Nulla più aveva senso

di paige95
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Innocenza di mani straniere ***
Capitolo 2: *** In nome degli Asburgo ***
Capitolo 3: *** L'altra metà dell'odio ***
Capitolo 4: *** Addio all'infanzia ***
Capitolo 5: *** Intercessione ***



Capitolo 1
*** Innocenza di mani straniere ***


Innocenza di mani straniere




 
Dedicata a coloro che hanno offerto
preziosi consigli e attenzioni a questa storia. 
 
 

 
Ofen, sobborgo di Buda e di Pest, Ungheria; 29 maggio 1857
 
L'imperatrice non badava a coloro che erano presenti. I passi di chiunque erano diventati di velluto, come i drappeggi che sovrastavano l'immensità delle pareti intorno a loro.
Il seguito austriaco di dame e servitori aveva mostrato delicatezza per i sovrani, concedendo loro il raccoglimento del fresco lutto subìto. 
Il Paese si era spento in un macabro silenzio. L'annuncio della morte della principessina di appena due anni e due mesi rimbalzava ad ogni scoccare degli attimi attraverso le stanze; fra le estese e verdeggianti campagne.
Non era più tempo per ricordare l'incantevole imperatrice negli ungheresi costumi nazionali, l'amazzone disinibita ed elegante; i drappi scuri contornavano già il giovane viso. Eppure la popolarità acquisita in quell'occasione aveva provocato nel popolo di Buda e di Pest una stretta vicinanza emotiva, tanto da unirlo nell'anima.
Suo malgrado, Elisabeth sulla schiena esponeva una chioma bruna semisciolta, sintomo di una disperazione appena sedata. Esibiva un aspetto selvaggio - come non era mai stata anche nei suoi istanti di ribellione più pura; era così profondamente trasandata da apparire malata nelle pieghe del cuore. I riflessi fulvi dei suoi crini non erano inondati dal sole delle foreste bavaresi, ma dalla triste aura di un lume ad olio.
In eterno le sue iridi avrebbero raccolto i segni del preludio di morte di quella luce che rischiarava una serata tormentata.
Dodici ore non erano bastate per strappare la primogenita ad un viaggio senza ritorno.
All'annuncio del peggioramento delle condizioni della figlia, si era precipitata al suo capezzale. L'aveva assistita fino a perdere le forze fisiche e mentali.
Aveva insistito lei stessa che fosse accompagnata dalle sue bambine, Sophie e Giselle, per assolvere in Ungheria i suoi doveri diplomatici accanto al marito.
Ma Sophie era troppo fragile. Anche monitorata dalle attente cure del medico di corte non era riuscita a superare il tramonto.
Sophie non respirava più. 
Nell'incertezza dell'impegno assunto dai sovrani, era l'unico dato certo a cui i giovani genitori potessero fare affidamento. A cui aggrapparsi con le unghie sanguinanti del dolore che ostentavano. 
Appena giunta nelle stanze reali, Sissi aveva intravisto il corpicino quasi esanime della piccina. Non riusciva ancora a credere che il telegramma del dottor Seeburger fosse stato l'esordio di una simile atrocità.
Il medico aveva subìto la sofferenza incontenibile di Elisabeth per non avere preso in tempo il male incurabile. Era l'unica causa su cui sfogare le pene. In alternativa la sola responsabile sarebbe stata l'imperatrice per essersi ostinata, affinché le figlie le fossero vicine. Persino il nome della secondogenita era stato chiamato in causa, colpevole di aver trasmesso la rosolia alla delicata sorella.
Sissi non era riuscita ad avvertire personalmente l'arciduchessa con un cablogramma. Si era occupato il consorte dell'oneroso compito, annunciando quanto lui e la sposa fossero annientati.
Zia Sophie non avrebbe compreso, solo infierito su anime dilaniate. Avrebbe forse graziato il lutto dell'amato primogenito, ma alla nipote non avrebbe risparmiato meschine accuse.
Alla nascita della piccola Asburgo, l'arciduchessa aveva donato a lei ogni sorta di attenzione. Era il riflesso buono di una figlia perduta precocemente. La nascitura, deliberatamente omonima, le sarebbe stata restituita salma riportandola indietro a drammatici ricordi.
Franz Joseph era devastato, non lo manifestava apertamente, ma all'imperatrice erano sufficienti pochi metri di distanza per scorgere lo sconforto.
Era un ufficiale in tenuta candida e scarlatta, come la sua anima, ormai sgualcita. Era un uomo potente, che abbandonava la dignità alla perdita della prole: una bambina, non l'erede non ancora nato e tantomeno concepito.
Era l'imperatore, un combattente del diciannovesimo reggimento di fanteria. Era diventato un fiore appassito. Era solo l'ombra del bel giovane che imbracciava moschetti e tirava di sciabola.
Indossava con onore le sfumature dell'Impero che si stava impegnando a difendere, che gli sposi avevano giurato di preservare congiunto. Le onorificenze d'oro brillavano inequivocabili sul petto dell'imperatore; d'altro canto anche all'imperatrice veniva riservata una reputazione invidiabile nei territori ungheresi.
Avrebbero dovuto proteggere anzitutto la figlia. Sissi avrebbe dovuto farlo. Ora nulla più aveva senso.
Franz si copriva il viso, non era conveniente cedere, ma per Sissi era solo un padre colpito da un dolore viscerale. Ogni suo gesto eccedente il cerimoniale sarebbe stato dettato dal cuore. Il mobilio antico, usato da supporto strategico, impediva all'imperatore di sottrarsi del tutto al pudore dell'uniforme che indossava.
La coppia imperiale era circondata da ampie camerate arieggiate, ma stava soffocando nella brezza primaverile. Vi era profumo di tulipani, ben lontani dalle amate genziane bavaresi di Possenhofen, patria natìa della giovane sovrana. 
Sissi osservò con compassione la disperazione del marito, il capo di lei era posato sullo stipite tra le due stanze. Il suo timore era che oltrepassando l'arcata della soglia e allontanandosi un'ultima volta dal giaciglio mortuario della figlia, l'avrebbe persa davvero e per sempre.
Il tempo sembrava essersi cristallizzato.
Aveva pianto tanto prima che il corpo della bambina fosse ricoperto da veli candidi e dignitosi. L'aveva chiamata sussurrando il suo nome, più e più volte. 
SophieSophieSophie.
L'arciduchessa aveva protetto la nipote finché aveva potuto, poi Sissi aveva mosso il passo di non ritorno. Contro tutti e il buonsenso.
Egoista
Elisabeth voleva tenere la piccola accanto al petto materno dopo due anni di rigida etichetta che aveva imposto una lontananza forzata dalla progenie, invece l'aveva condotta a morire in un luogo che non chiamava nemmeno casa. Lontana dal palazzo di Hofburg o di Schönbrunn, dove l'arciduchessa la preservava al sicuro dalla propria fragilità, da una madre troppo giovane e impegnata.
Sissi aveva lasciato che morisse in terra straniera, forse crudele destino delle discendenti Wittelsbach. Il cerimoniale di corte aveva dettato quel viaggio e aveva deciso il destino della piccola Sophie d'Asburgo-Lorena.
Sissi si avvicinò al consorte per infondere a lui e a sé medesima consolazione, raccogliendo in una carezza sulla spalla le energie rimaste dal patimento delle ultime ore.
L'imperatrice sfiorò la stoffa dell'uniforme militare, ma ad interessarle era solo l'uomo che la indossava con tanto onore.
La giovane sovrana posò il mento sul dorso della sua mano, si strinse contro il corpo dello sposo, snello e ricurvo in una posa sofferente.
Franz non ebbe la forza di ribellarsi all'abito non consono della moglie: biancheria da notte candida, la cui stoffa sul pavimento lasciava un delicato e solidale fruscìo.
L'imperatore represse l'impulso di abbracciarla. Non erano del tutto soli, il dottor Seeburger era ancora prossimo al capezzale della giovanissima defunta per constatarne l'ora del decesso.
 
21 e 30

I sovrani imperiali non avrebbero più dimenticato quell'ora.
Epilogo di uno dei giorni più cupi della loro vita.
 
 
 

Palazzo di Schönbrunn, residenza imperiale estiva, Vienna, Austria; estate 1857
 
Le scalinate marmoree di Schönbrunn erano l'arena di una nuova partenza, in solitaria stavolta. La consorte aveva deciso di non accompagnare l'imperatore, di non mediare con la diplomazia di cui era capace e con la quale la sua immagine innocente e pulita era rimasta impressa nel cuore degli ungheresi.
Lui la comprendeva.
Comprendeva il fardello che aveva posto sulle spalle della giovane, dal primo istante in cui il suo sguardo si era posato su di lei. Quando era apparsa a lui accanto alla madre Ludovika e alla sorella maggiore Helene, in occasione del fidanzamento di quest'ultima con il primo cugino.
Doveva solo essere l'accompagnatrice bambina della futura imperatrice d'Austria, a lei non erano state rivolte preziose attenzioni. Da alcuno, meno che da Franz Joseph, rimasto affascinato da lei proprio per tutto ciò che non era, prima ancora che dalle sue qualità. 
Sissi si era rivelata una sorpresa fin dal consenso che aveva pronunciato senza alcun indugio dinanzi alla corte, alle nobili famiglie e a colui che presiedeva le nozze nella Chiesa degli Agostiniani a Vienna, quel 24 aprile di appena tre anni prima.
Franz Joseph non provò risentimento, quando Elisabeth si rifiutò di accompagnarlo nel luogo in cui la vita della primogenita si era spenta. Tornare per rivivere quel dolore toccava anche a lui, ma da parte sua esimersi era pressoché impossibile.
L'aveva salutata con una carezza sul volto e lei non lo aveva trattenuto, consapevole degli oneri del consorte.
La moglie era diventata di salute cagionevole, dopo la scomparsa della piccola Asburgo. Il suo profilo sottile impensieriva l'imperatore. Ogni sforzo compiuto da Elisabeth era fonte di preoccupazione per Franz. Partire senza lei, lasciandola in quello stato, non fu la decisione più felice della sua vita di sposo e sovrano devoto.
Prossimi ad una separazione, quella mattina lo sguardo di Franz non era malinconico mentre scrutava la moglie, ma carico di una profonda gratitudine.
Accanto alla carrozza, l'imperatore era pronto ad iniziare il suo viaggio. La ammirava sfrecciante oltre i poderi del palazzo, oltre la boscaglia in groppa al suo amato destriero bianco, divenuto anche di Sissi per diritto matrimoniale.
Franz Joseph salì assistito dal cocchiere, ma l'attenzione non si allontanava dalla vegetazione più fitta che aveva inghiottito l'imperatrice.
Le ruote della carrozza riuscirono a coprire pochi metri, Franz risultò talmente inquieto da ordinare che il mezzo si fermasse all'istante.
Anche se l'immagine della sposa era scomparsa alla sua vista, sapeva dove l'avrebbe trovata, in cerca della solitudine che le stanze di Schönbrunn non potevano offrire. 
Buda e Pest potevano attendere.
 
◦•●◉✿✿◉●•◦
 
Le lacrime dell'imperatrice contro vento rendevano le guance fredde. Una doccia gelida, utile per espiare le sue colpe.
Si attribuiva qualunque responsabilità. Non contemplò nemmeno per un istante la drammatica fatalità, di cui lei stessa era rimasta vittima.
I lunghi capelli dell'amazzone inseguivano le onde dell'orizzonte. Sissi - nascosta dietro la vegetazione a lei tanto cara dal rigido cerimoniale, di cui l'arciduchessa era conservatrice - era libera di spogliarsi dei panni formali della sovrana e di vivere il lutto di una giovane madre che aveva perso tragicamente una figlia nata da un paio d'anni. 
La scuderia di corte, a lei preclusa, era fonte di benessere. Un ritorno al passato piacevole, lontano dalla pena che il presente le aveva inferto.
Cavalcava a briglie sciolte. Il dolore la rendeva emotiva, ma riusciva a controllare il passo sostenuto del suo destriero senza difficoltà. La velocità era un pretesto per immergersi nei ricordi della sua infanzia, tra amore e illusione, solitudine e frastuono.
Avrebbe desiderato virare per la strada di Possenhofen, cercare suo padre e bearsi degli unici momenti trascorsi in purezza d'animo, quelli dedicati a lei e ai fratelli. Decise di proseguire al galoppo, incurante dell'apparenza trasandata che poco si conveniva ad un'imperatrice.
Diverse volte aveva accompagnato il consorte nelle sue battute di caccia, ma mai aveva ostentato tanta spudoratezza. Di fronte alla sola natura decise che poteva permetterselo. Il suo abito chiaro da cerimonia portava i segni fangosi della nuda terra, ma non le importava di doverne rendere conto all'arciduchessa.
Solo un riflesso di sole riuscì ad interrompere la sua folle corsa. Un guizzo di luce la convinse a fermarsi e a trottare fino ad una fonte brillante che emergeva oltre le fitte fronde.
Vi si avvicinò affascinata e avida di conforto. Era un laghetto, una pozza d'acqua insorta a seguito delle forti piogge dei giorni scorsi.
Scese dal destriero con agilità e si avvicinò alla superficie. L'acqua dolce le restituì solo un viso candido, infantile, ancora più prezioso per l'imperatrice che aveva potuto ammirarlo così poco, a causa del destino e della zia. Il volto della piccola Sophie balenò in un ricordo realistico davanti agli occhi della giovane sovrana: i lineamenti che scorsero dinanzi lo sguardo malinconico di Sissi erano simili ai suoi, distingueva però le iridi chiare di Franz e una chioma ancora troppo fragile per assumere una tonalità definitiva. 
La superficie limpida le ripropose anche i drappi grigi dell'ultimo saluto alla principessina. Rammentava con pena le scale che aveva percorso per raggiungere la culla eterna della sua bambina. In quel momento, in quegli istanti, avvertiva un grande vuoto, privo di tutto, della gioia dei ricordi e del dolore della perdita. Coloro che la circondavano erano vivi, ma invisibili ai suoi occhi annebbiati. Ciò che prevaleva era il candore dei fiori e il profumo acre dell'incenso. Non c'era spazio per la colpa, solo per la preghiera. 
Ebbe la premura di nascondere un ennesimo sfogo contro le ginocchia portate accanto al petto. I capelli nascondevano del tutto lo squallido spettacolo, ma la natura udiva i sussulti di Elisabeth, li accoglieva senza sentenziare.
Gli zoccoli ferrati del purosangue si avvicinarono a lei, ma non muovevano i passi in autonomia, qualcuno stava attirando il destriero. Quel qualcuno, inaspettato e gradito, le porse la mano, continuando ad accarezzare la criniera del cavallo.
Franz avrebbe dovuto essere già lontano, invece aveva ritardato la partenza per godersi una scena pietosa che non sembrò, però, scandalizzarlo.
Insisteva, voleva aiutarla a rialzarsi. Non era quello il posto di un'imperatrice, ma il consorte non dubitava della necessità di mostrarsi fragile, quando le avversità lo richiedevano.
A Sissi bastò cedere al suo conforto e sfiorargli la punta delle dita per ritrovarsi fra le sue braccia. Il fiato della sovrana venne meno per una frazione di secondo, salda a lui e avvolta nel calore del suo braccio, con il quale le cingeva la vita.
Le loro fronti si sfioravano, erano così vicine che il giovane avvertì le guance umide della cugina.
Chiusero gli occhi, comunicarono nel silenzio delle fronde.
In un attimo Franz la riportò a Possenhofen, in un tempo di cui lui non faceva parte, ma che solo lui riusciva a farle rivivere immersa nel paesaggio viennese.
Il consorte la strinse più forte costringendola a posare i palmi sul suo petto e ad avvertire i battiti accelerati. L'umanità del sovrano si mostrava in tutta la sua genuinità dinanzi alla sposa. Lontano dalle porte del palazzo la promiscuità non era sconveniente fuori dal letto nuziale.
Sissi infuse all'imperatore energia, tanto da convincerlo che fosse rimasto più per tornaconto personale che per reale desiderio di affiancarla nello sconforto.
Si allontanò da lei per porgerle un bacio a fior di labbra che la costrinse ad aprire gli occhi. Per la sovrana quel contatto suggellò la promessa di un viaggio breve e di un ritorno celere in Austria. 
Ad Elisabeth mancò l'equilibrio, quando Franz si concentrò sul loro cavallo, indietreggiando di qualche passo. Non voleva lasciarla sola a compiangersi. Sapere che si trovasse a corte circondata da altre anime che avrebbero potuto distrarla dal dispiacere lo avrebbe tranquillizzato. E poi c'era la piccola Giselle, la secondogenita sopravvissuta all'Ungheria e che senza la madre - a dispetto di quanto ritenesse l'arciduchessa Sophie - non voleva crescere.
Sissi e Franz avevano lottato insieme contro i più radicati ideali per preservare il ruolo materno dell'imperatrice d'Austria. Il sovrano si era persino reso complice di un congedo da parte della moglie a Possenhofen per consentirle di essere ciò che la suocera le impediva.
Ora tutto sembrava perduto e Franz Joseph non poteva consentire a quella sensazione di precludere il loro futuro.
La attirò a sé per aiutarla a cavalcare l'animale in direzione delle sue stanze. Non proferirono parola, lo sguardo di entrambi si incrociava su analoghi pensieri. Sissi non si sottrasse ai desideri del marito, lasciò che lui la affiancasse sul dorso del destriero.
Franz si pose al comando invitandola a stringerlo.
Elisabeth non temeva affatto di cadere, ma alla fine della boscaglia si sarebbero dovuti separare e quegli erano gli ultimi istanti per sentire il suo confortante calore.
 


 
Palazzo di Hofburg, residenza imperiale invernale, Vienna, Austria, studio del monarca; dicembre 1857
 
L'ingresso improvviso della consorte fece scattare sull'attenti l'imperatore. Qualsiasi documento stesse visionando, interruppe di colpo la lettura.
L'anno che si apprestava a terminare era stato ambasciatore di sventure per la famiglia asburgica e nulla consentiva a Franz Joseph di sperare in un inizio migliore.
Lo sguardo di Sissi vagava per la stanza, convinta di aver osato troppo. Fra le mura di Hofburg non erano mai soli. L'abitudine e l'umore pessimo le fecero sorgere più di una remora.
Franz la vide spaesata, come d'altronde era apparsa negli ultimi mesi. Era in tenuta da camera, non era trasandata, ma la fronte era imperlata, segno che aveva svolto eccessivi esercizi ginnici prima di raggiungerlo.
Il sovrano le si avvicinò, convinto di doverla sostenere fisicamente da lì a pochi istanti.
Lo sguardo di lei si era posato sulla parete alla sua destra. Su una cornice in particolare che spinse dal suo cuore una piccola e dignitosa lacrima.
Il fiato corto dell'imperatrice smorzò il respiro, trasformando le parole in un sussurro. Il suo atteggiamento era sintomo di nefaste notizie. L'espressione dello sposo su di lei era terrorizzata.
«Franz. Sono in attesa»
Il giovane impiegò qualche istante per realizzare la portata delle ultime novità. Non riuscì a non considerare le condizioni fisiche in cui si trovava la consorte e a rallegrarsi, come forse avrebbe dovuto.
«Stai bene?»
Elisabeth tornò a concentrarsi con più dolcezza sul dipinto: le principessine si stringevano alla madre; dietro di loro l'imperatore sovrastava la famiglia dall'alto della sua grandezza, mai eccessivamente esibita, a protezione delle tre donne.
Quel frangente era divenuto ormai un ricordo irripetibile, un modo per non abbandonare del tutto il passato. Per non dimenticare, costringendo tuttavia loro a proseguire con le loro vite.
«Sophie riposa sempre lì, nella Cripta dei Cappuccini»
Era una certezza di cui Sissi aveva necessità. Sapere che si trovasse ad un centinaio di metri dalla Hofburg le offriva una lieve pace. Né la zia Sophie né la morte erano riuscite a strapparle la sua bambina.
«Sophie riposerà sempre lì e noi insieme a lei, quando sarà il momento»
Gli aveva appena dato notizia di una nuova vita e loro discutevano sulla fine delle loro esistenze.
Franz conosceva le corde giuste da sfiorare. Si guadagnò lo sguardo illuminato della moglie e la leggera soddisfazione di chi era certa di poter contare da tempo sulla lealtà del consorte.
Nessuno più oserà portarla via da te.
L'imperatore non sentì la necessità di essere più chiaro, era convinto di averla raggiunta con il pensiero.
Le iridi della sposa si rilassarono, riconquistando le consuete tonalità profonde.
Entrambi i sovrani si concentrarono su un unico desiderio: speravano ardentemente che il prossimo dono fosse l'erede al trono.
 

 
 
Angelo mio adorato,
Approfitto dei primi istanti della mia giornata per dirti di nuovo quanto ti amo e quanto sento la tua mancanza e quella dei nostri figli. Soprattutto, mantieniti in buona salute e risparmiati, come mi hai promesso di fare. Cerca di distrarti e non essere triste…
(da Franz Joseph I von Österreich a Elisabeth von Österreich, Quartier Generale di Verona; 31 maggio 1859)[1]
 

Buongiorno, cari lettori e care lettrici! 
 
Premetto che amo ogni aspetto che riguardi la vera storia dell'Imperatrice Sissi, dai più tragici ai più lieti (anche se in numero minore). Partendo da questo dato personale, mi sono voluta cimentare in una piccola flash sul suo mondo. L'idea di allargare questo progetto ad una raccolta di OS sui lutti di questa sfortunata famiglia non è mia, ma di Bluebell, che ringrazio davvero tanto. ♡
Per le numerose informazioni storiche, mi sono affidata alla biografia “Sissi. Vita e leggenda di un'imperatrice” di Nicole Avril.
Mi auguro di essere riuscita a restare il più fedele possibile alla Storia, ci tengo tanto. 
Vi ringrazio di cuore per essere passati da queste parti! ♡
 
Al prossimo scorcio che proverò ad affrontare. 
Un abbraccio,
Vale
 

[1] Sissi. Vita e leggenda di un'imperatrice di Nicole Avril, p. 75.

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Capitolo 2
*** In nome degli Asburgo ***


In nome degli Asburgo




 
Santiago de Querétaro, Impero del Messico; 19 giugno 1867
 
Serpeggiava uno scontento generale, quasi mai l'esecuzione dell'accusato placava i tormenti, ma per il popolo era un valido inizio. Maximilian I rappresentava tutto ciò che divideva il Messico da una nuova pagina del libro della Storia.
Il frastuono dello scontro si era placato ormai da un mese abbondante, si udivano solo il segnale di morte dei soldati e una preghiera rivolta al vento. A Cerro de Campanas, Max sgombrava la mente intorpidita dalle poche ore di riposo con il ricordo della sua amata patria, che forse non avrebbe mai dovuto lasciare.
Il plotone di esecuzione si trovava a pochi metri dai dannati. Ai lati dell'imperatore vi erano due fedeli comandanti che, proprio per la loro concreta lealtà, venivano puniti in egual misura. Maximilian non lasciò debiti, onorò entrambi gli uomini in punto di morte con due once d'oro.
Non vi era posto per i rimpianti. Quantomeno tentò di allontanarli, non sempre riuscendoci, ma non si pentiva affatto di non aver seguito le truppe francesi alla ricerca di una garantita salvezza. Max non era vigliacco, solo ambizioso e l'ambizione cieca, si sa, conduce al baratro. Era idealista quanto bastava a costringerlo lontano dai suoi cari.
Dopo la condanna, era stato obbligato ad affidare i suoi pensieri alla carta, su cui aveva riversato lacrime e sangue. Imprigionato nel convento di Santa Cruz come il più sordido dei criminali, ebbe il tempo di riflettere e di accomiatarsi da amici e parenti. In particolare, spese parole accorate verso l'arciduchessa Sophie, l'adorata madre che lo considerava da sempre il prediletto, e raccomandò a lei i propri oggetti da lasciare in ricordo ai fratelli e a coloro che avevano provato affetto per lui. 
Alle tre del mattino del giorno fatidico, Maximilian non cedette allo sconforto. Trovò la tenacia d'animo di consolare i fedeli servitori e il padre confessore che si abbandonarono alle lacrime, mentre lo accompagnavano nei suoi ultimi istanti verso il patibolo. Al suo carnefice e suo successore domandò pace, affinché il suo sangue fosse l'ultimo versato in nome di quel popolo.
I repubblicani ambivano alla libertà. Se in vita l'imperatore non era riuscito a concederla, con la sua fine l'ordine sarebbe stato presto ristabilito.
Max doveva trovare un senso alla sua sentenza di morte, doveva convincersi che gli ultimi anni della sua vita non fossero stati costellati da decisioni discutibili a seguito di alleanze svantaggiose. Le scelte prese in nome di un futuro florido per gli Asburgo, in particolare per la sua discendenza, avevano reso ingenui lui e la consorte.
Charlotte era la moglie con la quale aveva condiviso l'ambizione. Maximilian non avrebbe mai saputo quanto la sua morte l'avrebbe sconvolta. Quanto avrebbe sofferto dell'impossibilità di adoperarsi per scampare il marito all'esecuzione, in compagnia dei più illustri sovrani europei, anch'essi impotenti di fronte all'inevitabile. Quanto avrebbe rinnegato gli stessi ideali progressisti che si erano rivoltati contro il marito con un'onda di tradimenti e menzogne. Quanto Charlotte, alla resa dei conti, sarebbe diventata una giovane vedova in balìa di una fiducia mal riposta.
Si dispiacque per il futuro che avrebbe atteso l'ignara consorte, che la brama di potere aveva condotto alla follia di credere che per il marito potesse essere ancora presente l’orizzonte di un trionfo e di un impero tutto suo.
A pochi passi dalla sua fine, l'imperatore riusciva solo a realizzare ipotesi sul dopo di lui. Querétaro non era già più nei suoi pensieri. Era riuscito a chiudere l'ingiurioso capitolo del Messico come ultimo atto di buona fede della sua esistenza, era riuscito a tornare in patria con la mente. Dedicò gli ultimi battiti del suo cuore all'amata Austria, al Castello di Miramare, ai giorni spensierati vissuti accanto alla moglie e al meraviglioso mare di cui era innamorato.
Avrebbe dovuto immaginare che essere l'ambizioso fratello cadetto che non voleva vivere all'ombra dell'imperatore d'Austria Franz Joseph e un liberale in un mondo di conservatori, non avrebbe portato a realizzare i suoi sogni, anzi essi stessi gli avrebbero remato presto contro, sentendosi soffocati dall'ingenuità di un giovane sovrano.
Il corpo indebolito di Maximilian cadde sotto un indefinibile numero di colpi, senza accorgersi da chi venne sparato il colpo fatale né quale fu il suo ultimo ricordo. Morendo fu solo certo di aver rivolto un pensiero a tutti coloro che gli rimasero fedeli fino al patibolo: una silenziosa richiesta di perdono per ogni scelta che lo stava strappando alla sua famiglia.
Non agonizzarono, il plotone ebbe pietà dei condannati, volente o nolente, era sembrato quasi umano grazie alla mano esperta dei militari.
I repubblicani vinsero, quando Maximilian I d'Asburgo cessò di respirare, portando via con sé la sua ambigua reggenza. Benito Juárez, dopo aver firmato l'ordine di uccidere il suo predecessore, tornò ad essere presidente del Messico, relegando Max al ricordo di un imperatore incapace di governare secondo la propria ragione.
 
 
 
 
Cattedrale Mathias di Buda, capitale dell'Ungheria; 8 giugno 1867
 
Éljen Erzsébet! Éljen Erzsébet![1]
Un fascio di luce inibì la vista di Sissi per una frazione di secondo. Gli intensi raggi di sole che filtravano attraverso le vetrate colorate non avrebbero potuto sortire lo stesso effetto.
Innumerevoli quadri l’avevano immortalata, da quando Schönbrunn e Hofburg erano diventate sue dimore ufficiali e lei sovrana. Alcun dipinto, però, era equiparabile ad un’istantanea in grado di catturare le sfumature più velate dell’animo.
Ludwig Angerer, il fotografo della corte imperiale di Vienna, rese eterno lo sguardo trepidante dell'imperatrice d'Austria, appena incoronata regina d'Ungheria. Il volto composto di Elisabeth era teatro di immaginazione. Sorrideva il cuore, ma le labbra in una fotografia ufficiale non erano tenute ad ostentare gioia.
Gli occhi dell’aristocratica bavarese erano rivolti all'uomo che la stava immortalando, mentre intorno a lei il popolo l'acclamava nel suo abito di broccato, disegnato sullo stile del costume tradizionale ungherese.
Sissi era considerata l'incantevole sovrana dall'animo nobile - una nobiltà che esulava dal titolo acquisito per diritto di nascita -, rivestita di un affetto che i suoi sudditi non avrebbero mai smesso di nutrire. Lei aveva ricambiato il popolo magiaro con la stessa moneta, rendendo quella patria parte del proprio cuore, di una cultura aperta all’ignoto e di valori liberi. Aveva conquistato per onore la popolarità di cui godeva sulla bocca di qualunque ungherese.
L'intero Paese era in giubilo. Ogni ceto ed ogni età indossava abiti festosi, quelli dedicati alle occasioni più prestigiose. Una porzione rappresentativa di popolo aveva accolto i sovrani al sorgere del sole sulle rive del Danubio. La coppia imperiale era giunta da Vienna, scortata dalla nave che anni prima aveva condotto i due sposi all'altare.
Più tardi, Franz Joseph a cavallo ed Elisabeth su una carrozza trainata da otto destrieri bianchi giunsero sul luogo della cerimonia.
Franz procedeva lentamente lungo il corteo, respirava l’aria fresca della vittoria conquistata dopo tante pene. Aveva lottato alla strenua ricerca di quell’epilogo per gli Asburgo e per l’Austria, ma non per l’arciduchessa Sophie, profondamente contrariata. Si beava del successo politico ottenuto anche e soprattutto grazie all’intercessione della consorte.
Per l’arciduchessa quell’evento avrebbe portato al baratro l’impero austriaco, quello stesso impero che la nuora non aveva mai davvero apprezzato, ma che, non per questa ragione, aveva trascurato, come gli austriaci avevano sempre pensato.
Le lodi dedicate a Sissi non infastidirono Franz Joseph, anzi ciò che l'imperatrice era riuscita a compiere sarebbe stato impensabile persino per lui, che fino a poco tempo prima era considerato nemico giurato dell'Ungheria[2]. Il sovrano scorse il sorriso soddisfatto della sposa, mentre accennava un saluto a coloro che ospitavano commossi il loro passaggio. Il fascino della moglie continuava a risultare indiscusso ai suoi occhi, più raro era riconoscere nello sguardo la genuinità con cui una sovrana ringraziava i sudditi della calorosa accoglienza.
Quando Elisabeth ricambiò le stesse attenzioni del marito, un fremito lo scosse. Da troppo tempo ormai non leggeva sincera gioia sul suo volto. Certo, non la stessa che aveva accompagnato i primi anni del loro matrimonio.
Al consorte Sissi dedicò un sorriso più malinconico. A lui non recriminava i rapporti che aveva intrattenuto con la Contessa Potocka o con qualsiasi nobil donna avesse potuto incontrare. La lontananza del marito era stata una sua esclusiva responsabilità. Lo erano stati gli onerosi doveri e i devastanti dispiaceri che l'avevano dilaniata nel fisico e nell'animo, rendendola una compagna più assente. Mai, però, aveva mancato ad un impegno pubblico, che le fosse gradito o meno, la sua presenza era garantita.
In quel soleggiato giorno di inizio giugno, era stata fortunata. L’evento era molto apprezzato e persino le pesanti crepe del loro matrimonio sembravano accantonate.
Sotto il fardello del mantello di Santo Stefano di seta verde-azzurra, l'imperatore scompariva agli occhi di Elisabeth. Rimaneva l'uomo con il quale avrebbe voluto donare un erede a quelle nuove terre acquisite e da lei tanto amate. Lo stesso uomo a cui lei pochi anni prima aveva già offerto un successore: Rudolf era un fragile principino, affidato fin dai suoi primi respiri alla protezione dell’arciduchessa Sophie, perché di certo non si poteva rischiare che l’educazione dell’erede al trono venisse compromessa da sua madre.
La cattedrale era un tripudio di colori magiari. La stessa imperatrice la era nel suo abito, accostato all'uniforme da maresciallo ungherese del consorte: entrambi divennero un elogio vivente e silenzioso rivolto a quelle terre verdeggianti.
Sul capo dei neo sovrani d'Ungheria scintillavano le corone, le più preziose che il popolo magiaro avrebbe potuto offrire loro, a dimostrazione di quanto fosse solenne la fiducia riposta nella coppia imperiale: la sacra corona incastonata di preziose gemme era riservata a Franz Joseph, un modello più modesto venne posato sulla chioma intrecciata di Elisabeth, ma le stava d'incanto in egual misura.
Dell'onore di incoronarli, di nominarli re e regina, fu investito il Conte Gyula Andrássy, primo sostenitore della sua sovrana, da quando ebbe la solida certezza che lei rappresentasse la Provvidenza per lui e l’intero popolo. In nome dello smisurato affetto nei riguardi di Sissi, la tradizione venne stravolta. Non vennero attese le albe successive per l’incoronazione della regina, era quello il giorno di festa, il giorno di Elisabeth, a cui il consorte era talmente riconoscente da non provare la minima invidia per essere stato posto più in ombra del solito.
L'Ungheria, che aveva strappato a Sissi la piccola Sophie, tornò a commuoverla, ma questa volta in occasione di un lieto evento che non la rese nemmeno così insofferente ad una cerimonia ufficiale - avvenimenti che a Vienna tanto detestava -, perché quello rappresentò l'appuntamento con il destino atteso da tempo.
Si consumò la più grande gioia di una vita ricca di devozione nei suoi riguardi. Elisabeth riscoprì un tale vigore da desiderare di essere di nuovo madre. Si sentiva pronta a preservare quella creatura dal dominio inamovibile della suocera, a crescere lei stessa un futuro re per l'Ungheria.
Non aveva mai ambito a diventare imperatrice, fu il compromesso da scontare accanto a Franz, eppure sentì subito sue le vesti di regina, le avevano ridonato la vita perduta fra le amate campagne ungheresi che tanto le avevano strappato in passato.
Sissi tornò a scorgere un futuro davanti a sé in quel giorno di festa. Le insegne e i vessilli che brillavano in quel luogo sacro erano di buon auspicio.
Immortalata nella fotografia di Angerer, la regina si apprestava a seguire il marito sul sagrato della cattedrale. Erano prossimi a compiere i successivi riti e a rendere ufficiale la loro incoronazione. Franz Joseph le porse il braccio, invitandola come ogni abitante delle campagne ungheresi alle ovazioni di un popolo che voltava una pagina della sua Storia.
Il re era sicuro che la Storia sarebbe stata scritta una volta oltrepassati i possenti portali della cattedrale e in quel libro il nome della sua sposa sarebbe comparso.


 
 
Ratisbona, Regno di Baviera; 26 giugno 1867
 
Helene era inconsolabile persino tra le amorevoli braccia di Elisabeth, la sorella con la quale aveva sempre condiviso gioie e dolori, donando al loro rapporto una sincera reciprocità.
La secondogenita dei duchi di Baviera aveva appena perso il consorte di una malattia che, per quanto gli sforzi fossero stati notevoli al tempo, non era riuscita a sconfiggere.
Stavolta era il dolore di Nené a chiedere di essere accolto. Con insistenza Sissi era riuscita a strappare la giovane vedova dal capezzale del marito e a condurla alle esequie con aspetto dignitoso.
L’imperatrice d’Austria non riconosceva più nel volto della duchessa la tenacia della donna che era stata. Elisabeth scorse una maschera di lacrime e impassibilità. La sorella era incapace di realizzare che il consorte, l’uomo di cui era sinceramente innamorata, non le fosse più accanto.
L’unico pensiero in grado di distogliere Nené dal corpo senza vita del marito era rivolto all’ultimogenito dei principi di Thurn und Taxis, aveva compiuto un mese e non avrebbe mai conosciuto suo padre. Helene trovò nella creatura appena nata la forza di seppellire l’uomo che le aveva donato anni felici di vita.
Scorgendo la sorella in un simile stato di sconforto, Sissi non riuscì ad accantonare il profondo senso di colpa che provava nei suoi riguardi, da quando le strappò il trono decidendo di rimanere accanto a Franz Joseph.
In quelle tragiche ore, Elisabeth pagò i suoi debiti, accompagnando Helene nel lutto più doloroso che potesse patire. Le donò parole affettuose, talvolta silenziose, ma non potevano essere abbastanza, la sofferenza era troppo dilaniante.
Nené era colei in grado di placare e talvolta guarire le sofferenze dell’anima, il cognato l’aveva supplicata di curare il malessere di Sissi, quando si era ritirata sofferente a Corfù. Elisabeth non era in grado di riproporre lo stesso fare accogliente della sorella maggiore. La sovrana poteva solo immaginare cosa significasse lasciare andare per sempre un compagno amato; lei stessa aveva interceduto affinché il loro matrimonio si celebrasse, contro il volere di coloro che non accettavano quanto le dinastie tra i due sposi fossero diversamente prestigiose. Mai avrebbe potuto acconsentire che Helene fosse infelice a causa dello stato sociale poco elevato di lui.
Le porte per la famiglia reale dei Wittelsbach non erano mai abbastanza comode per la felicità. Elisabeth avrebbe dovuto pensare che contro il destino anche la sua volontà sarebbe stata impotente. Persino una parvenza di felicità sarebbe stata effimera per ognuno di loro.
Non abbattersi ad un futuro infausto era l’unico consiglio che l’imperatrice avrebbe potuto offrire alla sfortunata sorella. Un suggerimento amaro che colpiva al cuore la stessa Sissi.
 
◦•●✿✿◉●•◦
 
L’imperatrice era giunta ad un’amara conclusione ormai da tempo: la vita non avrebbe mai riservato a loro serenità.
Quando Franz Joseph la convocò nelle sue stanze, il presagio di Elizabeth fu tutto tranne che roseo. Le lacrime del marito le lasciarono intendere fosse accaduto qualcosa di terribile, ma non riuscì a cogliere se riguardasse affari personali o diplomatici.
In poche occasioni Franz aveva ceduto così apertamente alla debolezza, si era mostrato così fragile e umano. Anche attraverso la corrispondenza più abbattuta dell’imperatore brillava sempre un lumicino di speranza, ma stavolta sembrava che il sovrano volesse gettare tutto al vento. Non ricordava nemmeno di avere mai provato la più inscalfibile fede. 
Porse alla consorte un telegramma composto da pochi caratteri, per lasciare intendere che la notizia non valesse troppo incomodo da parte del mittente. Sissi non svelò subito il motivo di tanta disperazione nell’imperatore, non gettò avida di conoscenza gli occhi sulla carta, gli dedicò un ultimo sguardo e lo scrutò mentre si rifugiava in un angolo della stanza, dietro grandi imposte per scorgere la vita gioiosa della Baviera e per distrarsi.
La giovane sovrana lesse portandosi una mano all’altezza del cuore al progredire della lettura, tanto fu il dolore di scoprire che un suo fidato amico non fosse più in vita. Maximilian era stato quello per lei, prima ancora di essere suo cognato, un uomo con cui poter condividere ideali progressisti, gli stessi che suo padre nelle campagne bavaresi le aveva insegnato ad apprezzare.
Elisabeth fu costretta ad accomodarsi sul letto del consorte per attutire il duro colpo che aveva ricevuto.
La sentenza esecutoria era stata pronunciata meno di un mese prima e in meno di tre ore era stata attuata procurandogli sei fori nel petto. Il tribunale militare aveva giudicato e accusato Max di crimini contro la nazione messicana. Era difficile considerare realistiche quelle accuse.
La notizia giungeva in ritardo in Europa, quando ormai tutto era perduto e la morte aveva decretato la fine di ogni possibile trattativa.
«Mi ero premurato, affinché mio fratello tornasse in possesso di tutti i suoi diritti di membro della famiglia reale. Ero convinto che questo bastasse, affinché nessuno osasse attentare alla vita dell’arciduca»
Elisabeth non osò frenare l’impeto con il quale il consorte si accanì sulla trave in legno del cornicione, scuotendola con i palmi. Il tono dell’imperatore era pacato, ma rotto dall’affanno.
«Avrei dovuto fermarlo. La pessima decisione era sotto gli occhi di tutti, lui e Charlotte erano gli unici ad essere ciechi»
Sissi negò con il capo, quando il sovrano cercò da lei una conferma. L’opinione della consorte gli diede la parvenza di non essere stato in errore nei riguardi del fratello giustiziato, ma fu difficile scalzare i sensi di colpa.
L’imperatrice si alzò per potersi avvicinare a lui e rendere più riservata la loro conversazione.
Lasciò il telegramma sullo scrittoio del consorte. Nell’appoggiare il foglio, lo accarezzò. Racchiudeva le ultime notizie dell’amato cognato, mai più ne avrebbe ricevute sul suo conto, né da lui in persona né da terzi.
Una lacrima sfuggì alla sovrana ripensando ad una delle ultime confidenze scambiate con l’arciduca, quando Maximilian non era ancora stato nominato imperatore di una terra che si trovava dall’altro capo del mondo, il più lontano possibile dalla sua patria natìa.
Avrebbe dovuto immaginare che le confidenze del cognato sarebbero state premonizione di tragici eventi.
Prima di quel momento non aveva confidato una singola parola al marito, convinta di tradire la fiducia di Max. Elisabeth cercò di indorare la pillola, ma ciò che stava per rivelare a Franz gli avrebbe offerto la drammatica certezza di avere una parte di responsabilità nella morte del fratello, sfuggita ingenuamente al volere dell’imperatore d’Austria.
«Non voleva essere dissuaso, desiderava solo vivere il più lontano possibile dalle terre che si trovano sotto il tuo controllo. Era stanco di esistere alla tua ombra. Ho provato a ricordargli quanto fossero belle le orchidee a Miramare, quanto non valesse la pena perdere tutto ciò che poteva offrire, ma non ha voluto ascoltarmi. Nessuno vorrebbe rimanere deluso dai propri sogni, vero?»
Sissi sapeva quanto il potere fosse un'arma distruttiva, l'aveva sperimentato nella sua giovane vita, senza realmente ambire a raggiungerlo. Era stato solo un effetto collaterale.
Dilaniò Franz Joseph ricordare che l’ultima conversazione tenuta con il fratello fosse stata un litigio. Maximilian non avrebbe mai accettato un ruolo subalterno, in cuore suo Franz lo aveva sempre saputo, senza riuscire mai ad ammetterlo persino a se stesso.
Erano state l'invidia e la gelosia a spingerlo su un campo rischioso, le cui pedine non erano state abbastanza semplici da giocare per lui. Si contendevano tutto, a partire dal trono fino all'affetto della madre; un amore che da parte di Franz solo la presenza della sposa e il suo imporsi sull'educazione dei figli era riuscito a far vacillare.
Sissi invitò l'imperatore a cercare sostegno sulla sua spalla. Nel loro abbraccio anche la sovrana provò a lenire il dolore di aver perso quel confidente in grado di seguirla in ogni dove pur di donarle conforto dai dispiaceri e dalle sofferenze fisiche.
Elisabeth non avrebbe mai dimenticato il loro ultimo viaggio sull'isola di Corfù. Il cuore tornò alla traversata in nave, alla genuinità, talvolta sofferta, con cui si erano scambiati i timori più reconditi. Buona parte delle loro confidenze rimase sepolta nell'animo dell'imperatrice. Il mare aveva ispirato il suo animo da poeta, ma di poetico vi era ben poco nel materialismo dei titoli nobiliari e Maximilian ardeva nel desiderio di acquisirli.
Franz indugiò a ricambiare la stretta della consorte, non la sfiorava da tempo e una parte di sé non era più certa ne fosse degno. Il calore che si infusero racchiuse pace reciproca; il conforto che Sissi gli donava non era mai riuscito a trovarlo in altre donne.
«Non so comunicarlo a mia madre. Juárez non concede ancora la restituzione del feretro»
«Stavolta saprai come farlo tornare a casa»
Elisabeth lo fissò negli occhi con uno sguardo alto e orgoglioso, come se fosse il più puro fra gli uomini, anche se entrambi sapevano quanto quella virtù non gli appartenesse. Si scambiarono pensieri soppressi, ma nessuna accusa.
Sissi racchiuse il volto dell'imperatore tra i palmi candidi e li fece scivolare lungo il petto, incontrando la sua uniforme ufficiale, indossata poche ore prima per il funerale del marito di Helene.
Erano eternamente in lutto, le sfumature cupe degli abiti della sovrana riflettevano l'umore di entrambi.
L'imperatore scostò la retina ricamata dagli occhi di Elisabeth: erano gonfi di pianto e di lutti prematuri. Franz Joseph socchiuse le palpebre, riscoprì la temerarietà dell’ufficiale militare, ma davanti a lei non era in grado nemmeno di reggere il suo sguardo senza sentire di aver fallito.
Ti ho resa regina, ma non so renderti felice.
 
 
 
 
Palazzo reale di Gödöllö, Ungheria; 30 gennaio 1868
 
La regina si trovava nel luogo che più di qualsiasi altro le donava pace. Ambiva al castello prima ancora che diventasse un dono degli ungheresi riservato alla loro sovrana e Franz potesse economicamente gravarlo sulle finanze di corte. La sua non era brama di possesso, Sissi necessitava di quel posto per trovare il conforto dell’anima.
Pochi giorni prima, il presidente del Messico Juárez aveva graziato la famiglia reale e aveva deciso di restituire il feretro del duca Maximilian. Sul balcone che adombrava l’immenso giardino del castello, Elisabeth ripensò all’ennesimo dolore che avrebbero conservato nella memoria le mura della Cripta dei Cappuccini. La sovrana non avrebbe mai potuto dimenticare le grida di orrore che udì provenire dall’arciduchessa Sophie, quando intravide il corpo dell’amato figlio deturpato dai sette lunghi mesi che lo separavano dalla sua esecuzione. Inumato nella tomba di famiglia, Max tornò ad essere un Asburgo, privato degli onori che tanto aveva bramato in vita, gli stessi che gliel’avevano strappata con la violenza dei fucili.
Sissi in quegli attimi provò il naturale istinto di mostrare vicinanza alla suocera. Erano entrambe madri di figli deceduti prematuramente. Lo sguardo carico di puro odio dell’arciduchessa la fece desistere. Non poteva esistere una tregua tra le due rivali: Elisabeth era viva, mentre l’amato figlio era defunto.
Della mattina in cui seppellirono il cognato, si sarebbe per sempre portata dentro la profonda solitudine che aleggiava intorno a lei e che traspariva sul volto dei presenti. Nessuno di loro osava proferire parole di conforto per dare sollievo al proprio vicino. Erano soli nel dolore, al pari degli Asburgo morti per i quali domandavano indulgenza. 
Quel gelido giorno di fine gennaio, l’imperatrice aveva deciso di sostare qualche minuto in più sul balcone, benché il clima non fosse ideale per quel genere di intrattenimenti.
Ormai al sesto mese di gravidanza, la regina attendeva il quartogenito come aspettava trepidante lo sbocciare delle rose in primavera. Il suo ultimo desiderio espresso nella Cattedrale Mathias a Buda era stato di partorire un erede per la sua amata Ungheria, la terra che fin da bambina aveva rubato il suo cuore.
L’esperienza della maternità vissuta a corte le aveva dato modo di pianificare il suo futuro e quello del nascituro. Era temprata a qualsiasi evenienza, purché lontano da Vienna e dai consigli di suocera e marito. Il figlio che portava in grembo sarebbe stato sotto la sua totale responsabilità.
A Gödöllö i sogni di Elisabeth erano inondati di luce. Avrebbe chiamato il nascituro Stefano, in onore del santo patrono d’Ungheria e per il parto la scelta privilegiata sarebbe stata la città di Buda-Pest, in onore di quel popolo che pazientava di conoscere il suo futuro reggente al trono.
Da quando Sissi scoprì la gravidanza, persino le sue attività preferite scivolarono sullo sfondo. La ginnastica e le cavalcate vennero ridotte al minimo per preservare la sua salute.
Le aspettative sul futuro erano alte, l’imperatrice aveva bisogno di questo per superare i dolorosi lutti, tornare a credere nella possibilità di eventi lieti.
Non tutto, però, nel suo luogo preferito rifletteva la gioia di cui era tanto alla ricerca. Negli abiti pesanti, con i quali desiderava proteggere il ventre dagli sbuffi d’aria, leggeva una missiva scritta di pugno in lingua ungherese - per le origini umili di una e per la passione dell’altra nei confronti della nazione ungherese - dalla sua dama di compagnia, Ida Ferenczy, che con dispiacere delle due donne non era autorizzata ad accompagnarla nei viaggi ufficiali. Gli aggiornamenti sulla vita alla corte viennese erano tutt’altro che rosei.
 
Con il permesso di Vostra Maestà.
Desidero informarVi delle condizioni di salute di Sua Maestà, il principino Rudolf.
Sono in pensiero per Lui, non sta bene: a Natale era pallido e si reggeva poco sulle proprie gambe. Un Vostro ritorno potrà giovare al principino. Sua Maestà, l’arciduchessa Sophie, non consente il rientro del giovane erede dalla caserma. 
Mi permetto di dissentire solo con Voi, che siete buona e comprensiva, il giudizio dell’Illustrissima Maestà. Vostro figlio necessita di tornare a corte e di vivere giornate più serene, al sole e senza la pressione di un tutore.
Aspetto il Vostro ritorno come si attende l’acqua nel deserto. La Vostra presenza a Vienna porterà nuova luce per tutti noi. 
Sempre Vostra devota,
Ida
 
L’affetto e l’onestà della dama non placarono il nervosismo che stava attanagliando Elisabeth alla notizia delle sofferenze che stava patendo il suo bambino.
A discapito di ogni previsione del consorte, Rudolf non sarebbe diventato un buon imperatore d’Austria, non sarebbe arrivato ad indossare la corona del padre in quello stato di salute. Franz gli sarebbe senza alcun dubbio sopravvissuto.
Era preoccupata in veste di madre, dei titoli le importava molto meno rispetto alla vita del figlio. Tornati a Vienna, l’educazione dell’ultimogenito lontano dalla corte sarebbe stato argomento di conversazione con il marito. Sissi prese in considerazione le vivaci discussioni che avrebbe acceso fra le mura dei palazzi imperiali, ma dopo anni non era spaventata di ciò che l’avrebbe attesa, il suo unico obiettivo era difendere la prole dalla sofferenza. 
L’imperatrice scrutava il viottolo nel quale guardie e servitori stavano allestendo le carrozze che esponevano sugli sportelli l’aquila bicipite e che avrebbero scortato il corteo reale fino alla stazione di Pest, dove li avrebbe attesi un treno diretto per Vienna.
Giocherellava in preda all’ansia con il medaglione che portava al collo, l’ultimo regalo che Franz le aveva dedicato il giorno della Vigilia di Natale, in occasione del suo trentesimo compleanno.
Non era propriamente il pensiero che Sissi aveva domandato al suo sposo, non desiderava alcun pegno d’amore materiale, nel concreto l’imperatore non faceva patire alcuna mancanza alla consorte. Ciò che aveva chiesto a Franz Joseph era ben più impegnativo e non si era affatto sorpresa quando lui aveva indugiato a concederlo in tempi brevi.
Recentemente, Sissi aveva scoperto il fascino di approfondire l’animo umano ed in particolare ciò che lo attanagliava. Leggeva circa i mali dell’anima nelle opere di Shakespeare, l’affascinavano i folli, impiegava lo studio della mente di questi ultimi per dare un nome ai mali che affliggevano da secoli le famiglie a cui apparteneva, Wittelsbach e Asburgo in egual misura. Si impegnò a visitare manicomi e a stringere la mano dei pazienti senza svelare mai la sua identità, a tal punto da desiderare di aprirne uno con l’intercessione dell’imperatore.
L’unica motivazione che avrebbe potuto addurre a se stessa, affinché il viaggio di ritorno alla Hofburg fosse meno penoso, riguardava le sorti dell’amato figlio.
A parte le preoccupazioni per il principino Rudolf, un unico desiderio albergava nel cuore dell’imperatrice. Ella lo rivolgeva direttamente a quel cielo coperto da nubi che sembravano rivendicare un’abbondante nevicata. Non le sarebbe dispiaciuto restare bloccata con Franz a Gödöllö qualche giorno in più, bearsi della sua presenza. Era certa avrebbe gradito anche lui, lontano da affari politici e militari, dai telegrammi dei ministri che lo svegliavano all’alba senza potersi mai godere il calore della sua famiglia.
Ancora una volta, Sissi aveva dimenticato il suo ruolo e quello del consorte. Era convinta che la volta celeste non avrebbe realizzato il suo desiderio, avrebbe anch'essa assecondato gli ideali di corte, l’etichetta dell’arciduchessa Sophie. Quella stessa etichetta che Elisabeth onorava come meglio poteva, ma che stava annientando il suo rapporto con Franz.
 
◦•●✿✿◉●•◦
 
Per Elisabeth la compagnia di quel viaggio fu inaspettata. Franz Joseph l’aveva sorpresa in egual misura quel dì che scelse di condividere la sua reggenza con lei al posto della secondogenita dei duchi Wittelsbach.
Non avrebbe potuto immaginare che, una volta allontanata la propria mano da quella della guardia che aveva aiutato l’imperatrice a salire sulla carrozza imperiale, avrebbe preso posto a lato del conte Gyula Andrássy e non del consorte.
A Sissi sfuggì un impercettibile e tenero sorriso al pensiero della ragione che aveva potuto spingere il marito a quel sacrificio: era geloso, più volte si era mostrato tale nella loro corrispondenza, ma era a conoscenza del rapporto di amicizia che legava l’imperatrice e il conte, lei stessa aveva raccomandato quest’ultimo al sovrano. Franz aveva deciso di dare loro fiducia e di sopprimere le voci in circolazione circa una presunta relazione extraconiugale della regina.
La neve iniziò a cadere davvero sulle carrozze che scortavano conte e imperatrice, imperatore e contessa, ma era ormai troppo tardi per esaudire il desiderio di Elisabeth.
Una buona parte del viaggio fu trascorsa nel silenzio dei fiocchi che scivolano pacati sui tettucci dei mezzi. Ad Andrássy non era concesso prendere parola prima dell’imperatrice. Quest’ultima, dopo il fortunato successo dei loro obiettivi, non aveva più argomenti da spendere in una conversazione con il conte, anzi era certa che anche la sua figura si riducesse ad un mero simbolo, perdendo ogni sorta di parte attiva nel florido futuro dell’Ungheria. Il conte, ora, avrebbe dovuto svolgere il suo ruolo di garante per la patria, questo era ciò che il popolo si aspettava da lui. Una guida per il progresso che si trovava solo al punto di partenza nella grande scacchiera delle potenze mondiali.
Gli occhi di Elisabeth e di Andrássy non si sfiorarono, il conte non cedette alla tentazione di ringraziarla a nome degli ungheresi. Fu lei a colmare il silenzio, sfilando il guanto sinistro e sfiorando la mano dell’uomo.
L'ondeggiare della carrozza li rendeva più vicini. Sissi avrebbe voluto che quel tragitto non avesse mai fine e per un breve frangente delle loro esistenze fu davvero così. Le loro dita rimasero intrecciate fino alla stazione di Pest.
Elisabeth era certa che salita su quel treno l’affettuosa amicizia che la legava ad Andrássy sarebbe mutata: niente più corrispondenza per interloquire di affari politici, niente più incontri per mediare gli accordi con l’imperatore d’Austria. Temeva di perderlo, più della paura di perdere il suo ruolo diplomatico in quella faccenda.
Su quella carrozza Elisabeth concesse qualcosa di più al conte, a lui che giocava sulla seduzione per ottenere favori, un metodo che lei conosceva bene e che la rendeva diffidente quando veniva usato contro di lei. Andrássy sapeva che quello era il massimo della vicinanza che avrebbe ricevuto da lei. Dimostrarle con uno sguardo più deciso quanto fosse graziosa non sarebbe servito e ciò lo divertiva.
Intorno a loro il paesaggio era avvolto nel mistero, non sarebbe stato difficile perdere la retta via, ma le guardie imperiali a cavallo non lo concessero. A capo del corteo reale, nella carrozza di testa, Franz attendeva la sua sposa per prendere la coincidenza.
Al termine di un viaggio, che Sissi era certa sarebbe rimasto segreto nel silenzio dei fiocchi candidi dispersi, tentò di strappare al conte una promessa, porgendo a lui un delicato bacio sul dorso della mano, prima di sciogliere le loro dita.
«Dovete promettermi di non morire prima di me»[3]
«Non dipende da me e non sono certo di desiderarlo»[4]
«Promettetemelo, conte, altrimenti non lascerò la vostra mano e ci comprometteremo agli occhi di tutti. Compromessi! Conoscete bene il significato di questa parola, non è vero? L’avete firmato il Compromesso»[5]
«Prometto di obbedirvi fino a quando potrò farlo. Pensate solo a ritornare, gli ungheresi hanno bisogno della loro regina»[6]
«E voi?»[7]
«Mi sento più ungherese di tutti gli ungheresi»[8]
 

Buongiorno, cari lettori e care lettrici!
Dopo infinite ricerche e riflessioni sono riuscita a mettere insieme i pezzi di questa nuova one-shot. È un po’ più lunga rispetto alla one-shot precedente, ma gli anni che tratto qui sono stati intrisi di eventi, ci tenevo ad affrontare i principali e quelli che verranno richiamati anche nelle parti successive di questa raccolta.
Ringrazio di cuore tutti coloro che hanno dato e daranno fiducia alla raccolta. ❤️
Ringrazio di cuore, inoltre, chiunque sia giunto fin qui. ❤️
A presto!
Un abbraccio,
Vale
 

[1] Viva Elisabeth! Viva Elisabeth!
[2] Nel 1867 l’Ungheria comprendeva la maggior parte della Slovenia, della Croazia e della Transilvania.
[3] Sissi. Vita e leggenda di un’imperatrice di Nicole Avril, p. 177.
[4] Sissi. Vita e leggenda di un’imperatrice di Nicole Avril, p. 177.
[5] Sissi. Vita e leggenda di un’imperatrice di Nicole Avril, p. 177.
[6] Sissi. Vita e leggenda di un’imperatrice di Nicole Avril, p. 177.
[7] Sissi. Vita e leggenda di un’imperatrice di Nicole Avril, p. 177.
[8] Sissi. Vita e leggenda di un’imperatrice di Nicole Avril, p. 177.
 

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Capitolo 3
*** L'altra metà dell'odio ***


L'altra metà dell'odio




 
L’odio è un sentimento autolesionista.
Ci toglie dignità e grandezza, è come una catena.
Ingrid Betancourt
 
 
 
 
Buda, Ungheria; 22 aprile 1868
 
Il numero dei travagli che Elisabeth aveva subìto non la rese più pronta ad affrontare il quarto lieto evento. Solo la natura dell’avvenimento era gioiosa.
La sovrana era confusa circa le proprie emozioni.
Aveva trascorso una gravidanza serena. Aveva risparmiato al nascituro ogni genere di fatiche, privando se stessa dei passatempi più graditi, quali l’equitazione e la ginnastica.
Era stato più difficile rendere limpida la mente da pensieri personali e politici: Rudolf era dipinto da tutti come l’erede al trono che avrebbe donato un rinnovato lustro all’Impero, ma agli occhi della madre restava un fragile bambino a cui veniva chiesto di essere un uomo ante tempus.
Alle prime ore dell’alba, il palazzo era inondato di luce. Le stanze dell’imperatrice erano rivolte ad est, nel punto più luminoso. In altre circostanze Sissi avrebbe gradito la posizione dei suoi alloggi. L’intensa luminosità infastidiva la sovrana, la quale avrebbe preferito una camera buia e isolata, fra le cui pareti esternare la sofferenza che la portava a contorcersi per le violente doglie; i tendoni candidi non assolvevano al loro compito.
Franz Joseph non assisteva al parto della consorte. Stava discorrendo di politica dalle quattro del mattino chiuso nel suo studio e aveva chiesto di non essere disturbato fino al primo vagito del quartogenito. I doveri di Stato precedevano qualsiasi altra questione.
Elisabeth non aveva mai biasimato il rigore agli impegni che il marito aveva assunto per diritto di nascita. Al contrario, lo aveva seguito come sposa devota, mostrando apertamente in poche occasioni insofferenza verso le cariche ufficiali che ricoprivano. In cuor suo, in un frangente così intimo e personale per la sovrana, avrebbe desiderato fosse al suo fianco.
Nell’angolo riservato al consorte, Sissi soffocò in un pugno di lenzuola l’ansia sul sesso del nascituro. Oltre le imposte, buona parte degli ungheresi condivideva le sue stesse sofferenze in attesa del responso. Ebrei credenti e praticanti erano riuniti in solenne preghiera, affinché al Regno d’Ungheria venisse donato un re che ne garantisse l’indipendenza.
Le false dicerie che avevano accompagnato la gravidanza non avevano gettato crepe tra i sovrani austro-ungarici. L’ultimo frutto della loro unione era il risultato di un legame che in tempi più recenti Sissi e Franz avevano rinsaldato.
Avevano trovato la via per ricongiungersi, quando le traiettorie del mondo li spingevano sempre più alla deriva, a causa di affari politici tanto scomodi a lei – ad eccezione delle questioni che riguardavano la sua amata Ungheria - o per fuggire dalle mura opprimenti dei palazzi reali viennesi.
Erano tornati ad essere intimi per riscoprire la pace che per un breve frangente si erano negati l’uno tra le braccia dell’altra e per riprovare la complicità che mai avrebbero potuto scorgere in sguardi diversi. Insieme erano persino riusciti, dopo una serie di crudeli lutti, a svelare un nuovo e sincero sorriso sulle loro labbra. Per alcuna ragione avrebbe potuto intromettersi tra i due il dubbio che il conte Andràssy fosse il padre della creatura, l’imperatore conosceva l’unica verità.
Gli sforzi di Sissi risultavano meno opprimenti al pensiero del valore che possedeva già un bambino che non aveva ancora né visto né esperito sulla pelle la luce dell’alba. Era il simbolo di una rinnovata pace con lo sposo.
La levatrice ungherese invitava la regina a resistere. Le doglie del parto erano intense. Le contrazioni, sempre più frequenti, le infondevano la certezza che presto l’agonia sarebbe cessata; ricordava questo dettaglio dalle maternità precedenti.
Elisabeth gradì il contatto delle sue gambe con le mani della nutrice. Era calore umano che le adduceva meno solitudine e più tenacia.
Era una semplice giovane entrata in travaglio che stava vivendo le fasi finali di un ennesimo parto. Si era spogliata degli abiti ufficiali nel momento di maggiore vulnerabilità per una donna, a qualunque rango essa appartenesse.
L’imperatrice era fragile e poco propensa all’etichetta di corte, ancor meno rispetto al solito. Si fece poche remore, ma sperò comunque che lo studio nel quale il consorte stava presiedendo il Consiglio fosse abbastanza distante dalle sue stanze. L’urlo di Sissi fece tremare i vetri e l’ultimo scampolo di sforzo la lasciò sfinita sui cuscini imbottiti di piume che le dame avevano predisposto per creare un giaciglio comodo alla loro signora.
Elisabeth fu gioiosa e sofferente, quando colse il pianto insistente di un neonato. Il sesso della creatura non le era più importato, nell’esatto istante in cui aveva percepito la vita esigente nei suoi polmoni. Le fatidiche parole pronunciate dalla levatrice in lingua ungherese persero ogni significato.
«Vostra Maestà. È una femmina»
La nota di delusione che racchiuse quella rivelazione non sfiorò l’imperatrice che si incantò sulla figura della figlia, mentre scalciava vivace tra le braccia esperte della nutrice.
Un solo pensiero attraversò la mente di una madre segnata dal lutto più temibile. Non avrebbe permesso ad alcuno di separarla da lei, di escluderla dai suoi primi anni di vita; non avrebbe consentito ad alcuna anima di ferirla, men che meno ai malanni di colpirla.
Quando le porte della stanza si spalancarono per consentire l’ingresso dell’imperatore, egli trovò la moglie intrisa di lacrime e sudore.
Franz Joseph ignorò l’inchino che rivolsero alla sua persona le dame che avevano assistito la moglie durante il parto.
I pochi e affaticati aliti di respiro rimasti all’imperatrice furono impiegati per comunicare al consorte la gioia che l’aveva investita negli ultimi minuti. Lo informò provando ed esibendo una pace che rare volte in vita sua aveva avuto il piacere di sperimentare.
«Franz. È una bambina»
Nello sguardo festoso della sposa, il sovrano colse un concentrato di suppliche e amore materno.
Marie Valerie, questo era il nome scelto per la piccola, fu la figlia che non avevano cercato, ma che scoprirono di desiderare. Le sue spalle non avrebbero sopportato il peso di alcun compito da assolvere in nome dell’Impero, se non quello di essere amata.
Gli ungheresi forse avrebbero perdonato a Sissi quel tiro mancino. Gli austriaci non avrebbero considerato di buon auspicio quel sincero desiderio di maternità, dopo aver dato prova di ribellione circa l’educazione della prole e dopo le offese per le reiterate assenze della sovrana in patria.
Franz elargì un genuino sorriso e posò le stesse labbra increspate dalla commozione sulla fronte umida della consorte.
La sua regina gli impedì di allontanarsi da lei. Osò sfiorargli appena la bocca con un bacio attraverso cui il sovrano spense ogni preoccupazione sui giorni futuri che la loro famiglia avrebbe affrontato.
La rassegnazione di veder crescere i suoi figli senza una madre non avrebbe più fatto parte della sua vita, a garantirlo era l’imperatore in persona.
 
 
 
 
Palazzo di Hofburg, residenza imperiale invernale, Vienna, Austria; dicembre 1869
 
La corrispondenza tra gli imperatori d’Austria era stata colma di parole affettuose.
Mentre Franz Joseph era impegnato altrove a svolgere il suo ruolo di sovrano nei panni del tenente, Elisabeth si dedicava alla maternità, di cui altri avevano osato privarla.
Sissi non rimase indifferente alle notizie che si profilavano sul panorama internazionale. La collaborazione tra il re e il primo ministro del Regno d’Ungheria, nella persona di Gyula Andràssy, la poneva a disagio. Era stata lei a mediare, affinché i due uomini giungessero ad un pensiero comune e sventolassero in giro per il globo la medesima bandiera: l’aquila imperiale.
Elisabeth aspirò una nuvola di tabacco dall’elegante bocchino d’avorio in tinta scura che reggeva tra le dita mancine. Anche Sissi badava ai volti delle attrici teatrali più rinomate sullo scenario mondiale, le dive più famose dell’epoca. La francese Sarah Bernhardt, una fra tutte, fu per l’imperatrice sinonimo di fascino, libertà e intraprendenza.
Gli ultimi anni ’60 vennero ricordati dai giovani sovrani al pari di un’isola felice sul quale vivere il loro rapporto. La magnificenza di Corfù – sua àncora di salvezza dalle mura viennesi – non aveva nulla da invidiare alla pace che le infondeva l’amore coniugale.
La gelosia tra Elisabeth e Franz Joseph era diventata terreno fertile di beffe.
L’imperatore a Suez, dove soggiornava da mesi in occasione dell’inaugurazione del canale, era in compagnia della consorte di Napoleone III – lo stesso sovrano che l’arciduchessa Sophie additava come assassino di suo figlio Maximilian. Agli occhi del popolo i due regnanti formavano una coppia autorevole, un simbolo di alleanza tra Austria e Francia.
La pratica della bellezza non aveva mai abbandonato Sissi, anzi lo scorrere degli anni aveva reso morbosa la ricerca della giovinezza che, suo malgrado, era sfregiata dai solchi permanenti del destino. L’imperatore conosceva i più reconditi timori della consorte e le risposte alle giocose accuse di infedeltà da parte di Elisabeth erano occasione per ricordarle quanto graziosa lei fosse e non dovesse temere il confronto con altre dame.
Eccoti nuovamente riunito alla tua cara Eugenie. Sono molto gelosa perché stai facendo il cascamorto con lei, mentre qui io sono sola e non posso nemmeno vendicarmi.[1]
La ragione della regina d’Ungheria si costrinse a credere nelle rassicurazioni dello sposo, mentre si dilettava nella cura maniacale della sua lunga chioma e del fisico dalla vita sempre più sottile. Un modo come un altro per sopportare la distanza del marito e la dura legge dell’etichetta di corte.
La solitudine di Sissi veniva colmata dalla presenza della piccola Marie Valerie.
Sua madre, la duchessa Ludovika, per vincere sulle innumerevoli infedeltà del consorte, il duca Maximilian, si era rifugiata nella cura della prole. Per Elisabeth si era rivelata un modello di tenacia, anche con l’ombra di figli illegittimi che pesavano sull’unione dei duchi di Baviera[2].
Almeno finché il destino non aveva minacciato di infliggerle le medesime pene della madre, l’imperatrice aveva sempre trovato nella figura del padre un senso di libertà che l’Austria le aveva negato. Il duca Max era custode di quelle idee liberali che all’epoca causavano più guai che profitti, ma che avevano condotto Sissi a vivere, insieme ai tanti fratelli e sorelle, un’infanzia spensierata nel cuore dei floridi boschi bavaresi di Possenhofen.
Feriva credere che Franz Joseph potesse intraprendere la stessa pratica di infedeltà dell’amato padre, anche se l’istinto materno della sovrana, infiammato nell’ultimo periodo, la costrinse a temere di più per le sorti dell’erede al trono d’Austria.
Oppresso da una rigida educazione militare, Rudolf si mostrava sempre più debole e fragile, una condizione di salute preoccupante che non si poteva chiedere ad una madre di ignorare. La carriera militare che il principino stava percorrendo in onore dello zio defunto, l’arciduca Maximilian, non era alla portata della sua giovane età.
Elisabeth era sfiancata dalle continue discussioni con la suocera. Le ricordava, senza alcuna remora, che non stava allevando un futuro sovrano, ma carne da macello sacrificabile per gli interessi della reggenza.
Sissi non era mai riuscita a conquistare alcuna influenza sulla zia, la quale non aveva mai ritenuto la nipote in grado di compiere le giuste scelte per l’Impero. Anche se l’opinione di Franz Joseph e la conformazione geopolitica dei territori dimostravano altro.
Le due donne avevano favorito strati sociali diversi. Insospettì l’arciduchessa Sophie la generosità degli imperatori nei riguardi di vedove e zingari in Ungheria. Si era sentita spodestata nel ruolo di guida e di madre sovrana, colei che avrebbe dovuto rendere sicura e potente la corona dei giovani sposi.
 
L’imperatrice attendeva il consorte al rientro da Suez. La carrozza imperiale tardava a raggiungere la Hofburg.
Allo scadere della decima ora[3], gli zoccoli ferrati e i nitriti dei destrieri iniziarono a valicare i confini dei territori del palazzo. Elisabeth avrebbe distinto quei suoni fra mille altri. Non le fu utile scostare i tendoni delle sue stanze per assicurarsi che si trattasse di lui, si limitò a spegnere la cenere del mozzicone nel vaso di cristallo ricolmo d’acqua.
Raggiunti i piani inferiori della residenza, Sissi scorse occhiaie scure sul volto dell’imperatore. Dopo un viaggio tanto lungo – affrontato in treno e in carrozza -, si mostrò a lei in uno stato pietoso.
Franz Joseph accennò un sorriso stanco alla moglie, che lei però non ricambiò, mentre scendeva gli scalini del mezzo e rimetteva piede sul suolo austriaco. L’imperatrice scelse di non infierire sulla spossatezza del consorte, gli concesse il tempo di varcare la soglia del palazzo, lasciando a lui il triste dubbio che potesse essere alterata per una qualche ragione che lo riguardava.
Più tardi, la sovrana raggiunse le stanze del marito. Era certa che Franz si fosse premurato di essere fin da subito aggiornato sulle condizioni della corte in sua assenza. Il sovrano doveva essere al corrente del fatto che poche ore prima il principino Rudolf, febbricitante, era stato scortato alla Hofburg per volere dell’imperatrice d’Austria e che tutta la corte imperiale attendeva un responso da parte del medico.
Il tempo per Elisabeth si arrestò accanto allo stipite portante degli appartamenti dello sposo. Lo vide sciacquarsi il volto con acqua fresca, in ore più tranquille gli avrebbe domandato notizie sul viaggio. La sovrana, affranta, posò la nuca contro il legno di mogano della porta rimasta aperta e si strinse nello scialle di pizzo ricamato per ripararsi dal gelo invernale.
«Franz. Tuo figlio sta male. Rimanere a palazzo gioverebbe alla sua salute»
L’imperatore soffocò i pensieri funesti, che la voce della moglie aveva infuso, in un pezzo di stoffa premuto contro il viso umido. La reazione del consorte fece intuire a Sissi che lui fosse già informato delle condizioni in cui riversava l’erede.
Franz Joseph slegò la spada dal cinturone e la ripose sul mobile. Non era rimasto indifferente, ma non seppe come affrontare le richieste della moglie senza porre veti all’istruzione del bambino. Posò gli occhi stanchi su di lei e ridusse lo spazio che li divideva, potendo così quasi sussurrare senza che altri udissero la loro conversazione.
«Ora non posso discuterne con mia madre, è provata per la morte di Maximilian. Trascorre giorni interi sulla tomba di mio fratello»
«Quindi dovrei rischiare anche la vita di Rudolf?»
Sissi mostrò una pacata ribellione, le preoccupazioni erano la chiave della sua fragilità.
Il consorte tentò di porgerle una carezza sulla guancia, ma Sissi gli impedì con decisione quel gesto d’affetto, non desiderava la sfiorasse. Voltò lo sguardo altrove infastidita, le sue suppliche erano state ignorate ancora una volta.
«Il conte Andràssy mi ha chiesto di portarti i suoi saluti»
Il tono dell’imperatore non era sfumato dalla gelosia, il suo era un esile tentativo di infondere sollievo alla moglie.
Il dottor Seeburger non rilevò compromissioni nella salute del principino, aveva diagnosticato affaticamento dovuto alle pressioni della caserma in cui veniva istruito ad impugnare la sciabola e allo stesso senso del dovere che gli Asburgo gli avevano trasmesso da quando era in fasce – Elisabeth era fiera di non essere fra i nomi di coloro che gli avevano impartito simili insegnamenti.
In prossimità degli appartamenti dell’erede, l’imperatrice si ostinò a non proferire parola, restando in compagnia del dolore di una madre impotente davanti ad una storia che si ripeteva da secoli.
Fu l’imperatore a provocarla, insoddisfatto della situazione che si era creata in sua assenza.
«L’hai accettato sposandomi. I figli non sono nostri, ma del popolo»
«Ho accettato di sposare te. Ho accettato i miei sacrifici già da tempo, ma non quelli di un bambino di dieci anni!»
Aveva trascorso un’infanzia libera nelle campagne bavaresi, era esattamente ciò che le avevano sempre criticato alla corte viennese.
Non aveva mai creduto fosse semplice. Lei, priva di un’educazione adeguata alla corte, aveva compiuto il suo dovere per compiacere lo sposo, ma non riguardava più solo il destino della sua persona, a rischio vi erano gli affetti più cari all’imperatrice e perdere altri figli per mano di un arido protocollo le dilaniava il cuore.
Più dolce Sissi si avvicinò al consorte, contando di conoscere la parte di lui più pura e genuina.
«Franz, ti prego»
I passi dell’arciduchessa Sophie la costrinsero a compiere un passo indietro fisico e intenzionale.
Si rivolse alla nuora con sdegno. Il tono era rigido, ma non privo di inflessione. Indossava gli abiti del lutto, doveva essere appena risalita dalla Cripta e riemersa dalle preghiere in suffragio dell’anima del figlio defunto. Il volto era segnato da sofferenza e disappunto.
«Con quale diritto l’erede si trova a palazzo?»
«Con il mio diritto di madre, zia»
Le convinzioni di Elisabeth non vacillarono, ma d’altronde davanti a lei non era ancora accaduto. Ciò, però, non aveva mai intimidito l’arciduchessa.
«Charlotte avrebbe donato eredi più forti all’Impero»
Aveva scelto in coscienza il paragone che più avrebbe ferito la nipote.
Era puro disprezzo ammettere quanto fosse inferiore alla vedova di Maximilian. Tra le cognate non erano mai scorsi buoni rapporti, non si erano mai abbandonate ad intime confidenze, le loro conversazioni si erano limitate alla sufficienza.
Elisabeth si incupì, ma non si scompose, non mostrandosi sfiorata dall’opinione della suocera, ormai abitudinaria in gelidi complimenti. Si rivolse al consorte, non desiderava prendesse le sue difese, ma le stava comunque a cuore il pensiero dell’uomo che amava. Franz Joseph le comunicò tutto il dispiacere che era in grado di provare, ma lo fece in modo silenzioso, affidandosi al fatto che tra loro non servisse scomodare la voce per comunicare.
Sissi si ritirò nella stanza del figlio, dove il ragazzino aveva superato l’apice più rischioso della febbre. Il pensiero che lei potesse aver dato alla luce un bambino cagionevole di salute e perciò di averlo condannato ad una vita di stenti provocò qualche scia salmastra sul suo viso.
Non si ribellò più alla mano che sfiorò con affetto la sua spalla. Al limite della desolazione, accolse l’offerta di sostegno. Si voltò repentina e si scontrò con il petto del marito, a cui si accostò per sfogare tanto dolore.
«Starà bene»
L’imperatore era convinto delle promesse che rivolgeva alla consorte. Aveva ricevuto in passato la medesima educazione e non ne era stato travolto, tanto da privarlo della salute.
La dignità di Elisabeth non era mai venuta meno. Si divincolò dall’abbraccio dello sposo e raggiunse il bordo del giaciglio di Rudolf. Tastò la fronte del piccolo con una serie di baci e si accomodò in una esile porzione di materasso al suo fianco, intenzionata a passare la restante parte della giornata e la notte in quella camera.
Nonostante i numerosi impegni diplomatici in programma, Franz Joseph prese posto sulla poltroncina accanto allo scrittoio per vegliare sulla sua famiglia. Sissi espresse gratitudine al marito attraverso la silenziosa complicità che erano in grado di scambiarsi.
 
 
 
 
Palazzo di Hofburg, residenza imperiale invernale, Vienna, Austria; 16 maggio 1872
 
Qualunque fosse il destino dell’Austria, Franz Joseph poteva definirsi soddisfatto per aver risparmiato ai sudditi nuovi torrenti di sangue che avrebbero intriso la terra fertile del Centro Europa.
Scegliendo di non schierarsi in campo con alcun dei due contendenti nel corso del conflitto tra Prussia e Francia, aveva evitato che molti figli diventassero orfani e molte mogli precipitassero nella vedovanza.
Era ancora fresca nella memoria dell’imperatore la disastrosa sconfitta di Sadowa per mano prussiana risalente a cinque anni prima. L’esercito era ancor meno addestrato e sarebbe stato destinato ad un’ennesima rovinosa disfatta, firmata da Otto von Bismarck. L’intera nazione, salvo pochi ribelli dall’animo prussiano, decise fosse più prudente parteggiare per la Francia di Napoleone III come pazienti spettatori.
La notizia della neutralità del popolo che, suo malgrado, l’aveva adottata rese lieta Elisabeth. Il consorte l’aveva rassicurata sul procedere pacifico degli eventi per quanto concerneva i loro interessi, ma il cuore dell’imperatrice non cessava di palpitare per le sorti di fratelli, cognati e cugini che invece erano impegnati al fronte per conto del patriottismo tedesco.
La temuta sconfitta di Napoleone III aveva gettato il futuro dell’intera Europa in un baratro di incertezza. Franz Joseph non era più sicuro di riuscire ad esaudire con devozione il volere della madre. Divenne più arduo per il sovrano preservare l’Impero da minacce esterne.
All’imperatore era mancato persino l’ottimismo della moglie, si mostrava più negativa rispetto a lui che poteva valutare con i suoi stessi occhi i progressi che Bismarck aveva conquistato in breve tempo, affidando alla Prussia il dominio sull’Europa.
In un clima così teso, da settimane Franz era stato privato del confortante sostegno emotivo e politico dell’arciduchessa Sophie.
Circondato da oneri diplomatici e militari, rivolgeva di continuo i suoi pensieri verso gli appartamenti reali della genitrice, da giorni gravemente malata di polmonite, debilitata da febbre e dolori articolari.
L’imperatore aveva posto in essere le più amorevoli attenzioni per strapparla al triste e impellente destino che ormai sembrava essere segnato. La paglia che il figlio aveva chiesto di apporre davanti alla finestra della sua stanza per preservarla dal rumore dei viaggiatori che partivano e giungevano alla Hofburg era un tentativo poco risolutivo sul piano concreto.
Di fatto Franz fu costretto ad abituarsi all’eventualità di perdere colei che gli aveva donato la vita e il potere, che aveva tentato di renderlo felice e splendente agli occhi del mondo.
 
L’imperatore lasciò che la mente si beasse dell’unico sentimento equiparabile a quello per la madre inferma.
A differenza dei viennesi, risentiti per le frequenti assenze della sovrana, Franz Joseph trovava sempre il modo per giovare della sua presenza. Conservava le missive della consorte e talvolta le rileggeva per ricercare conforto in quelle parole scritte di suo pugno, in attesa che giungesse presto il giorno di poterla rivedere.
I ricordi più piacevoli della coppia imperiale avevano preso forma lontano dagli alloggi ufficiali della famiglia reale.
Villa Kaiser, situata nella cittadina austriaca di Bad Ischl, rappresentava il dono di nozze offerto dall’arciduchessa Sophie. Fin dai primi anni di matrimonio, gli sposi prediligevano sopportare il caldo della capitale trascorrendo i mesi estivi in quella residenza. L’edificio, nel cuore di un suggestivo paesaggio naturale, non aveva sfiorito il suo fascino nel corso di anni ed eventi, non sempre felici. Per Franz e Sissi restava il regalo più bello e prezioso da parte dell’arciduchessa.
Nel castello di Merano, nel Tirolo, i sovrani tornavano a respirare aria più pura e leggera dalle incombenze di corte. La salubrità della valle dell’Adige giovava alla salute cagionevole della quartogenita e così attraversare le Dolomiti percorrendo in treno la ferrovia del Brennero era diventata una buona abitudine. Il protocollo imperiale che tanto opprimeva lo spirito libero di Elisabeth veniva dimenticato. L’imperatore adorava ricordare le giornate condivise con la consorte tra battute di caccia e passeggiate. La presenza di Marie Valerie con le sue risate infantili allietava il soggiorno dei genitori.
Fra le tappe dei momenti più felici non poteva mancare Gödöllö, il simbolo della conquista più luminosa per gli imperatori e il luogo in cui Sissi lasciava sempre un pezzo della sua anima. Lontano da Vienna era più semplice dimenticare le preoccupazioni, scordare le abitudini che accompagnavano le giornate di Franz Joseph fin dall’aurora. Svegliarsi la mattina accanto alla moglie era un evento non previsto alla corte imperiale, gli appartamenti dei sovrani erano situati a debita distanza, affinché entrambi potessero tener fede ai loro impegni. Trovare caloroso affetto e attimi di intimità era molto più spontaneo nelle periferie austriache.
 
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Elisabeth non si riconobbe nelle emozioni che provava. La vicina nemica che nella sua vita si era impersonificata nelle vesti della morte la fece dubitare di se stessa.
Non seppe spiegare per quale ragione il telegramma dell’imperatore l’avesse così profondamente turbata. La morte l’aveva gettata nel panico, da quando ne aveva intravisto il volto attraverso gli occhi spenti della sua piccola Sophie.
La grave malattia dell’arciduchessa non avrebbe dovuto sconvolgerla tanto, il peso dei suoi giudizi non l’aveva mai abbandonata. Non riusciva a perdonarla, ma nemmeno a rallegrarsi al pensiero di doversi privare dei suoi rimproveri.
Giungere in tempo alla Hofburg era un obbligo. Un fallimento avrebbe decretato per Sissi un rimpianto che non era certa di saper sopportare.
Negli anni più floridi della sua vita, l’imperatrice aveva sperato che la zia scomparisse. Con più maturità, rispetto alla giovane che era convolata a nozze, si rese conto che la morte dell’arciduchessa non avrebbe spazzato via l’infelicità che le aveva causato. Non avrebbe vinto alcuna guerra contro quella donna, la sua assenza non avrebbe portato una ventata di serenità. Al contrario, avrebbe continuato ad avvertire il medesimo sguardo giudicante su di sé, veicolo per tutti coloro che l’avevano sempre ritenuta inadatta a quel ruolo.
La colpa e l’inutilità si accentuarono nel cuore per non essere riuscita ad ottenere di più in favore dell’amato Impero dell’arciduchessa.
Arrivata da Merano in compagnia di Marie Valerie, si sentì la ragazzina spaurita che aveva varcato per la prima volta i cancelli della Hofburg, indossando la pesante corona da imperatrice.
Si mostrò ancora volubile ai rimproveri più duri, certa che a breve sarebbero giunti dall’arciduchessa a causa del suo ritardo. Si affrettò lungo i corridoi della residenza, ancora una volta contro l’etichetta che richiedeva misura e controllo. Domandò notizie dell’imperatore al personale di corte. Sissi e la figlia, sempre saldamente attaccata alla gonna della madre, trovarono Franz chiuso nel suo studio, solo e devastato, circondato da incombenze politiche che non rappresentavano la priorità da svariati giorni.
La sovrana si ricordò della presenza della figlia, quando la piccola prese l’iniziativa scattando in direzione del padre. Circumnavigò il tavolo di lavoro con una tale naturalezza da bloccare Elisabeth sulla soglia per il timore che Franz Joseph, in abiti formali, potesse infastidirsi da un così evidente sfregio del protocollo.
La poca lucidità con cui Sissi era giunta a palazzo non le suggerì la buona creanza di consegnare Marie Valerie alle dame, affinché esse la conducessero nelle sue stanze. Sfumando i dubbi della sovrana, le lacrime del consorte solcarono il viso senza pudore tra le braccia della bambina volte a consolare la sua sofferenza.
Il quadro che si dipinse davanti ai suoi occhi infuse all’imperatrice il rimorso di non essere tornata ore prima a Vienna.
 
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Il dottor Seeburger consigliò ai parenti di porgere un ultimo saluto all’arciduchessa, le sue condizioni di salute stavano precipitando e non seppe dire per quanto la malattia le avrebbe lasciato il senno.
Sophie si mostrò a Elisabeth debole e impaziente di vivere quell’incontro. Desiderava rivederla per ricordarle quanto stimasse la nipote, senza tuttavia pentirsi nei suoi confronti.
Sissi trovò sconvolgente non essere stata rimproverata per il pessimo tempismo, a quanto sembrava l’ombra della morte non aveva indebolito il suo carattere.
«Non dimenticate che siete ciò che ha di più caro»[4]
La dimostrazione d’affetto verso l’imperatore scosse Elisabeth. La riconobbe, però, nell’autorità con cui la gravava di maggiori responsabilità. La sovrana visse quei momenti al pari di un passaggio di consegne di cui lei non si sentiva degna.
L’arciduchessa non si era mai preoccupata del fardello che le riservava, men che meno se l’impegno riguardava la stessa vita del figlio.
Stavolta l’imperatrice non provò l’istinto di ribellarsi al suo volere.
«Il mio amore per Franz non conosce limiti»
Sissi si inginocchiò al suo capezzale; accarezzò e tamponò la fronte ardente della suocera con un panno umido. Sophie rappresentava la sola persona al di sopra dell’imperatrice, l’unica davanti alla quale poteva osare quel gesto.
L’odio che le due donne si erano professate venne visto da lontano. La morte rese vani il rancore e tutti quegli affanni umani che da sempre si intromettevano, considerati peccati per due fedeli praticanti al pari delle sovrane.
«E voi siete stata una madre per me»
Elisabeth si costrinse a crederci, annientò il dolore di sofferenze incancrenite per riuscirci.
L’altra metà dell’odio che sarebbe intercorso tra loro fino all’ultimo respiro dell’arciduchessa, la più pura e sincera, era l’amore comune per Franz e nessuna poteva negarlo.
Quegli ultimi istanti che dedicarono a sé stesse valsero più dei rigidi insegnamenti di corte. Franz Joseph era stato la chiave per sopportare la presenza l’una dell’altra nella propria vita, tanto da sentirne la mancanza all’alba della scomparsa della più anziana.
Elisabeth vegliò la moribonda nella solitudine della corte che fino a poco prima si era stretta intorno all’altezza imperiale per puro atto di dovere. Sophie aveva conosciuto poco amore nell’arco della sua tormentata esistenza, ad eccezione di quello ricambiato dei figli. Non era mai stata amabile e forse non le importava di esserlo. Sapeva solo di dover compiere la sua vocazione all’infuori di qualunque questione.
La vita abbandonò lentamente il corpo sofferente dell’arciduchessa e si spense alle tre e mezza del mattino del 28 maggio alla sola presenza della nipote. Per assisterla fino agli ultimi respiri Sissi era rimasta a digiuno e in devota preghiera.
Quando si accorse che l’anima della suocera non apparteneva più al mondo dei vivi, si lasciò andare a lacrime sincere.
Mia piccola Sophie, accogli colei che ha sofferto tanto per la tua scomparsa. Si troverà perduta senza le dame di corte. Guidala, mia dolce bambina.
 
Così l’Austria salutò la donna che aveva considerato la vera imperatrice:
 
AEIOU
Austriae Est Imperare Orbi Universo[5]
 


Buongiorno, cari lettori e care lettrici!
Volevo innanzitutto avvertire di uno spostamento che ho effettuato nel capitolo precedente. Mi sono accorta di aver commesso un errore cronologico circa la morte della sorella di Sissi, Sophie Charlotte; si tratta solo di un veloce riferimento racchiuso in una frase (non modifica in alcun modo la trama del secondo capitolo, era solo un dettaglio) che aggiungerò nel capitolo in cui tratto degli anni 1897-1898 (in quell’occasione troverete questa ripetizione). Chiedo scusa per l’errore, io per prima sono entrata nel panico quando mi sono accorta di aver sbagliato così tanto le tempistiche, ma visto che lo avevo inserito come breve inciso è stato facile eliminarlo e spostarlo in modo indolore.
Dopo questa piccola e dovuta spiegazione, spero di non aver commesso errori grossolani in questo capitolo e soprattutto di non aver creato confusione; la Storia è un serbatoio infinito di eventi, sto cercando di intrecciarli a quelli personali dei personaggi e spero sia tutto ben amalgamato.
Grazie di cuore per la fiducia che riponete in questa raccolta! 🤍
A presto!
Un abbraccio,
Vale
 

[1] Sissi. Vita e leggenda di un’imperatrice di Nicole Avril, p. 187.
[2] I genitori di Sissi.
[3] Quattro del pomeriggio.
[4] Sissi. Vita e leggenda di un’imperatrice di Nicole Avril, p. 198.
[5] Comandare il mondo spetta all’Austria, epitaffio per un’arciduchessa defunta. Sissi. Vita e leggenda di un’imperatrice di Nicole Avril, p. 200.

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Capitolo 4
*** Addio all'infanzia ***


Aggiorno questa raccolta dopo mesi a causa di svariate vicissitudini che non mi hanno permesso di concentrarmi a dovere su tematiche così delicate come la morte, avrei dovuto aggiungere sofferenza alla sofferenza.
Mi riservo questo piccolo spazio per avvertire che all’interno di questo capitolo verranno trattate le vicende personali di Rudolf, il figlio di Sissi e Franz, e la sua tragica morte. Sul piano fisico ho cercato di mantenere il più leggera possibile la narrazione (non avevo la necessità in questa occasione di scendere in dettagli macabri), mi preoccupa di più l’impatto psicologico sul lettore, soprattutto per chi non conosce bene il personaggio e non si aspetta un epilogo simile per lui. Per questa ragione vi lascio un breve documento su Rudolf d’Austria, sperando che questo possa aiutarvi ad entrare nel mood della narrazione e non vi lasci troppo spiazzati:
https://www.vanillamagazine.it/rodolfo-dasburgo-arciduca-incompreso/ .
Vi ringrazio di cuore per essere tornati su queste pagine e aver rinnovato la vostra fiducia alla storia.
Ora vi lascio in pace e tornerò a tediarvi alla fine del capitolo.

 

Addio all’infanzia

 
 
 
Stavo quasi per perdere l’anima,
era una corsa senza pace e senza posa.
Sissi, Ishl, giugno 1887

 
 
Castello di Possenhofen, Baviera; novembre 1888
 
I sobbalzi della carrozza sullo sterrato infierivano sulle palpitazioni del cuore. Elizabeth spostava i tendaggi per trovare conforto nel paesaggio limpido, lontano da Vienna i comignoli delle fabbriche non lo ingrigivano. L’imperatrice, spesso, apriva uno scorcio nelle finestrelle per respirare l’aria incontaminata della Baviera.
Della dama d’onore, Maria Festetics, udiva solo il timbro pacato della voce con cui ricordava alla sua signora quanto potesse godere del benessere naturale, distante dalle costrizioni di corte.
Nulla più trovava un senso dopo le accorate parole con cui Ludovika le consegnava il doloroso annuncio. La matrona ricordava alla figlia quanto Possi – come veniva chiamato il castello in confidenza – significasse per il marito; il duca Max aveva espresso il desiderio di spirare inondato dalla luce del sole, che tra quelle montagne a novembre era ancora splendente.
Il maestro Konstantinos Christomanos recitava a Sissi poesie in greco antico per infonderle sollievo.
Il luogo più sereno che lei conoscesse stava per essere macchiato da un triste lutto. Il telegramma della madre era pregno delle lacrime della numerosa famiglia Wittelsbach, alle quali si aggiungevano le sue. Il duca Max stava vivendo i suoi ultimi giorni di vita e Elisabeth si augurava di arrivare presto al suo capezzale.
Giunta a destinazione, la regina abbandonò i convenevoli. Il volto di Ludovika era rigato da profondi solchi, segno che i passati attriti con il consorte erano stati spazzati via dall’ombra meschina della morte.
La duchessa rifiutò l’abbraccio della figlia, per cercare conforto l’una tra le braccia dell’altra avrebbero trovato il tempo, preferì ricordare le priorità alla quartogenita: sul prato che circondava il castello avrebbe incontrato il padre.
Sissi lo scorse di spalle accomodato su una sdraio, volto a contemplare per l’ultima volta i suoi amati boschi.
Si accomodò al fianco del duca Max, l’erba bagnata di rugiada sfiorò le ginocchia di Elisabeth, ma non ebbe cura del lungo vestito che indossava. Manifestò la confidenza di cui era abituata – un aspetto che più volte era stato recriminato ai duchi di Baviera – posando una mano poco salda su quella del padre. L’uomo aveva difficoltà ad esprimere i pensieri, ma si sforzò di spendere le parole estreme per l’amata figlia.
«Mi dispiace per Richard»
Quel nome fece riemergere lontani ricordi nella mente di Sissi. All’epoca aveva tredici anni e un giovane amore faceva palpitare il suo cuore per la prima volta. A parere di tutti, il figlio di un conte al servizio di una nobile casata non era degno del sangue di una principessa. Era vivo nella memoria dell’imperatrice il giorno in cui il duca lo fece allontanare da palazzo, con un biglietto di sola andata lo spedì a combattere una sanguinosa guerra.
Solo un anno più tardi, Elisabeth aveva ricevuto notizia della morte prematura di Richard. Era sempre stata sicura che il padre avesse favorito la loro separazione, ma non pensò di rinfacciargli al capezzale quanto le mancassero quegli innocenti batticuori e quanto l’anima si fosse spezzata per amore dopo la scomparsa del giovane.
Accanto a quel ragazzo forse la figlia non avrebbe sofferto, Max si arrovellava in simili pensieri e sperava che Sissi li decifrasse. Aveva sempre desiderato il meglio per lei, ma come ogni genitore imparava dai suoi errori.
«Padre, state delirando»
«Mi dispiace davvero, mia piccola Lisi»
Il respiro diventò flebile sul nome della figlia. Elisabeth provò a trattenere l’anima del duca, stringendolo più forte con l’ingenuità che aveva contraddistinto la sua essenza fanciulla. Era troppo tardi, l’energia che scorreva nelle sue vene si era spenta davvero. Le dita del padre erano scivolate dalla presa della donna. Sissi accostò la fronte al dorso della mano senza vita, lasciandosi irradiare dall’ultimo scampolo di calore e inumidendo la pelle con le lacrime.
Il cuore fremeva di momenti felici che scalpitavano di essere ricordati per scacciare via la sofferenza. Fino al matrimonio il padre l’aveva cullata, poi si era impegnato a difenderla dall’oppressione di una corte che dettava legge sul suo ruolo materno. La comprendeva ed Elisabeth non aveva mai chiesto altro da parte di coloro che la circondavano.
Da chi più avrebbe trovato conforto incondizionato a Possi?


 
 
Castello di Franzensburg, Laxenburg, presso Vienna; 29 gennaio 1889
 
Stéphanie era stata privata dal marito della sua unica ragione d’essere. La donna scrutava l’azzurro del cielo che dirompeva oltre le imposte del palazzo, mentre alle sue spalle il crepitìo della divisa dell’erede al trono, suo consorte, rimbombava tra le pareti della stanza.
Il gelo sceso tra loro, da tempo ormai, le stava consumando il cuore ed era più corrosivo della malattia che l’aveva resa una sposa a metà. Rudolf l’aveva dilaniata nel profondo e umiliata nel suo ruolo; aveva distrutto qualsiasi speranza di dare la vita ad un figlio maschio, aveva pregiudicato il futuro della loro stirpe.
Ripeteva alla moglie che aveva bisogno di distrazioni dall’incapacità di cui veniva accusato da coloro che avevano giurato sostegno a lui. Alludeva alle sue pessime frequentazioni, senza mai essere troppo esplicito, ma tutti lo sapevano, dagli imperatori ai cocchieri. Lo sapeva Stéphanie che, senza poterlo evitare, era stata contagiata da una di quelle infezioni che solo in ambienti discutibili Rudolf avrebbe potuto contrarre. Lo sapeva Franz Joseph che nella loro ultima discussione, la più accesa, aveva pregato il figlio di interrompere qualsiasi relazione extraconiugale e preferire una vita più sobria lontana da illogiche idee liberali; non sapeva che Rudolf aveva lottato per ottenere l’annullamento di un matrimonio che non lo soddisfava più, senza tuttavia esserci ancora riuscito.
Stéphanie aveva promesso devozione all’erede d’Austria, aveva dedicato la sua vita all’Impero, il suo futuro era stato scritto prima del patto sancito con le nozze.
Rudolf era stato una delusione, in lui non vi era l’ombra dell’uomo che lei si sarebbe aspettata di affiancare, il suo stile di vita non avrebbe dato lustro al regno consegnandolo alla Storia, lo avrebbe affondato. Davanti a Franz Joseph non vi era ragione che tenesse e la nuora se ne era accorta tardi.
Era stato sfiduciato il suo futuro comando, non era stata data rilevanza agli ideali con cui avrebbe governato – troppo distanti da quelli del sentire comune. Dopo aver dedicato l’infanzia al ruolo che gli sarebbe spettato, Rudolf non era riuscito ad accettare di essere spostato sempre più ai margini rispetto agli affari politici e militari. L’arciduca sentiva l’appoggio di chiunque venir meno; gli unici ricordi lieti riguardavano le amorevoli cure di sua madre, la quale lo chiamava figlio senza aspettarsi altro da lui, e gli ungheresi che non avevano mai smesso di esprimere per lui la loro ammirazione.
La mente di Stéphanie si posava su qualunque pensiero non riguardasse quel freddo giorno di fine gennaio, in cui la resa pesava un po’ di più sul petto. Oltre le imposte scorgeva solo ghiaccio e il vento gelido sul volto spostava la sua attenzione dal tintinnio dei bicchieri di vetro sul cui fondo il marito affogava il loro ultimo diverbio.
La donna cercò di ignorare qualsiasi genere di rumore che non fosse il placido silenzio della natura; si angustiò solo allo scatto deciso di una rivoltella. La donna mollò d’istinto la presa sul medaglione che portava al collo, l’unico appiglio morale in quel pomeriggio turbolento. Si limitò ad un sussulto, quando scorse con quale cura il consorte stava caricando l’arma militare. Non era solita domandare le intenzioni dell’uomo, poteva disapprovarle, ma non sarebbe comunque cambiato qualcosa. Era parte delle sue funzioni non contraddirlo, la sua indole accomodante era stata la discriminante con cui l’imperatore l’aveva preferita come compagna per il figlio. Nessuno, però, era più certo che lasciargli libertà decisionale fosse la scelta migliore.
«Vado a caccia»
Rudolf non incrociò gli occhi lucidi della donna, si era rivolto a lei come se fosse un qualsiasi membro della corte dedito ai lavori più umili. Stéphanie non credeva più alle sue giustificazioni. L’indifferenza da parte dell’arciduchessa – con l’unico accorgimento dei loro doveri coniugali – aveva lasciato il posto al sospetto e alla preoccupazione, ma forse troppo tardi, il marito aveva già raggiunto l’oblio dentro e fuori di sé.
«Torni stanotte?»
«No»
Aveva già preso la decisione, la risposta fu secca, quasi apatica, come se a lei non dovesse più importare delle scelte che prendeva, non le avrebbe comunque approvate. Rudolf fissava la porta chiusa della stanza, mentre riponeva con stanchezza la pistola nel cinturone della divisa.
«Non soggiorni mai a palazzo. La gente mormora. Resto sempre sola, non sono mai in tua compagnia»
Le parole della consorte avevano una carica persuasiva irrisoria. Non vi era suddito o componente della corte che non fosse al corrente della sua vita libertina, unica via di fuga per lui da affetti insoddisfacenti.
Stéphanie non aveva mai dato credito alle voci più inconcepibili sul conto del marito. Come avrebbe potuto una donna onesta come lei, un’arciduchessa fedele ai propri doveri di sposa, affidarsi alle dichiarazioni di una delle tante amanti del consorte? Tremava e temeva che quelle terribili parole potessero corrispondere alla realtà, ma nessuno riusciva a credere che l’erede di uno degli imperi più solidi d’Europa volesse privarsi di una vita agiata. La donna si rese conto soltanto incrociando lo sguardo del consorte di quanto a lui non importasse più della propria esistenza. In un ultimo disperato tentativo di farlo rinsavire, gli bloccò la strada impedendogli di aprire la porta.
«Non sono arrabbiata. Non mi interessa di ciò che fai fuori da queste mura, ma assolviamo insieme ai nostri doveri dove possiamo ancora»
Di umiliazioni lei ne aveva ricevute tante, ma fallire nel ruolo che le era stato cucito addosso fin dall’infanzia sarebbe stato eccessivo. Per causa del consorte non poteva più concepire, ma poteva ancora preservare il discendente dalle pessime decisioni degli anni più recenti.
«Rudolf. Tuo padre vorrebbe che restassi a corte»
Un sorriso sarcastico si dipinse sul volto del giovane. L’imperatore non gradiva ogni aspetto del figlio, per lui le idee e le passioni dell’erede erano una vergogna, ragion per cui non lo riteneva più degno di molti incarichi che gli spettavano per diritto di nascita. Era un fallimento per i sovrani e forse sua madre per non ferirlo mancava solo di ammetterlo.
Stéphanie gli posò un palmo all’altezza del cuore ed egli avvertì il gesto come un tradimento. L’uomo sovrastò la mano, la allontanò da sé e la sfruttò come leva per tirarla dolcemente via dalla porta creandosi un varco di passaggio.
La primogenita, e unica figlia dei coniugi, gli consentì solo pochi passi. La piccola Elisabeth – così era stata chiamata in onore dell’imperatrice – rappresentava l’ultimo scampolo di virilità che gli era rimasto. Aveva appena cinque anni e fissò il padre confusa quando lo vide abbassarsi sulle ginocchia per raggiungere la sua altezza; le avevano insegnato ad inchinarsi al suo cospetto e trovò fuorviante che accadesse il contrario.
«Erzsi, dì a tua madre che ho provato ad amarla più di quanto mi abbia amato lei. Mi dispiace di non essere stato degno delle aspettative»
Aveva scavalcato i consigli della madre pur di assecondare il loro matrimonio, si era invaghito degli aspetti più amabili della personalità della sua sposa – per come concepiva la vita Rudolf pochi –, ma le differenze tra loro erano voragini e non erano mai riusciti a trovare un punto d’incontro.
L’uomo lasciò alla bambina un bacio sulla fronte, reo di non essere stato nemmeno il genitore che sua madre avrebbe voluto che fosse, eppure la figlia era stata l’unica conquista della sua vita.
Le parole sussurrate in confidenza dal marito all’unica prova della loro unione fecero scorrere qualche scia salmastra sulla guancia di Stéphanie. La voce della donna era sinceramente spezzata.
«Rudolf»
Fece un disperato tentativo per fermarlo.
L’aveva amata e tradita. Era irragionevole, ma in lui tutto lo era, le contraddizioni erano parte del suo essere e non avrebbe mai ammesso il contrario. Lei gli era sempre stata devota, ma non poteva bastare la devozione ad un uomo dedito alle passioni e poco incline – al pari di Sissi – alle restrizioni della corte.
I contrasti tra i due sposi, acuiti nell’ultimo periodo, pesavano come una colpa sulle spalle di Stéphanie; non si era mai schierata apertamente con il suocero, ma gli occhi parlavano per lei e li avevano divisi.
La donna seguì i suoi passi, mentre egli si allontanava dalla sua famiglia. L’andatura del marito era risoluta, non accennava ad alcun ripensamento. L’arciduchessa indietreggiò fino a nascondersi oltre la porta della stanza, per sfogare la sua frustrazione lontano dallo sguardo innocente della piccola. Accanto ad un bicchiere mezzo vuoto e un mozzicone ancora acceso – simboli di una vita di eccessi ancor prima delle loro nozze –, un foglio candido spiccava sul ripiano del mobile. Era convinta fossero parole dedicate ad una delle tante prostitute che era solito frequentare; avrebbe voluto avere ragione, perché proprio alla moglie, alla quale non dedicava mai gesti d’affetto, era stato affidato il congedo finale.
 
Cara Stéphanie,
sei liberata della mia presenza, che è una vera piaga per te. Sii felice a modo tuo.
Sii buona per la povera piccina, unica cosa che ti lascio.

A tutti i conoscenti, specialmente a Bombelles, a Spindler, a Latour, a Novo, a Gisela, a Leopoldo ecc. ecc. i miei estremi saluti.
Vado verso la morte con tranquillità, perché essa sola può salvare l’onore del mio nome.
Abbracciandoti cordialmente,
il tuo affezionato Rudolf.[1]
 
Un sorriso dal sapore di fiele sporcò le sue labbra. Il peggio stava arrivando e lei non avrebbe potuto impedirlo.
 


 
Castello di Mayerling, Austria; 29-30 gennaio 1889
 
Rudolf non aveva mentito, la tenuta di caccia lontana dalla corte rappresentava per lui l’unico luogo di evasione che poteva concedersi. Quella campagna desolata non lo rimproverava per i suoi sbagli e non inorridiva per i segni che essi avevano lasciato sul suo corpo e nella sua anima. La corte imperiale non lo aveva mai compreso, lo soffocava fin dall’infanzia senza lasciare spazio ad altri interessi che non riguardassero la prosperità del regno; con il passare degli anni si riconosceva sempre più nella sofferenza della madre.
Non si irritò quando il suo raccoglimento venne spezzato dall’arrivo della carrozza di Marie Vetsera, l’amante diciassettenne a cui aveva rubato il cuore. La baronessa non perdeva occasione utile per raggiungerlo alla tenuta, nella maggior parte dei casi l’arciduca si trovava lì in cerca di solitudine.
Rudolf era provato, ma accolse l’ospite con deferenza. La giovanissima età della ragazza non lasciava spazio al cerimoniale, la presenza di dame e di cocchieri a pochi metri da loro non la intimoriva. A Marie bastò nascondersi dagli sguardi indiscreti negli anfratti del castello per attirarlo a sé e scovare le sue labbra. L’uomo non si tirò indietro, accolse il suo viso tra i palmi, la assecondò e ricambiò quel bacio così ricco di amore per lui. La allontanò lasciandola confusa, ma Marie gli impedì di togliere le sue mani dalle guance rosee.
«Non posso farti anche questo»
La baronessa era stata in grado di infondergli un affetto che non aveva mai ricevuto da parte di sua moglie. Non si sdebitò come quella giovane avrebbe meritato, ma in lei aveva scoperto la forza per affrontare molte sue giornate grigie; mai una relazione extraconiugale era stata in grado di offrirgli tanto.
«Voglio stare con te»
Marie era diventata la migliore confidente per lui, era consapevole dei rischi e la spregiudicatezza dei suoi diciassette anni le oscurava le conseguenze. Aveva sussurrato la sua volontà e poi aveva iniziato ad armeggiare con i lacci del suo scialle. Fu istintivo per Rudolf fermarla prima che l’indumento potesse scivolare lungo i gradini delle scale. L’aveva assecondata per troppo tempo e non gli era più consentito spingersi su un terreno proibito senza compromettere anche la sua salute; era suo compito evitarlo.
«Io non posso garantirti un futuro. So solo infliggerti del male. Sei promessa, presto ti sposerai e saprai dimenticarmi»
«Ma io non lo amo e scoprirà che ho amato un altro uomo»
 
 
◦•●◉✿✿◉●•◦
 
 
I due amanti si addormentarono l’uno tra le braccia dell’altra e insieme aspettarono l’aurora.
Rudolf era grato a Marie per l’amore sincero e disinteressato che sapeva infondergli, mai si era sentito così desiderato da una donna, ma ciò non risollevava il suo animo.
Si alzò dallo stretto giaciglio su cui si erano distesi, dove erano soliti consumare le loro notti. Alla luce accecante dell’alba, i lunghi capelli sciolti della baronessa le donavano freschezza; per lui quella figura femminile rappresentava una letizia di cui non conosceva l’esistenza.
La carrozza non si era mossa dal cortile antistante al castello. Come di consueto, l’arciduca aveva chiesto ai loro accompagnatori discrezione e aveva ordinato ai cocchieri di ripartire al mattino per condurre la baronessa a Vienna.
«Devi andare. La tua carrozza sta per partire»
«Non torno a Vienna senza te»
«Non è conveniente mostrarti in mia compagnia»
Rudolf spalancò la porta della stanza, sperando che ciò potesse accelerare il tempo dei saluti. Marie non era ancora pronta, un dettaglio la angustiava dalla sera precedente, quando si erano liberati del primo strato di abiti – tra cui la divisa dell’arciduca – per scivolare insieme sotto alle coperte: la pistola che si trovava sul mobile ai piedi del letto aveva vegliato sul loro riposo.
La ragazza sperava di cadere in errore, ma l’urgenza di liberarsi della sua presenza era sospetta. Quella mattina la caccia non sembrava essere nei suoi piani.
«Ti prego, Rudolf. Non farlo»
Alcune voci sostenevano i suoi tentati suicidi mai riusciti, lei non ci aveva mai voluto credere, ma lo sguardo dell’uomo rivolto al pavimento in segno di reticenza le diede una terribile conferma.
«Marie, è tempo che tu vada. Il cocchiere ti sta aspettando. Rivestiti e scendi»
La famiglia imperiale non gli aveva mai impedito di compiere un gesto estremo ed era impossibile che non fosse al corrente. Perché i suoi cari non avevano dato credito alla verità che circolava da mesi sull’erede al trono?
Le confidava sempre tutto ciò che serbava nel cuore – le discussioni coniugali, i contrasti con il padre, la malattia che lo aveva punito per ogni sua debolezza –, ma aveva preso da solo la decisione più importante. Era stata ingenua a credere che il conforto di una giovane innamorata potesse rendere la sua esistenza più preziosa.
Il cuore della baronessa incalzò il ritmo dei suoi battiti. Pianse in preda all’agitazione, da sola non sapeva come dissuaderlo in quel breve lasso di tempo. Agì rapida, si impossessò della pistola con l’illusione di poter ritardare l’inevitabile. Puntò la rivoltella contro la propria tempia per minacciarlo e per esprimere il suo grande disappunto alla decisione presa dall’uomo.
«Marie!»
«Da questa stanza esco viva solo al tuo fianco»
«Non la sai usare. Mettila giù»
La intimò a gesti di essere prudente, l’arma era carica e pronta a ferire chiunque la maneggiasse. Il maggiore timore di Rudolf era che si infondesse una sofferenza tale da non poterla alleviare.
«Allora fallo al posto mio. Non vivrò comunque senza di te, sai che troverei il coraggio dopo la tua morte. Se sei determinato a toglierti la vita, lascia che io ti segua»
Gli depositò la pistola tra le mani, come se non fosse letale; gli sfiorò le dita comunicandogli la fiducia che nutriva nel suo giudizio.
Il pensiero di uccidere l’unica donna che lo avesse mai amato lo devastava, tanto da spingere una lacrima lungo le sue ciglia. Non meritava l’affetto di quella giovane, né in vita né in morte.
«Marie»
La supplicò sussurrando con commozione il suo nome.
«Ti amo e non voglio altri uomini accanto. Non desidero che le mie nozze vengano celebrate, voglio restare solo tua»
La ragazza fece in modo che la canna della rivoltella, impugnata dall’arciduca, fosse rivolta verso di lei, all’altezza dello stomaco.
«Così mi dai un motivo in più per farla finita»
Gli accarezzò una guancia asciugando le gocce di lacrime che vi si erano posate e scese con il pollice per sfiorargli le labbra. Rudolf alzò la traiettoria di tiro per raggiungere il cuore. In caserma gli era stato insegnato a sterminare i nemici nel mezzo di una guerra, a difendere il regno dalle minacce straniere; stava impiegando le sue conoscenze per alleviare sofferenze sue e altrui. Era quello il frutto degli insegnamenti di suo padre e in ciò non vi era qualcosa di buono.
«Ti raggiungo presto»
«Ti aspetto»
Gli accennò un sorriso, di cui lui non si era mai beato così profondamente. Non vi era l’ombra della tristezza sul volto della baronessa, le iridi erano intrise di serenità, benché sapesse, fin dal principio della loro relazione, di non rappresentare l’amore più grande, quello non ricambiato della moglie era inarrivabile nel suo cuore.
Resse lo sguardo complice della giovane, finché il grilletto e il rumore dello sparo appena scoppiato non lo fece sussultare. Sbatté le palpebre per una frazione di secondo rendendosi conto di aver trascinato altri nel vortice del suo malessere. Impedì al corpo di sfiorare il pavimento. La strinse tra le braccia e la adagiò sulle coperte rimaste in disordine; congiunse le mani dell’amante sul petto insanguinato in segno di preghiera. Era certo che l’anima della giovane non avrebbe conosciuto alcuna condanna.
Rudolf udì un vociare concitato e la suola di alcuni passi dirigersi verso il piano superiore. Gli parve di aver sentito qualcuno rivolgersi a lui con l’appellativo di maestà. Spostò un ciuffo di quei lunghi capelli dal volto fanciullo di Marie e si assicurò che le palpebre fossero abbassate per riposare senza più alcun tormento. Non lo aveva confessato alla ragazza, eppure era viva la preoccupazione che non si sarebbero più incontrati, le destinazioni delle loro anime sarebbero state opposte. Il suo nome fino in ultimo sarebbe stato macchiato dal disonore e considerato più impuro del sangue della giovane amante che incrostava ancora le mani dell’uomo.
Dedicò l’ultimo pensiero alla madre e al dolore che sapeva le avrebbe inferto con la sua dipartita, l’unica forse ad averlo compreso in vita e ad aver provato a cambiare il suo destino. Rivolse al cielo una preghiera per lei, per loro, per Marie ed Elisabeth, le uniche due persone ad averlo amato e stimato.
A breve non avrebbe rappresentato più una vergogna per suo padre, lo avrebbe liberato di un peso e dell’apprensione per le sorti dell’Impero; sua moglie e sua figlia avrebbero chiuso l’incresciosa parentesi su di lui, scoprendo che oltre il marito e il padre che era stato vi erano opportunità migliori.
Puntò la pistola ben salda contro la tempia. Per l’ultima volta avrebbe sfiorato il grilletto di quelle armi che aveva imparato a odiare e che lo avevano strappato all’affetto dei suoi cari fin dalla più tenera età, per il futuro dell’Austria-Ungheria asseriva l’imperatore. Fece esplodere con soddisfazione il colpo decisivo, poi più avrebbe nuociuto a qualcuno.
Il corpo dell’arciduca scivolò su quello della giovane Marie, come egli aveva sperato che accadesse restando al suo capezzale in quegli strazianti respiri.
Li trovarono così, stretti in un ultimo abbraccio eterno.

 
Buongiorno, cari lettori e care lettrici!
Soprattutto per quanto riguarda il gesto estremo di Rudolf, preciso che i fatti sono avvenuti davvero e con sé ha trascinato anche la povera Marie. Spulciando tra le fonti storiche sono riuscita a trovare anche riferimenti alle motivazioni del gesto, alla personalità dei personaggi e ai legami affettivi che li univano. Il documento che vi ho lasciato non lo dice, ma sembra che nei primi anni di matrimonio fosse innamorato della moglie e per questo avesse accettato di sposarla; sempre in un altro documento si afferma anche che lei non ne fosse innamorata, ma fosse profondamente dedita al ruolo che ricopriva. Sono partita da queste informazioni per provare a ricostruire un possibile scenario delle ultime ore di vita, modificando leggermente le tempistiche per rendere più lineare la narrazione e inserire maggiore introspezione.
So che ci sono diverse opere in circolazione sulla tragedia di Mayerling; non le ho visionate per non lasciarmi influenzare. Ci saranno sicuramente molte differenze con quanto scritto da me, mi scuso, il mio è soltanto un tentativo mal riuscito.
Come accennato nell’introduzione, ho cercato di essere il più delicata possibile nelle descrizioni più crude, spero di esserci riuscita, nemmeno per me scrivere questo capitolo è stata una passeggiata di salute.
Il prossimo capitolo sarà dedicato alle conseguenze di questo ennesimo dramma famigliare – forse il più impattante per le sorti del regno –, ma per Sissi, purtroppo, la sofferenza non finirà qui.
Perdonatemi se mi sono dilungata, ma considerando le tematiche così delicate – credo più del consueto – ho preferito chiarire alcuni aspetti.
Grazie a chiunque abbia avuto la volontà di leggere fin qui. ❤️
A presto!
Un abbraccio,
Vale
 

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Capitolo 5
*** Intercessione ***


Ho modificato leggermente alcuni piccoli dettagli in questi capitoli, solo per poter dare una spiegazione alle scelte dei personaggi, ma ho cercato il più possibile di restare fedele alla Storia.
Secondo le testimonianze dell’epoca, nessuno ha trovato il coraggio di dare la notizia della morte del figlio all’imperatore ed hanno lasciato il compito alla moglie, ma io ho preferito che il confronto tra Franz e Sissi avvenisse a mente fredda.
 

 

Intercessione

 
 
 
 
Palazzo di Hofburg, Vienna, Austria; 31 gennaio 1889
  
Un singolo gradino divideva i sovrani dalla carrozza che li avrebbe scortati a Budapest, per la prima visita dell’anno appena iniziato.
Con discrezione, il messo di corte aveva interrotto i passi di Elisabeth e Franz Joseph. La posizione scomoda dell’uomo lasciò in sospeso la notizia, non facendo presagire buone nuove. Affidò a voce la comunicazione all’imperatore, ma essa risuonò potente anche nella mente della consorte.
Il lungo abito ricadde sulle caviglie di Sissi, il palmo della mano si spostò sulla parete che costeggiava la scalinata in cerca di un supporto. Il candore che il sovrano assunse in volto fu paragonabile alle tonalità del marmo dei gradini su cui i reali stavano posando i piedi.
L’erede al trono d’Austria e d’Ungheria era morto.
Nel cuore della regina si fece largo un unico cruccio.
Non di nuovo, non posso averlo permesso.
Una lama stava affondando sempre più nel suo petto. Il ritmo delle pugnalate era scandito dal suono di parole sussurrate e confidenziali, segrete come sarebbe dovuto restare il più a lungo possibile il tragico evento.
Un tutore scelto personalmente da lei non aveva saputo alleviare le sofferenze che opprimevano il figlio in tenera età. Non aveva dato il giusto peso ai timori dell’amato fratello Theodore che, grazie alla vocazione medica, aveva riscontrato nel malessere del nipote i segni di un disturbo nervoso. Aveva ignorato gli avvertimenti della cortigiana, amante di Rudolf, che in svariate occasioni aveva distolto la mano dell’arciduca dal compiere il gesto estremo; l’imperatrice non poteva dare credito ad una donna di malaffare, ma una madre avrebbe dovuto rischiare un inganno.
Sissi non aveva concesso la benedizione al matrimonio del figlio. Nel futuro di quell’unione intravedeva solo incomprensioni tra i due coniugi, eppure il cordoglio giunse fino a Stéphanie e alla piccola di cui lei si sarebbe dovuta occupare; non osò pensare al disonore che presto l’avrebbe travolta.
L’onta del fallimento si era scagliata sull’imperatore. Occhi indiscreti non avrebbero potuto notare le iridi cristalline tramutarsi in pece in quelle iniziali fasi del lutto. Era un dolore che non ostentava, lo conservò nella sfera più privata e umana a cui solo pochi intimi avevano accesso.
Si sentì in difetto nei ruoli che aveva ricoperto per il figlio. Aveva disseminato nel corso degli anni molte mancanze come mentore, esempio e guida. Non era stato in grado di arginare i folli ideali che Rudolf amava inneggiare e la vita libertina che aveva intrapreso. Lo aveva dissuaso nel modo più sbagliato, allontanandolo dalla scena pubblica, non ritenendolo più capace di assolvere ai doveri richiesti dalla corte. Aveva assecondato ogni suo errore, fino a quello fatale.
Un fugace sguardo di Franz si posò in direzione della Cripta dei Cappuccini, dove giaceva colei che lo aveva reso sovrano davanti al popolo e nell’animo. Considerò quanto dolore avrebbe patito l’arciduchessa Sophie nel sapere che il destino del suo amato impero fosse così in bilico.
Le ginocchia di Elisabeth non ressero più il macigno dei pensieri. Si lasciò scivolare in silenzio sui gradini, senza disturbare la conversazione delicata che il consorte stava intrattenendo con il messo. Le battute tra i due uomini giungevano ovattate all’imperatrice, ma lo sguardo che Franz le dedicò fu limpido: in primis non si era accertato delle condizioni della moglie, gli premeva comunicarle il dispiacere che lei sola avrebbe potuto condividere e la preoccupazione che Sissi lo additasse come responsabile della tragedia. Anni di discussioni sulla fragilità di Rudolf avevano avuto il loro triste epilogo.
Il sovrano non perse stoicità nel concordare un celere rientro della salma a Vienna, premurandosi di occultare la presenza del corpo di una donna accanto al figlio. Non aveva perso la lucidità necessaria per salvaguardare il buon nome della famiglia reale. Riuscì a mostrarsi talmente imperturbabile da sconvolgere Sissi, la quale avrebbe voluto sprofondare nelle viscere ardenti degli inferi e lasciare che le fiamme lenissero le sofferenze.
Franz non era nella stessa posizione della consorte. Lui era l’imperatore e per il bene del regno doveva reprimere ogni emozione; così gli era stato insegnato, ma nonostante ciò lei non riusciva a giustificarlo.
Il gelo non impregnava solo l’aria di quel gennaio viennese. Era nelle pieghe del viso, nel tono asciutto con cui il sovrano si rivolgeva all’ambasciatore, nelle crepe della sua fierezza.
Elisabeth represse un conato asceso dallo stomaco, mentre Franz Joseph restava irremovibile nella sua uniforme.
 
 
 
 
18 febbraio 1890
 
Cedere al dolore non era sintomo di vulnerabilità, Sissi lo ripeteva a se stessa mentre cercava di impedire che le lacrime lasciassero screziature sull’ultima missiva del conte Andràssy. Era troppo preziosa quella carta, inumidirla sarebbe stato un sacrilegio.
Le tematiche delle poche righe che l’uomo aveva dedicato alla sovrana non erano politiche, l’imperatore era citato solo in segno di rispetto e l’Ungheria rappresentava un orgoglio che condividevano. La questione era personale e la lettera era giunta a palazzo in segreto per preservare la reputazione della regina.
La lunga chioma le concedeva riservatezza. Quella sera aveva negato l’aiuto dell’affezionata dama di compagnia, la contessa Festetics, per spazzolarla. Desiderava sfogarsi in abiti informali, come una qualsiasi donna che si trovava sull’urlo di perdere un amico, con il quale aveva maturato grande affinità.
Gyula stava scontando le sue ultime ore in un carcere di Volosca[1] e – con l’unica eccezione di un padre confessore – non gli era concesso alcun genere di conforto, nemmeno quello della moglie. Il condannato spendeva la notte congedandosi da coloro che avevano ricoperto un ruolo importante per lui.
 
Non angustiateVi per me, Maestà.
Ho mantenuto la mia promessa. Finché mi è stato concesso, Vi sono rimasto devoto.
Ora pago per un passato di cui non mi pento. Per la mia Ungheria dono la vita.
Èljen Erzsébet! Èljen Erzsébet![2] e così sarà sempre.
So che avete tentato il possibile per salvarmi, Ve ne sono grato, ma non comprometteteVi più. Ricordate che siete un’imperatrice e dovete obbedienza a Vostro marito.
Per me l’ora sta ormai scoccando. Mi rincresce solo non averVi vista felice. Siete nelle mie preghiere, affinché gli anni a venire siano ricchi di gioie e non di lutti.
Vi sono affezionato, Elisabeth. Concedetemi quest’ultima confidenza.
Vostro devoto servitore
Gyula Andràssy
 
Per giorni aveva supplicato Franz di intercedere per lui. Aveva sfruttato qualunque forma di ascendenza sul consorte; si era riparata dietro l’essenzialità che il ruolo di Andràssy aveva ricoperto per l’impero Austro-Ungarico, la devozione che il conte aveva dimostrato per il re e la regina.
Non poteva attendere che venisse impiccato in nome di una rivoluzione vecchia di quarant’anni, i cui ideali erano stati onorati.
Sissi si alzò malferma sulle gambe. Le tenebre, che inghiottivano il cielo, stavano per lasciare il posto ad un’alba amara. Non riusciva ad accettare che venisse compiuto un errore ormai inevitabile.
Uscì dalla sua stanza. Scomposta in abiti da notte, si diresse verso lo studio dell’imperatore, dove sapeva avrebbe trovato il marito, intento ad occuparsi di affari di Stato.
Il tragitto la destabilizzò, il dolore l’aveva resa poco lucida. Una guardia imperiale presidiava le porte, non era sicura di riuscire ad affrontarla con eloquenza.
La vista della sovrana in tenuta da camera non scompose il sorvegliante, non si lasciò trascinare dai giudizi, persino lo sguardo rimase impassibile. Con rigore, si premurò di consentirle all’istante l’accesso.
Elisabeth scorse il sovrano impegnato nella lettura di documenti ufficiali, che non potevano aspettare nemmeno le prime luci di un nuovo giorno. Si mosse rapida nella sua direzione, ma i piedi nudi non producevano un rumore degno di nota e non lo deconcentrarono dagli impegni.
Senza più il timore di mostrare i sentimenti sinceri che nutriva per il condannato, la regina posò entrambi i palmi sulla scrivania con veemenza per attirare l’attenzione dell’imperatore. Per l’irruenza, una macchia di inchiostro si rovesciò su un foglio intonso che Franz si stava apprestando a scrivere in risposta ad una delle tante missive.
«Salvalo. Ti prego, risparmia la sua vita. È innocente»
Scrutò gli occhi annacquati della moglie. Racchiudevano un immenso dolore che aveva risvegliato in lei i mesi passati nel tormento dopo la scomparsa di Rudolf.
Un sorriso consapevole increspò le labbra del sovrano, dopo l’ammissione di devozione di Sissi nei riguardi di quell’uomo.
Sapeva che erano programmate alcune esecuzioni in Baviera. Per lui erano di ordinaria amministrazione. Erano colpevoli e dovevano pagare con la vita, avevano già beneficiato della clemenza per anni. L’innocenza a cui lei si stava riferendo non era quella che era stata giudicata sulla carta nella sentenza di esecuzione. Innocenti erano, per Elisabeth, le ragioni che avevano mosso nel 1848 le azioni di Andràssy in nome della sua patria.
Franz Joseph recuperò una pagina bianca, un pennino, altro inchiostro e iniziò a scrivere. Non valutò di degna considerazione l’irruzione della moglie.
Quando Sissi lesse sul foglio il destinatario – il cancelliere tedesco Otto von Bismarck –, capì che le sue richieste non era state nemmeno ascoltate e tantomeno sarebbero state accolte con premura.
L’imperatrice non intendeva arrendersi. Provò a trasformare le sue richieste in un sussurro; le venne spontaneo abbassare i toni, la sua anima era prosciugata dalle energie fisiche e spirituali.
«Franz. Ho fatto qualsiasi cosa tu mi abbia chiesto per questo regno. Ho sacrificato un figlio per causa tua. Risparmia Andràssy. Ti supplico, intercedi per lui»
Lo sguardo che si posò su di lei era severo. Le parole della moglie avevano riaperto una lacerazione che non si era mai rimarginata. Per quanto lo celasse a chiunque, per quanto continuasse a ricoprire con fedeltà il suo ruolo, la disgrazia che aveva colpito la famiglia reale aveva cambiato molto. Lui si sentiva diverso nel profondo.
«Avevo chiesto a Rudolf di interrompere la relazione con quella donna. Era minorenne e promessa, non aveva senso di esistere alcun rapporto tra loro. Ho dovuto chiedere al Papa più volte clemenza per le sue spoglie. Rudolf ha pensato alla posizione scomoda in cui avrebbe posto l’imperatore con un gesto tanto scellerato? Ha ucciso la sua amante e si è tolto la vita! Sua Santità ha solo finto di credere che si trovasse in uno stato di disordine mentale per concedergli una degna sepoltura. Mi ha concesso un favore»
Era adirato, quel lutto, che li aveva colpiti sopra un substrato di innumerevoli altri lutti, lo aveva stravolto in ogni aspetto del suo essere, come padre e imperatore.
Era trascorso poco più di un anno dalla tragedia nella tenuta di Mayerling, ma le conseguenze di quel giorno pesavano ancora sulle spalle del sovrano. Proprio il suo cuore di guida gli impediva di dare voce al dolore di un genitore che continuava a sopravvivere ai suoi figli.
«Lo era»
Elisabeth proferì poche sillabe in tono sommesso. Rivolgeva lo sguardo al suolo, afflitta dalla crudele verità che il marito aveva ricordato ad entrambi. Lui non si aspettava una replica simile.
«Come?»
«Nostro figlio non era in sé e noi non lo abbiamo aiutato. Mio fratello aveva ragione. Hai riferito solo la verità a Papa Leone XIII»
A quel punto, alzò lo sguardo per incrociare l’espressione sconvolta del sovrano.
La colpa trapelava dai gesti di Sissi. Strinse forte i pugni ancora posati su quel ripiano, per scaricare la frustrazione. Si maledisse per non essere intervenuta prima che fosse troppo tardi e nel modo più consono.
Ripensò all’ultima lettera che il figlio le aveva dedicato. Era stata ritrovata nella giacca dell’uniforme che aveva indossato nelle sue ultime ore.
 
Mia adorata madre.
Siete il più grande rimpianto che abbandono rinunciando alla vita.
Non piangete per me. Mi avete donato trent’anni felici.
Ricordo con piacere la vostra amata Baviera. Ricordo l’amore che mi avete trasmesso per quelle terre. Ho negli occhi la bellezza che mi avete consentito di conoscere e la devozione sincera che riponete per quel popolo. Siete la sovrana amabile che tutti dipingono, io ne sono testimone.
Non piangete per me, davvero, non serve. Pensatemi in un luogo più sereno, dove nessuno avrà più aspettative su di me.
Vi sono grato per essermi stata accanto, per aver visto quale fosse il meglio per me.
Mi auguro di non avervi delusa. Di non aver rovinato quel poco di buono che avete visto in me e quel bene che avete instillato in me negli anni. Non ho intenzione di lasciare che i vizi rovinino ciò che voi avete creato con amore.
Conto sulle vostre preghiere per proteggere la mia anima dalle fiamme dell’inferno.
Perdonatemi con mio padre, non ho saputo onorare le speranze che riponeva in me. Immagino la delusione a cui dovrete assistere e il dramma per il futuro del regno. Non sono nato per essere un imperatore.
Ricordatemi come un uomo irresponsabile, se credete, ma pensatemi libero come non sono mai stato.
Vi voglio bene
Rudolf
 
«Ma tu sei stato la causa scatenante. Gli hai chiesto di interrompere quella relazione senza domandarti per quale ragione avesse osato tanto. Persino il Wiener Zeitung[3] nei giorni successivi alla disgrazia ti accusava di questo. Che padre sei, Franz? Quale padre insegna al figlio a rifugiarsi tra le braccia di donne che non siano sua moglie. Lo accusi per aver seguito il tuo esempio?»
Allontanò il pensiero dal defunto padre. Non si era comportato diversamente con sua madre, ma si costrinse a non infangare la sua memoria.
Franz si alzò oltraggiato, impedendole di vaneggiare con i pensieri.
«Lo stesso giornale che asseriva che Maria Vetsera fosse incinta, che fosse morta per setticemia a seguito di un aborto maldestro e che Rudolf si sia tolto la vita per evitare lo scandalo? Sappiamo entrambi che lui era sterile»
«Tu per primo hai diffuso la notizia che fosse morto a causa di un aneurisma e hai ammesso la verità solo quando ti sei trovato costretto a farlo. Hai temuto il peso della colpa, Franz»
«Non sono mai stato con alcuna prostituta. Era l’erede al trono e non aveva più la possibilità di garantire una successione agli Asburgo, questo perché non sapeva scegliere le donne giuste con cui divertirsi. Sapevo non ci sarebbe stato un futuro per lui, ma non mi aspettavo una fine così plateale»
«Era nostro figlio!»
Aveva gridato così forte da rischiare di svegliare l’intera corte. Aveva riversato su di lui l’ultimo scampolo di voce, era stata la collera a stimolare quello sfogo.
Era stanca di non sentirlo mai considerare nei termini più appropriati per un padre nemmeno da morto. Ammesso lo provasse davvero, non esprimeva mai affetto per lui.
Sissi abbassò lo sguardo e pianse senza pudore, lasciando che scie salmastre scivolassero dalle sue guance e fossero evidenti all’imperatore. Non voleva scaturire compassione in lui. Non riuscì più a contenere e a non esternare la sofferenza come invece l’etichetta di corte suggeriva di fare, ma abbassare lo sguardo non servì a celarla.
Franz ebbe l’istinto di catturarle una mano che era ancora posata sulla scrivania, ma lei la ritrasse contrariata. Nonostante il rifiuto, il sovrano rimase pacato, come se avesse previsto quel gesto. Non perse, però, l’ostinazione di prevalere in quel confronto.
«Sei stata tu ad insegnargli che la corte è il male, che la monarchia la è. Insieme avremmo cresciuto un erede saggio»
Elisabeth tentò di congedarsi da una discussione che era diventata sempre meno riservata. Per quanto la notte fosse diventata agitata a palazzo e l’etichetta non prevedesse una simile condotta da parte dei sovrani, Franz non accettò un epilogo sospeso. Fece cenno alla guardia imperiale di chiudere le porte per sbloccarle ogni via di fuga.
«Sissi, ho bisogno di te»
La raggiunse, prevedendo di dover contenere la sua irruenza. La moglie non si avventò su di lui, si limitò a schernirlo. Era poco propensa ad ascoltare altre fandonie.
«Se sei in cerca di un erede, io non posso più concepire. Rivolgiti alle tue dame d’alto rango, loro sapranno aiutarti»
«Non ho causato io la fine dell’impero»
Agli occhi dell’imperatrice era un vile modo per scagionarsi dalle responsabilità di uomo. Si sarebbe sentito, così, meno in debito verso un impegno che aveva assunto al capezzale della madre.
«Lo hai ripudiato. Ti sei vergognato di lui, solo perché aveva idee diverse dalle tue. Non ti sei guadagnato la sua fiducia. Tu hai perso l’erede, io ho perso un figlio»
Credeva che al suo fianco fosse riuscita a farsi comprendere dal consorte. Sperava che in minima parte fosse riusciva a influenzare il suo cuore rigido.
«Sei l’imperatrice e non è così che ragiona una sovrana»
«Volevo essere una buona madre»
«Non ti ho costretta sul trono. Ti volevo al mio fianco, ma non ti ho costretta a sposarmi»
Era quasi mortificato. Non era mai stato nelle sue intenzioni ferirla. Di lei era innamorato davvero, in qualsiasi accezione loro pensassero all’amore.
Fece un passo indietro fisico e morale. Non era più convinto di meritare la devozione che la moglie gli aveva sempre professato e dimostrato.
I toni tra i due sposi si acquietarono.
Lo sguardo del sovrano fu attraversato dall’incapacità di razionalizzare i suoi pensieri.
Sissi accorciò le distanze.
«Franz. Risparmia il conte Andràssy, è un uomo giusto e ti è fedele. L’Ungheria non è più quella di un tempo e se è sotto il tuo comando è anche grazie a lui»
«Non ne ho la facoltà»
«Tu non vuoi. Avresti potuto ordinare qualunque cosa, ma devi prima volerlo»
Sorrise sarcastico, ma al contempo dispiaciuto. Non si era impegnato per preservare il loro rapporto. Il fatto che lei si fosse avvicinata a quell’aristocratico non era bizzarro, se lui per primo aveva cercato altrove; non aveva mai lasciato, però, ai sentimenti il tempo di essere coinvolti, dal suo cuore Sissi non si era mai allontanata.  
«Cosa c’è stato tra te e quell’uomo?»
«Una profonda amicizia. Niente di più»
Gli rispose con prontezza e amarezza. Franz si lasciò convincere, era quello che sperava di sentire e fece comodo crederlo.
Sfumature rossastre squarciarono l’oscurità oltre le imposte dello studio.
Sissi cercò di trattenere il dolore, per farlo fu utile non incrociare lo sguardo del marito.
«Ora scusami, ma ho un’altra tomba su cui piangere»
Stava per uscire addolorata, sperando la facessero passare senza opporsi. Stavolta desiderava soffrire in solitudine e pregare per l’anima dell’amico.
Franz, con la voce incrinata, la richiamò. Quel dettaglio bastò per sorprenderla. La obbligò così, senza reale costrizione, a tornare sui suoi passi.
«Volevo bene a mio figlio. Desideravo solo il suo bene. Mi dispiace di aver anteposto altri interessi a lui. E a te. Non so se dopo di me il regno sopravvivrà, ma spero tu lo veda. Non riesco a immaginare la mia vita senza di te»
Nemmeno lei riusciva a immaginare una vita differente per sé, in un luogo diverso dalla corte e non accanto al consorte.
 
 
 

Bad Ischl, Austria; 31 luglio 1890
 
Il matrimonio tanto atteso di Marie Valerie si sarebbe celebrato nella cornice collinare dei luoghi più spensierati per la famiglia imperiale, in quei paesaggi che sortivano pace interiore ai sovrani e per osmosi all’ultimagenita degli Asburgo. Non vi era posto migliore per festeggiare un bramato lieto evento.
Franz Joseph, in tenuta consona e informale, rimase sulla porta della stanza, mentre le dame si occupavano del lungo strascico della sposa. Non importava all’imperatore che le donne si accorgessero della sua presenza. Desiderava contemplarla in silenzio, in quegli ultimi istanti, prima di consegnare la ragazza nelle mani fidate del futuro sposo.
L’amata figlia riuscì a regalargli un sorriso. Solo quindici giorni prima a Vienna, aveva accolto in una cerimonia solenne la rinuncia ai privilegi imperiali da parte di Valerie per poter sposare l’uomo che amava, il quale apparteneva ad un ramo minore della famiglia austriaca; era un principe senza dote e per questa ragione privo di ogni diritto a salire al trono accanto alla consorte.
Non si era ribellato alla volontà dell’imperatrice che voleva rendere felice quell’ultima figlia, lui per primo lo aveva promessa alla sua nascita.
Valerie era raggiante nell’abito candido. La gioia delle sue nozze la sosteneva nel sopportare la morte prematura e inaspettata del fratello. Rudolf aveva impiegato tempo prima di accettare la sua unione, ma alla fine anche lui le aveva dato la sua benedizione. Era inconcepibile pensare che non avrebbe assistito al suo matrimonio.
Agli occhi di Franz, il sorriso che decorava il volto della figlia sarebbe bastato, senza troppi fronzoli, a oscurare qualunque altra questione: il destino del trono e i lutti.
La sposa si accorse tardi della presenza dell’imperatore, quando aveva preso posto davanti allo specchio per ammirare il risultato della sua acconciatura. Il sovrano le rivolse un sorriso affettuoso. La ragazza non ricambiò, il suo primo pensiero fu di accoglierlo con riverenza, come le era stato insegnato, con maggior rigore da quando aveva perso i titoli imperiali.
«Padre»
Le passò il dorso della mano sotto il mento per costringerla a perdere quella posizione sottomessa.
«Mantieni uno sguardo fiero. Sei un’Asburgo. E una Wittelsbach, da quella famiglia discendono le donne più coraggiose che io abbia conosciuto»
«Siete stato buono con me a benedire questo matrimonio. Ho rinunciato ai miei diritti per sposare Erzherzog e voi non avete indugiato a consentirmelo»
«Mia cara Valerie, non ti avrei mai imposto la corona. Sei più simile a tua madre di quanto credi, rivedo in te la sua tenacia e la sua purezza. Voglio che almeno tu sia felice, ma per esserlo devo lasciare che le mie decisioni vengano messe da parte»
La figlia in abito nuziale lo riportò indietro nel tempo, quando al suo fianco vi era una giovanissima cugina. Sissi era inesperta, ma non timorosa. Era pronta ad affrontare ciò che il destino aveva scelto per lei.
La giovane vita spezzata del figlio sfiorò la sua mente. Aveva lasciato che morisse sotto il peso dell’impero. Giselle era stata obbligata nelle spire di un’unione senza amore. Valerie non avrebbe incontrato la stessa sorte del fratello e della sorella.
Gli occhi del sovrano si inumidirono. Per mascherare quell’attimo di fragilità, offrì il braccio alla sposa.
Li attendeva una cerimonia semplice in abiti ufficiosi nella chiesa parrocchiale di Bad Ischl; così gli imperatori avevano deciso per la figlia che aveva rifiutato i pregi di una famiglia potente sullo scenario europeo.
«Padre. Vi sentite bene?»
«Sto bene. Se sei pronta, ti scorto all’altare»
 
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Elisabeth li attendeva tra le panche della chiesa. Non aveva riposto gli abiti del lutto, benché l’evento che si apprestavano a celebrare fosse fra i più lieti per la discendenza asburgica.
Il dolore per il figlio e la sorella non impedì alla sovrana di rivolgere un sorriso orgoglioso alla sposa. In quel luogo di culto aveva pregato per l’anima dei suoi cari, ma Valerie era viva e si augurava che il suo fosse un futuro colmo di gioia.
L’imperatore prese posto accanto alla consorte. Al suo fianco gli venne riservata insofferenza, ma non si lasciò intimorire dall’atmosfera tesa che aleggiava tra loro.
Franz Joseph prese più volte un respiro prima di sussurrare. Non distolse lo sguardo dalla cerimonia, ma quella confessione poteva solo essere rivolta alla donna che gli era più vicina.
«Avevi ragione»
Lo sguardo di Sissi fu fugace in direzione del marito. La presenza di Franz rappresentava una cornice rispetto all'unione della figlia, era parte del cerimoniale, benché meno ferreo del consueto.
«A proposito di cosa?»
Si scomodò a interagire con lui. Non trasse alcuna soddisfazione dalla constatazione del consorte, era arrivata troppo tardi quell’ammissione. Non lo palesò, ma non era rimasta indifferente.
Senza incrociare gli occhi di lei, l’imperatore cercò la mano che si trovava composta sulle gambe della moglie. Con attenzione, Elisabeth seguì i gesti con lo sguardo. Non si tirò indietro, ma tuttavia non ricambiò la stretta dell’uomo.
Franz non demorse. Le accarezzò il dorso con il pollice.
«Il dovere mi ha reso cieco. Ho biasimato Max, ma non sono stato più lungimirante di lui»
«Penso sia tardi per i pentimenti, Franz. Valerie è felice, ora conta solo questo»
La giovane Asburgo sembrava essere raggiante, il suo viso era rischiarato da una luce che Sissi non aveva mai conosciuto.
L’imperatrice si era ripromessa che le sue lacrime avrebbero avuto il sapore della gioia in quella rara occasione di festa. Invece una lacrima più dolorosa delle altre le sfuggì lungo la guancia.
Franz scorse quel silenzioso cristallo di sale, brillava sotto i raggi variopinti filtrati dal rosone; a lei non bastò concentrarsi sulle pieghe del suo abito per camuffare un quadro penoso, spostando l’attenzione dall’altare.
Elisabeth provò ad allontanare la mano da quella di Franz, ma lui glielo impedì con determinazione. Le comunicò così quanto fosse ardente il desiderio di essere al suo fianco e condividere la stessa sofferenza.
 

Buongiorno, cari lettori e care lettrici!
 
Anche stavolta ho provato a ricostruire i loro sentimenti attraverso le fonti storiche che sono riuscita a recuperare.
Come sempre, mi auguro di essere rimasta il più fedele possibile alla Storia.
Grazie di cuore per continuare ad accompagnarmi in questo viaggio nella vita di Sissi. ❤️

Un abbraccio,
Vale
 
[1] Attuale Croazia.
[2] Viva Elisabeth! Viva Elisabeth! Venne urlato dalla folla il giorno dell’incoronazione a regina d’Ungheria.
[3] Giornale autriaco che nel 1857 fu acquistato dal governo.

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