Il Grimorio Della Strega

di Chiara_fangirl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO I ***



Capitolo 1
*** PROLOGO ***


PROLOGO

Il vento soffiava. 

Soffiava tra le foglie degli alberi, producendo un motivetto piuttosto sinistro. Soffiava, travolgendo le foglie cadute che adesso sbattevano contro le mie gambe nude. Non capivo dove mi trovassi e soprattutto come ci fossi arrivata lì. 

Ero circondata da una natura che sembrava avere vita propria: il terreno, ad ogni mio passo, gorgogliava come se volesse parlarmi. Il vento tra le foglie cantava e le cortecce avevano delle curve particolari, che ricordavano quelle di un volto umano.

Le folte chiome coprivano quasi del tutto il sole, ad eccezione di alcuni deboli raggi che riuscivano a trapelare dalle foglie. Girai più di una volta su me stessa, per riuscire a captare un qualsiasi indizio sul luogo in cui mi ero persa. Probabilmente, conoscendo il mio essere goffa, ero inciampata e avevo battuto la testa. Possibile che la botta mi avesse fatto perdere degli spezzoni di ricordi? Ma ciò non giustificava come mai fossi nel bel mezzo del nulla in pigiama e a piedi nudi. 

Ciò che scorsi, però, mi riportò indietro di una decina di anni, alla vecchia casa delle vacanze della mia famiglia, nella vecchia città di Salem. Quel posto ha sempre spaventato me e mio fratello dove, per spaventarci a vicenda, ci raccontavamo storie dell'orrore. Le ore della notte, invece, erano governate da tantissimi scricchiolii. Allora mi alzavo il lenzuolo fin sopra la testa ed era lì che mia nonna Emily arrivava in mio soccorso. Si sedeva al mio lato e mi diceva di non aver paura perché quella casa mi avrebbe sempre protetta. Non mettevo piede in quella casa un anno circa, da quando i miei erano morti in un incendio.

Impossibile. Era impossibile che io mi trovassi lì, perché il mio ultimo ricordo era il mio letto: stavo certamente sognando. Mentre ricamavo su ciò, sentii qualcuno che chiamava il mio nome. Una voce fredda e distaccata, come un'eco.

"Margaret, trova la tua magia" disse la voce femminile, in tono grave, mentre le foglie intorno a me prendevano fuoco. E fu a quel punto che mi svegliai, agitata e ansimando.

 

 

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Capitolo 2
*** CAPITOLO I ***


CAPITOLO I

Quel sogno sembrava così reale... Mi alzai, tirandomi via dal bozzolo di coperte e mi trascinai in bagno che comunicava con la stanza di mio fratello, Jacob. In quel momento era chino sui compiti che avevano assegnato per le vacanze estive e, ovviamente, si era ridotto all'ultima notte.

"Daisy, ti prego, aiutami con questi esercizi di fisica, sono troppi".

"Jacob, perchè mai pensi che li abbiano assegnati tre mesi fa?"

"Sei una rompipalle, Margaret." Nonostante ciò, diedi uno sguardo all'esercizio svolgendolo senza problema.

Feci una smorfia per dimostrare quanto fosse elementare e iniziai a prepararmi. Lo specchio rifletteva la mia immagine. Una siluette slanciata, dai lunghi capelli castani che richiamavano gli occhi color cioccolata. Una volta uscita dalla doccia e avvolta da una morbida asciugamano rosa, arricchii le folte ciglia con del mascara e marcai gli occhi con una matita nera. Mi piaceva il risultato sulla mia pelle olivastra. Scendendo le scale, un dolce odore di crostata al cioccolato mi colpii. Lì, seduta alla cucina c'era la nonna, che faceva da madre, da padre, da famiglia.

"Buongiorno nonna" mi annunciai.

"Buongiorno, cara. Pronta per il ritorno a scuola?". Nonna Emily non era la tipica nonna da bastone e capelli grigi. Non di certo. Era una donna di mezz'età, dal fisico alto e slanciato, con i miei stessi colori e dalle folte ciocche ricce.

"Certo." mentii prontamente. Chissà cosa penseranno i miei amici. Ci avrebbero visto sicuramente come la coppie di fratelli pazza, che stanno uscendo fuori a causa della morte dei loro genitori. Non avrebbero neanche così torto. Facevo sogni strani da tutta l'estate e Jacob stava riponendo le sue giornate in cattive compagnie. Anche la nonna sapeva la verità, sapeva che stavo mentendo. Ma non mi disse nulla, limitandosi ad indicare la tisana che mi aveva preparato, la stessa che bevevo con la mamma. Di sottecchi osservai la nonna: aveva lo sguardo indagatore puntato su di me.

"Daisy, se c'è qualcosa che ti turba puoi dirmelo. Qualsiasi cosa essa sia. Sembri così stanca... Stai dormendo?"

"si, nonna. Sono solo preoccupata per Jacob. Ultimamente sta frequentando cattive compagnie." Mezza verità, mezza bugia. Non potevo dirle dei sogni e quant'altro, era già impegnata con Jacob, le sarei stata solo di troppo. Lei annuì, silenziosa. 

"La psicologa dice che è solo una fase di rifiuto del lutto. Sta cercando un modo per non pensare cosa sia successo, per metabolizzare. Peccato che si stia mettendo parecchio nei guai. Ieri sera, Ellen, la vicina, l'ha visto su una moto con della birra in una mano. Ieri era birra, oggi cosa sarà?"  Da quando era diventata nostra tutrice era notevolmente invecchiata. Adesso il suo viso era contornato da qualche ruga e gli occhi erano tirati da alcune zampe di gallina. Ma nonostante questo, aveva sempre un certo fascino giovanile. Tutto ad un tratto si ammutolì e sorrise, come se quella conversazione non fosse mai avvenuta.  Jacob stava scendendo le scale, con il suo solito passo pesante. Era un ragazzo alto, anche più di me, nonostante i nostri due anni di differenza. I suoi capelli neri ricadevano sulla fronte; il suo sguardo, perennemente vuoto e distratto girovagava per la sala da pranzo, fin quando non si fermò su una poltrona, dalla quale prese un giubbotto di pelle. Dopo ciò abbandonò la casa, sbattendo la porta.

Come era possibile che volesse rovinarsi in quel modo? Se solo la mamma e il papà fossero stati ancora vivi, questo non sarebbe successo. Jacob sarebbe ancora "l'orsacchiotto buono", come lo chiamava la mamma. 

"Sto facendo tardi, nonna. Ci vediamo oggi" così dicendo, me ne andai. La verità era che quella casa mi suscitava troppi ricordi. La nonna si trasferì lì appena dopo il funerale. Ma preferivo che fossimo stati noi a traslocare. Come era il detto? Lontano dagli occhi, lontano dal cuore...

 

 

"AAAAAH Daisy!" strillò Cloe appena mi vide.

"Andiamo Cloe, se io fossi Daisy, scapperei a gambe levate" la bastonò Jessy. Cloe, dagli occhi azzurri e i capelli biondi che ricadevano in riccioli morbidi, e Jassy, occhi neri e capelli scuri fino alla spalla, erano le mie migliori amiche, da anni. Sapevano sempre come incoraggiarmi, cosa dire e come aiutarmi. Quell'estate non ci eravamo viste molto. Inventavo sempre delle scuse per non vederle. Ma non perchè avessero fatto qualcosa. Non mi sentivo io, non riuscivo a riconoscere quella ragazza che vedevo allo specchio: quegli occhi spenti, contornati da profonde occhiaie violacee non appartenevano a me. Abbracciai Cloe affettuosamente, mentre lei mi stringeva a più non posso. Poi arrivò il turno di Jessy che mi passò la mia parte della nostra solita colazione all'aria aperta. 

Ogni mattina, prima delle lezioni, ci sedevamo tutte su quella panchina nel cortile della nostra High School nella piccola città di Gold Hill, nella Contea di Jackson.

"Ma ci credete che siamo già al terzo anno? L'anno prossimo ci diplomiamo. E pensate, sembra ieri che abbiamo iniziato le superiori..." continuava a blaterare Cloe, mentre mi versava del the. Ma io non le prestavo attenzione. Continuavo a scorgere Jacob scambiarsi dei sacchetti con brutta gente. Non mi piaceva per niente: tutti sapevano cosa volesse chiunque si recasse da quei tizi. Mi accorsi che Cloe non parlava più.

"Daisy, dovresti dirlo a tua nonna. Non puoi continuare a vivere così." mi disse dolcemente Jessy mentre sospiravo.

"Torno subito, vado un secondo in bagno." mi alzai di corsa, precipitandomi dentro la scuola, per i corridoi e dritta in bagno. 

Fu lì che lo incontrai...

Non vedevo nulla, la vista era offuscata dalle lacrime e la gola secca, che tratteneva i singhiozzi. Pensavo che non ci fosse nessuno per i corridoi, a causa dell'orario, e invece mi imbattei in qualcuno. Sbattei contro un busto alto e muscoloso, con un giubbotto di pelle in un braccio e una t-shirt nera aderente. Avvertii una forte scossa di elettricità al contatto dello sconosciuto. 

"Scusami, stai bene?" aveva una voce calda e profonda, quasi secolare.

"Si...si. Grazie. Scusami tu." cercai di balbettare e subito aggirai, a capo basso, la figura maschile di cui non conoscevo neanche il volto.

"Ehi, aspetta. Hai bisogno di aiuto?" 

"No" farfugliai, mentre mi precipitai oltre la porta segnata da "WC" con l'omino femminile. 

"Trova la tua magia"  Io non possedevo nessun tipo di magia. Ero una semplice ragazza orfana che stava diventando pazza. Una ragazza timida, introversa e perfino goffa. Che non riesce a tirare fuori ciò che ha dentro, che non lega con nessuno se non con un paio di amici. Strappai un tovagliolo e iniziai a levare via le lacrime che cadevano sul mio volto, fino al mento. Una ragazza che doveva imparare a tirar fuori gli artigli per aggrapparsi al sottile filo della vita. Non mi permettevo mai una crisi come quella che mi investì nel bagno della scuola. Io non potevo permettermi questo: dovevo badare a Jacob, dovevo essere forte. Almeno per la nonna. Almeno per la mamma. Almeno per me.

 

 

Entrai quasi in punta di piedi in aula, insieme a Jessie e Cloe. Quella prima ora era nell'aula numero 6, dedicata a biologia. 

"Guardate, abbiamo nuovi compagni questo semestre. " ci sussurrò Jessie.

"E come sono carini i nuovi ragazzi!" fece eco Cloe. Prendemmo posto in una fila centrale e fu allora che lui entrò. Dalla maglia nere trapelava un busto scolpito, le braccia coperte da quel giubbino che prima non indossava. Alzando lo sguardo, mi colpì la sua pelle perfettamente candida e uniforme; i suoi tratti ben definiti e dolci allo stesso tempo. Quel viso era come l'inverno: la carnagione era candida e pulita come la neve e, per gli occhi, due laghi ghiacciati. Occhi da un azzurro intenso e, la sua espressione era il gelo. Se non lo avessi saputo non avrei mai associato quella calda voce a quel viso magnificamente freddo. I capelli, castano scuro, ricadevano un pò sulla fronte in modo sbarazzino.

Ciò che mi stupì era il fatto che non fosse né in compagnia di una comitiva, né c'era una sola ragazza a gironzolarci nelle vicinanze. Strano... Era il ragazzo più bello della scuola e nessuno poteva chiudere la porta a tanta bellezza. Forse con conosceva nessuno e tanta bellezza creava delle antipatie, soggezione? Era la spiegazione più plausibile. 

"Buongiorno ragazzi, spero che abbiate passato una bella estate, visto che vi voglio belli carichi. Iniziamo con una ripetizione generale." Il professore John Harris, un uomo giovane, sulla trentina, entrò in classe poggiando la giacca e la valigetta sulla cattedra e scrivendo in fretta e furia gli argomenti alla lavagna, mentre ci illustrava brevemente e fugacemente il programma che ci attendeva quell'anno.

"Bene, chi vuole iniziare?" Ci furono pochi secondi di silenzio, fino a che il professore non indicò nella mia direzione. Ma non me, il giovane ragazzo sconosciuto dalla maglia nera.

"Qual è il tuo nome?" domandò gentilmente il professore.

"Gideon Sheperd, signore."

"Bene Gideon, ti ascolto." 

Gideon iniziò ad illustrare tutto il programma, anche ciò che noi non sapevamo.

"Ottimo, davvero. Hai seguito  dei corsi avanzati?"

"Si, signore." mi girai, per osservare ancora una volta quel volto meraviglioso. Aveva gli occhi puntati alla lavagna, che abbandonò per guardare nei miei occhi. Dovetti rigirarmi avanti da non essere coinvolta in quel loop in cui quel meraviglioso sguardo mi trascinava. 

E fu così che iniziò un anno abbastanza movimentato. 

 

 

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