He, who desires

di Shichan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ten - Sixteen ***
Capitolo 2: *** Eighteen ***
Capitolo 3: *** (almost) nineteen ***
Capitolo 4: *** Twenty ***



Capitolo 1
*** Ten - Sixteen ***


N/A: ho letto Percy Jackson davvero troppi anni fa, per di più in inglese. Potrebbero esserci quindi delle imprecisioni sia su alcuni dettagli del campo sia sui nomi della versione italiana. Niente che dovrebbe appesantire troppo la lettura, comunque <3
Questa cosa doveva essere una oneshot sotto le 8k. Chiaramente qualcosa è andato storto, visto che dovrebbe aggirarsi sui tre/quattro capitoli.



Al campo gli hanno spiegato, poco dopo il suo arrivo, che in genere i primi ad arrivare erano i figli dei cosiddetti “Big Three”, ma che si trattava al tempo stesso dei semidei più rari. Al suo ingresso, infatti, solo tre - uno per divinità - erano stati accolti e riconosciuti. Perciò quando Shouto ha varcato la metaforica soglia del campo a soli dieci anni, il mondo ha pensato che fosse un altro figlio di uno dei pezzi grossi. Qualcuno forse ha persino scommesso su di lui, invece Ares lo ha riconosciuto come sua prole prima che chiunque altro potesse avanzare strambe ipotesi. Essere semidio da parte di padre significava automaticamente che sua madre doveva averlo conosciuto e Shouto non riusciva a immaginare come una donna come lei potesse aver attirato l’attenzione del dio della Guerra. Ricorda di averci pensato quando l’estate è passata ed è potuto tornare a casa; quando è tornato tra mostri fatti di silenzi e prove insuperabili costruite di ostacoli composti da segreti e litigi tra sua madre e il padre che Shouto pensava fosse il suo fino a pochi mesi prima. 

Visto che per tutta l’estate era stato bravo, si era addestrato e non aveva chiesto mai nemmeno una volta che suo padre venisse a parlare con lui dopo la sera in cui lo aveva riconosciuto ufficialmente, Shouto aveva pregato una sola sera. Sperato in cuor suo che Ares potesse sentirlo e pensare che, se un figlio sempre silenzioso gli si era rivolto, doveva essere qualcosa di importante.

Ares non aveva mai risposto. Dall’anno seguente, Shouto ha smesso di tornare a casa. Non ha mai più parlato con Ares da quel giorno.

*

Inevitabilmente Shouto ha finito per essere il semidio con più perle al collo, subito dopo i tre figli di Zeus, Poseidone e Ade. Mirio, Nejire e Tamaki sono stati la cosa più vicina a dei fratelli e una sorella maggiore che Shouto potesse avere al di fuori della Cabina 5, anche se a conti fatti ha forse trovato più analogie con il figlio di Ade che con gli altri due. Per anni Nejire gli ha fatto notare che «Dovessi scommettere le mie dracme, non direi mai che sei figlio di Ares!» e non si è mai sentito di darle torto, perché l’irruenza non è mai stata nelle sue corde e, all’inizio, nemmeno la competetività. Quella è arrivata un poco con gli anni, venerdì dopo venerdì in cui è stato costretto a partecipare a “cattura bandiera” perché così era per chiunque nel campo. 

Poi è arrivato Bakugo Katsuki, pieno di graffi e lividi, dodici anni e già pronto a sbraitare come se ne avesse molti di più e ne avesse viste troppe per avere ancora la forza di mantenere la calma. Se ne fosse stato capace, di certo sarebbe esploso e avrebbe poi dato fuoco all’intero campo e - per questo - nessuno si è davvero stupito quando il simbolo di Ares lo ha indicato come suo figlio, proprio come successo a Shouto anni prima. Bakugo ha dimostrato di essere la perfetta rappresentazione di cosa ci si aspetta nel cercare di immaginarsi la prole del dio della Guerra. 

Shouto ricorda di averlo osservato arrivare al tavolo, accolto da amichevoli pacche sulle spalle che l’altro ha guardato male per tutto il tempo e di aver infine incrociato il suo sguardo. Bakugo ha guardato lui, Shouto ha fatto lo stesso e ha aperto bocca per dire qualcosa - senza sapere bene cosa - interrotto ancora prima di cominciare da un: «Che hai da guardare? Vuoi un pugno in faccia?!»

Lui e suo fratello non potrebbero essere più diversi.

*

Hanno quattordici anni quando cominciano ad arrivare, uno dopo l’altro, alcuni di quelli che di lì a solo qualche mese diventano “il gruppo di Bakugo”. I primi sono Kirishima e Kaminari, recuperati da un paio di satiri in ricognizione: sono abbastanza malconci, ma di sicuro non buttati troppo giù nello spirito a giudicare da come Kirishima continua a parlare di come debba diventare più forte così da lanciare via quell’arpia la prossima volta e come Kaminari continua a fare battute idiote per alleggerire la stessa tensione che Shouto gli riconosce con facilità nel modo in cui ha le spalle irrigidite. In pochi giorni vengono rispettivamente riconosciuti dai loro genitori divini, Nike ed Ermes, e quasi subito si alleano con Bakugo contro la volontà di quest’ultimo.

Uraraka Ochaco e Iida Tenya arrivano dopo quasi un mese durante la stessa estate. Sorprende abbastanza che siano molto meno ammaccati dei due che li hanno preceduti, il che - da quanto Shouto sente dire tra le varie voci durante la cena - sembra essere merito della tendenza di entrambi a essere prudenti e prediligere la fuga con meno danni possibili al combattimento per l’orgoglio. Vengono riconosciuti a due sere di distanza: prima lei, come figlia di Apollo, e dopo lui come figlio di Efesto. Non sono attaccati a Bakugo quanto Kirishima e Kaminari, ma l’essere coetanei aiuta parecchio. Quello stesso anno Yaoyorozu Momo, della Cabina di Atena, lo avvicina per chiedergli di studiare greco antico insieme durante la settimana. Shouto accetta, senza sapere ancora che è il primo passo verso quella che sarà la sua prima amica.

Ci vogliono due anni prima che Midoriya Izuku raggiunga il campo mezzosangue per la prima volta, in estremo ritardo per la maggior parte dei semidei. In questo lasso di tempo Shouto non ha collezionato molti più amici rispetto al passato: c’è sempre Momo, ogni tanto Inasa della Cabina di Nike lo approccia in modo rumoroso e lo convince a fare qualche esercizio con armi insieme. Per assurdo finisce a legare più del previsto con Tamaki - per la prima volta da quando è arrivato i silenzi in presenza di un’altra persona non sono più mostri, ma una parte di lui con cui potrebbe riuscire a fare pace. Ogni tanto parlano, anche. Tamaki un giorno gli dice «Mio padre non è male come tutti credono.» e Shouto vorrebbe poter dire lo stesso o vorrebbe avere un’opinione forte in merito da poter offrire. Invece si limita a dirgli «Okay.» e Tamaki sembra sollevato.

Quando Izuku arriva e viene riconosciuto da Atena, Bakugo sembra voler dare fuoco a tutto il campo mezzosangue al solo scopo di assicurarsi che nell’incendio doloso ci finisca di mezzo Midoriya. Il suo gruppo di amici, ormai consolidato, smorza di continuo la tensione e riesce a far sembrare la sua rabbia meno problematica e al tempo stesso fanno amicizia anche con Midoriya e lo coinvolgono abbastanza da non farlo sentire colpevole di non si sa bene cosa. Shouto viene a sapere che sono compagni di scuola durante l’anno, fuori dal campo mezzosangue, e che sono cresciuti insieme perché la madre di Bakugo e quella adottiva di Izuku si conoscono. A un certo punto Shouto e Midoriya finiscono insieme a occuparsi del pranzo durante uno dei giorni della settimana e Shouto capisce che c’è molto di più di quanto sembri, in lui. Non è sicuro di essere adatto a scoprire di cosa si tratti, ma la considera una possibilità. 

Midoriya un giorno, poco prima di lasciare il campo alla fine dell’estate e mentre il banchetto dell’ultimo giorno vede sorrisi e chiacchiere ovunque si posi lo sguardo, gli dice «Mi dispiace che tu rimanga da solo per tutto il resto dell’anno, Todoroki-kun.» ed è sincero, Shouto lo capisce subito. Non può fare a meno di guardarlo sorpreso e confuso, perché tutto ciò che sa di Midoriya fino a questo punto è quanto poco Bakugo lo sopporti e quanto invece Momo sia contenta di averlo come altro figlio di Atena, o come Iida e Uraraka abbiano subito stretto amicizia con lui. 

Non sa cos’hanno in comune e non ha idea se possano essere amici anche loro.

*

L’anno tra i suoi sedici e i suoi diciassette anni lui e Tamaki legano al punto tale che passano buona parte del tempo libero insieme, forse anche perché Nejire e Mirio sono tornati dalle rispettive famiglie umane per quell’anno, cosa a cui Shouto si sottrae più che volentieri - e apparentemente lo stesso vale per Tamaki. Il figlio di Ade gli chiede persino di restare in cabina con lui, a un certo punto; Shouto non ha voglia di tornare nella propria, per quanto ormai sia abituato ai fratelli e alle sorelle di Ares, quindi rimane. E’ strano, quasi come avere una camera privata, perché la cabina di Ade è grande abbastanza da ospitare diversi figli e occuparla in due non è così diverso dallo stare in un albergo da soli. 

Quando arriva l’estate e il campo mezzosangue si riempie di nuovo con tutti i semidei che tornano dalle loro rispettive case, Midoriya va subito a salutarlo. Shouto nota che lui e Bakugo sembrano avere un rapporto vagamente più decente, se si può considerare tale, e che quando Izuku finisce di parlare con lui raggiunge un altro ragazzo non troppo distante. Shouto lo conosce di vista perché, come la maggior parte degli altri della sua età, li ha visti arrivare nel tempo: Hitoshi Shinsou è giunto poco prima di Midoriya e quasi subito è stato riconosciuto da Afrodite. Shouto ha sentito su di lui voci che discordano di parecchio con ciò che vede tutti i giorni al campo mezzosangue: chi è andato in missione con Shinsou sostiene non sia una persona collaborativa e, in generale, qualcuno che in tanti preferirebbero non avere tra le proprie fila - uno dei poteri più conosciuti dei figli di Afrodite, la capacità di usare bene le parole tanto da influenzare gli altri con il potere per la propria voce, non li rende apprezzati tra chi ha il preconcetto di vedere in loro persone che potrebbero approfittarne. Insieme al loro saper mutare aspetto, avere controllo sull’amore e il desiderio, sono spesso letali tanto quanto sono belli. Dal poco che ha notato Shouto, Shinsou non si è proprio sprecato a circondarsi di amici negli anni, non più di quanto abbia fatto Shouto stesso. 

Scosta lo sguardo da lui e Midoriya quando Momo si avvicina a chiedergli se abbia passato un buon anno. 

*

«Todoroki!» esclama la voce di Kirishima, capace di farsi sentire da una parte all’altra del campo mezzosangue senza difficoltà se necessario. Shouto abbandona la posizione di guardia, abbassando la spada solo dopo essersi assicurato che uno dei suoi fratelli abbia capito che stanno per fare una pausa. Ha già imparato a sue spese quando era più piccolo che è sempre meglio essere molto chiari con un figlio di Ares con cui stai facendo allenamento con un’arma. Una volta sicuro si sposta dall’arena così che intanto possano utilizzarla altri e si avvicina al figlio di Nike. 

«Devo chiederti una cosa molto seria.» esordisce Eijiro e questo è molto diverso da cosa succede di solito. In genere l’altro lo avvicina per chiedergli di allenarsi insieme, uno contro uno, e come lui Inasa; i figli di Nike non amano la sconfitta e non amano tirarsi indietro di fronte alla possibilità di una sfida, pertanto Shouto ha dovuto imparare che se qualcuno deve mettere un freno ogni tanto quello è lui. Qualsiasi altro figlio di Ares - o almeno una buona parte di loro - accetterebbe e infatti non è strano vederli darsele di santa ragione, ma Shouto non può e non vuole passare tutta la giornata in quel modo. 

Eijiro si guarda intorno per un attimo e poi gli fa cenno di seguirlo, in un implicito “non qui” a cui Shouto non può fare altro se non annuire e seguirlo. Si muovono tra le varie aree di allenamento, passando per quella di tiro con l’arco dove i figli di Apollo si stanno destreggiando in una gara tra fratelli, e deviando leggermente verso le cabine. Superano anche quelle senza che Eijiro dica una sola parola e si fermano solo dove è facile intravedere le tavole dove si riuniscono tutti a mangiare. L’orario distante tanto dal pranzo quanto dalla cena fa sì che non ci siano effettivamente troppi semidei in giro. Forse anche per questo è facile riconoscere Kaminari che, nel vederli in avvicinamento, fa un cenno amichevole a entrambi.

Gli è sempre meno chiaro cosa possano volere da lui, almeno finché Eijiro non lo fronteggia e dopo una manciata di secondi un po’ troppo lunga riesce a farsi uscire di bocca: «Tu e Tamaki state insieme?»

Shouto lo guarda. Si aspetta il momento in cui Kaminari farà un battuta, gli darà una pacca sulla spalla e tirerà fuori il vero motivo per cui sono lì ma questo non succede e alla lunga il silenzio comincia a diventare imbarazzante. Shouto inarca un sopracciglio e alla fine si limita a un «No?» come se non capisse da dove venga fuori la domanda, e in effetti è così. Vede gli altri due guardarsi e poi tornare con gli occhi su di lui.

«Non è un problema,» comincia Eijiro per poi fare un verso frustrato «cioè è un problema perché sei un rivale temibile, Todoroki, ma non mi tiro indietro di fronte a una sfida e sono sicuro che giocheresti pulito. Quindi posso accettarlo e alla fine ognuno farà la sua parte e sarà Tamaki a scegliere!» assicura, dando voce a quello che nella sua mente deve essere un insieme di considerazioni fatte da chissà quanti giorni o settimane. Apprezza il discorso, ma il problema di fondo rimane sempre lo stesso.

«Io e Tamaki non stiamo insieme e siamo solo amici.»
«Ma… uno dei figli di Afrodite ha detto che siete rimasti per tutto l’anno, questa volta, e che hai dormito spesso da lui.» ribatte Eijiro incerto. Shouto non fatica molto a capire che l’altro deve essere molto combattuto, perché dare retta alle voci di corridoio non è affatto nel suo stile ma forse in questo caso e di fronte a qualcosa che lo tocca da vicino, ha ceduto abbastanza da voler chiarire la cosa. Lo apprezza, più dell’alimentare il pettegolezzo di sicuro.

«Ho dormito in cabina da lui, sì.» conferma «Ma non è quello che credi, né quello che crede il figlio di Afrodite che te lo ha detto.»

Kaminari dà una pacca sulle spalle a Eijiro, offrendogli frasi di conforto come “visto? Te l’avevo detto che bastava chiedere” e “Todoroki dice sempre la verità quindi stai tranquillo”. Si sente abbastanza lusingato dalla fiducia, ma visto che non c’è altro da fare per lui, decide di muoversi per tornare indietro. Eijiro lo invita ad allenarsi insieme, ma rifiuta per questa volta; il campo di fragole non può certo raccogliersi da solo e lui è di turno per oggi.

*

Tutti amano “cattura bandiera” o, se non lo fanno da subito, finiscono per farlo con il tempo. Le motivazioni sono diverse per tutti: c’è chi è competitivo per natura, chi lo diventa, chi ama il gioco di squadra e la strategia, chi ama la vittoria di per sé, chi sfrutta l’occasione per migliorare le tecniche di combattimento e averne un riscontro, chi lo fa per spirito di coesione con il resto dei compagni. 

Shouto la detesta. Riesce forse ad apprezzarne il senso strategico ma, per il resto, odia essere costretto a parteciparvi ogni venerdì perché è tradizione e non aiuta essere uno dei pochi a non amarla. Specialmente quando si è figli di Ares e tutto il resto del campo mezzosangue dà per scontato che questa sia una ragione sufficiente per avere voglia di combattere ogni settimana per recuperare una bandiera. Ed è il motivo per cui, nel limite del possibile, cerca ogni volta di essere assegnato a una posizione che non comporti agire come uomo-chiave della partita. Evidentemente questa settimana suo padre deve averla presa sportivamente e così si è ritrovato nella posizione peggiore di tutte: a ridosso della bandiera avversaria.

L’ha notata e per un fugace istante ha pensato di ignorarla. Voltarsi dall’altra parte, deviare di pochissimo per finire fuori pista. Un po’ difficile quando alle spalle Kaminari Denki se ne accorge, ti fa un segno dell’ok e si dilegua quasi subito con la velocità propria dei maledetti figli di Ermes. A Shouto non serve Momo di Atena per sapere che l’altro è andato a comunicare tra gli altri membri che la bandiera è stata trovata e - quindi - di avvicinarsi per supportare Shouto. 

Apparentemente a difenderla c’è una sola persona; Shouto riconosce Hitoshi Shinsou quasi subito, seduto su una pietra come se fosse a fare tutt’altro che partecipare alla gara e solo per caso si fosse sistemato da quelle parti. Shouto decide di non muoversi di soppiatto, in buona parte anche perché non è il suo stile di combattimento preferito, così l’altro lo nota senza troppe difficoltà e non fa nulla per mettersi sulla difensiva. Shouto si avvicina fino a quando non ci sono che pochi passi tra di loro, una decina forse, e si ferma. Non distingue tutte le direzioni da cui avverte quella sensazione, ma è sicuro di avere diversi occhi puntati su di sé. 

In pratica se dovesse decidere di girarsi e andarsene via, almeno una dozzina di persone (destinate ad aumentare) lo vedrebbe. Le spiegazioni da dare sarebbero così tante che gli viene mal di testa già solo a pensarci. 

«Io tornerei indietro, se fossi in te.» Shinsou pronuncia, un sorrisetto divertito sulle labbra. Shouto quasi si aspetta di sentire su di sé il potere del figlio di Afrodite, ma questo non avviene; nessuna parte del suo corpo si muove contro la sua volontà, non sente la mente annebbiarsi. E’ invece fin troppo vigile e consapevole di anche troppe cose che lo circondano, così come della presenza dell’altro di fronte a sé. Non replica nulla, cercando di analizzare la situazione: la bandiera è più verso Shinsou che verso di lui - forse in un rapporto di otto passi contro due - ed è sicuro che per quanto veloce, se desse l’idea di volersene appropriare l’altro potrebbe fermarlo con facilità. D’altronde Shinsou non avrebbe motivo di accettare una sfida ad armi pari, con la spada che tanto lui quanto Shouto hanno al fianco, ancora nei rispettivi foderi. 

«Io lascerei la bandiera, ma non è fattibile.» commenta Shouto, in apparenza a consigliargli di arrendersi. In realtà, vorrebbe poter essere lui a lasciar perdere e andarsene altrove. A volte immagina che Ares, lì nell’Olimpo a guardarli come un padre normale vedrebbe la partita registrata del proprio figlio, abbia dei ripensamenti quando Shouto non sente di avere desiderio di combattere o sete di sangue. Quando alla forza bruta preferisce la strategia, anche se non sempre. Quando sembra che nulla gli faccia perdere la pazienza, lo attiri abbastanza da farlo lottare con le unghi e con i denti. Quando il suo onore gli sta a cuore ma non al punto da poter essere provocato dalla minima parola o insinuazione. 

Scuote la testa, sorpreso di ritrovarsi a lasciarsi in balia della distrazione di fronte a un avversario. Quando alza lo sguardo su Shinsou, trova un evidente stupore anche sul suo volto e una sorta di scetticismo, quasi. Forse incredulo di avere di fronte un figlio di Ares che non abbia ancora sguainato la spada gettandosi contro di lui per rubare la bandiera. Shouto allunga la mano a raggiungere l’elsa e non ha mai desiderato così tanto di non doverlo fare.

Ha appena stretto la presa e impresso una leggera forza per sguainarla, quando il suono del corno di Chirone decreta la sconfitta della sua squadra. Senza rendersene conto, rilassa le spalle e lascia andare la spada ancora nel fodero. 

Sente lo sguardo di Shinsou su di sé ma lo ignora con la scusa di doversi voltare per ricongiungersi ai suoi compagni.

*

Più tardi, dopo cena e mentre siedono attorno al fuoco, Kaminari sospira sconsolato: «Non si può vincere contro Bakugo, sembra sempre sul punto di voler uccidere tutto il campo mezzosangue solo per arrivare alla bandiera!» esclama, stanco come solo chi ha visto Bakugo puntarlo come un toro impazzito potrebbe essere. Uraraka, che è stata nella squadra di Shouto come Kaminari, dà un piccolo buffetto sulle braccia a entrambi.

«Non prendertela, Todoroki-kun,» pronuncia con un sorriso «Kaminari-kun ha detto che eri praticamente arrivato alla bandiera! Sono sicura che è stato solo questione di secondi tra te e Bakugo!»

Shouto annuisce e le lascia credere che sia così.

*

Gli fa molto comodo sapere che le occasioni di incontrare e interagire a lungo con Shinsou siano veramente poche. Per doverlo fare, in un campo pieno di semidei, Shouto capisce che dovrebbero crearsi delle specifiche situazioni: essere affidati allo stesso compito, ma potrebbe essere gestibile con altri semidei presenti; dover andare insieme in missione durante l’estate, ma può sperare nella legge dei grandi numeri; essere approcciato dall’altro, e lo ritiene molto poco probabile. 

I suoi piani vengono mandati all’aria dall’unica variabile possibile, ossia la presenza di Izuku a fare da mediatore inconsapevole in un turno di pulizia in armeria che vede loro due, Shinsou e due figli di Tiche presenti. Shouto è concentrato sulla lama di cui si sta occupando quando Midoriya gli si avvicina per un saluto che, inevitabilmente, si traduce in una chiacchierata. Shinsou all’inizio è una presenza silenziosa che offre solo un cenno di saluto con la testa e un mezzo sorrisetto che sembra essere sulle sue labbra per buona parte del giorno e a prescindere dalla persona con cui interagisce, quindi non è male. Shouto suppone di poter essere un ascoltatore silenzioso quando gli altri due cominciano a parlare per lo più tra di loro, sottovalutando enormemente la gentilezza di Izuku Midoriya che è stata finora più un sentore che una certezza.

«Uraraka-san dice che sei piuttosto bravo nel primo soccorso, Todoroki-kun! E che qualche volta durante cattura bandiera le hai dato una mano con alcuni semidei.» pronuncia lui e Shouto alza lo sguardo dalla lama che ha quasi finito di lucidare, cercando il viso di Midoriya. Gli basta un’occhiata per capire che non si tratti di una provocazione, ma è anche sufficiente a notare un vago interesse nell’espressione di Shinsou. Sospira, sperando che rispondere a quelle parole non comporti aprire una parentesi sulla tradizione del venerdì di cui non è pronto a discutere con il figlio di Afrodite presente.

«Ogni tanto. Ma Uraraka-san è una figlia di Apollo, non siamo paragonabili.» afferma, forse tagliando corto in maniera fin troppo evidente. Midoriya non ne pare disturbato e addirittura non sembra cogliere il suo tentativo di chiudere l’argomento ancora prima di aprirlo davvero. Lo vede soppesare qualcosa per un momento, un mormorio basso in cui non riesce a distinguere le parole prima che si trasformi in un ben più udibile: «Proprio perché è una figlia di Apollo credo che il suo commento positivo sia incredibile! Ho provato qualche volta a bendarmi da solo qualche ferita lieve dovuta agli allenamenti in arena ma… è stata gentile abbastanza da non dirmi che sono una frana, ma credo lo abbia pensato. Sono del tutto negato! Forse è perché sono tanti anni che sei al campo rispetto a me?» ipotizza, una curiosità evidente nello sguardo. Shouto capisce che non c’è speranza di chiuderla con due parole a questo punto, specie quando Shinsou lo occhieggia e, con un incurvarsi di labbra divertito, rincara la dose con un «Già, sono curioso anche io di sapere come mai un figlio di Ares fa qualcosa di così fuori dall’ordinario per la Cabina 5.»

Shouto tace per qualche istante, chiedendosi quanto nelle parole del figlio di Afrodite sia una provocazione e quanto no. Ci sono numerose spiegazioni che potrebbe offrire, ma la più sincera è qualcosa che ora come ora ha condiviso una sola volta con Tamaki, in una notte alla cabina di Ade mentre si autoconvinceva che il buio e il silenzio si sarebbero portati via quel segreto, senza lasciare niente al risveglio. Non è qualcosa che è pronto a dire né a Midoriya, né a Shinsou.

«Sono arrivato al campo a dieci anni. Sono sette che mi alleno. Alla fine impari ad andare dai figli di Apollo solo per le cose gravi che non puoi fare da solo.» si limita a dire con una leggera alzata di spalle, tornando a occuparsi delle lame. Midoriya ha abbastanza di Atena, insieme a quella che Shouto sospetta essere una grande sensibilità, da farsi bastare quella risposta e commentare soltanto con la sua speranza di diventare presto autosufficiente così da non aumentare il lavoro di Uraraka e i suoi fratelli e sorelle. Shouto percepisce lo sguardo di Shinsou su di sé e l’assenza di commenti da parte dell’altro gli fa intuire che non sappia dissimulare quanto Midoriya, non quando si tratta di subodorare una storia non raccontata e una mezza verità offerta tanto per chiudere la questione. Shouto si autoconvince, invece, che se non alza lo sguardo e non concede un contatto visivo tutti e tre se ne dimenticheranno una volta lasciata l’armeria che li costringe a condividere gli spazi.

*

E’ l’inizio di Agosto quando il signor D. li chiama perché c’è una missione - nessuna profezia di lunga durata o con cui potrebbero decidersi le sorti del mondo, ma una come altre a cui Shouto ha partecipato. Quando raggiunge la casa principale per sentirsi dare le indicazioni necessarie, ci trova davanti altri semidei. Riconosce ovviamente Momo, così come di vista sa chi sia Jiro, grazie anche a qualche confidenza di Yaoyorozu che non ha chiesto ma che non ha avuto cuore di ignorare. Tetsutetsu di Nike è solo un nome associato a un volto e a una voce troppo alta e infine Shinsou. Chiude il gruppo Hatsume Mei di Efesto, con cui Shouto ha smesso di avere a che fare quando a dodici anni ha accettato ingenuamente di aiutarla a collaudare qualcosa ed è finito quasi schiacciato dai pegasi nella loro stalla. 

Tutto considerato, la missione dovrebbe richiedere al massimo una notte fuori, due se proprio dovessero impiegare più tempo del previsto. Partono di mattina all’alba e percorrono più strada di quanta avrebbero dovuto, riuscendo a concedersi una discreta pausa per mangiare e riposare, rimettendosi in cammino di buona lena nel primo pomeriggio. Diventa quasi subito molto chiaro che ci sono dei piccoli gruppi che si formano istintivamente quando si tratta di mangiare, anche se Momo è saggia e amichevole abbastanza da fare da collante tra tutti loro. Quando camminano, però, lei è avanti con Jiro e Tetsutetsu parla di migliorie per il combattimento contro le arpie con Hatsume. Questo lascia a Shouto la compagnia di Shinsou, piuttosto silenziosa per buona parte del tragitto, per sua fortuna. E’ chiaro però che non possa essere un’intera missione di nulla. 

Shouto è quasi consolato dal fatto che a un certo punto trovino il campo che gli è stato segnalato, sempre che di campo si possa parlare, e che i mostri lì lo obblighino a concentrarsi sulla battaglia anziché sul resto. E a maledire il fatto che siano molto più numerosi di quanto gli risultava sarebbero stati - Tetsutetsu è una forza della natura che perde però di lucidità fin troppo facilmente, mentre Momo non ha ancora davvero appreso quanto puntuali possano essere le sue strategie e i suoi approcci alla battaglia. Shouto capisce che sono un gruppo male assortito quando si accorge che la maggior parte di loro non è ancora sceso a patti con l’idea di poter essere un leader o più che competente nel suo campo. Riescono a liberarsi dei mostri ma non senza pagarne il prezzo con qualche ferita e se Shinsou non utilizzasse il potere meno apprezzato dei figli di Afrodite non andrebbe così di lusso. Shouto lo realizza quando persino lui viene stordito per qualche secondo da quel potere. 

Non può fare a meno di chiedersi, se questo è il risultato senza essere l’obiettivo di Shinsou, come sarebbe se invece il suo potere fosse diretto contro di lui?

Si chiudono tutti nel silenzio quando possono finalmente abbassare le armi; decidono di allontanarsi abbastanza nel caso arrivasse qualcuno, così da potersi occupare delle ferite lievi e di rifocillarsi in pace. Trovano uno spiazzo isolato abbastanza e si accampano lì. Mentre Momo discute con Mei dei turni di guardia, Jiro si occupa di sistemare le ferite di Tetsutetsu - non sorprende nessuno che la sua irruenza nel lanciarsi in combattimento gli sia valso più ferite di tutti gli altri messi insieme. 

Shinsou se ne sta per i fatti suoi, poco incline alla conversazione. Le uniche parole che Shouto gli sente pronunciare sono quelle per assicurare a Jiro di non aver bisogno di alcun tipo di cura. Cenano in silenzio, per così dire, e nemmeno i tentativi di Momo riescono a farli chiacchierare in maniera piacevole perciò alla fine lei stessa si arrende. Jiro si offre di fare il primo turno, ma prima dell’alba - quando sa essere il turno di Shinsou - i movimenti del cambio sono minimi, ma Shouto è già troppo vicino al risveglio per ignorarlo e riuscire a tornare a dormire come se nulla fosse. 

Quando si alza lo fa con movimenti lenti. L’odore del fuoco ancora acceso si mescola a quello dell’erba umida che li circonda. Si tira su a sedere, passandosi una mano sul viso, cercando di scacciare con un gesto la stanchezza che si sente nelle ossa. Non è mai stato tipo da riuscire a riposare bene mentre accampato in missione e questa non fa eccezione; quando finalmente lascia vagare lo sguardo nei dintorni, trova subito gli occhi di Shinsou su di lui, intenti a studiarlo. Non gli dice nulla e Shouto non ricerca per forza una conversazione, preferendo carburare lentamente fino a riuscire a svegliarsi del tutto. A essere onesto non si aspetta di sentire la voce di Shinsou chiedergli: «Preoccupato che possa ordinarti di fare due giri su te stesso e ballare con un gonnellino appena varcheremo di nuovo la soglia del campo mezzosangue?»

Shouto lo guarda, senza capire subito, riuscendo poi a cogliere l’ironia e il riferimento. Mentirebbe se dicesse di non essere stato stupito - non proprio positivamente - nel sentire la propria mente annebbiarsi e una sorta di spinta ad assecondare le parole di Shinsou, non importa quali o le loro implicazioni. Perciò decide di non mentire affatto. Dopotutto, immagina che questa non sia la prima volta che all’altro succede di ritrovarsi in questo tipo di situazione. 

«Non troppo.» ammette quindi, smuovendo leggermente il legno per lo più bruciato dal fuoco, ravvivandolo un po’ «In ogni caso non so ballare bene.» aggiunge. Kaminari, se fosse presente, potrebbe commuoversi all’idea che lui stia cercando di fare una battuta divertente ma la verità è che Shouto davvero si reputa abile nella danza quanto lo è nelle lunghe conversazioni e nell’essere l’anima della festa. Non potrebbe esserci uno più impedito di lui, in pratica.

Shinsou lo guarda e poi sbuffa, divertito: «Non credo a molti interesserebbero i tuoi passi di danza se indossassi un gonnellino, Todoroki.»

Shouto non è sicuro sia un complimento, ma in generale se potesse evitare di essere ridicolizzato di fronte a tutti i suoi fratelli - e il resto del campo - lo apprezzerebbe molto. Perciò scrolla le spalle, non sapendo bene cosa rispondere, se non un «Vuoi farmi ballare con il gonnellino quindi?» giusto per capire se debba davvero preoccuparsene o aspettarselo. Shinsou sembra prendere in considerazione la cosa per abbastanza tempo da inquietare il proprio interlocutore ma, alla fine, scuote la testa.

«Ci sono cose peggiori di quella da far fare a qualcuno. Un po’ tutti se lo aspettano, dai figli di Afrodite. Non che tutta la Cabina 10 abbia questo tipo di capacità.» aggiunge, ma sembra più un commento lasciato cadere, fatto senza la pretesa che gli altri vi prestino attenzione. Shouto non è granché in queste cose, non è il tipo a cui riesce bene distinguere cosa gli altri vorrebbero che importasse delle loro parole e cosa no, tranne quando è molto evidente. Shinsou non lo aiuta a capire se dovrebbe concentrarsi a chiedere quanti abbiano l’abilità di cui parla o se invece il focus sia se lui vorrebbe o potrebbe fargli fare qualcosa di peggiore. 

«Avresti potuto farmi tornare indietro,» decide invece di dire «quando ti ho trovato con la bandiera.»
«Tu avresti potuto provare a prenderla.» ribatte il figlio di Afrodite, non senza ragione. Shouto suppone che forse avrebbe dovuto evitare di riportare a galla l’avvenimento e d’istinto osserva gli altri, apparentemente ancora addormentati. Il cielo è ancora buio sopra le loro teste, quindi l’alba deve essere meno prossima di quanto pensasse. Questo lascia troppo tempo per una conversazione che forse non aveva voglia di portare avanti ma, d’altronde, è un pessimo attore e se anche fingesse improvvisamente di avere sonno Shinsou è probabile intuirebbe subito che si tratta di una bugia.

«Odio cattura bandiera.» ammette così, offrendo l’ennesima sincerità che rivolge a molti ma che nella sua forma assoluta è stata concessa solo a Tamaki, finora, e pochissime volte. Shinsou non sembra sopreso da questa sua confessione, ma nemmeno ha l’aria di chi ne fosse sicuro al cento per cento. Lo scruta, quasi cercasse la menzogna nei lineamenti del suo viso, nel suo respiro regolare, nel linguaggio del suo corpo. Quando non la trova, non lascia trapelare né soddisfazione né delusione.

«Sembra non ti piacciano un sacco di cose che invece piacciono ai figli di Ares.»
«Faccio quello che fanno tutti, tranne prendere la cattura di una bandiera come una questione personale.» spiega, ancora alla ricerca di un personale motivo per farsela piacere, per trovare uno scopo che vada oltre la semplice competizione e il singolo obiettivo. Sono anni che ci prova. Comincia seriamente a pensare di doversi arrendere, a dirla tutta.

«Forse.» concede Shinsou «Fai lo stretto indispensabile. Ma curi gli altri nelle retrovie quando necessario, non tratti da schifo Izuku al contrario del tuo discutibile fratello, non sei in competizione con nessuno su niente. Non sembra nemmeno importanti granché del riconoscimento di Ares.» aggiunge e forse, pensa distrattamente Shouto, Shinsou lo ha detto di proposito per stuzzicarlo. Potrebbe aver notato in lui cose che Shouto è sempre stato convinto di nascondere bene. E’ la prima volta che prova l’istinto di non tacere e tenere per sé un commento, tagliente o meno che possa rivelarsi.

«Ares ha abbastanza figli da poter evitare di aspettarsi qualcosa anche da me.» pronuncia, più gelido di quanto avesse preventivato di essere «E non deve per forza esserci merito nel combattere a occhi chiusi finché non si viene sconfitti.»

Il silenzio tra loro dura abbastanza, ma non così tanto da far pensare a Shouto che la conversazione possa dirsi conclusa. Shinsou guarda il fuoco ravvivato poco prima, poi alza gli occhi su Shouto neanche dovesse scrutargli dentro per tirare fuori più risposte e informazioni di quante lui sarebbe mai disposto a dare. Sembra trovare qualcosa di interessante, a un certo punto, e Shouto capisce di cosa si tratta quando l’altro dice: «Beh, per voi le cicatrici sono medaglie al valore.»

Si alza con un movimento così repentino che è solo quello di risposta di Shinsou - un mettersi in guardia non completo, ma dato dall’urgenza e dall’istinto - a fargli capire di sembrare probabilmente sul punto di attaccarlo. Questo lo ferma sul posto, gli inchioda i piedi sul terreno come se fossero l’unica cosa a impedirgli di cadere giù da un burrone. Il calore del fuoco sfiora le punte delle due dita e Shouto serra la mascella.

Dentro di lui una voce grida mille risposte per Shinsou. Vorrebbe dirgli che nessuno sano di mente si farebbe sfigurare solo per potersi vantare di essere uscito vincitore da una battaglia; che i mostri affrontati fuori dal campo sono stati peggiori di qualsiasi cosa affrontata dopo esserci entrato; che Ares può essere fulminato con tutto il resto dell’Olimpo, per quanto lo riguarda, perché non è e non sarà mai più padre di quanto lo sia stato quello che ha portato Shouto a scegliere di non tornare più a casa. 

Invece si gira, si allontana, e quando Momo apre gli occhi e nella lentezza del risveglio gli chiede dove stia andando, Shouto le lancia un’occhiata gelida e l’unica parola che le offre è: «Ricognizione.»

*

Per ciò che rimane di quell’estate, lui e Shinsou non interagiscono più e l’ultimo giorno Shouto si limita a salutare Midoriya e a osservarlo muoversi per raggiungere il gruppo che come sempre si prepara a tornare a casa per il resto dell’anno. Poi il tempo passa e l’estate diventa definitivamente autunno, poi scivola nell’inverno; il campo mezzosangue decide di festeggiare l’inverno anche quest’anno che sono rimasti in meno del solito e Shouto non si stupisce di ricevere di nuovo l’invito di Tamaki a stare in cabina con lui. 

Si allontanano dalla cena oltre il solito coprifuoco, forse grazie ad Aizawa che potrebbe aver intercesso per loro per fargli avere un Natale normale e - con un po’ di fortuna - anche il capodanno tra qualche giorno. La regolazione della temperatura del campo gli ha fatto dono di un bianco Natale, come da tradizione della maggior parte delle canzoni che Shouto ricorda di aver ascoltato nei centri commerciali quando ancora passava le feste a casa con sua madre. Lui e Tamaki rientrano nella Cabina 13 ben felici di trovarla riscaldata e Shouto sta per muoversi verso il letto che occupa sempre quando si ritrova ospite del figlio di Ade quando è proprio la voce di Tamaki a richiamarlo. Lo trova seduto sul proprio letto e lo vede dare un paio di pacche al materasso in un tacito invito. Per qualche secondo si chiede se sia il caso o se questo verrà considerato alto tradimento da Kirishima una volta che sarà tornato in estate, ma alla fine muove diversi passi in sua direzione e si siede accanto a lui.

Tamaki gli allunga una coperta in più e, anche se Shouto non soffre particolarmente il freddo, se la poggia sulle spalle imitando l’altro. Rimangono in silenzio per un po’ e Shouto si rende conto ancora una volta di quanto questo sia, in presenza di Tamaki, un raro momento di pace per lui. Di come riesca a farlo sentire libero di essere Shouto e nessun altro - non un Todoroki, di cui per fortuna quasi nessuno sa nulla lì, né il figlio di Ares che ormai è probabile in molti non riescano più a scorgere in lui. 

«Shouto» lo chiama l’altro, attirando immediatamente la sua attenzione «cosa pensi di Midoriya Izuku?» 

La domanda è una delle più inaspettate Tamaki potesse rivolgergli. Non parlano molto spesso degli altri e qualcosa gli suggerisce che non si tratti di una discussione sulla capacità di combattimento altrui. Perché negli ultimi tempi tutti sembrino voler sapere cosa pensa degli altri, gli sfugge del tutto.

«Penso sia più in gamba di quanto molti credano. Momo me ne parla e in generale quando abbiamo qualche compito insieme–»
«No, intendo–» comincia Tamaki, interrompendolo quasi con urgenza «lo so che è bravo. Migliora sempre di più, Mirio se ne occupa da un po’ su richiesta di Chirone. Però… voglio dire, tu cosa ne pensi? Eijiro dice–»
«Kirishima?» tocca a Shouto interromperlo stavolta e, nel momento in cui lo fa, riconosce l’esatto istante in cui Tamaki realizza di aver detto l’unica cosa che non avrebbe dovuto dire. Lo vede far vagare lo sguardo febbrilmente, quasi in cerca di una soluzione tangibile a portata di mano, per poi risolverla tirando la coperta fin sopra la propria testa e nascondendosi. Shouto lo fissa, perplesso, ma gli lascia il tempo di elaborare qualsiasi cosa stia succedendo. Quando erano più piccoli una volta ha provato a tirarlo fuori dalle coperte con la forza e sbrigativamente e ha scoperto che Tamaki non è considerato uno dei migliori solo perché figlio di uno dei Big Three. Se la sua forza sul campo di battaglia è paragonabile alla caparbietà con cui era pronto a farsi trascinare in piazza nella forma di un burrito di coperte, Shouto dubita che chiunque possa tenergli testa.

«Lui ha…» comincia a dire, la voce camuffata dalle coperte «mi ha chiesto… eravamo in missione, poi durante cattura bandiera di quattro venerdì fa… anche prima aveva detto… poi è successo…» prosegue in quello che in effetti a Shouto ricorda il mormorio infinito in cui Midoriya si è perso l’ultima volta che qualcuno gli ha chiesto se, secondo lui, la strategia spiegata durante uno degli allenamenti fosse la migliore o potesse essere resa ancora più efficace. Inutile dire che tanto allora quanto adesso Shouto non potrebbe mai dire di aver capito tutto. Anzi.

«C-Comunque» riprende Tamaki sbirciandolo da una piccola apertura tra un lembo di copera e l’altro «mi ha detto che qualcuno ha scommesso su di te. Credo i figli di Ermes.» ammette, scoprendosi un poco di più e rendendo di nuovo visibile il viso. La mancanza di parole da parte di Shouto forse lo incentiva a proseguire: «Alcuni di loro hanno scommesso su Yaoyorozu. Altri su Midoriya. Poi Bakugo ha… distrutto qualcosa, credo. Eijiro dice che non era d’accordo, forse.»

Shouto conosce Bakugo da troppi anni, tutti di condivisione della cabina peraltro, per non sapere che non è il difensore di chiunque. Di certo, se avesse dovuto scommettere le sue dracme, non avrebbe nemmeno mai detto che avrebbe visto il giorno in cui avrebbe preso le difese di Midoriya, o quantomeno cercato di evitare una stupida scommessa su di lui. Anche se, a essere del tutto sincero, nemmeno a Shouto piace l’idea di essere l’oggetto di questo tipo di passatempi di altri nel campo mezzosangue e ancora meno apprezza che venga messa di mezzo Momo - conoscendola, se venisse a saperlo, ne potrebbe essere molto più imbarazzata o mortificata che arrabbiata. 

«Non sto né con uno, né con l’altra se è questa la domanda. Né qualcuno del campo mezzosangue e di certo non fuori.» fa presente, visto che lascia quel luogo solo per le missioni ed è così da anni, come Tamaki ben sa. 

Cade il silenzio tra loro e per la prima volta non è del tutto rilassato. Sembra più una pausa in cui uno dei due sta cercando di trovare le parole giuste per chiedere qualcosa, di certo non aiutati dal fatto che per carattere non si sono mai ritrovati a parlare di questo tipo di cose. In verità Shouto non ne ha parlato e basta, con nessuno, spettatore passivo degli innamoramenti degli altri e poco interessato all’argomento tanto da riuscire quasi sempre a non essere interpellato. A volte pensa sia incredibile che alcuni semidei riescano a piacersi al punto da mettersi insieme, quando il massimo esempio che tutti loro hanno avuto è quello di genitori divini che pur consapevoli di non poter restare al fianco delle persone scelte hanno comunque avuto una relazione con loro, lasciandosi indietro anche dei figli. Altre si chiede come possano farcela. Altre ancora se sia solo lui a essere strano, lui con i suoi pensieri riguardo un padre che non gli ha mai risposto e un patrigno che ha portato sua madre al punto di rottura massimo che la psiche di una persona possa sopportare. 

«Non pensi proprio mai… che qualcuno vicino ti piacerebbe?» Tamaki chiede, con la delicatezza che avrebbe se il cuore di Shouto fosse nelle sue mani e si fosse appena rivelato essere completamente in vetro e pieno di crepe. 

Shouto si guarda le mani, mentre l’immagine di Shinsou gli balena veloce in mente - e si dice che è perché gli sia di monito, perché la sua insinuazione sulla cicatrice gli ricordi che è sfregiato fuori quanto lo è dentro e che se anche volesse, seppure dovesse mai sperarci, se il desiderio mai dovesse arrivare a consumarlo sarebbe anche inutile sperarci.

«No,» replica senza guardare Tamaki «non ci penso mai.»

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Capitolo 2
*** Eighteen ***


L’estate dei suoi diciotto anni arriva come sono arrivate tutte le altre, ma ci sono diverse cose che Shouto non si aspetta, a cominciare dal fatto che al rientro degli altri semidei al campo mezzosangue diversi di loro si presentano con un regalo di compleanno per lui. Conta poco che sia in ritardo di diversi mesi, perché Shouto è abituato agli auguri di chi rimane al campo e non degli altri, come chiunque sia nato in inverno o in stagioni diverse dall’estate. Se Momo non è una sorpresa ma la costante di anni di amicizia in cui non ha mai saltato un’occasione in cui regalargli qualcosa, così come Tamaki, è un discorso diverso per il piccolo gruppo formato da Kirishima, Kaminari, Uraraka, Iida e Midoriya che tutti insieme gli consegnano un pacco scusandosi per il ritardo. Nell’aprirlo, e come se l’averlo ricevuto non fosse di per sé una sorpresa, Shouto vi trova all’interno pacchetti più piccoli - e ogni pensiero si rivela essere facilmente accostabile a chi ne è l’artefice. Sono così personali e, al tempo stesso, capisce che ognuno di loro deve averci riflettuto parecchio cercando di indovinare cosa potesse essergli utile. 

«Kacchan ha insistito per non voler essere messo in mezzo,» pronuncia Midoriya e a sorprendere Shouto non è l’utilizzo di quel nomignolo che c’è sempre stato - con grande disappunto di Bakugo, apparentemente - ma l’atmosfera diversa che gli sembra di vedere intorno a Midoriya rispetto a prima, quando nominare Bakugo era tendenzialmente seguito dalle urla e le minacce di quest’ultimo e una matassa di sentimenti difficili sia da districare che da considerare positivi. 
«ma alla fine ho scelto il mio regalo anche grazie a quello che mi ha detto di te.» prosegue Midoriya, una nota divertita nel tono di voce «Beh, lui stava urlando per lo più, dicendo di non avere intenzione di farti nulla ma… insomma, sai com’è fatto Kacchan.» quasi minimizza e Shouto lo osserva, cercando di capire cosa ci sia che gli sfugge. Come il campo mezzosangue possa aver ipotizzato una relazione tra lui e Midoriya tanto da scommetterci, quando sarebbe stato molto più scontato farlo tra lui e Bakugo– e mentre fa questo pensiero, Shouto ha come un’illuminazione. Cerca Bakugo con lo sguardo e lo trova quasi subito, non troppo distante. L’altro figlio di Ares se ne accorge e lo guarda di rimando per una manciata di secondi prima di corrugare le sopracciglia e urlargli da lontano: «Che c’è? Che vuoi?!»

A Shouto ricorda il loro primo incontro da bambini, senza che lui avesse nemmeno il tempo di dare il benvenuto a un ennesimo fratello al quale poi, però, non sarebbe riuscito ad avvicinarsi abbastanza da poter dire che tra loro ci sia qualcosa di più di una casuale discendenza divina. Shouto sospira e scuote la testa, tornando a rivolgersi a Midoriya. Sente qualche insulto volare, ma decide di ignorarlo. 

*

Due settimane dopo il rientro di tutti succede che Chirone, d’accordo con il signor D., Aizawa e i pochissimi altri adulti presenti al campo mezzosangue decidono di indire di nuovo il torneo per festeggiare la nascita del campo, proprio come negli anni passati si sono trovati diversi altri modi di rendere speciale la giornata. A volte con prove di abilità, altre con messe in scena da parte della Cabina di Apollo che vertessero più sull’arte, oppure dimostrazioni tecniche e meccaniche da parte dei figli e delle figlie di Efesto; quest’anno tocca a un torneo nell’arena al quale chiunque può iscriversi. 

Shouto si iscrive semplicemente perché tutti i figli di Ares e quelli di Nike lo fanno ogni volta e, per quanto lui abbia meno competitività di altri, non significa che comunque la sua natura di figlio del dio della Guerra non lo porti a partecipare a tornei del genere. Non fosse altro perché comincia ad avere voglia di togliersi di dosso un po’ di tensione - non saprebbe dire da dove venga, perché senta di averne accumulata più del solito, ma scrolla le spalle e allontana il pensiero. 

Gli scontri si susseguono uno dopo l’altro, più o meno avvincenti; quello tra Kirishima e Tetsutetsu scalda l’arena e la divide in due fazioni pronte a tifare per l’uno o l’altro figlio di Nike, mentre i loro fratelli e sorelle sembrano tifare per entrambi ed entusiasmarsi semplicemente a un colpo bene assestato, non importa da parte di chi dei due. Shouto scorge Tamaki, in disparte e seduto tra Mirio e Nejire, e lo vede stringere un poco di più i pugni quando Kirishima sta avendo la peggio e sporgersi invece con il busto verso l’arena quando sta avendo la meglio. Alla fine, quando Kirishima risulta vincitore, il resto degli spettatori in arena non se ne accorge ma Shouto - che continua a guardare Tamaki - vede bene quel gesto di esultanza che sembra così fuori dalle corde del figlio di Ade.

Il lato negativo di questi combattimenti è quando sono due figli di Ares a finire uno contro l’altro. I ragazzi e le ragazze della Cabina 5 finiscono per far scaldare gli animi più di quanto non sarebbero già di loro, apprezzando più i colpi e le strategie che il vincitore, ma non privandosi di fischiare se quanto avviene nell’arena ai loro occhi è una scelta codarda o poco in linea con il modo di combattere che gli è proprio. La cosa è destinata a peggiorare quando i nomi che vengono estratti sono quello di Shouto e quello di Bakugo, che non potrebbero essere più diversi. Shouto sa bene di non essere l’idolo di chi tra i figli di Ares cerca l’ombra del padre nel modo di combattere dei propri fratelli o sorelle, al contrario di Bakugo. Lui per primo riconosce nell’altro tutta una serie di qualità che lo rendono un alleato prezioso e un nemico temibile: ha visto con i suoi occhi le sue capacità fisiche e con le armi, così come la caparbietà che lo ha reso più volte meritevole della Benedizione di Ares, il più grande onore per gli appartenenti alla Cabina 5. Contrariamente a quello che molti potrebbero credere, Bakugo è capace di creare una perfetta strategia di guerra che non sia basata sul semplice urlare e menare le mani. Forse nelle strategie Shouto potrebbe essere suo pari o appena superiore, ma non crede ci sia molta differenza tra loro; rispetta in Bakugo tutto ciò che sente di non avere lui.

Per questo non vorrebbe doversi scontrare con lui anche se, al tempo stesso, mentirebbe se dicesse di non avvertire un brivido di eccitazione al pensiero di misurarsi con qualcuno di davvero incredibile. 

All’inizio non è male, né così diverso da un allenamento più impegnativo. Lui e Bakugo non si sono praticamente mai allenati insieme, se non un paio di volte quando l’altro era appena arrivato, ma Katsuki ha reso chiaro subito di  trovare noioso il fatto che Shouto non si impegnasse abbastanza. Così lui lo ha lasciato stare e ora si ritrovano a conoscersi come combattenti di base ma non nello specifico; hanno una vaga idea l’uno dello stile di combattimento dell’altro ma questo non basta a rendersi prevedibili. Shouto sente gli spettatori entusiasmarsi a un fendente ben assestato che va pericolosamente vicino a questa o quella parte del corpo, ma non riesce a cogliere al cento per cento le loro parole se non qualche commento delle prime file se sono vicine al punto dell’arena in cui lui e Bakugo stanno combattendo. 

L’altro è una bestia nella velocità e nella potenza con cui gli si scaglia contro e Shouto riconosce quando si tratta di volerlo spingere da una parte all’altra dell’arena o quando i suoi colpi sono una risposta obbligata ai propri. A un certo punto però comincia anche ad avvertire una sensazione familiare, quella per cui finisce sempre per interrompere un allenamento prima di portarlo effettivamente a termine con un fendente di spada o un colpo a mani nude. Suppone sia questa la differenza tra lui e Bakugo: l’altro non vede nulla se non la vittoria di fronte a sé e l’ottenerla o meno è l’unica motivazione che potrebbe portarlo a fermarsi. Shouto invece è diverso, forse perché ha visto mostri e ha imparato la differenza tra dover combattere per la vita propria e degli altri rispetto al doverlo fare per soddisfazione personale. O forse è perché, nella sua testa, c’è un confronto troppo alto con cosa considera insuperabile.

Aizawa glielo ha detto in passato, una sola volta - reputi qualcosa impossibile da sconfiggere e tutto ciò che è al di sotto ti fa pensare di non doverti impegnare come se ne andasse della tua vita. Non sei motivato, come se sapessi già decidere cosa è o non è una causa persa e cosa merita o meno la tua attenzione.

Avrebbe voluto dire che non era vero, ma è difficile spiegare a qualcuno che a un certo punto ha dovuto scegliere tra l’assecondare la sua natura di figlio di Ares e proteggersi da sua madre e non farlo. Spiegare di aver sentito il sangue ribollire e l’istinto urlargli di colpire, colpire, colpire fino a sconfiggere, fino a neutralizzare e che di fronte a lui c’era la persona più importante della sua vita.

Cosa deve farsene di una forza assoluta se poi rischia di doverla rivolgere contro chi vorrebbe proteggere?

«Smetti. Di. Distrarti!» sbraita Bakugo, riportandolo alla realtà. Riesce a evitare la sua spada per un soffio ma questo non gli risparmia un colpo di striscio che gli ferisce il braccio, mancandogli di pochissimo anche il viso. Sente il “boo” degli spalti, non ha nemmeno bisogno di guardare per sapere che si tratta per lo più degli altri figli di Ares e di quelli di Nike. In ogni caso non potrebbe permettersi il lusso di staccare gli occhi dal suo avversario perché Bakugo è implacabile. Shouto è costretto a mettersi sulla difensiva e aspettare, fargli sfogare più possibile anche se sa meglio di chiunque altro che tra tutti i semidei del campo mezzosangue i più instancabili in battaglia sono proprio gli appartenenti alla Cabina 5. Potrebbe volerci l’intero pomeriggio a far stancare Bakugo e di certo non hanno tutto il giorno né Shouto ha intenzione di stare così tanto a lungo nell’arena. 

Per un momento pensa che alla fin fine sarebbe più veloce perdere. Basterebbe un attimo di distrazione e Bakugo avrebbe la meglio, così come sarebbe vero il contrario se fossero a ruoli invertiti. Sarebbe più semplice se solo essere figlio di Ares non rendesse veramente uno sforzo sovrumano scegliere di arrendersi volutamente, andare contro una natura che in fondo è sempre stata sua. 

La distrazione però arriva. Inaspettata, dagli spalti, dalla prima fila o dalla seconda Shouto non ha il tempo materiale di controllarla - si sente urlare tra i vari incitamenti un «Troppo occupato tra i pretendenti, Todoroki?» da una voce che Shouto non riconosce ma, nella veloce occhiata che offre alla direzione da cui il commento è venuto, inquadra un figlio di Afrodite che si trova a pochi posti da dove siede anche Shinsou. Quel commento, che dovrebbe infastidire lui ma che al massimo gli fa finalmente capire chi sia ad aver messo in testa a Kirishima la sua presunta cotta per Tamaki, fa scaldare ancora di più Bakugo. L’altro potrebbe colpirlo con la spada e invece gli assesta un pugno in pieno stomaco che lo piega in due e farebbe lo stesso con il ginocchio se Shouto non se ne accorgesse e riuscisse a pararlo per un soffio con la spada girata di piatto. Sente il colpo finire contro il metallo e ha un istante per farsi indietro prima che un fendente lo sfiori ancora, in un alternarsi tra colpi corpo a corpo e altri con l’arma. 

Dagli spalti sente nominare Yaoyorozu, davanti a lui Bakugo gli sbraita contro di non distrarsi ancora una volta - sono il tuo cazzo di avversario e non me ne frega un cazzo se ti porti a letto qualcuno, e mentre un colpo fin troppo bene assestato lo manda contro una delle colonne al limitare dell’arena e gli mozza il respiro, gli spalti sono un insieme di versi di disapprovazione dei suoi fratelli, di chiacchiericcio su chissà cosa, di un «Kacchan!» distante ma che gli sembra di sentire e di Bakugo che urla mentre gli si scaglia contro. 

Shouto è stanco. Di chi ha fatto stupide scommesse su di lui, di chi ha messo in giro voci, di chi vorrebbe che combattesse di più, di chi ora penserà che lui e Momo o lui e Tamaki o lui e Midoriya abbiano una relazione, perché a diciotto anni è la massima preoccupazione in un campo in cui si sta per almeno tre mesi l’anno, in presenza di pochi adulti e - evidentemente - troppe poche distrazioni. E’ stanco di Aizawa che gli ha letto dentro in un attimo ma poi non gli ha mai più detto niente, quasi a sottolineare i suoi difetti senza dargli un’opzione per migliorarli; di suo padre Ares, a cui ha chiesto una singola cosa e che razionalmente sa di non poter rimproverare ma che al tempo stesso riesce solo a biasimare; della sua natura semidivina che lo vorrebbe un vincitore assoluto; di Shinsou che ha guardato la sua cicatrice pensando fosse una medaglia al valore. E’ stanco di se stesso per non essere mai tornato a casa, per non sapere quasi nulla di sua madre se non frammenti di informazioni ottenuti in modi discutibili. 

E’ stanco. E arrabbiato.

L’arena ammutolisce prima che lui possa capirne il motivo, possa registrare di pronunciare parole attingendo a un potere che era consapevole di poter avere ma al quale non aveva mai attinto. Non si accorge di maledire l’arma di Bakugo finché, implacabile, non cala su di lui. Non si rende conto di aver abbandonato la sua spada per passare a menare le mani senza una sola strategia in mente, come si farebbe in una volgare rissa di quartiere. Shouto non sente nemmeno il richiamo di Tamaki, forse perché Bakugo non è tipo da prenderle senza darle, e per quanto sia doloroso farsi prendere a pugni a un certo punto gli fanno molto più male le mani con cui sta picchiando che le parti picchiate. Si sente tirare indietro e intuisce potrebbe essere Aizawa solo perché Chirone sta facendo la stessa cosa con Bakugo, con molte più difficoltà forse. Shouto tira e cerca di divincolarsi perché adesso basta.

«Todoroki!» tuona Aizawa, tirandolo indietro mentre con la coda dell’occhio Shouto vede salire sull’arena il capo della Cabina 5 che di certo conta di fermarlo fisicamente. Pronuncia qualcosa che Shouto capisce solo a tratti, un po’ per la confusione e un po’ perché vorrebbe solo colpire, colpire, colpire.

«Il combattimento è finito Shouto, smettila– anche tu Bakugo!» pronuncia e a Shouto viene solo da ridere, perché quanta ipocrisia può esserci tra persone che fingono di essere fratelli e sorelle solo perché un dio ha deciso di fare figli qua e là senza nemmeno prendersene la responsabilità?

«Voi volevate che combattessi.» dice così piano che Aizawa allenta leggermente la presa, forse leggendo la resa in quel tono basso; suo “fratello” maggiore sposta lo sguardo su di lui, perplesso, e Shouto vorrebbe solo scoppiare a ridergli in faccia.

Vorrebbe chiedergli urlando se ora sono soddisfatti, dopo otto anni ad aspettarsi da lui che si dimostri un vero figlio di Ares. Se adesso è come volevano, se smetteranno di guardarlo e avere nient’altro che aspettative nei suoi confronti senza chiedersi se almeno una di queste collima con quello che vorrebbe lui. Non riesce a dire altro, però, mentre una calma innaturale gli pervade il corpo all’improvviso. 

Capisce troppo tardi che Aizawa, con le sue abilità da figlio di Ipno, lo sta addormentando.

*

Quando si risveglia trova Momo e Tamaki al suo fianco e non se ne stupisce. I due stanno parlando a bassa voce di tutt’altra cosa rispetto agli avvenimenti dell’arena e, nel vederlo riprendere i sensi, sono subito lì a chiedergli come si senta. Shouto non glielo dice, ma sente di aver avuto un’immensa fortuna a legare con loro che prima di vederlo come qualsiasi altra cosa riescono a scorgere in lui nient’altro che un ragazzo di diciotto anni che, come chiunque al campo, ha dovuto affrontare cose più grandi di lui troppo presto. 

E’ quando esce dall’infermeria, con Uraraka ad assicurargli che le ferite del combattimento con Bakugo non sono nulla di serio, che si rende conto di come altri semidei hanno invece preso in modo del tutto diverso la sua reazione in arena. Alcuni cercano di smorzare la tensione o forse non sono troppo impressionati dal livello raggiunto da lui e Bakugo lì dentro. Una buona parte, però, evita di commentare e si intrattiene poco. Persino qualcuno dei suoi fratelli e delle sue sorelle sembrano indecisi su come approcciarlo.

Midoriya viene a sincerarsi di come stia e, mentre parlano, Shouto vede passargli dietro un gruppo misto di semidei tra cui riconosce il figlio di Afrodite che ha fatto quella battuta sugli spalti. Nell’incrociare il suo sguardo, quello devia subito il proprio e affretta leggermente il passo. Midoriya invece attira la sua attenzione dicendogli che Shinsou vorrebbe parlargli.

Shouto sa che è ingiusto, ma al momento si rende conto che se parlasse con l’altro, non sarebbe in grado di mantenere una calma che ancora sente scivolargli tra le dita come sabbia, quasi una volta provato l’impeto della battaglia fosse impossibile tornare a gestirlo come faceva. 

«Se è per la stupida scommessa che stanno facendo, puoi dirgli che non sto con Tamaki, non sto con Momo, non sto con te e se anche stessi con qualcuno i figli di Afrodite sarebbero gli ultimi a cui lo direi.»

*

Shouto comincia a chiedersi se tutte le volte in cui ha sottilmente insultato il suo genitore divino nella propria testa non sia stato sentito e ora si ritrovi a scontare ogni cosa detta. Se lo domanda quando, agli inizi di Luglio, Shinsou decide di ignorare ogni tentativo di contatto tra loro che Shouto ha mandato in fumo facendogli un agguato durante cattura bandiera. E’ un venerdì pomeriggio e Shouto si è ben guardato dal mettersi di nuovo in condizione di essere l’uomo chiave della partita. Occupa una posizione di difesa piuttosto neutrale - non troppo vicino alla bandiera della sua squadra, né tra le prime fila che dovrebbero fermare chi cerca di avvicinarsi. Forse è perché a questo giro lui e Bakugo sono dalla stessa parte e tutti, Shouto compreso, danno quasi per scontato di arrivare agli avversari prima che questi arrivino a loro. 

Shouto sente un rumore alla propria sinistra, quasi impercettibile, e nel voltarsi inquadra Shinsou; capisce subito che l’altro si è fatto notare volutamente e per quanto vorrebbe ignorarlo non riesce a fingere di non vedere che gli fa cenno di avvicinarsi. Vorrebbe avere la scusa di non fidarsi di un avversario, ma la sorte li ha voluti compagni stavolta. Questo comunque non significa che lui non possa intestardirsi e fare segno di no con la testa.

Sarebbe tutto così facile, se Shinsou non fosse testardo quanto se non più di lui. E se non fosse, a un certo punto, così vicino.

«Non puoi ignorarmi in eterno, Todoroki.» gli fa notare quando è abbastanza vicino da poterlo sussurrare con la certezza di essere sentito «Nemmeno tu puoi resistere per altro due mesì così.» aggiunge. Shouto cerca di fingere di non aver ascoltato una parola, ma è complicato quando il proprio interlocutore è così vicino da far toccare la sua spalla con quella di Shouto. Entrambi si focalizzano per qualche momento a guardare una manciata di metri avanti rispetto al loro nascondiglio; quando tre semidei della squadra avversaria si muovono nella direzione opposta rispetto a dove si trova la loro bandiera, Shouto avverte distintamente gli occhi di Shinsou di nuovo su di sé. Prima che possa dirgli di smetterla di fissarlo, la voce di Shinsou - o per meglio dire, le sue parole - attira la sua attenzione.

«Hai detto a Izuku che non parleresti ai figli di Afrodite per via delle scommesse che hanno fatto su di te. Ma io non ho scommesso. Se non mi parli per questo, Todoroki, non sei diverso da quelli che si aspettano determinate cose da te solo perché sei un figlio di Ares.»

Shouto lo guarda e non ha bisogno di riflettere per sapere che l’altro ha ragione. Dal momento in cui ha detto quelle parole a Izuku ha avuto la consapevolezza di stare facendo qualcosa di ingiusto, ma non può pretendere da nessuno (e nemmeno da se stesso, quindi) di poter sempre razionalizzare tutto. Ha diciotto anni, non può essere l’adulto che ancora non si sente pronto a diventare e lo stesso si può dire di tutti i semidei presenti al campo mezzosangue. Solo perché combattono meglio di un esercito e uccidono mostri che nessun adulto normale sarebbe anche solo in grado di concepire nella propria testa… non significa che non siano inclini alle idiozie della loro età. 

Per la prima volta da quando Shinsou lo ha affiancato gli rivolge lo sguardo in modo diretto, concedendogli un contatto visivo; si arrende quasi subito con un sospiro e un cenno della testa per suggerirgli di spostarsi da lì. Se devono parlare di certo non saranno di grande aiuto per il resto di cattura bandiera. 

Trovano presto un punto in cui fermarsi, essendo stati fin dall’inizio piuttosto vicino alla costa su cui si affaccia il campo. Shouto si limita a seguire l’altro fin dove intende portarlo, ma si rende conto presto che Shinsou sta puntando a un’area della costa leggermente più riparata rispetto a dove si svolge l’attività del venerdì. Quando si fermano Shouto riesce a intravedere senza problemi la parete utilizzata per la rampicata durante gli allenamenti, ma quasi subito sposta l’attenzione sul figlio di Afrodite. Lo vede sedersi non troppo distante dall’acqua, sebbene i suoi piedi non riescano a toccarla nemmeno allungando le gambe verso la riva. Si avvicina, sedendosi accanto a lui ma facendo attenzione perché non ci sia contatto tra loro. Se Shinsou nota quell’accortezza, non la commenta.

Rimangono in silenzio abbastanza da far credere a Shouto che forse non c’è davvero qualcosa di cui l’altro vuole parlare, a meno che Shinsou non stia aspettando una sua improvvisa confessione di qualche tipo. Però non ha mai avuto il sentore che l’altro fosse così poco percettivo e dubita, Shouto, che l’altro possa davvero credere che avranno una conversazione cuore a cuore se non gli vengono fatte domande. In verità non è nemmeno sicuro di voler rispondere a quello, in base a cosa gli potrebbe venir chiesto. 

«Non è una grande consolazione,» comincia a dire Shinsou «ma non penso tu sia l’unico a sentirsi inadeguato rispetto al proprio genitore divino.»

Lo pronuncia con una tale sicurezza, come se nell’ultima mezz’ora non avessero fatto altro che parlare di questo. Due amici stretti tra cui nel tempo ci sono state confessioni di diverso tipo, su argomenti più o meno delicati, e il fatto che Shinsou parli proprio di sentirsi inadeguati suggerisce a Shouto che non sia stata una scelta di parole casuale. Si sente spogliato di qualsiasi cosa la sua apparente indifferenza abbia reso scontato agli occhi degli altri, errori di valutazione che non si è mai preso la briga di correggere perché non è mai stato poi così importante. Shouto piega un poco di più le ginocchia e vi si poggia con le braccia. Prima di accorgersene le dita di una mano tamburellano contro la gamba. Da che ricorda è un gesto meccanico sempre fatto quando si è trovato sotto l’osservazione di qualcuno che cercava di capire di lui più di quanto fosse disposto a concedere. Non sa se Shinsou lo noti e, per questo, rivolga lo sguardo all’acqua lasciandolo rilassato nel non sentirsi osservato. Per quanto possa rilassarsi mentre è messo alle strette, s’intende.

Gli sembra passato un tempo troppo lungo quando finalmente gli domanda: «Non volevi essere figlio di Afrodite?» che non è una risposta né un lungo racconto personale sulla sua vita - e, d’altronde, cosa potrebbe raccontare del campo mezzosangue che Shinsou non conosca già da solo? - ma è un piccolo passo. Lo sente sbuffare divertito, ma sospetta che se lo guardasse non troverebbe quello stesso sentimento nei suoi occhi o sul resto dei suoi lineamenti. 

«Altroché.» ironizza «E’ uno spasso avere la gente che ti guarda e si chiede se stai per farli innamorare di te. O per farli ballare con un gonnellino.» aggiunge, riferendosi alla vuota minaccia fatta per scherzo durante la missione insieme. Shouto sospetta che allora fosse un modo per proteggersi, per mettere le mani avanti e insinuare lui ciò che forse in passato hanno sempre insinuato gli altri - un po’ come Shouto ha fatto rinunciando in partenza a far credere di essere un perfetto figlio di Ares, consapevole di non poter rispettare quelle aspettative e preferendo ammettere subito di essere un prodotto difettato. 

«Ma immagino che anche camminare sotto lo sguardo di chi pensa esploderai da un momento all’altro o che si aspetta tu voglia sempre misurarti con qualcuno non sia meglio. Non hai l’aria di uno a cui piace combattere, Todoroki. Senza offesa.» gli fa notare Shinsou, azzardando a guardarlo di nuovo. Shouto non rifugge il suo sguardo stavolta e nota una vaga morbidezza nella sua espressione che non ha mai scorto altre volte, se non quando lo ha intravisto parlare con Midoriya. Rilassa appena le spalle, rendendosi conto di non sentirsi affatto offeso dalle sue parole. 

«Non mi dispiace,» ammette, riferendosi al combattere «solo che non voglio farlo di continuo. Neanche altri miei fratelli o sorelle, credo. E’ che…» indugia un momento, accorgendosi di non sapere come descriverlo perché Shinsou capisca davvero. Con sua sorpresa non si rivela necessario. Shinsou lo osserva e annuisce, rifilandogli un «Penso sia solo che hai molto più autocontrollo di quanto chiunque si aspetti. E ti fa sembrare più arrendevole.» osserva e solo ora Shouto nota che l’altro continua a sfregare il pollice della mano sinistra contro l’indice della stessa mano, in un gesto quasi di… nervosismo?

«Direi che non lo sei. Combatti quando serve e ti risparmi di farlo quando non è necessario. Suona come una cosa intelligente da fare, non come una mancanza.» sottolinea Shinsou con la stessa facilità con cui Shouto potrebbe fare l’unica cosa in cui si sente davvero bravo, ossia combattere con alcune armi piuttosto che altre, nonostante la sua eredità divina gli permetta di maneggiarle tutte con poco sforzo. Shouto lo scruta per qualche istante, incerto se dare voce o meno al suo pensiero. Alla fine, però, qualcosa su cui ha sempre riflettuto poco è stato dire o meno quello che pensava.

«Sei più gentile di quanto sembri.» 

Shinsou lo guarda senza nascondere il proprio stupore e poi sbuffa, ridacchia persino. Shouto lo vede poggiare le mani dietro di sé e spostarvi il peso, inclinare appena la testa indietro e ridere più apertamente. Lo sente dirgli «Izuku aveva ragione» e si chiede su cosa, ma quella risata gli piace e deve impegnarsi a ignorare la voce di Tamaki che gli risuona nelle orecchie - non pensi proprio mai… che qualcuno vicino ti piacerebbe?

*

L’aver parlato insieme quel giorno, dimenticandosi della tradizione del venerdì, compie un vero e proprio miracolo dal punto di vista di Shouto. In primis non sente più di dover evitare Shinsou. Certo, non riesce comunque a gestire con facilità la possibilità di aver trovato un amico che lo capisca abbastanza da poter un giorno arrivare a farlo come Tamaki, forse, dove il figlio di Ade è stato agevolato dagli anni di conoscenza e dall’aver assistito al passaggio dalla fanciullezza all’adolescenza. Shinsou ha pochi anni all’attivo e solo qualche giorno effettivo se si considerano quelli in cui Shouto gli ha permesso di vedere qualcosa di lui senza erigere muri su muri. Non riescono di punto in bianco a passare la maggior parte del tempo insieme con naturalezza, ma le occasioni che li vogliono insieme non vengono più aggirate come un problema per cui non si conosce soluzione. 

La presenza di Izuku aiuta spesso, ma alla lunga Shouto riesce a cavarsela anche da solo. Qualche volta lui e Shinsou si trattengono dopo il turno di pulizia in armeria, con la scusa che ci sono poche persone migliori di un figlio di Ares a cui chiedere qualcosa sulle armi. Shinsou non ha un interesse spasmodico, ma ha una curiosità viva anche per cose che non pensa userà mai.

«Ho qualche arma che mi piace usare,» ammette un giorno mentre Shouto sta finendo di lucidare delle lame che al di fuori della sua Cabina pochi semidei usano senza rischiare di tagliarsi un arto da soli «ma al di fuori di quelle, non mi interessano. Non nel modo che mi porta a voler per forza imparare a usarle. Non è il mio genere di combattimento.»

Shouto non può fare a meno di ripensare alla missione cui hanno partecipato insieme, ritrovandosi a fare mente locale sullo scontro; anche prima di usare l’abilità speciale dei figli di Afrodite, se ci riflette bene non ricorda Shinsou con armi particolari in mano. Aveva solo una spada con sé e l’ha usata quando necessario, limitando il resto a strategia, intelletto e abilità che non hanno previsto lame o frecce.

Evita di dirglielo, in quell’occasione, perché sono ancora in una fase di distanza dove prendere le misure su ciò che si dice non è semplice, ma Shouto pensa che - a dispetto del suo essere un semidio a cui si suppone anni di campo mezzosangue abbiano insegnato a lottare - Shinsou non sia adatto a quello. Per la prima volta dopo tanto tempo, quando l’unica altra eccezione è stata forse Tamaki, pensa che preferisce sapere l’altro lontano dal campo di battaglia anziché vicino. 

Non parlano di molto altro, ma lo fanno in altre occasioni. Diventano sempre più numerose senza che Shouto se ne accorga. Sarebbe sbagliato dire che si cercano, sia con lo sguardo che nel resto, ma finiscono con il gravitare l’uno intorno all’altro quando in altre situazioni non accadeva mai. Per esempio scopre con un solo giorno di anticipo che, al contrario del proprio compleanno, quello di Shinsou cade esattamente in estate e viene di conseguenza festeggiato al campo. Glielo rivela Midoriya quando gli dice che stanno organizzando una piccola sorpresa per il figlio di Afrodite.

«Sarebbe contento se ci fossi anche tu.» fa notare Midoriya, cogliendolo abbastanza di sorpresa, non per l’invito di per sé ma perché sembra piuttosto sicuro delle sue parole. Shouto non riesce a immaginare perché la sua presenza dovrebbe fare una differenza sull’umore di Shinsou ma decide di accettare - prima avrebbe avuto solo motivi per rifiutare ma adesso che parlano di più e somigliano a degli amici, qualsiasi motivazione gli sembra abbia perso di forza. 

Fare qualcosa in segreto al campo mezzosangue è un’impresa più di qualsiasi vera impresa in cui vengono mandati i semidei, ma in qualche modo sembrano riuscirci; forse aiuta il fatto che gli invitati, per così dire, non siano moltissimi o che Midoriya sia riuscito a ottenere il permesso di prendere del cibo e portarlo vicino alla spiaggia. Non troppo lontani da dove cenano di solito ma nemmeno così vicini, al figlio di Atena basta una scusa ben costruita per allontanare Shinsou dal resto del campo e raggiungere loro già pronti ad accogliergli. Il figlio di Afrodite sembra sinceramente stupito, complice di certo la raccomandazione di Midoriya con gli altri di fare gli auguri così da non insospettirlo ma farli sembrare qualcosa di non organizzato. E’ evidente che Shinsou non si aspettasse più di quello. A un certo punto, mentre Midoriya e Uraraka stanno ridendo per qualcosa detto da Iida, Shinsou si scosta leggermente dal fuoco intorno al quale stanno e va a sedersi più vicino a lui. Restano in silenzio entrambi per qualche attimo, poi Shinsou pronuncia un «Non pensavo Izuku avrebbe organizzato addirittura una sorpresa,» confida «e non pensavo ci saresti stato anche tu, Todoroki.»

Sono ancora lontani da quel rapporto che gli permette di chiamarsi per nome senza che suoni strano, ma nonostante questo Shouto non si sente di troppo o come se si fosse imbucato a una festa dove tutti si conoscono ma non hanno idea di chi lui sia. 

«Midoriya ha detto che un regalo non era necessario ma… non so bene. Sono tutto l’anno al campo mezzosangue. Non credo ci sia nulla qui che tu non conosca o non abbia già.» ammette, incassandosi leggermente nelle spalle. Potrà non avere un numero elevato di amici e non essere amante dell’attenzione durante i falò o le ultime serate dell’estate, prima che molti semidei tornino alle loro vite normali, ma sa che un compleanno senza regalo non è granché. Shinsou ha spostato lo sguardo su di lui e Shouto percepisce, anche senza incrociarlo col proprio, una perplessità che non riesce del tutto a comprendere però. Immagina che Shinsou non si sia mai aspettato un dono se nemmeno aveva pensato alla sua possibile presenza ai festeggiamenti. 

Shouto occhieggia Midoriya e gli altri, ora presi da una conversazione che - dal poco che sente - verte sull’aver promesso ad Aizawa un turno extra da qualche parte nel campo mezzosangue in cambio del permesso speciale di spostare il cibo da dove di solito mangiano tutti insieme. Visto che nessuno di loro sembra intenzionato a rivolgersi a loro due, per adesso, Shouto sbuffa piano e infila la mano nella piccola sacca che si è portato dietro. Ne tira fuori un fagotto non proprio elegante e lo allunga a Shinsou.

Il figlio di Afrodite guarda quello, poi Shouto, poi di nuovo l’oggetto. Lo prende e non impiega molto a liberarsi della stoffa. Ne tira fuori un pugnale: la lama è lucida e ben affilata, mentre la parte dell’impugnatura ha qualche leggerissimo segno. Shouto sa che non è un regalo degno di quel nome, ma non c’è stato molto altro da fare. Prima che Shinsou possa sottolineare le ovvie imperfezioni, lo anticipa.

«Mi dispiace non sia nuovo.» pronuncia, un senso di imbarazzo e disagio non meglio identificati ad annodargli lo stomaco peggio della prima volta in cui è dovuto entrare nell’arena «Ma l’ho pulito ogni giorno. Ce l’ho da anni e non mi ha mai tradito una volta. Ne ho avuto bisogno spesso. E’ leggero, facile da maneggiare e anche se non sei tipo da molte armi questo potrebbe essere un bene averlo sempre dietro.» spiega, sperando che basti a non renderlo un fallimento su tutta la linea.

Sbircia il viso di Shinsou e vede l’espressione altrui confusa e al tempo stesso grata, come se volesse ringraziarlo ma non fosse sicuro di averne capito il motivo o di aver davvero appena ricevuto un pugnale usato in regalo. 

«E’ la prima arma che hai scelto?» gli domanda Shinsou quando Shouto pensa ormai che stia solo vagliando come restituirglielo in modo educato. Non si aspetta quelle parole ma scuote la testa in risposta con abbastanza prontezza.

«E’ un’arma che avevo in casa. Mia sorella ha detto che mia madre si era raccomandata di darmela se mai fossi andato a un campo estivo. Penso che gliel’abbia lasciata Ares l’ultima volta che l’ha vista, anche se non è di quelle speciali con marchi dei genitori divini.» dice, con una scrollata di spalle. Dubita onestamente che sia stato un regalo azzeccato per una come sua madre, ma in fondo non sa nulla della loro storia. Shinsou aggrotta le sopracciglia e allunga il pugnale verso di lui in un chiaro gesto di restituzione.

«Se te lo ha dato tua madre non puoi darlo a me.»
«Voglio darlo a te.» chiarisce Shouto, con più decisione di quanta avesse avuto intenzione di imprimere nelle sue parole. Lo guarda apertamente, intuisce che forse per Shinsou è impossibile capire cosa lo spinga a separarsi da un oggetto che sarebbe prezioso per qualsiasi semidio. In parte nemmeno Shouto sa spiegarselo - avrebbe potuto donarlo a Tamaki, secondo lo stesso principio, o a Momo. Sono gli amici più cari che abbia, oltre che due dei pochi. 

«Mia madre non si offenderà.» aggiunge, anche se da dire ci sarebbero così tante cose. Ma non è pronto, ancora, a parlargli di lei. Alla fine Shinsou non sembra molto convinto, ma deve aver capito l’inutilità di rifiutare il suo regalo. C’è una cura quasi esagerata, agli occhi di Shouto, nel modo in cui riavvolge la lama nella stoffa e la ripone insieme ai regali di Midoriya e degli altri. Poi gli si accosta leggermente, abbastanza da sfiorare la spalla di Shouto con la propria.

«Grazie.» 

Shouto sente l’odore del sale proveniente dal mare e un odore fresco che non riesce ad associare a qualcosa, ma che capisce essere quello di Shinsou. Ci si concentra così tanto che quando Midoriya vuole parlargli deve chiamarlo tre volte perché Shouto se ne accorga. La cosa lo fa vergognare più di quando a dieci anni, alla sua prima esperienza in arena, fu buttato fuori al primo affondo di spada e svenne davanti a tutti. 

*

La festa a sorpresa per Shinsou è un ricordo ancora fresco di quell’estate, a malapena a metà della sua durata, quando l’Oracolo pronuncia la profezia per un’impresa più complessa delle ultime a cui hanno partecipato diversi semidei. Ne hanno il sentore quando vengono convocati da Aizawa e dal signor D. e tra le fila dei semidei scelti c’è Mirio Togata, e quella sensazione non fa che acuirsi quando leggono insieme la profezia trascritta. E’ difficile interpretarla nella sua interezza e le parti oscure non sono solo quelle che lasciano incognite ma - sebbene in un senso diverso - anche quelle che accennano una certa violenza.

D’altronde i semidei vengono preparati a questo fin da piccoli e, anche volendo, non ci si può certo sottrarre a un’impresa. Così la mattina dopo si radunano, pronti a partire prima che sorga il sole. Si guardano per un attimo, quasi ad assicurarsi di essere tutti e al tempo stesso cercando di indovinare il ruolo che avrà ognuno di loro. A un figlio di Zeus si può accostare la potenza, e la presenza di Shouto lascia poco spazio all’immaginazione, visto il suo genitore divino. Se però Shinsou, da un lato, fa sperare che non si tratti solo di una prova di forza bruta… Shouto sa che la promessa di violenza nella profezia rischia di essere inevitabile e il motivo della presenza di Uraraka. Spera di sbagliare.

Va tutto liscio per quattro giorni. Non è facile, ma è meno tremendo del previsto. Non gli rimane altro che una radura da attraversare - piena di mostri, alcuni dei quali già affrontati negli anni, e devono recuperare la coppa per cui sono giunti fino a lì e che si aspettano essere circondata di trappole. Ma nessuno di loro ha ancora svolto un compito specifico per cui è stato scelto quindi forse con l’attitudine alla strategia di Shouto o l’astuzia di Shinsou e il suo ascendente sugli altri potrebbe andare meglio del previsto. Poi raggiungono la coppa in mezzo alla radura e Shouto potrebbe giurare di non aver mai assistito a una violenza del genere.

Tornano al campo grazie a un intervento di Apollo, probabilmente perché a un certo punto le suppliche di Uraraka sono l’unica cosa che risuona nella radura. Ci sono diversi figlie e figli del dio della medicina quando arrivano perché Shinsou ha avuto la prontezza di mandare un messaggio Iride che li precedesse e preparasse chi era al campo ad andargli incontro. Shouto ha ricordi confusi non solo perché all’improvviso è circondato da voci concitate che dicono mille cose insieme, ma perché ha passato le ultime due ore con addosso il peso del corpo di Mirio pregando che non smettesse di respirare. Nel caos generale qualcuno gli chiede se tutto il sangue che ha addosso sia suo, se si tratti di una ferita profonda. A Shouto fa male ogni muscolo del corpo, ma niente lo devasta come l’espressione che scorge sul viso di Tamaki quando incrocia il suo sguardo. 

Finisce per farsi trascinare come se fosse in balia delle onde, un corpo inerme che non può opporsi alle forze esterne. Quando gli sembra di riprendere una sufficiente lucidità a rendersi conto di cosa lo circondi, si ritrova seduto all’esterno della Casa Grande e non è da solo. Uraraka ha accanto a sé Momo e Midoriya, lui intento a darle qualche leggera carezza sulla schiena con fare conciliante e lei a tenerla in un abbraccio per quanto la posizione conceda loro. Uraraka sembra distrutta non solo dalla fatica ma anche dal senso di colpa. Poco distante da loro Kirishima continua a fare avanti e indietro ed è probabile che lo stia facendo da un po’ e sia quasi al punto di scavare una trincea da solo a quel modo. Kaminari ogni tanto prova a dirgli qualcosa, ma si capisce senza troppa difficoltà che la maggior parte delle sue parole non vengano nemmeno sentite. La tensione generale è forte e solo in un secondo momento Shouto si rende conto di avere qualcuno seduto vicino a lui e che quel qualcuno è Shinsou.

«…Togata è dentro?» domanda, sentendo la gola secca come quando si passano diverse ore a non parlare e poi lo si fa all’improvviso. Lo sguardo di Shinsou è immediatamente su di lui, lo stupore nel sentirlo parlare. Shouto suppone l’altro abbia provato a dirgli qualcosa e si sia arreso, un po’ come Kaminari con Kirishima. 

«E’ ancora dentro. La maggior parte dei figli di Apollo stanno dando una mano. Nessuno è ancora uscito a dirci come va. Amajiki è dentro con loro.» offre Shinsou in risposta. Ha l’aria stanca, quasi nessuna ferita troppo grave ma Shouto inquadra facilmente una fasciatura al polso destro e immagina ce ne sia qualche altra coperta dai vestiti. Graffi qua e là ma niente di serio. Shinsou lo guarda e accenna leggermente con la testa alla sua gamba: «Hanno detto di fargli sapere se senti dolore o se fai fatica a muoverla. Ho detto che li avrei avvisati io.» afferma.

Shouto abbassa lo sguardo sulla gamba, il vago ricordo di averla avuta chiusa nelle fauci di qualche bestia che nel caos della battaglia non ricorda nemmeno cosa fosse. Sa solo che a un certo punto Shinsou le ha piantato la lama del pugnale che gli ha regalato nella fronte e quella ha mollato la presa - ma Shouto non ha avuto tempo di sincerarsi di cosa fosse e si è lanciato contro qualche altra cosa, d’istinto. Non ricorda la maggior parte delle cose che ha fatto, a dire il vero. 

«No… credo di no. Non lo so.» mormora, gli occhi fissi sulla gamba senza davvero guardarla o cercare di capire se sia qualcosa di cui preoccuparsi al momento o meno. In testa continua a ripetersi l’urlo di dolore di Mirio, l’istante in cui Shouto ha capito che non era solo un attacco andato a segno ma qualcosa di più grave, sangue ovunque senza saper distinguere da dove venisse e lo sguardo atterrito di Tamaki quando lo ha visto arrivare tenendo Togata privo di conoscenza addosso.

Il conato di vomito arriva improvviso e lo fa piegare in avanti prima che Shinsou possa allungare un braccio ed evitargli di finire con ginocchia e mani sul terreno. Però gli è accanto un secondo dopo, una mano contro la sua fronte e l’altra passata sulla sua schiena in modo non così diverso da come ha visto fare a Midoriya con Uraraka. Non c’è molto da buttare fuori per la verità, e il sapore acido della bile non gli lascia una bella sensazione addosso. Shinsou si guarda indietro, forse fa un cenno a Momo e Midoriya, poi lo aiuta a tirarsi su e rimettersi seduto. La mano sulla sua schiena non se ne va, mentre con l’altra gli porge un asciugamano che qualcuno - Izuku? - gli allunga da un punto che Shouto non vede. Lo accetta, passandolo sulla bocca e stringendolo poi in una mano, così forte da vedere le nocche sbiancare. 

«Ehi.» chiama piano Shinsou, quasi dovesse confidargli una verità scomoda e non volesse farla sentire ad altri «Devo chiamare qualcuno?» domanda e Shouto vorrebbe avere la lucidità di rispondergli e di dire a se stesso che Tamaki non è una proiezione di sua madre, che il suo sguardo non è stato l’accusa per quanto successo a Mirio ma l’orrore di chi vede un amico d’infanzia tornare in un bagno di sangue. Vorrebbe non sembrare il tipo di persona che accentra tutto su di sé ma poche cose gli impediscono di essere razionale, e sono gli stessi mostri che lo hanno allontanato da casa quando aveva solo dieci anni, che con i miti greci non hanno nulla da spartire. Non si libererà mai dello spettro di una madre che non vede da otto anni, né della sensazione dell’acqua bollente sul proprio viso.

Scuote la testa, non fidandosi della propria voce. Poi, sorprendendo prima di tutto se stesso, piega la testa e riesce a stento a farsi scivolare tra le labbra un «Non sono riuscito a fare niente.» di cui si vergogna un attimo dopo averlo pronunciato - perché è un segno di debolezza, perché non ha il diritto di dirlo mentre qualcuno potrebbe non uscire vivo dall’infermeria e lui se l’è cavata con qualche ferita che per quanto profonda alla fin fine guarirà. E’ una sorpresa quando la mano di Shinsou, con prepotenza, gli toglie l’asciugamano che sta stringendo e poi prende la sua. Shouto guarda le loro mani, ora una nell’altra, e guarda come il figlio di Afrodite le fissa con insistenza per sincerarsi che sia qualcosa di reale. 

«Ho pensato che non saresti tornato con le tue gambe. Avevi ferite ovunque.» gli fa notare e Shouto pensa che forse stia cercando di scusarlo o di rassicurarlo di aver fatto tutto il possibile. Solo allora si accorge di quanto la mano nella propria tremi.

«Sei rimasto vivo,» pronuncia calcando con forza la parola «è l’unica cosa che volevo facessi.»

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Capitolo 3
*** (almost) nineteen ***


Il resto dell’estate sembra passare molto più lentamente. Il campo mezzosangue è come un polmone in procinto di collassare che riesce a riprendersi almeno in parte solo quando annunciano che Mirio Togata è fuori pericolo. E’ strano gioire nel saperlo vivo quando ormai non ci speravano più e, al tempo stesso, non riuscire a gioire del tutto sapendo che per l’occhio ferito non c’è stato nulla da fare e che questo potrebbe non farlo tornare mai più a essere quello di prima. Per Shouto, egoisticamente, è difficile approcciare Mirio quando lo vede unirsi di nuovo a loro durante i pasti - una parte di lui sente il bisogno di scusarsi, forse per lavarsi la coscienza, ma al tempo stesso è consapevole che in una situazione simile Mirio non dovrebbe preoccuparsi di far sentire meglio chi si sente colpevole. Ne ha la conferma quando, vedendolo, Mirio si affretta per quanto possibile ad andargli incontro e travolge in un abbraccio sia Shouto che Shinsou, accanto a lui nel varcare la soglia del Padiglione. 

Entrambi sono troppo occupati a essere sorpresi per ribellarsi - anche se è probabile che nessuno dei due lo farebbe in ogni caso. Mirio li stringe e pronuncia un sincero e sollevato «Grazie agli dei siete sani e salvi.»

Shouto sente che per la prima volta, dopo otto anni, potrebbe piangere.

*

Shouto non ha mai avuto quella cerchia di amici con cui condividere i dubbi della pubertà. Ha avuto Momo, alle cui rare e preziose confidenze non si è mai sottratto, consapevole di non poter offrire grandi consigli ma deciso a essere quanto più di supporto possibile. Ancora prima di lei ha avuto Tamaki. Il figlio di Ade è quello che Shouto definirebbe quasi un riflesso, qualcuno con cui ha individuato una tale affinità caratteriale da avervi trovato un’oasi di pace. Sono stati e ancora sono quella compagnia con cui non sono costretti a parlare, non importa quanto a lungo stiano insieme. Questo lo ha salvato in diverse circostanze, ma non lo ha reso un adolescente con un amico a cui confidare determinate cose.

Oltre a queste due persone, Shouto ha avuto la Cabina 5  - metà di questa esplosa insieme al proprio testosterone o troppo diretta con l’oggetto del proprio interesse per aver bisogno di un consiglio. L’altra metà semplicemente poco avvezza alla cosa. Shouto immagina cosa potrbbe scatenarsi se andasse da Bakugo e gli dicesse: «Parliamo di come guardi Midoriya, fratello mio.»

Qualcosa esploderebbe di certo.

Per questo per Shouto è così difficile capire perché, di punto in bianco, il modo in cui Shinsou lo approccia gli appaia tanto diverso; o, semplicemente, perché lo faccia sentire diverso. Forse non ci ha badato troppo nelle altre occasioni perché erano particolari e gli hanno dato la sensazione di poter giustificare atteggiamenti altrettanto “speciali” - il “grazie” per il suo regalo di compleanno, la risata durante cattura bandiera, il modo in cui gli ha stretto la mano mentre aspettavano, impotenti, di sapere come stesse Mirio.

C’è qualcosa nella vicinanza di Shinsou che lo fa sentire in un modo in cui non si è mai sentito e che gli riesce difficile spiegare. Ne ha l’ennesima conferma mentre il figlio di Afrodite lo aiuta a sistemare il bendaggio dopo un allenamento. Lui, Shinsou, Midoriya e Uraraka hanno iniziato ad addestrarsi insieme nel pomeriggio e Shouto e Izuku hanno appena concluso il loro scontro. Giusto in tempo per sistemare con calma le armi usate, fare una doccia veloce e andare a mangiare. Mentre Uraraka e Midoriya si offrono di mettere al loro posto le spade, Shinsou si inginocchia di fronte a lui alludendo con un cenno della testa al bendaggio allentato. 

«Inutile cambiarlo se devi fare la doccia, ma lasciamelo stringere.»

Shouto non ha un vero motivo per rifiutare, dunque non lo fa. Shinsou è pratico ma attento nel modo in cui sfiora la gamba o in cui stringe le bende attorno a essa. Shouto vorrebbe quasi dirgli che non serve essere così delicato, ma si fissa sui movimenti delle mani e delle dita dell’altro, tanto da sobbalzare impercettibilmente nel sentirsi chiamare, di certo non per la prima volta. Mette a fuoco il viso di Shinsou, che lo sta guardando come se volesse indovinare i suoi pensieri solo grazie al contatto visivo.

«Scusa» pronuncia Shouto «stavi dicendo?»
«Hai da fare stasera?» gli chiede Shinsou a bruciapelo, ma d’altra parte non è che Shouto sia pieno di impegni al di fuori delle attività del campo. Senza contare che il figlio di Afrodite sembra più nervoso - o nervoso e basta, visto che di solito a Shouto l’altro appare costantemente a suo agio - e questo lo porta ad accettare di fare qualsiasi cosa l’altro stia per proporgli più velocemente di come avrebbe comunque fatto.

«No.» replica infatti e Shinsou incurva le labbra in un piccolissimo sorriso. Shouto non sa come gestire l’impulso di accarezzargli il viso che lo coglie all’improvviso.

Riesce a ignorarlo più possibile, abbastanza perché Shinsou si alzi e si muova verso Midoriya e Uraraka. Shouto assicura a tutti e tre che non c’è bisogno di aspettarlo per andare alle docce, di dover solo portare una cosa urgente a Chirone, che è il massimo della menzogna di cui è capace (ossia dover davvero portare qualcosa all’istruttore del campo, solo che non è urgente). Lo fa perché non sente di avere la calma interiore necessaria a fare una doccia in presenza di Shinsou, poco importa che gli stalli non siano comuni. Così ne approfitta per consegnare quanto preso in prestito giorni prima e per permettere al centauro di assicurarsi che la ferita alla gamba sia bendata ormai più per una questione di prudenza che di necessità. 

Si riunisce agli altri a cena, sebbene a tavolate diverse. Ha quasi finito ormai quando scorge l’occhiata di Shinsou che ha già liberato il proprio posto a tavola e gli fa cenno verso l’esterno. Lo ritrova poco distante, verso la spiaggia, e non riesce a stupirsene davvero. Alla fine è uno dei punti in cui hanno interagito di più da quando sono riusciti a parlare come due amici anziché come due destinati a ignorarsi al di fuori di obblighi a stare nella stessa squadra. Shinsou però non aspetta di essere affiancato e fa un cenno con la testa verso la spiaggia, sì, ma dal lato che affaccia sulla zona dove si trova il consiglio dei satiri piuttosto che quella da cui si accede con facilità al muro dell’arrampicata. Shouto lo segue, senza farsi grandi domande se non quale sia la questione da affrontare o la cosa da vedere che richieda tanta discrezione. 

Quando raggiungono la spiaggia, tanto da essere parecchio vicini all’acqua, Shinsou pronuncia finalmente qualche parola. E’ solo un’indicazione, un «Andiamo più in là.» a cui non aggiunge granché ma Shouto non è mai stato tipo da disdegnare il silenzio. Così esegue e basta, ogni tanto alza lo sguardo verso il cielo sereno e lascia che il rumore dell’acqua lo aiuti a rilassare le spalle. Si fermano dove, a occhio e croce, devono trovarsi a metà strada tra il Padiglione della mensa e l’area del consiglio dei satiri. Un punto dove Shouto suppone sarebbe difficile sia trovare altri semidei sia i satiri, a quell’ora. I rumori del centro della vita serale del campo arrivano tutti, ma attutiti abbastanza. La spiaggia, però, non è del tutto sgombra: riconosce senza difficoltà un paio di teli usati spesso nel campeggio, un paio di thermos e poco altro. Shinsou stende entrambi i teli, si libera delle scarpe dopo essersi seduto su uno di questi e poi lo guarda come se non capisse perché sia ancora in piedi.

Shouto lo vede dare un paio di colpetti al telo libero accanto al suo e lo imita, sedendovisi e togliendosi le scarpe. I piedi nudi a contatto con la sabbia gli danno un senso di sollievo e l’aria estiva è tiepida anche di sera. Shinsou si lascia andare indietro e si sdraia, incrociando le braccia dietro la testa e rivolgendo lo sguardo verso l’alto. Shouto resta fermo dov’è e inizia a chiedersi perché siano lì.

«Todoroki non sto per farti un agguato e ucciderti, sai?» gli fa notare, il tono divertito. Shouto sposta l’attenzione su di lui e trova lineamenti rilassati e un sorriso morbido sulle labbra e solo Ares sa quanto questo gli renda tutto più difficile - anche capire perché sia difficile, oltre al resto. 

«No, lo so» pronuncia stupidamente, anche se per il suo senso sociale poteva essere molto più plausibile un agguato che qualsiasi altra cosa sia questo incontro «solo che questo è il genere di cosa che faccio con Tamaki.» ammette. Shinsou lo osserva per un attimo e lui si sente come se lo scrutasse alla ricerca di qualcosa. Forse non la trova o forse sì, ma è difficile dirlo con il figlio di Afrodite.

«Sì, mi ricordo che girava voce sul fatto che aveste dormito insieme.» osserva con una nonchalance che sparisce quasi subito quando aggiunge «Solo dormito?»

«Perché tutti pensano che io e Tamaki stiamo insieme?»
«Perché è l’unico a parte Yaoyorozu a cui ti avvicini così tanto, Todoroki. Solo che non sei mai rimasto a dormire con lei in una cabina senza nessuno oltre voi. Ma ormai i pettegolezzi su entrambi penso siano spariti.» gli fa notare, quasi a dargli una piccola consolazione. Shouto non si ritiene stupido, non è che non abbia notato che dai suoi quindici anni parecchi coetanei hanno avuto esperienze, relazioni - alcune durate poco, altre un po’ di più - e tutto il resto. Per la verità lui e Tamaki hanno anche più o meno approcciato una sorta di bacio leggero, qualcosa di innocente tra due persone che dovevano ancora imparare a discernere il completo agio provato uno in presenza dell’altro dall’alchimia tra due persone che provano un’attrazione reciproca. Compreso subito, chiarito con altrettanta velocità. Non è mai rimasto il dubbio a nessuno dei due e non ne hanno parlato, trattandolo come un gesto d’affetto tra due persone che hanno imparato a volersi bene prima di accorgersene, quasi.

«Tu sei vicino a Midoriya.» sottolinea Shouto e lo sente sbuffare.

«Izuku è il mio migliore amico, la nostra vicinanza non va mai oltre un limite ben preciso. E poi non ci tengo a duelli da animale con il tuo fratellino.» fa presente Shinsou, alludendo in maniera inequivocabile a Bakugo. Non è che Shouto non lo sapesse, ma sentirlo dire chiaro e tondo per la prima volta da qualcuno fa tutt’altro effetto.

«Ah.»
«…Aspetta, non dirmi che non te ne eri accorto.» pronuncia Shinsou puntellandosi sui gomiti per guardarlo meglio. Shouto scuote appena la testa: «Sì, ma nessuno lo dice così chiaramente.»
«Certo che no.» ribatte l’altro con una certa perplessità «Chi dovrebbe dirlo? Izuku vuole la massima discrezione, Bakugo non è proprio tipo da confidenze a cuore aperto e tutti gli altri sono intelligenti abbastanza da non dirglielo in faccia e rischiare di venire, non lo so, silurati oltre la barriera che potregge il campo?»

Shouto è sicuro che siano tutti motivi reali e validi, ma questo non significa che li comprenda e condivida tutti quanti.

«Se comunque devono parlargliene alle spalle, tanto varrebbe chiederglielo?»
«Tu lo hai chiesto a Bakugo?»
«No, perché io e lui non parliamo in generale. Sarebbe strano se all’improvviso gli chiedessi questo.» specifica Shouto, non dando chissà quanto peso alle sue parole; al contrario, però, Shinsou sembra farlo eccome. Ma prima di parlare dà un altro paio di colpetti al telo, invitando tacitamente Shouto a sdraiarsi. Quando lo fa, il figlio di Afrodite si gira su un fianco per poterlo guardare in viso.

«Perché non parlate in generale? Voglio dire, nemmeno io vado d’accordo con tutti i miei fratelli e le mie sorelle.» aggiunge, neanche volesse assicurarsi di lasciargli una scappatoia in quel discorso. Ma in parte Shouto è convinto che Shinsou capisca molto meglio di altri che un genitore in comune non debba essere per forza sinonimo di famiglia e legame. Lì girato su un fianco non può rifuggire granché il contatto visivo anche se ora, come raramente gli succede, vorrebbe farlo. 

Rispondere alla domanda sul suo rapporto (o non rapporto) con Bakugo non è solo spiegare quella parentesi dei suoi pochi legami stretti lì al campo mezzosangue, ma è scavare molto più affondo. Poco importa che Shinsou, come chiunque altro presente, abbia assistito a quanto successo nell’arena durante il torneo in cui si è scontrato proprio con l’altro figlio di Ares. E’ riuscito a evitare di parlarne allora, sperava di poterlo evitare ancora per molto tempo.

«Non c’è un vero motivo.» finisce con il dire quando finalmente apre bocca e non ha bisogno di guardare Shinsou per sapere che deve essere piuttosto perplesso da quella risposta «Siamo solo diversi. Lo considero comunque mio fratello.» perché sa che se si trovassero nella situazione giusta non esiterebbe un attimo a mettersi in gioco per lui, come farebbe anche per Midoriya e altre persone dopotutto, ma sentendo quella spinta in più che un legame di sangue può dare. Hanno pur sempre vissuto per anni condividendo gli stessi spazi, anche se solo quelli. Shouto sa che il talento di Bakugo non esiste senza sforzo, non è solo capitato rendendolo fortunato. Così come sa che dietro il carattere brusco c’è un’intelligenza più spiccata di quanto creda chi non lo conosce. 

«Ma è abbastanza figlio di Ares da non aver mai avuto bisogno del mio aiuto. E io non ho chiesto il suo.» conclude e alzerebbe le spalle, se la posizione glielo permettesse.

«Perché parli sempre come se tu non fossi abbastanza figlio di tuo padre? E’ una domanda retorica.» lo blocca prima che Shouto possa rispondere davvero. In effetti, in un certo senso ne hanno già parlato. Così si gira, per sistemarsi supino, lasciando vagare lo sguardo sul cielo stellato. La luna non è granché luminosa, ed è in fase calante, ma Shouto ci si sofferma per un po’. 

«Dovresti vederti come ti vedono gli altri.» pronuncia Shinsou, forse perché capisce che Shouto non è intenzionato a dire nulla riguardo la questione Bakugo o quella della sua discendenza divina. E’ però inaspettato, tanto da portare Shouto a guardarlo di nuovo nonostante abbia interrotto il contatto visivo per primo. Specie quando sente delle dita sfiorare le sue - quando fa scivolare lo sguardo in quella direzione, vede che effettivamente la mano di Shinsou è vicino alla sua. Non la stringe, ma rimane lì. 

«Non penso vedrebbero niente di diverso da quello che vedo io.» ammette confuso, decidendosi a dare attenzione al figlio di Afrodite. Trova il suo viso molto più vicino di prima, tanto che nel muovere leggermente la testa finisce con lo sfiorargli la punta del naso con la propria. Si ritrae appena, d’istinto, ma si blocca quando si rende conto che potrebbe sembrare infastidito dalla vicinanza e non è così - lo vorrebbe ancora più vicino ma al tempo stesso vorrebbe avere tra loro la distanza giusta. Anche se non sa più quale sia.

«Io vedo un Todoroki di cui tu non conosci nemmeno l’esistenza.» mormora Shinsou, mentre i polpastrelli sfiorano ancora le dita di Shouto finché l’altro non intreccia morbidamente le proprie alle sue. Shouto non sa bene cosa fare o cosa significhi, e rimane fermo in attesa fin quando non sente il respiro regolare di Shinsou e sospetta sia scivolato nel sonno o che stia facendo finta di dormire. Shouto scosta leggermente la testa per poterlo guardare meglio senza essere infastidito dalla troppa vicinanza. Quando gli occhi chiari si soffermano sulle labbra del figlio di Afrodite li serra, sperando di addormentarsi presto.

Si risveglia sentendo le dita di Shinsou muoversi per abbandonare l’intreccio con le sue. Solleva una palpebra e vede l’altro seduto sul telo, il cielo ancora ben poco illuminato; lo guarda osservare lontano, verso l’orizzonte, con l’espressione di chi non sa se punirsi o concedersi il perdono.

Shouto sa bene cosa significa. Perciò torna a dormire senza dirgli nulla.

*

L’ultimo giorno dell’estate non gli è mai pesato come quest’anno, in cui non deve salutare per i prossimi nove mesi solo Momo ma anche Midoriya e il suo gruppo, in cui è incluso Shinsou e nel quale ormai tutti lo considerano annesso in un modo o nell’altro. Uraraka è la prima a rivolgersi a lui: si muove dal piccolo gruppo con cui si stava scambiando i saluti e lo raggiunge, prendendogli una mano tra le sue. Shouto guarda lì per un momento, non aspettandosi quel contatto fisico, ma riporta velocemente l’attenzione sul suo viso e nota il sorriso gentile ma anche deciso. A essere sincero, Shouto pensa sia una delle ragazze con più forza d’animo lì al campo mezzosangue. Crede fermamente che, in un certo senso, ci sia più tenacia in chi non può contare sulla capacità semidivina di combattere con qualsiasi arma e si costringe a volte a restare indietro o a rimettere insieme i pezzi quando tutto è finito, rispetto a chi si lancia in battaglia perché l’istinto non gli permette di fare altrimenti.

«Todoroki-kun, ci vediamo la prossima estate!» Uraraka lo saluta e la sente stringergli la mano con un po’ più di forza: «Imparerò altre tecniche mediche,» promette «e quando tornerò tra qualche mese dovrai insegnarmi di nuovo il movimento con la spada che non siamo riusciti a fare ultimamente.» aggiunge. Shouto annuisce e non mente quando le rivolge un «Ti manca poco, non avrai bisogno delle mie dimostrazioni, tra un po’.»

Lei ridacchia, forse mascherando una punta di imbarazzo insieme a una di orgoglio, e annuisce: «Mi raccomando, Todoroki-kun.» dice e Shouto capisce che non può fare a meno di rivolgergli quella raccomandazione. Sospetta che chiunque di loro abbia visto un compagno andare così vicino alla morte non riesca a prendere i saluti come un tempo, dando per scontato che nulla succeda mentre si è lontani e ignari delle cose se queste succedono persino quando si è a due passi gli uni dagli altri. Per questo le stringe la mano di rimando e le offre un sorriso leggero, ma sentito.

Shouto fa appena in tempo a vedere Uraraka raggiungere Momo e altre ragazze che nel suo campo visivo rientra Shinsou. Shouto non gli ha chiesto nulla della mattina in cui si è svegliato e lo ha visto guardare verso l’orizzonte, né hanno commentato l’aver dormito fuori dalle rispettive cabine per stare insieme, o dell’averlo fatto tenendosi per mano. Non riesce a capire se questo ha comportato una sorta di imbarazzo tra loro o se, invece, è tutto come prima e l’unico ad avere qualche dubbio sia lui - dubbi generali su così tante cose che, se anche volesse discuterne con Shinsou, non saprebbe da dove iniziare. Vorrebbe avere molto più ordine nella testa e forse sta inconsapevolmente aspettando di averlo. Chissà quanto ci vorrà, però.

«Vuoi che resti?» domanda Shinsou a bruciapelo e diventa impossibile nascondere la sorpresa che prova nel sentirsi rivolgere quelle parole. Shinsou deve accorgersene, perché abbozza un sorriso e poco dopo sfiora le dita di Shouto con le sue, quasi giochicchiandoci nervosamente. Shouto non azzarda ad abbassare lo sguardo come ha fatto con Uraraka, né a guardarsi intorno per vedere se il loro essere fisicamente così vicini sta destando l’attenzione di qualcuno degli altri semidei.

«E’ stata un’estate complicata.» spiega Shinsou e non c’è bisogno che accenni a Mirio poco distante da loro perché Shouto capisca di cosa stia parlando «Io e Izuku ne abbiamo parlato. Potresti venire anche tu. Inko sarebbe contenta di averti a casa sua.» dice e anche se Shouto non ha mai sentito Midoriya chiamare sua madre adottiva per nome, intuisce da solo che si stia parlando di lei. L’invito è inaspettato e non sa cosa rispondere, sebbene dentro di lui una voce quasi gli stia urlando , con una violenza incredibile. Però poi il suo sguardo vaga, si allontana da Shinsou per un istante appena che è sufficiente a inquadrare Tamaki: il figlio di Ade, che rimarrà al campo come ogni anno e che dovrà prendersi cura di Mirio e aiutarlo nella riabilitazione. Nessuno ha chiesto a Shouto di rimanere per dare una mano, ma quanto a lungo potrebbe stare fuori dal campo senza sentirsi di troppo in una casa che non conosce e in cui sarebbe costretto a rimanere perché non esiste un altro posto per lui, fuori da lì? E quante volte finirebbe con il pensare che sarebbe dovuto restare senza abbandonare Tamaki? Conta poco che Kirishima rimanga e che forse sarebbe già sufficiente. 

Scuote la testa, piano: «Voglio dare una mano a Togata e Tamaki,» ammette con un filo di voce «forse non me lo chiederanno, ma se non ci fossi e avessero bisogno mi sentirei peggio.» confida, stupendosene in prima battuta. Qualcosa balugina negli occhi del figlio di Afrodite e non capisce cosa sia, non riesce a riconoscere quel sentimento che intravede per un istante appena. Lo sente stringere appena le sue dita e sfiorargli l’interno del polso e gli vengono i brividi.

«Vieni a Natale, allora.» dice Shinsou «Chiedi un permesso speciale. Non sei mai uscito dal campo, Todoroki. Penso che né il signor D. né Chirone o Aizawa possano davvero avere il cuore di dirti di no, quando non hai mai chiesto niente in vita tua probabilmente. Vieni almeno a passare le feste lì.» aggiunge. Shouto non saprebbe dire se il con me inespresso è qualcosa che vorrebbe sentirgli dire o qualcosa che Shinsou vorrebbe pronunciare ma decide di tacere. Sta diventando complicato distinguere i propri desideri dalla realtà dei fatti, senza nessuno a spiegargli come notare le differenze.

Fa per dire qualcosa ma Shinsou si accosta di più a lui, quasi dovesse confidargli un segreto - lo sente sussurrargli un divertito «Non costringermi a ordinarti di farlo mentre balli con un gonnellino, Todoroki.»

Gli scappa uno sbuffo, mentre cerca di ignorare il calore che sente arrampicarglisi sulla pelle lungo il collo. Si lascia estorcere quella promessa e, quando ormai sono tutti a mezza giornata dal campo mezzosangue, Shouto si rende conto di non essere affatto in grado di gestirla.

*

Le parole di Shinsou si rivelano profetiche e quando Shouto si decide finalmente a chiedere un permesso speciale per uscire dal campo, la cosa risulta così fuori dall’ordinario - e un campo di semidei dovrebbe già esserlo molto di per sé - che non gli viene negato. Sebbene il signor D. ci tenga a ripetergli almeno dieci volte che si tratta di una concessione straordinaria e Shouto intuisca che senza l’intercedere di Chirone e Aizawa non sarebbe stato altrettanto semplice. Si assicura di avvisare Shinsou e Midoriya prima di avviarsi e, per quanto dica che non c’è bisogno, Aizawa insiste per accompagnarlo fuori almeno fino a un punto con più persone possibili dove non sarà per lui come avere un bersaglio sulla schiena. 

Inko Midoriya è di una gentilezza che lo fa sentire piccolo, in imbarazzo e di troppo. Come se si trattasse di qualcosa di estremamente privato e intimo che non tutti dovrebbero vedere. Lei però lo tratta con un garbo e un affetto che Shouto non si aspetta e, anche se ci mette diverso tempo ad abituarsi, riesce quantomeno a rispondere alle domande che la donna fa con l’evidente intenzione di non farlo sentire un pesce fuor d’acqua. Cucina tantissimo cibo, più di quanto ne servirebbe davvero, e si interessa quando Midoriya le spiega che lui e Bakugo sono fratelli da parte di genitore divino. Inko sembra una donna che non si è ancora del tutto abituata all’idea che suo figlio debba correre dei pericoli continui inseguito da mostri e bestie di vario genere, che possa rischiare di avere una profezia a predire cose terribili per il suo futuro. Ha l’aria di chi non si abituerà mai all’idea, cosa che la rende molto umana e molto madre, almeno per come Shouto immagina che una madre dovrebbe essere. La guarda rivolgersi con una dolcezza estrema al figlio che ha adottato e cresciuto, ma anche a Shinsou. Lo chiama per nome e Shouto capisce quasi subito che deve essersi abituata alla sua presenza come si potrebbe fare a quella dell’amico d’infanzia del proprio figlio - e forse ormai lo considera di casa. 

Quando si allontana per andare a dormire e li lascia liberi di fare anche nottata, se preferiscono, raccomandandosi di prepararsi ad aiutare il giorno dopo - la Vigilia di Natale - Shouto la guarda dare un bacio sulla fronte al figlio e a Shinsou e distoglie lo sguardo, per lasciare una privacy che nessuno gli ha chiesto di dare. Riporta l’attenzione su di lei solo quando si sente toccare la testa in una carezza lieve e discreta.

E’ ancora seduto sul divano, il che rende semplice a Inko arrivare a rivolgergli quel gesto e un sorriso, insieme alla buonanotte. 

Ne è ancora piuttosto scosso quando tre ore dopo Midoriya non sta più parlando, scivolato nel sonno senza neanche accorgersene. Lui e Shinsou sono ancora svegli, il figlio di Afrodite impegnato a sistemare la coperta su Midoriya in modo che non dorma senza. Shouto si prende il tempo per guardare fuori dalla finestra del soggiorno, dove si sono sistemati per dormire tutti e tre insieme. Da quanto ha capito di solito Midoriya e Shinsou dormono nella camera da letto, ma un ospite in più era impossibile da sistemare lì e hanno preferito non lasciarlo solo - anche se Shouto ha assicurato a più riprese da quando è arrivato che il divano sarebbe stato più che sufficiente. 

Shinsou gli è accanto dopo un po’ e gli offre una tazza di tè caldo con del miele dentro. Shouto la prende tra le mani con un muto cenno di ringraziamento ma non dice nulla, non subito. Shinsou offre una compagnia silenziosa, forse perché si aspetta che sia lui a parlare presto o tardi. Di fronte al calore di quella casa Shouto sente quasi la spinta giusta ad ammettere ad alta voce che non ricordava più come fosse, stare in un posto così, o come potesse essere una madre. Ma ricaccia indietro ogni pensiero di ciò che ricorda della sua infanzia perché, in fondo, Shinsou non ha bisogno di sentire qualcosa di così poco natalizio. Alla fine, si convince Shouto, la sua è una storia da semidio come ce ne sono tante altre. 

«Mi piace, qui.» ammette invece, perché in fondo è anche questa una verità «Grazie per avermi chiesto di venire a passare il Natale con voi.» aggiunge, sbirciando in direzione di Shinsou. Il figlio di Afrodite sembra più pensieroso di quanto una frase simile dovrebbe causare, ma stavolta è Shouto ad aspettare e non deve farlo per molto. Shinsou si accosta un po’, fino a quando le loro spalle non si toccano. Shouto non sa perché l’altro nell’ultimo periodo abbia ricercato di più il contatto fisico con lui - alla fine dell’estate appena passata, quando tutti sono andati via, Tamaki gli ha detto che forse tanti altri potrebbero non essersi accorti del modo in cui Shinsou stava giochicchiando con le sue dita mentre si salutavano, ma lui sì. Se state bene insieme, gli ha detto, non è una cattiva cosa, giusto?

Shouto non sa ancora cosa sia, però, la cosa che hanno. 

«Posso essere completamente sincero con te, Todoroki?» domanda Shinsou, ancora senza guardarlo. Shouto non vede perché dovrebbe negarglielo e attende, lasciando che l’altro deduca da solo che l’assenza di una risposta è di per sé un’affermazione positiva. Vede il profilo dell’altro distendersi appena in un sorrisetto divertito, prima che Shinsou posi la tazza al proprio fianco libero. Shouto lo vede voltarsi a guardarlo e c’è un’espressione strana sul volto del figlio di Afrodite: una serietà che non vede per la prima volta ma, al tempo stesso, anche quel nervosismo che ha scorto pochissimo in passato. Quando gli ha chiesto di vedersi di sera, per esempio. 

Le labbra di Shinsou sono sulle sue senza che Shouto abbia tempo di registrare prima il movimento semplice con cui l’altro copre la distanza tra loro. E’ un bacio leggero, un contatto prolungato solo per pochi secondi e niente di più. La mano di Shinsou sfiora la sua guancia ma non si ferma mai davvero lì, e di contro nemmeno Shouto fa molto a parte rimanere immobile. 

*

L’attesa dell’estate è molto più complicata dopo essere tornato da quel primo Natale fuori dal campo mezzosangue. Quando arriva e con lei anche i semidei tornati dalle loro vite con le famiglie mortali, per Shouto è come doversi abituare a Shinsou una seconda volta, come dover riprendere le misure con qualcosa che aveva finalmente imparato a conoscere e poi all’improvviso è cambiata davanti ai suoi occhi. 

Ci vuole meno del previsto, ma agli occhi di altri potrebbe essere già un problema che succeda. Shouto non sa se dopo quel bacio dovrebbe accogliere Shinsou in un modo o nell’altro, non sa come dovrebbe interpretarlo - hanno un’età che, per chi prima e per chi dopo, sta variando tra i diciotto e i diciannove anni. Molti di loro dopo questa estate vivranno per sempre al di fuori, sperando che nessun mostro li uccida e che la maggior parte di loro possa essere un’eccezione alla diceria per cui un semidio difficilmente supera i vent’anni. Shouto non sa se e quante relazioni Shinsou abbia avuto, se un bacio significhi più di un’attrazione fisica, se sia qualcosa del passato con cui il figlio di Afrodite potrebbe aver voluto chiudere i conti per non avere rimpianti e nulla di più. 

Shouto pensa troppo, ma evita i pensieri che invece dovrebbe fronteggiare di più. Chiedersi cosa lui, a prescindere da Shinsou, vorrebbe vedere in quel momento di intimità che si è concesso. Invece lo ignora, perché è come avere davanti un oggetto senza sapere come usarlo: piuttosto che capovolgerlo dal lato sbagliato o romperlo per errore, Shouto preferisce lasciarlo su una mensola e limitarsi a guardarlo ogni tanto. 

Nonostante questo, durante quell’estate lui e Shinsou si baciano altre tre volte. Sarebbero quattro, ma in una di queste occasioni il figlio di Afrodite si rifiuta di farlo. 

La prima volta lo bacia quando sono passati quindici giorni dal loro rientro: si sono guardati spesso, hanno passato del tempo insieme su diverse mansioni, c’è una distanza strana tra loro di chi non sa bene se e quanto possa avvicinarsi. Shouto non saprebbe dire se Shinsou si aspetti o meno qualcosa da lui ma forse è anche vero il contrario. In ogni caso sono entrambi fuori dal Padiglione quando Shinsou gli fa un cenno con la testa e si incammina in direzione del campo di fragole. Shouto fa un passo incerto e poi guarda Momo che, forse perché è troppo intelligente per non aver notato già qualcosa, si congeda come se fosse lei ad avere altro da fare. 

Shouto non deve camminare molto per raggiungere l’altro e Shinsou lo accoglie con il silenzio, continuando a muoversi. Non sono ormai che a pochi passi dai campi di cui si occupano a turno tutti i semidei; a quest’ora non c’è nessuno a gironzolare da quelle parti, nemmeno i più giovani che hanno probabilmente già imparato a loro spese che non è il caso di farsi trovare da Chirone a sgraffignare qualche fragola. Shinsou si volta e gli punta gli occhi addosso e Shouto non può fare altro che sostenere il suo sguardo e aspettare. Vede Shinsou soppesare qualcosa, analizzarlo come potrebbe fare in un allenamento in arena; accorcia la distanza tra loro più lentamente di quanto sarebbe normale fare, quasi volesse dargli tante possibilità di andare via quanti sono i passi che li dividono. Lui, però, non si allontana mai e non fa passi indietro, aspetta finché tra il suo corpo e quello di Shinsou ci sono solo una manciata di centimetri.

Il figlio di Afrodite lo scruta di nuovo e, distrattamente, Shouto lo vede stringere i pugni lungo i fianchi.

«Non mi dispiace che tu sia silenzioso,» pronuncia piano «ma la maggior parte delle volte non capisco cosa vuoi, Todoroki.» aggiunge prima di posare le labbra sulle sue. E’ un bacio molto simile a quello a casa di Midoriya: morbido, che non si spinge oltre un contatto prolungato di qualche secondo. Shouto non ha motivo di allontanarsi perché non vuole interrompere quello che stanno facendo. Anche se è difficile dire a Shinsou cosa vuole, visto che non lo sa nemmeno lui.

La seconda volta è discreta, un po’ come lo è stata la precedente. E’ il primo di Luglio e dopo cena si sono riuniti con Midoriya e qualche altro del solito gruppo attorno a cui gravita Shinsou, per il compleanno del figlio di Afrodite. Non fanno molto di speciale perché manca Iida, in missione fuori dal campo insieme a Kaminari e Jiro, ma Shinsou sembra contento esattamente come l’anno prima per il semplice fatto che qualcuno se lo sia ricordato. Si attardano per quanto possibile rispetto al coprifuoco e poi si salutano, ognuno diretto alla propria cabina. Shouto gli chiede di rimanere un momento, cercando di far sì che sembri una richiesta naturale. Lo bacia lui, in modo piuttosto goffo, perché ha finalmente trovato il coraggio di parlare con Tamaki di questa cosa a cui non sa dare un nome e del fatto che Shinsou gli abbia detto di non capire cosa voglia - e Tamaki gli ha detto va bene, Shouto, e cosa vuoi? e Shouto ha dovuto pensarci per un tempo infinito prima di dirgli che Shinsou è speciale. Non sa ancora come, quanto o perché, è come se tutto fosse nascosto sotto strati che Shouto non sa ancora come raschiare via, ma da qualche parte esiste una risposta. 

E Shouto vuole che Shinsou la percepisca, almeno finché non sarà in grado di offrirgliela a parole. Così lo bacia lui, sbrigativo e imbarazzato, sentendosi come se fosse di fronte a qualcosa di insuperabile. Shinsou lo fissa stupito per una manciata di secondi in cui Shouto si sente sull’orlo di un burrone con sotto un mostro a fauci spalancate ad attendere che lui scivoli e cada; poi però Shinsou gli offre un sorriso incredibile. E’ come un pugno nello stomaco. Sempre meglio delle fauci di un mostro, comunque.

La terza volta è quella in cui si sarebbero potuti baciare, ma Shinsou si rifiuta. E’ Agosto inoltrato e Kaminari ha deciso di essere l’anima della festa ma, soprattutto, di non permettere agli altri di rifiutarsi di partecipare. Asserisce con convinzione che molti semidei «non possono dire di aver vissuto veramente le gioie dell’adolescenza!», che non potrebbe essere più vero nel caso di Shouto, ma non solo. Kaminari propone un gioco dopo l’altro, assicurando che arrivino tutti in direttissima dai suoi anni di liceo che sono un’esperienza unica - se perché al secondo anno lo abbiano quasi ucciso con un agguato in una scuola o in generale per il tumulto emotivo dell’età non si capisce bene, ma Kaminari non ci si sofferma. 

Il “gioco del re” a Shouto sembra solo un modo per dire a qualcuno di fare qualcosa con qualcun altro, e non un effettivo gioco divertente. Però tutti ridono e persino a lui scappa qualche sorriso quando Kirishima ha il coraggio di obbligare Bakugo a sedersi in braccio a Kaminari simulando una grottesca imitazione di una principessa che viene salvata dal suo principe azzurro. Certo, lo convince solo perché la mette sul piano dell’orgoglio, ma nessuno puntualizza la cosa. In ogni caso è solo una delle cose divertenti che accadono e, per una buona parte del gioco, gli ordini sono tutti abbastanza tranquilli. E’ sempre Kaminari a decidere di smuovere un po’ le acque ed è un caso - o almeno Shouto crede, così gli sembra di aver capito dalle poche regole - che Kaminari durante il suo turno scelga di far baciare i due numeri che si rivelano essere Shouto e Shinsou. Una magra consolazione sapere che non saranno gli unici a cui verrà ordinato. 

Il figlio di Afrodite non fa trapelare nessuna sorpresa o perplessità o imbarazzo. Si limita a guardare Shouto e poi Kaminari e rifiutarsi; si tira fuori dal gioco e lo stesso fa Shouto, un paio di turni più in là quando ormai la reazione di Shinsou ha portato un po’ tutti a quell’imbarazzo discreto ma presente che fa sì non si voglia più tirare troppo la corda durante il gioco, facendolo venire meno. Quando li sente decidere di cambiare, perché sta diventando noioso, ne approfitta per alzarsi e scostarsi dal gruppo così da muoversi nella stessa direzione in cui si è allontanato Shinsou. Non lo trova troppo distante, in verità, anche se intento a scambiare due chiacchiere con un altro dei figli di Afrodite che Shouto conosce solo di vista. 

Shinsou non lo manda via e Shouto lo invita a fare una passeggiata lontana dal resto del gruppo. Mentre camminano quasi fianco a fianco pensa che potrebbe chiedergli perché si sia rifiutato, o se ci sia una motivazione precisa per cui pur essendoci già stato qualche bacio tra di loro adesso sembri essere diverso. Shouto ha a malapena capito di apprezzare quel qualcosa che hanno, quell’intimità che non è paragonabile a quella condivisa da Kirishima e Tamaki o da Bakugo e Midoriya, ma è pur sempre più di quanto lui abbia mai avuto con chiunque altro. Non è sicuro di essere pronto a ignorare la cosa, se Shinsou dovesse dirgli di averci ripensato o di non volere più del paio di occasioni che hanno avuto. 

Così quando sono abbastanza distanti dal resto dei semidei Shouto si concede di lasciarsi scappare tra le labbra un «Perché sei andato via?» che non rende nemmeno la metà dei dubbi che ha nella testa - non volevi baciare me? Ti ha annoiato il gioco? C’è qualcosa che ho fatto o è qualcosa che sono? Sono io che non ho capito qualcosa di evidente perché non sono abituato a niente di quello che stiamo avendo da Natale a questo momento, che è davvero poco ma è più di quanto abbia mai provato ad avere?

Non saprebbe dire se Shinsou semplicemente intuisca tutti quegli interrogativi, se abbia imparato a conoscerlo in un modo di cui nemmeno lo stesso Shouto si è reso conto o se si tratti di una sua personale abilità. Sa soltanto che lo vede sospirare, quasi frustrato, prima di prendergli la mano senza troppe cerimonie; è un movimento diverso dai tentativi lenti e calcolati con cui gli si è approcciato finora, c’è un’urgenza diversa ma Shouto glielo lascia fare e gliela stringe più prontamente di quanto vorrebbe ammettere. Si lascia portare ancora più in là, lontano al cento per cento da occhi indiscreti, e quando Shinsou si ferma lui fa lo stesso e lo vece azzerare quasi del tutto la distanza tra loro. Non hanno tutta questa differenza di altezza, quindi Shouto non deve sforzarsi per guardarlo dritto negli occhi quando Shinsou sembra cercare una qualche risposta sul suo viso senza aver dato voce alla domanda.

Quella è la terza volta che lo bacia, subito dopo essersi rifiutato di farlo. E’ un bacio più lungo degli altri, dove Shinsou azzarda qualcosa di mai fatto quando gli morde piano il labbro inferiore e glielo sfiora con la punta della lingua. Shouto schiude le labbra impercettibilmente, ma quando Shinsou ha già interrotto il bacio, quasi avesse voluto dargli un accenno di come potrebbe essere diverso tra loro ma gli desse anche il tempo di pensarci su.

«Non ti voglio baciare perché è un gioco. E non voglio che tu baci me perché Kaminari dice che devi.» rivela Shinsou, spostando lo sguardo altrove. Non c’è nulla a distrarlo, anche se il figlio di Afrodite finge di sì.

Shouto non sa perché ma, in quel momento, gli sembra immensamente fragile. 

*

Agosto è agli sgoccioli quando Aizawa e il signor D. lo convocano per parlare del suo futuro. Shouto sa che i semidei non possono restare per sempre al campo mezzosangue, che sono rari i casi in cui superati i diciotto o diciannove anni gli stessi figli delle divinità siano ancora lì. E’ il caso di Mirio, perché gettarlo nel mondo quando deve imparare a combattere vedendo da un solo occhio richiede tempo di abituarsi a bilanciare il proprio corpo e le armi, quasi come dovesse ricordarsi come camminare. La presenza di Tamaki è stata concessa perché potesse aiutarlo. Qualche volta potrebbe accadere, come è stato per Aizawa, che un adulto venga lasciato lì perché possa istruire le nuove generazioni ma con Chirone a fare la maggior parte del lavoro è impensabile credere che verrà mai istituito un intero corpo docenti - e se anche fosse sarebbe un numero limitato.

Così Shouto sa che quando lo chiamano è per discutere del fatto che anche per lui è tempo di andarsene. A differenza della maggior parte dei suoi coetanei, però, essersi rifiutato per dieci anni di abbandonare il campo o di ricongiungersi con la sua famiglia mortale non gioca a suo favore. Ci sono miliardi di cose che Shouto non ha e che dovrebbe avere per fingersi un normale mortale di diciannove anni fuori dal campo mezzosangue: non ha un diploma scolastico, non ha competenze per il lavoro, non ha un posto dove stare. Come uccidere mostri? Potrebbe illustrare cinque tecniche a mostro senza nemmeno doverci pensare. Come assicurarsi di prendere la linea metro giusta? Farebbe prima a chiedere un passaggio al carro di Apollo.

La Casa Grande è un ambiente conosciuto su cui non ha bisogno di soffermarsi da almeno tre anni. Non ci è stato tantissime volte, ma abbastanza da averne potuto osservare i dettagli. Aizawa gli fa cenno di sedersi, mentre il signor D. sta disperatamente versando in un bicchiere l’ennesimo vino che verrà tramutato in acqua. Quando questo succede e lui si affloscia arreso contro la sedia, Shouto diventa finalmente oggetto della sua attenzione. 

«Allora, Domoroki»
«Todoroki.» lo corregge Aizawa prima che possa farlo Shouto, sentendosi comunque rispondere un «E’ uguale» sbrigativo. Il signor D. lo fissa come se cercasse di metterlo a fuoco, dopodiché sospira piano. Shouto immagina che non sappia come affrontare l’argomento o, in generale, che preferirebbe non doversi preoccupare di semidei che riescono a creare problemi anche quando dovrebbero farli diminuire andandosene. 

«E’ giunto il momento in cui dovrai lasciare il campo.» pronuncia «E mi risulta tu non lo abbia mai fatto, tranne questo Dicembre su richiesta di un permesso speciale.» continua e Shouto non è sicuro se stia leggendo degli appunti sul foglio davanti a lui o se stia ripetendo un discorso imparato a memoria mentre legge tutt’altro. Lui comunque annuisce, anche se dubita l’altro se ne accorga. 

«Ricapitolando, non vuoi tornare a casa della tua famiglia mortale, corretto?»
«Corretto.»
«Beh,» pronuncia il signor D., portandosi una mano a grattare la nuca «non potevamo obbligarti da adolescente, di certo non lo facciamo adesso che sei maggiorenne per la legge mortale e oltre l’età in cui i semidei devono essere protetti qui.» fa notare. Shouto non ha mai inquadrato, in quasi dieci anni, se il suo disinteresse ostentato sia reale o una copertura, un modo di distaccarsi dagli altri. Non che indagare adesso servirebbe a qualcosa. 

«Di norma sconsiglierei di non appoggiarti al contatto mortale che hai, vista la tua situazione.» prende parola Aizawa «Ma nel tuo caso, Todoroki, qualcuno si è offerto di darti un posto in cui vivere e di affiancarti per aiutarti a orientarti fuori da qui finché non sarai in grado di gestirti da solo. Il che è meglio di farti andare via il trentuno Agosto - ossia tra otto giorni - senza sapere che ne sarà di te.»

Shouto deve prendersi qualche attimo per registrare le parole del figlio di Ipno. Era pronto al tentativo dei due uomini che gli siedono di fronte di farlo riflettere sulla possibilità di tornare a casa, di mettersi in contatto almeno con sua sorella se proprio suo padre adottivo era da considerarsi fuori discussione. Non l’ha nemmeno mai sfiorato il pensiero che qualcuno del campo mezzosangue potesse andare dal signor D. e fare questa proposta. Se poi considera di poter escludere senza dubbio Tamaki, dovendo lui rimanere al campo con Mirio per almeno qualche mese ancora…

«…Chi si è offerto di fare questa cosa?» domanda e si odia quando si rende conto che si aspetta parte della risposta di Aizawa prima ancora che l’altro la pronunci. Si odia perché è come ritrovarsi a pretendere troppo solo perché c’è stato qualche segnale che non ha nemmeno ancora interpretato del tutto. E non aiuta quando il figlio di Ipno gli dice «Midoriya e Shinsou.» perché è in parte ciò che si aspettava e ciò che sperava e questo gli rende impossibile dire no. E, al tempo stesso, non sperare ancora di più.

Aveva imparato a non farlo da quando Ares, l’unica volta in cui lo ha pregato da bambino, non gli ha mai dato segno di voler rispondere.

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Capitolo 4
*** Twenty ***


N/A: con questo ultimo capitolo la fic ha avuto un cambio di rating (da arancione a giallo) e ha perso uno degli avvertimenti (lime). Questo perché verso il secondo capitolo ho optato per un cambio di rotta per cui, alla fine, inserire una scena lime avrebbe avuto davvero poco senso. Il rating giallo rimane per la presenza di tematiche delicate, trattate nello specifico in questo capitolo. A chi è arrivato alla fine, grazie <3

 

All’inizio è strano anche solo fare un passo fuori dal campo sapendo di non stare uscendo per un’impresa ma per non tornare, almeno non spesso. Per lui, che in quasi dieci anni non ha concepito il “fuori” è peggio che combattere cento mostri. Il mondo mortale è nuovo, rumoroso e complicato. Non ha nulla dei silenzi delle foreste o della calma delle acque del campo a determinati orari del giorno, in quei periodi dell’anno in cui molti semidei sono via. Shouto deve innanzitutto abituarsi a muoversi tra loro sembrando uno di loro. Cerca più che altro di restare nell’appartamento che condivide ora con altre due persone - si offre di occuparsi lui di sistemare la maggior parte delle loro cose, almeno quelle che non reputano troppo private. Lascia loro il tempo necessario per il college, visto che lui non ne è toccato.

Una sera Midoriya gli chiede «Preferisci lavorare, Todoroki-kun?» e Shouto gli spiega che sì, lavorare lo preoccupa giusto nella misura in cui dovrà fare attenzione ad adattarsi a qualcosa del mondo esterno che è probabile non conosca.

«E in ogni caso,» aggiunge «non ho un diploma.»

L’espressione di entrambi, soprattutto di Midoriya, ricorda a Shouto quante cose di sé ha tenuto nascoste o, semplicemente, non ha condiviso. Come l’abitudine ad avere accanto per molto tempo solo Tamaki e Momo, ai quali con il passare degli anni non ha celato più nulla e con i quali ha smesso di dover spiegare, lo abbia influenzato nel suo rapportarsi con altri. Deve abituarsi di nuovo - anche se per uno come lui potrebbe non esserci niente di più difficile.

La sera dopo, quando non hanno ancora tolto tutto dagli scatoloni né sistemato tutti gli acquisti di prima necessità, Midoriya gli fa una domanda strana: «Se potessi scegliere vorresti studiare, Todoroki-kun?» e per Shouto il concetto di “scelta” è talmente astratto da non sapere bene cosa rispondere. Si è sempre trattato di avere o non avere, poter fare o non poter fare perché vietato. Ma il vago, ormai vaghissimo ricordo di sua sorella gli fa chiedere se non ci sia qualcosa, dopotutto, in una vita mortale. Una vita normale

Shouto alza lo sguardo e incrocia quello di Shinsou; lo vede rivolgergli un sorriso quasi invisibile e annuire impercettibilmente. 

Per tutto l’anno seguente Midoriya e Shinsou lo aiutano più di chiunque altro e per la prima volta dalle scuole elementari Shouto studia - è una scuola online e non deve forzarsi in una stanza con altre venti persone, né in corridoi gremiti di gente per cui non si sente pronto, ma è pur sempre più di quanto abbia mai avuto.

*

«Sicuri non sia un problema?» Midoriya chiede per quinta volta. Shouto e Shinsou si guardano e quest’ultimo sospira, preparandosi mentalmente a ripetere di nuovo che «Io e Todoroki potremmo quasi sopravvivere a una settimana senza di te.» con una discreta dose di ironia bonaria con cui aggiunge un «Non mi sento di promettere nulla per la cucina.»

Midoriya sbuffa divertito prima di dare voce a un «Di Todoroki-kun mi fido ciecamente.» lasciando intendere una falsa sfiducia verso il figlio di Afrodite, dal quale ottiene una spallata giocosa e un insulto amichevole.

Sono settimane che Midoriya ha annunciato una vacanza che sarebbe dovuta durare solo un weekend e che invece si è allungata su gentile invito della madre di Bakugo - pare che la donna abbia sottilmente minacciato suo figlio di portare il suo fidanzato a casa. Evidentemente nemmeno un figlio di Ares osa sfidarla al punto da rifiutarsi. 

Di per sé, quando Shinsou dice che possono sopravvivere una settimana senza Midoriya, è vero; Shouto non avrebbe alcun problema se non fosse la prima volta che lui e Shinsou hanno casa tutta per loro così a lungo e se questo non succedesse dopo un anno in cui hanno continuato ad avere atteggiamenti tipici di una relazione senza essere in una relazione. Per ora. Shouto non vede come possano passare sette giorni da soli senza affrontare l’argomento almeno una volta. Non sa nemmeno se è l’unico ad averci pensato.

*

Hanno passato mille sere come questa, a volte con Midoriya e altre da soli. Shouto non si è sottratto quando in alcune occasioni gli altri due semidei hanno proposto di uscire a godersi un po’ di divertimento fuori, come qualsiasi ragazzo mortale della loro età - così si è fatto trascinare persino in discoteca. Non male. Musica un po’ alta, difficile parlare, ma ha capito presto che non si va per la conversazione nella maggior parte dei casi ma per ballare. Shouto non sa ballare, ma pensa di essere diventato discreto nell’oscillare qua e là passando il peso da un piede all’altro. Il bello di andare con due persone che può ormai definire almeno amici è che nessuno dei due si aspetta che lui salga su un cubo e diventi l’anima della serata. Midoriya in alcuni momenti preferisce starsene in disparte su un divanetto con lui e Shouto gliene è grato; allo stesso modo ha saputo apprezzare anche l’essere l’unico con un tavolino vicino e dei drink sopra a guardare gli altri due stare in pista insieme. 

Preferisce le serate come questa, non è un mistero, ma si adatta. Più di quanto pensava sarebbe riuscito a fare, non solo nella vita mortale ma nella convivenza con due persone. C’è qualcosa di rilassante per lui nel peso del proprio corpo sul divano, nelle luci leggermente abbassate per godersi meglio quella che è l’offerta di Netflix di volta in volta. Gli piace che, quando sono in tre, abbiano tutti il loro ruolo: Midoriya tende a scegliere i papabili film, perché ne ha una conoscenza incredibile, mentre Shinsou si occupa del cibo e a Shouto in genere spettano le bevande. Specie in inverno, con la cioccolata calda. 

Stasera non è così diverso, solo che Shinsou ha scelto il film e hanno optato per del cibo cinese da asporto. I valorosi contenitori delle pietanze sono impilati in modo più o meno casuale sul tavolino basso davanti al divano, ormai vuoti, e Shouto vede con la coda dell’occhio che Shinsou non si sta perdendo una battuta di quelle finali del film che ha occupato le loro ultime due ore e un quarto. Quando i titoli di coda cominciano a scorrere sullo schermo, Shinsou si volta a guardarlo: «Il secondo domani?» chiede e Shouto annuisce. Non è il sonno il suo problema, ma le dita di Shinsou intrecciate alle sue che lo hanno distratto per gli ultimi venti minuti. 

Tenersi per mano non è più nemmeno una sorpresa, in teoria, non dopo un anno in cui sono passati da furtivi sfiorarsi delle dita a gesti molto più evidenti che, a un certo punto, immagina persino Midoriya non abbia più potuto far finta di non vedere. E’ una delle tante cose che rientrano negli atteggiamenti da relazione che lui e Shinsou hanno cominciato ad avere l’uno verso l’altro, con una naturalezza che Shouto non avrebbe mai creduto possibile. In un anno hanno dormito insieme - Shouto non ha proprio dormito se si considera il suo personale record di svegliarsi cinque volte in sei ore -, si sono baciati, si sono rivolti gesti d’affetto ormai lontani dal rapporto che hanno invece entrambi con Midoriya. 

Non ne hanno ancora mai parlato.

*

«Spengo la luce?» domanda, riferendosi a quella del corridoio e affacciandosi verso la stanza di Shinsou. Lo trova seduto sul proprio letto, con l’aria di chi si è estraniato negli ultimi minuti per pensare a tutt’altro. Il figlio di Afrodite alza lo sguardo su di lui, soppesa un attimo le sue parole e annuisce; allo stesso tempo, però, gli fa anche cenno di entrare e di sedersi accanto a lui, un paio di colpetti sul materasso. 

Shouto cerca alla cieca l’interruttore della luce e dopo aver immerso il corridoio nel buio varca la soglia della stanza di Shinsou. La grandezza non ha niente in più o meno rispetto a quella di Midoriya o di Shouto stesso, anche se la disposizione dei mobili a volte è speculare l’una all’altra e il resto lo fanno gli oggetti personali. Si siede accanto a Shinsou e aspetta, osservandone il profilo. Non c’è una particolare tensione nel corpo altrui, almeno per quello che riesce a vedere, ma lo nota accigliarsi appena. Ha lo sguardo puntato verso il muro, neanche la parete gli avesse appena fatto il peggiore dei torti. 

Ci prova, il figlio di Ares, a muovere la mano fino a sfiorare il braccio altrui. Vorrebbe dargli una sorta di sostegno, lasciargli intendere che se c’è qualcosa da dire può prendersi tutto il tempo che vuole. Troppe volte Shinsou ha rispettato i suoi silenzi perché Shouto possa anche solo pensare di non rivolgergli la stessa premura e la stessa fiducia. Così attende, fin quando il figlio di Afrodite pronuncia un basso: «Resti a dormire?» che lo coglie di sorpresa. Non per l’invito in sé, già rivolto in altre occasioni, quanto più perché non c’è mai stato bisogno di quella pesantezza nel chiedere una cosa come quella. 

Shouto non ha ragione di rifiutare, proprio come tutte le altre volte - anzi meno delle altre volte - e si alza quando lo fa Shinsou, lasciandolo infilarsi sotto le lenzuola e la coperta leggera per primo, seguendolo subito dopo. L’altro gli chiede di spegnere la luce, che è sul comodino dal lato di Shouto, e quando sono nella penombra sente Shinsou muoversi per accostare il corpo al suo come ha fatto milioni di volte ormai. Il bello della sua stanza è che, al contrario di quella di Shouto, ci sono un sacco di piccole fonti di luce che fanno sì non sia mai completamente al buio: le tende non del tutto tirate, da cui finisce con l’entrare qualche luce artificiale della via, la console che ha fin troppe spie luminose per quanto piccole. La lampada sulla scrivania, dalla luce bluastra e sempre accesa. Shouto non sa perché sia così.

Sente Shinsou aggiustarsi contro di lui, intrecciare le gambe alle sue e portare un braccio a poggiarsi sul suo fianco. Le prime volte Shouto non sapeva bene come condividere uno spazio così con un’altra persona e con Shinsou nello specifico, ma lentamente ha trovato la sua dimensione. Gli piace sentire il peso dell’altro contro di lui, tanto quanto gli piace allungare una mano a sfiorargli la guancia quando ha la sensazione che qualcosa non vada e che Shinsou abbia bisogno di questo da lui: un gesto intimo. La dimostrazione, anche non a parole, di tenerci. 

«Tutto okay?» mormora piano, cercando di incrociare lo sguardo altrui. Avere la lampada blu alle spalle gli rende più semplice distinguere i contorni del viso di Shinsou e, in minima parte, anche le sue espressioni. Lo sente sospirare piano, voltare appena il viso quanto serve perché possa dargli un bacio sul palmo della mano. Lo fa spesso e tutte le volte a Shouto si chiude lo stomaco come se fosse la prima. 

Non è raro che una vicinanza simile li porti a scambiare baci leggeri, e non è raro nemmeno che poi quei baci riescano a spingersi un poco più in là. A Shouto piace che Shinsou non abbia mai fretta, che non sembri avere l’urgenza di toccarlo e lo approcci sempre con i tempi giusti per lui. Nonostante questo non si illude, però: hanno vent’anni ormai e Shouto non si ritiene stupido. Lo ha capito anche interfacciandosi con le altre persone che se si sta insieme è molto difficile che non si voglia avere un approccio fisico più profondo, fatto meno di carezze sopra i vestiti e baci lenti. Ci ha pensato tanto e tante volte, si è aspettato che Shinsou prima o poi volesse e pretendesse di più. Sospetta sia sempre il momento quando, come ora, la lingua di Shinsou gli sfiora le labbra per provocarlo e lui le schiude in risposta; quando la mano rimasta sul proprio fianco si avventura sulla sua schiena; quando, forse volontariamente o forse no, le gambe intrecciate tra loro si spostano e cambiano appena posizione e succede di sentire che Shinsou è eccitato e potrebbe volere di più, desiderare di più, aspettarsi di più—

A volte Shouto pensa che potrebbe fare sesso con Shinsou. Immagina come sarebbe e la risposta che riesce a darsi è non così terribile. Pensa di volerlo abbastanza, se lo vuole anche il figlio di Afrodite. Non ne ha bisogno, non lo sceglierebbe tra mille altre opzioni, ma non direbbe di no. Pensa di volere che Shinsou sia la persona accanto a lui, quella che Tamaki anni fa gli ha chiesto se non desiderasse avere prima o poi. Ma Shouto non sa se questo possa bastare a qualcuno, se Shinsou possa accontentarsi delle briciole che sente di poter dare, perché non ha molto altro da offrire - non ha una famiglia da fargli conoscere come Bakugo e Midoriya, né un aspetto semplice che eviti di urlare abuso domestico, raccontando una storia che, dipendesse da lui, affonderebbe nell’oceano a fare compagnia alle creature di Poseidone. E a tutte queste mancanze, ora anche questo.

«Ehi.» Shinsou lo chiama, il tono basso ma con una nota di preoccupazione che lo porta a cercare il suo sguardo con il proprio. La mano del figlio di Afrodite è sulla sua guancia, il fianco abbandonato «Respira, okay?» gli dice e solo allora Shouto si accorge di aver trattenuto il respiro. Non lo definirebbe panico, non sente un peso sul petto, un macigno che gli impedisce di ispirare ed espirare come è successo qualche volta da bambino, durante i primi mesi al campo. Non è paura, quella la conosce bene, ha una connotazione ben precisa. Forse è la consapevolezza di essere inadeguato.

«Shouto.» si sente chiamare di nuovo e non può non concentrarsi completamente su Shinsou, non quando usa il suo nome per la prima volta quando per anni è stato attento a non farselo scappare mai tra le labbra - nemmeno quando i baci sono diventati la norma, come anche il tenersi per mano, né quando hanno provato a spingersi più in là anche si di poco, pochissimo. Shinsou non lo ha mai chiamato per nome e non gli ha mai chiesto di farlo e adesso, proprio ora, se lo lascia scivolare tra le labbra quasi fosse la cosa più naturale del mondo per lui. 

«Sto bene.» riesce ad articolare ma entrambe le mani di Shinsou sono sul suo viso, lo tengono fermo non per costringerlo a guardarlo ma come se volessero offrirgli un appiglio, qualcosa di fisico e concreto che è lì e non può sparire all’improvviso finché non sarà Shouto a scostarsene. Ma questo gli rende difficile evitare lo sguardo di Shinsou e riconoscere una punta di rimprovero nel modo in cui corruga la fronte: «Non mi mentire,» lo sente dire «posso aspettare finché non trovi le parole giuste, ma non chiudermi fuori. Per favore.»

Il primo istinto di Shouto sarebbe di spingerlo via. Allontanarlo, alzarsi e andare nella propria stanza - o forse via da casa, di nuovo al campo mezzosangue dove non ci sono situazioni dubbie, non c’è il doversi approcciare fisicamente, il dover trovare le parole, non c’è il dover affrontare le mancanze e i difetti e tutto ciò che c’è di sbagliato. Al campo deve solo allenarsi, occuparsi delle stalle o dell’armeria e poi combattere, combattere, combattere. Quello può farlo, Shouto, in quello è bravo. Potrebbe insegnare ai più giovani, aiutare Chirone, oppure offrirsi di essere parte di una squadra di recupero di giovani semidei per evitare che si perdano o vengano uccisi prima ancora di vedere l’entrata del campo mezzosangue. 

«Cosa vuoi da me?» gli scappa detto prima di trattenerlo come ha fatto tante altre volte. E’ poco più di un sussurro, ma non può sperare che a Shinsou sfugga quando sono nel completo silenzio e l’altro è in attesa di un qualsiasi segno o parola da parte sua. Si odia per averlo chiesto ma, al tempo stesso, forse è questo il  modo giusto: può ascoltare quello che Shinsou desidera e dirgli che non ha tutte quelle cose da offrire. Può ammettere la verità e possono restare amici.

«Tu cosa vuoi darmi?» gli domanda Shinsou di rimando ed è la peggiore situazione possibile, perché Shouto non riesce ad arrivare ad elencare nemmeno cinque cose, nella sua mente. E non si aspettava di doversi sbottonare prima di aver saputo con certezza di non rientrare in quello che il figlio di Afrodite vuole. 

Si morde l’interno della guancia in un gesto nervoso e Shinsou abbassa una mano, la porta appena sotto le lenzuola per andare a prendere la sua. Lo sente stringerla senza però intrecciare le loro dita come fa di solito; Shouto immagina che non voglia farlo sentire costretto nemmeno solo con un gesto e questo gli stringe il cuore, perché Shinsou non ha mai fatto niente più di quanto Shouto fosse disposto o pronto ad accettare. Si merita una risposta chiara. Si merita di sapere cosa ha di fronte.

«Tutto.» mormora Shouto, senza guardarlo, sentendo l’imbarazzo sotto la pelle «Ma non ho niente.» aggiunge «Mia madre o il mio patrigno non chiederanno mai di conoscerti,» confessa come se, arrivato a questo punto, dovesse estrarre tutto il veleno insieme anche se consapevole che farlo non salverà la vita di nessuno «non vedo mia sorella da dieci anni. Ho una cicatrice da prima di entrare al campo e non è una medaglia al valore, non è per una battaglia con un mostro che i mortali non conoscono. E non so perché ma non ho… non ho tutto questo bisogno di fare sesso. Non ce l’ho mai avuto. Mi piace stare con te, penso che se tu volessi farlo potrei, però—»

La mano di Shinsou, quella che ancora sostava sulla sua guancia, si sposta sulla sua bocca e finisce con il coprire il resto di quello che Shouto vorrebbe dire. Cerca un contatto visivo con il figlio di Afrodite e trova sul suo viso un’espressione che non ha mai visto: mortificazione. 

«Non ti chiederei mai» lo sente calcare più possibile sulla parola «di fare una cosa del genere solo perché lo voglio io. Nessuno lo dovrebbe pretendere da qualcuno. Possiamo parlare di tutto il resto, se vuoi, ma ho bisogno che tu capisca che non devi scendere a compromessi su questo solo perché potrei volerlo io.»

Shouto non sa cosa rispondere - rispetta Shinsou tanto da sapere che non sarebbe il tipo da forzare nessuno, ma al tempo stesso ha dato per scontato di doversi adeguare lui all’altro e non il contrario. 

Però lo sente stringergli la mano, forte, come quando fuori dall’infermeria aspettavano di sapere che un loro compagno non era morto sotto i loro occhi. Gliela stringe di rimando, e sospira piano.

*

Dormono comunque nello stesso letto, quella notte; all’inizio Shouto pensa che non riuscirà mai a prendere sonno e nella sua testa non fanno che esserci mille domande su cosa dovrebbe fare, dire, se sia un errore rimandare il discorso al giorno dopo. Ma Shinsou ha la sensibilità di non stargli addosso in nessun modo, nemmeno fisicamente, e allenta pian piano quella stretta fino a limitarsi a intrecciare le dita alle sue, lasciandolo libero di interrompere quel contatto in qualsiasi momento senza difficoltà.

Prima di accorgersene Shouto scivola in un sonno senza sogni.

*

La mattina dopo si sveglia con l’odore di buono nell’aria e lenzuola ancora tiepide al proprio fianco. Shinsou appare sulla soglia della cucina nello stesso momento in cui Shouto entra in soggiorno; il figlio di Afrodite ha in mano un vassoio con quelli che sono inequivocabilmente pancake. Di qualsiasi cosa decideranno di parlare entrambi sembrano concordi sul farlo a stomaco pieno.

E’ una colazione silenziosa fatta di piccoli boccono, ed è probabile che tutti e due si stiano sforzando di mangiare per dare una parvenza di normalità a una situazione che, a ben pensarci, di normale non ha mai avuto granché. 

A un certo punto, quando né lui né Shinsou hanno più la scusa del cibo Shouto è tentato di lasciare che sia il figlio di Afrodite a incalzarlo ma, alla fin fine, si rende conto che di quel passo potrebbero non parlare mai. Già in più di un’occasione Shinsou ha dimostrato di rispettare i suoi segreti e i suoi silenzi. E’ improbabile che decida di forzarli proprio ora.

Per quanto sia difficile, nonostante a Shouto qualsiasi inizio suoni sbagliato, si ritrova a rompere il silenzio con un «Mia madre mi ha rovesciato dell’acqua bollente addosso perché non ce la faceva più.»

L’espressione inorridita che si dipinge sul viso di Shinsou gli fa capire subito di aver cominciato la sua confessione nel peggior modo possibile. Eppure - Shouto non saprebbe spiegare perché e razionalmente non ha senso - da quel momento in poi le parole diventano più semplici da pronunciare. Come se il peggio fosse stato detto e da lì non potesse esserci nulla di più difficile. Il fatto che Shinsou non lo interrompa mai ma ascolti in rispettoso silenzio aiuta più di quanto entrambi realizzino.

Così Shouto parla, a lungo, più a lungo di quanto abbia mai fatto. Gli racconta di ricordi vaghi, di un’infanzia che pensa sia stata normale per un po’, anche se non la ricorda bene. Di un uomo che è il suo patrigno, quello scelto da sua madre e con cui si è anche sposata, uno che era già padre. 

«Ho due fratelli e una sorella più grandi,» gli confessa «mia sorella credo vorrebbe vedermi.» ammette, ma gli spiega anche di come si sia abituato presto alle urla in casa, quelle fatte di litigi e di paura. Non ricorda bene il primogenito dei Todoroki ed è un tabù in quella che chiamava casa - a un certo punto non c’è più stato e Shouto ricorda di aver chiesto e di aver capito presto che sarebbe stato meglio non farlo. Da una parte sua madre e sua sorella finivano sempre per sembrare sull’orlo delle lacrime, mentre suo fratello e il suo patrigno continuavano ad arrabbiarsi. Shouto aveva solo sette anni e non voleva far arrabbiare né intristire nessuno. Perciò, semplicemente, aveva smesso di chiedere.

«Credo che il mio patrigno volesse per me quello che aveva voluto per mio fratello.» dice a Shinsou quando gli sembra doveroso dargli tutte le informazioni perché possa capire «Ma non sono sicuro mia madre volesse. Penso abbia provato a dirgli di no. Non ricordo bene, ma forse questo non era accettabile per lui.» che è un modo delicato per dire che quanto è seguito è stato per una divergenza di opinioni su cosa fosse meglio per lui, una sfociata in una realtà da cui di solito adulti competenti tirano fuori i minorenni com’era lui all’epoca. Non sa ancora molto del sistema dei mortali, Shouto, poco più di quanto ne sapesse allora, ma nessun bambino ha bisogno di conoscere i propri diritti di fronte alla legge per percepire qualcosa di sbagliato o da temere. 

Shouto vede Shinsou stringere il bordo del divano, forse per frenarsi dall’interromperlo e dire la propria. Gli è grato perché capisce che se dovesse fermarsi adesso, non finirebbe mai di raccontargli che a volte ha solo sentito sua madre e il suo patrigno alzare la voce l’uno contro l’altra, senza distinguere le parole; alcune sere sua sorella sgattaiolava nella sua stanza e gli diceva di dormire insieme perché era un giorno di festa, e Shouto ci ha creduto finché ha capito che non potevano esistere così tanti giorni speciali; altre volte, quelle che poi sono diventate le peggiori, ha sentito sua madre piangere. Finché lei non ha smesso di parlare, di sorridere ed è diventata silenziosa e Shouto pensava, da bambino, che fosse il modo migliore per non dispiacere nessuno. Così è rimasto in silenzio anche lui, imparando a schivare la rabbia degli altri più possibile, fino a quando gli è sembrato di dimenticare come fosse parlare per dire cosa si voleva.

«Ho risposto male una sola volta.» dice, riferendosi al ricordo più vivido che ha, quello di un uomo molto più alto di lui che lo strattona per un braccio e Shouto che ha solo nove anni e non ha la razionalità per capire che è il momento peggiore per alzare la testa: «Mia madre mi ha guardato come se avessi appena distrutto la cosa più importante che teneva con sé da anni.» sussurra, ed è come avere di nuovo un macigno in gola e non saper più parlare perché se tace, se non dice cosa vuole, allora niente potrà andare storto.

Si ricorda, confessa a Shinsou, di aver pensato cosa ho fatto? prima di sentire solo dolore e di aver urlato.

«Mi sono risvegliato in ospedale. Poi un satiro è venuto a prendermi.»

Rimangono in un silenzio pesante, carico di un segreto mantenuto per dieci anni. Shouto non sa se preferirebbe avere Shinsou a stringergli la mano o no, in questo momento, ma di certo vorrebbe potersi alzare e chiudersi nella sua stanza, schermirsi in qualche modo dal mondo. Una parte di lui, quella semidivina sospetta, prova un profondo rifiuto per il modo in cui si sta aprendo lasciando tra le mani del figlio di Afrodite una tale debolezza che sarebbe impensabile non aspettarsi di vedersela rivolgere contro alla prima occasione utile. Se non avesse una stima immensa e così radicata per il giovane che gli siede di fianco, Shouto non crede sarebbe riuscito a parlare fino a ora. Eppure nemmeno quella basta a dargli la spinta per l’ultimo sforzo, per quel qualcosa ancora non ammesso ad alta voce ma che fa tutta la differenza possibile nel modo in cui si approcciano l’uno all’altro, in quello che forse vogliono entrambi.

Ispira, trattenendo l’aria nei polmoni come durante la sua prima estate al campo, quando farlo lo aiutava a stare calmo. Si piega in avanti, poggia i gomiti sulle proprie gambe e fissa il tavolino davanti al divano prima di buttare fuori l’aria. 

«Forse se non avessi detto nulla mia madre starebbe ancora bene.» mormora piano «Mi sento ancora a metà: non sono un eroe e in alcuni giorni non sono nemmeno una persona. Sono solo uno sfregiato che non ha un posto dove tornare: mio padre non ha mai risposto l’unica volta in cui avrei avuto bisogno di lui, mia madre potrebbe non riconoscermi nemmeno, il mio patrigno forse vuole un perdono che non so se saprò mai dare. Ho solo i residui di una famiglia e le macerie di una vecchia casa in cui non torno da dieci anni. Non so come dare qualcosa a qualcuno, perché non ho niente.»

Lo ha accennato altre volte, sebbene mai con tanta chiarezza, con la cruda sincerità di adesso. Si è crogiolato nelle occasioni in cui Shinsou gli ha detto, pieno di fiducia, che era molto più di quanto pensava di essere - e ora si è messo da solo di fronte alla verità e quella gli pesa sulle spalle da morire. Nonostante questo, sente Shinsou poggiarsi contro il suo corpo e dirgli mi dispiace e non è vero.

Affonda il viso nelle proprie mani, respira forte e il macigno nella sua gola si scioglie. Per tutti questi anni ha dimenticato come piangere e come respirare.

«Mh.» pronuncia a labbra strette, dando modo alla persona dall’altra parte del telefono di continuare a parlare. Si sente tirare appena e sposta lo sguardo alla propria sinistra, trovando Shinsou in procinto di sedersi sul divano. Lo vede sistemarsi con il busto girato verso di lui, in modo da poterlo guardare, e poggiare la spalla e la testa contro lo schienale. Una mano dà un paio di pacche leggere contro quest’ultimo, in un tacito invito per Shouto a imitare la sua posizione. Quando lo fa, prestando ancora attenzione alle parole che sente vicine al suo orecchio, il figlio di Afrodite gli tende la mano e Shouto la prende con la propria libera. Vede le loro dita intrecciarsi, anche se Shinsou lascia morbida quella presa come sempre.

La voce dall’altra parte del telefono cambia tono, per un momento, quasi avesse cercato di mantenersi più neutra possibile fino a ora. Con poco successo, a dire il vero, ma Shouto non gliene fa una colpa; lui, d’altronde, non è stato particolarmente loquace da quando ha ricevuto risposta.

«Martedì?» domanda, ascoltando qualche parola di conferma dall’altra parte. Cerca lo sguardo di Shinsou e lo trova subito, insieme a un annuire del capo e a una leggera stretta alla propria mano: «Va bene. No, non sono da solo.» comunica, visto che l’altra persona si offre di prenotare dove mangiare. «Io e Hitoshi.» aggiunge e si scambiano poco altro, oltre ai saluti, prima che lui possa chiudere la chiamata. Si sente come se si fosse addestrato al campo mezzosangue per due giorni interi senza un attimo di riposo.

Shinsou non gli ha ancora lasciato la mano e aspetta di avere la sua attenzione per chiedergli: «Com’è andata?»

Shouto abbassa lo sguardo sulle loro dita intrecciate, osserva il pollice di Hitoshi carezzargli piano il dorso e curva le labbra in un sorriso quasi impercettibile.

«Sembrava contenta della chiamata. Dice che anche mio fratello riuscirà a venire.» ammette, la voce sorpresa di sua sorella quando gli ha detto chi fosse ancora a risuonargli nelle orecchie. Non è stato facile scegliere di rintracciarla o, meglio, di chiamare un numero recuperato già mesi prima senza mai trovare il coraggio di usarlo per contattarla. Se Shinsou non gli avesse promesso di essere il suo supporto o qualcunque cosa di cui avesse bisogno, Shouto è abbastanza certo che ci sarebbero voluti altri mesi - forse anni - prima di decidersi a provare. E’ ancora lontano dal pensiero di poter incontrare sua madre, ovunque lei si trovi ora, e non riuscirebbe a trovare la calma sufficiente anche solo a chiedere del suo patrigno ma è meglio di nulla. Meglio di non sapere a cosa ricondurre le proprie origini o continuare a vivere con il senso di colpa di aver lasciato andare in pezzi sua madre, per quanto razionalmente capisca di essere stato all’epoca solo un bambino.

Non si può pretendere che i bambini siano gli eroi della storia, gli ha detto Shinsou dopo aver ascoltato la sua confessione, il racconto di una famiglia che potrebbe non tornare insieme mai, ma per la quale Shouto ha ancora il diritto di provare a fare qualcosa. Era tutto ciò di cui aveva bisogno per avere un po’ di coraggio, forse.

Shouto si muove, accostandosi all’altro. Lo vede rimanere fermo dove si trova e offrirgli un sorriso sempre più evidente man mano che Shouto si fa vicino, fino a quando quel sorriso non lo sente contro le proprie labbra. Mentirebbe se dicesse di sentirsi del tutto adeguato solo perché ora ha ammesso le difficoltà che sente e le paure di cui si è circondato per anni, rifiutandosi testardamente di riconoscerle e farci i conti. Ma che Hitoshi gli abbia sempre offerto una scelta rispettando i suoi tempi, che abbia riconosciuto in lui la difficoltà di chi doveva trovare se stesso prima di trovare chiunque altro, quella è una verità assoluta.

«Wow, cosa ho fatto per meritarmi questo?» scherza su Shinsou, il tono divertito, prima di imitarlo e ricambiare quel bacio con uno altrettanto leggero: «Te lo avevo detto, Todoroki: guarda che orribile persona sono, ti ho stregato con l’invincibile potere di Afrodite e ora ti ho in pugno. I pancake potrebbero aver aiutato.»

Shouto non riesce a trattenere uno sbuffo divertito, sebbene cerchi di mascherarlo per non dargli soddisfazione. Quando è certo di non rischiare di tradirsi e mentre l’altro continua a fare battute sul suo fascino manipolatore, gli stringe di più la mano, quasi ad attirarne l’attenzione. Shinsou abbandona il siparietto a cui stava dando corda lui stesso, focalizzandosi immediatamente su di lui - Shouto crede di essere innamorato proprio di questo: del modo in cui, non importa cosa stesse succedendo fino a un istante prima, Shinsou riesce sempre a capire quando ha bisogno che lui ci sia. 

«Hitoshi?»
«Mh?»
«Se mia sorella e mio fratello fossero delusi—» comincia, ma Shinsou lo interrompe prima che possa dare voce a un’insicurezza mai cambiata tra la sua vita tra i semidei e quella tra i mortali: «Hai un figlio di Afrodite e uno di Atena pronti a intervenire. Il piano migliore credo sarebbe sguinzagliargli contro il tuo fratello semidivino per nulla guerrafondaio.» assicura Hitoshi, riferendosi a Bakugo «Gira voce che Izuku abbia un certo ascendente su di lui.»

Questa volta Shouto si concede lo sbuffo divertito trattenuto prima e rilassa le spalle, cercando di nuovo le labbra altrui per un bacio. Gli piace non doversi per forza chiedere se Shinsou vorrebbe di più, dovrebbe avere di più, se dovrebbe forzarsi a raggiungere uno standard diverso. 

«Grazie.» mormora, come se fosse tornato bambino e avesse paura di dirlo troppo forte. 

C’è un mondo di macerie, tutto intorno a lui. Poi, tra quelle, una mano che tiene la sua.

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