When Brahman’s Princess met her king

di lainil
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The lonely king ***
Capitolo 2: *** Holding your hand in the dark ***



Capitolo 1
*** The lonely king ***


Ciao a tutti.
Dopo la mia breve storiella su Kokonoi, ho deciso di cambiare totalmente personaggi.

Personalmente ho amato fin dall'inizio il rapporto tra Wakasa e Senju e mi dispiace che Wakui abbia deciso di interrompere, spero momentaneamente, la loro amicizia.
Non avendo spiegazioni di come siano diventati le persone che sono e del perché Wakasa la chiami "Brahman's Princess", ho deciso di ipotizzare una loro possibile backstory (+ content Wakasa/Shinichiro che attendo con ansia) che è venuta più lunga del previsto.

Qualche piccola premessa per evitare fraintendimenti: considerando entrambi Wakasa e Senju due persone genderfluid, in questa storia Wakasa non utilizza he/him, come canonicamente fa, ma usa i pronomi he/she, con preferenza per il maschile. Per tutta la storia, escluso un piccolo pezzo, mi riferirò a lui al maschile, per evitare confusione

Mi sembra inutile dirlo, ma la storia ha diversi SPOILER per chi guarda unicamente l'anime, specialmente un grande, seppur a malapena accennato, spoiler del capitolo 145 Buona lettura e alla prossima! ♡
 


Titolo: When Brahman’s Princess met her king;
Genere: commedia, fluff,
malinconico;

Rating: verde;
Personaggi: Wakasa Imaushi, Senju Kawaragi
Takeomi Akashi, Shinichiro Sano
Parole: 7107
(4065 nel primo capitolo
e 3042 nel secondo).

 

Wakasa odiava i bambini.

Odiava le loro grida, il loro continuare a parlare, le loro infinite domande su cose stupide. Odiava i loro sguardi indagatori, le loro piccole dita puntate e la loro presenza in generale.

Era grato di non avere fratelli o sorelle più piccoli a cui badare.

Ne era infinitamente grato.

Non avrebbe mai saputo sopportarli così tanto.

E non lo diceva per caso.

In realtà lui odiava i bambini già da tempo, non li aveva sopportati già da quando aveva tredici anni e poche idee chiare in mente.

Ma dopo aver conosciuto Shinichiro Sano questo suo pensiero si era confermato nella sua mente.

Shinichiro aveva un fratello minore, Manjiro, che era il diavolo fatto a persona. Possedeva tutto ciò che Wakasa odiava maggiormente nei bambini: quegli occhi grandi che lo osservavano qualunque cosa facesse, le dita piccole che gli tiravano i capelli per assicurarsi che fossero davvero così biondi e non fossero finti, quella voce fastidiosa e egocentrica dalla quale uscivano parole ancora più odiose e quel continuo gridare ogni volta che Shinichiro lo portava con sé alle riunioni.

Sia chiaro, Wakasa adorava Shinichiro.

Aveva iniziato una relazione con lui per un motivo ben preciso, Wakasa ammirava Shinichiro da tempo e poterlo conoscere meglio era ciò che gli faceva più piacere.

Ma se avesse saputo dell’esistenza di quel demonio che era Manjiro, avrebbe evitato come la peste di diventare suo subordinato e compagno.

Manjiro era il delirio, l’incubo, l’inferno e, come se questa palla di vestiti larghi e capelli biondi, più scuri dei suoi, non bastasse, Shinichiro gli aveva presentato anche un’altra peste, arrivata direttamente anche lei dal sottosuolo più caldo e temuto: Baji Keisuke.

Baji urlava, faceva casino, saltava da una parte all’altra molto più di quanto facesse Manjiro. Ogni volta che loro due c’erano, i Black Dragons non riuscivano a gestire una riunione, era un loro continuo correre in giro, saltare sui divani, giocare a fare gli eroi e poi addormentarsi tra le braccia di Shinichiro che altro non faceva se non sorridere e chiedere scusa a tutti.

Wakasa era al suo limite.

Soprattutto considerando che, con il privilegio di essere il ragazzo di Shinichiro, vedeva quei due incubi più spesso degli altri e loro, di risposta, stavano più appiccicati a lui, ai suoi capelli biondi e al suo orecchino che attirava la loro attenzione più di quanto avrebbe normalmente fatto.

Con le preghiere e le richieste di Shinichiro, spesso Wakasa finiva con il prendere in braccio un Baji di otto anni, dieci più piccolo di lui, e metterselo su una gamba per farlo divertire ogni volta che la muoveva, anche mossa da un fastidioso tic che gli veniva nel momento in cui diventava nervoso, che non faceva altro che far ridere ulteriormente l’altro.

Shinichiro lo ringraziava con gli occhi per la sua pazienza, mentre Wakasa moriva internamente all’idea di dover sopportare quei due pidocchi che ridevano delle sue abitudini nate dal nervoso di averli attorno.

Il giorno in cui Wakasa si è auto convinto che peggio di così non potesse andare e che ormai ogni riunione con i Black Dragons sarebbe stata una sfida di sopportazione, Shinichiro aveva presentato un nuovo membro della sua famiglia che si allargava sempre di più: Emma.

Wakasa non voleva mentire.

Emma gli aveva dato speranza.

Era una bambina di un anno più piccolo di Mikey (aveva iniziato a farsi chiamare così dopo l’arrivo della più piccola) e Baji, con i capelli biondi e gli occhi spaventati da tutte quelle figure maschili che aveva attorno. Tutte rasate, pelose, con in mostra i muscoli delle braccia e il petto grosso. Era terrorizzata e rimaneva attaccata alla gambe di Shinichiro, desiderosa di andare a casa il prima possibile.

Non c’era modo di farla staccare dal fratello, non importava quanto lui ci provasse o quanto tentassero Mikey e Baji, cercando di coinvolgerla nei loro stupidi giochi.

A lungo andare quello era divenuto un problema e Shinichiro era un po’ in crisi: Emma a casa non ci voleva rimanere, voleva stare con i suoi fratelli, eppure non riusciva nemmeno a lasciarlo quando era necessario, non voleva mettersi vicino a nessuno di quegli uomini adulti e spaventosi mentre quelli più gracili, ai suoi occhi, non avevano volti fidati e lei finiva per scoppiare piangere.

Wakasa un giorno aveva sospirato, esausto, e le si era avvicinato, facendola inizialmente spaventare.

Si era abbassato e l’aveva circondata con le braccia e con la sua larga felpa che tradiva la magrezza del suo corpo. L’aveva presa in braccio e asciugato le lacrime, chiedendole di stare buona, che ci sarebbe rimasto lui con lei se fosse stata in silenzio.

Emma aveva tirato su con il naso più volte, per poi asciugarsi il viso e circondargli il collo con il suo piccolo braccio, per avere stabilità, appoggiandosi alla sua spalla e cercando di calmarsi.

Wakasa si era nuovamente seduto su una piccola costruzione di ferro e legno che usava abitualmente come sedia e aveva sistemato Emma in modo che non gli cadesse, permettendole di giocare con la sua mano piena di anelli e con i bracciali sul suo braccio, a patto che rimanesse calma e tranquilla mentre Shinichiro parlava.

La bambina era stata silenziosa come il ragazzo le aveva chiesto, finendo per assopirsi nella sua grande felpa, che era così morbida e profumata, ignorando persino i richiami di Baji e Mikey che la invitavano a giocare con loro.

E da quel giorno era diventata un’abitudine per Emma arrivare al covo dei Black Dragons e cercare Wakasa, per poi farsi prendere in braccio da lui e passare il tempo sulle sue gambe, a volte stando in silenzio, altre portando dei giochi e coinvolgendolo nelle sue piccole storie, altre parlando di qualunque cosa.

Wakasa odiava i bambini.

Ma sopportava Emma e la tranquillità che era riuscito a farle avere semplicemente tenendola lì con lui.

Quel momento di pace era durato un paio di mesi e andare a casa Sano era più piacevole per Wakasa perché oltre a quei due diavoli si era aggiunta questa specie di angelo custode che lo faceva stare meglio.

E tutto andava bene e la pazienza di Wakasa per i bambini era migliorata.

Fino a quando, in una riunione privata tra lui, Shinichiro, Benkei e Takeomi, non era uscita quella fatidica richiesta:

“Mikey mi ha parlato di tuo fratello, Take, che ne dici di portarlo qualche volta alle riunioni? Lui e Baji ne sarebbero felici!”

Aveva proposto Shinichiro, facendo sbarrare gli occhi a Wakasa a quella realizzazione: un nuovo incubo rischiava di star iniziando dopo quel momento di pace:

“Vorrei, me lo ha chiesto anche lui.” Aveva risposto sereno Takeomi, accendendosi una sigaretta, l’ennesima di quella sera: “Ma ho anche una sorellina e quindi la lascio a casa con lui così che se ne prenda cura.”

Lo sguardo allarmato di Wakasa era passato, immediatamente, su quello di Shinichiro perché, conoscendolo, aveva già mentalmente anticipato le sue parole, pur sperando di sbagliarsi:

“Perché non portarli entrambi?”

“Shinichiro, questo non è un asilo.”

Mai e poi mai Wakasa aveva ringraziato Benkei per aver parlato, per essere un loro amico e per essere lì con loro a cercare di fermare Shinichiro.

Wakasa aveva annuito, d’accordo con l’amico e anche Takeomi tentennava molto: a quanto pare quei due potevano essere anche peggio di Mikey e Baji, quindi era un bene rimanessero a casa loro:

“Ma Mikey e Baji ne sarebbero così felici e poi non dobbiamo mica tenerli d’occhio.”

“Shin…” Aveva sospirato Wakasa, prendendo parola: “Non siamo un asilo nido, l’ha detto anche Benkei, dobbiamo concentrarci su cose serie e dei ragazzini urlanti non aiutano in questo, anzi. Lo capisci, vero?”

Parlava piano, scandiva le parole e fissava il ragazzo negli occhi, chiedendogli per pietà di stare al suo posto e di non uscirsene con queste cose in un momento del genere:

“Ma…”

“Shin.” Gli aveva accarezzato una guancia, avvicinandosi ulteriormente: “I bambini qua sono pericolosi, sono circondati da persone pericolose e non è il luogo più adatto dove portarli.” Osservava gli occhi del ragazzo fissi sulle sue labbra mano a mano che i centimetri tra loro diminuivano e percepiva anche il disagio negli occhi degli altri due rimasti fuori che mai avevano sopportato il loro flirtare apertamente: “E inoltre io odio i bambini, quindi non li voglio in mezzo al cazzo.”

Aveva concluso, diventando freddo e serio, allontanandosi di colpo e rialzandosi, afferrando la sua larga felpa lasciata abbandonata e ridendo internamente per la reazione di shock di Shinichiro, seguita dalle prese in giro degli altri due:

“Se avete intenzione di portarli...” E tutti e tre avevano taciuto quando aveva ripreso a parlare, alzandosi la zip della felpa: “Sarà un bene che mi facciate un riassunto di ciò che direte, perché sarà di più il tempo che passerò fuori a fumare, che quello dentro.”

Con questa frase li aveva lasciati indietro, uscendo dalla porta sul retro del loro posto di ritrovo e tornando a casa.

 

 

“Quindi arriverà l’amico di Mikey?”

Aveva domandato Emma, prendendo il polso di Wakasa e unendo le loro mani, guardando la differenza di grandezza delle loro dita, sorpresa come la prima volta:

“Così pare, lo conosci?”

Lei aveva annuito, senza guardarlo minimamente, rispondendo con nonchalance e con le piccole gambine che si muovevano:

“Non mi sta molto simpatico, però non è cattivo.”

“E sua sorella la conosci?”

“Non l’ho mai vista. Portano sempre lui.”

Era offesa e Wakasa aveva sorriso a quella rabbia della bambina, capendo come fosse infastidita dal fatto che lei, a differenza loro, non poteva avere un’amichetta con cui passare le giornate:

“Oggi la conoscerai, così potrai giocare con lei.”

“Dovrò smettere di stare qua con te?”

Wakasa le aveva fatto un piccolo buffetto sulla guancia:

“Sì, ma perché sarai occupata con lei, quindi non preoccuparti, non sarò triste se so che ti divertirai.”

Prima che potesse rispondergli, dei piccoli passi avevano attirato l’attenzione di entrambi e un dito puntato su di loro aveva fatto stringere la presa di Wakasa nei confronti di Emma, per proteggerla, rilassandola quando si era trovato di fronte una bambina:

“Sei Emma Sano?” La bionda aveva annuito piano, spaventata, cercando protezione nella felpa di Wakasa, mentre l’altra aveva sorriso emozionata subito dopo la conferma: “Sono Senju Akashi, diventiamo amiche!”

Wakasa aveva capito immediatamente chi fosse la bambina e, senza permettere a Emma di ribattere, l’aveva afferrata per i fianchi, facendola scendere dalle sue gambe, in modo che potesse presentarsi all’altra.

E il modo in cui Senju si stava dimostrando estroversa, aveva tranquillizzato Wakasa, facendogli comprendere che avrebbe lasciato la bambina in buone mani.

 

 

“Emma andrà a scuola?”

La domanda di Takeomi era suonata così giudicante da prendere persino l’attenzione di Wakasa e creargli un minimo di fastidio nonostante lui stesso, a scuola, non ci fosse andato poi così tanto:

“Fai bene, sennò diventa come te, Mikey e Baji.”

Gli aveva dato ragione Benkei, seduto contro il muro nell’angolo a guardare i tre con cui si ritrovava spesso e volentieri durante quelle sere:

“Baji non è così stupido come me e Mikey, dai.”

Lo aveva difeso prontamente Shinichiro, ridendo e accendendosi una sigaretta, dividendola con Wakasa, che era appoggiato con il viso alla sua gamba, stanco di quella giornata, dandogli la schiena, rilassandosi mentre il fidanzato gli accarezzava i capelli affettuosamente:

“Non verrà più qua, quindi?”

La domanda era sorta spontanea da Wakasa al quale dispiaceva che non avrebbe visto la bambina per un po’:

“Molto raramente, è ora che si concentri nel migliorarsi, non ti sembra la scelta giusta?”

Shinichiro chiedeva sempre un parere a Wakasa, perché sapeva di non essere una cima d’intelligenza, era bravo nell’intuito, ma spesso nella logica non brillava, proprio per quello c’era il suo fidanzato a sostenerlo:

“Sì, immagino sia necessario.” Poi aveva alzato lo sguardo verso Takeomi: “Senju non avrà più nessuno con cui stare, continuerai a portarla?”

“Sì, starà con gli altri tre, anche se spero non prenda le loro abitudini da maschi, come giocare a fare la guerra o quelle stronzate non da femmina.

Shinichiro, dillo ai tuoi fratelli di non darle brutte abitudini, che non voglio crescere due maschi.”

“Non preoccuparti!”

Shinichiro aveva riso, mentre Wakasa era infastidito da quella frase. Odiava da sempre gli stereotipi maschi/femmine e mai li aveva rispettati. Vestiva come voleva, teneva i capelli della lunghezza della quale si sentiva più a suo agio, indossava orecchini fin da quando era piccolo e così anche anelli, bracciali, piercing e smalto alle unghie. Takeomi l’aveva più volte commentato con fastidio, giudicandolo con lo sguardo e Wakasa, per nulla intimidito, allungava un ghigno sulle labbra, chiedendogli se fosse invidioso del suo fare ciò che gli pareva.

Takeomi non gli aveva mai risposto e Shinichiro ne era grato, non voleva litigi interni, mentre Wakasa, semplicemente, era annoiato e per nulla desideroso di tenere una discussione con una persona così, alla quale voleva bene, ma della quale condivideva molto poco le idee medievali che trasmetteva anche ai suoi fratelli:

“Ti prenderai cura di te di Senju, vero?”

Gli aveva chiesto Shinichiro, dopo quella riunione, prima che se andassero, circondandogli i fianchi e appoggiandosi con il viso alla sua spalla, guardandosi allo specchio, vicino a Wakasa che si sistemava i capelli:

“Vuoi che la faccia crescere come un maschiaccio come Takeomi teme?”

“Non aspetto altro.” Aveva riso il maggiore nel suo collo: “Vederlo arrabbiarsi quando Senju imita i comportamenti di Mikey è così divertente.”

“Eppure non vai mai contro le sue idee, non crescere Baji e Mikey in questo modo.”

“Mikey non è stupido e Baji sta già crescendo annullando questa differenza tra maschi e femmine. Poi sto con te, mi sembra già una buona risposta alle sue idee, supporto le tue e la tu libertà di espressione.” Poi aveva sospirato, baciandogli il collo e staccandosi da lui: “Ti affido Senju, proteggila dalle idee di Takeomi.”

“Non preoccuparti.”

Wakasa odiava i bambini.

Ma odiava ancora di più le idee che Takeomi stava imponendo ai suoi fratelli e, quando Senju l’aveva cercato, dopo aver scoperto di Emma, aveva deciso che si sarebbe occupato della bambina, che sentiva rifiutare tanto quanto lui le stupide differenze di genere:

“Perché Emma se ne è andata?”

Gli aveva chiesto, chiusa nella sua felpa larga, osservandolo dal basso della sua piccola altezza:

“È andata a scuola.”

“Takeomi dice che la scuola non serve.”

“Infatti lui non ci è andato e vedi come si è ridotto.”

La risposta di Wakasa era arrivata senza mezzi termini, accavallando le gambe e preparandosi alla reazione infastidita che Senju avrebbe potuto avere, invece, stupendolo, la bambina era scoppiata a ridere e gli aveva dato ragione:

“Voglio andarci anche io a scuola, ma i miei fratelli me lo impediscono, quindi imparo a casa, ma è noioso, non ho nessun bambino con cui stare.”

Aveva gonfiato le guance, stringendo i pugni e abbassando lo sguardo e Wakasa non avrebbe voluto pensare nulla, non voleva sopportare un’altra bambina dopo Emma. Le voleva bene, alla bionda, ma era stata comunque una responsabilità non indifferente e spesso alle riunioni era distratto. Eppure in Senju ci vedeva una bambina più incatenata di Emma, fermata dalle brutte idee di Takeomi e dalla visione ristretta del mondo.

Aveva sospirato, Wakasa, accarezzandole i capelli:

“Se fai la brava ti posso aiutare a imparare qualcosa e possiamo diventare amici.”

“Davvero?”

Il viso di Senju si era illuminato e una grande felicità le era cresciuta in volto, vedendo spenta da Takeomi che l’aveva finalmente trovata, mentre teneva con l’altra mano il polso di suo fratello Haruchiyo, trascinandolo con nervosismo:

“Senju ti avevo detto di non allontanarti senza dirmelo o sbaglio?”

Wakasa l’aveva guardato con noia e aveva messo una mano sulla spalla della bambina, tirandola vicino a sé:

“L’ho chiamata io, Take. Le stavo spiegando perché Emma non fosse più qua a giocare con lei. Non pensavo dovesse avvisarti dei suoi spostamenti, d’altronde qua tutti abbiamo un occhio vigile sui bambini.”

Aveva riservato a Takeomi uno sguardo sereno, convincente e tranquillo e, pur se l’altro avrebbe potuto tranquillamente pensare ad una bugia, non aveva risposto, tornando a guardare Senju:

“Se la prossima volta rifai una cosa del genere ti lascio a casa da sola. Mi hai capito?“

La bambina aveva annuito con gli occhi lucidi e Wakasa si era alzato, mettendosi al pari di Takeomi e abbandonando pigramente il braccio sulla spalla della piccola:

“Visto che questa bambina sembra un piccolo diavolo, che ne dici di lasciarla a me come facevamo con Emma? Dal momento che sembrava che nessuno riuscisse a tenere a bada la sorella di Shinichiro, io escluso, possiamo fare lo stesso, no?”

“È una buonissima idea! Takeomi, ascoltalo. Emma è stata molto felice di aver passato il suo tempo con lui. Per Wakasa non è un peso in alcun modo.“

Wakasa aveva riservato uno sguardo di ringraziamento a Shinichiro che stava supportando la sua idea e Takeomi non aveva potuto far altro che squadrarli entrambi e rispettare le richieste del loro capitano, che si era avvicinato a loro, prendendo Haruchiyo in braccio, dicendo che lo avrebbe portato da Baji e Mikey, usandola come scusa per allontanarlo dal ragazzo:

“Quando finiamo fatti trovare immediatamente e non infastidire Wakasa che ha già i suoi problemi.”

L’aveva sgridata nuovamente, facendola annuire spaventata, per poi, finalmente lasciarli in pace, seguendo Shinichiro che, con ancora tra le braccia Haruchiyo, si stava dirigendo dove di solito parlava ai Black Dragons:

“Vieni?”

Le aveva fatto segno Wakasa, battendosi le mani sulle gambe, come faceva abitualmente con Emma, e Senju l’aveva guardato interrogativo:

“Non devo andare con Takeomi?”

“Non se non vuoi, puoi rimanere qua con me.”

E per Wakasa non era un modo per fare amicizia, lui con i bambini dodici anni più giovane non faceva amicizia, semplicemente in quel modo poteva evitare di stare al centro dell’attenzione di quelle noiose riunioni.

E, infondo, un po’ di bene lo voleva a Senju, triste per la situazione in cui stava crescendo e interessato a cercare, non tanto di cambiarla, ma di darle un minimo di sollievo quando era lì.

 

 

“Quei vestiti non sono per femmine?”

Gli aveva chiesto un giorno, mentre Wakasa si stava rimettendo la sua uniforme dei Black Dragons, richiesta più larga del normale, perché amava avere una grande libertà di movimento e non sentire il tessuto appiccicato alla sua pelle:

“Quali?”

“La maglietta.”

Senju gliel’aveva indicata, notando come gli lasciasse scoperto metà petto, sicura fosse un abbigliamento femminile e non da maschi com’era Wakasa:

“I vestiti non hanno genere.” E gli aveva fatto un buffetto sulla fronte, obbligandola ad allontanarsi infastidita: “Se mi piace qualcosa lo indosso e basta, quindi no, non è da femmina e, anche se lo fosse, non mi interesserebbe.

Andiamo?”

E le aveva allungato la mano, lasciando che Senju gliel’afferrasse com’era ormai diventata abitudine. Era infatti abitudine che, durante la pausa delle riunioni, Wakasa la portasse a prendere un gelato o qualcosa da mangiare e rimanessero fuori quei buoni venti minuti per schiarirsi le idee, camminare e lasciare indietro Takeomi che rimproverava costantemente il più grande per portare la sorella su quella strada:

“Waka.”

“Mhm?”

“Ti voglio bene.”

Aveva riso, avvicinandosi di più a lui e stringendogli la mano e lui aveva semplicemente sorriso, felice di quel commento e di quella rivelazione che, per quanto potesse aspettarsi, era comunque qualcosa che gli faceva piacere:

“Anche io.”

“Sai un’altra cosa?”

“Dimmi.”

Non era così curioso di ciò che passasse per la testa a Senju, ma sapeva che se non le avesse dato corda, avrebbe continuato per molto tempo, quindi la faceva parlare quanto voleva:

“Voglio formare una mia gang! Come Mikey con la sua Toman. Voglio essere forte, controllare gli uomini e voglio andare contro le idee di Takeomi.”

E aveva alzato un pugno, tirandolo all’aria e sorridendo piena di vita e Wakasa aveva ricambiato l’espressione, prendendo il gelato dalla mano dell’uomo che glielo porgeva e dandolo alla bambina:

“Dovrai lavorare un bel po’, lo sai, vero? Le donne partono svantaggiate, non hanno il fisico degli uomini, purtroppo.”

“Ma posso allenarmi.”

“Devi.” L’aveva sostenuta: “Se avrai bisogno di un avversario posso aiutarti volentieri.”

“Davvero?”

I suoi occhi erano luminosi e la mano libera già in posizione di difesa. Inutile quando Wakasa le aveva tirato, come risposta, un pugno leggero sulla pancia, stupendola:

“Sì, ma hai molto da lavorare da sola prima di arrivare a me, se ti impegnerai abbastanza, ti darò tutto il supporto necessario e avrai sempre il mio sostengo. Sempre che mi vorrai nella tua gang, ovviamente.”

“Tu sarai il primo membro che chiamerò, non preoccuparti.”

E Senju lo faceva sul serio, si allenava da sola o, a volte, con Mikey, per migliorare la sua forza e capitava, seppur raramente, che assistesse ai combattimenti dei Black Dragons e rimaneva estasiata dalla velocità fisica e mentale di Wakasa di saltare da una parte all’altra, evitare con agilità e colpire perfettamente usando unicamente i calci, mai i pugni.

Pensava che volesse diventare come lui e ci provava a imitarlo, ma veniva sempre atterrata da chiunque, convincendosi che, forse, quello non era propriamente il suo stile:

“Perché oggi ti hanno detto che sei stata brava? Tu sei un maschio.”

Aveva domandato curiosa Senju, mentre vedeva Wakasa fare stretching dopo essersi allenato nella palestra che, da un paio di mesi, possedeva:

“Perché gliel’ho chiesto io. Non trovi che l’essere chiamata al femminile sia bello?”

“Beh, ma tu sei un maschio, no?”

“Biologicamente. Il mio corpo è quello di un maschio, sì. Ma psicologicamente non me ne frega niente, è noioso rimanere in un solo genere, no? Io la penso così e me la vivo meglio.”

Senju non capiva: cosa significa rimanere di un solo genere? Takeomi non le aveva mai spiegato nulla di tutto ciò e nemmeno Baji, Haruchiyo o Mikey ne parlavano mai. Lei era all’oscuro di tutto e non riusciva a stargli dietro:

“Capita che io mi senta meglio nel genere maschile anche per giorni, di solito è così, capisci?” Le stava spiegando pazientemente, mentre si rialzava, asciugandosi il viso con un asciugamano, raccogliendo le sue cose e legandosi i capelli che, negli anni, stavano crescendo sempre di più: “Mentre altri giorni, semplicemente, sento che il genere femminile mi stia meglio, quindi preferisco essere chiamata al femminile, come fossi una ragazza a tutti gli effetti. Altri ancora mi sento entrambi e via dicendo, non ci do peso, dipende da come mi percepisco quel giorno. Qualunque cosa sia, l’accetto.”

“Takeomi…”

“Take non sa nemmeno cosa significhi probabilmente, non mi stupisce non te ne abbia mai parlato, anche se penso che in molti ignorino questa cosa, alcuni nemmeno la rispettano o la ritengono valida.

Io penso semplicemente che chiunque possa sentirsi e essere ciò che vuole, finché non ferisce gli altri.”

E si era diretto verso la porta degli spogliatoi, per potersi cambiare e rimettere i suoi vestiti quotidiani, mentre Senju continuava a guardarlo:

“Ma…”

“Senju non importa. Hai solo otto anni, non devi obbligatoriamente capire e decidere cosa pensare di questa cosa. Semplicemente a volte mi piace che mi si rivolgano al femminile.” Wakasa aveva sospirato, comprendendo di aver aperto un argomento troppo ampio per una persona senza basi, anche se, in realtà, era un discorso relativamente semplice: “Ma tu puoi chiamarmi come vuoi e a me andrà bene in ogni caso.”

Le aveva sorriso leggermente, facendole capire che fosse sincero e che non desse davvero peso al modo in cui la bambina lo chiamasse.

Infondo era davvero così, poteva essere definito in qualunque modo, ma sotto sotto amava vedere la rabbia negli occhi dei giovani subordinati ancora matricole, che obbligava a chiamarlo al femminile per evitare di venire massacrati. Era un grande colpo alla loro mascolinità sentirsi inferiori a un qualcuno che dovevano chiamare come fosse una ragazza e Wakasa godeva internamente per tutto questo:

“Sei stata bravissima.”

Wakasa si era bloccato con la mano sulla porta degli spogliatoi e si era girato piano verso Senju e la sua voce, che lo guardava, con le labbra strette e il viso leggermente rosso dall’imbarazzo, impegnandosi al meglio per chiamarlo in quel modo, in modo femminile e non maschile:

“Anche tu sei stata molto forte, se continuerai così tra poco potremmo scontrarci e vedere in cosa potrai migliorare.” E poi le aveva sorriso gentilmente: “Va bene, principessa?”

E Senju aveva annuito con forza, piena di felicità e amando come si sentisse bene insieme a quel ragazzo e come, piano piano, lo stesse considerando un punto fermo, importante nella sua vita, un fratello maggiore che non aveva mai trovato in Takeomi.

 

 

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Capitolo 2
*** Holding your hand in the dark ***


Quando Shinichiro era morto, Senju aveva dodici anni e non aveva mai sperimentato così da vicino la morte.

Le cose erano cambiate. La sua famiglia era stata distrutta, Takeomi si era allontanato e Haruchiyo non era più lo stesso, da quando le mani di Mikey, anni prima, gli avevano sfigurato la bocca irrimediabilmente.

Emma non la vedeva più, Baji non era più lo stesso con gli occhi più spenti che avesse mai visto e Mikey neanche la guardava, non che prima lo facesse.

I Black Dragons erano stati sciolti molto prima e, dopo questo lutto, tutto era scivolato dalle sue mani e il suo castello di sogni era andato in frantumi.

La solitudine l’avrebbe devastata se lui non avesse continuato a starle accanto insieme a Benkei:

“Principessa, non dovresti visitare la tomba di Shinichiro quando piove, soprattutto senza ombrello.”

L’aveva sgridata piattamente Wakasa, coprendola con il suo e alzandole il cappuccio della felpa sulla testa, accarezzandole i capelli da sopra questo:

“Mi manca tanto Waka. Come possiamo… Come puoi andare avanti?”

“La vita è piena di imprevisti, la morte è uno di questi. Non puoi fare altro che andare avanti, rimanere fermi non fa che ferire, non trovi?”

Senju aveva pianto le sue prime vere lacrime davanti alla tomba di Shinichiro e Wakasa non aveva fatto nulla, era rimasto lì, con l’ombrello a coprirli entrambi e con il bastoncino mosso tra le labbra con nervoso, osservando la tomba del suo ormai ex compagno che l’aveva lasciato indietro per sempre.

Wakasa soffriva, aveva sofferto come poche volte nella vita, era successo un giorno qualunque, durante una rapina finita male, nulla che lui potesse anticipare, ma nemmeno pensava che Shinichiro avrebbe avuto una morte così insulsa per una persona come lui, un capitano dei Black Dragons ucciso da dei ladri.

Era la fine più patetica che il suo ragazzo potesse avere.

L’aveva sgridato per questo.

Poi aveva pianto per ore intere.

E infine si era rialzato, perché Senju da sola non poteva starci e, quindi, eccolo lì, a prendersi cura della ragazza come aveva fatto, quasi per scherzo, tutti quegli anni:

“Voglio fondare la mia gang, Waka, voglio essere io a capo e proteggere tutte le persone, non voglio che un qualcosa del genere possa riaccadere.”

Benkei lo aveva fissato facendogli cenno con la testa di rifiutare, che Senju era troppo piccola e non voleva che finisse come Mikey che sì, aveva un buon numero di persone alle sue spalle, ma si stava perdendo la sua vita migliore per quel sogno di essere a capo di Tokyo:

“Ne parleremo più avanti. In questo momento sei mossa dalla rabbia e dalla sofferenza per Shin.” Le aveva accarezzato nuovamente i capelli, asciugandoli dall’acqua con le sue dita: “Respira, affronta la sua morte e poi ci potremo pensare, non fare nulla mossa dalle emozioni, sei una persona razionale, Senju, non dimenticarlo.

Andiamo?”

Le aveva fatto segno, tendendole la mano come quando era più piccola e inesperta.

Erano anni che Wakasa non le teneva più la mano, lei l’aveva rifiutata più volte e lui non aveva mai insistito, perché, d’altronde, non era mai cambiato.

Wakasa odiava i bambini.

Ma Senju, ormai, non era più una bambina, era una ragazzina forte mentalmente e fisicamente e lui voleva ancora starle a fianco come se fosse suo fratello a tutti gli effetti.

E Senju gliel’aveva afferrata, con entrambe le mani perché aveva bisogno di salvezza, perché si sentiva sola e nell’oscurità dei suoi pensieri e Wakasa, come Benkei, potevano essere due punti fondamentali da cui ripartire:

“Voglio tornare a casa, Waka.”

“Ti riaccompagno volentieri.”

Le aveva assicurato, stringendole la mano e riprendendo a camminare, seguiti dall’altro uomo che aveva lanciato un ultimo sguardo alla tomba di Shinichiro, salutandolo e pensando che, infondo, tutto poteva ricominciare da quella ragazza, che la volontà del loro amico non si era spenta una volta che si fosse spento il suo cuore.

La speranza era ancora viva in Senju e, una volta affidata a Wakasa, quella luce di speranza non sarebbe mai morta, Shinichiro doveva solo avere pazienza.

 

 

“È troppo stretta?”

Aveva chiesto Wakasa, sistemando la fascia attorno al corpo quindicenne di Senju, preparando poi il reggiseno sportivo che le aveva comprato e guardandola mentre si fissava il seno ridotto grazie a quella loro trovata:

“No, è perfetto!”

“Sei sicura?”

Il ragazzo non voleva spegnere la gioia della più piccola, ma la sua sicurezza, da sempre, era messa in primo piano alla felicità, quindi, se si sentiva stretta con quella fascia andava cambiata immediatamente prima di continuare:

“Va bene, davvero. Stringe il giusto come mi hai spiegato, ma non mi fa male in alcun modo, non è nemmeno fastidiosa, quasi non la sento.”

“Ottimo, prova a mettere questo ora.”

E le aveva passato il reggiseno sportivo aiutandola, anche se non era necessario, a indossarlo, lisciandoglielo sulla schiena e sui lati del seno, capendo se l’aiutasse o risultasse inutile e bastasse la fascia:

“Che ne pensi?” Le aveva domandato, mettendola davanti allo specchio e assicurandosi si guardasse da tutti i lati: “È abbastanza o dobbiamo metterne un altro?”

Aspettava la risposta mentre preparava un secondo reggiseno sportivo che l’aveva aiutata ad acquistare.

Senju stava seguendo le sue orme con sempre più sicurezza e devozione e ora, quindicenne e più consapevole delle sue scelte, aveva capito anche il suo passato discorso sul genere, sentendosi a suo agio quanto lui nel non avere preferenze e adattarsi a seconda del periodo, del giorno e del momento:

“È fantastico, sembra che non abbia neanche il seno, sto benissimo.”

Sprizzava felicità da tutti i pori la ragazza, mentre si girava su se stessa e guardava ciò che lei e l’altro avevano realizzato dopo alcune ricerche e tentativi andati a male:

“Mi imbarazza il fatto che tu abbia visto mia sorella nuda.“

“Non ho mai visto tua sorella nuda, che persona pensi io sia?”

La risposta di Wakasa era arrivata a Takeomi con rabbia, stanco che lui dovesse sempre annoiarlo e mettersi in mezzo alle decisioni di sua sorella e che anche in quel momento fosse lì a fissarli e giudicarli:

“Le hai messo una fascia attorno al seno, come puoi non averla vista?”

“Take.“ Lo aveva guardato male: “Cosa vuoi che me ne freghi del corpo di una quindicenne? Ho quasi trent’anni. Questa cosa che hai detto fa venire i brividi. Rivedi le tue priorità.”

Ed era tornato a dare attenzione a Senju, unica che le meritasse, che si stava mettendo una delle vecchie e larghe magliette di Wakasa, per dare ulteriormente l’idea che quel seno non ci fosse:

“Che ne pensi?”

Senju voleva la sua opinione, allargando le braccia e ignorando volutamente o meno Takeomi, mentre Wakasa la guardava, annuendo. L’aveva poi messa nuovamente davanti allo specchio, stringendole la maglietta sui fianchi e tirandola sulla schiena, in modo da sottolinearle ancora quanto il suo seno fosse ridotto rispetto al solito:

“I tuoi capelli sono perfetti, la lunghezza è adatta per rimanere ambigua, coerentemente con gli stereotipi che le persone hanno, potrai essere un ottimo capo.”

Le aveva assicurato, toccandole i capelli non più lunghi delle spalle, anche quella una decisione comune, necessaria per poter mascherare il suo sesso biologico e lasciare il dubbio a chiunque la vedesse per la prima volta:

“Perché forzarla a sembrare un ragazzo? È una donna Wakasa, è difficile che venga scambiata per un uomo.”

“Shinichiro mi ha dato questa idea.” Aveva guardato Takeomi con una leggera malinconia negli occhi. Sì, lui e Shinichiro avevano discusso spesso dei sogni di Senju. Wakasa fingeva di fregarsene, ma in realtà le aveva particolarmente a cuore, le parole della ragazza: “Mi ha detto che Senju sarebbe stata una buona leader, ma che il suo essere donna non avrebbe favorito alla sua ascesa. E noi dovremmo sostenerla e proteggere le sue spalle, perché lei è molto più capace di noi, ha meno esperienza, ma può andare lontano.”

Senju lo aveva fissato con una grande felicità e fierezza negli occhi, commossa dalle sue parole che non credeva vere, ma Wakasa era serio e Takeomi lo sentiva che non scherzava:

“Se vuoi aiutarci sarebbe meglio, ma in ogni caso io e Benkei siamo già pronti a proteggerla da soli, senza il tuo aiuto.”

“A me piacerebbe…” Aveva preso parola Senju, lisciandosi la maglietta di Wakasa e cercando il suo appoggio con lo sguardo: “Se fossi tu il vice della mia squadra.”

E aveva sorriso a Takeomi piena di vita e di aspettative facendogli sbarrare gli occhi:

“Vorresti me?”

Senju aveva annuito con forza, piena di felicità similmente a come lo era quando aveva troppi pochi anni per capire la differenza tra buoni e cattivi, tra cosa fosse giusto e cosa sbagliato.

Wakasa non sapeva se quella scelta si sarebbe dimostrata giusta o meno e poco gli importava, a dire il vero. Ne aveva già parlato con Senju, ne avevano discusso per un paio di ore nei giorni precedenti perché lei si confidava sempre più spesso con lui che, a tutti gli effetti, aveva ormai preso il posto di Takeomi come fratello maggiore.

Gli aveva detto le sue preoccupazioni dietro quella scelta, ma anche di quanto ne fosse convinta, che continuava ad aver bisogno di Takeomi al suo fianco, pur se rischiava di essere una scelta sbagliata.

Wakasa le aveva sottolineato, in modo neutrale e oggettivo, tutti pro e i contro di quella scelta. Di come, sì, la forza della sua squadra sarebbe aumentata, la maturità dei membri confermate e di quanto le sue spalle sarebbero state ulteriormente coperte. Dall’altro lato, però, vi erano molti problemi: Takeomi aveva perso tutto dopo la morte di Shinichiro, mentre Wakasa, nonostante il dolore, era andato avanti molto di più dell’altro; era la persona che era, non totalmente positiva o pulita e spesso non ragionava razionalmente come loro due, era mosso dai sentimenti e dall’impulsività, quindi c’erano anche questi elementi da considerare.

Senju, ogni tanto, sedeva ancora sulle gambe di Wakasa, senza malizia alcuna da parte di nessuno dei due, era semplicemente un’abitudine che non li aveva mai abbandonati.

Quella sera in cui ne avevano discusso, Senju era proprio lì, chiusa nell’uniforme della Brahman, sua futura gang, con le braccia strette attorno alle gambe tirate al petto e i piedi appoggiati sopra la gamba di Wakasa sulla quale non sedeva, mentre il corpo del ragazzo era totalmente sostenuto dal muretto su cui erano saliti.

Poteva essere una posizione fraintendibile, quasi romantica, ma loro non provavano nulla e questo non creava loro disagio in alcun modo, era un posto sicuro, per la ragazza, la vicinanza dell’uomo:

“Sei convinta?”

Le aveva domandato, mettendosi le mani in tasca e guardandola e lei aveva stretto le braccia attorno alle gambe e affondato il viso in queste:

“Non ne ho idea, però lui potrebbe aiutarci, forse non mi sosterrebbe in quanto donna, ma almeno in quanto sorella, non pensi?”

“Non serve che ti sostenga in quanto donna, a quello ci penso io, ma se hai bisogno che riconosca il tuo valore in quanto sorella, prova a chiederglielo, se non dovesse accettare, proseguiremo ugualmente senza di lui come abbiamo sempre fatto dalla morte di Shin.”

E così erano arrivati a quella situazione, nella palestra di Wakasa e Benkei, mentre quest’ultimo era assente, con l’uomo che vestiva ufficialmente la ragazza, preparandola a prendere il posto di leader della Brahman, sostenendola come aveva sempre promesso di fare, fin da quando lei era piccola e incapace di capire il suo stesso valore:

“Non dovrai prendermi in responsabilità, non servirà che tu abbia un occhio vigile su di me e che tu mi corregga ogni errore che compirò.” Senju recitava il discorso che avevano preparato assieme qualche giorno prima, perché era pur sempre spaventata dall’uomo: “Wakasa penserà a me, semplicemente voglio che formalmente quel ruolo lo ricopra tu.”

“Shin ne sarebbe stato felice.”

L’aveva sostenuta Wakasa, guardandolo e indossando la sua uniforme della Brahman, mentre Senju lo imitava, osservando il suo corpo piatto, chiuso in quell’enorme tenuta nella quale tanto si sentiva a suo agio.

Si era premuta le mani sul seno che faticava a vedere e la felicità che provava nel pensare che, pur mentendo, la gente avrebbe rispettato la sua leadership, era inspiegabile e tutto questo unicamente grazie a Wakasa e al modo in cui vedeva il mondo: vivendo unicamente in funzione di ciò che lo faceva star bene, ignorando i pensieri e i pareri altrui:

“La tua uniforme avrà delle decorazioni simili ad un dragone sulle maniche.” E aveva preso, delicatamente, il braccio di Senju, mostrando le sue: “Senju terrà questa con dei piccoli fiori appena percettibili, mentre io e Benkei ne indosseremo una con evidenti motivi floreali.

La tua è diversa per evitare commenti fuori luogo non necessari sull’estetica. Se non ti dovesse andare bene, sei libero di non entrare nella Brahman.”

Senju gli aveva sorriso per ringraziarlo quando il ragazzo le aveva lasciato la manica.

Era una cosa estremamente stupida e si vergognava ad avergli chiesto di dirlo al posto suo, ma ricordava i commenti sprezzati sulla differenza dei vestiti, delle decorazioni e dei colori tra maschi e femmine che Takeomi aveva sempre imposto a lei e a suo fratello.

Quando ne aveva parlato con Wakasa, lui aveva alzato le spalle, le aveva detto di scegliere la grafica che più le piacesse e lui avrebbe fatto di conseguenza, scegliendo quei meravigliosi fiori che ora adornavano le sue maniche e poi, su accordo comune, avevano deciso la grafica più maschile che fosse loro venuta in mente e ora la stavano presentando a Takeomi.

L’uomo non aveva commentato, i due lo avevano anticipato sui tempi e non voleva, in ogni caso, prendersi ulteriori antipatie da chi lo stava salvando.

Così si era alzato dal posto da cui li stava guardando e aveva accettato l’uniforme offerta da Wakasa, indossandola sopra i suoi vestiti e vedendo Senju emozionata come da anni non la vedeva.

Era felice che la sostenesse in quella prova, pur sapendo che, ormai, più lei andava avanti, meno aveva bisogno della sua presenza nella vita, comprendendo di averla persa anni fa, quando l’aveva trovata in lacrime davanti ad Haruchiyo con la bocca spaccata, mentre lui era lontano da loro, seduto con Shinichiro a ignorarli.

Wakasa aveva preso il suo posto, senza cattiveria, infiltrandosi piano e ricucendo le spaccature di Takeomi.

Wakasa.

Wakasa che odiava i bambini.

Era riuscito nell’essere il fratello che Senju aveva sempre meritato e necessitato al suo fianco.

E lo pensava da anni, da quando anche Shinichiro, ridendo, gli aveva fatto notare quanto Senju fosse felice a fianco a Wakasa e, l’unica cosa che la sua mente era riuscita a partorire, era che ci fosse un interesse amoroso da parte dell’uomo, attratto dall’innocenza di sua sorella.

Invece non c’era nulla.

Wakasa era la persona più pura e trasparente che conoscesse, dopo Shinichiro. Era neutrale e aveva smesso di sorridere dopo la morte del ragazzo, ma ciò lo aveva reso ancora meno misterioso, più diretto e onesto, non aveva bisogno di nascondere i pensieri o ciò che provava.

Takeomi ci aveva messo anni a capirlo e ora era un semplice spettatore, mentre sua sorella lo aveva abbandonato come lui aveva fatto con lei e Haruchiyo:

“Posso farcela!”

Era convinta la ragazza, schiaffandosi le mani in faccia piena di grinta, mentre Wakasa le alzava il cappuccio sulla testa, accarezzandole i capelli:

“Devi conquistarli tutti, principessa, non lasciarne fuori neanche uno.”

L’aveva vista crescere, Takeomi, ma non l’aveva mai guardata sul serio.

E ora si domandava perché lui, nei suoi ricordi, non ci fosse mai, ma sempre Wakasa.

Perché di ogni uscita tentata con qualche nuova amicizia di Senju, al suo fianco c’era sempre Wakasa, perché era sempre lui ad aiutarla a truccarsi e vestirsi e perché lei glielo chiedeva sempre al ragazzo e non a lui?

Perché nei combattimenti corpo a corpo, seppur aiutato da Benkei, era sempre Wakasa a metterla al tappeto, ad aiutarla a rialzarsi e a correggere la postura, alzandole il braccio o spostandole la gamba?

Perché nelle parole e negli atteggiamenti, Senju rimarcava molto il dizionario di Wakasa, i suoi termini preferiti, i suoi modi di dire, quasi imitando anche il suo stesso tono piatto e annoiato quando lei non era invasa dalla sua classica felicità?

Perché non ricorda di aver mai preso una piccola Senju in braccio, ma ha chiaramente flash di lei che si addormenta tra quelle di Wakasa, stretta attorno alla sua felpa, con il suo piccolo braccio a circondargli il corpo e la testa nascosta nell’incavo del suo collo?

Perché non sente il calore della mano di Senju nella sua, ma è convinto che Wakasa invece lo conosca bene, avendola spesso tenuta quando era più piccola e più distratta, sempre desiderosa di scoprire luoghi nuovi e di trascinarlo con sé all’avventura?

Perché Wakasa e non lui?

Lui era suo fratello, no?

E allora perché?

“Takeomi.” L’aveva richiamato Senju, muovendo la testa di lato, confusa sul perché non lo ascoltasse: “Io e Waka stiamo per iniziare la nostra prima riunione visto che è tornato anche Benkei, vieni con noi così ti ufficializzo vice?”

Gli aveva chiesto neutrale, senza interesse effettivo nel farlo, senza emozione e senza impazienza: era una leader che non provava nulla per il suo vice, che fosse ammirazione o semplice bene:

“Va bene, arrivo.”

Suo fratello ora era “Waka”, non più Takeomi. Lui era semplicemente Takeomi e tale sarebbe rimasto. Per sempre:

“Proteggimela.”

Aveva detto a Wakasa, appoggiandogli la mano sulla spalla poco dopo che Senju era uscita.

Wakasa non lo aveva guardato, neanche distrattamente.

Si era sistemato l’uniforme e aveva seguito la sua principessa:

“L’ho fatto da prima che tu me lo chiedessi.”

E lo aveva lasciato indietro, ricongiungendosi con Senju che gli porgeva ancora la mano, perché aveva bisogno, soprattutto in quel momento, di sostegno, e solo lui poteva darglielo con naturalezza.

Ed era proprio così.

Takeomi era rimasto indietro, bloccato in un negativo legame di sangue dal quale uno dei suoi fratelli si era già staccato e adesso era stata la volta di Senju.

Perché Wakasa odiava i bambini.

Li odiava con tutto se stesso.

Ma Senju era una bambina.

Ed Emma lo era stata prima di lei.

Emma lo sarebbe rimasta per sempre.

Mentre Senju stava diventando una donna.

E Wakasa odiava i bambini.

Ma era pronto a proteggere l’unica che avesse genuinamente amato più della sua vita.

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