Abbrivio

di Vento di Levante
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***



Capitolo 1
*** 1. ***



 

Blackbeard è capitano di una nave fantasma.

La ciurma sarà pure ancora fatta di persone vive (per ora - forse - e Lucius è caduto fuori bordo aprenderseloèstatoilmare); lui stesso ancora trascina la sua carcassa sul ponte, sul castello di prua, guida arrembaggi perfino - o almeno suppone che sia di questo che si tratta quando si trova perso a tratti fra il fumo e le grida - nel fischio delle pallottole che assomiglia a quello assordante del silenzio, con le dita bagnate di sangue e la gola raschiata dalle urla.

A quel punto si spegne come una torcia caduta nell'acqua, e nessuno, né del suo equipaggio nè tantomeno sulla nave assaltata, osa fermarlo mentre senza una parola si ritira nelle profondità della Revenge, come un mostro marino che torni a inabissarsi allo stesso modo in cui era emerso, senza spiegazione.

Qui, ritrova i suoi fantasmi.

Non importa con quanta furia si accanisca contro i tendaggi e le ridicole imbottiture di piuma, quanto patetico sia il frullo delle pagine dei libri gettati oltre la murata, quanto la seta lacerata dal coltello dia un lamento orribile come di cosa viva: non serve a scacciare la presenza di Stede Bonnet che impregna ogni angolo della nave e che Blackbeard sente premere addosso come il calore di una notte tropicale, e che gli chiude la gola ogni volta che mette piede in cabina.

E' per questo che odia la Revenge con ogni fibra del suo animo, è per questo che non riesce ad abbandonarla.

Perfino Izzy ha rinunciato a dirgli di incendiare quella dannata trappola, affondarla, lasciarla schiantare su una scogliera; ha dovuto desistere perché l'unica a rispondere a quelle proposte era sempre la canna della pistola.

Nelle notti senza sonno passate nella nicchia dell'alcova sente oscuramente che i suoi giorni passati a corteggiare la morte non dureranno a lungo, che un'esistenza come la sua non può finire se non nel sangue, che è stata una follia pensare che potesse mai essere altrimenti.

Il fantasma di Stede Bonnet siede tristemente ai suoi piedi, silenzioso.

 


 

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Capitolo 2
*** 2. ***



 

"...ah." commenta Oluwande intrecciando le dita. "Questo spiega un po' di cose."

Stede, che ha appena finito il suo racconto, per un momento smette di remare. Si fa piccolo sotto il peso di un presentimento. "...Cose?"

Oluwande alza gli occhi al cielo, e poi comincia il proprio racconto.
Quando finisce, il sole è tramontato e stanno spuntando le prime stelle: fanno loro eco le luci della Repubblica dei Pirati all'orizzonte.

"Oh, Ed." mormora Stede, coprendosi la bocca con le mani.

"Vi auguro di non trovarvelo davanti tanto presto, Capitano, signore," sospira Oluwande, che nel frattempo ha caritatevolmente preso i remi. "Ma, se succede, non usate quel nome."

Stede abbassa lo sguardo. "Badminton - l'altro Badminton. Non quello che ho ucciso. Voglio dire... Be', insomma. Quella notte mi disse che rovino tutto ciò che tocco."
Si sforza di esibire un sorriso che è una smorfia tragica. "Sembra proprio un destino ineluttabile, vero?"

"Inelu- con rispetto parlando, Capitano, non so di che accidenti state parlando." risponde il marinaio guardandolo un po' di traverso.

"Uh-hm." annuisce Stede. Tutta l'energia che lo ha portato qui remando su un guscio di noce sembra svanita come acqua nella sabbia.

"Vuol dire - vuol dire che sono in una specie di trappola. Che sono una trappola." si corregge, con una risata malferma.

Nella presenza o nell'assenza, è una rovina per Ed.
Non avrebbe mai dovuto avvicinarsi a lui.
Non avrebbe mai dovuto -

"-mi avete sentito, Capitano..?"

Di colpo Stede alza lo sguardo, battendo le palpebre; il buio è quasi totale, e se non altro è piuttosto sicuro che non sia possibile distinguere lo scorrere delle lacrime.

"Chiedo scusa, devo essermi assopito." esclama, con voce acuta. "Lunga giornata ai remi!"

"Non dovete rispondermi per forza..." avanza cautamente Oluwande. "Ma... quando Blackbeard, uh, Edward... vi ha detto di essere felice. Perché non gli avete creduto?"

Stede batte le palpebre come un gufo.

"...e perché, invece, credete a quello che vi ha detto Badminton?"

Stede resta muto, rendendosi lentamente conto di non avere una risposta.

"Io non so bene se esista un destino, eruttabile oppure no." mormora Oluwande, lo sguardo fisso sui moli della Repubblica ormai vicini. "Ma ci sono le cose che facciamo."

Torna a guardare in viso Stede. "E sbagliamo se pensiamo che siano così piccole da non contare."

Un sommesso thud segnala che hanno toccato terra.
E' una piccola spiaggia poco lontano dalla città, e non c'è nessuno tranne loro e una luna enorme, appena spuntata.
Stede scende dalla scialuppa con le gambe così aggranchite che quasi le onde lo fanno cadere.

Quasi.

Appena la barca è in secca si dirige verso la città.

"E adesso dove andiamo?" arranca Oluwande alle sue spalle.

Stede lo guarda, e risponde come se fosse la cosa più naturale del mondo.

"A riprenderci la Revenge."

A riprendere la ciurma.

A riprendere Ed.

 


 

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Capitolo 3
*** 3. ***



 

Una palla colpì l'alberatura in un'esplosione di schegge, proprio mentre ogni muscolo nel corpo di Stede si tendeva per parare il fendente che minacciava di aprirgli in due il cranio.

Con uno sforzo disperato respinse la lama e guadagnò qualche passo indietro, lottando per non scivolare sul ponte scosso da paurose oscillazioni.

"Va bene!" Gridò, alzando la mano, "non devi ascoltarmi!"

Ed ruggì tuffandosi in avanti, quasi al punto da perdere l'equilibrio - e quasi al punto da infilzare Stede con un affondo furioso.

Stede balzò ancora indietro, riuscendo a riparare dietro al timone.

La nave era in fiamme e nessuno badava più a pilotarla, e nello spesso fumo che saliva vorticando dalla stiva era ormai impossibile capire da dove giungesse il cannoneggiamento delle navi della marina.

"Non ascoltarmi, ma andiamo via di qui!" gridò Stede mentre un altro colpo di cannone centrava più in basso le finestre della cabina, con uno schianto di vetri infranti.

Tanto sarebbe valso cercare di fermare la burrasca. Ed lo incalzò alternando i colpi di spada a feroci affondi con il coltello, gli occhi lampeggianti fissi su di lui come se potessero incendiarlo, davvero simili ai tizzoni ardenti dei racconti.

Eppure, con un colpo ben assestato finalmente la sciabola di Ed volò lontano, e Stede stava per riprendere fiato per parlare, addossato alla parete del castello di prua - quando Ed gli si fece di nuovo sotto, incurante della lama puntata contro il proprio petto, con uno sguardo più acuminato del pugnale nella sua sinistra - e - e - Stede gettò la spada.

Quasi nello stesso istante, il coltello di Ed penetrò di quattro dita nella parete del castello, a un soffio dal suo orecchio.

Stede rimase immobile, il frastuono del fasciame che si spezzava quasi coperto dal rimbombo del cuore nelle orecchie.

Edward gli era alla gola, la sinistra aggrappata al pugnale e la destra avvinghiata alla sua camicia, digrignando i denti così vicino al suo collo da fargli temere per la sua giugulare.

"...Ed-" balbettò, cercando di intercettare il suo sguardo - pentendosene nel momento in cui si trovò inchiodato da uno sguardo di sotto in su, gelido come l'acciaio e più tagliente di qualsiasi lama.

"Non saresti dovuto tornare." sussurrò Edward in un ringhio talmente basso che fece vibrare il suo petto e quello di Stede insieme.

Non erano così vicini da quel tramonto fatidico sulla spiaggia - così lontana adesso che Stede si sentì quasi mancare il cuore.

Quasi.

Sfiorando con lo zigomo la lama del coltello, riuscì a chinare il capo quel tanto da guardare Ed dritto negli occhi. "Non me ne sono mai andato." bisbigliò in un soffio, sentendo il sangue sgorgare lungo la guancia.

 


 

Quella pietra focaia che era il cuore di Edward Blackbeard Teach diede in un'altra dolorosa fiammata.

Non credeva ne fosse ancora capace; pensava di averla, insieme a tante altre cose, scaraventata in fondo al mare.

"Taci!" ruggì, sentendo bruciare gli occhi e la gola come il fuoco dell'incendio - e prima di accorgersene aveva lasciato il coltello per premere con tutto l'avambraccio sulla gola esposta di Stede Bonnet, per non dover sentire più la sua voce, per non dover ascoltare altre bugie, per far tacere una volta per tutte il boato del Maelstrom che gli vorticava in petto da quando ne aveva strappato via il cuore.

Non voleva sentire, non voleva vedere, nascose il viso sul braccio che stava premendo senza guardare su quel collo nudo e bianco.

E poi, con orrore, sentì il tocco di una mano - quasi impercettibile - quasi già un fantasma - con delicatezza infinita accarezzargli i capelli.

La diga cedette di schianto.

L'urlo del gorgo nero che aveva in petto venne fuori dalla sua gola come la voce dell'uragano.

Poi un'esplosione, un urto, e il mondo divenne buio.

 

 


 

Edward Blackbeard Teach sapeva che il suo destino era nel fondo del mare.

Ogni marinaio, in fondo, lo sa; tante volte era già sfuggito alle sue lunghe dita insidiose, sopravvissuto senza sapere come, risputato fuori su una spiaggia o su un relitto sotto la luna.

Ora doveva essere la resa dei conti.

Quando dischiuse gli occhi, senza sapere più dove fosse l'alto e dove il basso, il petto insieme gelato e in fiamme, pensò che finalmente gli abissi lo reclamavano come cosa propria, per ornare con le sue ossa le distese di lunghe alghe e i mosaici di corallo, a rendere l'anima al diavolo o a chiunque governasse capricciosamente le viscere dell'oceano.

Eppure, proprio un momento prima di perdere nuovamente conoscenza, si sentì afferrare e strappare via a forza dal suo letto di gorgonie, trascinato verso la perlacea superficie un milione di braccia sopra la sua testa.

 


 

Onde.

Il lento respiro sonnolento del mare.

Sabbia tiepida sotto le dita, il calore dei primi raggi del mattino.

Edward Blackbeard Teach tornò lentamente cosciente di essere vivo.

Non aveva la forza per aprire gli occhi, ma andava bene così.

Aveva il rumore delle onde da ascoltare, la sabbia calda sotto le mani.

Un tepore delizioso che dalla nuca e le spalle si irraggiava lungo la schiena, al petto, fino sul viso.

Era confortante, era abbastanza.

Inspirò l'odore dell'onda, bevve il tepore del sole.

Si lasciò sfuggire un sospiro.

"Oh, Ed." mormorò una voce, sopra di lui. "Grazie a Dio."

Edward Blackbeard Teach aprì lentamente gli occhi.

Chino sopra di lui, Stede Bonnet aveva tutta l'aria di essere sul punto di piangere.

Ed si rese conto di giacere lungo disteso con il capo sulle sue ginocchia, che una mano di Stede era posata sopra la sua fronte.

Corrugò le sopracciglia, confuso; ma quasi subito dovette richiudere gli occhi.
Si sentiva avviluppato da una stanchezza pesante come piombo.

"...Stede..?" farfugliò, sforzandosi di sollevare una mano dalla sabbia. Un'altra mano, calda e ferma, afferrò la sua.

"Sono qui." mormorò la voce di Stede, da qualche parte sopra di lui, un milione di braccia più in alto eppure incredibilmente vicino.

E senza più opporre resistenza, con un breve sospiro, Ed si lasciò rapidamente scivolare in un sonno profondo.

 


 

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Capitolo 4
*** 4. ***



 

"...dovremmo andare a cercarli?"

"E dove?"

"...lungo la riva, laggiù..?"

"Ay, la spiaggia era a un tiro di sasso; niente affatto difficile per un buon nuotatore."

"...da quando il Capitano è un buon nuotatore?"

"Se volete recuperare il Capitano, a me sta bene, ma Blackbeard va in pasto ai granchi."

"Ssshshshhssssshhh!"

"...è tutto a posto, Pete, non può sentirci."

"E se fosse sotto lo scafo?"

"Se davvero Blackbeard è insieme al Capitano Bonnet, non lo mollerà tanto facilmente."

"Oh Dio, gli avrà già fatto ingoiare tutte le dita."

"...Swede, fidati, non è questo che gli vorrà far ingoiar-"

"ROACH."

"...ah, mierda..."

La discussione stava già prendendo una svolta accesa, quando Mr. Buttons si levò in tutta la propria dinoccolata statura, facendo dondolare l'intera scialuppa.
Misurò la ciurma con sguardo profetico. "Per la nostra sopravvivenza," scandì, solenne "è categorico e necessario che i due capitani battano chiodo quanto prima." 

"Per la vostra sopravvivenza, finitela di parlarne!!! Cabrònes, la madre que ve parió..."

"Il dramma è che purtroppo è così, Jim." bofonchiò Lucius con una smorfia. "Possiamo solo pregare che stiano davvero -"

"MIRA LO QUE DICES, HOMBRECITO-"

"Aaaaaaah no, Jim, non i capelli, i capelli - Jim!! Olu, fai qualcosa!"

"E che vuoi che facciamo, amico?" alzò le spalle Oluwande, staccando pazientemente da Lucius un Jim inferocitə. "Possiamo solo sperare che Stede Bonnet sia migliore come amante che come capitano."

"Nay, non è un rischio che possiamo correre, in piena coscienza." sentenziò Mr. Buttons con un lento dondolio del capo. Guardò il cielo con aria assorta. "E neppure la luna sarà giusta, stanotte. Toccherà senza fallo che si distilli un filtro."

"Cos."

"Un filtro. Una pozione. Un intruglio di Venere. Una sveltina beverina. La nonna su a Portree ne preparava una infallibile. Ma bisogna farla bollire con la prima neve dell'anno e usarla prima della Dodicesima Notte."

"La prima cosa di cosa?" interloquì Frenchie con una smorfia. "Buttons, amico, tua nonna era mica una strega..?"

Mr. Buttons strabuzzò gli occhi perplesso, senza rispondere. Tacque per qualche istante e poi mormorò fra sè, "Molta nostalgia di Karl. Lui avrebbe saputo cosa fare."

Per un po', tutti rimasero in silenzio, a guardare la riva dalla scialuppa sovraccarica che galleggiava a malapena.

"...in ogni caso, meglio arrivare a terra, prima che la corrente ci porti al largo." borbottò Pete afferrando un remo. Lo guardò nervosamente, e poi alzò uno sguardo costernato. "...E se arriviamo sulla spiaggia e li troviamo lì?" 

"Facciamo che intanto proviamo ad arrivare sulla spiaggia." bofonchiò Oluwande mettendosi ai remi a propria volta e facendo un cenno col capo a Wee John e Swede perché facessero altrettanto.

Lentamente, la scialuppa cominciò a muoversi sotto il sole ormai alto. 

"Un'altra pozione infallibile si potrebbe fare anche senza luna, e per tutto l'anno. Ma serve del biancospino."

"Sì, Buttons, amico, meglio non -"

"E un baffo di gatto."

"Pensiamo a trovare da mangiare prima, magari..?"

"E un pelo di donna."

"..."

"..."

"Jim, quando hai finito di annegarlo, posso avere io il suo flauto?"

 


 

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Capitolo 5
*** 5. ***



 

Togliere gli abiti fradici di dosso a Ed non era un affare da poco.

Per la verità, era stata un'impresa titanica anche soltanto arrivare al riparo di una porta chiusa.
Adesso, però, in quella minuscola stanza con un letto e una finestrella piena di sole, Stede era alle prese con un tipo di difficoltà del tutto nuovo.

Per il suo primo naufragio, trovava di non essersela cavata poi male; era vivo, ed era vivo anche Ed.

Aveva ancora sotto la pelle gli istanti terribili in cui l'aveva perso di vista fra le onde, il tuffo al cuore nello scorgerlo fluttuante sotto braccia e braccia d'acqua verde, il terrore che i polmoni cedessero prima di riuscire a raggiungere la superficie.

Stede batté le palpebre per tornare al momento presente, a Edward ancora incosciente e riverso sul piccolo letto inondato di sole.

Era più magro e affilato di quanto l'avesse mai visto; la barba, ricresciuta a metà, nascondeva a malapena le guance incavate; e se l'acqua del mare aveva sbiadito il colore nero dal viso, non aveva potuto cancellare l'ombra scura di profonde occhiaie.

Stede gli posò una mano esitante sulla fronte; scottava.

Chissà, forse Edward era febbricitante già da prima di cadere in acqua.

Stede si riscosse, prese il coraggio a quattro mani e affrontò l'impresa.

Sembrava una cosa sacrilega toccare Edward mentre dormiva, privarlo della giacca, degli stivali, dei guanti; decisamente più strati di quanto fosse ragionevole indossare sotto il sole tropicale.

Stede si trovò a sorridere fra sé; era probabile che l'equipaggio avesse pensato lo stesso di lui, in passato.

Quando Edward lo aveva raccolto - letteralmente raccolto - era anche lui pallido e inerme, implume e sperduto come un pulcino caduto dal nido.
Non esattamente una prima impressione brillante.

Ma Edward, Edward era fatto della stoffa degli eroi; anche sofferente, anche vulnerabile, rimaneva magnifico: i riccioli della barba e i lunghi capelli sparsi sul cuscino sembravano appartenere alla collezione di incisioni nei suoi libri.

Quando fu il momento di sfilare la maglia sottile che Ed portava a contatto con la pelle, quindi, Stede dovette mettere a tacere a forza il subbuglio del cuore.

La linea delle spalle di Ed, il disegno dei tatuaggi che si allungavano dal petto fin dietro la schiena, il rilievo delle cicatrici - quante cicatrici - l'avvallamento dolce dell'ombelico; Stede si costrinse a non soffermarsi e ad andare oltre, finché non arrivò con mani tremanti ad affrontare la cintura.

Fu esattamente a quel punto che, con un flebile lamento, Ed decise di svegliarsi.

Stede si ritrovò di colpo sotto i suoi occhi spalancati, con le mani sulla fibbia dei suoi pantaloni e un'espressione fatalmente colpevole dipinta in volto.

Il momento di silenzio che seguì sembrò dilatarsi come un pallone d'aria calda.

"...Merda." soffiò a bassa voce Ed dentro la barba.

"Uhm." elaborò eloquentemente Stede, senza togliere le mani dalla sua cintura.

Stava quasi per riuscire a radunare le parole necessarie a spiegare che, sì, aveva eccellenti ragioni per spogliarlo nel sonno, quando lo sguardo di Ed si velò in un'espressione dolorosamente sperduta.

"...sei vero?" bisbigliò a voce quasi inudibile, gli occhi lucidi di febbre.

Con una stretta al cuore, Stede allungò d'istinto una mano per toccargli la fronte; ma Edward si ritrasse di scatto.

"No." mormorò scrollando la testa, scosso da un brivido che gli faceva battere i denti. Fissò su Stede occhi che faticavano a mettere a fuoco. "Vattene." digrignò, sforzandosi di sollevarsi sui gomiti.

Stede si sentì sprofondare di nuovo in acque gelide; ma strinse le labbra e tacque. Qualsiasi cosa Ed avesse da dirgli, doveva ascoltarla.

"Ti voglio fuori dai piedi, Stede," rincarò Ed con voce spezzata. "Ti voglio - morto." Il suo sguardo cercava qualcosa a cui aggrapparsi per non guardare Stede in faccia.

"Ti voglio - ti voglio -" e una smorfia di dolore gli chiuse gli occhi, mentre crollava di nuovo sul cuscino, e a quel punto la mano di Stede volò da sola a toccargli la guancia.

Con un singulto che gli tagliò il fiato, Edward premette il viso sul suo palmo e rimase così.

Per Stede fu uno sforzo terribile trattenere il singhiozzo che gli chiudeva la gola; ma si morse le labbra e rimase immobile, mentre avvertiva sulle dita il calore di lacrime silenziose.

Ed scottava come una fornace e allo stesso tempo aveva la pelle d'oca. Non ci volle molto perché la febbre avesse ragione di lui.
Ricadde presto addormentato, percorso da violenti brividi.

A quel punto, in silenzio e senza altre esitazioni, Stede finì di spogliarlo, si sfilò a propria volta gli abiti ancora bagnati e scivolò al suo fianco nel minuscolo letto.

Stese alla meglio la coperta logora su entrambi, e poi strinse Ed a sé, la sua schiena contro il proprio petto.

Il cuore gli batteva a tonfi violenti.

L'odore della pelle di Edward.

La curva del suo orecchio fra i capelli scarmigliati, la spalla istoriata di tatuaggi.

Sembrava impossibile averlo così vicino.

Stede era una brocca colma fino all'orlo; gli occhi gli si riempirono di lacrime. Pianse in silenzio, premendo la fronte fra le scapole roventi di Ed.

Alla fine, però, la stanchezza ebbe la meglio anche su di lui; dopo qualche minuto, dormivano entrambi.

 


 

Ed si era svegliato nel mezzo della notte con la vaga consapevolezza di avere sete.
Ma non gli andava affatto di alzarsi.
Era raggomitolato in un dormiveglia favoloso , un confortante tepore da cui non aveva nessuna voglia di uscire.

Cercò di tornare a rifugiarsi nel sonno, accoccolandosi più strettamente su se stesso; quando di colpo si rese conto della calda pressione di braccia intorno al proprio petto.

Spalancò gli occhi.

La sua confusione durò appena una frazione di secondo; i ricordi del giorno precedente gli piovvero disordinatamente attorno, uno dopo l'altro.

La ragione del meraviglioso calore in cui si stava crogiolando era Stede.

Da un momento all'altro, Ed divenne dolorosamente cosciente del petto di Stede premuto sulla propria schiena, del suo respiro a meno di un pollice dalla sua nuca.

Il cuore iniziò a battergli con tale forza che era questione di istanti, pensò, prima che il rimbombo svegliasse Stede, tutta la casa, tutti i Caraibi - mentre Ed era completamente certo che al minimo rumore, al minimo movimento l'incantesimo si sarebbe spezzato, e -

...E poi Stede si mosse nel sonno, attirandolo più vicino a sé con un mormorio indistinto, e Ed si lasciò sfuggire qualcosa che assolutamente non era un piagnucolio.

Il respiro regolare di Stede si interruppe.

Seguì un istante di immobilità completa.

"...Edward?"

Dentro il cranio di Ed suonò l'allerta massima.

Si chiese quanto avrebbe potuto essere convincente se si fosse finto morto.
Si chiese se Stede gli avrebbe permesso di rimanere lì, così, finché non fosse morto sul serio.
Si disse che non ci avrebbe impiegato poi molto.
Si disse che tanto valeva iniziare immediatamente, che non restava che rimanere pietrificato in quella posizione finché morte non fosse sopravvenuta, che forse se avesse semplicemente smesso di respirare -

"...Va tutto bene?"

...e la voce di Stede era talmente piccola e piena di ansia da provocare a Ed una fitta di dolore.
Annuì rapidamente, ancora incapace di spiccicare parola.

Anche nella penombra, Stede dovette cogliere il gesto perché si rilassò impercettibilmente, con un piccolo sospiro che Ed avvertì sulla pelle nuda, dolce come miele e bruciante come una scudisciata.
Desiderò intensamente di trasformarsi in schiuma marina.

"Bene." raspò, cercando di placare il cuore al galoppo. "Tutto bene."

La mano destra di Stede riposava sul letto a meno di un pollice dalle sue labbra.
Ed lottò ferocemente con il desiderio di baciarla.

Come se gli avesse letto nel pensiero, Stede si fece più indietro, ritirando la mano e il confortante calore del proprio corpo.

Ed dovette trattenere fra i denti quello che, d'accordo, era decisamente un piagnucolio.

"Ed." disse la voce di Stede da dietro di lui, di nuovo così piccola e desolata da stare nel palmo della mano. "Edward, so che non potrai perdonarmi."

Ed si strinse nelle spalle più che poté. Il desiderio di svanire, di sprofondare in fondo al mare si fece prepotente.

"...e forse è ancora egoista da parte mia, volere a tutti i costi incontrarti e parlare."

Ed rimase immobile, quasi senza respirare, teso in ascolto con tutto il corpo; nello stesso tempo avrebbe voluto essere da qualsiasi altra parte e bere avidamente ogni parola.

"E' che non posso continuare a vivere se prima non ti dico questo, Ed."

Il battito del cuore, un fuoco incrociato di cannoni spianati.

"Ho sbagliato. Porterò con me il rammarico per tutta la vita. E, Ed..."

 

Tum.

Tum.

Tum.

 

"Ed. Ho capito che ti amo."

 



Ed si voltò con una rapidità che non avrebbe dovuto essergli possibile, affondando le dita sulle spalle di Stede - per respingerlo, per trattenerlo? - gli occhi nascosti dall'inclinazione del capo.

Stede non osava quasi respirare; la confessione che aveva appena fatto era il punto di arrivo di un viaggio che aveva intrapreso da solo, quel mattino su una spiaggia ormai lontana, e ora che lo aveva raggiunto si sentiva improvvisamente sospeso nel vuoto, sfinito e spaventato.

Nell'oscurità, non distingueva che i riflessi argentei dei capelli di Edward; sentiva la presa delle sue dita affondargli spasmodicamente nella carne, e il sotterraneo tremito che poteva ancora essere febbre, come no.

Prima, Stede pensava che la pena più grande fosse tenersi dentro quelle parole, che aveva portato fin lì come un fardello legato alla schiena; ma ora capiva che quello non era niente, ora che si era aperta la voragine di una domanda in attesa di una risposta.

Desiderava disperatamente vedere Ed in viso, ma tutta la sua determinazione sembrava essersi esaurita; gli restava solo una gran voglia di piangere.

"Sto...Sto morendo di sete." borbottò infine Ed senza alzare gli occhi.

Stede battè le palpebre, preso alla sprovvista come se avesse mancato un gradino.

Alla confusione però si sovrappose subito la sollecitudine per Ed, il ricordo della febbre, del fumo e del sale - e si rese conto di essere lui stesso molto assetato.

"Ah... Certo." mormorò, sfilandosi dalla morsa delle dita di Ed - rimpiangendolo nello stesso istante in cui si separava da lui - per raggiungere quasi a tentoni l'angolo della minuscola stanza, dove si trovava un tavolo con una brocca e un catino.

Ed bevve avidamente.

Stede non avrebbe voluto spiare come un ladro la sua figura tratteggiata dal chiarore lunare; ma al riparo dell'oscurità della stanza, cedette, divorando con gli occhi il palpitare della gola di Ed, il riflesso pallido della luna sui contorni del viso, delle braccia, delle mani; solo quando Edward abbassò la brocca, posando su di lui i grandi occhi scuri, Stede distolse colpevolmente lo sguardo.

"...vuoi?" gli chiese Ed a bassa voce, porgendogli da bere.

Stede sollevò la brocca con un debole sorriso - a cosa brindava, lì sull'orlo del precipizio? - poi bevve a propria volta, sperando che l'acqua fresca placasse insieme alla sete anche il bruciante calore che sentiva nel petto.

Inutile.

Quando abbassò il recipiente intercettò per un istante gli occhi di Ed, immensi e fissi su di lui; e senza sapere neppure come, un istante dopo era fra le sue braccia.

La brocca cadde a terra rompendosi in mille pezzi, ma Stede a malapena se ne accorse.

"Cristo, Stede," la voce di Ed soffocata sulla sua spalla - la stretta delle sue braccia come la forza invincibile dell'onda - "Maledizione a te, sei qui." - le sue mani che potevano uccidere e salvare, premute sulla sua schiena e l'ancora di salvezza del suo peso addosso - e tutte le parole volano via da Stede come gli spruzzi della mareggiata, sulle labbra solo Edward, i suoi capelli, la sua pelle, finché ritrova sulla sua bocca la promessa di quel bacio di tanto tempo fa, per restituirla con tutto il fervore di cui è capace, il cuore sulle labbra, offerto a Ed perché possa affondarvi i denti.

E' una scoperta, chi l'avrebbe immaginato, la vertigine di lasciarsi prendere dal ventre dell'onda, di sentirsi aprire le costole e lasciar entrare la lama squisita di un desiderio che come acqua salata, bevuto genera altra sete.

I baci di Edward hanno la dolcezza feroce di sorsate di rum, trascinano Stede in uno stordimento bruciante in fondo a cui cova un bisogno che lo divora vivo, ed è solo nell'ansito che esce dalla gola di Ed, canto di sirena, che si rende conto di essere avvinghiato al suo corpo come un animale affamato, una mano affondata fra i suoi capelli e l'altra possessivamente in fondo alla sua schiena, il viso nel suo collo per annegare nell'odore di Ed e leccare via il sudore e il sale e premere la lingua sul pulsare caldo del sangue e Stede non ne avrà mai abbastanza, la morte li sorprenderà così, fra un minuto o cent'anni, perché certe rivelazioni non ammettono ritorno.

 


 

 

NdA: sì, nelle ultime righe passo senza preavviso dal passato remoto al presente storico, abbiate pazienza, licenza poetica diciamo. Non ho finito di scrivere di loro, magari le prossime cose saranno meno naif e più curate ;)

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