Lorenzo e Giulia // Io che amo solo te

di FrancyF
(/viewuser.php?uid=144021)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Thinking maybe you'll come back here to the place that we'd meet ***
Capitolo 2: *** Just like blue on the sea ***
Capitolo 3: *** And everything will be alright ***
Capitolo 4: *** I see hope again ***



Capitolo 1
*** Thinking maybe you'll come back here to the place that we'd meet ***


'Cause if one day you wake up and find that you're missing me
And your heart starts to wonder where on this earth I could be
Thinking maybe you'll come back here to the place that we'd meet
And you'll see me waiting for you on the corner of the street”

- “The man who can’t be moved” The Script
 
Dicembre 2020
E alla fine lei e Lorenzo erano tornati dove tutto era iniziato.
Davanti al Policlinico Ambrosiano. In quel luogo, ormai quasi dodici anni prima, si erano stretti per la prima volta la mano. Lui aveva fatto una delle sue famose battute e ci aveva fin da subito provato con lei; Giulia invece l’aveva detestato in quel momento, ne era stata certa. Lorenzo la irritava con quel suo modo di fare sempre alla mano e quel suo sorriso perenne in faccia. Sembrava incurante ai problemi degli altri. Lei, d’altronde, era sempre perfetta e estremamente precisa, sia nel lavoro sia nella sua vita privata. Per i primi tempi tra loro due era stata una gara continua per dimostrare al dottor Fanti e al dottor Sordoni di essere degni di meritarsi l’appellativo di “medico”. Solamente quando si erano conquistati il posto fisso, al termine della specializzazione, avevano deposto l’ascia di guerra e avevano iniziato a collaborare l’uno con l’altra.  Ci avevano impiegato anni per diventare amici e confidenti. Poche ore per diventare amanti e meno di quarant’otto ore per diventare una coppia.
Erano sempre loro, fianco a fianco. Solo che adesso stavano per dire addio a tutto quello che fino ad allora, era stata la loro quotidianità e il loro mondo.
Ed era surreale pensare che era tutto iniziato nelle mura di quell’ospedale.
La dottoressa Giulia Giordano rabbrividì e strizzò gli occhi per combattere contro il nevischio che scendeva dal cielo ceruleo.
Nevischio a Milano in pieno giorno.
L’inverno quell’anno era arrivato troppo presto. Aveva nevicato già due volte dall’inizio di novembre. L’ultima nevicata era stata più copiosa delle precedenti e cumuli di neve ghiacciata erano stati ammassati ai lati delle strade dagli spazzaneve.
Pochi a Milano ricordavano un inverno così freddo. La mattina, quando le strade si riempievano di auto, di bus e taxi, i vetri dei mezzi di trasporto erano già patinati da una brina leggera e il termometro segnava imperterrito da giorni meno tre gradi. Secondi gli esperti quello ero uno dei pochi effetti positivi della pandemia: il fatto che quell’inverno fosse più freddo dei precedenti, era dovuto semplicemente al più basso livello d’inquinamento dell’aria.
La città sembrava un paesaggio surreale, quasi fiabesco. Le mille luci di Natale scintillavano nell’aria fredda del tramonto, mentre gli ultimi fiocchi di neve vorticavano ancora nell’aria.
Il Policlinico Ambrosiano svettata sulle altre costruzioni e scintillava ancora di più nella luce rosata del tramonto.
Giulia guardava gelida le porte scorrevoli dell’ingresso. Il suo respiro affannato formava piccole nuvolette di calore che le incorniciavano brevemente il volto, prima di scomparire nell’aria fredda. Aveva il naso rosso, il volto infagottato in una lunga sciarpa di lana e le guancie rosee. Attorno a lei poteva udire il vociare allegro dei passanti che si affannano ad ultimare le ultime compere prima della sera. Sembrava una vita parallela, come che tutti avessero dimenticato l’Inferno della prima ondata, ma lei no.
Per lei dimenticare era impossibile.
Lorenzo la fissava con un’espressione seria in volto, come se si aspettasse di vederla crollare lì sul posto.
Il suo cuore prese ad accelerare. Poteva ancora sentire il suo respiro mozzato, poteva ancora vedere davanti a lei le lacrime di Lorenzo nel chiederle di perdonarlo.
Perdonami. Ti ho passato il covid. L’ho portato qui dentro.
Giulia chiuse gli occhi, come per annientare quei ricordi. Lei e Lorenzo si erano trovati nel buio e si erano aggrappati l’uno all’altra per non scivolare in quell’Inferno. Prima era toccato a lei… e poi a lui. La donna aveva condiviso solo con Andrea Fanti cosa avesse veramente provato in quelle settimane, perché il solo ricordo era talmente spettrale e terrificante per lei che, a distanza di mesi, la vista del suo vecchio ospedale era per lei paralizzante. Non si sentiva più a casa lì dentro, nemmeno dopo avere partorito nel reparto di ginecologia, circondata dall’affetto dei suoi amici.
Lorenzo in quegli ultimi mesi era stato meraviglioso. Era stato il suo cane blu. L’aveva sorretta senza obbligarla a scendere a patti con il loro dolore, aveva condiviso con lei intere notti insonni e l’aveva appoggiata fin da subito. Non aveva esitato un secondo quando lei gli aveva rivelato della gravidanza e dell’imminente trasferimento a Genova.
 
-Bagnati appena le labbra- gli sussurrò lui all’orecchio, in modo che solo lei potesse sentirlo. Lorenzo le fece l’occhiolino e poi bevve un sorso di birra dal bicchiere di plastica che gli aveva appena passato Andrea. Le mani dell’uomo si andarono subito a posare sul ventre ancora piatto della donna. Non era affatto dispiaciuto del fatto che mezzo ospedale sapeva già della gravidanza di Giulia, che sapeva dell’esistenza di loro figlio. Anche se, onestamente, una parte di lui avrebbe voluto custodire quel segreto ancora per un po’.
Giulia si morse le labbra e i suoi occhi blu brillarono. La sua vecchia vita si era capovolta nel giro di ventiquattro ore. Non solo aveva finalmente detto a Lorenzo della gravidanza, ma lui aveva anche accettato di venire con lei a Genova.
E l’aveva fatto senza pensarci neppure mezzo secondo.
-Te l’avevo detto. Qualsiasi cosa tu decida, io ci sono. Genova ha il mare e il sole e qui… e qui lasciamo la nebbia e il traffico-.
Sapeva che non era vero. Sapeva che Lorenzo era nato a Milano, ci era cresciuto, aveva delle amicizie e, soprattutto, aveva sua sorella. Ma in quel momento la donna era talmente sopraffatta dalle emozioni che non era stato in grado di fare altro sennonché farsi stringere da lui. Dal suo migliore amico, che adesso era anche il padre di suo figlio.
-Ho chiamato la direzione del “S. Martino” e mi hanno detto che il tuo posto non era l’unico posto vacante nel reparto di medicina interna. Perciò partiamo assieme-.
Le sfiorò delicatamente i capelli e il suo cuore ebbe quasi un sussulto. La luce del tramonto si riversava su di loro, mentre lui e Giulia erano felici nel loro mondo, solo loro due. O meglio loro tre. Avrebbero avuto un figlio straordinario e sarebbe stato bello e intelligente come lo era lei.
-Come l’ha presa tua sorella?- Giulia sentì le mani di Lorenzo tra i suoi capelli e sorrise ancora di più.
-Bene-.
-Bene?- non poteva non fingersi preoccupata. Quello che stava chiedendo a Lorenzo era troppo forse anche per lui.
-Giulia, Susy si è messa a piangere dalla gioia va bene? Ha sempre desiderato diventare zia e… beh… lei e Ale sicuramente vorranno venire a Genova prima o poi. Non è che li sto abbandonando Giulia. Stai tranquilla. Troveremo un modo-.
La donna aggrottò le sopracciglia, dubbiosa. Sapeva che Lorenzo le diceva quelle parole per proteggerla e sapeva anche il perché, ma in quel preciso momento si sentiva troppo felice per fare l’orgogliosa e rivendicare la sua indipendenza. A volte era bello sentirsi accudita e protetta da qualcuno. Soprattutto se quel qualcuno era l’uomo che l’aveva aspettata per dieci anni.
-Ancora non l’hai capito Giulia?- Lorenzo la baciò sulla fronte e lei non potè fare a meno di sorridere.
-Cosa?-
-Che io farei di tutto per voi. Per te e per Gaia-.
-Gaia?-
-Nostra figlia. Mi è sempre piaciuto quel nome, significa gioiosa-
-Lorenzo-
-Sì?-
Giulia abbassò la voce –Sono solo di otto settimane. Mi sembra decisamente presto per pensare a dei nomi-
-Mi sembra una questione troppo importante per non pensarci-
-Smettila…- Giulia scostò lo sguardo, se Lorenzo la guardava negli occhi poteva leggerle l’anima. Non voleva mostrarsi fragile e insicura, non in un momento del genere almeno, quando erano circondanti dall’intero reparto. Il discorso di Andrea e gli ormoni della gravidanza avevano già messo a dura prova i suoi bulbi oculari; e sentire Lorenzo pronunciarsi con così tanta sicurezza sul loro futuro, sentirlo parlare di loro figlio come se lui fosse già lì, vivo e presente in mezzo a loro due, le donava un senso di appagamento che era difficile da eguagliare.  
-A me dispiace lasciare tutto questo- ammise lei, osservando con una velata punta di nostalgia le persone che li circondavano: Andrea e Angrese parlavano fitti fitti con Carolina, Gabriel e Elisa si facevano foto a vicenda, Teresa scherzava con Riccardo e Alba. In un certo senso erano stati loro la sua famiglia. –Davvero, non voglio che loro  pensino che non mi dispiace perché non è vero-
-Giulia nessuno dice questo. Insomma hai mai pensato a nostra figlia correre per i corridoi di questo reparto?-.
Giulia si voltò verso di lui e sorrise. Non poteva mentire. Lei quel bambino se lo immaginava già correre per casa, si immaginava già Lorenzo rientrare dal lavoro e sdraiarsi per terra insieme a loro due e giocare per ore. Si immaginava già una grande casa, immersa nel verde, e loro tre. Cosa le prendeva? Lei non era mai stata il tipo di donna che sognava una casa in un giardino di rose. Ma lei a quel bambino non era disposta a rinunciarci. Per una volta voleva aprirsi alla vita.
 
Il tetto del Policlinico stava quasi scomparendo nell’oscurità della sera che avanzava. Giulia rabbrividì, persa nei ricordi.
La mano calda e accogliente di Lorenzo si strinse alla sua. Il ragazzo le sorrise, rassicurante.
-Freddo oggi, eh?-.
Giulia sollevò le sopracciglia. La stava di nuovo proteggendo e la cosa la infastidiva parecchio.
-Lorenzo…-
-Sì, lo so che volevi venire da sola, ma avevo promesso ad Andrea che gli avrei detto due parole sui pazienti ancora ricoverati -.
-Hai lavorato qui fino a la settimana scorsa-
-Ho avuto da fare-
-Tu e Andrea lavorate nello stesso reparto-
-Giulia, ti prego. Avevo bisogno di salutare tutti. Va bene adesso?-.
Lorenzo le lasciò la mano e guardò imbarazzato il pavimento.
-Pensavo… pensavo che sarebbe stato più facile dirgli addio-.
Per Giulia forse era più difficile, dato che erano settimane che non entrava più in quell’edificio, ma per l’uomo il Policlinico non significava solo brutti ricordi. Lì dentro aveva conosciuto Giulia, aveva stretto amicizie preziose, aveva visto nascere suo figlio. Lì dentro non c’era solo sofferenza.
La donna lo fissò negli occhi. Il blu zaffiro si fuse con il marrone color cioccolato. Si capirono all’istante.
-Anche io lo pensavo… e adesso… adesso non riusciamo neppure ad entrare. Guardaci-.
Già, guardarci.
Lorenzo le tese la mano e lei gliela strinse. Era sua finalmente. Avrebbe voluto urlarlo al mondo intero. Lui e Giulia avevano trascorso appena pochi giorni come coppia all’interno dell’ospedale. Non amava sbandierare ai quattro venti la sua vita privata. Lorenzo tendeva sempre a proteggere la sua famiglia, piuttosto che a esporla, ma con Giulia era diverso.  Voleva quasi ostentarla, come se fosse stata una specie di dea greca; perché lei era al centro del suo universo. Aveva preso la sua vita e ne aveva fatto molto di più, gli aveva dato un figlio, una famiglia, certezza per il futuro. Il minimo che poteva fare era sostenerla in ogni suo singolo passo.
-Se non ti senti pronta possiamo non farlo. Abbiamo già avuto la nostra festa di addio l’altra sera. Non saranno così pazzi da organizzarcene un’altra-.
Giulia finalmente accennò un sorriso. Erano mesi che Andrea Fanti li tormentava con l’idea della “festa d’addio” per loro e per Gabriel. Anche Gabriel era riluttante all’idea, Lorenzo non poteva reggere alla vista dei suoi amici senza mettersi a piangere e Giulia non voleva nemmeno pensare all’idea di lasciare Milano. Ma alla fine Andrea e l’intero reparto avevano organizzato una piccola festicciola nel bar vicino all’ospedale.
Giulia e Lorenzo erano praticamente stati costretti a partecipare. Avevano lasciato il piccolo Andrea nelle mani sicure di Elide, la vicina di Lorenzo e poi si erano rilassati per qualche ora con i loro amici. Avevano brindato con dei drink analcolici e si erano distratti per qualche ora. Per un momento Giulia si era sentita di nuovo leggere e spensierata. Ma adesso, davanti a quel luogo che per lei era sacro, non riusciva a fare il primo passo.
Dire addio al Policlinico Ambrosiano significava lasciare alle spalle la vecchia Giulia, fredda e spigolosa. Dire addio a tutti  i suoi amici significava aprirsi all’ignoto e a una nuova vita con la sua nuova famiglia. Un parte di lei non vedeva l’ora, l’altra era ancora restia.
-No, dobbiamo farlo. Tu devi ancora svuotare il tuo armadietto- gli ricordò, con una punta di rimprovero nella voce.  –E poi Teresa non ci perdonerà mai se andiamo via senza salutarla un’ultima volta-.
Il giovane uomo rabbrividì al solo pensiero: Teresa lo intimoriva quasi quanto la paura del trasloco.
-Rapido e indolore. Intesi?-
Lui annuì. Strinse forte la mano di Giulia e la guidò tra le porte automatiche, all’interno dell’ospedale.  
 
-Fa uno strano effetto essere nella stessa stanza dopo tutto quello che è successo, vero?-.
Agnese incrociò le braccia al petto e si lasciò cadere sulla sedia girevole dietro alla sua scrivania di vetro, dove incombevano due faldoni di pratiche arretrate.
Giulia socchiuse gli occhi, in uno sforzo per non commuoversi e si guardò intorno. L’ufficio della direzione sanitaria era tornato indietro agli anni nei quali Agnese era la direttrice sanitaria: i muri erano di un azzurro tenue, i mobili tirati a lucido e le foto di Mattia e Carolina capeggiavano sulla scrivania.
Sembrava tutto uguale, ma tutti i presenti sapevano che era tutto diverso.
Nessuno rispose. Così Agnese finse di schiarirsi la voce per guadagnare tempo.
-Grazie per avere compilato tutte le pratiche arretrate. Non era necessario, davvero-.
-Ho già catalogo tutto in archivio. Non devi più fare niente- Lorenzo accennò un sorriso. –Non ce ne saremmo mai andati senza finire di compilare tutto-.
-No, lo so bene. Soprattutto tu Giulia, dovresti essere ancora in maternità -.
La mente di Giulia vagava ancora nel vuoto e il complimento che le aveva appena rivolto Agnese era come un eco lontano nella sua testa. Era strano essere di nuovo lì? Era strano stare seduta nell’ufficio della direzione sanitaria vestendo di nuovo i panni del medico? Era strano rivedere Agnese in quella posizione di comando? L’ultima volta che Agnese aveva vestito i panni della direttrice, e non del medico, era stato prima della pandemia. Un secolo fa.
Prima della pandemia Andrea era un estraneo, Agnese non era una sua confidente e, soprattutto, lei e Lorenzo erano due entità separate.
Era surreale pensare a dove erano adesso.
Lei e Lorenzo avevano lavorato fianco a fianco solamente per due settimane e in via totalmente ufficiosa per terminare le cartelle che avevano lasciato aperte durante la loro quarantena.
-Giulia, tesoro…- Lorenzo le sfiorò un braccio e la donna mise nuovamente a fuoco la realtà.
-Dovere- rispose. -Agnese, davvero…. è che… sono cambiate troppe in poco tempo. Io…-.
Giulia rabbrividì e sentì la presa di Lorenzo farsi più forte.
-Io pensavo che tornare qui fosse la soluzione. Dopo la pandemia pensavo di farcela a lavorare di nuovo qui.  Ma poi ho sentito la direzione del “S. Martino” a Genova, e hanno riconfermato la mia domanda di trasferimento. E Lori…-
-Ragazzi non dovete giustificarvi - la donna unì le mani e guardò i suoi amici fissi negli occhi.
-E’ giusto così. Voi due andrete a Genova, Gabriel andrà in Etiopia e Carolina finirà qui la sua specializzazione. Adesso che sono di nuovo direttrice sanitaria il reparto è salvo. Quindi possiamo salutarci. Davvero ragazzi. Ho già avuto i curricula dei due medici che dovrebbero sostituirvi tutti. Mi serve solo la firma di dimissioni… oh e Lorenzo devi finire di svuotare il tuo armadietto-.
Uno strano silenzio alleggiava nella stanza.
Giulia si sentiva come sospesa in un’altra dimensione. Avrebbe voluto dire ad Agnese una miriade di pensieri, confidarle segreti, ringraziarla ancora una volta per tutto quello che l’intero reparto aveva fatto per lei. Eppure non era in grado di fare altro che starsene in silenzio, con gli occhi blu chiaro spalancati a fissare il vuoto. Bastava veramente una firma e poi avrebbe detto addio a tutto quello che conosceva?
-Certo che sarà strano passare per i corridoi e non vedervi- sospirò Agnese -Carolina si era molto affezionata a voi e dopo tutto quello che è successo a Andrea…. –
-Genova non è così lontano- la interruppe Giulia. Stava cercando di controllare il tremore alle mani mentre firmava la copia di cessazione del contratto.
Voleva uscire da quell’ufficio il più in fetta possibile o avrebbe avuto un crollo nervoso.
 
-Ehi, hai finito di evitarmi?-.
-Non ti sto evitando-
-Stai fissando da mezz’ora l’interno vuoto del tuo armadietto. Io questo lo chiamo evitare, poi fai te Lazzarini-.
-Ho appena finito. Sarei venuto a cercarti io tra un minuto-.
O forse mai. Lorenzo detestava gli addii. Giulia ci era abituata fin da bambina, lui no. Odiava separarsi dalle persone che amava. E Andrea era stato il suo mentore da dieci anni. Dieci anni erano un terzo della sua vita, erano tanti. Non solo, ma Andrea Fanti aveva messo l’ego in secondo piano e l’aveva supportato in tutto e per tutto: dal prendere l’aspettativa l’anno prima, al tornare in pista durante l’epidemia di Covid19, era stato accanto a Giulia nelle prime settimane di gravidanza e gli e le aveva salvato la vita. Aveva salvato la sua famiglia. Come poteva dire addio ad un amico così straordinario?
-Cosa c’è? Hai paura di dirmi addio?-.
Lorenzo scoppiò a ridere per esorcizzare la paura, e Andrea sorrise.
-Finiscila, sei proprio un prefrontale Doc. No, se vuoi proprio saperlo avevo anche pensato di scriverti una lettera di raccomandazione prima di andarmene-.
Andrea alzò le sopracciglia, stupito.
-Una lettera di raccomandazione per cosa scusa?-
-Per la tua corsa al primariato. Tutti sappiamo che la Tedeschi ti avrà sempre come rivale-
-Sai, Cecilia si è rivelata essere un ottimo primario-
-Mai quanto te Doc- Lorenzo gli mise una mano sulla spalla e la strinse forte. –Io e Giulia ti sosterremo anche da Genova. E se avrai bisogno di una vera lettera di raccomandazione, beh allora la scriverà lei. Io non sono riuscito a finire la mia senza mettermi a piangere come un bambino-.
Nel sentire quelle parole Andrea non resistette e lo abbracciò forte. Lui e Lorenzo erano diventati amici e complici in quei due anni: non immaginava che salutare lui e Giulia potesse essere così doloroso.
-Tu e Giulia starete bene con il piccolo. E non preoccupatevi per me, starò bene. Avrò il mio posto da primario e… e Agnese… prima o poi…-.
-Già…- Lorenzo gettò un’ultima occhiata al suo armadietto vuoto. –prima o poi… me lo ripetevo anche io con Giulia e adesso nostro figlio porta il tuo nome. Ed è tutto iniziato in questa stanza-.
Io te non siamo la una notte. E vorrei che lui da grande fosse come te, un uomo capace di esserci sempre.
Andrea sorrise commosso. In un certo senso era come se una parte di lui vivesse con Giulia, Lorenzo, con il piccolo Andrea e la loro felicità. Lui e Agnese avevano perso tutto dopo la morte di Mattia, sogni e speranze ed era bello vedere che gli stessi sogni e le stesse speranze potevano vivere nei suoi amici più cari.
L’uomo fu svelto nell’asciugarsi una lacrima fugace, si sistemò la mascherina e tirò su con il naso.
-Allora, quale è la prima cosa che farai? Genova è diversa da Milano… è più calda, c’è il sole, il mare, i turisti ogni mese dell’anno-.
Lorenzo sapeva che ricordare faceva male non solo a lui, ma anche a Andrea, perciò fu immensamente sollevato quando il suo superiore iniziò a deviare il discorso verso tematiche più futili, ma decisamente più piacevoli.
-Credo che sistemare casa e svuotare tutto in meno di sei mesi sarà già un traguardo per me- scherzò il giovane –ma sicuramente tu  e Caro dovete venire a trovarci-
Gli porse una foto. Ritraeva Andrea, Agnese, Giulia e Lorenzo in cima al tetto dell’ospedale, con i bicchieri in mano per il brindi d’addio che Doc aveva organizzato prima dell’inizio della pandemia.
-In caso ti scordassi di noi-.
Andrea gli diede un’ultima pacca sulla spalla e prese lo stetoscopio dal suo armadietto.
-Il dovere chiama, caro Lorenzo- si allontanò fischiettando e giocando con lo stetoscopio e Lorenzo scosse la testa, affacciandosi lungo il corridoio.
Forse dire addio non era poi così difficile come credeva.  
 
-Il tuo cuore batte velocissimo-.
Giulia chiuse gli occhi e si fermò incantata ad ascoltare il battito del cuore del compagno, appoggiando il peso di tutto il suo corpo al petto di Lorenzo.
Uno. Due. Tre. Quattro.
Battiti forti e regolari pensò la sua mente da medico. Un cuore sano.
Lorenzo le fece alzare lo sguardo.
-E’ una buona cosa suppongo, no dottoressa Giordano?-.
La voce di Lorenzo era quasi un sussurro, ma ormai la loro camera da letto era senza mobili e entrambi potevano sentire chiaramente il rimbombo dei loro respiri.
Giulia lo baciò con passione e gli portò le mani sui suoi seni. Sentì che Lorenzo stringeva il suo corpo al suo, sollevandosi dal materasso. Le accarezzò dolcemente i capelli sciolti e sorrise.
-Ho sempre voluto farlo sul pavimento durante un trasloco- sussurrò lui, facendola ridere.
Gli occhi blu della donna brillarono nel buio e il cuore dell’uomo fece una capriola all’indietro.
Sei mia finalmente pensò mentre sfiorava con una mano la guancia della donna. Si era sempre pentito di essersene andato via di fretta, dopo la prima notte d’amore che lui e Giulia avevano passato assieme. Così, adesso, ogni volta che lui e Giulia finivano di fare l’amore lui si prendeva qualche secondo solo per osservarla. Poteva stare fermo a fissarla per ore senza stancarsi. La baciò un’ultima volta sulle labbra e lasciò che lei si sdraiasse accanto a lui. La testa di Giulia era appoggiata al petto di Lorenzo, dove lei poteva sentire il suono dei suoi respiri e i battiti del suo cuore.
-Non ti sembra strano tutto questo silenzio?- disse Lorenzo, sorridendo.
Giulia si lasciò scappare una risata e lo baciò nuovamente.
-Elide si merita il mazzo di fiori e il bigliettino d’addio che le abbiamo comprato. Ha tenuto Andre troppe volte per permetterci di stare un po’ da soli-
-Sai potremmo portala con noi a Genova. Tra il nuovo lavoro e il trasloco avremo meno tempo per questo…- Lorenzo osservò il corpo nudo di Giulia. Talvolta si svegliava nel cuore della notte di soprassalto, scosso dagli incubi. In quei momenti gli ci volevano pochi secondi per realizzare che, accanto a lui, dormiva lei, la donna che aveva sempre aspettato. Lei dissipava tutto i suoi dubbi e le sue paure. Era il suo porto sicuro, il suo faro nella notte. L’aveva attesa per così tanto tempo che spesso si stupiva di vederla accanto a se, tra le sue braccia.
Sollevò lo sguardo e incrociò quello di Giulia: aveva gli occhi stanchi, ma dentro il blu oltre mare, Lorenzo scrutò subito una note di preoccupazione.
-Andrà tutto bene- sussurrò contro la sua fronte –andremo a Genova, lavoreremo al “S. Martino e Andrea crescerà lì e sarà bellissimo. Sarà bello come lo sei tu-
-Questo non puoi saperlo Lazzarini-
-Lo so e basta. Va bene? Ce la fanno tutti, ce la faremo anche noi allora-  l’uomo prese a lasciarle una scia di baci che andava dal collo, lungo i seni e i fianchi della donna –saremo felici, mangeremo focaccia e cappuccino e ogni giorno libero andremo al mare. Avremo altri bambini…-.
Lei si girò supina e Lorenzo si fermò. La guardò confuso. Il suo piano era distrarla, non farla preoccupare eccessivamente.
Giulia rabbrividì e si coprì con il lenzuolo, mentre Lorenzo la scrutava nel buio.
-Scusa…- disse lei. Non voleva rovinare la loro ultima notte nella vecchia casa, la prima casa che avevano condiviso. In realtà era casa di Lorenzo, ma dopo che lei era rimasta incinta era diventata automaticamente anche casa sua. Lui aveva pianificato ogni loro passo assieme e lei gli era grata per il suo innato ottimismo, ma i desideri di Lorenzo non potevano fare scomparire le sue paure e i suoi timori.
-Amore, a che pensi?- lui le sfiorò deliacamente i capelli.
-Mi dispiace lasciare tutti, soprattutto Andrea-.
Ecco, l’aveva detto.
Da sempre lei e Lorenzo e il loro legame d’amicizia prima, d’amore poi, si erano basati sul rispetto e sulla fiducia reciproca. Lorenzo aveva sopportato più di una volta gli sfoghi di Giulia rivolti a Andrea Fanti, quando lui non ricordava della relazione che aveva avuto con la giovane dottoressa.
Adesso, anche se Giulia e Andrea erano solamente ottimi amici, il fantasma della relazione passata tornava a tormentarli.
-Non è come pensi tu Lori, non essere geloso. E’ che… Andrea ha fatto tanto per noi…- la donna stava cercando di calibrare ogni parola. Non voleva che Lorenzo diventasse geloso, perché non aveva motivo di esserlo. Ma una parte di lei non voleva dimenticare quello che Andrea aveva significato per lei. Anche se il dottor Fanti era diventato il più grande sostenitore della sua storia con Lorenzo.
-Dispiace anche a me lasciare tutto. Cosa credi?- Lorenzo non voleva fare a vedere il suo nervosismo, ma nel sentire pronunciare il nome “Andrea” e associarlo alla relazione che il suo mentore aveva avuto con quella che ora era la sua compagna, lo infastidiva ancora. Era dannatamente geloso di lei.
Lui e Giulia avevano affrontato quel discorso più volte nelle settimane precedenti e Lorenzo non era mai riuscito a tranquillizzarla del tutto.
Stettero in silenzio per parecchi minuti, ognuno perso nelle proprie insicurezze.
-Ho parlato con lui oggi, con Andrea intendo e lui mi ha detto le stesse cose-
Giulia lo fissava in silenzio, con il fiato sospeso. Sapeva che Lorenzo e Andrea erano amici e si stimavano a vicenda, ma sapeva anche che una parte di Lorenzo era sempre in guerra con Andrea e quello che per lei aveva significato. –E mi ha detto le stesse cose. Dio, Giulia lui si è quasi commosso nel salutarmi. Sono geloso dell’Andrea Fanti del quale ti eri innamorata, ma per fortuna quell’Andrea Fanti non esiste più-.
L’uomo le rivolse uno sguardo soddisfatto.
-E comunque a letto sono più bravo io- concluse, con una punta d’orgoglio nella voce.
-Sei tremendo Lazzarini…-
Scoppiarono a ridere entrambi, guardandosi negli occhi.
-Ti amo Giulia- la guardò con gli occhi adoranti, soffermandosi sulle sue curve addolcite dall’avere partorito da poco. Voleva che andasse a letto serena.
-Se tutto dovesse andare a rotoli abbiamo sempre noi due, vero?- Giulia si chinò e lo baciò sulle labbra, dissipando in fretta il suo malumore. –E smettila di essere geloso. La mia è nostalgia per quello che ci lasciamo indietro, ma sai che ormai amo solo te-.
-Io non torno indietro- la rassicurò Lorenzo –certo che staremo bene e ci saremo sempre l’uno per l’altra. E no- l’anticipò tirandola nuovamente contro di lui –non lo dico tanto per dire-.
Giulia lo baciò sulla fronte e inspirò il suo profumo, misto al sudore.
Quella era la loro ultima notte d’amore in quella casa. Era incredibile come quell’appartamento senza mobili significasse ancora casa per loro due.  All’interno di quelle mura si erano scoperti e amati, erano diventati una famiglia.
-Dovremmo davvero cercare di dormire un paio d’ore. Domani dobbiamo guidare fino a Genova e il camion dei traslochi sarà qui alle otto-.
Giulia cercò di scostarsi, ma al prese del compagno era forte e dolce. Lorenzo voleva davvero approfittare di quelle poche ore di solitudine per stare vicino a lei, fisicamente e mentalmente, per rassicurarla e per prendersi cura di lei al meglio. Lui e Giulia avevano un tempo limitato da passare insieme, tra lavoro e un bambino piccolo; perciò voleva davvero dimostrarle tutto il suo amore quella notte.
-Mmmm… adesso ho altri progetti in mente…-.
Giulia rise piano, soffocando la sua risata in un gemito di piacere quando le mani di Lorenzo arrivarono a destinazione.
-Sei subdolo, te l’hanno mai detto?-
-E tu sei bellissima. Sarei uno stupido se sprecassi tutta questa bellezza…-.
 
-Tornerete a trovarmi, vero?- Elide strinse a sé un’ultima volta il piccolo Andrea e lo sistemò nel seggiolino dell’auto.
Il neonato ricambiò le attenzioni della donna sorridendole e aprendo i suoi occhi verde scuro. A quattro mesi Andrea era il perfetto mix di Lorenzo e Giulia: aveva gli stessi lineamenti del padre, le guance e il naso di Giulia, i capelli castano chiari stavano iniziando a scurirsi e i suoi occhi verde scuro erano un misto delle sfumature di quelle dei genitori.  
Lorenzo sorrise dolcemente. Sembrava che tutti quelli con la quale parlava pensassero che lui e Giulia si sarebbero trasferiti in America, invece che a tre ore da lì.
-Elide puoi venirci a trovare ogni weekend. Scendi alla stazione di Genova Brignole e fammi uno squillo. Sarò lì ad aspettarti-
Lui e Giulia abbracciarono stretta la donna, cercando di metterci dentro un sacco di cose mai dette.
-Ti chiamiamo quando arriviamo in città , ok?- Giulia la strinse un’ultima volta e sorrise.
Il camion dei traslochi era partito mezz’ora prima. La coppia aveva giusto avuto il tempo di ringraziare Elide per averli tenuto Andrea e per prendere con lei un ultimo caffè.
I due giovani salirono in auto in silenzio.
Lorenzo fece per mettere in moto, ma la mano di Giulia si unì alla sua.
-Sei sicuro di non volere salutare Susy e Ale? Casa loro è a dieci minuti da qui-
-No- l’uomo scosse la testa. Non aggiunse altro, ma Giulia sapeva bene anche Susanna era l’unica donna, oltre a lei, per la quale Lorenzo avrebbe fatto pazzie. Sapeva che per lui era dura lasciarla andare e sapeva anche che se solo si fossero fermati a salutare lei e Alessandro, allora avrebbe rinunciato a partire. Susanna e Alessandro significava tanto anche per Giulia. Lei non aveva mai avuto una famiglia stabile, due genitori affettuosi. Lorenzo aveva avuto solo sua mamma per pochi anni, e poi Susy. Da un lato era distrutto di privare suo figlio della compagnia di due zii così amorevoli, ma dall’altra doveva anche provvedere alla sua di famiglia. Lanciò un’occhiata ad Andrea, che dormiva beato nel suo seggiolino. Quel piccolo esserino di quattro mesi non sapeva minimamente quanto fosse stata fondamentale per i suoi genitori la sua presenza, soprattutto per Lorenzo: Andrea gli aveva, letteralmente capovolto la vita. Era stato grazie al bambino e non per il bambino che Giulia aveva finalmente realizzato chi e cosa significava per lei Lorenzo. Era stato grazie a lui e la donna non si era mai guardata indietro, nemmeno per una volta.
-Prendiamo direttamente l’autostrada e andiamo diretti a Genova- aggiunse Lorenzo, spostando automaticamente la mano dalla leva delle marce alla coscia di Giulia.
Lei gli sorrise e uni la mano alla sua, baciandola.
-Ehi- Giulia lo fece voltare per un secondo –grazie per avere accettato questa follia. Grazie per avere detto subito sì-.
Lorenzo mise gli occhiali da sole e fissò l’autostrada davanti a sé. Inaspettatamente non provava un briciolo di tristezza nel lasciarsi tutto indietro. Anzi, tutta la nostalgia e l’affetto che provava per Milano, per il Policlinico Ambrosiano erano come svaniti di colpo. Aveva Giulia e aveva il loro prezioso bambino. Cosa poteva volere di più? Il tempo era dalla loro parte questa volta: lui e Giulia si amavano e si stavano scoprendo ogni giorno. Sarebbero stati bene a Genova. Avevano loro due. Il resto non contava.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Just like blue on the sea ***


Il prossimo capitolo richiederà un po' di tempo. Verrà pubblicato sicuramente dopo il 5 aprile. -Fran



Just like blue on the sea
Our love won't fade, it's evergreen
Girl, the best part of me
Is you”
-“It’s you” Lewis Brice
 
Lorenzo aveva mantenuto la promessa fatta a Giulia.
Si erano sistemati in un appartamento a Genova Brignole, in corso Buenos Aires, al primo piano di quello che era un antico palazzo genovese. L’appartamento era abbastanza grande: due camere, soggiorno, bagno e cucina; ma necessitava urgentemente di una rinfrescata. Ci avevano speso quasi tutti i loro risparmi.
All’inizio era stato un susseguirsi di aprire gli scatoloni del trasloco e montare mobili. Avevano tirato a lucido il parquet e pulito da ogni piastrella gli aloni di polvere. Avevano tinteggiato tutte le pareti di un tenue azzurro mare e Lorenzo avevano dipinto delle soffici nuvole sul soffitto della stanza di Andrea. Avevano appeso mensole e montato armadi, sistemato il lavello della cucina che continuava a perdere acqua e a gocciolare sulle piastrelle in stile genovese della cucina. 
Il primo mese era volato. La coppia aveva dovuto adattarsi presto ad una routine tutta nuova: Lorenzo, essendo ultimo arrivato in reparto,  si ritrovava quasi sempre a dovere svolgere i turni di notte. Usciva alle nove di sera in sella alla sua fedele moto, combatteva con il traffico di Genova e passava otto lunghe ore in ospedale. Tornava alle sei e mezzo del mattino distrutto, ma con in mano cappuccio e cornetto per Giulia.
La donna invece si prendeva cura al meglio del piccolo Andrea. Ogni mattina si svegliava nel letto king size e inspirava il profumo di suo figlio. Lo lavava, lo vestiva, gli scaldava il latte e glielo porgeva appena prima dell’alba, quando Lorenzo rientrava dal lavoro. Spesso si sedevano tutti e tre al balcone, ad ammirare il sole che bucava il cielo rosato e sorgeva, inondando il corso e i portici di una luce perlata. Nel pomeriggio sia Lorenzo sia Andrea riposavano e Giulia ne approfittava per studiare qualche vecchio caso o, semplicemente osservarli dormire.
Aveva impresso nella mente ogni singolo dettaglio di suo figlio dal giorno nel quale era nato. Il modo nel quale Andrea arricciava il naso quando era troppo stanca anche solo per mangiare, il modo nel quale la sua manina indicava le luci del porto, i suoi grandi occhi verdi che brillavano quando stava in braccio a qualcuno che amava, il suono della sua risata quando Lorenzo lo faceva volare in aria.
Era diventata come quelle mamme super affettuosa e melense che criticava in ospedale, quando portavano i loro figli a medicina interna per una malattia sospetta, che poi, si rivelata essere semplice influenza. Ma era più forte di lei. Suo figlio l’aveva fatta aprire al mondo, le aveva fatto aprire gli occhi su tutto l’amore che Lorenzo provava per lei.  Eppure per quanto Giulia adorasse suo figlio, il lavoro le mancava immensamente. Lorenzo non parlava quasi mai della vita nel reparto di medicina interna del “San Martino”: probabilmente lo faceva per non attirarsi antipatie e per non rendere Giulia estremamente gelosa del fatto che lui fosse già rientrato al lavoro. Prima di accettare il suo posto come medico strutturato più volte aveva chiesto alla compagna se fosse proprio sicura di prendesi sei mesi di maternità. Giulia era stata irremovibile. Era stata terrorizza durante il parto di perdere suo figlio, aveva vissuto la gravidanza con una sensazione di angoscia persistente: adesso che finalmente Andrea era tra le sue braccia il pensiero di lanciarlo di lì a pochi mesi aveva aperto una voragine dentro di lei. Dal giorno della sua nascita fino ai quattro mesi odierni Andrea Lazzarini avevano dormito nel lettone con i suoi genitori, quando non era in braccio a sua madre era sulle ginocchia di suo padre. Era adorato, quasi venerato sia dai suoi genitori, sia dai suoi zii. Persino Eleonora, la mamma di Giulia chiamava ogni giorno per tenersi aggiornata sulla crescita del nipotino.
-Hai parlato con Lorenzo?-.
Eleonora poteva vedere la figlia alzare gli occhi al cielo, anche se lei, attualmente, si trovava a Milano.
Sua madre e la sua passione di interessarsi eccessivamente alla sua vita privata.
-No mamma. Non ho avuto tempo. Ieri sera ha fatto gli straordinari ed è tornato a casa alle nove del mattino , invece che alle sei e così oggi l’ho lasciato dormire-
-Perché ha fatto gli straordinari scusa?-
Giulia si morse la lingua. Sua madre era un impicciona e basta.
-Giulia…-
-Mamma…-
-Giulia sono tua madre e ho diritto di sapere. Se tu e Lori avete bisogno di soldi…-
-Io e Lorenzo non abbiamo bisogno di soldi. Stiamo bene. Ma stiamo cercando di risparmiare per comprarci una nuova auto e così Lorenzo, quando può, fa qualche ora in più. Non abbiamo bisogno dei vostri soldi- ribadì scocciata, cercando di mantenere un tono di voce basso. Lorenzo stava ancora dormendo e lei non aveva alcuna intenzione di svegliarlo e doversi subire i suoi musi lunghi perché lei l’aveva svegliato.
Non avevano davvero bisogno dei soldi e dell’aiuto di sua madre. Sebbene Giulia si stesse sforzando di essere più malleabile e disponibile nei confronti di Eleonora, soprattutto ora che Sergio stava inevitabilmente peggiorando, le vecchie ferite non si potevano certe rimarginare nell’arco di pochi mesi. 
-Va bene. Ma io e Sergio ci terremmo a venire da voi e a vedere come vi siete sistemati. Lori mi ha detto che avete un divano letto in salotto. E se stai davvero pensando di tornare prima a lavorare allora qualcuno dovrebbe anche prendersi cura di Andrea-.
-Scusami da quanto è che chiami Lorenzo “Lori” e da quanto è che vi sentite?-.
Ci fu una breve pausa.
-Da quando è nato il bambino-
Io e Lorenzo non abbiamo bisogno di te. Andrea non ha bisogno di te. Giulia aveva trascorso metà della gravidanza senza che sua madre sapesse nulla. Poi quello spione di suo fratello Fabio, come al solito, aveva rovinato tutto ed era andato a dirlo a Eleonora. Era un pensiero egoista volere tenere sua madre a distanza emotiva, ma Giulia aveva sofferto troppo e sentiva di non potersi ancora fidare completamente di lei.
-Non abbiamo bisogno di soldi- ripetè. –E ti sarei grata se non mi chiedessi ogni singolo dettaglio della mia vita-.
-Giulia, io e Sergio vogliamo solo sapere che state bene. Tutto qui-
-Stiamo bene- tagliò corto lei. La infastidiva sapere che sua madre chiamasse il suo compagno per chiedere notizie di loro figlio, come se Eleonora fosse stata per lei e Fabio la madre dell’anno. Una parte di lei voleva fidarsi di Eleonora, soprattutto dopo tutto quello che stava passando con Sergio, l’altra voleva difendere se stessa e suo figlio, fargli da scudo contro l’immagine della vecchia Eleonora e il dolore che aveva procurato alla Giulia bambina.
-C’è un motivo però se hai deciso di volere rientrare al lavoro. Ricominci tra due settimane. Non puoi tenerlo nascosto a Lorenzo ancora per tanto-.
Giulia dovette mordersi la lingua per trattenersi.
-Non lo sto tenendo nascosto a Lorenzo. Sto solo cercando il momento giusto per dirglielo…-
-Puoi passarmelo?-
-Sta dormendo- ripetè. Possibile che sua madre non l’ascoltasse mai? Neppure da sobria?
-Ah… allora puoi passare alla modalità videochiamata e farmi vedere il bambino-
-Dorme anche lui-
-Giulia…-
-Ciao mamma-.
 
Oggi gli parlo.
Giulia fissava da dieci minuti buoni  le sagome di Lorenzo e Andrea, ancora profondamente addormentati e distesi nel letto.
Prima di addormentarsi lui le aveva promesso che l’avrebbe portata al mare, ma Giulia non aveva avuto il coraggio di svegliarlo. Era arrivato a casa stanco morto e non si era nemmeno levato camice e scarpe. Glie l’aveva tolti lei , e poi aveva appoggiato Andrea accanto a Lorenzo e si era fermata a guardarli.
Erano così perfetti assieme. Era tutto quello del quale lei avesse avuto bisogno e Giulia, spesso, si chiedeva come lei avesse fatto a passare trentadue anni senza di loro.
-Ehi amore…- la voce di Lorenzo la riportò indietro. Lorenzo si stropicciò gli occhi. Era chiaro che era ancora stanco morto. Erano solamente le due del pomeriggio e l’uomo aveva dormito solamente cinque ore: i suoi occhi gonfi di sonno e rossi ne erano la prova lampante. Tuttavia stava sorridendo. Le stava sorridendo.
Giulia avrebbe voluto ucciderlo. Lorenzo Lazzarini era un padre e un compagno straordinario. Lei non poteva spiazzarlo così, proponendo di mettere il loro prezioso bambino in un nido. Non che ci fosse stato mai nulla di male: Andrea e Agnese lo aveva fatto sia con Carolina, sia con Mattia. Teresa sosteneva che frequentare il nido rendeva i bambini più indipendenti. Solo poche settimane fa Giulia le avrebbe dato della pazza, ma adesso? Ora era lai quella che si sentiva soffocare in una città nuova, in attesa di un lavoro che aveva già ma che non aveva ancora avuto la possibilità di iniziare. Il tutto perché era troppo terrorizzata a lasciare suo figlio. Eppure era così concentrata su Andrea, che  aveva perso di vista lei stessa. Giulia sentiva di  stare per consumarsi piano piano, persa nella sua routine giornaliera di mamma.
-Mi dovevi svegliare. Dio, sarà tutto bloccato in centro e faremo una coda di…-.
Lorenzo si fermò. In sottofondo sentiva solo i gorgoglii di suo figlio, steso accanto a lui. Sbattè ancora una volta gli occhi, come per assicurarsi che Giulia lo stesse davvero fissando con le braccia sui fianchi. Oh, cavolo. Conosceva quell’espressione: era nei guai. La sua donna lo sta fissando con gli occhi colmi di frustrazione e la cosa non gli piaceva per niente. Tenta di fare due più due, cercando di scavare nella memoria una patetica scusa da usare per giustificare un crimine a lui sconosciuto… forse si era dimenticato di fare qualche faccenda domestica? No, troppo poco grave. Giulia non lo punirebbe ma per una dimenticanza del genere, dato che lei stessa non è mai stata la perfetta donna di casa. Doveva essere qualcos’altro… per forza. Forse si era scordato del loro anniversario? Impossibile. Era stato il mese scorso! L’aveva rifiutata in qualche modo… forse ieri sera? Quando era preso dalla stanchezza? Non era da lui rifiutare le avances di Giulia, ma era davvero esausto.
-Amore- tentò.
-Non iniziare con amore- sbottò lei.
-Che c’è?-. Lorenzo le rivolse uno sguardo confuso.
-Mi dici anche cosa c’è?-
-Giulia, mi sono appena svegliato e tu mi stai fissando come il Tribunale della Santa Inquisizione…-
-Ho parlato con mia madre-.
Allora era quello il problema. Lorenzo abbassò lo sguardo, colpevole. Cercò di concentrarsi sugli occhi allegri di suo figlio che lo scrutavano curiosi; ma lo sguardo gelato di Giulia era come una calamita.
-Perché mi nascondi le cose. Pensavo che avessimo superato quella fase, no?-.
Lorenzo sospirò e si buttò supino nel letto, portandosi le mani alla faccia. Si prese tre secondi per pensare a una giustificazione che facesse soffrire Giulia il meno possibile, ma la sua mente vagò nel vuoto.
-Lorenzo, sono seria-
L’uomo aprì gli occhi. Si tirò su, si sedette nel letto e la fissò in volto.
-Giulia, l’ho fatto in buona fede credimi-.
-Oh ti prego! Lo hai fatto perché lei ha insistito per avere i nostri numeri di telefono e tu dai troppa fiducia alle persone! Ti ho raccontato cosa mia ha fatto passare, cosa ha fatto passare a me e a mio fratello e tu le hai raccontato i fatti nostri-.
-Giulia, lei si preoccupa solo per noi-.
No.
I battiti del cuore di Giulia decelerarono fino quasi a smettere. Era pallida in volto e la rabbia cieca stava montando dentro di lei. Lorenzo non doveva permettersi di chiamare sua madre senza informarla. Non doveva e basta. Non dopo quello che Eleonora le aveva fatto passare.
-Giulia, amore… vieni qui dai- Lorenzo si alzò e cercò di afferrarle il viso, ma lei si scostò.
-Dobbiamo litigare proprio oggi? Proprio adesso? Volevo portarvi al mare- bofonchiò lui con lo sguardo basso. Sapeva benissimo d’avere sbagliato, ma trovava comunque la reazione di Giulia eccessiva.
Giulia fissò il muro bianco senza proferire una parola. Sentì le mani di Lorenzo sulle spalle, lui la costrinse con il suo tocco a girarsi e a guardarlo negli occhi.
-Amore, ti amo-.
La donna alzò gli occhi al cielo. Lorenzo Lazzarini era sempre stata un paraculo e lei non poteva farci niente. La guardava con quello sguardo adorante, con quel suo famoso mezzo sorriso. Non poteva avercela con lui nel suo giorno libero.
-Voleva solo sapere di Andre. Abbiamo sempre e solo parlato del bambino- sussurrò lui, appoggiando la sua fronte alla sua e permettendole di stringerlo a sé. –Ma hai ragione. Avrei dovuto dirtelo. Eleonora mi chiama ogni settimana e parliamo un po’-.
-Parlate un po?- Giulia si staccò da lui, ma Lorenzo la strinse comunque in vita.
-Parliamo del bambino- ribadì lui, baciandole il collo –del bambino, di come sta Sergio e di quanta pioggia cade a Genova in un mese-.
Giulia dovette trattenere un risata, ma i baci di Lorenzo e le sue battute stavano avendo su di lei l’effetto desiderato: le stavano facendo passare l’arrabbiatura.
-Mi infastidisce sapere che tu e tua madre vi sentite alle mie spalle. E ti chiama Lori?-.
Lorenzo fece spallucce. Lui una madre non ce l’aveva più. Per quanto Eleonora avesse fatto soffrire Giulia, lui era pronto a perdonarla.
-E’ l’unica nonna di Andrea- le ricordò –e chiama anche te, solo che tu non le rispondi-.
-Sì che le rispondo. Le ho risposto prima. Ha chiamato poca fa e mi ha detto che lei e Sergio volevano venire a trovarci-.
Lorenzo inarcò un sopracciglio: era piacevolmente stupito.
-E tu cosa le hai risposto?-
-Di no ovviamente. Può anche starti simpatica via telefono, ma credimi è difficile sopportare mia madre per più di due giorni di fila-.
 
Nonostante fosse un lunedì di  febbraio il traffico di Genova metteva sempre a dura prova la sanità mentale di Lorenzo, soprattutto dopo poche ore di sonno. Quelle erano le uniche volte che rimpiangeva l’essere stato un uomo single in sella alla sua moto, senza vincoli e senza orari.
Per tutto il viaggio di andata lui e Giulia non proferirono parola. Lei si limitò a sospirare pesantemente, due o tre volte, e a picchiettare incessantemente le dita sul cruscotto dell’auto. Il giovane uomo sicuramente se ne era accorto, ma Giulia sapeva che era troppo esausto per iniziare quella conversazione mentre erano bloccati da mezz’ora nel traffico.
Alla fine ci misero quasi un’ora per arrivare in spiaggia. C’era un vento fresco e lo stridio dei gabbiani. Parcheggiarono poco distante dalla spiaggia, Giulia insistette per mettere ad Andrea la crema solare, nonostante indossassero tutti abiti invernali,  e stesero un asciugamano in spiaggia.
Anche in quella situazione Lorenzo capì al volo cosa fare: lasciare la giovane donna  da sola con i suoi pensieri. Così prese in braccio Andrea, sfilò ad entrambi la giacca e si diresse a piedi nudi sul bagnasciuga.
Giulia li osservò allontanarsi, cercando di svuotare la mente per fare ordine nella confusione che regnava nel suo cervello, perennemente in movimento.
Socchiuse gli occhi, infastidita dal vento che le scompigliava i capelli. Il sole era pallido e faceva piuttosto freddo, ma lei e Lorenzo aveva immensamente bisogno di quella giornata assieme. Solamente loro tre. Era da quando si erano trasferiti nella città marinara che volevano andare al mare, fare toccare ad Andrea l’acqua salata e la sabbia; ma tra i mille problemi del trasloco e i turni allucinanti di Lorenzo non ne avevano ma avuto il tempo… fino a quel giorno. Probabilmente la giornata non era iniziata nel migliore dei modi, ma Giulia era determinata a chiarirsi con il suo compagno e a rilassarsi per qualche ora. Si sedette rannicchiata sul telo, portò le gambe al petto e si mise una vecchia coperta sulle spalle, per proteggersi dal vento. Lo sguardo della donna si spostò sul bagnasciuga, e un sorriso si formò subito sul suo volto.
Lorenzo e Andrea assieme erano una meraviglia. L’uomo si era arrotolato le maniche della felpa e i pantaloni e camminava sulla riva del mare tenendo in braccio Andrea, facendolo dondolare in modo che, con i piedini paffuti, il bimbo riuscisse a toccare l’acqua delle onde che si infrangevano nella sabbia bagnata.  Il bambino lanciava strilli di gioia e Lorenzo sorrise nel vedere la gioia del figlio.
Giulia chiuse gli occhi. Avrebbe voluto fermare il tempo. Lorenzo le stava regalando una vita che lei non aveva mai avuto l’ardore di immaginare, eppure, adesso non sapeva come rinunciarci. Perché cercare complicazioni altrove? Non stavano bene solo loro tre?
Lorenzo si tirò su e gli fece un cenno di saluto, stringendo Andrea al petto. Stavano tornando verso di lei.
-Ehi- gli porse il bambino e Giulia lo strinse a sè, avvolgendolo nella coperta. Il medico si sedette accanto a loro e sorrise nel vedere Giulia strinse al petto Andrea.
Aveva lottato per loro, gli aveva aspettati dieci anni e ora erano lì, davanti a lui.
Sollevò lo sguardo e vide Giulia con gli occhi chiusi e i capelli scompigliati dal vento. Era bellissima, anche quando era preoccupata.
Allungò una mano per stringerla a sé e lasciò che appoggiasse la testa alla sua spalla.
-Allora? Mi vuoi dire perché stai sospirando da un’ora?-.
Giulia lo fulminò con lo sguardo. Era così evidente? Ti conosco. Li conosco quei sospiri.
-Insomma,  non penso che mi tieni il muso perché tua madre mi chiama Lori. O sbaglio?-.
La donna tirò la testa indietro. Le era venuto mal di testa a forza di pensare. Basta. Doveva dirglielo. Ingoiò un groppone di saliva e fissò il compagno dritto negli occhi. 
-Pensavo di tornare al lavoro-.
Lorenzo fissò Giulia per mezzo secondo prima di formulare la risposta in automatico.
-Va bene-.
Va bene? Nessuna domanda? Nessuna ansia o preoccupazione. Sicuramente aveva sentito male. Aveva sicuramente un tappo di cerume in un orecchio perché Lorenzo era lì, davanti a lei, che la fissava con lo sguardo più serafico del mondo.
L’uomo le rivolse uno sguardo quasi offeso. Aveva davvero così tanta paura di dirgli che voleva anticipare il suo rientro lavorativo? Era solo per quello che gli aveva fatto quella scenata poche ore prima?
-Ma sei serio scusa?-
-Perché?-
Lorenzo strizzò gli occhi per combattere contro a luce del sole. Quelle parole se le aspettava da un po’ di tempo. Anzi, era immensamente sorpreso dal fatto che Giulia avesse resistito così tanto prima di comunicarli una notizia del genere.
-Giulia, dubito che me lo stai dicendo per chiedermi il permesso. Vero? Perché entrambi sappiamo che nessuno deve dare il permesso a qualcuno qui-
-Te lo sto dicendo perché… perché…-
La donna si fermò. Non lo sapeva neanche lei il perché. Forse semplicemente perché lei e Lorenzo si erano detti sempre tutto, anche quando erano solo amici.
-Il bambino lo iscriviamo al nido e dobbiamo organizzare bene i turni. Sarà difficile, dato che siamo gli ultimi arrivati. Ma Marcella mi adora quasi quanto mi adorava Teresa- continuò Lorenzo, come se separasi da Andrea fosse la cosa più naturale del mondo per lodo due.
Questa volta la battuta non ebbe l’effetto sperato. Giulia rimase impassibile.
-Amore mio, non c’è nessun problema davvero. Dopotutto è per te che siamo venuti qui, per il tuo lavoro-.
La donna di morse le labbra.
-Io non volevo farlo. Il pensiero di lasciarlo mi sta divorando. Ma il pensiero di dovere passare altri quattro mesi a fare la mamma e la donnina di casa mi devasta-.
L’aveva detto finalmente. Guardò Andrea che dormiva placido tra le sue braccia. Il solo pensiero di doversi separare fisicamente da lui, senza poterlo vedere, toccare, sentire la terrorizzava.
-Se è per i soldi della macchina, Giulia… sappi che non mi pesa affatto fare qualche ora di straordinario. Davvero, ero uno stacanovista anche prima di diventare padre-
-Non è per la macchina. I soldi non centrano. Lori, io ho bisogno del mi lavoro. Ne ho bisogno. Andre è tutto quello che c’è di buono a questo mondo, ma ho bisogno di stare anche con degli adulti. Tu sei un padre fantastico, ma poi esci e salvi delle vite. Io no. Insomma… il momento più eccitante per me è quando vado a fare la spesa e qualche vecchietta mi ferma e mi fa i complimenti perché ho un bambino bellissimo-.
Nel sentire quelle parole su suo figlio Lorenzo sorrise.
-Non è divertente- aggiunse lei-. –L’ho so che è stata una mia scelta quella di prendermi la maternità fino a giugno, ma se non prendo in mano un bisturi impazzisco-.
-Tutto qui?- Lorenzo rise e lasciò che Giulia lo schiaffeggiasse sul petto. –Dio, amore pensavo che fossi veramente arrabbiata con me per il fatto che tua madre mi chiama a tua insaputa-.
-Non ricordamelo, ti prego o stanotte finisci veramente a dormire sul div…-
Lorenzo la zittì con un bacio sulle labbra.
-Torna pure al lavoro, Giulia. Hai già parlato con il dottor Montecucco?-.
Giulia si diede mentalmente della stupida. Perché aveva perso tempo e temporeggiato, quando Lorenzo per lei c’era sempre stato? Lui la sosteneva sempre.
-Veramente è stato lui a chiamarmi. Ha parlato con Agnese-.
Lorenzo la guardò, stupito. Adesso stava iniziando leggermente ad offendersi. Perché Giulia non gli aveva detto nulla?
-Agnese le ha fatto il mo nome per la ricerca sulla sla. Sai Fabrizio mi ha detto che stava cercando qualcuno che avviasse il progetto di ricerca anche al “San Martino” studi traslazioni su mediatori circolanti associati alla prognosi della sla. E dati i miei trascorsi con Fabio…-
-Aspetta- Lorenzo appoggiò un gomito al ginocchio e inclinò la testa. –Io lavoro lì da due mesi e mi danno tutti del lei. Tu hai fatto un paio di telefonate e chiami il direttore sanitario per nome? Fabrizio?-.
-Lorenzo…-
-Eh dai Giulia, stavo scherzando-  le fece l’occhiolino. –Andrea lo iscriviamo al nido dell’ospedale e con i turni ci incastriamo-.
Lorenzo faceva sembrare tutto così semplice.
Giulia fece cozzare i loro nasi e lo baciò di nuovo, a lungo.
-Ti amo- sussurrò –e scusa per prima… mia madre è…-
-E’ complicata, lo so. Come sua figlia- completò lui con una smorfia. –E ammetto che questa cosa del lavoro avrà anche i suoi vantaggi…- un dito dell’uomo vagò sul viso della donna –ti avrò tutta per me se le nostre pause coincideranno- sorrise lui.
Giulia alzò gli occhi al cielo e sorrise. Adesso Lorenzo poteva finalmente rilassarsi. Adesso Giulia era tranquilla e lo era anche lui.
-Sei sei davvero sicura di essere pronta per tornare, io ti sosterrò come ho sempre fatto fino ad adesso-
-Non sei neanche tu il problema… il problema è…-.
Entrambi i giovani abbassarono lo sguardo. Adesso Andrea era sveglio e vigile e agitava in aria le manine.
-Ok piccoletto. Mettiamoci un po’ a vedere se mangi la sabbia- lo fece sedere delicatamente sull’asciugamano, accanto a loro e si mise subito all’opera per costruire un castello si sabbia, mentre Andrea rivolgeva gran parte della sua attenzione alla consistenza della sabbia e dei sassi piuttosto che alle attività ricreative del padre.
-Non voglio rinunciare a tutto questo- disse Giulia, guardandogli con gi occhi lucidi.
-E non ci dovrai rinunciare. Andrea sarà nell’asilo nido al primo piano. Avrai il tuo giorno libero, avremo i nostri turni-
-Questo lo so, ma il tempo sarà ridotto. Mi chiedo se lui un giorno non me lo rinfaccerà-
-Giulia, ad Andrea servono due genitori felici. Se il tuo lavoro ti rende felice, beh allora il resto verrà da sè-. Lorenzo unì la sua mano a quella di Giulia e la strinse forte.
-Era questo che ha spinto mia madre a chiamarmi questa mattina. Sapeva che io sarei tornata a lavorare e voleva assicurarsi che stessimo bene credo-
-Allora non è così malvagia come la dipingi-
-Smettila…-.
Risero entrambi e Giulia si sentì subito più leggera.
-Comunque inizio a lavorare tra due settimane. Domani chiamo il nido dell’ospedale e prenoto un colloquio con le maestre-.
Lorenzo le rivolse uno sguardo pieno d’orgoglio. Quella era la sua Giulia: la sua mente non si fermava mai e, nonostante tutto, Andrea era sempre al centro dei suoi pensieri. E pensare che lei madre non ci si era mai vista. Voleva davvero che lei si potesse vedere con i suoi occhi, per capire quanto era magnifica.
-Cane blu, dico bene?- le fece l’occhiolino e le baciò la fronte, stringendola ancora di più a sé.
-Cane blu- Giulia coprì entrambi con la coperta e stettero in silenzio ad osservare il sole tramontare nell’acqua blu scuro. Le teste appoggiate l’una all’altra e le mani intrecciate.
-Possiamo rimanere qui per sempre?- sospirò Giulia. Le parole le erano uscite di bocca ancora prima che la sua lingua potesse fermarle.
-Mmmm… davvero?- Lorenzo si lasciò scappare uno sbadiglio. –A volte ci pensi a come stanno gli altri? Al Policlinico e a tutto il resto?-.
Giulia si prese il tempo per pensare. Certo che ci pensava, ma non voleva che Lorenzo si sentisse troppo nostalgico. Sapeva che l’uomo era stato incredibilmente paziente in quei mesi. Non voleva che il suo rientro lavorativo sconvolgesse l’intero equilibrio famigliare.
-Non mi sono pentita della mia scelta, se è questo che vuoi sapere. Lo so che è dura abituarsi ad un nuovo ospedale e ai colleghi, ma penso che se fossimo rimasti a Milano sarebbe stato tutto più complicato-.
-Lo credi sul serio?-.
-Tu no?-
Lorenzo abbassò lo sguardo
-No…ecco… in parte almeno. Giulia, io ti avrei seguita ovunque, ma come te non ero più in grado di lavorare a Milano. Non dopo quello che è successo. Ma una parte di me sarà sempre legata a quel luogo. Non voglio che però pensi che sono pentito, perché non lo sarò mai. Sono fiero della tua scelta, della mamma che sei diventata e ti sosterrò sempre-.
Giulia aveva quasi gli occhi lucidi, vuoi per il vento, vuoi per gli ormoni della gravidanza che dovevano ancora scemare del tutto.
Le loro labbra si unirono ancora e ancora, come se avessero bisogno d una conferma tangibile della loro unione. Giulia sapeva che non sarebbe stato per niente facile rientrare al lavoro con un bambino di soli cinque mesi, ma in qualche modo ce l’avrebbe fatto. D’altronde, lei era Giulia Giordano la donna bionica, come amava prenderla in giro Fabio.
-Stasera ordiniamo la pizza però- disse Lorenzo, tra un bacio e un altro –e Andrea dorme in camera sua-
Giulia si staccò da lui quanto bastava per sussurrarli un no categorico. Se doveva separarsi da suo figlio, beh allora preferiva fare tesoro del tempo libero a disposizione.
 
Durante il viaggio di ritorno sicuramente l’atmosfera era più distesa rispetto all’andata:  Giulia si era accoccolata sul sedile posteriore con in braccio Andrea ed entrambi aveva ceduto presto al sonno.
Lorenzo li osservò dallo specchietto retrovisore e sorrise. Era dannatamente fiero della sua famiglia: l’aveva sognata, aspettata e aveva lottato per stare con Giulia e adesso il fatto che lei volesse tornare al lavoro lo riempiva d’orgoglio.
Parcheggiò l’auto davanti casa, in modo da non costringere Giulia a doversi fare a piedi due chilometri con il bambino in braccio. Quando tirò il freno a mano, Giulia era ancora addormentata, accoccolata sul sedile posteriore La testa della donna era rivolta verso il seggiolino del figlio, una mano stretto alla cintura di Andrea. Gli occhi socchiusi che lottano inconsciamente con la luce del sole che stava tramontando, la bocca semi aperta, i pelli ancora arruffati dal vento. Indossava la felpa di Lorenzo perché aveva preso freddo. Madre e figlio dormivano in perfetta sincronia. 
Le labbra di Lorenzo si inarcarono in una smorfia che assomigliava ad un sorriso ebete. Gli dispiaceva quasi svegliarli.
Mise il freno a mano, scese dall’auto e aprì la portiera.
-Giulia…- si chinò e le depositò un lieve bacio sulla fronte –siamo arrivati-.
Lei sbattè le palpebre un paio di volte prima di aprire gli occhi. Lorenzo in quel blu oltremare ci si poteva specchiare.
-Prendi Andre, io vado a parcheggiare-.
 
-Dorme già?-.
Quando Lorenzo fece ritorno in casa, venti minuti dopo (l’uomo ringraziò mentalmente il traffico di Genova e l’impossibilità di trovare un parcheggio vicino casa) trovò Giulia e Andrea distesi nel letto matrimoniale. Il bambino dormiva ancora, supino, con le braccia distese sopra la testa. La donna aveva entrambi i gomiti appoggiati su un cuscino e lo guardava, accarezzandogli i capelli.
Giulia alzò lo sguardo nel sentire la voce del compagno. I suoi occhi blu brillarono nella semi oscurità della stanza.
- Non si è mai svegliato. Ho dovuto lavarlo mentre dormiva. Era distrutto, tutta quella aria di mare deve averlo anestetizzato-.
Lorenzo sorrise, si sfilò la felpa intrisa di sabbia e sale, e si lasciò cadere nel letto, facendo sobbalzare leggermente il materasso.
-E’ stato bello, ma ti prego, fammi cambiare idea la prossima volta sulla giornata al mare. Io sono distrutto-.
Si girò su un fianco e avvicinò il suo viso a quella del figlio, baciandogli la testolina piena di cappelli scuri.
-Lorenzo-.
Giulia appoggiò la testa al cuscino per stare più comoda.
-Mmmm?- sbuffò lui. Dal tono che stava usando Giulia intuiva che c’era aria di problemi.
-Stai sporcando tutto il letto di sabbia-.
Lorenzo aprì gli occhi, ma le palpebre parevano pesare come un macigno.
-Amore… -tentò di protestare – mi faccio una doccia dopo cena-.
La donna arricciò il naso, ma si trattenette dall’andare oltre. Anche lei era troppo stanca per continuare quella discussione.
-Ho chiamato mia madre- il cambio repentino di conversazione fece destare Lorenzo.
Adesso era attentissimo. Fissava Giulia con uno sguardo serio. La donna, invece, aveva lo sguardo fisso su suo figlio.
-Eh?-
-E le ho detto che lei e Sergio possono venire questo week end per una visita veloce. Ma devono restare tassativamente meno di quarantotto ore- .
Giulia sentì subito Lorenzo farsi più vicino e un attimo dopo lui le sollevò il mento e le depositò un bacio a fior di labbra, facendo cozzare i loro nasi.
-Ti amo Giulia-
Lei non rispose. A volte non riusciva ancora a rispondergli quando Lorenzo le diceva che l’amava, non perché non l’amasse, ma perché  esprimere a parola i sentimenti profondi che aveva sviluppato per il suo migliore amico in quell’anno di relazione per lei era ancora troppo complesso. Si limitò ad unire la fronte a quella dell’uomo: granelli di sabbia andarono inesorabilmente a sporcare le lenzuola pulite. Giulia aprì gli occhi.
-Stai sporcando anche me di sabbia-.
Per tutta risposta le forti braccia di Lorenzo la bloccarono e le fecero il solletico.
-Dai Lori… attento….- la risata di Giulia era troppo meravigliosa per smettere.
Andrea, in mezzo a loro, ormai aveva aperto gli occhi verdi e li scrutava con fare sospettoso.
Lorenzo si fermò solo quando Giulia non ebbe più fiato e, anche in quel momento, continuò a tenerla stretta a sé.
-Sono felice che hai deciso di dare una possibilità a tua madre e a Sergio. Io farei di tutto per averne un’altra con la mia-.
Lorenzo non parlava quasi ma di sua madre. Era quasi come se fosse un fantasma assopito, ma le rare volte che la nominava Giulia provava una lieve fitta d’invidia nel petto: lei un madre presente non l’aveva avuta, mentre Lorenzo sì, anche se era morta presto.
-Lo faccio per Andrea non per lei. Ha diritto ad aver una famiglia normale-
-Normale?-.
La donna si morsicò le labbra. Forse era solo l’insicurezza a bloccarla.
-Sì, normale. Di quelle che la domenica si riuniscono tutti assieme e fanno un pranzo domenicale, annesso di passeggiata e partita di calcio da guardare tutti assieme davanti alla tv-.
-Non pensavo che tenessi a queste cose-
-Lorenzo, sono seria. Non è che ci tengo, è diverso. E’ che io e te non siamo abituati a questo genere di cose, mentre io voglio che per nostro figlio una famiglia piena di gente che lo ami alla follia sia la normalità-.
Sentiva di amarla ancora di più dopo quelle parole, di questo Lorenzo ne era certo. Prese tra le mani il volto della donna e le sussurrò.
-Ehi, amore guardami. Lo avremo. Te l’ho promesso. Avremo tutto questo- la baciò con passione –facciamo così…chiamo Susy e Ale. Verranno anche loro il prossimo fine settimana e consoceranno tua madre-.
Giulia rabbrividì al pensiero, ma il sorriso di Lorenzo era decisamente un buon incentivo.
-Io non cucino però-
-Ordiamo tutto in rosticceria oppure andiamo a pranzo fuori. Tu devi solo rilassarti e goderti il pranzo-.
-A proposito di ordinare…- la donna si divincolò per uscire dall’abbraccio di Lorenzo e allungò una mano tanto bastava per afferrare il cellulare –ordino la pizza mentre tu ti vai a fare una doccia Lazzarini. Ero seria prima, ti scordi che io faccia qualunque cosa se continui a inzozzarci la casa nuova di sabbia-.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** And everything will be alright ***


Cover me in sunshine
Shower me with good times
Tell me that the world's been spinning since the beginning
And everything will be alright”
- “Cover me in sunshine” Pink
 
Giulia osservò con attenzione maniacale il suo riflesso allo specchio. Era la prima volta in un anno che si truccava per andare al lavoro.
Doveva essere tutto perfetto. Si era alzata alle cinque del mattino, si era lavata, truccata e aveva stirato la camicia e il tailleur nuovo che aveva comprato in via XX Settembre. I suoi occhi color zaffiro le restituirono uno sguardo sinceramente preoccupato, al limite dell’ansioso. Lei che non era mai stata ansiosa adesso era un fascio di nervi!
E il motivo di questo suo cambiamento aveva un solo nome… Andrea.
Aveva già controllato Andrea quattro volte. Era ansiosa di lasciarlo per la prima volta all’asilo nido ed era preoccupata di dovere iniziare a lavorare in un nuovo ospedale, ma se passava un altro giorno a fare solo la mamma e la casalinga avrebbe dato di matto. Si guardò un ultima volta allo specchio e provò ad accennare un sorriso di presentazione.
Era dura ricominciare in un posto completamente nuovo, ma la giovane donna era determinata a farcela.
I suoi battiti cardiaci decelerarono fino a ritornare ad un livello normale.
Quando entrò in cucina era solo le sei del mattino. Doveva essere in ospedale alle nove per parlare con il direttore sanitario del suo rientro lavorativo anticipato, ma si era svegliata alle e non aveva più ripreso sonno.
-Sei nervosa amore?- Lorenzo la squadrò di soppiatto, come se avesse paura di vederla in preda a un attacco di panico da un momento all’altro.
Cosa ci faceva in piedi? Lui aveva appena finito il turno di notte.
Giulia rimise la caffetteria sul fuoco, fingendo indifferenza. Le mani le tremavano ancora.
-No-.
L’uomo alzò un sopracciglio con fare sospettoso. La conosceva troppo bene.
-Io dico di sì- ghignò e si avvicinò a lei e la cinse dolcemente per i fianchi, costringendola a voltarsi e a guardalo in faccia.
-Lorenzo, no-
-Se non fossi nervosa non mi avresti cacciato dal nostro letto ieri sera-
-Se tu non fossi stato così irritante, io non avrei dovuto cacciarti-
Lui le rivolse uno sguardo torvo. La sua eccessiva rigidità si scontrava sempre con il suo inguaribile ottimismo.
-Giulia, sono serio. E’ normale essere nervosi. Non entri da un ospedale da più di un anno-
-No-
-Come?-
-Non sono nervosa. Sono solo… sono solo…-.
Lorenzo la baciò sulla fronte.
-Andrà tutto bene-.
-Sono solamente eccitata di iniziare. Ci tengo veramente a fare un buon lavoro. Non è solo essere di nuovo un medico di medicina interno, è essere anche corresponsabile del progetto di ricerca per la sclerosi multipla. Per Fabio…-
Lorenzo annuì, solamente, senza bisogno dia aggiungere altro. Sapeva quanto significasse per Giulia quel posto di lavoro.
-Il piccolo è sveglio?-
-No, lo porto io al nido-
-Non se ne parla Giulia. Oggi ti devi concentrare so su di te e sul lavoro. Tranquilla, lo porto io-.
-Hai fatto il turno di notte-
-E allora?-.
Giulia osservò per un secondo gli occhi stanchi del compagno.
Non aveva voglia di mettersi a litigare di prima mattina, perciò si dileguò in camera da letto, ansiosa di specchiarsi un’ultima volta.
Suo figlio era già sveglio, seduto tra le coperte del lettone.
Giulia non resistette e lo prese in braccio, baciandogli la punta del nasino.
-Aww- disse Andrea. Gli occhi vipsi e le guancie paffute li aveva preso senza alcun dubbio dalla madre.
-Sì, awww- la donna lo strinse a sé e tutte le sue certezze vacillarono mentre i suoi occhi blu si specchiavano in quelli verde scuro del figlio.
-Dammelo a me- le ordinò dolcemente Lorenzo, che aveva colto gli occhi lucidi della donna. –Starà bene-.
-Lo so’ che starà bene è che mi sento in colpa a lasciarlo e contemporaneamente mi sento in colpa a essere stata a casa per così tanto tempo-.
Giulia lo strinse ancora di più a sé e gli baciò la fronte, prima di arrendersi e consegnarlo a Lorenzo.
-La mamma torna presto- sussurrò, stupendosi subito dopo dell’effetto di quelle parole. Si stava trasformando nella mamma perfetta. E la cosa non le piaceva per niente.
Indugiò per un attimo sul volto di Lorenzo: la stava guardando con la stessa espressione che era solito usare quando lavoravano assieme al Policlinico Ambrosiano ed erano solamente due amici e colleghi. Studiava ogni curva e lineamento di Giulia, quasi come se ne fosse ossessionato e temesse di vederla scomparire dietro l’angolo; era uno sguardo fermo e delicato, lento e mai possessivo; come se Lorenzo immagazzinasse l’anima e la bellezza della donna che lo aveva scelto, per poi sognare ad occhi aperti il suo volto quando ella non gli era accanto. Era la stesso sguardo oche riservava al figlioletto.
-Andiamo su. Saluta la mamma e dille buona fortuna- l’uomo fece l’occhiolino a Giulia e sorrise. Giulia non avrebbe di certo avuto problemi.
 
L’aria fresca e frizzante di marzo investì Giulia in piena faccia quando uscì di casa. Avrebbe preso un taxi per andare al lavoro. L’auto serviva a Lorenzo per portare il bambino all’asilo nido; inoltre la giovane dottoressa non aveva alcuna intenzione di sfidare la sorte e il traffico di Genova prendendo i mezzi pubblici. 
Non appena salì nel taxi le squillò il cellulare.
Era Andrea.
-Ehi!-
-Ehi Giulia… volevo solo augurarti buona fortuna per oggi. Sei nervosa?-.
Giulia sospirò. Perché tutti gli uomini della sua vita continuavano a farle le stesse dannate domande?
-Sono tranquilla, davvero. Sto semplicemente tornando al lavoro-.
Ci fu una pausa.
-Andrea, sei ancora lì?-
-Sì… è che sarà strano davvero saperti al lavoro in un altro ospedale. Se fossi rimasta qui a quest’ora saresti primario-
-Andrea…-.
Ecco, sospettava che il suo ex e amico fidato avrebbe tentato la carta della nostalgia. Sebbene Andrea la supportasse in tutto, Giulia era ben conscia del desiderio dell’amico di riaverla al Policlinico Ambrosiano. E l’idea la infastidiva leggermente.
-Sto solo dicendo che saresti stata un’ottima rivale per Cecilia. Da quando è diventata primaria l’ospedale è tirato a lucido-
-Immagino… come sta Carolina?-
-Carolina?- Andrea si finse indifferente: sapeva che la sua amica aveva cambiato discorso, solo per non pensare al Policlinico Ambrosiano e a quello che lei e Lorenzo avevano lasciato.
-Carolina sta bene, è diventata la migliore amica di Alba e Riccardo. E… ah Gabriel e Elisa si sposano-
-Che cosa? Quando?-
-Beh veramente ieri sera lei lo ha chiesto a lui, ma comunque ti avrebbero chiamato oro tra qualche giorno. Non volevano disturbarti dato le circostanze…-
-Andrea sto cambiando lavoro, non sto partendo per la guerra!- sbuffò Giulia.
Andrea sorrise.
-In ogni caso, tu e Lorenzo sarete qui tra un mese vero?-
-Sì, certo. Verremo a Milano per il weekend. Lo abbiamo promesso a tutti-.
 
-Siamo davvero felici di averla a bordo della nostra nave dottoressa Giordano- il direttore sanitario dell’ospedale “San Martino” di Genova la accolse calorosamente, stringendole saldamente la mano –prego- disse, invitandola con un gesto a sedersi davanti a lui.
Fabrizio Montecucco era, e non c’era altra parola per descriverlo, una sorpresa. Lorenzo aveva provato a descrivere a Giulia chi fosse il direttore sanitario, ma nessun discorso poteva farli onore. Fabrizio era giovane, curato e dai modi gentili. Aveva un viso aperto e cordiale, occhi blu scuro e capelli castano chiaro che facevano intravedere dei ricci ribelli tagliati corti a zazzera.
-Si troverà bene in questo reparto. Io credo nel lavoro di squadra e mi hanno detto grandi cose sia su di lei sai su suo marito-.
Giulia arrossì lievemente. Agnese era stata fin troppo gentile.
-Io e il dottor Lazzarini non siamo sposati-
-Oh beh, però ho visto che avete un bellissimo bambino-. Fabrizio le sorrise nuovamente e Giulia si mise più composta.
-Lei lavorerà sia con il dottor Federico Carone, sia con la dottoressa Barbara Colombo. Sono loro che hanno fortemente voluto l’unità di ricerca sulla sclerosi multipla. Inoltre siamo un ospedale universitario, quindi ciclicamente saranno affidati a voi degli specializzandi-.
Giulia annuì vigorosamente. Si sentiva leggermente spaesata quando raggiunse il dottor Carone, suo collega. I genovesi erano famosi per non dare troppo confidenza.
Durante il suo primo girono di lavoro Giulia non fece altro che stringere mani di medici e pazienti. I medici le parevano tutti uguali: molti erano vecchi, quasi tutti genovesi doc; altri, come lei, erano giovani medici migrati da altre parti d’Italia tutti abbronzati e con l’odore di salsedine nei capelli. Il fatto che l’ospedale fosse a pochi chilometri dal male indubbiamente aveva i suoi vantaggi. E Giulia scoprì presto che, durante le pause pranzo, molti suoi colleghi approfittavano del tetto panoramico per prendere il sole.
Il dottor Carone era anziano, quasi prossimo alla pensione ed esibiva un paio di baffi grigi che gli davano un’aria vissuta. La dottoressa Colombo invece era una donna di mezz’età, curata e spigolosa, e sembrava una copia più vecchia della stessa Giulia. Lavoravano bene assieme.
-Queste sono le schede dei pazienti- la capo infermiera Maria le sorrise cordialmente. –Se le studi per bene dottoressa Giordano-.
Tutti le sembrano estremamente gentili e cordiali e la donna sospettava che ci fosse lo zampino del compagno. In ogni caso non ebbe certamente il tempo per soppesare troppo la faccenda. Nelle sue otto lunghe ore di turno visitò un anziano con la polmonite bilaterale, prescrisse tac, esami e analisi del sangue ad un quarantenne colpito inspiegabilmente da un ictus e si prese del tempo per visionare le cartelle cliniche dei pazienti del trial sulla sclerosi multipla. C’era Paride un uomo di quarant’anni che aveva ricevuto la diagnosi cinque anni prima, c’era Marisa una donna sulla sessanta… Giulia non riusciva più a rimanere impassibile come un tempo. I due Andrea della sua vita l’avevano cambiata, l’aveva resa più vulnerabile. Lo squillo del cellulare la avvertì che era ora di andare a casa. Spense il monitor del computer e si diresse subito all’asilo nido.
Davanti all’ingresso trovò Lorenzo, già vestito con il camice bianco e lo stetoscopio al collo.
-Ehi-
-Ehi, anche tu qui?-
Stettero uno di fronte all’altro. Lorenzo, vestito da medico, e Giulia che si era cambiata e indossava un paio di jeans e un golfino color turchese.
-Vengo sempre a guardarlo prima di iniziare il turno. Mi aiuta a partire con la giusta motivazione-.
Entrambi voltarono lo sguardo su loro figlio. Grazie ad una finestra interna a doppio vetro, i genitori potevano osservare i bambini giocare senza essere visti. Andrea si reggeva in piedi appoggiandosi ad un tavolino e stava cercando di incastrare le giuste forme in u gioco di legno.
-E’ la mia serotonina, specialmente quando ho appena affrontato una giornata difficile al lavoro-.
Lorenzo indugiò un attimo sul volto della compagna. Avrebbe voluto sommergerla di domande sul suo primo giorno, ma sapeva che quello non era ne il luogo ne il momento adatto.  Perciò si limito a depositarle un lieve bacio sulla fronte.
-Buona giornata amore. Riposati- disse, mentre si incamminava per i corridoi del  S. Martino.
Giulia rimase immobile ad osservarlo.  Allontanarsi e, ancora una volta, sentì lo stomaco contorcersi.
Allora sarebbe stata quella la loro nuova quotidianità. A Milano, quando erano ancora al Policlinico Ambrosiano, praticamente non avevano avuto occasione di lavorare assieme come una coppia. Adesso sì. E, per quando Giulia fosse estremamente riservata e cercasse di staccare la vita privata da quella professionale, non potè fare a meno di sentire un pizzicore d’eccitazione al pensiero di lavorare tutti i giorni a fianco di Lorenzo. Curare assieme i pazienti, incrociare il suo sguardo e la sagoma della sua figura nei corridoi, fare consulti assieme, ritrovarsi davanti all’asilo nido per osservare Andrea, rubargli qualche bacio in medicheria. Erano tutte piccole cose che le erano state tolte e che voleva recuperare in tutta fretta. Certo, i suoi amici e il suo vecchio team era tutt’altra cosa; ma adesso, in mezzo al quel corridoio, Giulia pensò che lei e Lorenzo ce l’avrebbero fatta.
Quando entrò nel nido suo figlio gattonò fino da lei con gli occhi che brillavano di gioia.
-Ciao Andre!- strinse a sé il figlioletto e lo baciò sulle guanciotte pine, inspirando il suo dolce profumo- -Mi sei mancato moltissimo amore! Hai visto papà?- indicò il grande vetro, come e il figlio potesse guardarci attraverso.
Andrea borbottò qualcosa in risposta e Giulia lo interpretò con un invito a sbrigarsi per tornare a casa. D’altronde erano le tre del pomeriggio e tutte e due volevano fare un salto a spiaggia prima di preparare la cena.
 
Giulia sentì lo sguardo fisso di Lorenzo addosso da due metri di distanza.
Erano otto e mezza di sera e stava preparando la cena. Lorenzo era tornato da poco e lei l’aveva spedito a farsi una doccia e a giocare con il bambino sul divano.  Gli strilli di gioia di Andrea alle pernacchie sulla pancia subite dal padre erano una gioia, ma nonostante la piacevole distrazione, Giulia sentiva comunque gli occhi del compagno puntati addosso.
Smise di tagliare le zucchine per la cena. Si tirò su le maniche e appoggiò le mani al bancone della cucina.
-Mi stai fissando da un quarto d’ora. E’ logico che vuoi sapere come è andato il mio primo giorno-.
Lorenzo le rivolse un’occhiata colpevole. Era davvero così evidente?
-Giulia, andiamo non hai paerto bocca al riguardo. Come ti sei trovata?-
-Bene- la donna si rimise a tagliare le zucchine. Il tac… tac del coltello he picchiava sull’asse di legno la aiutava a fare chiarezza nella sua mente.
-Lorenzo, non devi preoccuparti per me. Mi guardi… mi guardi come se dovessi rompermi da un momento all’altro. E’ andata bene ,sembrano tutti cordiali e mi hanno già dato le cartelle dei apzienti per il trial di ricerca-.
Effettivamente la pila di documenti che incombeva sul tavolo del soggiorno non era sfuggito alal vista di Lorenzo, ma l’uomo aveva preferito non fare domande. Sospirò lievemente, attento a non fare cogliere a Giulia il suo sollievo.
Giulia detesta quando Lorenzo la trattava così. Le se l’era sempre cavata da solo e lui doveva capirlo.
-Sai che io ci sono vero?- Lorenzo si alzò, prendendo in braccio il bambino. –Io mi preoccuperò sempre di te e di Andre.
-Sbagli. Sai io e lui sopravviviamo benissimo, non devi preoccuparti ventiquattro ore su ventiquattro. Oggi siamo stati in spiaggia e al porto e abbiamo preso un gelato-.
L’uomo guardò il figlio e poi spostò lo sguardo sulla compagna. Non era sua intenzione farla innervosire, lui però non lo faceva apposta. Voleva davvero prendersi cura al meglio di tutti loro.
-Ci ho sempre pensato sai-
-A cosa?
-Giulia, puoi girarti per favore… la cena può aspettare-.
Giulia sbuffò, ma lo accontentò e si girò, pulendosi le mani in uno strofinaccio. Un lieve sorriso si formò sul volto della donna quando vide Lorenzo con in braccio Andrea. Le faceva ancora un certo effetto vederli assieme.
-Quando ho preso il covid ed ero fermo in quel letto d’ospedale ci ho sempre pensato al fatto di lasciarvi. Se io fossi morto tu avresti avuto solo lui-.
Giulia lo baciò, senza lasciarlo neanche finire e il bacio presto si trasformò in una risata contro le labbra di Lorenzo, quando suo figlio Andrea iniziò a tirarle i capelli.
-Amore mio- la donna battè le mani davanti al figlio e lo sottrasse alla stretta del padre. –papà è dannatamente bravo con i discorsi romantici, ma questo non cambia il fatto che tu sia paranoico-
-Non lo sono-
-Dopodomani Ale e Susy traslocano nel palazzo davanti al ostro e sono giorni che stai sveglio di notte a pensare a come aiutarli, quando loro ti hanno già detto venti volte di non preoccuparti-.
-Siete tutti in combutta contro di me- Lorenzo si finse offeso.
 
L’idea del pranzo di famiglia che era venuta a Giulia quel pomeriggio di febbraio sulla spiaggia di Boccadasse, impiegò quasi due mesi per realizzarsi.
Era ormai aprile quando lei e Lorenzo riuscirono ad incastrare i loro orari con le esigenze dei loro famigliari. Il weekend prima di Pasqua però si rivelò essere il giusto compromesso: Alessandro e Susanna si erano sistemati nel loro nuovo appartamento, Sergio e Eleonora erano riusciti ad arrivare da Milano per il fine settimana e Fabio si era palesato all’ultimo.
Erano in otto a pranzo quella domenica, ma a Giulia sembravano molti di più dall’allegro vociare che si era subito sparso nella casa. Fissava persa il suo riflesso nel calice che lei aveva insistito ad usare come  bicchieri. Dopotutto era un giorno speciale. Lei e Lorenzo avevano ordinato il pranzo in rosticceria: lasagne al pesto e fritto misto di pesce. Giulia aveva solamente dovuto preparare il ciambelline come dolce.
Sua madre teneva in braccio Andrea e lo coccolava come se non lo vedesse da anni, Fabio, Sergio e Alessandro discutevano dell’imminente partita che avrebbero visto allo stadio e Susanna e Lorenzo chiacchieravano fitto fitto, le mani intrecciate.
-Non ti dispiace vero Giulia?- la voce di Fabio la fece destare dai suoi pensieri.
-Che?-
-Non ti dispiace vero che andiamo allo stadio senza di te?-
-No di certo se tu prometti di fare quello che hai promesso-.
Fabio grugnì contrariato, ma Giulia gli fece abbassare lo sguardo.
-Ho detto che ci avrei pensato-
-Giulia…- Lorenzo adesso aveva smesso di parlare con la sorella, ma fissava la compagna da lontano.
-No, lo aveva promesso. Aveva detto che avrebbe provato ad entrare nel trial e…-.
-Giulia- Lorenzo le sorrise- ti spiace se io e Fabio usciamo un po’ a parlare?-.
Furono rapidi a infilarsi le giacche di pelle e a uscire in strada: Lorenzo con Andrea sulle spalle, Alessandro a fianco a loro e Fabio che rimaneva un po’ più indietro, con le mani in tasca e lo sguardo basso.
-Questo pranzo era un’imboscata bella e buona- borbottò il biondo, strofinandosi il naso.
-Questo pranzo lo abbiamo fatto per stare tutti assieme- lo corresse Lorenzo. Non voleva usare un tono di voce accusatorio, ma lo fece. Si stava solo trattenendo perché reggeva suo figlio sulle spalle.
-Fabio se Giulia non ti convince a fare il trial per migliorare la tua vita e sollevarla da una preoccupazione, beh sappi che allora sarò io a scrivere per sbaglio il tuo nome su quella lista. E credimi, fare il disonesto non mi piace per niente, quindi mi faresti un enorme favore se smettessi di fare il bambino e dicessi di sì-.
-Lorenzo- Alessandro si intromise tra i due. –Se parli così spaventi il bambino-.
I piagnucolii di Andrea fecero scemare la tensione per un attimo.
Alessandro distese le braccia e prese il bambino tra le braccia.
-C’è zio Ale qui- disse –e grazie per il pranzo-.
-Sì, il pranzo!- Fabio sibilò, cercando di mantenere un tono di voce basso –Giulia è la persona più organizzata di questo mondo. Mi ha fatto davvero piacere vedervi, vedere il bambino; ma era chiaro come il sole per me che tutto questo pranzo l’avete fatto per convincermi-.
-Abbiamo fatto per convincerti perché ti vogliamo bene. E sì, a Giulia piace avere tutto sotto controllo,a ma è anche vulnerabile. E se non vuoi farlo per noi, fallo almeno per tuo nipote. E’ il tuo unico nipote e a me piacerebbe che tu lo vedessi crescere-.
Fabio spostò lo sguardo a Lorenzo, che lo guardava con occhi seri, ad Andrea, che stava masticando il cordino della felpa di Alessandro.
Sei un paraculo-.
Lorenzo sorrise. L’aveva convinto.
-Lo so’. Giulia lo dice sempre-.
 
-Puoi evitare di fumare per favore? –
Eleonora gettò la sigaretta nel vuoto, osservandola volteggiare in area.
-Giulia, non ti devi arrabbiare con tuo fratello. E’ solamente spaventato
-Certo- Giulia incrociò le braccia al petto e rabbrividì. L’aria era ancora fresca. –Non riesci proprio a non difenderlo-
-Questo pranzo l’hai organizzato anche per questo, per parlare con lui. Sono sicura che alla fine si convincerà, non c’è motivo di rovinare questa bella mattinata assieme-.
Lorenzo riuscirà a convincerlo. Lui, alla fine, ci riesce sempre.
-Sergio come sta? Cosa vi hanno detto all’ultimo controllo?- tentò di cambiare goffamente argomento, m anche Eleonora aveva le sue conversazioni tabù: non voleva pensare alla sofferenza che stava patendo Sergio, non in quel giorno di festa almeno.
-Come va il lavoro?-
-Va bene-
-Solo bene?-
Bene mamma. E’ lavoro. Mi piace, davvero. Sento che faccio qualcosa di veramente importante con la ricerca sulla sclerosi multipla. Per questo voglio che Fabio lo veda-.
-Giulia, è solo lavoro? Fino ad un anno fa ti saresti chiusa in quel laboratorio-.
Fino ad un anno fa non avevo nessun che mi aspettava a casa.
-E il bambino? Si è ambientato bene al nido?-
-Dio mamma! Il ruolo di nonna ansiosa non ti si addice per nulla!-
Eleonora sorrise leggermente. Era così fiera di lei, anche se non glielo diceva quasi mai.
-Sta bene. Certo che sta bene. E’ al nido al piano terra-
-Io e Sergio comunque ci fermeremo qualche giorno qui quest’estate. C’è una pensione in fondo al corso che fa proprio al caso nostro. Vuole stare al mare-.
Entrambe le donne si giravano verso l’interno della casa.
-Lollo sta tornando!- annunciò allegra Susanna.
-Farò il trial- Fabio si affacciò all’ingresso con in mano un’enorme vaschetta di gelato
-Hai capito bene mamma. Farò il test d’ammissione al trial la settimana prossima. Ma se vengo accettato, non voglio che Giulia sia presente in sede d’esami operatori-.
-Come hai fatto?-. la donna l’abbracciò stretto.
-Come ho fatto?- la canzonò il fratello –è colpa di tuo marito qui-.
Giulia arrossì.
-Sì certo, sappiamo tutti quando Lorenzo può essere persuasivo in certe situazione- rise Eleonora, godendosi l’effetto delle sue parole.
I due giovani arrossirono vistosamente e Giulia bofonchiò un ”mamma”.
-Comunque direi che è ora di festeggiare, no?- disse Sergio, ritrovando un tono allegro.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** I see hope again ***


Ok, questo sarebbe l'ultima one shot che ho scritto su loro due. Probabilmente quest'estate ne scriverò altre e aggiornerò questa storia; ma per il momento, mi fermo qui. E' un periodo ancora parecchio impegnativo per me e, purtroppo, il tempo per scrivere le mie mille idee è molto ridotto. Spero comunque di avervi fatto compagnia con queste brevi oneshot su Giulia e Lorenzo. Meritavano molto di più.  - Fran

“Oh, I'm obsessed
With the way your head is laying on my chest
 How you love the things I hate about myself
And no one knows, but with you,
I see hope again”
-“I guess I’m in love” Clinton Kane
 
Giulia stava ferma a fissare quella scena da dieci minuti buoni.
Se quella era la felicità, beh pensava proprio di volere abituarsi presto a quella sensazione d’eccitazione crescente che provava nel petto.
Il cuore le scoppiava dalla gioia nel constatare quante persone volessero bene a suo figlio e quante avessero supportato lei e Lorenzo in quell’anno e mezzo di vita assieme.
Quel giorno era speciale: Andrea compiva un anno di vita. Lei avrebbe voluto una festa semplice, solo loro tre; ma Lorenzo aveva altri piani in mente: d’altronde Andrea era il loro unico figlio e il traguardo di un anno di vita doveva essere celebrato. Soprattutto dopo la pandemia e tutto quello che aveva comportato: l’ansia costante di perderlo doveva essere evasa solamente con l’amore. Così aveva invitato prima Susanna e Alessandro, ai quali si erano inesorabilmente aggiunti Eleonora e Fabio. Andrea si era auto invitato in quanto omonimo del festeggiato e con lui era arrivata tutta la truppa da Milano: Carolina, Agnese, Enrico, Teresa, Gabriel, Elisa, e Riccardo e Alba.
Stavano tutti dietro il grande tavolo della cucina, che era stato spostato di lato per avere l’intero soggiorno/sala da pranzo libero. Andrea era stato costretto nel seggiolone e Lorenzo aveva insistito per mettergli addosso una ridicola maglietta con la scritta “1” e quegli odiosi capellini di carta a forma di cono. Era buffissimo mentre guardava incantato suo padre che accedeva la candelina sulla torta.
-Tu e Lorenzo sembrate così felici assieme- Eleonora le fece voltare lo sguardo.
-Come?- Giulia non riusciva a staccare lo sguardo da suo figlio.
-Tu e Lorenzo sembrate felici- ripetè la donna, sorridendo. Le rughe intorno agli occhi celavano un’ombra d tristezza sopita. -No… sai, oggi non voglio pensare a lui- Eleonora si asciugò una lacrima solitaria –ma avrebbe adorato tutto questo. Vi adorava ragazzi e stravedeva per Andrea-.
Sergio se ne era andato lo scorso mese, stroncato dal cancro. Da allora Eleonora viveva a casa di Alessandro e Susanna. Loro erano stati così gentili da cederli la camera da letto degli ospiti, per permettere alla donna di stare più vicino possibile alla figlia e al nipotino. E Giulia doveva ammettere che quella convivenza inaspettata andava meglio di quello che mai avrebbe potuto sperare.
-Lo siamo- Giulia si sorprese di quelle parole, ma le pesava veramente. Per la prima volta in vita sua, adesso, aveva una stabilità emotiva.
A proposito di Lorenzo… dove si era cacciato?
 
-Lo sai vero che sgattaiolare fuori poco prima del taglio della torta darà sicuramente nell’occhio vero?-  Andrea non riusciva a smettere di sorridere alla vista dell’amico cosi nervoso. Già si immaginava perché l’aveva costretto ad uscire dall’appartamento.
Lorenzo camminava avanti ed indietro nell’atrio del palazzo, cercando di dare un ordine ai suoi pensieri. Gesticolava quasi e piccole gocce di sudore gli stavano scendendo giù dal volto.
-Non riuscivo a trovare una scusa. Giulia è troppo intelligente- .
Il dottor Lorenzo Lazzarini che andava in panico?
-Mi faresti da testimone di nozze?-
Il sorriso sornione di Andrea si allargò ancora di più.
-Devo ancora chiederglielo. Ma dirà di sì- aggiunse il giovane medico.
-L’ottimismo è la prima cosa. Fondamentale-
-Finiscila Doc- Lorenzo gli lanciò un’occhiataccia, mentre armeggiavi con la tasca dei jeans e tirava fuori l’anello nuziale.  –Era di mia mamma. E’ di famiglia. Giulia non sospetta nulla. Abbiamo sempre detto di volere aspettare per il matrimonio-.
Dio, quella conversazione tra lui e Andrea Fanti stava realmente accadendo o era tutto frutto di un’allucinazione? Solamente due anni fa era Andrea che andava a letto con Giulia!
 
Giulia era così concentrata sullo schermo del computer che non si accorse neanche dell’arrivo di Lorenzo.
-Ehi… mi hai chiamato per un consulto?-.
-Si…- lei girò appena lo sguardo – si tratta di Paride. Oggi ha avuto una crisi e stiamo cercando di capire cosa è successo-.
Lorenzo si mise una mano tra i capelli, scompigliandoli ancora di più.
-Lo so’- disse, lasciandosi cadere sulla sedia girevole accanto a Giulia –ho visto Silvia e i ragazzi in corridoio. Piangevano. E’ molto grave?-.
Dietro la parete di vetro c’era Paride, sdraiato nella tac. Giulia chiuse il collegamento audio, in modo che l’uomo non la potesse sentire.
-Lorenzo, Paride è qui da quando io ho ripreso a lavorare… quindi quasi cinque mesi. Non reagisce alle terapie, non è come gli altri pazienti del trial… io… è come se il suo corpo lottasse contro di lui-.
Lorenzo si focalizzò sull’immagine della tac.
-Nessun cambiamento- sussurrò incredulo –da quanto è sotto trattamento?-
-Da due settimane abbiamo completato l’ultimo ciclo con le staminali. Non so’ se con questi risultati possiamo tenerlo. Oggi aveva così tanto mal di testa che voleva stare al buio completo. Per un momento mi è sembrato di rivedere Fabio-.
Giulia sbatté le palpebre, tentando di ricacciare dentro le lacrime e rimanere lucida. Fabio aveva finalmente iniziato il trial per la sclerosi multipla, ottenendo risultati incoraggianti. Purtroppo, la stessa cosa non si poteva dire di altri pazienti.
-Giulia, andiamo non potete escluderlo dal programma. Ha tre figli piccoli-
-Ha fatto tre figli piccoli pur sapendo di essere malato. Non lo giudico, ma sapeva che la sua malattia è degenerativa-.
Per una frazione di secondo la mente di Lorenzo vagò nel vuoto. Sapeva che Giulia, la sua Giulia non pensava veramente quelle parole; ma, a distanza di dieci anni, la sua mente faceva ancora fatica a scontarsi con quella rigida e impostata della donna.
-Perché, tu non vorresti altri figli?-.
Gli sembrava quasi sciocco porle quella domanda durante quel momento così intimo, ma le parole gli erano scivolate di bocca ancora prima che potesse fermarle.
Vide Giulia arrestarsi di colpo. La giovane donna lo guardò dritto negli occhi, ancora incredula. Cosa centravano loro due e la loro relazione adesso? Diavolo, stavano curando un uomo di quarant’anni malato di sclerosi multipla!
-Cos…?-
Giulia vide improvvisamente un lampo di paura negli occhi del suo compagno.
-Vuoi altri bambini?- balbettò lei.
-Non sto dicendo di volervi adesso-
-Beh…- Giulia abbassò lo sguardo –me lo stai proponendo mentre sto studiando il cervello di un uomo malato di sclerosi multipla-
-Mi hai chiesto tu un consulto-
-Ti ho chiesto un consulto perché sei più bravo di me nella diagnostica per immagini-.
Lorenzo la ignorò.
-Giulia, non hai risposto alla mia domanda- adesso era quasi imbarazzato. Ci pensava da un po’ ad un altro figlio e per varie ragioni. Dai comportamenti che Giulia aveva avuto con lui nell’ultima settimana, dagli atteggiamenti dolci che rivolgeva ad Andrea, si era convinto che anche lei stesse pensando la stessa cosa. Evidentemente si sbagliava.
-Abbiamo fatto sesso ogni giorno questa settimana e siamo a venerdì e così ho pensato…- l’imbarazzo era palpabile sia nella voce sia nell’espressione facciale di Lorenzo, ma Giulia sospettava che ci fosse di più.
Era vero. Questo la donna doveva ammetterlo. Negli ultimi giorni lei e Lorenzo erano stati più intimi e l’avevano fatto anche più volte al giorno, complice il fatto che Alessandro e Susanna si erano finalmente trasferiti nel palazzo vicino al loro e li tenevano spesso il bambino. Ma era bastato solo quello a fare venire voglia a Lorenzo di diventare di nuovo padre? Soprattutto, perché non glie ne aveva parlato prima.
-Hai pensato che io volessi che tu mi mettessi incinta?- Giulia scoppiò a ridere –non siamo più liberi di fare l’amore più volte al giorno? -.
Lorenzo la guardò vagamente accigliato.
-Sarebbe così sciocco pensarlo?
-Tu vuoi che facciamo un altro bambino? Vuoi che lo facciamo ora?-
-Beh- l’uomo abbassò fugacemente lo sguardo –no, non in questo preciso momento se devo essere sincero, ma…  ho visto come ti illumini quando Andre è con te, ho visto che tipo di mamma sei. Pensavi di non essere in grado, ma sbagliavi. Sei straordinaria e…-.
-Lorenzo io non voglio altri figli- Giulia alzò le mani in segno di difesa. Tutte quei bei discorsi che sapeva fare solo Lorenzo, la stavano mandando in confusione. –Non sono pronta e non potrei sopportare… non ci riuscirei. Possiamo tornare alla tac?-.
Non poteva sopportare il pensiero di perdere un bambino. Avevano quasi perso Andrea. Si erano quasi persi l’un l’altro. E adesso Lorenzo voleva ripetere tutto? Adesso che lei si era appena ripresa fisicamente e mentalmente da una gravidanza difficile?
Lorenzo la fissava senza proferire parola. Si alzò, si sistemò il camice sulle spalle e prese la cartella di Paride.
-L’infiammazione si è estesa. Ha poche aspettative… o cambia terapie o i sintomi diventeranno sempre più gravi- disse mesto uscendo dalla stanza e chiudendo la porta dietro di sé.
 
-Scusa se ho dato di matto oggi. Non avrei dovuto reagire così-.
Lorenzo continuò imperterrito a piegare il camice e a infilarlo con estrema cura nel suo armadietto.
Era chiaro che si era offeso e  voleva farglielo notare. Era dalla loro discussione di quella mattina che non le rivolgeva nemmeno uno sguardo. A pranzo, in sala mensa, non si era neppure fatto vedere.
Giulia sospirò. Parlare di sentimenti non era mai stato il suo forte.
- Lorenzo puoi guadarmi per favore?-
Lorenzo chiuse l’armadietto.
-Giulia, è stata una lunga giornata. Possiamo andare a casa senza litigare?-
-Posso almeno darti una spiegazione? Dio sei così cocciuto a volte!-
-Senti ho sbagliato. Ti ho preso in contropiede e tu non te lo aspettavi. E’ normale, io sono impulsivo e tu… tu hai bisogno di tempo-
-Ho bisogno di tempo? Fino a ieri non ne avevamo mai parlato, e oggi te ne sei uscito con il volere un altro figlio di punto in bianco! E ti sei anche offeso quanto io sono rimasta allibita…-
-Ne voglio tre in effetti di figli, ma intanto potremmo in iniziare a fare il secondo… e lo sapevi. Ho sempre detto di volere altri figli-.
 
Lorenzo la fissava con le lacrime agli occhi, debole e pallido, nel letto dell’ospedale Policlinico Ambrosiano. Era una dei primi giorni che Giulia si sentiva abbastanza forte per alzarsi in piedi e andare da lui, in terapia intensiva. Respirava ancora a fatica con la tuta e la mascherina, ma doveva andare a vederlo.
-Ciao- una mano della donna sfiorò i capelli dell’uomo e Lorenzo aprì gli occhi e sorrise.
-Ciao- rispose, inspirando profondamente dal respiratore.
-Perdonami- aggiunse lui poco dopo –ti ho passato il covid-.
Giulia sentiva Lorenzo ripetere quella frase da giorni, quella e altre scuse che per li non valevano niente. Nn doveva perdonarlo proprio di nulla perché non c’era niente da perdonare. E on importava quante volte lei gli avesse già detto che non c’era nulla da fare, che era successo e basta e che il covid era già in circolazione da settimane; lui si scusava sempre piangendo.
Giulia scosse lievemente la testa e accennò un lieve sorriso, che Lorenzo percepì dal luccicare degli occhi della donna. Prese una mano dell’uomo, che era delle e molle sotto il suo tocco, e gliela fece appoggiare sul suo ventre. Ormai era di tredici settimane e il suo ventre era arrotondato. Lorenzo tese la mano e fece uno sforzo enorme per allungare le dita e appoggiare tutta la mano sulla pancia di Giulia. Sorrise istintivamente. Nonostante tutto, erano loro la cosa più importante.
-Papà è qui- una lacrima rigò il volto dell’uomo –andrà tutto bene- sospirò respirando affannosamente –andremo a Genova e avremo altri bambini-.
 
Giulia rimase in silenzio tombale. I discorsi c’erano stati, era vero; ma la donna li aveva sempre collocati in un futuro lontano, quasi imperscrutabile. Soprattutto non ora che aveva ripreso in mano la sua vita lavorativa che le stava donando immense soddisfazioni.  
-Lo so’ che tu e Fabio avete ripreso a sentirvi da poco, ma io sono cresciuto nel mito di mia sorella. La adoro in tutto e per tutto e questo lo sai. Quindi non voglio privare mio figlio di avere quel tipo di rapporto con un ipotetica sorella-.
Giulia si detestò. Come era possibile? Voleva veramente privare Lorenzo di una gioia così grande solo perché lei era pietrificata dalla paura?
-Andrea è arrivato nel momento peggiore della mia vita- la voce della ragazza si abbassò, diventando di colpo seria e Lorenzo si avvicinò a lei. I loro volti si sfioravano. -Ti ricordi quanto era perfetto quando è nato?-.
L’uomo sorrise al ricordo.
-Lo è ancora-
-Era piccolo e delicato ed era nostro. Era identico a te e aveva i miei tratti e… e Dio non pensavo di potere amare qualcuno così tanto. E grazie a lui ti ho amato anche di più. E poi quando pensavo che il mio cuore non potesse contenere tutto l’amore che provavo per lui, siamo venuti qui e abbiamo veramente iniziato una nuova vita a partire da zero. Io ero serena, perché avevo te e lui e assieme noi tre siamo perfetti-.
-Giulia, dove vuoi arrivare?-
-Non voglio un altro figlio perché non voglio che cambino le cose tra di noi. Abbiamo appena raggiunto un equilibrio qui a Genova. Non voglio distruggerlo. Andrea è così piccolo. Non han nemmeno un anno e io sono tornata a lavorare da solo un mese. Non voglio rinunciare al mio lavoro, ci tengo troppo-
Adesso Lorenzo si sentiva un completo idiota. Era così spaventato dall’idea di perderla che si era costruito un film mentale ed era andato nel panico. Senza preavviso buttò per terra lo stetoscopio e baciò la donna sulle labbra, accarezzandole il viso.
-Pensavo… pensavo…-
Giulia sorrise con gli occhi lucidi-
-Che cosa? Che non volessi un figlio da te?-.
Lorenzo annuì, stringendole a sé.
-Oh Dio, scusami io… io non voglio che tu senta alcun tipo di pressione.. Insomma… sì è un mio desiderio, sì voglio che mio figlio abbia una sorella ma se non ti senti pronta o…-
-Andrea è la cosa più bella della mia vita e me lo hai regalato tu- sussurrò Giulia al suo orecchio. –Ti chiedo solo di pazientare un altro po’ va bene? Aspettiamo la sua festa di compleanno-.
Lorenzo annuì, baciandola in fronte.
-Va bene…- poi aggiunse –scusa se ho frainteso. E’ che per la prima gravidanza non sono stato presente come volevo e quando hai detto di non volere figli pensavo che non ne volessi e basta-
 
-Dio, Lorenzo ma perché non sei venuto prima?!- sbottò lei, non appena Lorenzo comparve sulla soglia della medicheria.
Lui la fissò confuso. Era fuori servizio, il suo turno era finito la sera prima ed era solamente passato per lasciare Andrea al nido e portare a Giulia il solito caffè nero bollente.
Il rituale del caffè mattutino il lunedì era diventato imprescindibile per loro. Era il giorno libero di Lorenzo, mentre Giulia attaccava già alle sei del mattino e tirava avanti fino alle due del pomeriggio. Lorenzo si svegliava con tutta calma, vestiva e dava da mangiare ad Andrea e poi lo portava al nido per le nove. Alle nove e mezza il giovane uomo era già sulla terrazza dell’ospedale, pronto ad aspettare Giulia con due tazze di caffè fumanti.
Quel lunedì mattina d’inizio ottobre però, Giulia non c’è in terrazza. Lorenzo afferrò il cellulare, incastrando le due tazze di caffè tra lo sterno e il gomito.
Due chiamate perse da Giulia.
Il suo cuore fece un tuffo all’indietro. Giulia non era di certo il tipo da usare il cellulare al lavoro. Deve per forza essere successo qualcosa.
Ed eccola lì Giulia, davanti a lui che lo guardava con un’espressione eccessivamente corrucciata.
-Giulia?- Lorenzo aprì la bocca per parlare, ma non ne uscì niente. Giulia lo precedette. E chiuse la porta alle loro spalle.
-Volevo aspettarti questa volta- disse tutto d’un fiato, facendo scivolare in mano all’uomo un  bastoncino di plastica.
Gli occhi di Lorenzo si spalancarono.
Fece cadere i due caffè per terra, macchiandosi inesorabilmente il maglione e fissò incurante il liquido marrone spargersi sulle piastrelle grigie del pavimento.
-Da quando è che lo sai?- sussurrò in maniera impercettibile, gli occhi fissi in quelli blu di Giulia. Le mani di Lorenzo si andarono subito a posare sul ventre della donna, come se fosse già sicuro della risposta.
-Ho un ritardo di due settimane- ammise lei –senti… so’ che non l’abbiamo proprio cercato, ma Dio forse è bastata quella volta dopo la festa di compleanno di Andre… o quell’altra volta quando l’abbiamo fatto qui in osped…-.
Lorenzo la zittì con un bacio, ma Giulia si scostò subito.
-Sai di caffè- la donna fece una smorfia. L’aroma intenso del caffè era insopportabile e per un momento pensò di vomitare sulle scarpe di Lorenzo.
-Ho appena bevuto un sorso- si giustificò lui- con un sorriso enorme in volto. In un momento del genere lei avrebbe anche potuto prenderlo a calci e non gli sarebbe minimamente importato.
-Quindi?-
-Quindi adesso mi chiudo in quel bagno e aspettiamo cinque minuti-.
Lorenzo annuì e fece per entrare in bagno con lei, ma lo sguardo di fuoco che ricevette da Giulia fu sufficiente a farlo desistere.
 
Giulia inspirò pesantemente dentro e fuori, cercando di calmarsi. Neanche quando aveva scoperto di aspettare Andrea era così nervosa, ma questa volta era diverso. Questa volta aveva Lorenzo accanto a lei. Questa volta lei quel bambino lo desiderava sin dal primo momento.
Le luci al neon sfarfallavano sopra di lei, mentre metteva lo stick nel bicchiere di plastica contenente la sua pipì.
-Guardiamo insieme ok?-
Il cuore di Lorenzo batteva così forte che temeva gli uscisse dal petto.
-Positivo- lesse lei con un filo di voce e, in mezzo secondo, si ritrovò le labbra di Lorenzo sulle sue. Il testa cadde per terra, tintennando contro il pavimento, mentre Lorenzo la sollevò da terra e la fece girare leggermente in aria, beandosi del sorriso che dipinse il volto della donna.
-Ti amo – le disse, tra un bacio ed un altro, mentre le mani dell’uomo si intrufolavano già sotto il suo camice. –Quanto tempo abbiamo?- le sussurrò ad un orecchio.
-Ho solamente dieci minuti…- Giulia lo fermò dolcemente, mettendole entrambe le mani ai polsi. –Dimmi che sei felice- sussurrò, chiudendo gli occhi e lasciandosi stringere da lui.
Ancora una volta Lorenzo aveva fatto cedere le sue difese e grosse lacrime si formarono inesorabilmente sul volto della donna. Gli occhi umidi di Giulia si specchiarono nelle lacrime di Lorenzo, che già piangeva commosso.
L’uomo la baciò con passione e la strinse a sé ancora di più.
-Amore, certo che sono felice, ma voglio che anche tu lo vuoi-
Giulia lo fissò dritto negli occhi. Era davvero disposto a rinunciare alla gioia di un altro figlio per la sua felicità? Senza nessun tipo di pressione, era un uomo straordinario.
-Io voglio questo bambino Lorenzo. Lo voglio più di quanto creda tu. E’ vero, la tempistica non è di nuovo dalla nostra parte ma..-
-Ma niente. E’ escluso che starai un altro anno a casa. Prenditi quello che ti serve per riprenderti dal parto e poi il bambino lo guardo io, anzi i bambini-.
-No, Lorenzo davvero-
-Niente no. Lo so’ che adori questo lavori e ami davvero fare parte del progetto di ricerca per la sclerosi e non è giusto che rinunci a tutto questo un’altra volta. Io non rinuncio a tanto. Mi piace lavorare qui, ma adoro anche stare a casa con mio figlio. Andre non me lo sono quasi goduto i primi mesi tra il covid e il resto. Recupererò con il secondo-.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4015212