So, before you go…

di Duodoppioteam99
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Ritorno a casa ***
Capitolo 3: *** Volevo dirti che… ***
Capitolo 4: *** Rotta verso Austropoli ***
Capitolo 5: *** Sulle tracce di N ***
Capitolo 6: *** Tre contro tre ***
Capitolo 7: *** Non vivere di ricordi ***
Capitolo 8: *** Ruota Panoramica ***
Capitolo 9: *** L’importanza di un amico ***
Capitolo 10: *** L'urlo del Drago ***
Capitolo 11: *** Ghiaccio ed elettricità ***
Capitolo 12: *** Sogno o realtà? ***
Capitolo 13: *** Il signore del Sottosuolo ***
Capitolo 14: *** Il re delle illusioni ***
Capitolo 15: *** Un nuovo compagno ***
Capitolo 16: *** Visita di controllo ***
Capitolo 17: *** L'inizio di un viaggio ***
Capitolo 18: *** Cuneo DNA ***
Capitolo 19: *** Scontro ***
Capitolo 20: *** Il vecchio Saggio ***
Capitolo 21: *** Cosa stai cercando di dirmi? ***
Capitolo 22: *** Segui il Pokèmon ***
Capitolo 23: *** Grazie, Touko. ***
Capitolo 24: *** Giornate d'autunno ***
Capitolo 25: *** La città sul mare ***
Capitolo 26: *** Ciprian ***
Capitolo 27: *** Tra Leggenda e realtà ***
Capitolo 28: *** Tepig ***
Capitolo 29: *** Ritrovamenti ***
Capitolo 30: *** Verità ***
Capitolo 31: *** Tutto è bene quel che finisce bene ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo 
Gli arazzi color violaceo con rappresentato il logo del Team Plasma ancora erano mossi dal vento creato dall’ultimo attacco del Pokèmon che si trovava al centro della grande sala del castello dalle pareti dorate, mentre una leggera scia di fumo mista polvere si levava dai massi e dalle parti di cornicione cadute in seguito alla violenta lotta tra i due leggendari. 

Al mio fianco si stagliava il Pokémon Verità, Reshiram, in tutta la sua maestosità. Il corpo ricoperto dalle bianche piume era avvolto da sottilissime fiamme, quasi impercettibili, segno dell’energia precedentemente sprigionata dall’ultimo suo attacco, Incrofiamma. 
Attacco che era risultato fatale alla sua controparte dal color pece, Zekrom, che si trovava al fianco di N dal lato opposto del grande salone. 
Intorno a noi l’aria era molto pesante e il silenzio quasi assordante.

Fu proprio N, deluso e amareggiato dalla pesante sconfitta subita, a iniziare il discorso: “ …Sconfitti… io e Zekrom, sconfitti… Gli ideali che hanno guidato la tua lotta sono più forti dei miei. Reshiram e Zekrom… Hanno entrambi scelto il proprio eroe. Non avevo considerato tale possibilità: Due eroi nella stessa epoca! Uno persegue gli ideali e l’altro la verità. Che abbiano entrambi ragione? Non capisco. Come fanno due sistemi di pensiero opposti a non annullarsi a vicenda? È possibile che sia questa la formula per cambiare il mondo?’’.

Mentre N parlava, sentivo le sue parole distanti e ovattate, mente la mente era annebbiata, probabilmente a causa della lotta appena terminata  tutt’altro che semplice e leggera da sopportare. 
Inoltre sapevo con certezza dove N voleva arrivare con il suo discorso, e a quel pensiero mi si formò un nodo alla gola e sentì il cuore farsi più pesante. Sarebbe volato via da me, senza aver avuto la possibilità di un confronto. Sarebbe volato via senza sapere quanto lui stesso fosse stato importante per me e per la mia crescita personale durante tutto il viaggio ad Unima. 
Ero arrivata a questo punto solo grazie a lui?

“Touko” fu quando richiamò il mio nome che tornai ad ascoltarlo veramente, ridestandomi dai miei veloci pensieri. 
“Hai detto di avere un sogno anche tu… Se è vero, realizzalo! Insegui il tuo sogno e fallo diventare la tua verità! Sono sicuro che tu ci riuscirai! È tutto ciò che volevo dirti. Addio!’’

E dal lì in poi fu tutto molto rapido. 
Non ebbi il tempo di fare un gesto per cercare di fermarlo, che lui saltò sulla schiena del suo nero Pokémon, che nel frattempo aveva recuperato energia, e tramite un varco aperto nel muro durante la lotta volò al di fuori del castello. 
L’ultima cosa che vidi fu la sua folta chioma verde ondeggiare nel vento, disordinata come al solito.

A quel punto non seppi come reagire, e per la prima volta durante tutto il mio viaggio, mollai. Avrei potuto seguirlo sicuramente, ma in quell’istante non ebbi la prontezza necessaria. 
La testa si fece ancora più pesante, la mente annebbiata e le gambe si fecero molli sotto al mio peso. Svenni. 
L’ultima cosa che sentì fu il richiamo acuto di Reshiram, ormai allontanato dalla sua controparte, e le urla dei miei amici Komor e Belle che cercavano inutilmente di farmi rinsavire.  

Tutto inutile. 





 
————
Buona sera lettori. 
Innanzitutto vi ringrazio per aver aperto la storia ed essere arrivati fino alla fine di quello che per ora è solo il prologo. 
Volevo inoltre parlavi brevemente di me e l’idea da cui è nata questa storia. 
Non sono una assidua giocatrice di Pokémon. Ho iniziato per caso giocando a Pokémon Diamante e successivamente ho seguito con interesse le avventure di Pokémon Bianco e Nero e qualche successiva versione. 
Si lo so, la storia di N e Touko è ormai trita e ritrita all’interno del fandom e trattata in tutte le salse, quindi perché non aggiungerne una in più?
Ho deciso però di scrivere perché trovo che l’avventura di Bianco e Nero sia stata la più bella tra le versioni con cui ho giocato (purtroppo come già detto non ho grande esperienza e quindi ho pochi termini di paragone, perdonatemi). Il personaggio di N, affascinante e misterioso, continua a piacermi ancora oggi che sono cresciuta, e al tempo (avevo circa 13 anni) rimasi quasi sconvolta e con un vuoto dentro quando terminò il gioco e lui sparì inspiegabilmente, così, dicendo addio e basta. 
Inutili i tentativi di ricercalo per la regione, sappiamo tutti che il suo ritorno si vedrà solo con la versione di gioco successiva. 
E quindi ho più volte immaginato come poteva essere il continuo della storia, e quindi eccoci qui. 
Bene, scusatemi per la presentazione più lunga del prologo ma la ritenevo necessaria. 
Cercherò di aggiornare con il primo capitolo il più velocemente possibile, perché questo prologo serve davvero solo come introduzione.

Ps: mi auguro che la storia sia gradevole e leggibile anche dal punto di vista grafico, perché ho avuto problemi nel caricamento. Se avete consigli o idee su come migliorare vi ringrazio in anticipo…

Spero apprezzerete e grazie a tutte le persone che leggeranno e recensiranno la storia, e anche a chi solo la leggerà in silenzio. 
A presto!
 












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Capitolo 2
*** Ritorno a casa ***


Capitolo 1 
Era una tranquilla mattinata a Soffiolieve. 
Il cielo era limpido e sgombro da nuvole mente una leggera brezza si faceva largo tra le fronde degli alberi che circondavano la piccola cittadina. Il tutto era accompagnato dal rumore delle onde del mare che si infrangevano sul piccolo terrazzo costruito appositamente per osservare l’oceano e per poter talvolta immaginare le bellezze che si celavano al di là di esso. 
Un paesaggio all’apparenza idilliaco, in contrasto sicuramente con gli avvenimenti burrascosi e poco tranquilli di certo, di chi abitava nelle case del villaggio. 

Mi svegliai con gli occhi appannati e la visione leggermente offuscata, segno di una lunga e rilassante dormita. Dalle finestre penetrava un leggero ma caldo raggio di sole, segnale che indicava che la mattinata era ormai inoltrata. 
Mossi leggermente le dita della mano e la prima cosa che sentii furono delle lenzuola morbide al tatto e dall’odore fruttato inconfondibile. Ero tornata a casa. 
Aprii gli occhi, le palpebre ancora pesanti, e mi guardai velocemente in giro. Sì, era proprio camera mia e nulla era cambiato dalla mia ultima visita. La TV e i videogiochi annessi erano ancora al loro posto, la scrivania di fronte al letto ben ordinata e soprattutto, non un filo di polvere sugli oggetti. Tipico di mia madre a dirla tutta, che non perdeva mai occasione di rispolverare la camera della sua unica figlia. 
L’ambiente luminoso e dai colori vivaci si fece però più buio quando i pensieri dei giorni appena trascorsi si fecero largo nella mia mente. 
Come ero arrivata fino a casa? Le ultime cose che ricordavo erano le urla dei miei amici che cercavano di richiamarmi e…N.
Strizzai gli occhi come per scacciare i brutti pensieri dalla mente e cercai velocemente di alzarmi. Ma quanto avevo dormito? 
Con il corpo ancora intorpidito mi avviai verso le scale per recarmi in soggiorno e fu solo quando mi avvicinai ad esse che sentì delle voci provenire dal piano di sotto. Tesi l’orecchio per ascoltarle. 

“Si è da ieri mattina quando l’avete accompagnata a casa che non si è più svegliata. Il dottore che la ha visitata dice che è normale dato tutto lo stress accumulato nell’ultimo periodo”. Riconobbi in un attimo la voce preoccupata di mia madre. Quanto tempo era passato dall’ultima volta che l’avevo vista e sentita, probabilmente anche solo tramite interpokè. Decisi allora che era giunto il momento di andare a salutarla e soprattutto, farle vedere che stavo bene. 
“Immagino… speriamo si risvegli al pi-”. Riconobbi subito anche la voce del mio amico Komor, che non fece in tempo a terminare la frase a causa del mio arrivo in salotto. 
Quando mi videro entrambi non poterono far altro che voltarsi verso di me e mia madre subito si alzò dalla sedia su cui si trovava e venne a stringermi in un forte abbraccio, senza proferire parola. Non potei far altro che ricambiare ad uno degli abbracci più forti che ricevetti in tutta la mia vita, segno che mi fece capire quanto le ero mancata e quanto fosse alta la sua preoccupazione. 
Nel frattempo guardai Komor, che non si era mosso dalla sua posizione, in piedi di fianco al tavolo, e lo vidi emettere un leggero sospiro. Successivamente un piccolo sorriso si fece largo sul suo volto e non potei fare altro che ricambiare. 
Quando mia madre sciolse l’abbraccio potei notare i suoi occhi lucidi e le guance più colorite, segno dell’emozione che stava provando. 
Fu Komor a prende parola: “ Bhe, visto che abbiamo appurato che sei in piedi non mi resta far altro che tornare dopo, tu e tua madre avrete molto di cui parlare, come è giusto che sia”. 
Mi avvicinai a lui e gli portai una mano tra i capelli, per spettinarglieli leggermente, sapendo quanto questo gesto creasse in lui del fastidio. Lui che voleva sempre sembrare perfetto e sul pezzo non poteva permettersi di avere i capelli in disordine. Ma personalmente la consideravo come un’ azione bonus che potevo permettermi solo in quanto rappresentavo per lui “una vecchia amica d’infanzia”, titolo che mi era stato affibbiato poco prima di partire per il nostro viaggio. 
Velocemente salutò poi me e mia madre e lasciò la casa. 

Dopodiché mi sedetti al tavolo e mia madre si offrì di preparami una buona cioccolata calda per iniziare al meglio la giornata. E fu con una tazza fumante tra le mani che parlai del mio viaggio. Da come fossi partita con il mio primo Pokémon Oshawott, alla prima medaglia in palestra, alla prima evoluzione affrontata e inattesa, al primo incontro con il Team Plasma e alle prime lotte più impegnative che mi ritrovai ad affrontare. Le parlai dei diversi Pokèmon che avevo catturato, come li avevo allenati e di come questi ultimi si fossero legati a me in modo indissolubile. Le parlai soprattutto di Reshiram, il grande Pokèmon leggendario di Unima che aveva scelto di percorrere una parte del suo viaggio al mio fianco, fidandosi ciecamente di una ragazza di soli diciotto anni alla rincorsa di un sogno.
Avrei potuto parlare per ore e lei, al contrario, sarebbe potuta rimanere ad ascoltami per un tempo indefinito. 
Le accennai anche del misterioso ragazzo dai capelli color verde foglia che avevo incontrato e di come mi fossi legata in breve tempo a lui in modo impercettibile, di come fossi stata coinvolta nel risveglio dei Leggendari fino alle vicende che mi avevano visto vincitrice nello scontro tra Ideali e Verità. E fu a quel punto del discorso che il mio sguardo si rabbuiò e la mia voce si abbassò di qualche tono. 
Fortunatamente mia madre sembrò non cogliere questi ultimi particolari, o almeno non lo diede a vedere, ma anzi continuò ad ascoltarmi con un leggero sorriso sul volto e con lo sguardo interessato. 

“E quindi?” iniziò lei “ora cosa pensi di fare cara?” chiese dopo il mio lungo discorso. 
A quella domanda mi bloccai. Era vero, ora cosa avrei fatto? Avevo raggiunto il titolo di Campionessa al quale tanto aspiravo, avendo battuto N che a sua volta aveva battuto Nardo. Cosa avrei potuto fare? Partire nuovamente per un viaggio era fuori discussione, i ricordi erano ancora troppo freschi e talvolta dolorosi.
Avrei potuto cercare un normale lavoro come molti, ma sarei stata davvero felice? 
Senza la figura di N da inseguire lungo il mio cammino, senza un Team da sconfiggere… che cosa mi rimaneva da fare? A pensarci bene il mio viaggio era stato improntato proprio solo su questo: a raggiungere la città successiva, a vincere medaglie per diventare più forte per battere le reclute del Team Plasma che ogni giorno si facevano più potenti e preparati, al ricercare la figura di N in molteplici città per cercare di estrapolare informazioni sul suo piano finale… che senso aveva viaggiare ora? 
“Non ne ho idea mamma”. Risposi in modo piatto. 
“Bhe sai, diverse sono le opzioni. Komor mi ha parlato prima mentre non c’eri della volontà di lavorare come Insegnante nelle scuole per Allenatori, mentre Belle ha accennato tempo fa della sua volontà di voler lavorare con la Professoressa Aralia per delle ricerche laboratoriali qui a Soffiolieve. Potresti unirti a lei…”. Replicò mia madre. 
“Non sono un tipo da laboratorio mamma, e lo sai bene. Non credo però che continuerò con le lotte Pokèmon o i viaggi, ormai sono una Campionessa è vero, ma il mio obbiettivo è stato raggiunto, non ho più nulla da inseguire. I miei Pokèmon sono forti e preparati e difficilmente troverò qualcuno in grado di battermi qui ad Unima”. 
L’espressione felice di mia madre a quelle parole mutò. 
“Sai cara, credo che in questo caso tu stia cadendo in errore. Non si finisce mai di imparare, soprattutto per quanto riguarda il mondo Pokèmon. Ci sono tante sfaccettature che si possono scoprire, tanti luoghi da visitare, tanta gente da conoscere e…” provò a incoraggiarmi mia madre.
Ma non le diedi il tempo di terminare la frase che, senza alcun controllo su me stessa, sbottai in preda alla rabbia e al nervoso: “ Ma tu che ne sai mamma eh? Tu non hai mai viaggiato, non sei mai partita per un’avventura. Non hai idea di quanti posti abbia girovagato, di quanti Pokèmon io abbia incontrato. Potrei disegnare la mappa di Unima in ogni suo piccolo particolare a memoria se solo volessi”. Strinsi i pugni a quelle parole. “ Non hai idea di quanta gente abbia incontrato e di quanta gente io sia rimasta delusa lungo il mio cammino…” a queste parole l’immagine di N che si allontanava mi balenò in mente come un fulmine a ciel sereno. Sentivo gli occhi pizzicare. “È vero, ho vissuto delle esperienze bellissime con i miei amici Pokèmon, ma ho deciso che saranno solo dei ricordi. Ho imparato tanto ma è il momento di voltare pagina.”. Mentre pronunciavo quelle parole, i miei pensieri erano diretti ad un ragazzo dai capelli verdi, che anche volendo, non riuscivo a togliermi dalla testa. A quel ragazzo che avevo imparato a conoscere. A quel ragazzo che avrei voluto conoscere ancora più a fondo. A quel ragazzo di cui, nonostante tutto, mi ero innamorata e che purtroppo avevo perso. Difficile ammetterlo. Perché era successo proprio a me tutto questo? Perchè proprio a me un viaggio così turbolento?

Alzai lo sguardo, che per tutto il tempo della mia sfuriata era rimasto basso, e fu solo in quel momento che incrociai quello di mia madre, stavolta amareggiato dalle mie parole. Mi sentì piccola di fronte a lei in quel momento ma non mi importava. Fu quel punto mi allontanai e mi fiondai in camera. 
“ Tu non puoi capire mamma”, ripetei velocemente prima di sparire al piano di sopra. 

Una volta in camera mia mi avvicinai alla finestra e lentamente scostai le tende leggere che coprivano la visuale. Le onde del mare si increspavano monotone alla mia vista e si poteva scorgeva qualche Pokèmon giocare tra le onde. Difficile però riconoscerne il tipo. 
Sospirando mi avviai verso il letto ancora disfatto e distrattamente presi in mano delle fotografie appoggiate sul comodino che si trovava lì vicino. 
Erano immagini di anni passati e rappresentavano me e i miei amici di una vita, Komor e Belle, intenti a giocare con dei piccoli Pidove e Patrat. Eravamo giovanissimi ai tempi e senza pensieri negativi per la testa e l’unico sogno nel cassetto era quello di poter partire per un viaggio tutti i insieme. Sembrava passata un’eternità da quel periodo…
Quando alzai gli occhi notai sempre sul comodino un piccolo ciondolo luccicante che prima era stato nascosto dalle foto. Si trattava di una piccola targhetta rettangolare con rappresentata una piccola “T”, iniziale del mio nome, e inciso di fianco la frase “Soffiolieve: crocevia di destini”. Anche questo era un ricordo della nostra infanzia, infatti sia Komor che Belle possedevano una targhetta identica, con l’eccezione della lettera iniziale del nome che, per ovvi motivi, era diversa. 
E la targhetta riportava il vero, Soffiolieve anche se piccola era davvero un crocevia di destini di persone incontrate per caso ma legate per la vita ormai. Noi eravamo un lampante esempio.
Decisi che avrei portato quell’oggetto con me, e quindi lo attaccai meglio che potevo ai pantaloncini dei jeans che indossavo la maggior parte delle volte fuori casa. 

Terminato il lavoro non feci in tempo ad osservare il risultato che qualcuno bussò alla porta di casa e sentii mia madre subito andare ad aprire ed esclamare: “Oh buongiorno Nardo, cosa posso fare per lei?”.


Continua…

 








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Capitolo 3
*** Volevo dirti che… ***


Capitolo 2
“Oh buongiorno Nardo, cosa posso fare per lei?”.

Sbarrai gli occhi e mi bloccai sul posto. 
Nardo. 
Il Campione, o meglio, l’ex Campione della Lega Pokèmon di Unima si trovava sulla mia porta. A casa mia. A Soffiolieve. 
Quella giornata era stata come svegliarsi da un incubo e vivere un incubo. Decisamente. Nonostante tutto Nardo era una figura importante nel mondo Pokèmon e non potevo fa altro che essere onorata dalla sua visita.
Velocemente cercai di vestirmi per indossare qualcosa di più presentabile del pigiama che ancora indossavo e scesi in salotto. 

“Buongiorno Campionessa! Come andiamo?” furono le prime parole di Nardo quando mi vide sbucare di corsa per le scale. 
Sicuramente aveva un aspetto particolare per essere un Campione. Quello che spiccava di più era il colore dei suoi capelli, rosso fuoco, accompagnati da alcune ciocche color castagna ai lati. Se nella parte più alta sembravano indomabili e sfuggevoli, nella parte più bassa erano raccolti in una spessa coda. 
In volto un sorriso smagliante con ai lati delle piccole rughe, presenti anche intorno agli occhi anch’essi sorridenti, segno dell’età avanzata ma che indicavano anche lo stress e la fatica accumulati negli anni a causa delle innumerevoli lotte, non sempre facili sicuramente, per mantenere il titolo di Campione. 
Indossava inoltre un ampio scialle color avorio con dei ricami tribali colorati e al di sotto dei pantaloni bianchi. Ai piedi portava delle normalissime ciabatte. 
Sicuramente un personaggio singolare. 
Il braccio ancora teso verso l’alto in segno di saluto si abbassò quando fu lui stesso ad avvicinarsi a me. Solo allora potei notare le pokèball che teneva al collo ciondolare seguendo il movimento dei suoi passi. 

“Volevo innanzitutto farti i miei complimenti per la vittoria ottenuta contro il Team Plasma e i suoi sette Saggi. E soprattutto volevo farti i complimenti per aver battuto in così breve tempo il ragazzo che a sua volta ha battuto me. Mi sfugge il nome in questo momen-”.
“N” ribattei velocemente io “Si chiama N e credo non si trovi più ad Unima in questo momento”. 
Mi maledii mentalmente per quello che avevo appena detto e sperai con tutto il mio cuore che Nardo non fosse in vena di porre domande. 
“Oh si giusto, hai fatto bene a ricordarmelo. In realtà sono qui però perché la Professoressa Aralia ha chiesto esplicitamente di accompagnati al suo laboratorio per farle osservare il leggendario Reshiram dal vivo, e nel frattempo ha chiesto a me di raccontarle le leggende che si narrano su di esso” tagliò corto lui, per mia fortuna. 
Annuii e velocemente andai a recuperare al piano di sopra la pokèball che apparteneva a Reshiram. 
Quando ritornai Nardo mi aspettava sulla porta di casa ormai aperta. Salutai velocemente mia madre che per fortuna non pareva arrabbiata dalla sfuriata riservatale qualche momento prima, anzi mi salutò a sua volta con un grande sorriso. Probabilmente poteva capire lo stress che ancora portavo sulle spalle dopo i recenti accadimenti. 

Il laboratorio della Professoressa si trovava sempre a Soffiolieve e quindi il tragitto fu molto breve. 
Quando arrivammo la trovammo intenta a lavorare su più computer contemporaneamente e su fogli disordinati, frutto sicuramente della sue ricerche. Era sempre stata una grandissima donna con una genialità impressionante, e nel tempo non era cambiata. 
“Buongiorno Nardo, buongiorno Touko” furono le sue prime parole appena ci vide, accompagnate da un largo sorriso “Touko da quanto tempo! Sono sicura che hai compiuto un viaggio interessantissimo e un giorno me lo racconterai nei minimi dettagli, ma in questo momento sono un pò impegnata e quindi ti chiederei subito la possibilità di osservare il leggendario Reshiram dal vivo. Ho bisogno di raccogliere tutte le informazioni possibili su di lui ora che lo abbiamo così vicino a noi”. I convenevoli non erano mai stati il suo forte. Andava sempre e subito dritta al punto. 

Così ci spostammo nel retro del laboratorio che si affacciava sulla foresta. 
Soffiolieve non era una grande cittadina ed era abbastanza nascosta tra gli alberi, ma un Leggendario del calibro di Reshiram non si poteva osservare tutti i giorni, quindi era meglio rimane discreti. 
Feci uscire il Pokèmon che si palesò dinanzi a noi accompagnato da una piccola scia azzurra. Appena uscito aprì velocemente gli occhi zaffirini, lunghi e sottili, ed emise il suo grido di battaglia, acuto e potente. Era magnifico da ammirare. Bianco come la neve, le zampe robuste puntate saldamente a terra, la coda lunga e sempre pronta a infiammarsi durante una lotta, il corpo possente con le ali in questo momento portate in posizione di riposo di fianco al busto, e poi bhe… il lungo collo che portava all’apice la testa simile a quella di una volpe e con uno sguardo affilato che incuteva un certo timore solo a guardarlo. 
Mi avvicinai ed allungai una mano verso di esso. Subito si abbassò per raggiungere la mia mano con il suo muso farli toccare. Come un piccolo gattino insomma. Era una sensazione incredibile. Non avevo passato moltissimo tempo con Reshiram rispetto ad altri miei Pokèmon, ma il nostro legame era sicuramente molto forte. Chi lo avrebbe mai detto che Reshiram avrebbe scelto me? 
Automaticamente mi chiesi se anche N e Zekrom avessero lo stesso rapporto, ma non ebbi il tempo di pensare oltre che la voce di Aralia mi ridestò. 
“Beh direi proprio che non è un avvenimento usuale. Potrei osservalo più da vicino?” chiese accorta. 
“Certo” risposi “anche se non sembra è molto tranquillo finché non coinvolto in lotte”. 
La professoressa Aralia lo osservò per un tempo non certo breve, e d’altra parte il Pokèmon portò pazienza a lungo, senza mai scomporsi, ma sempre osservando i movimenti della Professoressa e talvolta ricercando il mio sguardo.
“Nel frattempo che siamo qui riuniti” sentenziò Nardo “ne approfitto per raccontarvi la storia di questo maestoso Pokèmon, così da dare ad Aralia spunti su cui lavorare. Si narra che in passato Reshiram e Zekrom fossero riuniti in un solo Pokèmon ancora più potente che portava il nome di “Drago originale” ed era controllato da due eroi fratelli fondatori di Unima. Il primo perseguiva gli Ideali e il secondo la Verità ma un giorno questo due unità caddero in conflitto l’uno con l’altro. 
Fu per questo motivo che il Drago originale si scisse in Reshiram e Zekrom e quest’ultimi misero a ferro e fuoco la regione di Unima, fino a distruggerla. Reshiram tramite uso del fuoco e Zekrom tramite l’uso di elettricità. 
Anche dopo che i due fratelli si dichiararono tregua i due Leggendari continuarono a combattere fino a sparire nel nulla un giorno. 
Si racconta anche che il Pokèmon rimasto dalla scissione, Kyurem, si sia stabilito nel ghiaccio nei dintorni della Fossa gigante, vicino a Fortebrezza. Sono solo leggende però, nessuno lo ha mai visto dal vero e forse è meglio così perché si dice che sia un essere molto aggressivo. Non oso immaginare cosa potrebbe succedere se decidesse di portare la sua aggressività al di fuori della Fossa.”.

Mentre Nardo narrava la leggenda, che ai tempi anche N in uno dei nostri incontri mi aveva raccontato, io e Aralia non potremmo fare altro che ascoltare estasiate. 
“È impressionante venire a conoscenza delle diverse storie che si celano dietro ad un singolo Pokèmon” sentenziò Aralia “c’è sempre da imparare e da scoprire, cercando di discernere quello che è la leggenda dalla realtà ovviamente”. Successivamente si voltò verso Nardo: “ Ti andrebbe di raccontarmi ancora qualcosa si questo Pokèmon? Ho raccolto abbastanza dati qualitativi su Reshiram al momento e inoltre sono certa che Touko abbia molto da fare. È tornata da poco e avrà sicuramente diversi affari da sistemare. Giusto Touko?”. 
“Oh certo, in realtà stavo proprio pensando di andare a salutare Komor e Belle se non avete più bisogno di me qui” risposi decisa. 
“Certo Aralia, nessun problema” rispose Nardo con un gran sorriso “ però prima di lasciare andare la nostra Touko mi piacerebbe dirle due parole”. 
Improvvisamente capii che Nardo non era giunto a Soffiolieve solo per accompagnarmi da Aralia, ma anche perché doveva parlarmi. 
E la cosa non mi piaceva… 
Che si trattasse di qualcosa riguardo N? 
Subito a quel pensiero mi si formò un nodo all’altezza dello stomaco ma cercai di mantenere il solito atteggiamento distaccato. Non era possibile che il solo pensiero di quel ragazzo potesse causarmi un così forte effetto. 

Nonostante questo Nardo mi accompagnò al di fuori del laboratorio e iniziò nuovamente il discorso. 
“ Touko, non ho parlato di questo al nostro incontro perché volevo prima tentare di rompere il ghiaccio ma volevo farti sapere che… tu non sei la campionessa in carica di Unima” disse tutto d’un fiato e senza evidenti peli sulla lingua.
Oh no. 
“Non sei la campionessa in carica in quanto N quando mi ha sconfitto al castello non è stato registrato correttamente dal software della Lega, e non è stata presa visione di tutti i suoi Pokèmon. In aggiunta ha utilizzato nella lotta un Leggendario e questo nelle regole non è consentito”.
OH NO. Questa giornata si stava rivelando davvero un incubo come pensavo. 
“Quindi il campione in carica sono ancora io, anche perché ormai come hai detto tu non credo che N si trovi più ad Unima o abbia intenzione di ritornare a sfidarmi. Sono troppo forte”.
E detto questo scoppiò in una grassa risata e mi diede una bella pacca sulla spalla, come se quello che mi aveva appena raccontato fosse una barzelletta. Non che ci trovassi nulla di divertente in tutto questo chiariamoci. Ero talmente sconvolta che non diedi nemmeno peso alle parole riguardanti N allontanato dalla regione. 
“Bene, volevo dirti questo. Quindi quando sarai pronta nuovamente sai dove trovarmi. Ti aspetto alla Lega Touko!”. 
E detto questo si allontanò e rientrò nel laboratorio della Professoressa Aralia, sempre come se nulla fosse, con una mano tesa in un saluto ed il solito sorriso smagliante in volto. Se ne era andato così come era arrivato. Senza preavviso e sprizzando vitalità da tutti i pori. 

Rimasi immobile come uno stoccafisso per non so quanto tempo, davanti al laboratorio, cercando di realizzare le sue parole.
Non ero ancora Campionessa…
Certo, i miei Pokèmon erano forti. Avevamo battuto moltissima gente stratega e abile lungo il mio cammino e riuscivo a battere la mia amica Belle senza problemi. Impegnandomi anche quel genio di Komor… ma Nardo? 
Qualche mese fa mi sarei catapultata alla Lega senza ripensamenti e a testa alta per battere il Campione, ma ora, dopo gli ultimi accadimenti, sentivo che qualcosa era cambiato in me. 
Un vuoto dentro mi accompagnava lungo le mie giornate, ma non si trattava di un bisogno colmato dalle lotte Pokèmon. Si trattava di altro, come se la mia vita fosse incompleta… 
Decisi che ne avrei parlato con i miei fidati amici anche se potevo già immaginare le loro risposte. 
Mi avviai verso le loro case ma venni bloccata dal suono dell’Interpokè.
Risposi alla chiamata e dall’ologramma che apparve riconobbi mia madre. La voce metallica recitò le seguenti parole: “Tesoro, quando hai terminato con la Professoressa Aralia ti aspetto a casa perché dobbiamo recarci a Spiraria il prima possibile. Una mia cara e importante amica vuole conoscerti”. 


Continua… 



 

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Capitolo 4
*** Rotta verso Austropoli ***


Capitolo 3
“E così sei ancora una comune mortale come noi due…” sentenziò scherzosamente Komor sistemandosi al meglio gli occhiali sul naso. 
Dopo la chiamata di mia madre decisi che sarei comunque passata a salutare i miei due amici Komor e Belle, e in quel momento ci trovavamo a casa di quest’ultima, nella sua cameretta. 
“Allora possiamo dire di essere ancora tutti e tre in corsa per il titolo di Campione” precisò Belle che si trovava sdraiata sul letto. La mia amica era una ragazza dolcissima e a volte anche un po’ impacciata ma le lotte Pokèmon non erano mai state il suo primo pensiero. Certo si impegnava per diventare più forte ma il suo desiderio primario non era quello di diventare Campionessa. Questo titolo era considerato da lei come una soddisfazione finale di un viaggio intorno ad Unima, ma non fondamentale. Infatti la sua principale volontà era quella di conoscere e studiare i diversi Pokèmon e non mi stupiva la sua intenzione di affiancare la Professoressa Aralia in laboratorio. 
“Esattamente, potremmo anche dirigerci alla Lega Pokèmon per sfidare Nardo anche ora e batterti sul tempo cara Touko, ma non si è mai troppo preparati per queste sfide. Un allenamento ulteriore prima di una lotta è sempre contemplato”. Komor, al contrario di Belle, era sempre stato il più freddo e calcolatore. Non lasciava mai nulla al caso. Ragionava sempre sulle opzioni che gli si presentavano dinnanzi e amava insegnare ciò che aveva imparato nel tempo. Era la perfetta figura che una Scuola per Allenatori richiedeva. 
Entrambi i miei amici avevano le idee molto chiare sul loro imminente futuro. Io invece non avevo ancora ben chiaro che cosa avrei fatto nei giorni e nei mesi successivi purtroppo. E questo faceva nascere in me un certo senso di preoccupazione. 
“Fate quello che vi sentite, io personalmente non credo che mi dirigerò subito alla Lega” iniziai senza troppo interesse. Ero seduta sulla sedia della scrivania di Belle, con in mano una Pokèball vuota di quest’ultima, con cui giocavo distrattamente. 
“Ci sono ancora alcune cose che voglio comprendere e che mi piacerebbe risolvere prima di sfidare di nuovo Nardo” continuai. 
“Cosa devi comprendere? Il perchè N è volato via?” Chiese infastidito Komor. Non gli era mai andato giù il personaggio di N, sin dal primo incontro a Quattroventi. Aveva sempre detestato il suo modo di comportarsi e il suo relazionarsi con la gente, in particolare con me. Non vedeva logica dietro ai suoi comportamenti e non capiva in che modo un ragazzo del genere avesse potuto attirare la mia attenzione. Che fosse stato geloso?
“Non c’è niente da capire Touko” continuò. “Tu ad N non piaci e non interessi, altrimenti ti avrebbe cercato e soprattutto non sarebbe volato via in quel modo senza dirti nulla”. Pronunciò queste parole senza scomporsi, mantenendo la sua posizione in piedi davanti alla finestra della camera. Le mani portate in tasca, chiaro segnale del poco interessamento al discorso in corso.
Alzai gli occhi dalla Pokèball che avevo in mano e lo guardai seria. 
Che avesse ragione? Non volevo crederci. No, non era assolutamente così. Questa opzione non era da prendere in considerazione.  
Iniziai a sentire la pelle del collo bruciare e le guance farsi più calde e quindi decisi di tagliare corto il discorso. 
“Beh la questione è che la Lega Pokèmon non mi vedrà tanto presto. Voi siete liberi di fare come credete e allo stesso modo lo sono io” dissi alzandomi dalla sedia su cui stavo seduta. 
“Ora devo andare. Mia madre mi aspetta. Dobbiamo fare visita ad una sua conoscente”. 
Lasciai la Pokèball con cui stavo giocando in mano a Belle e mi diressi verso le scale. Non prima di aver dato un pacca amichevole sulle spalle di Komor per rassicurarlo. Ero al corrente di come la pensasse su N, ma questo non era il momento per iniziare una discussione con i miei più cari amici e in realtà speravo che un momento del genere non arrivasse mai. 

Appena uscii dalla porta di casa una folata di vento mi colpì dritta in viso, creandomi un brivido lungo la schiena.
Komor aveva ragione probabilmente, per N probabilmente ero una ragazza come tante altre e chissà dove si trovava in questo momento. Chissà se anche lui pensava a me come io facevo con lui. 
Guardai di sfuggita l’orologio al polso e quando vidi l’orario sbarrai gli occhi.
Le 18 e 30. 
Era davvero tardi. Rimanere con Komor e Belle mi aveva fatto perdere il senso del tempo. Mi avviai velocemente verso casa. Sicuramente non saremmo partiti per incontrare l’amica di mia madre la sera stessa… o almeno era quello che mi auguravo. 
E per mia fortuna, non fu così. 

La mattina dopo mi ritrovai seduta su un treno diretto ad Austropoli. 
Avevo conquistato con successo il posto vicino al finestrino e da parte a me si trovava mia madre, intenta a leggere un libro. 
Con la mano appoggiata sotto il mento potevo osservare al di fuori del finestrino un paesaggio dai colori primaverili, mentre campi coltivati talvolta si estendevano a perdita d’occhio, ben lavorati o con le colture in crescita. 
“Potrei sapere il nome della tua amica da cui stiamo andando o devo leggertelo nella mente?” chiesi distrattamente mentendo sempre lo sguardo fisso.
“No tesoro, lo saprai al momento opportuno” replicò mia madre continuando a leggere.
“Uff… e poi mi spieghi perché stiamo utilizzando un mezzo di trasporto come il treno quando possiamo utilizzare la mossa Volo dei Pokèmon? Saremmo già arrivati da un pezzo”. A quel punto mia madre alzò gli occhi per incontrare i miei.
“Perché dobbiamo sempre fare le cose di corsa? Godiamoci un viaggio normale in treno come le persone normali senza avere fretta di arrivare. E poi rilassati perché una volta arrivate ad Austropoli faremo rotta a Spiraria. Inoltre io sono troppo vecchia per permettermi di volare sul dorso di un Pokèmon, non ho più la tua età cara”.
Non capivo. Davvero non stavo capendo. Mia madre era impazzita. Così, da un giorno all’altro. 
Tornai a guardare fuori dal finestrino, sbuffando leggermente. In lontananza si poteva intravedere il ponte Freccialuce. 

Austropoli, la grande metropoli colma di grattacieli e grandi edifici. Cuore degli affari e dell’economia della regione di Unima. 
Ricordavo molto bene la lotta con il capopalestra della città, Artemisio, specializzato in Pokèmon coleottero. Ma ricordavo molto bene anche l’incontro con un altro Pokèmon che faceva ancora oggi parte della mia squadra, un piccolo Growlithe trovato vicino alle fogne. 
La sua particolarità? Aveva raggiunto un livello molto alto in battaglia ma non si era ancora evoluto. 
Nonostante la sua stazza minuta, simile a quella di un cagnolino, aveva una potenza e una velocità fuori dal comune. 
La sua cattura però non fu semplice. Aveva un carattere molto schivo, probabilmente dovuto al fatto di aver passato la maggior parte della sua vita in un luogo come le Fogne di Austropoli. Non certo un luogo ospitale. 
Nonostante questo faceva parte della mia squadra e da quel momento aveva partecipato a innumerevoli lotte, aiutandomi spesso a contribuire nelle vittorie. Nonostante la dimensione era davvero un grande Pokèmon, leale e fedele. 
Non avrei potuto desiderare compagno migliore. 
Quando scendemmo dal treno la frenesia di Austropoli ci colpì in pieno.
Tanta gente camminava di fretta per andare al lavoro, vestita di tutto punto e in giacca e cravatta, per presidiare a chissà quali appuntamenti importanti. I bambini correvano per non perdere i pullman diretti a scuola mentre negozi di vario tipo alzavano le saracinesche per iniziare una nuova giornata. 
L’aspetto grigio della città era però in contrasto con il cielo azzurro che, nonostante tutto, si poteva scorgere al di sopra dei grattacieli. 
Appresi a quel punto che mia madre aveva prenotato un alloggio per la notte in uno dei tanti hotel della metropoli, e solo il giorno dopo ci saremmo diretti a Spiraria tramite un aereo diretto dalla compagnia della capopalestra di Ponentopoli, Anemone. 
Ogni città molto popolata possedeva infatti un piccolo aereoporto e una piccola pista di atterraggio sotto il controllo della Capopalestra e a disposizione dei cittadini. Era una soluzione molto funzionale per chi non possedeva Pokèmon di tipo volante. 

Una volta arrivati ci dirigemmo verso l’hotel e, successivamente, nella camera prenotata. Una normale camera classica, due letti una scrivania con una piccola lampadina sopra e il paesaggio che dava sulle affollate strade della città. Molto minimale.
“Bene cara, io devo andare a sbrigare alcune faccende burocratiche già che siamo qui. Tu rilassati e goditi questa giornata in una grande città come Austropoli” disse mia madre una volta sistemati i pochi bagagli che si era portata appresso. 
Dopo avermi salutato uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle. 
A quel punto mi lasciai cadere di schiena sul grande letto morbido. Sicuramente avrei dormito bene la notte seguente. 
Decisi che non sarei rimasta chiusa tra le quattro mura ma sarei uscita. 

Mentre camminavo lungo le vie della città ripensai al mio viaggio. 
La prima volta che avevo messo piede ad Austropoli rimasi spaesata. Soffiolieve era completamente diversa in termini di grandezza ma anche di vitalità. Ricordai la fatica che feci per trovare la Palestra per sfidare Artemisio, nascosta tra i grattacieli. 
L’edificio che avevo individuato subito era, ovviamente, il centro Pokèmon. La copertura del tetto arancione non passava di certo inosservata tra i colori grigi che dominavano la città. 
Ricordai anche con piacere il primo ed unico Conostropoli che ero riuscita a comperare, a seguito di una lunghissima coda. Ne era però valsa la pena. 
Senza accorgermene ero arrivata al molo principale. 
Una leggera brezza smuoveva i capelli raccolti dalla solita coda alta posta al di sotto del mio fidato cappellino rosa. Guardai l’orizzonte. 
Le navi andavano e venivano come se fosse la cosa più normale del mondo, con una lentezza in contrasto alla frenesia della città che si trovava in quel momento alle mie spalle. 
In lontananza solo l’oceano. Mi ritrovai a immaginare le zone al di là del mare, alle terre inesplorate e alla grande quantità di allenatori che potevano trovarsi. Non avevo mai pensato di partire, di lasciare Unima. Questa era casa mia. La mia terra. Non mi ero mai posta la possibilità di uscire dalla regione. 

In quel momento notai che di fianco a me si era fermata una persona. 
Portava un lungo cappotto color cammello e in testa un cappello dello stesso colore. Inoltre portava degli occhiali da sole sul naso. Di conseguenza era impossibile riconoscere l’individuo, anche perché il bavero del cappotto era alzato e quindi maggior parte del viso rimaneva coperto.
Sul momento non mi allarmai più di tanto. Di individui strani per le strade ne avevo incontrati e lui non sarebbe stato di certo l’ultimo. 
Inizia ad inquietarmi quando quest’ultimo mi chiamò per nome. 
“Touko, non ti agitare, non sono qui per farti del male, vorrei solo tu mi seguissi senza dare troppo nell’occhio”. Pronunciò queste parole senza guardami in faccia, lo sguardo rivolto verso il mare e alle spalle la città. La stessa mia posizione. 
Io, d’altro canto, non mi mossi ma un leggero timore si fece largo dentro di me. 
“Una volta arrivati in ufficio ti spiegherò tutto ma per ora ti prego di far come ti dico” continuò. 
Decisi di collaborare. Nella peggiore delle ipotesi avevo la mia squadra a difendermi. 

Camminammo a lungo le vie di Austropoli. 
L’individuo con il cappotto si muoveva davanti a me, e io dietro di lui ma ad una distanza di cinque o sei metri. “Così da non dare nell’occhio” come aveva espressamente richiesto.
Arrivammo all’altezza della Via della Moda e fu a quel punto che l’individuo entrò in un palazzo a me familiare. La “Lotta S.p.A”. Ricordavo bene quel luogo. Era dove affaristi, segretari e scienziati conducevano ricerche per lo sviluppo di nuovi strumenti per Pokèmon e allenatori. Avevo sfidato molti dei loro dipendenti la prima volta che ero entrata nell’edificio. Che dovessi combattere nuovamente?
Confermato il fatto che fossi in un luogo di mia conoscenza, senza molti convenevoli entrai. 
Le porte automatiche si aprirono senza fatica. 



Continua…
 
*Ps: le Fogne di Austropoli in Nero e Bianco non vengono nominate. Lo sono nella versione di gioco successiva. Ma il Pokèmon descritto è comunque essenziale per la narrazione e per questo motivo è stato inserito il luogo. 

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Capitolo 5
*** Sulle tracce di N ***


Capitolo 4 
Una volta entrata mi ritrovai in uno spazio molto luminoso. 
Diversi computer erano in funzione e stampanti emettevano rumori in sottofondo, segno che i dipendenti stavano lavorando a pieno ritmo. 
Notai l’individuo misterioso salire per le scale e decisi di seguirlo.
Percorremmo diverse rampe di ripidi scalini e ringraziai il cielo di essere abbastanza allenata per sopportare tale sforzo. Non so con precisione quanti piani salimmo, persi subito il conto. 
L’uomo incappucciato davanti a me non dava segni di cedimento, saliva a pieno ritmo tutti gli scalini che aveva davanti. Anche lui doveva essere ben allenato. 
Fermammo il nostro cammino davanti alla porta color mogano di un ufficio. La targhetta attaccata quest’ultima non riportava nessun nome. Mi chiesi nuovamente cosa sarebbe successo di li a poco. 
A quel punto l’uomo estrasse dalla tasca una spessa chiave e la infilò nella toppa. Strano questo gesto. In una grande cittadina come Austropoli, tecnologica ai livelli massimi, erano ancora presenti porte e serrature come quelle. 

Una volta entrati l’uomo si richiuse la porta alle spalle e solo dopo iniziò a parlare. 
“Innanzitutto mi scuso per il modo con cui ti ho trascinata qui Touko, ma non era mia intenzione farmi riconoscere in pubblico” disse l’uomo togliendosi il cappello e gli occhiali. E solo a quel punto lo riconobbi. L’agente di polizia internazionale Bellocchio. 
Tirai senza accorgermene un sospiro di sollievo. 
Ora capivo il significato della frase “vorrei solo tu mi seguissi senza dare troppo nell’occhio”. 
“Non c’è problema” replicai “anche se devo dire che il suo modo di fare sul momento mi aveva fatto un po’ preoccupato. Ma come faceva a sapere che mi trovavo ad Austropoli? ”.
“Mi spiace sia stato così, ma purtroppo sono costretto a mantenere un basso profilo anche in grandi città come questa. Siamo ancora impegnati nella cattura dei Sette Saggi e di conseguenza meglio mi camuffo meglio è. Questo spiega anche la posizione del mio ufficio all’interno di un edificio di questo tipo” poi continuò “Bhe diciamo che ho molti contatti ed è stato facile reperire la tua posizione” disse sorridendo.
Mentre parlava diedi una rapida occhiata al suo ufficio. Tutto molto spartano come il nostro hotel. Scrivania, computer, armadio e tende rigorosamente chiuse per non avere accesso diretto alla finestra. 
“Credo proprio sia difficile lavorare sotto copertura come fa Lei”
“Purtroppo è il mio lavoro. Non sempre è facile ma la soddisfazione dopo la cattura degli individui di un Team malvagio è sempre soddisfacente. Ripaga di tutti gli sforzi”. 
Bellocchio era una figura conosciuta all’interno del mondo Pokèmon, specializzata nella cattura di Team malvagi. Infatti si trovava ad Unima a causa del Team Plasma, e nello specifico in questo momento si stava occupando della cattura dei Sette Saggi che facevano parte del team guidato da Ghecis. E anche da N se vogliamo essere più precisi. 
“Senza giochi di parole. Ti ho portato qui per dirti che la cattura dei Saggi è a buon punto. Diverso invece per quanto riguarda N. Non sappiamo dove sia” disse Bellocchio. 
“Immaginavo” replicai “ma io ne so meno di voi purtroppo, l’ultima volta che lo ho visto è stato al suo castello prima di volare via sul dorso di Zekrom”
“Uhm capito… e da allora non ti ha più lasciato nessun messaggio o segnale?” chiese pensieroso. 
Mi sentii avvampare a quelle parole. “N-no” balbettai “avrebbe dovuto?” 
“Non ne ho idea sinceramente ma sei una delle persone che N ha incontrato più volte durante il viaggio, ed è evidente che in te deve avere visto qualcosa se ti ha affidato il risveglio di Reshiram. Per questo ti ho portata fin qui, per chiederti questo e una tua opinione al riguardo”. Disse sedendosi alla scrivania e invitandomi a fare lo stesso.
“Purtroppo il mio rapporto con N è sempre stato freddo e distaccato. A parte il giorno in cui siamo saliti sulla Ruota Panoramica e mi ha confidato di essere il capo del Team, non ho avuto contatti diversi se non a livello di lotte. Non mi ha mai parlato direttamente di sè. Sono state Antea e Concordia a farlo”. I ricordi al castello di N mi apparvero nella mente e ripensai a quella cameretta sporca e ormai in disuso ed ai giocattoli rovinati. Un groviglio mi si formò all’altezza dello stomaco. 
“Le apparizioni qui ad Unima dopo i fatti del castello sono uguali a zero” iniziò lui una volta capito che avevo poco da raccontare “una sola volta è stata vista l’ombra di Zekrom volare nel cielo. Chissà se N era sulla sua schiena o ha deciso di liberarlo”. 
“Chissà se si trova ancora ad Unima…” sussurrai con lo sguardo fisso.
La conversazione fu breve e inconcludente e quindi uscì presto dall’ufficio di Bellocchio. 
“Bene Touko, ti ringrazio per la chiaccherata. Nel caso in cui riuscissi a rintracciare N prima di me chiamami. Sicuramente il suo comportamento non può passare inosservato alla Polizia”
Sbarrai gli occhi a quel punto. “Cosa? Avete intenzione di arrestarlo? Ma N non era il capo del Team Plasma, era solo una pedina nelle mani di Ghecis!” dissi alzando il tono della voce involontariamente. 
“Mi spiace Touko ma sono le regole. Faceva comunque anche lui parte del Team e non può rimanere impuntito. Sicuramente non sarà una pena come quella riservata al padre questo è certo, ma dovranno comunque esserci delle conseguenze per il suo comportamento”. 
Non avevo idea di che conseguenze parlasse Bellocchio, e capii dalle sue parole che non poteva dire nulla di più di quello che già aveva accennato. La legge non era mai stata il mio forte, mi limitavo ad osservare di solito le regole nel mio piccolo e a rispettarle al meglio.  
Decisi che era arrivato il momento di uscire dall’edificio e a quel punto Bellocchio mi accompagnò sulla porta del suo ufficio. 
Lo salutai e mi diressi verso le scale. Tremavo solo al pensiero del gran numero di scalini che mi aspettavano. 
“Ehm Touko…” mi richiamò Bellocchio “se vuoi c’è l’ascensore”.


Uscendo dall’edificio mi chiesi perché non avessimo usato l’ascensore anche per salire. Sarebbe stato sicuramente più comodo. 
Percorsi velocemente le vie affollate della città con un solo pensiero nella mente e ritornai in camera. La trovai vuota, mia madre non era ancora arrivata. 
Mi sdraiai sul letto e ripensai alle parole di Bellocchio. 
N non era stato più avvistato. Sicuramente aveva già lasciato la Regione. 
Ma la cosa che più mi preoccupava era il fatto di dover avvertire Bellocchio nel caso lo avessi anche solo intravisto.
Quel ragazzo non se lo meritava. Per tutta la sua vita era stata solo una pedina nelle mani di un padre che non si poteva definire tale. 
La sua capacità di poter parlare con i Pokèmon era stata la sua finestra sul mondo sin da bambino, e un talento così puro come il suo era stato sfruttato da una persona orribile per scopi ancora più negativi. 
Non volevo credere che anche N avrebbe dovuto subire delle conseguenze per tutto questo.
Egoisticamente da un lato speravo di rincontrarlo e di potergli parlare ancora, ma se questo erano le premesse forse era meglio non incontrarlo affatto. 
Presi il cuscino e lo abbracciai. Una lacrima solitaria mi rigò il viso.
Mi mancava molto N nonostante tutto e non riuscivo a farmene una ragione.
Con questi pensieri chiusi gli occhi e in breve tempo mi addormentai. Non sentii nemmeno mia madre rientrare qualche ora più tardi. 

La notte trascorse serena come immaginavo. Non ricordavo per quanto avessi dormito ma sicuramente non per un tempo breve.
La mattina dopo eravamo già in partenza per Spiraria.
L’aero su cui ci trovavamo io e mia madre non era molto grande, avrà avuto una ventina di posti ma quasi tutti occupati. 
Anche il viaggio fu breve e lineare. Molto più comodo rispetto a una viaggio sul dorso di un Pokèmon ma sicuramente meno denso di emozioni. L’aria pungente sul viso, la concentrazione per mantenere l’equilibrio, il sentire il tuo fidato amico sotto di te pronto in ogni tua richiesta… insomma, niente a che vedere con lo stare seduti su un sedile in una scatola di metallo. 

Spiraria era una città costiera situata nella parte centro-orientale nella regione di Unima. 
Durante l’estate veniva accolta da numerosi vacanzieri ed era molto affollata. Non era questo il giorno, in quanto eravamo ancora in primavera e pochissime erano le persone che la abitavano al di fuori delle vacanze estive. 
Il paesaggio che ci trovammo dinnanzi io e mia madre era spettacolare. 
La sabbia bianca erano in netto contrasto con l’azzurro del cielo, mentre l’aria salmastra (molto diversa da quella di Soffiolieve) riempiva le narici appieno. Leggere folate di vento rendevano l’ambiente non troppo calda e il tutto ancora più ospitale. 
Ed ora che eravamo arrivate? 
A qual punto seguii mia madre che si incamminò per le vie della città e non potei fare a meno che chiederle nuovamente il motivo della nostra visita. 
“Sai cara solitamente qui soggiorna in estate una mia carissima amica che proviene da un’altra regione lontana da Unima e in questi giorni di primavera ha raggiunto Spiraria per iniziare i preparativi per il suo soggiorno. Ha seguito gli accadimenti delle tue ultime vicende e desiderava conoscerti per complimentarsi” spiegò lei. 
“Tutto qua?” ribattei e mia madre non riuscì a nascondere una risatina. 
“Tutto qua” ripetè lei. Qualcosa non mi tornava. Non conoscevo neppure il nome di questa sua amica e la curiosità mi stava divorando. Decisi però di non chiedere oltre sapendo che da mia madre, in questo momento, non avrei ottenuto alcuna informazione aggiuntiva a quello che già sapevo. 

Ci fermammo davanti a una casa in sasso dall’aspetto quadrato, molto simile alle altre e con nessun tratto distintivo. 
“Touko non sei mai entrata in questa casa durante il tuo viaggio?” chiese mia madre suonando il campanello che però non riportava alcun nome.
“Che domande mamma…secondo te entro a casa della gente così a caso?”
Anche in questo caso mia madre non potè che trattenere una risatina. Ma cosa stava succedendo? 
Fu in quel momento che la porta della casa si aprì e fece capolino una donna dai lunghi capelli biondi. 
“Oh ciao Camilla, da quanto tempo che non ci vediamo”.


Continua…




 

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Capitolo 6
*** Tre contro tre ***


Capitolo 5
“Oh ciao Camilla, da quanto tempo che non ci vediamo”.

“Buongiorno” iniziò la donna aprendo completamente la porta e sorridendo “hai ragione è proprio da tempo che non ci vediamo. Dovevo venire qui ad Unima per incontrarti. Questa è tua figlia Touko allora?” chiese a quel punto guardandomi. 
“S-si sono io. Piacere” risposi balbettando.
Non saprei spiegare il motivo ma la sua figura ispirava potenza al solo sguardo. 
I lunghi capelli biondi incorniciavano un viso leggermente pallido, mentre il fisico alto e slanciato era coperto da una leggera camicetta azzurra e da un paio di pantaloni neri a zampa di elefante. 
“Piacere di conoscerti, il mio nome è Camilla e provengo dalla regione di Sinnoh. Le tue avventure con il Leggendario Reshiram non sono passate inosservate ai miei occhi ed è per questo motivo che ho chiesto a tua madre di poterti conoscere. Ma prego entrate” disse facendo segno di entrare nella sua piccola casa. 
“Vi prego di non fare caso al disordine e agli scatoloni sparsi per la sala ma sono arrivata da poco e non ho avuto tempo di sistemare il tutto”.

La casa nonostante tutto era piccola ma accogliente. Tende color azzurro cielo incorniciavano una finestra che dava sul mare, mentre il pavimento in scuro era in contrasto con le pareti dal color giallo pallido.
Si poteva poi vedere una piccola cucina a vista e il piccolo tavolo. Ed é lì che ci accomodammo.
Per diversi minuti Camilla e mia madre ricordarono gli avvenimenti passati e di come si fossero incontrate durante una vacanza di quest’ultima. Scoprii che si conoscevano da molti anni, da prima che nascessi, ma la lontananza delle due regioni aveva causato non pochi problemi agli eventuali incontri e di conseguenza si erano perse di vista. 
Mia madre non mi aveva parlato mai però di questa amicizia. 
“Bene Touko…che ne dici di conoscerci meglio tramite una lotta?” chiese Camilla ad un tratto “Se vincerò io mi darai la possibilità di osservare Reshiram dal vivo visto che è un Pokèmon che nella mia regione, a parte per alcuni ricercatori, è assolutamente sconosciuto”.
Non potevo certo rifiutare la proposta. 
Sarebbe stata solo una lotta in più e avrei cercato di dare il meglio di me stessa come tutte le volte durante il mio viaggio. Non avevo nulla da perdere e sarebbe stata una sfida come tante altre. 

Non potevo immaginare quanto mi stessi sbagliando. 

Qualche minuto dopo ci trovavamo al di fuori della sua dimora, sulla spiaggia, pronte per iniziare la lotta. Mia mamma seduta in disparte osservava in silenzio.
“Bene Touko, vorrei lottassimo al meglio dei tre. Tre Pokèmon a testa. Reshiram escluso ovviamente”
“Certo mi va bene, altrimenti saresti svantaggiata con un Pokèmon così potente e avrei la vittoria in tasca” risposi spavalda. 
A quel punto iniziammo e fu Camilla a far scendere in campo il suo primo Pokèmon.
“Milotic, avanti” 
Una figura slanciata e longilinea si palesò dinanzi ai miei occhi. Un Pokèmon simile ad un serpente marino dai colori avorio e dalla coda dal color azzurro oceano. In testa portava un’acconciatura rosa formata da due piccole corna che si univano a formare un cuore con due lunghi prolungamenti lungo il corpo. 
Avevo già incontrato questo Pokèmon e conoscevo bene la sua tipologia. Era di tipo Acqua e avevo il perfetto compagno dalla mia parte per affrontarlo. 
“Serperior, scelgo te!”
Era un compagno di lunga data, derivante da uno Snivy incontrato al Bosco Girandola per puro caso che aveva accettato di buon grado di far parte della mia squadra. Il suo carattere fiero era il suo punto di forza, non mollava mai. 
Solo ora potevo notare la forma simile dei due Pokèmon. 
“Bene Milotic iniziamo con Idropompa”. A quel punto un forte e veloce getto d’acqua colpì in pieno il mio Pokèmon, che non fece in tempo a schivare l’attacco ma solo a ripararsi con la coda. 
“Serperior vai con Fendifoglia!”. Questo era uno degli attacchi più potenti di Serperior e infatti colpì in pieno Milotic facendolo vacillare un poco. Esultai dentro di me a quel punto. Avevo imparato tante cose durante il mio viaggio e mi sentivo forte e preparata. 
Camilla d’altro canto non sembrò scomporsi e si limitò a chiamare la successiva mossa. 
“Milotic, vai con Battiterra!”. 
Serperior riuscì anche in questo caso ad evitare la mossa con agilità, uscendone con pochi danni. 
“Serperior, Iperaggio!”. Un forte raggio di luce andrò a colpire Milotic che invece non riuscì ad evitarlo. Punto a mio favore. 
Ma gli attacchi di Camilla non accennavano a diminuire. Anzi. 
“Milotic, é il momento vai con Codadargo!”
Ammetto che una mossa di tipo drago mi aveva sorpreso. Non me lo aspettavo.
“Serperior avvicinati e rispondi con Avvolgibotta”
Il mio Pokèmon partì all’attacco per raggiungere Milotic, che a sua volta aveva illuminato la parte terminale della coda, segno dell’imminente mossa. 
L’obiettivo era avvolgere il Pokèmon nemico tramite il corpo dello stesso Serperior per poi stritolarlo, ma quando i due si ritrovarono vicini prevalse la potenza di Codadrago e Serperior venne colpito con una potenza schiacciante. 
“Ora è il momento Milotic! Vai con Bora!”
Purtroppo la mossa di tipo ghiaccio risultò super efficace sul Pokèmon di tipo erba, complice la vicinanza tra i due.
Serperior non poté fa altro che cadere a terra Ko. 
Uno a zero per Camilla. Era un osso duro e in poche mosse aveva messo al tappeto un Pokèmon forte e veloce come il mio Serperior e rarissime volte questo era capitato. 

Ritirammo entrambi i nostri Pokèmon. In mente avevo però già il mio prossimo schieramento. 
“Growlithe! Vieni a darmi una mano!”. Il mio piccolo amico si palesò dinanzi a me con un piccolo abbaio, segno della voglia di partecipare alla lotta. La folta coda color avorio sempre in movimento ad indicare la vitalità che possedeva. 
A quel punto fu Camilla a schierare. 
“Eelektross!”
Anche questo, come Milotic, era un Pokèmon che già avevo avuto il piacere di battere ma erano rarissimi gli allenatori che lo possedevano qui ad Unima. Il corpo verde scuro era alternato da macchie tendenti al bianco, mentre alcune zone vicino agli occhi e sugli arti sprizzavano piccole onde di energia elettrica. Inconfondibile segno della tipologia del Pokèmon. 
Osservai in quel momento Growlithe e la sua dimensione. In confronto Eelektross era enorme ma comunque il mio piccolo amico non dava segni di timore. 
Era ora di iniziare.
“Vai Growlithe iniziamo con Lanciafiamme”. Tipica mossa di un tipo fuoco. 
Una vampata di fuoco raggiunse Eelektross, che però non si scompose e nemmeno provò a difendersi. Era come se avesse assorbito l’attacco ed evidentemente doveva essere ben allenato. Camilla prese la parola. 
“Niente male il tuo Growlithe ma posso dire con certezza che non può nulla contro il mio Pokèmon! Eelektross vai con Falcecannone”.
Una mossa di tipo speciale potentissima e per questo ordinai al mio amico si schivarlo ma purtroppo non fu abbastanza rapido. Cadde al suolo tremando. 
A quel punto realizzai che Camilla era una fuoriclasse e non una normale allenatrice. 
Growlithe davanti a me cercò di rialzarsi e fu a quel punto che una forte luce mi abbagliò. 
Fui costretta a coprirmi gli occhi per diversi secondi e solo quando li riaprii osservai cosa era successo. Dinnanzi a me non avevo più il piccolo Growlithe ma un Pokèmon ora evoluto, Arcanine.
La taglia era sicuramente aumentata, il corpo color arancione era accompagnato sul busto da delle spesse striature nere, mentre le zampe e il muso erano coperti da una folta pelliccia sempre color avorio come la sua precedente forma. 
Lo sguardo serio e concentrato mi faceva capire che aveva ancora forza per lottare. A quel punto fu lui a girarsi verso di me per poi emettere un forte abbaio. Era pronto. 
“Meraviglioso! Mettiamo subito alla prova la tua potenza. Vai Arcanine con Fuococarica!”. 
A quel punto il Pokèmon partì all’attacco contro il suo rivale e lo raggiunse rapidamente. 
“Eelektross procedi con Tuono!”. I due attacchi si scontrarono violentemente ma fu quello lanciato da Eelektross a prevalere e a quel punto Arcanine venne colpito duramente. 
Purtroppo non fece in tempo a tornare al mio fianco che il secondo attacco Dragartigli lanciato da Camilla lo colpì nuovamente.
Era Ko. 
Impossibile, in due mosse Camilla aveva mandato al tappeto due dei miei Pokèmon più forti… come era possibile? 

“Ti batti bene ti faccio i miei complimenti ma siamo a due livelli completamente diversi cara Touko. Ed ora ti darò la dimostrazione finale. Garchomp!”
A quel punto mi apparve davanti un Pokèmon di tipo Drago che non avevo mai visto e di cui non conoscevo nulla. 
La forma era quella tipica di un drago, alto e slanciato e con il corpo coperto da squame color viola. Il ventre era rosso mentre negli avambracci lunghi e affusolati erano presenti due spine. Alcune zone erano contornate da delle zone gialle, come quelle sopra la testa dove svettavano due grosse e spesse corna. Aveva piccoli occhi neri e gialli che incutevano terrore al solo sguardo. 
Camilla doveva sicuramente essere una persona determinata per essere riuscita ad allevare un Pokèmon come Garchomp. Ero abbastanza convinta che la potenza che si percepiva alla prima vista di Camilla fosse dovuta alla presenza di questo Pokèmon. Se prima era solo un’ipotesi ora ne ero certa. 
A quel punto la mia ultima scelta era schierare il mio miglior Pokèmon che avevo a disposizione. Il mio adorato Samurott. 
Allenato durante tutto il mio viaggio era stata la mia prima scelta, il compagno di cui mi fidavo ciecamente e a cui avrei affidato la mia stessa vita se fosse stato necessario. 
“Samurott, forza!”
Il quadrupede si palesò davanti ai miei occhi e quando lo vidi non potei far altro che ricordare i tempi in cui era solo un piccolo e tenero Oshawatt. Anche il mio amico in termini di potenza non era sa meno. Le zampe saldamente piantate nella sabbia, lo sguardo fiero e la corazza con il corno appuntito e luminoso davano in lui un’aria fiera é molto seria. Sicuramente da non sottovalutare. 
La lotta iniziò subito. 
“Vai Samurott usa Idropompa!” Un veloce getto d’acqua partì dalla bocca di Samurott e si diresse veloce verso Garchomp, che si riparò velocemente dal campo ma senza subire danni all’apparenza. Come nel caso di Eelektross… chissà a che livello erano i Pokèmon di Camilla. 
“Garchomp vediamo di chiudere la sfida in fretta. Iniziamo con Oltraggio!”
“Samurott proteggiti con Idrocannone” era la mossa più potente di cui Samurott disponeva, e visto il calibro dell’avversario che mi trovavo davanti non potevo trattenermi o risparmiare colpi. 
Purtroppo notai con delusione che la mia mossa non aveva auto nessun effetto e non aveva neanche bloccato un minimo l’Oltraggio di Garchomp. Ma come era possibile? Chi era Camilla davvero? 
Decisi che non avrei mollato. 
“Samurott, non temere, vai con Geloraggio!”
Visto che una mossa di tipo acqua non aveva funzionato una mossa di tipo ghiaccio avrebbe dovuto avere effetto su Garchomp, essendo di tipo Drago. 
La mossa arrivò dritta all’obiettivo e Garchomp fu colpito in pieno e lo vidi vacillare un poco. 
Ma non ebbi il tempo di esultare che vidi Camilla lontana da me alzare un braccio verso e il cielo ed indicare la mossa successiva al suo compagno. 
“Garchomp, finiamola qui, usa Dragobolide!”
Una voragine si aprì al di sopra di Garchomp e una pioggia di meteoriti raggiunse velocemente e prepotentemente Samurott. 
Una coltre di fumo si alzò verso il mio Pokèmon e una volta che si dissolse potei notare che il mio adorato Samurott era stato messo Ko. 
In sole due mosse. 

L’acqua del mare si infrangeva sulla spiaggia con un movimento monotono, mentre il sole calava al di sotto della linea dell’orizzonte, mentre il cielo si tingeva di diverse sfumature arancioni e dai colori simili. 
“Ti sei battuta bene Touko, torno a ripeterlo” disse Camilla sorridendo e avvicinandosi a me dopo che entrambi avevamo ritirato i nostri due Pokemon. 
“Ma come è possibile che i miei Pokèmon non abbiamo potuto nulla contro i tuoi? Non me lo spiego… eppure credevo di essere abbastanza forte” chiesi pensierosa e leggermente rammaricata. 
A quel punto intervenne mia madre che nel frattempo era venuta vicino a noi. 
“Sai cara, c’è una cosa che non ti ho detto all’inizio” disse grattandosi leggermente una guancia “Camilla non è altro che la Campionessa in carica della lega di Sinnoh”. 
Sbarrai gli occhi. 


Continua 


*Buonasera lettori.
Prima di tutto volevo scusarmi per la lunghezza del capitolo un po’ più corposo degli altri ma non ho potuto fare altrimenti. 
Inoltre spero che la lotte descritte non siano troppo blande o scontate. Ho cercato di renderle al meglio ma non è facile per niente, spero di essere comunque riuscita nell’intento di far capire la potenza della figura di Camilla. 


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Capitolo 7
*** Non vivere di ricordi ***


CAPITOLO 6
“Cosa?” esclamai sbarrando gli occhi “Camilla è la Campionessa della regione di Sinnoh?”
Ora capivo da dove proveniva tutta quella tecnica e abilità… quella donna era davvero un concentrato di pura potenza. Sotto quel viso carino e gentile si celava una personalità davvero infuocata.
Quanto mi sarebbe piaciuto essere come lei.
Fu in quel momento capii quanto la situazione fosse imbarazzante.
“Vorrei scusarmi Camilla per non averti riconosciuto” dissi nascondendo l’imbarazzo dietro a un mesto sorriso mentre con una mano mi grattavo appena la fronte “ma durante la lotta ho capito subito che non potevi essere un allenatrice comune”.
“Non preoccuparti Touko, non è così grave” rispose lei sorridendo gentile.
“I tuoi Pokèmon sono incredibili e Garchomp è spettacolare, non ne avevo mai visto uno qui ad Unima; deve essere stato complicato allenare un Pokèmon con così tanta potenza e carattere”.
“Beh vedi Garchomp è un Pokèmon tipico della mia regione, e alla fine è come allenare un Druddigon di Unima. È necessaria fermezza e tenacia con questo tipo di Pokèmon, soprattutto in quanto si parla di un tipo Drago” poi continuò “mi stupisce questa affermazione, dopotutto tu hai al tuo fianco un Pokèmon potente come Reshiram, anche lui da allenare sarà sicuramente un osso duro”.
“Beh sicuramente, ma la differenza è che Reshiram ha accettato di far parte della mia squadra già da adulto e in veste di Pokèmon esperto, purtroppo credo proprio che le sue capacità di miglioramento sotto la mia guida saranno limitate… a proposito, ho perso la sfida quindi mi pare giusto rispettare il patto stabilito”.
 
E così anche Camilla ebbe la possibilità di osservare Reshiram nei minuti successivi alla nostra lotta, proprio come aveva fatto la Professoressa Aralia nei giorni precedenti, mentre nel frattempo mi indicava le peculiarità dei Leggendari che si potevano trovare nella regione di Sinnoh, del tutto diversi da quelli di Unima.
 
“Bene ora è meglio che vada, si sta facendo tardi e ho ancora diverse faccende da sbrigare. Ti ringrazio Touko per la visita e soprattutto per la lotta, è stato un piacere”.
“E’ stato un piacere anche per me, una singola lotta mi ha insegnato molto”.
Successivamente salutò anche mia madre e si allontanò da noi per dirigersi dentro casa.
Prima di entrare però si fermò e si girò verso di me: “Ti aspetto a Sinnoh Touko, ci conto”.
Non potei fare altro che sorridere di rimando e rispondere con una risposta affermativa.
 
“Perché non mi hai detto chi era Camilla e, soprattutto, che ci stavamo dirigendo da lei?” chiesi a mia madre mentre ci accingevamo a tornare verso l’aereo che ci avrebbe portato a casa
“In realtà pensavo tu la conoscessi, è comunque una persona importante anche al di fuori della regione. È una dei più forti Campioni in carica dopotutto” rispose continuando a camminare di fianco a me.
Era ormai sera, il sole era tramontato ma l’aria salmastra e il movimento delle onde non erano cambiati. Solo l’aria era diventata leggermente più fresca ma ugualmente piacevole.
Seguirono momenti di silenzio, dove l’unico suono era dato dalla sabbia che si muoveva al di sotto ai nostri passi mentre le onde si infrangevano monotone lungo la costa.
Ad un certo punto fu mia madre a fermarsi e non potei che emularla.
“In realtà tesoro c’è un motivo per cui ti ho portata qui ad essere sincera. Quando abbiamo parlato, la mattina che sei tornata dal tuo viaggio, mi hai detto che non sapevi che cosa fare dato che la tua esperienza era terminata e che difficilmente avresti trovato qualcuno in grado di batterti. Ricordi?”
Mi limitai ad annuire.
“Con questa lotta volevo dimostrarti che avevi torto. Non si smette mai di imparare, non solo nelle lotte ma anche nella vita. Ci saranno sempre persone più in gamba di te e Camilla te lo ha ampiamente dimostrato”
“In parole povere mi hai portato qui per farmi perdere pesantemente la lotta?” chiesi interrompendola.
“Ti ho portato qui per dirti di non mollare il tuo viaggio. Sei giovane, in gamba e hai tutte le potenzialità per diventare un’abilissima allenatrice, più di quello che già sei. Sei in grado di inseguire tutti i tuoi sogni senza dovervi rinunciare. Riparti nuovamente e vai alla ricerca di quel ragazzo che tanto stai cercando” disse successivamente.
In quel momento mi bloccai.
“Che stai dicendo mamma?”. Un nodo mi si formò all’altezza dello stomaco a quelle parole. Possibile che stesse parlando di N? Ma come faceva a saperlo? Avevo accennato poco su di lui nel mio discorso.
“Non far finta di non capire, sono tua madre e ti conosco. Ho visto come parlavi di quel ragazzo dai capelli verdi che hai incontrato più volte durante il tuo viaggio, come tu stessa hai raccontato. Ho visto come cambiano i tuoi occhi quando parli di lui e come la tua voce si incrina su certi discorsi”
A quel punto mi abbracciò senza preavviso.
“Non vivere di ricordi, sei ancora giovane e una bellissima ragazza. Trova quel ragazzo e digli cosa provi per lui. Fallo finché sei in tempo altrimenti tra poco ti pentirai della tua scelta”.
A quel punto ricambia l’abbraccio mentre sentivo gli occhi pizzicare. Che mia madre avesse ragione?
“Quella mattina mi dicesti anche che io non avrei mai capito la tua situazione. E invece posso dire che purtroppo la capisco anche troppo bene. Quando tuo padre è mancato anni fa avevamo ancora tante cose da fare insieme, tante cose da dirci, da raccontarci e da condividere”.
Sentivo chiaramente che la sua voce si stava incrinando per trattenere a stento le lacrime al ricordo di mio padre.
“Purtroppo non ho avuto tempo di vivere tutto questo ma non è il tuo caso. Quel ragazzo c’è ancora e hai la possibilità di dirgli come stanno le cose, senza dover aspettare o rinunciare. Vivi la tua vita appieno e vedrai che qualsiasi cosa succederà sarai felice e non avrai rimpianti”.
Sentivo gli occhi pizzicare e le lacrime a quel punto iniziarono a scendere lungo le guance copiosamente.
Non avevo mai conosciuto mio padre, era mancato poco dopo la mia nascita a causa di un incidente ma mia madre lo ricordava spesso, ed ogni volta era doloroso anche solo sentire i ricordi di un amore spento troppo presto.
Ma capii che mia madre in tutto questo aveva ragione, dovevo cercare N e parlargli con il cuore in mano e avrei sicuramente dovuto continuare la mia esperienza nel mondo Pokèmon per diventare un’allenatrice di altissimo livello.
Nulla mi avrebbe fermato.
Solo dopo che ci fummo separate dall’abbraccio, con i nasi e le guance ancora rosse mia madre mi chiese:”Scusa tesoro, come si chiamava il ragazzo in questione?”
A quel punto non potei che scoppiare in una risata.
“N mamma… si chiama N”.
 
 
Continua…

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Capitolo 8
*** Ruota Panoramica ***


 CAPITOLO 7
‘’Ehi! Stai cercando il Team Plasma? Sono scappati da quella parte, verso il luna park. Seguimi.’’
 
Ricordavo benissimo l’incontro che ebbi con N a Sciroccopoli. Stavo inseguendo velocemente il Team Plasma a seguito dello scontro nel Deserto della Quiete, ma una volta arrivata in città avevo perso le loro tracce e all’entrata di quest’ultima mi sentivo spaesata a causa del nuovo ambiente.
Una città molto diversa da Austropoli, piena di colori e di vitalità. Governata dalla Capopalestra Camilla era soprannominata la città dei divertimenti e questo era dovuto alla presenza di diversi palazzetti dello sport, come lo Stadio Stellare e il Campetto, dove innumerevoli giovani si recavano per ritrovarsi con gli amici o per assistere a importanti partite nelle sere del weekend.
Ma soprattutto il suo soprannome era dovuto alla presenza del Luna Park che si trovava nella parte orientale della città. Il migliore di Unima sia per dimensioni sia per le attrazioni. La peculiarità era la presenza di una grande ruota panoramica che permetteva la visione di un vasto territorio confinante con la città.
Dopo l’incontro con Camilla a Spiraria avevo deciso di recarmi nuovamente a Sciroccopoli per un ulteriore giro sulla ruota panoramica. Probabilmente in balia della nostalgia.
 
‘’Non ci sono… Saliamo sulla ruota panoramica. Forse dall’alto riusciremo ad individuarli. A me piace molto la ruota. La sua dinamica, il movimento circolare… È un concentrato di splendide formule matematiche…’’
 
Fu così che salì sulla ruota panoramica insieme ad N. Non so perché lo seguii al tempo, avevo lottato con lui due volte prima di quel momento, una volta a Quattroventi e una a Zefiropoli, e praticamente non lo conoscevo, non sapevo chi fosse e cosa volesse davvero. Ma nella foga del momento lo avevo seguito senza dar troppo conto a questi aspetti in quanto il mio unico obiettivo era raggiungere il Team Plasma in fuga.
Diversamente dal giorno in cui ero accompagnata da N, in quel momento però non c’era anima viva al parco divertimenti e probabilmente questo era dovuto al fatto che ormai era pomeriggio inoltrato e quasi ora di cena. Decisi comunque di salire sulla ruota, anche se questa volta in solitaria e non accompagnata. Sicuramente non avrei dovuto aspettare di salire a causa della coda per il biglietto.
Mano a mano che la cabina saliva lenta si poteva scorgere la città di Sciroccopoli che si presentava timida ai mie occhi, incorniciata da un cielo oramai tendente all’arancio tenue misto al rosa a causa del sole oramai sparito sotto la linea dell’orizzonte. Una delle fortune di un Allenatore impegnato in un viaggio era proprio questa, ossia poter godere dello spettacolo che la natura offriva, come in questo caso, durante tutto l’arco della giornata.
 
‘’ Ti dico subito che io sono il sovrano del Team Plasma. Ghecis mi ha chiesto di aiutarlo a salvare i Pokémon. Ma chissà quanti Pokémon ci saranno al mondo?’’ 
 
Una volta sulla ruota così N mi aveva riferito senza mezzi termini chi fosse e quali fossero i suoi scopi. Ricordavo benissimo il mio schock in quel momento, soprattutto a causa della sua sincerità cosi improvvisa verso una persona che, d’altro canto, nemmeno lui conosceva.
Ricordavo anche il suo lungo silenzio dopo questa esternazione mentre in sottofondo si poteva sentire solo il rumore sordo della cabina in movimento. Non ebbi il coraggio di ribattere sul momento e mi limitai anche io a rimanere in silenzio.
Quando alzai lo sguardo verso di lui potei notare che teneva il capo chino verso il basso mentre un braccio era alzato per appoggiare la mano sul vetro della cabina. Solo allora ebbi la possibilità di osservarlo da vicino. I lunghi capelli verdi e disordinari erano raccolti al meglio sotto il cappello ed erano in contrasto con la sua pelle pallida e i suoi vestiti tendenti ai colori molto chiari. Non si poteva negare il fatto che N fosse un brutto ragazzo… anzi.
Ma nonostante tutto potevo vedere i suoi occhi grigi ora spenti e non caratterizzati dalla luce che avevo potuto osservare durante le poche lotte affrontate l’uno contro l’altra. Avrei voluto anche quella volta parlargli, chiedergli come stava e se c’era qualcosa che avessi potuto fare per lui ma non ebbi il tempo perché la cabina ebbe uno scossone più forte degli altri, segno del giro ormai terminato.
E fu quando scesi dalla ruota che vidi le Reclute del Team Plasma ad attenderci e pronte per intraprendere una nuova lotta. Ma fu N quella volta a fermarli.
 
È mio dovere proteggere chi vuole veramente il bene dei Pokémon. Mentre io lotto, voi allontanatevi in fretta da qui’’ poi continuò, stavolta rivolto a me ‘’Allora, Touko, capisci il mio piano?’’
 
Non lo comprendevo.
Era vero, i Pokèmon erano costretti dagli stessi uomini a rimanere nelle pokèball una volta catturati, ma questo non voleva dire togliere loro a libertà. A volte erano gli stessi Pokèmon a scegliere di seguire in autonomia un Allenatore. Il mio Snivy era un chiaro esempio. Tramite il contatto con gli umani potevano crescere, sviluppare nuove abilità e talvolta evolversi in forme più potenti.
Molte volte erano i Pokèmon ad aiutare le persone, ma non si poteva negare il contrario.
Potevo anche essere d’accordo sul fatto che molte persone dagli scopi non poco nobili utilizzavano i Pokèmon come macchine da combattimento per raggiungere scopi tutt’altro che positivi, ma in questo caso era proprio quello che il Team Plasma stava facendo. Sacrificare nelle lotte alcuni Pokèmon per salvarne degli altri.
Che senso aveva rendere liberi i Pokèmon dal giogo degli umani quando entrambe le parti potevano godere di alcuni vantaggi?
In poche parole il piano di N non mi convinceva, così come lo stesso Gechis e il modo di agire di tutto il Team. In quell’istante decisi che andavano assolutamente fermati, e io ci sarei riuscita.
Dopo aver risposto negativamente alla domanda di N scatenammo nuovamente i nostri Pokèmon in una impegnativa lotta, che vide me come vincitrice come nelle lotte precedenti.
 
Sei forte… Ma il futuro va cambiato, e questo spetta a me! Sconfiggerò anche il Campione e diventerò imbattibile… senza rivali. Farò in modo che tutti gli Allenatori liberino i loro Pokémon! Tu speri di stare sempre insieme ai tuoi Pokémon? È questo il tuo desiderio? E allora colleziona le medaglie delle varie città e dirigiti alla Lega Pokémon! Una volta là, prova a fermarmi! Se il tuo spirito non è saldo, non ce la farai mai a fermarmi”.
 
Capì in quel momento quali furono le vere intenzioni di N…
Come quel lontano giorno, anche questa volta scesi dalla cabina della ruota una volta terminato il giro con una leggera stretta al petto. Non avevo mai ragionato veramente sulle parole di N fino ad oggi, non mi ero mai fermata a pensare alle cose dal suo punto di vista. E, come ultimo, non avevo mai capito quanto fosse soggiogato da Gechis.
Non potevo comprendere come un “padre” potesse arrivare ad utilizzare un figlio che possedeva un dono così speciale come quello di parlare con i Pokèmon. Con che coraggio Gechis aveva compiuto una cosa del genere?
Chissà che sorta di lavaggio del cervello doveva aver sopportato N in tenera età. Anthea e Concordia, prima della lotta finale al castello, mi avevano solo accennato alla vita di N da bambino e da come raccontavano le vicende si capiva che anche loro non avevano potuto nulla contro gli ideali dell’uomo che N si ostinava a chiamare padre ed erano state costrette a subire le sue convinzioni.
Decisi che avrei ricercato N, avrei raccolto informazioni sul suo conto e lo avrei aiutato a capire che, nonostante si trovasse dalla parte del torto, era stato manipolato e sicuramente avrebbe potuto cambiare i suoi ideali in meglio e in qualcosa di più concreto.
Assurdo che fossi io a pensare ciò. Io stessa ero quella che non sapeva che cosa avrebbe potuto fare a viaggio terminato. Ma non mi importava di me in quel momento. Un solo obiettivo in mente. Trovare N.
Era come cercare un ago in un pagliaio ma con un po’ di fortuna e buon senso sarei riuscita a portare a termine la mia missione.
Mentre mi apprestavo ad uscire dal parco squillò l’Interpokè e una volta accettata la chiamata riconobbi la voce di Komor.
“Ciao Touko, ti chiamo per dirti che la Professoressa Aralia ha richiesto il nostro aiuto. Dovremmo dirigerci insieme a Fortebrezza. Sta succedendo qualcosa di strano e ha chiesto se possiamo controllare…”
 
 
 
Continua…

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Capitolo 9
*** L’importanza di un amico ***


CAPITOLO 8

“Oh finalmente Touko. Ce ne hai messo di tempo per arrivare. Ti fai sempre aspettare” mi disse Komor una volta arrivata a Fortebrezza. 
“Non ci crederai caro mio ma anche se Reshiram è un Leggendario non ha il turbo sotto le ali. Non pretendere” ribattei a mia volta. 
Non perdeva mai occasione di rimproverarmi Komor, anche se scherzosamente. D’altro canto, io gli rispondevo la maggior parte delle volte a tono. La nostra amicizia si era sempre basata su questo. Il rispetto e la stima erano alla base ma il tutto era condito dalla giusta dose di scherzi e battutine. Potevamo sempre contare l’uno sull’altra nel momento del bisogno, anche se non mancavano alcune piccole litigate ogni tanto. 
“Reshiram quando ti ha scelta non aveva idea di cosa gli sarebbe successo. Fare da galoppino ad una ragazzina di diciotto anni per tutta la regione di Unima credo fosse la sua più grande aspirazione” disse poi sistemandosi gli occhiali. 
“Sento un po’ di invidia nelle tue parole carissimo. Comunque non siamo venuti qui per battibeccare. Cosa facciamo qui esattamente? La città sembra deserta”. 
Guardai velocemente il paesaggio dinnanzi ai miei occhi. 
Fortebrezza non era una città tanto grande ma era molto caratteristica. Tutta costruita in sasso si sviluppava su più piani collegati da rampe di scale più o meno ripide. Non era un luogo di interesse per gli allenatori in cerca di lotte infatti non era presente una palestra ma solo un centro Pokèmon e il Pokèmon market. Nulla di più. 
Era però una meta tranquilla per passare le vacanze e, come Spiraria, era una di quelle città che si popolava maggiormente nei mesi estivi. 

“Conosci la leggenda su questo luogo?” chiesi a Komor mentre entravamo camminando in città. 
“Chi non la conosce ? Quella in cui si dice che nella Fossa Gigante ci sia un Pokèmon che la sera esce dal suo buco e viene a mangiare le persone a Fortebrezza…”
“A volte mi chiedo se c’è qualcosa che tu non conosca” risposi schernendolo.
“Infatti alcune domande non dovresti neanche propormele. Ma come si fa a credere ad una leggenda del genere?”
 A quel punto mi fermai e guardai più attentamente verso la città.
“Beh direi che gli abitanti ci credono. Non c’è anima viva qui e non è neanche tarda sera”.
La città si presentava deserta. Nessun movimento o rumore. Addirittura le persiane che coprivano le finestre erano chiuse e in alcuni casi sbarrate e non si poteva scorgere nessuna luce al di là di quest’ultima. Sembrava davvero una città abbandonata. 
“Che si fa a questo punto? Ha detto la Professoressa Aralia cosa dobbiamo controllare? Qui sembra tutto in ordine e comunque non avremmo anima viva a cui chiedere informazioni. Almeno non ora” domandai a Komor. 
“In realtà la professoressa non mi ha detto di preciso cosa dovevamo controllare. Mi ha riferito solamente che ha saputo che negli ultimi giorni ci sono stati movimenti sospetti di Pokèmon da queste parti. Per questo ha chiesto il nostro aiuto e lei fisicamente non poteva recarsi qui dati i suoi vari impegni” rispose. 
“Beh vorrà dire che per stanotte dormiremo qui e domani mattina se mai vedremo qualcuno chiederemo informazioni. Lo hai ancora il sacco a pelo vero?”.

La notte era ormai calata e per fortuna il clima era dalla nostra parte. Non c’era eccessivamente freddo e la notte si presentava perfetta per dormire all’aperto. Durante il viaggio non sempre si era così fortunati infatti più volte era calata la sera e non avevo trovato un tetto sopra la testa. E spesso le intemperie imperversavano durante la notte e rimane all’aperto non era semplice. 
“Dimmi la verità Komor, da quanto tempo non dormivi sotto le stelle?” chiesi cercando di stendere alla meglio il mio sacco a pelo sull’erba. Avevamo deciso di fermarci in una radura all’entrata di Fortebrezza, ai piedi di un grande albero, e avevamo scelto due dei nostri Pokèmon per vegliare su di noi. In particolare il mio Samurott e il Serperior di Komor, i nostri starter.
Non avevamo mai avuto particolare paura nel dormire all’aria aperta, ma trovandoci lontano da casa e in una città dove si raccontava che un Pokèmon la notte usciva per divorare gli esseri umani nei dintorni, non si era mai troppi sicuri. I nostri due amici avevano accettato di vegliare su di noi tranquillamente. 
“Effettivamente era da molto. Non possono negare però che sia sempre piacevole passare del tempo immersi nella natura ed è un peccato che Belle non sia potuta venire”. 
Purtroppo Belle era rimasta ad aiutare la Aralia in laboratorio. In pochissimo tempo aveva assunto un posto di rilievo ed ora lavorava a pieno ritmo a stretto contatto con scienziati e Pokèmon. Ero molto fiera di lei e di quello che aveva raggiunto in brevissimo tempo. 
“Sarebbe stato bello passare insieme una notte del genere, come ai vecchi tempi. Ti ricordi quando siamo partiti?” chiesi distrattamente.
“Già, inesperti e spaventati avevamo anche paura a passare una notte da soli all’esterno. Come sono cambiati i tempi e come siamo cambiati noi soprattutto”
Osservai i Pokèmon orami sistemati al nostro fianco e non potevo non dare ragione a Komor. Loro stessi rappresentavano la nostra crescita e il modo in cui erano stati allenati rispecchiava in pieno la nostra personalità. In un certo senso erano stati modellati a nostra immagine e somiglianza. 
“Non ti ho più raccontato cosa è successo a Spiraria” dissi dopo qualche minuto di silenzio tirandomi sui gomiti “non ci crederai ma ho avuto la possibilità di sfidare Camilla, la Campionessa della regione di Sinnoh!” 
Silenzio. 
Komor non disse nulla. Iniziai a pensare che non avesse sentito o che si fosse già addormentato ma entrambe le possibilità mi suonavano strane. Successivamente una voce bassa e leggermente tremolante arrivò alle mie orecchie. 
“…e hai vinto?” 
Ammetto che a quel punto avrei voluto rispondere in modo affermativo per farlo rosicare. Oh quanto avrebbe rosicato dinnanzi a una notizia del genere. 
“Beh diciamo che non ho voluto farle vedere le mie capacità al 100% e quindi la ho lasciata vincere” risposi tranquillamente.
“Ah ecco mi sembrava strano”
Nei minuti successivi raccontai i particolari della lotta, di come Camilla mi avesse asfaltato nel giro di tre mosse e di come conoscesse mia madre. 
“E dimmi invece cosa ci facevi a Sciroccopoli quando ti ho chiamato?” Chiese nuovamente Komor ad un certo punto.
“Nulla di che. Avevo appena terminato un giro sulla ruota panoramica”
“La ruota?”
“Già” risposi incrociando le mani al di sotto della testa. Sopra di me un cielo stellato si estendeva a perdita d’occhio. Non si udiva nessun rumore, ad eccezione di qualche fruscio tra gli alberi ma nulla di sospetto. Probabilmente erano rumori dovuti al vento leggero. 
“Hai ancora intenzione di cercare quel balordo di N?” chiese a bruciapelo.
Questa volta fui io a non rispondere immediatamente e quindi fu lui a continuare il discorso. 
“Non ho intenzione di farti la paternale Touko. Sai benissimo come la penso su quel tipo e credo che comunque siano sforzi inutili. Non capirebbe il tuo punto di vista in quanto non è aperto di mente. Una persona non cambia ideali così forti in poco tempo. Chissà dove si troverà in questo momento e in che cosa sarà già coinvolto. Secondo me sprechi il tuo tempo, lasciatelo dire da un amico”.
“Non mi interessa. Ho bisogno di sapere e conoscere il suo punto di vista, qualsiasi esso sia. Sono pronta a tutto. È quando sarò a cuor leggero andrò poi a sfidare Nardo come previsto. E ovviamente vincerò”.
“Così come hai vinto contro Camilla?” 
“Fai meno lo splendido, avrei voluto vedere te visto che la sai così lunga. Ma vedremo come ti comporterai contro Nardo e non vedo l’ora che quel momento arrivi”
“Almeno imparerai qualche cosa su come si lotta seriamente” 
“Stronzo”. 
Komor rise. Le mie parole non erano mai insulti nel vero senso della parola, e questo lui lo sapeva bene. 
“Tu piuttosto, hai ancora intenzione di studiare per entrare nella Scuola per Allenatori?” chiesi io a quel punto.
“Certo che sì e non vedo l’ora di iniziare il mio percorso e di accompagnare i giovani allenatori nei loro primi momenti. Imparare bene da subito significa avere una base solida su cui migliorare durante tutto il viaggio. E inoltre non vedo l’ora di poter essere io a dare la spinta ai giovani, così come al tempo era stato fatto con noi. Ricordi?”
“Ovvio che mi ricordo. Imparare i principali tipi di Pokèmon, fuoco batte erba, acqua batte fuoco, erba batte acqua…tutte cose che sembrano semplici ma sono basilari” a quel punto mi girai verso di lui “vedrai che sarai una figura perfetta. Non saprei indicare persona migliore per questo ruolo. Potresti anche puntare a diventare Capopalestra a mio parere”. 
“La vedo dura cara la mia Touko. Ma non mettiamo freni alla provvidenza, non si sa mai cosa può succedere nella vita”. 
A quel punto mi girai su un fianco, non prima di aver dato una veloce carezza al muso di Samurott che si trovava sdraiato vicino a me, e velocemente mi addormentai cullata da un vento leggero.

La notte trascorse tranquilla e fummo svegliati la mattina successiva dai tenuti raggi del sole sulla nostra pelle. 
In breve tempo sistemammo i sacchi a pelo e ci dirigemmo al villaggio. Nonostante fosse presto la città si prospettava completamente diversa e capimmo che i suoi abitanti iniziavano presto la giornata. 
Le persiane delle finestre erano spalancate nella maggior parte delle case e diverse persone erano in movimento all’esterno di essere per iniziare le varie attività. 
Insomma, una città completamente diversa da quella che avevamo osservato la sera prima. Ci chiedemmo a quel punto se gli abitanti fossero davvero così fedeli e credenti alle leggende del territorio. 
E ora? Come avremmo trovato le informazioni che ci servivano? 


Continua…
 

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Capitolo 10
*** L'urlo del Drago ***


CAPITOLO 9
 
A questo punto si ripresentava il problema della sera prima. A chi a avremmo chiesto informazioni?
A Fortebrezza non c’era nessuna figura di riferimento e, d’altra parte, nessun edificio particolare che avesse potuto fornirci indicazioni utili.
Fu Komor a quel punto a prendere iniziativa e si diresse spontaneamente verso un’anziana signora intenta a trapiantare fiori e bacche in una piccola aiuola al di fuori della sua dimora.
“Scusi signora, potrei chiedere un’informazione?” chiese il mio amico con voce decisa.
“Certo giovanotto dimmi pure” rispose gentilmente quest’ultima con un sorriso mentre raddrizzava la schiena per voltarsi verso di noi.
“Scusi l’indiscrezione ma è successo qualcosa di strano di recente qui a Fortebrezza? Qualcosa degno di nota?”
“Uh si giovanotto” Komor si fece attento a quel punto “devi sapere che l’altro giorno un gruppo di maledetti Ppkèmon ha distrutto il mio orto. Sono stata costretta a rilavorarlo nuovamente. Ma dimmi te… il lavoro di mesi buttato via in una sola notte e si sono portati via tutte le bacche che avevo piantato”.
Non era sicuramente la riposta che ci aspettavamo o di cui avevamo bisogno. Quante volte i Pokèmon selvatici entravano nelle terre dei cittadini e rovinavano il loro lavoro. Era quello che purtroppo succedeva spesso nelle zone rurali.
Convinsi Komor a lasciar perdere la signora e, dopo averla salutata e ringraziata, ci dirigemmo all’interno del centro Pokèmon per porre la stessa domanda.
“Mi dispiace ragazzi ma non saprei come aiutarvi” disse dispiaciuta l’infermiera dai capelli rosa al bancone del centro “All’interno dell’edificio non ho notato nulla di strano sia sulle persone sia sui Pokèmon. E all’esterno non saprei, difficilmente durante il mio lavoro mi trovo al di fuori. Ultimamente molti Allenatori passano per la città e quindi molti Pokèmon hanno bisogno del mio aiuto in sala operatoria”.
Dopo un piccolo momento di silenzio in cui io e Komor stavamo già per alzare i tacchi fummo fermati d’infermiera stessa.
“Aspettate…” ricominciò pensierosa “effettivamente ora che mi ci fate pensare negli ultimi giorni che sono stata in sala operatoria è andata via la luce più volte e gli stessi elettricisti non sono stati in grado di risolvere il problema o capirne l’origine. Dicono che ci sia stata interferenza nelle zone vicine a causa di un forte accumulo di energia, ma non saprei indicare di più”.
Non era una completa informazione ma potevamo considerarlo come un papabile indizio.
 
Una volta usciti dal centro eravamo però da capo...
“Io personalmente di elettricità non ne so nulla, ma la luce può andare via per mille motivi a noi sconosciuti. Dobbiamo prendere la questione con le pinze” iniziai a ragionare a voce alta.
“Potremmo dirlo alla professoressa Aralia e chiedere un consiglio”. Come sempre Komor era sempre sul pezzo ed era quello che aveva le idee più sensate alla fine della fiera. Ma non lo avrei mai ammesso, specialmente con lui.
E fu così che chiamammo Aralia e le esponemmo in breve quello che avevamo scoperto. Dopo circa dieci minuti fu lei stessa a richiamarci indicando che effettivamente vi era una grande presenza di energia alla Fossa Gigante. Non era una presenza costante ma la quantità di energia oscillava nel tempo, e probabilmente, nel momento in cui se ne accumulava molta andava a interferire con le linee della città andando a creare brevi black out.
Di conseguenza decidemmo di dirigerci alla Fossa Gigante, ignorando completamente le leggende che si narravano sul luogo stesso e alla presenza ipotetica del Pokèmon-mangia-uomini.
 
Una volta arrivati l’entrata la Fossa si presentava buia e molto umida.
“Bhe direi che non abbiamo altra scelta, dobbiamo entrare” iniziò Komor passandosi una mano tra i capelli. I suoi occhi fissi sull’entrata.
“Che hai? Paura?” domandai schernendolo come al solito.
“Ma figurati, sai quante volte ho esplorato caverne. Questa non sarà diversa”.
Al primo impatto le caverne si presentavano tutte uguali. Massi, massi, umidità e ancora massi. Il tutto condito con una dose abbondante di buio pesto, tanto per non farsi mancare nulla.
Non avevo mai esplorato questo spazio e mentalmente mi maledii per il fatto di aver detto a mia madre che avrei potuto disegnare a memoria una mappa di Unima. Povera sciocca che ero.
Una volta dentro percorremmo cunicoli intricatissimi e ci ritrovammo più volte a salire e scendere ripidi scalini. Non c’era traccia di Pokèmon e questo era molto strano in quanto solitamente le caverne come questa pullulavano di Pokèmon di tipo buio o spettro.
Altro elemento che strideva.
 
Rimanemmo nella caverna per un’oretta buona, rischiando di perderci più volte, ma nel momento in cui eravamo intenzionati a tornare indietro un forte urlo fece tremare le pareti della Fossa.
Ma non era un urlo qualsiasi.
Io conoscevo da chi proveniva.
Era Zekrom.
Non volevo crederci. Impossibile.
Senza pensarci troppo iniziai a correre senza una meta precisa, e velocemente imboccai un cunicolo che si andava via via stringendo. In testa solo il verso appena udito.
Non diedi neanche ascolto a Komor dietro di me che cercava invano di fermarmi.
Non mi sarei fermata. Non ora.
Non sentivo più nulla e non capivo più nulla. Il sangue mi rimbombava nelle orecchie e sentivo freddo alle gambe che iniziavano a farmi male, segno della tensione che andava via via accumulandosi.
Non so per quanto tempo corsi e soprattutto non sapevo dove stavo andando. Sapevo solo che lui era lì e che non mi aveva abbandonato.
 
Arrivai ad un punto cieco. La strada che avevo seguito non portava da nessuna parte.
No, non ora. Mi girai indietro e notai che Komor non era più alle mie spalle. Poco male, sarebbe sicuramente riuscito a cavarsela e dopo lo avrei sicuramente contattato nel caso.
Mi avvicinai ai massi rocciosi che mi precludevano la via e notai che erano presenti piccoli spiragli da cui provenivano leggeri raggi di luce. Con molta probabilità al di là non vi era nulla e, di conseguenza, avrei potuto aprirmi un varco.
“Samurott avanti!”
Chi altro poteva aiutarmi a distruggere le rocce se non il mio fidato amico di tipo Acqua?
In questo modo in pochi secondi non avevo più dinanzi a me un muro ma delle rocce sbriciolate e un varco aperto. E un passo più vicino ad N.
 
Il paesaggio che avevo dinnanzi si presentava molto diverso da quello visto fino ad ora.
Era effettivamente come trovarsi in una fossa. Alte pareti in roccia circondavano dai quattro lati un piccolo bosco innevato.
Terzo elemento strano. Perché la neve se ci trovavamo a fine primavera e ormai prossimi all’estate? Fino ad ora avevamo in mano tutti elementi che tra loro non combaciavano.
Mi avviai all’interno della foresta sempre senza una meta. I miei scarponcini affondarono nella neve soffice e il freddo penetrò velocemente nelle ossa. Ovviamente il mio abbigliamento non era adeguato. Pantaloncini corti e canottiera non erano indicati nella neve.
Mi ripromisi dunque di rimanere poco in quel luogo, altrimenti avrei beccato una polmonite in dieci secondi.
Camminai per qualche minuto fino a che non raggiunsi il centro della fossa.
Il cuore mi batteva all’impazzata al solo pensiero che N potesse trovarsi lì, ma per il momento di lui nessuna traccia. Anzi nessun grido si sentiva più. Che me lo fossi immaginato?
Intorno a me il silenzio più totale.
Mossi un passo in avanti ma non appena appoggiai il piede a terra un varco si aprì sotto ai miei piedi. Il terreno si sgretolò sotto il mio peso e caddi nel buio più totale.
 
Continua…

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Capitolo 11
*** Ghiaccio ed elettricità ***


CAPITOLO 10
La caduta non fu lunga ma sicuramente l’atterraggio non fu dei più morbidi.
Il terreno sotto di me si presentava compatto, duro al tatto e molto freddo mentre l’oscurità mi avvolgeva. Intorno a me si sentiva solo il rumore sordo di qualche goccia che cadeva dalla sommità della caverna.
Poggiai le mani per terra e, lentamente, mi tirai in piedi. Fortunatamente non mi ero rotta nulla, ma la botta l’avrei sicuramente accusata il giorno seguente.
Appurato che non vedevo nulla portai una mano alla cintura per richiamare Arcanine che sicuramente mi avrebbe potuto aiutare a dare una schiarita a questo ambiente tramite l’uso del fuoco.
Ma fu quando toccai la cintura che mi bloccai.
Le Pokèball che solitamente erano attaccate a quest’ultima non c’erano. Con molta probabilità si erano sganciate dopo la caduta.
Un brivido mi percorse la schiena e per la prima volta ebbi paura. Paura davvero.
Mi trovavo in un luogo potenzialmente pericoloso senza poter contare sui miei più fidati amici, quelli che da un anno a questa parte mi avevano sempre aiutata, protetta e tranquillizzata nei momenti del bisogno.
Un senso di nausea si fece largo nello stomaco, mentre la testa iniziava a girare a causa del forte buio a cui i miei occhi non erano sicuramente abituati. Era stato come perdere la vista da un momento all’altro, non avevo avuto il tempo di abituarmi alla nuova condizione e questo si stava riflettendo sul mio corpo. L’ansia incombente sicuramente non era da considerarsi come un punto a mio favore.
Di scatto mi abbassai e iniziai a tastare con le mani il terreno freddo che mi circondava. Magari sarei stata fortunata e le Pokèball si trovavano ancora vicino a me. Inutile dire che non fu così.
Realizzai a quel punto che la mia vita poteva definirsi conclusa.
Dispersa nel bel mezzo della Fossa Gigante, senza Pokèmon e senza l’aiuto di Komor che avevo perso di vista sarei sicuramente sarei morta di freddo o, alla peggio, divorata dal Pokèmon in cui gli abitanti di Fortebrezza nutrivano così tanta paura.
 
A quel punto mi alzai e decisi che avrei trovato un punto di riferimento.
Brancolando nel buio, e con le mani portate in avanti, con una lentezza esasperante riuscì a raggiungere quella che mi sembrava la parete del buco in cui ero caduta.
A quel punto giunse alle mie orecchie uno dei suoni più acuti che avessi mai sentito. Non saprei indicarne la provenienza. Era come sentire unghie affilate percorrere una lavagna da cima a fondo. Uno stridio che penetrava fino alle ossa. Era un suono molto forte e per questo fui costretta a tapparmi le orecchie con le mani. Che provenisse da un Pokèmon pareva assai strano.
Ulteriore inquietudine si fece largo dentro di me. Qualsiasi cosa fosse non era lontano dalla mia posizione.
In quel momento la temperatura andò ad abbassarsi ulteriormente, come se fosse possibile, e mi ritrovai a battere leggermente i denti senza più controllo di me stessa.
Sarei sicuramente ibernata in quel buco e nessuno sarebbe riuscito a trovarmi.
Magari sarei entrata in uno stato di letargo e mi sarei svegliata ere geologiche successive e le popolazioni evolute mi avrebbero catalogato come una sorta di alieno venuto dal passato.
Mi ritrovai a pensare che anche la mia mente mi stava abbandonando se riuscivo a immaginarmi una cosa del genere, non solo il mio corpo.
Sempre lentamente e facendo attenzione a dove mettevo i piedi proseguì il mio cammino lungo il muro della grotta orami gelata. Fortunatamente non trovai ostacoli particolari, a parte qualche sasso che riuscii ad aggirare con prudenza.
 
Non saprei dire per quanto camminai. Procedevo talmente lentamente che probabilmente avevo compiuto pochissimi metri in non so quanto tempo.
Arrivai ad un punto della caverna in cui però il buio iniziava a scomparire per fare spazio a una tenue luce. Fu in quel momento staccai le mani dal muro e ripresi il cammino più velocemente.
Mano a mano che procedevo la grotta si faceva sempre più fredda ma luminosa.
Mi ritrovai dopo qualche metro ad un piccolo varco da cui proveniva una luce fortissima e al di là di questo non si poteva notare nulla. Senza pensarci due volte varcai la soglia riparandomi gli occhi con il braccio a causa della forte luce. Cosa avevo da perdere dopotutto?
 
Nel momento in cui riaprì gli occhi non potevo credere a quello che stavo vedendo.
 
Una gigantesca grotta si presentava dinnanzi a me mentre le pareti altissime e gelate facevano da scenario a quella che pareva essere una lotta tra due Pokèmon.
Ma non erano due Pokèmon qualsiasi.
Erano due Draghi.
E uno dei due Draghi non era altro che Zekrom.
 
Non potevo crederci. Era davvero lui.
Anche se girato di spalle rispetto alla mia posizione era impossibile da non riconoscere.
Il corno nero che portava sulla sommità della testa talvolta si colorava di un blu a causa della forte elettricità sprigionata mentre la schiena possente portava due spesse ali potenti che fremevano a causa dell’energia accumulata.
Per finire la grande coda appuntita e simile a un grosso pungiglione si trovava ora in posizione di attacco, a dimostrazione del fatto che fosse pronto a lottare con il Pokèmon che si trovava di fronte.
Nella foga andai a posare lo sguardo proprio su quest’ultimo.
Non lo avevo mai visto se non nei libri di storia o in qualche manuale.
Il corpo era appuntito ma allo stesso tempo longilineo, di un colore grigio molto tenue, intervallato da alcuni elementi che ricordavano dei pezzi di ghiaccio.
Dalla sua coda, anch’essa di una forma geometrica particolare, fuoriusciva quello che sembrava del fumo.
Capii subito che quello doveva essere nient’altro che Kyurem, il Pokèmon che terrorizzava gli abitanti di Fortebrezza.
E non si poteva certo biasimarli. Il suo sguardo incuteva terrore come poche cose al mondo. Gli occhi si presentavano gialli e con sottilissime pupille sempre color ghiaccio, fisse in questo momento su Zekrom.
Capì immediatamente che la bassa temperatura era dovuta alla sua presenza e dai suoi attacchi di tipo ghiaccio contro il Pokèmon Ideali. Ipotizzai che anche l’acuto grido che avevo udito nella caverna buia provenisse da lui.
Ma perché stavano combattendo? Ma soprattutto dove si trovava N se Zekrom era lì?
 
Avrei dovuto allontanarmi da quel luogo e fuggire prima che i danni diventassero irreparabili ma non ebbi la forza. A parte la temperatura che continuava imperterrita a scendere in quel momento le mie gambe erano come bloccate. Per il freddo certo, ma soprattutto a causa della paura.
Cosa avrei potuto fare? Non avevo Pokèmon per difendermi e nella mia mente si alternava un turbinio di domande a causa della presenza di Zekrom e della conseguente possibile presenza di N.
 
Non ebbi però il tempo di badare al mio stato in quanto i due Pokèmon ripresero velocemente a lottare.
Si scagliavano l’uno contro l’altro con attacchi diretti e frontali, senza esclusione di colpi e fu in quel momento che le pareti della caverna cominciarono a tremare.
“Devo andarmene da qui!” dissi ad alta voce a me stessa.
Capii però di aver commesso un terribile sbaglio.
Fu in quel momenti infatti che Kyurem fermò la lotta in corso e puntò le sue iridi cristalline contro di me.
Mi sentii in trappola, come un topo in gabbia. Avrei dovuto fare più attenzione, mi sarei dovuta nascondere e aspettare la fine della lotta per capire cosa sarebbe successo.
Non avevo alzato il tono della voce ma il Pokèmon di tipo drago e ghiaccio doveva avermi sentito grazie al suo udito finissimo e, di conseguenza, mi aveva individuata senza troppe cerimonie.
Capii anche che non voleva essere disturbato nella lotta quando lanciò contro di me un attacco gelato.
Fu questione di pochissimi secondi.
Un vento gelido mi investì in pieno. Le gambe cedettero, la testa cominciò a girare e tutto si fece improvvisamente buio. Lentamente chiusi gli occhi e mi lasciai andare. Che fosse giunta la mia ora?
L’ultima cosa che ricordo erano due forti braccia che mi sostenevano, nel tentativo di alleviare la caduta, mentre dei folti capelli verdi andavano a solleticarmi il viso.
 
Continua…
 

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Capitolo 12
*** Sogno o realtà? ***


CAPITOLO 11
“Ben svegliata… Touko”.
Furono queste le prime ovattate parole che udii una volta aperti gli occhi.
Riconobbi velocemente le intricate fronde degli alberi che si trovavano al di sopra di me, e realizzai in breve tempo di essere sdraiata a terra.
A quel punto lentamente alzai il busto e mi misi seduta. Successivamente mi voltai per capire da chi provenisse la voce sentita prima.
Non potevo crederci.
N.
Era lì. Dinanzi a me, seduto con la schiena appoggiata al tronco di un grande albero. Le lunghe gambe erano leggermente piegate e su di esse erano appoggiati a loro volta i gomiti. In mano portava un filo d’erba con cui giocherellava distrattamente.
Lo sguardo fisso su di me.
“Ti ho recuperato appena in tempo. Ancora qualche minuto e l’attacco gelato di Kyurem sarebbe stato fatale…” disse sospirando “non mi sarei mai perdonato il fatto di non aver aiutato l’eroina scelta da Reshiram”.
In quel momento si alzò e si diresse verso di me.
“G-grazie” balbettai senza senso. “M-ma cosa facevi nella caverna, e perché Zekrom stava combatt-“
“Shh” disse lui poggiandomi un dito sulle labbra interrompendo la mia domanda “non importa cosa stava succedendo là dentro. Conta il fatto che tu stia bene ora”.
Avevo perso l’uso della parola. Mi limitavo a guardarlo negli occhi. Mai eravamo stati così vicini e mai lo avevo osservato così attentamente come in quel momento. Fu lui poi a continuare: “Volevo scusarmi per come mi sono allontanato da te, per come ti ho abbandonata al castello. Avevo pensieri confusi per la testa ma ora ho capito…ho capito che voglio te al mio fianco. Vieni con me e partiamo per un viaggio al di fuori della regione di Unima. Solo io e te. Che ne dici?”
Non gli risposi. Mi limitai a fissarlo in silenzio rapita dalle sue parole e dal suo sguardo cristallino.
“Che ne dici Touko?” mi ripetè nuovamente.
Quanto poteva essere bello il mio nome pronunciato dalle sue labbra?
“Touko…”
 
“Touko! Ehy Touko svegliati!”
Velocemente mi ritrovai ad aprire gli occhi, questa volta per davvero, e nel momento in cui lo faci ebbi una forte fitta alla testa.
Mi tirai a sedere e portai una mano nel punto in cui avevo sentito dolore e iniziai a massaggiare la zona al di sopra del cappellino, invano.
Riconobbi la figura di Kormor inginocchiata davanti a me. Il suo sguardo era più che preoccupato.
Mi guardai intorno. Ci trovavamo al di fuori della caverna, dal punto in cui eravamo entrati, e non nella bella radura verdeggiante che stavo sognando poco prima. Ma come ero arrivata qui?
“Ma cosa ti è saltato in mente?” iniziò a chiedere irritato Komor “Hai idea di quanto tu mi abbia fatto preoccupare? Neanche i bambini di due anni scappano in quel modo… ma che avevi intenzione di fare?”.
Non capivo nulla. Continuavo a massaggiarmi la testa come se servisse a far passare il dolore, mentre con gli occhi chiusi ascoltavo il mio amico che mi rivolgeva frasi che sul momento non riuscivo a comprendere appieno. Probabilmente ero rimasta intontita dall’attacco ghiacciato.
Un attimo… attacco ghiacciato, Kyurem, Zekrom…
“N!” urlai mentre Komor ancora mi rivolgeva domande senza sosta.
“N? mi spieghi cosa centra ora quel tipo?” rispose il mio amico tirandosi in piedi e incrociando le braccia al petto. Era palesemente nervoso. “Non riesci a pensare ad altro che a lui anche dopo quello che è appena successo?”.
“No Komor, non capisci. N mi ha salvata!” quasi urlai tirandomi in piedi.
Fu in quel momento che Komor sbarrò gli occhi.
“Ma salvata da cosa? Tu devi aver preso una bella botta in testa cara Touko…” mi disse guardandomi storto.
A quel punto iniziai a raccontare quello che era successo, cercando di riallacciare i diversi avvenimenti che ricordavo.
“Non ci crederai ma sono arrivata al centro della Fossa Gigante dopo aver corso per seguire l’urlo del Pokèmon che abbiamo sentito nella caverna. E penso di essere scivolata in una sorta di cava completamente al buio… ed è lì che ho visto Zekrom e un secondo Pokèmon di tipo ghiaccio lottare tra di loro.”
“Tu ti droghi…” iniziò a battibeccare Komor.
“Solo che nel momento in cui avevo deciso di allontanarmi dal quel luogo il Pokèmon ghiacciato, che presumo fosse Kyurem, mi ha attaccato credo con un attacco gelato”.
“Continuo a pensare che tu mi nasconda qualcosa” ripetè poco convinto Komor “e perché non ti sei difesa scusami? E cosa centra N?”
In quel momento ricordai bene cosa era successo e un brivido freddo mi percorse la schiena. Sbarrai gli occhi.
“Ho perso i pokèmon”.
“Tu cosa? Cosa vuol dire che hai perso i Pokèmon? Touko, fermati un secondo, se questo è uno scherzo siamo arrivati al capolinea. Smettila subito”.
“Perché non mi credi? Le pokèball si sono sganciate quando sono caduta e siccome non vedevo nulla non mi sono preoccupata sul momento di raccoglierle… puntavo prima a cercare una fonte di luce…”.
Stupida.
Stupida.
Stupida.
Perché non avevo ricercato subito le pokèball? La curiosità aveva avuto la meglio sulla razionalità e questo era il risultato. Ora i miei Pokèmon erano dispersi in chissà quali meandri della caverna. Abbandonati a sé stessi e senza la possibilità di uscire dalle pokèball e difendersi.
Komor sospirò.
“Torneremo dentro e cercheremo le pokèball, cosa vuoi che ti dica” successivamente puntò i suoi occhi nei miei “ma la storia di N non mi convince per nulla. Ti ha portato fuori dalla caverna e ti ha abbandonata di nuovo?”.
“Ma come hai fatto a rintracciarmi?” chiesi a quel punto pensierosa.
“Tramite Inter-Pokè. Il mio nuovo modello individua in modo automatico i dispositivi vicini e, soprattutto, quelli con cui si hanno avuto più contatti come nel tuo caso. Una volta arrivato qui ti ho trovata distesa a terra ignaro di cosa fosse successo”.
Portai le mani in viso e iniziai a strofinare gli occhi per cercare sollievo. “Credimi Komor… non ho sognato nulla è tutto vero quello che ti ho raccontato. N è ancora qui ed è grazie a lui che sono scampata a morte certa. Altrimenti quell’attacco sarebbe stato fatale”.
“Touko” si avvicinò e pose una mano sulla mia spalla “sei molto agitata in questo momento. Io direi di dirigersi a Soffiolieve per riferire alla Professoressa Aralia quello che abbiamo visto. Dopo torneremo e andremo a cercare i tuoi compagni. Non mi sembra il caso di rientrare ora nella caverna e sicuramente nessuno li ruberà nel frattempo. Gli unici scellerati da poter entrare in un buco di questo tipo siamo noi” concluse con un sorriso sghembo.
“E cosa diciamo ad Aralia?” chiesi distrattamente.
“Con molta probabilità i black-out che si stanno verificando a Fortebrezza sono causati da un accumulo di elettricità di Zekrom, sempre che sia vero quello che hai visto… riferiremo che il Leggendario è stato avvistato e così anche N”.
“NO!” lo interruppi.
“Cosa vuol dire no?”.
“Non posso raccontare di N. Altrimenti finirebbe nelle mani di Bellocchio e non saprei prevedere le conseguenze” risposi ricordando la conversazione avvenuta con l’investigatore ad Austropoli.
“Oh Touko sei impossibile… io comunque continuo a pensare che ti sei immaginata tutto”.
 
“E così volete dirmi che gli accumuli di energia sono dovuti a Zekrom…” iniziò pensosa Aralia portando una mano sotto il mento “sarebbe la prima volta che sento una cosa del genere. Non ne comprendo il motivo”.
Una volta arrivati a Soffiolieve ci eravamo recati velocemente dalla Professoressa e le avevamo riferito, in parte, di quello che era accaduto alla Fossa.
Anche lei, come me, non era però in grado di fornire una risposta al momento.
“Possiamo affermare con certezza, dopo quello che Nardo ha raccontato, che Zekrom e Kyurem in teoria sono due Pokèmon rivali e che prima erano uno solo. Che si sia infuocata nuovamente la loro rivalità? Ma a che scopo?” continuò Aralia seguendo il flusso dei suoi pensieri.
Era il suo modo di ragionare dopotutto. Pensava sempre ad alta voce, collegando i vari particolari inserendo osservazioni e, talvolta, delucidazioni. La sua mente brillante non era certo da sottovalutare.
“A questo punto credo che considererò anche le opinioni di mio padre. Sono certa che avrà la sua da dire al riguardo”. Furono queste le sue conclusioni. Gasparago Aralia infatti, come la figlia, era un importante ricercatore e sicuramente sapeva il fatto suo su leggende Pokèmon o argomenti simili. La sua opinione sarebbe stata certo di rilievo.
“Senta Professoressa” iniziò poi Komor senza preavviso “avremmo un ulteriore problema. Durante l’ispezione nella caverna Touko ha perso i suoi Pokèmon a causa di una caduta e non è più riuscita a trovarli. Sarebbe possibile inviare una squadra di ricerca organizzata che possa recuperare le Pokèball in sicurezza? Non credo sia saggio ritornare in quel luogo da soli quando ci sono due Pokèmon di un calibro così alto che lottano tra di loro.” Inutili furono le gomitate sul fianco di Komor per farlo smettere di parlare.
Sapevo quanto ci tenesse a me, ma sapevo anche quanto insieme eravamo forti e saremmo potuti tornare tranquillamente noi sul posto per recuperare i miei amici perduti.
Come immaginavo Aralia si fece seria a quelle parole e puntò il suo sguardo verso di me.
“Touko questo è molto grave. Avresti dovuto fare più attenzione e porre i Pokèmon nella borsa quando ti trovi in una situazione precaria”.
Mi limitai ad abbassare lo sguardo, consapevole di avere torto in questa situazione.
“Comunque al momento non ho collaboratori liberi per svolgere questo compito. Vi direi invece di rivolgervi a Rafan. Sicuramente lui saprà aiutarvi”.
Come sempre Aralia non ne sbagliava una.
Rafan, il Capopalestra di Libecciopoli, o “il signore del sottosuolo” come lui stesso si definiva con poca vanità, era la figura perfetta per il compito.
Chi meglio di lui poteva affrontare caverne e cunicoli intricatissimi?
 
“Bene ragazzi, grazie per le informazioni fornite e vi prometto anche appena sarò in possesso di qualche informazione ve la riferirò per avere un quadro più completo”.
Così ci salutò la Professoressa Aralia una volta che varcammo la porta del suo laboratorio.
“Si sta facendo tardi. Credo sia meglio recarci a Libecciopoli domani. Che ne dici?” mi chiese Komor mentre ci dirigevamo verso casa.
 
E così mi ritrovai ancora una volta in camera mia. Sdraiata sulla schiena e fissando il soffitto.
Mi sentivo maledettamente sola. Era la prima volta che rimanevo senza Pokèmon. Senza il mio Growlithe che giocherellava sul tappeto mordicchiandomi le ciabatte, senza il mio Serperior che osservava attento le diverse immagini che trovava sui libri presi dagli scaffali, o senza il mio adorato Samurott che, semplicemente, dormiva accanto al mio letto a causa di uno dei suoi attacchi di sonno.
Era proprio vero che la mancanza di qualcosa la avverti solo dopo che la hai persa.
Non dimentichiamoci il fatto di N. Mi aveva davvero portato lui fuori dalla caverna? Quindi non si era allontanato da Unima…
Al solo suo pensiero un piccolo ma spontaneo sorriso nacque sul mio viso, e leggeri brividi si fecero strada lungo le braccia. Un nodo allo stomaco si formò a quei pensieri e, inconsciamente, mi agitai.
In un modo o nell’altro lo avrei sicuramente ritrovato.
 
Continua…

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Capitolo 13
*** Il signore del Sottosuolo ***


CAPITOLO 12
La mattina dopo io e Komor ci dirigemmo velocemente a Libecciopoli per parlare con Rafan. L’obiettivo era chiedere aiuto per recuperare le mie pokèball che si trovavano sperdute all’interno della Fossa Gigante.
Appreso che il nostro uomo si trovava all’interno della sua palestra in attesa di allenatori da sfidare, ci recammo sul posto.
La palestra di Rafan si articolava su più piani interrati verticalmente e si procedeva verso il basso tramite l’uso di ascensori. Per nostra fortuna, in questo caso, non eravamo stati costretti a sfidare i diversi allenatori che si trovavano ad ogni livello come quando eravamo in cerca della medaglia Sisma, ma procedemmo direttamente all’ultimo livello tramite un ascensore secondario.
“Se vogliamo essere sinceri” iniziai distrattamente “questa è la medaglia che ho ottenuto con più facilità. Grazie a Samurott ovviamente” dissi mentre osservavo il piccolo schermo che indicava il numero dei piani che avevamo superato.
Ed era vero, grazie al vantaggio naturale dei tipi Acqua contro i tipi Terra avevo vinto in un batter d’occhio.
“Possiamo dire che siamo stati fortunati da questo lato, questo è valso anche per me e Serperior…non possiamo dire la stessa cosa per Belle ed il suo Emboar. Difficile affrontare un tipo Terra con un tipo Fuoco, anche se ben allenato. Diciamo che lei è stata avvantaggiata in altre palestre”.
A quel punto l’ascensore si fermò, accompagnato da un suono leggero. Eravamo arrivati e, quando le porte si aprirono, scendemmo.
La sala si presentava enorme, come la ricordavo, completamente al buio e con piccole luci a led come unica fonte di luce. Le alte pareti che circondavano la sala si presentavano rugose e dalle varie tonalità di marrone. L’aria era sicuramente più pesante di quella che si respirava in superficie.
“Finalmente qualcuno da sfidare!” tuonò una voce forte e decisa proveniente dal centro della sala “coraggio allenatori fatevi avanti!”.
Riconobbi subito la voce di Rafan e quando lo individuai la sua figura troneggiava al centro della sala, le braccia incrociate sul petto e un sorriso furbo in volto.
Si definiva una sorta di business man. Lui d’altro canto era stato responsabile della crescita di Libecciopoli e sempre lui era a capo del progetto di costruzione del ponte di quest’ultima città, uno dei più grandi ponti di Unima.
Il suo abbigliamento però, ricordava quello dei cow-boy che ogni tanto si potevano vedere nei programmi TV. Cappello in testa, gilet leggero portato a coprire una camicia dal color mattone, pantaloni larghi beige e stivaletti. La valigetta nera era, però, il suo tratto distintivo e l’unica cosa che lo facesse somigliare ad un uomo d’affari.
A quel punto ci avvicinammo.
 
“E così mi stai dicendo che hai bisogno del mio aiuto…” disse una volta appreso il fatto che né io né Komor fossimo lì per lottare.
Brevemente gli raccontammo le vicende che avevamo vissuto negli ultimi giorni e di come fossimo arrivati a lui tramite la Professoressa Aralia.
“Diciamo che si può fare. Invierò sul posto due o tre collaboratori di esperienza per prelevare il bottino. Lasciatelo dire però, ragazza, non mi aspettavo tu fossi così disattenta da cadere in un errore così grossolano. Perdere le pokèball quando si possiede un Pokèmon del calibro di Reshiram è grave. Bisogna fare attenzione a come ci si muove”.
Komor a quel punto si girò verso di me e, assolutamente in silenzio, portò le braccia al petto e mi guardò fisso negli occhi. Potevo chiaramente leggere nel suo sguardo un “beccati la seconda sgridata della giornata perché te la meriti”.
Era vero, me lo meritavo. Ma a chiunque capita di sbagliare no?
Il concetto di sbaglio non sembrava però far parte della concezione di Rafan che continuava imperterrito con le sue considerazioni.
“Immagina se Reshiram, per qualche motivo, riuscisse ad uscire dalla sua pokèball e incontrasse Zekrom, che, a quanto tu racconti, si trova nella caverna. Non oso immaginare cosa succederebbe se la rivalità tra i due si accendesse nuovamente come raccontano le leggende…”
Non saprei dire quanto parlò Rafan, ma sicuramente il discorso prese una piega diversa. Raccontò di quando era giovane, di come aveva iniziato la sua carriera e di come si fosse trovato alle strette poche volte durante la sua vita.
“…sono comunque sempre riuscito ad uscire dalle difficoltà che la vita mi presentava in autonomia, anche se gli ostacoli sembravano insormontabili e sono riuscito ad ottenere una grossa attività lavorativa, come potete vedere” terminò dopo non so quanti minuti.
La mia bocca si storse leggermente.
“Mi sta dicendo che ha cambiato idea e non ha più intenzione di aiutarmi? Che devo superare questo ostacolo da sola?” chiesi a quel punto, non capendo cosa centrassero le sue ultime parole.
“Oh no ragazzina, al contrario. Volevo solo far capire che nella vita bisogna stare attenti a quello che si fa perché non si conoscono mai le conseguenze”.
Detto questo scoppiò in una fragorosa risata. Per certi versi ricordava Nardo.
Non avendo capito appieno la coerenza del suo discorso decisi di lasciare perdere.
Successivamente si fece di nuovo serio.
“Ho sentito dire che la cattura dei Sette Saggi è a buon punto” chiese cambiando argomento.
“Si, poco tempo fa ho incontrato Bellocchio e mi ha riferito delle ricerche in corso” risposi.
“Molto bene, una volta che tutto il Team sarà stato catturato Unima avrà un problema in meno a cui pensare”.
 
Dopo aver salutato Rafan e averlo ringraziato anticipatamente per l’aiuto lasciammo l’edificio.
Avrei indicato in un secondo momento l’ipotetico punto in cui avevo perso le pokèball alla squadra di ricerca che, in quel momento, doveva ancora formarsi. Non aveva senso rimanere in palestra.
“C’è proprio una bella giornata oggi… che ne dici di fare un giro al mercato di Libecciopoli?” chiese Komor a quel punto sistemandosi gli occhiali sul naso “dovrei anche fare rifornimento di alcune erbe come la Vitalerba e altri rimedi simili già che ci penso”.
“Umh, io credo che intanto che tu fai acquisti farò due passi sul ponte di Libecciopoli. È sempre piacevole passare del tempo lì e lo trovo molto rilassante” spiegai io.
“Rilassante? Non vedo cosa tu possa trovare di rilassante in un ammasso di ferraglia che potrebbe cadere da un momento all’altro” detto questo il mio amico si girò e si diresse al mercato “comunque come vuoi, quando ho finito ti chiamo con l’Interpokè. Vedi di fare attenzione e non cacciarti nei guai in questi pochi minuti”.
Gli lanciai un’occhiataccia a quel punto, che lui ovviamente non vide in quanto era ormai girato di spalle.
 
Adoravo camminare sui ponti.
Il Ponte di Libecciopoli, in questo caso, non era il più lungo della regione in quanto il primato spettava al Ponte Freccialuce che univa il Bosco Girandola con Austropoli.
Per fortuna lo trovai aperto. L’apertura e la chiusura di quest’ultimo, infatti, erano a discrezione delle scelte di Rafan stesso. Era lui infatti, se decidere di chiuderlo per permettere il passaggio alle imbarcazioni che si muovevano lungo il fiume.
Si raccontava che il ponte di Libecciopoli venisse anche chiamato “ponte Charizard”, in quanto, nel momento in cui le due estremità si andavano ad alzare si osservava una forma elegante e aggraziata.
In questo caso dovevo dare ragione a Komor, a mio parere di elegante possedeva ben poco. Diciamo che era funzionale, quello sicuramente.
Ma come già detto, adoravo i ponti in quanto fin da piccola, le poche volte che uscivo da Soffiolieve con mia madre per recarmi nelle grandi città, mi piaceva camminare su di essi. Lo trovavo rilassante.
Mi piaceva l’atmosfera che si creava anche la sera, quando si potevano osservare in lontananza le luci gialle dei lampioni, in netto contrasto con il buio avvolgente della notte, che le faceva sembrare quasi come delle piccole lucciole.
Inoltre mi piaceva pensare ai ponti come una sorta di unione. Un ponte era come qualcosa di fisico che andava ad unire quelle che erano non solo due lembi di terra, ma anche culture, idee, modi di vivere e molto altro. Tutto molto romantico.
Con questi pensieri mi diressi verso la struttura. In sottofondo solo il rumore dell’acqua che si increspava lungo le rive. Pochissime persone lo stavano attraversando, specialmente viandanti o allenatori…avessi avuto i miei amici al mio fianco mi sarei lanciata in una bella lotta, ormai di routine.
Dopo alcuni minuti di cammino distrattamente alzai lo sguardo e notai un signore elegantemente vestito vicino alla ringhiera del ponte. Sembrava un uomo distinto, provvisto di giacca e cappello. Non seppi dire perché attirò la mia attenzione.
Sesto senso.
Fermai la mia camminata e lo guardai qualche secondo, ma fu quando stavo per riprendere il cammino che quest’ultimo sfarfallò leggermente, per poi tornare ad avere una figura umana delineata e ben definita.
Avete capito bene, sfarfallò. Come quando si vede un’immagine digitale che perde di risoluzione e si riescono a distinguere bene i singoli pixel.
Che quell’uomo fosse un ologramma mi sembrava strano…che senso avrebbe avuto posizionarlo su un ponte?
Un secondo sfarfallamento.
Rimasi a fissarlo, cercando di capire cosa fosse.
Dopo il terzo sfarfallamento non avevo più davanti a me l’uomo distintamente vestito, ma niente meno che il Pokèmon Mutevolpe, Zoroark.
Non potevo credere ai miei occhi.
Sul momento non potei far altro che pensare ad N. Lui stesso, infatti, possedeva nella sua squadra un Pokèmon di questo tipo. Non succedeva quasi mai di ritrovare nella squadra di un comune allenatore un Pokèmon come Zoroark. O lo si riceveva tramite un uovo, o altrimenti catturarli in natura era estremamente complicato.
Appena mi vide, però, quest’ultimo cercò di allontanarsi da me fuggendo via.
Ma non potevo lasciarmelo scappare, non me lo sarei mai perdonato.
Di riflesso iniziai a corrergli appresso, cercando invano di fermarlo anche tramite l’uso della voce. Era sicuramente veloce grazie all’uso di tutte e quattro le zampe.
Mi accorsi che stavamo procedendo però verso la fine del ponte e, di conseguenza, rallentai il passo fino a fermarmi. Se lo avesse superato e avesse proceduto lungo il Percorso lo avrei sicuramente perso di vista. Finchè rimanevamo sul ponte, almeno, non aveva vie di fuga.
Portai a quel punto le mani sulle ginocchia leggermente piegate e chinai il capo per cercare di recuperare il fiato che mi mancava.
Quando rialzai il capo lui era lì, davanti a me e con lo sguardo fisso ad osservarmi. Si era mosso repentinamente e mi aveva raggiunto in un secondo.
Solo in quel momento notai che intorno a noi notai che non c’era più anima viva.
 
Continua…

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Capitolo 14
*** Il re delle illusioni ***


CAPITOLO 13    
Zoroark rimase con lo sguardo fisso su di me per svariati secondi. Gli occhi puntati nei miei non lasciavano trasparire nessuna emozione e questo mi preoccupava.
Non riuscivo a prevedere le sue intenzioni e, se mi avesse attaccato anche lui come Kyurem, non sarei riuscita in nessun modo a difendermi.
Ma il solito nodo allo stomaco andò a stringersi maggiormente quando vidi il Pokèmon compiere dei passi verso di me. Si muoveva lento, le zampe anteriori portate a ciondoloni mentre la folta chioma rossa veniva leggermente scompigliata dal vento.
Mi ritrovai a pensare, nel giro di brevissimo tempo, che sarei morta. Di nuovo, come nella Fossa Gigante.
Mi immobilizzai ancora di più quando il Pokèmon si fermò davanti a me e lentamente si abbassò. Pensai a quel punto che si stesse posizionando per un assalto diretto, ancora più pericoloso rispetto ad uno a lungo raggio.  Mi irrigidii sul posto mentre la mia mente creava diversi possibili scenari riguardanti il proseguo della situazione.
Ma le paure abbandonarono il mio corpo quando lo vidi chinarsi e piegare il capo verso terra. Era una sorta di inchino ma non riuscivo a comprenderne il motivo.
Una volta appurato che non mi avrebbe attaccata di riflesso, ma molto lentamente, allungai la mano fino alla sua folta chioma e la accarezzai delicatamente, muovendo piano la mano a destra e a sinistra. Risultava molto morbido al tatto.
A quel punto fu lui ad alzare la testa e a far scivolare la mia mano lungo tutto il suo muso, per poterglielo toccare completamente.
Quanto era bello. I colori così particolari mi avevano sempre affascinata, ma anche la sua forma longilinea e snella e soprattutto la sua abilità particolare di cambiare sembianze per confondere il nemico. Era un’abilità molto particolare.
Ma perché si era lasciato vedere nella sua vera forma da me?
Che volesse unirsi alla mia squadra mi sembrava pressochè impossibile. Ero abbastanza certa che quello fosse lo Zoroark di N. Che fosse stato liberato?
A quel punto un’idea mi balenò nella mente. E se N stesse cercando di liberarsi di tutti i suoi Pokèmon?
Ora avevo davanti a me Zoroark, ma alla Fossa Gigante avevo visto Zekrom…
L’opzione che volesse abbandonare Unima mi sembrava sempre più realistica ora. Che avesse deciso di liberarsi dei suoi amici e recarsi in una nuova Regione per ripartire da zero? O forse aveva saputo in qualche modo della cattura dei Sette Saggi ed era intenzionato a fuggire per non subire le stesse conseguenze…
Non molto tipico di N ma nessuna ipotesi andava esclusa a quel punto. Continuavo a non capire. Troppe domande vorticavano nella mia mente e, per ora, nessuno di queste possedeva una risposta degna.
L’unico fatto di cui ero sicura era che avevo visto N nella Fossa Gigante prima di svenire. Non avevo dubbi su quello. Lui mi aveva portata in salvo a differenza di come diceva Komor.
“Raar…” un piccolo verso di Zoroark mi riportò alla realtà.
A quel punto staccai la mano da lui e mi inginocchiai alla sua altezza e, a quel punto, fui io a guardarlo dritto negli occhi.
“Zoroark, dimmi, N è ancora qui ad Unima?”
Nessuna risposta o movimento. Certo, io non parlavo con i Pokèmon come il ragazzo dai verdi e fluenti capelli ma riuscivo a farmi comprendere e, la maggior parte delle volte, io capivo loro.
Non ricevendo risposta continuai.
“Bhe, se lo vedi digli ch-…”
Un forte suono mi interruppe. Era la sirena che indicava che il ponte si stava aprendo per lasciare spazio alle navi in arrivo. Con la coda dell’occhio guardai il piccolo semaforo che si trovava lì vicino e che era illuminato con una forte luce rossa.
Il ponte si sarebbe aperto a momenti e io dovevo tornare assolutamente a Libecciopoli. A meno che non avessi voluto fare un bel bagno.
A quel suono improvviso però Zoroark non resistette e scappò dalla mia vista. Saltò con agilità la ringhiera in metallo e si buttò al di sotto del Ponte.
Velocemente mi portai vicino al bordo per vedere che non gli fosse accaduto qualcosa ma, nel momento in cui mi sporsi, non lo vidi più.
Per fortuna che prima avevo pensato di averlo messo alle strette. Dopo questo gesto capii che si sarebbe potuto allontanare da un momento all’altro anche prima ma, semplicemente, non aveva voluto.
Guardando l’orizzonte si potevano scorgere delle grosse navi in arrivo e quindi decisi di ritornare sui miei passi per procedere in direzione di Libecciopoli.
 
Nel momento in cui scesi l’ultimo scalino che separava la terra ferma dal ponte, quest’ultimo si aprì accompagnato da un forte suono metallico.
“Appena in tempo” dissi più a me stessa che ad altri.
Mi girai indietro, verso le rive al di sotto del ponte per vedere se Zoroark fosse ancora in quelle zone ma, ovviamente, di lui nessuna traccia.
“Hai fatto il tuo giretto?” chiese Komor una volta arrivato alle mie spalle.
“Oh sì, ed è stato più rilassante di quanto immagini” risposi una volta girata verso di lui. Avevo deciso che non avrei raccontato quello che era successo sul ponte al mio amico, non ora almeno.
Sarebbe stato un piccolo segreto tra me e Zoroark.
“Ma non hai comprato nulla?” chiesi osservando che in mano non portava nessuna borsa con dentro gli oggetti prima elencati.
“Certo che ho fatto spese. Ho comprato un sacco di rimedi ma li ho affidati ad Unfezant in modo tale da farli recapitare velocemente a mia madre nel caso ne avesse avuto bisogno”.
 
Successivamente ricevemmo una chiamata da Rafan che ci contattava per informarci che la squadra-di-salvataggio-per-pokèball-disperse era pronta per entrare in azione.
Dopo esserci diretti nuovamente alla palestra per incontrare i tre componenti della squadra volammo alla Fossa Gigante.
 
“Bene, abbiamo preparato qui una mappa che riassume la planimetria della Fossa” iniziò il primo componente, che appresi successivamente essere un geologo “Touko, puoi indicarci anche grossolanamente dove hai perso le pokèball secondo te? Saremo noi poi ad esplorare in maniera approfondita la zona ma gradiremmo il tuo aiuto se ti ricordi quello che è successo là dentro” disse con voce lenta ma decisa l’uomo.
A quel punto mi sentii in difetto.
Come aveva detto Rafan avevo commesso un errore grossolano dato dalla disattenzione, ed ora avevo davanti a me tre persone esperte che erano pronte a rimediare ai miei errori senza aver chiesto nulla in cambio. E rischiando la vita, per giunta, a causa di un ipotetico incontro con Kyurem.
Appresi poi che la mappa della Fossa era stata disegnata sulla base di studi effettuati con l’ausilio di droni e, di conseguenza, non era precisissima ma qualitativa.
“Purtroppo non saprei indicare il punto preciso perché non ho fatto attenzione a dove mi dirigevo dopo aver sentito il richiamo di Zekrom… però il punto dove sono caduta si trova in una specie di conca gelata. Non saprei dire oltre”.
A seguito di queste mie parole la squadra di ricerca richiamò i Pokèmon che avrebbero contribuito alla missione. Erano rispettivamente un Gigalith, un Conkeldurr e un Excadrill. Sembravano tutti e tre molto esperti e pronti all’azione.
Una volta controllata l’attrezzatura per l’esplorazione entrarono nella caverna.
 
“E noi che facciamo ora?” chiese il mio amico a bruciapelo.
“Mi sento così in colpa Komor…” dissi senza dare ascolto alla sua domanda “ho commesso un errore e ora ci andranno di mezzo tre persone che neanche conosco. E per cosa? Per aiutare una diciottenne che non sa tenere da conto quello che ha”.
“Touko…” iniziò lui poggiandomi la mano sulla spalla come spesso faceva “è vero hai commesso uno sbaglio e ti sei beccata dei rimproveri pure da me… ma ricordati quello che hai vissuto durante il viaggio. Sei una dei due Eroi di Unima, sei stata scelta da un Leggendario del calibro di Reshiram, negli ultimi tempi hai vissuto avventure che pochi avrebbero saputo affrontare e comprendere tenendo anche conto della giovane età. Sei umana, non dimenticartelo, e come tale, non sei infallibile”.
Detto questo alzai lo sguardo per incontrare i suoi occhi e gli sorrisi. Il supporto di Komor era sempre stato fondamentale nel mio percorso e non potevo immaginare la mia vita senza di lui. Senza la mia spalla.
Poi lo sentì sospirare.
“E poi ricorda… qui di infallibile ci sono solo io” disse alla fine tirando il naso all’insù, con fare saccente.
“Ma smettila” dissi di rimando tirandogli un leggero pugno sulla spalla.
 
Rimanemmo davanti alla caverna a lungo.
“Più tempo rimangono all’interno peggio è per te Touko” osservò Komor ad un certo punto.
“Speriamo non siano rimasti coinvolti in qualche incidente”
 
Era ormai notte inoltrata quando le prime luci provenienti da torce fecero capolino dall’entrata della caverna. Per mia fortuna potei notare che tutti i componenti umani e non uscirono illesi. Stanchi sicuramente, ma illesi.
Mi avvicinai spontaneamente al capitano della squadra mentre quest’ultimo era intento a sistemare le imbragature.
“Mi spiace Touko…” iniziò lui anticipando la mia domanda “non abbiamo trovato nulla. Delle tue Pokèball nessuna traccia…”
 
Continua…

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Capitolo 15
*** Un nuovo compagno ***


CAPITOLO 14
“Mi dispiace Touko… delle tue pokèball nessuna traccia”
Furono queste le prime parole che ricevetti dal capo della spedizione una volta tutti i componenti uscirono dalla grotta.
Un nodo mi si formò allo stomaco, più stretto delle altre volte.
Li avevo persi. Avevo perso i miei più fidati amici. Avevo perso Reshiram e con lui il titolo di “eroina” che non mi era mai sembrato così futile e poco accurato per la mia persona come in quel momento.
Avevo commesso un errore e, purtroppo, ora pagavo il peso del mio sbaglio.
“Abbiamo girato tutta la Fossa e abbiamo ritrovato il punto che avevi indicato in partenza e perlustrato a fondo tutta la zona vicina. I nostri Pokèmon hanno dato il massimo ma il risultato non è stato quello che speravamo. Probabilmente i Pokèmon selvatici le hanno raccolte o spostate di conseguenza chissà dove le hanno portate. Mi spiace” continuò poi il capo del team diretto a me.
Riuscii a sussurrare solo un semplice grazie e fu Komor a quel punto a rinnovare i ringraziamenti a causa della mia incapacità di esprimermi del momento.
 
“Forza Touko. Andiamo a casa, non abbiamo più nulla da fare qui”.
 
Viaggiamo verso Soffiolieve sul dorso di Unfezant di Komor.
Lui seduto davanti e io abbracciata dietro con la testa posata sulla sua schiena.
Nessuno dei due aveva pronunciato parola da quando eravamo partiti.
Con il vento che accarezzava il viso guardavo verso il basso lo scorrere del territorio di Unima che si intervallava tra città illuminate, boschi scuri e campagne isolate.
Sopra di noi il cielo stellato.
Ma in questa atmosfera tranquilla non potevo fare a meno che pensare ai miei Pokèmon e a tutte le avventure che avevamo vissuto insieme. A tutto ciò che avevamo passato, le sfide affrontate, le lotte in palestra, i pomeriggi rilassanti nelle varie città…
Avevamo condiviso talmente tante avventure che sarebbe stato impossibile per me elencarle tutte.
Una lacrima solitaria mi rigò il viso.
 
Il viaggio non fu lungo e una volta arrivati a Soffiolieve ringraziai Komor per l’aiuto e, dopo averlo salutato, mi diressi velocemente a casa.
“Non li hanno trovati” dissi una volta entrata in salotto a mia madre anticipando la sua domanda.
Lei a quel punto appoggiò il piatto che stava lavando nel lavabo e si diresse verso di me per avvolgermi in un caldo abbraccio.
“Mi dispiace cara…” riuscì solo a dire.
 
Fu una nottata ventosa e soprattutto inquieta quella che mi attese.
Le fronde degli alberi al di fuori della mia finestra si muovevano lentamente cullate dal vento con movimenti monotoni mentre leggeri cigolii provenivano dalle persiane che non mi ero preoccupata di chiudere prima di andare a letto.
In lontananza si poteva intravedere qualche stella più o meno luminosa.
Osservavo il tutto stando sdraiata sul mio letto, la testa poggiata sul cuscino e la mente piena di pensieri.
Non riuscivo a prendere sonno. Avevo come l’impressione che dopo la sconfitta del Team Plasma la mia vita stesse andando tutta a rotoli.
La partenza di N, la sconfitta contro Camilla, il titolo di campionessa mancato ed ora la perdita dei miei amici facevano da scenario ad uno dei periodi che potevo tranquillamente definire come più brutti della mia vita.
Mai avrei immaginato che sarebbe potuta accadere una cosa del genere. Nemmeno nei miei peggiori incubi.
Ma non mi sarei arresa. Sarei tornata alla Fossa Gigante. Da sola, e li avrei ritrovati. Non avrei potuto fare altrimenti anche perché di rimanere con le mani in mano non se ne parlava.
Fu mentre ragionavo sul da farsi che venni interrotta da un rumore più forte degli altri provenire da fuori la finestra. Velocemente mi alzai, coperta solo da una lunga maglia bianca che indossavo solitamente come pigiama, e mi diressi verso la quest’ultima.
Prima di aprirla guardai furtivamente fuori, da dietro le tende, per assicurarmi che non ci fosse qualche Pokèmon o persona maleintenzionata desiderosa di entrare in camera mia.
Appurato che le mie fossero solo paranoie lentamente aprii la finestra. Un brivido freddo mi percorse la schiena nel momento in cui l’aria fredda della notte entrò in contatto con la pelle calda del viso mentre i lunghi capelli bruni, quella notte sciolti, iniziarono a muoversi trasportati dal vento.
Mi sporsi leggermente ma non vidi nulla di sospetto.
Probabilmente il rumore che avevo sentito era stato solo frutto della mia immaginazione e, data la tarda ora, mi dissi che era meglio tornare a letto e cercare di dormire.
“Roarrrr…”
Sbarrai gli occhi. Questa volta non me lo ero immaginato. Era la voce di Zoroark.
Mi sporsi maggiormente per cercare di individuarlo ma fu tutto inutile. Era molto buio e pochi erano i lampioni che illuminavano la piccola cittadina e, di conseguenza, la visione risultava compromessa.
Mi allontanai velocemente dalla finestra con l’intenzione di recuperare i vestiti che avevo abbandonato sulla sedia della scrivania la sera prima per poter uscire e cercare il Pokèmon direttamente sul campo,
non preoccupandomi di chiudere la finestra.
Mentre mi accingevo a recuperare i vestiti nella penombra della camera sentii alle mie spalle un oggetto in movimento. Qualcosa era entrato dalla finestra ad una velocità impressionante.
Impanicata andai a ricercare l’interruttore della luce e, una volta che la accesi, mi trattenni a stento dall’urlare.
 
Sul mio letto non era seduto niente meno che Zoroark stesso.
Lo sguardo era serio con le iridi cristalline puntate verso di me mentre il folto pelo color amaranto era in netto contrasto con i colori tenui della camera.
Non spiccicai parola per qualche secondo presumo mentre realizzavo che la situazione aveva un qualcosa di comico.
Io ferma come uno stoccafisso in un angolo della mia stanza, chissà a che ora della notte mentre indossavo solo una maglietta sgualcita, con un rarissimo Pokèmon seduto come se nulla fosse sul mio letto.
“Raaaar” emise il suo verso il Pokèmon a quel punto. Probabilmente aveva notato pure lui che la situazione era arrivata ad un punto morto.
Sbuffai. Non tanto per la stanchezza ma più che altro per alleviare la tensione accumulata.
Lentamente mi diressi verso il letto e mi sedetti accanto a Zoroark che non dava segno di volersi spostare.
Anzi, fissava i miei movimenti in silenzio.
Ma cosa voleva da me?
Mi sedetti di fianco a lui e incrociai le gambe, poggiando la schiena contro la parete, e andai ad accarezzare la sua folta chioma.
“Non capisco cosa tu voglia da me caro Zoroark… sono abbastanza sicura che tu provenga dalla squadra di N. Un comune Pokèmon della tua specie non si lascerebbe vedere tanto facilmente dagli esseri umani” iniziai guardandolo leggermente.
“è da quando ho terminato il mio viaggio che sto cercando il tuo Allenatore se proprio vuoi saperlo. Vale la stessa cosa per te magari?” chiesi mentre mi voltai a guardarlo.
Ovviamente non mi rispose. Si limitò ad osservarmi negli occhi come suo solito.
“Non credo tu sia intenzionato ad unirti alla mia squadra. Anche se ormai di squadra non posso più parlare perché ho perso tutti i miei adorati Pokèmon a causa di un incidente” continuai a parlare rannicchiando le gambe e ponendo il mento sulle ginocchia “ma d’altro canto non è mia intenzione catturati. Non lo trovo giusto, ma sarai libero di seguirmi se ti va fino a che non sarò riuscita a capire il to scopo. E magari potremmo aiutarci a vicenda. Che ne dici?”
In quel momento pensai che sarei potuta tornare alla Fossa Gigante accompagnata da Zoroark. Sarebbe stato sicuramente più sicuro.
“Raaaa…” emise un basso verso Zoroark a quelle parole. Lo interpretai come una risposta affermativa.
Era la prima volta che mi ritrovavo un Pokèmon al mio fianco, senza che fosse costretto in una pokèball, che aveva deciso di seguirmi in modo autonomo. Senza vincoli o costrizioni. Anzi, in questo caso era stato proprio lui a cercarmi in un certo senso. Mi sentivo elettrizzata a questo pensiero.
 
Così stabilimmo il nostro silenzioso patto.
Io avrei aiutato lui e lui avrebbe aiutato me. Come una vera squadra.
 
Terminò in questo modo una delle notti più burrascose della mia vita, e per assurdo, senza dover uscire di casa o dovendo rimanere coinvolta in qualche guaio.
Mi addormentai con uno dei Pokèmon più sfuggevoli di Unima accucciato ai piedi del mio letto.
Con un nuovo compagno di avventure.
Ma soprattutto, con un nuovo amico su cui contare.
 
Continua…
 

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Capitolo 16
*** Visita di controllo ***


CAPITOLO 15
La mattina dopo mi svegliai con il rumore della pioggia battente.
Il vento della sera prima doveva aver portato sulla cittadina di Soffiolieve una perturbazione non da poco che, ora, imperversava al di fuori della mia finestra.
Aprii gli occhi e la prima cosa che vidi fu la mia camera scura e buia nonostante fosse mattina.
Posai gli occhi, ancora pesanti, sulla finestra e potei osservare importanti nuvoloni neri troneggiare nel cielo. Tipico temporale estivo.
Pigramente mi portai seduta sul letto, con le gambe ancora avvolte dalla coperta, e rimasi con lo sguardo fisso come in trance. C’era qualcosa che non andava ma non riuscivo a capire cosa.
Dopo qualche secondo i ricordi della notte prima si fecero nitidi nella mente.
Ecco cosa mancava. Il Pokèmon Mutevolpe ai piedi del letto. Ma dove era andato?
Senza pensarci troppo mi tirai in piedi e volai giù dalle scale per raggiungere mia madre in cucina, mentre la mia mente immaginava i peggior scenari possibili.
E se mia mamma lo avesse trovato e si fosse spaventata?
E se fosse stata attaccata dallo stesso Zoroark e non fosse riuscita a difendersi?
E se…
Ma tutti questi scenari catastrofici morirono sul nascere quando arrivai sul posto. Trovai mia madre intenta a preparare la colazione mentre vicino a lei, ma a debita distanza di sicurezza, c’era niente meno che Zoroark. Appoggiato al lavello cercava di sporgersi per osservare mia madre lavorare e armeggiare con tazze, tazzine e bevande scure.
Evidentemente non aveva mai visto nulla di tutto ciò e, per questo, si dimostrava molto curioso.
Interessante… nonostante fosse un Pokèmon abile, e talvolta aggressivo in battaglia sembrava aver abbassato in poco tempo la guardia, per porre l’attenzione sulle stoviglie della cucina che in questo momento sembravano ai suoi occhi molto interessanti.
Non potei fare a meno di osservare anche come quest’ultimo fosse abituato alla presenza dell’uomo.
Insolito per questa specie.
Probabilmente aveva capito subito che mia madre era l’essere più pacato e tranquillo del Pianeta e, forse per questo, si stava fidando così tanto di lei. Non si spiegava tutta questa confidenza altrimenti.
“Bhe… vedo che non servono presentazioni” iniziai io avvicinandomi alla cucina.
Mia madre si girò verso di me e rise leggermente.
“In realtà le presentazioni servirebbero eccome…” rispose poi prendendo l’essenziale per la colazione e portandolo al tavolo “stamattina quando sono scesa in salotto mi sentivo seguita e solo dopo ho notato che c’era qualcosa che mi stava fissando dalla sommità delle scale, nascosto dalla semi oscurità. Non nego che sul momento mi sono spaventata e non poco, ma dopo aver capito cosa fosse e che non avesse intenzioni “bellicose” mi sono lasciata andare e ha preso subito anche lui confidenza”.
“Quando stamattina ho visto che aveva abbandonato la sua posizione di ieri sera ai piedi del letto infatti mi sono preoccupata” risposi prendendo in mano un biscotto per poi spezzarlo a metà e allungando una delle due estremità a Zoroark “immaginavo gli scenari peggiori mentre scendevo”.
“Ma sbaglio o ieri sera non era con te quando sei rientrata a casa…” chiese poi mia madre.
“No infatti, è entrato dalla mia finestra stanotte e si è impossessato del mio letto in men che non si dica. Non riesco però a capire le sue intenzioni e del perché stia rimanendo qua con noi. Sono abbastanza sicura che questo Zoroark faccia parte della squadra di N. Lo ho incontrato anche ieri sul ponte di Libecciopoli”.
“Credi che N abbia liberato i suoi Pokèmon ed ora Zoroark stia cercando un nuovo allenatore da seguire?” chiese mia madre iniziando a sorseggiare il caffè.
“Non ne ho idea. So per certo, però, che vuole seguirmi e rimarrà con me fino a che non avrò capito cosa sta cercando. Inoltre sarà il mio appoggio fino a che non avrò ritrovato la mia squadra” risposi io osservando il Pokèmon che stava mangiando tranquillamente la metà di biscotto che gli avevo offerto.
“Ma prima di tutto voglio dirigermi dalla professoressa Aralia per farlo visitare. Avrà percorso molta strada per arrivare fino a qui e una bella visita rigenerante è quello che si merita”.
 
“Oh è proprio carino Touko… uno dei più begli esemplari che abbia mai visto” squittì la mia amica Belle con la sua solita vocina stridula.
Come preannunciato, ero passata al laboratorio di Aralia per far visitare Zoroark, ma quando arrivai sul posto fu Belle a dirmi che la Professoressa era impegnata con delle ricerche e, successivamente, si era proposta per visitare Zoroark in prima persona. Infatti in quel momento ci trovavamo in infermeria, dove i Pokèmon venivano visitati e venivano applicate le eventuali cure del caso.
La mia migliore amica aveva iniziato il suo percorso laboratoriale a seguito della sconfitta del Team Plasma, ma in breve tempo si era guadagnata la fiducia della Professoressa Aralia, ed ora, lavorava a tempo pieno nel suo laboratorio.
Si occupava principalmente di analisi e di ricerche, ma qualche volta si lasciava andare a qualche visita di controllo Pokèmon. Soffiolieve, infatti, non disponeva di un Centro Pokèmon e, di conseguenza, la stessa Professoressa Aralia aveva voluto porre rimedio, aiutando così nel suo piccolo, i pochi avventori che si ritrovavano ad esplorare la cittadina.
“Allora Zoroark” iniziò Belle “potresti salire qui sul lettino così posso visitarti meglio?” chiese indicando una struttura metallica al centro della stanza.
Ma il Pokèmon, che si trovava di fianco a me, non si mosse. Anzi, girò la testa per incontrare il mio sguardo.
“Avanti” lo incitai sempre guardandolo negli occhi “non ti succederà nulla. Belle vuole solo darti una mano e visitarti per capire se va tutto bene”.
A quel puntò Zoroark tornò a guardare Belle, che ancora teneva appoggiata la mano sul lettino speranzosa, ed affilò lo sguardo e la sua espressione divenne più seria del solito. Quasi minacciosa.
“Che bel caratterino…” replicò Belle che a quel punto iniziava ad agitarsi. Come già detto non aveva un grosso bagaglio di esperienza, ma nel suo piccolo aveva sempre lavorato bene. Ma Zoroark era di certo un Pokèmon meno affabile rispetto agli altri e, di conseguenza, non sapeva come comportarsi appieno.
Capivo anche il punto di vista di Zoroark. Semplicemente, non si fidava.
A quel punto richiamai l’attenzione di quest’ultimo e mi accovacciai dinanzi a lui, piegandomi leggermente e portando le ginocchia al petto.
“Non devi essere preoccupato Zoroark. Belle è mia amica e vuole solo aiutarti. Ti visiterà per valutare se le tue condizioni di salute siano buone o meno. Se starai bene poi potremmo uscire e andare a cercare N. Che ne dici?” speravo che fare leva sul suo allenatore servisse a qualcosa. Conclusi il tutto con la solita carezza sul folto pelo rosso scuro. Ritenevo molto importante il contatto fisico in questi casi di tensione.
Dopo avermi fissato ancora qualche secondo negli occhi, spontaneamente, si allontanò da me e saltò sul lettino senza fare troppe storie.
La visita non fu lunga, ma potei notare la tensione nei muscoli del Pokèmon ogni volta che Belle passava un qualsiasi strumento sulla sua pelle. Non mancarono a volte dei grugniti e basse ringhiate da parte di Zoroark, ma la mia amica seppe gestire in modo ottimale la situazione.
Era molto strano il carattere del Pokèmon.
Si era fidato in brevissimo tempo sia di me sia di mia madre anche se, fondamentalmente, ci eravamo incontrati pochissime volte durante il viaggio, se non per qualche lotta sporadica con N, soprattutto verso la fine del viaggio.
Con Belle, invece, era stato più diffidente e meno propenso a farsi anche solo toccare. Non riuscivo a capire il perché di una differenza di comportamento così abissale. Era anche vero che non aveva mai visto la persona di Belle prima d’ora e, forse, un comportamento del genere poteva anche essere considerato normale.
“Ecco, abbiamo finito” iniziò Belle con un sospiro di sollievo “non c’è nulla che non vada in lui. Non sembra abbia particolari ferite che devono essere curate o abbia bisogno di eventuali integrazioni. Inoltre il viaggio da Libecciopoli a Soffiolieve non sembra averlo particolarmente compromesso. È in forma”.
Avevo parlato del mio primo incontro con Zoroark a Belle il giorno stesso, quando, una volta entrata in laboratorio, aveva appurato che fosse un Pokèmon non facente parte della mia squadra di base.
Così le avevo spiegato la situazione, ricordandomi che dovevo degli aggiornamenti anche a Komor.
 
Una volta che Belle terminò la visita le porte automatiche dell’ambulatorio si aprirono.
“Buongiorno ragazze” esclamò la Professoressa Aralia entrando nella stanza, di ritorno dai suoi impegni “ma che Pokèmon inusuale abbiamo qui?” chiese poi diretta a Zoroark.
“Non è il mio Professoressa, ma ho come la vaga sensazione che voglia seguirmi e che abbia bisogno del mio aiuto. Lo ho incontrato qualche giorno fa a Libecciopoli e l’altra sera me lo sono ritrovato in camera mia. Sono venuta a farlo visitare per valutare le sue condizioni. Belle ha svolto un eccellente lavoro”.
“Capisco… interessante. Queste storie misteriose sono sempre affascinanti. Bene, brava Belle e ben arrivato allora!” terminò con un gran sorriso in volto diretto al Pokèmon.
“Touko. Già che sei qui vorrei aggiornarti un secondo. Aristide, il Capopalestra di Boreduopoli ha saputo delle tue vicende alla Fossa gigante con i due draghi Leggendari e vorrebbe parlarti. Mi ha chiesto se puoi raggiungerlo nella sua città per dialogare più approfonditamente con lui per capire gli avvenimenti di quel giorno”.
A quelle parole non potei che annuire, decisa.
“Inoltre volevo anche farti sapere che ho studiato i fenomeni di accumulo di elettricità alla Fossa, probabilmente dovuti a Zekrom, e ho notato che, dopo il tuo incontro con Kyurem, questi ultimi sono andati via via scemando fino a scomparire. Non saprei spiegare il motivo però al momento”.
“Sono sicura che con Aristide riusciremo ad aggiungere un pezzo del puzzle” risposi speranzosa.
 
Lascia il laboratorio della professoressa Aralia con Zoroark al mio fianco.
Il problema più grande era ora raggiungere Boreduopoli.
Avessi avuto a disposizione Reshiram mi sarei mossa in un batter d’occhio sulla sua schiena e questo tipo di problema non si sarebbe posto…
Ripercorrere tutta la regione a piedi era fuori discussione, Boreduopoli si trovava nella parte nord di quest’ultima e io mi trovavo esattamente dal lato opposto. Anche utilizzando i mezzi avrei impiegato minimo due giorni ad arrivare sul posto. Non potevo nemmeno chiedere aiuto a a Komor in quanto era impegnato lontano da Soffiolieve e a Belle in quanto non possedeva Pokèmon di tipo Volante.
Mi fermai per ragionare. Come avrei superato questo scoglio?
 
Continua…
 

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Capitolo 17
*** L'inizio di un viaggio ***


CAPITOLO 16
Il pomeriggio stesso riorganizzai l’assetto della mia borsa da viaggio.
La riempii con rimedi di vario tipo, bacche e oggetti base come repellenti e funi di fuga. Avevo infatti un chiaro piano in mente.
Prima di tutto mi sarei diretta a Boreduopoli per parlare con il Capopalestra Aristide e poi sarei andata per l’ennesima volta alla Fossa Gigante per cercare i miei Pokèmon.
Ma, nel frattempo, mi sarei recata ad Austropoli per poi prendere un piccolo aereo di linea gestito dalla Capopalestra Anemone per arrivare a Boreduopoli. Purtroppo, Aristide non avrebbe avuto il suo colloquio dall’oggi al domani, ma avrebbe dovuto aspettare il mio arrivo.
In mancanza di Pokèmon era il massimo che potevo permettermi e in due giorni massimo sarei arrivata sul posto. Avevo organizzato tutto nei minimi dettagli.
“Raaaar…” i miei pensieri vennero interrotti da Zoroark che richiamò la mia attenzione. Quando mi voltai verso di lui vidi che portava in mano una felpa bianca e me la stava porgendo.
“Oh grazie” risposi prendendo l’indumento “con questo almeno nella Fossa Gigante non rischierò di congelare come l’ultima volta”.
Una volta inserito il capo nella borsa mi preoccupai di chiuderla meglio che potevo. Non avrei mai voluto rischiare di perdere nient’altro.
 
Una volta uscita di casa respirai a pieni polmoni.
Una nuova avventura stava per cominciare con il mio nuovo amico dal pelo rosso e nero ed io ero pronta come non mai.
 
Mentre camminavo con Zoroark al mio fianco lungo il Percorso 1 iniziai a ragionare.
Avrei raggiunto velocemente a piedi la città di Levantopoli e lì mi sarei fermata per la notte, mentre il giorno successivo avrei raggiunto Austropoli e poi la mia meta finale.
Tutto programmato e calcolato cercando di evitare come la peste intoppi o guai di qualsiasi tipo.
Lanciai uno sguardo a Zoroark di sottecchi.
Camminava tranquillo sul sentiero in posizione eretta mentre le braccia ciondolavano pigramente di fianco al corpo.
Era estremamente diverso viaggiare in questo modo. Con un Pokèmon al di fuori della sua pokèball intendo.
I miei amici erano quasi sempre rimasti nella loro sfera, ma non perché volessi costringerli, più che altro per proteggerli fin da quando erano piccoli e poco in grado di difendersi.
Ritrovarmi al mio fianco un Pokèmon dalle dimensioni comunque non irrisorie come Zoroark mi faceva però sentire al sicuro e protetta. Mi ritrovai ad immaginare le difficoltà che si sarebbero presentate se avessi dovuto affrontare un viaggio in questa maniera con Samurott. Con i suoi movimenti lenti e, a volte, un po' goffi, avremmo impiegato giorni per raggiungere una meta, anche se vicina.
Non potei far altro che sorridere a quel pensiero anche se, dopo pochi secondi, un nodo mi si formò all’altezza dello stomaco. I miei amici mi mancavano come l’aria ma ero sicura che li avrei ritrovati. Anzi, non sicura, sicurissima.
 
Come previsto, raggiunsi Levantopoli verso sera.
Non si erano presentate particolari difficoltà lungo i Percorsi e Quattroventi non era una città per nulla grande e, di conseguenza, io e Zoroark potevamo dire di aver fatto una lunga ma rigenerante passeggiata.
Una volta arrivata in città decisi di dirigermi al ristorante di Chicco, Maisello e Spighetto. I tre ragazzi erano infatti gestori di un rinomato ristorante con annesso un piccolo hotel con poche camere, ma erano anche i tre Capopalestra della città.
In base alle mie conoscenze, Levantopoli era una delle poche città del mondo Pokèmon, se non l’unica, a possedere ben tre Capopalestra in carica contemporaneamente. In base al tipo di starter scelto, infatti, l’obbligo era di sfidare il Capopalestra che possedeva un Pokèmon che possedeva un vantaggio di tipo rispetto a quello scelto in partenza.
A me era capitato Spighetto, in quanto con il suo tipo erba Pansage era in vantaggio rispetto al mio starter di acqua Oshawatt. Ero felice però della “non-scelta” in quanto avevo ritrovato in Spighetto un ragazzo umile, generoso e, soprattutto, un ulteriore amico fidato su cui contare e sempre pronto a offrire consigli.
Ma ero desiderosa di rincontrare tutti i tre ragazzi al dire il vero…
 
Entrai nel ristorante mentre fuori iniziava a calare la sera e i primi lampioni iniziavano ad accendersi per illuminare le strade.
Il locale era piccolo ma molto accogliente.
Le pareti erano colorate con un colore giallo ocra in netto contrasto con le porte e le finestre in legno massello dai colori più scuri. Al centro della stanza erano stati organizzati tavoli di varia misura coperti da lunghe tovaglie bianche mentre, sul fondo della stanza, svettava un palcoscenico, ora chiuso, con delle pesanti tende rosse. Anche se il ristorante era rinomato e considerato di pregio ad Unima, quella sera non era gremito di gente. Al contrario, pochi tavoli erano occupati.
Appena richiusi la porta alle spalle un Pokèmon dal colore rosso brillante venne ad accogliermi. Riconobbi essere un Pansear, scimmietta di tipo fuoco che in testa portava un ciuffo simile ad una fiamma.
Si presentò felice e con un sorriso in volto mentre mi salutava, ma la sua espressione mutò quando incontrò lo sguardo di Zoroark.
“Pan…sear…” iniziò preoccupato il Pokèmon, indietreggiando leggermente.
Guardai Zoroark a quel punto. Il suo sguardo era di nuovo truce come quello riservato alla mia amica Belle durante la visita della mattina. Non mi sorprendeva la reazione di Pansear, che si dimostrava ovviamente intimorito.
Realizzai che avrei dovuto lavorare con Zoroark sulle relazioni tra Pokèmon e con gli umani durante il periodo condiviso…
Una volta tranquillizzato il Pokèmon di tipo fuoco, e anche lo stesso Zoroark, questo mi accompagnò ad un tavolo.
Mentre ero seduta, in attesa, osservai la sala. Tutto era ordinato, nulla fuori posto e in aggiunta si sentiva un gradevole odore di pulito. Tipico delle attenzioni di Maisello. Nonostante questo la location possedeva una personalità degna di nota e non potei non pensare alla personalità focosa del più giovane di tre fratelli, Chicco.
Ma tutta la stanza era contornata da dipinti raffiguranti paesaggi o anche Pokèmon di terre lontane, sicuramente scelti con cura ed attenzione da Spighetto.
Insomma, tre personalità molto diverse che riuscivano comunque ad equilibrarsi per gestire in modo ottimale un luogo del genere. Sicuramente qualità da ammirare.
 
“Buonasera signorina, posso sapere cosa posso offrirle?” chiese una voce a me familiare.
“Spighetto!” urlai quasi non riuscendo a contenere la mia emozione nel rivederlo. Senza accorgermene mi alzai in piedi e lo strinsi in un abbraccio, che lui ricambiò senza esitazione.
“Che piacere rivederti, ma cosa ti porta qui?” domandò curioso.
“Eh… storia lunga, ma se hai tempo di ascoltarla te la racconto volentieri”
“Certamente, mi farebbe piacere. Ma sono sicura che sarai affamata, cosa posso portarti?”
 
Cenai raccontando a Spighetto, seduto dinnanzi a me, le avventure che mi avevano visto protagonista nell’ultimo periodo.
“Insomma” iniziò lui ad un certo punto “vuoi dirmi quindi che questo Zoroark non è tuo ma di N? Ma intendi N capo del Team Plasma?” chiese indicando il Pokèmon che si trovava di fianco a me e che stava consumando il suo spuntino a base di bacche.
“Quante persone conosci che si chiamano con il nome di una lettera?” ironizzai.
“Bhe, interessante, anche se vi conoscete da poco sembrate una coppia molto affiatata e inoltre, il modo in cui vi siete incontrati rende ancora tutto più piccante andando a dare un equilibrio perfetto al tutto creando un gusto dolce amaro da non sottovalutare” continuò con aria sognante lui.
Ogni tanto le doti da “Intenditore di Pokèmon”, come lui stesso si definiva, uscivano allo scoperto. 
Era per questo che adoravo Spighetto. Conosceva un sacco di nozioni sui Pokémon e sulla loro natura ed era molto piacevole dialogare con lui anche per la sua dialettica ricercata, sempre precisa e mai fuori luogo.
“Eh dimmi Touko… la cattura del tuo Principe come procede invece?”
Per poco non mi strozzai con l’acqua.
“Spighetto! Ma ti pare!” mi agitai arrossendo e sbarrando gli occhi.
Il suo sguardo si affilò e un sorriso malizioso apparve sul suo volto.
“Suvvia… guarda che a me puoi dirlo… sarebbe tutto così romantico e delicato. I due eroi di Unima, i due Pokèmon Leggendari, il Nero e il Bianco. La coppia perfetta insomma. Ricordiamoci sempre che la compatibilità è alla base di tutto!” terminò con un gesto teatrale finale, allargando le braccia.
Sospirai, affranta.
“Si, sarebbe stato tutto molto bello se lo stesso Principe non avesse deciso di abbandonarmi all’altare” risposi divertita.
“Insomma amica mia… ti sposi e non me lo dici? Pensavo di essere tuo testimone di nozze” disse tirando su con il naso con fare offeso e portando le mani sui fianchi.
Entrambi scoppiammo a ridere. Era così piacevole la sua presenza ogni volta.
 
“Quindi hai decido di recarti a Boreduopoli a piedi?” chiese Spighetto continuando a salire le scale dinanzi a me.
Come già specificato, avrei passato la notte nell’hotel dei tre fratelli e la mattina dopo sarei ripartita e Spighetto si era offerto di accompagnarmi direttamente alla mia camera.
“Oh no, impiegherei troppo tempo. Penso che sfrutterò ancora una volta i servizi volanti di Anemone, in modo tale da arrivare da Aristide il prima possibile”.
“Capisco. Purtroppo né io né i miei fratelli possediamo Pokèmon di tipo Volante altrimenti ti avremmo accompagnati più che volentieri. Anzi, mi spiace tu non li abbia potuti incontrare stasera ma sono fuori città per delle commissioni e compere varie”.
“Non è un problema. Immagino come sia complicata la gestione di una palestra, soprattutto se a quest’ultima è annesso un ristorante stellato ed un hotel di pregio”.
“Già, ma cerchiamo di dare del nostro meglio sempre” rispose fermandosi davanti ad una porta scura “ecco signorina Touko, la camera 103 è riservata a Lei. Le auguro un buon soggiorno e non si dimentichi di lasciare una recensione positiva sulla pagina internet dell’hotel” terminò poi con un sorriso divertito.
Non potei fare a meno di ridere. Avessi avuto la possibilità sarei partita subito per un viaggio, anche in una Regione diversa da quella di Unima, con Spighetto. Sarebbe stato interessante, ma soprattutto, divertente.
Realizzai, a quel punto, che molto probabilmente possedevo un debole per i ragazzi dai capelli verdi…
Comunque, una volta salutato e ringraziato nuovamente il mio amico, insieme a Zoroark, entrai in camera e mi richiusi la porta alle spalle.
 
CONTINUA…
 
 

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Capitolo 18
*** Cuneo DNA ***


CAPITOLO 17
“Boreduopoli: dove presente e passato si fondono.”
 
Come previsto arrivai in città un giorno e mezzo dopo la mia partenza.
Appena varcai la soglia di quest’ultima i ricordi della mia lotta in palestra si fecero chiari in mente.
Aristide, il Capopalestra, era esperto in Pokèmon di tipo Drago e, nelle sue lotte, era solito utilizzare i cosiddetti Pokèmon “puri”.
Infatti gli avversari schierati in battaglia da quest’ultimo erano esclusivamente di tipo Drago, e non contaminati con altri tipi come poteva succedere nelle altre palestre.
E si sa, che l’unico tipo efficace contro un tipo Drago… è nientemeno che un tipo Drago.
Tipo che io non possedevo, ovviamente, in quanto non avevo ancora catturato Reshiram. Ma anche se fosse già stato parte della mia squadra non avrei potuto utilizzarlo in quanto un Leggendario non poteva essere schierano nelle lotte ufficiali come una lotta in palestra.
Di conseguenza, il raggiungimento della medaglia Leggenda era stato tutt’altro che facile e immediato. Soprattutto in quanto Aristide possedeva un potentissimo Haxorus come punta di diamante nella sua squadra.
Non credo però, che si potesse considerare un Pokèmon forte al pari del Garchomp di Camilla.
Una lotta tra questi due draghi sarebbe stata favolosa da osservare.
 
Mentre sguazzavo nei ricordi, camminavo per la cittadina Zoroark al mio fianco, che non sembrava intenzionato ad allontanarsi da me neanche per un secondo.
Boreduopoli si presentava come una città futuristica, dalle case basse con mura colorate di grigio mentre i tetti erano di un azzurro tenue e sulla sommità portavano delle luci a neon dello stesso colore. Tutto molto monotono in realtà, se non fosse stato per la Palestra, che rendeva caratteristico il luogo.
Quest’ultima era un enorme edificio costruito con pietre scure e dal tetto molto alto e appuntito. Più o meno posti sulla metà dell’edificio svettavano due gigantesche teste di draghi stilizzati. Uno bianco e uno nero.
Rappresentavano sicuramente le due Leggende di Unima, Reshiram e Zekrom, ma volevano anche indicare il tipo di Pokèmon utilizzati dal Capopalestra.
La casa di Aristide si trovava di fianco a quest’ultimo edificio e sapevo dove si trovava in quanto, già durante il mio viaggio, mi aveva invitato a raggiungerlo dopo la lotta in Palestra per discutere del Team Plasma.
 
Una volta arrivata davanti alla sua porta suonai il campanello ma non udii risposta nell’immediato. Non avevo pensato all’eventualità che non si trovasse nella sua dimora a dire la verità. Se non lo avessi trovato lì mi sarei dovuta dirigere in palestra nella peggiore delle ipotesi.
Ma dopo pochi secondi udii la chiave girare nella toppa e la porta aprirsi.
Aristide era un uomo alto, elegantemente vestito con colori chiari, e con un baffo bianco inconfondibile portato al di sotto del naso. A prima vista poteva essere considerato come un tipo burbero e schivo, ed effettivamente questa descrizione rappresentava realtà.
Ma, nonostante tutto, era un tipo deciso e inflessibile sia per quanto riguardava le lotte in Palestra sia per la gestione della città di cui lui non era niente meno che il sindaco.
“Oh ben arrivata Touko. Ti stavo aspettando. Prego entra, abbiamo molto di cui discutere” disse appena mi vide. Non era un tipo che si perdeva in chiacchere. Come la Professoressa Aralia andava dritto al punto.
Se non lo avessi conosciuto, avrei potuto considerare il suo tono intimidatorio e le sue ultime parole come una minaccia.
 
La sua casa si presentava scura e buia, anch’essa progettata in modo futuristico.
I toni grigi delle pareti erano accompagnati da un arrendamento minimalista ma essenziale sempre dai colori scuri. E fu su uno dei due divanetti che mi accomodai insieme a Zoroark, mentre Aristide fece lo stesso ma su un secondo divanetto che si trovava dal lato opposto rispetto alla mia posizione.  Al centro era posizionato un piccolo tavolino di vetro non molto alto, su cui svettava una piccola statuina dai colori dorati di un Pokèmon di cui, al momento, non ricordavo il nome.
“Si chiama Arceus” iniziò lui, probabilmente vedendo che il mio sguardo era caduto sull’oggetto “ed è un Leggendario proveniente dalla regione di Sinnoh. Anzi, si racconta che la stessa regione sia stata creata grazie alle sue abilità, e probabilmente anche l’intero mondo dei Pokèmon è opera sua. È un individuo particolare perché viene considerato di tipo Normale, ma la sua abilità Multitipo permette di cambiare aspetto a seconda della Lastra che possiede. Può diventare, di conseguenza, anche di tipo Drago” parlò raccontando brevemente la storia.
“Ma non perdiamo tempo… di Leggende ne abbiamo anche qui ad Unima” iniziò portando le braccia al petto “quindi hai visto con i tuoi occhi Kyurem e Zekrom lottare tra loro alla Fossa Gigante?” chiese serio guardandomi negli occhi.
“Esattamente” risposi sostenendo il suo sguardo “ma non capisco il motivo dello scontro…”
“A quello posso risponderti io” rispose alzandosi e incamminandosi al piano di sopra.
Non capivo. Dovevo seguirlo? Conversazione terminata ancora prima di iniziare?
Rimasi immobile un attimo e poi guardai Zoroark che ricambiò lo sguardo. Feci spallucce, non sapendo come comportarmi.
“Devi sapere” iniziò lui parlando dal piano superiore “che ho un oggetto particolare da mostrarti che riguarda i due Leggendari che hai incontrato in contemporanea… ma in realtà sarebbe coinvolto anche Reshiram” continuò poi scendendo dalla gradinata.
Si avvicinò al divano e si risedette. Portava in mano una piccola scatolina grigia che subito mi porse.
Quando la aprii mi ritrovai dinnanzi un piccolo oggetto. Aveva la forma di un cuneo allungato e alla sommità portava una piccolissima pietra tonda e sporgente giallo-oro. I colori del cuneo variavano dal nero, al bianco e al grigio.
“Si chiama cuneo DNA, ed è uno strumento molto particolare. Ha la possibilità di unire quello che è Kyurem o con Reshiram o con Zekrom, creando in questo modo un ibrido. Sai che prima i tre Leggendari erano un solo Pokèmon giusto?”
“Certamente. Molte persone tra cui Nardo in persona mi hanno narrato la leggenda”.
“Io penso che Zekrom stesse cercando di fare questo. Cercare di unirsi alla parte mancante per trasformarsi in una forma più completa. Ma senza l’ausilio di questo strumento è pressochè impossibile”.
“Capisco. Da chi è stato trovato un oggetto del genere? E come mai è stato affidato a Lei?”
“È stato scoperto e studiato nientemeno che dal Professor Gasparago Aralia in una delle sue ricerche, e mi è stato affidato in quanto esperto in Pokèmon di tipo Drago. Ritieniti fortunata, è la prima volta che mostro questo oggetto ad una persona che non sia un esperto” continuò appoggiando la schiena allo schienale del divano e andando a incrociare le lunghe gambe fasciate dai pantaloni bianchi.
“Senza dubbio sono stata fortunata su molti aspetti. Essere scelta da Reshiram è solo una piccola parte” risposi io appoggiando la scatola sul tavolino, cautamente.
Mentre parlavo mi tornò in mente la figura di N alla Fossa. Che fosse stato come diceva Aristide? Che volesse sfruttare l’unione dei due Pokèmon per creare un ibrido più forte? Ma a che scopo?
“So che Zekrom apparteneva al Principe del Team Plasma” ragionò Aristide guardandomi serio “e so che quest’ultimo è ancora in libertà come il padre, diversamente dai Sette Saggi. Non mi sorprenderebbe il fatto di voler creare un Pokèmon molto forte ed evoluto per averlo dalla propria parte e avere energia necessaria per la creazione di un nuovo Team. Se ciò accadesse sarebbero guai grossi per Unima. Dimmi, hai notato qualcuno accanto a Zekrom?”
“No-o…” balbettai “in realtà ero molto presa dalla lotta dei due Leggendari che non ho fatto caso alle circostanze” conclusi.
Mentivo.
Stavo mentendo non solo ad Aristide. Ma anche a me stessa.
Se avessi parlato di N sicuramente le vicende avrebbero preso una piega diversa. Lo stavo proteggendo… ma a che scopo?
Perché stavo cercando di nascondere e proteggere una persona che mi aveva usata e abbandonata successivamente al fallimento dei suoi piani poco civili?
Che senso aveva?
Abbassai lo sguardo a quel punto ma la mia attenzione venne richiamata da un verso grutturale del Pokèmon seduto al mio fianco. Incontrai il suo sguardo nel momento in cui sentii delle unghiette fredde e un morbido palmo appoggiarsi sulla parte di coscia non coperta dai pantaloni, come se volesse cercare di consolarmi.
Era incredibile… a volte quel Pokèmon possedeva degli atteggiamenti troppo umani e poco consoni per uno della sua specie.
“E tuo questo Zoroark?” chiese ad un tratto Aristide.
“In verità… ha scelto di seguirmi in autonomia” risposi cercando di rimanere vaga.
“E non rimane volentieri nella sua pokèball?” continuò curioso.
“Presumo che questo esemplare possegga già un Allenatore…” non sapevo se raccontare il vero in quel momento avrebbe peggiorato la situazione o meno “e credo sia un Pokèmon appartenente alla squadra di N…” parlai tutto d’un fiato chiudendo gli occhi e serrando i pugni che erano appoggiati alle ginocchia.
Il gelo cadde nella stanza e potei notare i muscoli delle braccia di Aristide tendersi.
“E tu hai deciso di accogliere al tuo fianco un Pokèmon appartenete a colui che fino a qualche giorno fa voleva separare umani e Pokèmon? Hai commesso un errore ragazza, lasciatelo dire. E se fosse un modo per spiare le tue mosse più da vicino? Se non si fossero arresi veramente nei loro intenti?”
Il suo tono era duro e serio, come il suo sguardo che non seppi reggere in quel momento.
“Mi creda, se Le dico che le intenzioni di questo Pokèmon sono pure. Non è come sta insinuando” risposi cercando di rimanere il più tranquilla possibile. Ma dentro di me una paura mi attanagliava lo stomaco. Non avrei permesso a nessuno di allontanare Zoroark da me, a meno che non fosse stato il Pokèmon stesso a chiedermi di farlo…
“Dimostramelo allora! Ma con una lotta uno contro uno. Fammi vedere se questo Pokèmon è così tanto legato a te come vai raccontando!”.
 
CONTINUA…
 
 

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Capitolo 19
*** Scontro ***


CAPITOLO 18
La figura imponente di Aristide camminava dinnanzi a me mentre i tacchi delle sue scarpe risuonavano sul cemento duro con un ticchettio monotono.
 
“Dimostramelo allora! Ma con una lotta uno contro uno. Fammi vedere se questo Pokèmon è così tanto legato a te come vai raccontando!”
 
Così il Capopalestra mi aveva sfidato ad una lotta per testare l’abilità e il legame presente tra me e Zoroark, ed ora stavamo raggiungendo il luogo dello scontro.
Si trattava di una piccola palestra presente nella parte posteriore della casa di Aristide stesso. In questa zona, infatti, si allenavano sia i Pokèmon ma anche l’uomo.
Si raccontava che il Capopalestra allenasse i suoi Pokèmon allo scontro fisico tramite il wrestling, sport di cui lui stesso era appassionato. Non mi sorprendeva di conseguenza il suo fisico alto e tonico nonostante l’età e, sicuramente, nei suoi confronti risultavo gracile e minuta.
In questo caso però, mi aspettava uno scontro in parte fisico ma anche basato sulla strategia.
Non avevo ancora avuto modo di poter studiare le abilità nella lotta di Zoroark, a parte nelle sporadiche lotte contro N, e valutare il tipo e la potenza delle sue quattro mosse disponibili non era stato il mio primo pensiero.
Di conseguenza, dovevo osservare con cura le mosse dell’avversario e ragionare sulla strategia.
Ero pienamente consapevole quale sarebbe stato il Pokèmon scelto da Aristide.
 
Una volta arrivati sul luogo dello scontro ci posizionammo ai due lati del campo. Pronti per iniziare.
“Sarà una lotta veloce. Le regole le conosci, non credo sia necessario che te le rispieghi” iniziò Aristide con fare saccente.
Strinsi i pugni, annuendo fermamente.
“Molto bene. Haxorus, avanti!”
Come non detto, non mi sarei aspettata scelta differente. L’asso nella manica del Capopalestra era sceso subito in campo.
Il suo enorme corpo scuro e longilineo era in contrasto con il terreno dal color ocra sotto ai suoi piedi. Sul corpo portava una corazza verde scuro che lasciava scoperta la parte anteriore, mentre dalla bocca fuoriuscivano due potenti zanne affilate come rasoi e dal color rosso fuoco. Gli occhietti piccoli, neri, e quasi invisibili mi fissavano intensamente aspettando lo scontro.
Prima che io potessi dire o solo pensare qualcosa Zoroark si parò dinnanzi a me, pronto all’azione.
Velocemente estrassi dalla borsa il mio Pokèdex e lo puntai verso quest’ultimo per apprendere le mosse che il mio compagno conosceva.
Ora eravamo davvero pronti.
 
“Bene Haxorus, vai con Dragartigli!” iniziò deciso Aristide senza esitazione.
Il Pokèmon di tipo Drago partì subito all’attacco avvicinandosi a Zoroark, mentre la parte distale dei suoi artigli si illuminava di un colore blu acceso.
“Zoroark cerca di schivarlo!” urlai a quel punto al Pokèmon dinnanzi a me che in un batter d’occhio piegò le zampe posteriori per poi spiccare un salto in aria in modo tale da evitare l’attacco del drago.
Era davvero veloce e rapido. Sicuramente un vantaggio dato che Haxorus possedeva una stazza di una certa importanza e, di conseguenza, si presentava decisamente più lento.
“Molto bene, ed ora Palla Ombra!” ordinai.
A quel punto Zoroark, che si trovava ancora a mezz’aria, concentrò le sue energie tra le zampe anteriori e formò una grande palla di energia oscura dai colori che variavano dal viola al nero e la diresse velocemente verso Haxorus.
L’attaccò colpì il Pokèmon sulla schiena dove era posizionata la corazza e, di conseguenza, non subì molti danni.
Realizzai che avrei dovuto basare la strategia sull’attacco diretto e non alla parte posteriore del Pokèmon in quanto quest’ultima risultava più coriacea e difficile da scalfire.
Una volta terminato l’attacco entrambi i Pokèmon tornarono in posizione di partenza davanti a noi.
“Tocca a noi Zoroark, iniziamo con Nottesferza!” urlai a quel punto. 
A seguito del mio comando il Pokèmon si mosse velocemente con un movimento a zig zag verso l’avversario per prepararsi all’attacco. In un batter d’occhio gli fu dinnanzi.
Si mosse con un movimento talmente rapido che feci in tempo appena a vedere le zampe di Zoroak che si incrociavano per poi sferrare una potente onda d’urto contro Haxorus.
Quest’ultimo a quel punto, colpito dall’attacco, vacillò un poco e si ritrasse leggermente piegando il capo verso il basso ed emettendo un flebile suono. La strategia di colpire anteriormente aveva funzionato.
Puntai gli occhi in quelli di Aristide, decisa. Voleva lo scontro? Lo avrebbe avuto.
“Non penserai di cavartela così facilmente…Haxorus vai con Dragopulsar!”.
Una potente scia di energia partì dalle fauci spalancate del drago e si diresse velocemente verso Zoroark.
“Zoroark difenditi con iper raggio!” iniziai con l’obiettivo di fermare l’attacco dell’avversario.
Analogamente, con l’ausilio della mossa speciale, un raggio color rosso fuoco fu creato da Zoroark e venne diretto contro la mossa impartita da Aristide.
I due raggi al momento dell’impatto l’uno contro l’altro crearono un forte boato e una coltre di fumo si levò verso l’alto.
Una volta che la nube si dissolse i due Pokèmon erano ancora alle posizioni di partenza e nessuno dei due sembrava essere stato colpito dagli attacchi.
“Impressionante devo ammetterlo” iniziò a quel punto il Capopalestra “sono sorpreso. Zoroark è sicuramente veloce per natura e ben allenato e, inoltre, noto che la sua determinazione non vacilla… ma lo scontro è solo agli inizi”.
“Perfetto” risposi a quel punto “Zoroark, proviamo una mossa diversa ora. Vai con Focalcolpo!”.
La mossa infatti era di tipo Lotta, ben diversa dalle mosse di tipo Buio che il Pokèmon conosceva. Avevo appreso infatti tramite Pokèdex che Zoroark era a conoscenza di attacchi davvero particolari e potenti. Focalcolpo era uno di questi.
Avevo una chiara strategia in mente e, se fossi riuscita a far consumare energie ad Haxorus, lo avrei colpito sul finale con una potente mossa che volevo tenere nascosta. Però riuscire nell’impresa significava resistere agli attacchi del nemico, cosa non facile.
Gli attacchi del tipo Drago, infatti, si susseguivano senza sosta e non accennavano a diminuire, né per il numero né per intensità.
“Vai ora Haxorus con Oltraggio!”
Per mia sfortuna questo attacco andò perfettamente a segno. Zoroark non riuscì ad evitarlo o a difendersi in nessun modo e i danni subiti non furono pochi.
Ma, nonostante tutto, vedevo i suoi occhi carichi di determinazione. Era come una fiammella che, colpita dal vento, diminuiva di intensità ma non cedeva, non spariva e cercava di resistere.
Provavo una sensazione incredibile. Sapere che un Pokèmon di quel calibro aveva deciso di aiutarmi senza costrizioni mi rendeva il cuore pieno di gioia. Certo, anche Reshiram lo aveva fatto, ma diciamo che era stato costretto a causa delle circostanze che si erano presentate. Se non fossi stata io l’Eroina di Unima lo sarebbe stato Komor, o magari Belle o chi per loro.
Invece Zoroark mi aveva proprio cercata e scelta e, da come si stavano evolvendo le cose, sembrava non avere intenzione di abbandonarmi. Neanche ora che la situazione si presentava instabile.
Anzi, fu proprio lui, fermo ancora in posizione eretta, a girarsi verso di me per incrociare il suo sguardo serio, ma carico di voglia di combattere, con il mio. Emise poi il solito verso grutturale.
Una scarica di adrenalina si manifestò nel mio corpo e lungo le braccia e le gambe brividi di agitazione si diffusero repentinamente.
Forse il mio nuovo amico non ne era al corrente ma in questo modo stava dando anche a me la forza per non arrendersi e andare avanti.
“Zoroark! Non molliamo, vai con una raffica di Palle Ombra!”
Come con la mossa iniziale, sfere di energia dipartirono dal Pokèmon e si diressero verso l’avversario senza però apparentemente colpirlo. Anzi, come risultato ottenni l’alzarsi di una fitta e scura coltre di fumo.
“Hai fatto male i tuoi conti Touko! Non mi hai colpito con nessun attacco. Peccate un po' di mira tu e il tuo amico!” tuonò a quel punto spavaldo Aristide.
“Non credo proprio” risposi assottigliando lo sguardo “ora Zoroark avvicinati ad Haxorus”.
Velocemente il Pokèmon Mutevolpe a quel punto corse verso l’avversario a quattro zampe e inziò a girargli intorno sempre più veloce. La coltre di fumo non accennava a diminuire nel frattempo.
“Haxorus non farti ingannare. Vai con Dragopulsar finchè non lo colpisci!”
Da lontano potevo osservare uno spesso muro di fumo che si levava verso l’alto e dei fasci di luce blu che fuoriuscivano da esso dovuti ai ripetuti attacchi di Haxorus che carcava invano di colpire Zoroark che ancora si muoveva sinuoso intorno a lui.
Sicuramente il fumo lo aiutava a nascondersi e mimetizzarsi meglio.
Era arrivato il momento di chiudere lo scontro.
“Zoroark Iperaggio!” urlai convinta forte della mia strategia.
Quando quest’ultimo si trovo approssimativamente davanti alla posizione di Haxorus sferrò un potente raggio di energia che colpì in pieno il tipo Drago.
“Molto bene, ed ora Gigaimpatto!”
Era una mossa tipica di contatto tra due Pokèmon. Nella lotta in corso, in questo caso, i due avversari si ritrovavano molto vicini e di conseguenza la potenza dell’impatto andava ad aumentare vertiginosamente.
A quel punto Zoroark si caricò in brevissimo tempo di energia che subito la rilasciò contro Haxorus che non riuscì in nessun modo ad evitare l’attacco.
 
Avevamo vinto. Io e Zoroak.
 
 
 
CONTINUA…
 
**nuovamente, mi scuso in anticipo se la lotta risulta troppo banale o frammentata ma ho cercato di fare del mio meglio

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Capitolo 20
*** Il vecchio Saggio ***


CAPITOLO 19
Avevamo vinto.
Io e Zoroark avevamo vinto la nostra prima lotta insieme. Il cuore batteva all’impazzata dentro al petto mentre le mani ancora tremavano per l’emozione.
A quel punto fu il Pokèmon stesso a raggiungermi e ad esultare felice e con un sorriso stampato sul muso, mentre emetteva il suo solito verso.
Mi lasciai andare a quel punto e, dopo essermi chinata, lo abbracciai. Affondai il viso in quella chioma color amaranto che si dimostrò morbidissima contro la mia guancia. Lo strinsi forte e realizzai quanto sarebbe stato bello non dovermi più separare da lui…
 
“Devo ammettere che la vostra determinazione è forte” iniziò Aristide una volta usciti dall’edificio “mi ha fatto piacere sfidarvi ed è stata una lotta davvero interessante. Tuttavia, le mie idee riguardo il Team Plasma non cambiano. Bisogna fare attenzione perché il pericolo è sempre dietro l’angolo e la minaccia di un nuovo Team è sempre da considerare. Inoltre, ricorda dello strumento che ti ho mostrato e riferisci ad Aralia”.
Stavo per rispondere alle raccomandazioni ricevute ma sentii in lontananza richiamare forte il mio nome.
“Touko…” appena mi voltai mi ritrovai davanti Komor in sella al suo Unfezant “meno male che ti ho trovato. Sono venuto a prenderti. L’ultimo Saggio è stato trovato ed ha chiesto espressamente di te”
Detto questo, dopo aver salutato e ringraziato Aristide sia io che Zoroark salimmo alla meglio sul dorso potente di Unfezant e partimmo.
 
“Scusami Komor, dove è stato trovato e per quale motivo ha chiesto di me?” domandai ad alta voce all’orecchio del mio amico mentre volavamo alti nel cielo. Nonostante l’aria sferzasse potente contro il nostro viso, udii perfettamente la risposta.
“Si trovava sul Percorso 18. È sotto il controllo di Bellocchio ora ma ha chiesto di parlare con l’Eroina di Unima prima di essere portato via. Non ha opposto resistenza alla cattura e non ha specificato altro…”
Il Percorso 18 si trovava vicino a Soffiolieve. Neanche a farlo apposta. Ricercare in lungo e in largo per la Regione per poi scoprire che l’oggetto della ricerca si trovava a due minuti da casa.
 
Atterrammo sulla sabbia bianca che si dimostrava morbida sotto ai piedi, mentre le onde del mare si infrangevano senza sosta lungo la costa.
Il Percorso 18 era un misto di salite e discese. Nulla di particolare da visitare in realtà ma era un ottimo luogo per godersi il panorama nelle tranquille sere d’estate, seduti su qualche promontorio rocccioso.
“Oh Touko, ti stavamo aspettando” riconobbi la voce di Bellocchio.
Avvolto nel suo solito cappotto color cammello si avvicinò a me e mi porse la mano, che subito strinsi.
Dietro di lui notai la presenza di un anziano signore affiancato da due agenti della Polizia vestiti di blu. Si trattava di Ross, personaggio che avevo già incontrato al Palazzo di N durante lo scontro finale.
“Lui è l’ultimo uomo che stavamo cercando” continuò Bellocchio richiamando la mia attenzione “e siamo riusciti a catturarlo insieme all’aiuto di Komor che è stato fondamentale. Ancora grazie ragazzo” pronunciò le ultime parole rivolto verso il mio amico che, nonostante tutto, rimase impassibile.
“Un dovere” ribatté lui monotono “ma lo scoglio non sarà superato finché non cattureremo anche quel balordo di N e il suo strambo padre che padre non è”.
“Attento a come parli ragazzo. Porta rispetto…” venimmo interrotti nientemeno che da Ross, che non aveva abbandonato la sua posizione vicino alla Polizia. Non sembrava intenzionato, infatti, a opporre resistenza.
“Non permetterti di usare appellativi ignobili per il Principe N” continuò poi.
“Si certo” continuò Komor incrociando le braccia “cosa può farmi il Principe N? Farmi inghiottire da Zekrom? Non ha avuto nemmeno le palle per rimane ad Unima ed è andato a nascondersi da qualche parte. Dovrei avere paura di una persona del genere?”
“Komor!” lo richiamai alzando la voce “adesso stai esagerando. Modera il linguaggio e contieniti”.
Capivo perfettamente l’antipatia che il mio amico provava nei confronti di N, ma niente lo autorizzava a parlare così. Specialmente in mia presenza.
“La giovane Eroina ha ragione. Mi sembra una persona più ragionevole e, per questo, ho il bisogno e il dovere di parlare con lei prima di subire la punizione che avete deciso per me”.
 
Ci allontanammo da Bellocchio e dalla Polizia a quel punto, ma rimanendo sempre sotto il loro controllo anche in lontananza.
Ross si muoveva in modo lento di fianco a me, sicuramente a causa dell’età molto diversa dalla mia, ma il grande e voluminoso vestito dai dettagli oro non aiutava. La sabbia sotto i piedi neppure.
“Sai…” cominciò ad un certo punto mentre ancora si muoveva con le mani portate unite dietro la schiena “quando mi sono unito al Team Plasma non avrei mai pensato che avremmo perso la battaglia. Credevo e credo ancora fermamente che le idee di molti di noi del Team, e soprattutto quelle del Principe N, fossero talmente pure da non avere rivali. Non posso dire la stessa cosa di Gechis. Se le sue idee in partenza sembravano oneste in un secondo momento si sono rivelate catastrofiche. È stato accecato dalla volontà di concentrare il potere nelle sue mani una volta risvegliato Zekrom, e le sue idee si sono scontrate con quelle del figlio immediatamente. Ma nonostante tutto, l’obiettivo finale non era cambiato e l’intento era comunque quello di liberare i Pokèmon dal giogo degli umani”.
Lo lascia parlare, non lo interruppi neppure per un secondo, anche se il monologo si presentava lungo e intenso.
“Ma nel momento in cui ti ho vista ho capito che stavamo sbagliando. Dove stavamo sbagliando, e dal profondo del mio cuore ho sempre sperato in una tua vittoria. Certo, ho visto come Reshiram si è legato a te, ma ho notato anche come trattavi la tua Squadra di Pokèmon, come ti rivolgevi a loro e come questi ultimi si fidassero di te ciecamente. Normali Pokèmon base, non Leggendari e spesso sconosciuti ad altre Regioni, possono risultare speciali ai nostri occhi e grazie al nostro aiuto crescere e potenziarsi. Dipende tutto da come vengono trattati…”
A quelle parole gli occhi mi pizzicarono un poco, ricordando la mia squadra ancora dispersa.
“Sono quindi felice di come sono andate le vicende. So che N ha capito dove ha sbagliato e che ritornerà, stavolta per combattere a favore degli amici Pokèmon. So dove ho sbagliato io e sono pronto a subire le punizioni che voi altri ritenete valide”.
Pronunciò le ultime parole rivolto verso l’oceano, mentre la sera calava. Il sole dai colori arancioni spariva lentamente al di sotto della linea dell’orizzonte, mentre le nostre ombre risultavano sempre più lunghe e deformate alla vista.
“Sono tranquillo anche perché so che il migliore amico del Principe si trova in ottime mani” detto questo voltò lo sguardo verso Zoroark, che si trovava vicino a Bellocchio, lontano da noi.
“Ti chiedo di fidarti ciecamente di quel Pokèmon, sarà lui a guidarti quando avrai paura o non saprai come comportarti, e sarà lui a trovare N quando tornerà. Non dimenticarlo perché lui sa sempre dove si trova il Principe. Ne sono sicuro”.
A quel punto si girò nuovamente verso di me, mentre una leggera brezza si alzava.
“Permettimi di dire che sono felice di averti incontrato, anche se posso dire di non conoscerti appieno. Sono felice che sia tu l’Eroina di Unima e sono sicuro che, al fianco di N, formereste una grande squadra e potreste raggiungere ogni obiettivo prefissato. Mi ha fatto piacere parlare con te, ma mi ha fatto ancora più piacere il fatto che tu abbia saputo ascoltare quello che avevo da dire senza aggredire o ribattere. Apprezzo molto”.
Avrei voluto abbracciarlo. Mi faceva estremamente tenerezza il modo in cui si era rivolto a me, il modo con cui mi aveva parlato e con cui mi aveva trattata.
Ma, ancora una volta, mi bloccai sul posto mentre lui stesso si apprestava a tornare da Bellocchio per essere allontanato.
 
Non mi avvicinai subito agli Agenti, non ebbi la forza.
Mi limitai ad osservare l’uomo mentre veniva ammanettato e guidato dalla polizia verso l’entrata del percorso. Potei osservare anche come Zoroark seguì i suoi movimenti lenti fino alla fine, senza mai abbandonarlo con lo sguardo fino a che non si diresse dietro l’angolo e, di conseguenza, sparì dalla sua vista.
Un pesante vuoto si fece largo dentro di me a quel punto.
Le parole di Ross mi avevano colpito, si vedeva che si era pentito delle sue azioni e che aveva capito. Si notava anche il forte legame che possedeva con N, che non si era spezzato nonostante le difficoltà.
Avrei ascoltato le parole del Saggio.
N sarebbe tornato e io mi sarei affidata al suo migliore amico per ritrovarlo. Magari era proprio questo il motivo del suo attaccamento a me.
O, magari, era lo stesso N a voler essere trovato, dopotutto.
 
Con questi pensieri mi incamminai per raggiungere Komor e Zoroark che aspettavano pazientemente il mio ritorno.
 
CONTINUA…
 

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Capitolo 21
*** Cosa stai cercando di dirmi? ***


CAPITOLO 20
Aprii gli occhi nel momento in cui sentii la terra tremare sotto ai piedi.
I massi color ocra che mi circondavano iniziarono a muoversi come se avessero avuto vita propria mentre una coltre di fumo si levava intorno alla mia figura. Non avevo via di fuga e, sopra di me, si stagliava un cielo nero e buio che di rassicurante aveva ben poco.
Non feci in tempo a ragionare sul da farsi che una grossa crepa dipartì da sotto i miei piedi e si estese lunga davanti a me per diversi metri. E fu da questa crepa che si levò l’impensabile.
Un imponente castello dorato si innalzò in breve tempo dall’insulsa crepa appena formatasi. In sottofondo un rumore assordante ma difficile da identificare accompagnava uno scenario quasi apocalittico.
Dopo pochi minuti mi ritrovavo dinnanzi un enorme castello fatto e finito, dalle innumerevoli stanze e altrettante finestre, decorate con leggere rifiniture blu scuro.
Ma mi spaventai maggiormente nel momento in cui lunghe e pesanti scale metalliche fuoriuscirono da quest’ultimo senza apparente logica, in tutte le direzioni e andandosi ad incastrare nell’argilloso terreno dai colori ocra.
Una di queste scale capitò esattamente dinnanzi a me e, dopo un momento di indecisione, decisi di farmi coraggio ed entrare, rispondendo in questo modo al tacito invito ricevuto.
Mi sentivo leggera nel camminare, quasi eterea e velocemente raggiunsi l’enorme ingresso dorato che subito varcai.
 
Appena entrai fui costretta a ripararmi gli occhi.
La stanza si presentava ampia e luminosa. Troppo luminosa. Alte colonne color oro sostenevano un alto soffitto decorato, mentre il pavimento blu al di sotto dei miei piedi era in netto contrasto con la generale luminosità dell’ambiente.
Stranamente, la sala si presentava vuota, senza apparenti decorazioni al di fuori dei lunghi arazzi viola che ricadevano morbidi dal soffitto.
Spostai lo sguardo sul fondo della stanza e potei notare sette persone poste in fila una vicina all’altra, eretti nella loro posizione e con lo sguardo serio in volto. Riconobbi subito essere i membri del Team Plasma e, in particolare, i Sette Saggi.
Mi avvicinai silenziosa.
Nessuno di loro emise un fiato quando li raggiunsi, anzi, era come se nessuno di loro notasse la mia presenza. Posai velocemente lo sguardo su ognuno di loro e fu solo quando arriva all’ultimo individuo della fila, anziano e di giallo vestito, ricevetti una risposta.
Una muta risposta, dato che il suo unico movimento fu solo quello di inclinazione del capo, per indicare un grande varco sulla mia destra che prima non avevo notato.
Senza fiatare oltre mi diressi verso quest’ultimo, ragionando su come non lo avessi notato prima data la sua grande imponenza.
Mentre lo sorpassavo appoggia senza pensarci troppo una mano su una delle due grandi colonne bianche che lo sostenevano ma non seppi definire in dettaglio la consistenza ritrovata al di sotto dei polpastrelli.
 
Un lungo corridoio si parò davanti a me, sempre accompagnato dai colori oro e blu che avevo imparato a conoscere.
Se sulla mia destra il muro si presentava anonimo e senza aperture sull’esterno mentre alla mia sinistra erano presenti diverse porte che consentivano l’ingresso a varie stanze della residenza dorata.
Mi diressi direttamente nella seconda stanza, dato che la prima ritrovata lungo il cammino era sigillata da una pesante porta.
Appena entrai riconobbi due figure familiari.
Erano nientemeno che Antea e Concordia, le due ragazze facenti parte della famiglia di N. Le sue custodi.
Fu la ragazza dai folti capelli rosa ad avvicinarsi a me.
Io sono la Musa dell’Amore. So che sei alla ricerca di N, ma ti prego di ascoltarmi. Ricorda che gli allenatori non combattono con lo scopo di ferire i propri Pokèmon. Anche N lo sa, nel profondo del suo cuore, ma non è ancora capace di ammetterlo. Troppi giorni tristi e solitari ha passato al castello…”
Non ebbi il tempo di rispondere che anche la seconda ragazza dai capelli biondi si avvicinò a me, vestita di bianco come la sua accompagnatrice.
Io sono la Musa della Pace. Porto la tranquillità ad N che, fin da piccolo, ha vissuto assieme ai Pokèmon e lontano dagli uomini. Pokèmon traditi dai loro allenatori, maltrattati e feriti dagli uomini…erano questi gli esemplari che Ghecis gli portava. N ha condiviso con loro il dolore pensando esclusivamente al loro bene ed è così che ha deciso di perseguire gli Ideali.
N è un ragazzo così innocente e puro…ma non c’è niente di più bello, e al tempo stesso spaventoso, dell’innocenza”.
Non fiatai a quelle parole e, come spinta da una forza istintiva, mi allontanai dalla sala per tornare in corridoio.
Un forte sospiro si levò dalle mie labbra.
 
Mentre salivo le scale per dirigermi al piano superiore una voce rimbombava nel castello e non potei fare a meno che ascoltarla.
Quando lotterai con N capiremo chi è il Re degli Ideali e capiremo fino a che punto tu voglia davvero difendere questo mondo in cui uomini e Pokèmon vivono fianco a fianco.
 
E fu proprio ascoltando questa frase che raggiunsi una delle ultime stanze esplorabili.
Una volta varcata la soglia mi trovai dinnanzi una stanza che non aveva nulla a che fare con il contesto prima esplorato. Era la stanza di un bambino…
I pavimenti erano accompagnati da una tappezzeria del colore del cielo su cui svettavano quelle che sembravano candide e soffici nuvole bianche.
Un piccolo campetto per giocare a basket si trovava in un angolo, accompagnato da un canestro non troppo alto ma a misura di bambino.
Nella parte opposta della stanza un trenino giocattolo provvisto di pochi vagoni era in funzione. Il suo movimento lungo le rotaie lunghe e sottili produceva una musica lenta che a tratti rendeva l’ambiente quasi inquietante.
Nessun altro suono era udibile e, in quel momento, realizzai come la pressione sulla stanza stesse aumentando impercettibilmente.
Mi trovai a corto di ossigeno in breve tempo. L’aria si era fatta irrespirabile e di conseguenza, dopo aver dato una rapida occhiata a dei giocattoli ammucchiati in un angolo ma poco interessanti, uscii dalla stanza.
Realizzai come quella doveva essere la stanza dei giochi di N di quando era bambino. A quel pensiero un nodo si formò all’altezza dello stomaco immaginando la figura di N, pura e innocente, rinchiusa in quella stanza buia e senza un’apertura sul mondo. Soggiogato da suo padre inoltre…
 
Chiusi senza pensarci gli occhi e, nel momento in cui li riaprii, mi ritrovai in un ambiente diverso ma che conoscevo molto bene.
Era la sala dove io e N avevamo lottato per l’ultima volta, prima che lui partisse sul dorso del Pokèmon Nero. Prima che mi abbandonasse.
Tutto era però intatto. I muri erano al loro posto coperti dagli arazzi viola, mentre la luce proveniva da delle finestre ampie poste alla sommità degli alti muri.
La mia attenzione venne catturata dalla figura che si trovava dal lato opposto della stanza e potei subito riconoscere una lunga chioma color verde foglia.
Subito mi misi a correre verso di essa, superando quello che era il campo di lotta e percorrendo il lungo corridoio che portava ad un ampio trono in sasso.
L’oggetto dei miei desideri si trovava seduto su quest’ultimo.
Le lunghe gambe incrociate e una mano appoggiata alla guancia per sostenere il capo. Lo sguardo annoiato.
Appena mi vide fu lo stesso N a tirarsi in piedi e, come avevano precedentemente fatto Antea e Concordia, si mosse verso di me senza dire nulla.
Avrei voluto urlare, dirgli tante cose ma non feci in tempo.
Si fermò sul posto prima che potessi raggiungerlo e allargò le braccia.
Ti stavo aspettando” furono le prime parole che mi diresse.
Allungai la falcata per raggiungerlo più velocemente ma ogni volta che pensavo di averlo raggiunto era come se si allontanasse da me e il corridoio che stavo percorrendo risultava, di conseguenza, infinito.
 
Ma fu quando riuscii finalmente ad avvicinarmi che la figura sfarfallò fino a rivelare la sua vera identità.
La chioma che mi trovavo davanti non era più di un verde brillante ma di un rosso carminio.
Mentre gli occhi non erano più quelli grigi e vivaci di un ragazzo appena ventenne, ma si presentavano neri e aggressivi, puntati verso la mia figura.
Fu così che mi ritrovai dinnanzi la figura di Zoroark. Era agitato, nervoso, sicuramente non come il Pokèmon che avevo incontrato pochi giorni prima.
Tentai di calmarlo come mio solito, allungando la mano verso la sua folta chioma ma, nel momento in cui mi mossi verso di lui, mi attaccò avventandomi su di me improvvisamente.
Un verso roco fuoriuscì dalla mia gola a quel punto mentre tutto si fece improvvisamente buio.
 
 
Mi sveglia di soprassalto e, avvolta nel buio di camera mia, realizzai che era tutto un sogno.
Anzi, a giudicare dal respiro affannoso e dalla fronte madida di sudore potevo tranquillamente considerarlo come in incubo. Uno dei peggiori aggiungerei.
Mentre mi concentravo sul respiro cercando di calmarmi un paio di occhi si illuminarono nel buio di camera mia.
Erano gli occhi di Zoroark che, più abituati al buio sicuramente rispetto ai miei, mi guardavo fissi.
 
“Cosa stai cercando di dirmi, Zoroark?”
 
CONTINUA…

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Capitolo 22
*** Segui il Pokèmon ***


CAPITOLO 21
“Quindi mi stai dicendo che vuoi andare alla Lega Pokèmon per cercare il Castello di N?” chiese Komor appoggiando il bicchiere di succo d’arancia sul tavolo.
Ci trovavamo a Quattroventi, seduti al tavolo di un bar collocato sul punto più alto della città. Da qui si potevano ammirare le dolci colline del luogo, ora coperte da lussureggiante vegetazione, mentre più in lontananza si potevano scorgere le città che apparivano molto più piccole di come erano in realtà. Un luogo suggestivo di giorno e romantico la sera.
“Esattamente” risposi io mentre mi lasciavo cadere sullo schienale della sedia di ferro e incrociavo le braccia al petto “se le parole di Ross sono vere Zoroark sa dove si trova N, e magari avvicinarsi al luogo dell’ultimo scontro lo aiuterebbe a ricordare. Inoltre, sembra che il Castello non si trovi più alla Lega come quando è uscito dal terreno…”
“… adesso non venirmi a raccontare che i castelli si spostano” concluse Komor al mio posto, interrompendomi.
“Non sto dicendo che si sia spostato, ma hai sentito anche tu. Diversi telegiornali raccontano come il Castello sia scomparso dopo l’ultima lotta lasciando solo un grande cratere. Diverse sono le persone che lo hanno cercato ma nessuno lo ha trovato o ha nessun indizio sull’ipotetica posizione” voltai lo sguardo verso la folta chioma color carminio seduta al mio fianco “questo perché nessuno ha un aiuto valido come quello di Zoroark. Chi meglio di lui può guidarci?”
Emise un sospiro a quel punto Komor, mentre si passava pigramente una mano tra i capelli scuri.
“Continuo a pensare che tu faccia uso di droghe Touko. Anzi, ne sono convinto”.
“Uff, solo perché ho delle idee geniali non significa che non mi appartengano. E poi lo ho anche sognato” risposi piccata prendendo il bicchiere in mano e portandomi la cannuccia alla bocca. Rabbrividii leggermente quando il succo freddo mi raggiunse. Era proprio buono.
A quel punto il mio amico continuò: “Oh giusto… il sogno…pure quello. E se poi il tutto si rivela un grande buco nell’acqua? Se poi non trovi chi pensi di trovare in quel posto?”
Non staccai gli occhi da quelli di Komor e lentamente andai a soffiare nella cannuccia provocando nel bicchiere una serie di piccole bolle che scoppiarono con un leggero “Blop-Blop”, mentre i cubetti di ghiaccio andavano a sfregarsi tra di loro.
Sapevo quanto quel singolo gesto desse fastidio alla persona seduta dinnanzi a me, ma avrei tentato di tutto pur di fargli accettare la mia proposta. Se non con le buone lo avrei preso per sfinimento.
Come previsto Komor chiuse gli occhi a quel mio gesto, irritato, mentre una grande vena pulsante nasceva ai lati della sua fronte.
“E va bene Touko, hai vinto” disse sospirando “ti accompagno ma poi non venire a piangere da me se rimani delusa. Chiaro?” terminò la frase puntandomi scherzosamente l’indice contro.
Feci un sorriso a trentadue denti a quel punto. Lo avevo convinto.
Quanto conoscevo bene il mio amico?
 
“Voglio proprio vedere cosa farai nel momento in cui le tue idee strampalate crolleranno una per una” iniziò Komor mentre camminavamo lungo il percorso 23.
“Come sei polemico sempre. Iniziamo a raggiungere la Lega e poi ne riparliamo. Magari incontreremo anche Nardo e potrà darci informazioni aggiuntive” risposi non distogliendo lo sguardo dall’orizzonte.
In lontananza potevo infatti intravedere i cancelli scuri che portavano alla Lega.
Ricordavo bene l’emozione provata al primo passaggio. Gli otto cancelli rappresentanti le otto medaglie di Unima si erano aperti dinnanzi ai miei occhi una volta raggiunti e, ad ogni passo, mi ero sempre sentita più vicina al mio obiettivo di Campionessa.
Mentre camminavamo di sottecchi guardavo Zoroark che mi seguiva senza indugio e non sembrava intenzionato ad allontanarsi o ad indicare nessuna ipotetica strada.
 
“Attraversiamo il corridoio?” chiesi una volta arrivati davanti ai cancelli, ora chiusi, che portavano alla Lega.
Komor portò una mano sotto il mento.
“Umh… consideriamo che se molti hanno provato a cercare il Palazzo vicino al cratere senza risultato potremmo provare a cercare prima di entrare nel grosso cortile” notò astutamente il mio amico.
Fu così che incominciammo a cercare in ogni singolo angolo, rientranza o pertugio del percorso 23 per trovare l’oggetto dei miei desideri.
Insomma, stavamo parlando di un Palazzo lungo metri e metri. Un edifico di così grandi dimensioni non poteva sparire nel nulla. Non era fisicamente possibile.
 
Ma dopo solo un’ora di ricerca sfiancante mi sedetti su uno degli scalini del percorso, affranta.
“Forse avevi ragione Komor, forse era tutta una pia illusione” dissi portandomi le mani sul volto.
“Ehy” Komor a quel punto si avvicinò e si abbassò alla mia altezza “va bene che avevo ragione ma non voglio vederti così. Abbiamo comunque provato e non c’è nulla di male in questo dopotutto. Diciamo però che Zoroark non è stato molto di aiuto come credevi” continuò addrizzandosi e portando le mani sui fianchi.
“Raaaaar” rispose piccato Zoroark a quel punto.
Dopo aver assottigliato lo sguardo verso Komor, come era solito fare per cercare di incutere paura, si avvicinò a me.
Ero pronta ad accarezzargli la chioma con il solito gesto abitudinario ormai ma nel momento in cui protesi il braccio verso Zoroark con un movimento fulmineo andò a slacciare con le piccole unghiette l’Interpokè che portavo al polso.
Successivamente si allontanò da noi, come per scappare, e si lascio scivolare lungo un laterale pendio che separava i terrazzamenti che componevano il Percorso.
“Ma che…” riuscì a sibilare Komor.
Senza dire nulla velocemente mi alzai e mi apprestai a seguirlo. Correva piuttosto veloce e riuscì a intravederlo mentre si infilava in una piccola apertura che si trovava su una delle tante pareti di roccia, lontano dalla nostra posizione. Il mio Interpokè portato tra le fauci.
“Dobbiamo seguirlo Komor!” urlai senza controllo “è il segnale. Te lo avevo detto che lui sapeva dove dovevamo andare!” terminai la frase e mi lasciai scivolare lungo la parete emulando quello che aveva fatto il Pokèmon pochi momenti prima. Atterrai nell’erba alta e mi voltai. Diversamente dalla volta alla Fossa Gigante questa volta il mio amico non sembrava intenzionato ad allungare la distanza tra me e lui.
 
Non mollai mai il passo.
Vedevo la folta chioma rossa in lontananza che si muoveva svelta lungo salite e discese.
Il respiro pesante, le gambe stanche come quella volta alla Fossa Gigante.
Komor dietro di me non dava segni di cedimento.
 
Arrivammo all’entrata di una caverna, posizionata tra i pendii scoscesi ormai molto lontani dal percorso 23.
Guardai Komor di fianco a me e, letta l’approvazione nei suoi occhi, entrai.
Una volta entrati il buio mi avvolse e impiegai un paio di minuti per far abituare i miei occhi al nuovo ambiente.
Avevo perso le tracce di Zoroark in quel momento ma sapevo benissimo che aveva percorso questa strada perché in lontananza lo avevo osservato introdursi in questo piccolo pertugio.
Con Komor alle mi spalle cercai di avanzare lungo quello che sembrava essere una sorta di lungo corridoio.
Inciampai più volte. Il terreno infatti si presentava pieno di sassi di varia misura e non sempre i miei scarponcini si adattavano a quello che si trovava sotto di me in maniera ottimale.
Camminammo per una decina di minuti buoni, mentre l’aria si faceva sempre più pesante mano a mano che ci muovevamo all’interno della montagna.
“La prossima volta” iniziò Komor ad un certo punto “che mi chiedi un favore… ricordami di risponderti di no. Qualunque esso sia. Ogni volta che sono con te finisco nei casini”.
“è per questo che mi vuoi bene” ironizzai “pensa che noia le giornate senza la mia presenza. Preferisci la vita da laboratorio?”
“Non dico vita da laboratorio. Ma una via di mezzo sarebbe gradita” continuò.
 
Ad un certo punto calpestai qualcosa di diverso.
Abbassai lo sguardo e notai il mio Interpokè, ormai impolverato, abbandonato a sé stesso sul sentiero.
Subito mi chinai e lo raccolsi. Una volta in mano lo strinsi. Zoroark era passato di qui, la strada era quella giusta.
“Ora che lo hai pestato sicuro non funziona più come minimo” udii la voce alle mie spalle che, come al solito, non perdeva occasione di schernirmi.
“Adesso pesto te se non la smetti. Andiamo. Siamo sulla strada giusta”.
 
Il corridoio che stavamo percorrendo ad un certo punto subì una curvatura e, una volta superata, potei osservare l’oggetto della ricerca. Eravamo arrivati.
Il palazzo di N.
 
 
Continua…

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Capitolo 23
*** Grazie, Touko. ***


CAPITOLO 22
Finalmente il Palazzo di N.
Ci trovavamo diversi metri sotto terra e, inspiegabilmente, il castello era precipitato senza apparenti danni in una sorta di grossa cava nel terreno.
Come facesse ad essere tutto intero? Non lo saprei spiegare.
In quel momento ero troppo euforica e su di giri per dar conto a queste “piccolezze” tecniche.
“Laggiù!” indicò a un tratto Komor con il dito “Zoroark sta entrando nel castello. Dobbiamo seguirlo”.
Appena feci un passo, però, il terreno sotto di me emise dei rumori che di confortante avevano ben poco.
“Ok ma senza correre, altrimenti qui crolla tutto” precisai.
Per nostra fortuna il collegamento tra la nostra posizione e il castello era fornito da una lunga scala metallica che si era incastrata nel terreno durante la caduta della costruzione. Zoroark era entrato da lì e, anche osservando attentamente, non vedevo altri possibili punti di accesso.
 
“Bene. Prima le signore” gesticolò Komor con la mano per permettermi di avanzare verso la scalinata scura.
“Grazie, troppo gentile, non ti facevo così pauroso sai?”
“Non dire idiozie, lo faccio per controllarti. Almeno sono sicuro che al primo spavento non te la darai a gambe levate abbandonandomi in questo tuo assurdo piano. Non te lo perdonerei sai?”
A quel punto mi apprestai a scendere la scalinata, non prima di aver riservato al mio amico una linguaccia. Gesto molto maturo lo ammetto.
Nonostante tutto la scalinata si presentava abbastanza solida, anche se mancante di qualche gradino e sembrava reggere bene il peso di due persone.
Ma fu una volta che fummo arrivati a circa metà percorso uno scossone ci fece sussultare.
“Ti prego Komor dimmi che sei stato tu. Ti supplico”.
“Mi dispiace deluder-” non fece in tempo a finire la frase il mio amico che un forte urlo di drago arrivò alle nostre orecchie.
Preoccupati ci voltammo e quello che vedemmo ci lasciò senza parole.
Un enorme Druddigon si stava minacciosamente avvicinando alla scala, con fare tutt’altro che amichevole.
“La scala non sopporterà sicuramente il suo peso!” osservai.
Fu in quel momento che il Pokèmon Drago si piegò sulle ginocchia e iniziò a tirare forti colpi alla scala con gli artigli. Di questo passo sicuramente la avrebbe distrutta.
Probabilmente eravamo entrati nel suo territorio e stava cercando in tutti i modi di eliminarci.
Esposta ai colpi del Pokèmon la stessa scala era sottoposta e tremori e qualche gradino cadde nel vuoto.
Non ebbi coraggio di sporgermi per osservare il suo percorso. Il vuoto sotto di noi era tremendo, buio e dal colore più scuro della pece.
“Tu vai avanti. Penserò io a lui. Lo distrarrò in modo da darti tempo” si propose subito Komor e non potei fare altro che seguire il suo comando.
Cominciai a camminare veloce verso la porta d’entrata mentre vedevo il mio amico percorrere la strada opposta per avvicinarsi il più possibile al Drago. Una volta riuscitoci chiamò a rapporto il suo Unfezant e salì sul suo dorso, in modo tale da non essere sottoposto agli scossoni della scalinata.
Io, d’altro canto, una volta arrivata davanti a quello che sembrava un portone d’ingresso secondario, senza indugio entrai.
 
Una volta entrata l’ambiente si presentava completamente insonorizzato.
Non si udivano, ad esempio, le urla di Druddigon al di là del muro, ma solo qualche ovattato rumore proveniente dall’interno del castello ormai in rovina.
Grandi massi erano sparsi lungo i maestosi corridoi così come gli arazzi strappati e pieni di polvere ancora affissi alle pareti o pezzi di cornicione erano orami caduti a terra.
La rovina aveva consumato quello che era stato un Palazzo dagli sfarzi esagerati. Colorazioni oro alle pareti e grandi decorazioni arzigogolate erano solo una minima parte degli elementi che avevano reso l’edificio una dimora regale.
Ero già stata, prima della lotta finale con N, dentro al castello. Ricordavo bene che una guardia mi aveva informato del fatto che l’edificio fosse stato costruito da dei Pokèmon rubati a diversi allenatori e soggiogati dal Team Plasma.
Come allora, leggeri brividi mi invasero la schiena a quel pensiero.
Cercando di non perdere tempo prezioso mi incamminai a passo svelto per raggiungere la Sala del Trono.
Come nel sogno di qualche notte precedente, superai un numero considerevole di camere e salii numerose scalinate per raggiungere la sala più importante.
Non mi fermai nuovamente a ispezionare la cameretta di N. Non ebbi la forza.
Anzi, come la più grande delle vigliacche, una volta arrivata davanti a quest’ultima, ad occhi chiusi e a pugni stretti continuai il mio cammino.
Non volevo ritornare nel passato. Non volevo rivedere la prova della sofferenza di N, non volevo immaginare e ricordare lo stato d’animo di un bambino richiuso e soggiogato dal padre.
I giochi consumati erano la prova fisica di cotanta sofferenza, e preferivo possedere solo un ricordo di questi piuttosto che osservarli una seconda volta.
 
Nel momento in cui raggiunsi l’ultimo piano il cuore cominciò a battere all’impazzata.
Non sapevo cosa aspettarmi a dire la verità. Ero abbastanza sicura del fatto che N non potesse vivere in un luogo del genere e, di conseguenza, le possibilità di ritrovarlo lì, nella Sala del Trono, ad attendermi a braccia aperte erano molto limitate se non tendenti allo zero.
Ma se era vero ciò che aveva detto Ross, Zoroark sapeva dove si trovava N. Era stato uno dei suoi più fidati amici dopotutto e forse l’avermi riportata al castello era un segno.
Un segno che qualcosa stava finalmente per cambiare.
 
Entrai nella Sala del Trono e, come da copione, la trovai vuota. Deserta.
Per assurdo, anche se si trovava alla sommità dell’edificio, si presentava come la stanza più rovinata.
Non era presente nessuna fonte di luce, se non per alcuni spiragli che provenivano dal soffitto dove le travi e i cornicioni erano caduti.
Massi di varia misura riempivano lateralmente la sala.
Alzai lo sguardo, a quel punto, verso il fondo della stanza. Enormi massi troneggiavano laddove, tempo addietro, era presente il grande varco che Zekrom aveva utilizzato per volare lontano, portando in sella il suo Eroe dai capelli verdi.
Mi avvicinai e, senza particolare interesse, andai a toccare uno di quei massi ruvidi e freddi.
Come sarebbero andate le cose se lo avessi seguito quel giorno?
Come sarebbero andate le cose se lo avessi fermato?
Se non fossi stata così lenta e paurosa dei miei sentimenti?
Avevo avuto talmente paura di una sua possibile reazione negativa che non avevo neanche provato. Non era da ma un atteggiamento del genere.
Ero sempre stata la Touko in prima fila per tutto tra i miei amici. Prima a cercare di raggiungere le Palestre, prima a cercare di battere i Capopalestra, prima a raggiungere il titolo di Campionessa.
Forse era stato proprio questo mio temperamento a permettermi di farmi diventare Eroina. Forse per questo Reshiram aveva visto in me qualcosa. Qualcosa che gli altri non avevano.
Eppure, come la più banale persona del mondo, avevo avuto paura dei miei stessi sentimenti e mi ero lasciata soggiogare da questi.
Ma i miei pensieri vennero interrotti nel momento in cui udii un flebile suono alle mie spalle.
Mi voltai e riconobbi, senza molto stupore, la figura di Zoroark. Come al solito, dall’alto della sua posizione eretta, mi osservava fisso con i suoi occhietti luminosi.
“Zoroark” lo richiamai “allora Ross aveva ragione. Tu sapevi l’esistenza di questo posto. Così come saprai dove si trova N presumo…” terminai la fase inclinando un po’ il capo lateralmente ma continuandolo a guardare fisso.
Diversamente dal mio sogno, non avevo paura di lui. Nonostante il suo atteggiamento non fosse mai stato dei più propositivi.
 
Grazie. Touko”
 
Udii improvvisamente.
Sull’attenti, mi voltai velocemente a destra e a sinistra per vedere da chi proveniva quella voce ma non scorsi nessuno.
Puntai la mia attenzione su Zoroark e sbarrai gli occhi. Che quella voce provenisse dai lui? Stavo forse sognando nuovamente?
Stavo per proferire parola ma fu lui stesso a continuare.
E’ stato piacevole viaggiare con te. Se una persona di buon cuore e questo lo sa anche il Principe. Ora lo ho capito pure io e potrò confermarglielo una seconda volta”.
Una volta terminate le sue parole la terra cominciò a tremare al di sotto dei miei piedi.
Crepe dalle varie dimensioni iniziarono a presentarsi nel terreno mentre alcuni pezzi di cornicione minacciavano di crollare da un momento all’altro.
Zoroak era scomparso nel mentre, non si trovava più dinnanzi a me ma non lo avevo neanche visto muoversi.
Realizzai che sarei dovuta uscire da quel posto in fretta se non avessi voluto rimanere schiacciata tra i massi. Senza pensarci due volte mi diressi verso l’uscita percorrendo corridoi tremolanti e scale poco stabili.
Probabilmente la costruzione stava cedendo data l’instabile posizione in cui si trovava. Era giunta la sua fine.
 
Una volta uscita, insieme a Komor, mi avviai verso casa in sella al suo Pokèmon Volante.
Dietro di noi solo un’alta coltre di fumo.
Di Zoroark nessuna traccia.
 
CONTINUA…

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Capitolo 24
*** Giornate d'autunno ***


CAPITOLO 23
Mi sistemai alla meglio la lunga sciarpa color castagna che portavo per coprire in modo adeguato il collo scoperto. Successivamente uscii di casa richiudendomi la porta alle spalle.
Leggeri brividi scossero il mio corpo nel momento in cui entrai a contatto con la fresca aria autunnale di quel giorno.
Misi le mani in tasca e, pigramente, iniziai a camminare verso il laboratorio della Professoressa Aralia.
Come era cambiato il paesaggio della mia cittadina.
I colori verdi brillanti delle foglie degli alberi avevano lasciato spazio a dei colori più tenui che variavano dall’arancione al marrone dalle varie tonalità, mentre la soffice erba, ormai inaridita, faceva da scenario ad un paesaggio comunque suggestivo.
L’unica cosa che non era cambiata era il mare. Anche se il suo colore poteva sembrare più cupo e scuro a causa della stagione, le sue onde continuavano incessantemente a infrangersi contro il molo della cittadina producendo un suono monotono.
 
Sii sempre come il mare che infrangendosi contro gli scogli, trova sempre la forza di riprovare”.
 
Ecco, il mare poteva considerarsi l’esatta rappresentazione di quello che io non ero riuscita a fare. Riprovare.
Ma andiamo con ordine.
Dopo la visita al castello, ormai risalente a tre mesi addietro, avevo completamente perso le tracce di Zoroark e, da allora, non avevo più avuto sue notizie.
Avevo appreso che il Palazzo di N era precipitato maggiormente tra le fredde braccia della Terra e, ora come ora, risultava inaccessibile. Di conseguenza avevo rinunciato ad entrarci una seconda volta.
Ero tornata più volte alla Fossa Gigante per cercare di ritrovare i miei amici Pokèmon ma senza successo. Avevo esplorato la caverna da cima a fondo con molta pazienza ma delle sfere bianche e rosse nessuna traccia.
L’orrore di dover ricominciare ad allenare da zero una nuova squadra si era insinuato nella mia mente ed era ormai un pensiero fisso. Ma faceva ancora più male sapere di aver perduto Reshiram.
La regione di Unima aveva perso in un sol colpo i suoi più forti Leggendari a pensarci bene.
Il bianco Reshiram rinchiuso da qualche parte in una di quelle subdole tecnologie inventate dall’uomo stesso, e il nero Zekrom disperso e, con molta probabilità, neanche più presente nella ridente e felice regione di Unima perché volato via con il suo affascinante Eroe.
Di N neanche l’ombra. Come da copione. Le mie speranze di ritrovarlo erano ormai crollate, per la felicità di Komor, e le mie buone intenzioni verso di lui erano al minimo storico.
Lui non mi voleva, non sarebbe tornato e, forse, mi andava bene così.
Avrei ingoiato il rospo e sarei andata avanti, girando pagina e continuando con la mia vita che, a momento, si presentava monotona e assai banale.
L’unica punto positivo della faccenda era che la cattura dei Sette Saggi e quella di Gechis erano terminate. Anche il padre modello era stato catturato ed ora avrebbe scontato una pena che difficilmente avrebbe dimenticato.
 
Mi fermai una volta arrivata al laboratorio ma, prima di entrare, diedi un’ultima occhiata all’orizzonte.
Con l’intento di evitare di rendere le mie giornate fredde e vuote mi ero accontentata di seguire la Professoressa Aralia in laboratorio e, ogni tanto, accompagnare la mia amica Belle nelle sue ricerche fuori da Soffiolieve. L’obiettivo era quello di farle compagnia e fornirle una mano fisicamente ma, sotto sotto, era principalmente un modo per impiegare le giornate.
Non ero soddisfatta della mia vita al momento ma, ora come ora, non avevo la forza di cambiare.
 
“Buongiorno Touko!” mi richiamò la voce di Belle una volta entrata nell’edificio.
La mia amica sempre di buon umore era l’unica persona che lasciava entrare nella mia vita un senso di gioia e vitalità. I suoi modi buffi, e a volte un po’ capricciosi, erano come tenue ma caldo raggio di sole nei giorni bui.
“Meno male che sei arrivata. Oggi giornata ricca di visite, avrò sicuramente bisogno di una mano” continuò poi.
Abbozzai un sorriso mentre mi levavo da dosso il piumino blu beige che indossavo. L’aria era cambiata mentre l’inverno si stava avvicinando sempre di più e, di conseguenza, i comodi short di jeans e magliettina bianca avevano fatto spazio ad un vestiario sicuramente più consono e più caldo. Pantaloni lunghi, sempre di jeans, e maglioncino leggero erano ormai abiti all’ordine del giorno.
Una volta indossati i guanti mi avvicinai alla mia amica, più o meno pronta per iniziare la giornata.
 
“Come stai Touko?” mi chiese la mia amica ad un tratto, seduta sulla sedia del suo studio. Un thè caldo portato in mano, per rilassarsi nei pochi minuti di pausa che aveva a disposizione tra una visita e l’altra.
“D-direi bene” risposi balbettando.
Come poteva una così semplice domanda farmi dubitare così fortemente della risposta appena data?
“Come mai questa domanda, Belle, nonostante ci vediamo tutti i giorni?”
“Così…” rispose vaga e sorridendomi “spesso ci dimentichiamo di chiederlo alle persone che stanno davanti a noi e con cui condividiamo tanti momenti. Ma una semplice domanda come questa, se fatta dalla persona giusta, può migliorarti la giornata”.
Adoravo Belle.
Nonostante tutto era una ragazza con un cuore enorme. A volte forse un po’ troppo empatica, ma che sapeva il fatto suo.
Potevo definire Komor come una spalla più fisica e mentale, mentre Belle era la parte emotiva della compagnia. Componente non banale e da non sottovalutare.
“Bhe” continuai “diciamo che va tutto bene, anche se alcune cose potrebbero essere leggermente diverse forse è meglio non lamentarsi di gamba sana”.
“Togli il forse, è così. Siamo entrambi giovani e se volessimo ancora cambiare la nostra strada potremmo farlo in qualsiasi momento. Basta solo volerlo, la salute è l’ultima cosa che manca” rispose con aria saccente alle ultime parole e sorridendo leggermente.
“Belle?” la richiamai, sporgendomi leggermente dal tavolo delle visite su cui ero seduta.
“Si?” rispose lei guardandomi con i suoi grandi occhi al di sotto degli occhiali rossi.
“Non parlare come mia nonna, mi fai paura” sibilai.
Scoppiammo a ridere a quelle mie parole e mi lasciai andare ad una, rara, ma fragorosa risata.
“Tu come stai, invece, Belle?” domandai dopo essermi calmata ma con ancora una mano portata sulla pancia dolente.
“Io? Io sto benissimo” rispose alzando leggermente il tono della voce “non sono mai stata meglio. Ho l’occupazione che ho sempre sognato, sono a contatto con la gente e con i Pokèmon e tutto va bene. Diventare Campionessa potrà aspettare. Per quello c’è Komor”.
Il mio amico, infatti, era partito da qualche giorno per un ulteriore allenamento in vista del suo appuntamento con la Lega. Dopo gli ultimi avvenimenti, aveva deciso di affrontare Nardo, non prima di aver affinato ancora di più le sue abilità nella lotta. Per questo era partito senza una meta ben precisa, ma con l’obiettivo principe di trovare allenatori forti da sfidare.
Gli avevo anche proposto di sfidare Camilla, ma purtroppo, era già ripartita per Sinnoh. Buon per lui da un lato. Si era risparmiato una mazzata dal Garchomp di quest’ultima.
Invidiavo i miei amici. Loro le idee chiare le avevano eccome.
 
La sera tornai a casa dopo una giornata piena e densa di visite e, dopo aver cenato, mi rinchiusi in camera da letto come ero solita fare da qualche tempo.
Appena varcata la soglia notai come la mia cameretta fosse in disordine. Diversi vestiti erano stati abbandonati a sé stessi sulla sedia della scrivania mentre alcuni erano stipati nei cassetti che facevano fatica a chiudersi.
Gli oggetti che una volta erano contenuti nella mia borsa da viaggio, invece, erano stati appoggiati al mio rientro dalla visita al castello sulla scrivania e, da quel momento, non erano più stati spostati.
Emisi un sospiro e decisi che era il momento di dare una riordinata, più per senso del dovere che voglia di fare.
Impiegai diversi minuti per sistemare e ripiegare a dovere i diversi vestiti, ma fu quando presi in mano i miei soliti pantaloncini di jeans da viaggio che mi accorsi di un piccolo particolare.
Avevo perso la spilla che, tempo addietro, avevo attaccato con tanta cura ai passanti dell’indumento. Quella che riportava la mia iniziale e il luogo di origine. Spilla che possedevano anche Belle e Komor.
Non mi ero accorta della sua scomparsa ma ero abbastanza certa di non averla persa in casa.
Ma, anche se era un ricordo importante della mia infanzia, sul momento non diedi molto peso a questa questione e, una volta ripiegato alla meglio i pantaloncini, mi misi a letto e mi addormentai.
 
CONTINUA…

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Capitolo 25
*** La città sul mare ***


CAPITOLO 24
“Oh Touko sono così eccitata! Non vedo l’ora!” squittì Belle lasciandosi cadere a peso morto sul morbido letto della camera d’albergo.
Risi leggermente alle sue parole.
“Mi dispiace frenare la tua adrenalina Belle, ma l’incontro è solo domani. Spero tu riesca a dormire questa notte” risposi sistemando la mia piccola valigetta da viaggio in un angolo della camera.
L’eccitazione di Belle era dovuta ad un accadimento che aveva smorzato la mia monotona vita di laboratorio a Soffiolieve.
In quanto “Eroina” della regione ero stata invitata all’inaugurazione di una nuova cittadina che si trovava nel nella parte nord del territorio. Grecalopoli.
Unima si stava espandendo, numerosi cambiamenti stavano per entrare in gioco, ed uno di questi era la riorganizzazione delle palestre.
Grecalopoli, infatti, avrebbe costituito nel giro di qualche anno il sito di costruzione di una nuova Palestra, anche se non ero a conoscenza ancora di quale Capopalestra sarebbe stato sostituito o se il numero di medaglie da collezionare sarebbe aumentato.
Per questo motivo, una mattina avevo trovato nella casella della posta un invito scritto che mi intimava di recarmi sul posto per l’inaugurazione della città e dei suoi edifici e per fare la conoscenza del nuovo Capopalestra che portava il nome di Ciprian. Non lo conoscevo, non lo avevo mai visto ed ero di conseguenza molto curiosa di incontrarlo e conoscere il suo stile di lotta.
Nella lettera, inoltre, era indicata la possibilità di essere accompagnati da due o tre persone per promuovere l’iniziativa e, neanche a dirlo, l’invito era subito arrivato alle orecchie dei miei amici che avevano accettato di buon grado di seguirmi.
E cosi, nonostante l’inverno fosse orami alle porte, eravamo partiti alla volta di Grecalopoli decidendo di soggiornare in uno degli hotel appena fuori dalla nuova cittadina.
“Ma ti rendi conto? Domani saranno presenti tutti i Capopalestra, il Campione Nardo ed altre varie figure importantissime. E ci siamo anche noi! Hai fatto proprio bene a diventare Eroina” disse incrociando le braccai sotto la testa.
Le rivolsi un’occhiata veloce prima di scomparire dentro al bagno per cambiarmi.
“E poi sai…” iniziò maliziosa “dicono che Ciprian sia proprio carino. Chissà magari potrebbero scoccare scintille…”
“Belle!” la richiamai quasi urlando da dietro la porta “preparati invece di fantasticare, Komor è di sotto che ci aspetta”.
 
Dopo una breve cena ci dirigemmo verso Grecalopoli.
Era una cittadina che si sviluppava sul mare e, nonostante fosse sera e soprattutto inverno, il clima era comunque mite.
Era un ambiente molto suggestivo, composto da una serie di abitazioni che si sviluppavano sulla terra ferma, ma anche da piccole casette che erano costruite su solide palafitte in legno in mezzo al mare. Tutte le abitazioni erano collegate tra di loro con dei piccoli ponti, sempre in legno, che collegavano anche l’apparato alla terra ferma.
Ottimo luogo per la villeggiatura soprattutto d’estate, nel momento in cui il mare si presentava più limpido possibile e si potevano osservare da vicino piccoli Pokèmon di tipo acqua. Come “vicino di casa” nientemeno che l’oceano incontaminato.
Ambiente sicuramente poco adatto per persone non amanti dell’acqua, ma per questo motivo erano state costruite abitazioni anche sulla terraferma. Il tutto era stato completato con altri edifici come il Centro Pokèmon e il Pokèmon market. La palestra, al momento in fase di costruzione, sarebbe stata la ciliegina sulla torta per una città sicuramente invidiabile.
“Metterei la firma per poter vivere in un ambiente del genere” iniziò Belle guardando l’oceano.
Una passeggiata sui corridoi a contatto con il mare non potevamo negarcela, e avevamo pensato bene di sfruttare la serata per perlustrare la zona grazie al nostro accesso preferenziale.
“Sicuramente rilassante” rispose Komor sedendosi sul molo e lasciando cadere le gambe a penzoloni, mentre le punte dei piedi andavano quasi a sfiorare il pelo dell’acqua.
Sia io che la mia amica lo imitammo.
“Peccato che nel momento in cui si aprirà la palestra questa tranquillità sarà destinata a scemare” osservai.
“Non credo sia così. Nonostante il flusso di allenatori ci sono molte città abitate che conservano la loro calma nonostante posseggano Palestre” notò ancora Komor.
Rimanemmo in silenzio per qualche minuto, osservando il mare che veniva abbracciato dal buio della notte, mentre alcune piccole stelle si presentavano timide in cielo.
Era questo il bello della nostra amicizia.
Potevamo rimane in silenzio e senza parlare per ore, per noi contava lo stare insieme, condividere momenti di tranquillità senza dover per forza trovare impiego.
Contava l’esserci.
“Ragazzi” richiamai la loro attenzione dopo svariati minuti di silenzio “l’altro giorno stavo sistemando camera mia e-”
“Tu che fai le faccende di casa?” mi interruppe Komor “cosa sta succedendo?”
“Piantala” risposi tirandogli una leggera gomitata nel fianco “dicevo che rimettendo in ordine i vestiti mi sono accorta di aver perso la spilletta che ci eravamo regalati anni fa… quella con l’iniziale del nome e la scritta di Soffiolieve. Ricordate?”
“Certo che la ricordo” iniziò Belle “è una delle cose più preziose che ho e la tengo sempre a casa, in un cofanetto nascosto e ben protetta”
“Bene, mi spiace averla persa ed ero intenzionata a farla rifare…”
“Per perderla di nuovo?” Komor non mollava mai.
“Mi piacerebbe avere un ricordo fisico di noi. Ne abbiamo passate tante ed ero molto affezionata a quella spilla. Non saprei dove posso averla persa, nell’ultimo periodo ho viaggiato molto”.
“Tranquilla Touko, non è la fine del mondo. Useremo la nostra come esempio e la faremo identica alla precedente”.
Mi voltai verso Komor.
“Vedi? Meno male che nel gruppo c’è una persona gentile…”
Scoppiamo a ridere a seguito di quelle parole. Successivamente tornammo a guardare le stelle sopra di noi.
 
La mattina dopo eravamo pronti e carichi per la nuova giornata.
Dopo una buona colazione ci dirigemmo a Grecalopoli, che si dimostrava, nonostante l0ora mattutina, già gremita di gente.
Molti volti nuovi, constatai, erano presenti all’inaugurazione.
Uomini dall’aspetto distinto si facevano spazio tra quelli che erano i Capopalestra della regione di Unima, impegnati conversazioni più o meno serie.
“Oh buongiorno ragazzi, che piacere vedervi qui!” disse una voce familiare che arrivò alle nostre orecchie.
Mi voltai e incrociai gli occhi con quelli luminosi della Capopalestra Aloe, esperta in Pokèmon di tipo normale. Era una donna dalla carnagione scura, con folti capelli ricci e dalla pettinatura afro. Oltre che a possedere un ruolo importante a livello di palestra, era anche direttrice del museo di Zefiropoli.
Una vera chicca per la Regione e dove si raccoglievano ritrovamenti di scheletri, fossili e ritrovamenti di vari Pokèmon che venivano studiati e utilizzati per le ricerche. Ma non solo, questi ultimi erano esposti al suo personale museo ed erano di conseguenza osservabili dagli appassionati.
“Buongiorno” rispondemmo noi in coro.
“Certo che siete cresciuti molto dall’ultima volta. Mi ricordo ancora la prima volta che siete venuti in Palestra”.
“A proposito di Palestra” iniziò Komor “lei è a conoscenza di qualche sostituzione a livello di Capopalestra dopo l’apertura di quest’ultima qui, a Grecalopoli?”
“Acuto come sempre Komor… ebbene sì, qualcuno verrà sostituito. Io sarò la prima ad esserlo” rispose lei tranquilla.
Sbarrai gli occhi a quelle parole.
“Cosa? Non svolgerà più la professione di Capopalestra? Ma come è possibile?” domandai incredula.
“Non disperiamoci è giusto così. Unima è piena di talenti che vanno scoperti. Largo ai giovani. Ho svolto la questa professione per lungo tempo ed è il momento di farmi da parte. Il mio museo mi aspetta. Ho intenzione di ampliarlo, sapete? A proposito… avete già conosciuto Ciprian?” concluse guardandosi intorno.
“Intende il nuovo Capopalestra?” chiese Belle portandosi un dito vicino alle labbra, curiosa.
“Esattamente” rispose Aloè “dovrebbe trovarsi nei paraggi. Bene ragazzi, è stato un piacere, devo andare a scambiare due parole con due o tre persone già che siamo qui. Ci vediamo dopo”
Detto questo riprese il cammino in direzione opposta alla nostra, facendo ondeggiare lentamente i pantaloni color celeste che era solita portare.
“Mi spiace un sacco per il suo cambio di ruolo. Pensate che anche altri verranno sostituiti?” ma non feci in tempo a ricevere una risposta che venni interrotta dall’inizio della cerimonia.
 
“Buongiorno a tutti e benvenuti a Grecalopoli. Dove il mare calmo ti culla”.
 
CONTINUA…

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Capitolo 26
*** Ciprian ***


CAPITOLO 25
“Buongiorno a tutti e benvenuti a Grecalopoli. Dove il mare calmo ti culla”.
 
La voce proveniva da un giovane ragazzo che si era posizionato davanti alla porta, ancora sigillata, del Centro Pokèmon, mentre le persone si erano avvicinate alla sua posizione a formare un semicerchio.
“E’ un piacere presentarmi a voi con il nome di Ciprian. Sarò il nuovo Capopalestra qui, nientemeno che nella splendida Grecalopoli, cittadina ancora in costruzione ma destinata a far parlare di sé. I miei Pokèmon preferiti? Quelli di Tipo acqua.”
Un applauso si levò dalla folla e mentre i palmi delle mie mani erano impegnate a sostenere il rumore di approvazione mi presi del tempo per osservare meglio il giovane.
Doveva avere qualche anno più di me, sicuramente più di vent’anni, ma nonostante questo si presentava come un ragazzo spigliato, affabile e che ci sapeva sicuramente fare con le parole e, soprattutto, con le persone.
Se lo avessi trovato in una via affollata sicuramente lo avrei riconosciuto grazie ai suoi tratti particolari.
La carnagione olivastra era in netto contrasto con dei capelli blu scuro come il mare più profondo, mentre
occhi vivaci e sorriso smagliante e genuino spiccavano sul suo volto.
Si poteva immaginare anche la sua passione per i tranquilli Pokèmon acquatici. Portava un lungo cappotto blu con delle variazioni azzurre e ai piedi portava delle scarpe che assomigliavano a pinne, come se fosse in procinto da un momento all’altro di buttarsi in acqua per una nuotata.
“Bhe le voci erano vere” iniziò Belle parlando sottovoce “è davvero un tipo carino”.
Alzai gli occhi al cielo, esasperata, ma non potei fare a meno di sorridere. Belle non sarebbe mai cambiata.
“Sono felice di iniziare questa nuova avventura qui ad Unima, con l’obiettivo quello di non rendere la vita facile agli allenatori che percorreranno questa via” continuò poi Ciprian sorridendo goliardico.
Un altro applauso si levò.
“Molto bene” questa volta fu un’altra voce a intervenire nella presentazione.
Dalla nostra posizione nelle retrovie della folla potei notare una chioma rossa in movimento.
In pochi secondi Ciprian venne affiancato da Nardo.
Brividi si espansero lungo la schiena alla vista di quest’ultimo e ricordai subito l’ultimo dialogo avuto con lui, dove mi aveva riferito senza mezzi termini di non essere la Campionessa in carica.
Da quel momento tanti giovani avevano provato a sfidarlo, ma senza successo. Di conseguenza, Nardo manteneva ancora ad oggi ben saldo il titolo di Campione. Ah se solo avessi avuto i miei Pokèmon ora…
“Ringraziamo Ciprian per la sua buona volontà e per il suo impegno promesso” continuò a quel punto Nardo stringendo la mano del giovane che subito ricambiò la forte stretta “e permettetemi di ringraziare anche tutti voi qui presenti. Ci tengo a ringraziare tutti i Capopalestra, soprattutto quelli che termineranno il loro percorso per lasciare spazio a giovani individui come Ciprian. E ci tengo anche a ringraziare i giovani che sono venuti fino a qui. Il futuro è nelle loro mani”.
 
Dopo un breve intervento di Nardo scoprii che, nel giro di pochi anni, anche altri Capopalestra affermati avrebbero lasciato la loro posizione.
Tra questi, con mio grande stupore, furono nominati anche Spighetto, Chicco e Maisello, che lasciavano l’attività per dedicarsi completamente alla ristorazione. Mi rabbuiai a questo pensiero. Spighetto all’ultimo incontro non aveva parlato di questa novità.
Anche Silvestro, Capopalestra di Pokèmon di tipo ghiaccio, avrebbe rinunciato al titolo. A causa del suo carattere schivo e freddo, però, non si sapeva molto delle sue intenzioni.
Voci di corridoio raccontavano che voleva trasferirsi in una nuova regione, per mettere alla prova il suo sapere ed effettuare allenamenti intensivi personali.
Non si sapeva ancora il possibile candidato per rimpiazzare il suo trono vuoto.
 
“Io continuo a sostenere che tu saresti un ottimo Capopalestra, Komor. Dovresti approfittarne ora che ci saranno questi cambiamenti organizzativi” feci notare a cerimonia conclusa.
Dopo la fine della celebrazione, infatti, e dopo aver salutato varie persone di spicco conosciute nel viaggio e i diversi Capopalestra, c’eravamo diretti ancora una volta sul molo per osservare il mare aperto prima di ritornare a Soffiolieve.
“Non saprei dirti Touko. Al momento la Scuola per Allenatori mi attrae di più ma, come ti dissi tempo fa, non mettiamo limiti alla provvidenza”.
 
Nel momento in cui stavamo per tornare sulla strada di casa fummo interrotti da un forte boato che, sul momento, ci fecce sussultare.
“Ehy ragazzi… lo avete sentito?” domandò con voce tremante Belle.
“Proveniva dal Percorso 22” notò Komor.
“Andiamo a controllare?” chiesi con una luce negli occhi. Andavo sempre su di giri quando succedevano queste cose. Nuove avventure erano sempre dietro l’angolo dopotutto.
Velocemente ci dirigemmo sul posto.
 
Il Percorso 22, ad oggi, non conduceva in nessun particolare luogo. L’obiettivo in futuro era quello di riorganizzarlo per favorire un ulteriore passaggio per arrivare alla Lega.
Ma una caverna ancora inesplorata era da ostacolo agli eventuali lavori e, prima di quella, un fitto bosco di pini e altre piante ora spoglie non rendevano facile il proseguimento.
Udimmo un secondo boato dall’origine sconosciuta.
“Magari sono dei massi che si staccano dalla parete rocciosa della caverna, non sarebbe la prima volta” ipotizzò Belle una volta arrivati sul posto.
“Non credo, guardate là!” indicai alzando un braccio verso un particolare punto.
Su un promontorio che faceva capolino dal boschetto, infatti, si trovava un Pokèmon di cui non avevo mai sentito parlare e che era intento a smuovere il terreno come alla ricerca di qualcosa producendo, ogni tanto, qualche rumore che assomigliava al boato prima udito.
Purtroppo era abbastanza lontano da noi e potevo scorgerlo con fatica.
Era un Pokèmon dai colori scuri tendenti al marrone. Il corpo tozzo era sostenuto da quattro arti corti ma possenti, intenti a scavare presumibilmente nella roccia o nel terreno. Due corna lunghe e marroni partivano dalla schiena ed arrivavano fino alla parte anteriore del capo.
Non avevo mai visto un esemplare del genere.
“Ci avviciniamo? Che dite?” iniziò Komor.
“Non credo sia una buona idea. Potreste lasciarci la pelle”. Fu una voce alle nostre spalle a pronunciare queste parole.
“C-Ciprian?” balbettò Belle.
“Ciao ragazzi. Oggi alla cerimonia vi ho notato tra la folla e non ho potuto fare a meno di seguirvi. Ero troppo curioso di conoscere le vostre intenzioni, perdonatemi” disse portandosi una mano dietro al capo e sorridendo amichevole.
“Dici che quel Pokèmon è pericoloso, Ciprian?” domandò subito Komor senza perdere tempo indicando il Pokèmon che non smetteva di impegnarsi in quello che stava facendo.
“Non lo conoscete? Quello è Terrakion, Pokèmon Leggendario e membro dei Solenni Spadaccini?” rispose tornando serio il ragazzo dai capelli blu.
“Solenni Spadaccini?” domandai “Non ne ho mai sentito parlare fino ad ora”.
“Allora lasciate che ve lo racconti. Si tratta di un gruppo formato da Cobalion, Virizion e Terrakion, più un certo Pokèmon a noi ancora sconosciuto che prende il nome di Keldeo. Si racconta che quest’ultimo sia stato preso sotto la protezione dei tre leggendari quando era cucciolo e che sia stato allevato proprio da loro, ma non si sa nulla di più sulla sua origine. Inoltre, si racconta che in passato i tre Leggendari abbiano combattuto per difendere i loro amici Pokèmon dagli attacchi dell’uomo stesso. Per questo bisogna stare attenti alla sua presenza, non è di buon auspicio e probabilmente è qui per difendere ancora una volta i Pokèmon che vengono minacciati dagli umani” concluse.
“Ma minacciati da chi? Se ti riferisci al Team Plasma è stato ormai sconfitto e debellato” iniziò Komor. Il tono della voce leggermente più alto. Si stava innervosendo.
“Oh certo che ne sono a conoscenza, conosco tutta la storia. Anche la tua Touko” rispose guardandomi fissa negli occhi.
Non proferii parola a quel punto, mi limitai a ricambiare lo sguardo.
“Ma quindi…” iniziò Belle “… credi che Terrakion sia come una sorta di avvertimento? Il Team Plasma tornerà?”
“Non voglio pensarci” rispose Ciprian assumendo un’aria pensierosa “ma se sarà così saremo pronti”.
 
I rumori in lontananza si affievolirono sempre di più. Terrakion si era allontanato.
 
CONTINUA…

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Capitolo 27
*** Tra Leggenda e realtà ***


CAPITOLO 26
“Ricordati che dopo devi accompagnarmi per delle commissioni Touko!” mi rammentò mia madre dalla cucina.
“Si mamma, me lo ricordo” risposi d’altro canto mentre salivo le scale.
Una volta entrata in camera mia mi chiusi la porta alle spalle.
Il tepore della camera mi avvolse in un attimo.
Guardai fuori dalla finestra mentre mi dirigevo verso la scrivania. Ormai era inverno inoltrato e una coltre bianca ricopriva la cittadina, gli alberi avevano perso le loro foglie e i loro colori autunnali per far spazio alla stagione più fredda dell’anno.
Aprii il computer mentre mi sistemavo meglio sulla sedia.
Dopo l’incontro con Terrakion, la storia raccontata da Ciprian aveva attirato la mia attenzione, ma da quel momento non avevo avuto la possibilità di informarmi maggiormente.
Avrei quindi approfittato di un momento di tranquillità per delle ricerche sull’argomento.
“Allora vediamo…” dissi distrattamente aprendo la pagina internet “ecco”.
Iniziai velocemente a leggere quello che il sito riportava.
 
I Solenni Spadaccini, conosciuti anche con il nome di Tre Moschettieri, sono un gruppo di tre Pokèmon leggendari e uno misterioso: Cobalion, Virizion, Terrakion e Keldeo.
I primi tre hanno combattuto contro gli uomini per difendere i loro compagni Pokèmon.
La leggenda narra che Keldeo, a seguito di un incendio che distrusse la sua casa, perse di vista i suoi genitori quando era ancora piccolo, e fu in quel momento che i tre leggendari lo trovarono e lo presero sotto la loro ala protettiva.
Lo allevarono insegnandoli a sopravvivere e a combattere e quest’ultimo crebbe forte e veloce fino a diventare più potente dei suoi maestri.
Un giorno, però, sparì nel bosco senza alcun apparente motivo.
 
“Quante leggende intorno ad una singola regione che magari neanche conosciamo…”
Mi soffermai ad osservare le diverse figure rappresentanti i diversi leggendari.
Terrakion era proprio come lo avevo visto, dall’aspetto tozzo e scuro.
Cobalion, che si diceva essere il leader del gruppo, era rappresentato come una quadrupede dal corpo color acquamarina con due corna lunghe dal color ocra.
Virizion aveva invece l’aspetto più elegante e raffinato del gruppo. Dai colori verde e rosa portava anche lui in testa delle corna leggermente modificate.
Era proprio questo forse il motivo per cui venivano indicati come spadaccini?
Ma l’aspetto più particolare lo possedeva Keldeo.
Si presentava come un piccolo cavallino dal manto color avorio, con coda azzurra e criniera rosso fuoco e blu. Al centro della testa anche lui portava un piccolo corno.
“Sicuramente Pokèmon particolari… ma l’apparizione di Terrakion non ispira nulla di buono, anzi. Speriamo che il Team Plasma non si voglia rimettere al lavoro”.
Mi lascia cadere sullo schienale della sedia, portando una mano sotto al mento.
“Se così fosse, con molta probabilità N sarebbe nuovamente coinvolto in qualche guaio” continuai ragionando a voce alta.
“Te-piiii”
I miei pensieri vennero interrotti da un verso diventato oramai familiare.
Voltai gli occhi in direzione della porta nel momento in cui quest’ultima si aprì, spinta da un piccolo Tepig.
Avevo infatti deciso di chiedere alla Professoressa Aralia l’affido di un altro Pokèmon, e così, nell’imbarazzo più totale insieme a giovanissimi in procinto di iniziare il viaggio, avevo scelto nuovamente un nuovo starter.
E la scelta era caduta su Tepig, un piccolo Pokèmon di tipo Fuoco e tenero oltre ogni limite, che era riuscito a riportare nuovamente un po’ di buonumore nella mia vita.
Non mi sentivo obbligata a partire per un nuovo viaggio con quest’ultimo amico, ma anzi, avevo imparato a condividere con lui piccoli momenti di vita quotidiana, cosa che non ero riuscita a fare al cento per cento con la mia squadra precedente.
Ma nulla mi avrebbe impedito di partire per una nuova avventura, magari in una nuova regione, con il tipo fuoco se solo lo avessi voluto. Non ero obbligata a farlo, ma in tutto questo tempo avevo capito che la scelta dipendeva solo da me.
“Ehy Tepig” lo richiamai mentre mi allontanavo dalla scrivania con la sedia per permettergli di salire sulle mie gambe “vieni!”.
Con un gesto agile quest’ultimo mi raggiunse e subito mi preoccupai di grattargli sotto il mento.
Sapevo che a lui piaceva e infatti, come risposta, allungò il collo e socchiuse gli occhi, rilassandosi.
“Stasera come minimo dovrai aiutarmi ad accendere il camino, la temperatura sta scendendo e non accenna a migliorare” continuai guardando di nuovo fuori dalla finestra.
“Tepii teee” rispose lui con un verso di approvazione.
 
“Raaaar”
Sbarrai gli occhi a quel suono.
Avvolta nel buio della mia camera mi tirai velocemente in piedi.
Diedi una rapida occhiata all’orologio digitale sul comodino. Le 2 e 30 di notte.
Mi avvicinai alla finestra e guardai fuori. Le vedevo questa volta, vedevo le impronte di quello che, sicuramente, doveva essere nientemeno che Zoroark. Era tornato.
Avevo imparato a riconoscere il suo verso, e non avrei mai potuto scambiarlo con qualche altro Pokèmon.
Afferrai il cappotto e mi catapultai in salotto, pronta per uscire e nella speranza di ritrovare il Pokèmon Mutevolpe.
“Teeepi?”
Mentre ero intenta ad armeggiare con le chiavi di casa venni interrotta dal piccolo tipo Fuoco che si era avvicinato a me, ancora assonnato.
“Tepig. Rimani qui. Non seguirmi, torno subito” dissi veloce uscendo e richiudendomi la porta alle spalle.
 
Corsi fuori da Soffiolieve seguendo le orme nella neve soffice. Per fortuna aveva smesso di nevicare.
Brividi scuotevano il mio corpo, ma non erano brividi di freddo ma di agitazione.
Zoroark sa dove si trova il Principe”
Ogni volta che sentivo anche solo nominare Zoroark questa frase pronunciata da Ross mi tornava in mente come un fulmine a ciel sereno.
Avevo accettato la mia nuova vita, con difficoltà sicuramente, ma il solo pensiero di N mi faceva sempre tremare il cuore e stringere lo stomaco.
Maledetto ragazzo dai capelli verdi.
Maledetti i suoi occhi, i suoi piani di conquista, suo padre sconsiderato.
Maledetta la sua storia che mi aveva coinvolto all’inverosimile.
 
Mi fermai in una radura poco lontana dalla cittadina, poco illuminata in quanto i lampioni urbani si trovavano ormai distanti.
Con il respiro pesante e il cuore a mille continuai a seguire le impronte dinnanzi a me.
Alla fine lo raggiunsi. Zoroark era girato di spalle rispetto a me. Lo sguardo perso chissà dove rivolto alla luna che illuminava pigramente il cielo parzialmente coperto da nuvole.
“Zoroark!” lo richiamai a gran voce.
A quel punto si voltò verso di me.
“Perché sei scappato tempo fa? Mi piaceva la tua compagnia… e mi sembrava che pure tu non disdegnassi la mia… ma allora perché?” continuai sapendo che comunque non avrei ottenuto risposta.
“Raaaar” fece lui d’altro canto, incamminandosi per raggiungermi, ma muovendosi con lentezza a causa della neve a terra.
Stava per raggiungermi quando d’improvviso successe quello che non doveva succedere.
“Teeeepiii”
Velocemente e con il respiro ansante Tepig si contrappose tra me e il Pokèmon scuro, con il tentativo di proteggermi. Con molta probabilità aveva ipotizzato il tentativo di Zoroark di avvicinarsi come una minaccia nei miei confronti. Mi aveva seguito nonostante i miei ordini e non aveva esitato a mettersi in mezzo.
“No Tepig! Zoroark non vuole fare del male!”.
Ma ormai era troppo tardi. Dopo tutto questo tempo lontano dal Pokèmon Mutevolpe non avevo più nessun controllo su di lui e non feci in tempo a calmarlo o solo a dirgli qualcosa.
Dopo aver emesso un flebile ringhio assottigliò gli occhi e si diresse veloce verso il Tepig.
Quest’ultimo venne irrimediabilmente sbattuto contro il tronco di un albero a seguito di un colpo di Zoroark. Tepig, a causa dell’evidente differenza di livello non riuscì a difendersi e svenne, abbattuto con un sol colpo.
Mi bloccai sul posto, mentre vedevo l’ombra di Zoroark sparire tra i fitti rami spogli.
 
CONTINUA…

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Capitolo 28
*** Tepig ***


CAPITOLO 27
Corsi verso Tepig, urlando il suo nome invano, e mentre mi avvicinavo potevo notale le sue condizioni sicuramente non buone.
Un colpo solo lo aveva atterrato, e non c’era da stupirsi data l’enorme differenza di livello tra i due Pokèmon. Non ero riuscita a calmare Zoroark in tempo, ma non avevo neanche avuto il tempo di fermare il giovane Tepig.
Non diedi troppo peso al comportamento del Pokèmon Mutevolpe sul momento, si era nuovamente allontanato e chissà se sarebbe tornato una seconda volta. Mi domandavo solo il motivo del suo ritorno.
Presi in braccio Tepig che, infreddolito per il contatto con la neve, tremava e respirava a fatica a causa della botta presa contro il forte tronco della pianta.
A livello dell’addome portava un graffio abbastanza profondo causato delle unghie affilate di Zoroark.
Senza pensarci due volte corsi verso casa.
Il laboratorio della Professoressa Aralia non era aperto e operativoàà\àòml al momento a causa della tarda ora, e l’unica chance che avevo erano le cure a casa.
Avevo imparato qualcosa seguendo Belle nel suo lavoro e avrei applicato tutte le mie conoscenze per salvare Tepig.
 
Mentre correvo verso casa affondando gli stivaletti nella neve soffice e illuminata dalla luna alta alcuni ricordi si fecero largo lungo la mia mente.
Il primo incontro con N, la prima lotta, il risveglio di Reshiram, gli incontri con svariati personaggi…
Tutti questi accadimenti mi avevano portato fino a qui. Ma se tutto questo non fosse successo?
Chi sarei stata ora e cosa ne sarebbe stato della mia vita?
 
Ansante arrivai davanti a casa mia e dopo essere entrata e aver riattizzato il camino poggia Tepig dinnanzi a questo, su un morbido cuscino.
Fatto questo, salii in bagno per recuperare le garze ed eventuali disinfettanti per la medicazione, stando attenta a non svegliare mia madre.
Una volta recuperato il tutto mi apprestai a cominciare il lavoro.
“Teee” emise un flebile verso il Pokèmon quando poggiai la garza umida di liquido disinfettante sulla ferita, mentre strizzava gli occhi e il suo corpo si irrigidiva. Sicuramente bruciava il contatto.
“Scusami Tepig ma devi resistere, farò del mio meglio e vedrai che tutto si risolverà” cercai di rassicurarlo mentre mi preoccupavo di passare la garza lungo tutta la lunghezza della ferita, che per fortuna aveva smesso di sanguinare. Forse ero stata fortunata e non servivano punti e avevo sbagliato la mia valutazione iniziale.
Dopo aver pulito per bene la ferita e disinfettata nuovamente mi preoccupai di avvolgere l’addome con delle bende.
“Dovremo trovare una scusa per spiegare tutto questo alla mamma domani…” ragionai a voce alta mentre facevo passare le garze al di sotto della pancia del Pokèmon.
A lavoro terminato ammirai la mia opera.
Tepig aveva smesso di tremare per fortuna, il bendaggio era venuto discretamente e non avevo combinato danni. Potevo ritenermi soddisfatta di questo mio primo soccorso.
Il giorno dopo lo avrei portato da Belle per valutazioni ulteriori e per un bendaggio più professionale.
 
A quel punto Tepig si lasciò andare, rilassandosi e poggiando la testa sul cuscino morbido.
Dopo aver ancora una volta lavorato un po’ la legna del camino per aumentare il fuoco mi sedetti di fianco a lui incrociando le gambe.
Iniziai ad accarezzarlo con molta delicatezza.
“Perché mi hai seguito nonostante ti avevo chiesto di non farlo? Sarebbe potuta finire molto peggio di così.
Zoroark non è cattivo, è solo un po’ particolare e non voleva farmi del male. Devi avere interpretato male le sue intenzioni ma non ti biasimo per questo.
È stata una situazione strana e improvvisa, ma nonostante il divario di potenza tra i due non hai esitato a metterti in mezzo per proteggermi, e per questo te ne sarò sempre grata”.
Sussurrai a bassa voce mentre Tepig era in procinto di addormentarsi, coccolato dalle mie carezze leggere lasciate prima sul muso, poi sotto il collo, e poi giù fino alle corte zampette scure.
Sbadigliai pigramente dopo svariati minuti e a quel punto lanciai un’occhiata all’orologio della sala.
Le 4 e 30 del mattino.
Realizzai come l’adrenalina che fino a quel momento mi aveva tenuto sveglia e reattiva stesse scemando per fare spazio al sonno, complice anche il caldo tepore emanato dalla legna che bruciava dietro la mia schiena rendendo l’ambiente piacevolmente caldo e accogliente.
Decisi dunque che non mi sarei negata almeno altre tre ore di sonno e, dopo aver cautamente preso in braccio Tepig, mi accoccolai con lui sul divano, coprendomi con una coperta.
Solo dopo che il Pokèmon si fu sistemato meglio contro il mio corpo in una posizione a lui congeniale, mi lasciai andare tra le braccia di Morfeo dopo un profondo respiro.
 
“Allora Tepig, vediamo un po’ la situazione” cominciò Belle sistemandosi meglio gli occhiali.
La mattina dopo mi ero recata subito al laboratorio. Non avrei permesso a Tepig di soffrire ulteriormente e quindi chiesi subito aiuto alla mia migliore amica.
“Bhe insomma, direi che come primo bendaggio della tua vita sia accettabile Touko” mi sorrise una volta controllata la situazione dell’addome “diciamo che poteva venire meglio ma poteva venire anche molto peggio” ironizzò poi alzando lo sguardo per incontrare il mio.
“Hai pulito la ferita da eventuali corpi estranei?” chiese poi con sguardo saccente e un indice alzato.
“Si” risposi convinta.
“Con la garza?” chiese nuovamente.
“No con la lingua… certo che ho usato la garza”
“Disinfettata?” chiese ancora lei ignorando il mio sarcasmo.
“Si”
“Bendaggio pulito e sterile?”
“Si” risposi monotona iniziando a spazientirmi.
“Hai fatto attenzione a non tirare il pelo al Pokèmon mentre avvolgevi il bendaggio intorno ad esso?”
“Sii Belle” risposi alzando gli occhi al cielo esasperata dalla raffica di domande “ho fatto tutto quello che ho imparato da te”.
“Molto bene” concluse lei a seguito di una risatina leggera “allora diciamo che hai lavorato bene. Tepig si riprenderà in fretta”.
“Teeee piii” esclamò il Pokèmon sputando fuoco dalle narici, felice. Sicuramente il suo temperamento gli avrebbe permesso una ripresa rapida.
Emisi un sospiro di sollievo.
“Ora mi devi dire come si è procurato la ferita” chiese poi appoggiando entrambe le mani sul tavolo di metallo e sporgendosi lievemente verso di me, guardandomi dritto negli occhi.
“Te lo ho già detto, si è mosso al buio la notte scorsa ed ha urtato contro un mobile e una lampada appuntita che vi era sopra gli è caduta addosso” risposi enunciando la tesi, poco credibile lo ammetto, che le avevo rifilato anche al mio arrivo in laboratorio.
Non mi andava di raccontarle di Zoroark. Quel pokèmon aveva legami con N e, dopo tutto il tempo trascorso, avevo deciso che mi sarei lasciata tutta la questione amorosa alle spalle e non ci avrei più pensato. Facile da dirsi, impossibile da realizzare dato le circostanze.
“Non mentirmi, queste sono ferite da taglio… e poi so benissimo che in casa tua non c’è nessun mobile con sopra una lampada, per di più appuntita…”
“Magari mia mamma ha apportato modifiche recentemente a casa e non te ne sei accorta” esordii.
Ma la scusa usata era poco convincente, lo capivo pure io. Di conseguenza decisi che non avevo scelta.
“E va bene” iniziai dopo un ulteriore sospiro “è tornato Zoroark ieri notte. Ho riconosciuto il suo verso e sono uscita di casa per raggiungerlo. Una volta trovato stavo per avere dei contatti con lui ma Tepig si è intromesso pensando che Zoroark volesse farmi del male. E così Zoroark si è avventato su Tepig e gli ha inferto il danno da taglio di cui tu parli. Ed eccoci qui” raccontai tutto d’un fiato e con una grammatica non tanto corretta.
La mia amica non rispose, anzi continuava a guardarmi seria.
“Belle?” richiamai la sua attenzione dopo una manciata di secondi senza risposta o reazione.
“è tornato Zoroark…” sussurrò con flebile voce, non cambiando il suo atteggiamento che rimaneva serio.
“Belle, ti sei fermata solo a quel dettaglio? Hai capito cosa ti ho detto?”
“è tornato Zoroark…” ripeté lei a quel punto con un tono di voce leggermente più alto.
“Mi fa piacere Belle che tu abbia compreso questo punto ma possiamo andare avanti?”
“AAAAAH” si mise a quel punto a gridare Belle euforica iniziando a saltellare sul posto. Velocemente e continuando a emettere strani versetti che non avrei saputo identificare fece il giro del tavolo e mi abbracciò.
Non capivo il suo entusiasmo e, ancora interdetta a causa del suo atteggiamento, mi limitai a poggiarle una mano sulla schiena, impietrita.
“Sai cosa vuol dire questo?” chiese una volta che si fu staccata dall’abbraccio e dopo avermi messo le mani sulle spalle mentre il suo sguardo, ancora fisso nei miei occhi, aveva incominciato a brillare.
“CHE N STA TORNANDO!”
 
CONTINUA…

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Capitolo 29
*** Ritrovamenti ***


CAPITOLO 28
Guardai la mia amica con aria interrogativa.
Come poteva il ritorno di Zoroark coincidere con quello di N?
Non era la prima volta che il Pokèmon Mutevolpe si mostrava ai miei occhi dopo la battaglia finale, e di N non vi era stata comunque traccia.
Spesso avevo ripensato alla Fossa Gigante dove mi ero immaginata N che era intervenuto in mio soccorso.
Ma Komor mi aveva convinto, tempo addietro, che l’ipotetica visione del ragazzo a cui ero interessata alla Fossa Gigante era stata solo un’illusione, dovuta probabilmente al potente attacco di Kyurem che mi aveva colpito e avevo di conseguenza avuto le allucinazioni prima di svenire.
Ipotesi che avevo alla fine della storia accettato in quanto, come già detto, di N neanche l’ombra.
Mi rimaneva comunque il dubbio di come fossi riuscita ad arrivare all’entrata della Fossa indenne…
Comunque non riuscivo a capire il ragionamento di Belle.
 
“Quindi in base a che cosa affermi questo, Belle?” chiesi allora.
“Non c’è una base, in realtà, ma questa volta me lo sento, me lo sento davvero tanto…” rispose convinta delle sue parole.
Mi lasciai andare in quel momento, sospirando piano. Ero davvero arrivata a questo punto?
Non c’erano più certezze nella mia vita e mi sarei dovuta basare su delle sensazioni?
Sensazioni che per altro non mi appartenevano.
Allungai una mano e la poggiai sulla spalla di Belle. Al contrario di Komor, che voleva a tutti costi farmi dimenticare la figura del Principe del Team Plasma, a suo dire, per salvaguardare la mia salute mentale, Belle non aveva mai smesso di farmi da spalla.
Aveva sempre cercato di vedere la parte buona e positiva dei diversi accadimenti successi da un anno a questa parte, spronandomi di conseguenza a non fermarmi mai e a seguire sempre i miei obiettivi.
Fosse stato per lei non avrei dovuto smettere di cercare N e, fosse stato necessario, a suo dire sarei dovuta partire anche per un’altra Regione per cercarlo per fargli sapere quello che provavo per lui e che provavo costantemente a nascondere.
Non vedeva N come un malvagio, anzi, il solo fatto che si fosse allontanato per lei significava il voler chiudere i conti con il passato, non voler più far parte del Team Plasma e non essere più coinvolto nelle sue malefatte. Essendo una persona estremamente romantica non aveva mai smesso di immaginare una love story tra me e il ragazzo dai capelli verdi.
Gioiva al solo pensiero facendomi notare come sarebbe stata la fine perfetta per i due Eroi di Unima, il Nero e il Bianco che si andavano ad unire nuovamente nonostante il passare del tempo e delle avversità.
Come biasimarla… nella sua testa filava sempre tutto liscio.
“Meno male che ci sei tu Belle” conclusi sorridendo.
 
Uscii dal laboratorio dopo aver scambiato ancora due chiacchere con Belle.
Quel giorno non erano previste particolari visite o valutazioni e di conseguenza la mia presenza al laboratorio non era richiesta.
Approfittai della bella giornata per godermi l’atmosfera. Nonostante fosse inverno inoltrato e la neve coprisse tutto il suolo creando una soffice coperta candida alla terra, alcuni timidi raggi di sole scaldavano l’ambiente, rendendo il clima sopportabile.
Mi incamminai lungo il Percorso, con al mio fianco Tepig che camminava goffamente.
La neve era alta e le sue zampette non proprio lunghe gli permettevano a malapena di svolgere passi in modo agevole.
Una strana sensazione, però, mi attanagliava lo stomaco.
Sentivo come una presenza che mi stava osservando nascosta ma, anche ricercando con lo sguardo, non riuscivo a scorgere nessun individuo. Pensai a quel punto fossero solo mie sensazioni o semplicemente il tutto era dovuto al fatto che la notte prima avevo dormito poco e, di conseguenza, mi sentivo un po’ intontita.
Cercando di lasciare perdere questi pensieri presi in braccio l’arrancante Tepig e mi diressi verso una radura illuminata dai raggi solari e dove la neve era di conseguenza sciolta.
 
Una volta sul posto lasciai andare Tepig che, curioso, si mise subito ad esplorare l’ambiente.
Con il muso chino e il naso a terra, esplorava qualsiasi oggetto vivente e non che si trovava nella radura.
Tepig era infatti solito vivere in casa e le uniche persone che era solito osservare eravamo io e mia madre, non mi sorprendeva il suo atteggiamento curioso.
Spesso mi preoccupavo quindi di portarlo in luoghi sicuri ma dove potesse essere libero di esplorare e conoscere il mondo. Non essendo particolarmente dedito alle lotte mi sembrava il modo più corretto per permettergli di crescere cercando di non incappare in disavventure come quella successa la notte prima.
Probabilmente, in quel caso, se fosse stato un esperto lottatore si sarebbe potuto difendere dall’unico attacco subito. Ma le cose erano andate diversamente ma non mi preoccupava il fatto di avere un Pokèmon non allenato al mio fianco.
Dopotutto, Tepig era ancora cucciolo e, magari in un prossimo futuro, avrei avuto la possibilità di allenarlo come si meritava e di farlo diventare un vero fuoriclasse.
 
Mentre ero immersa in questi pensieri notai che proprio l’attenzione di Tepig era stata catturata da un essere bianco e rosso che non si trovava completamente in mezzo alla neve e, di conseguenza, risultava molto visibile.
Mi avvicinai a quel punto e notai come l’essere appena scovato da Tepig non fosse altro che un Foongus, piccolo Pòkemon di tipo Erba e Veleno che assomigliava nientemeno che ad un fungo.
La sua peculiarità era che sul grosso cappello portava un disegno molto simile ad una Pokè ball. Anche i colori erano identici e di conseguenza la sua presenza era facile da notare tra il sottile strato di neve soffice della radura.
Subito Tepig, non conoscendo l’individuo che si trovava dinnanzi, andò ad esplorarlo con la punta del naso.
Foongos non sembrò gradire questo contatto avventato e, come risposta, cercò di difendersi con una leggerissima scia di spore fatte dipartire dalla sua stessa bocca.
L’attacco era pressoché irrisorio ma le spore arrivarono al muso di Tepig e, una volta entrate in contatto con il suo pelo, esplosero con un rumore sordo rilasciando una specie di gas urticante. 
Con tutta probabilità Foongus non voleva inficiare la salute di Tepig, voleva solo fargli capire che aveva invaso il suo spazio. Come biasimarlo.
Come già detto, l’attacco fu irrisorio e l’unica conseguenza che subì Tepig fu data da una serie di starnuti a causa dell’effetto infastidente delle spore.
Mi lasciai andare ad una risatina leggera. Veder “lottare” due Pokèmon senza nessuna esperienza poteva risultare quasi comico e buffo.
Successivamente fu Foongus ad allontanarsi per primo, scomparendo tra gli alberi spessi che delimitavano la foresta.
Tepig riprese la sua esplorazione sempre a naso basso, come se nulla fosse successo.
“Tepi teeee” esclamò dopo qualche minuto.
Notai in quel momento che stava puntando nuovamente un secondo Foongus della radura che, per cercare di nascondersi, rimaneva basso tra la neve esponendo solo il cappello a forma di Pokè ball.
“Attento o starnutirai di nuovo…” lo ripesi bonariamente.
Ma fu solo quando mi avvicinai a Tepig che potei notare i colori rosso e bianco più accentuati e la forma più rotonda. Realizzai come quello di cui Tepig aveva paura non era un Foongus, bensì una Pòke ball vera e propria!
 
Con cautela la raccolsi, sotto lo sguardo di Tepig, e me la rigirai tra le mani.
Come poteva una Pokè ball trovarsi in un luogo come questo? Probabilmente qualcuno l’aveva persa lungo il suo viaggio, non c’era altra spiegazione.
Senza pensarci due volte e spinta dalla curiosità di sapere quale Pokèmon si celasse al suo interno andai a premere il pulsante al centro del marchingegno, che si aprì davanti ai miei occhi, seguito dalla solita scia dal color azzurro.
Non potevo crederci.
Dopo che la scia azzurra si fu dissolta, davanti ai miei occhi apparve un Pokèmon dalle dimensioni ragguardevoli, bianco come la neve che si trovava al di sotto delle sue possenti zampe.
Dopo che il lungo collo dalle piume bianche e soffici si fu raddrizzato, un acuto verso si levò dalle fauci del Pokèmon, mentre gli occhi zaffirini si aprivano.
“Reshiram…” riuscii solo a pronunciare in quel momento, sconvolta dal ritrovamento mentre mille domande vorticavano senza sosta nella mia mente. Sbarrai gli occhi e lasciai andare le braccia lungo i fianchi, come in trance.
Tepig si nascose a quel punto dietro le mie gambe, impaurito dalla presenza del leggendario dinnanzi a sé.
Reshiram , dopo il suo grido di battaglia, puntò i suoi occhi cristallini nei miei e un brivido mi corse lungo la schiena a quel contatto.
La connessione che era esistita tra di noi non era svanita nonostante il tempo, e questo sguardo intenso ne era la prova.
 
Ti ho riportato il tuo Leggendario…Touko”.

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Capitolo 30
*** Verità ***


CAPITOLO 29
Ti ho riportato il tuo Leggendario…Touko”.
 
Sbarrai gli occhi.
Conoscevo perfettamente il proprietario di quella voce, l’avrei riconosciuta tra mille.
“N…” riuscii solo a sibilare.
A quelle parole Reshiram emise nuovamente il suo grido di battaglia, spalancando le ali e producendo un’onda d’urto che costrinse il piccolo Tepig a ripararsi maggiormente dietro le mie gambe.
Chiusi gli occhi nel momento in cui un forte vento mi colpì mentre i capelli, quel giorno non raccolti nella solita coda, iniziarono a muoversi senza controllo. Con una mano andai a tener salda sul capo la cuffia bordeaux che portavo, in modo da non perderla.
Mi voltai lentamente, tremando.
E lo vidi, in carne ed ossa, lì dinnanzi a me. E questa volta era vero, non come il sogno avuto alla Fossa Gigante.
I morbidi capelli verdi ondeggiavano leggeri a causa dell’urlo di Reshiram, sempre portati lunghi e in disordine lungo la schiena. Il cappello da viaggio nero a fronte grigio portato in testa nonostante fosse un capo prettamente estivo.
Al di sotto di questo il viso pallido e candido come quello di un bambino, con i due occhi grandi e grigi ora fissi verso di me.
Le mani portate nella tasca della pesante felpa grigia, probabilmente per proteggerle dal freddo.
Tantissime domande vorticavano nella mia mente.
Avevo sognato quasi tutti i giorni un nostro possibile incontro e mi ero preparata mille possibili discorsi o inizi di conversazione. Realizzai in quel momento come tutte le preparazioni fossero state inutili, neanche a dirlo.
“N…” riuscii solo a sibilare nuovamente.
“Ciao Touko” iniziò poi facendo un passo avanti, affondando le scarpe da ginnastica verdi nella neve soffice, mentre la Spugna di Menger portata come ornamento attaccata alla cintura si muoveva pigramente.
“Ma che…” cercai di cominciare io “tu… dove…” inutili i miei tentativi di iniziare un discorso di senso compiuto. Il cuore batteva all’impazzata dentro il petto mentre lui continuava a fissarmi con quei suoi maledetti occhi che mi mandavano fuori di testa. Un sorriso non troppo sereno solcava il suo volto.
Probabilmente neanche lui era a suo agio al massimo in questa circostanza.
“N io non… non me lo aspettavo” riuscii finalmente a mettere insieme due parole per poi voltarmi verso Reshiram, che rimaneva ancora fermo nella sua posizione.
Lui sorrise leggermente a quelle parole.
“Tranquilla, capisco il tuo stupore. E capisco anche che la situazione è quasi surreale al dire il vero”.
Inspirai profondamente, cercando di calmarmi. Andai a stringermi un braccio nel mentre, per ulteriore conferma del fatto che non fosse tutto un sogno. Un leggero dolore dipartì da esso e, di conseguenza, cercai di tranquillizzarmi per sostenere un discorso serio e sensato con l’individuo che mi trovavo davanti.
“Dove sei stato tutto questo tempo?” cominciai con voce flebile, abbassando il capo leggermente.
Ero a disagio, sapendo che avrebbe potuto rispondermi con un onestissimo “fatti i fatti tuoi”. Ma per mia fortuna, N non era quel tipo di ragazzo.
“Un po’ di qua… un po' di là” rispose facendo spallucce ma sempre senza smettere di sorridere “diciamo che la sconfitta alla Lega ha un po' bruciato. Non mi aspettavo di perdere a dire la verità, ma la tua volontà ha prevalso sulla mia e i piani del mio Team sono andati tutti a rotoli”.
Il mio Team.
A quelle parole di mi irrigidii. Non aveva chiuso i rapporti con il Team Plasma quindi? Lo considerava ancora un qualcosa di sua proprietà? Non aveva capito chi erano davvero Gechis e tutti i membri che lo componevano?
Realizzai che Bellocchio tempo addietro mi aveva chiesto di avvertirlo in caso di ipotetica visione di N, per punirlo nella maniera corretta, ma decisi di lasciare perdere questo punto, tornando a concentrami sulle parole di N.
“Ho viaggiato in luoghi che non avevo mai visto, ho conosciuto persone diverse, con ideologie differenti ma che mi hanno fatto capire tante cose”.
Alzai gli occhi.
“Ho capito sai Touko? Ho capito che ero nel torto. Non solo io, tutto il Team. I Pokèmon non sono oggetti addomesticati per la lotta, se trattati con rispetto. Grazie all’incontro con gente nuova ho potuto comprenderlo anche se, a dire la verità, tu eri l’esempio più lampante che avevo dinnanzi agli occhi. Ma non me ne sono reso conto sul momento”
“N…” lo richiamai con un filo di voce, in un certo senso lusingata da quelle sue parole nei miei confronti.
“Avrei dovuto comprenderlo. Già dal primo incontro a Quattroventi… il tuo piccolo Oshawatt sembrava così legato a te nonostante il tuo viaggio fosse appena cominciato. E io potevo sentirlo… potevo sentirla molto bene la sua voce e il rispetto che ti portava. E andando avanti nel percorso mi sarebbe dovuto essere sempre più chiaro ma, accecato dagli ideali di mio padre, ho perso il lume della ragione e la retta via. Tuttavia, sono contento del risveglio di Zekrom, è stato ed è tuttora il mio fedele compagno, la mia luce nei momenti bui. E sono contento che d’altra parte che sia stata su l’altra Eroina. Non potevo desiderare compagna migliore…”
Avvampai alle ultime parole.
Se fosse stato possibile averi sciolto la neve intorno a me a causa del calore che stavo emanando.
“N…” incominciai nuovamente “devo ammettere che la tua presenza durante lungo tutto il viaggio è stato un bello stimolo. Se non ti avessi incontrato non sarei diventata quello che sono oggi e probabilmente sarei diventata un’allenatrice come tante altre”.
“Uno stimolo?” ripeté lui.
“Certo” risposi sorridendogli “mi hai sempre spronata a continuare il mio viaggio in fondo, pur non avendo un contatto diretto con me. Mi hai sempre posto un obiettivo. Raggiugere la città vicina, battere la Lega, risvegliare Reshiram … ammetto che le mie intenzioni all’inizio del viaggio erano ambiziose ma non avrei mai immaginato di diventare Eroina di Unima. Da un lato questo lo devo anche a te. E poi…”.
Forza Touko, ora o mai più.
“E poi mi faceva piacere la tua presenza”.
Silenzio.
Bene, avevo letteralmente buttato via una possibilità di ulteriore conversazione con la mia ultima uscita.
Vedevo N con lo sguardo fisso su di me, in volto un’espressione indecifrabile.
“Anche tu mi piaci. Touko”.
Cosa? Avevo sentito bene? Il cuore batteva sempre più forte. Le orecchie pulsavano e le sentivo bollenti.
Chissà cosa stava pensando di me N in quel momento, probabilmente a causa dell’imbarazzo il volto aveva variato colore una manciata di volte.
“Mi piace il tuo modo di fare, il tuo atteggiamento, la tua grinta e determinazione. Il tuo carattere. Tutto.
A quel punto si mosse verso di me, per cercare di raggiungermi e cercare di diminuire la distanza tra di noi.
“Ed è per questo che, al contrario di quello che tu possa pensare, non ti ho mai abbandonata”.
Corrugai gli occhi a quelle parole e lui, notando la mia perplessità, continuò dopo una risatina leggera.
Dio, quanto mi faceva impazzire. Non avessi avuto l’autocontrollo che mi caratterizzava gli sarei saltata al collo in un baleno. Ma, come già detto, certe volte mi controllavo anche troppo.
“Non te ne sei accorta? Zoroark” rispose semplicemente.
“Zoroark?” ripetei.
“Esatto. Non hai fatto caso che si è manifestato dopo la perdita dei tuoi Pokèmon alla Fossa Gigante?”
Non stavo capendo.
“Allora eri tu…”
“Si, ero io alla Fossa. E ringrazia il cielo che fossi lì altrimenti non so se ora staremmo dialogando così amorevolmente”.
Sorvolai sull’ultimo aggettivo da lui usato. Troppe cose non mi tornavano. I pezzi del puzzle erano tanti e avevo la necessità di incastrarli tutti uno per uno.
“E spiegami” lo incentivai incrociando le braccia al petto “cosa facevi tu alla Fossa?”
“Diciamo che dopo essermi allontanato dalla Lega mi sono chiesto più volte se Zekrom fosse… o meglio, se io fossi in grado di avere al mio fianco un Pokèmon di tale calibro. Conosco le leggende di Unima e conoscevo anche la figura di Kyurem e di come quest’ultimo potesse fondersi con uno dei due leggendari da noi risvegliati. Di conseguenza mi sono recato alla Fossa e ho posto a Zekrom una scelta…”
“Non mi sembravano così in buoni rapporti i due draghi da quello che ho potuto notare però” risposi ironica lasciando cadere il discorso del Cuneo DNA di cui Aristide mi aveva parlato. Senza quell’oggetto era pressoché impossibile l’unione dei due draghi.
“Infatti. Kyurem è un Pokèmon indipendente e la mia bizzarra idea si è sgretolata quasi subito. La situazione è degenerata nella lotta in cui poi sei stata coinvolta pure tu. Era mio dovere cercare di salvarti”.
 
Distolsi lo sguardo da quello di N.
Stavo ripercorrendo quello che era accaduto da qualche mese a questa parte con il suo aiuto.
Tutto sarebbe tornato e avrebbe avuto un senso.
 
CONTINUA…
 
*Buongiorno a tutti! Chiedo perdono per gli aggiornamenti più sporadici delle ultime settimane ma purtroppo sto frequentando l’ultimo anno di università che si sta rivelando tosto e di conseguenza il tempo scarseggia.
Siamo alle battute finali di questa storia comunque, e ne approfitto per ringraziare le persone che hanno seguito la storia fino a questo punto.

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Capitolo 31
*** Tutto è bene quel che finisce bene ***


CAPITOLO 30
“E quindi vorresti farmi intendere che Zoroark ha cercato di proteggermi, dopo gli accadimenti della Fossa?” chiesi ad N che si trovava ancora davanti a me e non sembrava intenzionato a spostarsi.
“Esatto. Avendo perso i tuoi Pokèmon e Reshiram era il minimo che potessi fare. Lui è sempre stato al tuo fianco. A partire dal primo incontro a Libecciopoli. Mi ha successivamente raccontato dello scontro con Aristide, della vostra vittoria e dell’affiatamento che vi ha uniti”.
“In che senso raccontato?” domandai sempre più confusa.
“Zoroark è il mio migliore amico. Quando si allontanava da te era per venire da me per riferirmi delle sue e tue condizioni, come stavi e cosa facevi…”
“Uno stalker in pratica” cercai di ironizzare. In realtà ero molto felice delle sue parole e di quello che mi stava raccontando. Aveva sacrificato la presenza del suo più caro amico per prendersi cura di me in un certo senso. Quindi… stando alle sue parole precedenti…N teneva davvero a me nonostante si fosse allontanato.
Questo pensiero mi faceva scaldare il cuore e mi rendeva la testa leggera, anche se le domande che richiedevano risposte erano ancora tante.
“Come facevi a sapere che avevo perso i Pokèmon?” chiesi a bruciapelo.
“Perché io li ho ritrovati. Alla Fossa intendo. Ho trovato sei Pokè ball dal sentiero che avevi percorso tu e non potevano altro che essere le tue”.
A quel punto anche Reshiram, ancora dietro di me, emise un grugnito. Probabilmente per supportare la tesi di N. O forse per rimproverarmi il fatto di averlo perso come una bambina alle prime armi.
Non feci in tempo a rispondere che il ragazzo dai capelli verdi richiamò Zoroark, che subito ci raggiunse, spostandosi dalla sua posizione nascosta su un robusto ramo di un albero della foresta. Ecco perché avevo avuto la sensazione di essere osservata. Con tutta probabilità mi stava controllando già da prima. 
Non potei che essere felice di rivederlo. Bello e in forma come al solito.
Il Pokèmon Mutevolpe, come un bravo amico si andò a posizionare di fianco alle gambe di N, attendendo paziente. Non era sicuramente il tipo di atteggiamento che manteneva con me ma non mi sorprendeva ciò.
Non potevo pretendere di avere un’affinità con lui pari a quella che lui possedeva con il suo Allenatore, ma ero felice di quello che avevamo raggiunto tempo addietro.
“Ciao Zoroark” lo salutai io.
“Raaaa” rispose lui d’altro canto sorridendo pacifico. Si vedeva che vicino ad N era tranquillo.
A quell’ultimo verso Tepig si mosse leggermente dietro alle mie gambe, probabilmente ancora impaurito dalla presenza del Pokèmon scuro dopo l’ultimo incontro.
Mi abbassai e lo presi in braccio a quel punto, per cercare di tranquillizzarlo.
“Zoroark mi ha raccontato anche di lui” iniziò poi N indicando il maialino di tipo fuoco “e di come l’ultimo incontro non sia risultato uno dei più pacifici…”.
Detto questo si avvicinò ancora di più a me e andò ad accarezzare leggermente Tepig sul capo. Lui sembrò apprezzare questo contatto. Come biasimarlo.
Alzai gli occhi e incrociai quelli di N.
Sarei potuta rimanere così per sempre. Il tempo intorno a me si era come fermato.
“Vuoi sapere ancora una cosa che ti farà sorridere?” chiese poi lui.
“Hai sempre avuto i tuoi Pokèmon a disposizione. Solo che non hai mai osservato con attenzione”.
“Non ti sto seguendo…”
Lui, in silenzio, fece un segno a Zoroark di avvicinarsi. Quando quest’ultimo si fu avvicinato a noi girò le spalle. Ancora non capivo.
A quel punto N andò ad infilare una mano all’interno della folta chioma rossa del Pokèmon e, dopo qualche secondo, la estrasse contenete in mano cinque sfere dalla misura ridotta.
“Non ci credo…” iniziai sconvolta “ma allora… tu… lui?”. Di nuovo frasi sconnesse.
“Vuoi dirmi che le Pokè ball sono sempre state nascoste nel pelo di Zoroark?”
“Esattamente” rispose tranquillo N.
“Quindi le ho sempre avute a portata di mano. Eppure ho toccato più volte il suo pelo e non ho mai avvertito nulla. Nemmeno nella lotta contro Haxorus queste si sono smosse… ma non potevi darmi qualche segnale tu?” chiesi quasi indispettita a Zoroark.
Lui rise di sottecchi.
Ero così felice però. Tutto stava tornando al suo posto e l’aver ritrovato i miei amici era la ciliegina sulla torta.
“è il momento…” iniziò N porgendomi le sfere.
Ne presi in mano una per una e, dopo essermi girata ed aver fatto un profondo respiro, le lanciai in aria.
Contemporaneamente queste si aprirono e rilasciarono la scia azzurrina che scomparve poi velocemente.
Dopo qualche secondo avevo i miei amici di nuovo davanti, felici di vederli come non mai.
Salutai Serperior che, nonostante il suo carattere fiero, sembrava contento di vedermi. Incontrai di nuovo il mio adorato Arcanine e il mio migliore amico Samurott. Abbraccia quest’ultimo quasi con le lacrime agli occhi, con la speranza di non dovermi mai più separare da lui.
Tutto quello che avevo sognato si stava realizzando.
Se solo Belle e Komor fossero stati lì con me. Chissà come avrebbero reagito al mio racconto.
Belle sicuramente sarebbe stata contenta, ma non potevo dire lo stesso di Komor. Probabilmente lui sarebbe stato più difficile da trattare ma a tempo debito avrei pensato anche a lui.
“Vorrei darti ancora una cosa Touko” disse a quel punto N richiamando la mia attenzione.
Mi girai verso di lui, incontrando ancora una volta il suo sguardo.
Lo vidi infilare una mano nella tasca dei pantaloni. Poi prese delicatamente la mia, facendomi rabbrividire a quel contatto, e me la fece apire. Appoggiò poi sul palmo una cosa che percepii sul momento come piccola e fredda.
Quando la sua mano si fu allontanata potei notare sulla mia la presenza di un oggetto a me molto prezioso.
La mia targhetta. Quella che avevo attaccato, evidentemente male, ai pantaloncini da viaggio e che avevo perso, che riportava la mia iniziale e il nome della mia città natale.
“N io…” iniziai.
“La ho trovata al castello. Al mio castello. Ci sono ritornato qualche volta e ho notato quest’oggettino luccicante vicino a dei massi caduti. Anche in questo caso non è stato difficile capirne il proprietario. A Soffiolieve non abita molta gente…” concluse lui facendo spallucce, ironico.
Non sapevo davvero cosa dire. Un grazie sarebbe stato assai banale.
Così, facendo uno sforzo e cercando di liberarmi dai miei freni inibitori, aprii le braccia e gliele gettai al collo. Affondai la testa sulla sua spalla e tra i suoi morbidi capelli verdi, sperando che quell’abbraccio non si sciogliesse mai.
Anche lui doveva essere rimasto sorpreso dal mio gesto perché lo sentii irrigidirsi al contatto, ma successivamente portò le braccia attorno alla mia vita e mi strinse anche lui in un sincero abbraccio.
“Grazie N”.
 
“E così sei pronta per sfidarmi, Touko?” chiese Nardo posizionandosi sull’enorme campo della Lega Pokèmon “molto bene. Ma ricordati che non ci andrò giù leggero”.
“Sono pronta Nardo, non c’è niente che possa fermarmi questa volta” risposi sicura dando un’occhiata alla persona dietro di me.
Dopo l’incontro alla radura io ed N non c’eravamo più separati, e mi aveva aiutato anche ad allenarmi in vista della sfida con il Campione, una volta saputo che né io, né tantomeno lui, eravamo campioni in carica.
Ed ora era lì, a sostenermi in uno dei momenti più importanti della mia vita, portando il piccolo Tepig in braccio che, felice, faceva il tifo per me.
Non gli avevo dichiarato i miei sentimenti certo, ma per quello ci sarebbe stato tempo. Mi piaceva godermi per ora il legame che si era creato tra di noi e chissà cosa il futuro ci avrebbe riservato dopotutto…
Magari un viaggio insieme in una nuova regione?
Tornai a concentrarmi sull’avversario che avevo dinnanzi, pronta a combattere al meglio delle mie possibilità.
 
“Forza Samurott! Andiamo!”
 
FINE.
 
 
*Buongiorno a tutti ragazzi!
Se siete arrivati fino a qui significa che avete completato la storia.
Mi è piaciuto molto scrivere questo testo e ritornare indietro di qualche anno.
Spero che tutto sia stato scorrevole e non banale prima di tutto. Non sempre l’ispirazione era d’aiuto e di conseguenza magari alcuni capitoli risultano più ostici da digerire.
Ma spero nel mio piccolo di essere riuscita a far filare il tutto.
Quando ho iniziato a scrivere avevo una chiara idea dell’inizio del racconto ma, lo ammetto, il tutto si fermava ìi. Sono comunque contenta del risultato finale, in quanto era una delle mie prime storie.
Ci tengo a ringraziare chi ha recensito fino a questo punto, a chi recensirà in futuro e a chi semplicemente ha letto in silenzio. Anche voi siete stati importanti lungo tutto il percorso.
Le visualizzazioni sono state sempre consistenti per ogni capitolo e mi hanno spronato a continuare la scrittura.
Concludo qui salutandovi e augurandomi ancora una volta che la storia vi sia piaciuta e vi abbia tenuto compagnia.
Grazie a tutti!!

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