la lettera

di silviaelena
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** emma ***
Capitolo 2: *** David ***
Capitolo 3: *** Mary Margaret ***
Capitolo 4: *** Emma ***



Capitolo 1
*** emma ***


EMMA CAPITOLO I
1° ottobre 2009.
Emma venne svegliata da un rumore improvviso, l’autista dell’autobus, un uomo sulla quarantina, di alta statura, capelli neri, viso duro, che portava degli occhiali rainban, quel tipo di occhiali che entra a far parte della vita della persona che l’ha comprata; frenò all’improvviso il pullman. L’uomo schiacciò con decisione il clacson, con voce profonda incominciò a urlare contro la macchina che aveva causato la frenata improvvisa. Quel momento di tensione durò pochi secondi, quando l’autobus ripartì anche la furia nella voce dell’autista si placò, lasciando il posto ad un borbottio sommesso di lamento nei confronti di chi non sapeva guidare. Anche i passeggeri che si erano sentiti minacciati dall’improvvisa alterazione del normale traffico ritornarono ai loro passatempi, qualcuno si limitava a commentare la mancanza di sicurezza nelle strade, altri, invece, criticavano le modalità di guida contemporanee che erano troppo pericolose.
Emma guardò il pannello che indicava la fermata successiva, riappoggiò la testa sul finestrino, mancavano ancora quattro fermate al capolinea.
Dopo solo un quarto d’ora, l’autista gridò “capolinea, scendere tutti. Emma sospirò, scese dall’autobus, l’aria fredda della prima mattina le colpì il viso, la brezza tipica di un’ordinaria giornata di ottobre.  Per Emma, però, quel giorno sarebbe stato tutto fuorché consueto. infatti, il primo ottobre 2009, sarebbe stato il giorno in cui avrebbe visto, per la prima volta dal vivo, sua sorella: Mary Margaret.
Mary Margaret per Emma rappresentava una figura perfetta, misteriosa, un’eroina. Non la aveva mai conosciuta, mai vista dal vivo, aveva visto solo poche foto che erano appese nella casa. Ogni volta che guardava quelle immagini, Emma immaginava di parlarle, di chiederle consigli, di fare con lei, le tipiche cose che si fanno tra sorelle, nonostante la grande differenza d’età che intercorreva tra le due: 30 anni. Per tutta la sua vita Emma sognò di incontrarla, di abbracciarla e che finalmente si sarebbero frequentate.
Da piccola, non riusciva a capire perché suo padre, Leopold, si rifiutasse di incontrarla o di, semplicemente, parlarne: ogni volta che Emma cercava di introdurre l’argomento, Leopold diventava rosso in volto, gli occhi neri si indurivano, e le urlava che non sapeva niente e se avesse saputo la verità non ne avrebbe voluto parlare. Per molti anni quella discussione finiva così, ma giunto il suo ottavo compleanno, 2 anni fa, Emma non si accontentò più della risposta del padre, lei voleva saperne di più, perché non poteva conoscere sua sorella, cosa era successo. Leopold si alzò dalla sedia “allora sei stupida, non capisci niente.” Si avvicinò alla figlia che sedeva nel capo opposto del tavolo, nei suoi occhi pieni d’ira, si poteva intravedere una fiamma. “bene, se proprio vuoi sapere perché io non posso vedere la mia primogenita, te lo dirò.”
Emma, sentì il cuore batterle velocemente, talmente forte che aveva timore che potesse uscirle dal petto.
“tua sorella se ne è andata perché sei nata tu. Non ti voleva nella sua vita, lei era già una donna e non poteva sopportare di vederti. Io ogni tanto la vedo, ma è per colpa tua che non la posso vedere tutti i giorni. Sei contenta ora? Vai a dormire e non mi scocciare più.”
Tutto il mondo di Emma crollò in un secondo, la figura di una sorella amorevole e gentile, si sgretolò, insieme al sogno di avere una figura femminile nella sua vita, visto che la madre di Emma morì quando lei era molto piccola. La bambina visse i successivi due anni a interrogarsi su come una persona potesse odiarne un’altra a tal punto da perdere il contatto con il padre e con una vita precedente. Nei due anni seguenti si arrabbiò con quella donna nelle foto che l’aveva ingannata: una donna sorridente, capelli neri mossi, carnagione molto chiara, lineamenti dolci, gentili e caldi, occhi verdi. Quella figura che le aveva infuso tanta sicurezza quando era piccola, ora le ricordava quanto la sua sola esistenza avesse ferito un’altra persona. Quel sorriso che pensava fosse di gioia era soltanto sorriso di cortesia.
Emma interruppe il suo flusso di pensieri, quando venne colpita dalla spallata di un signore che si era seduto accanto a lei, il ritorno alla realtà le ricordò di controllare dove il pullman si trovava. Ancora tre quarti d’ora e poi sarebbe arrivata a Storybrooke. La bambina sospirò, il solo pensiero di trovarsi faccia a faccia con la sorella, con la persona che la odiava, le faceva venire i brividi; tuttavia, Emma era sicura che stava facendo la cosa giusta. Avrebbe fatto ciò che suo padre desiderava; anche se lui non era più sulla terra per poter assistere a ciò. Emma sentì qualche lacrima rigarle il viso, subito se le asciugò, si chinò verso lo zaino che aveva portato con sé, prese la lettera che si trovava nella tasca laterale. La aprì, subito sorrise alla vista della calligrafia di suo padre. Nonostante l’avesse letta almeno una decina di volte da quando, pochi giorni dalla morte del padre, l’aveva trovata nel comodino nell’ufficio del padre, ogni volta che la vedeva si emozionava. Quella lettera le aveva dimostrato che Leopold le voleva bene, nonostante la facesse uscire raramente, nonostante non l’avesse fatta andare a scuola o non le leggesse la fiaba della buona notte o non la abbracciasse. Emma, in effetti, non ebbe mai un grande rapporto con il padre, sicuramente tra i due non intercorreva il regolare rapporto padre-figlia sia perché quando Emma nacque Leopold aveva 62 anni sia perché l’unica volta che si vedevano era a cena: ognuno nel capo opposto della lunga tavola, molto spesso durante la cena l’unico suono era quello delle posate il cui tintinnio si diffondeva nella grande casa. Frequentemente Emma si immaginava il suono come un coniglio che saltava e che raggiungeva l’alto soffitto il quale caratterizzava la casa stile liberty, dove vivevano.
Emma, fin dall’età di 3 anni, la mattina restava in casa da sola. Ciò nonostante, era quello il momento della giornata in cui si sentiva meglio, in cui poteva definirsi libera, in cui si lasciava andare all’immaginazione.
Emma visse credendo che suo padre ce l’avesse con lei perché era stata la causa dell’allontanamento della figlia maggiore e della conseguente morte della madre di Emma avvenuta a pochi mesi dopo la nascita della figlia. Leopold sosteneva che la moglie fosse molto legata a Mary Margaret e l’allontanamento della donna avesse aggravato la depressione post partum e per questo si sarebbe lasciata andare.
In quella lettera, invece, emergeva un padre amorevole, non emotivamente distaccato che gli importava solo che la figlia non facesse rumore, un padre che forse avrebbe persino potuto dare delle carezze, cantare delle ninne nanne.
Cara Emma.
Non te l’ho mai detto, sei stata, sei e sarai per sempre l’orgoglio della mia vita, mi dispiace che non te l’ho mai mostrato.
Hai sempre mostrato tenacia, anche quando io mi arrabbiavo e ti urlavo contro. Mi dispiace sono stato molto ingiusto, non avrei mai dovuto dire che tu fossi uno sbaglio o che mi vergognassi di essere tuo padre. Ho sbagliato perché non è vero: io sono orgoglioso di essere tuo padre, sei stato il più grande dono che potessi mai ricevere, anche se sei stata una sorpresa. Mi dispiace, non sono stato sincero con te, la tua vita, dalla mia morte in poi, cambierà. Nella settimana successiva alla mia morte, tu non dovrai, per nessuna ragione al mondo, uscire. Per il mondo esterno, tu non esisti, per questo ti ho fatto uscire poche volte.
Ora ti devo chiedere di essere molto forte, e so che lo sarai, io dovrò morire. Papà deve proteggere un segreto. Nella cassaforte c’è una piccola cassetta, prendila, e portala a tua sorella, abita a Storybrooke. Lo so avrai paura ad incontrarla, spiegale quanto le vuoi bene e vedrai che ti vorrà conoscere. Dovrai essere molto forte dovrai dirle che sarò morto. Lo so sarà un compito molto arduo, ma io credo in te. Mostrale la tua gentilezza e vedrai che la farai stare meglio.
Mi dispiace tantissimo per quello che ti ho fatto, sono stato un uomo debole e mi sono fatto trascinare in un meccanismo più grande di me. Non aprire quella cassetta, lascia che se ne occupi tua sorella, lei è un adulto, suo marito è un giudice, avranno gli strumenti adatti per risolvere la situazione.
Fidati, piccola mia, anche se in questo momento tutto il mondo ti sembra sia sparito da sotto i tuoi piedi, ritroverai pace e sicurezza. Sarai felice, potrai avere una vita normale e giocare. Devi avere fede. Una settimana dopo la mia morte, potrai uscire e portare la cassaforte a tua sorella. Non potrai più vivere nella nostra casa. Ti ho lasciato tutti i soldi che avevo così potrai pagarti una stanza. Quando sarà passato lo stupore vedrai che tua sorella, sarà molto più che contenta di ospitarti. Avrai una famiglia. Potrai finalmente festeggiare un Natale, come quelli che ti ho descritto io.
Un abbraccio
Leopold. Il tuo vecchio.
Emma avvicinò la lettera al proprio naso affusolato, l’odore di suo padre le entrò nelle narici. Le lacrime, un’altra volta, le rigarono il volto. Il momento di emozione si interruppe quando l’autista gridò “ultima fermata, Storybrooke.” Emma si mise il cappotto verde acqua, lo stesso colore dei suoi occhi, si mise in spalla lo zaino e scese dall’autobus. Progressivamente la gente scesa dal pullman si dissolse in varie direzioni, permettendo a Emma di vedere le prime case di Storybrooke. La bambina sospirò per darsi forza e sussurrò “coraggio Emma, ce la puoi fare.” Subito otto tocchi di campane per indicare l’ora ruppero quel silenzio surreale e assordante. Si guardò intorno: davanti a sé Storybrooke e dietro una foresta. Emma si promise, se avesse avuto tempo, dopo aver parlato con la sorella, di esplorarla. Vivere nel verde era uno dei suoi più grandi sogni. Dopo pochi minuti, riuscì a trovare un piccolo bar. All’entrata si leggeva “Granny’s”, entrò nel locale all’interno del quale si trovavano poche persone, tutte ancora con la mente al letto, le voci sommesse, proprio per non disturbare lo stato di semi veglia. Emma si avvicinò al banco, troppo alto per lei, financo dovette sedersi su una sedia alta da bar per farsi vedere dalla barista. La bambina chiamo la barista “mi scusi, posso chiederle…”
la donna al banco si girò, rilevando dei grandi occhi verdi che contrastavano con il rosso acceso dei capelli e con la carnagione chiara.
“come posso aiutarti piccolina.”
“mi potrebbe fare una spremuta, per favore?”
“certo, piccolina.”
“grazie.”
La donna, dopo pochi minuti, diede alla bambina un bicchiere di spremuta.
“scusami la curiosità, ma non dovresti essere a scuola?”
“no, non sono mai andata a scuola. Poi ho dieci anni, ho superato l’età scolare.”
La donna sembrava confusa. Emma pensò fosse perché non dimostrava avere dieci anni. Uno degli svantaggi di sembrare più piccola della propria età è che tutti la trattavano come se avesse cinque anni. Finita la spremuta, si rivolse nuovamente alla donna
“mi scusi lei conosce Mary Margaret Blanchard? È sposata con David Nolan.”
“sì è mia amica. Perché la vorresti incontrare?”
Emma sentì gli occhi della donna pesare su di sè. Poi la donna continuò a parlare
“questa è una giornata molto pesante per lei. In questo giorno, nessuno la deve disturbare.”
“fantastico” pensò Emma “proprio quando la devo conoscere. E adesso cosa posso fare, ritorno indietro?” Decise di farsi coraggio, questo affare non poteva più aspettare, suo padre era morto da un mese. Se avesse aspettato ancora, non avrebbe più portato a termine il compito assegnatele. Era stato troppo difficile per lei fare il viaggio, non poteva riaffrontarlo un’altra volta.
“mi scusi, ma è veramente importante che io le parli.”
La donna sospirò “okay, lei abita in via dei ciliegi, 4. È un po’ fuori paese, è in campagna. Devi andare verso la torre con l’orologio, arrivata all’orologio giri a destra, ti troverai davanti ad un grande viale con degli alberi e da lì vai dritto. Sarà mezz’oretta da qua. Ma come ti ho già detto non credo sia il caso…”
“grazie mille. Arrivederci.”
Emma si sentì subito in colpa per aver interrotto un adulto, ma questa cosa era troppo importante. Non poteva essere fermata da nessuno. È vero, molto probabilmente si sarebbe fatta odiare dalla sorella, ma poco importava. In quel momento era prioritario dare la notizia e consegnare la scatola.
Emma uscì dal bar, incominciò ad avviarsi nella direzione della torre, l’aria si era scaldata, il sole illuminava ogni cosa e rendeva la cittadina ancora più colorata di prima. Tutto sembrava perfetto, ogni cosa si trovava nel posto giusto: le case erano perfettamente allineate, su ogni balcone vi erano dei fiori dal colore perfettamente abbinato alla casa, anche i piccoli negozietti entravano perfettamente nella fotografia. Questa perfezione la fece sentire ancora più fuori posto: una nota discordante all’interno di una melodia dolce ed elegante.
Girato l’angolo della torre, si trovò dinanzi ad un viale elegante. Ai lati della strada si trovavano alberi spogli. Molto probabilmente in primavera quel viale diventava un trionfo di colori.
Ogni passo in più, diventava sempre più pesante camminare. Ogni passo, mille pensieri occupavano la mente della bambina. Ogni passo, aumentava la preoccupazione e l’ansia nel dover incontrare la sorella. Emma, guardò il cartello, che si trovava davanti ad una strada sterrata, a giudicare dallo stato della strada ci passavano pochissime auto. Magari da grande avrebbe potuto vivere lì, sembrava un posto molto tranquillo. Dopo aver passato poche case e aver percorso ancora per dieci minuti la strada, vide parcheggiata una macchina molto grande.  Accanto alla macchina, un piccolo sentiero che portava ad una casa immensa. Il colore dell’abitazione richiamava quello del cielo, azzurro limpido, le ante e gli infissi delle finestre e la porta invece erano bianchi. Accanto e dietro la casa vi erano alberi, più o meno grandi. Tra due alberi si trovava un’amaca. Emma, notò anche un’altalena, lei desiderava avere un’altalena da tutta la sua vita, ma suo padre sosteneva che non l’avrebbe mai utilizzata perché non avrebbe mai avuto tempo per giocare. Emma aveva immaginato la casa di sua sorella, molto più austera, forse perché si immaginava una casa nera/grigia per una donna che odiava una bambina. Emma diede un’ultima occhiata alla casa, si avvicinò alla porta bianca, sorrise quando notò il piccolo quadratino in cui erano scritti i cognomi dei due coniugi ed era raffigurata una famigliola di sei orsi. Emma rimase interdetta, lei credeva che sua sorella avesse avuto tre figli maschi, magari dopo essersi trasferiti hanno avuto una figlia femmina. Ironia della sorte pensò Emma. Prima di bussare, sospirò, poi si fece coraggio, e bussò. Mentre aspettava, il cuore le batteva all’impazzata. Quando la porta si aprì Emma smise di respirare per pochi secondi.
La porta venne aperta da un uomo alto, muscoloso, i lineamenti forti ma allo stesso tempo dolci venivano risaltati dal taglio molto corto dei capelli biondi. David Nolan. Anche se sorrideva, Emma notò che gli occhi, azzurri come il ghiaccio indicavano che l’uomo avesse appena finito di piangere. La bambina voleva abbracciare l’uomo, ma sapeva che l’avrebbe spaventato. Eventualmente Mary Margaret si era confidata con lui, e quindi agli occhi di quell’uomo Emma era una persona da allontanare. Per questo la bambina decise che sarebbe stato meglio non presentarsi come sorella di Mary Margaret, ma come mera portatrice di un messaggio.
I suoi pensieri furono interrotti dalla voce dell’uomo “scusami piccola ma questa giornata è molto difficile per la nostra famiglia. Credo che Mary ti abbia detto che non fa, sedute in questo giorno…”
“no, no, c’è un malinteso, non sono venuta per una seduta. Mi dispiace disturbarvi in questo giorno ma… ma sono venuta a portare notizie di suo padre.”
Da dietro David arrivò una donna, i segni degli anni avevano lasciato passaggio anche sul corpo di Mary Margaret, gli occhi sembravano molto più spenti, rispetto a quelli nelle foto. Come se fosse sopravvissuta ad un dolore, quasi insopportabile.
“come notizie di mio padre. È malato?” chiese la donna.
Emma guardò dritto negli occhi della sorella, sospirò e disse con voce flebile
“forse è meglio che si sieda.”

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Capitolo 2
*** David ***


Ecco qua un nuovo capitolo, spero vi piaccia. Intanto vi auguro buona Pasqua.
 CAPITOLO 2
DAVID
David Nolan venne svegliato dall’allarme della sveglia. Guardò la data 01/10/2009, un sospiro di tristezza e malinconia, lasciò le sue labbra. Il primo ottobre da 10 anni era una data che avrebbe voluto eliminare dal calendario. Da 10 anni era un giorno di disperazione, era il giorno in cui si sentiva fragile, incapace, ma soprattutto era il giorno che gli ricordava di aver fallito come padre.
 L’uomo si girò verso la moglie, Mary Margaret, che ancora dormiva. La baciò sulla bocca, il più leggero possibile, in modo tale che non si svegliasse. Quanto la amava, pensò David.
 Uno degli aspetti che più lo ferivano in questo giorno era vedere sua moglie, la sua compagna, la sua migliore amica, la madre dei suoi figli, soffrire e non riuscire a lasciare andare. Questo malessere lo trasmettevano anche ai loro figli, tanto che quando erano ancora bambini, la madre di David, Ruth, li portava fuori, cercando di rendere ai piccoli, la giornata meno pesante.
 Il flusso di pensieri si interruppe quando sentì dal piano di sotto delle urla. In quel giorno persino una semplice litigata sembrava un di più. Difatti il primo ottobre, per David, il mondo si fermava, la vita non esisteva più, ogni cosa perdeva senso e valore. Il solo respirare rappresentava un lusso di cui lui, David Nolan, non era più degno, non dopo quello che era capitato il primo ottobre di 10 anni prima. Tuttavia, la vita non si poteva fermare per i loro tre figli, non era giusto per loro. Per questo David, quando i tre ragazzi erano in casa, cercava di comportarsi il più normalmente possibile e li spingeva ad uscire e a liberarsi di quella cappa opprimente che avvolgeva tutta la casa in quella giornata.
Quando scese nel piano di sotto, vide Henry, il più giovane dei suoi figli, cercare disperatamente lo zaino e urlare “Marco, ridammi lo zaino, facciamo tardi.” David subito scorse l’altro figlio, Marco, che aveva sul viso quel suo ghigno che spesso gli compariva sulla faccia quando faceva qualche scherzo ai fratelli. Dei tre, lui era sempre stato il più dispettoso. Nonostante la tragedia di 10 anni prima Marco, il secondo dei tre fratelli, non aveva perso la sua vivacità e il suo spirito. Con tono falsamente offeso Marco si rivolse al fratello più giovane di due anni “mamma mia, non si può fare uno scherzo che te la prendi male, Henry sei proprio permaloso.”
David era grato che i suoi figli fossero riusciti a trovare una sorta di normalità.
Poco dopo la tragedia, quando i suoi figli erano ancora piccoli, David non avrebbe mai pensato di poter ritrovare una quotidianità per sé stesso. Nonostante ciò, Mary Margaret e lui si batterono per ridare una parvenza di normalità, stabilità e un periodo di innocenza per Neal, Marco e Henry. David, molto spesso, si chiedeva se fosse riuscito a proteggere almeno loro.
 Quando tutto accadde, per i due genitori era crollato il mondo intero, nulla sembrava avere più un senso, per fortuna Ruth, li aiutava: per i primi mesi dall’accaduto, i bambini vissero dalla nonna Ruth. Erano troppo piccoli e innocenti per poter capire: Henry, aveva solo 4 anni, Marco 6 anni E Neal 8. David si ripromise che avrebbe lottato con i denti e con le unghie affinché almeno loro, i suoi tre figli rimanenti, non rimanessero schiacciati dalla realtà crudele. Già non era stato in grado di mantenere questa promessa una volta, non avrebbe permesso che succedesse un’altra volta.
“dai ragazzi andate, se no arrivate in ritardo a scuola.” La sua voce gli sembrava lontana come se fosse stato un altro uomo a pronunciare quelle parole.
 Henry annuì e incominciò ad urlare, più volte “Marco.” finché finalmente, arrivò dal bagno la voce del sedicenne
“dovevo fare la pipì. Te lo devo proprio dire Henry, da quando hai iniziato le superiori sei diventato comandino.”
“guarda non ti rispondo nemmeno.” Rispose Henry
“vedi, questa è la dimostrazione. Sei troppo serio e permaloso” Disse Marco.
Poi il ragazzo si avvicinò al fratello minore arruffandogli i capelli neri pece. Henry si mise lo zaino in casa e uscì dalla porta di casa, bofonchiando frasi di disappunto. Marco subito dietro che ridacchiava.
Da sopra le scale si sentì la voce assonata di Mary “Quei due non smetteranno mai di punzecchiarsi a vicenda.”
David sorrise, poi, quando vide la moglie sugli ultimi gradini, allargò le braccia per accoglierla in un caloroso abbraccio.
“come stai? Hai dormito bene?” le chiese.
Mary lo guardò. Solo in quel momento, David notò le occhiaie scavate intorno agli occhi della moglie. David sospirò, sapendo già la risposta.
Mary Margaret a sua volta gli chiese “anche tu?” David annuì.
La donna guardò la porta della camera al piano terra, poi si girò verso il marito. Insieme sospirarono, era incredibile come da uno sguardo ciascuno dei due coniugi capiva subito quello che l’altro intendeva e le mostrò il suo consenso all’idea.
Dopo pochi secondi, entrarono nella stanza di Neal, il loro primogenito, di 18 anni. Quest’anno stava frequentando l’ultimo anno alle superiori, il liceo scientifico. I due genitori si avvicinarono al letto. Mary si chinò verso il figlio, con voce calma e calda chiese “amore, stai male?”
David, vedendo l’espressione basita della moglie, si avvicinò al figlio, non riuscì a evitare di sussultare quando le sue narici furono investite da un odore intenso di alcol. L’uomo, esterrefatto, lo scosse
“Neal Luca che cosa è questo odore. Alzati che è tardi” Neal guardò il padre e alzò le spalle
“ieri sono andato a bere.”
David si girò verso Mary disarmato dall’atteggiamento del figlio: di solito Neal era il più responsabile dei tre figli, non si era mai ribellato, aveva litigato poche volte con i genitori, di solito era il più ubbidiente.
“forse sta buttando fuori adesso.” Disse Mary Margaret, con un sibilo.
Poi la donna prese tra le mani la testa del figlio “Neal, sai troppo bene quanto faccia male bere, soprattutto tu non puoi bere, superalcolici hai 18 anni sei troppo giovane.” Neal si scostò dalla madre
“mamma, non rompere le palle, ho 18 anni, posso fare quello che voglio. Mi sono rotto di essere il responsabile della famiglia.”
David guardò negli occhi neri come la pece del figlio, furioso per il comportamento di Neal. L’uomo sapeva che sua moglie non aveva la forza emotiva per affrontare una discussione con il figlio
“Neal Luca Nolan, non è questo il modo di rivolgersi a tua madre, adesso le chiedi scusa. Ti abbiamo educato meglio di così.”
Mary Margaret, però, fece segno a David di smetterla. L’uomo non riusciva a capire ma si fidò della moglie, annuì e lasciò che la donna continuasse. David guardò Mary mentre metteva un panno bagnato sulla testa del figlio, rimaneva ogni volta colpito dalla sicurezza della moglie quando si trattava dei loro figli. Mary accarezzò la guancia del figlio, poi continuò calma
 “Neal, tesoro, di che cosa si tratta veramente?”
Il ragazzo sospirò, con tono debole rispose “niente mamma, capita a tutti di sbagliare. Non è nulla di serio, voi continuate a rimpiangerla e non rompete a me”
detto questo Neal si scostò dalla madre e si alzò dal letto. I due genitori si guardarono intensamente: sapevano che era giunto il momento di svelare le carte in tavola, sapevano che loro figlio avrebbe avuto bisogno di questo. Marito e moglie bloccarono l’uscita. Neal allora urlò “cosa c’è ora non ho nemmeno più il diritto di uscire dalla mia stanza, lasciatemi stare siete ridicoli”
 David guardò il figlio e con tono basso disse “è necessario parlare visto che ieri hai deciso di bere mettendo a repentaglio la tua salute”
“ma a voi che importa, è il mio corpo.” Neal replicò con tono scocciato.
La donna alzò la voce, rimanendo allo stesso tempo dolce “no Neal, lo sai bene, che noi ti amiamo e ti supportiamo qualunque cosa tu faccia, sai bene che noi ci preoccupiamo per te, perché siamo i tuoi genitori ed è nostro compito preoccuparci per te, non importa che età hai. Sai anche che prima dei 21 anni, non puoi bere superalcolici, che ti fanno male. Tu non sei un ragazzo così. Ora spiegaci bene perché lo hai fatto” In quel momento, Neal abbassò la testa, con la voce rotta dal pianto si rivolse ai suoi genitori che lo guardavano con aria preoccupata
“non vedo perché io posso andare a scuola, quando lei ha vissuto solo 6 mesi. Ho pensato fosse meglio trascorrere la giornata nel dolore. Io non mi merito di passare la giornata felicemente.”
La stanza piombò in un silenzio assordante. David vide la moglie coprirsi la bocca con le mani per reprimere l’urlo di dolore, sui visi di tutti scendevano lacrime amare. lei era ancora un argomento troppo doloroso, raramente lei veniva discussa.  
David si inginocchiò subito di fronte al figlio, davanti a sé non c’era più il ragazzo forte e responsabile che consolava i fratelli minori ma c’era il bambino mingherlino di 8 anni a cui dovevano spiegare che la sorellina non c’era più e che non l’avrebbe più vista. David molto spesso aveva esteriorizzato le sue preoccupazioni per il figlio a Mary Margaret: era sempre stato molto serio per la sua età, ma dalla morte della sorella minore si era chiuso di più, non voleva mostrare le emozioni all’esterno. Per anni inghiottì tutti i suoi disagi, finché a 13 anni, ogni notte veniva perseguitato da incubi. I due genitori lo avevano convinto a provare una seduta da uno psicologo, dopo pochi mesi stava meglio. David e Mary fecero di tutto per supportare il figlio e fargli capire che loro lo avrebbero amato anche se avesse fatto qualche sciocchezza, anche lui era loro figlio ed era un ragazzino che non doveva tenere sulle proprie spalle una responsabilità sì grande.
David baciò la testa del figlio “Neal, roccia, lo sappiamo che è difficile, ma anche in questa giornata, dobbiamo vivere il quotidiano. Non è giusto per te o per Marco o per Henry non farlo. Neal, non ti devi sentire in debito. Quello che è successo a lei, non è, sicuramente, colpa tua. Vivere questa giornata nel dolore non riporterà in vita tua sorella, e, anzi, non vivere, significa darla vinta a quei bastardi che l’hanno portata via.”
Gli occhi rossi dal pianto di Neal si illuminarono. Lui annuì
“scusate io…”
 Mary abbracciò il figlio “Neal, non ti devi mai scusare con noi per aver mostrato il tuo dolore. Siamo tuoi genitori è nostro compito, nel possibile, insegnarti a convivere con questa tristezza, perché purtroppo non andrà via, sicuramente si acuirà. Quando si vuole tanto bene ad una persona quando non la possiamo più vivere, ci lascia un grande vuoto. Noi dobbiamo convivere con questo vuoto, dobbiamo capire che quella persona ci accompagnerà per tutta la vita. La persona sarà contenta se noi vivremo anche per lei, faremo le cose che ci piacciono anche per lei. Solo così potremmo onorare la sua vita. Okay?”
David guardò le spalle ossute del figlio alzarsi e bassarsi con forza. David sapeva che a Neal serviva un qualcosa che lo avrebbe distratto. Così cercò di utilizzare il tono più allegro che poté e disse “sono le 09:30. Io direi che è arrivata una certa per mangiare, fare colazione. Ti devi mettere in forze per questo pomeriggio così usciamo tutti insieme.” Il ragazzo annuì debolmente.
Mary diede una mano a Neal per alzarsi dal letto “che ne dici se facciamo dei plum-cake per colazione, li cuciniamo insieme come, quando eri piccolo.”
Neal sorrise “okay.”
Mary Margaret con tono più allegro possibile disse “ohhh, questo è il mio ragazzo.”
Neal si lasciò scappare una risatina e uscì dalla stanza.
I quando il ragazzo lasciò la stanza, il sorriso sulla faccia di Mary Margaret sparì e dalle labbra della donna scappò un sospiro. Due lacrime le rigarono il viso, subito David la abbracciò. Era in quei momenti che l’uomo si sentiva impotente, da un lato avrebbe voluto che sua moglie dormisse tutto il giorno per evitarle il dolore, dall’altro era contento di averla al suo fianco, perché, per quanto egoistico fosse, solo con la moglie accanto avrebbe potuto superare la giornata. Mary guardò il marito, poi nascose la faccia nel petto di David
“è dura David. Anche se sono passati 10 anni, mi sembra che sia successo ieri. La sento ancora tra le mie braccia. Ma poi le guardò e sono vuote. Non è giusto, David, è terribilmente ingiusto e schifoso. Lei dovrebbe essere qua, anzi sarebbe dovuta uscire anche lei da quella porta per andare a scuola e invece…”
David lasciò che Mary Margaret si sfogasse tra le sue braccia, intanto anche il suo viso fu bagnato dal pianto. Anche per lui il dolore non era diminuito, aveva imparato a conviverci ma non era passato.
Quel giorno era dedicato a lei. L’unica cosa che potevano fare per la loro bambina era pensare a lei, in quella giornata. Una giornata all’anno. Anche se David ogni giorno dava un bacio alla sua piccola per augurarle buona giornata, ogni notte le dava un bacio per darle la buona notte. Quando c’era un soffio di vento che muoveva l’altalena, David sperava di vedere sull’altalena una bambina coi capelli biondi, gli occhi verde acqua, vivaci che rideva divertita e ogni volta che l’altalena rimaneva vuota, sentiva un tuffo al cuore perché capiva che quella speranza sarebbe rimasta per sempre un sogno irraggiungibile. Ciò  lo faceva imbestialire, perché non era giusto.

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Capitolo 3
*** Mary Margaret ***


Ecco un nuovo capitolo, buona lettura a tutti!!!
CAPITOLO III
MARY MARGARET
01 ottobre 2009
“Anche gli altri miei due figli stanno soffrendo in silenzio? Sono così terribile come madre che non mi accorgo quando i miei figli soffrono?” queste erano due delle tante domande che offuscarono la mente di Mary Margaret nell’esatto momento in cui Neal si era sfogato.
Durante la colazione, Neal se ne stava seduto, ingobbito, indifferente all’esterno e concentrato solo sulla ciotola di cereali che Mary Margaret gli aveva preparato. Mentre i due genitori lo guardavano preoccupati come se anche un sibilo di vento lo potesse rompere.
David fu il primo a rompere quel silenzio surreale “Dai! adesso mettiti a letto e riposa.”
Accodandosi a ciò che David aveva detto, la donna baciò la fronte del figlio e disse “tuo padre ha ragione Neal, devi riposare. Ti devi mettere in forze per questo pomeriggio che arriva la nonna Ruth.”
Il marito si avvicinò al figlio, gli diede una pacca sulle spalle “io ne approfitterei, giovanotto, perché conoscendo tua nonna, sicuramente, non ti farà restare sdraiato tutto il pomeriggio.”
Neal sospirò, si strofinò le mani tra i capelli e con tono stanco disse “non è che per quest’oggi posso saltare?”
Mary non riuscì a trattenere un ghigno divertito. “no, non puoi saltare, la nonna non lo permetterebbe mai. Tieni, ti farà passare il mal di testa.” La donna diede al figlio una compressa di Froben.
Quando Neal entrò nella propria stanza, i due genitori sospirarono. Mary intravide negli occhi azzurro ghiaccio del marito le sue stesse emozioni e lo stesso senso di smarrimento e di fallimento.
Per anni avevano cercato di risparmiare i loro figli ma, a giudicare da quanto appena visto, non erano riusciti manco in questo. Con voce debole e tremante si rivolse a David “come abbiamo fatto a non accorgerci?”
Mary subito si sentì avvolgere da due braccia forti e appoggiò la testa sul petto del marito, lasciandosi avviluppare da quel profumo che in tutti quegli anni le aveva dato sicurezza.
Era ciò che Mary Margaret amava di più della sua relazione con David: ognuno era la roccia dell’altro e nessuno dei due aveva paura a mostrarsi debole o a esprimere il proprio dolore all’altro.
“non siamo onnipotenti, Mary.”
“lo so, è che… abbiamo già perso una figlia, non sarei in grado di continuare a vivere se perdessi anche Neal o Marco o Henry o te. Già se non ci fossi stato tu non ce l’avrei fatta ad affrontare questa perdita. Sono troppo debole”
Mary sentì il corpo del marito staccarsi bruscamente e allontanarsi da lei. Poi con tono fermo l’uomo replicò “Mary Margaret Blanchard, non osare dire che sei debole, sei la donna più forte che io conosca.”
“quando vedo i miei figli soffrire e mi sento impotente di fronte al loro dolore, mi sembra di aver fallito.”
“Mary come ho già detto, non siamo onnipotenti, siamo umani. Non possiamo pensare di proteggere i nostri figli da tutto il mondo. È impossibile! Ma…”
Mary continuò la frase del marito “quando si faranno male, noi saremo lì a sostenerli.”
David annuì, salì le scale per, poi, ritornare dopo pochi secondi con un libro giallo in mano. le sue labbra carnose disegnarono un sorriso dolce “vuoi vedere le foto?” Mary sorrise e annuì
“come ogni anno.”
I due sposi si sedettero sul divano, in mezzo a loro un album fotografico. Da dieci anni era diventata una tradizione, in quel giorno, vedere quelle foto, poco importava che fossero le stesse. Era un po’ come se lei fosse ancora tra loro.
Mary sentì le labbra del marito incontrare le proprie. “pronta?”
“pronta, tu?”
“forse!”
la donna guardò la mano del marito tremante aprire l’album.
Nella prima pagina c’era l’immagine di un’ecografia, sotto c’era un’inserzione “14 settimane.”
13 novembre 1998.
Era da giorni che Mary si sentiva fiacca, come se le avessero risucchiato tutte le energie.
Certo avere tre bambini maschi sotto i 10 anni e lavorare come psicologa non era facile da gestire. In più era sotto stress: i continui litigi con il padre, il sapere in pericolo il proprio marito. Di tutto ciò Mary ne risentiva. Infatti, era da parecchio che non aveva le mestruazioni. Era così indaffarata che quasi non si ricordava quando era l’ultima volta che le aveva avute. I momenti in cui si poteva rilassare e in cui poteva pensare a sé erano veramente pochi. Non che Mary si dispiacesse di avere tre figli. anzi Neal, Marco ed Henry erano la ragione principale per cui si alzava la mattina, erano la luce dei suoi occhi, ma c’erano dei momenti in cui avrebbe desiderato sdraiarsi e riposarsi.
 Per fortuna veniva spesso ad aiutarla con i propri figli, Ruth, la mamma di David. Sua suocera era diventata come una madre, siccome la madre biologica di Mary, Eva, era morta quando Mary aveva solo 14 anni.
Mary veniva aiutata molto da Regina e da Ruby. Regina era la seconda moglie del padre, aveva solo 10 anni in più di Mary e, quindi, avevano avuto da sempre più un rapporto tra sorella minore e sorella maggiore che continuò anche dopo il divorzio tra il padre e Regina, avvenuto solo dopo 1 anno di matrimonio, quando Mary aveva 18 anni.
Ruby, invece, era la migliore amica di Mary Margaret: le due si conoscevano fin da quando erano bambine piccole. Avevano frequentato le stesse scuole, poi, Mary era andata all’università, mentre Ruby era andata a lavorare nel ristorante di sua mamma. Ruby era la sorella che Mary non ha mai avuto.
Mary stava appunto ritornando con i sacchi della spesa quando vide Henry correre verso la strada principale e Ruth inseguirlo. D’istinto Mary buttò per terra la spesa e si mise a inseguire il figlio più piccolo. A tre anni, pur essendo molto veloce per la sua età, non era ancora così svelto e, quindi, non fu troppo difficile raggiungerlo prima che arrivasse nella strada principale, ma, comunque, la donna era rimasta stravolta. Appena dopo aver sistemato la spesa, aver calmato il bambino urlante e averlo mandato in punizione tutto il mondo intorno a lei divenne nero.  Prima di perdere totalmente coscienza Mary Margaret sentì la voce di Ruth lontana e un panno bagnato sulla fronte.
Mary si svegliò due ore dopo, in un letto di ospedale. Accanto a lei era seduto David, l’uomo di solito sempre sorridente, giocherellone, sempre pronto a fare una battuta era, stranamente, serio e preoccupato. Subito Mary gli accarezzò la guancia per fargli sapere che era sveglia. Appena alzati gli occhi, il viso dell’uomo si illuminò. Con voce flebile Mary chiese “cos’è successo?”
“e lo chiedi a me? Mia mamma mi ha chiamato tutta trafelata, dicendo, che aveva chiamato l’ambulanza e che eri svenuta. Non osare farlo mai più mi hai fatto venire un colpo.”
Mary sorrise “i bambini dove sono?”
“mia mamma è rimasta con loro. Con te, sull’ambulanza, è venuta Regina che è dovuta andare via. Ah mi ha anche chiesto di dirti che ti metterà in punizione.”
Mary e David scoppiarono a ridere e in quel momento arrivarono degli infermieri che dovevano accompagnare la donna per diversi esami.
Passarono momenti di grande confusione prima che si avvicinasse alla coppia il ginecologo, che aveva guidato Mary, nelle sue tre gravidanze. I due coniugi si guardarono, nessuno sapeva perché il dottore Whale si trovasse lì.
“dottore, cos’ho?”
“signora Nolan, diciamo che per i prossimi mesi dovrà stare molto attenta. Dovrà sottoporsi a meno sforzi possibili.”
David si girò verso la moglie con aria preoccupata “ma perché è qualcosa di grave?”
Il dottore rivolse ai due un sorriso soddisfatto “niente che non si possa risolvere in 9 mesi.”
 Mary sentì il cuore batterle all’impazzata: un altro figlio, ma non era possibile, da quando avevano deciso di non avere più figli stavano molto attenti. Guardò l’espressione ancora confusa del marito “David, arriverà un quarto figlio”
 il viso di David si ravvivò “un quarto figlio… io…che…quando…“
poi senza riuscire a elaborare una frase di senso compiuto si abbandonò sulla sedia.
Mary si rivolse a David “n…n..non sei contento?”
L’uomo guardò verso la moglie le prese le mani e se le avvicinò alla propria faccia “certo, che lo so è che…”
“lo so cosa avevamo deciso, ma, chiaramente, adesso lui o lei è qui, vedrai che ce la faremo.”
“lo so che tu sarai un’ottima madre anche per questo nuovo piccolino, ma sono preoccupato per la vostra salute, tua e del bambino.”
“di questo non si deve preoccupare, signor Nolan, abbiamo fatto tutti i controlli necessari. Inoltre, signora Nolan, è alla  quattordicesima settimana quindi dovrebbe essere passato il periodo più critico.”
Mary sentì su di sé, lo sguardo confuso del marito “com’è possibile alla quattordicesima settimana. Mary non avevi nessun sospetto?”
La donna scosse la testa “no! pensavo, fosse lo stress con mio padre, con i bambini e con il lavoro.”
“oh quanto sono felice, Mary, che colore prendiamo per la stanzetta, tu cosa pensi che sia, maschio o femmina? Ah aspetta di vedere la faccia di mia mamma, poi lo dovremo dire anche ai bambini…”
Il ricordo venne interrotto dal rintocco del campanello. Mary si asciugò le lacrime che senza che se ne fosse accorta le scendevano copiose sul viso.
David si alzò dal divano “non ti preoccupare vado io.”
 chi poteva essere? tutti nel paese sapevano che quel giorno era doloroso per loro quindi, quasi mai, li venivano a disturbare. Subito il pensiero della donna andò ai due figli che erano a scuola, forse si erano fatti male? Un brivido le corse lungo la schiena. Una sensazione che aveva provato soltanto quando Ruth l’aveva chiamata per comunicarle, 10 anni prima, che qualcuno aveva portato via la sua piccola.
Dopo pochi secondi, udì la voce di David “scusami piccola ma questa giornata è molto difficile per la nostra famiglia. Credo che Mary ti abbia detto che non fa sedute in questo giorno…”
“Strano”  pensò Mary “perché ho detto a tutti i miei pazienti che oggi non facevo visite.”
in quel momento udì voce di un bambino “no, no, c’è un malinteso, non sono venuta per una seduta. Mi dispiace disturbarvi in questo giorno ma… ma sono venuta a portare notizie di suo padre.”
 
 

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Capitolo 4
*** Emma ***


Ecco il quarto capitolo, spero vi piaccia. Fatemelo sapere nei commenti!! buona lettura.
 
 
CAPITOLO 4 EMMA
 “scusami piccola ma questa giornata è molto difficile per la nostra famiglia. Credo che Mary ti abbia detto che non fa, sedute in questo giorno…”
“no, no, c’è un malinteso, non sono venuta per una seduta. Mi dispiace disturbarvi in questo giorno ma… ma sono venuta a portare notizie di suo padre.”
 Da dietro David arrivò una donna, i segni degli anni avevano lasciato passaggio anche sul corpo di Mary Margaret: gli occhi neri come la pece, non brillavano più come quelli nelle foto. erano gli occhi di chi doveva sopravvivere ad un dolore insopportabile, di chi voleva scappare da un’ombra.
“come notizie di mio padre! È malato?”
Emma sentì il cuore salirle in gola: era la prima volta che sua sorella, quella stessa persona che aveva sognato d’incontrare tante volte le rivolgeva direttamente la parola. La bambina aprì più volte la bocca senza che da essa ne uscisse alcun suono. Dopo l’ennesimo tentativo riuscì a parlare
“forse è meglio che si sieda.”
La donna annuì e le fece segno di seguirla, presto si ritrovarono su un’amaca. Mary guardò la bambina, aspettando che incominciasse a parlare.
In un secondo, Emma sentì il proprio stomaco irrigidirsi: era arrivato il momento di parlare ma non sapeva come cominciare, come poteva dare una notizia del genere ad una persona che lei non conosceva.
la bambina fece un respiro profondo prima di iniziare.
“suo padre mi ha chiesto di consegnarle questa cassetta. Mi ha anche detto che dentro c’è qualcosa di molto utile, cosa non so!! Ma so che è molto utile e che Lei saprà cosa farne.”
Emma consegnò la cassetta alla sorella. La donna la guardò confusa.
“quello che non capisco è…perché ha mandato una bambina come te, per fare una cosa che poteva fare tranquillamente anche lui. pensavo fosse cambiato… invece fa gli stessi errori.”
“signora Blanchard…”
“ti prego, chiamami, Mary, e dammi del tu così mi sembra di essere più giovane.” Disse Mary sorridendo, Emma annuì grata per quel tentativo di avvicinamento
“Mary, nos…” no ancora non poteva dirglielo “tuo padre non sarebbe potuto venire anche se avesse voluto. Lui non c’è più.”
Emma sentì la donna sussultare “mi vuoi dire che…”
Dopo un momento di silenzio, Emma annuì “sì, tuo padre è morto.”
Emma vide la donna portarsi le mani alla bocca. Dopo pochi istanti, copiose lacrime le rigarono le guance
“c…c…com’è morto?”
“s…s…si è sparato in fronte.” Mary annuì.
 “m…mi dispiace.” Fu l’unica cosa che Emma riuscì a dire. in queste situazioni lei non era molto brava, non sapeva cosa dire. Decise, allora, di farsi trascinare dall’istinto, prese le mani affusolate della donna e le strinse forte al proprio petto, poi la abbracciò. Nell’istante in cui aveva abbracciato la sorella, Emma si sentì avvolta da un profumo familiare, un profumo che in qualche modo le trasmetteva sicurezza. Rimasero abbracciate per alcuni minuti.
Quando ruppero l’abbraccio, con il pollice Emma asciugò le guance della sorella: lo aveva visto fare tante volte dalle madri quando i figli piangevano, e di solito i bambini si tranquillizzavano.
Dopo pochi istanti anche la donna smise di piangere.
“scusami la brutalità, ma perché ha mandato te? Come facevi a conoscerlo?”
Emma sentì il sudore freddo sulla fronte e le mani tremare: quello era il momento che aveva sognato e temuto da giorni. Cercò di schiarirsi la voce.
“l…lui era mio padre.” Appena pronunciata la frase, distolse lo sguardo da Mary Margaret cercando di concentrarsi sulle piante vicine: la paura di vedere nello sguardo della sorella la delusione o la furia era troppo forte e pesante.
“c…c…come tuo padre? Ti ha adottata?” Emma guardò perplessa la donna davanti a sé: non riusciva a comprendere perché Mary non la riconoscesse, forse l’odio era talmente forte che l’aveva eliminata dai ricordi. Sembrava, però, un’ipotesi poco plausibile, anche perché nella voce rotta dall’emozione della sorella non si intravedeva alcuna forma di rabbia o rancore.
“no! Ma papà mi diceva che quando sono nata io, mamma è morta.”
“quanti anni hai?”
“10, sono nata il 13 aprile” Emma era sicura che se Mary non fosse stata seduta sarebbe caduta a terra. La mano destra della sorella era appoggiata sul cuore. Come se avesse ricevuto una conferma la donna annuì e con tono sommesso chiese “come ti chiami?”
“Emma.” la mano destra di Mary strinse il petto, come a voler strapparsi il cuore, mentre gli occhi si inondarono di lacrime. Poi d’improvviso l’atteggiamento della donna mutò drasticamente: il piglio prima tenue, ora furioso sembrava aver trasformato Mary Margaret. Gli occhi prima spenti, in un secondo successivo, sembrarono pervasi dall’ira.
Nei secondi successivi, Emma si sentì trascinata fino d’avanti alla casa della sorella. Lì Mary si fermò. La donna staccò la mano dalla mano della bambina per metterla tra i propri capelli. Emma udì il respiro prima affannato regolarizzarsi. Poi vide Mary inginocchiarsi di fronte “scusami piccola, ti prometto che spiegherò tutto dopo. prima, però, ho bisogno di parlare con mio marito.”
Emma la guardò confusa ma annuì e aggiunse “papà ha detto di darti questa.”
La bambina consegnò la lettera che il padre aveva scritto alla sorella.
“grazie Emma.” la donna allungò la mano verso Emma, poi con la testa indicò la casa “dovrebbero essere arrivati i miei figli e mia suocera. te li presento.”
Per la seconda volta, quel giorno, Emma si abbracciò con la sorella, ma questa volta la presa di Mary sembrava più forte e decisa.
Emma sentiva il cuore scoppiare dalla felicità, forse, sua sorella non la odiava più.

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