Black Rain

di niard
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. ***
Capitolo 2: *** II. ***
Capitolo 3: *** III. ***
Capitolo 4: *** IV. ***
Capitolo 5: *** V. ***
Capitolo 6: *** VI. ***
Capitolo 7: *** VII. ***



Capitolo 1
*** I. ***


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Ce la posso fare a lasciare stare questi due, eh. Una storia un po’ diversa (principalmente perché non è una OS come mio solito), una storia che spero di portare a termine e che possa piacere a qualcuno. È giusto per alleggerire la mia mente, sono felice di aver trovato uno briciolo d’ispirazione.
Ho tolto tutti i suffissi onorifici per pura praticità e pigrizia.
Penso OOC doveroso.

Title: Black Rain - Kuroi Ame 
Chapters: 1/? 

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黒い雨

 

 


 

    In quella che era solo l'embrione dell'odierna Konoha, i kimono da cerimonia delle più varie colorazioni scivolavano sui ciottoli della strada illuminati dalle luci delle lanterne, che paravano le vie - i complessi disegni degli abiti sembravano riflettere le lunghe lingue di fuoco delle illuminazioni, che rapite li vezzeggiavano, donando agli abitanti un aspetto quasi onirico.
I componenti delle più importanti famiglie di samurai di Konoha si spargevano tra le abitazioni di legno e carta di riso, arricchite da alberi di ginkgo e flessuosi salici tra cui, di tanto in tanto, si udiva il trillo di un lontano campanello di vetroche si univa perfettamente al vociferare del fine serata - gli invitati riversavano nell'aria di tarda primavera i segreti appresi durante la giornata, che gli ospiti avevano rivelato un po' a causa dell’alcol, siero della verità, e parzialmente per l’anormale aria di pace creatasi. 

«Mi ha mostrato un grosso dragone tatuato sulla coscia ed era così ubriaco che mi ha chiesto se volessi toccarlo» raccontava una donna, suscitando esclamazioni incredule. 

«Jiraiya ha raccontato le sue avventure... amorose. Sapete che non le conta più sulle dita?» diceva un ragazzo qualche metro più indietro. 

Camminavano tutti a piccoli passi, le calzature ormai diventate dolorose come spilli, mentre mano a mano alcune famiglie si dileguavano verso le abitazioni del proprio clan, sparendo come fragili lucciole all’alba.
Era molto tardi, un evento importante aveva tenuta sveglia Konoha, perché vi era stata l’unione tra due potenze: c’era chi aveva storto il naso al matrimonio tra la Principessa di Suna e un Nara o chi avrebbe ambito a una famiglia più importante e influente per un gemellaggio tra le due nazioni; ma vi erano anche persone estremamente soddisfatte del fatto che, per lo meno, era stata scelta la famiglia Nara, neutrale dal punto di vista di detenzione del potere, benvoluta dal sovrano di Konoha, evitando così che un altro clan acquisisse ancora più prestigio tra le famiglie di guerrieri più note del paese.
I Nara spiccavano per la loro indiscutibile intelligenza, a essere ragionevoli e non bellicosi, una famiglia decisamente stabile; ma non erano gli unici a essere stati presi in considerazione, ad esempio il clan Uzumaki non aveva apertamente concorso per quel matrimonio, anche se con improbabilità si sarebbero sottratti alla volontà del sovrano di Suna, nel caso in cui fossero risultati d’interesse. Poi, gli Yamanaka, così come gli Haruno, non avevano un erede maschio ed erano stati esclusi dalla scelta; altre famiglie non erano semplicemente risultate all’altezza di tale compito, sebbene facessero parte dell’élite del paese, oppure come gli Hyūga erano stati cancellati dalla genealogia dei samurai di Konoha a causa della perdita di tutti gli averi. Inoltre, diversi volevano insorgere e stabilire un potere politico prettamente militare, ed era per questo che gli Uchiha, ritenuti ambiziosi e parte di questo filone, erano stati eliminati dai giochi in quanto troppo rischiosi -  ma si poteva quasi stillare una lista infinita delle differenti opinioni che si erano venute a creare durante i preparativi del matrimonio.
Proprio in seguito all’infinita giornata, il clan Uchiha fu uno tra gli ultimi a raggiungere le proprie abitazioni - Fugaku fece in tempo a finire una lamentela con un famigliare, riguardo a commenti troppo accusatori ricevuti durante il banchetto, prima di seguire Mikoto, quieta come i suoi figli, oltre il cortile di casa.
Le domestiche della famiglia, Hinata e Hanabi, accolsero silenziosamente la famiglia con un profondo inchino - immediatamente la più giovane sistemò i soprabiti di Fugaku e Itachi, Sasuke già spoglio di quel pesante pezzo di stoffa e nel mentre Hinata ripose le calzature di Mikoto, così che Hanabi potè accompagnare i coniugi alla propria stanza.
Dal canto suo, Hinata seguì i fratelli lungo la veranda della casa - in rigoroso silenzio, la ragazza osservò Itachi controllare Sasuke, intento a mantenere il proprio contegno nonostante durante il ricevimento quel suo conoscente biondo, Naruto, l'avesse persuaso a non indugiare in qualche bicchiere di liquore in più. Sasuke era solo leggermente spossato, le gote rosee e il caldo delle notti di tarda primavera non di certo in suo aiuto. Hinata non perse il leggero sorriso che nacque sulle labbra di Itachi, appena voltato nella direzione del fratello così da tenerlo sott’occhio, mentre quest’ultimo faceva il suo meglio per raggiungere la stanza - addolcita, Hinata si ritrovò dispersa nei suoi pensieri riguardo l’unità tra i due e si crogiolò nella loro armonia, tanto da quasi sospirare della bellezza dei loro haori da cerimonia, il cui fruscio della stoffa pregiata sembrava il vento che si insinuava tra le fronde degli alberi. Inoltre, l’affetto fraterno a cui stava assistendo le ricordava suo cugino, che aveva perso la vita pur di proteggere la propria famiglia durante una faida tra clan. Era passato così tanto tempo da quando gli Hyūga erano diventati solo un ricordo custodito da lei e Hanabi; erano tutti morti e ora le rimanevano solo le memorie migliori, perché Hinata era incline a dimenticare tutto ciò che le aveva fatto male ed era per questo che l’unione che aveva trovato nella famiglia per cui lavorava, le ricordava la sua - Hinata sapeva che non tutto era vero, che aveva sofferto e le era stato detto fino alla nausea che non era mai stata all’altezza di portare il proprio cognome; si sarebbe dovuta impegnare di più per diventare una donna chiave per un matrimonio importante, smettere di auspicare a una vita semplice e spensierata, capire che la felicità era effimera. Chissà, ora poteva esserci lei al posto di Temari con un uomo straniero o… tutto d'un tratto, Itachi si fermò davanti alla sua stanza e per poco Hinata non si scontrò con la sua schiena, troppo immersa nella sua mente. La giovane tentò di formulare una rammaricata scusa per la distrazione, ma si bloccò appena Itachi le concesse, con un semplice gesto della mano e per nulla infastidito, di entrare nella camera così da aiutarlo nella preparazione per la notte.

«Puoi preparare anche il futon per Sasuke? Dormirà con me» disse. 

Itachi era sempre gentile con lei e la sorella, una dote che lo caratterizzava da sempre, sin dal momento in cui Hinata e Hanabi erano cadute in disgrazia e per mantenersi erano state prese come domestiche nell’abitazione di Fugaku. La sua gentilezza si mostrava anche in quel momento, mentre sosteneva discretamente Sasuke per un braccio, forse comicamente arreso all’esaurimento delle sue forze - era un bene che per quella notte dormissero insieme, così da avere il minore sotto controllo.
Una volta dentro la camera, sistemarono Sasuke e poi, Itachi si inginocchiò davanti alla specchiera - Hinata gli porse una ciotolina d'acqua profumata e un panno per rinfrescare il viso e, come aveva fatto con il fratello, Itachi iniziò a passare il tessuto sul volto togliendo la stanchezza e distese un sorriso compiaciuto nel vedere Hinata seguire quel banale procedimento.

«Puoi aiutarmi?» chiese Itachi, richiamando a sé l’attenzione.

La giovane mosse la testa in segno di assenso e avvicinò, leggermente tesa, le mani ai capelli di Itachi - Hinata era felice di poter aiutare, perché si trattava di un rarità. Di solito le era concesso di stare nell'angolo della stanza per assistere alla vestizione, ma mai si era azzardata a intromettersi, neanche per passare un fermaglio alla madre di Itachi. Hinata osservava muta le dame di compagnia più anziane sistemare i capelli di Mikoto e arricchirli con forcine, ma non era mai intervenuta.
Quindi, Hinata cominciò a sciogliere le ciocche costrette nella coda e poi spazzolò i capelli, passando di tanto in tanto le dita tra la chioma corvina.

«Ho finito» Hinata parlò adagio dopo qualche minuto.

Itachi si alzò dando le spalle alla giovane e allentò la stretta degli abiti, facendoli aprire morbidamente; Hinata prese i lembi della veste e gliela sfilò, rivelando il corpo dell’uomo - il volto della giovane iniziò a imporporarsi di una sfumatura vivida e a tratti infantile quando vide la pelle nuda; Hinata dovette distogliere lo sguardo, abbassando vergognosamente la testa una volta che il corpo di Itachi fu liberato - le guance si tinsero di rosso, calde e formicolanti, e il colorito si accentuò nel momento in cui si accinse ad aprire uno yukata per la notte per l’uomo, incontrando la schiena flessuosa del samurai. Hinata piantò gli occhi sui tatami dalla parte opposta della stanza, aspettando che Itachi infilasse le braccia nelle ampie maniche - a ogni movimento, i muscoli della schiena guizzavano sotto la pelle e la spina dorsale affiorava appena sotto quel sottile rivestimento, incitandola a cedere e spiare il corpo davanti a sé; osservò di sottecchi, attraverso lo specchio, il ventre illuminato dalla calda luce delle lampade a olio, dove ombre si formavano su ogni forma e cicatrice dovuta alle guerre. Hinata si perse sulle sfumature di qualche livido, sull’impronta di quella che sembrava una bocca a livello del fianco sinistro, ma il corpo di Itachi venne crudelmente coperto dalla stoffa e così lei salì a sbirciare il petto, che rimase di poco scoperto grazie alla scollatura dell’indumento. Hinata si morsicò involontariamente le labbra, mettendosi un freno e cercando di concentrare la precaria attenzione su un piccolo neo sul collo di Itachi - era un comportamento impudente, ma non potè fare altro. Successivamente, Itachi si girò sfilando dalle mani della giovane la fascia, che chiuse attorno alla vita - come ogni volta, Hinata rimase impietrita alla vista degli occhi scuri e l'impercettibile sorriso, che si stendeva sulle labbra di Itachi, tanto da convincersi di esserselo immaginato. 

«Deve essere stanco…» aveva detto sempre più rossa in volto, volgendo lo sguardo a terra. «Anche Sasuke deve riposare».

Hinata concluse inchinandosi, inciampando quasi nel suo stesso kimono, lasciando velocemente la stanza - tuttavia, Itachi non diede troppo peso ai repentini cambiamenti della giovane e si distese nel futon, stremato dall'intensa giornata alla quale aveva partecipato. Aveva ascoltato il pavoneggiarsi delle famiglie prestigiose di Konoha dal momento in cui si erano tutti mischiati al ricevimento e, chi più e chi meno, aveva iniziato a elogiare i giovani guerrieri che stavano allevando, le imprese portate a termine. Itachi doveva ammettere di non aver memoria di nessuna conversazione in particolare, forse neanche delle persone con cui aveva parlato - però, certamente, ringraziò l’unica presenza positiva che aveva avuto al suo fianco e che l’aveva distratto dall’asfissia del ricevimento: Shisui. 

    «Quando Itachi si sposerà, Fugaku inviterà tutto il mondo conosciuto» rise Shisui, mentre gli ospiti interessati alla discussione seguirono a loro volta. 

Il maggiore degli Uchiha aveva alzato un vero polverone tra la cerchia di invitati attorno a sé, oltretutto ormai disinibita dagli alcolici primaverili - c’era chi non troppo sottovoce affermava che uno come Itachi avrebbe dovuto sposare la Principessa di Suna e chi, al contrario, si metteva in mostra come perfetto candidato, sminuendo i restanti. Un parente dei due aveva anche rimproverato Shisui, dicendogli che era lui l’uomo adatto dati tutti i riconoscimenti che aveva avuto in seguito alle sue imprese e Shisui aveva riso, dando corta a ciascuno di loro.
Dal canto suo, Itachi odiava le attenzioni che il cugino aveva aizzato, tanto che si voltò rassegnato verso lui, il quale sfoderò uno dei suoi migliori sorrisi - gli occhi canzonatori e le labbra morbide arricciate maliziosamente, perché Shisui sapeva che Itachi non poteva ribattere e che, sicuramente, era stizzito dalla battuta provocatoria, totalmente dettata dalla noia, che aveva lanciato.
Poi, Shisui mise tra le mani di Itachi un bicchierino e lo riempì di sake fino a quando non fuoriuscì e iniziò a gocciolare sulle dita. 

«È così soddisfacente vederti arrossire» disse Shisui sottovoce, la musica tradizionale e le chiacchiere incontrollate della sala sovrastavano di gran lunga quel commento. 

Itachi aveva bevuto il liquore, lo sguardo fisso in quello languido davanti a sé. 

«Non oggi Shisui, mio padre ci sta guardando».

Shisui incrociò lo sguardo di Fugaku, alzando il bicchierino a mo’ di brindisi, ma l’uomo distolse prontamente l’attenzione, probabilmente stizzito dal suo atteggiamento. Shisui aveva riso e Itachi l’aveva spinto discretamente con un gomito.

Shisui era così: solare e lascivo con Itachi, leale, calcolatore e letale in battaglia. Un samurai che aveva fatto sua la via del guerriero e Itachi lo ammirava, seguendolo come fosse un’ombra. C’era da dire che sotto l’insegnamento di Shisui, il più giovane era diventato un vero prodigio, la punta di diamante del clan Uchiha, tanto da far divertire Shisui, durante il ricevimento della famiglia Nara e Sabaku, su battute riguardo la brillantezza di Itachi a cui nessuno aveva trovato modo di opporsi.
Shisui poteva sembrare sconclusionato in ricorrenze simili, quando era accerchiato dalla gente, ma  era solo uno specchio per le allodole - vi era molto di più in lui, custodiva una forza di spirito inimmaginabile e neanche la solitudine l’aveva mai abbattuto. Shisui era orfano, il padre disperso durante una campagna in un paese lontano e la madre era morta per malattia quando era solo un neonato; era cresciuto sotto l’ala protettiva dell’ormai anziana nutrice e le dame da compagnia, che erano rimaste nella sua residenza da tempo immemore. Shisui si era circondato dell’affetto fittizio di quella cerchia di donne, perché sapeva che l’unica sincera considerazione la poteva ritrovare nella sua nutrice, leale e seria, oltretutto a conoscenza anche di ciò che non era tenuta a tenere nascosto - la nutrice di Shisui, ferma nella sua tombale fedeltà all’uomo, che aveva praticamente cresciuto, zittiva le dame  della casa con scuse così da permettere a Itachi di recarsi a qualsiasi ora della notte nella loro dimora. L’anziana non si sconvolgeva certo per una frequentazione tra i due - era a conoscenza delle pratiche che spesso si instauravano tra i maestri samurai e i reciproci allievi e così via. Aveva vissuto abbastanza per conoscere il mondo. Sapeva anche che erano relazioni passeggere, saltuarie, ma un’unione profonda come quella tra Shisui e Itachi non l’aveva mai vista - vuoi l’appartenenza alla stessa famiglia, che questa abbia aumentato il legame tra i due, vuoi la vicinanza di età e il tempo incalcolabile che avevano vissuto insieme sin dall’infanzia; avevano avuto lo stesso maestro, si erano allenati insieme per ore e giorni, combattuto fianco a fianco. In ogni caso, lei non aveva una riposta all’amore che vedeva. Un po’ forse ne era preoccupata, doveva essere sincera, ma era fiduciosa del buonsenso di Shisui, anche se talvolta si chiedeva per quanto tempo avrebbero retto quel gioco pericoloso.

Per quanto sarebbero riusciti a tenere tutto nascosto.



 

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Capitolo 2
*** II. ***


 

Sono già qui ad aggiornare, perché bene o male qualcosa prende forma. Capitolo di transizione, mettiamo un po’ delle informazioni per il futuro. 
Spero a presto, un abbraccio a tutti.

Chapters: 2/?

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II.

 

 

 

    I fiori di ciliegio avevano raggiunto il culmine della loro bellezza diverse settimane prima e i rami nodosi e scuri, una volta pesanti dei fiori, avevano perso i loro decori creando un manto rosato su Konoha. Il vento era forte in quei giorni e anche i petali caduti a terra se ne stavano andando, lasciando dietro a loro un profumo talmente sottile, a riempire le strade, che solo chi lo conosceva dalla nascita sapeva riconoscere e riusciva a sorridere di quell’annuncio bisbigliato dalla primavera.
La mezza stagione portava sempre gioia e un pizzico di spensieratezza; nella dimora di Shisui si respirava proprio l’aria quieta di mattina inoltrata, con il sole brillante, le dame intente nelle loro faccende, una tazzina di tè abbandonata sul legno caldo della veranda, che dava sul cortile interno - qui vi era la nutrice di Shisui, inginocchiata su un cuscino all’ombra dell’acero voluto dal disperso proprietario dell’abitazione e la donna lo guardava sempre con estrema malinconia. La nutrice era un’anziana graziosa, sia nei modi di fare, sia nel suo aspetto, dai capelli grigi raccolti sulla nuca in una crocchia composta; i suoi occhi poi erano intransigenti e dalle ciglia corte, un po’ a ricordare l’espressività di una vecchia saggia e Shisui aveva scherzato diverse volte su questo aspetto, guadagnandosi anche un colpo di ventaglio sulle nocche delle mani - Shisui ci era abituato e trovava divertente esasperarla, facendole riscoprire di essere in grado di sorridere. Lei  puntualmente borbottava che era un uomo adulto e che avrebbe fatto bene a togliersi quell’aria da ragazzino che ogni tanto tirava fuori. 

Quando Itachi arrivò alla dimora di Shisui, il giorno seguente all’unione tra Konoha e Suna, trovò l’anziana e suo cugino all’ombra dell’acero, due gatti a fare le fusa sulle loro gambe - si avvicinò e Shisui si sciolse in un sorriso.
Poi, «guarda, lei è Kinako» annunciò Shisui, indicando la gattina raggomitolata sulle ginocchia della nutrice - aveva gli occhi scuri e il pelo beige, che ricordava la farina di soia da cui prendeva il nome. Shisui l’accarezzò tra le orecchie più scure, ricevendo in risposta una leggera sinfonia di fusa. Nel mentre, si girò bloccando il grosso gatto che tentava di sgattaiolare lontano dai fastidiosi umani, che avevano interrotto il suo riposo. «E lui è Tamago!» continuò entusiasta Shisui, stringendo tra le braccia un gatto dal manto simile all’ardesia, gli occhi erano due sfere ambrate. 

«L’hai chiamato così perché sembra un uovo?» chiese Itachi, un piccolo sorriso, che non riuscì a trattenere, tradì il finto sgomento. Effettivamente, Tamago aveva le rotondità accentuate e le zampette corte mettevano in risalto la sua forma morbida, ma questo lo rendeva ancora più adorabile. 

«Non offenderlo. Tamago è magrissimo, non vedi?» Shisui rise, affondando la mano nella pancia morbida del gatto. «Il suo problema è che mangia tutto quello che trova e mi hanno detto che ruba anche dalla cucina». 

Tamago miagolò, spingendo non molto delicatamente la zampa sul viso di Shisui, come a intimarlo di stare zitto e smetterla di metterlo in imbarazzo.
Era la prima volta che Itachi vedeva i gatti di suo cugino e pensò fosse un’ottima idea, almeno per alleviare un po’ della solitudine che regnava in quelle mura; effettivamente, era da diverso tempo che non andava a casa di Shisui, vuoi per impegni, vuoi per luoghi alternativi in cui avevano passato il loro tempo in modo più confortevole. 

«Non è bello rimanere qui a oziare…» parlò per la prima volta l’anziana e sia Shisui, sia Itachi colsero le parole non dette.

«Andremo al dōjō» rispose infatti Itachi, mentre Shisui liberò il gatto dalle sgradite attenzioni.

Il dōjō era un luogo particolare, al limitare della foresta - i due avevano passato indefinite ore ad allentarsi, meditare, studiare. Sembrava di entrare in un mondo parallelo, dove tutte le problematiche rimanevano al di fuori; il silenzio che vi regnava era rinvigorente, si riuscivano quasi a sentire le setole del pennello scivolare sulla carta quando qualcuno si dedicava alla calligrafia. 

«Impossibile che Itachi perda anche solo un allenamento» e detto ciò, anche Shisui si alzò e i loro occhi si incontrarono, tanto che l’anziana sospirò essendo ancora una volta testimone dell’intesa che i due non risparmiavano di nascondere.

«Sasuke è già là, ci sta aspettando» concluse Itachi salutando la donna.  


    Passi rapidi si susseguivano sui tatami nell’imminente tramonto, morbide ombre nascevano in esso e allungavano lungo le pareti.
Nel mezzo, Sasuke si allenava con il fratello - i capelli corvini, corti e che si infrangevano sul viso, ne seguivano i movimenti, le iridi racchiudevano l’immagine del corpo flessuoso coperto dalla tenuta scura, mentre l’armatura regolamentare era accantonata lì a fianco, vista come un barbaro tentativo di soffocare la bellezza dei muscoli che si tendevano a ogni attacco. Tutto sommato, Sasuke era in forma in seguito al matrimonio della sera prima - si era svegliato intorpidito, gli occhi gonfi, ma dopo il riso del mattino e il tè amaro che gli era stato servito, con il passare delle ore, si sentiva sempre più in forze e con l’aria fresca che entrava dalle pareti aperte era rinato.
D’improvviso, un colpo s’infranse contro la sua arma di allenamento - il colpo di Itachi era stato critico, quasi da assicurargli la vittoria, ma Sasuke era stato abile a bloccarlo. 

«Bravissimo Sasuke» fu la volta di Shisui a elogiare la reazione del cugino minore. 

Itachi sciolse la posizione d’attacco. «Per oggi può anche bastare» disse annuendo soddisfatto. 

«Dopo la serata di ieri, ti sei ripreso alla grande. Neanche un po’ di mal di testa?» commentò Shisui, alludendo all’eccessiva bevuta di alcolici di Sasuke, forse addirittura la sua prima.

Effettivamente, durante il banchetto, lo stesso Itachi aveva indicato a Shisui come Sasuke, trascinato in un altro tavolo da un ragazzo, stesse diventando più disinibito e la bottiglia di liquore un po’ troppo vuota.
In seguito alla frecciatina di Shisui, quest’ultimo e Itachi si impegnarono a trattenere una risata. Sasuke alzò un sopracciglio e, puntando la spada di bambù verso Shisui, ribatté serio «mi stai sfidando?».

«Sempre così irascibile…» sospirò Itachi, ma sorprendentemente la finta rabbia di Sasuke durò poco e tutti e tre scoppiarono a ridere. 

Poi, seduti nella stanza vuota, iniziarono a parlare e il cielo si tinse di scuro.

«Partirò per qualche settimana» annunciò Shisui.

Sasuke chiese incuriosito il motivo, quindi il cugino rispose nel suo modo pacato. 

«Problemi con delle colonie, sarà questione di limitare i conflitti tra le zone confinanti. I proprietari terrieri possono essere ottusi. Dovrò scortare Danzō, niente di più».

Itachi non aveva parlato in seguito alla notizia, anche se il nome di Danzō non era mai una sorpresa quando si trattava di questioni di affari - sì, era pur sempre un uomo facoltoso di corte, ma aveva quel fare subdolo, che gli impediva di reputarlo una persona fidata. Inoltre, diverse volte Danzō si era recato al dōjō degli Uchiha con la scusa di controllare l’andamento degli allentamenti dei guerrieri che lottavano per il suo paese; Danzō diceva sempre che era sua abitudine imprimersi nella memoria gli uomini più fidati che poteva trovare nelle famiglie di Konoha così da potersene avvalere durante i suoi viaggi d’affari. Nessuno aveva mai ribattuto di fronte a un uomo di corte e, infatti, Shisui era stato scelto per l’ennesima missione.

 

    I giorni passarono nella più totale tranquillità nella cittadina. Il sole splendeva alto e le giornate diventavano sempre più lunghe e piacevoli, nonostante il vento soffiasse ancora forte in qualche occasione.

Hinata si recò nel giardino, proprio nell’angolo del muro che faceva da recinzione all’abitazione di Fugaku - era un punto cieco, dietro di esso vi era una stradina sterrata che portava a un fiumiciattolo per lo più un secca; ma era un posto strategico, perché nella crepa del muro, Hinata vi trovava sempre delle lettere a lei indirizzate. Controllava ogni giorno e oggi non era da meno, ma mentre sfilava le buste dalla fessura, sentì la voce di Mikoto richiamarla e non perse tempo, anzi, corse per il giardino fino a raggiungere il ragazzo che teneva un mazzetto di lettere, probabilmente per lo più del marito della signora Uchiha. Hinata aveva ringraziato e, mentre dava ancora le spalle a Mikoto, infilò le sue lettere nella manica del kimono, ma non prima di aver rigirato tra le mani le nuove buste, che le erano state appena consegnate, così da non destare troppi sospetti; separò quelle di Fugaku da quella di Mikoto, per i figli non trovò nulla.

«Cosa avevi in mano?» chiese la padrona di casa.

Purtroppo Hinata non era stata abbastanza veloce per eludere lo sguardo di Mikoto e ci mise un attimo a rispondere, consegnando direttamente alla donna la busta che portava il suo nome. 

«Carte di mochi» rispose. 

«Il vento è stato molto forte questa mattina presto, li avrà persi il fornaio. Ce ne saranno altri per il cortile» aveva ribattuto Mikoto, l’attenzione però totalmente rivolta al messaggio della lettera. 

La donna si dimenticò presto di Hinata, la quale aveva fatto un inchino nel momento in cui Mikoto era rientrata in casa, dove le dame la ascoltarono parlare riguardo all’invito che le era stato lasciato. In cuor suo, Hinata ringraziò le Divinità che la signora Uchiha avesse più interesse per la sua lettera rispetto a quello che la domestica aveva nascosto.

    Hinata aveva atteso la fine del pranzo e il momento in cui Mikoto si ritirava nella stanza centrale per comporre dei versi di poesia, e solo in quel pizzico di tempo per lei, la giovane si era chiusa nella sua stanza per leggere le lettere -  avrebbe potuto aspettare la notte, ma era ansiosa e aveva portato a termine i suoi compiti ancora prima della sorella in modo da ritagliarsi un momento di pace.
Hinata sapeva di non aver molto tempo prima di dover tornare al lavoro, ma ce l’avrebbe fatta; quindi, appoggiò le lettere sui tatami e gli occhi le brillarono - nessuna delle buste era firmata, non un indirizzo o un indizio sul mittente, avevano quella carta anonima che non avrebbe destato sospetto se incastrata in un muretto, sicuramente scambiata per cartaccia; ma bastò leggere le prime righe, i racconti delle giornate di un giovane samurai, per lasciar lavorare la fantasia. Hinata pendeva dalle frasi concise che Naruto le scriveva, senza troppi particolari e sentiva il cuore batterle nel trovare complimenti a lei rivolti nelle ultime battute dal messaggio.
Come Hinata aveva conosciuto Naruto, era stato in uno dei modi più banali possibili: era una serata in cui l'aria era ancora così fredda da creare delle piccole nuvolette di condensa ad ogni sospiro. Naruto aveva avuto un’uscita rigenerate dopo l'orrore al quale aveva assistito in una delle sue prime battaglie - basta urla strazianti, dolore, adesso doveva rianimarsi nelle risa allegre, finché gli sarebbe stato concesso.
Lui e Kiba, un suo coetaneo di una famiglia conosciuta, avevano iniziato a passi incerti a dirigersi verso le rispettive dimore; spesso si erano ritrovati a ridere per qualche situazione d’infanzia che riaffiorava alla mente e Naruto si perse nell’ilarità del momento e vacillò, incespicando in una buca della via, quando Kiba lo spinse scherzosamente con una spalla. Certo, entrambi non potevano immaginare che Naruto sarebbe finito per scontrarsi con una ragazza che passava di lì - questa tentò di attaccarsi alla manica della giovane al suo fianco, ma l’equilibrio non l’aiutò e semplicemente cadde.
Hinata rimase aggrappata alla manica del kimono di Hanabi e strinse sofferente la stoffa, serrando la bocca a causa dell’impatto del ginocchio con i ciottoli della via.

«Non ti ho visto...» aveva farfugliato Naruto, soffocando a stento una risata scaturita dal sake, che circolava abbondantemente nel suo corpo. 

Hinata si era rialzata velocemente, non riuscendo a impedire al suo volto di arrossarsi per la vergogna; ma ebbe abbastanza forza da indurire lo sguardo.

«Dovreste almeno scusarvi!» Hanabi aveva alzato la voce in una frase che di tanto in tanto tirava fuori dal suo repertorio da adulta e che, in quel momento, voleva ridestare i due samurai, soprattutto il ragazzo dalla carnagione piacevolmente ambrata, che non sembrava ancora pronto a distogliere gli occhi da Hinata, in grado di catturare la sua attenzione sebbene fosse vestita in modo semplice, stanca per la giornata di lavoro. Hanabi aveva schioccato la lingua, roteando gli occhi e Naruto aveva trovato il coraggio di arrossire.
Era stato poi un susseguirsi di incontri, di finte casualità: quando Hinata si recava al mercato, sempre i soliti giorni e al solito orario, Naruto appariva con qualche scusa, porgendole un dolce. Le diceva che l’avrebbe sposata, prima o poi… Hinata scosse la testa, pensando che quel ragazzo era pieno di sogni improbabili, come quello di fidanzarsi con una semplice domestica.
In ogni caso, smettendo di perdere altro tempo prezioso tra i suoi pensieri, la giovane riprese ad aprire le lettere - erano quattro in totale, ne mancavano due.
Hinata lesse un breve messaggio: “il solito posto”. Tese la schiena, alzando le sopracciglia - non era la calligrafia di Naruto, dai caratteri ben marcati d’inchiostro, il tratto del pennello spesso. Hinata trattenne il respiro quando capì di aver trattenuto una lettera non sua e rovistò tra i pezzi di carta strappati, trovandovi il nome di Itachi, scritto con caratteri così frettolosi e piccoli da richiedere concentrazione per captarli. Le salirono le lacrime agli occhi mentre continuava a fissare quell’angolo di carta, ora minaccioso sul palmo della sua mano - era combattuta sul da farsi, se bruciare il messaggio sulla fiamma della candela o nasconderla, insieme a tutte le lettere di Naruto, nella cucitura aperta del suo materasso.
Si morse le labbra rendendosi conto che non poteva.
Hinata passò minuti preziosi a fissare il nome di Itachi impresso sulla carta - stava davvero male e per questo aveva messo via tutte le lettere di Naruto; unico suo compagno era quel lembo di carta, il messaggio incriminato riposto nella manica del kimono in attesa di sapere la sua sorte. La domestica si tormentava su chi l’avesse inviata, se Itachi avesse una relazione con qualche donna, tenendo tutti all’oscuro; ma era impossibile, Fugaku non l’avrebbe mai permesso, i suoi figli erano troppo importanti per sollevare scandali simili. Poi, se fosse stato davvero così importante e segreta, non sarebbe stata mai affidata al ragazzo delle consegne con il rischio che uno dei suoi famigliari posse leggerla; ma dopotutto era improbabile che qualcuno della famiglia ricevesse una lettera di Itachi, perché era Hinata o al massimo Hanabi a ritirare la posta e consegnarla a chi di dovere. C’era da dire che non era un messaggio firmato, quindi la persona che l’aveva inviato non aspettava una risposta oppure… Hinata si passò le mani sul volto stanco, davvero stremata davanti al ventaglio di opzioni che si trovava ad affrontare e, soprattutto, era ancora più disperata sapendo che la risposta all’idiozia che aveva fatto era sempre una: era colpa sua.
Arrivò solo alla soluzione più indolore, quindi che l’avrebbe buttata il mattino seguente, quando sarebbe uscita da sola per commissioni. Dopotutto, che altro poteva fare? Se fosse venuto alla luce anche il fatto che lei riceveva delle lettere da un ragazzo, Fugaku avrebbe potuto obbligarla ad abbandonare il suo lavoro o fare una decisione. Inoltre, non era così certa dell’amore di Naruto e poi il ragazzo come avrebbe spiegato alla sua famiglia che Hinata non aveva nessuna importanza nella società - come se nessuno sapesse già della triste fine degli Hyūga. Poi, sicuramente gli altri clan avrebbero criticato la scelta di quell’unione e chissà quante problematiche sarebbero sorte.
Sentì ancora gli occhi pizzicare, le lacrime pronte a sfogare la rassegnazione e la confusione che stavano montando dentro lei. 

«Hinata, Mikoto ti sta cercando, dovrà arrivare qualche ospite» fu il momento di Hanabi di entrare nella loro camera e per poco la maggiore non se ne accorse. 

Hanabi vedendo la sorella di spalle, con la schiena incurvata, si avvicinò; la trovò turbata, le iridi pallide incapaci di nascondere la loro preoccupazione. «Cosa è successo?» chiese.

«Niente. Stavo solo pensando, come sempre…» si schiarì la voce Hinata, mentendo. 

Hanabi strinse i pugni di fronte alla malinconia della sorella, sebbene sapesse quanto avesse sofferto già dalla tenera età a causa delle pressioni sociali che investivano le famiglie nobili.

«La devi smettere di pensare al passato, pensi di poter cambiare qualcosa? Guarda dove sei ora. Adesso muoviti o arriverà qualcun altro a chiamarti e sai come sono quelle» Hanabi era sempre schietta, quasi ruvida. Non aveva paura di dire quello che pensava o di criticare la dame da compagnia di Mikoto, che non perdevano mai l’occasione di segnalare qualche mancanza nella casa degli Uchiha. 

Hinata aveva prontamente annuito, alzandosi. Aveva solo sfiorato con la mano quella della sorella in un muto ringraziamento e Hanabi gliel’aveva stretta, addolcendosi.
Hinata si trattenne dal sospirare quando lasciò la propria stanza, ormai sicura di essere scampata all’intuito della sorella.

    

    Lontano da quello che stava capitando nella dimora Uchiha, Shisui aspettava Itachi in una locanda anonima nei pressi delle porte di Konoha - era un posto tranquillo, pieno di viaggiatori che mettevano piede anche solo per un’ora della loro vita nel paese.
Shisui ra rientrato alla sua terra d’origine da poche ore, le diatribe delle colonie a sud di Konoha erano state tutto sommato semplici da riorganizzare, non si era sparso sangue e i patti stipulati erano stati più che ragionevoli - Shisui aveva scortato Danzō fino alla fine del viaggio e l’uomo l’aveva ricompensato profumatamente, dicendogli che non si sentiva mai così al sicuro come quando Shisui faceva parte della sua scorta.
Shisui storse il naso al riaffiorare di quel commento, era altresì turbato dalla conversazione che aveva avuto con l’uomo durante uno di quei giorni; tentò di non dar peso a tutte le preoccupazioni che aveva e riprese ad attendere Itachi in compagnia di un piatto di yakitori. Onestamente, non vedeva l’ora che Itachi lo raggiungesse e passare qualche ora in una delle stanze che il posto offriva - avevano scoperto quella locanda casualmente, quando erano di ritorno da un viaggio e ne erano rimasti piacevolmente sorpresi, perché con tutte le persone che vi passavano era davvero difficile tener conto dei volti che si incrociavano. Era ottimo, anzi! superbo visto che a più o meno una mezz’ora di distanza vi erano anche delle terme.
Però più il tempo passava, più il ritardo di Itachi lo faceva preoccupare.
Shisui ordinò un altro piatto e qualcosa da bere, ma non arrivò nessuno.

    

    Il cielo era uggioso quel giorno di metà settimana, la pioggia minacciava di cadere da un momento all’altro. La primavera sembrava essersi improvvisamente eclissata, un po’ come l’umore di Shisui, il quale arrivò alla dimora di Fugaku nel pomeriggio - aveva avuto degli impegni di mattina, dei rapporti riguardo la problematica che aveva interessato la sua ultima missione, ma non erano stati abbastanza impegnativi per distogliere la sua attenzione dal mancato appuntamento di ieri di Itachi.

«Mikoto…» Shisui le aveva riservato un breve inchino, anche alle dame attorno a lei e la domanda non pronunciata trovò comunque risposta. 


«Sono in cortile» disse serenamente la donna.

Infatti, Shisui vide i fratelli parlare fittamente tra loro mentre Sasuke, per la precisione, aveva ancora la katana sfoderata e di tanto in tanto la osservava - Itachi sicuramente gli stava dando qualche consiglio.

«Siete sempre instancabili!» Shisui si presentò così, ingoiando il suo animo amareggiato in un sorriso che mostrava i denti. 


Itachi trattenne il respiro stupendosi di trovare Shisui lì, mentre Sasuke andò subito in contro al cugino chiedendogli come stava - Shisui gli scompigliò i capelli come era sempre stato abituato a fare, sia con Itachi e ora con il minore, nonostante neanche quest’ultimo fosse più un bambino. 

«È andato tutto secondo i piani. Sono tornato ieri» rispose alla domanda di Sasuke, gli occhi però guardavano ancora Itachi. Lo capiva dal suo volto che era sorpreso di non aver saputo anticipatamente la notizia del suo rientro, come di routine facevano, e questo lo fece insospettire.
 
  Hinata aveva portato loro da bere tre tazze di tè fumante - si erano ritirati in una stanza piccola della casa, abbastanza lontana da non disturbare Mikoto nelle sue composizioni artistiche e anche dall’ufficio di Fugaku, probabilmente ancora vuoto al momento. Come sempre  i tre avevano divagato, parlando degli allenamenti, degli imminenti viaggi; Sasuke dopo qualche tempo si era ritirato a causa dell’impellente bisogno di levarsi il sudore dell’allenamento dalla pelle, che non gli stava dando tregua - Shisui si era speso in una battuta, in uno dei suoi tanti modi di stuzzicare chi voleva bene e Sasuke aveva risposto con un’infantile abbozzo di linguaccia in grado di farli ancora ridere.

Poi, una volta che Hinata aveva chiuso gli shōji, definendo l’uscita di scena di Sasuke, l’aria si era riempita di un silenzio pesante.

«Cosa è successo ieri?» chiese Shisui, le labbra accostate alla tazzina ormai fredda. 
Aveva iniziato a piovere, una pioggia fine come spilli; Itachi aveva sollevato leggermente un sopracciglio. «Ti ho mandato un messaggio».

Itachi era un ottimo osservatore e vide Hinata, inginocchiata nei pressi dei pannelli d’entrata, irrigidire la schiena, la fronte corrugata mentre si contorceva le dita.

«Non ho ricevuto niente, Shisui» e quest’ultimo captò il leggero spostamento delle pupille del cugino verso la domestica, che zitta attendeva un ordine - Itachi non aveva mai visto un motivo per dismettere Hinata, se non durante conversazioni importanti, ma in quel momento si fece due domande, perché il suo linguaggio corporeo era anormale. 

«Ti farai perdonare» sospirò Shisui, tentando di medicare la brutta sensazione che avvertiva. 

Così come Itachi, il maggiore si chiese se l’innocente e insospettabile Hinata avesse il compito di controllarli. Una volta soli, avrebbe sicuramente posto la domanda anche al cugino, ma ora era meglio tagliare il discorso.

   
   Verso sera, quando tutti erano coricati, Itachi si aggirò nella casa, trovando Hinata intenta ad asciugare delle stoviglie nella cucina - fu sollevato di non vedere la sorella attorno. 

L’aveva chiamata e lei si era voltata con sguardo preoccupato; Hinata perse qualche battito, risvegliando inevitabilmente tutte le sue preoccupazioni riguardo la fantomatica lettera - non era stata un’ottima idea quella di non consegnarla a Itachi, anzi, era stata ingenua, se non ridicola, a nascondere il messaggio d’incontro. Ma come poteva sapere che era proprio Shisui il mittente - Hinata sperava in qualche giovane infatuata di Itachi e che non avrebbe mai trovato il coraggio di chiedere all’uomo come mai non si fosse presentato. O almeno così sperava.
No, si sarebbe rovinata la vita anche in quel caso. Era semplicemente inammissibile nascondere un qualcosa di personale a uno dei suoi signori e in quel modo aveva messo in pericolo anche Hanabi, che era all’oscuro di tutto. 

Itachi le tolse il piattino che teneva tra le mani, evitando che Hinata lo lasciasse scivolare ed era anche abbastanza probabile, perché era sbiancata. La vedeva che era caduta in un panico agghiacciante sapendo di essere la colpevole. 

«Ricevo delle lettere… nel muro, verso il fiume» aveva parlato sottovoce. «Non era mia intenzione, ma ho trattenuto una sua lettera e l’ho letta» aveva confessato Hinata, capendo che Itachi non avrebbe parlato.

L’uomo aveva sospirato, passandosi una mano sul volto sentendo la confessione. Non era certo nei suoi canoni scendere a ricatti o giochi infimi e non l’avrebbe fatto. E comunque il fatto che si trattasse di un incidente lo rincuorò.

«Non mi sono davvero accorta, ma l’ho gettata. Non l’ho buttata in casa, nessuno l’ha vista» il tono della giovane si incrinò e Itachi capì la sua sincerità.

«Chi ti scrive?».

«Uzumaki Naruto» Hinata rispose senza tentennare.

Itachi annuì nuovamente - era quel conoscente biondo che aveva trascinato suo fratello in tutti i tavoli durante il matrimonio. Pensò fosse davvero inaspettato, ma annuì. Era uno scambio di segreti tutto sommato equo e si capiva che la ragazza era davvero preoccupata per la sua sorte. 

«Ti aiuterò» concluse lui. 

«Non ne parlerò con nessuno, ha la mia parola» Hinata mosse la testa in segno di assenso, una lacrima sfuggì dalla determinazione con cui la stava trattenendo. 

Poi, si spese in una profusione di scuse e ringraziamenti che misero quasi a disagio Itachi. 


 

 

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Capitolo 3
*** III. ***



-Angolo delle info inutili-
Posto questo capitolo prima del tempo, perché partirò a breve. Si riprende un po’ la storia originale? Non so, un pochino. Anyway, sono abbastanza avanti con le bozze dei capitoli, ma punto che il prossimo aggiornamento sarà in giugno :)

Chapters: 3/?   

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III.

 

 

 

    «La lettera l’aveva Hinata» fu Itachi a parlare nel bel mezzo di un tranquillo pomeriggio.

Erano distesi sui tatami a guardare il cielo terso al di fuori, la casa di Itachi era stranamente vuota e ne avevano approfittato per passare il tempo senza far nulla. Come sempre la mattinata era stata impegnativa, sia per uno sia per l’altro - Itachi si stava preparando per un viaggio, che l’avrebbe portato via per delle settimane, mentre Shisui era ingolfato in un’altra questione di cui avrebbe dovuto parlare al cugino il prima possibile; ma tutto a suo tempo, necessitava di trovare le parole giuste. 

«Immaginavo…» disse Shisui, gli occhi chiusi ma in ascolto. «Come hai risolto?».

«Abbiamo raggiunto un innocuo accordo, niente più».

Itachi spiegò in breve la storia che gli aveva raccontato Hinata e Shisui annuì, dicendo «penso sia una ragazza responsabile, non rischierebbe di mettere in pericolo sua sorella. Sa benissimo che un errore simile potrebbe costarle il lavoro. Pensa se fosse stata una lettera davvero importante o di tuo padre, sicuramente l’avrebbe già mandata via».

Poi, Shisui si era stiracchiato, i ricci accarezzarono i tatami - si morse il labbro inferiore, la punta della lingua passò su di esso, come se volesse ritrovare il sentore di Itachi.

«Andiamo alle terme, mh?» chiese il maggiore. 

 

    Itachi aveva ceduto alla richiesta di un momento alle terme e si erano recati a quelle più vicino; c’erano due donne che entravano nelle parte a loro dedicata, mentre la zona maschile era praticamente deserta - i due si chiesero se fossero gli unici a essere liberi in tutta Konoha, ma non si lamentarono dell’assenza di sgraditi spettatori. Anzi, si prepararono in tutta tranquillità, parlando del più e del meno, senza dover tenere a freno commenti inappropriati e, infatti, Shisui rievocò un momento passato di cui non avevano più parlato.

«Ti ricordi la nostra prima volta?» chiese, lo sguardo basso verso il cugino seduto ancora sullo sgabello degli spogliatoi.

Itachi annuì, le ciocche più corte di capelli scivolarono sugli occhi mentre Shisui glieli raccolse in un nodo disordinato in cima al capo. Itachi non aggiunse altro, ammutolendo tutto d’un tratto.
Quando entrarono nella vasca all’aperto, l’asciugamano scivolato lungo i fianchi, la pelle si increspò per lo sbalzo termico, tanto che il leggero venticello del tardo pomeriggio risultò non troppo piacevole - Itachi chiuse gli occhi, continuando a ripensare a quello che aveva detto il cugino; come poteva dimenticare la prima volta in cui finalmente avevano smesso di vedere i loro allenamenti o lezioni solo come puro tempo dedicato alla formazione. 
Itachi sorrise lievemente e al contempo sentì le mani calde di Shisui passargli sulle braccia, due parole spese al suo orecchio chiedendogli il perché di quell’espressione beata - il più giovane riaprì gli occhi, scuotendo la testa.

«Stavo pensando a quello che hai detto prima».

I capelli di Shisui erano corti a confronto dei suoi e con l’umidità del bagno termale i ricci accennati si erano ammorbiditi, sfiorandogli le palpebre. Assorto, Itachi tracciò il labbro inferiore di Shisui con un dito e lui lo sfiorò con la punta della lingua, mordicchiando il polpastrello. 

«Se ci pensi, è stato anche abbastanza imbarazzante» incalzò Shisui.

«Se n’è accorta subito» ora fu Itachi a spendere una soffice risata ricordando la nutrice di Shisui, ma in quel fatidico pomeriggio poteva giurare di aver sentito il sangue defluire dal corpo. Come, poi, scordare il volto cereo di Shisui quando la donna aveva messo loro alle strette.

«In verità non abbiamo fatto niente di che…» disse quasi con rammarico Shisui e anche Itachi si trovò d’accordo.

«Se fosse stato qualcosa di più e lei se ne fosse accorta, sarebbe stato fin troppo imbarazzante» Itachi enfatizzò la frase, aggrottando la fronte.

Shisui rise e roteò drammaticamente gli occhi, puntualizzando «non che ora ci facciamo qualche problema».

    
    Erano nel pieno dell’adolescenza, in un pomeriggio noioso seduti sui tatami della stanza da letto di Shisui mentre leggevano un romanzo conosciuto. Itachi aveva preso il coraggio tra le mani e aveva abbassato le palpebre, lasciando le iridi scure dietro di esse, avvicinando le labbra per farle combaciare con quelle di Shisui - Itachi si sarebbe aspettato di tutto, ma rimase sorpreso dalla reazione del cugino, che appoggiò una mano sulla sua spalla decisamente non per allontanarlo.
In quel momento, Shisui non potè negare di essere stato preso alla sprovvista e, infatti, il suo corpo si era irrigidito alla pressione della bocca di Itachi, ma poi si era lasciato andare al bacio che lo fece arrossire, nonostante non fosse la prima volta che si scambiavano degli innocui schiocchi. Però, il loro primo vero bacio era stato breve, un semplice accostamento dei volti, un gesto quasi affettuoso e fraterno, niente in paragone a quello che stavano provando. Infatti, Shisui aveva corrugato le sopracciglia, staccandosi di pochi millimetri dalla bocca di Itachi - si morse le labbra, sbattendo le ciglia folte quasi sovrappensiero e, in quell’interludio, fu il turno del più giovane di trattenere il respiro, un po’ preoccupato, ma Shisui dissolse ogni dubbio riprendendo a baciarlo, schiudendo le labbra.

Anche se il bacio non era stato una scelta ponderata (almeno non dal maggiore), in quel momento le circostanze si stavano rivelando ben diverse, perché entrambi divennero consapevoli di quelle effusioni, scendendo a patti con i loro caratteri - chi un po’ spinoso e chi un po’ indecifrabile.
Poco dopo, Shisui l’aveva spinto sui tatami con mani tremanti e Itachi aveva accolto felice l’invito, trascinandolo nella sua breve caduta - Shisui si era posizionato sopra di lui, gli avambracci sul pavimento per non gravargli troppo addosso.  

Dal canto suo, Itachi aveva fatto scivolare le mani dentro i larghi hakama di Shisui, toccando in punta di dita la pelle tenera della coscia e poi più in alto, stringendo sperimentalmente il corpo longilineo - Shisui in primis aveva trattenuto il respiro, ma poi lasciò andare la tensione sbuffando una risata direttamente sulla guancia dell’inaspettatamente audace Itachi. 

Avevano continuato in quel modo per minuti e minuti, totalmente dimentichi dello scorrere del tempo. Esistevano solo loro due, gli impegni potevano aspettare. 

Dello stesso avviso, purtroppo, non era la nutrice di Shisui che non aveva sorvolato sul ritardo dei suoi ragazzi alla lezione, che attendeva loro ed era arrivata alla stanza di Shisui con l’intento di farli scendere nell’immediato. Però, arrivata alla meta, era vagamente arrossita all’udire il fruscio ovattato delle stoffe dei vestiti, che strofinavano tra di loro, suono apparentemente inaudibile, ma che le pareti sottili non riuscivano a tarpare. Per lo più, la donna si ritrovò incredula a fissare gli shōji e si portò una mano sul cuore; aspettò ancora un attimo, fin quando il silenzio non tornò a regnare e i due ragazzi iniziarono a parlare.
Poi, prendendo un grosso respiro, era entrata.

«Il docente di letteratura vi sta aspettando da mezz’ora e io ho finito gli argomenti utili» aveva  parlato senza perdere compostezza. «Vi dò pochi minuti per rendervi presentabili e scendere». 

I due erano vestiti, non era successo niente di concreto. Il volto era sbiancato, gli abiti sgualciti, lo scollo allentato e per non parlare degli hakama ormai da lavare - Shisui aveva annuito e Itachi, tossicchiando in imbarazzo, aveva passato i palmi sulle pieghe dei pantaloni. La nutrice non aveva potuto dire altro, dopotutto non era la madre di nessuno dei due e doveva comunque mantenere rispetto; si chiese solo in cosa avesse sbagliato e se fosse una casualità dettata dalla curiosità adolescenziale. Dopotutto, come le era noto, erano relazioni che succedevano di continuo, ma forse non proprio tra cugini - scosse la testa decidendo di non tormentarsi prima del tempo, tornando così dal docente che attendeva stizzito a fianco dei suoi tomi. 

Erano trascorsi diversi anni da quel fantomatico pomeriggio, dall’effettiva rottura della loro timidezza, che era sfociata in una vera e propria relazione protetta da occhi indiscreti.

«Chissà se il professore aveva intuito qualcosa…» parlò sovrappensiero l'ormai più adulto Shisui. «Non abbiamo concluso niente durante la lezione e ci aveva pure rimproverato».

La schiena appoggiata al petto del cugino, Itachi ridacchiò «le poesie che scrivevi erano solo un insieme di parole a caso. Era troppo arrabbiato con le tue oscenità per sospettare qualsiasi cosa». 

Shisui pizzicò il fianco di Itachi dopo l’insinuazione delle sue scarse doti poetiche, anche se non aveva tutti i torti, perché non aveva la testa per quelle cose - certo, poi era migliorato con il tempo e come ogni uomo che si rispetti le sue poesie non facevano più bruciare gli occhi se venivano lette. Invece, Itachi era sempre stato più delicato e l’ispirazione bene o male la trovava, così in pochi tratti di pennello metteva su carta dei discorsi piacevoli; Shisui non capiva davvero come facesse. Entrambi sospirarono spensierati; ora il corpo adolescenziale dei due era solo un’immagine nel passato e immersi nella vasca termale potevano tracciare con le unghie le fasce muscolari adornate qua e là dalle cicatrici delle lame delle katana - Itachi ne aveva una lunga sul fianco, sensibile e ancora leggermente arrossata data la sua freschezza; mentre il corpo di Shisui non ne aveva di così di vistose, se non fini linee perlacee. 
Sospesi in quelle piacevoli memorie, la bocca del maggiore iniziò a lambire l’inizio della mandibola di Itachi, poi un filo più in basso, in quel punto del collo in grado di far arricciare le dita di Itachi tra i suoi capelli, l’altra mano stretta sul ginocchio a lato del suo corpo. L’acqua era caldissima, forse fin troppo in quel momento, sotto i polpastrelli potevano iniziare a percepire le goccioline di sudore e alla pressione delle dita fiorivano dei segni amabili - prima la pelle diventava pallida, per poi lasciare l’impronta rosea e un calore localizzato. 

Shisui strinse a sé il busto di Itachi, la presa decisa delle sue braccia mozzò per un secondo il respiro di quest’ultimo, che socchiuse le palpebre, guardando assente la vasca. 

«Shisui c’è una riunione questa sera…» sospirò infelicemente. «Non abbiamo tutto questo tempo».

Quante volte Itachi si era presentato a casa con i segni delle labbra di Shisui ovunque, del seme che ancora sporcava le sue cosce e si era visto costretto a comportarsi come se nulla fosse successo, come se fosse stanco per la lunga giornata di impegni; Shisui non aveva tutti questi problemi, era più libero, non aveva un fratello che da un momento all’altro poteva raggiungerlo alla vasca da bagno o dei genitori con lo sguardo più che attento e, conoscendo suo padre, si era meravigliato della cecità riguardo quello che capitava proprio sotto al suo naso tra suo figlio e suo nipote. Le dame di compagnia di sua madre, poi, non erano di certo le migliori a mantenere i segreti e si stupiva di come la nutrice di Shisui, invece, riuscisse a gestire il piccolo gruppo di donne che vivevano con loro. 
Comunque, in concomitanza alla riunione, anche Shisui era costretto a darsi un contegno. Infatti, Itachi si spostò, mettendosi inginocchiato di fronte a Shisui in modo da poterlo guardare negli occhi - il maggiore si vide bloccare i polsi e fu obbligato a portarli sotto alla superficie dell’acqua, così da allontanarli dal corpo che avrebbero voluto tormentare. Shisui si lamentò e Itachi si allontanò nell’acqua, intimandogli con leggerezza di smetterla.
La definitiva salvezza di Itachi arrivò quando un uomo fece la sua apparizione e Shisui si trattenne da imprecare a mezza voce - Itachi non perse occasione e uscì, recuperando il proprio asciugamano e stringendolo alla vita, ma non prima di aver lanciato un’ultima occhiata al cugino, che sconfitto lo guardava con occhi delusi. 

 

    Tutto il clan Uchiha aveva preso posto alla riunione settimanale - era routine parlare delle questioni più delicate, di come risolvere eventuali problemi e quant’altro. A fianco dei membri più anziani. Fugaku era stato nominato per rappresentare il desiderio dell’intera famiglia e, serio, parlava riguardo alla sicurezza e gli spostamenti del clan. Erano parole che scivolavano addosso ai più giovani, ordinaria amministrazione che faceva quasi chiudere le palpebre di Sasuke, seduto proprio a fianco del fratello maggiore; ma ultimamente vi era sempre un argomento che stuzzicava l’interesse comune e, infatti, appena Fugaku iniziò a parlarne, le schiene dei presenti si raddrizzarono, le orecchie ben in ascolto. Lo stesso Sasuke si era destato dal suo assopimento disinteressato, Itachi aveva puntato gli occhi sul padre, Shisui aggrottato le sopracciglia. 

«È appurato come il nostro clan sia ritenuto troppo ambizioso. Siamo e saremo per sempre alienati da qualsiasi attività politica, meccanismo di gemellaggio con altre famiglie di altri paesi» proferì Fugaku con l’approvazione degli anziani. Continuò a parlare di come il futuro degli Uchiha non dovesse essere nell’ombra della cittadina, ma a capo della corte. «Trattative lente, come è stato il programma di far sposare il giovane Nara, non porteranno altro se non malcontento. I frutti di questo matrimonio quando si vedranno? I territori vanno conquistati e noi abbiamo gli uomini giusti pere farlo» continuò, tagliando eventuali dettagli che dovevano ancora definire riguardo il fantomatico piano espansionistico. «Ci servono tutte le forze qui presenti per vincere».

Gli anziani sciorinarono nomi di valorosi samurai Uchiha, tra cui Itachi e Shisui non poterono sorvolare sulla presenza dei loro nel lungo elenco di uomini che si doveva battere per la gloria. 

«Nessuno di noi può tirarsi indietro o la pena da scontare per i traditori sarà alta. Lavoreremo per definire ogni singolo dettaglio, per ora basta sapere che occupare la corte sarà l’obiettivo iniziale» finì Fugaku dismettendo la riunione. 

 

    Al chiarore delle lanterne serali, fuori dall’edificio sede delle riunione, vi era un’ampia folla che tardava il rientro alle proprie case - vi era chi tentava di parlare con Fugaku, chi con gli anziani del clan, vi erano uomini che sputavano sentenze di vittoria e chi ampliava il piano, aggiungendo già piani e dettagli. 

I due fratelli e Shisui erano quasi in disparte, nonostante Sasuke fosse in trepidante attesa di qualche parola dei maggiori. 

«Cosa ne pensate?» ruppe infatti il silenzio.

«Credo sia ancora troppo presto per parlarne» Itachi rispose, in visibile difficoltà. Anche lui non si aspettava un’escalation così rapida, quando solo poche settimane prima era tutto un piano ancora nebbioso, un’idea pericolosa che sarebbe scemata in polemiche e nient’altro. 
In ogni caso, il maggiore dei tre pareva rabbuiato, chiuso in uno strano silenzio, che balzò all’attenzione di tutti; Itachi fece per chiedere cosa non andasse, anche se poteva immaginare il disappunto di Shisui, ma fu interrotto dal chiacchiericcio sempre più forte nella loro direzione.

«Contiamo su di voi!» si avvicinò un parente riferendosi a Itachi e Shisui. 

Altri attorno all’uomo vociferarono entusiasti e se ne aggiunsero sempre di più. 

Itachi era rimasto impassibile e Shisui aveva tirato le labbra in una smorfia - voleva parlare con Itachi, ne aveva realmente bisogno. 
Adesso o mai più”,  si disse. 
Shisui prese l’occasione della confusione per allontanarsi con Itachi, assicurandosi che Sasuke fosse distratto dalla massa in cui era stato inglobato mentre tentava di raggiungere suo padre, probabilmente per mostrargli approvazione. Shisui non aveva mai sentito la sua famiglia così rumorosa ed eccitata - era un fattore realmente preoccupante. 
Nel frattempo, i due camminarono lontani, verso le strade vuote, controllando che nessuno li seguisse, che Sasuke non ci fosse. Itachi tenne il passo del cugino in rigoroso silenzio, almeno fin quando Shisui non lasciò la manica con cui l’aveva trascinato in un vicolo e lo guardò con occhi decisamente seri.   

«Per quanto riguarda le riunioni, non posso essere d’accordo con quello che tuo padre sta architettando. Itachi, mi fido ciecamente di te, quindi credo sia il momento giusto per dirtelo…» disse Shisui, la voce ridotta a un sussurro e Itachi si mise di fronte a lui, gli occhi attenti alla sua bocca per non perdere neanche una sillaba. «C’è questa idea, di creare effettivamente un esercito per Konoha. Basta clan con uomini separati, che pensano solo ai propri interessi. Durante l’ultimo viaggio, Danzō mi ha offerto di entrarne a far parte». 

Itachi aveva sgranato gli occhi, rispondendo subito come non fosse d’accordo. «Shisui, è un tradimento».

«Lo so, ma pensaci! È questa la direzione in cui Konoha deve andare, quindi avere una protezione solida e uomini che la proteggano. Non possiamo continuare a vivere in questo modo, aspettando che una famiglia prenda il sopravvento e che generi discordia fra tutti»

Itachi scosse la testa, «ovviamente. Ma verrai punito, hai sentito».

«Cosa vuoi che succeda, verrò esiliato? Come possono farlo se sono parte della scorta della corte. Non potrò più entrare nei quartieri degli Uchiha? Vorrà dire che taglierò ogni legam— ».

«Ti uccideranno» rispose Itachi, sovrapponendosi alla voce di Shisui. Non voleva neanche pensare alle conseguenze della decisione di Shisui, perché si erano ripromessi di rimanere sempre uniti, in primis come combattenti e poi nella vita; avevano stretto un patto di sangue, con un piccolo taglio sul braccio che entrambi presentavano e quello rappresentava il loro legame indissolubile.

«Non moriremo se invece l’esercito verrà formato e ci attaccheranno, perché effettivamente la nostra famiglia sta minacciando la stabilità del paese? Siamo solo un’esigua parte di samurai di Konoha, non il centro del mondo».

«Lo so…» Itachi disse; non c’era bisogno che l’altro gli spiegasse quello che già aveva ipotizzato. «Shisui, non voglio che pensi che io sia d’accordo con mio padre, ma non voglio tu prenda decisioni affrettate e rovinarti la vita».

«Dobbiamo davvero aspettare che gli Uchiha attacchino? Questo non ci macchierebbe comunque come traditori? È solo questione di tempo e anche se il piano che Fugaku ha in mente dovesse ritardare di un mese, questo non lo farà comunque desistere» Shisui fu duro nelle sue ultime battute, la voce pericolosamente alzata di qualche tono. «A corte ci sarebbe sicuramente posto anche per te».

Itachi quasi boccheggiò, incapace di rispondere per la prima volta a Shisui. 

«Ti scongiuro Itachi, pensaci».

 

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Capitolo 4
*** IV. ***


 

-Angolo delle lamentele inutili- 
I’m back. Non totalmente soddisfatta, ma va bene così. Si sta definendo qualcosa in questo sprazzo di racconto pieno di turbe mentali, ma c’è del senso? Beh, spero di sì. Mi metto già le mani nei capelli per continuare a scrivere, nel prossimo aggiornamento succederà qualcosa per lo meno. 

A presto!

Chapters: 4/?
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IV.

 

 

 

    «Se vuoi sapere la situazione a corte, te la dirò».

Shisui e Itachi parlavano nella dimora del primo di tematiche alquanto delicate. Dopo una delle ultime riunioni del clan Uchiha, Shisui aveva confessato al cugino la proposta che gli era stata fatta e la sua propensione ad accettare. Itachi non poteva negare di essere rimasto tra il perplesso e lo sgomento alla confessione di Shisui, ma non riusciva a dargli torto, dato che era il primo a capire la pericolosità della rivolta che stava nascendo tra le mura famigliari. Itachi non appoggiava guerre inutili, aveva lottato e visto esseri umani soffrire per capricci dei potenti e non voleva essere toccato dal medesimo peccato, come se non bastasse pure orchestrato da suo padre. Quindi, l’idea di Shisui non suonava così male ai suoi timpani: un esercito che difendesse non solo la corte, ma tutto il paese. Un gruppo di uomini imparziale, senza secondi fini. 

Itachi davvero non capiva come non si potesse appoggiare un progetto simile. 

«Al momento c’è solo una piccola scorta e, come ben sai, vengono chiamati solo alcuni samurai tra i diversi clan quando c’è bisogno» spiegò velocemente Shisui, sapendo che anche Itachi era chiamato abitualmente e per questo era fiducioso che, una volta parte dell’esercito di corte, avrebbe portato con sé anche lui. «Sono uomini senza terra d’origine, da quello che mi hanno spiegato non avevano un posto dove andare. L’imperatore… o meglio, Danzō ha pagato la loro fiducia, non condannandoli per i reati commessi e in questo modo assicura loro una vita dignitosa. Da quello che so, è come se avessero una nuova opportunità».

L’imperatore a Konoha era solo una mera figura rappresentativa, spirituale, a cui la popolazione giurava fedeltà, ma chi aveva il pieno controllo di tutte le altre attività era Danzō - dopotutto era il più vicino al sovrano, importante guida ed essenziale calcolatore per continuare a condurre un paese grande come il loro.

«Erano dei ladri?».

Shisui alzò le spalle, «più o meno, mercenari e quant’altro. Non ho avuto ancora modo di conoscerli tutti».

«Non mi sembrano molto indicati per il progetto che ti ha proposto Danzō» Itachi era sempre così sottile con le sue critiche, il sopracciglio impercettibilmente alzato; Shisui captava tutti i micro movimenti di quel viso che aveva osservato nelle più disparate situazioni. 

«Vero, ma hanno giurato fedeltà assoluta all’imperatore e al paese. Se fanno un passo falso, non credo avranno un’altra possibilità» Shisui chiarì. «È stata una scelta rischiosa, hai ragione Itachi, ma  comunque già alcune famiglie secondarie di Konoha si stanno avvicinando a quest’idea. Ad esempio, ci sono delle trattative in corso». 

A Shisui era stato spiegato che una volta entrato a far parte dell’esercito del sovrano di Konoha, avrebbe dovuto intraprendere un percorso formativo, così da essere più performante e attenersi alle regole di corte - non sarebbe stato un ostacolo, non aveva il minimo timore di questo. Al contempo, immaginava che coinvolgere un intero clan richiedesse uno sforzo organizzativo, sotto più punti di vista, enorme. 

«Comunque, come ti ho detto, questo pomeriggio andrò a parlare con Danzō e vediamo cosa succede» riprese a parlare Shisui.

«Vorrà dire che mentre aspetterò che tu torni, mi allenerò. Devo essere in forma, la partenza si avvicina» disse Itachi. Non che avesse bisogno di un’estenuante preparazione, era ben allenato, proprio come gli stava ricordando Shisui con il suo sbuffo ironico, ma Itachi era conscio che la sua condizione mentale non era tra le migliori. Infatti, era nervoso, come se provasse un tremolio al centro del corpo - sapeva per certo che l’angoscia che avvertiva era per la situazione che si stava creando e aveva davvero il terrore che, durante la sua assenza, si sarebbe potuto scatenare un conflitto. Pensava di continuo a cosa sarebbe potuto succedere a Shisui o cosa avrebbe fatto Sasuke e se suo fratello ne fosse stato all’altezza; oppure come la sua famiglia avrebbe potuto reagire e, soprattutto, chi si sarebbe schierato con chi. Inoltre, lo tormentava il fatto che Shisui non sarebbe tornato sui suoi passi e non aspettava neanche con grande trepidazione la risposta che il cugino avrebbe dato a Danzō, perché Itachi conosceva Shisui e quando si convinceva di un’idea, non cambiava. Itachi sapeva già dalle scorse conversazioni riguardo la questione dell’entrata a far parte dell’esercito di corte di Shisui, che suo cugino aveva già preso la sua decisione, altrimenti non ne avrebbe mai parlato. 

«Vedi di tornare con buone notizie» concluse e Shisui gli sorrise.

Si salutarono con un veloce abbraccio e la promessa di vedersi più tardi.  


     Quando arrivò a corte, Shisui salì i ripidi scalini che portavano nell’edificio e ad attenderlo trovò due uomini dell’abbozzo dell’esercito imperiale. 

«Sei arrivato finalmente!» Shisui fu accolto in quel modo, la voce rimbombò tra gli alti soffitti dell’atrio. «Sasori chiama quel moccioso e digli di avvisare» fu un uomo alto, dai capelli d’argento a parlare, il suo tono era un misto tra l’irritato e l’imperioso mentre impartiva ordini alla guardia più bassa. 

Il secondo non degnò di uno sguardo né Shisui né il collega e si spostò di qualche passo mentre, con tono piatto, chiamò un certo Deidara tra i corridoi e quando anche un giovane, dalla coda bionda, arrivò si scatenò quasi un’esplosione - batté i piedi a terra, le mani sui fianchi e gli occhi dardeggiarono verso la guardia più alta. 

«Ti si sente per tutto il palazzo con quella voce odiosa, Hidan! Ho sentito!» urlò di rimando. «Vado ad avvisare, non c’è bisogno che proprio tu me lo dica».

L’interessato, che rispondeva al nome di Hidan, si morse le labbra solo perché Deidara sparì correndo verso la parte opposta dell’edificio. Era davvero una sorpresa agli occhi di Shisui la sregolatezza dei samurai (almeno supponeva fossero diventati tali) che aveva di fronte - tutti e tre erano vestiti di nero, dall’haori, alla veste sottostante, da cui sbordava un profilo bianco; l’unica nota di colore era il rosso scuro degli ampi pantaloni, sui quali erano intessuti dei disegni minuscoli. 
Shisui si guardò attorno, effettivamente a disagio di fronte all’esuberanza delle guardie, ma non aprì bocca, seguendo Hidan e Sasori tra i corridoi dell’edificio. La corte era bella, semplice ma al contempo con pannelli interni decorati da dipinti ammirevoli, che sicuramente non sfiguravano se messi a paragone con l’ala della struttura dedicata al sovrano; verso l’interno, nel cuore dell’edificio, si apriva un grande cortile adibito alle ricorrenze ufficiali e le lezioni - Shisui adocchiò, nello spazio centrale, un uomo vestito come gli altri, che doveva tenere un allenamento con coloro che avevano già aderito al progetto o, almeno, ci stavano tentando; la guardia era alta, le braccia muscolose erano conserte mentre gli occhi piccoli e scuri non perdevano nessun movimento di chi gli stava davanti. Shisui spese qualche minuto a osservarlo. 

«Lui è Kisame» parlò monocorde Sasori, le pupille comunque puntante sempre di fronte a sé. 

«Sì e probabilmente si è preso il compito più divertente di tutti» ribatté Hidan.

«Con i tuoi metodi poco ortodossi nessuno avrebbe ricevuto un insegnamento adeguato e non saresti stato in grado di una scelta obiettiva dei candidati» Sasori parlò tutto d’un fiato, subito sovrastato da una serie di lamentele dall’interessato. 

«Effettivamente, non credo sia quello che il sovrano voglia» disse impacciatamente Shisui, guadagnandosi un’occhiataccia da Hidan, ma per lo meno riuscì a creare una sorta di quiete, solo interrotta dalla voce dell’improvvisato maestro a capo del cortile. 

Camminarono ancora un po’ in reverenziale silenzio, fino a giungere a destinazione - fuori dall’ufficio di Danzō vi era un’altra guardia dai capelli ramati, lo sguardo che studiò attento l’uomo che i suoi compagni stavano scortando.

«Ho già avvisato» disse Yahiko e li lasciò entrare.

Shisui gli fece un gesto del capo a mo’ di saluto, chiedendosi se fosse l’unico lontanamente normale - Yahiko l’aveva già conosciuto in uno dei suoi precedenti viaggi con Danzō. Era un uomo quieto, serio e preciso durante il lavoro; l’aveva visto troncare una ribellione con poche mosse di katana, le quali avevano stupito Shisui sapendo che l’uomo non aveva mai avuto un insegnamento da un maestro. Inoltre, durante una notte attorno al fuoco dell’accampamento, Shisui e Yahiko avevano parlato tentando di alleggerire le loro ore di guardia, ma ottenendo solo l’effetto opposto. Infatti,  di fronte alle perplessità di Shisui riguardo l’offerta di Danzō, Yahiko gli aveva detto di essere stato il primo a essere arruolato come guardia di corte e che aveva accettato senza ben pensare a cosa stesse facendo; gli aveva  poi raccontato di aver vissuto nella povertà assoluta da quando era nato, che era orfano e che da adolescente era stato spigliato e ingenuo, che aveva accettato anche gli incarichi più avvilenti per due misere monete. Yahiko gli aveva effettivamente confessato di aver afferrato la mano tesa di Danzō come se fosse sul punto di annegare.
“Ho visto il male che possono fare gli uomini e sono cambiato. Ho sempre promesso di proteggere Nagato e Konan a costo della mia vita” e Shisui ricordava quelle parole con una stretta allo stomaco, perché Yahiko gli aveva raccontato i dettagli di tutte le violenze che avevano dovuto subire per sopravvivere, di non essere stati in grado di mangiare per giorni o dormire al riparto di un tetto; Nagato si era ammalato cronicamente, era debole e la sua salute altalenante già da bambino, ma ora Yahiko gli aveva assicurato una casa e un supporto medico grazie all’accordo che aveva stipulato con Danzō. Al contempo, Yahiko aveva messo al sicuro Konan, assicurandosi che venisse presa come dama di compagnia della moglie del sovrano di Konoha; purtroppo, Yahiko si rammaricava solo di riuscire saltuariamente a far visita a Nagato e poi lo dilaniava il fatto che Konan fosse diventata un fantasma nella sua vita, potendola incontrare solo da lontano - erano sguardi sfuggenti oltre un paravento o la vedeva passeggiare per il giardino del sovrano con le altre donne e lui era impossibilitato ad avvicinarsi, la voce della donna l’aveva scordata. Si chiedeva se Konan lo amasse ancora, se prima o poi l’avrebbe mai riabbracciata.
Yahiko si tormentava per aver rinchiuso tutti in una gabbia dorata, ma aveva detto a Shisui che era stata l’unica alternativa:“il mio compito per assicurare a tutti e tre una vita almeno dignitosa è stato semplice: dovevo trovare degli uomini senza futuro, che giurassero fedeltà a Danzō. L’ho fatto e  lui ha mantenuto la sua parola. Non lo tradiranno mai o quello che li attende è solo la morte. Fuori da Konoha li vogliono morti, te lo garantisco”.
Shisui era infimamente curioso di sapere i crimini di cui le guardie si erano macchiate e voleva capire perché a Yahiko fossero stati accettati tutti quei compromessi per diventare parte dell’esercito; ma quella notte Yahiko aveva posato gli occhi spenti sul fuoco e non aveva più accennato al discorso. 
Quando Shisui entrò nell’ufficio, vi trovò Danzō e l’ennesimo uomo vestito di nero e rosso, in piedi dietro di lui che con lo sguardo smeraldino, le sclere arrossate, scrutò dall’alto al basso Shisui - la guardia aveva la pelle abbronzata, le maniche dell’haori arricciate sulle braccia mostravano dei tatuaggi neri e decine di cicatrici profonde, il volto sfigurato da una di esse. Nella sua vita doveva essere stato ben peggio di un mercenario, se no non si spiegava tutta quella violenza sul corpo. 
Shisui sospirò internamente, pregando che tutto andasse per il meglio.

«Kakuzu lasciaci soli» ordinò Danzō e l’uomo uscì, non prima però di aver ricevuto l’ultimo ordine. «Assicurati che il tè dell’imperatore sia servito al solito orario».

«Il tè è sempre servito a questo orario» disse la guardia con tono lapidario.

Shisui prese posto davanti a Danzō, durante lo scambio bizzarro di battute, e attese - Danzō sistemò delle scartoffie in una pila, poi appoggiò le mani sulla scrivania in modo assorto. 

«Hai pensato alla mia offerta, Shisui?». 

«È molto promettente». 

Danzō annuì, ma il suo volto non tradì espressione.  «Onestamente, penso tu sia sprecato per essere solo uno dei tanti dell’esercito, vorrei che tu abbia una posizione speciale» continuò. «Le guardie che vantiamo sono valide, ma niente a confronto delle tue capacità, sei un samurai di una famiglia nobile…».

Shisui seguì il discorso, elogi che anche durante l’ultimo viaggio Danzō non si era risparmiato di spendere. 

«Quello che mi preme risolvere e mettere in chiaro è che, con una famiglia importante come la tua, tu sia consapevole di dover fare una scelta, quindi o gli Uchiha o l’imperatore» rimarcò la carica del sovrano con tono intransigente. «Non possono esistere dualità in questo incarico, a meno che tu non riesca a convincere tutto il tuo clan a dare le proprie forze per il paese. Non sto trattando con un piccolo nucleo famigliare, immagino poi che la tua presa di posizione influisca in qualche modo sul vostro equilibrio interno». 

Shisui strinse i pugni, «non credo di aver tutta questa voce in capitolo. Sarei l’unico a seguire questa strada, almeno per il momento». Specificò, sperando comunque che nell’imminente sia Itachi, sia Sasuke lo seguissero, perché nomi come i loro avrebbero sicuramente attratto i giovani samurai Uchiha a scegliere quella nuova opportunità e farne un obiettivo di vita. 

«In primis viene la sicurezza del paese, lo sai» e Shisui annuì. «Non era un argomento di cui volevo trattare oggi, ma devi essere sincero… ci sono delle problematiche nel vostro clan, voci iniziano ad arrivare. C’è malcontento, ma per cosa?» chiese Danzō senza battere ciglio. 

«Sono problematiche di tutti i giorni, come tutti i clan abbiamo delle riunioni settimanali. Niente più» mentì Shisui. Il samurai sentì un tuffo al cuore quando comprese di aver davvero deviato la realtà per proteggere la sua famiglia alla domanda del braccio destro dell’imperatore, colui che sarebbe dovuto diventare la sua priorità. 

«Qualche tuo parente o ha la lingua troppo lunga o sta impazzendo. È pericoloso incitare alla rivolta».

«Sono casi isolati, chi non ne ha» Shisui rispose aspro. 

L’ennesima menzogna, ma un varco per limitare i danni. Dal canto suo, Danzō fece un verso d’assenso, non protraendo oltre l’incontro già morto in partenza. 

«Ti lascerò qualche giorno per pensare alla risposta definitiva e altrettanto rifletterò su come gestire la tua situazione, solo dopo potremo scendere nei dettagli del tuo incarico. Continua a partecipare alle tue riunioni e portami informazioni salienti, voglio certezze. Più dettagli porterai e meglio sarà per la tua posizione» disse facendo segno a Shisui di andare. «Vedila come la tua prima missione per l’imperatore».

Shisui uscì dall’ufficio con il gelo nelle vene e non sentì le due parole che Kakuzu e Yahiko stavano spendendo ai lati della porta. 

«Per le misure degli abiti devi chiedere a Sasori» gli disse uno dei due. Non capì chi.

«La prossima volta…» Shisui alzò la mano, congedandosi.

 

    Quando tornò a casa, dopo ore spese a vagare in cerca di chiarezza nella sua mente, Shisui pregò ogni Divinità che Itachi lo raggiungesse il prima possibile. 
Il tempo passava lentamente e Shisui aveva spiluccato appena le pietanze che gli erano state preparate - la nutrice lo guardò con sguardo attento per tutta la cena.

«Cosa è successo oggi? Pensavo di vederti tornare con la divisa dell’esercito e invece a malapena mangi» chiese lei. 

«Devo solo dare una risposta e poi potrai vedermi in servizio. Dovevamo solo avere un primo incontro ufficiale, ne abbiamo sempre parlato durante i viaggi. Era poco credibile, non lo pensi anche tu?» si sforzò di sorridere Shisui e, soprattutto, non voleva dirle che l’incontro con Danzō era durato una manciata di battute. 

Lei annuì, chiamando la domestica per riordinare; non gli chiese perché doveva pensare alla decisione, dato che l’aveva visto sicuro uscire di casa ore prima. Sapeva di certo che qualcosa non andava, lo leggeva negli occhi persi, nel suo digiunare - era come suo padre, tratti che aveva ereditato, ma di cui non poteva esserne a conoscenza, ma lei aveva vissuto per decenni con la loro famiglia e poteva ritenersi abbastanza esperta da cogliere le ombre delle loro angosce. 

«Se c’è qualcosa che ti turba, devi parlarne o ti avvelenerai il cuore» si limitò a dire l’anziana. Purtroppo, quando notava Shisui in quello stato, anche se le costava molto darlo a vedere, era istintivo parlargli come se fosse suo figlio - dimenticava le forme onorifiche nel linguaggio, le distanze che avrebbe dovuto mantenere e quindi non intromettersi più del dovuto; ma era più forte di lei e sapeva che questo dava un pizzico di forza all’uomo. Infatti Shisui annuì e le rispose che ne avrebbe certamente parlato con Itachi. 
Lei sospirò per lo meno un minimo sollevata, ringraziando che Itachi esistesse nella loro vita.     

     Itachi arrivò a casa di Shisui verso sera, quando le lanterne si risvegliarono nel buio. 
I due erano nello studio del maggiore, il silenzio sovrano e Shisui grato che le donne dormissero presto in quella casa annichilita. 

«Sono stato al dōjō con Sasuke fino a tardi, poi ci siamo fermati a mangiare» gli spiegò Itachi. «Sasuke è tornato subito a casa, si sta impegnando molto ed è stanco. Sono sicuro che presto avrà anche lui un incarico importante». In cuor suo Itachi si era ripromesso di seguire l’allenamento di Sasuke in modo da prepararlo all’imminente tragedia, che proprio la loro famiglia avrebbe iniziato - non era più solo un’ipotesi nella mente di Itachi, perché più i minuti passavano e più se ne convinceva. Quindi non faceva sconti al fratello minore e lo spingeva al limite, sicuro che un giorno l’avrebbe ringraziato, perché Sasuke doveva imparare a difendersi.

«Ho sperato fino all’ultimo che Sasuke non venisse» confidò Shisui e Itachi lo guardò stranito - non era una battuta maliziosa che il cugino gli aveva lanciato con la speranza di ottenere altro; tutt’altro, perché questa volta Shisui era teso, la voce pregna di cose non dette. 

«Sarei comunque venuto da solo questa sera, lo sai. Sapevo che volevi parlare in privato di oggi» e Itachi aveva rassicurato il maggiore. «Spero sia andato tutto per il meglio». 

«Ed è proprio di questo che volevo parlarti, Itachi» sospirò, portandosi le mani al volto. «Non sta andando niente come previsto. Si può sapere chi va in giro a parlare delle faccende della nostra famiglia in mezzo a Konoha?» 

Itachi scosse la testa, incitandolo a parlare.

«Danzō sa che stiamo architettando qualcosa e mi ha chiesto i dettagli della rivolta di cui alcuni di noi parlano liberamente al di fuori delle riunioni. Ora dimmi cosa dovrei fare, cosa dovrei dire?». 

«Oggi ti sei presentato, è come se la tua scelta l’avessi già presa, Shisui. E se tornassi sui tuoi passi attireresti solo sospetti e nient’altro». 

«Era tutto pronto, ero convinto… ho mentito. Se non fosse uscita questa storia, a quest’ora sarei potuto entrare nell’esercito da solo o forse non averi mai accettato…» Shisui mormorava, probabilmente neanche sentiva quello che Itachi aveva da dirgli.

«Quanto tempo hai?» Itachi si apprestò a dire, tamponando senza alcuna delicatezza la precarietà dell’altro. Avrebbe voluto aggiungere che ci avrebbero pensato insieme, che non doveva affrettare nulla, ma sapeva che non era possibile. 

Contro ogni aspettativa, ora era Itachi che mostrava a Shisui di essere in un vicolo senza uscita.

«Ho pochi giorni per decidere. In ogni caso sarei nel torto, perché mi metterei contro a qualcuno: voi o Konoha» Shisui guardò insicuramente Itachi, il quale gli prese semplicemente la mano, stringendola nella sua. «Solo di una cosa sono certo ed è che non parteciperò più alle riunioni, sarò neutrale e non voglio più saperne nulla. Parlare con tuo padre per trovare un accorto o chissà cosa non porterà a nulla, quindi non provare neanche a proporlo» disse. «Se tu e poi Sasuke entraste a far parte dell’esercito tutto sarebbe diverso, perché attireremmo anche i giovani o qualche nostro coetaneo o di Sasuke».

«Togliere uomini a mio padre sarebbe la soluzione più razionale, ma capisci che è anche difficile, se non impossibile». 

«Nessuno mi seguirebbe…» non era una domanda quella di Shisui, ma una cruda affermazione alla quale Itachi annuì. 

Poi, a Itachi si spezzò quasi il cuore a pronunciare l’angoscia più grande che aveva, ma prese un respiro e parlò «purtroppo, non sono certo che Sasuke sia della nostra visione. Questo pomeriggio ne ha parlato ed era entusiasta, non vede l’ora di poter agire».

«Cosa significa?» Shisui cercò appiglio nel occhi di Itachi. Gli stava mancando l’aria e allentò lo scollo dello yukata che indossava, così da poter trovar sollievo.

Itachi spiegò come Sasuke fosse propenso a mettersi in gioco per la famiglia, del suo entusiasmo di combattere al suo fianco, ma anche a quello di Shisui, e fantasticava riguardo scenari in cui gli Uchiha dominavano la corte, il paese - erano discorsi che dilagavano tra i più giovani, i quali ambivano a un futuro splendente; ma per raggiungere tale obiettivo le vite da sacrificare erano molte. Però, Itachi non ne faceva una colpa a suo fratello, perché non era mai uscito dal territorio sicuro di Konoha, non aveva mai preso parte a una campagna sanguinolenta, non aveva mai sfiorato la morte. Forse tutti loro, gli stessi Itachi e Shisui, erano stati così ingenui prima di capire realmente in cosa consentisse la loro posizione e che avevano la scelta di lasciar vivere o meno un essere umano e, ad essere sinceri, talvolta non avevano neanche questa grazia decisionale, perché dovevano agire in favore di un lavoro pulito e letale. Come se non bastasse, in quel momento Itachi iniziò a tormentarsi anche riguardo l’allenamento di Sasuke, perché se da un lato era fiero e speranzoso di poterlo vedere brillare come samurai e difendere la sua famiglia, d’altro lato era mortalmente preoccupato che suo fratello si schierasse dalla parte opposta di Shisui e mai visione fu più concreta, soprattutto dopo averne parlato ad alta voce con il cugino. Anzi, si dava dello stupido ad avere anche solo una speranza che Sasuke cambiasse idea, perché sapeva che non sarebbe mai successo.  Gli Uchiha erano testardi e così come Shisui stava scegliendo una strada, Sasuke ne stava prendendo un’altra e Itachi era nel mezzo, cieco nella sua speranza di distorcere il destino. Che contraddizione. Itachi chinò appena il volto cupo - si era appena mostrato orgoglioso dell’impegno di Sasuke nel suo percorso di crescita e ora si preoccupava delle scelte del fratello minore; ma non poteva non affiancare Sasuke negli allenamenti o il minore sarebbe probabilmente morto durante uno scontro.
Quando Itachi finì di parlare e si perse nel suo silenzio, Shisui sospirò pesantemente e chiuse gli occhi, le palpebre vibrarono nervose - pensò che ci mancava solo Sasuke come ostacolo, come se la situazione non fosse già di per sé abbastanza complicata.

«Sasuke non cambierà mai idea, lo sappiamo entrambi. E se tu dovessi seguirmi, ti odierà senza limiti. Per ora non deve sapere nulla di me» Shisui parlò dopo un lungo momento di riflessione, attimi in cui Itachi aveva lasciato la sua mano, guardandolo seriosamente. 

Sì, nessuno dei due avrebbe accennato alla loro conversazione al di fuori dello studio di quella casa. 

«Shisui accetta l’incarico e prendi le distanze da tutto il resto. Nel frattempo, io parteciperò alle riunioni, per quanto mi sarà possibile, e ti darò i dettagli. Se qualcosa dovesse realmente iniziare a prendere forma, allora potrai parlarne con Danzō, ma per il momento non dire nulla». 

Shisui accolse la speranza che gli era stata esposta da Itachi e decise che avrebbe mentito riguardo alla possibile minaccia che la sua famiglia rappresentava per Konoha: era tutto falso. 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** V. ***


Meglio tardi che mai, dico solo questo.
Mi sono un po’ persa - in molteplici sensi. Questo capitolo è un po’ meh, ma vorrei effettivamente finire questa FF, quindi no ripensamenti o non l'avrei mai pubblicato.

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V.

 

 

 

Shisui era sveglio dall’alba e riuscì a vedere il sole rosaceo sorgere dietro le nuvole. 
L’assonnata domestica gli aveva portato delle ciotoline con la sua colazione, ma la tazza di tè, rigorosamente bollente, fu ciò che l’uomo gradì di più - Shisui non disse nulla alla domestica, anzi, la ringraziò sforzandosi di mangiare del riso e bevendo avidamente il tè che, per lo meno, alleviò un po’ il nodo allo stomaco causato dal fatto che era arrivato il giorno della decisione finale riguardo il suo futuro. 
Shisui inspirò profondamente.
La tortura psicologica di Shisui si protrasse fino al primo pomeriggio, tra attimi di solitudine, minuti di meditazione e, perché no, tentativi di ammazzare il tempo con un romanzo, ma tutto con scarsi risultati. Trovò solo l’apice dell’ansia (sperando anche nella fine di essa) nel momento in cui si ritrovò nuovamente nell’ufficio di Danzō - in quel frangente, non potè non ripensare alle parole che Itachi gli aveva detto poche sera prima: “accetta, al resto ci penso io”. 
Shisui si maledisse rievocando la voce del cugino, costatando come il suo dannato dono fosse quello di portare nell’abisso della disperazione chi aveva vicino e Itachi era uno splendido esempio di amante che stava mettendo la sua vita in pericolo pur di supportarlo. 

«Ci hai pensato?» Danzō non perse tempo e toccò l’unico argomento che poteva portare Shisui da lui. 

«Certo, ma aderirò solo per proteggere Konoha e il mio paese. Non sarò una spia nei confronti della mia famiglia» rispose Shisui composto e il nervosismo ingoiato.

«Ti dirò Shisui, molti clan si stanno avvicinando alla realizzazione di questo grande passo di unificazione…» iniziò Danzō. «Non voglio dover pensare agli Uchiha come futuro ostacolo, come disertori». Shisui non batté ciglio e l’uomo riprese a parlare, gli occhi puntati dritti in quelli del samurai, «sarà tuo compito fermare chi fomenterà qualsiasi minaccia. Non possiamo permetterci rischi una volta che tu entri in servizio, ipotizziamo qualcuno non della tua idea e quindi che voglia una vendetta nei tuoi confronti. Sto ipotizzando, ma intendo problematiche in generale, dato che le vostre idee stanno dilagando».

«In che modo dovrei mettere fine a questo?» Shisui avrebbe voluto smentire le accuse di una rivolta, ma a questo punto si morse la lingua e deviò il discorso.

Danzō picchiettò le dita sulla superficie lignea del tavolo, soppesando le possibilità. «Non so bene cosa stia succedendo tra gli Uchiha, tutto questo ingiustificato malcontento verso un paese prospero e una corte efficiente, ma, in ogni caso, c’è gente che mormora di dover risolvere qualche conto in sospeso con Konoha, di volere giustizia, ma per cosa? Devi trovare un modo per tenere tutti a bada, non importa quale, basta che sia definitivo».

«Punto a portare il maggior numero di samurai dalla mia parte, è fattibile» disse Shisui, la gola improvvisamente secca. «Manterrò l’ordine, gli impedirò di portare avanti qualsiasi minaccia dovesse incombere in futuro, ma non posso fare altro al momento» disse quasi tentando di rassicurare velatamente Danzō riguardo ogni possibile minaccia presente. «Difenderò sempre la mia famiglia, ma per il bene di Konoha ne prenderò anche le distanze».

Danzō annuì, capendo che Shisui era irremovibile e che non avrebbe agito in nessun modo violento. Quindi, passò all’alternativa più plausibile.

«Ti accetterò, ma solo a un patto: che tu saboti ogni loro attività, che nessun Uchiha si avvicini alla corte. È una tua responsabilità. Il potere è dell’imperatore e nessun altro. No minacce» disse intransigente. «Lavorerai esclusivamente sotto la sorveglianza delle mie guardie, almeno finché non sarò certo della tua sincerità. Ogni tuo spostamento sarà controllato, non una missione da solo e se ne vedrò la necessità verrai sorvegliato anche al di fuori della corte. Non darmi motivo di farlo».

Shisui annuì in silenzio, realizzando di essere nel limbo, diviso tra il difendere la sua famiglia dalla forza militare della corte; combattuto perché voleva difendere la corte dall’idea malsana che stava dilagando dal suo clan; dilaniato perché era di fatto un traditore dalla sua stessa famiglia e deluso da sé stesso, perché continuava a mentire di fronte a Danzō. In ogni caso, mantenne la calma, il suo sguardo non tentennò neanche quando ogni suono venne sovrastato dal rombo del sangue nei suoi timpani. 

«Shisui tieni sotto controllo tutto il tuo clan o sarà con la vita che ripagherai il torto. Ti ripeto che non voglio problemi, come future insurrezioni, anche se mi stai assicurando che sono preoccupazioni infondate».

Fu con questo peso nell’animo che lasciò la stanza, dopo delle brevi parole per rassicurare nuovamente Danzō e si diresse con Sasori verso un piccolo laboratorio, in un’ala separata della corte, in cui gli presero le ultime misure per la divisa imperiale - Shisui era alto, la fisicità tutto sommato asciutta. Le modifiche agli abiti potevano essere fatte nel giro di poche ore, tempo che Sasori o qualche altra guardia gli mostrasse in generale la nuova routine, come preparazione e altro. 

«Questo non ti serve più» disse la guardia dai capelli rossi, quando tra le mani gli finì l’haori con lo stemma degli Uchiha. 

Shisui non si rese neanche conto che l’uomo lo appallottolò e gettò a terra, in un angolo in mezzo ad altre stoffe - continuò a svestirsi così da essere preparato con la nuova divisa. 

 

    Una volta tornato a casa, Shisui non si accorse di aver lasciato l’haori nella sartoria e neanche la sua nutrice e le altre dame, che sgranarono gli occhi stupite nel vederlo nei nuovi abiti. 

«Stai davvero benissimo» gli disse l'anziana, lisciando il tessuto scuro degli indumenti. «Non pensavo di vederti già pronto per questo grande incarico».

«Non avevo altro a cui pensare, allungare i tempi era inutile. È stata la scelta giusta» rispose Shisui e ancora quel dannato sorriso falso gli incupì il volto. 

«Sarai un generale, un ufficiale… non conosco tutti questi gradi complicati, ma sarai qualcuno di importante! I tuoi genitori sarebbero fieri di te. La nostra città raggiungerà lo splendore con la tua intelligenza e forza» parlò entusiasta l’anziana. «Perché non ti mostri a Itachi, mh? Sarà sicuramente felice».

Shisui ingoiò la disperazione pronta a divorarlo e sperò di riuscire a tenere tarpate dentro sé tutte le sue emozioni prima che potessero esplodere in modo tutt’altro che pacifico. Tuttavia non pensava fosse una buona idea presentarsi già a Itachi vestito in quel modo, ma effettivamente l’anziana aveva ragione - e poi che vantaggio ne avrebbe tratto a dilungare il tutto? Quindi, Shisui prese la dignità tra le mani e uscì di casa, Tamago e Kinako zampettarono per un breve pezzo dietro di lui; Shisui camminò senza neanche vedere la strada, senza rendersi conto che era arrivato davanti alla casa di Itachi. Qui prese un grande respiro e si avvicinò all’ingresso, dove Hinata stava pulendo - la giovane raddrizzò la schiena, stupida anch’essa nel vedere Shisui impettito in quel modo. 

«Vado ad annunciarla» parlò senza aspettare che l’uomo le chiedesse nulla, abbandonando la scopa e sparendo nell’abitazione - probabilmente, la giovane era ancora un po’ a disagio in seguito alla storia della lettera, si disse Shisui; ma forse il motivo non era proprio l’incidente della lettera, perché appena mise piede nella stanza tutti gli occhi si posarono su di lui e non ne seguì nessun rumore.

Secondi di silenzio dilatati come se fossero ore.

«Shisui cosa hai fatto?» con la voce di Mikoto lo stupore di tutti prese vita. «Fugaku è già uscito, ma non so come possa prendere… questo» disse indicandolo e lo stesso Itachi spostò gli occhi in ogni punto del corpo di Shisui, in ogni singolo ricamo della stoffa, tra quel nero e rosso che non era mai apparso così minaccioso ai suoi occhi. 

Quante cose Itachi avrebbe voluto dire, ma sarebbe stato ingiusto colpevolizzare Shisui per aver già dato una risposta, perché proprio Itachi l’aveva spinto, rassicurandolo che avrebbe agito lui nell’ombra; però lo stesso Itachi si rese conto di essere angosciato nel vederlo già pronto nella sua divisa, quindi di fatto realizzare che Shisui appariva come un nemico e questo aspetto non sarebbe mai passato in secondo piano. 

«Ho fatto la scelta che ritenevo giusta» rispose pacato Shisui.

«Sì, ma così in fretta. Perché proprio adesso, non ne sapevo nulla…» sua zia era in apprensione, lo capiva. «Prendi un tè e spiegami cosa sta succedendo».

Fu così che Mikoto, Itachi e Shisui si raccolsero in una fitta chiacchierata, in cui, però, Shisui tagliò e medicò i dettagli più spinosi, descrivendo la sua decisione come un’opportunità che non poteva perdere, un riconoscimento che avrebbe dato maggior rilevanza alla sua persona. 

Inutile dire che per tutti i minuti in cui parlò, gli occhi di Itachi parvero incontrare i suoi a fatica.

Il cuore di Shisui si strinse un poco di fronte a quel dolore, chiedendosi se non vi fosse un ripensamento dietro a quello sguardo imperscrutabile. 

    L’ora che Shisui aveva trascorso con sua zia e Itachi non era stata facile, anzi, Mikoto continua a portare a galla la sua apprensione per la reazione di Fugaku, dell’intera famiglia, e Itachi aveva rassicurato la madre, con false speranze che il padre avrebbe capito, ma Itachi stesso non era era convinto di mezza parola che abbandonava le sue corde vocali. 

E così, tra una preoccupazione e l’altra, Shisui si era alzato e congedato; ma quando sperava di essere alla conclusione di quella giornata nefasta, il destino si era divertito a lanciare qualche spillo sul suo cammino. 

«Perché non vieni alla riunione? È già da qualche giorno che non ti presenti» infatti, Sasuke arrivò di fronte a Shisui e Itachi, che lo stava accompagnando per un breve pezzo, forse sperando di poter parlare in privato; ma dopo i suoi impegni pomeridiani, Sasuke aveva avuto l’idea di passare a casa,  per andare con il fratello alla riunione. Sasuke aveva avuto un tempismo pessimo e lo stesso Itachi si riscoprì nervoso nel non poter confrontarsi con Shisui.

«Ho molti impegni, Sasuke» rispose il maggiore senza fermarsi. Non si voltò indietro e continuò per la sua strada. 

Sasuke non demorse, allungando il passo, ora poco dietro dei due. «Cosa c’è di più importante delle riunioni di famiglia?».

«Sono molto occupato».

Sasuke alzò il tono di voce, ribadendo che non era più un bambino e aveva capito che qualcosa non stava andando per il verso giusto. 

«Vorrei che gli Uchiha ambissero più a entrare nelle grazie della corte di Konoha e non minacciarla. Vorrei che seguiste il mio esempio» alzò la voce Shisui, aprendo le braccia così da mostrare la divisa. Shisui non seppe spiegare se quel gesto così brusco, decisamente esasperato, fosse dettato dalla colpevolezza che si sentiva addosso - no, non era fiero di quella divisa. Non sapeva cosa sarebbe successo di lì a poco, perché aveva il compito ben preciso di porre fine al delirio degli Uchiha; perché aveva appena aperto una frattura tra loro e se stesso. 

Sasuke aveva corrugato la fronte, notando ora i colori degli abiti di Shisui, la mancanza dello stemma a ventaglio. Era così intento a ricercare una reazione dal cugino che aveva sorvolato tutti quei dettagli. «Di questo passo non cambierà nulla…Tutti contano su di te. Perché sei vestito in quel modo, cosa significa?».

Itachi rabbrividì.

«Fugaku si sta intromettendo in affari molto pericolosi. Ho altro a cui pensare ora. Mi dispiace, Sasuke» disse Shisui, anche se la risposta fu un po’ troppo dura. 

«Mio padre è a capo, perché il clan si fida di lui!» era la prima volta che Sasuke rispondeva in modo così iroso. Il suo volto era quasi trasfigurato, corrugando le sopracciglia e il volto arrossato.

Itachi intervenne tentando di sospendere la discussione tra i due. Appoggiò una mano sulla spalla del fratello, intimandogli di smetterla.

«Anche tu ora?» Sasuke scostò la mano del fratello, le pupille quasi disperate in cerca di un suo appoggio. A Itachi si strinse il cuore, ma non poteva dar corda al piano del padre. 

«Ci porterà tutti alla morte» concluse tra i denti il più grande dei tre. Poi, velocizzò il passo e si dileguò in una via secondaria.

Itachi lo guardò allontanarsi, continuando ad ascoltare le lamentele di Sasuke. 

«Cosa farai, andrai con lui?».

«Verrò alla riunione, non preoccuparti» rispose Itachi, ripromettendosi di non perdere la ragione.

Sasuke in sottofondo continuava a ribadire di come Shisui avesse perso il senno.

 

    Danzō rifletté a lungo riguardo la questione di Shisui, arrivando alla conclusione che non avrebbe mai ottenuto la sua sincera fiducia ed era un peccato, perché Shisui aveva delle capacità di gran lunga superiori rispetto alla stregua di nullità di cui si trovava accerchiato. Si dispiaceva solo che il samurai non volesse rivelargli i segreti della sua famiglia e che fosse stato così ingenuo da pensare che proprio lui, Danzō, non sapesse che gli Uchiha sarebbero insorti, prima o poi. Era stata una bella prova di sincerità a cui Shisui era miseramente colato a picco; ma, dopotutto, non gli serviva certo Shisui per sapere cosa stesse succedendo tra gli Uchiha, di cosa trattassero durante i loro ritrovi, perché era bastato mandare una delle sue guardie e raggirare uno stolto Uchiha per ottenere le informazioni che voleva. Infatti, aveva ottenuto tutto da un ubriaco fuori da una locanda, che Sasori aveva silenziosamente agganciato e l’uomo era barcollato nella trappola. Poi, dopo parole riversate nell’alcol, un sacchetto di monete infilate nella tasca di quest’ultimo, la spossatezza che al mattino seguente l’avrebbe abbandonato così come il ricordo dell’accaduto della notte passata, ed il gioco era fatto. Danzō sapeva che di Sasori poteva avvalersi, era abile con il suo fare misurato ma letale, il modo di parlare lento e raggirante - le informazioni che Sasori gli aveva portato erano certamente sicure e a riconferma della minaccia che gli Uchiha rappresentavano. Danzō non si stupì di mezza parola pronunciata da Sasori; Danzō poteva sicuramente affidare questo tipo di compiti all’uomo dai capelli rossi, ma per il prossimo piano che aveva in mente doveva pensare a qualcuno di più esperto. 

«Per chi mi hai preso?» fu la voce di Hidan a rimbombare tra le pareti dell’ufficio di Danzō.  

Danzō parlò quasi alterato, la sua maschera di impassibilità riusciva a creparsi di fronte a Hidan. «Con i tuoi precedenti non vivresti neanche un minuto senza avere qualcuno che preghi per la tua morte. Dopo quello che ti chiedo, Hidan avrai la libertà».

L’uomo gonfiò il petto, gli occhi ametista concessero la loro attenzione. 

«Non voglio nessuno che venga a cercarmi, lo stai promettendo ora, Danzō!» disse puntato un dito contro all’uomo di fronte a sé. «Voglio essere libero, voglio andarmene! Basta regole idiote di una corte inutile. Avevi giurato tante cose e guardaci… siamo delle stupide guardie, aspettando che una grazia porti a termine i tuoi piani!».

«Ti ho donato anni di vita» puntualizzò Danzō, conscio che su Hidan vi era una taglia in qualche paese neanche troppo lontano. «Hai la mia parola, ma ci vorrà tempo, non puoi sparire nel nulla dopo l’incendio. Desteresti troppi sospetti». 

La guardia aveva sbottato, «da quanto tempo la donna di Yahiko sta avvelenando l’imperatore con il tè? Non sei capace neanche di portare a termine questo e dovrei fidarmi? Ci vuole veramente poco a uccidere una persona, te lo assicuro». Masticò ancora Hidan «Sasori potrebbe reperire un veleno più forte e farla finita in pochi secondi, ma invece tu hai tutta una tua storia in testa…».

«Vedi di stare zitto, Hidan» si contrappose Kakuzu, in attesa di vedere dove voleva sfociare la discussione.

Il programma di uccidere il sovrano di Konoha era iniziato da tempo e sapeva che la sua morte doveva essere lenta e apparire naturale, legata all’età; Hidan voleva solo provocare Danzō, il quale però non raccolse le accuse. Tutte le guardie che aveva ingaggiato Yahiko sapevano del progetto dell’avvelenamento, così che Danzō potesse instaurare un nuovo potere, non solo rappresentativo come quello dell’imperatore odierno, ma avrebbe ridimensionato tutto, ovvero detenendo anche le decisione amministrative e militari - basta ramificazioni, un sovrano doveva avere tutto sotto controllo ed esercitare il suo potere come un’unica persona. Nel migliore dei casi, la figlia dell’imperatore l’avrebbe esiliata, così come le sue dame da compagnia e la stessa moglie; le operazioni necessarie per il matrimonio combinato della figlia del sovrano erano bloccate già da tempo, in assenza di un degno futuro marito, quindi Danzō non vedeva particolari difficoltà riguardo a questa parte del piano.
In ogni caso, secondo l’uomo era fondamentale avere sotto controllo ogni aspetto del suo regno, cosa che adesso risultava impossibile. Perciò era stato fondamentale per Danzō accerchiassi di guardie fedeli, ma quindi perché sacrificare Hidan tra tutti? Era semplice e la conversazione che stavano avendo gliene dava sempre più prova, dato che in uno dei suoi scatti d’ira non avrebbe tenuto a freno la lingua. Hidan sapeva che parlare della morte del sovrano di Konoha era tabù, ma lui non riusciva a mantenere segreti, anzi, li usava come ricatto. Quindi, dandogli la libertà e mandandolo lontano da Konoha, Danzō si sarebbe risparmiato inutili problemi. Poi, non sapeva quanto Hidan sarebbe riuscito a sopravvivere, ma quello non era un suo problema - auspicava che qualcuno pareggiasse i conti non appena Hidan fosse nel suo vecchio paese o qualcosa di simile, di certo non erano affari suoi.  
Poi, Danzō si voltò in direzione di Kakuzu, il quale alzò un sopracciglio, in attesa della corruzione che gli sarebbe stata proposta - sì, la libertà poteva far gola, ma voleva di più e qualche misero yen non l’avrebbe convinto ad accendere neanche un fiammifero.

«Kakuzu, quando il piano sarà arrivato alla fine ti affiderò una colonia. Il primo territorio che conquisteremo sotto al mio regno, sarà tuo». Gli occhi arrossati dell’uomo si focalizzarono con attenzione alle parole del funzionario, «mi posso fidare delle tue capacità e conoscenze. Sarai un appoggio fondamentale». 

Quello Danzō lo pensava sul serio, perché Kakuzu era lapidario, eccellente nei compiti che gli venivano dati. Inoltre, Kakuzu e Hidan avevano lavorato insieme prima che Yahiko li offrisse di entrare a corte per redimersi: Hidan era alla stregua di mercenario, aveva collaborato con Kakuzu già da anni quando la missione non consisteva più nel riscuotere soldi, ma far pagare un ritardo non più trascurabile e passibile di minacce.

«Potrebbe essere un accordo quasi equo» Kakuzu rispose, la cicatrice in prossimità della bocca gli conferì un aspetto lugubre.

 

    Passarono i giorni e le giornate a Konoha divennero sempre più afose.

Itachi contava sulle dita di una mano i giorni per la partenza e Shisui aveva iniziato la sua preparazione a corte. 

«Nessuno mi scolla gli occhi di dosso e appena esco da lì, mi sembra che tutti mi perseguitino» Shisui aveva detto più di una volta e Itachi non seppe rispondere. Sebbene Itachi e Shisui avessero avuto modo di parlare, tutte e due erano rimasti irrequieti: Shisui in bilico tra il giusto e lo sbagliato, invece, Itachi assisteva addolorato in attesa di capire come agire di conseguenza, forse non sentendosi neanche all'altezza di confortare il cugino. Tutta la situazione non lo rassicurava di certo e, come se non bastasse, Hinata aveva confidato a Itachi (che vedendola sempre più distratta aveva dato cenno di essere disposto ad ascoltarla - dopotutto, avevano un patto) di un appuntamento a cui Naruto non pareva accettare un rifiuto. Itachi le aveva detto che in qualche modo avrebbero fatto ed era per questo frivolo motivo che Shisui e Itachi si trovavano a pranzare con Fugaku e Mikoto, Sasuke sempre più ombroso nel suo silenzio presso il dōjō della famiglia, tanto che Shisui non l'aveva più incontrato.

«Se zia Mikoto non ha in programma qualche cena, Hinata può venire una serata da me? La nostra domestica ha qualche linea di febbre. Zia, sai come è la mia amata nutrice, si metterebbe lei a cucinare, ma ha una certa età e non vuole ammettere che inizia a essere affaticata» un sorriso teso sporcò il volto di Shisui. L’uomo si chiedeva come poteva essere ancora in grado di fingere un’espressione minimamente gioiosa e probabilmente si rispose che non era neanche credibile.  

D'altro canto, Mikoto non riuscì a dire di no a suo nipote, sebbene suo marito non parlò né incrociò lo sguardo di Shisui, chiuso anch’egli in un invalicabile silenzio - la questione dell’entrata a far parte dell’esercito di Shisui, Fugaku l’aveva appresa, ma non ancora discussa; stava aspettando un passo falso dal nipote per portare davanti agli anziani il suo caso. Però Fugaku anelava di portare dalla sua parte il nuovo ruolo dell’uomo, anche se le sue possibilità erano davvero rasenti allo zero. Quindi Fugaku si stava dando un contegno, rimangiando l’orgoglio, affinché potesse ragionare su come sfruttare la posizione di Shisui. 

«Che vuoi che sia una sera, Fugaku. Rimane comunque Hanabi e se Shisui ne avrà bisogno, potrà tenerla anche un altro giorno» disse comprensiva Mikoto, ignorando il fatto che portasse avanti una conversazione con solo se stessa. 

Dal canto suo, Hinata non era felicissima di essere apostrofata come un oggetto, ma avrebbe ingoiato l’ennesimo scredito alla sua persona se questo le avrebbe permesso di uscire da casa Uchiha e incontrare Naruto.

   
   Quella sera stessa, Itachi aveva accompagnato a casa del cugino la domestica.

«Siete impazziti?» esordì in quel modo la nutrice, sgranando gli occhi. Non capiva perché stavano aiutando una domestica. 

Shisui rovistava in alcune scatole in cui vi erano dei kimono da donna mai usati, probabilmente regali che erano stati fatti a sua madre.

«Sono sicuro che Hinata non lo rovinerà e poi, fidati, se lo merita» continuò l’uomo, mentre Itachi dispiegò sui tatami un kimono - era di un rosso particolare, che virava al viola; su di esso erano ricamati dei fiori che ricordavano la primavera, i contorni dorati dei disegni riflettevano le poche luci della notte. L’obi era ancor più decorato, di colori vivaci e trame floreali che Hinata non aveva mai visto - la ragazza pensò dovesse valere una fortuna e si morse le guance. 

«E se tuo padre la vedesse in giro, che scusa trovereste?» chiese apprensiva l’anziana a Itachi. 

«Mio padre ha molti impegni legati al clan, mia madre rimarrà a casa aspettando lui e Sasuke che tornino. Hinata sarà lontana da questo quartiere, l’accompagneremo verso quello degli Uzumaki».  

«Poi, prima che faccia troppo tardi saremo a casa e dormirà qui da noi» completò Shisui.

Itachi annuì, poi parlò rivolgendosi a Hinata «perché non lo provi?»

La giovane era arrossita, ma annuì. Nel giro di poco i due uomini erano usciti dalla stanza e avevano lasciato Hinata con l’anziana, che borbottava sottovoce qualcosa riguardo la pazzia dei due. 

    Effettivamente Hinata era molto bella nel kimono che Itachi e Shisui le avevano scelto - la delicatezza del suo volto era un perfetto contrasto con la decisione dell’abito e la nutrice le aveva raccolto i capelli con dei fermagli graziosi. Sembrava davvero una ragazza di una famiglia nobile, non aveva niente da invidiare a nessuno; come da promessa Itachi e Shisui l’avevano accompagnata a sud di Konoha, dove si ergevano le residenze del clan Uzumaki - i due si erano poi dileguati prima che lo spasimante di Hinata si presentasse e la giovane era rimasta lì, al limitare del quartiere, a guardarsi attorno con due occhi brillanti. 

«Ti aspetteremo qui, non farti vedere da Naruto quando torni» le raccomandò Itachi prima di lasciarla. 

    
A Sud di Konoha, non troppo distante da dove si stava consumando l’appuntamento di Hinata, sorgeva un tempio dorato, quasi circondato da un laghetto, in cui vivevano pochi monaci - durante la notte era deserto, immerso nel buio e sporadiche lucciole si nascondevano timide tra il bosco che abbracciava quel luogo surreale.

Hidan e Kakuzu camminavano per il sentieri di ghiaia silenziosi, i loro passi appena udibili - con sé avevano una lanterna e delle fiaccole spente. 

«Ora muoviti, va là e dai fuoco» Kakuzu sistemò bruscamente sul capo di Hidan la cappa nera, in modo da nascondere i capelli chiari. 

«Non toccarmi. Tu occupati di questa zona».

Kakuzu era vestito nel medesimo modo, ma sopra alla cappa aveva messo un particolare haori, dimenticato nella sartoria e che Sasori aveva recuperato in seguito alla prova d’abiti di Shisui. Si era avvicinato al tempio dal lato opposto di Hidan - entrambi passarono le fiaccole sulle fondamenta di legno dell'edificio e il fuoco mangiò velocemente la base; Kakuzu lanciò la lanterna nei cespugli e la carta prese velocemente ad ardere. 

Ci vollero diversi minuti per vedere le fiamme attaccare come dovuto, ingigantirsi al punto di impossibilitare il loro spegnimento; lanciarono poi degli arnesi progettati da Deidara, che erano scoppiati tra le piante e all’interno della stanza centrale, che scaturirono in fuochi isolati. 

Le due guardie si allontanarono tra gli arbusti solo quando la voce di qualche monaco si udì fin troppo vicino a loro. Kakuzu intimò ancora una volta a Hidan di mantenere la cappa ben calata sul capo, mentre lui stesso abbandonò l’haori, ormai strappato da dei rami spinosi, tra i cespugli - il ventaglio intessuto su di esso era minacciosamente illuminato dal fuoco circostante. 

Lo scricchiolare del legno alla forza del fuoco non era più trascurabile, così come il fumo che iniziava a levarsi dall’edificio.

 

Parte di Konoha si svegliò a quell’allarme, un’altra parte, invece, ne venne a conoscenza solo il mattino seguente. 

 

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Capitolo 6
*** VI. ***




Ecco un aggiornamento veloce senza troppe domande/pretese, portato a fine solo perché sono costretta a casa - altrimenti non so quando avrebbe visto la luce. Questo è il capitolo che mi ha soddisfatta di meno finora, ma me ne farò una ragione, perché l’avrei cancellato volentieri, ma lo posto solo perché il prossimo è quello che ha dato il via alla scrittura di questa storia, quindi spero di poterlo pubblicare relativamente presto. 

Giustificazione finite, see u!

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VI.

 

 

 

    Danzō pensava riguardo alla faccenda che gli Uchiha stavano tramando: un colpo di stato per fare in modo che Konoha raggiungesse il massimo splendore sotto alle direttive della loro famiglia.
No, non vi era niente di più sbagliato in quello che sentiva; lui che aveva un posto a corte, che era nelle grazie del sovrano, lui avrebbe perso la sua posizione dopo decenni di lavoro. Ancor peggio, i rapporti appena stanziati con Suna si sarebbero rotti irrimediabilmente; un susseguirsi di lotte tra i clan si sarebbe aizzato. Danzō aveva in mente ben altro, una volta al potere avrebbe orchestrato a suo piacimento i poteri, la forza del suo paese. Era certamente l’uomo più adatto, doveva solo dare un freno agli Uchiha.
Sicuramente, con uomini come Shisui e Itachi si sentivano invincibili, tutto era eliminare le pedine più forti; doveva solo architettare un altro piano per mettere fuori dai giochi gli Uchiha e metterli in cattiva luce e non sarebbe stato difficile se Shisui non si fosse intromesso. Sicuramente aver già distaccato Shisui dal resto della famiglia era un buon risultato, e l’accaduto al tempio a sud del paese che aveva preso fuoco poteva ritenersi un buon risultato - sapeva che Kakuzu e Hidan avevano portato con loro l’haori di Shisui, quindi si parlava già di un punto a favore di Danzō. Infatti, le colpe sarebbero ricadute, proprio come secondo i suoi calcoli, su Shisui, ma una catastrofe così grande non poteva essere stata portata a termine solo da una persona e quindi si sarebbe instillato il dubbio che più persone avevano agito nel favore dell’oscurità; a Danzō non interessava che nel mirino del sospetto pubblico fossero caduti i cugini di Shisui o altri suoi conoscenti, perché per lui l’importante era fare terra bruciata all’interno del clan.
L’uomo rimase in silenzio per diverso tempo, totalmente assorbito dai suoi piani e cercando di capire come muovere la sua pedina successiva. 

 

    Era mattina quando Itachi apprese la notizia dell’incendio durante il quale un monaco aveva chiaramente visto lo stemma della famiglia Uchiha intessuto sugli indumenti dei colpevoli. Si vociferava di più persone, perché il fuoco era divampato in diversi punti della zona interessata. Era proprio vicino a dove Hinata si era recata, ma l’appuntamento si era concluso diverso tempo prima del tragico evento. 

«Erano in molti» diceva la popolazione in subbuglio, «hanno ucciso dei monaci e gli Uchiha non hanno avuto il coraggio di intervenire per limitare l’incendio!».

Itachi era sorpreso, quasi sicuro che suo padre non fosse al corrente dell’accaduto. Quindi, a passo svelto, lui e Shisui riaccompagnarono alle sue mansioni Hinata. 

 

    Fugaku era stato convocato a una riunione d’urgenza con gli anziani del clan, intransigenti sul trovare i colpevoli, ma nessuno aveva nomi utili al momento. Fugaku capì che vi era instabilità nel suo clan, qualcuno non stava dicendo la verità e quello che lo insospettì maggiormente fu che né Itachi né Shisui erano presenti e la sera prima parevano esservi volatilizzati nel nulla. Alle informazioni riguardo all’incidente, era stato detto che negli arbusti attorno al tempio, probabilmente durante la fuga, erano stati ritrovati pezzi di stoffa di un haori quasi totalmente bruciato, ma che sul quale un occhio attento poteva riconoscere la stoffa e una punta del ventaglio Uchiha. Infatti, quando a Fugaku fu mostrato il tessuto plumbeo, virante al nero, dell’abito perse qualche battito - andava solo a sottolineare la colpevolezza di un suo famigliare, ma ritrovare l’haori di Shisui, Fugaku doveva ammetterlo, gli fece provare un senso di vertigine che difficilmente aveva provato in vita sua. Pensò fra sé e sé che, siccome anche Itachi mancava quella notte, doveva essere stato coinvolto. 

«Farò le mie indagini per capire a chi appartiene» mentì Fugaku, portando con sé l’indumento a brandelli. Doveva prendere tempo per far uscire pulito Itachi da quella situazione. 

    Quando lasciò la riunione, Fugaku chiese duramente a Sasuke se sapesse dove Itachi era sparito la notte precedente; il figlio minore aveva risposto con un arido cenno del capo, sottolineando il fatto che neanche lui era al corrente di dove Itachi si trovasse. Fu lì che Fugaku si chiese anche se la scusa di Hinata non avesse il fine di coprire il loro piano.
Fugaku aveva aumentato l’andatura, ormai non aveva più dubbi sul fatto che Itachi si trovasse con Shisui anche se non capiva il motivo di tanta depravazione. 

 

    Shisui era in casa di Itachi, stavano parlando di quanto successo.
Mikoto era sospettosa che i due non fossero stati a conoscenza dell’incendio sino a quel momento, ma Itachi aveva spiegato alla madre, che Shisui l’aveva posto a un ultimo estenuante allenamento prima della sua partenza per la missione e che, una volta tornati alla dimora del cugino, si erano addormentati stremati, palesemente prima dell’accaduto e che non avevano lasciato la residenza se non per rincasare. Mikoto aveva annuito, chiedendo comunque se nessuno si fosse presentato alla porta di Shisui per parlare dell’incendio, dato che nelle ultime ore non si faceva altro. Hinata, intenta a riassettare il servizio da tè, aveva scosso la testa. 

«Ho aiutato a sistemare fino a tarda sera e anche questa mattina all’alba non si è sentito nessuno» aveva mormorato in seguito allo sguardo accondiscendente che Shisui le aveva dato. 

Mikoto l’aveva guardata, notando le occhiaie della giovane.

«Casa mia è abbastanza isolata, le residenze rimaste sono di anziani tranquilli, è difficile che qualcuno si spinga in quelle zone» aveva detto l’uomo. 

Mikoto avrebbe voluto ribattere, ma la calma si ruppe non appena Fugaku varcò la soglia di casa propria, di ritorno dalla riunione - era un uomo alto, vestito di tutto punto come sempre e dietro di lui Sasuke fece la sua comparsa; non un saluto o un cenno venne speso dai due. Itachi era rimasto immobile al centro del salotto, strinse appena i denti coperti dalla bocca che, tuttavia, rimase una linea statica. Non sentiva nessuna emozione positiva scorrergli nelle vene, se non infinito risentimento per la pressione psicologia che suo padre continuava a esercitare su di lui, su tutti loro e poteva avvertire che qualcosa non andava. A suo fianco, Mikoto annunciò la presenza anche del nipote, Hinata tornata ai suoi compiti quotidiani verso le altre stanze. La signora Uchiha aveva perso il timido sorriso che si era sforzata di far nascere, ma lo sguardo che il marito aveva puntato su Shisui pareva dire molte cose negative.

«Dobbiamo parlare di quello che è successo la scorsa notte» disse Fugaku. «Dove eravate?».

«Al dōjō» rispose Itachi, inventandosi un’alternativa. Non poteva dire la verità, una frivolezza che avrebbe messo anche nei guai Hinata. 

«Non c’era nessuno al dōjō» precisò suo padre. «Sei ricomparso solo ora» ribadì.
Shisui era invisibile nella casa, almeno finché non aprì bocca. 

«Non è casuale quello che è successo. Qualcuno sta cercando di incastrarci» parlò Shisui. «Ed è solo colpa dei tuoi piani megalomani».

Solo in quell’attimo Fugaku parve degnare d’attenzione Shisui, un breve sguardo che accese la miccia e la situazione parve degenerare in un millisecondo -  Shisui si ostinò a ripetere quanto detto, a suo fianco Itachi annuì. I lineamenti del maggiore erano seri, duri, gli occhi non tradivano nessun punto di debolezza mentre sfidavano quelli dello zio. In quel momento l’uomo divenne iracondo e lanciò ai piedi dei due l’haori di Shisui. «Questo dice più di mille parole su chi sta cercando di interferire». 

«Sono i tuoi piani che stanno sfociando in tutto questo, stai alimentato odio su odio. Shisui è innocente» Itachi intervenne con tono fermo.

A suo fianco, Shisui si irrigidì e ringraziò mentalmente Itachi di essersi schierato per lui. Shisui guardava i brandelli del suo haori incredulo. Non capiva come fosse possibile. 

«Itachi, ti prego…» Mikoto si intromise, scongiurando il figlio di non rincarare le accuse, ma ormai era troppo tardi.

«Se il clan non ambisse all’impossibile l’incendio non sarebbe mai successo, Konoha non avrebbe additato con tanta sicurezza gli Uchiha come colpevoli» Itachi parlò sicuro, sfidando il padre.

«Sai spiegarmi tu altre ragioni, Itachi?» Rispose Fugaku, puntando l’haori e poi la divisa di Shisui.   Era una prova schiacciante. «È chiaro con chi lui si sia schierato!».

Shisui strinse i denti, per poi rinfacciare a Fugaku che fosse solo colpa sua, della famiglia Uchiha in generale, e che non si sarebbe stupito se dietro all’inganno dell’haori nel parco dell’incendio ci fosse stata la mano di Fugaku - ed era convinto di ciò che diceva, perché chi mai avrebbe potuto avere il suo haori. Shisui discusse a quasi un palmo di mano da suo zio, azzerando la distanza e calpestando l’abito a terra -  in quel momento, Shisui si sentiva forte, non solo perché sicuro delle sue ragioni, ma avere Itachi dalla sua parte l’aveva reso sicuro. Comunque, non seppe dire se l’impulsività con cui stava agendo era semplicemente dettata dalla rabbia o dal rimorso che ormai lo stavano intossicando, ma aveva raggiunto un limite tangibile e oltre quello sperava di non spingersi. Però, uno schiaffo lo colpì - era previsto e Shisui non osò fermarlo, ma fu Itachi a bloccare il braccio di suo padre prima che potesse sfogarsi nuovamente. Shisui non reagì, ma avvertì una soddisfazione profonda nel momento in cui l’uomo si liberò dalla stretta del figlio per poi spingerlo via; perché stavano realmente venendo a galla i rancori annidati nel cuore. Infatti, Fugaku perse la ragione e insultò Shisui, che riteneva aver cresciuto e accolto nella propria casa; dichiarò con rabbia il fatto che per lui fosse morto e afferrò lo scollo del nuovo haori, tirandolo verso di sé. Solo in quel momento Shisui si oppose, staccando le mani di Fugaku dal proprio abito e fermando con un gesto della mano Itachi, che si era a sua volta avvicinato per mettere fine alla lite.
Ciò non fece altro che alimentare la rabbia dell’uomo, il quale sibilò «sei solo un traditore».
Dietro di loro Sasuke aveva trattenuto la madre, che anche lei si sarebbe voluta intromettere per porre fine alla discussione, così come Hinata e Hanabi che attente, insieme alle dame da compagnia, si erano addossate alle pareti della sala centrale. La lite perse d’intensità solo quando sul volto di Shisui parve una traccia di sangue - Shisui toccò il naso, lì dove la pelle bruciava a causa di un piccolo taglio; poteva capitare con colpi intensi, la pelle era molto fragile, ma finalmente Shisui si sentì libero, come se avesse annientato sia le proprie barriere sia quelle degli Uchiha, mostrando veramente cosa si nascondesse nella loro essenza e ne trasse un compiacimento inspiegabile. Nell’attimo di quiete riempita da respiri affannati, Mikoto si liberò da Sasuke e si mise tra il marito e il nipote, impedendo un nuovo conflitto. Bloccò il corpo dell’uomo tra le sue braccia, ma lui non reagì.

«Andate via, vi prego» disse con voce rotta, sebbene nessuna lacrima segnasse il viso. La donna era sicuramente addolorata, ma divisa tra le idee del marito e vedere suo figlio così sicuro a fianco di Shisui.

«Immediatamente fuori da qui, non voglio più vedere la tua faccia» fu l’ultima frase digrignata tra i denti di Fugaku, ancora rosso in viso, rivolgendosi a Shisui.

Quella casa non era più sua e Shisui si chiese in che abisso era riuscito a trascinare Itachi. 

 

    Sasuke era confuso, perso se poteva usare quel termine.
Davanti a sé vedeva aprirsi un ventaglio con inspiegabili scenari: Shisui che se ne andava dalla famiglia; Itachi nel mezzo e ambiguo; suo padre inflessibile sulla sua posizione; Sasuke lasciato a se stesso che non trovava la verità, ma troppo fiducioso riguardo l’operato del padre.
Sasuke era in preda ai dubbi più atroci che lo tormentavano - non capiva la crepa irrimediabile che era sorta nella sua famiglia, più nello specifico nel suo nucleo familiare perché la sera stessa, dopo il confronto mattutino con Shisui, suo padre aveva detto davanti a tutto il clan che il primo uomo che si era sottratto al compito di portar agli splendori gli Uchiha, era proprio il nipote, dicendo come si fosse presentato da lui con la divisa imperiale e come fosse coinvolto nell’incendio del tempio. Sasuke ricordò corrugando la fronte di come, però, il padre avesse quasi messo da parte la questione di Shisui, per parlare direttamente di come sviluppare i piani della rivolta - la giusta pena per Shisui richiedeva tempo, sentì dire da qualcuno degli anziani. Era come se non avessero tempo di risolvere adeguatamente la questione, quasi come se una minaccia insormontabile fosse pronta a mettere fine al loro piano di gloria.
Ancora più strano, a fianco di Sasuke, si trovava inspiegabilmente Itachi, il quale era rimasto impassibile e non aveva alzato gli occhi da terra, palesemente concentrato a mantenere una contegno. Effettivamente, Sasuke non si aspettava da meno da suo fratello, ma si era altresì stupito di averlo di fianco a sé, perché era sparito per tutta la giornata, riapparendo solo in occasione della riunione. Che avesse discusso con Shisui e fosse giunto alla conclusione che ascoltare Fugaku era l’unica soluzione sensata? Sasuke poteva immaginare di sì, dato che non voleva credere che Itachi fosse così cieco da sostenere e, soprattutto, seguire Shisui nella sua autodistruzione. Non aveva davvero nessuna possibilità di uscire vincitore e poi, non meno importante, Shisui doveva essere punito, Sasuke non pensava suo fratello riuscisse a immischiarsi anche in quello. Però, quelli erano solo i pensieri del giovane Sasuke, dato che non parlava con Itachi da giorni e, tantomeno, vacillò nella tentazione di chiedergli se anche lui fosse coinvolto o cosa provasse riguardo la situazione. Dopotutto a Sasuke non interessava, almeno in quel momento. Lui voleva agire.
Comunque, suo padre aveva continuato a parlare, dicendo che per il momento Shisui doveva essere emarginato, non doveva sapere più nulla riguardo le loro organizzazioni.

    

    Subito dopo lo scontro con Fugaku, Shisui si era recato a corte, correndo - Itachi era stato costretto ad aspettare Shisui alla sua dimora, perché quest’ultimo non voleva che qualcuno potesse vederli insieme in quel momento. Comunque, Shisui cercava Danzō per avere una spiegazione, per capire come era possibile che fosse passato il messaggio che i colpevoli fossero loro; ma Danzō era impegnato con un incontro importante e Shisui era stato respinto dalle guardie di fronte all’edificio imperiale.

«Non so a cosa tu ti stia riferendo, Shisui. Esistono molti briganti di passaggio, dovresti saperlo. Ci vorrà un attimo per riordinare questo problema. Devi avere pazienza. Per il momento, visto che agli occhi di Konoha sei uno dei principali sospettati, così come la tua famiglia, e questo ci preoccupa, astieniti pure da venire a corte. Appena tutto tornerà normale, potrai riprendere le tue mansioni» Yahiko aveva detto, recitando ciò che Danzō aveva riferito loro di dire nel caso Shisui si fosse presentato. La guardia gli aveva anche spiegato che avrebbe avuto il compito di avvisare Shisui di tale decisione, ma che, essendosi presentato di sua spontanea volontà, gli aveva tolto il disturbo di doverlo cercare.
Shisui si vide chiude le porte dinanzi agli occhi, senza possibilità di ribattere. Gli si contorsero le membra e per la prima volta in vita sua non seppe cosa fare. 

 

    Nei giorni successivi si creò una situazione di stallo, giorni in cui Itachi partì e Shisui rimane isolato  da tutti. In quello stesso periodo, a Sasuke era capitato anche lo strano fatto che Danzō volesse parlare direttamente con lui. Inizialmente il giovane aveva preso le distanze, troppo assorbito da tutta la faccenda attorno a lui, ma in seguito a un lungo riflettere, aveva accettato di incontrarlo nel suo ufficio personale - questo significava nella sua residenza, fuori dalla corte.
Prima, così come suo fratello e suo cugino, Sasuke non aveva mai visto di buon occhio il fatto che Danzō si presentasse al dōjō di famiglia per controllare la loro crescita; ma con l’ultima visita e l’interesse spiccato che l’uomo aveva provato nei suoi confronti, l’aveva fatto praticamente cedere. 

«Ho delle informazioni importanti e una prima missione per te, Sasuke» gli aveva detto. «Non possiamo parlarne qui, ne vale la sicurezza dell’intera famiglia Uchiha».  

E il ragazzo si era torturato per giorni con quel pensiero detto da Danzō quasi con sufficienza - almeno finché non aveva preso la decisione di incontrarlo.

«Shisui ha il preciso compito di uccidere voi, la vostra famiglia. Se non mi vuoi credere, spiegami il motivo per cui non si reca più ai vostri incontri».

Sasuke non parlò, c’era ben altro dietro al fatto che non poteva più avvicinarsi ai luoghi di ritrovo Uchiha, ma sicuramente non ne avrebbe parlato con lui, perché c’era di mezzo anche suo fratello.  

«Tuo padre ha delle idee espansionistiche, ma chi vi proteggerà dalle altre famiglie? Questo non l’ha pensato. Non basta sovvertire la corte» Danzo continuò, notando come il giovane si era teso nello scoprire che lui sapeva del loro piano. «Avete bisogno di protezione».

«Stai mentendo».

«Cosa ne guadagnerei? Dopotutto, non sei nessuno».

In quell’istante Sasuke digrignò i denti, incrociando lo sguardo opaco che lo fissava.

«Perché Shisui dovrebbe ucciderci? Non ce la farebbe mai da solo».

Danzō si appigliò a quel dubbio. «Non è detto che agisca da solo, potresti avere sotto i tuoi occhi la risposta. E il motivo per cui dovrebbe sterminare il clan è quanto di più semplice, dato che facendo parte della corte, al momento state rappresentando una vera e propria minaccia per la pace pubblica. È il suo compito».

Gli occhi di Sasuke si persero per una frazione di secondo nel vuoto, probabilmente in cerca di elaborare quanto stava ascoltando - era risaputo che instillare dubbi in chi era fragile, poteva aprire delle vere voragini impossibili da controllare, un turbinio di pensieri in grado di azzerare la capacità di pensiero razionale e Sasuke era giovane, fragile e malleabile. Era un ragazzo ferito, lo si vedeva dal suo sguardo rancoroso, Danzō lo capiva perché si trovava di fronte a lui, lo capiva perché era ceduto alla curiosità di sapere cosa avesse da dirgli, perché dentro sé serpeggiavano dubbi. 

«Shisui sta proteggendo la corte, è il suo mandato e non ne verrà mai a meno, ma non è la mia visione per il futuro di Konoha» spiegò l’uomo. «L’imperatore è vecchio e malato, non vivrà ancora a lungo. Non partecipa più alle discussioni e agli eventi, ci avrai fatto caso. Dopo la sua morte, ho in mente un futuro splendente per Konoha». 

Sasuke rimase in silenzio. 

«Potremmo velocizzare i tempi appoggiando il piano di tuo padre, io sono dalla vostra parte. Con la nuova Era, partiremo con la nomina di un clan fidato e protettore di corte, che collabori con i guerrieri esclusivi che sono già presenti. Vi assicuro la vincita, non dovrete preoccuparvi di nessun altro clan. Una volta stabilito questo equilibrio, sarà semplice prendere il potere. Il sovrano morirà e il clan Uchiha potrà risplendere con il mio appoggio. Si parla di colonie, nuovi orizzonti, tutto ciò che ora manca».

Sasuke non riusciva a uscire fuori da quel ciclone di informazioni che l’aveva travolto, ma questo non fermò Danzō dal continuare a parlare. 

«Il resto lo farò io. Avrete i dettagli di corte, i punti deboli delle guardie, saprete su cosa far leva. Io vi farò da spalla. Shisui semplicemente è troppo fiero e cieco per accettare un futuro diverso da quello presente, che non sta portando a nulla, so per certo che rifiuterebbe e non appoggerebbe mai il mio piano, ne abbiamo già discusso. Sta riuscendo bene a mettervi in cattiva luce, basti pensare all’accaduto al tempio e ci vorrà ben poco per tagliarvi fuori da ogni partecipazione decisionale».
Sasuke scosse la testa, interrogativo, chiedendo cosa avrebbe dovuto fare. 

«Uccidi Shisui e il resto lo farò io».

«Ne parlerò con mio padre».

Danzō si oppose con innocua calma, «prima voglio Shisui morto e solo lì potrò capire quanto io possa fidarmi di te, Sasuke. Non ti negherò la possibilità di parlarne con tuo padre appena la prima parte del tuo compito sarà compiuta. Dopotutto, sei un giovane samurai, sai meglio di chiunque altro che un compito segreto, deve rimanere tale. Ma se non ne sei in grado, dovrò per forza ricredermi riguardo tutto il vostro clan e trovarne uno migliore. Non senza conseguenze, ora sai fin troppi dettagli».

 

Sasuke soppesò l’opzione; le conseguenze del suo rifiuto probabilmente non sarebbero state clementi, poteva immaginarlo. 

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** VII. ***


____________________





  Un laghetto di carpe koi riempiva il cortile del dōjō della famiglia Uchiha creando un'atmosfera leggera in tutta  la proprietà.

Il dōjō era semi buio a quell’ora di sera, solo qualche raggio del tramonto si spegneva sui tatami, dove nel crepuscolo morbide ombre si creavano e allungavano lungo le pareti spoglie. Nel mezzo, Shisui si allenava come se la sua ombra potesse prendere vita e scagliarsi contro lui nel modo calcolato e veloce che lo caratterizzava. La katana fendeva l'aria tagliando in pezzi precisi i bambù allineati in pile verticali; il fischio secco della lama andava ad amalgamarsi con il saltuario schiocco dell'acqua provocato dalle pinne delle carpe.
L'ennesimo taglio diagonale e un nuovo rumore sordo si diffuse nella stanza.
Ancora con la katana stretta tra le mani, Shisui alzò il viso accaldato per godere dell'aria fresca che proveniva dagli shōji aperti - aprì appena la scollatura asfissiante degli indumenti, così da dar sollievo alla pelle mandita di sudore, poi ripose la propria spada nel fodero solo quando il respiro si regolarizzò, le spalle ora meno rigide, di cui una scricchiolò sommessamente. Poi, si lasciò cadere a terra, la schiena appoggiata alla parete di legno, che risultò quasi fresca - Shisui incrociò nervosamente le gambe, abbandonando il volto sul palmo della mano mentre ascoltava il pompare del sangue nelle orecchie; si stava allenando da ore, dato che era l’unica via di fuga dall’inferno che era nato attorno a sé. Si perse un attimo a tracciare la ormai ferita quasi guarita che si trovava sulla guancia - una sottile linea rosata che gli impediva di scordare cosa Sasuke aveva tentato di fare appena una settimana prima. 

Shisui riportò la postura rigida solo quando sentì la porta d’ingresso scorrere e, istanti dopo, affacciarsi un’ombra nella stanza in cui si stava allenando. Itachi fece la sua apparizione, vestito di nero, il viso serio e non aveva proferito parola - era tornato dopo quasi un mese di missione, ma Shisui non trovava il calore che gli scaldava il corpo ogniqualvolta si ricongiungevano. Non si erano incontrati alla solita locanda, non un messaggio o una notizia riguardo il ritorno di Itachi.

Shisui aveva mormorato, «cosa ci fai qui?». 

Itachi lo guardava, ma non diceva ancora nulla. Con la condizione di luce che poi vi era nel dōjō non era in grado di vedere l’ombra del taglio sul volto di Shisui.

«Te ne puoi anche andare se non hai niente da dire» disse ancora il maggiore, solitamente  calcolato nelle parole, ma fin troppo turbato negli ultimi giorni per mantenere la calma.

«So cosa è successo» le prime parole di Itachi, pensanti, invasero la stanza.

Shisui non sapeva di cosa parlasse realmente l’altro: se dell’incidente con Sasuke durante l’allenamento, l’odio che qualcuno stava aizzando nel minore, o il fatto che Shisui fosse diventato un fantasma nella loro famiglia. Itachi rispose poco dopo con tono fermo, dicendogli che tutti stavano parlando dello scontro con Sasuke; Shisui scosse la testa, conscio che Itachi fosse preoccupato dell’accaduto e Shisui non poteva non dargli torto dato che era capitato tutto così inaspettatamente. Il maggiore aveva davvero difficoltà a capire cosa fosse successo, cosa ci fosse realmente dietro allo scatto d’ira del cugino - sapeva che Sasuke non poteva più sopportarlo per aver tagliato i ponti con gli Uchiha, ma le parole che aveva detto, gli occhi deliranti che avevano guardato Shisui, non appartenevano a un ragazzo semplicemente ferito. 

     «Armi pari. No protezioni o mosse vietate» disse Sasuke stringendo così forte l’impugnatura dello shinai, l’arma di bambù di allenamento, che sembrò in grado di scavargli i palmi.
«Niente regole» non era una domanda quella di Shisui, ma una semplice affermazione che venne interrotta da un improvviso scatto di Sasuke. La punta dello shinai sfiorò pericolosamente il volto di Shisui, il quale parò abilmente il colpo – il legno cozzò tra loro, il viso per niente sorpreso di Sasuke a poco centimetri dal suo. Shisui fece qualche passo indietro, sempre senza perdere i mutamenti del volto irato del cugino.
Shisui non accennò ad attaccare, anzi, rimase immobile come se per lui la sfida fosse già finita; Sasuke digrignò i denti, palesemente non concorde - gli avevano sempre detto di controllare i propri sentimenti, di non lasciarsi sopraffare dalla rabbia, che arrivava a logorargli lo stomaco. Sasuke però non ce la faceva e anche durante il suo apprendimento, dove l’autocontrollo era alla base, talvolta doveva allontanarsi dal dōjō per riordinare la confusione che aveva in testa; ma come poteva mantenere la calma dopo quello che Danzō gli detto riguardo Shisui e di come suo fratello Itachi fosse cieco di fronte alla questione. Come poteva non odiare l’uomo davanti a lui, che aveva raccolto la sfida, ma che ora lo guardava con compassione, come se biasimasse Sasuke per essere così stupido da pensare di poterlo sconfiggere. In aggiunta, come se non bastasse, vi erano degli spettatori, membri del clan che si erano addossati all’entrata della stanza tralasciando i loro compiti per assistere allo scontro.
Di nuovo Sasuke fece la prima mossa, in quel suo modo avventato che sicuramente non gli era stato insegnato da Itachi, e Shisui la parò nuovamente, con facilità - le stecche di legno scricchiolarono nuovamente sotto alla pressione imposta da Sasuke, il quale faceva leva sui tatami per smuovere Shisui dalla sua posizione, in modo da aprire una breccia nella sua difesa; ma lo sforzo sembrò inutile.
Poi, Shisui fece forza con le braccia con tutta l’energia che aveva, tanto da far capitolare Sasuke sui tatami - le voci dei presenti si alzarono in un’ovazione sorpresa.
A terra, Sasuke rise sguaiatamente mentre Shisui lo fissava con i suoi occhi scuri, solitamente limpidi, ora leggermente offuscati da una venatura di rabbia. Il maggiore degli Uchiha lasciò cadere lo shinai, stanco dello stupido gioco in cui si era lasciato invischiare – era stato un idiota a dar corda a Sasuke, visibilmente non in sé.
«Non mi sarei aspettato di meno» Sasuke farfugliò tra sé e sé, portando lentamente la mano a stringere la propria spada di bambù, che gli era sfuggita dalla presa. Il movimento che fece in seguito fu così veloce da prendere alla sprovvista Shisui, il quale si era distratto a osservare tutti quegli uomini che parlavano tra loro eccitati, come se non vedessero l’ora di annunciare al mondo ciò a cui stavano assistendo. Sasuke fece forza sulle gambe, caricando il colpo e la protezione abbozzata dalle mani del maggiore non poté nulla contro tanta violenza - la spada colpì il volto di Shisui, il rumore delle stecche di bambù scoppiò nell’aria, seguito da un mugolio di dolore. Gli occhi di Shisui saettarono attoniti in quelli davanti a sé che, tra le ciocche corvine, lo guardavano con aria di sfida – le sopracciglia leggermente corrugate, le palpebre socchiuse che pregustavano il sapore concreto della vittoria. Sasuke abbassò lo shinai arricciando le labbra in un sorriso soddisfatto alla vista del risultato: Shisui si portò le dita al volto, lì dove sentiva il colpo vivo scaldargli la pelle e proprio in prossimità dello zigomo, si era creato un alone rossastro, che fece sorridere Sasuke.
La mente di Shisui si scoprì confusa, un blackout insostenibile, dove da una parte trovava il desiderio di vendicarsi, ma al contempo vi era stupore, incomprensione riguardo i gesti irrazionali di Sasuke. Shisui rimase immobile a contemplare il dolore che gli irradiava il volto.
Poi, attimi disorientati nella memoria di Shisui gli impedivano di ripercorrere lucidamente gli eventi; quello che i suoi ricordi gli riproponevano era un misero discorso:

«Cosa stai facendo?» Shisui ricordava di aver afferrato per un polso Sasuke e questi si era istintivamente ritratto, comunque non riuscendo a districarsi dalla stretta del cugino.
«Quello che nessuno riesce a fare» un sibilò crudo lasciò la gola di Sasuke, nel momento in cui riuscì a liberare il polso. Poi se ne andò, come se avesse superato la sfida con se stesso, ovvero di aver rotto l’osannata difesa del cugino.
Sasuke capì di avere grandi probabilità di portare a termine il proprio compito.

 

Finito il ricordo, Shisui scosse la testa per non veder materializzare davanti agli occhi l’accaduto - voleva evitare di pensare alla frase con cui Sasuke l’aveva lasciato. Shisui non capiva l’obiettivo della sfida, non comprendeva chi dovesse portare a termine cosa - poteva pensare a tante cose, al fatto che ci fosse una taglia su di lui e non si sarebbe stupito.

«Mi devi lasciare solo o ti tratteranno come un traditore, proprio come me» e forse fu la centesima volta che quelle parole abbandonarono la bocca di Shisui parlando a Itachi. 

E per la centunesima volta Itachi gli si avvicinò, sedendosi al suo fianco, «anni fa ti ho promesso che avremmo combattuto insieme, non romperò il nostro patto». Poi mostrò il taglio gemello che avevano sul braccio, il loro giuramento di sangue.

«Ho perso tutto, Itachi. La mia famiglia e il mio onore, non sono più neanche una guardia» sorrise tristemente Shisui; ormai valeva zero e tutti gliene stavano dando prova, come, ad esempio, il fatto che alcuni suoi parenti avessero perso interesse nel salutarlo, che per lo stesso Fugaku era morto e che Mikoto, in presenza del marito, si trattenesse dal parlargli come era sempre stata solita fare.

Shisui aveva la mente piena di domande senza risposta, non sapeva neanche dove ricercare la verità.

«Gli anziani parleranno presto della mia situazione e posso solo sperare di essere esiliato» Shisui spiegò. «Non è bastato un mese per decidere di me, perché le attività per la rivolta si sono intensificate. Sono passato in secondo piano anche in questo, ironico non è vero?».

«Sei innocente Shisui».

«Chi può testimoniarlo, tu Itachi? Dirai tu a tuo padre che abbiamo passato la notte insieme durante l’incendio al tempio e in che modo ne parlerai? Fugaku non porta il tuo nome davanti agli anziani solo perché sei suo figlio e se in più uscisse tutta la nostra storia, anche il suo nome verrebbe infangato».

«Lo so, ma parlerò in tuo favore. Dirò tutto se necessario» Itachi rispose ricercando lo sguardo di Shisui. 

«Non farlo».

 

 


     Sotto i ciliegi da lungo sfioriti, nella notte mentre la pioggia scendeva fitta dal cielo, Sasuke camminava per le strade del Clan - suo fratello era tornato proprio quel giorno, ma non aveva avuto modo di incontrarlo, dato che si era preparato totalmente per il suo compito e, tuttavia, gli era stato riferito che Itachi aveva già degli impegni che l’avrebbero tenuto lontano da casa.
Sasuke non diede troppo peso, così com’era impegnato nella sua prima missione ufficiale per Danzō - infatti, cercò di mantenere la concentrazione, scacciando qualsiasi pensiero, allontanando il volto di Itachi nel momento in cui sarebbe venuto a conoscenza di quello che era riuscito a portare a termine; ma più realisticamente, il nome di Sasuke non sarebbe mai uscito come esecutore della missione.
In ogni caso, Sasuke inspirò, le palpebre vibrarono per la concentrazione - non era difficile raggiungere l’abitazione di Shisui, ormai poteva trovare la strada a occhi chiusi; ma in quella precisa notte avvertiva il nervosismo fargli tremare la mano in cui impugnava la katana, ben camuffata tra i suoi abiti, ma sempre in modo studiato, affinché non consumasse neanche un secondo di troppo per estrarla dal fodero. 

Camminò per minuti in uno stato di quasi trance e, una volta entrato nel cortile dell’abitazione, Sasuke aveva percorso il perimetro della casa, camminando sulla ghiaia del cortile - le camere delle donne erano già tutte spente, neanche una fiammella di candela si rifletteva tra le pareti immacolate. Il silenzio era predominante e Sasuke controllò un’ultima volta che nessuno lo osservasse.
Poi, aveva identificato la camera da letto di Shisui, dalla quale a sua volta non traspariva un barlume; Sasuke era salito sulla veranda, la mano sempre a impugnare la katana, e neanche le assi di legno avevano scricchiolato sotto ai movimenti cauti del giovane - il passo successivo fu quello di far scorrere gli shōji e dal momento in cui varcò l’entrata, la mente di Sasuke gli ricordò che aveva pochi secondi per agire. Il giovane deglutì, ignorò il cuore che inevitabilmente prese a battere furiosamente nonostante esternamente sembrasse calmo - effettivamente, percepiva i sensi amplificati, quasi fosse uno spettatore in quella scena, ma non poteva permettersi di cedere alla pressione.
Davanti a lui, Shisui non si era mosso, steso nel futon con la schiena rivolta verso gli shōji che davano sulla veranda. Sasuke si chiese come fosse possibile che non si fosse accorto della sua presenza, ma invece di rimuginare sulla stranezza della situazione, agì sfoderando la spada.

L’uomo steso a terra riconobbe nell’immediato il rumore di una katana - si trattava solo di secondi prima che dal fodero la lama trovasse spazio nella carne. 

Quando d’improvviso Shisui fermò il braccio di Sasuke, la lama deviò dalla gola, al viso finendo a lacerare la pelle dallo zigomo fino all’occhio destro - la katana affilata aveva sfregiato la pelle del samurai, il quale era riuscito solo a scorgere il riflesso del metallo riflettere la debole luce della luna, come una scintilla. 

Shisui aveva urlato di dolore; gli occhi dell’uomo erano saettati attoniti verso la sagoma indistinta che riconobbe solo dopo secondi infiniti come Sasuke e, con tutte le sue forze, come durante lo scontro al dōjō, l’aveva gettato a terra, bloccandogli i polsi con le mani. Il più giovane imprecò a denti stretti, maledicendo la prontezza del cugino, ma non si diede per vinto, lottando con tutte le sue forze per ristabilire il suo vantaggio; infatti, Sasuke con un colpo di reni era riuscito a liberarsi dal corpo di Shisui, il quale era ricaduto sui tatami, disorientato dalla sua condizione fisica, che prepotentemente si fece più chiara una volta che l’adrenalina si stava diradando. Però, Sasuke non fece in tempo a recuperare la katana dalla quale aveva lasciato la presa, perché la stanza da letto si aprì, dal lato del corridoio interno della casa, e Itachi fece la sua comparsa.

Itachi si trovava lì da un po’ di tempo, ormai aveva perso anche il conto da quanto tempo, e come sempre la nutrice di Shisui l’aveva accolto - però, questa volta, invece di spingerlo quasi per la schiena in modo da raggiungere la stanza di Shisui nel minor tempo possibile, la donna gli aveva chiesto di fermarsi con lei per parlare riguardo il turbamento del suo quasi figlio. Avevano camminato nel cortile, per tutta la casa, e Itachi aveva ascoltato la preoccupazione della nutrice, la quale non capiva come Shisui potesse essersi rabbuiato così d’un tratto e perché non ne parlasse con lei. Dopo aver confessato le sue preoccupazioni, aveva chiesto a Itachi di sapere cosa scombussolasse la quiete di Shisui, perché era certa che Itachi lo sapesse. L’uomo, tuttavia, le mentì per non turbarla ulteriormente, rassicurandola che ora avrebbe confortato Shisui. Però, Itachi aveva perso minuti preziosi in quella conversazione.

Sasuke connesse nell’immediato il fatto per il quale il cugino non aveva, probabilmente, dato troppo peso ai leggeri rumori in casa sua: sapeva che Itachi era presente, ma comunque era troppo abbattuto per muoversi e raggiungerlo. Sasuke non avrebbe mai potuto calcolare la presenza di un “estraneo” nella proprietà di Shisui, perché dall’esterno era impossibile udire le voci di Itachi e la nutrice e tantomeno era possibile vedere la candela con cui la nutrice aveva illuminato il corridoio, che portava all’ala della camera da letto di Shisui. Forse a Shisui sembra tutto troppo abitudinario per essere strano e Sasuke ipotizzò anche questo. 

In quel momento, Sasuke fu accecato dalla rabbia di trovare suo fratello lì - Itachi aveva detto a casa di non aspettarlo, perché il suo lavoro si sarebbe protratto a ora a lui ignota. Invece, Sasuke l’aveva trovato a casa di Shisui e questa si rivelò l’ennesima menzogna, un nuovo tradimento da annoverare in quel caleidoscopio di tragedie in cui si stava tramutando il clan Uchiha. 

Sasuke decise di abbandonare il corpo di Shisui a terra e scappare verso il cortile, prima che Itachi potesse dire qualcosa o, ancor peggio, fermarlo. Il più giovane era uscito dalla scena tra urla e confusione, incredulità durante la quale Shisui aveva passato inorridito le dita sulla parte lesa, trovandole sporche di caldo liquido ematico - il sangue era iniziato a colare lungo il suo viso in alcuni rivoli, che si insinuavano tra le labbra socchiuse, vibranti per l'affanno, e il sapore ferroso si diffuse rapidamente in tutta la bocca mentre altre linee rosse erano colate lungo il collo, venendo assorbite nello yukata per la notte.
Le gambe di Shisui tremarono e non riuscì a mettersi in piedi per inseguire Sasuke, ma si rivelò talmente confuso da neanche saper cosa avrebbe dovuto fare - quindi rimase seduto a terra, ora pervaso da quell'odore forte e nauseante di sangue, tanto da prendere coscienza del dolore lancinante che lo paralizzava. Shisui avvertì l'impellente bisogno rigettare anche l’anima.
Poi, guardandosi confusionariamente attorno in cerca di aiuto, Shisui capì di non vedere realmente ciò che aveva davanti agli occhi - si era tirato indietro i capelli attaccati al viso nel vano tentativo di mettere ordine in quel caos e aveva tentato più volte di stringere le palpebre per delineare i contorni delle ombre, che continuavano ad apparire sfuocati e scossi da violenti tremiti. Non aveva mai provato un dolore simile, peggio di un osso rotto, che gli impediva di respirare e unito al grosso buco nero che si stagliava nella sua visuale, il tutto si rivelò insopportabile. Shisui era entrato in uno stato confusionario e l’ultimo pensiero coerente che fece fu quello di realizzare che se Sasuke non fosse già scappato, sarebbe sicuramente morto - vedeva già la katana trafiggergli il petto o infierire sulla pelle resa inerme a causa della profonda ferita.

Dopo quelle che sembrarono ore, Shisui a malapena percepì Itachi parlargli, chissà da quanto tempo, ma il samurai intravide solo la sua bocca muoversi, i suoni muti. Shisui non sentiva il pianto della nutrice, le sue urla per allontanare le dame, che erano corse in direzione della stanza del loro signore a causa del trambusto.
Shisui chiuse con la mano anche l’occhio sano quando Itachi avvicinò una lampada, la cui fiammella era tenue nella protezione di carta di riso - era come se fosse totalmente accecato da quel fuoco, simile a un incendio ai suoi sensi. Itachi prese un lenzuolo del futon e coprì l’occhio lacerato dell’uomo, impreparato a una tragedia simile. 

L’ennesimo conato di dolore paralizzò i sensi del maggiore - non riusciva più a pensare e sentì le forze venire meno. 

«Mandate a chiamare qualcuno» ordinò Itachi, con il briciolo di fermezza che gli era rimasto. 

La nutrice ordinò alla donne della casa di trovare il medico più vicino. 

 

 

 

     Sasuke si stava recando all’abitazione di Danzō, doveva parlargli del fatto che aveva fallito e non aveva portato a termine la missione, come invece auspicava il funzionario.
Per colpa di Sasuke, la vita di suo padre e di sua madre poteva essere a rischio - il giovane non conosceva così profondamente l’animo di Shisui, soprattutto dato che nell’ultimo periodo aveva creato un muro invalicabile con quest’ultimo, ma era preoccupato che il maggiore potesse davvero creare una vendetta concreta visto gli ultimi crimini di cui si era macchiato. Di suo fratello non gli interessava, era un traditore d’accordo con Shisui e sarebbe stato sempre dalla sua parte. Suo padre aveva sempre avuto ragione in quella faccenda.
Sasuke corse a perdifiato quella notte, senza mai fermarsi - l’adrenalina gli scorreva nelle vene e non tentennò neanche alla pioggia che gli sferzava il volto, gli abiti ora macchiati di acqua e sangue.

     Danzō aveva dato a Sasuke delle indicazioni precise e quindi si era recato sicuro nel varco che gli era stato detto - un pezzo di muro della recinzione della casa era in fase di ricostruzione e Sasuke, scavalcando gli attrezzi lì lasciati, si era infiltrato facilmente, raggiungendo la stanza descritta da Danzō come il suo studio; era un locale di pochi tatami, forse troppo piccolo per uno studio, che sicuramente, nel suo immaginario, doveva essere ricolmo di libri e documenti. Quando Sasuke fece scorrere i pannelli, vi trovò un ambiente vuoto: un tavolino sul quale vi erano dei sacchetti di monete, un abaco e una lampada a olio spenta, gli shōji rattoppati.
Sasuke tese le orecchie allo scricchiolare del pavimento sotto a dei passi pesanti. Poi, un uomo irruppe nell’ufficio e diede l’allarme, apostrofando Sasuke come un intruso - le grida possenti della guardia sicuramente svegliarono tutti e nullo fu il tentativo del giovane di metterlo a tacere, perché la guardia l’aveva assalito e Sasuke si era limitato a difendersi, seppur barcollando per la sorpresa dato che non sapeva come reagire. Dopotutto, si trattava di una guardia di Danzō come poteva non sapere del loro accordo?
Comunque, per la fretta, la guardia aveva lasciato cadere il fuoco che portava con sé e Sasuke aveva cozzato contro la lampada a olio, la quale era rovinata sui tatami - tutto il fragile insieme della struttura prese fuoco in un attimo, alimentato dall’olio che creò una coltre nera. Invano fu il tentativo di diradare il fuoco e gli abitanti della casa erano scappati in strada urlando aiuto, mentre gli uomini di servizio tentavano in ogni modo di togliere ossigeno all’incendio.
In quell’apocalisse, Sasuke era stato messo in ginocchio con un colpo alla tempia - non seppe dire da chi o da dove arrivò l’attacco, i suoi occhi bruciavano a causa delle fiamme ardenti. Poi, quando aveva rialzato le palpebre, si era trovato all’esterno dell’edificio, accerchiato da persone.

«Si è infiltrato dall’area ovest, ed è armato» disse affannato un uomo, il proprio haori bruciato nel tentativo di domare le fiamme. 

«Deve essere stato lui ad appiccare il fuoco!» Fu la volta di una dama da compagnia di parlare, le lacrime agli occhi le facevano tremare la voce, mentre gli altri domestici rimasero impietriti di fronte alla residenza che veniva man mano consumata dall’incendio.



 

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