi cosa volesse fare. 
Ora ricordo in maniera piuttosto vivida anche il giorno in cui le ho fatto quella promessa, cui ha fatto riferimento sua madre.
Ci trovavamo in prossimità di uno degli stagni, su cui galleggiavano i fiori di loto in pieno splendore. Lei era stesa a pancia in giù, col mento appoggiato sulle mani, e sgambettava all’aria. Canticchiava a bocca chiusa una canzoncina in cantonese che aveva imparato da mia madre, sorridendo dinanzi a quei fiori rosati, e io la guardavo col cuore in gola. Avevo solamente 9 anni, eppure non potevo fare a meno di pensare che sarebbe stato bello se avessimo potuto essere amici per sempre. Se un giorno avessi potuto andare io in Giappone a trovarla, e vedere la sua casa. Se magari fossimo riusciti persino a frequentare la stessa scuola, così da poterci incontrare quotidianamente. E se era possibile un futuro in cui avremmo potuto stare insieme, io ero determinato: l’avrei sicuramente resa felice. 
La richiamai per dirglielo – allora mi appellavo a lei con “Tsubasa” soltanto, mentre lei mi chiamava “Tsubasa-kun”, come facevano i suoi. Mio padre la chiamava “Tsubasa-chan”, mentre mia madre – che aveva raggiunto un certo livello di confidenza con lei – era arrivata persino ad utilizzare il diminutivo “Tsu-chan”. E lei ne sembrava contentissima, tutte le volte in cui glielo sentiva dire.
Si voltò quindi nella mia direzione, e con lo spostarsi della sua testa anche le alte codine che le avevano fatto le dondolarono accanto al viso, incorniciandoglielo in maniera morbida. Mi guardò in attesa e io le sorrisi, posando una mano sulla sua, promettendole: «Qualunque cosa accadrà in futuro, io ci sarò per te. Ti prometto che ti proteggerò. Lo farò per sempre».
Lei mi guardò spiazzata, arrossendo sulle guance, prima di sorridere a trentadue denti, mettendosi seduta composta. 
«Anche io, ti prometto che sarò per sempre tua amica.»
Fu una frase semplice, ma non poteva neppure immaginare quanto potesse rendermi felice. Pensare che risale a soli dieci anni fa… Eppure, i miei sentimenti non sono affatto cambiati.
Dopo che mi ebbe rivolto anche lei quelle parole, per sancire ulteriormente quella promessa allungai il mignolo destro, incrociandolo al suo. Facendo sì, in tal modo, che diventasse infrangibile.
«E ricordi quando mi promettesti che mi avresti protetta per sempre?»
La guardo, sorridendole rasserenato.
«Ci stavo ripensando giusto adesso.»
Lei mi fissa stupita, emettendo poi un leggero risolino. 
«Bene. Posso confessarti una cosa?»
Annuisco, incuriosito, e lei mi fronteggia con le gote rosse, sembrando imbarazzata.
«Hai presente, no, che mia madre ne è a conoscenza…»
«Sì.»
«È perché quando mi venne a prendere quel giorno non riuscivo a smettere di parlargliene, troppo esaltata, e le posi una domanda.» Fa una piccola pausa, avvampando maggiormente, tanto che persino le sue orecchie – ora scoperte perché ha alcune ciocche di capelli tirate indietro da delle forcine – ne sono travolte.
Attendo che si faccia coraggio, ma mormora qualcosa in un tono talmente basso, impacciato e nervoso che non afferro neppure una parola.
«Puoi ripetere?» le chiedo perplesso.
Lei mi guarda con iridi lucide, infiammandosi ancora di più, facendosi totalmente tesa.
«Le avevo chiesto se quella frase non significava che… che mi stavi promettendo che un giorno mi… mi avresti sposata», completa tutto d’un fiato, lasciandomi completamente basito. 
«Ridicolo vero?» ridacchia nervosa, spostando lo sguardo sulle sue dita, posate sulle ginocchia. «Non farci caso, avevo solo sei anni…»
Sorrido intenerito, prendendo le sue mani tra le mie, guardandola convinto. 
«Se non hai cambiato idea, sì.»
Sgrana occhi e labbra, sembrando incredula. 
«D-dici sul serio?»
Faccio un cenno con la testa, chinandomi di poco per baciarle l’anulare sinistro, là dove un giorno avrei riempito quel vuoto con la promessa dell’eternità. 
«Mi faresti quest’onore?»
«Certo che sì!» Mi si tuffa tra le braccia, felicissima.
La stringo a me, e lei mi si accoccola comodamente contro, giocherellando con una ciocca più lunga dei suoi capelli. A quanto mi ha detto questo è il taglio che ricorda portava mia madre, e ha deciso di replicarlo in suo onore, visto che finalmente abbiamo ricordato tutto. A mio parere, che li abbia corti, medi o lunghi, resta sempre bellissima.
«Lo sai che potremmo anche già sposarci? Scommetto che i miei acconsentirebbero.»
Mi guarda con astuzia e io scoppio a ridere, ammettendo: «Loro probabilmente sì, tuo fratello mi ucciderebbe seduta stante». 
Gonfia le guance, stizzita, e io gliele sgonfio con gli indici, divertito. 
«Ci tieni tanto?»
«Mh. Vorrei accadesse il prima possibile», sussurra, tornando nel mio abbraccio, stringendomi ancora più forte. «Però posso aspettare. Ho atteso tutto questo tempo per rincontrarti, cosa saranno mai altri tre anni?»
«Solo tre anni», ripeto, lasciandole un bacio tra i capelli. 
Sakura ha ragione. Abbiamo atteso nove anni per rincontrarci, e ora che stiamo finalmente insieme tre anni voleranno.










 
Spiegazioni:
- i wagashi sono dolcetti tradizionali giapponesi, spesso serviti col tè verde, creati solitamente nella forma di elementi che richiamano la stagione (es. ciliegi in primavera, foglie d'acero in autunno).
- "kanpai" è l'equivalente del nostro "cin-cin" quando si brinda.
- alla fine si parla di 3 anni affinché Sakura possa raggiungere la maggiore età e prendere decisioni autonome senza che Touya si lamenti; quindi deve arrivare a compiere 20 anni, anche se dall'anno prossimo verrà abbassata a 18. Tuttavia, tenete in conto che questa storia è stata scritta tra il 2018 e il 2019, quindi se ci sono riferimenti a cose realistiche risalgono a quel periodo.

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Capitolo 31
*** 30 ***


XXX



 
 
 
Quello stesso fine settimana abbiamo deciso di andare nel quartiere di Nakameguro per poter fare lo Hanami. Sarebbe la prima volta per Sakura dopo tanto tempo, perciò non vede l’ora, e dato che sente la mancanza dei miei amici ci siamo organizzati anche per poter trascorrere un’intera giornata con i ragazzi, standocene per Shibuya. Per comodità ci siamo dati appuntamento davanti alla statua di Hachiko, dove abbiamo trovato appollaiato tra le sue zampe un gatto a dormirvi. Le ragazze sono letteralmente impazzite vedendolo. Non ho idea di quante fotografie vi abbiano scattato, da almeno cinque angolature diverse, compresi selfie appositi.
Sono lieto comunque di vedere che, nonostante i continui travestimenti cui deve sottoporsi, Sakura sembra sentirsi molto più a suo agio rispetto alle volte precedenti. 
Successivamente ci siamo recati nello “Shibuya 109”, per dare la possibilità alle ragazze di dedicarsi un po’ allo shopping – attività in realtà apprezzata anche da Ryūō e Shōgo, che approfittano immediatamente dell’unico negozio dedicato all’abbigliamento maschile per acquistare giacche nuove di zecca. Avrei preferito essere accanto a Sakura, ma dato che oggi oltre Suzuran-san e Shidō-san si sono aggiunte Hōōji-senpai (grande è stata la mia sorpresa quando ho scoperto che le tre sono migliori amiche) e Ryūzaki-san, quest’ultima me l’ha letteralmente portata via, imponendomi di lasciarla un po’ sola tra donne. Fortunatamente Suzuran-san mi ha garantito che le avrebbe tenute d’occhio, seppure anche lei mi abbia rimbrottato per il fatto che non la lascio mai respirare. Davvero sono così importuno e invadente?
Rivolgo questo quesito ai ragazzi mentre si provano le giacche, con Ryūō che sghignazza beffardo.
«Naaah, sei solo iperprotettivo.» E questo mi è stato detto anche in precedenza.
«È anche naturale che sia così, visto che è la sua prima ragazza», interviene Shōgo, rivolgendomi un piccolo sorriso compiacente.
«È così palese?»
«Siete tanto lovey-dovey», conferma Ryūō, punzecchiandomi apposta. 
Lo spingo via, ridendo, ammonendolo a non prenderci in giro – anche perché non vorrei che Sakura poi si sentisse troppo in imbarazzo –, proprio mentre Shōgo mi posa in testa un’altra giacca. 
«Provati un po’ questa», consiglia, attendendo a braccia conserte. 
È nera e di pelle, lunga fino alla vita. La indosso e mi accorgo che, nemmeno conoscessero le mie misure, mi calza a pennello: non è né troppo larga né troppo stretta.
«Ti sta bene», commenta, con Ryūō che annuisce convinto.
«Aha! Vedo che anche voi vi state divertendo!»
Ci voltiamo alle nostre spalle, notando Ryūzaki-san e Suzuran-san. 
Guardo oltre le loro teste, alla ricerca di Sakura, ma intercettando il mio sguardo Suzuran-san mi si pone davanti, posandomi una mano su una spalla.
«Hana-chan sta misurando dei vestiti con Hikaru-chan e Fuu-chan, ma ci serve il tuo aiuto.»
Non faccio in tempo a ribattere che aggiunge: «Ti accompagna Umi-chan da loro, io devo discutere di alcune cosette coi ragazzi».
E detto ciò li guarda entrambi con complicità. Che staranno escogitando? 
Prima che possa provare ad indagare Ryūzaki-san mi porta via di lì, facendomi salire di qualche piano.
Entriamo in un negozio fortunatamente meno affollato degli altri, e da una rapida occhiata mi rendo conto che i capi sono firmati ma non hanno costi eccessivi. Non che per Sakura ciò rappresenti un problema, ma agli occhi degli altri risulterebbe sicuramente sospetto. 
Mi conduce direttamente fino ai camerini e ci fermiamo dinanzi ad uno di essi, affianco alla senpai, con Ryūzaki-san che ci annuncia alle altre.
«Eccoci arrivati!»
Dalla tenda fa capolino Shidō-san, uscendone poi tutta contenta. 
«Com’è?» ci chiede, facendo una piroette.
Indossa una minigonna nera molto striminzita con una blusa rossa a giromanica, dal pattern a scacchiera.
Ryūzaki-san non sembra approvare, mentre io commento che è proprio da lei – il che sembra farla gioire, visto che poi chiede ad una beffarda Hōōji-senpai di scattarle una foto per mandarla a Lantis-san, per chiedere anche a lui un parere.
È proprio mentre le rende il telefono che Ryūzaki-san domanda: «E Hana-chan?»
Shidō-san punta verso la tenda adiacente alla sua, rattristata: «Dice che si vergogna».
Guardo la senpai e lei si stringe nelle spalle. «A quanto pare è più timida del previsto. Ciò non toglie che sia una ragazza adorabile.»
Ryūzaki-san alza gli occhi al cielo, sembrando spazientita, e si affaccia nel suo camerino. Ne fuoriesce impettita, tirandola per un braccio, nonostante le sue rimostranze.
Una volta fuori, Sakura incrocia il mio sguardo e avvampa, voltandomi immediatamente le spalle. 
Non capisco perché si vergogna tanto, visto che è ben coperta, in maniera non molto dissimile dalla prima volta in cui l’ho rincontrata, in biblioteca. Indossa, infatti, una gonna ad alta vita lunga fino alle caviglie, color salmone, e sopra una camicetta bianca decorata con fiori di pizzo. 
Hōōji-senpai si complimenta per come le sta, aggiustandole un po’ la camicia sul davanti, e la invita a fare un giro su se stessa per mostrarsi; ma a questo, Sakura scuote vigorosamente la testa, incrociando le braccia sul petto.
«N-non posso…»
«Perché no?»
«P-perché… è semitrasparente…»
Ryūzaki-san la fissa poco convinta per un attimo, ma poi sghignazza con astuzia, voltandola verso di me.
«Syaoran-kun, ti sembra semitrasparente?»
Scuoto la testa, non vedendo assolutamente niente. Sakura mi fissa incerta, e io le comunico con gli occhi ciò che penso: “Se ti senti a disagio, non sei tenuta a comprarla”.
Lei fa un piccolo cenno col capo, ciononostante sembra acquisire coraggio, perché alla fine fa il mini giro su se stessa per mostrare il completo.
«Ti sta bene», commento, aggiungendo: «Mi ricorda quel giorno in biblioteca». 
Le sue iridi si illuminano e sul suo viso prende vita un ampio sorriso. 
Corre a cambiarsi – forse ha cambiato idea e ha deciso di prenderli? – e nel frattempo Ryūzaki-san mi si accosta, sospettosa.
«Atti osceni in luogo pubblico?» bisbiglia, morendo evidentemente di curiosità.
«Prego?»
«“Quel giorno in biblioteca”», ripete con malizia, facendomi arrossire. 
Ma perché giungono tutti a quel genere di conclusione? 
«Credimi, è una cosa più innocente di quanto possa sembrare.»
Fa un sospiro, intrecciandosi le dita dietro la schiena.
«Ti credo, sei un ragazzo abbastanza responsabile e serioso. Certe cose non le faresti in una biblioteca.»
Mi astengo dal commentare alcunché, e fortunatamente interviene per me Hōōji-senpai, ricordando: «Ah! È forse la ragazza che cercava “Peter Pan”?»
Oh cavolo…
Penso in fretta a come spiegarmi, ma lei si rallegra tutta.
«Allora avevo ragione, la conoscevi!»
«Aspetta, quindi tu hai incontrato Hana-chan prima di noi?!» si stupisce Ryūzaki-san.
Hōōji-senpai annuisce, raccontandole tutta la vicenda, e si aggiunge alla conversazione anche Shidō-san, che intanto era andata a cambiarsi.
Quando sembrano finire coi loro pettegolezzi Ryūzaki-san mi adocchia interessata per un micro-istante, prima di esclamare: «Hana-chan, visto che sei così snella, perché non provi un pantaloncino?»
Shidō-san non attende risposta e corre via, annunciando con gaiezza: «Vado a cercarne uno!»
Torna dopo meno di un minuto, mostrandone uno di jeans slavato, anche questo con fiorellini variopinti ricamati su un lato.
«È l’unico che ho trovato che le vedrei bene addosso», spiega, passandoglielo insieme ad una maglia a maniche lunghe a tinta unita.  
«Non è troppo corto?» le chiedo appena torna da me, non approvando del tutto.
Lei annuisce, sorridendo con candore.
«L’ho scelto apposta.»
Dopo questa risposta, sono ancora più convinto che non capirò mai le donne e il loro modo di ragionare. 
Preferisco tacere, in attesa; nel frattempo Ryūzaki-san si complimenta per la scelta, carezzandole la testa come fosse un gatto, e si vanta della camicetta che aveva selezionato prima per Sakura. Hōōji-senpai le ascolta distrattamente, impegnata nella registrazione di un audio al suo ragazzo, per informarlo che quella sera sarebbe stata disponibile per uscire.
Dopo non molto tempo Shidō-san chiede a Sakura se ha fatto e lei ne fuoriesce, fronteggiando direttamente le ragazze.
«Ero certa che le sarebbe stato bene!» gioisce Shidō-san.
Hōōji-senpai posa in borsa il telefono, aggiungendosi: «Sei carinissima Hana-chan».
Lei arrossisce e ringrazia, mentre Ryūzaki-san annuisce soddisfatta.
«Ottima scelta Hikaru, le fa proprio un sedere stupendo.»
«U-umi-saaan», si lamenta Sakura, portandosi le mani al viso. 
Fingo di non aver sentito, né ascolto i successivi giudizi delle altre due, concentrandomi su altro.
Noto che all’interno del camerino ci sono altre pile di vestiti, sia sul pouf che sulle grucce. Ma quanti se ne stanno provando?
«Syaoran-kun, tu che dici?»
Un tantino riluttante mi rivolgo a loro, lanciando una breve occhiata a Sakura, sentendomi immediatamente contrariato. Le si vedono, praticamente, tutte le gambe, e anche la maglietta, per quanto non sia attillata, ha lo scollo abbastanza ampio e le lascia una parte di spalle scoperte. Paradossalmente, però, stavolta lei sembra sentirsi più a suo agio, perché semplicemente mi guarda in attesa, piegando la testa su un lato.
«Oh giusto! Hana-chan girati, o non può guardare dietro.»
Lei le asseconda, mentre sghignazzano.
Rivolgo loro un’occhiataccia, prima di tornare da Sakura, notando che la maglia dietro è scollata allo stesso modo, lasciandole scoperta la nuca e parte delle scapole. Abbasso lo sguardo, dovendo dare ragione a Ryūzaki-san, prima di sviarlo, non pronunciandomi.
«Non sembra approvare», si dispiace Hōōji-senpai.
«Mi sta tanto male?» domanda Sakura guardandomi sconvolta, con le lacrime agli occhi.
Oh no.
«Non è che ti stia male», provo a spiegarmi, chiedendomi intanto come posso arrivare al punto senza essere troppo diretto.
«Non dargli retta Hana-chan», interviene Ryūzaki-san, sospirando con drammaticità. «È la gelosia a parlare.»
Sakura mi guarda ancora più confusa e io serro le labbra, rifiutandomi di rispondere. Tra l’altro, non posso fare a meno di chiedermi come sia possibile che fino a poco fa si vergognava di una camicia che a detta sua è semitrasparente – che poi lo ammetto, un po’ le si notava il reggiseno, ma solo perché ne indossa uno scuro, altrimenti sono certo che passerebbe del tutto inosservato – mentre ora che è praticamente mezza scoperta si sente completamente a suo agio. 
Va a cambiarsi un po’ perplessa, senza aggiungere altro, e io intanto trucido con lo sguardo le ragazze, che fanno finta di non notarlo, chiacchierando spensieratamente tra di loro. 
Fortunatamente dopo poco, riscuotendomi da quest’umore cupo, Sakura esce nuovamente dal camerino, indossando quello che scopro essere l’ultimo vestito di quella mini sfilata.
Non è troppo lungo né troppo corto, le arriva un po’ sopra il ginocchio. Sfuma dal blu notte fino a diventare turchese, con la gonna ricoperta da un sottile strato velato pieno di brillantini, tanto da sembrare un cielo stellato. Ha un nastro di raso in vita chiuso in un fiocco sul davanti, la parte che le fascia il petto arricciata, bretelle sottili e al di sotto indossa una magliettina bianca come una nuvola dalle maniche a sbuffo, lunghe fino al gomito, con un fiocchetto blu al centro della scollatura circolare.
Stavolta mostro piena approvazione e anche lei, con maggiore spensieratezza, fa un giro su se stessa, mostrando come le si alzano le gonne se rotea. Da bambina aveva l’abitudine di farlo sempre, ogni volta che indossava un vestito, e mi rivelò che apposta se ne faceva acquistare di quelli con le gonne più larghe possibili, per creare cerchi più ampi.
Va quindi a cambiarsi contenta, e le ragazze per qualche ignota ragione spariscono, mollandomi lì con lei. Ne approfitto per parlarle, appoggiandomi contro la parete affianco al camerino. 
«Hana, mi senti?»
«Sì?» 
Il suo tono è un po’ affrettato, e quasi sparisce sotto il rumore dei vestiti spostati. 
«Ti stai divertendo?» mi accerto, come al solito. Ho sempre questo bisogno di essere sicuro che lei non si stia soltanto sforzando di stare con tutti noi.
«Tantissimo!» conferma. «Sai che la gonna che indossavo prima l’ha scelta Fuu-san?»
«Lo avevo immaginato.»
Rispecchiava perfettamente i suoi gusti. 
«Ha detto che me la faceva provare per vedere se acquisivo un’aria matura», ridacchia. «Ne è parsa abbastanza soddisfatta.»
«Direi.»
Dò una rapida occhiata ai clienti, notando che le tre stanno facendo la fila in cassa. Che stiano prendendo tempo per Sakura?
Avverto uno spostamento e mi volto, trovandola ad uscire dalla tenda alle prese con una montagna di vestiti; ne afferro prontamente una parte, proponendomi di aiutarla a rimetterli dov’erano.
Quando finiamo e stiamo per andare anche noi alla cassa le ragazze ci anticipano, togliendole i vestiti che ha scelto dalle mani e sostituendoli con una busta.
«Da parte di tutti!» esclamano in coro.
Sakura rimane spiazzata per lunghi istanti, prima di realizzare le loro parole.
«Ma non… non dovevate…» mormora commossa. 
Ryūzaki-san mi passa i vestiti extra per farmi andare a metterli a posto, e mentre mi allontano le vedo tutte saltellare felici e abbracciarsi. Risollevato poso le stampelle insieme alle altre, per poi tornare da loro. 
Una volta fuori torniamo al pianterreno, dove i ragazzi e Suzuran-san già ci stanno aspettando. Sorprendentemente anche loro passano una busta a me, da cui intravedo la giacca che mi avevano fatto misurare, e tutti e cinque ci fronteggiano spiegando: «Regali in anticipo per il vostro compleanno!»
Li ringraziamo entrambi e, mentre procediamo, capisco perché quando ho chiesto loro se volevamo vederci oggi hanno insistito tanto per sapere la data del compleanno di Sakura. Inutile dire che sono impazziti nella chat quando ho detto che era lo stesso giorno del mio, considerandolo destino. Probabilmente hanno ragione, questo non può che essere destino. 
Hanno comunque dato per scontato che lei quel giorno sarebbe tornata in provincia e non ci sarebbe stata; quindi, a quanto pare, hanno astutamente approfittato di quest’occasione.
Dopo una breve passeggiata, per la gioia di tutti saliamo fino al quarantaseiesimo piano dello Shibuya Scramble Square, da cui è possibile accedere allo “sky stage”. Si tratta di un’enorme terrazza da cui è possibile godere a 360 gradi della vista di Tokyo. Sakura e Shidō-san se la girano tutta, correndo mano nella mano piene di entusiasmo, e tutte insieme scattano gioiose una decina di fotografie. 
Per pranzo mangiamo in un ramen-ya – ormai si sono convinti che questo sia il suo cibo preferito, vista la sua reazione la volta scorsa –, mentre il pomeriggio, dopo un altro breve giro tra negozi, ci rechiamo in un altro locale chiamato “Shiawase no pankeeki”, che a detta di Hōōji-senpai fa i migliori pancake di Tokyo, i più alti e soffici. Non appena Sakura ha sentito ciò i suoi occhi hanno cominciato a brillare talmente tanto che il loro luccichio si vedeva persino dalle lenti scure. Per cui siamo entrati e ci siamo fatti portare quello classico che offriva il locale, con due pancake ricoperti di zucchero a velo, panna, fragole e nocciole tritate.
Una volta mangiato anche il dessert – direi che, per la concezione che ne ha Sakura, lo si può tranquillamente definire un pasto completo adesso –, ci rechiamo lungo il fiume Muguro, dove a sorpresa troviamo Kurogane-san e Fay-san a bere un cocktail, seduti ai tavolini di un bar.
Quando ci intravedono Fay-san ci chiama ad alta voce, facendoci segno di raggiungerli, e io ne approfitto per presentargli i ragazzi. Ho parlato di loro quando ho dovuto spiegare con chi dovessimo vederci, e devo dire che sembravano abbastanza fieri del fatto che io mi fossi creato amici tanto cari nel giro di un anno. Shōgo, Ryūō, Suzuran-san e Shidō-san li ho conosciuti, infatti, durante il mio soggiorno in America; anche loro erano lì con borse di studio offerte dai loro licei, e poi ero stato presentato ai loro amici. Era solo stata una grande fortuna che alla fine avessimo deciso di venire tutti a Tokyo, iscrivendoci nella stessa facoltà – seppure ad indirizzi diversi. 
Quasi ci fossimo messi tutti d’accordo, non appena ci spostiamo su un ponte incrociamo anche Kimihiro con i suoi due migliori amici, Doumeki e Kunogi-san. Entrambi sono lieti di vedermi, visto che non ci incontriamo da tempo, e io presento tutti a tutti, eccetto Sakura a Kimihiro, visto che lui dovrebbe già essere amico di “Hana”. E difatti, senza che io gli dica niente, ecco che la abbraccia come se fosse una cara vecchia amica, felicitandosi di rivederla. Lei riesce a fingere con altrettanta naturalezza, sebbene io sappia che la sua gioia è del tutto reale. Non vedeva l’ora di incontrare “mio fratello”. Entrambi abbiamo deciso che, nonostante io ora conosca la verità, per me lui resterà per sempre il mio onii-san. Così come io sarò sempre il suo otouto. 
Dopo qualche ora ognuno si separa, andando per la propria strada. S’è fatto già buio, e le lanterne sul fiume sono state accese, creando un effetto arancio-rosato che pullula di magia. 
Io e Sakura ci attardiamo lungo le sue sponde incorniciate dai ciliegi in fiore, stando mano nella mano, e passeggiamo sotto le loro immense corolle, finché non mi dirà che sarà stanca e vorrà rincasare. Lascio che le sue allegre chiacchiere mi riempiano i pensieri, osservando spensierato a tratti lei e i rami che, scendendo dolcemente sul fiume, creano suggestive cascate. Di tanto in tanto il vento ne fa volare i petali, contornando i nostri capelli, e ogni volta che succede e ce li togliamo Sakura ride deliziata, alla fine arrendendosi.
«Lasciamoceli, ci donano», commenta, acconciandomeli persino meglio. 
Mi appoggio alla balaustra per abbassarmi, in modo tale da agevolarla, lasciandola fare. 
Quando finisce mi scatta una fotografia, mostrandomela tutta soddisfatta.
«Guarda, sembra una coroncina!»
«È vero», riconosco, facendomi scappare una piccola risata.
Sorride a trentadue denti, sembrando felice e fiera di sé, prima di appoggiarsi contro una mia spalla, guardando i fiori caduti sulla superficie dell’acqua. 
Cerco di farla stare più comoda e trascorriamo chissà quanti minuti così, in semplice contemplazione del paesaggio. È come se fossimo completamente soli, circondati da questi fiori, che sembrano coprirci agli occhi del mondo. Non esistono più voci, non esistono più persone.
Improvvisamente, ci siamo soltanto io e Sakura, che esclama: «Guarda, lì c’è un’apertura che sembra formare un cuore!»
Seguo la direzione del suo dito, verso l’alto, e in effetti vista la conformazione dei rami e la loro inclinazione, sembrano proprio creare una sorta di cuore riempito dal cielo notturno. 
Confermo con un mormorio, voltandomi, e la trovo con lo sguardo fisso su di me. La sua espressione è sognante. 
Le sorrido, carezzandole una guancia, e lei si apre in un piccolo sorriso, prima di sollevarsi sulle punte, chiudendo gli occhi. Mi abbasso, incontrando finalmente le sue labbra con le mie.
Non c’è bisogno di dirci nulla. Non c’è bisogno di prepararci, perché entrambi siamo pronti a questo momento da sempre. E questo contatto, cerchiamo di farlo durare il più a lungo possibile, avvolti in una coltre di ciliegi.










 
Angolino autrice:
Buongiorno! Come state? 
Scusate se ci metto tanto per aggiornare. State tranquilli, non ho abbandonato né dimenticato la storia, solo che ultimamente sono presa da diverse cose e - a quanto pare - la mia memoria è diventata molto a breve termine (che posso dire, sono gli effetti della "vecchiaia").
Bando alle ciance, passo subito alle spiegazioni.
"Hanami" significa letteralmente "guardare i fiori", e si riferisce alla tradizionale usanza di godere la fioritura dei ciliegi in primavera, uscendo o facendo picnic al di sotto di essi.
Shidō
Hōōji e Ryūzaki sono rispettivamente Hikaru, Fuu e Umi di MKR. Mi rendo conto che qui ci sono molti personaggi, ma conto sul fatto che gli altri possiate riuscire a riconoscerli, essendo chiamati per nome. L'unica che forse devo specificare è Kunogi, che sarebbe Himawari (di Holic).
Il "ramen-ya" è il ristorante che offre unicamente ramen e "Shiawase no pankeeki" significa "I pancake che rendono felici/della felicità". I luoghi, ovviamente, sono verosimili, ma non al 100% corrispondenti alla realtà, e ricordo che molte cose sono inventate. 
Per quanto riguarda le relazioni familiari, "onii-san" è il fratello maggiore, "otouto" è il fratello minore. 
Credo di aver spiegato tutto, ma se dovessero rimanere dei dubbi non esitate a scrivermi. 
Ringrazio chi ancora segue questa storia, spero che vi stia piacendo.
Buon weekend!
Steffirah

 

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Capitolo 32
*** 31 ***


XXXI



 
 
 
In occasione del nostro compleanno i coniugi Kinomoto ci hanno fatto un regalo del tutto inaspettato. Proprio due giorni prima, il trenta marzo, dopo che ho riportato Sakura a casa ci hanno consegnato due buste da lettere chiuse. Le abbiamo aperte incuriositi, e nella mia ho trovato solo un foglietto con su scritto un indirizzo. È quando ho letto il nome della città che ho sgranato gli occhi, guardandoli senza parole. 
Entrambi mi hanno rivolto uno sguardo addolcito, mentre Sakura è saltata loro al collo, ringraziandoli di cuore, voltandosi poi verso di me per mostrarmi un biglietto, gasata.
L’ho preso dalle sue dita, col cuore in gola e la mano tremante, vedendoci sopra il numero di due stanze d’albergo di Hong Kong, prenotate per l’indomani. 
«Abbiamo pensato che potesse essere un buon regalo per entrambi, farvi ritornare alle origini. Anche se non sappiamo in che stato potresti ritrovare casa tua…» s’è rammaricato il primo ministro.
«Kimihiro ha detto che hanno fatto sì che venisse pulita periodicamente, da anni, anche se ufficialmente non ci vive più nessuno. Secondo la gente è una casa abbandonata, ma Yuuko-san ha voluto preservarla per me, nel caso in cui un giorno avessi voluto ereditarla…» ho spiegato con un filo di voce.
«Ti spetta di diritto», mi ha ricordato Nadeshiko-sama, posandomi una mano su una spalla, quasi cercasse di infondermi coraggio. 
Ho annuito a questo. Stavo già pianificando di tornarci un giorno, per capire meglio la situazione e assicurarmi che, effettivamente, non ci fosse più alcuna minaccia, visto che ancora non ne abbiamo una sicurezza; ma proprio per questo, non avevo intenzione di andarci con Sakura. Non ancora almeno.
«Sappiamo cosa stai pensando.»
Kinomoto-sama si è intromesso nei miei pensieri, affrontandomi a testa alta.
«Le hai promesso di proteggerla, no?»
Mi sono raddrizzato, annuendo determinato.
«La proteggerò sempre, a qualunque costo.»
«E tu non permetteresti mai che le succedesse qualcosa di brutto, giusto?»
«Assolutamente.»
«In tal caso, non c’è alcun pericolo.» Si è aperto in un gran sorriso, aggiungendo: «Verranno anche i tuoi coinquilini con voi, così magari puoi sentirti più tranquillo».
In effetti, sapere che ci sarebbero stati anche Fay-san e Kurogane-san mi ha parzialmente rincuorato; eventualmente, mentre io avrei indagato sarebbero rimasti loro con lei. 
A quel punto ho acconsentito, e così ora, dopo un breve volo nel loro jet privato, eccoci a Hong Kong. 
I coniugi ci hanno prenotato le due camere come misura preventiva, presa finché io non mi sarei fatto coraggio per affrontare la verità, recandomi nel luogo del mio passato. In realtà è stato superfluo, per cui ho detto chiaramente loro di farsi rendere i soldi, quando ci siamo salutati prima di partire.
Non c’è alcuna esitazione in me. Voglio andare a casa. Non voglio soltanto visitarla. Voglio viverci. Voglio riprovare le stesse sensazioni che ho provato in passato. Voglio ritrovare la mia identità perduta. Anche a costo di annegare nei miei stessi ricordi, non c’è altro che io desideri. 
Ci rechiamo lì in un’auto presa a noleggio guidata da Fay-san, con Kurogane-san che ogni tre per due lo rimprovera di guardare la strada invece di ammirare il panorama, già parzialmente nervoso per il fatto che debba tenersi lui la gabbietta con Mokona sulle gambe. Ammetto che, nonostante tutto, mi sento irrequieto. Fortunatamente, un po’ Sakura con la sua mano posata nella mia e un po’ i due con i loro siparietti comici riescono a distrarmi, fino al momento in cui Fay-san parcheggia in prossimità di un vialetto, in una zona sopraelevata, distante dal caos cittadino. Sembra quasi trovarsi in un’altra dimensione, in un altro mondo. 
Prendo un respiro profondo e mi decido a scendere dall’auto, con Sakura che immediatamente mi affianca, stringendo la mia mano nella sua, guardandomi con fermezza. Le faccio un cenno, esprimendole così la mia gratitudine per essere al mio fianco, e ricambio la stretta, mentre con gli altri lo faccio a parole.
«È un momento molto importante per me, quindi grazie davvero. Grazie per essere qui.»
«Non ringraziarci, siamo qui perché noi stessi volevamo esserti di supporto, in qualche modo. Non credere sia soltanto perché c’è stato chiesto dal primo ministro.»
Scuoto la testa, sorridendo a Fay-san che è appena venuto ad abbracciarmi. 
«Non l’ho mai pensato.»
«Bene così», conclude secco Kurogane-san, scompigliandomi i capelli, per poi prendere le nostre valigie, ordinando all’altro di aiutarlo. 
Fay-san sorride tra sé, commentando sottovoce: «Non riesce mai ad essere più onesto, eh?», prima di fischiettare come se nulla fosse, aiutandolo senza lamentarsi.
Io e Sakura ci scambiamo un’occhiata divertita, finché l’ansia non torna a colpirmi. 
Alzo lo sguardo verso quell’altura, vedendo il sentiero sollevarsi lungo il pendio, finché non giungiamo dinanzi ad un grosso cancello in stile tradizionale, affiancato da delle mura.
Deglutisco a fatica, serrando le dita attorno alle chiavi che mi sono state consegnate da Kimihiro ieri sera. Nonostante l’agitazione, mi accorgo che Sakura si guarda attorno piena di meraviglia. 
«C’è qualche speranza che i pruni siano ancora in fiore?» si interroga ad alta voce, mentre sorride ai piccoli germogli che spuntano dal terreno ai nostri lati. 
«Non saprei dirlo con certezza… Gli altri fiori sicuramente saranno ancora chiusi.»
«Che peccato», si rammarica per un minuscolo istante, prima di illuminarsi di nuovo: «Ma anche se il tuo giardino non sarà pieno di colori, come nei miei ricordi, non fa niente! Ne vedrò una nuova versione!»
Provo a ricordare com’era in questo periodo, ma per ora i ricordi più intensi che ho sono solo quelli che ho condiviso con Sakura. Proprio perché lei stessa mi ha aiutato a ricordare. A quanto pare, ha fatto più tesoro di me delle sue memorie. 
Rivolgo poi uno sguardo ai miei coinquilini, cercando consenso, e ad un loro cenno apro il cancello.
Sento Sakura trattenere il fiato al mio fianco, e più o meno ne capisco la ragione. Al di là di una selva fatta di cespugli e alberi, non ancora completamente ricoperti di foglie, si può già scorgere una casa grandissima.
Mi avvio con Sakura, guardandomi intorno, in cerca di segni di familiarità. Intravedo i pruni di cui parlava lei, con ancora pochi fiori che, stranamente, hanno resistito alla forza del vento, senza cadere, e lei ne gioisce. 
Mi trascina fin lì, contando i pochi rimasti che ancora vestono quei rami altrimenti completamente spogli, felicitandosi. 
«È meraviglioso! Come se ti stessero dando il bentornato, Syaoran!»
E a questo il mio cuore salta un battito, avendo detto la parola in cantonese. Le sorrido grato, voltandomi verso la casa. Mi ci accosto in fretta, anche per non far attendere troppo gli altri coi bagagli, e usando un’altra chiave apro la porta, entrando.
Come ha detto Kimihiro, tutto è lindo e pulito. Le superfici risplendono, tanto che sembrano essere state appena lucidate, così come nei vasi sui mobili e sui bassi tavolini ci sono fiori ancora freschi. Tutti gli oggetti sono privi di polvere, compresi i tappeti, i quadri sulle pareti, l’arredo… È tutto perfetto, come se qualcuno ci vivesse davvero. 
Fay-san e Kurogane-san si avvicinano incuriositi alle statuette dei due leoni guardiani posti accanto all’ingresso, soprattutto il primo che non ha idea di cosa siano. Glielo spiego, prendendo del tempo a guardare tutto ciò che mi circonda. Ora mi sento come se non avessi mai lasciato questo posto. Eppure, allo stesso tempo, sento che è diverso.
«Questi sono i tuoi genitori?» domanda Fay-san, spostandosi verso una delle cornici affisse nel corridoio.
In mezzo a rotoli e dipinti, ci siamo anche noi tre. Anche se in questa foto ero nato da poco. 
Faccio un cenno di assenso, spostando lo sguardo su mio padre e mia madre, sentendoli improvvisamente vicini.
«Sei identico a tuo padre», osserva Kurogane-san.
«Me lo dicevano spesso. Anche mia madre diceva che ero uguale a lui da bambino, sin dalla mia nascita.»
Mi rendo conto che la mia voce si sta incupendo, per cui mi sposto di lì, aprendo le porte di tutte le stanze che trovo. Cucina, soggiorno, lo studio di mio padre, le camere da letto nostre e quelle per gli ospiti, i bagni… In due piani, tutto è rimasto immutato, ma tutto è tremendamente diverso. Mancano le loro voci. Mancano le loro risate. Mancano i loro profumi, che riempivano l’aria.
Mi sforzo di non pensarci, mostrando la camera degli ospiti a Kurogane-san e Fay-san, bloccandomi sulla soglia di quella che occupavo io. È qui che per l’ultima volta li ho visti. Qui mia madre mi ha lasciato un bacio sulla fronte e un’ultima carezza, cercando di rassicurarmi che tutto sarebbe andato bene, allontanandosi da me. Qui mio padre mi ha detto addio, voltandomi le spalle per salvarmi. 
Non mi offre proprio dei bei ricordi, per cui svio lo sguardo, notando che anche le labbra di Sakura tremano. Certamente, per lei è doloroso quanto lo è per me. 
La conduco via da lì, proponendo: «Potresti dormire in camera dei miei. Credo che ne sarebbero contenti».
La guido fino alla loro stanza, osservando tacito quel grande letto pieno di cuscini e tendaggi. Le coperte sono fresche di lavaggio, con il copriletto in broccato. Sfioro appena la liscezza di questa seta color giada, seguendo le rifiniture dorate delle figure, prima di guardare Sakura con un sorriso. 
«Che ne pensi?»
«È bellissima», mormora, affiancandomi per passare anche lei la mano sul tessuto, sfiorando poi i veli del baldacchino. «È tutta seta?»
Annuisco in conferma, prendendo la sua valigia e portandola verso l’armadio. Quando lo apro, mi stupisco di ritrovarci ancora dei vestiti. Pensavo che questo genere di cose fossero state buttate. 
Sakura se ne accorge e viene a vederli, affascinata.
«Ho sempre pensato che i vostri abiti tradizionali fossero affascinanti. Sono così eleganti e raffinati…» Si volta verso di me, incerta. «Credi che sarebbe sacrilego provarne qualcuno?»
«Assolutamente no, anzi, i miei genitori vorrebbero di sicuro che qualcuno continuasse ad utilizzarli. D’altronde sono come nuovi.» Li sposto per vederne le gradazioni di colori, notando con diletto che quelli di mia madre sono prettamente sui toni del rosa, quelli di mio padre sui toni del verde e del turchese. «Quale vorresti provare?»
La guardo e lei avvampa, scuotendo vigorosamente la testa. «Non intendevo per me! Volevo solo dire che sarebbe bello se ne provassi uno tu.» Torna a guardare gli abiti, sorridendo malinconica. «È trascorso così tanto tempo dall’ultima volta in cui ti ho visto indossarne uno…»
Ci penso su, giungendo ad un compromesso: «Se ne metti anche tu uno, va bene».
Lei mi fissa di nuovo spiazzata, ma fingo di non notarlo, consigliandole di scegliere quello che vuole. 
Per me ne prendo uno verde persiano, annunciando che vado a cambiarmi per primo. Ci impiego poco ad indossarlo, e quando torno vedo Sakura ancora alle prese con la scelta, sembrando in difficoltà. 
«Non mi so decidere, sono tutti stupendi», si lamenta, sentendomi tornare. Si volta verso di me, sgranando immediatamente gli occhi. 
«Mi rende strano?» mi accerto, non essendomi ancora guardato allo specchio. 
Mi avvicino a quello dell’armadio, osservando il mio riflesso. Incredibile che mi calzi tanto a pennello. 
«Sei bellissimo…» 
La guardo attraverso lo specchio, trovandola ad ammirarmi dalla testa ai piedi e viceversa, con le gote rosse e gli occhi luminosi, le mani posate sulle labbra. Mi allungo a posarle un bacio sulla fronte, leggermente imbarazzato, invitandola a scegliere con calma e prendersela comoda quanto vuole, mentre io faccio un altro giro. 
Scendo di nuovo al pianoterra, notando l’armonico contrasto tra stile antico e moderno. Entro nello studio di mio padre, passando le dita sulle coste di tutti i suoi libri, nostalgico. Quando non era troppo impegnato e potevo stare con lui mi faceva sedere sulle sue gambe, in modo tale che potessi leggerli insieme a lui. 
Mi avvicino alla scrivania, afferrando l’antico taccuino in pelle, e lo apro, ritrovandovi tutti i suoi appunti e disegni. Mi siedo e accendo la lampada per leggerlo, incuriosito, perdendomi per un po’ tra le righe e i bozzetti. È pieno zeppo di ritrovamenti, annotazioni riguardanti i progressi negli scavi e sue osservazioni o ipotesi. 
Non mi rendo neppure conto che passa del tempo finché, sentendomi osservato, non mi volto, trovando Kurogane-san e Fay-san sulla soglia. Mi scuso per essermi assentato, poso il taccuino al suo posto e li raggiungo in fretta. Loro non ne sembrano per niente infastiditi, piuttosto Fay-san mostra apprezzamento per il nuovo abbigliamento.
Lo ringrazio e noto che tiene Mokona tra le braccia, per cui ne approfitto un po’ per coccolarla. È mentre lo faccio che Kurogane-san esordisce con: «Che progetti hai?»
Lo guardo con consapevolezza. Conoscendolo, sapevo già che sarebbe andato dritto al sodo.
«Dato che è già tardi, per oggi riposeremo. Sarei voluto andare in città domani stesso, ma non voglio lasciare Sakura sola proprio nel giorno del suo compleanno. So che starebbe con uno di voi, ma sicuramente ci rimarrebbe male per non essere stata coinvolta. Non posso rischiare, portandola con me», spiego, sentendomi alquanto rattristato a tale idea, certo però che anche loro capiscano. «Quindi pensavo di cominciare le ricerche da casa.»
«Per noi va benissimo», approva Fay-san, ammiccando. «Ci sarà tanto da scoprire anche qui.»
Non riesco ad evitarmi una mezza risata.
«E Sakura-chan?» si interessa poi.
«Oh, lei -»
«Scusatemi se vi ho fatto aspettare!» ci giunge la sua voce ansante.
Ci voltiamo alla mia sinistra e notiamo che corre trafelata, in mezzo a tante stoffe che la avvolgono.
Si arresta affianco a noi, riprendendo fiato, prima di guardarmi paonazza.
«L’ho messo bene? Ho cercato di imitare il modo in cui li indossava tua madre, ma non sono molto sicura di come vada messo questo nastro.»
Si indica la fascia in vita e io mi accorgo che è un po’ imbrigliata al resto. Gliela annodo meglio, complimentandomi intanto per come le sta. Le dona tantissimo.
Una volta aggiustata la guardo in viso, notando che il rossore non è sparito, al contrario, sembra averlo ormai posseduto del tutto; tuttavia ha un sorriso enorme ad illuminarla.
Mi ringrazia e sposta immediatamente l’attenzione su Mokona, che senza accorgermene ho affidato a Kurogane-san. Se la prende Sakura per un po’, e Fay-san mi chiede se può mettersi ai fornelli. Approvo, visto che non abbiamo ancora mangiato, conducendolo fino alla cucina.
Una volta lì mi metto a cucinare con lui, ceniamo, e poi subito ce ne andiamo a letto. Ancora non ho deciso dove dormirò, ma penso che approfitterò del divano nel soggiorno. 
Auguro la buonanotte ai miei coinquilini, ma quando sto per fare lo stesso con Sakura lei mi trattiene per una manica, guardandomi indugiante.
«Ehm… Syaoran…»
La fisso in attesa che prosegui, ma lei si morde il labbro, sembrando nervosa. Le prendo il viso tra le mani, sfiorandole le guance coi pollici, sperando di rilassarla. 
«Cosa c’è che non va?»
Lei chiude le palpebre, sembrando immediatamente distendersi. Ad occhi chiusi mi chiede, con un filo di voce: «Perché non dormi anche tu qui?»
Dato che non so come risponderle mi guarda, sembrando parlarmi a cuore aperto.
«A me non dispiace, lo sai. Anzi, averti…» Arrossisce maggiormente e abbassa lo sguardo, torturandosi le maniche. «Averti al mio fianco, il giorno del mio compleanno, sin da quando mi sveglio, sarebbe il regalo più bello che possa mai ricevere.»
«Va bene», acconsento immediatamente, con suo grande stupore. Mi faccio sfuggire un sorriso sghembo. «Cos’è questa reazione?»
«N-no è che…» Si porta una mano al viso, voltandosi di lato, quasi cercasse di nascondersi. «Non pensavo accettassi. Se lo stai facendo solo per me -»
«È quello che desidero anch’io. Anche per me, svegliarmi al tuo fianco il giorno del mio compleanno, sarebbe il regalo più bello che possa mai ricevere.»
Mi guarda stupefatta, con gli occhi lucidi, e capisco che le serve del tempo per sbollire – in realtà, ne ho bisogno anche io: per quanto mi mostri audace, non posso nascondere di sentirmi sempre un po’ sconquassato, quando le sono accanto. 
Pertanto le concedo un’oretta per lavarsi con calma, mentre io mi reco in biblioteca. Lì, da solo, vago tra gli scaffali in cerca di qualcosa, e mi concentro per un po’ su quello che realmente provo.
A dirla tutta, è bizzarro. Stare con Sakura mi emoziona, e al contempo mi calma. Mi trasmette una grande sicurezza. Mi lascia un senso di familiarità. Quasi come se… come se fossimo fatti per vivere insieme. Come se fossimo fatti per esistere insieme. Per stare uno di fianco all’altra.
Mi porto una mano al petto, percependo le mie pulsazioni accelerare. Non posso neppure negare che starle accanto mi agita. Non riesco proprio a capirlo.
Sakura mi rende felice, sereno, sembra spazzare via qualsiasi timore, qualsiasi dubbio, qualsiasi pensiero anche solo con uno sguardo o un sorriso. Eppure, se da un lato mi tranquillizza, dall’altro è come se con ogni azione, con ogni suo gesto, mi stringesse ogni singolo organo tra le dita, fino ad annodarmeli gli uni con gli altri. Non so neppure io come riesco a non darlo a vedere; forse mi guida a farlo il pensiero che, se lo palesassi, sicuramente ne sarebbe preoccupata. Per questo mantengo una facciata tranquilla, appigliandomi alla sensazione predominante di benessere che mi trasmette. Tuttavia, a volte c’è questa pulsione più grande, una… un’attrazione più forte che mi spingerebbe a prenderla costantemente tra le mie braccia, a stringerla a me, e non lasciarla più andare. 
Chiudo gli occhi per un istante, prendendo un profondo respiro, ricordando a me stesso che non sono venuto qui solo per rimuginare sulle mie sensazioni, ma con un obiettivo ben preciso. 
Scorro con lo sguardo sui titoli presenti tra gli scaffali, trovando il libro esattamente dove lo ricordavo. Lo prendo con cura e soffio via la polvere, ripulendolo con delicatezza. Lo apro piano, facendo attenzione che le pagine non si stacchino e me ne assicuro sfogliandole lentamente, riconoscendolo. È l’edizione di “Peter Pan” che Sakura cercava tanto disperatamente in biblioteca. Quando veniva qui, mia madre glielo leggeva sempre.
Passo la mano sull’antica copertina, sorridendo nostalgico, ricordando quante volte Sakura volesse imitare le scene insieme a me, implorandomi di essere il suo “Peter”, mentre lei era la mia “Wendy”. E ogni volta sembrava che lei volesse davvero che io la portassi via. 
Mi riscuoto da quel pensiero, portandolo con me mentre torno in camera. Entro annunciandomi, prima di scostare le tende, notando che Sakura ancora non c’è. Ne approfitto per nascondere il libro in un cassetto dello scrittoio, decidendo che l’indomani mattina gliel’avrei fatto trovare accanto al letto, e faccio giusto in tempo prima che esca dal bagno, canticchiando. 
Appena mi nota avvampa, coprendosi il viso con l’asciugamano. Vedo che è già vestita, per cui le concedo il suo tempo per asciugarsi i capelli, mentre vado anche io a lavarmi e cambiarmi. Indosso un pigiama semplice, anche se mi sono accorto che quello di Sakura è in stile cinese. 
Quando torno in camera la trovo seduta composta sul letto, con il telefono tra le mani.
«Stavo rispondendo a mia madre», spiega. 
«Mi saluti tutti?»
«Certo!»
Sorride a trentadue denti, digitando rapidamente qualcosa, annunciando mentre sposto le coperte anche al lato opposto: «Tomoyo-chan e Yuzuriha-chan ti mandano a loro volta i saluti».
«Ricambia.»
Mi stendo, cominciando a coprirmi, mentre lei smanetta per pochi altri minuti sul cellulare, prima di posarlo su un lato e voltarsi per fronteggiarmi.
«Che te ne pare di questo pigiama?»
«Non è male.»
«Eheh, ne possiedo tantissimi! Sono di pura seta, papà me li regala ad ogni mio compleanno perché sa che li adoro, facendoseli recapitare direttamente da Hangzhou.»
Le sorrido, voltandomi su un fianco, mettendomi più comodo tra i tanti cuscini.
«Sono contento.»
«Di cosa?»
«Del fatto che ti piacciano tanto la nostra cultura, le nostre tradizioni.»
Lei mi rivolge un sorriso smagliante, prima di accoccolarsi meglio sotto le coperte, abbracciandosi un cuscino. 
«È perché le ho sempre trovate tanto intrise di fascino e mistero. È… più forte di me.» Mi guarda da sotto le ciglia, ammettendo: «Quando ti ho “conosciuto” l’anno scorso ho pensato le stesse cose di te».
Sento le mie guance scaldarsi, ma faccio finta di niente. 
Svio lo sguardo verso l’esterno, notando la luna alta nel cielo. 
«Vogliamo dormire? Si sta facendo piuttosto tardi.»
«M-mh.»
Nasconde uno sbadiglio dietro una mano, chiudendo gli occhi.
Le rimbocco le coperte e spengo la luce, augurandole la buonanotte.










 
Angolino autrice:
Buongiorno e buon (quasi) ferragosto! Perdonate l'assenza prolungata, negli ultimi tempi mi sto dedicando ad una pagina su ig che da poco ho aperto, come autrice ^_^ Se qualcuno dovesse essere interessato, può contattarmi tranquillamente :3
Su questo capitolo non penso ci sia molto da spiegare, forse serve solo sapere che i leoni guardiani servono a proteggere l'edificio in cui sono posti da influenze spirituali dannose e persone malintenzionate.
Ora, ho buone o cattive notizie (dipende dai punti di vista), ma udite udite, mancano pochissimi capitoli alla fine di questa storia! Non so come la prenderete, io già so che piangerò, come al solito ç_ç Però vi ringrazio per essere rimasti, sperando che stia continuando a piacervi twt
Steffirah

 

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Capitolo 33
*** 32 ***


XXXII



 
 
 
La mattina del primo aprile mi sveglio con una dolce sensazione. Avverto un piacevole calore al mio fianco e, quando apro gli occhi contro la luce che filtra dalla finestra, mi accorgo che Sakura si è letteralmente raggomitolata contro il mio petto.
Sorrido, provando a stiracchiarmi per quel che posso, e mi volto a posarle un bacio su una tempia, mormorando contro il suo orecchio: «Buon compleanno, Sakura».
Noto le sue labbra stendersi, mentre mugugna qualcosa di indecifrabile, strofinando il viso sulla mia maglia. Riconosco soltanto il mio nome e mormorii vari. Che si stia svegliando?
Attendo che apra gli occhi, ma ciò non accade; al contrario, sembra essere immersa totalmente nel mondo dei sogni. Chissà cosa le sta mostrando. 
Sorrido rilassandomi, spostando lo sguardo sui drappeggi velati. Carezzo i capelli di Sakura, pettinandoglieli con le dita, seguendone tutta la lunghezza. Sono così lisci e morbidi… così profumati… Vi affondo il naso, finché non noto lo schermo del mio cellulare illuminarsi. Visto che persiste capisco che si tratta di una chiamata, per cui allungo un braccio, recuperandolo dal comodino.
È Kimihiro. Stavolta mi ha anticipato.
Rispondo, mantenendo un tono basso per non rischiare di svegliare Sakura.
«Buon compleanno», ci auguriamo a vicenda, scoppiando poi a ridere.
«È andato bene il viaggio?» si interessa poi.
«Sì, scusami se non ti ho contattato direttamente ieri, ma -»
«Avevi bisogno del tuo tempo», mi interrompe, con indulgenza. «Che programmi hai per oggi?»
«Onestamente, non ne ho idea. Dipenderà da Sakura.» Le rivolgo un’occhiata, alquanto incuriosito. «Tu invece?»
«Ho appuntamento con Himawari-chan!» esulta, e io sono contento per lui. Anche se, conoscendola, già so come andrà a finire. 
«E Doumeki scommetto.»
«Tch, chi lo pensa a quello, l’importante è che ci sia lei!» sbotta stizzito, riprendendosi però repentinamente: «Comunque, Maru-chan e Moro-chan mi hanno dato un biglietto d’auguri insieme al regalo, in cui tu sei compreso».
«Ringraziale anche da parte mia.»
Annuisce con un mormorio, spostando poi l’argomento su questioni più pragmatiche.
«Hai già deciso come agirai d’ora in avanti?»
«L’unica cosa che so per certo è che proverò a dare un’occhiata in città.»
«Pensi che possa essere ancora vivo?»
«Non so, ma… devo accertarmene», rispondo risoluto, spostando lo sguardo sul cielo che va sempre più tingendosi di celeste al di là delle finestre. D’altra parte, seppure fosse vivo non è detto che sia rimasto a Hong Kong.
«Andrai a trovare anche i tuoi genitori?»
«Pensavo di recarmici domani, nel pomeriggio. L’indirizzo del cimitero in cui riposano me lo hai dato, quindi…»
«Avrai tanto da raccontare loro.»
Il suo tono si ammorbidisce, e io non riesco a non sorriderne grato. 
«Sì.»
«E saranno lieti di vedere quanto siete cresciuti», aggiunge, facendomi ridere. 
Torno però immediatamente serio, dedicandomi a lui: «Oggi accendi un incenso a Yuuko-san anche da parte mia?»
«Certo.»
Il suo tono è disteso e allegro come al solito, ma so che gli fa ancora male parlare di lei; e, ad essere onesto, fa male anche a me. D’altronde sono trascorsi soltanto cinque anni dalla sua morte. 
«Dille che non sono arrabbiato.»
«Sono sicuro che lei lo sappia.» Dato che l’atmosfera si sta appesantendo, lui la alleggerisce con poco: «Comunque, benvenuto nel mondo degli adulti!»
Ridacchio sottovoce, ringraziandolo.
«Ora potremo farci una bella bevuta insieme!»
Ecco, Kimihiro pure è un bevitore incallito, quasi quanto lo era Yuuko-san o quanto lo è Kurogane-san.
«Non sono sicuro sia una buona idea.»
«Parli per esperienza?»
Mormoro un consenso, notando Sakura voltarsi su un lato, tirandosi le coperte.
«Mi sa che devo andare.»
«Scusami se ti ho trattenuto. Salutami Sakura-san e falle gli auguri. Di certo sarà un ottimo risveglio per lei.»
Attacca senza darmi possibilità di ribattere, per cui resto col telefono in mano, sentendo di farmi rosso come un’aragosta. Ma possibile che capisca sempre tutto?
Scuoto la testa, posando il telefono dov’era, prima di voltarmi verso di lei.
Rotola di nuovo al mio lato, biascicando altre cose incomprensibili, per poi strofinare una guancia contro la mia mano e sorridere. Si avvinghia letteralmente al mio braccio, abbandonando la coperta.
Mi ristendo più comodamente, tornando a carezzarle i capelli, e lei sospira appagata. Le sue palpebre fremono per qualche istante, prima che le sollevi lentamente, mostrandomi quelle iridi spettacolari. È incredibile come, anche quando sono velate dal sonno, risplendano in decine di sfumature brillanti, cristalline. Così come è incredibile che si svegli già con un sorriso stampato sul volto.
«Syaoran…» mormora in tono impastato, stropicciandosi le palpebre. «Buon compleanno.»
Stringe una mia mano tra le sue, poggiandovi la guancia contro, e si apre in un sorriso ancora più grande, ancora più dolce.
Come può essere così adorabile?
Così candida? 
Così eterea? 
Con la mano libera le sfioro una guancia, chinandomi di poco, per posare le mie labbra sulle sue. È così morbida. Così piacevolmente calda. 
Mi allontano di poco, e noto le sue iridi luccicanti. Ci sorridiamo, tornando a scambiarci un bacio, ma stavolta lo facciamo durare di più.
Io continuo a carezzarle i capelli, lei intreccia le dita di una mano alla mia, spostando l’altra dietro la mia nuca. Mi attira maggiormente a sé, al punto da farmi finire su di lei.
Continuiamo a baciarci, e io decido di stringerla del tutto tra le mie braccia, avvolgendola completamente col mio corpo. Dato che però mugugna contro le mie labbra mi allontano di poco, permettendole di riprendere fiato, notando che stava trattenendo il respiro. In effetti, io stesso mi sento affannato. 
Mi stacco di poco, sollevandomi sui gomiti per non pesarle addosso, riprendendo fiato.
«Va tutto bene?» mi accerto, vedendola serrare le palpebre e scuotere la testa.
Come sarebbe “no”?
Mi guarda con gli occhi lucidi, nascondendosi poi il viso tra le mani. 
«Sono così felice. Non posso crederci che non sia un sogno, che stia accadendo tutto davvero. Che tu sia con me quando mi sveglio, il giorno del mio compleanno… È veramente il miglior regalo che io abbia ricevuto in tutti questi anni.»
Mi apro in un sorriso, sentendomi talmente leggero che mi sembra di poter volare via da un momento all’altro.
Mi sposto su un lato, osservando: «Quindi non lo vuoi il mio effettivo regalo?»
A tale menzione i suoi occhi immediatamente si illuminano. 
«Quale regalo?»
Mi fingo misterioso, alzandomi, e mentre recupero i miei vestiti la metto alla prova. 
«Dovrai trovarlo.»
Lanciata quella sfida mi chiudo in bagno, ridacchiando nell’udire i suoi strepiti.
La sento alzarsi e correre da una parte all’altra della stanza, armeggiando con chissà quali oggetti.
Nel frattempo mi adopero a lavarmi e vestirmi, dandomi un’occhiata allo specchio, notando i miei occhi luminosi quasi quanto quelli di Sakura. Questo non me lo aspettavo. Che sia a sua volta uno dei tanti effetti che ha su di me? 
Rasserenato torno in camera, trovandola nuovamente seduta sul letto, con il libro stretto al petto e un sorriso malinconico. 
Appena mi nota rivolge il viso verso di me, piena di gratitudine.
«È il vostro, non è così?»
Annuisco, aggiustandomi i bottoni del changshan, e lei si alza in piedi dopo aver messo delicatamente il libro da parte, correndo per saltarmi al collo.
«Posso davvero averlo?»
«Certo che puoi.» La avvolgo tra le mie braccia, addolcendomi. «È legato a molti ricordi, non è così?»
«Sì», conferma, stringendosi maggiormente a me. 
Le faccio fare un breve giro sollevandola in aria, facendola ridere, per poi posarla al suolo avvertendo quella sua stessa gaiezza riempirmi l’animo.
«Ora vai a vestirti anche tu. Io vado a vedere se gli altri sono svegli e hanno bisogno di qualcosa», annuncio, allontanandomi per concederle la sua privacy.
Mi reco quindi subito in cucina, prevedendo quasi che li avrei trovati lì. Kurogane-san è semidisteso sul divano a sfogliare una rivista che colleziona che si è portato dal Giappone, con Mokona impegnata a mangiucchiare lattuga ai suoi piedi, mentre Fay-san è alle prese coi fornelli. Entrambi mi notano non appena vi metto piede e Fay-san si affretta a raggiungermi, abbracciandomi. 
«Buon compleanno!»
«Grazie.»
Gli sorrido e, prima ancora che mi lasci, Kurogane-san mi viene alle spalle, dandovi una vigorosa pacca, augurandomi altrettanto.
«Potresti essere più delicato e dimostrare più gioia», si lamenta Fay-san, ricevendosi subito in risposta uno scappellotto in testa. «Ahi!»
«Il ragazzo non è stupido, lo sa che sono felice anche se non lo dimostro.»
«Ma non per questo devi colpirci», continua a lagnarsi, fingendo di piagnucolare. 
Sorrido divertito, inserendomi tra di loro. Afferro le loro mani tra le mie, chiudendo gli occhi. 
«Grazie davvero, anche per aver deciso di seguirmi fin qui.»
«È un piacere per noi. Inoltre è per assicurarci che i nostri bambini non si mettano nei guai. Non è così paparino?»
Stranamente Kurogane-san non gli risponde a tono, come farebbe di solito; si limita a fissarmi intensamente negli occhi, e io rispondo con la stessa fermezza. Non avrei compiuto alcuna pazzia. Non mi sarei messo in pericolo, né li avrei lasciati, nessuno di loro. 
Fortunatamente Sakura ci raggiunge subito, stavolta dimostrando di essere riuscita anche da sola ad indossare lo hanfu. Riceve a sua volta gli auguri, ma poi prende in disparte Fay-san, sussurrandogli qualcosa all’orecchio. 
Lui assume un’espressione alla “È un’ottima idea!” prima di voltarsi verso Kurogane-san, domandando: «Visto che c’è ancora tempo per pranzare perché tu e Syaoran-kun non vi allenate un po’ insieme?»
Lo fisso perplesso, chiedendomi da dove gli sia venuta un’idea del genere, ma al di là del fatto che sia una richiesta o meno Kurogane-san sembrava aspettare solo un’occasione del genere. Mi guarda con iridi infuocate, e capisco che non vede l’ora.
Rivolgo un’occhiata preoccupata a Sakura, ma la vedo stranamente nervosa. Ciononostante cerca di sorridere convincente, esclamando energica: «Vai pure, io resto con Moko-chan e Fay-san!»
Mi arrendo al loro volere ed esco, conducendo Kurogane-san in una zona sul retro della casa che io e mio padre utilizzavamo sempre per allenarci. Era il luogo ideale, visto che essendoci poca vegetazione era minore il rischio che rovinassimo qualche pianta.
Noto che sono tutte ben curate, e che alcuni peschi sono anche fioriti. Dovrò mostrarli a Sakura, ne sarà sicuramente contenta. 
Qui ci sono anche vari ponti sospesi sull’acqua che sfruttavamo per addestrarmi, visto che per mio padre era essenziale allenare anche l’equilibrio. Quando Kurogane-san li adocchia sembra esaltarsi persino di più.
Mi avvicino a passo svelto verso un magazzino e ne faccio scorrere la porta, permettendogli di entrare. 
«Qui tenevamo conservati vari tesori di famiglia, comprese diverse spade.» Mi fermo dinanzi a quella di mio padre, togliendola dal piedistallo, accogliendone tutta la pesantezza. «Puoi scegliere quella che preferisci.»
Mi volto verso di lui, e lo trovo già concentrato nell’analizzarle una per una.
«Sono tutte superbe.»
Detto da lui, mi fa sentire particolarmente orgoglioso.
Lo ringrazio e lui ne sceglie una lunga, prima di guardarmi sghembo. 
«Quindi vuoi fare sul serio?»
«Io e mio padre facevamo sempre sul serio», spiego brevemente, estraendo la spada, lasciando il fodero intarsiato al sicuro prima di uscire fuori.
Lui mi segue all’esterno e ci arrestiamo alle due estremità opposte del ponte sospeso, fronteggiandoci. 
«In tal caso, avremmo sicuramente potuto andare d’accordo.»
Di questo, ne sono convinto anch’io. 
Contemporaneamente ci mettiamo in posizione, e lui mi fa segno di attaccarlo. Esattamente come l’altra volta. E proprio come allora, è abilissimo a parare i colpi, mentre ha una forza incredibile quando attacca.
Con lui posso solo affidarmi alla velocità, sebbene i suoi riflessi siano persino più pronti dei miei. L’ultima volta mi ha detto che si tendono a capire le mie intenzioni, quasi fosse semplice per lui leggere le mie mosse, e ricordo che questa era una cosa che anche mio padre mi rimproverava spesso, da bambino. Che ero prevedibile, per il semplice fatto che mi faccio troppi scrupoli. Ho sempre il timore di ferire il prossimo, e per questo non ci metto mai tutto me stesso, come invece lui avrebbe voluto. Come sembra volere anche Kurogane-san. Per questo, stavolta cerco di non mostrare alcuna esitazione nell’attacco.
Provo a mettere in atto tutto quello che ho imparato in questi anni, sia da mio padre che dai vari maestri che ho avuto, mettendo a frutto ogni insegnamento che mi è stato dato. E così, per la prima volta, sembro riuscire a sovrastarlo, al punto tale che gli faccio perdere l’equilibrio, facendolo finire in acqua. 
Mi scuso, allungando una mano per aiutarlo a rialzarsi, ma quando la afferra mi trascina giù, cogliendomi alla sprovvista. Mi punta la spada alla gola, sogghignando.
«Mai abbassare la guardia.»
Annuisco, e lo ringrazio. Anche questo mi sarà di lezione. 
Allontano la lama con la mia spada, facendo una capriola all’indietro per tornare sul suolo.
Seppure entrambi grondiamo acqua, ciò non ci impedisce di continuare. E per quanto siano basse le temperature, i raggi del sole sono abbastanza caldi da riscaldarci, seppur non sufficientemente forti da asciugarci.
Continuiamo finché non abbiamo entrambi il fiatone, senza che ci sia un vero e proprio vincitore.
Alla fine mi scompiglia i capelli ancora umidi, facendomi notare: «Quando ti ritrovi dinanzi ad un avversario, non lasciare che la tua gentilezza ti sopraffaccia». Annuisco col capo e lui mi volge la schiena, accingendosi ad andare a posare la spada che ha scelto. «Mah, comunque anche questo è uno degli aspetti migliori di te.»
Lo guardo allontanarsi ammutolito, restando senza parole. Da lui non me lo sarei mai aspettato, ma tacitamente lo ringrazio, capendo che anche questo è un suo regalo. 
Lo seguo rimettendo al suo posto anche la spada di mio padre, e mentre rincasiamo gli chiedo chi gli ha insegnato a combattere così. Mi sono reso conto che si tratta di tecniche particolari, quasi sicuramente tramandate nella sua stessa famiglia.
«Mio padre, finché era in vita.»
Mi rivolge un’occhiata di sbieco, rimbrottandomi prima che io riesca ad esprimermi in alcun modo: «Non uscirtene con “Mi dispiace” e cose simili, ok? Per farla breve, sono rimasto orfano e la famiglia imperiale, essendo imparentata alla larga col mio clan e avendo valutato le mie potenzialità, mi ha preso al suo servizio, fine della storia. Non osare provare pietà per me o ti riempio di botte».
«Non provo pietà», nego, scuotendo lievemente la testa. «Sono solo lieto che la famiglia imperiale ti abbia trovato. Altrimenti non ti avrei conosciuto.»
Se devo essere del tutto onesto, dopo questa convivenza di quasi un anno mi sento come se Kurogane-san sia diventato una figura paterna. Lo stesso dicasi per Fay-san, sebbene in maniera totalmente diversa. Entrambi hanno assunto quei ruoli parentali di cui ho sempre percepito l’assenza, e in parte mi chiedo se sia giusto o meno; ma d’altronde, è stato Fay-san stesso a mettere in mezzo la condizione di famiglia tra noi.
Kurogane-san resta qualche passo indietro mentre io rientro. Sakura e Fay-san si affacciano prontamente dalla porta della cucina, e il secondo immediatamente enuncia le nostre condizioni, prolungandosi in un fischio.
«Siete zuppi come dei pulcini!»
Sakura mi corre immediatamente contro, impensierita.
«Sei ferito?»
Nego con un sorriso, venendo però distratto da una leggera macchia sulla sua guancia. Gliela cancello con il pollice, notando si tratti di farina.
«Stavate preparando qualcosa?» chiedo incuriosito.
Lei sgrana gli occhi, sobbalzando, e si agita. Il suo sguardo corre da Fay-san che mantiene un sorriso tranquillo a me e viceversa, mentre blatera: «S-sì, ma nulla di che, solo il pranzo! Ho cercato di dare una mano…»
China la testa, irrequieta, e io mi apro in un sorriso enorme. 
«Allora non vedo l’ora di mangiare!»
Lei arrossisce persino di più se possibile, e Fay-san tempestivamente interviene, facendoci notare che è meglio se andiamo a farci un bagno caldo prima di ammalarci. 
Trovandoci d’accordo ci affrettiamo ad immergerci nell’acqua calda, e quando poi ci siamo cambiati e asciugati torniamo in cucina; lì mi blocco sulla soglia, notando la tavola imbandita, piena di delizie autoctone. Maiale in agrodolce, wonton, anatra arrostita, har gow, involtini di spaghetti di riso, polpette di pesce, crostatine alle uova, pane all’ananas… Quasi non riesco a credere ai miei occhi. È tutto come lo cucinavano i miei genitori.
Ancora incredulo mi accomodo con gli altri e auguro buon appetito, iniziando a mangiare.
Sakura mi si siede di fronte, guardandomi manifestamente di sottecchi, ma fingo di non accorgermene e osservo invece: «Questi ravioli sono ottimi!»
Quasi mi ricordano lo stesso sapore di quelli che preparava mia madre – sebbene ci sia da ammettere che mio padre fosse più abile di lei in cucina. A ben pensarci, è stato effettivamente lui ad insegnarmi quasi tutto quello che so, soprattutto in ambito culinario… 
«Sono lieto che ti piacciano, Sakura-chan si è impegnata tanto per realizzarli», risponde Fay-san, con aria deliziata.
Sollevo lo sguardo su di lei, stupito, e la vedo rimpicciolire sulla sedia. 
«Davvero, sono buonissimi!» ripeto, sorridendole grato. 
Sembra voler dire qualcosa, ma alla fine si limita ad un sorriso, facendo un breve cenno col capo, tornando a mangiare.
Cerco di non insistere e proseguiamo col pasto, fino a concluderlo. A quel punto Sakura si alza di scatto, guardando Fay-san, e lui fa altrettanto con maggiore calma. Li vedo allontanarsi verso la cucina, Sakura con una certa circospezione, e quando vi spariscono dentro mi rivolgo a Kurogane-san poco convinto.
«Non guardare me, non ne so nulla», fa spallucce.
Mi appoggio alla sedia, meditabondo, finché non viene spenta la luce.
Kurogane-san resta imperturbabile, io invece mi volto, notando che Fay-san ha tra le mani una torta gigantesca a due piani, con delle candeline. La poggia proprio di fronte a me, facendo accomodare Sakura al mio fianco, invitandoci a soffiare insieme.
Anche alla luce soffusa delle fiammelle, mi accorgo che le sue guance diventano più rosee. Mi guarda di sottecchi e io le sorrido, intrecciando sotto la tavola le mie dita alle sue. Soffiamo contemporaneamente mentre Fay-san ci canta la canzoncina di tanti auguri, con Mokona tra le braccia – costringendo anche Kurogane-san a battere le mani a tempo – e le spegniamo tutte, esprimendo il nostro desiderio insieme. 
Fay-san riaccende poi la luce e così possiamo gustarci questa meravigliosa torta, cui scopro con piacere ha contribuito anche Sakura stessa.
Per ricambiare, il pomeriggio accetto di fare una passeggiata in giardino con lei, rievocando il passato. Le peonie, i narcisi e i crisantemi non sono ancora in fiore, ma almeno può ammirare le camelie e i peschi. Gli alberi di osmanto sono ancora spogli, lo stesso vale per i vasetti con le orchidee, ma già sono sbocciate le rose. Purtroppo anche le ninfee negli stagni sono ancora chiuse, ma a Sakura ciò non sembra affatto pesare.
È quasi come se lei, con i suoi limpidi occhi, vedesse dinanzi a sé unicamente distese fiorite, che per un dettaglio o per un altro rievocano costantemente nuovi ricordi.
Ascoltarla mi fa tornare indietro nel tempo, soprattutto quando ci sediamo in quello stesso padiglione, come tanto tempo fa, sebbene lei stia più composta di allora. Con la punta dell’indice sfiora il velo d’acqua, creando cerchi concentrici.
Mentre parla giocherella con un’estremità del nastro che porta in vita, divertita, raccontando intanto di quella volta in cui tutti e tre, io lei e mia madre, preparammo insieme proprio i ravioli. 
«Avere la possibilità di rifarli oggi è stato così nostalgico», sospira, sembrando serena.
«Avevano proprio quello stesso sapore», confesso, guardandola ancora più grato.
Lei sorride, riconoscendolo come vero, prima di poggiare la testa su una mia spalla, chiudendo gli occhi.
«Possiamo restare un po’ così?» domanda timidamente.
Chiudo a mia volta gli occhi e poggio la testa contro la sua, avvertendo la calma e la pace inondarmi tutti i sensi.
«Per tutto il tempo che vorrai.»










 
Spiegazioni:
Il changshan è il tradizionale abito maschile (l'equivalente del cheongsam), mentre "hanfu" è il nome dato agli abiti tradizionali del periodo precedente alla dinastia Qing. Poiché non me ne intendo molto di Cina e cultura cinese ho optato per questi "modelli" perché sono quelli che mi sono più familiari, nonché quelli che più somigliavano agli abiti indossati dai cloni reincarnati a HK. Se però non dovessero essere i termini giusti, fatemelo notare tranquillamente, provvederò a modificare questa parte ^_^
Passando al cibo, sia i wonton che gli har gow (o anche "har gao") sono una tipologia di ravioli.

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Capitolo 34
*** 33 ***


XXXIII



 
 
 
Dopo aver fatto alcune ricerche in biblioteca con l’aiuto di tutti, in maniera piuttosto vana, Fay-san e Kurogane-san hanno deciso che fosse giunto il momento di darci i loro regali. Per me hanno preso un’agenda con una mappa del mondo in stile antico e un set composto da piuma d’oca, pennino antico, calamaio con fregi in argento e portapenna in argento con base in mogano, mentre per Sakura un foulard di seta dal motivo floreale e i colori pastello e un set contenente profumo, bagnoschiuma, crema corpo e sali da bagno. Naturalmente, entrambi li ringraziamo per il bel pensiero che hanno avuto.
Il resto del nostro compleanno lo trascorriamo facendo giochi da tavolo basati sulla memoria e il riconoscimento di immagini. È buffo come sia stato Fay-san a proporlo, ma lui stesso stia facendo sempre cilecca. Sakura pure sembra in difficoltà, tanto che a un certo punto assume un’espressione del tutto spaesata, dando l’impressione che le giri la testa. Ciononostante non si scoraggia e alla fine riesce a raccogliere almeno una coppia di carte con la stessa figura.
Tuttavia, con tale azione sembra scaricare tutte le sue energie perché, spossata, dichiara di voler andare a farsi un bagno rigenerante. Mi invita a rimanere con gli altri, ma mi sento un po’ combattuto. È anche il suo compleanno, non dovrei essere costantemente presente? Non dovrei non lasciarla mai sola?
Ciononostante non posso certo intromettermi mentre si lava e si rilassa, quindi accetto di attendere e resto con Fay-san e Kurogane-san, con Mokona in un angolo che sgranocchia una carota, fissandoci coi suoi brillanti occhi cremisi.
Fay-san ne approfitta immediatamente per brindare al mio raggiungimento della maggiore età, ma sebbene io stesso mi ammonisca a fare il brindisi e posare il bicchiere, dopo che butto giù lo Champagne tutto d’un sorso mi viene spontaneo chiederne ancora. Kurogane-san me lo negherebbe, mentre Fay-san sembra incuriosito da come possa reagire io ora. Come se crescendo di un anno qualcosa possa cambiare. 
Naturalmente nulla cambia. Sento solo un forte calore avvilupparmi le guance, estendendosi al resto del corpo. Come morfina, sembra scorrermi nelle vene e distendere tutti i miei nervi. Smetto di riflettere su questioni pratiche, osservando invece che in passato anche mio padre aveva la tendenza a bere poco, affermando di non riuscire a reggere bene l’alcool.
Chissà che effetto aveva su di lui? E su mia madre? Io e Sakura possiamo essere una possibilità per entrambi di sopravvivenza? Loro continuano a vivere tramite noi? Loro ci stanno osservando? Ci proteggono da lassù? Sono fieri di me? 
Una mano si posa sulla mia guancia, e solo così mi accorgo che delle lacrime mi stanno scivolando giù dagli occhi. Metto a fuoco Fay-san, che sembra essersi alzato per inginocchiarsi di fronte a me.
«Sono certo che ti stiano guardando e che siano fierissimi di te.»
«Di me per ciò che sono?»
La mia voce, persino a me stesso suona roca e rotta. 
«Sì. Di Li Tsubasa-kun.»
Sgrano gli occhi, non aspettandomelo, soprattutto quando mi stringe tra le sue braccia, tentando di confortarmi. Un’altra mano, più grossa e ruvida, si posa sulla mia testa, scompigliandomi i capelli, mentre con la libera mi porge un bicchiere con un liquido trasparente.
«Bevi e vedi di riprenderti. Non vuoi certo farti vedere in questo stato dalla tua principessa.»
Dalla mia principessa… 
Butto giù quella che scopro essere acqua, e riacquisisco un minimo di lucidità. Quanto tempo è trascorso da quando lei si è allontanata?
Me ne versa dell’altra, rimbrottando il biondino – che ora si è rialzato.
«Te lo dico sempre che non è mai una buona idea.»
Da quanto tempo la sto lasciando sola?
«Ma via, un brindisi dovevamo farlo! E poi gli fa bene sfogarsi!»
Che cosa starà facendo in questo momento? A cosa starà pensando?
I miei pensieri ruotano tutti attorno a Sakura e, gradualmente, comincio a ritrovare chiarezza.
Ingurgito l’ennesimo bicchiere d’acqua, dopodiché mi alzo e mi inchino per ringraziarli, augurando loro la buonanotte.
Loro ricambiano senza aggiungere altro e io mi dirigo spedito verso la stanza che stiamo condividendo. Ho ancora il buonsenso di bussare e annunciarmi prima di entrare, non appena me ne dà il permesso. Scosto la tenda oltre la porta e la trovo già seduta sotto le coperte, col libro sulle gambe. 
Mi sorride, richiudendolo e mettendolo da parte.
«Scusami, ho perso la cognizione del tempo e non mi ero resa conto si fosse già fatto così tardi.»
Scuoto la testa, scusandomi a mia volta per la medesima ragione, e vado a lavarmi e cambiarmi. 
Quando emergo dal bagno mi sento più presente di prima, sebbene la testa continui a sembrarmi leggera come una piuma, dandomi l’impressione di camminare su morbide, irregolari nuvole. Ciononostante mi dirigo al mio lato del letto, filando sotto le coperte, con Sakura che, stranamente, mi scruta con acutezza. 
«Avete bevuto?»
Mormoro una conferma, vergognandomi un po’ di essere stato scoperto così palesemente, ma lei sorprendentemente si imbroncia. 
«Anche io volevo…»
«Tu non puoi», le ricordo, allungandomi a spegnere la luce.
«Mou!» esclama offesa. «Nemmeno tu fino a poco tempo fa potevi!»
«È vero», ridacchio, sentendomi alquanto fiacco mentre ritorno al mio posto. «Ma non bevevo propriamente di mia spontanea volontà.»
Non faccio in tempo a stendermi che lei mi blocca con una mano, mormorando: «Aspetta. Prima… posso darti il mio regalo?»
Seppure siamo avvolti completamente dal buio mi volto nella sua direzione, guardando l’ombra del suo viso confuso.
«Hai già cucinato per me. Hai persino preparato la torta con Fay-san.»
«Però parzialmente quelli erano regali anche per me, no? Ne ho usufruito anch’io», borbotta, tirandomi verso di sé. 
Avverto il suo calore farsi più vicino, il suo respiro che mi soffia contro il collo. Rabbrividisco da capo a piedi, soprattutto quando con mano esitante mi cerca a tentoni, seguendo tutta la lunghezza del mio braccio, risalendo sul mio collo, fino a raggiungere il mio viso. Mi accarezza una guancia, spostando poi quella mano dietro la mia testa, cingendomi a sé. Mi accompagna fino a farmi stendere sulle sue gambe, e io chiudo gli occhi sotto il suo morbido tocco, affondando il viso contro il suo addome.
Le permetto di viziarmi quanto desidera, finché tra una carezza e un’altra non inizia ad intonare una canzone mai udita prima. Ne ascolto le parole e lentamente, molto lentamente, realizzo che si tratta di un componimento suo. Che l’ha scritta lei stessa, musica e parole, e che è dedicata a me. Che questo è il suo regalo per me.
 
Kiss me sweet, I’m sleeping in silence
All alone in ice and snow
In my dream I’m calling your name
You are my love
 
In your eyes I search for my memory
Lost in vain so far in the scenery
Hold me tight,
And swear again and again
We’ll never be apart
 
Yume wa tobitatsu to chiisa na tsubasa de
Omoi no kienai basho made futari de
Tooi umi wo sora wo koete
 
Kurai yoru no naka de
Watashi wo terashiteru
Yasashii manazashi no 
You are my love...
 
My love
 
Ancora una volta, mi sta facendo dono della sua voce.
Infinitamente grato, prossimo alle lacrime, avvolgo le braccia attorno alla sua schiena. 
Anche quando il testo finisce, lei continua ad intonarne la melodia, ed è così, con la sua voce che mi culla e mi guida, le sue carezze che mi confortano, che sprofondo in un sonno ricco di dolci sogni.



 
Il giorno successivo decidiamo finalmente di investigare fuori casa. Il piano era quello di lasciarvi lì Sakura e Fay-san, ma la prima ha insistito per seguirci, volendo visitare la città. E così, alla fine ho ceduto. Ciononostante le ho imposto di indossare almeno degli occhiali da sole, cosicché, seppure avesse potuto esserci qualche pericolo, lei avrebbe dovuto essere parzialmente al sicuro. 
In realtà, nonostante le indagini che io e Kurogane-san cerchiamo di portare avanti, si tratta di una vera e propria visita turistica. Accompagnata prettamente da Fay-san, Sakura salta da una parte all’altra della città, sempre più curiosa, sempre più meravigliata da ciò che vede, e alla fine ci convince persino a fare un giro in funicolare fino al Victoria Peak e a salire sullo star ferry la sera. 
A conti fatti, non siamo riusciti a ricavare alcuna informazione utile dagli abitanti, ma d’altro canto, in parte me lo aspettavo. Il mio prozio, Fei Wang Reed, non è nativo di Hong Kong. E se davvero non è morto, di certo avrà cercato di restare nell’ombra il più possibile. Ma senza una vera e propria pista da seguire, senza neppure un indizio, come posso riuscire a trovarlo? Come posso essere certo che mio padre abbia portato a compimento la sua vendetta, e non sia morto invano? E perché io ho questa costante sensazione di angoscia, come se non fosse per niente finita? Come se sia io che Sakura fossimo ancora in pericolo? 
La sera ne parlo coi miei coinquilini, e loro suppongono che non possa trattarsi di un’ansia generata dal timore di avere un nemico reale, quanto più da un sentimento legato al fatto che, a conti fatti, ancora non abbia fatto visita ai miei genitori. E questa realtà mi ha colpito in pieno. Ancora non li ho salutati come si deve. Perché per quanto senta la loro mancanza, per quanto sia paradossale, mi sembra di percepirli sempre presenti, al mio fianco. 
Il giorno del nostro compleanno io e Sakura abbiamo acceso degli incensi per loro, ma lo abbiamo fatto qui in casa. Lo abbiamo fatto in quel padiglione della pesca in cui trascorrevamo tante ore in passato, ad ammirare la luna, a chiacchierare, a ridere e giocare. 
Tuttavia ancora non mi sono recato al cimitero, e secondo loro questo è stato il mio errore. Devo andare a farvi visita, devo parlare con loro, accettare la loro morte e riuscire a lasciarli andare.
Non dovrebbe essere difficile per me, eppure… eppure, proprio ora che ho raggiunto l’indipendenza e la maturità tanto agognate, li vorrei con me più che mai. Perché ho ricordato. Perché desidero che Sakura – no, che Tsubasa sia felice. So quanto teneva a loro. E so di non essere l’unico, che non riesce a capacitarsi totalmente del fatto che non ci siano più.
Per questo quella sera mi confronto con lei, ma, sorprendentemente, si mostra d’accordo coi nostri compagni.
«Starò con te», promette. «Lo faremo insieme.»
E così il giorno seguente eccoci in prossimità delle loro tombe. Mi sono fatto indicare il percorso preciso da Kimihiro, e lui stesso è parso risollevato da questa decisione. Abbiamo cambiato i fiori nei vasi. Abbiamo acceso altri incensi. Abbiamo lasciato loro delle offerte. 
Kurogane-san e Fay-san hanno reso loro omaggio e ora ci attendono, stando ad una lieve distanza, concedendoci il nostro tempo. Sakura è inginocchiata giusto al centro delle loro lapidi, a mani giunte e occhi chiusi, in preghiera. Io resto in piedi alle sue spalle, e l’unica forza che ho è quella di convogliare tutti i miei pensieri verso di loro. Di parlarvi così, sapendo che mi sentiranno. Di raccontare tutto ciò che ho vissuto finora, concludendo con poche parole.
“Nonostante mi manchiate così tanto, sono grato della vita che mi avete concesso di vivere. Sono grato di aver vissuto con Yuuko-san, di essere stato cresciuto da lei in vostra assenza. Per quanto io sia stato alquanto irriconoscente, lei ha fatto del suo meglio per educarmi, seguendo le vostre orme. Sono grato di essermi staccato da loro, e aver conosciuto Fay-san e Kurogane-san. Come aveva previsto Kimihiro, come sono certo anche voi abbiate sperato, sento che loro sono diventati la mia nuova famiglia. E più di ogni altra cosa, sono grato di aver rincontrato Tsubasa. Mi dispiace che sia accaduto in un frangente simile, che voi non abbiate potuto essere presenti e non abbiate avuto la possibilità di riabbracciarla insieme a me. Ma ho deciso che sarò io il vostro tramite. Le darò il mio amore e, insieme ad esso, anche il vostro. E sono sicuro che anche lei penserà di fare la stessa cosa con me, per farmi sentire il meno possibile la vostra mancanza. Ma va tutto bene. Ora che vi ho ritrovati, ora che sono di nuovo qui, sento che va tutto bene. Vi voglio bene.”
Mi asciugo rapidamente una lacrima e quasi contemporaneamente Sakura si solleva, rimettendosi dritta.
«La natura qui attorno vi ha fatto compagnia per tutto questo tempo, quindi non si sono mai sentiti soli. Ma ora che siamo qui, sono ancora più felici.»
La guardo spaesato, prima di ragionare sul suo discorso. 
Schiudo le labbra, ripensando a quella volta in cui da bambina abbracciò un nostro albero con tristezza, avvisandoci che di lì a poco sarebbe morto. E in effetti, non molti giorni dopo, si seccò completamente, e nulla fu più possibile fare per riportarlo in vita.
Colpita da tale previsione, mia madre le chiese come se ne fosse resa conto, e lei rivelò che spesso le capitava di “percepire le emozioni di esseri inanimati”, come appunto le piante, o addirittura dei defunti. Ne avvertiva le presenze, così anche se talvolta si ritrovava da sola non si sentiva mai completamente triste o spaventata.
«Tu… hai…» boccheggio, incapace di esprimermi a dovere, chiedendomi se possa essere vero. 
«Sono ancora qui con noi», conferma, rivolgendo uno sguardo ai miei lati, aprendosi in un dolce sorriso. Trattengo il fiato, e lei si porta le mani sul petto, commossa. «Sono grati di averti potuto vedere cresciuto. Sono molto fieri di te. Sono soddisfatti della strada verso il futuro che hai deciso di intraprendere. Sono felici per la vita che hai trovato.»
I suoi occhi si riempiono di lacrime, dolcissime lacrime, amarissime lacrime, e le mie le sento straripare. Mi porto le mani sugli occhi, percependo due sottili carezze del vento. Una su una mia guancia. Una sua mia spalla. Lo capisco anche io. Lo so che sono qui, con me. Mi hanno ascoltato. E ora mi stanno supportando. E mi stanno dicendo di andare avanti. 
Piango, finché non sento di essermi liberato di tutta la mia tristezza, e solo dopo aver singhiozzato a lungo mi accorgo di averlo fatto sulla spalla di Sakura. Pur non percependo più alcun vento, resta la forza della sua presa su di me. E per questo la ringrazio. Per il suo incoraggiamento, per il suo conforto, per la sua vicinanza. Per soffrire con me e, in qualsiasi altra occasione, gioire con me. 
Mi allontano di poco, fronteggiandola, e le asciugo i residui di lacrime dalle guance. 
«D’ora in poi non permetterò più che tu sia triste», prometto, garantendole una vita piena di felicità.
Si apre in un piccolo sorriso, annuendo.
«Lo stesso farò io con te. Ti renderò felice, a qualunque costo.»
«Lo fai già. Lo fai sempre. Lo hai sempre fatto.»
Stavolta mi apro in un sorriso più spontaneo e abbasso le mani, rivolgendo un ultimo sguardo ai loro epitaffi. Vi dedico tutta la gioia e leggerezza che ora mi riempiono, insieme a quello stesso sorriso.
Sto poi per voltarmi verso Kurogane-san e Fay-san, per annunciare di essere pronto a rincasare, quando odo dei passi pesanti alle mie spalle. Seguendo un istinto più forte di me sollevo lo sguardo verso la figura che ci si approccia.
È un uomo imponente, alto e massiccio, dalle spalle larghe e gli abiti scuri. Gli manca un braccio, sembra zoppicare ed è cieco da un occhio. Ma quel monocolo, quei capelli brizzolati, quegli occhi sottili e taglienti, quelle fitte basette, così simili alla fotografia che me ne ha mostrato Kimihiro, li riconoscerei ovunque.
Il cuore sembra cascarmi nei piedi, mentre mi paro davanti a Sakura. Prontamente, avvertendo forse la mia paura e la mia rabbia, Kurogane-san e Fay-san ci si posizionano davanti, portando le mani sulle pistole che portano appese in vita, sotto i cappotti. Ciononostante, non mi sento meglio. Perché qui? Perché deve accadere proprio qui? Non ha già fatto abbastanza danni? L’assassino dei miei genitori… 
Si ferma a pochi passi da noi. Il suo unico occhio buono si sposta da Sakura a me e viceversa, ignorando completamente i due uomini. Per un lungo istante impallidisce, quasi si trovasse al cospetto di due fantasmi. E probabilmente, considerando la mia somiglianza a mio padre e quella di Sakura a mia madre ora che ha deciso di portare il suo stesso taglio, è realmente ciò che pensa. Ma poi sembra farsi una botta di conti, e scoppia in una fragorosa risata.
«Il figlio di mia nipote! Sei proprio uguale a tuo padre, ma devo riconoscerlo: in quello sguardo infuocato c’è tanto anche di tua madre.»
Fa un passo avanti, ma non gli è concesso avvicinarsi ad oltranza, dato che Fay-san e Kurogane-san gli puntano le pistole contro. E intanto io mi sento ribollire di odio. Come osa anche soltanto parlare di loro, quando è stato lui a rovinarne la vita?!
Mi pongo giusto al centro dei miei compagni, cercando di celare totalmente alla sua vista Sakura, fronteggiandolo furioso.
«Fei Wang Reed! La pagherai per quello che hai fatto!»
Stavolta mi guarda con scherno, provocandomi: «Vuoi portare a termine quel che tuo padre non è riuscito a fare? Pensi di essere più in gamba di lui?»
«Certo che no!» Digrigno i denti, serrando i pugni, provando troppe emozioni contrastanti. Vorrei farlo fuori qui, in fretta, ma allo stesso tempo so che i miei genitori non approverebbero. Eppure, non posso fargliela passare liscia. 
Frustrazione, rancore, tristezza, titubanza. Sono riempito da tutto questo, e non so più cosa ascoltare. Che strada seguire. Qual è la cosa più importante?
… Che Sakura non venga coinvolta. Che lei non ne resti ulteriormente ferita. 
Mi concentro su quest’obiettivo, tentando di domare tutte le altre mie emozioni. 
«So di essere giovane. So di avere ancora tanto da imparare, e se mio padre non è riuscito ad ammazzarti, dubito di poterci riuscire io. Ma non ti permetteremo più di fuggire come un codardo. Avrai tempo per rimuginare su tutte le tue colpe, in galera.»
«Ma non hai prove contro di me, o sbaglio?»
Quanta sfacciataggine!
Sto per ribattere, quando Sakura mi anticipa e fa un passo avanti, esclamando: «Sono io stessa la prova! Io e la mia famiglia possiamo testimoniare contro di te. E la parola del primo ministro del Giappone di certo non rimarrà inascoltata».
Mi trattengo dal mostrare alcunché, in cuor mio allarmandomi. Questo vorrebbe dire esporsi. Significherebbe uscire allo scoperto. E se ciò da un lato mi risolleverebbe, perché così Sakura riotterrebbe tutta la libertà che le è stata portata via, dall’altro mi porta inevitabilmente a chiedermi se starebbe al sicuro. Il mio prozio è l’unica minaccia per lei? O ci sono altri come lui?
Lui la osserva alzando un sopracciglio, sembrando divertito. 
«Tu sei la mocciosa rapita da Rondart, eh? Quell’incapace.» Fa una pausa, tornando con lo sguardo da me. «Ti dirò solo questo: ho sempre pensato che quello che facessi fosse giusto. E non me ne sono pentito, qualunque sia stato il prezzo che gli altri hanno pagato.»
Fay-san mi trattiene per un braccio, forse accorgendosi che sono sul punto di farmi avanti e malmenarlo. Come può, come può parlare così?! Come può essere tanto spietato?!
«Perché non ti ha coinvolto in prima persona. Te ne sei lavato le mani, lasciando gli altri agire al posto tuo, e nel momento in cui sei stato in pericolo sei scappato come un coniglio», sbotta sprezzante Kurogane-san, mostrando anche solo con la sua voce tutto il suo disgusto. «Persone come te, meriterebbero una morte lenta e dolorosa.»
Lui sembra rimanere impassibile, quasi non avesse udito neppure una parola. Continua a guardarmi dritto negli occhi, quasi fosse questa la nostra sfida. E riprende il discorso, imperturbabile: «Eppure, nulla è andato secondo i miei piani. Prima quel Rondart che fa di testa sua, mia nipote che ci finisce di mezzo e viene uccisa. Mi dissi che dopotutto avrei potuto approfittare di quell’imprevisto, per ottenere il denaro che mi spetta. E invece, quella strega mi ha sempre messo i bastoni tra le ruote. In un modo o nell’altro, è sempre riuscita a tracciarmi, a impedirmi di fare ciò che volevo. E alla fine, anche lei è morta. Dopo tutte queste morti, mi ero convinto che finalmente fosse giunto il mio momento… ma in effetti, a che scopo?»
Le sue parole mi confondono. Che cosa intende dire? Sembra esserci una leggera mestizia in esse, ma immediatamente sparisce, e il suo tono assume una cadenza totalmente folle.
«Voi mi avete sempre portato via tutto! La donna che amavo, il denaro che bramavo, l’unica nipote che poteva garantirmi la felicità! E ora che potrei avere tutto per me, perché tu non ci sei più, ecco che torni, per infestarmi di nuovo! Ma non potrai averla vinta!»
Caccia anche lui una pistola da sotto il cappotto, e io lo guardo esterrefatto. Incapace di muovermi, Fay-san e Kurogane-san sono più rapidi di me nel reagire. Il primo si para totalmente davanti a Sakura, facendole da scudo col proprio corpo, mentre Kurogane-san sta per sparare un colpo…
Ma non è la sua pallottola a colpirlo… 
Lo osservo pietrificato, ad occhi sgranati, mentre con quel ghigno vittorioso scivola lentamente verso il suolo. La pistola ancora puntata alla tempia. Il sangue che schizza via dalla ferita. Il suo unico occhio che diviene vitreo. Il suo pesante corpo che precipita, cadendo tra i fiori che ha portato con sé.
Una morte desiderata…
Tutto come lui voleva…
Una morte soddisfacente…
Tutto è andato a suo favore…
Una morte pacifica…
E a me, cosa resta…?
«No!» mi sporgo verso di lui, ma Kurogane-san mi trattiene.
Lo sento chiamarmi, sento anche la voce di Fay-san, percepisco le loro mani su di me, ma neppure una parola mi raggiunge. Non capisco più nulla. Come può finire tutto così… Per cosa è morto mio padre, se lui resta impunito… 
Gli occhi smeraldini di Sakura mi riempiono la visuale. Sono stillanti di lacrime, e così somigliano ancora più a due gioielli. Noto che sta parlando, per cui cerco di isolare tutto, concentrandomi unicamente sulla sua voce. Eppure non ci riesco. Non ci riesco… 
Non mi rendo neppure conto di essere crollato a terra, finché non mi accorgo che l’erba mi bagna le ginocchia. Tutti mi hanno avvolto tra le loro braccia, Sakura mi stringe più degli altri, e in mezzo a queste voci confuse capisco. Capisco che stanno cercando di confortarmi. 
«Kurogane, accompagnali a casa. Ci penso io a ripulire qui.»
Credo che Kurogane-san abbia annuito soltanto, perché senza aggiungere altro né chiedere il permesso mi prende in braccio, portandomi in spalla, come un sacco di patate. Ma non ho la forza di ribellarmi. Non ho la forza di reagire. Possibile che debba andare realmente così la mia vita?
Mi logoro nella mia insoddisfazione, finché in auto non lo sento rassicurare Sakura.
«Tranquilla, ti sembrerà strano, ma il mingherlino ci sa fare. Non a caso è uno dei migliori agenti che ci sia in circolazione.»
Sento il suo stupore, seppure ovattato, mentre io non so più cosa mi sconvolge. Il passato di Kurogane-san, le vaghe rivelazioni su Fay-san, le esperienze traumatiche di Sakura, connesse alle mie… Il mio presente, che sembra improvvisamente governato dal caos…
Non appena arriviamo a casa, senza guardarli chiedo del tempo per stare da solo, andandomene nel giardino. Ne seguo i sentieri distrattamente, attraverso corridoi, supero finestre della luna, pini, bambù e susini, salgo su una roccia e mi siedo lì, contemplando l’acqua del laghetto sottostante. Mi lascio avvolgere dal vuoto più assoluto, azzerando del tutto pensieri e sensazioni.
Non ho alcuna concezione del tempo che passa, finché non mi sento tirare una manica.
Sbatto gli occhi, sentendomi intorpidito, e mi accorgo che è quasi giunto il crepuscolo. Abbasso lo sguardo, ritrovandomi Sakura stante in piedi oltre la roccia, restando vicino alle piante. Quasi viene coperta totalmente dai lunghi rami di un salice.
Mi lascia, portandosi le mani dietro la schiena, e aggrotta la fronte. 
«Come ti senti?»
Schiudo le labbra, ma poi mi rendo conto di non sapere come rispondere.
Torno con gli occhi sull’orizzonte, mormorando: «In colpa».
«Perché?»
«Perché… non sono riuscito a fare nulla. Non ho concluso nulla. Non ho potuto vendicare i miei genitori…»
«Syaoran…» La sua voce si abbassa di un’ottava, divenendo più delicata. Mi prende una mano tra le sue, distendendomi le dita, carezzandomi. «I tuoi genitori non avrebbero voluto che ti vendicassi.»
«No», riconosco con un sospiro. «Però…»
«Lo so che ti senti frustrato.» Chiude gli occhi, scuotendo la testa. «Ha soltanto commesso l’ennesimo atto di vigliaccheria. Ma devi pensare che, adesso, non devi più preoccuparti di nulla. Non resta più alcuna minaccia per la tua famiglia.» 
«Ma lui era… lui era la mia famiglia, e ha compiuto tutte queste cose… Ha fatto del male ai miei genitori, ha fatto del male a te, e io… adesso come allora, non ho potuto fare niente…» È senso di impotenza, quello che mi attanaglia. Quest’incapacità che mi porto dietro da sempre, che avrei sempre voluto migliorare, ma che invece continua a torturarmi. 
«Io credo… credo che, nonostante tutto, fosse pentito.» Parla per ipotesi, ma ne sembra convinta. «Non mi è sembrato avesse intenzione di uccidere tua madre, o tuo padre. Penso che anche lui sia stato vittima del destino che si è scelto e… e se alla fine si è suicidato, lo ha fatto per liberarti.»
«Liberarmi?» ripeto sbigottito. 
«Per impedirti di vendicarti. Non per cattiveria, ma perché tu smettessi di stare male. Io penso che vederti ancora vivo, gli abbia fatto piacere. E che abbia deciso di sparire dalla tua vita, per poterti permettere di viverne una più serena, priva di ansie e preoccupazioni.»
La fisso esterrefatto. È quella la sua interpretazione?
Il mio cuore vorrebbe rifiutarlo, ma sa che Sakura non direbbe mai nulla se non lo provasse davvero. Il che può soltanto voler dire che è ciò che ha percepito da lui stesso. 
«Ne ho parlato anche con Kurogane-san e Fay-san. Fay-san mi ha dato ragione, Kurogane-san non ne vuole sapere, ma lui è fatto così.» Fa una mezza risata, prendendomi ora entrambe le mani, facendosi più avanti. «Non dilaniarti per questo. Pensa solo che hai avuto la possibilità di riabbracciare i tuoi genitori. Ora loro possono andare avanti, quindi anche tu… Tsubasa-kun, volta pagina.»
Sgrano gli occhi, e lei si apre in un sorriso timido. 
«E non dimenticarlo, d’ora in avanti non sarai solo. Non sei solo. Hai ancora una famiglia: Kimihiro-san, Kurogane-san, Fay-san, Moko-chan… Hai i miei genitori e mio fratello, se puoi accettarlo…» 
Malgrado tutto, mi faccio scappare una risata. Più che altro, se lui può accettarmi… 
«Hai me», conclude, facendomisi più vicina. «Ci sono io con te. Io non ti lascerò mai. Mai e poi mai.»
Si solleva sulle punte e io chiudo gli occhi, credendoci davvero. 
In un mondo senza una vera e propria famiglia, l’avrei cercata nelle persone che avevo al mio fianco. E soprattutto, avrei permesso a lei di diventarla. 
Lei sarebbe stata la mia casa. 
Lei sarebbe stata il mio futuro.
Per sempre.










 
Angolino autrice:
Buon inizio di settembre! Ormai siamo vicinissimi alla fine di questa storia ç///ç Come avrete notato, questo capitolo è stato abbastanza lungo... Beh, c'erano parecchie cose che dovevano accadere ç_ç 
Non so se c'è molto da spiegare - eventualmente, potete scrivermi per chiedermi cosa non capite -, ma vorrei parlarvi almeno della canzone, "You are my love", quella che Sakura stessa canta nell'anime (precisamente a Oto, mentre Oluha suona çwç). Invece di mettere soltanto una versione, ho preferito unire sia quella in inglese che quella in giapponese, così che il testo potesse adattarsi meglio a tutta la situazione. La parte in giapponese è: "Il mio sogno volerà via con queste piccole ali, verso un luogo in cui i ricordi non possono svanire, in cui ci siamo noi due, superando il cielo e il lontano mare. Tu illumini la mia strada nelle notti buie, con quel tuo sguardo gentile" (traduzione mia).
Spero tanto che la storia stia continuando a piacervi ç//ç Grazie a chi è rimasto, anche se ci metto una vita ad aggiornare.
Steffirah

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Capitolo 35
*** 34 ***


XXXIV



 
 
 
Sono trascorsi tre mesi da allora, e diverse cose sono cambiate.
Prima di tutto, non appena mi sono calmato e ho ritrovato la mia pace interiore, Fay-san ne ha approfittato per raccontarci interamente la sua storia. A quanto pare, alla loro nascita lui e il suo gemello erano stati abbandonati fuori ad un orfanotrofio; erano cresciuti lì, ma dopo alcuni anni i loro genitori naturali – dimostrandosi pentiti – avevano cercato di riprenderseli. Cominciarono così a vivere insieme, e tutto sembrava andare bene, finché, udendo delle conversazioni notturne tra i due, non scoprirono che erano dei criminali che facevano parte di una gang. Sembrava che per denaro avessero ucciso persino membri delle proprie famiglie, per cui, nel timore che potessero diventarne vittime a loro volta, i due gemelli decisero di scappare. Per mesi si nascosero tra boschi e villaggi, viaggiando a piedi, rubando per vivere. Per il fratello di Fay-san, da cui ha preso il suo nome, quella non poteva chiamarsi vita, per cui – essendo il più debole tra i due – decise di liberare suo fratello Yui da quel peso, suicidandosi. Dopo aver pianto la sua morte, Yui-san aveva continuato a vagabondare, finché non è stato trovato da un uomo in vacanza in Finlandia, dal quale è stato adottato.
Una volta scoperto che tale signore fosse un membro dell’FBI ha deciso di inseguire le sue orme, facendosi addestrare da egli stesso e facendo sì di poter ottenere tutti i requisiti per entrare nel corpo. Ha pertanto ottenuto una cittadinanza statunitense, appena raggiunta l’età per guidare s’è preso la patente e si è laureato, ringraziando il padre adottivo per averlo raccomandato ai colleghi. Così facendo ha potuto partecipare a delle indagini sulla sua famiglia, seguendo indizi lasciatigli da un tatuaggio che gli era stato fatto sulla schiena da bambino, che rappresentava in realtà un codice da decodificare per poter raggiungere il loro covo. Grazie alla sua collaborazione fu semplice coglierli sul fatto e arrestare tutti i membri della banda in un solo agguato, ed ebbe la soddisfazione di poter vedere lo shock negli occhi dei suoi genitori quando lo riconobbero.
Tuttavia, durante tale attacco perse la vita il suo tutore, per cui da allora ha deciso di dimettersi e riprendere a vagabondare, approfittando delle sue doti artistiche per divenire un pittore errante. Il resto era come lo conoscevo, ma non appena venni a sapere tutto questo non potei evitarmi di mostrarmi risentito. Se era davvero stato un agente dell’FBI avrebbe potuto trovare un modo più efficiente di aiutarmi prima che tutto si concludesse come si era concluso. In uno scatto di rabbia glielo rinfacciai, ma con una pazienza estrema lui mi spiegò che non sarebbe stato semplice. Fay-san aveva tagliato i ponti con tutti i suoi conoscenti, aveva persino cambiato identità e aspetto per poter ricominciare da capo. Certo, mi avrebbe aiutato ad indagare e risolvere tutto in un modo o nell’altro, ma non si aspettava che fosse Fei Wang a venire da noi, comportandosi in maniera tanto vile.
In quel momento, però, non volevo capire. Non volevo accettare. Arrivai ad accusare persino Kurogane-san per non avermelo rivelato prima – sebbene lui mi avesse ripetuto più volte che ne sapeva ben poco della sua storia, e che anche per lui quella era stata una novità – e perché sospettavo che anche lui mi nascondesse altro. Ma no, la sua storia era precisamente come me l’aveva raccontata, e mi aveva giurato di non aver falsificato nulla. Gli domandai allora perché anche lui utilizzasse un altro nome, nella vita di tutti i giorni, e lui con tutta la calma del mondo dichiarò: «Come te, continuo a portare avanti la memoria di mio padre».
A quello mi sono zittito, rincrescendomi. Con quel nome si faceva conoscere al resto del mondo, grato del fatto che la famiglia imperiale avesse permesso anche a lui di vivere una vita “normale”.
A quel punto sono riuscito a farmene definitivamente una ragione e ho accettato le cose così come stanno. D’altronde, era ingiusto prendermela con loro, visto che ero io ad essere stato deplorevole per aver immischiato così tante persone in faccende che non li riguardavano; ma come ha detto anche Fay-san, “tutto è bene quel che finisce bene, ed è inutile piangere su latte versato”.
Sto cercando di seguire questo suo consiglio, sforzandomi di non pensarci proprio più a tutta la faccenda; in effetti non è affatto complicato, visto che ora si è aggiunta Sakura, con nuove rivelazioni spiazzanti.
La prima è stata che ha ufficializzato la nostra relazione coi suoi genitori, parlandone con entrambi, anche in presenza di suo fratello, affinché si convincesse una volta per tutte e la smettesse di tormentarmi. Se ciò da un lato è stato utile a liberarmi del suo odio e disprezzo, dall’altro ha reso ancora più rari i momenti in cui io e Sakura possiamo stare da soli. Touya-sama si fa trovare quasi sempre in casa, e quando facciamo lezione entra continuamente in biblioteca con una scusa o con un’altra, talvolta anche due-tre volte all’ora. Io mi sforzo sempre di ignorarlo, fingendo che non esista, mentre Sakura non riesce proprio a farne a meno e puntualmente battibecca con lui. Alla fine l’ha convinto a smettere di comportarsi in maniera tanto infantile e diffidente, dicendogli che così non la fa concentrare sui propri studi; lo ha spinto a sentirsi in colpa nel caso in cui i suoi test avessero dovuto mostrare dei cali nell’apprendimento, e lo ha anche minacciato di farmi andare a casa loro solo quando sapeva che lui non c’era, venendo lei al mio appartamento gli altri giorni, da sola. Dev’essere stato parecchio efficace perché ad oggi ha smesso effettivamente di gironzolare tra gli scaffali, ma talvolta continuo ad avere l’impressione che continui a spiarci, attraverso una piccola fessura delle porte in legno.
La seconda notizia scioccante che mi ha dato Sakura, precisamente due settimane fa, è stata la sua volontà di “uscire allo scoperto”. Non che voglia annunciare al mondo di essere la figlia del primo ministro – anche perché è convinta che presto i media non presteranno neppure più troppa attenzione a suo padre, visto che anche il suo secondo mandato sta per giungere al termine e non sembra avere più intenzione di riproporsi e restare in politica –, ma vuole quanto meno cominciare ad uscire mostrando il suo vero aspetto, indipendentemente dal fatto che la gente la riconosca o meno. E mi ha spiazzato ulteriormente quando ha detto: «E se anche mi dovessero associare alla figlia del primo ministro, posso sempre dire che si sbagliano e che semplicemente le somiglio. Ma quel che voglio è non dovermi più travestire quando esco, non dovermi più nascondere sotto parrucche, abiti pesanti e occhiali da sole. Voglio dire la verità solo alle persone diventate per me importanti».
Tra queste rientrano i miei amici, per cui ho organizzato un incontro per vederci tutti quanti, facendo un picnic all’aperto in una zona abbastanza isolata. Mentre mangiavamo lei ha quindi rivelato tutto in maniera breve e concisa, spiegando di non essere Ichihara Hana, bensì Kinomoto Sakura, e che quella menzogna era stata necessaria a causa delle sue stesse origini e delle sue vicissitudini.
Fortunatamente, superato lo shock iniziale si sono dimostrati tutti comprensivi, comportandosi con lei esattamente come prima. Se possibile, mi hanno preso persino più in giro per il mio comportamento nei suoi riguardi, nonché per essere passato da essere suo tutore e sua guardia personale a essere suo amante, decidendo che ciò meritasse un brindisi. Per questo dopo aver bevuto sakè all’aperto hanno deciso di festeggiare ulteriormente tornando al karaoke, coinvolgendo anche Sakura nella loro ebbrezza, mentre io mi sono mantenuto sobrio per tenere sotto controllo la situazione. Forse in quel frangente mi sono comportato più come un bodyguard, che come un ragazzo, ma era inevitabile che stessi attento, visto che poi avrei dovuto portarla io a casa – e se Touya-sama mi scopriva ubriaco mi avrebbe probabilmente ammazzato.
Per fortuna Sakura è il tipo di persona che, una volta liberatasi di tutta l’euforia che la riempie, crolla del tutto esausta, per cui per quando siamo rincasati ho potuto usare il pretesto che si fosse addormentata all’improvviso e ho avuto modo di accompagnarla io stesso in camera sua – approfittando della momentanea assenza di suo fratello. Così nessuno l’aveva scoperta, se non qualche cameriera, che però ha avuto il buonsenso di mantenere la bocca chiusa.
L’avevo poi lasciata dandole un leggero bacio della buonanotte, prima di tornarmene al mio appartamento. Era stato un momento fugace, ma proprio perché quasi mai potevamo lasciarci andare a dimostrazioni fisiche d’affetto mi fu estremamente prezioso.
Sorrido tra me, ripensando alla sua espressione serena di quella sera, ma immediatamente mi do una scrollata. Non è né il luogo né il momento adatto per perdermi in fantasticherie.
Torno quindi a dedicarmi alla lezione, finché non sento il cellulare vibrarmi in tasca. Senza farmi notare lo controllo da sotto il banco, vedendo un messaggio da parte di Sakura. Strano che mi scriva a quest’ora, visto che sa che mi trovo all’università.
Lo apro, leggendo rapidamente:
 
Ho una meravigliosa notizia da darti! Ti aspetto a casa tua!
 
Alzo gli occhi al cielo, scuotendo leggermente la testa. Ecco uno dei problemi sorti ora che ha deciso di uscire allo scoperto: pur continuando a coprirsi finché non giunge fuori dal vicolo segreto, una volta giunta sulla strada principale fa tutto quello che vuole, andandosene anche in giro da sola, ignorando rischi e pericoli.
So che non posso costringerla a stare in casa, per cui le scrivo soltanto:
 
Stai attenta per strada. A dopo.
 
A dopo!
 
Mi manda degli sticker esprimenti gioia e allegria, insieme a un numero esorbitante di cuoricini. Deve proprio essere su di giri.
Torno alla lezione di Arisugawa-sensei, chiedendomi smarrito a che argomento siamo arrivati. Sbircio sul quaderno degli appunti di Ryūō, e lui sghignazza beffardo. Fingo di non notarlo e recupero il filo del discorso, concentrandomi nuovamente sulle parole del docente.
Quando finisce la lezione mi affretto ad uscire dall’aula, e il mio amico mi si affianca divertito.
«È strano vederti tanto distratto durante una lezione del tuo prof preferito. Sta per piovere?» mi prende in giro.
«È per Sakura, mi ha scritto sembrando molto esaltata da qualcosa.»
«Non dovresti raggiungerla?»
«Ma -»
«Niente ma, ti passo io gli appunti.» E detto ciò mi spinge via, ammiccando.
Lo ringrazio e corro a prendere il primo pullman che conduce a casa, dopo essermi accertato che Sakura sia già arrivata. Giunto dinanzi alla mia porta mi affretto ad aprirla, annunciandomi. A sorpresa, Sakura mi tende un agguato, stando nascosta dietro essa per potermi saltare al collo, facendomi perdere l’equilibrio.
«Bentornato, Syaoran!» esclama gioviale, continuando a starmi appiccicata addosso, quasi non voglia più lasciarmi. Pensare che solo la settimana prima siamo stati insieme per un intero weekend, in occasione del matrimonio di Hana-sama a Okinawa. D’altro canto, non che mi dispiaccia tutta questa vicinanza.
«Sono tornato», ripeto in tono più basso, stringendola a me, finché non si accorge del suo avermi atterrato; allora si scusa, balzando di lato.
Mi alzo e la aiuto a fare altrettanto, entrando.
«Fay-san?» mi informo mentre appendo la mia giacca a vento sull’attaccapanni, andando poi a posare la borsa in camera.
«È uscito poco fa per andare a fare la spesa. Non l’hai incrociato mentre rientravi?»
Scuoto la testa, dirigendomi direttamente in bagno per sciacquarmi le mani.
«Come mai sei già rientrato? Ti aspettavamo per stasera.»
Entro in cucina a prendere un bicchiere fresco d’acqua, offrendola anche a lei, mentre spiego: «Uno: non volevo farti aspettare. E due», mi volto verso di lei e prendo una sua mano, portandoci a sedere sul divanetto, «ero curioso di sapere che notizia hai per me».
Nell’udire ciò si illumina tutta, esclamando su di giri: «I miei hanno approvato il nostro matrimonio!»
Per poco non sputo tutta l’acqua. La fisso sbalordito, non riuscendo a credere alle mie orecchie.
«Gliene hai parlato prima che possa farlo io?»
«In realtà lo avevano già dato per scontato», ridacchia, sembrando felicissima.
«… Quindi non dovrò chiedere formalmente la tua mano?»
«Se ci tieni puoi farlo, ma sappi che non è necessario.» Fa una breve pausa, per poi rivolgere quello sguardo sognante su di me.
Allargo le braccia e lei vi si fionda, sprofondando il viso contro il mio petto. Mi stendo appoggiandomi meglio al cuscino, con lei che continua a ripetere, in preda all’euforia: «Non è meraviglioso?»
«Sì.»
Le accarezzo i capelli, mentre lei quasi mi fa le fusa contro, gioendo.
«A te com’è andata la giornata?» si interessa, mettendosi più comoda.
«Bene.»
«Non avevi altre lezioni?» si preoccupa, sollevando di poco la testa per guardarmi.
«Mh, ma Ryūō mi passerà gli appunti», la rassicuro, al che torna a posare l’orecchio all’altezza del mio cuore, descrivendo cerchi e segni astratti sul mio addome.
Rido per il solletico, e lei sbircia sul mio viso, sorridendo con astuzia.
«Comunque, sappi che anche se non lo avessero accettato – per quanto sarebbe stato impossibile, visto che ti amano da quando ti hanno conosciuto – io avevo intenzione di sposarti lo stesso. Anche se avessimo dovuto farlo in gran segreto.»
«Non ne dubito.» Le rivolgo un’occhiata divertita, osservando: «Sbaglio o ultimamente sei diventata più ribelle?»
«È che finalmente tutto sta andando per il verso giusto. Sia tu che io abbiamo recuperato i nostri ricordi, e ora possiamo vivere sereni, senza più dubbi, paure, ombre ad oscurarci. Possiamo essere completamente felici, e liberi di essere ciò che siamo.»
Mi faccio leva su un gomito per sollevarmi di poco, e lei fa altrettanto, tirandosi leggermente indietro. Le sorrido, ritrovandomi in quelle parole, e annuisco in conferma. Le accarezzo una guancia, e lei immediatamente chiude gli occhi, abbandonandovisi contro con un sorriso. Chiudo anche i miei occhi, appoggiando prima la fronte contro la sua, poi sfiorando il suo naso col mio, beandomi di questo momento. Visto che a casa sua non siamo quasi mai soli, solo da me possiamo dedicarci veramente a noi stessi – approfittando delle uscite di Fay-san e Kurogane-san. Ecco perché adesso mi focalizzo su questo istante, pregando che possa durare il più possibile.
Avverto la sua guancia scaldarsi sotto i miei polpastrelli, competendo col calore che dalle sue labbra si emana verso le mie. Rimuovo tutte le distanze, sentendomi quasi sciogliere in quella morbidezza. Tutto il corpo mi si rilassa, mentre continuo ad accarezzarla.
Interrompo il contatto per un attimo, solo per riprendere, inclinando leggermente la testa. Sakura risponde di conseguenza, posando a sua volta una mano a lato del mio viso, mentre con l’altra si sorregge. Afferro quest’ultima, intrecciando le nostre dita, e riprovo a baciarla da un’angolazione diversa, mantenendo la stessa lentezza. È incredibile che, comunque lo faccia, resta una sensazione meravigliosa. E lei è sempre morbidissima, dolcissima, caldissima… È come posare le labbra su morbide zollette di zucchero e miele. È deliziosa.
A malapena percepisco i battiti accelerati del mio cuore, troppo concentrato su di lei, sulla sua tenerezza soave, sui suoi sospiri espressi attraverso sottili e brevi mugolii. Ahh, quanto mi piace baciarla… E quanto mi piace questa delicatezza mista a dedizione con cui risponde…
Esploro ogni centimetro roseo che disegna le sue labbra, sofficemente, cercando di essere delicato quanto una piuma, e una volta che mi pare di averle memorizzate completamente mi concedo un po’ di più. Le sfioro appena il labbro inferiore con la punta della lingua, seguendone la linea ricurva, e lei rabbrividisce. Stringe le dita alle mie, posando l’altra mano su una mia spalla, quasi cercando un appiglio. Esito per un istante, socchiudendo gli occhi, e così la trovo con le gote arrossate, le palpebre rilassate, il viso totalmente rivolto verso l’alto. Rimuovo di nuovo le distanze e lei schiude le labbra, esitando per un attimo prima di fare altrettanto con me, seppure con maggiore insicurezza. Percepisco il mio labbro tremare sotto quel tocco umido, ma non appena si tira indietro torno a baciarla, stavolta sfiorando la punta della sua lingua con la mia.
Avverto le sue dita stringersi ulteriormente attorno alla mia maglia, e per un attimo mi chiedo se non stia esagerando, ma subito mi contraddice facendo aderire maggiormente i nostri corpi, permettendo alle nostre lingue di incontrarsi. Sciolgo l’intreccio delle nostre dita per stringerle la schiena e attirarla a me, affondando l’altra mano tra i suoi capelli, e lei ricambia allo stesso modo, avvolgendomi le braccia attorno al collo. Non ho molta idea di cosa stiamo facendo, ma so che mi piace, e capisco che piace anche a Sakura – anche perché altrimenti mi avrebbe già allontanato. Mi separo tuttavia da lei, per accertarmene, e la vedo riaprire lentamente gli occhi ed emettere un sospiro per poi sorridere, in una maniera follemente innamorata.
Il mio cuore parte al galoppo, e so di ricambiare allo stesso modo, riavvicinandomi a lei. Ma prima di poter riprendere da dove ci siamo interrotti ecco che sentiamo una squillante voce esclamare: «Sakura-chaaaan, sono tornato! Guarda chi altro è rientrato!»
Sobbalziamo entrambi e ci mettiamo seduti, con lei che si fa paonazza. Si pettina rapidamente i capelli e io la aiuto ad aggiustarseli, ridacchiando nel vederla tanto impacciata. Ci voltiamo entrambi verso l’ingresso della cucina, da dove Fay-san ci fissa con un sorrisetto consapevole, mentre Kurogane-san ci guarda avvilito.
«Arara, abbiamo interrotto qualcosa?»
«C-c-certo che no!» balbetta lei, scattando in piedi e inciampando nel tappeto.
Tutti e tre ci allunghiamo per prenderla al volo, ma così non facciamo altro che cadere l’uno sull’altro. Sakura si scusa per averci trascinati tutti giù, mentre io e Fay-san scoppiamo a ridere.
Kurogane-san grugnisce e si scosta malamente Fay-san di dosso, rialzandosi borbottando: «Grazie per il bentornato».
«Bentornato», gli diciamo in coro, alzandoci a nostra volta. Do una mano a Sakura per rimettersi dritta, mentre Fay-san controlla che nulla nella busta si sia rotto.
«Le uova sono salve!» annuncia fiero, sollevandole come fossero un trofeo.
Sakura esulta, Kurogane-san alza gli occhi al cielo, mentre io osservo la scenetta rasserenato.
Nella mia mente riecheggiano le parole che Sakura mi disse a Hong Kong, insieme a quelle di Kimihiro, quando lo chiamai il mio primo giorno qui.
Prendo il cellulare dalla tasca e rapidamente digito un messaggio.
 
Kimihiro, alla fine sono riuscito a trovarla. La mia vera casa.
 
Non attendo risposta, ma già so che ne sarà felice e ne gioirà insieme a me. Così rivolgo un sorriso radioso alla mia allegra, pazza famiglia, grato al destino di avermi dato tutto questo.










 
Angolino autrice:
Buonasera! *fa i lacrimoni agli occhi*
Immagino che questo capitolo vi sembrerà una sorta di epilogo, e in parte potete anche considerarlo tale. Come già vi scrissi nelle note del prologo, qui finisce la storia vissuta, ossia quella scritta in prima persona. L'epilogo sarà uno sprazzo di storia raccontata, che si riallaccerà al capitolo "0".
Molte cose sono state svelate, e altre, fortunatamente, hanno trovato una risoluzione. Piango, perché è davvero come se fossimo giunti alla fine T//T
Non ci sarebbe neppure nulla da spiegare linguisticamente, qui, essendo cose già dette; ma via, vi rinfresco un po' la memoria:
- Arisugawa-sensei è Sorata, e insegna storia all'università.
- "Arara" è un'interiezione che esprime sorpresa e canzonatura. 
Detto ciò vi saluto e vi auguro la buonanotte!
A presto con la vera fine çwç
Baci, 
Steffirah

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Capitolo 36
*** Epilogo ***


もう一度ゼロから



 
 
 
Ascoltava incantato quella melodia suonata al pianoforte solo per lui, di tanto in tanto accompagnando il suo canto con la propria voce. Ma più che altro le sorrideva, e lei ricambiava con tutto il cuore, con tutto il corpo e tutta l’anima; perché era il suo sorriso, il suo raro e gioviale riso, che l’aveva salvata. 
Fu dopo molto tempo, che Sakura ebbe il coraggio di dirglielo. 
«È perché quando ridi sembri tornare bambino. Fai tornare bambina anche me.»
In tale occasione, Syaoran le rivelò a sua volta che era col suo canto che lo aveva salvato. Perché era tramite esso che aveva finalmente trovato se stesso.
«Tu mi hai riportato alle mie origini. Mi hai restituito una vita che neppure sapevo di aver vissuto.»
E per questo, non avrebbe mai smesso di ringraziarla. 
Sakura aveva sempre capito tutto di lui, sin dal primo momento.
Da bambini, aveva capito che lui avrebbe desiderato essere sempre al suo fianco e trascorrere tutta la sua vita con lei. E l’avevano realizzato, ora che finalmente s’erano sposati e vivevano insieme.
Quando si erano ritrovati, lei aveva capito di cosa avesse più bisogno. 
Aveva bisogno di un futuro certo, e aveva fatto sì che lo ottenesse, grazie a suo padre. Il primo ministro – ormai non più in carica – aveva infatti parlato del ritrovamento di Syaoran con un suo ex collega archeologo, facendo sì che venisse inserito nel campo. E così il desiderio di lei, divenuta poi aspirazione di lui, si era avverato: una volta laureato e ottenuto un dottorato e diversi master, era entrato nell’ambiente accademico, dapprima come ricercatore e poi, con grande orgoglio di Sakura e Fujitaka, come archeologo e docente di archeologia. Certo, c’era voluto del tempo per arrivare a quel traguardo, ma ne era valsa la pena. Anche perché continuava ad avere il supporto di tutte le persone che erano rimaste costantemente al suo fianco. 
Aveva bisogno di un’identità, e lei gliel’aveva garantita. Lei stessa l’aveva trovata insieme a lui, e ora, finalmente, non dovevano più preoccuparsi di nulla. Sakura non doveva più avere ansia di uscire o viaggiare. Perché Syaoran aveva ragione, con suo marito aveva la possibilità di fare tutto ciò che desiderava, e andare dovunque volessero, senza alcuna restrizione. Per questo, non appena ne avevano avuto modo, avevano girato il mondo intero. E lui aveva riempito quella sua vita fino ad allora piatta, monotona e intimorita di scoperte, colori, visioni, lingue, suoni e sicurezza. Lui aveva mantenuto la promessa che le fece, quando finalmente trascorsero quei tre anni e convolarono a nozze. E prima di sposarsi, il giorno del loro stesso compleanno, cantò per lei, solamente per lei, in un momento di intimità, mentre la cingeva tra le sue forti, calde e gentili braccia, promettendole: «Io sarò le tue ali, Sakura». 
Ma più di ogni altra cosa, Syaoran aveva bisogno di una famiglia, e lei gliene aveva fatto dono. Gli aveva fatto aprire gli occhi su ciò che già possedeva, su tutte le persone che gli erano affianco e che mai lo avrebbero abbandonato; e gli aveva anche regalato un futuro prezioso, inestimabile.
Una terza voce si aggiunse alle loro, piagnucolando: «Otou-san, okaa-san! Hime non la smette di disegnare sul muro!»
Sakura smise di suonare, guardando atterrita suo marito, che ricambiò con uno sguardo altrettanto costernato – ma anche un po’ rassegnato. 
Seguirono il loro bambino fino al corridoio, aspettandosi già quello che si trovarono davanti: una bimbetta di due anni che scarabocchiava coi pastelli sulle pareti da poco riverniciate, divertendosi un mondo. 
Sakura le si avvicinò immediatamente, inginocchiandosi dietro di lei e togliendoglieli dalle mani, mentre Syaoran si abbassò al lato opposto, analizzando le variopinte linee ricurve e le spirali che aveva tracciato in un angolo. 
Suo figlio lo affiancò, abbattuto.
«Mi dispiace, avrei dovuto tenerla d’occhio, ma stavo leggendo…»
Syaoran gli sorrise, scompigliandogli i capelli. «Non importa. Se dovessero venire ospiti basta spostare di poco il vaso, per nasconderlo. Non è grave.» 
Si voltò poi verso sua moglie, che tentava in tutti i modi di calmare la piccola, che ora strepitava visto che le era stato portato via il suo divertimento principale.
La prese allora in braccio, rialzandosi, e la fece volare come un aeroplano per farla sorridere. Ben presto il suo pianto si mutò in una risata ilare, e sembrò dimenticare totalmente cosa la stesse disturbando, perché continuava a chiedergli di andare più veloce e più in alto. 
Quando sembrò averne avuta una dose sufficiente tornò da Sakura con lei in braccio. Sua moglie era ora impegnata a preparare dei pancake a forma di gattini per merenda, facendosi aiutare da Haruma – che così sperava di farsi perdonare per la sua distrazione. Aveva soli otto anni, ma era già dotato di un forte senso di responsabilità. Con quegli occhi di una sfumatura tanto particolare di castano, che al sole diventavano verde muschio, e quei lisci capelli dalle sfumature dorate e il carattere pacato ma forte, determinato e testardo che si ritrovava era un mix perfetto dei suoi genitori. Questo, almeno, dicevano tutti.
Hime, invece, era una piccola peste. Era iperattiva, e quando si arrabbiava piangeva disperata, mandando tutti nel panico. E non riusciva mai a stare zitta. Anche quando era calma, o se ne stava ferma, canticchiava a bocca chiusa e sfruttava ogni volta che poteva quelle parole che aveva imparato, in tutte le lingue in cui le aveva imparate. Lei aveva sia gli occhi che i capelli castani, e per questo suo zio Touya inizialmente non l’aveva presa bene, ma subito cedette nel vedere il suo primo sorriso da infante. I suoi sorrisi erano disarmanti, quanto quelli dei suoi genitori. E dato che, complessivamente, era costantemente allegra, la sua risata gaia e piena di vitalità riempiva le loro giornate, dal mattino fino alla sera.
Caratteristica che entrambi i figli avevano ereditato, era il desiderio di scoprire e imparare. Entrambi erano curiosi, e a guardarli a volte Syaoran ricordava la stessa curiosità che egli stesso aveva mostrato in passato, sia di tutti gli oggetti posseduti da Yuuko-san, che del laboratorio in cui una volta aveva lavorato suo nonno, Clow Reed.
Visto che anche Hime voleva cucinare, la portò a lavare le mani, prima di aggiungersi al resto della famiglia in cucina per occuparsi dell’impasto.
Sakura sorrise vedendoli, corrucciandosi poi: «Come dobbiamo fare per farle togliere questo vizio?»
«Lasciamo stare per ora, magari scopriamo che è una grande artista.»
«Tu la vizi troppo», sospirò, aprendosi però subito in un gran sorriso. «Ma se così fosse, zio Fay ne sarebbe molto contento.»
«In realtà è zio Fay che le ha fatto prendere quest’abitudine», confessò Haruma, guardandoli con occhi limpidi.
Entrambi si scambiarono uno sguardo per niente stupito, scuotendo la testa.
«Hime adora zio Fayyy!» esclamò la piccola allargando le braccia, impiastricciando tutta la faccia, sia propria che quella di suo padre.
Sakura si trattenne dal ridere, portandosi le mani in vita fingendosi severa.
«Solo zio Fay?»
«No, anche zio Kuroriiin!»
Stavolta rise apertamente, e anche a Haruma scappò una risata. 
«Meglio che non lo scopra, eh?» sussurrò tra sé.
«Meglio di no», confermò sua madre.
«E amo tanto tanto tanto otou-chan!»
Detto ciò gli saltò al collo, finendo di imbrattarlo.
Syaoran abbandonò i fazzoletti che aveva preso per pulirsi, rinunciandoci. 
«E okaa-chan!» aggiunse, allungandosi verso di lei a braccia allargate.
Sakura si avvicinò, dandole un abbraccio, e lei come una scimmietta si tuffò direttamente sul fratello, arrampicandoglisi sulle spalle.
«E onii-chan!»
Questi per poco non perse l’equilibrio, ma subito lo ritrovò, tenendola per le braccia prima che scivolasse.
Sia Sakura che Syaoran li guardarono commossi, appoggiati l’uno all’altra, ridendo quando Haruma rispose lagnoso, cercando di ritrarsi dal suo tocco: «Anch’io, anch’io ti voglio bene, ma smettila di sporcarmi».
I loro genitori si guardarono divertiti. Nell’incontrare gli occhi ambrati di suo marito, Sakura risentì le parole che Syaoran le aveva sussurrato il giorno in cui aveva scoperto di essere incinta: «Proteggerò per sempre la mia amata famiglia. Per sempre».
Gli sorrise a trentadue denti, prima di togliere la piccola dalle spalle del fratello e attirare di nuovo la sua attenzione, intonando come fosse una canzone: «Hi-me-cha-n, prepariamo dei deliziosi pancake tutti insieme?»
«Tutti insiemeeee!» le fece eco, saltandole tra le braccia.
«E li faremo kawaii», continuò a canticchiare.
«Dei gattini kawaii», si aggiunse la piccola, muovendo la testa a tempo.
E così ciascuno di loro si occupò di qualcosa, con Haruma che ne realizzava le forme con gli stampini, Syaoran che li cuoceva, Sakura che li metteva nei piatti, lasciando poi le decorazioni al padre e ai figli, molto più creativi di lei.
Ora che aveva raggiunto una tale felicità, sentiva che nulla più le serviva nella sua vita.
Perché entrambi avevano ottenuto tutto ciò che avevano sempre desiderato.










 
Angolino autrice:
Eccomi qui! Finalmente pongo la parola "fine" a questa storia, per quanto ciò mi rattristi ç////ç  Ho cercato di rimandare questo momento al massimo, ma oggi mi è tornato in mente all'improvviso che non avevo condiviso ancora con voi l'epilogo, e non potevo più aspettare.
Il titolo si legge "mou ichido zero kara", che significa "ancora una volta (partendo) da zero"; ora magari è più chiaro perché il prologo era il capitolo "0" xD Come avrete notato, tutta la storia parla di un percorso che i due protagonisti fanno per cambiare il loro presente, fare pace col passato e vivere serenamente col futuro che li aspetta. Confesso che, scrivendola, ho voluto rivolgermi un po' anche a me stessa, sperando che possa seguire anche io il loro esempio. 
Ciononostante, è sempre difficile salutare Syaoran e Sakura, non ne ho mai la forza... Quindi, prima di mettermi a piangere, passo alle spiegazioni:
- otou-chan/otou-san e okaa-chan/okaa-san sono rispettivamente "papà" e "mamma"
- kawaii = carino/adorabile
- Hime significa "principessa", Haruma l'ho immaginato scritto coi kanji 春真 che rispettivamente significano "primavera" e "vero/puro/genuino".
Non so se ho altro da dover spiegare perché è trascorso tantissimo tempo da quando ho cominciato a scrivere e pubblicare questa storia (mea culpa), quindi se dovessero esserci dubbi sapete che potete contattarmi in qualunque momento.
Grazie a chiunque è arrivato fin qui.
Grazie a tutte le persone che hanno recensito, lasciandomi il loro pensiero.
Trovate sempre il coraggio di lasciarvi il passato alle spalle. Il passato è passato, non tornerà; non permettete che influenzi il vostro presente o il vostro futuro. 
Non abbiate paura di ricominciare.
Vi voglio bene,
Steffirah

 

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