Il Canto delle Masche

di Lilium Noctis
(/viewuser.php?uid=993047)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Una Fiamma ***
Capitolo 2: *** Borgovecchio ***
Capitolo 3: *** Ostara ***
Capitolo 4: *** La Cava delle Streghe ***
Capitolo 5: *** Strada Dissestata ***
Capitolo 6: *** Scappare e Combattere ***
Capitolo 7: *** Nel Sottobosco ***
Capitolo 8: *** Quello che occhi non vedono ***
Capitolo 9: *** Non solo leggende ***
Capitolo 10: *** Altacqua ***



Capitolo 1
*** Prologo - Una Fiamma ***


L'eco di un gufo lontano susseguito da un clangore e da delle grasse risate lo fecero sussultare: per qualche istante aveva temuto che qualcuno l'avesse visto.

Rilassò le spalle e deglutì nervoso. Quel luogo non gli apparteneva, non era solito vagare per città abbandonate da una guerra che non aveva vissuto. Però non poteva di certo tirarsi indietro: aveva deciso di rischiare e, di certo, non poteva tornare senza aver ottenuto qualcosa. Abbassarsi per schivare i resti fatiscenti delle abitazioni e ignorare quelle inumane ossa a terra, che avvertiva spezzarsi sotto a ogni passo, non era poi così tremendo.

Si diresse silenzioso alla finestra per osservare i suoi compagni da uno spiraglio tra le assi bruciate: stavano parlando, ridendo e bevendo. Dopo quei faticosi giorni di viaggio per raggiungere le rovine dove stavano sostato, erano di certo troppo stanchi per badare a cosa lui stesse facendo.

Aveva detto loro di non disturbarlo ma il timore che uno di quei soldati avesse potuto cercarlo non lo lasciava del tutto tranquillo.

Fece un sospiro e si sistemò la leggera sciarpa sulle spalle prima di scavalcare delle travi ammuffite e dirigersi alla postazione lasciata da pochi minuti.

Si trattava di un semplice tavolo dai bordi in ferro, stranamente incolume nonostante i circa cinquant'anni di abbandono, con la fioca luce di una candela a illuminare il curioso tomo che aveva trovato poche ore prima girovagando nelle catapecchie accanto.

Sistemò con un dito le sottili lenti e aguzzò la vista per ricominciare a leggere per l'ennesima volta quelle pagine ingiallite: gli ci erano volute almeno un paio d'ore per riuscire a riconoscere e a rimembrare la grammatica di quell'antica lingua ma, nonostante ciò, era bloccato da tempo sul medesimo passaggio.

Aveva più volte appurato con degli appunti che le traduzioni fossero corrette ma c'era qualcosa che gli sfuggiva, come se non avesse interpretato nella giusta maniera quelle arcane parole.

Portò le mani al viso stanco per massaggiarselo, esausto. Stava per arrendersi ma doveva proseguire, voleva fare un ultimo tentativo prima di arrendersi.

Diede un'ultima occhiata sia al tomo che alle proprie annotazioni prima di rilassare le spalle con movimenti circolari per poi scrocchiare le dita e il collo.

Fece un profondo respiro, unì i palmi delle mani e chiuse le palpebre: non era mai stato un grande sostenitore del Sacro Ordine ma, in quell'istante, decise di affidare il destino dei suoi studi alle mani di Dio.

Pregò muovendo le mute labbra, implorando di poter attingere a una forza e a una conoscenza che avrebbe potuto rivoluzionare il mondo.

Ruotò le mani formando una conca d'aria fra le dita serrate, lasciando che il dorso sinistro fosse rivolto all'ammuffito soffitto che velava il cielo stellato.

Mantenne gli occhi chiusi e separò lentamente i palmi, rabbrividendo all'avvertire una flebile vampata di calore: sospesa nel vuoto, tra una mano e l'altra, una flebile fiamma lilla tremò.

Il suo volto si contorse in un sorriso raggiante e si trattenne dall'urlare entusiasta mentre l'incerta fiammella seguiva i movimenti della mano destra prima che si spegnesse. Tutto ciò era durato per pochi istanti ma questi gli bastarono per poter affermare che la magia era di tutti, che non erano solo le Coga, le streghe, a poterla padroneggiare.

Richiuse alla svelta il tomo e raccolse tutti gli appunti prima di soffiare sulla candela e dirigersi dai propri compagni. – Ne è valsa la pena...

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Borgovecchio ***


Quando Tommaso uscì dall'ostello del signor Pepe era da poco terminata l'ora di pranzo e si ritrovò a sorridere mentre una folata di vento gli spettinò i capelli castani.

Sentire l'odore del mare lo divertiva: Borgovecchio era un paesino sperduto su un colle nel bel mezzo dei monti della Cuturina, il luogo abitato più a nord del territorio, eppure dal fiume che scorreva giù dal precipizio saliva il profumo della salsedine. Dopotutto, rifletté, la regione si chiamava Colle Salmastro per un motivo.

Si portò una mano sulla fronte e osservò il limpido cielo soleggiato, aguzzando la vista alla ricerca dell'orologio posto al centro di quel piccolo piazzale. Erano da poco passate le tre. – Accidenti...

Diede un'ultima occhiata all'edificio dietro di sé prima di correre verso la piazza principale. Si diresse verso la scalinata in mattoni, salendo a due a due i gradini, e percorse la via maestra scansando abilmente tutta la gente che gli rallentava il percorso.

Borgovecchio era una cittadina molto semplice, formata da un agglomerato di case e da negozietti in legno e mattoni dagli spioventi tetti rossastri, le cui strade ciottolate facevano echeggiare il suono degli zoccoli dei cavalli e dei carri. Un particolare che aveva da subito divertito il ragazzo erano le farfalle disegnate ai lati delle porte d'ingresso: la leggenda diceva che difendevano le abitazioni dal malumore dell'Orcolat, un essere tanto grande e tanto forte da poter spezzare le ossa con due dita.

Ciò che però rendeva più affascinante quel borgo, però, erano lo spiccare di un castelletto in pietra sul punto più alto del colle e la chiesa in marmo dalle vetrate colorate davanti al piazzale.

Giunto a piazza del Sole, Tommaso si fermò sul ciglio della strada a riprendere il fiato, ringraziando sé stesso per non aver dato ascolto a Berta e aver indossato la veste leggera anziché quella dalle lunghe maniche.

Ripresosi dallo sforzo si soffermò a osservare il via vai delle persone, sorridendo entusiasta nel vedere tutti all'opera per decorare lo spiazzo in vista della festività imminente, Ostara. Aveva da poco scoperto che nella data dell'equinozio di primavera si svolgeva una ricorrenza dove l'intera popolazione era riunita prima in preghiera, chiedendo un buon auspicio per la caccia e per i raccolti; si preparava un grande falò in cui si bruciava una bambola di grano e, infine, si mangiava e festeggiava per l'arrivo della bella stagione.

– Attenta! – Con un passo svelto si fiondò e prese al volo una ragazzina che stava per inciampare.

– G–grazie...

Tommaso non ebbe modo di assicurarsi che stesse bene perché, la fanciulla dall'abito verde e dalla chioma biondo fragola, si confuse all'istante nella folla come se non si fosse mai distaccata dal centro di essa.

– Ecco dov'eri finito, se ti aspettavo davanti a casa mia si faceva notte!

La pacca sulla spalla da parte di Luca non tardò ad arrivare: nonostante non fosse visibilmente muscoloso si sentiva fin troppo bene il suo tocco da aspirante fabbro.

– Ho fatto tardi alla taverna, – Guardò l'amico. – non hai idea di quanti cacciatori siano venuti! Uno ha addirittura voluto cucinato l'agnello che aveva appena comprato... ci ho messo un'ora a pulirlo...

– Vedila così: – Gli sollevò il magro braccio. – almeno inizi a mettere su qualcosa.

– E smettila! – Arrossì allontanandosi per osservare distrattamente il suo vestiario: una leggera sciarpa grigia velava il colletto del panciotto e un soprabito nero sbottonato gli scendeva sino agli stivali. – Ma non hai caldo?

Luca aggrottò le sopracciglia. – E tu non hai freddo? Guarda che l'unico che andava in giro con la giacchetta leggera, d'inverno, eri tu.

– Ma perché da dove vengo io così si sta in estate.

L'amico rise dandogli l'ennesima pacca. – Voglio proprio vedere cosa farai fra qualche mese!

Tommaso scosse il capo sorridendo divertito. Era vero, lui era abituato alle rigide temperature della regione a nord di Colle Salmastro, Vetta Gela, dove sino a pochi mesi prima aveva vissuto con la famiglia prima di andarsene. Sapeva di essere ancora giovane per una scelta simile ma la sua voglia di cambiare aria l'aveva preceduto.

Quando era giunto a Borgovecchio aveva trovato all'ostello del signor Pepe sia un lavoro che un luogo da poter chiamare casa; si trovava bene e non sarebbe tornato indietro per nulla al mondo.

I due amici camminarono e chiacchierarono per l'intero pomeriggio, aiutando ad addobbare e a posizionare delle uova sode in giro per la piazza, già pronta a festa, quando alcuni uomini chiesero loro una mano.

Il sole stava lentamente iniziando a calare quando un colpetto di gomito da parte di Luca lo fece sussultare. – Che c'è?

– Guarda chi arriva. – Gli sussurrò ammiccante indicando con un cenno di capo alle due ragazze che ora stavano passando davanti alla chiesa.

Con un sorriso raggiante e i lunghi capelli neri a risaltare gli occhi azzurri, la pelle ambrata e il lungo abito porpora, Carlotta Roncisvalle salutava di rimando chiunque la chiamava o guardava: lei era la fanciulla più importante dell'intera città, la secondogenita del Cavaliere Roncisvalle.

Suo padre sarebbe dovuto essere l'uomo a capo di Borgovecchio, un politico e un guerriero che agiva e adoperava secondo le leggi dell'Ordine dei Cavalieri, un ente nato per dare il libero arbitrio ai progressi della mente umana. Però, con l'elezione di pochi anni prima, il popolo si era mostrato più legato alle tradizioni e alla preghiera che desideroso di innovazioni e, quindi, l'Ordine Sacro aveva l'ultima parola per qualsiasi cambiamento in città.

Ma a Tommaso a non importava nulla della politica o dell'affascinante Carlotta, lui aveva occhi solo per la sua dama da compagnia: Sofia.

Lei aveva un viso d'angelo con iridi scure, labbra rosse piene e capelli color del grano. Non si capacitava perché tutti la deridessero a causa del suo zoppicare, non riusciva a capire perché tutti vedessero solo quel difetto in cotanta bellezza.

Da quando l'aveva incontrata per la prima volta, il mese prima, e l'aveva vista con la sua famiglia cenare alla taverna, non aveva passato un singolo giorno senza pensare a lei.

– Ti sei innamorato, eh? – Lo canzonò Luca.

Si voltò per dargli una spintarella, paonazzo in volto. – Siamo solo conoscenti...

L'amico scosse il capo. – Sei esasperante! Spero che, perlomeno, stasera tu voglia invitarla a ballare.

Tommaso diede un'ultima e fugace occhiata a Sofia prima di voltarsi costringendo Luca a seguirlo nella direzione opposta alla loro, ignorando i suoi commenti sarcastici ben sapendo che aveva ragione: doveva decidersi a parlarle, non poteva vivere di sole fantasie.

 

⊶ ⨗ ⊷

 

Sofia si sistemò lo scialle che indossava quando una lieve folata di vento le fece venire la pelle d'oca sulle braccia.

– Vuoi che rallenti un poco?

Alzò il viso e Carlotta era a pochi passi da lei, ferma nel bel mezzo del sentiero del bosco che circondava gran parte del borgo. Mosse svelta le gambe cercando di non inciampare, scuotendo il capo in segno di dissenso prima di guardarsi attorno.

– No, ce la faccio.

L'altra le sorrise prendendole la mano. – Siamo quasi arrivate.

Rafforzò con dolcezza quella stretta e rimase al suo fianco per tutto il percorso che le separava dalla loro meta. Erano dirette alla Cava delle Streghe, una grotta da cui tutti si tenevano lontani a causa delle dicerie causate dalla guerra di cinquant'anni prima, un luogo dove loro potevano fare quello che preferivano perché sole.

Il sole cremisi stava iniziando a scomparire oltre agli alberi quando Sofia si sedette al fianco della sua signora su un tronco abbattuto poco distante al'ingresso di quella caverna che, in quel bosco, pareva essere totalmente fuori contesto.

– Finalmente siamo da sole... – Il sussurro di Carlotta la fece voltare.

– Finalmente... – Ripeté avvicinandosi al suo volto.

Ogni volta che la baciava si sentiva mancare il fiato: sapeva che era sbagliato, che il loro era un peccato mortale, ma non le importava. Se sentire le sue esili e fredde dita sulle guance bollenti e le sue sottili e umide labbra sulle proprie equivalevano all'inferno, lei ci sarebbe andata più che volentieri.

– Sai perché questo posto si chiama Cava delle Streghe? – Domandò pochi minuti dopo Carlotta. – Si chiama così perché, prima della caccia alle streghe, loro si radunavano qui per far unire persone alla congrega e per svolgere i loro rituali.

Sofia non smise di guardarla, curiosa, mentre univa la mano alla sua. – E perché mai delle persone si sarebbero volute unire a loro?

– Perché i loro desideri non erano ritenuti un peccato. – Si lasciò prendere il volto e le concesse un altro bacio. – Perché quelle come noi erano accettate all'inferno da dove provenivano.

– E come le sai queste cose?

Scostò i lisci capelli neri e si umettò le labbra. – Fannio ha dei libri a riguardo... diciamo che non è tornato dalle rovine senza qualche oggetto di studio.

Lasciò che un breve silenzio cadde prima di baciarle il palmo. – Perché parlare di tuo fratello e di una guerra passata quando potremmo approfittare di questo tempo per noi?

Carlotta adocchiò il cielo dalle tinte arancioni prima di sorriderle. – Hai ragione.

 

 

Spazio curiosità

Nel Friuli-Venezia Giulia vi è la leggenda dell'Orcolat, un essere mostruoso, simile a un orco, al quale si attribuisce la causa dei terremoti.
Secondo i racconti un giorno l'Orcolat si addormentò a causa di alcuni funghi velenosi e, nel mentre, un gruppo di briganti ne approfittò per rubare e creare scompiglio in alcuni villaggi circostanti. Al suo risveglio l'Orcolat li cacciò e gli abitanti, per ringraziarlo, salirono alla sua caverna per portargli dei doni ma lo trovarono addormentato e ricoperto da delle farfalle.
Da allora gli abitanti di Bordano dipinsero sulle loro abitazioni decine, se non centinaia, di farfalle in modo tale che l'Orcolat non li disturbasse.
Al giorno d'oggi a Bordano c'è un posto chiamato "La Casa delle Farfalle", una "tana" di 1km quadrato composto da tre serre con centinaia di farfalle, animali e piante di vari ecosistemi!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Ostara ***


Carlotta incrociò le braccia e poggiò una spalla sullo spigolo della porta lasciata aperta. – Da quando sei tornato non sei più il fratello di un tempo.

Vide Fannio sussultare sul posto e chiudere svelto il libro che stava leggendo: era quasi trascorso un anno da quando fece ritorno dal suo viaggio, una spedizione alla ricerca delle conoscenze perdute durante la caccia alle streghe.

Lei ricordava alla perfezione il giorno in cui partì con la sua scorta e rimembrava fin troppo bene l'espressione stravolta e le ferite che aveva al suo ritorno. Nel rientrare a Borgovecchio il fratello avevaincontrato un regolo ed era rimasto l'unico superstite di quell'attacco: tutti i tesori raccolti erano andati perduti tra le spire di quell'enorme serpente ma era riuscito a portare a casa un tomo dalle scritte per lei indecifrabili.

– Mi hai spaventato, Carlotta! – Aveva la mano sul petto e una ciocca nera, sfuggita dal codino fatto alla meno peggio, gli era scivolato sulla fronte. – Imparare a bussare ti costa tanto?

Si avvicinò alla sua postazione con passo lento, osservando con distacco i fogli che coprivano l'intera superficie del tavolo e il libro sgualcito. – Stai ancora cercando di imparare quell'alfabeto?

Fannio si sistemò le sottili lenti color oro e si rimboccò le maniche del maglione grigio che indossava da un paio di giorni. – Diciamo di sì... da quel che sono riuscito a intuire è una sorta di catalogo delle Coga...

– Intendi le streghe?

– Non streghe, Coga! – La corresse con una vena d'entusiasmo: Carlotta non si stupì nel vederlo cercare qualcosa tra le carte, gli aveva appena dato il via libera all'esposizione di una delle sue folli teorie. – Da quel che si capisce, loro, non erano vere e proprie streghe ma Coga, una sorta di loro sottospecie, capaci di mutare la forma del loro corpo!

Rimase interdetta dall'affermazione del fratello ma non se la sentì di bloccare quel fiume di parole e non fiatò quando lui le mostrò l'immagine di uomo con delle piume attorno agli occhi dalle strane iridi.

– La loro storia è a dir poco affascinante e so per certo che queste informazioni in mio possesso possano essere utile all'Ordine dei Cavalieri!

Carlotta fece un pesante sospiro. – Fannio...

Vide il suo sorriso spegnersi appena incontrò le sue iridi scure. – Non mi credi... – Si portò entrambe le mani alla fronte prima di scuotere il capo e sedersi. – Nessuno ha mai dato credito alle mie parole: non so combattere e quando dovevo salvare i miei compagni mi sono dato alla fuga. Non sarò mai il degno successore di papà...

All'udire di tali parole non poté che cercare di spronarlo: anche se eccentrico e pieno di idee senza alcun senso, gli voleva bene. – Ma hai studiato a Riva Siamese, sei intelligente e a vent'anni sei partito da solo per delle terre abbandonate da decenni! Anche se non sembra papà è fiero di te e, ti giuro, che presto diverrai un Cavaliere.

Una flebile risata uscì dalle ambrate labbra. – Grazie per le tue parole, sorella, però è ora che tu vada a prepararti.

Sapeva che in quei momenti Fannio preferiva rimanere solo; come lei, non amava dimostrarsi debole e insicuro. Gli si avvicinò per posargli una mano sulla sua, stringendogliela come a volergli infondere un minimo di sostegno, prima di dargli un ultimo sguardo e uscire dalla stanza.

 

⊶ ⨗ ⊷

 

Tommaso non aveva mai visto tanto in fermento l'ostello prima di allora: nel pomeriggio erano giunte persone che abitavano nelle zone coltivabili del bosco, desiderose di fermarsi per la notte affinché potessero festeggiare sino a tarda ora e gli uccellatori avevano portato talmente tanta cacciagione che il signor Pepe non sapeva più dove sistemarla.

Per sua fortuna gli avevano detto di limitarsi a servire i tavoli e a prendere le varie ordinazioni, cosa detestava dato che preferiva stare dietro aifornelli. Si diresse al bancone dove Elvio, il marito di Tessa, figlia di Berta, era intento a riempire i bicchieri di vino e birra; lasciò sul bancone le coppe vuote, sostituendole a quelle che l'uomo gli passava, e ricominciò il giro della sala.

L'ambiente non era mai stato così caotico e accogliente al contempo, si sentiva a proprio agio e, ogni giorno che trascorreva lì, si ripeteva che aveva fatto bene a lasciare casa.

Moccioso, vieni qua! – La voce profonda del signor Pepe risaltava su tutto, persinosulle grida e i cori dei banchettanti.

Arrivo! – Appena terminò di servire i commensali schizzò verso l'oste, schivando talmente tante persone che non vide Tessa arrivare.

Con dei riflessi che non si aspettava di avere si fermò di colpo evitando, sotto gli occhi colmi d'ira della donna, che tre piatti di stufato gli cadessero addosso. – Ma sei cretino?! Per poco non mi facevi cadere!

Scusatemi, non vi avevo vista!

Non ottenne nessuna risposta perché Tessa si rimise a lavoro, ignorandolo senza troppi problemi; sapeva che gli stava antipatico ma poteva benissimo evitare di insultarlo davanti ai commensali.

– Lascia perdere mia figlia, – Commentò il signor Pepe non appena giunse al suo fianco. – ultimamente ha la luna storta...

Tommaso si limitò ad annuire col capo senza proferire parola a riguardo. – Ditemi pure.

– Giusto, prima ti ho sentito parlare col figlio del fabbro, Luca?

Non capì dove volesse arrivare. – Sì, si chiama Luca.

– Ecco, ho sentito che questa sera ballerai con una certa dama... come si chiama?

Un vivido rossore apparve sulle sue guance e gli occhi divennero lucidi. – A dire il vero non ho ancora invitato Sofia a ballare... – Balbettò timido.

Sentì la sua grossa mano scompigliarli la chioma arruffata: dopo tutte quelle settimane passate insieme non aveva ancora capito se quello fosse un gesto d'affetto o se lo faceva perché voleva che diventasse calvo come lui.

– Sei qui da meno di tre mesi e già fai conquiste! Sono molto fiero di te, moccioso!

Il ragazzo adorava quel suo lato benevolo che di tanto in tanto gli mostrava, anche il semplice fatto di chiamarlo "moccioso" anziché col proprio nome era come ricevere la carezza di un padre.

– Vi ringrazio, – Rispose passandosi una mano fra i capelli. – appena terminato qui vedrò di raggiungerla alla piazza...

– E perché sei ancora qua? Dai, fila via! – La pacca sulla spalla non tardò ad arrivare. – Vai a metterti qualcosa pulito e non farti più vedere.

Tommaso lo guardò in maniera dubbiosa ma, non appena lo intravide annuire col capo e fare un gesto con la mano, non poté che sorridergli e sgattaiolare su al secondo piano.

Entrò in quello che una volta era uno stanzino e, scavalcando il letto in legno, recuperò da un bauletto una maglia verde e un panciotto senza maniche profumato di fresco: voleva essere perfetto per quella sera, addirittura andò nella stanza di Tessa per prenderle in prestito una spazzola per rendersi il più elegante possibile.

Quando scese le scale, dopo un cenno di approvazione da parte dell'oste, si recò nelle cucine per salutare un'ancora indaffarata Berta e prendere l'uscita posteriore.

L'aria fresca che trovò all'esterno dell'edificio lo fece rabbrividire; non faceva freddo ma rispetto alla taverna pareva di trovarsi in mezzo alla neve. Rimase per qualche istante fermo sull'uscio per darsi l'ennesima sistemata ai vestiti, allacciando e slacciando i bottoni del lungo corpetto più volte prima di decidersi a tenerlo aperto.

Raggiunse con calma la piazza principale: come sospettava a quell'ora erano ancora tutti a mangiare, solo alcune guardie stavano facendo i loro soliti giri di ronda.

Si sedette su una panchina poco distante dalla casa di Luca in attesa che lo raggiungesse, voltando il viso spensierato al bosco.

 

⊶ ⨗ ⊷

 

Chiunque poteva sentire la musica all'interno di Borgovecchio, anche chi fosse lontano dalla piazza o stesse ancora in casa a prepararsi. Le melodie degli strumenti in legno erano invitanti e coinvolgenti al punto che tutti i presenti si erano dilettati a eseguire le danze tradizionali; solo le guardie del castelletto e quelle poste ai lati dell'ingresso della chiesa non si erano unite ai festeggiamenti.

Sofia si era messa in disparte, seduta su una panca ad osservare l'amata Carlotta ballare tra le braccia del fratello: era raro che lei danzasse, sapeva che lo odiava, ma con quell'abito rosso e i capelli carbone raccolti da un nastro d'oro in una morbida crocchia, era irresistibile. Avrebbe potuto ordinarle qualsiasi cosa e l'avrebbe fatto senza battere ciglio.

Sapeva che la stava guardando e avvertiva i suoi freddi occhi cercarla di tanto in tanto, come se la volesse stuzzicare.

Divampò a tale pensiero, ricordandosi in quel momento dove fosse, decidendo di darsi un contegno.

– Buonasera, Sofia.

Di primo acchito Sofia faticò a riconoscere il ragazzo che l'aveva salutata, dovette scavare nella memoria per ricordarsi chi fosse: era certa di averlo già incontrato ma non ricordava dove. – Buonasera a voi... volete accomodarvi?

Giurò di averlo visto arrossire. – Vi ringrazio.

Attese che si sedesse al suo fianco prima di squadrare per l'ennesima volta le sue iridi scure e i tratti ancora bambineschi del suo volto. – Voi siete il ragazzo della locanda?

– No, lavoro all'ostello poco prima... Sono Tommaso.

Si morse la lingua ma gli sorrise. – Oh, ora ricordo! Perdonate la mia memoria ma è da qualche tempo che non passo in quella zona. Non siete di queste parti, vero?

– Sono venuto qui qualche tempo fa, prima vivevo a Vetta Gela. Voi siete originaria di qui?

– Ho sempre vissuto a Borgovecchio e da generazioni la mia famiglia serve quella del cavaliere Roncisvalle.

Non sapeva perché stava parlando a ruota libera con quel ragazzo ma, a primo impatto, si trovava bene in sua presenza: forse i suoi modi un po' goffi e quel perenne rossore sulle sue gote la divertiva o, forse, era per il semplice fatto che non l'avesse ancora derisa per il problema alla gamba.

– P–potrei chiedervi di fare una ballata con me?

Si sentì stupida nell'avereappena terminato di elogiarlo. – Nonostante ne sia onorata, penso che voi sappiate della mia condizione.

– Ed è per questo che ho deciso di chiedervelo qui, mentre si è in disparte da tutti, per non mettervi in difficoltà.

Le parole di Tommaso la colpirono molto: nessuno aveva mai badato a cosa pensasse, alle volte nemmeno Carlotta l'aveva fatto a causa del suo egocentrismo.

Riuscì a impedire alle sue guance di arrossire ma non poté rinunciare a sorridergli. – Ne sarei lieta.

Si alzarono entrambi dalla panchina e dopo un breve inchino l'uno dinanzi all'altra diedero inizio a un ballo imperfetto e pieno d'intoppi che, nonostante il palese disagio, Sofia si trovò ad apprezzare grazie ai continui sbuffi di un ragazzo ancor più inabilitato di lei nel ballo.

Ciò però non durò a lungo: quando la ghironda emise l'ultima nota un applauso si levò da tutti i presenti e un vociferare riempì all'istante l'atmosfera nel momento in cui le porte della chiesa vennero aperte, segno che la preghiera stava per avere luogo.

– Venite anche voi?

– No, – Le rispose Tommaso. – preferisco attendere qui fuori col mio amico. – Accennò a un ragazzo poco distante che riconobbe essere Luca.

Annuì col capo. – Vi ringrazio per il tempo trascorso insieme.

Sofia ricambiò il suo timido saluto di mano con un sorriso, dirigendosi alla chiesa senza badare più di tanto al proprio zoppicare. Quando entrò nell'edificio di marmo cercò di avvicinarsi al posto dove solitamente si sedevano i Roncisvalle ma la presenza di Padre Simone sul presbiterio le fece intuire che non ve ne fosse il tempo.

Si accomodò nel primo posto libero che trovò e attese che la funzione avesse inizio.

 

⊶ ⨗ ⊷

 

Era trascorsa una buona mezz'ora da quando aveva visto Sofia entrare in chiesa: le aveva detto che avrebbe trascorso il tempo con Luca ma questi l'aveva lasciato da solo per appartarsi chissà dove con una giovane che non conosceva.

Sapeva che l'amico avesse successo con le donne ma non credeva a tali livelli.

In compenso, aveva finalmente trovato il coraggio di parlare con la ragazza di cui era innamorato, di ballare con lei e di raccontarle un po' di sé... a ripensarci avrebbe dovuto accompagnarla a quella messa nonostante non gli fosse parso il caso di partecipare a delle usanze religiose che non gli appartenevano.

Sbuffò adocchiando l'ora e, pensando che ci sarebbero volute altre decine di minuti prima che Sofia uscisse dalla chiesa, si incamminò verso la piazzetta a sud di Borgovecchio: come immaginava, la fontana era ancora accesa e non c'era nessuno sulle panchine, così decise di approfittarne per sdraiarsi su una di esse.

Quel posticino frapposto fra poche case e l'inizio del bosco lo faceva sentire bene, come se una parte di casa lo avesse seguito sin lì, oltre le montagne e i ghiacciai.

In quel momento poche nuvole coprivano il cielo e il vento fresco pareva alzarsi ogni qual volta rischiasse di addormentarsi; solo i grilli, l'acqua e il fruscio delle foglie riempivano il silenzio.

Stava guardando distrattamente il cielo stellato quando uno strano rumore di passi destò la sua curiosità: voltò in capo nella direzione della strada da cui era venuto e fu allora che notò qualcuno zoppicare verso il bosco.

Si alzò velocemente dalla panchina e aguzzò la vista per capire chi fosse e, quando la figura passò accanto a una lumiera accesa, vide dei biondi capelli sparire dietro a una casa di mattoni.

– Sofia?

Tommaso non capiva perché lei si trovasse lì, da quel che sapeva la preghiera non era ancora conclusa.

Decise di raggiungerla ma, quando arrivò all'alone di luce, era già sparita. Si osservò attorno, confuso: che fosse stata un'allucinazione, un sogno a occhi aperti?

Tornò nella piazzetta strofinandosi il volto con entrambi i palmi e la mente in subbuglio. – Eppure sembrava fosse lei...

Fece per sedersi quando udì un urlo provenire dal bosco e uno stormo si sollevò dalle chiome degli alberi.

Lui non era il tipo di ragazzo che correva verso il pericolo, pronto ad affrontarlo e a farsi valere contro le avversità. Era sempre scappato dai propri problemi, non aveva mai preso in mano una situazione ma, in quel momento, qualcosa in lui cambiò.

Si fiondò all'istante tra gli alberi, muovendosi velocemente nel sottobosco schivando rami e saltando gli ostacoli a terra. Quando il fiatone si fece troppo insistente e avvertì il sangue alla gola decise di arrestare la corsa, appoggiando la mano a un tronco per riprendersi: non conosceva bene quel bosco, sino ad allora era sempre andato dritto ma, ora, non sapeva quale direzione prendere.

Camminò per un poco alla ricerca di qualche traccia o segno di passaggio, tenendo l'udito sull'attenti nonostante l'assordante silenzio che lo circondava. Una delle poche cose che gli aveva insegnato suo padre era che se una foresta o un bosco non emetteva alcun suono, stava per accadere qualcosa di molto pericoloso.

Giunse a uno piccolo spiazzo senz'alberi, il primo punto dove la luce della luna piena riusciva a penetrare tra le folte chiome.

Per la prima volta vide quella che tutti chiamavano "Cava delle Streghe" e corrugò le sopracciglia nel constatare che si trattasse di una banalissima grotta, la cui unica peculiarità era il fatto di essere totalmente fuori contesto col resto dell'ambiente.

Fece per avvicinarsi all'ingresso quando notò a terra delle piccole e scure macchie che conducevano alla grotta. Temendo che fosse sangue ingoiò la saliva e iniziò a sudar freddo: se era davvero Sofia la ragazza che aveva visto, e se quell'urlo fosse realmente appartenuto a lei, non poteva assolutamente tirarsi indietro.

Serrò i pugni ed entrò.

 

 

Spazio curiosità

La festa di Ostara celebra la rigenerazione della natura e la rinascita della vita.
I simboli usati per rappresentare Ostara sono l'uovo, il cui tuorlo dorato rappresenta il Dio Sole e l'albume è visto come la Dea Bianca e il tutto è un simbolo della rinascita stessa. In passato le prime uova di Primavera venivano cotte e poi dipinte con colori brillanti e con vari tipi di strisce e cerchi che rappresentavano i cicli della vita, morte e rinascita, poi venivano donate come simbolo di fertilità e buona fortuna.
Poi vi sono l'agnello come simbolo di resurrezione, la lepre come di fecondità e le farfalle come di rinascita.
Ad oggi, Ostara è stata assimilata dalla Pasqua data la forte presenza del cristianesimo ma, in alcune culture si mantiene il nome originale: in inglese la Pasqua è chiamata Easter, e in tedesco Ostern. Anche parecchi elementi della tradizione antica furono inglobati dalle festività attuali, tra questi si possono citare l'agnello e l'uovo.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** La Cava delle Streghe ***


Nulla illuminava il suo cammino all'interno della Cava delle Streghe, anche se si voltava Tommaso non riusciva a scorgere l'uscita.

Teneva una mano protesa in avanti e l'altra poggiava sulla ruvida parete di sinistra, proseguendo con lentezza per quel dritto, unico e tortuoso corridoio che andava sempre più scendendo, come se lo stesse conducendo nelle profondità più recondite della terra.

Era da quasi dieci minuti che stava camminando; non gli piaceva quel posto, odiava quella sensazione di oppressione e il freddo che gli pungeva la pelle, ma doveva andare avanti.

– Uhm...

Un brontolio poco distante lo fece scattare sull'attenti: si accucciò a terra e iniziò a tastare le rocce sino a toccare qualcosa di caldo coperto da un tessuto.

– Sofia, siete voi?

Non giunse alcuna risposta e così, con non poco imbarazzo, si sedette per tastare meglio quel corpo e capire se fosse realmente lei: ricordava perfettamente il suo abito turchese a mezza manica e aveva sin da subito riconosciuto la cinta in cuoio che le avvolgeva la vita.

Avvicinò il palmo al suo viso per assicurarsi che respirasse e sospirò di sollievo quando constatò che fosse solo priva di sensi. Continuò però a toccarla, cercando di capire se il sangue visto all'ingresso della grotta appartenesse a lei ma, da quel che intuiva, non era suo.

Decise comunque di provare a svegliarla dandole delle lievi pacche sul viso ma sembrava fosse caduta in un sonno profondo così, con estrema cautela, provò a farla sedere.

– Dai, ora usciamo da qui...

Brancolando nel buio, fece qualche tentativo di posizionamento prima di issare sulle proprie spalle la fanciulla; gli ci volle un po' per sistemarla al meglio affinché non cadesse ma, nel giro di pochi minuti, aveva già iniziato a muovere i primi lenti passi nella direzione dalla quale era venuto.

Mentre camminava una nota d'orgoglio e fierezza lo pervase: mai avrebbe immaginato di trovare il coraggio e la determinazione di compiere un'impresa simile. Nella propria vita si era spesso considerato un vigliacco ma ora poteva dire di essere una persona diversa da quella di un tempo.

Il sorriso di Tommaso si spense pochi istanti dopo, quando uno strano vociferare lo immobilizzò all'istante.

Il corpo di Sofia si fece sempre più pesante e fu costretto a inginocchiarsi sul pungente e dissestato pavimento per stenderla accanto a sé mentre quelle strane parole sussurrate si facevano sempre più vicine.

Non capiva cosa stava succedendo, il suo cuore batteva sempre più forte e un sonno non naturale lo pervase: tentò di restare il più lucido possibile, di reagire a quell'assopire in netto contrasto al terrore che lo stava assalendo. Ma fu tutto inutile.

La forza lo abbandonò e, per un attimo, gli parve di non essere più impaurito. Non vedeva nulla attorno a sé e, pensò, che chiudere gli occhi non fosse una cattiva idea.

 

⊶ ⨗ ⊷

 

Tommaso si svegliò di soprassalto: non sapeva dire per quanto tempo era rimasto svenuto ma di certo ciò che era accaduto non era normale; come avrebbe mai potuto addormentarsi di sua spontanea volontà in un momento simile e, soprattutto, chi aveva parlato poco prima?

Era tutto troppo confusionario e l'unica cosa importante era di uscire al più presto dalla Cava delle Streghe.

Fece leva sulle braccia per alzarsi da terra, avvertendo solo in quel momento delle scariche di dolore perforargli l'intero corpo: si sentiva come quando l'anno prima era caduto dalla slitta ed era scivolato per centinaia di metri nel bosco innevato, non si sentiva più le gambe e la schiena ma, a differenza di allora, aveva delle fitte lancinanti persino ai denti e alle orecchie.

Si ristese prono posando la braccia sulla fronte, ignorando che fossero più morbide di quanto ricordasse perché concentrato sul respiro fin troppo frettoloso, tossendo ciò che intuì essere sangue. Attese in quella posizione per degli interminabili minuti, cercando di calmarsi e di attendere che il dolore passasse un minimo prima di fare qualsiasi altra cosa.

Si mise a sedere poco dopo e si passò le mani sugli occhi stanchi: stranamente la vista si era un minimo abituata al buio e, anche se non riusciva a distinguere nettamente le figure, poteva chiaramente intuire i contorni di dell'oscuro corridoio. Adocchiò la figura di Sofia, ancora stesa dove l'aveva lasciata, e questo bastò per convincerlo ad andarsene di lì il prima possibile.

Gemette nell'alzarsi in piedi, al punto che dovette sorreggersi alla parete con entrambe le mani e mordersi le labbra dal male alle ossa che sentiva, per non contare la nausea che l'aveva appena assalito. Fu in quel momento che si accorse di essere scalzo, coi pantaloni strappati da sotto al ginocchio e con addosso solo il lungo panciotto.

– No, devo uscire di qui... – Sussurrò tra sé, convinto che se sarebbe rimasto lì ancora per un po' ne sarebbe uscito matto.

Fece un grande respiro prima di avvicinarsi zoppicante alla ragazza sdraiata a terra, chinandosi per riuscire a mettersela sulle spalle con non poca difficoltà. Pareva che le braccia diSofia fossero unite all'abito che indossava e, non capendo come fosse collegatoil tessuto ad esse, decise di lasciarle le braccia a penzoloni sopra le propriespalle e di rinforzare la ferrea presa che le allacciava le gambe al corpo.

Si accorse che il percorso era molto più lungo rispetto a quello che fece all'andata, inciampando e fermandosi a riposare di tanto in tanto; era sì la prima volta che portava in braccio qualcuno per così tanto tempo ma non riusciva a capire perché le gambe gli dolessero in tal modo.

Cercò di pensare a qualcos'altro, di concentrarsi su quello che lo circondava, e fu in quel frangente che si rese conto di un paio di dettagli che all'inizio non aveva notato: il suo udito era molto più fine del solito, al punto che riusciva a udire ogni sassolino che spostava al suo passaggio, e gli pareva che Sofia fosse più leggera rispetto a quando la prese in braccio la prima volta.

Non seppe come giustificare questi fatti, pensò si trattasse di una possibile botta in testa ricevuta mentre era caduto in quello strano sonno, e decise che gli sarebbe andata bene così, che per il momento non si sarebbe posto ulteriori domande.

Tommaso proseguì per poche altre decine di metri prima di scorgere una luce. Non erano i raggi della luna quelli che vedeva ma erano i fuochi delle fiaccole accese e delle lanterne, come se qualcuno li avesse avvisati di cosa fosse successo e li stesse aspettando.

Fu colto da un'improvvisa euforia che lo convinse a velocizzare i propri passi, ignorando il dolore e ampliando il sorriso spontaneo sul volto.

Quando uscì dalla Cava delle Streghe, però, non vi era alcun tipo di festeggiamento per il suo gesto eroico o preoccupazione nei confronti suoi o di Sofia. Ad attenderli c'erano le guardie di Borgovecchio armate di lance e spade che subito puntarono verso l'ingresso della grotta con orrore in volto.

– State indietro, streghe!

Era stato il Cavaliere Roncisvalle a parlare e la sua dura espressione, alimentata dalle rughe che gli circondavano gli occhi scuri e la bocca sottile, non premetteva nulla di buono.

– Come...?

Parla la nostra lingua! – Urlò un uomo mentre alcune donne, protette dai loro mariti, corsero verso le case.

Uccideteli! – Incitò qualcun altro mentre s'innalzava una fiaccola.

Tommaso rafforzò la già salda presa sulla ragazza mentre, confuso, faceva un paio di passi indietro. – Ho solo tratto in salvo... – Le parole gli morirono in gola quando i soldati si affrettarono a circondarlo senza mai smettere di rivolgergli le fredde lame contro.

Nel tentativo di cercare una via di fuga si voltò più e più volte sentendo le orecchie andare a sbattere contro qualcosa. Issò meglio la fanciulla e si portò una mano al capo, fremendo di paura quando si rese conto che le proprie orecchie si erano allungate.

Sgranò gli occhi mentre la mano continuava a tastare quell'inquietante e morbido orecchio e non si trattenne dall'urlare quando, abbassando il capo, vide che anche le proprie gambe erano mutate: la pelle non era più rosea ma presentava un sottile strato di peluria che variava dal beige al marrone e il tallone si era allungato, come se fosse stato sostituito con un altro osso. Quelle non erano più gambe, erano zampe.

Spaventato come non mai prima di allora continuò a guardarsi attorno, tremando come una foglia e senza trovare un senso a quella situazione.

– Vi prego aiutatemi! – Supplicò svelto con le lacrime agli occhi. – Io volevo solo salvare Sofia!

Il Cavaliere tese una mano in segno di attesa per i suoi uomini. – Chi avete detto di essere?

Se prima le grida della folla e il clangore delle armature animavano il bosco, ora era calato un silenzio interrotto solo dal proprio respiro affannato.

– Mi chiamo Tommaso Indus, Signore, sono giunto qui da pochi mesi da Vetta Gela.

Detta tale frase si inginocchiò al suo cospetto nel tentativo che egli gli credesse, osservandolo avvicinarsi mentre l'anziano Padre Simone prendeva il suo posto per richiudere il cerchio. Deglutì nervoso quando si fermò a un passo da lui e tremò quando avverti peso sulla schiena alleggerire di colpo.

Si voltò di scatto e, appena vide l'uomo tenere i biondi capelli di Sofia stretti in una ferrea presa, non capì più nulla.

Anche l'aspetto della ragazza era cambiato, la sua pelle era a chiazze tra il fucsia e il viola, aveva uno stano naso e rivoli di sangue le scendevano dalle palpebre chiuse. Non erano questo, però, ad averlo sconvolto: a stupirlo erano le ali che, sviluppandosi dalle esili, lunghe e affilate dita, si estendevano sino a congiungersi sul busto, poco sopra al seno, lasciato in mostra a causa dell'abito strappato.

Reagì d'istinto e, con un coraggio che non aveva mai dimostrato in vita propria, diede un calcio al petto del Cavaliere afferrando al volo Sofia, tenendola stretta fra le proprie braccia per proteggerla dalla caduta.

Urla e schiamazzi partirono della folla radunata mentre le guardie scattarono in avanti, pronti a intervenire.

Fu in quel momento che il ragazzo vide un giovane uomo dalla pelle ambrata, dai capelli neri raccolti in una precaria coda, frapporsi fra lui e le lance. – Fermatevi subito!

I soldati si arrestarono all'istante a tale ordine.

– Cosa pretendi di fare, Fannio?

– Padre, vi prego di non ucciderli! – Il ragazzo protese le mani avanti continuando a parlare.

Tommaso però non ascoltava le loro parole o soffriva per la gamba ancor più dolente, aveva tutte le attenzioni incentrate sulla fanciulla che teneva stretta fra le braccia: non aveva la minima idea di cosa fosse loro accaduto e ne era terrorizzato ma, qualunque cosa sarebbe successa, giurò in quell'istante che l'avrebbe protetta.

Fu in quel momento che un gelido vento lo fece rabbrividire.

Sebbene avesse trascorso solo la fine dell'inverno in quella regione, non aveva mai sentito dell'aria tanto fredda a Borgovecchio e, man mano che il vento continuava a soffiare, si rese conto che era anche più ghiacciato rispetto a quello di Vetta Gela.

Ben presto le urla degli uomini si acquietarono e fu allora che sentì, in lontananza, il latrato di alcuni cani. Ogni secondo che passava sempre più voci si spensero e i volti colmi di rabbia si mutarono in espressioni di pura paura.

Quando si udì anche il rumore dei cavalli al galoppo il Cavaliere Roncisvalle puntò la spada verso la direzione in cui proveniva il vento. L'ennesima folata d'aria fredda unito ai nitriti imbizzarriti e all'abbaiare feroce gli fece cadere la lama dalle mani. – La Caccia Selvaggia...

Le urla di panico parvero essere mute nel bosco rispetto al preannuncio di quella tempesta di spettri. Anche a Vetta Gela erano giunti i racconti della Caccia Selvaggia, di quegli spiriti a cavallo preceduti dai cani da caccia che vagavano nella notte a reclamare le vite dei malcapitati che incontravano.

Il vento continuava a sferzare, gelido, verso di lui.

Tremando di paura strinse Sofia fra le braccia e iniziò a correre nel bosco, fuggendo il più veloce possibile, mordendosi a sangue le labbra e piangendo dal dolore. Nessuno era sopravvissuto alla Caccia e, di certo, Tommaso avrebbe ignorato cosa gli fosse appena accaduto e tutto il dolore del mondo pur di non farsi prendere.

 

⊶ ⨗ ⊷

 

Era arrivata troppo tardi: sebbene lei e il suo fido destriero d'ombra fossero i più veloci di tutta la Caccia, se n'erano andati tutti.

Anastasia scese dal cavallo di pece e gli diede una lieve pacca sul collo prima che sparisse come fumo dissolto nell'aria. La bassa ragazza dalla pelle grigia si passò una mano tra i corti capelli composti da fiamme nere prima di coprirsi viso, chiudendo gli occhi completamente bianchi per sospirare esausta.

Le avevano detto che sarebbe accaduto qualcosa a Borgovecchio ma, di certo, si sarebbe aspettata di tutto tranne che di assistere all'apparizione di due Coga dinanzi all'intera popolazione.

Lo scalpitare di altri zoccoli la fece voltare verso l'altro Cacciatore. – Gli umani sono scappati al borgo, i Coga sono andati verso sud.

Alessandro scese dal destriero e le si avvicinò dubbioso, più alto di lei di pochi centimetri. – Coga? Se sono superstiti perché non sono rimasti ad attenderci?

– Quei due oggi erano umani, saranno spaventati e non penso che raggiungerli di corsa sia una saggia idea.

– Erano umani?

Anastasia annuì infilando due orecchini a forma di stella per mutare d'aspetto, apparendo come una fanciulla dai corti capelli biondo fragola vestita da un grazioso abito verde. – Il ragazzo, Tommaso... oggi ci siamo scontrati per sbaglio, mentre la ragazza è la dama da compagnia della figlia del Cavaliere.

– Se ciò che dici è vero il Selvaggio deve essere subito avvisato. – Il Cacciatore le si allontanò per montare sul cavallo d'ombra.

– Pensaci tu, io attenderò che i due si calmino e baderò a loro sin quando non manderai qualcuno da Altacqua.

Con un muto cenno d'assenso Alessandro diede un piccolo colpo di briglie e il destriero si voltò per dirigersi al trotto da dov'era apparso poco prima.

Rimasta sola, Anastasia sospirò ancora, rimanendo immobile per qualche istante prima richiamare con un fischio uno dei suoi segugi: gli occhi umani non riuscivano a vedere il cane fatto di puro vento seduto al suo fianco, così estrasse una collanina e attese di percepire dell'aria fredda fra le braccia prima di richiuderla. Un bracco dal manto rosso e bianco le era seduto accanto, scodinzolante e con la lingua a penzoloni, in attesa di ricevere ordini.

– Su, Atalanta, aiutiamoli...

 

 

Spazio curiosità

In nord Italia, soprattutto nell'area alpina della lombardia, la Caccia Selvaggia viene associata a lontane luci, scalpitio di zoccoli, abbaiare di cani, urla demoniache, e un forte sibilare del vento. Essa è l'incarnazione dei ricordi di guerra, dei morti che viaggiano ancora sulla terra e degli eroi che risorgono per sbaragliare un nemico straniero.
Ci sono testimonianze della Caccia Selvaggia sia nell'inferno dantesco che nella novella "Nastagio degli Onesti" all'interno del Decameron di Boccaccio.
A oggi non ci sono basi o risvolti su tale leggenda ma è pieno di riferimenti alla Caccia Selvaggia in vari libri e videogiochi.

 

Si ringrazia Lisa Saporito per aver dato vita ad Anastasia!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Strada Dissestata ***


Tommaso non chiuse occhio per l'intera nottata; dopo aver corso sino a non sentirsi più quelle strane e inumane gambe si lasciò crollare ai piedi di una collina.

Non aveva acceso alcun fuoco e non ne aveva bisogno, la notte era fresca e, in confronto al gelo dell'arrivo della Caccia Selvaggia, anche un ghiacciaio poteva sembrargli un luogo caldo e accogliente.

Dovette invece creare un riparo per Sofia, coprendola col panciotto e stringendola a sé ogni qual volta l'avvertiva tremare fra le proprie braccia.

Non sapeva quante ore fossero passate o per quanto tempo avesse corso ma non ci vollero molto prima che il cielo iniziasse a prendere i colori del mattino. A breve la ragazza che dormiva accoccolata al suo petto si sarebbe svegliata e al pensiero che avrebbe dovuto dirle di quanto accaduto rabbrividì; a stento riusciva a non avere un attacco di panico.

A tal pensiero le prese il delicato volto fra le mani per osservarle le guance rigate dal sangue rappreso: leccandosi un dito coperto dalla soffice peluria cercò di toglierle le macchie cremisi, poi la bendò con un fazzoletto pulito che teneva in tasca affinché la ferita non si sporcasse. Aveva la pelle liscia dalle chiazze più scure di tanto in tanto, le orecchie si erano allungate e appuntite mentre il naso era schiacciato e arricciato proprio come quello dei pipistrelli.

Ciò che però lo aveva maggiormente colpito erano le sue braccia: non solo se si erano allungate un po' più del normale ma tre dita parevano essersi scomposte e una sottile membrana le univa, proseguendo per tutto l'arto sino a unirsi con una piccola parte del busto, generando quelle che a tutti gli effetti potevano essere definite delle ali. Solo il pollice e l'indice riuscivano a toccarsi fra loro.

Tommaso, invece, era bene o male riuscito a metabolizzare quello che ora era divenuto; certo, sebbene non avesse un paio di ali non era comunque facile accettare il suo nuovo corpo. Ora che aveva tempo e modo di osservarsi meglio lo fece toccandosi dapprima il volto: una sottile peluria gli era cresciuta sulla pelle e toccò le morbide orecchie sino alla tonda punta, stupendosi del fatto che fossero ben più grandi di una sua spanna. Si passò anche la lingua sui denti, appurando che dentatura fosse di un poco mutata dato che non sentiva più i canini.

Sospirò appoggiando delicatamente Sofia al terreno per alzarsi in piedi: ora le gambe non gli dolevano molto e riusciva a camminare senza troppi problemi. Le sue cosce si erano fatte molto più muscolose, così come i polpacci, ma ciò che maggiormente lo aveva colpito era la parte che dal tallone si estendeva sino a quelle che ora erano divenute vere e proprie zampe da coniglio.

Fece qualche passo attorno al perimetro di quel riparo di emergenza e provò a fare una corsa leggera, trovando un filo di ironia nel fatto che gli fosse più semplice correre che camminare.

L'avvicinarsi dell'alba iniziò a tingere il cielo di un tenue azzurrino mentre le alte chiome degli alberi si ravvivavano passando dal nero della notte a un verde non troppo scuro, il sole sarebbe sorto entro pochi minuti.

Si voltò per andare a svegliare Sofia ma qualcuno lo precedette.

 

⊶ ⨗ ⊷

 

Qualcosa di umido sulla punta del naso la svegliò. Era sdraiata in posizione fetale su quello che le parve essere terriccio e, quando provò ad alzarsi, la grande e umida leccata sulla guancia da parte di chissà quale animale la bloccò.

– Che diamine...

Ancor prima di riuscire ad aprire gli occhi avvertì che qualcosa glielo impediva e dei veloci passi in avvicinamento l'allarmarono facendola voltare di scatto. – Chi siete?! – Nel tentativo di alzarsi a sedere provò a muovere il braccio destro ma si accorse che qualcosa non andava: mosse le dita ma le avvertiva distanti e più lunghe. – Che cosa sta succedendo?!

– Sofia! – Sussultò all'udire quella voce, rendendosi conto solo in quel momento che riusciva a vedere l'ambiente attorno a sé nonostante avesse qualcosa sugli occhi.

– Chi siete?! – Urlò spaventata da quell'eccessiva sensibilità ai rumori e a causa di ciò che la propria voce aveva scatenato: solo grazie ad essa era riuscita a capire che chi le si stesse avvicinando non aveva un aspetto del tutto umano, come se fosse riuscita a vedere attraverso i propri suoni.

– Sono Tommaso, – Lo percepì inginocchiarsi dinanzi a lei, accanto che quello che i suoni le suggerirono di essere un cane. – voi state bene?

– Che cos'è accaduto?! Perché non riesco a muovermi?! Perché riesco a vedere senza gli occhi?! Perché non sembrate umano?!

Le domande le uscirono veloci dalla bocca come se fossero state un fiume in piena, voleva sapere cos'era successo, del perché non fosse a casa sua con i genitori.

– Calmatevi per favore... – Sussultò quando delle fin troppo morbide mani presero le sue, respirando a bocca aperta in preda a un attacco di panico. Sudava freddo e ogni qual volta si voltava o provava a muoversi la testa le scoppiava. – respirate come me, concentratevi solo su quello prima di fare o pensare a qualsiasi altra cosa.

Sofia si morse le labbra mentre le calde lacrime non facevano in tempo a bagnarle il viso che già la benda gliele asciugava. Ascoltò il suo consiglio e svuotò del tutto la mente per concentrarsi solo sul respirare.

Man mano che si calmava, i suoni circostanti della natura emersero facendole capire che si trovava in un bosco, in un piccolo spiazzo alle spalle di una collina che proteggeva dal fresco vento del mattino. A qualche centinaio di metri più a destra sentiva lo scrosciare di un fiume, l'unico che conosceva della zona era Magra e distava parecchi chilometri da casa.

Attese in silenzio per qualche minuto, calmandosi del tutto prima di fare un cenno affermativo con la testa per voltarsi in direzione di Tommaso. – Posso sapere che cos'è accaduto?

Lo sentì schiarirsi la voce e in qualche modo, attraverso lo spezzarsi dei rami secchi e il rumore di qualcosa strisciare sul terreno, lo vide sedersi a gambe incrociate dinanzi a lei. Riebbe nuovamente le mani libere e ne approfittò per iniziare a toccarsi con muto panico.

– Attendete a toccarvi, per favore... facciamo una cosa alla volta: – Sospirò. – Voi vi ricordate perché siete andata alla Cava delle Streghe la scorsa notte?

– Dove sarei andata?! – Non aveva la benché minima memoria di esservi andata al di fuori dell'incontro con Carlotta.

– Cosa ricordate?

Si schiarì la voce mentre avvertiva un lieve dolore agli arti superiori, alla schiena e alla testa; confusa e disorientata cercò di rimembrare cosa fosse accaduto prima di svegliarsi ma non ci riusciva, era come se da quando era entrata nella chiesa i suoi ricordi fossero andati perduti.

– Solo di essere entrata in chiesa dopo avervi salutato... – Scrollò il capo avvertendo non poco fastidio alle orecchie. – Che cos'è accaduto?

Ascoltò allibita il racconto di Tommaso, domandandosi come fosse mai potuta accadere una cosa simile. Non si capacitava del motivo per il quale era entrata in quella maledetta cava da sola e il fatto di non ricordare nulla la faceva ribollire dalla rabbia.

– Quindi quando mi avete trovata eravate normale?

– Sì, poi qualcosa mi ha fatto addormentare e quando siamo usciti eravamo così.

– E come siete, esattamente? – Nonostante quel suo strano "potere" non riusciva a distinguere bene né la sua figura né la propria. – Come sono... io?

Lo sentì borbottare mentre si mosse come se volesse farle vedere come fosse. – Somiglio ad un coniglio. – Commentò a metà tra l'indispettito e il divertito. – Non so dove sbattere le orecchie, ho un pelo morbidissimo e delle gambe strane; secondo me al forno potrebbero bastare per una tavolata intera!

Trovò di cattivo gusto tale commento. – Vi pare il caso di scherzarci?

– Sì, altrimenti ne uscirei pazzo... – Sospirò schiarendosi la gola. – Voi invece siete un po' più strana.

Sofia si stiracchiò, allungando le gambe e le braccia che ora parevano essere incredibilmente più lunghe del dovuto, al punto che riusciva a sfiorarsi le caviglie senza nemmeno piegarsi in avanti. – Che cos'hanno?

– Sembrano essersi ingrandite e, scusatemi... – Avvertì il suo tocco sulla strana membrana che le univa le dita e il busto alle braccia. – sembra che dalle vostre mani, o meglio sul vostro corpo, si siano sviluppate una sorta di ali. Avete una pelle strana tendente al lilla, delle orecchie un po' più grandi e appuntite e il naso un po' schiacciato, come quello di un pipistrello.

Spaventata da quelle parole provò, con gesti lenti e con la massima cautela, date le unghie affilate, a toccarsi il viso coi pollici. Rendendosi conto di quanto le sue parole fossero purtroppo veritiere, giunse presto agli occhi ancora velati da uno strato di tessuto; fece per togliersela ma Tommaso le sfiorò una spalla.

– Non penso sia una scelta saggia... ieri notte piangevate sangue.

Rabbrividì e abbassò svelta le braccia. – Perché riesco a vedere attraverso i suoni?

– Davvero siete in grado di farlo?

Annuì col capo prima di rabbrividire: un qualcosa che non riusciva a definire si stava librando nell'aria tra lei e Tommaso ma, ancor prima che riuscisse ad aprir bocca, il ragazzo sussultò.

– Che sta succedendo? – Chiese preoccupata.

– S–stiamo tornando normali...!

– Cosa?!

Fu allora che Sofia si tolse svelta la benda dagli occhi.

All'inizio non vide nulla, era come se fosse cieca ma, lentamente, a piccoli passi la vista le stava ritornando seppur diversa da quella che aveva sempre avuto. Vedeva a chiazze, non riusciva a distinguere nettamente le forme o i colori ma una cosa riuscì a vederla benissimo: quelle che apparivano come ali a tutti gli effetti stavano scomparendo.

Come se si fosse trattato di morbido tessuto anziché di pelle e ossa, la patina che univa le dita si ritirò e quest'ultime si spostarono per tornare a essere vere e proprie mani dalle unghie lunghe e un poco affilate.

Portandosi le mani al viso sentì il naso che da piatto divenne a patata e le orecchie si ritirarono di un poco nonostante rimasero a punta. Deglutì spaventata volgendosi verso Tommaso che, in quel momento si agitava sul posto continuando a toccarsi e a guardarsi.

– Non sento dolore... non sento dolore... – Vociferò lui.

In effetti, rifletté Sofia, il fatto che si fosse svegliata indolenzita mentre ora non provava nulla era in parte preoccupante. Riprese a respirare con calma mentre quella strana sensazione percepita poco prima iniziava ad affievolirsi. – State bene?

Sussultò all'udire il cane abbaiarle accanto e allungò alla cieca la mano per accarezzarlo.

Vide, per quanto possibile, Tommaso alzarsi in piedi per fare qualche passo in avanti prima di toccarsi in posti che non riusciva a intuire: sebbene avesse riottenuto un minimo la vista non poteva più a vedere attraverso i suoni bene quanto prima.

– Cosa state facendo?

Solo a quella seconda domanda le diede ascolto. – Le mie gambe... sono tornate normali anche se non del tutto, sì, insomma... ho ancora delle chiazze di pelo ma almeno le orecchie sono più corte.

Ebbe quasi difficoltà a capire quella frase, anche il ragazzo era tanto sconvolto quanto lei.

– Dobbiamo trovare un riparo. – Gli disse poco dopo rassettandosi l'abito, ripiegando il vestito che aveva inconsciamente usato come coperta. – Prima mi sembrava di aver udito un fiume poco distante da qui.

– Sì, avete ragione. Riuscite a camminare?

Annuì afferrando la mano di Tommaso, ora tornata normale seppur morbida quanto la pelle di una ragazza. Fece un paio di passi in avanti per capire se riuscisse a rimanere in equilibrio ma un grande sorriso le riempì il viso: non zoppicava più.

– E quel cane?

– È arrivata poco prima che vi svegliaste. – Le rispose affiancandola porgendole il braccio affinché potesse sorreggersi. – Non mi è sembrata ostile, sembra voglia solo compagnia.

– Pensate che sia di qualcuno?

– Forse... è un cane da caccia con una catenina al collo ma non c'è scritto nulla se non "Atalanta".

Sofia rimase silenziosa per qualche istante prima parlare. – È sicuramente di qualcuno, sarà meglio lasciarla qui.

– Però ci sta seguendo. – Constatò lui col viso rivolto alla macchia scura che vedeva correre energica al loro fianco.

– D'accordo, – Sospirò. – ma se qualcuno ci trova per via del cane ve ne darò la colpa.

Tommaso scosse le spalle chinandosi un poco in avanti per accarezzare l'animale. – A me pare invece che Atalanta voglia solo aiutarci.

Rimase in silenzio continuando a camminare, tanto turbata da quella spensieratezza quanto dall'idea che non sarebbe mai più potuta tornare a casa.

 

⊶ ⨗ ⊷

 

– Sei sicura di quello che hai visto?

– Certo che lo sono! – Esclamò Anastasia sistemandosi gli orecchini affinché mostrasse l'aspetto umano.

– Non siamo qui per dubitare di ciò che ha detto, attenetevi al piano. – Michele venne rimbeccato dal Tribuno mentre lui, tramite un cenno del capo, fece spostare col pensiero le fronde degli alberi in modo tale da permettergli di osservare meglio i due ragazzi che si avvicinavano verso una sponda del fiume.

Michele sospirò scuotendo il capo cosparso da foglie; per quanto stimasse Aulo alle volte lo trovava insopportabile: si domandava come facesse a dare totale e cieca fiducia a quella ragazzina solo perché era una Cacciatrice e non darla a lui, che da vent'anni combatteva al suo fianco.

– Quei due non sono dei Coga nemmeno per sbaglio...

– Dai, compare... – La pesante pacca sulla spalla da parte di Valerio rischiò di farlo barcollare: anche se era già in forma umana la sua innata forza non poteva essere contenuta da un'insulsa collana.

– Sei il solito rompipalle. – Commentò il suo fratellastro, Alessio, poco prima di infilare l'anello che rese anch'egli apparentemente uomo.

– Michele, vai. – Ordinò il Tribuno.

Annuì silenziosamente e, muovendo un poco le spalle, unì le mani in preghiera. Ben presto la corta coda castana e la folta barba, anch'essa irta di foglie, scomparvero per far posto a delle scaglie arancioni; anche i vestiti scomparvero lasciando che il corpo mutasse sino a essere sostituito con quello di un serpente lungo due metri e mezzo.

Completamente a proprio agio in quelle fattezze, il serpente scese sinuosamente giù dalla quercia dove se era rifugiato con il resto della piccola legione e strisciò sul prato parecchio distante dai due ragazzi, lasciando che il proprio manto dai riflessi arcobaleno si mimetizzasse con l'ambiente.

 

 

Spazio Curiosità

Nelle credenze popolari sarde, Le Cogas, dette anche Bruxas, sono a metà tra la strega e il vampiro.
Pare che fossero proprio i neonati le prede più ambite dalla Coga, che entravano nelle loro camere per succhiargli il sangue ma, in genere, anche se la loro preferenza era la settima nata in una famiglia numerosa, sia maschi che femmine potevano nascere o diventare coga se lo volevano. La strega in forma umana presentava alcuni tratti distintivi come una piccola coda, una croce pelosa dietro la schiena o unghie e capelli innaturalmente lunghi; mentre di notte poteva assumere quasi qualsiasi forma animale desiderasse.
Ad oggi il paese di Villacidro, grazie alla sua storia legata all'inquisizione spagnola e alla caccia alle streghe del XVII secolo, viene tutt'ora chiamato e conosciuto anche come  "Sa bidda de is cogas".
 

Si ringrazia Naomi Bonasia per la creazione di Aulo

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Scappare e Combattere ***


– Non ci sto capendo più nulla... – Sbuffò Tommaso strizzando il fazzoletto prima di sbatterlo un paio di volte.

– Siete sicuro di avermi detto tutto?

Si voltò verso Sofia: era seduta su una grande roccia posta sul bordo del fiume, con le ginocchia sollevate e le caviglie intrecciate a rivelare una chiazza violacea sul collo del piede destro.

Lui invece aveva i piedi immersi nelle fresche acque del Magra, il fiume che aveva visto nascere tra le montagne di Vetta Gela e che scoprì dividere e sfociare a Riva Siamese, la capitale di Colle Salmastro. Rispetto a dove viveva l'acqua non era poi così fredda anche se la pelle d'oca gli rizzava i peli delle gambe.

Scosse il capo voltandosi, badando a non scivolare sulle viscide pietre e a sistemarsi il risvolto dei pantaloni quando le si avvicinò. – Certo.

– Eppure è tutto così irreale...

Anche se gli occhi della fanciulla apparivano spenti, quasi vitrei, era impossibile non notare la sua espressione smarrita. – Vi prometto che troveremo una soluzione.

– E come farete?! – Sbottò allargando le braccia. – Chi siete, voi, per poter far tornare tutto come prima?! Ditemi com'è anche solo possibile che dal giorno alla notte siamo diventati dei mostri!

Tommaso fece un passo verso di lei e allungò una mano come a volerla consolare ma, appena udì il suo singhiozzo, la lasciò sospesa. Rimase in silenzio vedendola coprirsi il viso con entrambe le mani mentre delle lacrime le tingevano le guance di cremisi.

Restò fermo per qualche secondo prima di avvicinarsi per scostarle i capelli dal volto, alzandoglielo delicatamente per pulirla con la fredda pezza.

Sofia smise di piangere e, pian piano, attenuò il respiro sino a rimanere con lo sguardo fisso verso un punto indefinito, con gli occhi ancora umidi di sangue e i denti a mordersi il labbro inferiore. – Tutto questo è un incubo, l'inferno, una punizione divina per i peccati che ho volutamente commesso. – Sentenziò con voce rotta.

– Non potete attribuire tutto questo a una punizione divina, lo trovo stu... – Si schiarì la voce. – insensato.

– Ha senso e sì che posso.

– Allora perché mai sono nella vostra stessa situazione? – Attese una risposta che, però, non giunse. – Penso che questa sia solo una scelta del fato e di chiunque ne sia responsabile.

– Chiunque ne sia responsabile? – Ripeté.

Tommaso annuì col capo prima di chinarsi per sciacquare il fazzoletto. – Come vi ho già detto, sono certo di avere sentito una voce prima di addormentarmi e, sicuro come il cielo, apparteneva a chi ha deciso di farci questo brutto scherzo.

Ebbe a malapena il tempo di adocchiare Sofia con un sorriso sghembo prima di voltarsi verso Atalanta: era rimasta con loro sino a poco fa, non l'aveva vista allontanarsi e corrugò le sopracciglia quando la vide uscire dal bosco abbaiando.

– Ehy! – Uscì dal fiume per chinarsi e accarezzarla. – Ehy, che succede?

Il cane continuava ad abbaiare, saltellando prima fra le sue braccia per poi distanziarsi, come se volesse comunicare qualcosa; fu il sussulto della fanciulla che lo fece preoccupare. – Sento qualcosa che si avvicina.

All'udire del nitrito di un cavallo Tommaso scattò.

Infilò la pezza fradicia in tasca e si affrettò a raggiungere Sofia che, nel frattempo, si era infilata svelta le scarpe. La afferrò per una mano prima di iniziare a correre lungo la riva del fiume seguendo Atalanta: sentiva dietro di sé il fiato pesante e già affaticato della ragazza ma ciò che lo faceva fremere erano le urla e lo scalpitio degli zoccoli sul terreno di chiunque fosse sulle loro tracce.

– Sbrigatevi! – La spronò quando dovette rinforzare la presa a causa di un suo barcollamento.

– Non ci riesco!

– Su, allora, – Si fermò dandole le spalle e piegando le ginocchia. – salite!

Come dettole, Sofia gli montò in spalla lasciandosi trasportare e, anche se leggera, Tommaso si morse il labbro per lo sforzo quando riprese la corsa.

Nel frattempo, dietro di lui, iniziarono a emergere dalla boscaglia le prime figure in avvicinamento: erano dei soldati a cavallo, alcuni avevano appena sguainato le spade e sollevato gli scudi decorati. Non seppe dire con sicurezza che simbolo fosse quello impresso sulle loro armature ma, di certo, non era la prima volta che l'aveva visto.

– Sbrigatevi!

L'urlo di Sofia lo costrinse a voltarsi e correre sull'argine di pietra del fiume nella stessa direzione di Atalanta, sentendo il sangue in gola per la fatica e il dolore, maledicendo chiunque l'avesse "rapito" perché l'aveva lasciato senza scarpe.

Se solo avesse avuto quelle strane zampe da coniglio sarebbe stato tutto più semplice...

– Ma che... – Rischiò di inciampare quando una strana sensazione, la stessa avvertita all'alba, lo avvolse del tutto: dapprima iniziò a sentirsi meno affaticato e, poi, la sua visuale si alzò come se da un passo all'altro fosse cresciuto in altezza.

Abbassando lo sguardo verso le proprie gambe le vide mutare nella stessa maniera in cui accadde poche ore prima, solo col processo inverso. Passo dopo passo, falciata dopo falciata, il dolore ai piedi diminuì perché la palma si riempì con del pelo e quelli che definì dei cuscinetti; la sua velocità aumentò al punto che riuscì a raggiungere e superare con facilità Atalanta.

Non si curò se altro nel suo aspetto fosse mutato, l'importante era scappare e cercare un posto sicuro per sé e Sofia, ora era convinto di potercela fare.

Virò insieme al cane nel bosco, pensando bene di riuscire a seminare quei soldati sfruttando la vegetazione ma un sibilo, susseguito dal rumore di qualcosa che si conficcava nel terreno, gli fece pensare che non sarebbe stato tanto facile.

– Arcieri!

Ancor prima di udire tale comando, Tommaso schivò di fortuna una freccia che avrebbe potuto colpirgli il braccio. Iniziò quindi a correre in maniera non lineare, sfruttando quel suo nuovo corpo per fare scatti e variazioni di direzione che altrimenti avrebbe solo sognato di poter fare.

– Per di là!

Il braccio della ragazza puntò alla direzione opposta a dove stava scappando il cane e, senza pensarci troppo, seguì la sua indicazione richiamando con un fischio Atalanta a sé prima che un dubbio lo attraversò.

– Come fate a sapere dove andare? – Urlò affaticato mentre scavalcava un tronco a terra, rendendosi conto che il sottobosco iniziava a farsi sempre più fitto.

– Fidatevi! – Avvertì le sue braccia e gambe stringergli maggiormente la schiena e i fianchi. Fu allora che, voltandosi, scorse una sua guancia rigata dal sangue. – Più in là c'è un dirupo ma non credo che lo strapiombo sia alto, se saltate saremo salvi!

Tommaso non credette alle proprie orecchie. Sofia stava davvero dicendo che doveva lanciarsi in un ipotetico dirupo per salvarsi?

Respirò a fatica con l'amaro in bocca: le sue forze erano quasi allo stremo; dopotutto era in fuga dalla sera precedente, non aveva mangiato e avuto modo di chiudere occhio. Senza contare che non era certo delle effettive conseguenze alla mutazione del proprio aspetto.

– Vi prego! Fatelo!

Guardò Atalanta corrergli accanto, schivando anch'ella le frecce che pian piano si facevano sempre più vicine e precise.

– Vai, nasconditi! – Scacciò il cane con un brusco gesto e rallentò di un poco la corsa per riuscire a spostare la ragazza davanti a sé, facendole allacciare braccia e gambe al proprio corpo in modo tale da evitarle qualsiasi tipo di impatto. – Reggetevi più che potete!

Dopo quell'ultima frase non vide più nulla se non il bosco.

Aumentò la falciata man mano che i cespugli e gli alberi diminuivano, inspirando col naso ed espirando dalla bocca, sentendo il sapore del sangue e il fiato tremare in gola.

Ogni passo si conficcava nel terreno e ne aumentava la portata, iniziando a testare lo slancio per il salto che lo attendeva; non aveva osato voltarsi, non voleva sapere dove fossero i soldati, voleva solo correre.

Fece un'ultima falciata e la terra scomparve.

Il tempo parve lento e denso quanto il miele. Sofia si strinse a Tommaso talmente forte da graffiarlo e nascose il viso rigato di sangue dalle violacee orecchie a punta; il suo vestito azzurro svolazzava nel vento.

Il ragazzo riaprì le palpebre e gli si mozzò il fiato in gola: le sue zampe erano a due metri dalle chiome degli alberi e, all'orizzonte, in mezzo a quell'enorme distesa verde, il Magra divideva a metà le alte montagne le cui vette erano in parte celate dalle nuvole.

D'istinto sorrise ma ciò durò un solo istante, il tempo di capire che presto sarebbe iniziata la discesa.

L'impatto coi primi rami non tardò arrivare ma, sfruttando i vari colpi, trovò il modo di girarsi e prepararsi allo scontro successivo per evitare che Sofia venisse colpita; i rami erano come fruste che lo tagliarono in più punti del volto ed era certo che qualche livido sarebbe apparso sulle braccia ma quello col quale non aveva fatto ancora i conti era il terreno.

La botta fu a dir poco dolente: pur di proteggere la fanciulla si lasciò cadere sul fianco, stringendola come se fosse stata una bambina, coprendole la testa con entrambe le braccia, e strisciò per decine e decine di metri fermandosi solo quando la schiena colpì un albero. Gemette dal dolore lasciandosi sfuggire una lacrima.

Rimase inerme, troppo stanco e moribondo anche solo per assicurarsi che i soldati non li avessero raggiunti. Respirava a fatica e a stento riusciva a tenere gli occhi puntati su Sofia: la vide muoversi e sorrise debolmente quando il suo sguardo quasi del tutto vitreo, bagnato di sangue, si fermò su di lui.

La sua bocca si muoveva svelta, era agitata e gli toccava il volto con mani fredde e tremanti. Lui però non riusciva a sentirla, un fischio copriva la sua voce ovattata e distante. Non aveva mai imparato a leggere il labiale ma, di certo, alcune parole erano "oddio" e "ti prego".

Tese con debolezza una mano e la ragazza lo aiutò a sedersi: la testa gli girava e aveva una gran voglia di vomitare talmente tanta nausea aveva. Però doveva farsi forza e trovare un posto sicuro dove nascondersi.

– Vi prego, andiamocene di qui, fatevi forza e andiamo via! – Piangeva Sofia.

Tommaso deglutì con fatica cercando di alzarsi. – A–aiutami...

Lei non se lo fece ripetere una seconda volta aiutandolo ad alzarsi e, sorreggendolo al meglio delle proprie forze, lo aiutò a muovere i primi barcollanti passi.

 

⊶ ⨗ ⊷

 

Aulo aveva sperato sino all'ultimo che gli umani avessero lasciato perdere di quanto accaduto la notte precedente dato l'arrivo della Caccia Selvaggia ma, da quel che vedeva, ciò aveva solo scaturito più che la loro curiosità la loro paura, l'emozione che realmente comandava il loro animo.

Lui e i suoi uomini non avevano avuto difficoltà a seguire la corsa disperata di quei due ragazzi e, anzi, ne fu molto colpito. Se davvero erano stati umani fino a ieri, si erano abituati bene e con velocità alla magia che ora gli scorreva nelle vene.

– Talismani e armi alla mano! – Urlò saltando da un albero all'altro seguito da Alessio.

Abbassò lo sguardo e vide sia Valerio che Anastasia mantenere il passo: il Grimm era già in forma umana e pronto con l'ascia bipenne così come la Cacciatrice che, invece, faceva alcuni movimenti con le mani. Aulo avvertì la temperatura abbassarsi al punto che se fosse stato ancora un uomo avrebbe avuto i brividi di freddo.

Lo scalpitare degli zoccoli si fece sempre più intenso e vicino mentre l'abbaiare di un cane lo costrinse a guardare il bracco rosso e bianco avvicinarsi ad Anastasia. Voleva chiederle dove fosse stato il suo famiglio sino ad allora ma non ne aveva il tempo, i soldati stavano guadagnando terreno.

Condusse la sua legione sino a un piccolo spiazzo e si affrettò ad alzare un braccio in segno di arresto prima di adocchiare Michele, in forma rettile, strisciare su un albero dalla parte opposta della radura. – In posizione!

Sul castagno accanto al proprio, Alessio aveva già imbracciato l'arco e incoccato una freccia attendendo il momento esatto prima di prendere la mira, attento a non stancare le braccia. Valerio era sotto di loro con le spalle alla corteccia e la Cacciatrice stava concentrando tutti i venti freddi a sé, pronti a prendere qualsiasi direzione e potenza lei volesse.

Dal canto suo, il Tribuno, non poteva far altro che aprire le danze.

Scese con un balzo dall'albero recandosi un poco più indietro, nascondendosi nella vegetazione per rimuovere sia i guanti in cuoio che gli stivali. Emise un respiro profondo prima di rimuovere la fede al dito: la sua pelle divenne quasi trasparente, incorporea come nebbia mentre i lisci capelli neri si cospargevano di foglie.

Si inginocchiò a terra per infilare le lunghe e sottili dita nel terreno; anche i suoi capelli crebbero e si fusero ai rametti di finocchio, allungandosi per raggiungere il suolo per affondarci come se fossero radici. Le mani si scurirono e le nere ciocche s'intrecciarono tra loro creando delle vere e proprie radici conficcate nel terreno, rendendolo un tutt'uno con l'ambente circostante.

Chiuse i verdi occhi e si alienò delle sensazioni che il suo corpo percepiva, dei rumori e dell'olfatto, concentrandosi sui rami e sulle sue dita che, lentamente, prendevano coscienza.

Sebbene questa fusione col terreno durò per qualche istante, per Aulo fu come un caldo ritorno a casa: respirava attraverso l'erba e le chiome degl'alberi, vedeva e sentiva attraverso  il terreno e poteva giocare con tutto ciò che la natura gli concedeva. Fu per questo che, quando i cavalli si avvicinarono alla radura, iniziarono a nitrire e ad arrestarsi all'improvviso, perché il suo essere era rinato per essere fuso col mondo.

Lacci d'erba resistenti come corde afferrarono gli zoccoli di alcuni cavalli e, in fretta, il terreno si sciolse come burro sotto di loro prima di tornare solido, bloccandoli del tutto. Alcuni cavalieri caddero al brusco arresto, altri imprecarono mentre le veloci fecce di Alessio, aiutate dai gelidi venti della Cacciatrice, trapassavano le cotte in maglia per conficcarsi nella carne.

La pesante corsa di Valerio precedette il clangore metallico della sua ascia contro un pesante spadone che cadde a terra: coprì alla svelta l'arma facendo emergere una radice e bloccò il soldato per una caviglia in modo tale che il combattente lo finisse con un colpo ben assestato nel torace.

Avvertì anche lo strisciare di Michele che, però, scomparve per essere poi sostituito con urla di dolore e un grande tonfo. Il suo sibilare e la voce agonizzante di qualcuno che stava venendo strozzato gli fece pensare che non necessitava di alcun aiuto.

Il combattimento continuava inesorabile, Valerio correva e lasciava scie di sangue dietro di sé mentre il sibilare delle frecce e dei venti a scuotere le foglie crebbe man mano che le urla aumentavano sin quando, all'improvviso, tutto tacque.

Il Tribuno non dovette aprire gli occhi per capire che la battaglia era stata vinta ma lo fece ugualmente, inarcando la schiena per alzarsi con rammarico da terra: per quanto volenteroso di raggiungere la propria legione non era solo dolore fisico quello che provava nel togliere le radici dal terreno.

Si rimise in piedi portandosi all'indietro i capelli corvini recuperando stivali e guanti prima di avvicinarsi al campo di battaglia e ai suoi compari ancora col fiatone nel caso del Grimm e in forma ferina nel caso di Michele.

– Ottimo lavoro. – Commentò guardando i cadaveri a terra. – Liberate i cavalli mentre mi occupo di questi e andate a vedere dove sono andati quei due.

Muti assensi arrivarono da ogni direzione mentre, coi piedi affondati nella umida terra, sospirò stanco lasciando che le salme venissero inghiottite nel terreno, scomparendo per sempre.

 

 

Spazio Curiosità

Il Benandante è una figura che nel 1500 esisteva realmente ma che, col passare del tempo, è divenuto una parte delle leggende italiane.
Originario del Friuli Venezia Giulia, la figura del benandante serviva a proteggere i raccolti dalle streghe e dai loro malefici: egli potevano mutare l'aspetto con quello di un piccolo animale o diventar nebbia e usavano dei rami di finocchio per combattere.
Si diceva anche che potevano anche vedere i morti e udire i messaggi.
Un riferimento odierno alla loro esistenza è il detto "sei nato con la camicia": si diceva infatti che i benandanti erano coloro che nascevano ancora avvolti nel sacco amniotico, segno che tale nascita fosse segno di buon auspico e fortuna.

 

Si ringrazia @Lady_AmelihaDarko99 per aver dato vita ad Aulo

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Nel Sottobosco ***


Sofia era rimasta a vegliare Tommaso per parecchie ore prima di abbandonarlo qualche minuto per sgranchirsi le gambe. L'ansia nei confronti del ragazzo non era nulla rispetto al senso di colpa che sentiva per averlo convinto a saltare giù da quel dirupo; senza contare la fame che, da quella stessa mattina, le faceva brontolare lo stomaco.

Se prima aveva avuto paura per la loro sorte, ora era certa che se non fosse accaduto un miracolo sarebbero morti di freddo o denutriti.

Si voltò nella stessa direzione dove soffiava il vento, sentendo i caldi raggi del sole toccarle la pelle per quanto le fronde degli alberi lo permettessero. Aveva più volte provato a sforzare la vista per riuscire a vedere con esattezza dove stesse posando i piedi ma, purtroppo, era come se vedesse attraverso il fondo sporco di una bottiglia... quanto avrebbe dato in quel momento per un calice di vino.

Per quanto avesse provato a cercare dell'insalata matta, delle cicorie, dell'acetosella o anche solo una qualsiasi pianta che fosse commestibile, ma terra vedeva solo masse informi verdi e marroni. Anche se ci fosse stato del pane, non l'avrebbe notato.

Si riavvicinò al ragazzo ancora privo di sensi: avevano fatto poche decine di metri prima che svenisse ed era stata costretta a doverlo trascinare in un posto che le parve, per quanto possibile, riparato. Era rimasta lì con lui per tutto il tempo e aveva strappato parti della gonna quando aveva scorto delle macchie scure, forse di sangue, coprirgli le pallide gambe, le braccia e tutta la parte destra del volto.

Era sempre stata brava a medicare quand'era al castelletto, perciò pensava di essere bene o male riuscita a sistemare le sue ferite: si sedette posando con delicatezza il suo capo sulle cosce e controllò nuovamente le fasce strette, sfiorandole appena per poi accarezzare le morbide orecchie.

– Mh...

Il rantolio del ragazzo la fece sorridere e, involontariamente, lo avvolse in un abbraccio. – Grazie a Dio stai bene! – Sospirò sollevata sciogliendo la stretta, abbandonando qualsiasi formalità. – Come ti senti?

In tutta risposta Tommaso fece movimenti circolari con le spalle, sgranchendosi prima di alzarsi a sedere e strofinarsi il viso con le mani, mugugnando di dolore appena toccò la parte lesa del volto.

– Mi sento uno schifo... – Borbottò muovendo le braccia e ruotando le gambe per vedersi le ferite prima di voltarsi verso Sofia. – Tu stai bene? Siamo stati seguiti? E Atalanta?

Lei non gli rispose e non gli diede il tempo di porre l'ennesima domanda che lo abbracciò di nuovo, singhiozzando, lasciando che calde lacrime le scorressero sulle guance e il suo fine udito sentisse il cuore di lui accelerare di battito.

– Dio mio, per fortuna stai bene! Avevo temuto il peggio...

Capì che fosse tornato umano quando le sue mani la scostarono per accarezzarle il viso. – Grazie a te sto bene, non piangere... – Sussurrò schiarendosi poi la voce un po' rauca, asciugandole le lacrime coi pollici. – Grazie per avermi medicato.

– Era il minimo... – Scosse il capo arretrando di un poco, timida. – Ho provato a cercare qualcosa da mangiare in giro ma non vedo nulla e non mi sono allontanata, mi spiace non aver potuto fare molto.

La risata di Tommaso la colse alla sprovvista. – Tranquilla, dammi qualche minuto che mi riassesto e poi andiamo a cercare qualcosa da mettere sotto i denti! Ti ricordi, vero, che lavoravo alla taverna? Anche se la signora Berta mi inseguiva col mattarello ogni volta che mi avvicinavo alle pentole, sono bravo a cavarmela con qualsiasi ingrediente! – Quel suo strano e insensato buonumore la fece sorridere.

 

⊶ ⨗ ⊷

 

Atalanta non si era fatta vedere né nella mezz'ora che rimasero in quel rifugio di emergenza né quando sia lui che Sofia ripresero il cammino alla ricerca di cibo e di un corso d'acqua.

Avendo poi ripreso la forma semiumana che aveva al mattino, Tommaso si era ritrovato nuovamente scalzo a camminare in mezzo ai boschi; in più aveva delle fasce e delle bende sporche del suo stesso sangue avvolte sia alle gambe che alle braccia.

Sebbene una parte di lui l'avesse voluto farlo con l'unico scopo di essere romantico, teneva le dite strette in quelle della ragazza, facendole strada e aiutandola a camminare quando il percorso si faceva più irregolare.

Rimasero per lo più in silenzio, vigili all'ambiente e agli eventuali inseguitori che prima avevano rischiato di ucciderli mentre i sempre più deboli raggi del sole scomparivano: mancava davvero poco al calare della notte e voleva trovare un riparo il prima possibile.

Dopo una lunga camminata giunsero nei pressi di un piccolo ruscello dove, a poche decine di metri, trovarono una parete di roccia con una piccola caverna: non era molto profonda, giusto un paio di metri, e avrebbero dovuto dormire abbracciati per starci entrambi ma col sole ormai scomparso all'orizzonte, non avevano alternative.

In seguito ad aver mostrato e accompagnato Sofia verso il ruscello, le lasciò l'incarico di dare una ripulita ai vestiti mentre lui si occupò di recuperare della legna asciutta e delle foglie secche per accendere un fuocherello con della selce che aveva trovato per puro caso nella caverna.

Una volta alimentato e stabilizzato le fiamme, Tommaso perlustrò la zona alla ricerca di qualcosa da mangiare: sebbene non conoscesse molto bene quei boschi, individuò delle piantine d'aglio e quelli che chiamava "soffioni", ovvero dei fiori gialli che in estate cambiavano petali che, al minimo soffio di vento, volavano via. Guardando verso i rami aveva anche trovato qualche nido ma non se la sentì di rubare tutte le uova trovate, ne prese giusto qualcheduna.

Una volta ritornato al campo aiutò la compagna a stendere quel che ne rimaneva del panciotto e del suo bel vestito azzurro su un albero vicino. In attesa che si asciugassero si sedette al fianco di Sofia, coperta dalla sola sottoveste bianca perlopiù scucita, dinanzi al falò e iniziò a mangiare quel misero pasto. In quel momento avrebbe dato qualsiasi cosa per assaggiare lo spezzatino di Berta... quanto gli mancava il Signor Pepe, chissà cosa stavano facendo in quel momento.

Li immaginava tutti raccolti nella cucina dell'ostello, a chiacchierare di cosa fosse accaduto durante l'arco della giornata, e di sicuro quell'antipatica di Tessa si lamentava di aver lavorato più degli altri, cosa mai veritiera.

Non voleva pensare che stessero discutendo riguardo a lui; a suo parere il loro ricordo doveva restare qualcosa di accogliente e prezioso, un luogo dove rifugiarsi quando era triste, proprio come in quel momento.

Tornò ad osservare il fuoco scoppiettante davanti a sé, masticando con un po' di controvoglia quelle aspre piante, ignorando l'ambiente attorno: ora che la notte stava calando anche il suo umore era dello stesso avviso.

– Tutto bene?

La domanda di Sofia lo costrinse a guardare il suo volto illuminato dall'arancione delle fiamme. – Mi manca l'ostello.

– Anche a me manca casa... – Confessò. – però non abbiamo scelta se non quella di scappare.

– È da almeno un anno che non rimango nello stesso posto per più di qualche settimana. – Tommaso si rannicchiò abbracciandosi le gambe nascondendo il volto in esse. – Pensavo di aver trovato un po' di pace dopo tanto tempo.

Sentì con chiarezza il suo sospiro e non poté farci nulla. Sbuffò alzandosi da terra nascondendole gli occhi lucidi. – Faccio il primo turno di guardia, riposati.

Non le diede il tempo di rispondere che, con passi lenti e ancora un po' zoppicanti, si allontanò dall'accampamento osservando attraverso le fronde degli alberi il cielo che iniziava ad imbrunire.

 

 

Spazio Curiosità

Per scrivere questa storia ho usato un metodo da me inventato un po' particolare, ovvero il metodo del d20.
Il d20 è un dado a venti facce che solitamente si usa nei GDR come Dungeons & Dragons e simili ma, in questo caso, l'ho sfruttato per decidere la sorde dei personaggi. Sotto quasi ogni loro scelta, c'è il tiro di dado.
Un esempio è quello nel precedente capitolo: mi sono chiesta quanto Tommaso si sarebbe fatto male a fare un salto del genere e ho lanciato il dado per scoprirlo (... ho fatto un tiro un po' bassino). Un roll ha deciso l'orientamento sessuale di Sofia, un'altro ha convinto Tommaso ad entrare nella Cava delle Streghe (tiro positivo) ma di essere crollato dal sonno subito prima di riuscire a sentire chi parlasse (fallimento critico - ovvero 1).
Se non so cosa fare o se voglio scoprire i personaggi si rendono conto di alcuni dettagli, tiro un dado.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Quello che occhi non vedono ***


 

Sofia era già crollata dal sonno quando, alle prime luci di una luna non più del tutto piena, il suo corpo mutò assumendo l'aspetto della notte precedente. Tommaso rimase impassibile quando la sua statura aumentò e la pelle si ricoprì totalmente di quella morbida peluria; si limitò a scrollare le spalle e a grattarsi dietro a un lungo orecchio prima di riprendere il cammino.

Era dalla notte precedente che stava mostrando una disinvoltura e una resistenza d'animo che non gli appartenevano, tutto per non far stare Soifa ancor più male . Lui era abituato a viaggiare, a non stare per più di qualche mese nello stesso villaggio al suo contrario e desiderava con tutto sé stesso di non costringerla a quel tipo di vita.

Un ramo si spezzò.

Si immobilizzò di colpo al contrario delle sue orecchie che, subito, si mossero in direzione del rumore: dovette ben concentrarsi per capire che ci fosse qualcosa in avvicinamento ma, nonostante l'eccezionale udito, non riusciva a intuire cosa e quanti.

Quella volta, però, non sarebbe scappato. Si assicurò di avere con sé le pietre focaie e, con un po' di forza, fece un balzo di qualche metro per atterrare prontamente su un grande e spesso ramo, arrampicandosi poi un po' più in alto per riuscire a nascondersi tra il fogliame.

Riusciva a vedere la luce del falò e Sofia da quell'altezza, cosa che lo rassicurò non poco mentre si concentrò per affinare i propri sensi per mettersi alla ricerca di chi o cosa avesse spezzato quel ramo: non avvertiva alcun odore in particolare e la vista, seppur buona in quel buio, non rivelò nulla. Avvertì invece il suono di alcune foglie secche venir calpestate e uno strano brivido gli fece accapponare la pelliccia.

Attese in silenzio che qualcuno si facesse vedere e, infatti, poco dopo eccoli: si trattava di tre uomini incappucciati, di cui uno spiccava sugli altri per l'altezza e la larghezza di spalle, ma nessuno di loro impugnava un'arma. Non si mosse e non emesse nemmeno un respiro, lasciò che l'adrenalina scorresse indisturbata mentre quelle figure avvolte nell'ombra passavano sotto di lui.

Prese coraggio e, prendendo l'acuminata pietra, si lanciò con braccia protese verso la persona più vicina.

Non badò al forte impatto contro quel losco figuro, si concentrò invece ad approfittare dell'attacco a sorpresa per dargli un calcio sul petto per lanciarlo lontano di qualche metro, scattando poi verso l'altro uomo per afferrargli un braccio, torcendoglielo mentre con la mano libera gli puntava svelto la silice alla gola. – Fermi o lo uccido!

Un brivido di terrore gli corse lungo la schiena quando vide il volto di quel gigante: che diamine era?!

– È così che ringrazi me e mio fratello? – Il tizio che aveva scaraventato a terra era dinanzi a lui, che lo osservava con strani e inquietanti occhi verdi.

Tommaso non capì il senso di quelle sue parole e rimase per un istante perplesso quando la persona che teneva stretto fra le braccia scomparve; al posto di un braccio, stava afferrando il corpo di un enorme serpente. Urlò.

– Che hai, coniglietto? – Lasciò cadere il rettile, gridando in prenda al terrore quando venne preso per il colletto del panciotto e sollevato da terra di almeno mezzo metro dal gigante. – Perché non ti dai una calmata?

– Lasciatemi! – Afferrò il grande polso che lo sorreggeva cercando di morderlo, dimenandosi con le ingombranti gambe. – Aiuto!

Non diede retta alle parole che dissero e agli scambi di sguardo che si diedero, a Tommaso importava solo di scappare da quegli strani tizi e fuggire assieme a Sofia. Al pensarla addormentata poco distante gli occhi divennero lucidi: cosa ne sarebbe stato di loro? Perché gli era venuta in mente la malsana idea di fare l'eroe mettendola in pericolo?

Si diede dello stupido mentre continuava a tirare calci a vuoto e a graffiare coi denti e le unghie una presa che non osava venir meno.

– Aulo, che faccio?

Cercando di capire a chi si stesse riferendo l'omone si rese conto solo allora che, ogni qual volta respirava, usciva una nuvola di vapore: al fianco di un'altra figura incappucciata, un enorme destriero nero.

L'ultima cosa che vide prima di svenire fu la morte sorridergli.

 

⊶ ⨗ ⊷

 

Non era per nulla abituata a quell'eccessiva sensibilità ai rumori tant'è che dovette portare entrambi le mani al capo pur di non impazzire. Aveva sentito qualcuno urlare ed essere sollevato da terra da qualcosa molto più grosso a una cinquantina di metri da lei, con altre persone che si stavano avvicinando nella sua direzione.

Il fatto di averlo capito solo tramite il suono spaventava Sofia ma, ormai, quello era il suo unico modo di vedere.

Rimase in posizione fetale per qualche istante con le uniche dita libere dalla membrana fra i capelli, giusto il tempo necessario per calmare il battito agitato del proprio cuore perché assordante. Però, una volta orientatasi, era troppo tardi per pensare come agire: ormai quelle cinque mostruose figure erano ferme al suo cospetto.

A farsi avanti fu quello che percepì essere l'uomo più grande che avesse mai visto, lo stesso che reggeva Tommaso come se fosse stato un sacco: era vivo ma saperlo svenuto non la rassicurava affatto. Comunque, chiunque lo avesse in braccio, lo fece sdraiare accanto a lei mentre altre due figure, dalla corporatura molto simile, si abbassarono i cappucci mostrandole quello a cui stentava a credere: erano entrambi morti.

– Che facciamo, la svegliamo? – Chiese l'affogato.

– Prima indossate il talismano, – Rispose un altro essere la cui "essenza" di nebbia era trattenuta da dei lacci erbosi. – non vorrei che si spaventasse come il suo compagno.

– È stato lui ad attaccarci per primo. – Commentò l'altro morto anche se, questi, aveva più l'aspetto di un rettile.

– Dai, è stato coraggioso! Non ho mai visto nessun umano osare a sfidarci!

Ciò che fece tremare Sofia non fu tanto la voce fanciullesca e femminile, totalmente fuori contesto in quel tetro bosco, ma quello che il suo udito le mostrava: a differenza degli altri non riusciva a distinguere una figura netta, vedeva un qualcuno in perenne mutamento come se si fosse trattato di una nuvola di denso fumo. Di una cosa, però, era certa: lei era la morte.

– Mettiti gli orecchini, non vedi che sta tremando? – Fu il gigante a parlare.

– Per ora non mi servono.

Le sue quiete ma tetre parole le avrebbero dovuto far rizzare i peli ma uno strano sonno la sopraffò; non le importò di rivelare il fatto che fosse stata lì ad ascoltarli, ora voleva cercare di fuggire o, per lo meno, di sollevarsi ma la forza di quelle sue strane braccia alate cedette. Inerme, a terra, lottava con tutta sé stessa per rimanere lucida mentre una strana sensazione, come un ricordo lontano, la costringeva ad addormentarsi.

 

 

Spazio Curiosità

L'Anguana, anche nota come "fata d'acqua",  è uno spirito della natura legato alle leggende alpine. Si tratta di ragazze bellissime dai lunghi capelli rossi ma, ovviamente, non del tutto umane: possono avere zoccoli al posto dei puedi, gambe coperte di muschio o schiena rivestita dalla corteccia. Alle volte appaiono per metà rettili o metà pesci e vivono in zone d'acqua.
Si dice anche che sono in grado di lanciare forti grida e per questo, in Veneto, esisteva fino a poco tempo fa il detto "Sigàr come n'anguana", ovvero "gridare come un'anguana".
Il termine Anguana si usava anche per indicare tutte le ragazze che erano sempre ai pozzi o ai lavatoi per lavare i panni.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Non solo leggende ***


Sbadigliò sonoramente mentre mugugnò qualcosa con la bocca tutta impastata dalla dormita. Il profumo di caffè e il tipico borbottio della sua bollitura lo avevano destato, già aveva l'acquolina al pensare che cosa avesse preparato Berta per colazione...

Però non era all'ostello.

Si alzò di soprassalto con il cuore in gola, destando la dolce risata di una ragazza il cui viso gli era in qualche modo familiare. Dinanzi a lui, seduti al focolare, c'erano infatti alcuni individui che mai aveva visto prima di allora: due uomini, la giovane sorridente di prima e Sofia che, vicina a lui, teneva in mano una fetta di pane intatta con così tanta marmellata che le stava colando sulle dita.

– Buongiorno, principessa! – Sorrise la ragazza. – Era anche ora che ti svegliassi, l'alba è passata da un bel po'!

Tommaso era disorientato dalla presenza di tutte quelle persone e il fatto che la sua compagna stesse tremando di certo non l'aiutava. Fu quando riconobbe gli occhi chiari e quasi serpentini dell'uomo dai capelli castani, raccolti in un ordinato codino, che sobbalzò scivolando indietro.

– Calmati, coniglietto, siamo amici! – Gli sorrise il gigante dalle spalle larghe mentre allungò un braccio per aiutarlo a rialzarsi, lo stesso che la notte prima l'aveva sollevato da terra senza sforzo alcuno.

Però, si ricordò, di averlo visto con un volto ben diverso rispetto a quello di un uomo sorridente dai corti capelli neri e una benda che copriva un occhio castano. Come mai sembrava un umano? Che fosse simile a lui e a Sofia?

Questo dubbio lo convinse a calmarsi, a sedersi meglio per poter iniziare a capire in che situazione si fosse ritrovato. Li osservò per qualche minuto e si decise a parlare quando notò che le sue medicazioni erano state sostituite con cura.

– Chi siete? – Domandò.

– Io sono Anastasia, ma noi due ci siamo già incontrati! – Gli rispose la ragazza dai capelli biondo fragola, vestita di un leggero abitino verde, più adatto all'estate che all'inizio della primavera. – Lui è Valerio, – Fece un cenno col capo al gigante per poi inclinare la testa dal lato opposto verso l'uomo barbuto, "il serpente". – e lui Michele.

– Voi siete quella che...?

– Esatto! – Gli porse una fetta di pane con della confettura scura. – Scusa se ti sono venuta addosso, stavo cercando lei!

Solo allora Tommaso si rese conto della presenza di Atalanta che, felice, scodinzolava con la testa appoggiata sulle gambe di Anastasia.

– Io sono Alessio, – Intervenne poi un giovane uomo dai mossi capelli biondo scuro rimasto in piedi. – mentre quello al mio fianco è Aulo.

Aulo si avvicinò e fu il primo a porgergli una mano, un gesto talmente tanto banale quanto lo intimorì. Forse erano i suoi lisci capelli neri, a detta sua troppo lunghi per un uomo, o la pelle pallidissima o i suoi occhi più verdi dell'edera a non convincerlo, ma qualcosa non andava in lui.

Ricambiò la stretta, titubante. – Piacere, Tommaso...

Solo quando addentò il pane vide Sofia fare lo stesso; non sapeva da quanto fosse sveglia ma il fatto che non avesse ancora spiaccicato parola lo insospettiva.

– So che siete spaesati ma non dovete avere timore di noi. – Aulo si sedette e bevve un sorso di caffè. – Sebbene ieri i miei compagni abbiano voluto dare sfogo alle loro personalità, mi scuso per loro del disagio che ti hanno arrecato; non era di certo loro intenzione, vero?

Dall'occhiataccia che fece Michele, il serpente, capì che tra loro due non scorresse buon sangue. – Già.

– Si può sapere che cosa siete?

Tommaso quasi sospirò di sollievo al sentire la voce di Sofia, più cauta che preoccupata.

– Che cosa siamo? – Ripeté con una strana allegria Anastasia. – Noi siamo delle filastrocche, delle leggende o delle storie nate dalle bocche di tutti. E ora pure voi ne fate parte!

– Fare parte di cosa?

– Di questo fantastico mondo!

– Quello che intende dire è che ora non siete più umani di noi; – Alessio si sedette accanto a Valerio. – è da quando avete lasciato Borgovecchio che vi stiamo cercando, quello che vi è accaduto non è altro che il rituale per rinascere come Coga, andato perduto con la guerra di cinquant'anni fa.

– Alessio!

– Cosa c'è, Aulo? – Sorrise beffardo a quel volto severo. – Tanto anche la Masca non può tacere loro la verità. È bene che la sappiano prima per prepararsi a ciò che ne verrà.

– Mia nonna mi raccontò di voi...

Tommaso fu il primo a voltarsi verso Sofia. Tutti, nessuno escluso, ora teneva gli occhi fissi su di lei in attesa che muovesse nuovamente le carnose labbra.

Volse il capo biondo verso Michele e Alessio. – Chiamavano Anguane coloro che rinascevano dalle acque per salvare delle vite; chiamavano Benandate colui che scendeva con la nebbia a proteggere i campi. – Osservò Aulo per poi trattenne un sorriso a Valerio. – Il Grimm, coperto di farfalle, forzuto e buono quanto il suo antenato; e infine la morte a cavallo col suo fido segugio, la Caccia Selvaggia...

Tommaso giurò di aver visto una fiamma azzurra negli occhi di Anastasia.

– Noto con piacere che qualcuno vi abbia tramandato le antiche leggende, – Aulo portò una ciocca di capelli dietro all'orecchio. – ma antiche non sono e leggende neppure. Vi condurremo ad Altacqua, la nostra casa, dove la Masca vi spiegherà tutto. Finite di mangiare e aiutate gli altri a nascondere le vostre tracce, vi attendo più avanti... Michele, Anastasia, con me.

I due si allontanarono silenziosi seguendo quello che a Tommaso parve essere il capo di quella piccola combriccola. Si avvicinò di un poco alla compagna e terminò di mangiare silenzioso, scrutando di tanto in tanto l'omone sorridente e quello che Sofia definì un'Anguana. Non aveva mai sentito parlare di nessuna di quelle dicerie, eccezion fatta per la tremenda Caccia, però era certo che da lì in avanti quella che sino ad allora era stata una tremenda sfortuna poteva presto divenire l'avventura più grande di tutta la sua vita.

 

⊶ ⨗ ⊷

 

– Da secoli il mondo che viviamo è considerato diviso in due: da una parte c'è il mondo umano, dove sino a qualche giorno fa avere dimorato, e dall'altra c'è il nostro mondo, una realtà che è stata costretta a restare nascosta nella speranza di preservarsi e di non essere dimenticata per sempre.

Era Alessio a parlare: aveva iniziato a raccontare a lui e a Sofia la loro origine per riempire il tempo sulla lunga strada che li separava da Altacqua. Avevano da poco ripreso il cammino e stavano seguendo il corso del fiume nascosti nella boscaglia, su un sentiero che solo in pochi potevano vedere; il vento era ancora freddo ma i raggi del sole che riuscivano a liberarsi dalle chiome dei sempreverdi erano confortevoli e ben luminosi.

– Nella regione di Colle Salmastro – Proseguì l'arciere. – ci sono delle città nascoste che permettono a chiunque non sia umano di vivere con una discreta tranquillità, tra cui quella dove ora siamo diretti, Altacqua. A proteggere tali luoghi sin dalla loro creazione c'è la Caccia Selvaggia: – Anastasia gli fece una linguaccia, divertita. – sono molto temuti dagli umani per il loro aspetto e per le dicerie che viaggiano su di loro, per questo sono loro a garantire per la nostra sicurezza.

– Poi ci sono le Anguane, – Indicò sé stesso e Michele, più avanti al fianco di Aulo. – come dicevi poco fa, Sofia, noi un tempo eravamo umani... ancora oggi né io né mio fratello ricordiamo con esattezza come siamo morti ma so per certo che siamo rinati proprio dalle acque del Magra, che scorre qua accanto. Da allora ci siamo impegnati e adoperati per aiutare il nostro popolo a ricavare medicinali dalle erbe curative e a procurare cibo con una caccia molto più semplice ed equa a quella umana.

– C'è anche la mia leggenda, – Intervenne Valerio affiancandosi. – quella dell'Orcolat!

Tommaso sorrise. – Ne ho sentito parlare, a Borgovecchio le porte hanno delle incisioni a forma di farfalla!

Il gigante gli scrollò il capo in un gesto affettuoso, tale e quale a quello che gli faceva il Signor Pepe; chissà come stava... – Informato, il ragazzo! Comunque veniamo chiamati Grimm!

– Poi ci sono i nostri guerrieri, i nostri maestri della natura e dell'astuzia, i Benandanti. – Riprese Alessio. – Rinascono dai campi per proteggere e prendersi cura delle loro terre.

– Avevate detto che sembriamo dei Coga, però non ricordo alcuna fiaba o leggenda su di loro... cioè, su quello che in apparenza siamo diventati.

Sofia era sin dall'inizio del cammino rimasta al suo fianco, lasciandosi scortare a braccetto nonostante avesse detto di poter proseguire in autonomia. Tommaso non le aveva più dato il minimo ascolto dopo averla vista inciampare almeno un paio di volte.

– E che cosa sarebbero queste Coga? – Domandò infatti il ragazzo. – Dalle mie parti, a nord, si parla di uomini che con la luna piena impazziscono e si comportano come animali ma...

Alessio ridacchiò. – Oh, no, quelli sono i Lupi Ominari, e siete totalmente fuori strada!

– Ehi, laggiù, fate silenzio!

L'ammonimento di Michele fece zittire e dirizzare le orecchie a tutti. Tommaso non si era accorto dell'assenza di Atlanta sin quando non la vide far ritorno tra i cespugli più avanti: si sedette accanto ad Anastasia e le prose la zampa.

Da quel che capiva, era come se il cane stesse mutamente riferendo tutto alla sua padrona, anche perché di tanto in tanto la vedeva annuire, ed ebbe la conferma di ciò quando la Cacciatrice si alzò per avvicinarsi ad Aulo per riferirgli qualcosa all'orecchio. Dovette trattenere un sorriso nel vedere l'alto uomo abbassarsi e mettere le mani sulle ginocchia per riuscire ad ascoltare quella ragazza non più alta di un metro e mezzo.

– Ci sono dei soldati più a sud, verso il lago. – Fece un cenno a Valerio che, prontamente, estrasse una mappa consunta da una tasca. – Faremo il giro di questa pineta prima di accostare il fiume. Useremo il primo ingresso anche se più esposto.

– Se facciamo in fretta saremo lì al calar del buio. – Osservò Alessio.

Michele annuì. – Non possiamo permetterci di fermarci anche solo un minuto di troppo. Li stanno ancora cercando e ci serve il permesso della Masca per depistarli.

Tommaso riusciva a sento a seguire quel discorso e lo stesso valeva per Sofia, la quale cercava di capire chi dicesse cosa e di immagazzinare ogni frase mimando col labiale le parole che udiva.

Fu lo sbuffo pesante di Anastasia a interromperli. – Sì, sì, aspettate pure conferma della Masca! Io vado avanti a ispezionare il sentiero... – Fischiò con forza prima di chinarsi per togliere ad Atlanta il collare e sfilarsi gli orecchini. – A dopo!

Nessuno, lui e Sofia esclusi, sobbalzò alla vista della ragazzina ora divenuta una figura avvolta da fumo con occhi interamente bianchi e fiamme nere al posto dei capelli; rimasero impassibili anche quando fece apparire un destriero d'ombra per montarlo e dirigersi dove una piccola figura di puro vento la conduceva.

La sua compagna tremò. – Ma che...

– Esibizionista... – Sussurrò Aulo prima di rimettersi in marcia. – Su, andiamo.

 

 

Spazio Curiosità

Secondo la tradizione siciliana per diventare Lupo Ominaro, più noto come Licantropo, bastava addormentarsi con, accidentalmente, viso rivolto verso la luna.
Giuseppe Pietrè, padre dell'antropologia siciliana, descrisse la licantrioia come una malattia, una conseguenza di un "male" che nelle notti di luna piena fa smarrire i malati, costringendoli a scappare di casa. I malati non si trasformano ma per qualche motivo non riescono a sollevare la schiena e camminano ricurvi su sè stessi e tendono a denudarsi.
Una cosa "divertente" dei Lupi Ominari è che per riuscire a scappare dai loro intenti omicidi, bastava salire una scalinata: si dice che non riescano ad andare oltre i tre gradini.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Altacqua ***


Erano ormai trascorse quattro ore da quando Anastasia si era avventurata da sola nel bosco; Sofia camminava in silenzio al suo fianco e lui, di tanto in tanto, rinforzava la presa quando il sentiero si faceva più dissestato. Tommaso scrollò il capo e si stiracchiò le spalle: nonostante l'andatura fosse alquanto moderata si sentiva le gambe stanche ed era parecchio affamato. Dopotutto era da qualche giorno che non mangiava un pasto completo.

Adocchiò distrattamente gli uomini, se così poteva definirli, dinanzi a sé per notare quanto Michele desiderasse rimanere sulle sue nonostante si voltasse almeno ogni due minuti per scrutare lui e la compagna.

A sembrare una coppia di ragazzini spensierati erano Aulo e Alessio che chiacchieravano tra loro mentre l'omone chiudeva la fila del gruppo.

Qualche minuto dopo notò Valerio aumentare il passo per raggiungerlo con un sorriso curioso sul volto. – Anastasia mi ha detto che vieni dal nord, ma che paese c'è più in su di Borgovecchio?

– Penso nessuno, perché? – Lo fissò nell'unico occhio.

– Quindi arrivi dalle terre dei ghiacci? – Lo canzonò. – In effetti sei troppo svestito per non sentire freddo!

– La mia tribù era di Vetta Gela. – Sorrise: in pochi sapevano da dove venisse e vedere sul viso di Sofia della sincera curiosità lo rasserenò. – Nessuno dei nostri insediamenti è mai stato segnato nulla sulle mappe del confine perché non eravamo in molti... forse una quarantina ma non di più.

– E perché te ne sei andato, se posso?

Quella domanda da parte della ragazza bloccò ogni suo pensiero facendogli spegnere quel principio di spensieratezza sul volto. La sua ferita non era del tutto rimarginata e, tutt'ora, i sensi di colpa lo divoravano. – Diciamo che non correva buon sangue...

Valerio parve accorgersi del suo tono distaccato e, quindi, non attese a mettergli una mano sulla testa per arruffargli i capelli. – Se siete amici perché siete così formali? – Sogghignò. – Su, un po' più di scioltezza!

– Ahi! – Rise nonostante quella pacca sulla spalla fosse degna di quella dell'oste.

– In realtà non ci conosciamo molto, – Riprese Sofia. – non penso di aver mai trascorso del tempo con te prima di Ostara...

Tommaso pregò di non essere arrossito. – Ti ho vista qualche volta all'ostello...

– Comunque non ci eravamo parlati.

Ad ogni frase detta con così tanta franchezza da parte sua avvertiva sempre più imbarazzo: per quanto Luca gli aveva consigliato come agire per conquistarla, da due mesi a quella parte non aveva fatto altro che ammirarla da lontano e, quando finalmente si era deciso di parlarle, era accaduto il finimondo.

Non poteva pretendere di essere al centro dei suoi pensieri come lei lo era per lui, se voleva farle ricambiare i propri sentimenti avrebbe dovuto come minimo conoscerla e non abbattersi al primo ostacolo.

– In effetti... però ora sarà difficile non essere amici!

La vide sorridere. – Hai ragione.

Lui ricambiò il sorriso mentre si accorse che, ormai, il sole era calato che il cielo si faceva sempre più scuro.

Come da due giorni a quella parte, uno strano formicolare lo pervase da capo a piedi mentre, lentamente il suo corpo mutava per tornare in quella strana forma da mezzo coniglio che, in qualche modo, sentiva sua. Anche Sofia, al suo fianco, dovette districare il braccio dal suo non solo perché Tommaso si era alzato di una ventina di centimetri ma anche per la membrana delle ali che, con lentezza, appariva modificando lo scheletro dei suoi arti.

Nessuno dei due aveva arrestato il passo al contrario del resto del gruppo che invece rimase immobile a osservarli.

Fu la fanciulla a fermarsi dinanzi a Michele allungando un'ala per arrestare in tempo il compagno intento a fissarsi le zampe. – Perché vi siete fermati, non dovevamo giungere al vostro villaggio prima che facesse buio?

– Infatti! – Un vento freddo, troppo per quella tiepida serata, precedette l'arrivo di Anastasia che, con passo lieve, apparve al loro fianco insieme ad Atlanta. – Su, su, camminare!

E così fecero proseguendo per qualche manciata di minuti prima di giungere a pochi passi dal margine del fiume la cui corrente diveniva sempre più veloce; Tommaso si trovò a dover drizzare le orecchie per capire che il suono in lontananza fosse il rumore di una cascata.

– Frena i sensi, Tom, mi fai venire il mal di testa! – Sospirò Valerio.

Si voltò verso di lui. – Non è colpa mia se si muovono da sole...

– Però sono morbide! – Commentò accarezzandogli l'orecchio coperto di soffice pelo, scuro quanto i suoi capelli.

– Posso sentire anch'io? – Sussultò quando Anastasia gli afferrò un braccio, costringendolo ad abbassarsi, per poterlo toccare. Un senso di beatitudine lo pervase appena lei iniziò a fargli dei grattini alla base. – Oh mie Dee, è bellissimo!

Sbuffò e, fingendosi indispettito, allargò le braccia. – Qualcun altro vuole favorire?

Una spontanea risata coinvolse i quattro e proseguirono per qualche minuto lungo quella dissestata via in attesa di giungere ad Altacqua.

– Siamo quasi arrivati! – Avvisò Aulo quando erano nei pressi della cascata.

Il bosco che li aveva circondati sino ad allora si fece sempre meno fitto sino a che tutti gli alberi non scomparvero; si trovò dinanzi all'inizio del precipizio dove il fiume terminava il proprio corso e l'orizzonte mostrava ciò che i suoi occhi non avevano mai visto, il mare.

Una folata di vento salmastro lo fece sorridere mentre ammirava quel paesaggio da mozzare il fiato sebbene il sole fosse ormai calato: le terre, cosparse di boschi e qualche altra montagna, erano divise in due dal continuo di questo enorme canale che sfociava in un grande lago, il cui piccolo sbocco sul mare rivelava una piccola luce.

– Quella laggiù è Riva Siamese, – indicò Alessio col dito. – è una città divisa dal mare ma unita da un ponte abitato.

– Un ponte sul mare? – Domandò dubbiosa Sofia.

– Sì, a differenza di tutte le città dove l'Ordine Sacro governa, chi è sotto l'influenza dell'Ordine dei Cavalieri permette agli studiosi e agli architetti di sperimentare e lasciare che il loro ingegno rivoluzi il mondo.

– Se avete finito di chiacchierare dobbiamo andare!

I tre si apprestarono a raggiungere Michele e il resto del gruppo dinanzi ad uno dei vari massi che separavano, come se fossero una recinzione naturale, il terreno dallo strapiombo. Fu in quel momento che vide comparire uno strano simbolo, a forma di onda, su una pietra.

Pochi istanti dopo che Aulo aveva posato la mano su di essa, apparve dal nulla una struttura in mattoni: di primo acchito parve una piccola passerella dai solidi corrimani ma, una volta che si fece condurre assieme a Sofia, vi era una lunga scalinata che conduceva a quella che appariva come una città sospesa.

Se all'inizio della discesa vedeva solo alcuni tetti rossi che risaltavano tra il verde fogliame, man mano che proseguiva incontrava e passava accanto a sempre più edifici; era come se la montagna fosse stata modellata su misura per ogni singola struttura, come se le abitazioni facessero parte del paesaggio naturale.

A sorprendere ancora di più Tommaso era il fatto che entrambe i lati della cascata fossero abitati e che un enorme ponte sospeso nel vuoto ne unisse le due estremità. Non aveva mai visto nulla del genere prima di allora e non gli importò delle espressioni stupite e meravigliate del proprio volto. Era estasiato.

– Benvenuti ad Altacqua, anche detta la città dalle scale infinite! – Ridacchiò Valerio.

Al ragazzo però non importava della fatica che faceva a scendere ogni gradino, a causa delle ingombranti zampe che non riuscivano ad appoggiarsi su un unico piano senza sbattere su quello precedente, lui si guardava attorno e sorrideva a tutte quelle strane persone che vedeva: apparivano stranite, si sussurravano parole a vicenda con espressione turbata ma a lui non  importava, era troppo concentrato sulle figure evanescenti che si mescolavano a giganti dalla pelle colorata e bellissimi uomini e donne dai capelli rossi.

– Vi stiamo conducendo dalla nostra Masca, – Lo richiamò all'attenzione Aulo. – chiedo un minimo di educazione e rispetto nei suoi confronti.

Annuì col capo mentre Sofia, silenziosa, gli si avvicinò svelta. Non disse una parola ma avvertiva che qualcosa la stava preoccupando.

– Tutto bene? – Le sussurrò.

– Da quando abbiamo iniziato quella scalinata sento che, in ogni angolo di questo posto, c'è qualcosa di strano... – Confessò. – come se l'aria fosse intrisa di qualcosa che non capisco. Inoltre è pieno di esseri come la ragazzina.

– Intendi i Cacciatori?

– Sì, loro... sono gli unici che non riesco a vedere bene.

Non negò della perplessità in quella sua rivelazione; ammise che aver visto Anastasia con quel tetro aspetto non lo rassicurava per nulla ma non pensava che per lei fosse strana al tal punto. Rimase in silenzio, pensieroso, mentre camminava sul ponte che univa la città; se non avesse avuto altro per la testa si sarebbe sicuramente affacciato per vedere la cascata.

Pochi minuti dopo, Tommaso attraversò una piazza circolare e si fermò dinanzi all'imponente struttura che dedusse essere il punto di riferimento di Altacqua. La facciata dalle ampie vetrate era illuminata da delle lanterne mentre il resto dell'edificio scompariva all'interno della montagna.

Non riusciva a capire se fosse stata la terra a inghiottire il palazzo o se fosse stato scavato nella roccia.

– Non badate a loro, – Si avvicinò Alessio infilandosi tra lui e Sofia. – sono solo curiosi.

Fu allora che si accorse di quanta gente si fosse radunata in piazza e di come lo stessero guardando: alcuni anziani sorridevano, i bambini salutavano e ridevano a gran voce e, in netto contrasto a tutto ciò, la maggior parte della gente pareva scossa, agitata, come se la cosa più normale da fare fosse quella di mettere una mano sull'arma.

– Ne siete certo? – Lo precedette la compagna. – A me non sembra proprio...

Nessuno rispose a quel commento e Tommaso avvertì della tensione nell'aria; ebbe come l'impressione che il loro arrivo in città e il soccorso che avevano ricevuto non fossero dovuti a un gesto di magnanimità o premura ma da qualcosa di ben più importante.

Salì a due a due i pochi gradini che lo separavano dall'ingresso e ne varcò l'uscio, restando in perfetto silenzio per l'intero tragitto che lo separava dalla Masca.

– Lasciate che sia io a parlare. – Ribadì Aulo facendo un breve cenno col capo prima di aprire la porta.

– Oh, era ora! Su, accomodatevi!

Fu la voce femminile ed energica di una giovane dalla pelle olivastra a predominare l'ambiente: indossava un elegante abito arancione e dei grandi orecchini d'oro emergevano dai ciuffi mori che le contornavano il viso allegro.

La cosa che più l'aveva stupito era la sua giovane età, di tutto si sarebbe aspettato, ma non di una trentenne.

Esortato dal Tribuno fece qualche passo in avanti adocchiando il soffitto in vetro, coperto a tratti da delle piante rampicanti, e i vari mobili e mensole che sorreggevano libri sistemati con cura. Avvertì un morbido tappeto sotto alle zampe, in linea con i divani e le poltrone colorate che circondavano l'intera stanza; in quel momento si accorse di un'altra persona seduta poco distante: somigliava molto a chi l'aveva accolto ma indossava abiti simili a quelli di Michele e pareva arrabbiata.

– E così siete voi i due nuovi arrivi? – Sussultò quando la donna, avvicinandosi, gli posò la grossa e calda mano sul capo per andare ad accarezzargli un orecchio. – Ma sei morbidissimo!

– Masca Catula, vorrei presentarvi Tommaso e Sofia...

– Per le Dee! Cos'è accaduto ai tuoi occhi, sei ferita?! – Aulo fu bruscamente interrottò dalla Masca che si affrettò a raggiungere Sofia per prenderle con delicatezza il viso.

– N–no, sto bene, mi da solo fastidio la luce...

– Povera cara... vieni, – Vide anche la fasciatura del ragazzo sul lato destro del viso. – venite, sedetevi e riposatevi.

Tommaso rimase alquanto stupito da quel comportamento: non aveva mai visto nessun capo villaggio essere così apprensivo e spontaneo quanto lei e si domandò se tutti i non umani fossero strani. Per ora la sua risposta era un sì.

– Fadia, per favore, fai chiamare Marcello per i controlli e Iulius per i talismani.

La donna in disparte si alzò sbuffando ma parve obbedirle e sparì in un corridoio poco distante.

– Su, accomodatevi e parlatemi di quanto accaduto, – Continuò la Masca guardandolo. – siete qui perché noi possiamo e abbiamo il dovere di aiutarvi.

Ancora in dubbio da quell'eccessiva confidenza, rivolse il capo nella direzione di Valerio e del resto del gruppo, aspettando un cenno affermativo da parte di Alessio prima di andarsi ad accomodare sul divanetto accanto a Sofia, davanti alla poltrona dove Catula si era appena seduta.

Raccontò di come vide la fanciulla scomparire nel bosco e di quando la trovò svenuta dentro alla Cava delle Streghe; rivisse il panico di quel qualcosa che l'aveva persuaso ad addormentarsi e il dolore che aveva avvertito al proprio risveglio. Non omise di aver avuto paura quando l'intera città lo minacciò con le armi puntate e del terrore di scoprire come l'aspetto suo e della compagna fosse mutato.

Raccontò anche del giovane uomo che provò a prendere le sue difese, anche se non aveva sentito una parola del suo discorso, e di come approfittò dell'arrivo della Caccia Selvaggia per scappare.

Fu poi interrotto da Aulo che, in breve, raccontò come avessero fatto a intercettarli e di come depistarono le guardie per riuscire a condurli ad Altacqua.

Durante l'intero resoconto,Tommaso aveva visto Catula ascoltare con interesse la loro storia e, aveva notato, che di tanto in tanto lanciava particolari sguardi alla quasi disinteressata Anastasia.

– Nessuno dei due ha altro da aggiungere?

La domanda della Masca parve essere generale ma forse era diretta a Sofia, rimasta in silenzio per tutto il tempo.

– No. – Le rispose calma.

– Sorella, – Fadia apparve dallo stesso corridoio da dove, pochi minuti prima, si era congedata. – il medico e il fabbro sono nell'altra stanza.

Solo allora notò le cicatrici che coprivano le braccia e il viso della donna.

Catula annuì alzandosi e battendo le mani. – Su, ragazzi, seguitela e fate ciò che vi viene chiesto: servirà per curarvi da quelle ferite e per creare i vostri talismani; vi serviranno per poter nascondere il vostro attuale aspetto! – Il suo sorriso era fin troppo rassicurante. – Finché starete ad Altacqua sarete miei ospiti, sentitevi tranquilli e liberi di chiedere se avete bisogno di qualcosa.

– Grazie.

– Sì, grazie per tutto...

Aiutò Sofia ad alzarsi e rimase al suo fianco mentre si faceva condurre da Fadia all'esterno della stanza; diede un ultimo sguardo dietro di sé prima di voltare l'angolo conscio che dietro a quei bei sorrisi ci fossero delle espressioni che non promettevano nulla di così sereno.
 

⊶ ⨗ ⊷


Aulo mantenne i gelidi occhi fissi nella direzione dei due Coga, forse una vola umani, sin quando non sparirono nel corridoio assieme a Fadia. Si domandò cosa fosse loro realmente accaduto, com'era stato possibile che due umani fossero divenuti esseri di una razza ormai estinta.

Attese per qualche minuto che o la Cacciatrice o la Masca parlassero ma, a quanto pareva, entrambe erano troppo assorte nei propri pensieri.

Si chiarì la voce prima di parlare. – Dicono di essere entrati in una grotta da umani, a loro nota come "Cava delle Streghe", prima di rinvenire come Coga. Dacché ricordi, Borgovecchio aveva in passato un passaggio che attraversava le montagne e i campi per giungere alla vallata a ovest della regione.

– Li ho visti coi miei stessi occhi, umani: – Intervenne Anastasia squadrandolo. – quello stesso pomeriggio mi scontrai erroneamente con Tommaso mentre, Sofia, la vidi poche ore dopo pomiciare con la figlia del cavaliere del posto.

– Non sto dicendo che non credo alle loro parole, sto solo affermando che mi pare alquanto improbabile che qualcuno abbia riportato qui una magia andata perduta con la guerra! Si è estinta come il loro popolo, come le Dee hanno voluto.

– Questo non era ciò che le Dee volevano.

Catula si alzò in piedi e si frappose fra lui e la bassa Cacciatrice; Aulo era certo, in quasi trent'anni di amicizia, di non averla mai vista con un velo di tristezza sugli occhi castani

– E quella magia non è andata perduta, – Precisò Anastasia. – nelle regioni a est è ancora viva, protetta per il loro volere.

La Masca annuì col capo. – Tralasciando il discorso, l'accaduto ai due giovani può voler dire due cose: la prima è che la Masca scomparsa, mai più nata, sia tornata; o, la seconda nonché più temibile, è che qualcuno abbia iniziato a giocare con una magia antica della quale non ho memorie.

Il Tribuno si massaggiò un labbro. – Dici che la vecchia Masca si fosse nascosta all'epoca e che solo ora sia riapparsa per poter ricreare il proprio popolo?

– Che fosse lei o una discendente, le sue memorie riguardo alla guerra le impedirebbero di fare una cosa del genere senza prima passare dalle altre Masche o, per lo meno, dal Selvaggio; potrebbe essere stato qualcun altro ma, anche per chi padroneggia la magia, è assai difficile ricreare una leggenda senza subirne delle conseguenze.

Aulo guardò Catula senza temere di mostrare paura. – Ma, se così fosse, quale mai potrebbe essere il suo scopo?

 

 

Spazio Curiosità

Le Masche, originarie del Piemonte, indicavano uno spirito ignobile, un morto avvolto in una rete che avrebbe dovuto impedire la sua rinascita.
Esse sono dotate di poteri che solitamente vengono tramandati di madre in figlia o di nonna in nipote; ciò avviene quando è la Masca a decidere di voler morire dato che, di base, sono immportali ma mai eternamente giovani e in salute. Può anche capitare che ci sia un "Mascone" qualora la Masca muoia in presenza di un uomo ma egli non potrà tramandare il potere.
Possono avere il "libro del comando" che oltre a rafforzare formule e incantesimi, permette loro di vedere sia nel passato che nel futuro.
Le Masche tendono a essere dispettose e vendicative anche se non in grado di salvare vite in pericolo e curare qualsiasi tipo di malattia e ferita.  Hanno anche la peculiarità di poter fare uscire l'anima dal loro copro, anche se quest'ultimo rimane incustodito, e possono mutare il loro aspetto in animale (come gatti o pecore) o in oggetti.
Ancor oggi è di uso comune in Piemonte commentare scherzosamente la caduta o la scomparsa di alcuni offetti con l'espressione "A-i é le Masche" , ovvero "Ci sono le Masche".

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4019916