Dipinti nudi

di ClodiaSpirit_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dipinti nudi ***
Capitolo 2: *** Vivere ogni giorno senza chiedere permesso ***
Capitolo 3: *** Di pitture pericolose e cuori puliti ***



Capitolo 1
*** Dipinti nudi ***


Quando Simone uscì dal corso di formazione pediatrica, dopo ben tre ore, l'orologio al polso lo informava che stava già facendo tardi per tornare a casa. Aveva da poco la patente e di sicuro, non si sarebbe messo a sorpassare le macchine che correvano lungo la capitale, all'orario di punta. Se c'era una cosa che lo spaventava era la velocità. La aveva sempre considerata come un'acerrima nemica nella sua vita. Nel pomeriggio, avrebbe dovuto sbrigarsi per assistere Giorgia, la bambina dei vicini, a cui faceva da babysitter, e quindi quello gli sarebbe costato almeno una decina buona di minuti di ritardo sulla scala schematica e mentale che si era fatto. Così, mandò un vocale audio a suo padre, prima di prendere il pulsante delle chiavi, che lampeggiò, appena fu vicino all'autovettura parcheggiata. Prima però di mettersi deciso al volante, si ritrovò il cellulare pieno di messaggi di Laura, la sua migliore amica dei tempi del liceo. Simone sospirò, si ravvivò i capelli riccioluti e ascoltò a poco a poco, gli scleri della sua amica. Era tipico di lei tempestarlo di novità o comunque di abbondanti messaggi molte volte anche esagerati.

« Simone ascolta, c'è questo esperimento sociale gratis al Centro Sperimentale. Mi è stato dato un volantino pubblicitario oggi, a Trastevere. Praticamente sei ti associano con un'altra persona, ed è come se fosse un appuntamento al buio, ma non proprio. In realtà vedi l'altro, solo in un modo nuovo. »

Simone roteò gli occhi, in segno di sconforto. Era da almeno un anno che Laura stava cercando di accoppiarlo o meglio, di farlo uscire dal suo stato di ragazzo single. A lui, andava bene però. Aveva solo 23 anni - e mezzo, se contava che Marzo era alle porte -, cosa c'era di male nello stare bene da soli con se stessi? E poi, la sua dichiarata omosessualità al liceo, non gli era valsa ben pochi scherzi, nonostante avesse ormai accettato pienamente il suo orientamento sessuale. Era difficile organizzare al lampo le cose che dovevano risultare naturali. Quello lo sapeva. Simone aveva sempre messo prima gli altri che se stesso e quando qualcuno ci aveva provato con lui, si era disinteressato dopo poco. Pazienza, si era detto. Stretto il cellulare solo con le dita e il pollice libero, Simone ascoltò l'altro audio, fissando l'orologio al polso. Bene, almeno se faccio tardi so a chi dare la colpa.

« E' tutta strana, ma secondo me può funzionare eh, è che fanno fare un'attività nel mentre parli con l'altro. Il bello è che ti mostri praticamente senza filtri. In poche parole, è un incontro corpo a corpo »

Simone arricciò il naso, era confuso. Laura, che cazzo significa?
Mandò un messaggio abbastanza raffazzonato, dove le spiegava che aveva fretta e che non aveva capito l'ultima parte di questo fantomatico "esperimento sociale". Laura gli aveva risposto in modo schietto, veloce, come quando per sbaglio ti ritrovi un dito dentro la portiera della macchina o viene estirpato un pelo dalla radice con la ceretta. Simone strabuzzò gli occhi, appena lo lesse.

« Simone, significa che si sta nudi, senza vestiti l'uno di fronte all'altro »

Non se ne parla.
Laura te lo scordi.
Simone completò la risposta con una faccina che rideva e impostò il blocca schermo. Di tutte le trovate più assurde che Laura aveva mai tirato fuori dal cappello, quella era una delle peggiori. Lui, nudo, con un estraneo. Solo al pensiero Simone arrossiva come un peperone e dall'altra parte, gli veniva un rigetto totale: non era ottimale conoscere qualcuno iniziando da quello, era... era troppo intimo, davvero troppo. Forse stava esagerando, ma se c'era gente disposta ad accettare di conoscersi così, vuol dire che il pudore aveva smesso di essere una tanto positiva virtù. E poi ti immagini l'imbarazzo di spiegare ai tuoi papabili figli in futuro:
"Ehi sì io e tuo padre ci siamo conosciuti in una stanza, con il pisello all'aria e soprattutto il rumore della tosse per l'imbarazzo e la voglia di scappare via!"
Non era proprio granché come racconto. Simone girò la chiave nel quadro, i piedi sull'acceleratore e sulla frizione.
Nudo con uno sconosciuto. Lui si era mai davvero messo a nudo metaforicamente parlando con qualcuno? Simone, che stai dicendo, è una follia. E se non fosse stato invece così tragica come cosa? Non era detto che avrebbe dovuto poi uscire con quello sconosciuto. Simone scosse la testa, accedendo il motore. Se le inventano proprio tutte oggi.









« Che palle, cristo! » si lamentò Manuel, mentre stirava una camicia e notava di aver lasciato il ferro per troppo tempo sull'indumento. Il risultato, era stato di una macchia scura, quasi sporca, sul bianco. Se solo lo avesse visto sua madre, si sarebbe messa le mani in testa. Ma non lo avrebbe saputo, visto che nel suo nuovo appartamento - acquistato ormai da un mesetto e mezzo - la sua vita aveva cominciato ad assaporare il gusto dell'autonomia. Giostrava i turni di lavoro, a piccole faccende domestiche, cucinava, le sue lavatrici erano intonse. L'unica e sola pecca era stirare, quello lo odiava. Spostò la camicia di lato con entrambe le mani e si stropicciò gli occhi. Durante i weekend, si concedeva più ore per dormire, quella mattina era stato svegliato dai lavori di un nuovo cantiere giusto adiacente, al suo appartamento. Quel sabato, era già partito male. Non aveva orari di lezione a scuola e anche se lo avesse avuto, sicuramente non avrebbe messo un piede fuori casa. Come ogni sabato, il suo appuntamento era alla piccola scoperta di veicoli e motori. C'era questo piccolo posto vicino casa, che vendeva ed esponeva autovetture d'epoca e anche moto cromate. Manuel si era dato un obiettivo: con l'arrivo dello stipendio - seppur minimo - da professore di filosofia qual era, un giorno ne avrebbe comperata una. Avrebbe sicuramente riso beffarda accanto alla vespa nera che teneva sotto, in garage, ma la avrebbe avuta a tutti i costi.
Manuel si girò su se stesso, munito solo di canottiera addosso, una barba da acconciare e dei capelli sparati ovunque. Per essere un venticinquenne, dava comunque l'impressione di essere più piccolo. Magrolino, un po' basso, massa di capelli ricci sparata ovunque. Ma tutto sommato, un bel tipo. Così di era sempre definito. L'autostima era importante e lui di certo non ne era mai stato sprovvisto. Manuel sospirò, andando a mettere su l'acqua per il thè forte e speziato, che gli desse la giusta carica per iniziare bene la giornata. Mentre riempiva il pentolino d'acqua e accendeva il gas, il rumore di un'email arrivò chiaro alle sue orecchie. Il pc era rimasto buttato e aperto sul divano.

« Chissà chi sarà il rompi cazzi che me scrive » disse, pensando ad alta voce.

Credeva fosse un'email della scuola, ma in realtà l'annuncio era arrivato dritto sulla sua seconda casella di posta personale. Manuel scorse con il dito il cursore al margine destro, per andare in fondo alla pagina internet. Era un'inserzione pubblicitaria. Rise di gusto appena lesse il contenuto. La pubblicità era come un insetto fastidioso nella sua cartella di posta, il che lo portò ad andare con cursore sopra l'icona del cestino, fino a quando una parola non colse la sua attenzione: affinità.
Era un esperimento sociale che si sarebbe tenuto l'indomani a Roma, al famoso Centro sperimentale. Non prevedeva diffusione di informazioni pubbliche, solo la compilazione di un modulo. Il centro era noto per i suoi ricercatori di sociologia e di psicologia, Manuel c'era passato davanti più di paio di volte dopo le lezioni. Non capiva come mai quell'annuncio fosse stato inviato proprio a lui. Forse era un segno. Più che altro lo incuriosiva come un incontro con un estraneo avesse potuto cambiare la sua sorte, ma in fondo, cosa c'era di male nel provare qualcosa di nuovo?
« Lo scambio avverrà in modalità casuale, dovete solo compilare questo questionario nel link sottoindicato e poi allegarlo all'email del Centro, entro le di domenica mattina. Quando sarete sul posto, vi verranno fornite altre indicazioni. »
Manuel scaricò il pdf. Le domande erano abbastanza innocue. Forse è la volta buona che trovo qualcuno che me sopporta.





 
- -






« Ma lo facciamo insieme! » ribadì ripetitiva Laura al cellulare. Simone si stava nervosamente torturando il colletto della camicia.

« Laura non lo so, è assurdo lo capisci? » era titubante e l'idea non gli andava granché a genio. « E poi è anche un po' a culo, chi dice che mi capiti una persona che non sia un caso umano? »
Sentì l'amica mormorare esausta.

« Simone è il bello dell'esperimento e prima o poi qualcun'altro ti vedrà nudo, tanto vale togliersi il dente! »
Che gran conforto, grazie. « E poi quando stavamo insieme ti ho visto, non stai messo mica male lì sotto »
C'era stato un breve periodo in cui Simone, stava ancora cercando di accettare se stesso e durante quel periodo, Laura era stata la sua ragazza. Ovviamente, i due erano rimasti ancora più uniti quando lui le aveva detto che era gay, come se non fosse successo nulla.

« Sì ma una cosa è una donna e un uomo, e un altra io con un altro. Voglio dire... » Simone mise le mani avanti, stava già sentendo caldo in viso « è più imbarazzante di quanto tu non possa immaginare »

« Simone, se non vuoi fare, non lo faccio nemmeno io, però... »
Però, c'è sempre un però con te Laura. « Però chi se ne frega Simone, ti capita una volta nella vita. È da pazzi? Sì. Ma almeno saprai di aver provato anche questa strada, anche solo per capire che puoi riaprirti con qualcuno. Soprattutto dopo le delusioni che hai avuto, Simone ti meriti di provare ancora, di sentire ancora »
La voce dell'amica fu tanto morbida quanto tagliente, colpì Simone nel punto più debole, lasciandolo ammutolito. Cosa ho da perdere?

« Lo sai vero che se faccio questa cosa, » mormorò stizzito « tu dovrai smetterla di farmi accoppiare con ogni essere sul pianeta e darmi tregua per un po', vero? »

Simone sentì urlare Laura dall'altro capo del telefono e strizzò gli occhi per l'acuto che gli perforò quasi un orecchio.

« Va bene Simone, ti prometto che ti lascerò in pace tu e il tuo antro della solitudine, almeno per un po' »

Simone sospirò, abbozzò un sorriso nervoso, anche se l'idea di fare quella cosa insieme all'amica, lo faceva sentire già un po' meglio. Si grattò il capo.

« Tu hai già compilato il modulo? »

« L'ho già mandato all'indirizzo in realtà »

« COSA- LAURA? »

Simone sbottò incredulo, la voce gli saliva di un'ottava, lo sguardo dritto alla finestra della camera. La ragazza, contrariamente al suo trasalimento, si addolcì ancora di più, risultando innocente.

« Mi sono già portata avanti, che c'è di male?»

Simone inspirò per tranquillizzarsi. La sua amica aveva agito prima di sentire effettivamente la sua risposta. Che subdola.
« Che cosa chiede? Così mi preparo a domande invasive »

« Oh nulla di che, generalità, preferenze, gusti, interessi e cose così. »

« Okay... »

« Simone? »

L'altro esitò per un attimo a rispondere.

« Sì, Laura? »

« Andrà tutto bene. E se non andrà, fa niente. Sappi solo che sono orgogliosa che lo stai facendo davvero »

Sì, mi sto tuffando nell'esperienza più imbarazzante della mia vita per un tuo capriccio. Ma andrà bene.

« Spero solo di non fare qualche figura di merda, conoscendomi »

Laura rise complice dall'altra parte del telefono.

« Chiunque sarà proverà le nostre stesse cose in quel momento. Tu cerca di stare tranquillo, ce la puoi fare Simone »

Simone annuì poco convinto, prima di sentire un suo 'ti voglio bene' e di risponderle allo stesso modo, prima di riagganciare.







Quella domenica dopo pranzo, Simone e Laura erano già davanti al Centro, il luogo dell'appuntamento. Insieme a loro capeggiava una piccola fila con circa una quindicina di persone.
Simone giurò di non sentire il brusio che quelle persone stavano facendo. L'ansia gli stava salendo come non mai e la mentina che l'amica gli aveva dato, era subito scesa lungo la gola senza nemmeno godersi l'aroma di menta fresca sul palato. L'idea di entrare e non sapere cosa sarebbe successo, lo spaventava troppo. Era come trovarsi dentro una scatola chiusa senza sapere cosa ci fosse dentro. Ecco, la scatola chiusa con l'esito vincente o perdente, sarebbe stata riservata giusto a lui. E sarebbe stata il risultato finale di quell'incontro pomeridiano inusuale. Stringendogli sempre la mano, Laura e Simone entrarono dentro a poco a poco, fin quando la struttura non li accolse. L'impressione era quella di un capannone moderno a due piani: le mura erano nere, contrastavano con dei larghi pannelli. Le stesse mura erano scandite da qualche quadro, pochi oggetti minimali ai lati, qualche pianta che pendeva dalle pareti. A guardarli meglio, Simone si accorse che quelli addossati al muro, erano dei lunghi teli bianchi fissati a delle strutture in legno, che separavano in varie sezioni lo spazio. Non era mai stato lì, al Centro, e perciò si stupì di trovare un ambiente così ampio. Il bianco scandiva ed era come de tante piccole celle, si aggiungessero a delle linee segnaletiche a strisce rosse, lungo la fine di ognuna, sul pavimento. Poche cose adornavano ogni settore o forse era meglio dire, stanza di teli: qualche lampada lunga, un piccolo tavolino da scrittura, quelli che a Simone parvero strumenti per dipingere tra cui tele, colori, pennelli, una piccola pedana sopraelevata svettava ad ogni parte sinistra molto simile a un piedistallo di finta roccia.Simone arrestò il suo sguardo quando un uomo grosso, seguito da una donna formosa, un tailleur sportivo addosso e con una crocca sulla testa, cominciò a dividerli in gruppi. Simone guardò Laura, insofferente.
Lo sto facendo davvero. Fatemi andare via da qui.
La donna si piazzò davanti al ragazzo, una cartellina in mano che prima non le aveva visto.

« Il tuo nome, per favore » gli chiese gentilmente la donna. Lo sguardo fu amorevole.

« Simone Balestra » scandì sicuro, ingannando l'ansia che lo stava divorando però.

Simone sentì le sue mani formicolare, come se tante piccoli puntine gli pungessero la pelle. La donna annuì, leggendo dalla cartellina. Gli fece un sorriso gentile e gli fece un cenno rapido con il capo.

« Bene, seguimi pure »

Simone annuì, aveva il cuore che gli batteva come un pazzo, a voler schizzare fuori dal petto. Guardò un'ultima volta Laura mentre rispondeva a quell'omaccione.
Buona fortuna anche a te.
Le disse col pensiero, prima di seguire la donna.




 
- -





Gli era stato detto di aspettare lì, gli avevano detto di spogliarsi e gli avevano subito portato un accappatoio di seta verde, con dei ricami dorati da mettere. Quella veste gli sembrava fin troppo sontuosa per un esperimento come quello. Non doveva mica incontrarsi con il Re di Spagna, no? In più aveva fatto la barba, per quell'occasione. Neanche dovessi andare a cena da mamma, me faccio ride da solo.
Manuel aspettava lì, in piedi, con le mani dietro la schiena. Dondolava avanti e indietro portando il peso del corpo a sbilanciarsi, cercando di coprire, ora, fischiettando qualcosa.

« Per di qua, metti questo e poi quando sei pronto, entra »

Oh cazzo, ci siamo.
Manuel sentì l'addetta parlare all'altra figura dietro il telo. Si girò di scatto e notò un'ombra muoversi di schiena. Non capiva sinceramente se fosse una donna o un uomo, ma la figura era così sinuosa, abbastanza da poter essere scambiata per entrambi. Pensò di stare guardando troppo, eppure la curiosità lo divorava. Come sarebbe stato? Ma soprattutto, la aveva presa per gioco, un giorno prima e perché ora si sentiva tremare? Manuel tirò un respiro pesante, sciolse le mani in avanti, muovendole, come se dovesse buttare giù qualcosa a terra e abbassò lo sguardo. Sentì dei passi, il telone si aprì svelando la figura nascosta poco prima. Era un ragazzo, i capelli erano ricci come i suoi, ma meno disordinati, il naso ricadeva regolare, la mascella era accennata ed evidente, le labbra due curve dolci, gli occhi potevano essere scambiati per due grandi pozze, per quanto erano grandi e profondi. Il suo accappatoio era blu mare, e aveva dei ricami rossi lungo tutta la parte del busto. Gli cadeva addosso perfetto, perché l'altra cosa che notò, a differenza sua, era che quel ragazzo era abbastanza alto.

« Piacere Manuel » aprì la mano, per tendergliela.

Il ragazzo sembrò bloccarsi un secondo, poi annuì, si sganciò in un sorriso ampio. Manuel ci frugò fin troppo a lungo.
« Piacere, io sono Simone »




 
- -





Sentirono delle voci sopra le loro teste, Simone non aveva visto delle casse nascoste da dove usciva il suono, adesso, agganciate in alto, sulla parete.

« Lo spazio che avete intorno voi è a vostra disposizione, a destra come vedete c'è una tela e dei colori, potete iniziare da lì. Siete liberi anche di sedervi se vi sentite più a vostro agio. Uno dei due, deve cominciare, capitelo da voi, e decidete » la voce risuonò in eco, come proveniente da un sogno lontano. Manuel e Simone annuirono all'unisono, guardandosi non senza qualche difficoltà.

« Vuoi, uhm.. ti va se inizio prima io? » suonò imbarazzato. La timidezza la abbiamo superata come fase, per favore, cancellala.

Simone si sentiva stupido, ma ormai era lì e bisognava stare al gioco. Sempre se di gioco si stesse parlando, era pur sempre il suo corpo ad essere messo in bella mostra.

« Va bene, io penso andrò a sedermi lì, » indicò il piccolo tavolino, la sedia e il cavalletto su cui poggiare la tela « tra l'altro scusami se verrà una ciofeca ma non ho mai preso mezzo colore o pennello in vita mia » si giustificò, girandosi di spalle.

Un sospiro lungo e Simone si scoprì, la veste scivolò via, e atterrò ai suoi piedi. Manuel si era appena seduto e lo sguardo si bloccò subito sulla figura nuda del ragazzo, mozzandogli il fiato. Simone si tastava il braccio imbarazzato, Manuel non aveva notato portasse un orecchino al lobo destro, così come non aveva notato le spalle larghe. Il ventre era piatto, ma non troppo, le braccia erano toniche, così come le gambe. Non gli era indifferente neanche il suo sesso, che svettava in mezzo alle cosce. La pelle era chiara, di un colore candido. Il suo viso pulito. Alzò piano gli occhi, risalendo il petto, il collo, la mascella di Simone. Manuel non ricordava l'ultima volta che visto un altro essere umano altrettanto bello.

« Anche io comunque, concordo sul disegno, » mormorò per uscire dallo stato di timore « non sono capace a fare nemmeno un omino »

Manuel annuì, incuriosendosi a quel ragazzo. Afferrò la piccola tela e la posizionò di poco davanti a sé sul supporto. Gli occhi però gli vagavano su Simone, aveva solo preso due colori. E il pennello era ancora abbandonato affianco.

« Sei di Roma? »

Domanda un po' idiota, se permetti, Ferro.

« Sì, tu? »

Manuel rise un poco.

« Romano doc. Carbonara, cacio e pepe, San Pietro, odio per i laziali, ma niente calcio. Quello non me fa impazzì »
Simone sorrise leggero, mentre muoveva il braccio, cercava di guardarlo meglio al di là della tela. Ispezionò il piccolo piedistallo a sinistra e decise di salirci.

« È un problema se mi metto qui? »

Manuel fece cenno di no, mentre spremeva il tubetto sulla tela.

« È la prima volta che fai una cosa così? »

Il ragazzo questa volta si fermò a mezz'aria, mentre l'altro si ritrovava nudo alla sua mercé. Risucchiò le labbra e si portò una mano dietro la nuca.

« Sì. Più che altro sono stato costretto » sospirò in tono basso « o supplicato di farlo. C'è anche una mia amica qui »

« Beh coraggioso da parte tua »

« Più che coraggioso, è da pazzi » enfatizzò sull'ultima parola.

Manuel restò con il pennello in mano, lo guardava come si guardava qualcosa di nuovo, mai sperimentato o provato prima.
Simone dal canto suo, avvertiva il tratto genuino di chi lo stava ritraendo adesso: non sembrava il classico stronzo o almeno gli dava l'impressione di una persona normale.

« E tu perché sei qua? » gli uscì troppo in fretta la domanda.

Manuel aggiunse del blu in mezzo al viola, schiarì con del bianco in modo da rendere dei toni delicati. Non voleva usare colori aggressivi, Simone non gli sembrava un tipo che prevaricava. Lo strumento si muoveva tra le sue dita e la bocca seguiva stringendosi.

« Me sono detto che poteva essere una cosa carina da fare. Anche se a venticinque anni, potrei anche smetterla di prendere certe cose della vita a scatola chiusa »

Scatola chiusa, il pensiero che aveva avuto pochi minuti prima di scappare dall'esperimento. Simone ridusse gli occhi a due fessure, lo indicò con le dita.

« Tu, venticinque anni? »
Manuel sospirò, abbozzò un sorriso di comprensione. « Ti facevo più piccolo »

« È perché non ho la barba e non sono vestito a caso, però non sei l'unico che me lo fa notare...»

Simone annuì, sentendo la pressione allentarsi, portò una mano sul fianco, non volendosi guardare i piedi. Se si fosse guardato i piedi, avrebbe ricordato di essere senza vestiti, nudo, davanti a un completo sconosciuto, che lo stava anche dipingendo. Dipingimi come una delle tue ragazze francesi. Ecco no, pensare a Rose del Titanic non andava proprio bene. Manuel sembrò captare quell'aspetto teso del ragazzo: si stava torturando il braccio sinistro, la mano ricadeva coprendosi l'inguine.

« Simone » disse piano.

E allora l'altro alzò lo sguardo su Manuel.

« Mh? »

« Rilassati, non ho mai mangiato nessuno » fu serio, aveva dell'acrilico che gli aveva già sporcato due dita « non c'ho mai avuto voglia de mangiarmi la gente e in più, » aggiunse squadrandolo per bene « me poteva capità molto peggio » riportò lo sguardo su di lui, di nuovo, il tono era basso.

Simone scoppiò a ridere, sfoggiando gli incisivi davanti con un leggero spazio in mezzo. Manuel lo stava notando adesso: sembrava un bambino cresciuto.
Bello.

« Non credo facciano iscrivere gente sopra i trent'anni » sottolineò meno rigido « altrimenti sai che fregatura »

« Hai ragione, me poteva capità un vecchio... »

Simone si accarezzò il ventre, guardandosi la punta delle dita.
« Quanti anni mi daresti? »

Manuel ci pensò su. Simone non doveva avere più di una ventina d'anni, glielo suggeriva il viso pulito. Era alto, ma soprattutto il suo fisico era giovane, non mostrava nessun segno del tempo, le spalle erano larghe e prima lo aveva visto anche di schiena. Sì decisamente, non più di quell'età.

« Beh per avere... » Manuel provò dunque ad indovinare « 23 anni? Non te li porti male »

Simone disegnò una 'o', con la bocca.

« Come hai fatto a-»

« Culo »
Simone ridacchiò di nuovo, annuendo di conseguenza.
« E quindi hai deciso di tua sponte di partecipare? » arricciò il naso, mentre lo diceva. La sua mano destra gesticolò.
« Sì diciamo che nessuno me ha puntato una pistola alla testa come nel tuo caso » sospirò, muoveva il pennello lentamente. In realtà già metà figura era stata fatta, ma non aveva voglia di accelerare. Non ora che Simone sembrava molto più tranquillo e propenso a conversare.

« Sai, è che ho questa idea strana e vecchia, che quando si trova qualcuno non deve essere organizzato, si perde qualcosa.» Simone cominciò a fluire e scorrere rapido come un fiume « Non credo negli incontri fissati. »

« Ah, sei un romanticone » lo prese in giro.
Simone annuì, visibilmente più rosso in viso. Sperò che Manuel non lo vedesse in quel momento.

« È che non ho avuto molte esperienze positive. L'ultima in particolare... è stata una bella botta e ho deciso di smetterla di raccontarmi cose che non possono accadere. Sono diventato realista. »

Era serio, e gli occhi grandi erano colorati di una fermezza impressionante, la voce era uscita fuori rassegnata.

« Ti va di parlarmene? »

Non so perché, ma mi piacerebbe ascoltarti Simone.
Il ragazzo esitò qualche istante Manuel era fermo sulla seduta e lo guardava. Gli stava dando una scelta: se dirgli no o rispondergli in sì e con fiducia. Simone, si stava fidando.

« Non c'è molto da dire. Io ero innamorato, o forse bisognerebbe dire perso... gli morivo dietro da due anni » le gambe si piegarono leggermente come a spostare il peso dal petto al corpo « Quando ci siamo messi insieme finalmente, sembrava una favola. Stavo bene, le famose farfalle nello stomaco e cazzate così. Ma poi è finita. È durata due anni e mezzo »

« Fammi indovinà, la tipica frase non sono tu sono io? »

Simone fece cenno di no con la testa. Si sentiva doppiamente nudo, adesso.

« No, magari. Mi ha semplicemente tradito, lo stronzo. »

Il volto di Manuel si tinse dello stesso colore che stava usando adesso: il nero. Si immobilizzò un attimo, non sapendo che cosa dire.

« Mi dispiace »

Se fosse stato dispiaciuto quanto te in questo momento, forse si sarebbe salvato qualcosa.


« È andata ormai, » Simone strinse i pugni lungo i fianchi, liberò la mascella « com'è che si dice, chiusa una porta, si apre un portone no? »

Manuel annuì, un riccio gli ricadde in avanti oscurandogli di conseguenza un occhio. Simone trovò quel dettaglio particolarmente carino, inclinò leggemente la testa.


« Il portone glielo dovevi sbattere in faccia Simone, e anche forte, soprattutto perché a lui un'altra porta così, non se riaprirà mai »

Oh.

Simone non era tanto imbarazzato, quanto stupito da ciò che aveva appena detto. Era come se in quell'istante Manuel avesse trovato la parola giusta da dire, nel momento giusto. Uno sconosciuto mi ha appena detto questa cosa. Lo stava ancora guardando e quando Manuel ritornò alla sua attenzione, si sentì invasivo, però non interruppe il contatto visivo. Simone non ci riusciva.

« Fosse stato per me non mi sarei limitato solo a quello, ma destino ha voluto che scomparisse. E forse è stato meglio così. »

« La gente non la conosci mai veramente, anche se ce stai insieme per una vita »

E' molto saggio, pensò.

« Sta venendo bene? » deglutì, facendo cenno con la testa alla tela, poi mosse l'indice. Manuel si era imbambolato. Pensava ancora ai suoi occhi fermi ma velati di nostalgia dovuti al racconto di poco prima del ragazzo. Poi, era ritornato sul suo secondo focus.


« 'Na specie » si morse il labbro inferiore « diciamo che su una scala da 1a 10 è un 4. Non me ricordo quanto tempo abbiamo, qua? »


« Mi pare abbiano detto quaranta minuti »

« Quaranta ciascuno? »

Furbo, lui.
Simone sorrise chiudendo gli occhi. Quello sconosciuto gli stava facendo dimenticare perché aveva deciso di accettare quella strana esperienza. « No è che non me va de troncare, non ora che c'è una bella atmosfera, un'intesa »
Simone alzò un sopracciglio, un angolo della bocca si alzò.
« Sei sempre così diretto? »
Fu più un tono di sfida che un tono timoroso, Manuel sorrise sbilenco con la bocca.

« È nella mia natura, sì »

« Che invidia, » mormorò « ho sempre voluto essere sfacciato, mi sarei evitato certi accolli nella vita »

Manuel guardò la tela davanti a sé, poi ritornò al suo ipotetico modello per un giorno. Seriamente non rende giustizia.

« Te posso dire pure siccome so sfacciato, di prima su come stavi messo, » mosse il pennello per mettere un tocco finale di colore in un punto « che così a primo colpo, me sei sembrato il David di Michelangelo »
Simone battè le mani, come se fossero in uno show qualunque. Quello poi, essere paragonato a una statua: sta zitto, per una volta accettalo, è un complimento, gli disse la vocina nella sua testa.

« È la battuta che usi di solito per fare colpo? »
Simone era pienamente uscito dalla zona dell'imbarazzo ed era appena entrato in quella della confidenza.

« No, di solito non faccio mai riferimento alle opere d'arte. Anzi, me riferisco ai motori delle macchine e non che funzioni granchè »
Simone schioccò la lingua. Ci sta davvero provando con me?

« Mi suona tanto come una presa in giro »
Manuel scrollò le spalle, si alzò dalla seduta prendeva la tela tra le mani. Non c'era scritto da nessuna parte che non potesse avvicinarsi durante l'esperimento, no?
Simone vedeva la sua figura in accappatoio che si avvicinava. Notava che gli stava larga su certi punti. A Simone l'immagine piccola di Manuel, con quei ciuffetti ricci, il naso largo, l'accappatoio delicato che gli ricadeva sulle braccia, gli suscitava un calore dentro che non sapeva spiegarsi.

« Perché in questo, non rende proprio, » Manuel gli mostrò il disegno a pochi centimetri dal viso, Simone accarezzò la tela ai bordi « uno perché sono un disastro col disegno e due perché dal vivo, è un'altra storia »
Adesso teneva in mano l'oggetto, attento a non sporcarsi.
Per il volto, o comunque un volto stilizzato in nero, erano state usate delle sfumature in viola, blu, e un tocco di rosso vivido per le labbra. Due grandi occhi dipinti di nero, e visti di scorcio, leggermente sbilenchi, erano di sicuro i protagonisti. Il resto del corpo di Simone era sproporzionato, ma nel complesso il ritratto non era male. In più, Manuel si era firmato in piccolo, a lato, usando il colore bianco.

« Pensavo peggio » abbozzò Simone, scese dal piedistallo, senza nemmeno rendersene conto, « è molto carino » e non aveva minimamente capito che stava andando a sbattere contro la figura di Manuel. Se non ci fosse stata la tela sicuramente, gli sarebbe finito sul volto. E molto probabilmente si sarebbero scontrati. Simone deglutì all'istante.

Niente figure di merda, niente figure di merda.
Ma Manuel sembrò non accorgersi di nulla: guardavano il ritratto insieme. O meglio, Simone guardava, Manuel era interessato ad altro.

« Bene, ora tocca a me! » con la tela messa a lato del piccolo tavolino, Simone si avvicinò verso la veste a terra ma prima di piegarsi, Manuel recuperò l'accappatoio per lui e glielo porse. Risalivano da terra, piano. In quel breve istante, due dita si sfiorarono, contro la stoffa. Fu molto veloce, portando i loro occhi a guardarsi per un attimo. Cosa cazzo sto facendo. Manuel aveva due telecamere al posto degli occhi, incollate a lui.

« Uhm, grazie » mormorò, e capì di dover tirare fuori entrambi da quel silenzio imbarazzante.
Simone poi, si vestì alla svelta annodando l'indumento in vita e recandosi in postazione. Si sedette sul tavolo come fosse una sedia, prese il cavalletto portandoselo in grembo, accavallò leggermente le gambe. Manuel era lì, ancora fermo nello stesso punto, le mani giocavano nervosamente col filo di stoffa.

« Ti da fastidio se me giro? Giusto un secondo »

« No, assolutamente »
Manuel si sfilò l'accappatoio verde mostrando dunque prima la sua schiena, poi il sedere e le gambe. C'era un tatuaggio in alto a destra e quando si girò frontale, Simone ne vide altri: uno al centro del petto raffigurante un serpente attorcigliato, uno sulla spalla, un altro era sul ventre, un altro ancora gli attraversava metà braccio. Ne contò circa cinque. Nonostante lo stupore iniziale, Simone pensò gli stessero bene addosso. La sua carnagione olivastra li faceva risaltare in mezzo a una costellazione di nei un po' sul petto e scendendo sulla pancia. Le gambe con più peluria, erano sottili, così come la sua costituzione. Solo per ultimo, Simone fissò il centro della sua figura, pensando all'ultima volta che aveva visto un ragazzo nudo. Beh, l'esperimento è questo Simone, puoi guardare.

« Tutto bene? »
Simone si risvegliò. Annuì, sentendosi già caldo in viso e allungando la mano per prendere il pennello pulito a destra, e scegliere i colori a sua volta.

« Molto belli i tatuaggi » sussurrò quasi, Simone, non percepì nemmeno la sua stessa voce.
Manuel non sembrava tanto aver notato che aveva distolto lo sguardo, Simone stava fissando il materiale grezzo e ruvido telato per evitarsi ancora altro color porpora, assente tra i colori da usare.

« Sì alcuni me li sono fatti da solo, errori di gioventù. Altri sono più professionali. Ero abbastanza 'na testa dura. In parte lo sono ancora. »

« Vuol dire che sai cosa vuoi »
Manuel gli rivolse qualcosa di simile a un mimandolo solo con le pupille.

« Te no? »

Simone annuì, ritornando a guardarlo, adesso. Stava entrando nell'allarme della possibile figura di merda. Tutto si era aspettato tranne che quello. Non sapeva di doversi preparare a vederlo nudo.

« Uhm, Manuel » gli era uscito così senza sforzo « ti potresti mettere di profilo? » gli chiese infine.

« Ho capito, me vuoi fa sfigurà visto non ti è piaciuto quel mostro lì, eh? » ma fu simpatico, senza nessuna rabbia nel tono.

« No, semplicemente vorrei riprenderti dalla zona della luce, capisco magari un po' meglio come muovermi » Simone gli indicò il punto, proprio sotto una delle luci, a pochi metri dal telone bianco.

« Qui? »

« Sì perfetto, è che non te l'ho detto, ma sono ossessionato dal calcolo matematico, » ridacchiò spremendo il tubetto arancione e quello del giallo « e quando ho un'illuminazione devo tenerla stretta altrimenti scappa »
Manuel rise, il suo braccio scendeva lungo un fianco, mente la testa era portata più in alto.

« Mi spiace ma qua non te seguo, in matematica ho sempre fatto cagare »

« È molto comune » il pennello veniva tenuto con delicatezza per fare il contorno « ci sarà qualcosa in cui sei bravo »

« Filosofia e motori »

Simone alzò la testa, la seconda poteva anche starci, ma la prima? Un pippone sul problema dell'esistenza che lo rimandava a suo padre. Rise nervoso. Manuel lo guardò curioso.

« Scusa è che non ti facevo proprio filosofo »

Manuel assunse un'aria consapevole, la bocca era dischiusa, gli occhi erano vividissimi.

« Posso sembrare duro o ignorante, ma in realtà me piace ragionare sulle cose »
Giusto. Non si giudica mai un libro dalla copertina.

« L'apparenza a volte inganna. E tua madre deve andarne orgogliosa, di quello che hai raggiunto »
Manuel annuì rapidamente. Questa volta fu lui a incrinarsi e a guardare da un'altra parte. Assurdo cosa poteva venire fuori da delle semplici domande.

« Dopo avermi sopportato 'na vita, spero proprio de sì »

« Perché dici così?»

Il ragazzo più basso e nudo deglutì, sospirando sommessamente.

« Le ho dato un po' di rogne da ragazzino, non me so comportato da "figlio modello" » disegnava due virgolette invisibili in aria con le dita.
Simone si limitò ad annuire. Anche lui d'altro canto, aveva portato suo padre all'esasperazione, perchè non si era sentito capito in adolescenza e un po' perchè lui era stato assente molte volte nel corso della sua vita.

« La studi, quindi, filosofia? »

« Studiata. Sono un professore »

Un paradosso. L'immagine di Manuel era un paradosso, prima i tatuaggi, poi la filosofia, i motori. Sembrava più complessa di ciò che vedeva, ma non assopiva la curiosità che provava. Manuel era come una scatola cinese, dopo una prima matriosca, la seconda nascondeva un'altra cosa, e dentro quella, un'altra cosa ancora. Il gioco non era poi così male, lo intrigava molto. Simone non sapeva più come essere sorpreso.

« Mio padre, anche lui insegna filosofia, all'università. Quindi più o meno, sono stato cresciuto - se così si può dire - a citazioni di Kant e Schopenhauer » mormorò, corrugando la fronte, applicando il colore arancione e poi aggiungendo leggermente del verde per contrastare. Manuel ridacchiò leggero.

« Io insegno in seconda liceo, un liceo classico »

Simone annuì, definendo meglio i contorni sulla tela, la setola passava fluida, la mano gli mostrava le vene e le dita affusolate.

« E tu? Hai detto che te piace fare calcoli, sei 'no scienziato o cosa? »

Simone ridacchiò, aveva una concentrazione immersiva sulla tela e ogni tanto buttava l'occhio su Manuel.

« Mi occupo di pediatria. Almeno vorrei occuparmene, sto frequentando un corso aggiuntivo, sono al terzo anno di medicina. .. a tempo perso poi, faccio pure il babysitter per pagarmi qualcosa »

Manuel impostò una smorfia di stupore sul viso, Simone si fermò un attimo, la tela sempre in grembo.

« E riesci a conciliare le cose? »

« Ci provo »

«'Ammazza oltre che scienziato anche studente modello »

Simone lo stava guardando adesso, aveva la bocca aperta in un sorriso: notò come si muoveva il pomo d'adamo e i capelli ricci venivano portati indietro con una mano.

« E tu filosofo con le vibrazioni da motociclista , ce n'è per tutti i gusti »

Questa volta fu Manuel a guardarlo, sentendosi ancora più attratto dalla piega che stava prendendo la conversazione adesso. Simone completò la massa di ricci utilizzando il rosso mischiato a un po' di viola, per dare un tocco più denso all'intero ritratto. Non usò il pennello, ma picchiettò direttamente con la punta del pollice, sporcandoselo.

« Per curiosità, ma tu cosa hai risposto alla domanda numero 7 del modulo? »

« Qual era delle tante? Non ricordo »

« Quella che chiedeva le preferenze, tra uomo e donna. »

Manuel portò la mano dietro la nuca, scrollò le spalle e poi lo sguardo diventò un unicum con quello stato di tranquillità finale.
« Entrambi »

Era bisessuale. Simone annuì, la lingua svettò fuori in mezzo ai denti, poi salì, toccandosi il labbro superiore. L'idea non lo spaventa affatto, anzi, era stato con qualche altro ragazzo - anche se per breve tempo - con lo stesso orientamento sessuale di Manuel « Te immagino solo uomini »
Era così palese?
Simone abbozzò un sorriso tronfio, la testa alta, l'oggetto veniva abbassato leggermente contro il busto, senza però aderire, le braccia erano incrociate, contornavano il bordo superiore della tela, in un gesto di confidenza.

« Beh, sono orgogliosamente gay se me lo chiedi »

E in quel momento il luccichio negli occhi dell'altro, di quello sconosciuto, gli fecero capire che non fosse un problema.
« Non voleva essere un'offesa Simone, anzi

Simone scosse la testa, gli occhi erano buoni.

« Figurati, a molti salta subito all'occhio... forse è una cosa che è impossibile da nascondere. Anche se non penso di essere uno stereotipo, almeno credo » si sbrigò a dire. Guardò la tela e osservò che aveva quasi finito. Un po' gli dispiaceva, anzi, forse più di un po'.

« Non lo sei » cristallina gli arrivò come una schizzata di acqua addosso « Da quello che sto vedendo, me sembri tutt'altro che uno stereotipo, Simone »

Mi sto sentendo uno scemo, mi sta saltando fuori il cuore per una persona che conosco da una manciata di minuti.
Simone sviò lo sguardo, posando il pennello di lato. Manuel inclinò la testa, incurvando le labbra.

« Ho detto qualcosa che non dovevo, uh? » si girò piano, portando il peso del corpo sulla gamba destra, l'altro ginocchio era piegato in avanti.

« No è che... non ci credo che conosco persone da anni, ed è servito uno sconosciuto, per mettere la cosa su un'altra prospettiva »
Si guardarono entrambi. La verità, sapeva essere un bagno d'acqua tiepida e di sollievo, alle volte. C'era qualcosa in quel ragazzo, Manuel, che portava Simone ad arrendersi. In 23 anni della sua vita, non aveva mai avuto delle risposte così dirette o forse non aveva mai davvero voluto sentirle. In quel momento, a spezzare il tutto, l'eco dalle casse intonò un'altra indicazione. Simone e Manuel scattarono con il volto in alto, verso la fonte.

« Comunico che vi rimangono solo dieci minuti per finire l'esperimento, sta a voi decidere come sfruttarli, prima di lasciare il set »

Manuel guardò di scatto Simone, il viso ridotto a un dipinto sconsolato, come una Vergine addolorata.

« Cristo, è già passata mezz'ora? »

« A quanto pare... » Simone si morse il palato, il tono di Manuel era abbastanza desolato. « Io comunque ho finito » si spostò dal tavolino, per venirgli incontro, ma Manuel lo precedette, affiancandolo. Simone gli fece posto, spostandosi a sinistra e l'altro salì verso destra. Erano spalla a spalla. « Allora, che ne pensi? »

Manuel studiò il ritratto, dettaglio per dettaglio. La sua figura era di profilo, così come Simone lo aveva fatto posare, e dunque più piccola all'interno della tela. Era stato più attento col le proporzioni e sembrava molto più realistico di ciò che aveva ritratto lui. La mano era stata dipinta abbandonata lungo il fianco, i capelli erano una massa di viola e rosso mischiati insieme, i tatuaggi erano stati riportati con qualche puntino di nero qua e la sul corpo, quest'ultimo svettava in un campo di giallo chiaro e arancione, coronato dal nero dell'acrilico che sagomava il contorno di tutta la figura. Simone si era anche preoccupato di rappresentare la veste verde, a terra, ai piedi di Manuel.

« E meno male che non sapevi disegnare » fu il suo commento.

Simone si grattò il capo, visibilmente incapace di rispondere.

« Vabbè nella vita qualche scarabocchio l'ho fatto ma da qui a saper disegnare, ce ne passa »
Manuel studiò la composizione che aveva creato attorno alla sua figura, era uno sfondo a linee un po' astratte, dal verde, bianco e nero.

« Se questo è uno scarabocchio...»

« Ho scelto il rosso perché mi è sembrato ho capito che hai una personalità forte, decisa, » spiegò indicando alcuni punti « il giallo è il mio colore preferito uhm, lo sfondo l'ho fatto un po' a sentimento »
Manuel lo guardò, Simone guardava la tela. Quando le parti si invertirono, Simone lo vide concentrato sul ritratto che gli aveva fatto.

« Hai perso tempo pure a farme i tatuaggi, assurdo » disse colpito, sfiorando l'acrilico ormai asciutto.

« Beh, Manuel, non è che mi ricapiterà tanto presto di fare l'artista » rise e una fossetta gli contornò il volto. Non se ne era accorto, ma Manuel sì, quella era all'altezza dello zigomo.

« Avete cinque minuti ancora » la voce sembrò un piccolo sibilo, « Se avete finito, potete a vostra libera scelta, potete decidere di restare a guardarvi per i minuti restanti. Uno di fronte all'altro. Chi non è vestito, può anche togliersi ciò che indossa , in modo che lo sguardo sia equo, questa volta. »

Simone respirò buttando fuori un po' d'aria, passò la tela a Manuel e restò di schiena, dando le spalle per un attimo.
E togliamocelo.
Aveva superato il primo scoglio, poteva superare anche l'altro. In un gesto sciolto, si liberò dell'accappatoio blu una seconda volta. Gli cadde dietro, come un mantello lungo e ingombrante.
Manuel gli fu in un attimo di fronte. La cosa più strana adesso, era il silenzio che era calato.
Cinque minuti.
C'era chi avrebbe riso in quel frangente, per via dell'imbarazzo, chi sarebbe voluto nascondersi da qualche parte. Simone e Manuel si guardavano semplicemente, come fosse naturale farlo, gli occhi erano sincronizzati sulla stessa frequenza. Corpo a corpo, pelle scura e pelle chiara, occhi grandi e occhi più piccoli, alto e basso. Non sapevano se dovevano o potevano parlare, ma in ogni caso, sembrava non ce ne fosse davvero bisogno. Manuel leggeva ancora il corpo di Simone e finiva sul finale nei suoi occhi; Simone invece, gli guardava il mento, il braccialetto - che gli era sfuggito - di corda intorno al polso, poi si inceppava alla vista del collo, risaliva sulla bocca. Era come sostenere una sfida interiore, una sfida di fiducia che già avevano cominciato a superare, durante e dentro quella bolla creatasi in quel piccolo spazio.
Poi però il silenzio si spezzò.

« Sono contento di aver dato ascolto a Laura » Simone sembrò stringersi dentro il suo corpo in pochi semplici parole. Era vero, quei quaranta minuti erano passati più in fretta di quanto non avesse pensato. L'idea che aveva logorato Simone tutta quella mattina, si era trasformata nella più inaspettata delle sorprese.

« La tua amica? »

Simone annuì.

« Non so se rifarò mai più una cosa così, ma sono contento mi sia capitato tu »
Cazzo Simone, ti stai esponendo troppo.

Manuel mosse lentamente la testa, lo sguardo gli stava già cambiando. Simone ingogliò della saliva, non sapeva come interpretarlo. Fino a qualche minuto prima ridevano, ora ritornava teso.

« Troppo diretto? »

« No, sono contento anch'io che abbiano scelto te. »

Simone sorrise un poco, il sollievo gli uscì dal petto con un respiro evidente.
« Ancora due minuti » la voce ritornò.

E allora pensavano di rimanere in quella bolla di sguardi, almeno fino a quando uno dei due non si mosse in avanti, annullando la distanza frontale. Manuel poggiò le labbra all'angolo della bocca di Simone, lì proprio poco prima della guancia. Fu un contatto così velato, ma non accusò altro che un arresto per Simone. Il cuore gli saltò all'indietro, finendogli in gola, il sorriso fu piccolo, i suoi occhi si chiudevano per un istante.
Quando Manuel si staccò, Simone non sapeva cosa dirgli, non sapeva come riempire il silenzio. Avevano i visi così vicini, che poteva distinguere le piccole imperfezioni e anche le lunghe ciglia di Manuel. Si muovevano piano, ogni tanto sbattevano. I ricci erano più chiari da una parte e più scuri dall'altra, come la parte di due metà che non volevano separarsi. Aveva un piccolo neo sul collo. Ma quello che più gli premeva, erano gli occhi che come due magneti erano ancora agganciati ai suoi.

« Tempo scaduto »

I due non sembrarono sentirla questa volta, la voce. Simone spostò lo sguardo sulle loro due figure, erano così diverse... eppure quante volte gli opposti funzionavano?
Sto fissando uno sconosciuto, ma è ancora davvero uno sconosciuto?

« Per favore, siete pregati di lasciare il set, e non dimenticate le vostre creazioni »

Manuel riluttante, ondeggiò verso il fondo del telo, recuperò l'accappatoio e se lo infilò. Agganciò la presa al dipinto, posizionato a terra. Simone fece lo stesso, recuperando invece quello di Manuel sotto il tavolino. Quando furono pronti per uscire, avevano di nuovo riagganciato lo stacco, e continuavano a guardarsi. Lentamente si portarono fuori dal set, e allora Simone si fermò sul posto e agì all'istante, ritornando di nuovo nella piccola stanza.

« Aspetta, Manuel! »

Simone afferrò il pennello e lo intinse di blu. Poi tornò di nuovo fuori e prese gentilmente il braccio di Manuel, il quale scoprì la pelle dalla veste larga verde e cadente. Piano e attento, Simone dipinse delle cifre, di cui alcune risultarono più strane e deformate. Manuel osservò poi l'intera cifra che partiva dal suo polso e terminava sull'avambraccio. Il ragazzo stava sorridendo ampiamente. « Se ti va possiamo andarci a prendere qualcosa, uhm, un caffè, una birra, uno di questi giorni »
Manuel gli fermò il polso, quello che si stava già torturando la manica. Simone smise all'istante.

« Se non l'avessi fatto tu, te lo avrei proposto io » mormorò annuendo « sì, me piacerebbe rivederti »

Simone andò in tilt, per qualche secondo. Annuì. Non sapeva che espressione aveva stampata in volto, ma sicuramente era stupida, persa, felice.
« Bene, allora... mi scrivi tu? »

Manuel annuì, tenendosi alzata la manica per evitare di cancellare uno dei numeri del cellulare dell'altro.
« Sì »

« Prima che possa sembrarti pesante, sono una persona un po' ansiosa, » confessò « quindi se non volessi chiamarmi, Manuel, basta dirlo- »
Simone era stato appeso molte volte nelle frequentazioni e di quel particolare conosce bene il sapore.

« Non c'è questo problema, voglio farlo »

Questa volta fu il turno per Simone di sorridere. « E poi, me piacerebbe farmi fare un altro di questi » sollevò la tela che teneva in mano.
Simone sorrise ancora, le guance gli andavano a fuoco.
Fecero per salutarsi, però sembravano non voler uscire dalla stanza. O non capivano da dove uscirne.
Ecco, adesso sì, che è imbarazzante. Simone si stava guardando i piedi. Uno dei due indicò la porta rossa nasconda da un telone nero.

« Me sa che dobbiamo uscire dalla stessa porta da cui semo entrati »

Manuel rise nervoso e Simone lo seguì. Fecero la strada insieme, verso l'uscita di sinistra e nessuno dei due, sembrò uscire da quella bolla. Lasciarla, significava già qualcosa: per entrambi.







Clò: Questa cosina qua è stata partorita in mezzo a due giorni di fuoco - in vista di un esame - come se l'ansia non fosse nulla, mi è venuta quest'idea che potrei definire "umana", ispirata a un canale su YT di nome CUT. Questi esperimenti esistono davvero ed è stupenda la sinergia che si crea. L'imbarazzo passa in secondo piano, e si inizia a parlare, a conoscersi.
Devo confessarvi che non credo ci sarà solo questa parte, ma se ne aggiungerà sicuramente un'altra, anche perchè si è capito, quei due si sono trovati subito anche non conoscendosi.
Grazie per leggermi, ancora, vi voglio bene.

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Capitolo 2
*** Vivere ogni giorno senza chiedere permesso ***


« Quindi, com'è andata? »

Laura era curiosa e eccitata, vedendo Simone ritirarsi un po' nel silenzio, un po' in un mezzo sorriso imbarazzato. Il ragazzo infilò le mani nelle tasche dei jeans, la felpa nera gli ricadeva addosso lunga. Simone teneva le gambe incrociate sul letto.
« È andata... come non mi aspettavo andasse »  disse in modo molto vago. Laura gli diede un buffetto sul braccio. Simone si toccò il punto fingendo un 'ahia' che gli uscì malissimo.

« Dai, non essere così criptico, raccontami! »

« È stato... intenso » mormorò in una voce tiepida « non ho avvertito tanto l'imbarazzo, dopo un po', » si guardò adesso i lacci della felpa che ricadevano sul petto « non pensavo potessi sentirmi così bene »
Laura corrugò la bocca in una smorfia intenerita.

« E lui, com'era? Voglio dire, ti hanno messo con uno carino? »

Carino, beh, forse un po' più di carino direi.
« Lui è simpatico » non usava l'imperfetto « mi ha messo subito a mio agio, aveva questa parlata romana... »  Simone alzò gli occhi al soffitto della camera, in maniera trasognata « dovevi vederlo, era tutto un ci provo e posso ascoltare. È stato molto "aperto" e ha fatto aprire anche me. Una persona che non avevo mai visto prima, ci credi Laura? Dopo quello schifo con Matteo... non lo credevo possibile. » Simone deglutì, era solo passato un giorno e mezzo e ancora Manuel non gli aveva scritto, né fatto una telefonata, quindi sospirò stanco « Gli ho lasciato il numero, alla fine dell'esperimento, nel caso mi volesse contattare... »
« Eh? » Laura chiese impaziente.

Simone si voltò a guardarla, aveva due occhi azzurri che splendevano più del solito quel martedì.
« Eh niente, ancora niente. Puff, scomparso. Forse mi sono solo fatto un film in testa »

Laura gli accarezzò la spalla, strofinandogliela appena.

« E a te, come è andata invece? »

Laura roteò gli occhi, scocciata.

« Lascia stare guarda... sembrava libero, tutto carino, disponibile. È stato lui a lasciarmi il suo numero. Ero convinta di poterci uscire quando alla fine lo ha chiamato una tipa. E non era nemmeno un'amica da come le parlava. Il bello è che gli avevo pure chiesto se si sentisse con qualcuno e lui ovviamente ha negato, da bravo maschio etero. Li odio tutti, mai che me ne capiti uno che non sia uno scherzo della natura. »

Simone uscì una mano dalla tasca dei jeans e la poggiò su quella dell'amica, ancora sula sua spalla. Poi appoggiò la testa su entrambe le loro mani.

« Forse sia io che te siamo destinati ad aspettare ancora » sussurrò.

« Non dire così Simone, non puoi saperlo, che lavoro fa? Magari è stato impegnato »

« Fa il professore di filosofia »

Laura sollevò un sopracciglio, interessata di colpo, la sua espressione cambiò in un lampo.

« Ironia della sorte »

Simone rise. Sì, in effetti.
Poi scrollò le spalle, in un gesto semplice.

« Non significa comunque niente, può darsi che non mi abbia voluto vedere »

Proprio in quell'istante il suo cellulare con la nota suoneria degli Oasis squillò sulla scrivania. Simone si abbatté sul letto, la sua testa schizzò contro il materasso: sicuramente è mio padre, pensò. Quella mattina aveva dovuto accompagnare sua nonna Virginia in un controllo medico di routine, e aveva detto al figlio di tenere il cellulare a portata di mano, in caso di novità. Simone aveva quindi chiamato l'amica, che si trovava libera, quel martedì, dal suo turno di lavoro al bar. Simone non avrebbe avuto lezione non prima delle cinque del pomeriggio. E quindi erano rimasti soli a casa. cellulare con la nota suoneria degli Oasis squillò sulla scrivania. Simone si abbatté sul letto, la sua testa schizzò contro il materasso: sicuramente è mio padre, pensò. Quella mattina aveva dovuto accompagnare sua nonna Virginia in un controllo medico di routine, e aveva detto al figlio di tenere il cellulare a portata di mano, in caso di novità. Simone aveva quindi chiamato l'amica, che si trovava libera, quel martedì, dal suo turno di lavoro al bar. Simone non avrebbe avuto lezione non prima delle cinque del pomeriggio. E quindi erano rimasti soli a casa.

« Che palle, sarà mio padre, Laura lo puoi prendere tu? »

Laura annuì e scattò verso la scrivania. Il suo sguardo si illuminò all'istante, mostrando il  display all'amico.
« Simone è un numero sconosciuto » gongolò emozionata come se si trattasse di un chiaro segno caduto dal cielo.

Simone deglutì appena. Poteva essere...?
Il suo pollice si mosse per scorrere sul tastino verde, gli stava saltando già la molla a propulsione che definiva "cuore" all'interno del petto, quando Laura lo fermò un attimo.
« Metti il vivavoce per favore, voglio sentire » supplicò, giungendo le mani.

Simone la guardò di sbieco, annuì e allora la ragazza si riposizionò sul letto così come si era alzata prima.

« Pronto?  » chiese vago, non sapendo chi potesse essere.

Cretino lo sai chi è. La sua voce ripeté ancora: vuoi essere positivo per una cazzo di volta nella tua vita?


« Simone, ehi, sono Manuel  »

Ecco appunto.
Sul viso del ragazzo apparve un sorriso enorme, raddoppiò ancora di più quando vide Laura coprirsi la bocca per non farsi sentire.
Ce l'ho fatta a non morire.

« Ohi, ciao! »

« Scusa se non mi sono fatto vivo prima, » Simone sentì un brusio di sottofondo « ma sono in pausa caffè, a scuola. La sala professori era piena e volevo parlare in tranquillità senza che nessuno si facesse i cazzi miei » Simone fece una risatina, ricordava come aveva risposto domenica a "la gente non finisci mai di conoscerla davvero". « Ti sto chiamando da un angolo del corridoio, ho trovato un momento libero solo adesso »
Laura gli fece il gesto delle mani aperte come a dirgli "te lo avevo detto".

« Figurati, non preoccuparti. » risultò molto teso nella voce, quindi decise di calmarsi un attimo e fare un respiro mentale invisibile e muto.

« Senti non so come stai messo oggi, ad impegni, » la sua voce era così densa, bassa che Simone avrebbe voluto avercelo davanti il volto di Manuel per poterla collegare alla sua persona « ma potremmo prenderci un caffè, in un bar del centro, se te viene comodo, ti mando la posizione »

L'accento romano. Simone annuì senza però parlare. Laura gli diede una gomitata, e questa volta Simone la sentì tutta. Ahia,  mimò a Laura. Si tastò il braccio con la mano.

« Va benissimo, non ho lezione prima delle cinque... »

« Allora mandami la posizione della tua facoltà e vediamo di beccarci nei paraggi »

Che carino.

« Certo, uhm, c'è questo baretto piccolo, proprio dopo lo spartitraffico, è piccolo ma  hanno dei cornetti dolci e salati stupendi. Ci vado sempre in pausa pranzo o studio. »

Sto parlando di cibo. Come se gliene freghi qualcosa, a lui frega di te. Che tono sto usando? Gli sembrerò un cretino.

Manuel però ridacchiò, al contrario delle sue aspettative negative. Forse aveva notato la velocità con cui aveva risposto, o forse Simone stava di nuovo giocando ad autosabotarsi. Quella risata a Simone parve oro puro liquido.

« Si può fare. Te va bene per le quattro, mh? »

« Mh, sì,  va benissimo »

« Perfetto allora »

Silenzio. Laura stava osservando come Simone fosse intento a fissare il nome sul display, come se il ragazzo, potesse materializzarsi lì davanti a lui.

« Simone, ce sei ancora? » Manuel sembrò preoccupato.

« Sì, sì è che non so cos'altro dire »

Figura di merda.

« Allora lo dico io, » mormorò in tono dolce « non vedo l'ora di vederti più tardi »

Mi sento male.

« Anche io, Manuel »

Simone non sapeva nemmeno se stavano ancora nella bolla della domenica, quella dove entrambi si erano scambiati fiducia senza conoscersi ancora. Non lo sapeva, ma il tono del ragazzo sembrava più chiaro che mai.
« A dopo, allora »

« A dopo »

Attaccò il telefono e si portò le mani a coprirsi la faccia, in uno stato di felicità ma anche tanta paura. Simone avvertiva la paura, leggera ma comunque paura. Paura che Manuel potesse fare un passo indietro all'ultimo secondo, paura che forse non lo trovava più tanto interessante. Paura, ma una paura nuova. Almeno adesso sapeva a cosa andava incontro dopo domenica: non vedo l'ora di vederti. Se solo avesse potuto vederlo mentre gli diceva quelle parole, sarebbe stato più tranquillo.

Laura lo abbracciò stretto con entrambe le mani, il suo affetto era una tisana per i suoi pensieri.

« Hai visto? E tu che pensavi non volesse rivederti! » il suo tono era pregno di amore per l'amico.

 Simone passò da uno stato di calma apparente, a i suoi grandi occhi spalancati.

« Laura, la domanda ora è: che cazzo mi metto?! »

La ragazza rise, dandogli un bacio sulla guancia e se lo strinse un po' di più a sé. Simone amava quando Laura lo faceva, si sentiva amato, e soprattutto capito.
« Intanto ti metti una camicia, anziché il solito maglione a collo alto, » Simone la guardò dal basso verso l'alto, vedeva il suo dito che si muoveva da destra a sinistra « e poi, come seconda cosa, per favore, cerca di restare calmo. Simone, te lo meriti. A te è capitato un ragazzo - dopo tre anni della tua vita monacale, Simone - che ha richiamato subito dopo che vi siete visti senza filtri. Dopo un'esperienza come quella, non è cosa da poco no? »

« Stai dicendo che mi ha detto sì solo perché mi vuole portare a letto? »

Simone sapeva di stare facendo lui stesso ironia, per sdrammatizzare e soprattutto perché una volta visto Manuel come mamma lo aveva fatto, lo scoglio più grande era stato superato. Era divertito, ma Laura rimase comunque offesa.
« Non mi è sembrato il tipo da una botta e via, Simone »

Simone annuì, toccò un capello dell'amica biondo, i suoi polpastrelli sfiorarono la punta, poi Simone lo rilasciò subito dopo.
 
« Stavo scherzando, Laura. E comunque nemmeno a me, ho visto del buono in lui » rispose pensieroso, ora dedicandosi ai lacci della sua felpa.
La ragazza annuì, poi, così come si era accigliato, un sorrisetto furbo le apparve sulla bocca, sostituendo il sentimento precedente.

« Hai un appuntamento ti rendi conto? »

« E' soltanto un caffè-»

« SIMONE BALESTRA » Laura gli puntò il dito contro, cercando di non scoppiare a ridere « tu hai un appuntamento, che sia un thè, un caffè, anche solo un bicchiere d'acqua, è un appuntamento, a tutti gli effetti, » si mise sulle ginocchia, che sprofondavano nel materasso e sulle lenzuola « e voglio riconoscere che sia anche un po' merito mio, se ciò è successo perché sono testarda e determinata, e questi ti ha portato all'azione! » concluse fiera.
Simone si ritrovò a ridere di gusto, annuendo e abbassando il braccio della ragazza, che era salito in alto, come se stesse dichiarando in un discorso l'inizio della guerra davanti ai suoi soldati.

« Sì, lo è. Gran parte di questo, è merito tuo Laura » concordò dolcemente « se non mi avessi spronato, non sarei andato e se non fossi andato, chissà cosa starei facendo adesso. Sicuramente, non avrei l'ansia a palla per un semplice caffè, » Simone diede un bacio sulla guancia a Laura, lei strizzò le labbra in un sorriso gongolante « ma sì, lo devo solo a te. »

« Beh il resto lo hai fatto tu però, riconoscitelo »

« Sì, ma senza il tuo aiuto, non sarebbe accaduto nulla. Sei l'amica che non pensavo di poter avere, Laura, al di là di ciò che c'è stato tempo fa tra di noi, » Laura ondeggiò la testa, a indicare che fosse acqua passata ormai « sono contento di averti nella mia vita »
La ragazza lo spinse via gentilmente e in fare teatrale, lo prese per le spalle.

« Tu sei il ragazzo migliore che ho avuto, che mi ha trattato con i guanti, Simone.  Anche quando mi hai detto che non mi volevi in quel modo. Sei un ragazzo che si apprezza e basta. E come tale, meriti qualcuno che ti faccia sentire così. »

I due amici si sorrisero, in quel martedì mattina, che era iniziato male e aveva cominciato pian piano a cambiare forma.   





 - -

 










 
 
 
Puntuale come un orologio svizzero, Simone si sistemò la camicia, cercando di non farci sopra ulteriori pieghe. I capelli erano sistemati, si controllò meglio in uno degli specchi del bar. Sembra tutto apposto. Simone aggiustò la mira. Sto bene, ho un colore che mi sta bene, come mi ha sempre detto mamma. E come mi ripete Laura di continuo.
Simone respirò a fondo, osservando come il barista dietro il bancone lo guardava. Contraccambiò lo sguardo, sorridendogli appena nervoso. La risposta fu positiva: gli mostrò le due dita incrociate.
Sono così disperato, che anche lui lo ha capito.  Andiamo bene.   
Guardò l'orologio al polso: mancavano solo due minuti. Si passò la lingua in mezzo ai denti, che aveva accuratamente lavato e a cui aveva dedicato anche il filo interdentale. Era agitato, tremendamente agitato. Calma. Simone era di spalle quando qualcuno gli bussò alla spalla. Manuel era arrivato.
« Ciao »

Manuel portava una maglia lunga, una sciarpa rossa gli avvolgeva il collo e un giubbotto di pelle incorniciava tutto.

« Ciao Simone »

Risultò impacciato nei modi, perché si mosse indicando i primi tavolini liberi, con la mano.

« Ci sediamo, uhm? »

Manuel annuì, e Simone si concentrò su quell'accenno di barba che gli era cresciuta ai lati delle guance e sul mento. Aveva ragione: sembrava leggermente più grande, di qualche anno in più rispetto a quando lo aveva visto senza. Forse non era possibile, però gli sembrava anche più bello.
Okay basta, stop, Simone, stop.
Seduti al tavolo del bar, uno di fronte all'altro adesso, Manuel teneva le mani giunte, si stavano guardando.
Cazzo dì qualcosa per favore.

« Quindi è lì che studi? » Manuel indicò con le dita la struttura a pochi metri dallo spartitraffico.

Oh signore grazie.

« Sì. Anche se non si direbbe, visto che la struttura non è proprio il massimo, ma si riesce a sopravvivere nonostante gli orari e le aule »

Manuel annuì, Simone notò subito l'orecchino che gli scintillava insieme a una serie di altri, più piccoli.

« Quindi oggi è stata una giornata fortunata? »

Simone annuì, toccandosi la nuca.

« Beh, ogni tanto anch'io ho un po' di fortuna... »

Manuel si tolse la giacca, appoggiandola contro la sedia. In quel momento, la cameriera arrivò al tavolo, con il blocco per prendere le ordinazioni su una mano.

« Allora, » Simone sapeva cosa voleva, e si sentì di provare a sfidare la sorte, guardò bene Manuel un attimo. Riusciva quasi col suo intuito a capire bene i gusti delle persone. Tu, hai la faccia di uno che non beve latte e caffè. E che se prende il caffè, non mette neanche lo zucchero. « Facciamo un cappuccino, un espresso amaro » Manuel sbattè le ciglia, la bocca si ridusse in un piccolo muscolo « e per favore, » disse rivolto alla cameriera stavolta « potresti portarci due cornetti speciali? »

La cameriera annotò tutto e li ringraziò, andando a dare la commanda al bancone.
Manuel si schiarì la voce, portandosi una mano a reggersi il mento.

« Poi mi spieghi, come hai fatto a capire che lo prendo senza zucchero, il caffè, Simone »

Simone rise un poco, le mani erano poggiate sul tavolo, alcuni anelli tintinnarono sulla superficie lucida. Scrollò le spalle.

« Ho tirato a indovinare »

« Cosa sei un mago oltre che matematico e studente modello? »

« Mi stai pompando troppo » negò oscillando la testa, Simone abbassò lo sguardo, la lingua si mosse in mezzo ai denti.

« Simone »
Eccolo lì, quel tono. Lo stesso tono di quando lo aveva richiamato domenica scorsa. Simone rialzò lo sguardo, e trovò Manuel che lo guardava dritto negli occhi « Te sottovaluti troppo »
« Non amo molto stare al centro dell'attenzione  » chiarì, giocando con il porta tovaglioli davanti a lui.
Manuel si mise comodo contro la seduta, incrociando le mani davanti a sé. Adesso, l'espressione era diversa, come se le parole di Simone gli avessero dato un colpo negativo.

« Stai bene? »

Sembra preoccupato.

« Credo di essere solo un po' nervoso, tutto qua  »

Le mani che giocavano col porta tovaglioli vennero fermate. Le dita di Manuel erano poggiate sopra le nocche e Simone non poté evitare di guardarle. I suoi occhi risultarono palesi, evidentemente sorpresi e non si diede modo di fermare l'arresto dei suoi pensieri in quell'istante. Le mani di Manuel mi stanno sfiorando.

« Siamo le stesse persone di domenica » Manuel ebbe il tono di un balsamo « io non so disegnare e tu  non sopporti la filosofia, ricordi? »
Simone annuì piano, un sorriso piccolo gli circondò le pieghe del viso. Manuel lo condivise e contraccambiò. Le dita di Manuel erano ancora lì, ci frugò ancora, prima di scostare le mani.

« Devi scusarmi, è che ho pensato un po' di cose e non dovevo perché mi sono fottuto il cervello, » Simone incespicò un poco, ma fu abbastanza fermo « dopo domenica, ecco, ho pensato non richiamassi proprio » sorrise amaro.

Gli ordini arrivarono al tavolo, Simone ringraziò la cameriera e quando andò via, si trovò davanti il volto di Manuel, ancora diverso.

« Pensavo non fosse il caso di scrivere dei cartelloni o tappezzarli in giro facendo pubblicità, per dire che mi interessava rivederti » Manuel rise, quello allentò un po' di più la pressione di Simone « voglio dire avrei potuto, ma pensavo fosse chiaro ormai »

Simone zuccherò la sua bevanda calda, poi agguantò il manico della tazza del suo cappuccino e ci soffiò sopra.

« Non devi giustificarti, sono io che vivo costantemente nel e se e so che faccio male, ma è più forte di me » bevve un sorso del suo caffè, e le labbra si sporcarono immediatamente per via della schiuma. Manuel prendeva il suo e osservava l'altro, immerso completamente in quella ritrovata tranquillità « È come quando metti una canzone, cominci ad ascoltarla così tanto che la ritieni perfetta, intoccabile. Potrai sempre sentirne un'altra, ma se hai sempre in testa la prima, è inutile provare a insistere » spezzò un pezzo il cornetto a metà e la mise sul piatto di Manuel. Il gorgo di sentimenti si stava affievolendo, sganciando fuori il suo agio. « Dai avanti, prova e dimmi che te ne pare, è con marmellata di fichi e noci pecan. »
Simone stava lì con la tazza a mezz'aria, intento a guardare Manuel che portava il cibo alla bocca. La prima cosa che vide furono i suoi occhi che si accendevano, come se avesse assaggiato un nettare prezioso. Dunque Simone si ritenne soddisfatto e sorseggiò il cappuccino, per poi sbocconcellare il suo pezzo di dolce.

« Devi sapere che non tutti sanno fare bene questi, » Manuel alzò il cornetto con una mano « ma questo è pazzesco!»

« Sono artigianali, li fanno loro ogni mattina. Ho indagato. Non c'è trucco, non c'è inganno » assottigliò gli occhi grandi, mentre gli sorrideva sul finale.

« Si sente »

« E adesso, » Simone non si accorse nemmeno che stava portando una mano alla bocca per coprirsi, per scambiare l'altro cornetto adesso e spezzarlo « dimmi cosa ne pensi di questo qua »

Manuel afferrò il pezzo datogli gentilmente dal ragazzo, e finendo il suo caffè, fu la seconda cosa che addentò. L'espressione che fece portò Simone a emettere una risata divertita. Almeno una cosa era capace a farla: consigliare sul cibo. Su quello non sbagliava mai.

« Simone basta, ho capito che ce verrò tutti i giorni » disse trasognato, osservando la sofficità della sfoglia burrosa, con il ripieno alla marmellata di more che strabordava « lo sai che ho tipo una fissa per le cose dolci? »

« E meno male, dopo che ho scoperto che insegnavi filosofia, eri in bilico sulla zona di salvataggio »

Manuel lo guardò serio. Ma non fu uno sguardo di rimprovero, anzi, era ben altro. Simone si sentì avvampare leggermente e decise che no, quella cosa ormai la aveva detta, non poteva rimangiarsela.

« Te invece stai acquistando sempre più punti, più ti conosco, Simone »

Questa volta toccò all'altro ragazzo guardarlo. Aveva usato un tono normale, ma non completamente assente di malizia. Se me lo dici con quegli occhi, è già una guerra persa in partenza.

« E io vedo che tu che porti sempre in alto la bandiera della sfacciataggine »

Simone finì il suo cappuccino, notando lo sguardo decisamente provocatorio dell'altro. Sorrise sotto i baffi di schiuma.
Cominciamo benissimo.

Mentre si studiavano in quel modo, al tavolo arrivò lo scontrino con il conto. Nessuno dei due ci fece caso più di tanto.

« Ti vedo un po' stanco comunque » Simone abbassò la tazza sul tavolo, non aveva fatto a meno di guardare quelle occhiaie sotto gli occhi, dovute per forza a mancanza di sonno. Anche quelle però, per sua sfortuna o fortuna, gli stavano bene.

L'insostenibile leggerezza dell'essere sottone: capitolo 5, SB.

« Beh, ultimamente non riesco a dormire perché stanno lavorando a un nuovo cantiere accanto al mio appartamento, » Manuel grugnì infastidito, mordendo un altro pezzo di cornetto « e poi soffro de insonnia. Ormai da almeno cinque anni. Non ce può nulla, camomilla, tisana, anche i rumori rilassanti ho provato a mettermi una volta, come sottofondo, » sospirò ravvivandosi i capelli con una mano « ma nulla »

« E non sei mai in grado di recuperare tutto il sonno che perdi? »

« Ogni tanto, se me gira bene, il sabato è la mia giornata santa. Mi do per morto se riesco, rifiuto gli impegni e la dedico a rilassarmi »
Simone annuì.

« Quindi, vivi in un appartamento da solo o...hai dei conquilini? »

« Da solo, da circa un mese e mezzo più o meno. Non volevo più dare fastidio a mia madre, sai com'è, raggiungere l'autonomia e quelle cosette lì »

Caspita, e io che vivo ancora con mio padre. Che dire.

« Giusto e non devi dare conto a nessuno di ciò che fai, quando esci, quando rientri » prese un tovagliolo e si pulì le labbra, tamponando.

« Tu vivi con tuo padre »

« Già » risultò un po' annoiato. Manuel captò qualcosa nell'aria.

« Vuoi parlarmene? O rischio de essere troppo invadente? »

Simone sentì per la seconda volta, la naturalezza di spogliarsi, verbalmente e anche mentalmente con l'altro. Senza nessuna remora.
« Non lo sei. Non dirlo più, mi piace parlare con te »

Oh.

Quello stupore fu tutto di Manuel.  




 - -


 









 
 
 
« Dai, Simone famme pagare su! » si ribellò, impuntandosi da ben cinque minuti.

Erano entrambi vicino alla cassa per pagare e Simone aveva già uscito la banconota, che scuoteva tra due dita. Insieme a quella, scuoteva pure la testa, mentre il cassiere li guardava divertito a quella scenetta, da dietro il bancone.

« Mi hai invitato tu, quindi è giusto che offra io, Manuel » e fu così che la banconota venne accettata a saldare il conto. Manuel sospirò, portandosi una mano alle tempie, il portafoglio sottile in una mano.

« Potevamo almeno fà alla romana e dividere, me sarei sentito meno in colpa. Adesso ritornando a casa - per colpa tua tra parentesi - penserò a tutti i modi immaginabili e possibili in cui potevo comprarmi il cassiere, per poter pagare io » si portò una mano al petto, quella col portagoglio ripiegato all'interno. Il volto era una maschera di melodrammaticità.

« Te lo hanno mai detto che sei un comico nato, sì? »

Manuel scioccò la lingua, ficcando il suo deposito di denari dietro la tasca dei jeans scuri.

« No, è la prima volta  »

Simone si morse il labbro inferiore, osservando come si portava indietro un ricciolo all'orecchio. Quei capelli erano una matassa domenica e lo erano anche lì, nel bar.

« Facciamo così, » Simone mormorò, cacciando il suo portafogli dentro la tasca del giubbotto « visto che nel weekend sei più libero, se sabato vuoi prenderti una pizza con me, possiamo anche dividere o puoi pagare benissimo tu, per entrambi »

Sono stato abbastanza bravo.

Manuel restò sospeso, lo sguardo gli passò un po' ovunque. Simone non capiva cosa stava davvero guardando.

« Va bene, a una condizione però, » Manuel aprì le mani, svelando fuori una monetina che aveva a quanto pare nascosto dentro una mano « se lancio ed esce testa, sabato te accompagno e te vengo a prendere io, » aveva un tono furbo « se esce croce, me vieni a prendere tu. »

Mi sento completamente rapito. Tu devi vedere che faccia tosta.

Simone deglutì appena, ma agitò il capo deciso.
« Va bene, ci sto »

Sfida accettata.

Manuel lanciò la monetina in aria, e quella atterrò sul dorso della sua mano, coperta per qualche secondo dall'altra. Guardò dal basso verso l'alto Simone « A te gli onori »

Simone toccò la pelle di Manuel, scostandola di poco.
Testa.
Simone alzò gli occhi in aria, e sentì la risata di Manuel come una specie di canto ammaliatore nelle sue orecchie. Quello indossava un sorriso enorme, gli attraversava tutto il viso e gli occhi erano diventati più piccoli.

Come fai ad arrabbiarti con uno così?

« Potevo venire io, ho la patente, non sono proprio a piedi, ecco- »

« Non fare storie, la moneta ha parlato. E bisogna sempre darle ascolto perché ha l'ultima parola. E poi è giusto fare un po' una volta l'uno, poi l'altro, Simò »
Ah.

In quel momento Manuel si pentì come un ladro, si mangiò le labbra, mentre ficcava quella moneta dietro la tasca dei jeans, dove aveva ricacciato il portafoglio a libretto.

« Scusami, non volevo, di solito uso i soprannomi quando, beh, quando me lascio andare un po' » sorrise a denti stretti.

« No, non è un problema, ti dirò che qualche volta sentire il mio nome per intero mi mette ansia » Simone si alzò la zip del giubbotto, due occhi lo guardavano sollevati « sì, sono abbastanza problematico lo avrai capito. Il diminutivo mi va bene »

Oh, è vicino.

« E poi non siamo più tanto degli conosciuti, no? »

Staccò le due dita dalla pelle, non se ne era nemmeno accorto di averlo fatto. Simone gli fece l'occhiolino, come conclusione, per poi dirigersi fuori. Manuel lo seguì poco dopo, rielaborando cosa aveva appena visto: Simone gli aveva sorriso e aveva avvicinato le sue dita sotto il suo mento. Di solito era lui a fare quelle cose. Si era stupito l'altro avesse preso l'iniziativa. Sorrise poco senza essere visto, vedendo l'altro staccarsi poco dopo e dirigersi verso l'uscita del bar.
 
 



- -
 
 


 
Passarono due settimane. E tra gli impegni di entrambi, Simone non riusciva a capire come la sua testa naufragasse costantemente dalla preparazione di un esame importante - che aspettava di essere dato da almeno due mesi - all'immagine di Manuel quella sera in pizzeria. Ovviamente, alla fine, la aveva avuta vinta e aveva pagato lui il conto. Così come gli aveva offerto il dolce. Così come gli aveva sottolineato quanto fosse stato scorretto a rifiutargli quello. Così come dopo, tutti e due, avevano passeggiato un po' lungo Castel Sant'Angelo, fissando i lampioni e il Tevere, nell'aria serale e pungente e lui aveva accettato senza pensare. Simone conosceva a memoria quel luogo, ma non aveva mai camminato con qualcuno che amasse così tanto ripercorrerlo, anche senza dover per forza parlare. Era bello concentrarsi sull'anima del paesaggio intorno. Si dava per scontato molto spesso anche quella caratteristica, della città in cui si viveva.
E così come avevano passeggiato, erano anche rimasti ad aspettare in macchina sotto casa sua. Gli ultimi istanti prima di risalire a casa, a Simone erano sembrati eterni.
Simone si sforzava di leggere la pagina sotto i suoi occhi, perché il sabato di qualche settimana fa, era ancora vivido.
Non mi chiederà di salire. Non può chiedermelo. È troppo presto. "Pensi che mi abbia detto di sì solo perchè vuole portarmi a letto?" Simone serrò gli occhi, scacciando via la battuta rivolta quella famosa volta all'amica.

« È stata una bella serata » era tutto quello che era riuscito a dire. Manuel aveva le mani lungo il volante, la macchina era spenta.
C'era un certo fascino nel vederlo anche con quel berretto addosso. Mentre Simone portava una sciarpa un po' pesante, attorno al collo, dato che era il mese di Novembre.

« Anche per me »

Simone sapeva di dover fare qualcosa. Le labbra di Manuel erano così invitanti, la lucina automatica sopra il cruscotto gli illuminava la barba, il naso, ma soprattutto gli disegnava quei due solchi sottili e larghi. Erano rimasti in silenzio, palpabile e assordante.
« Ti chiederei di salire Manuel, ma c'è mio padre uhm »

Cazzo. Simone si picchiò la testa con la mano aperta. Se non faccio una figura di merda non sono io, che cosa pensavo?
Manuel aveva annuito. Il beige del suo dolcevita contrastava con il nero dei sedili della macchina. Le labbra riportavano una curva all'ingiù, fissava la strada davanti. Cos'era stato quello sguardo, un abbandono momentaneo di speranza o cosa?

Simone lesse la parola "in mancanza di ossigeno procedere in questo modo" sul libro di testo.
Non era quello che voleva, quella sera.
E così si erano salutati quella notte.
E non senza dimenticare il modo in cui lo aveva guardato: si aspettava che tu lo baciassi.
Sospirò per la sua mancanza di azione o per l'abbondanza di insicurezza. E Simone lo aveva rivisto solo quattro giorni fa, quattro dannati giorni fa. Perché non poteva essere una persona normale e lasciarsi andare completamente?
Perchè Matteo ti ha fottuto la sicurezza. E perchè hai paura che non sia reale. Ma sabato era tutto perfetto, e lo sapevi.
Simone si alzò dalla scrivania. Lui e Manuel si si erano rivisti in quel bar, vicino alla facoltà e l'altro non aveva dato segni di assenza. Forse aveva già dimenticato l'episodio dopo la serata in pizzeria e il ben servito dopo averlo riaccompagnato a casa. O forse non voleva pensarci.
Lo sai che lo voleva. Lo volevi pure tu.
Arrivò una notifica sul suo cellulare a interrompere il flusso joyciano dei suoi pensieri.
Sembra che oggi per un motivo o per un altro, non riuscirò a studiare una singola pagina.
Simone schizzò come un lampo ad aprire la notifica del messaggio o meglio, fu il muscolo involontario dentro al petto che schizzò fuori.
Manuel gli chiedeva se volevano vedersi, quel pomeriggio, nei pressi di casa sua. Aveva finito di correggere delle verifiche e i suoi piani per la serata erano sfumati. Gli aveva lasciato l'indirizzo.
Vedi che non è tutto perduto, testa vuota?
Simone osservò il libro di "Genetica medica" e lo chiuse di scatto.
Non posso concentrarmi su medicina o sui ventricoli, se prima non lo vedo. E non posso concentrarmi in ogni caso, perché voglio vederlo.
Era un venerdì. Simone aveva il pomeriggio da passare con Giorgia, la figlia dei vicini. Sospirò. Portò il telefono all'orecchio e sentì squillare tre volte. È ancora presto, sono solo le cinque. Dovevo andarci per le sei.
Parlò con uno dei suoi genitori, spiegando che non si sentiva bene e che molto probabilmente non ce la avrebbe fatta a venire. Non ricevette nessun commento negativo, anzi, Simone venne esortato a riposarsi e che si sarebbero organizzati per la settimana successiva. Simone ringraziò mentalmente quella piccola concessione e una volta riattaccato, si dedicò a Manuel, che stava aspettando da ben dieci minuti una sua risposta.





Simone parcheggiò la macchina sotto il condominio. Guardò in alto la serie di palazzine, ognuna aveva qualcosa di diverso, quella di Manuel però, era bianca con dei balconi dove quasi ogni condomino aveva delle piante o dei panni stesi. Chiuse lo sportello e si diresse al portoncino, che trovò aperto. Entrò, sentendo solo il rumore dei suoi passi svelti. Terzo piano. C'è un porta ombrelli colorato, non te puoi sbagliare. Gli aveva detto. Non avevano ancora messo la targa col nome di Manuel - nonostante ci stesse già da più di un mese - e il ragazzo aveva avuto problemi col trasloco per tutto quel tempo, andando a prendere di persona i pacchi e le consegne. Simone fece la rampa di scale (non c'era un ascensore) pesando ogni passo dei suoi piedi. Catturando con gli occhi grandi il portaombrelli chiazzato, con una strana forma trapezoidale, suonò al campanello. Guardò la targhetta svitata: segno che ancora non la avevano preparata.
Manuel aprì, un sorriso caloroso. Era avvolto in un plaid, che gli nascondeva la maggior parte del corpo, tranne le mani e poca parte delle gambe.

« Eccolo qua, il matematico eccelso »

Simone rise, abbassando la testa. Fissò i calzettoni lunghi di Manuel, e risalì la sua figura.
Ha venticinque anni e sembra io stia guardando un bambino.

« Ciao anche a te, Manuel »

« Hai già trovato parcheggio sotto? » abbozzò.

« Sì, perchè? »

« Di solito, questi qua del palazzo se prendono anche i posti degli altri, » Manuel si grattò la testa e aprì un po' di più la porta, gli fece cenno con la testa « su entra dentro, non te ne stare lì impalato »



 
- -




L'appartamento era abbastanza accogliente. Appena entrati, si aveva una bella vista sulla cucina a destra, sulla sinistra invece, c'era un attaccapanni, un piccolo mobiletto affianco, dove Manuel teneva le chiavi e altre cose come delle foto, o un calendario mensile. La cucina era graziosa, con dei mobili bianchi, tranne il tavolo che risultava di legno scuro. Lo spazio era adiacente al soggiorno, con una tv al muro, un divano a tre posti, un tavolino ripiegabile e un tappeto sul pavimento. Le pareti erano color arancio bruciato, poche cose appese sopra tra cui alcuni poster di film famosi. Simone ne riconobbe un paio, come Kill Bill o anche Taxi Driver. Le luci erano date da qualche lampada al soffitto o per terra, di cui lunga con una copertura quadrata, accanto al televisore.
L'ambiente aveva un'aria rilassante. Simone si tolse il giubbetto e lo appese a uno degli attacca panni. Aveva portato con se la sacca universitaria - non sapeva nemmeno lui perché - ormai era questione di ruotine. La appoggiò al lato del divano color cremisi. Manuel si affacciò leggermente dalla cucina, la testa riccioluta sbucò fuori: aveva messo su la moka, il coperchio del porta-caffè appena aperto.

« Te va un caffè o preferisci il thè, Simò? » il plaid era appena diventato un mantello attorno alla sua piccola figura.

Era diventato Simò da quel secondo incontro al bar, ormai Manuel si era abituato a chiamarlo così, e solo poche volte gli usciva fuori il suo intero nome di battesimo.

« Va benissimo il caffè, grazie » si strofinò le mani, guardandosi ancora un po' attorno. Simone osservò uno scaffale poco dopo il mobiletto all'entrata: pieno di testi, un po' di poesie, un po' di filosofia e almeno sette riviste di motori.

« Purtroppo non ho ordinato molto casa, c'è un po' de casino se oltrepassi il soggiorno, » rise Manuel, avvitando la parte superiore della moka, poi aprì uno degli scaffali sopra la sua testa, alla sua altezza « ho fatto tutta la mattina a corregere compiti e ho capito perchè erano così rompi palle con me al liceo. C'è chi ha potenziale, ma non si applica purtroppo »

Simone ridacchiò, percorrendo con un dito la copertina di un libro di poesie, affianco c'era un taccuino nero, piccolo. Lo afferrò e notò dei motivi vegetali in rilievo sopra.

« E' la tipica frase di voi professori. Prima ci elogiate e poi ci date la botta che tra parentesi è una grande carognata »

Manuel annuì, mentre afferrava il contenitore dello zucchero per l'altro. La testa gli faceva ancora un po' male. Molto spesso accusava delle emicranie per via della mancanza di sonno, ci era abituato. Però quel giorno, aveva fatto più difficoltà del solito a concentrarsi a correggere errori, a dare giudizi e soprattutto a stilare una serie di giudizi sulle verifiche della sua classe. Ben ventisette verifiche, per l'esattezza.

« Da studente dicevo lo stesso, poi però so' passato dall'altra sponda del fiume e adesso capisco che significa » sospirò. Manuel accese il gas, ci mise sopra la moka e si portò due dita a massaggiarsi le tempie.

Simone aprì piano il taccuino che aveva tra le mani. Forse non dovrei, pensò. In quell'istante Manuel si voltò verso di lui e allora ebbe la conferma di star ficcando il naso in cose in cui non doveva.

« Ah, quello, » Manuel si tirò ancora di più il plaid addosso « ogni tanto scrivo, quando riesco. Puoi guardare se vuoi, » risucchiò le labbra in dentro « ricorda solo che se devi stroncarmi, preferisco tu lo faccia subito Simò. Accetto ogni critica »

Simone annuì e sfogliò la terza pagina. La grafia era intricata ma leggibile, aveva macchiato poco la carta ingiallita. Carta riciclata, sicuramente per via del colore stinto. Lesse tutto d'un fiato quella, e anche la seguente, per poi arrivare anche alla quinta pagina. Il ragazzo alto si girò verso Manuel, il quale era rivolto verso i fornelli, aveva preso un pacco di wafer, biscotti e li aveva messi su un vassoio semplice, con due manici neri.

« E' scritto bene »

Manuel si girò di colpo.

« Mh? »

« Sei bravo, Manuel » Simone teneva ancora il taccuino aperto tra le mani.

« Me la cavo » abbozzò un sorriso un po' modesto. Il rumore del caffè arrivò gorgoliante dalla moka e spense il gas.

« No dico sul serio, sono molto simboliste se proprio devo trovare un aggettivo, » Simone gesticolò, chiudendo appena il libriccino e riponendolo nella sua posizione originaria « però sono belle »
Simone però non ebbe una risposta, perchè vide la figura di Manuel leggermente confusa, accasciarsi al bancone della cucina. Si fiondò a sorreggerlo, come se avesse sentito una sirena d'allarme di sotto. La prima cosa che gli avevano insegnato i suoi studi e anche le sue esperienze, era controllare i battiti del polso. Simone piazzò due dita sul polso di Manuel, circondandoglielo. Il battito cardiaco era un po' lento. Poi gli avvicinò una mano sulla fronte: il ragazzo scottava. In effetti non si erano ancora avvicinati, quindi non aveva potuto saperlo o sospettarlo prima, tranne forse per il plaid che portava addosso. Quello era stato un micro segnale.

« Manuel, dove tieni il termometro? » sapeva di avere un tono già tra il preoccupato e il premuroso. Simone si era sempre occupato della madre, quando suo padre non c'era stato, d'altra parte.

« Sarà la stanchezza accumulata in 'sto periodo, non ti preoccupare Simò, ce so abituato »

Le occhiaie, il plaid, la fronte che scottava e i battiti lenti, non erano proprio dei segnali da ignorare. Manuel era sfiancato, Simone aveva imparato a riconoscere quei casi quando assisteva sua madre, fuori Roma. Simone aveva subito bisogno di introdurre zuccheri, di stare al caldo e soprattutto di misurare la temperatura.

« Se permetti, sono io che studio medicina qua. Dovresti andarti a stendere sul divano, Manuel. Dove tieni il termometro? »

Risultò testardo, lo sapeva, ma sinceramente non era nemmeno il caso di ignorare il malore del ragazzo. Aveva ancora la mano sulla sua fronte, se ne rese troppo tardi e allora Simone la staccò, concentrandosi per guardarsi intorno e individuare lo strumento che gli serviva.

« Sta nel mobiletto, lì, vicino l'attaccapanni. Secondo cassetto. » sospirò Manuel.

Simone andò a cercare dove gli aveva detto e ne uscì un termometro tradizionale: guardò di rimando l'altro e richiuse il cassetto.
« Vai a stenderti » mormorò, più lento questa volta Simone.

Manuel non se lo fece ripetere, ma prima si portò dietro il vassoio con tutto ciò che aveva preparato sopra. Versò il caffè nelle tazzine e lo poggiò sul tavolino davanti a sè, una volta messosi sul divano. Simone lo raggiunse.

« Allora, intanto, ti mangi questo, » si permise di prendere un biscotto sullo stesso vassoio e di porgelo al malato davanti a sé « anche due, in realtà. Hai i battiti rallentati, quando hai mangiato l'ultima volta? »

Manuel rimase un po' interdetto, ma svettò subito col suo sorriso furbo.

« Mi stai facendo un chek-up gratis? » scherzò, brevemente. Simone lo guardò serio e allora Manuel cambiò tono, portandosi una mano sul mento. « Ieri sera... » sospirò « ho mangiato poco perchè volevo recuperare il sonno, ero stanco morto. Ho avuto un colloquio insegnanti-genitori e sono stato dieci ore a scuola, a risistemare i voti della classe a cui insegno »

« Bene, quindi non hai nè fatto colazione, nè pranzato. »

« No »

« Male. Hai appena avuto un calo di pressione. E credo ti giri anche la testa, immagino. »

« Un po'... ma ci vedo ancora, non me gira tantissimo »

Simone lo guardò preoccupato. Avrà anche 25 anni, ma adesso ne sta dimostrando 3.

« Ti conviene mangiarti direttamente tutto il pacchetto qui sopra. Io sto apposto, mi basta il caffè, » Simone poi cominciò a muovere il termometro per far scendere la linea sul piccolo asse numerato con la punta in mercurio « avevi la febbre pure ieri sera? »
Manuel corrugò la fronte e minimizzò.

« Pensavo fosse più e solo una questione di sonno da recuperà, te l'ho detto Simò »

« Siccome il sonno non lo hai recuperato in ogni caso, visto quelle, » indicò le sue occhiaie, il tono era sincero ma ancora preoccupato « direi che adesso te la fai rimisurare di nuovo questa febbre - che è solo stanchezza - e per favore, mangiati quel biscotto »

« Agli ordini, dottore! » lo prese in giro, portandosi una mano piegata sulla fronte e poi alzando le mani in segno di resa.

Simone posizionò il termometro sotto l'ascella di Manuel, che scostò la maglia aiutandolo, e avvertì subito il calore del corpo dell'altro, come se il fuoco lo stesse bruciando rapidamente. In quel momento in cui Manuel masticava, tranquillo, Simone fu preso da una morsa interna clamorosa: non aveva riscontrato nessun problema, trovandoglisi così vicino, a toccarlo, prima quando preparava il caffè e a farlo adesso, sullo stesso divano, nell'appartamento dove Manuel stesso lo aveva invitato.
Stiamo facendo passi avanti.
La verità era che quel passetto gli era venuto naturale senza pensarci troppo: vederlo così indifeso lo aveva portato ad agire.

« Lo sai che hai una faccia da funerale in questo momento, Simò? »

Che comico.

Simone prese un wafer dalla scatolina di plastica e glielo mise in bocca, visto che aveva finito il biscotto di prima.

« Sta zitto e mangia » lo ammonì dolcemente.

Manuel lo guardava adesso, con due occhi attenti, mentre il cioccolato che rivestiva internamente il wafer, gli avvolgeva il palato. Il caffè si era già raffreddato, e il fumo non usciva più dalle tazzine sul tavolino. Simone guardò l'orologio. Due minuti ancora.

« Sei sempre così premuroso? » disse con mezzo wafer che gli penzolava da un lato della bocca, il sinistro. Manuel parlò, impiastricciando la parte iniziale della frase.

« Dipende dai casi »

Ingogliò il dolcino, si fece più curioso.

« E di quale caso faccio parte io? »

Oh.

« Di quello per cui una persona matura e intelligente come te, dovrebbe tenere di più alla sua salute. E dovrebbe anche nutrirsi. »

« Intendevo, faccio dei casi positivi o negativi, Simone?»

Ah.

« Sei un misto, ma direi positivo » Manuel abbassò lo sguardo, sorridendo sbilenco. « Però scrivi cose come quelle, fai tutti i discorsi che filano e poi svieni quasi come un cadavere in cucina, sei strano forte, tu, eh »

« Non sono proprio da buttare allora » fece un occhiolino, Simone trasalì.

« Stai delirando ed è solo la febbre a parlare per te, Manuel »

Il malato rialzò lo sguardo, illuminandosi adesso. Simone recuperò il termometro con la punta delle dita. Lesse la linea rossa e il numero a cui corrispondeva. Gli fece vedere il risultato della sua ostinazione a non prendersi cura di sé.

« La tua stanchezza è solo di 38 gradi di febbre. »

Manuel digrignò i denti, portandosi la restante metà del pezzo di wafer in bocca.

« Riposerò di più, lo prometto » poi prese un altro wafer dalla confezione e lo porse a Simone, che lo accettò ancora un po' preoccupato.

« Anche perchè, non vorrei averti sulla coscienza »

Manuel fece il segno delle corna in basso e Simone scoppiò a ridere. Individuò la fossetta sulla guancia. Ce so riuscito a distrarlo, allelujah.

« Non ti libererai così facilmente di me » asserì, divorando un biscotto adesso.

Simone lo guardò dritto negli occhi, erano scuri, le ciglia lunghe si muovevano appena, mentre l'accenno di barba gli era cresciuto ancora di più ai lati del viso. Gli sistemò meglio il plaid addosso con una mano, perchè gli stava scivolando dalle spalle. Aveva le gambe incrociate sul divano e la schiena curva. Simone posò il biscotto che gli aveva dato prima, sul vassoio. Non aveva voglia di mangiare, solo di parlare.

« Lo spero »

Ci sono riuscito.

Manuel rimase in silenzio, non stava più masticando. Simone allora buttò tutto fuori. « Mi è mancato vederti. E sabato scorso mi sembra di aver rovinato qualcosa »

« Non lo hai fatto »

Simone sapeva che non era la verità, perchè altrimenti non sarebbe tornato più sull'argomento.

« Sono stato bene, quella sera, Simone. Dico davvero, non hai rovinato niente. Me dispiace solo sia passata in fretta »

Io sto bene con te, Manuel.

« Ci penso da giorni-»

« Devi spegnere il cervello un attimo, » sussurrò schietto, si portò una mano a reggersi il mento « non ti ci devi ammalare su ste cose »

« Senti chi parla »

« Touchè »

Simone si morse il labbro inferiore.

« È che mi piaci » Manuel lo guardò perso, ma non rispose perchè fu eloquente.
E' così, mi piaci. « Va un po' meglio il mal di testa? Lo sai che se aumenta la febbre devi prendere una tachipirina. Ce l'hai a casa o devo andartela a comprare? »

Manuel scoppiò in una risatina fragorosa. Annuì molto divertito dalla premura di Simone.

Se fa così per la febbre, immagina come si comporta in altri contesti.

« Sono un po' contro le medicine, sciroppi per la tosse e pasticche varie, ma quella ce l'ho pure io, non so' così sprovveduto, sta tranquillo. Va un po' meglio, » aveva sempre quegli occhi piccoli puntati dentro le pozze giganti di Simone « adesso »

Silenzio.
I riccioli gli ricadevano sul viso, Manuel se ne portava uno dietro l'orecchio scoprendo le dita avvolte prima dal plaid. Simone studiava la linea ruvida dei peletti sopra le labbra, che doveva pungere sulla pelle, così come le labbra dovevano essere dannatamente morbide da sfiorare, gli occhi erano calmi e stanchi, ma non per questo innocenti. Lo colse in un momento di distrazione, Manuel stava accarezzando il materiale sintetico della coperta che lo scaldava. Aveva appena alzato il volto, quando si ritrovò Simone spalmato sulla sua bocca. Le labbra di Simone si poggiarono senza paura alcuna, distruggendo le barriere inutili che si ostinava ancora a tenersi dentro. Sentì Manuel inspirare piano, così come avvertì la mano che fuoriusciva calda per coprirgli una guancia. Simone si mosse piano, delicato, per paura di rovinare quella cosa preziosa. La lingua si incontrò con quella di Manuel, poco dopo, esplorandogli così il palato, incontrando un sapore nuovo e diverso. Simone avrebbe tanto voluto farlo quella sera, quando lo aveva riaccompagnato a casa. Cogliere il momento che li vedeva da soli e scoprire come sarebbe stato baciare quello sconosciuto che ora era diventato l'unico suo pensiero fisso in poche settimane. Il calore si era duplicato, perchè la fronte di Manuel che scottava, toccava la sua ed il naso scendeva forse a temperatura, scontrandosi con quello di Simone più freddo. Aveva il sapore del cioccolato e della nocciola, sgranocchiati prima. Simone si riempì del sapore dolce del cacao e della temperatura calda, come se quel cioccolato si stesse ancora sciogliendo nella sua bocca e sulla punta della lingua di Manuel che lo incontrava. A distacco compiuto, Simone sbirciò l'espressione di Manuel ad occhi chiusi, la fronte era poggiata ancora calda sulla sua, il plaid li stava avvolgendo entrambi. Il malato aveva allargato tutte e due le braccia attorno alla schiena di Simone in un involucro di morbidezza.

« Se me senti caldo ora,» mormorò Manuel sfacciato « me sa che non è più solo la febbre, Simò »
Scemo. Simone avvampò di colpo. « Anzi, siccome voglio essere sicuro, » Manuel si fece vicinissimo « e se il dottorino qui è d'accordo, farei un altro test di-»

Simone annuì senza farlo finire di paalre, lasciandosi avvolgere completamente da Manuel, baciandolo di nuovo senza chiedere permesso. Perché è così che doveva essere, doveva sentire di nuovo la sua bocca sulla sua. E non doveva chiedere più a se stesso il permesso per stare bene.

Ecco com'è baciare uno sconosciuto. Si disse. Uno sconosciuto che non volevo conoscere. Adesso, invece, non riesco più a farne a meno.



Clò: bacio come cura per la febbre, Simone livello dottore pro e i wafer che non potranno più essere visti normalmente.
Che bello mi mancava ammazzarmi qualche altro elemento della mia quotidianità.
Che dire, questa chicca finale l'ho pensata sul tuitter e ho visto che ha riscosso particolare interesse, dunque, ho dovuto metterla per ovvie ragioni.


 

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Capitolo 3
*** Di pitture pericolose e cuori puliti ***


Simone stava facendo pausa fuori dalla facoltà di medicina, ascoltando la conversazione di qualche studente, del suo stesso corso. Stavano discutendo sull'incapacità di un professore a spiegare bene alcuni argomenti. Quella mattina, c'era fermento per tutto il polo, visto che era nata la prima associazione per la votazione dei capi corso e dei ragazzi erano appostati lungo ogni angolo dell'edificio, a distribuire volantini con tutte le informazioni. Simone non aveva granché voglia di andare a votare. Uno, non lo interessava quella politica che millantava parole e poi non prometteva, ormai da circa tre anni, si era abituato a quelle modalità. E due, non aveva voglia di fare la fila, lunga da almeno un'ora, davanti a un'aula striminzita con almeno un centinaio di posti, per più di cento persone votanti. La gente si ammucchiava in gregge per eleggere qualcuno che non conosceva e solo per suggerimento di colleghi o per favori di amici che frequentavano i corsi.
Simone avrebbe preferito di gran lunga ritirarsi in biblioteca e cercare di essere produttivo, almeno lì.
Dopo aver ascoltato l'ennesima lamentela, gettò via il torsolo della mela che aveva appena finito di mangiare, dentro il bidone dell'umido. Si disinfettò le mani, dopo essere andato al bagno. Con la tracolla universitaria che gli ricadeva su una spalla, decise infine e davvero di impiegare quelle due orette di pausa, per studiare dal suo libro di Genetica medica.
Mancava sempre meno all'esame e tra appunti e capitoli, aveva soltanto fatto metà programma.

Smettila avanti, lo sappiamo tutti che prenderai un voto più che decente.

E poi se fosse riuscito a riprendere sul manuale di testo, avrebbe potuto scrivere a Manuel.

Prevedibile.

La verità è che ripensava ancora al bacio di due sere fa. Ed era stato abbastanza fiero di averlo fatto, perchè lo sentiva. Simone si era trovato l'altro così, in stato vulnerabile, sul divano di casa e aveva pensato che non avrebbe trovato un occasione più giusta di quella.
Simone sospirò, trattenendo la vocina in testa che gli sussurrava come un mantra il nome di Manuel nella testa, lo scontrarsi delle loro labbra e i respiri affannati. La testa proiettava quelle immagini da un po' e ci sarebbe davvero voluta una distrazione efficace, per far smettere Simone di pensarci. Immerso tra quei pensieri, le sue gambe si mossero e in modo quasi istantaneo, gli occhi gli finirono su una macchina parcheggiata fuori, una volta affacciatosi fuori dall'edificio, per aggiungere la biblioteca degli studenti. Fermo sulla rampa, sgranò gli occhi.

Non può essere.

Il modello della macchina era quello. Era nera. Il guidatore non era dentro la vettura però. Simone rimase fermo, nascondendosi in un anfratto di spazio, dietro una delle colonne su cui reggeva il porticato del polo.

Simone è tutta suggestione.

In più quel giovedì, lui aveva una conferenza fuori città. C'era questo nuovo scrittore che promuoveva il suo libro a Roma, e Manuel era così entusiasta di andarci. Si era preso anche due ore libere da scuola.

« Cos'è non se saluta più? »

Non ci credo.

Stava sorridendo da lontano, verso di lui.
Manuel si palesò a pochi metri, Simone se lo vide spuntare da dietro il porta bagagli della vettura e gli stava andando in contro.
Indossava una giacchetta, una camicia a righe sul viola, con sopra un maglione bianco latte, aveva anche cambiato scarpe. Di solito indossava delle scarpe da ginnastica, per come era abituato a vederlo. Invece, ora aveva degli scarponi sportivi, neri.
Sembrava un vero professore uscito dall'aula, vestito in quel modo.

« Manuel, che ci fai tu qui? » chiese sorpreso.

« Passavo da queste parti e ho pensato ora faccio un salto e vado a salutare Simone »

Passavo da queste parti. E io dovrei crederci?

« Non avevi quella promozione del libro te? »

Simone sorrise, suo malgrado. Avrebbe voluto risultare meno palese, ma non riusciva a contenersi.
Manuel scrollò le spalle, le mani infilate nel giubbetto.

« Ce l'ho, » allungò la furbizia « ma non me va di andare da solo. Che dici, vieni con me Simò? »

Ah.

Manuel uscì le chiavi, facendole penzolare davanti a lui. Il tintinnio luccicò davanti agli occhi di Simone.

« Ho alternativa? » sbuffò, fintamente offeso.

Manuel afferrò le chiavi chiudendole nel palmo della mano destra.

« Se hai altro da fare, non fa niente » dondolò in avanti, sbilanciando il peso del corpo.

« Lo sai vero, che avrei un esame da dare tra meno di un mese? »

Manuel mise le mani in avanti, poi fece qualche passo in avanti.
Ora c'era solo una linea di asfalto a separarli, qualche studente camminava con i libri stretti al petto, qualcun'altro era appoggiato al muretto in fondo, a consumare uno snack.

« Da quello che ricordo, il giovedì hai due ore di pausa. Poi devi ritornare per la lezione di chimica organica di altre due ore e poi, » mormorò, Manuel fece un altro passo e annullò la distanza « te ne torni tranquillo a casa per studiare »

Simone incurvò le labbra, guardò da un'altra parte, evitandosi di morirgli davanti. Sapeva ormai quasi tutta la sua routine. In sole poche settimane, si stava aprendo del tutto con Manuel. L'idea che si ricordasse quelle piccole cose, lo faceva davvero sussultare come un'idiota.

« Sì, è corretto »

« E quindi, avresti comunque un po' di tempo libero da ammazzare »

La mano di Simone si mosse in un rapido gesto, si posò sul dorso della mano di Manuel, e si voltava a guardarlo. Quel giorno aveva due fuocherelli al posto degli occhi.

Mannaggia a te.

« Se non ho proprio altra scelta, » soffiò Simone fuori « accetto »

Manuel rise, guardandolo divertito.

« Sembra che me stai a fa' un favore, Simon-»

« No, il favore lo stai facendo tu a me, » Simone lo tirò per il colletto del giubbetto di pelle, Manuel gli fissò le labbra « non sarei riuscito comunque a fare granché » sussurrò infine su quelle.

« Mh, quindi me stai dicendo che ti sto salvando? »

Simone piroettò con lo sguardo, giocò un po'.

« Forse »

Simone gli baciò la punta del naso e poi si diresse verso la macchina parcheggiata davanti al polo. Svettava quasi al centro, se non fosse stato per le ruote che si inclinavano da una parte.
Il ragazzo alto si girò di poco su se stesso, finendo per camminare all'indietro.

« E comunque se volevi fare un entrata ad affetto, ti conveniva l'angolo dietro al polo, l'entrata è lì e ci passano un mucchio di studenti »

Manuel lo seguì, la mano che si ancorava alla tessuto del cardigan di Simone. Le braccia finivano dietro i suoi fianchi, e li pizzicavano. Gli sfiorò l'orecchio con la bocca.

« Peccato che a me degli altri studenti, non interessa »

Sei davvero troppo.

Simone gli rubò un bacio sulla guancia.

« Beh i tuoi gusti me li hai ben descritti due sere fa, no? »

Manuel strofinò il naso sopra la spalla di Simone, la barba lo punse sul viso, aveva il respiro caldo. Chiuse gli occhi inalando quell'odore ormai famigliare: menta.

Non può fare così. Non si fa così Manuel.

« Sì, alti, con i capelli mori, gli occhi grandi, con la fissa per la perfezione, » cominciò a elencare « arrossiscono come peperoni, amano la matematica, hanno la tendenza a prendersi troppo cura degli altri...»

« Sembro tremendo descritto così » ridacchiò Simone.

Poi sfuggì alla presa di Manuel, girando attorno alla macchina, aprì lo sportello accanto al conducente.
Manuel aprì dal lato del guidatore, la cintura di sicurezza gli attraverso il petto magro e si posizionò al volante.

« Quindi, me lo fai un riassunto di questo autore? Almeno così arrivo preparato »

Simone si sporse e una volta messa la sicurezza attorno, osservò il resto delle persone fuori dall'autovettura. Qualcuno li guardava. Guardano Manuel, non me. La vocina nella sua testa parlò: guardano entrambi. Manuel sistemava lo specchietto retrovisore.

« Vuoi fatta 'na sintesi o preferisci la versione estesa? »

Simone gli diede una gomitata sul fianco, Manuel rise gioioso.
Inserì le chiavi nel quadro e avviò il motore.

« Dai, Manuel, te pare che vado a un incontro di uno scrittore e non so niente. Vai di riassunto, se possibile »

Manuel fece retromarcia e immaginandosi il viso scocciato di Simone, disse soltanto una cosa prima di partire.

« Rovini tutto l'effetto sorpresa così »

 

 

 

- -

 

 

 

« Allora, come ti è sembrato? »

Manuel camminava e teneva stretto il libro al petto, ogni tanto accarezzava la copertina e il titolo. Simone, gli stava affianco, le mani erano poggiate sulla tracolla dell'università.

« Mi è piaciuto molto il discorso che ha fatto sulla fiducia, » puntualizzò Simone
« c'era qualcosa di molto moderno, anche nei suoi occhiali da vecchio »

Manuel aggrottò la fronte, e Simone rise vedendolo così serio. « No dai, interessante » guardò la strada davanti a loro, c'era ancora un po' di fila e l'autore ora, usciva per fare autografi anche a chi non aveva partecipato alla conferenza.

« Ha pubblicato altre cose, ma chissà perché sta arrivando solo ora alle persone » Manuel infilò il libro dentro il piccolo borsone di pelle, con attenzione « mi piace molto il suo stile, è viscerale »

Simone annuì.

« Poi mi presterai il libro e ti saprò dire » Simone frugò dentro la tracolla, uscendo un pacco di sigarette, l'accendino giallo limone diventò il protagonista delle attenzioni del più basso.

« Non pensavo fumassi » indicò il pacchetto.

Simone aveva già la sigaretta sul bordo delle labbra, una delle dita che riportavano due anelli d'acciaio, la teneva per metà sulla punta. La prima cosa che fece fu offrirgliene una. Manuel accettò quasi subito.

« Cos'è, uno studente modello non può fumare? » lo prese in giro.

Manuel si limitò a guardarlo curioso, fece un rumore con la bocca.

« Ormai ce dovrei esserci abituato » si passò una mano sui ricci, Simone avvicinava l'accendino al viso dell'altro, la fiamma vicino al tabacco si incendiò un po', accendendo la sigaretta che Manuel si era portato all'angolo della bocca.

« A cosa? »

Manuel avvicinò la punta a quella di Simone, accendendo il tabacco.

« Al tuo stupirmi ogni volta » mormorò.

Oh.

La vampata di fumo uscì piano, oscurando per un attimo la vista di Simone, il quale dovette concedersi qualche secondo, così vicino al viso dell'altro, avvolti in una nuvoletta. Manuel lo guardava ancora, con quei due continui fuocherelli. E in mezzo al fumo, quelli annebbiarono il pensiero di Simone doppiamente.

« Beh, in ogni caso, è bello sapere che esistono ancora delle persone che abbattano certi pregiudizi » cambiò discorso, tornando a guardare la strada davanti a loro.

« Sai la passione per la scrittura, mi è venuta pure grazie a lui »

Manuel aspirò il fumo e lo rigettò nell'aria. Simone ascoltava attento. « In realtà tempo fa avevo un mezzo affare con una casa editrice, per pubblicare qualcuna delle mie cose, » si fissò una mano « ma poi alla fine non se ne è fatto nulla »

« Perché? »

Manuel scrollò le spalle piccole, dentro al giubbetto di pelle.

« Forse non era roba così allettante da essere pubblicata »

Simone storse un po' il naso, il tabacco gli scendeva sul palato e veniva buttato fuori.

« Non c'hai più provato, quindi? » Simone si passò una mano, quella libera, dietro la nuca « Non hai provato più a farle pubblicare? »

Manuel oscillò con la testa.

« No, Simò, poi è arrivata la proposta di insegnare al liceo, e l'ho colta al volo. Era più seria come cosa, e non campata in aria come una serie di poesie e pensieri sconnessi »

Simone annuì, scalciando un piccolo tappo ammaccato di bottiglia, lì, in mezzo all'asfalto.

« Hai sempre voluto fare il professore? »

« Sì e no » rise, tra un altro boccone di fumo, « in realtà non c'avevo proprio voglia de studiare da ragazzo. Mi descriverei così: 'ma testa calda. Ho ripetuto il quarto liceo due volte, e ci mancava me rimandassero pure al quinto »

Simone alzò un sopracciglio.

« Eri il bulletto della classe, immagino »

Manuel lo guardò, il sorrisetto furbo e intelligente che spuntava subito dopo.

« Non proprio, ma attaccavo briga facilmente. Quello sì. »

Poi afferrò il telefono e guardò l'orario, si strinse nelle labbra e terminò l'ultima boccata di fumo, della sua sigaretta. « È ancora presto, ma se vuoi che te riaccompagno in facoltà, quando vuoi, ci possiamo partire »

Simone gli fermò il polso, in un gesto repentino.

« Il professore di organica arriva sempre con una ventina di minuti di ritardo, » mormorò, fissandogli le nocche. « non c'è problema, non ho fretta, possiamo restare ancora un po' »

Manuel sorrise, incontrando gli occhi di Simone che gli fissavano le dita. Poi li rialzò e trovò le sue guance un po' più colorite.
Annuì, senza fare nessun commento.

« Quindi, stavamo parlando della tua propensione alla filosofia » riprese, artigliando di nuovo sul piccolo involucro di tabacco.

« Sì, ecco, » Manuel calpestò il mozzicone con la scarpa « per quella devo ringraziare la mia professoressa del liceo. M'ha detto che potevo scegliere se rimanere incazzato col mondo per il resto dei miei giorni, » sospirò « o se potevo scegliere di impegnarmi, non prendere sempre quel sei di rito e capire che in realtà a me piaceva la materia. Ero una frana un po' in tutte, soprattutto in- »

« Matematica »

Manuel annuì divertito.

« Soprattutto in quella. Tra la sfilza di voti indecenti e risposte ringhiate ai professori, la filosofia me riempiva i pomeriggi. Ho cominciato a capire la chiave del pensiero di molti autori. E mi sono reso conto, che la mia prof aveva ragione, » Manuel si interessò a una piccola aiuola, vicino a una casa in costruzione, all'angolo della strada « il tempo per addrizzare la mira, c'è sempre. Basta solo volerlo e non prendere cattive strade »

« È un bel pensiero »

« E poi così ho smesso anche de fà impazzire mia madre »

Parla sempre di lei, eppure non nomina mai suo padre. Chiediglielo. Ma saranno cazzi suoi? Simone è una conoscenza, ci sta tutto. Non mi va di essere invadente. Non lo sei, perché è una conversazione sana. Evitò però di farlo.

« Chissà quanto sarebbe contento mio padre di sapere che frequento un suo collega luminare » sorrise, prendendo l'ultima boccata dalla sigaretta.

« Mi sembra di capire che non andate molto d'accordo, Simò »

Simone fece un cenno nervoso, buttò la sigaretta di lato.

« Diciamo che è stato difficile recuperare il rapporto, non c'è stato per metà della mia vita. Dopo i i miei dieci anni, i miei si sono separati, » agganciò l'attenzione sul mozzicone ormai a terra « diciamo che non è stato il migliore dei padri ecco. Mia madre ha sofferto e io ho sofferto per entrambe le cose »

« Deve essere brutto quando i tuoi genitori non vanno più d'accordo »

« A mio padre non è mai stato un uomo a cui piace avere solo una donna. » Simone storse il naso, la lingua si inumidì il labbro superiore « Abbiamo recuperato da poco, o almeno lui ha costruito quello che non ha potuto anni prima. Ha messo la testa apposto, adesso »

Manuel annuì. Osservò Simone: aveva le mani giunte, intente a strofinarsi l'una con l'altra. Quel ragazzo doveva averne passate tante, nella vita, a giudicare da come non riusciva a guardarlo in quel momento.

« L'importante è aver ricucito però, no? »

Simone si voltò, annuì convinto. Dante era stato un padre che aveva fatto di tutto per ripristinare il loro rapporto in quegli anni e glielo riconosceva. Solo dai suoi sedici anni in poi, aveva insistito per esserci a tutti i costi, dopo sei anni di distanza. Era un uomo buono, e ci teneva a lui. Anche ficcando il naso dove non doveva a volte, per la sua protezione istintiva, ma teneva a suo figlio. Chiedigli del suo.

Simone spezzò il silenzio.

« E tuo padre, lui che cosa ha detto di questa tua scelta? »

A giudicare dall'espressione che fece Manuel, Simone aveva toccato un tasto rotto. Lo sapevo non dovevo.

« Mio padre non c'è da quando avevo un anno »

I suoi occhi si fecero un po' distanti, come una bruciatura ancora vivida e di cui non si era ancora formata la crosta.

« Mi dispiace »

E fu sincero. Nessuno meritava una cosa del genere, soprattutto Manuel.

« Non mi piace parlarne perché non me piace che le persone provino pietà o compassione. Sono cose che non digerisco bene, preferisco l'indifferenza, è rapida e meno falsa. »

« Non sto provando nessuna delle due, » Simone portò le mani in avanti, inchiodandolo con quei grandi occhi castani e profondi « se proprio vuoi saperlo »

Manuel scambiò la pelle, in quel preciso istante, scontrandosi dentro le pozze aperte e piene di ascolto di Simone.

« Non c'è molto da dire, » Manuel si aggiustò uno dei ricci cadenti davanti alla fronte « mia madre è rimasta incinta da una relazione che pensava fosse solida. Ma gli uomini si sa, so' dei mostri. E come i peggio mostri, te riempiono de incubi. E dopo sono nato io. Dopo un anno e mezzo, come uomo non ha retto a quella responsabilità e se ne è andato. Mia madre piangeva, ha pianto per i primi tempi. Immagino sia stato meglio così, » deglutì « non avendolo conosciuto, non ho avuto modo di soffrirne. M'ha risparmiato quando meno la tragedia di non saper fare il genitore »

Simone gli fu più vicino, fece scivolare la mano lungo la sua. Prima la sfiorò e poi la strinse, in un gesto premuroso. Si sentiva in dovere di fare qualcosa, anche la più piccola perchè Manuel poteva sembrare tranquillo, ma la verità è che la voce gli era già sfumata, spegnendosi appena. Le loro dita erano intrecciate. Era la prima volta che Simone gliele prendeva, dopo il bacio quella sera a casa sua.

« Penso che tua madre abbia fatto un ottimo lavoro, » Simone si orientò sul marciapiede, evitando ancora di farli camminare per strada, senza lasciare mai la mano di Manuel « che tu sia cresciuto da solo o no, sei una persona che sa il fatto suo, Manuel. Se questo non ti ha posto ostacoli, non lo farà più nient'altro »

Ad un tratto Manuel si fermò e di conseguenza, quello fece smettere di camminare anche il ragazzo più alto. Portava un foulard color terra bruciata attorno al dolcevita beige, la tracolla nera gli fasciava la spalla sinistra. Si ritrovò a guardarlo, puro e senza ricamarci tanto intorno.

« Che c'è? »

Manuel gli mise due dita sotto al mento, lo avvicinò piano.

« Te l'ho mai detto quanto sei dolce, Simò? » sussurrò con voce bassa.

« No, nell'elenco questo non c'era ancora » ridacchiò.

« Bene, lo aggiungo adesso, così la lista si allunga »

Manuel lo baciò subito dopo, tirandolo di poco contro il suo viso, mentre il cuore di Simone faceva un piccolo carpiato all'indietro dentro al petto.

 

 

- -

 

 

Correre non gli era mai piaciuto. E stava correndo, nel buio, in una strada landa e desolata. Sudore, sulle mani, sudore sulla sua fronte. Pioggia.
Cadeva incontrollata dal cielo.
La prima cosa che Simone fece, fu portarsi il cappuccio della felpa a coprirsi la testa. Ritirandosi sotto il portico di una casa, era rimasto bloccato durante quella passeggiata pomeridiana. Se solo avesse trovato campo col cellulare, si sarebbe fatto venire a prendere. Si portò una mano al viso, sentendo la pioggia pietrificarsi sulla pelle.
Simone storse il viso. Era come se la pioggia non fosse normalmente liquida. Guardò le sue dita: blu.
Blu ovunque.
Simone si toccò il cappuccio sopra la sua testa : rosso vivace. La pioggia si era fatta pittura, e lui ne era ricoperto, interamente.

Simone si svegliò di colpo, toccandosi il volto di conseguenza. Nulla, la sua mano era pulita.

Cosa avrà voluto dire?

Di solito andava a cercare il significato dei sogni su internet, riscontrando in modo abbastanza curioso e simpatico, le più improbabili interpretazioni. O forse, il troppo studio gli aveva dato alla testa. L'esame era domani e aveva passato i successivi cinque giorni a ripetere come un matto. L'ansia era ormai diventata la sua stretta amica di letto. In tutto quello, Manuel era ancora presente e non lo aveva ancora allontanato.

L'insicurezza no Simone. Respira. Avrà anche le sue cose a cui pensare. E in più, ti capisce. E questa è una buona cosa.

Il display del cellulare sulla colonnetta del comodino, si illuminò, in mezzo alla penombra della stanza.

Manuel

02: 00 a.m

"Buona fortuna Simone,
e ricorda di respirare"

La sua famosa insonnia. Simone sorrise, la luce gli accecava gli occhioni, ma in quel momento non gli dava per niente fastidio.
Avrebbe voluto scrivergli qualcosa, ma effettivamente a quell'ora di notte, l'unica cosa che gli uscì fuori - oltre il continuo fissare quelle lettere del messaggio una dietro l'altra - fu una risposta piccola.

"Grazie
E tu cerca di dormire."

In realtà Simone ringraziava di aver ricevuto quel regalo. Che fosse per puro caso o semplicemente perché aveva deciso di buttarsi senza calcolare tutto, la caduta, le possibili percentuali di sbaglio e gli effetti collaterali, dopo tre anni della sua vita, ringraziava.
Poggiò il cellulare sulla colonnetta, ma la lucetta riprese a lampeggiare di nuovo. Altro messaggio da Manuel:

02:02 a.m

"Ci provo, superuomo

Buonanotte. "

Forse la pioggia di pittura è Manuel e io sono stato colpito in pieno.
Forse esagero.

Simone scosse la testa, zittendo se stesso.

Forse e dico forse, posso essere felice anch'io dopo tanto tempo.

 

- -

 

Tre settimane e due giorni dopo l'incontro all'esperimento. Simone e Manuel continuano a sentirsi e vedersi.

 

« E festeggiamo sto 28, Simò! » gli urlò via telefono Manuel, accompagnato da uno scroscio di mani battenti.

Simone stava pulendo camera, sentendolo dal vivavoce.

« Sono rimasto sorpreso anch'io, diciamo che non mi ero preparato chissà quanto »

Uno schiocco di lingua irritato, un sospiro evidente.

« Simone, non sei credibile, fattelo dì,» mormorò Manuel dal capo del telefono « era ovvio andasse bene. Sei 'no scienziato di studente! »

Simone rise, passando la pezza sopra la sua libreria, spostando qualche libro per qualche secondo.

« Carina questa, comico »

« Dico sul serio, festeggiamolo, » continuò, ignorando il commento precedente « dopo giorni di pena, hai bisogno di svagarti un po'. E poi è anche un modo per vederci. »

Simone annuì, restringendo le labbra. Ha ragione. Sei diventato anche più bianco come conseguenza per non essere uscito di casa da giorni.

« Che ti andrebbe di fare? »

Stare con te.

« Qualsiasi cosa va bene, non ho grandi pretese » minimizzò, portando la pezza alla bacinella sulla scrivania. La immerse e la strizzò.

« Va bene allora ci penso io, » sussurrò basso « domani sera vieni da me e ordiniamo qualcosa da asporto, una cosa senza impegno e rilassante »

Una serata a casa sua. Di domenica. Un'intera serata a casa sua, come quella sera. « Hai qualche richiesta speciale? »

Simone si sentì male soltanto al pensiero che fece poco dopo quella stessa domanda. La testa si illuminò subito su una sola cosa.

Penserà che tu sia un pervertito.

Simone scosse subito la testa, mordendosi le labbra. Ma perché doveva complicarsi sempre tutto?
Il ragazzo alto poi sentì un'altra vocina dentro, tentatrice e furtiva e in antitesi con quella di poco prima.

Simone hai 23 anni, se non lo sfrutti ora questo corpo che ti ritrovi, arrivi a sessant'anni come un discepolo tardivo, con la pelle cadente. Un discepolo che ha scelto la castità e quelle balle lì, invece che il piacere della carne.

Anima, anima!

Simone strizzò gli occhi, era assurdo, non poteva evitarsi tutte quelle possibilità che tra parentesi, lo confondevano solo di più?

« Mi andrebbe una pizza, e un paio di birre. Una serata tranquilla, magari si guarda qualcosa... » sospirò, grattandosi la testa.

« Okay. Aggiungiamoci anche un'altra cosa, te faccio una proposta io, ora, se ti va »

« Spara Manuel »

« Ti avevo detto che avrei voluto tanto mi facessi un altro ritratto, » Manuel articolò in modo così lento, che Simone ebbe paura di avere una sincope da un momento all'altro « te scoccerebbe se te facessi trovare il materiale, per domani? »

Oh.

« Va bene per me, ma non ti prometto che verrà come il primo che ti ho fatto »

Un sospiro profondo dal telefono.

« Me lo prendo lo stesso, anche se dubito farà schifo, l'importante è che sia tu a farlo »

Quel cazzo di tono sembra zucchero filato.
Ma si può, ma posso io essere così sottone.
Manuel, dammi tregua.

« Sono stato appena battezzato come il nuovo Picasso. Forse dovrei cambiare il mio nome in Picasso Balestra, uh? Suona tanto male? »

Manuel scoppiò a ridere. Simone seguì, la pezza rimase a naufragare, abbandonata dentro la bacinella rossa sulla scrivania.

« Se io so' il comico, tu sei l'artista incompreso facciamo così, Simone »

E io sono anche quello sotto tremila treni.

« Verso che ora devo venire? »

« Facciamo che ti fai trovare alle sette, così scegliamo le pizze, sperando che non te piaccia né la diavola o la margherita, quelle sono pizze inutili »

Simone schioccò la lingua, preferendo fare una finta grazie a una cosa chiamata "silenzio di tomba".

« Simone ce sei ancora, sì?» la preoccupazione nella voce.

« Quindi se mi piacesse una delle due, sono tipo bandito dal tuo appartamento, no? Mi stai dicendo questo. »

« No, bandito no... ma sarebbe un po' 'na delusione. Gusti inclusi. » la voce di Manuel suonò come un grugnito.

Simone si evitò di scoppiare a ridere. « Ovviamente te farei entrare lo stesso eh, solo insomma sarebbe un po' come fare crollare un po' di punti accumulati »

« Ma alla fine che premio si vince? » lo stuzzicò Simone.

« Chi ha detto che se vince qualcosa? »

« Che ne so, stai a segnare questi famosi punti da settimane Manuel, non mi hai detto se c'è un premio in palio, un regalo! »

Amava prenderlo in giro, come faceva l'altro con lui. Era un gioco che avevano imparato da subito a fare, come degli eterni bambini.

« Non ho tenuto bene il conto, ma dovrebbero essere più de cento, Simò »

Cento colpi di dolcezza.

Simone sorrise.

Cento luci, cento colpi, cento volte quella voce.

« Non mi piace nessuna delle due, » rispose divertito, finendo così di tenerlo sulle spine « puoi tirare un sospiro di sollievo »

« Me stava a prende un coccolone, serio »

Simone rise di cuore, mentre l'altro gli ripeteva che stava davvero per morire e non "ironicamente".

« E dai, che esagerazione »

« Simone, la pizza è sacra. Non si scherza sulla pizza! »

« Meno male che posso ancora scherzare su di te, allora »

Gli sembrò così naturale, da non pentirsene subito dopo averlo detto. Ci fu del silenzio ugualmente dall'altro capo, stavolta da parte di Manuel.

« Manuel?»

« Con me, puoi farlo sempre e quando vuoi, Simò »

 

- -


 

Dopo una pizza con patatine e una con la salsiccia e due birre, Manuel se ne stava lì in piedi, con le mani sui fianchi, dentro l'appartamento. Simone finiva la sua birra, le mani attorno al collo del vetro, mentre l'altro gli aveva già piazzato tutto il materiale vicino.

« Non avevo mai visto qualcuno più in agitazione di me » ridacchiò, Simone, avvertendo il sapore della birra fresca scendergli lungo la gola.

Manuel stava camminando un po' intorno, studiò bene dove si trovava, era a pochi metri dal televisore, i piedi scalzi sopra il tappeto. Simone, era seduto sul suo divano, con le gambe al petto.

« Non c'è molto spazio di movimento, qua, » Manuel indicò con le mani il tavolino, la lampada a lato, una serie di scartoffie dentro due scatoloni, piazzati in mezzo al soggiorno, che gli erano arrivati da parte di sua madre, due giorni prima. Simone si alzò, posando la birra vuota davanti a sé.

« Se spostiamo un po' il divano di lato, e mi metto su una sedia, » pensò con due dita sul mento « possiamo recuperarne un po' »

Manuel annuì, raggiungendolo. Lo aiutò a spostare il divano, di lato, così come aveva suggerito. Adesso restavano più o meno due spanne in cui Manuel poteva muoversi liberamente, avanti e indietro.
Simone poi prese una sedia dal tavolo della cucina e si mise centrale. Le mani artigliarono sulla tela, che poggiò sopra un supporto di ferro. Manuel gli aveva spiegato che lo aveva in garage, uno dei ricordi delle sue riparazioni di moto e bici. Il supporto aveva una piccola in alto, che anche se arrugginita, poteva bloccare qualsiasi cosa mettessi sopra. Simone fece proprio così per la tela, fermando la porzione superiore.

« Bene, io sarei pronto » mormorò.

Manuel annuì, portava addosso una vestaglia grigia, lunga. Ovviamente quando la tolse, Simone dovette contenere tutto se stesso per non dire qualcosa di inopportuno o imbarazzante. Nonostante fosse meno d'impatto rispetto la prima volta che lo aveva visto nudo, Manuel era pur sempre un ragazzo e Simone quello a cui piaceva. « Aspetta però manca qualcosa »

« Ancora? Che ho dimenticato? Ce dovrebbe stare tutto la dentro » Manuel indicò confuso l'involucro con i colori, due pennelli, gli aveva fornito anche un vasetto di vetro che non usava più per mettere l'acqua.

Simone si alzò in piedi e si tolse il cardigan che portava addosso.

« Prova a metterlo » glielo porse e poi tornò alla postazione, volendosi concentrare solo sugli occhi di Manuel, non sul resto.

Manuel fece come gli aveva suggerito. All'inizio, gli sembrò davvero una soluzione priva di senso, poi però, Simone visualizzò meglio. Il cardigan gli ricadeva un po' sulle maniche, e gli arrivava all'altezza delle cosce per la lunghezza « Puoi abbassarlo un po' sulle spalle, se mh, se ti va bene come idea »

« L'artista a sei tu Simò, non discuto »

Il ragazzo più basso abbassò di poco le spalline del cardigan che ora gli scopriva metà schiena, le maniche gli rimboccavano le mani, più gonfie. Sembrava avvolto in un la trama di linee e curve. L'effetto era notevole. « Va bene come sto messo? »

Simone annuì, cominciando a prendere il nero, poi decise per un terra di siena e poi pensò che un tocco di arancio, non dovesse mancare

« Sembra de averti addosso, » Simone rialzò lo sguardo sulla voce del modello improvvisato « questo cardigan profuma come te. Sa di vaniglia » Manuel si portò l'indumento un attimo sotto al naso, chiudendo gli occhi. Respirò proprio la trama del tessuto e gli occhi riapparvero. Puntati direttamente su Simone.

Calmo. Devi stare calmo.

Dopo un leggero tremolio della mano e un morso al palato interno, si diede la forza di rispondere.

« È la crema per il corpo che uso » gli uscì un tono troppo basso, si schiarì la voce, attaccando la punta del pennello sulla tela.

« Forse il cardigan me lo tengo anche dopo, allora »

Sfacciato.

Sento già caldo.

« Non credo che ti convenga Manuel, altrimenti questo » indicò il ritratto ancora assente « me lo prendo io »

Manuel rise un poco, sospirò.

« Hai ragione, non sarebbe giusto »

Simone si concentrò sulla figura di Manuel, frontale. Aveva una mano sul petto, giocava a nascondersi le mani dentro le maniche e ogni tanto la parte finale sembrava una coda ai lati delle cosce. Il colore si sposava con il suo incarnato e faceva risaltare i ricci più chiari e scuri. La barba presentava dei buchi qua e là, segno che aveva fatto di fretta nel radersi.

« Te capita mai di pensare a come sarebbe la nostra vita senza le cose che amiamo? »

« Ogni tanto, sì »

« Credo impazzirei senza cose come i libri, l'arte, la poesia »

La parola che venne che venne dopo, lo dissero insieme all'unisono.

« La musica »

Simone e Manuel si guardarono, ridendo appena.

« Un bel pezzo rock quando sei incazzato e uno triste quando vuoi essere capito. Sono entrambe delle piccole riserve di salvezza »

Manuel annuì, la mano ora era sul ventre. C'era qualche pelo più scuro ed evidente, all'altezza dell'ombelico.Simone ritornò prepotente al suo colore, pensando che fosse meglio non confondere la sua attività con altre idee irrealizzabili.

« C'è una cosa di cui non abbiamo parlato, quel giorno all'esperimento »

« E cioè? »

« Che rapporto hai con il tuo corpo, Simone? »

Questa è una domanda da quanti punti?

« Penso buono tutto sommato »

Manuel inclinò la testa, la mano si fermò sullo stomaco.

« Pensi o ne sei sicuro?»

Simone sospirò. Aveva avuto problemi col suo corpo durante la fase della pubertà, era ovvio, però a pensarci adesso, non aveva mai davvero riflettuto su quella cosa.

« Quando stavo con quel ragazzo di cui ti ho parlato, ho avuto un periodo di confidenza con me stesso, » il pennello si mosse in mezzo alle dita e cominciava a prendere forma il ritratto di Manuel « abbastanza positivo. Se ti riferisci alla percezione, anche ora, credo di vedermi bene, il più delle volte vedo una persona che potrebbe piacere, allo specchio »

Manuel disegnò una smorfia col viso, la lingua gli uscì in mezzo ai denti e poi portò una mano dietro la nuca.

Mi stai dando solo risposte ipotetiche. Possibile che tu non riesca a vederti come ti vedo io?

« E riguardo al sesso? »

Non me lo sta davvero chiedendo.

« Vuoi sapere com'era con lui o...? Non capisco la domanda Manuel »

« Ti trovi attraente da quel punto di vista, Simone? Quando sei con qualcuno, ti senti in quel modo? »

Simone annuì brevemente, era più che sicuro di starsi colorando completamente in volto. Il pennello restò fermo a mezz'aria.

« Beh non credo che lui sia stato con me solo per l'intelligenza, quello è chiaro, » argomentò « anche se, e questo fa abbastanza ridere, » l'ironia avrebbe salvato Simone da ogni imbarazzo « non sembrava che fossi secondo il suo parere, molto bravo a letto »

Manuel sgranò gli occhi, Simone scelse di non guardarlo apposta. Gli stava disegnando la linea del mento, scendeva giù a rendergli quel cardigan che era come un mantello d'inverno.

« Come se chiamava sto genio qua? »

« Matteo » pronunciò quel nome con consapevole amarezza e un sospiro strascicato.

Manuel si portò le mani sui fianchi, la gamba destra era portata in avanti e la sinistra indietro, stava guardando il tappeto.

« E tu non gli hai mai detto quanto facesse schifo? »

Simone si scrollò nelle spalle.

« Nell'ultimo anno sono volate molte parole, alcune di queste molto pesanti e non. Adesso è felicemente sposato, auguro a chi sta insieme a lui, che venga trattato diversamente »

« Sei fin troppo buono »

« È solo un capitolo chiuso, e come tale, voglio semplicemente dimenticarmene »

Manuel annuì, ignorando il senso di colpa che lo accolse subito dopo quell'intrusione. Però c'era qualcosa, qualcosa che lo portava a spingersi oltre.

« Attivo o passivo? »

Eccoci.

Questa volta Simone lo guardò, un po' gli costava non averlo fatto prima, però ora non poteva sfuggire.

« Attivo »

Manuel si passò la mano sui capelli, il suo capo andò all'indietro e un sorriso sornione gli si affacciò in viso. Simone pensò fosse ingiusto essere così sciolti e allo stesso tempo, così belli.

« Lo sospettavo » schioccò la lingua Manuel.

« Beh mi viene meglio, mi sento più in controllo delle cose e poi lui era un po' più basso di me. Era naturale che fosse così. Tu? »

Manuel lo guardò insidioso.

Simone fai due più due.

« Dipende » fu vago.

« Fammi indovinare, dipende dai casi » abbozzò un sorriso, ricordando vagamente la breve discussione avvenuta in quello stesso appartamento con Manuel febbricitante.

« Dipende se mi posso fidare di chi c'ho accanto »

Gli occhi di Manuel erano completamente ridotti a due colate di oro fuso, gli scendevano lungo tutto il viso e lo stavano perforando. Più che lame però, gli sembrarono però, delle dita agguantate salde attorno al suo petto. Deteneva le sue sorti.
Il sangue pompava veloce e sinceramente non era dovuto solo al discorso sul sesso. Simone non capiva quasi più niente - o forse non voleva capire.
Simone - poi ritornò alla tela - aggiunse un tocco di bianco, portò il pennello intingendolo nell'acqua dentro tondino di vetro e lo riposò sul supporto.

« E tu quali esperienze hai fatto? Immagino che avrai avuto molte storie » la voce gli era diventata roca.

Respira.

« Qualcosina qua e la » la mano di Manuel scacciò l'aria « poche storie serie e una durata tre anni »

« Immagino ci fosse la fila, data la fama da cattivo ragazzo »

Cos'è quello sguardo, adesso?

« Non che me ne importasse tanto, » Manuel si leccò le labbra « l'adolescenza è stato il tempo di varie scoperte, l'età dell'oro. Ho capito che me limitavo troppo, » stiracchiò la schiena, allungando le mani sopra la testa « e poi al piacere non c'è un limite »

Deglutì, il pennello ricadde dentro il tondino di vetro. Simone aveva finito, guance rosse a parte - aveva finito la sua seconda opera.

« Puoi anche venire qui, che ho finito » tossicchiò Simone, le mani sui lati delle cosce, i gomiti piegati, la maglia un po' corta che si alzava su quelli.

Manuel non se lo fece ripetere un'altra volta e si spostò al centro da soggiorno.
Senza nemmeno chiederglielo, si sedette sulla coscia destra di Simone, un po' in bilico, e si mise a fissare la tela.
Simone avvertiva l'odore di menta così forte, quasi da avercela sotto la lingua e la stesse masticando come un chewing gum.
Manuel accarezzò la sua figura dipinta, percorrendo il cardigan tinti a una macchia di marrone e bianco, poi vide il suo corpo tinto di nero con delle luci in bianco, nei punti strategici. Simone non aveva dipinto lo sfondo, ma aveva deciso di rendere un po' delle chiazze sotto i piedi di Manuel, per ricreare il tappeto.

« Perché non hai fatto i tatuaggi stavolta? » il dito, l'indice, si impuntò sul petto dipinto in assenza di inchiostro.

« La prima volta non ti conoscevo. Pensavo di dover raffigurare solo quello che vedevo, » articolò « ora ho voluto rappresentare solo la pelle, il viso, togliendo un po' il superfluo. »

Manuel si voltò a guardarlo, la bocca dischiusa, gli occhi vigili. « Scusa, sono incompresibile. Non volevo raffiguarti come ti si vede solo in apparenza. Volevo sottolineare un altro aspetto »

« L'anima? » arricciò il naso.

« Sì, in qualche modo sì »

Manuel annuì, un piccolo sorriso sbilenco, intenerito. Ritornando alla tela, ipezionò i piccoli tratti di colori, dati decisi col pennello.

« Ti va di insegnarmi qualcosa? » mormorò.

Simone fu confuso.

« Insegnarti cosa, Manuel? »

« A fare qualche linea, le ombre, 'ste cose qua, sei bravo magari mi puoi dare qualche dritta.» Manuel indicò i punti appena esposti. Poi spostò il ritratto da parte, facendo attenzione a non farlo cascare a terra, poggiandolo al divano. « Ci dovrebbero essere anche dei fogli, lì dentro, stavano in omaggio e ho preso pure quelli » indicò il sacchetto con tutto il materiale, affianco a Simone. Il ragazzo tirò fuori un foglio 50×70 e lo piazzò sul supporto di ferro.

« Non ho mai studiato disegno, quindi non lamentarti se non capirai nulla. Vado un po' ad occhio. » rise nervoso.

Simone preparò il secondo pennello, pulito. Poi chiese a Manuel di andare a svuotare l'acqua ormai sporca per sostituirla. Manuel fece tutto quello che gli venne chiesto e ritornò di nuovo su entrambe le cosce di Simone. Il petto aderiva contro il suo.

« Che colore vuoi? » frugò dentro la scatolina degli acrilici.

« Passami il verde »

« Che cosa vuoi disegnare? »

Manuel ci pensò su, poi visualizzò la piccola piantina sulla mensola sopra il televisore, c'era una piccola piantina, un bonsai regalatogli da Anita, sua madre. Lo indicò con il dito.

« Quello »

Simone allora cominciò a spiegargli di concentrarsi sulla forma, per prima cosa. Poi di intervenire col colore. Intanto, gli passava il tubetto del nero, per le zone più scure e il marrone. Manuel muoveva il pennello piano, dopo qualche linea però, arrivò una stortura.

« Ecco, lo sapevo » borbottò sospirando.

« Non è tutto perduto, fai così, aspetta » Simone intervenne coprendo la mano di Manuel, avvolgendone il dorso e muovendosi insieme a lui, sulla tela.

Il petto gli aderì completamente alla schiena, andando a incastrarsi subito. Manuel sentiva i battiti da sotto la maglia di Simone, il respiro meno tranquillo, il profumo di vaniglia gli arrivò come una sferzata calda all'orecchio, oltrepassandolo per sfiorare poi la sua guancia. Simone intervenì aggiungendo qualche altro rampicante alla pianta, partì dal basso, spostando la mano di Manuel senza forzarla però perché si lasciò guidare sotto il tocco esperto dell'altro.

« Vedi se poi qua fai un'ombra più scura, » Simone indicò con gli occhi grandi il bonsai sulla mensola « sembrerà un po' più realistico »

Manuel annuì, anche se la sola cosa che pensava era che Simone gli stesse respirando addosso, aveva le labbra che sembravano due piccole montagne dolci e da quella poca distanza aveva notato anche alcune rughe d'espressione.

« Posso usare le mani, Simò? »

Simone annuì, e allora scostò la mano. Il pennello ricadde nell'acqua e allora Manuel intinse due dita dentro il tubetto del verde, poi aggiunse un po' di marrone, mischiandoli insieme. Portò le dita anche un po' intorno all'oggetto naturale, dopo aver anche schizzato in modo veloce, il vaso che lo conteneva.

« Lo sfondo come lo faccio? » si ritrasse un poco, aveva già le mani sporche di pittura.

« Mmmh, » Simone osservò il contrasto, ci voleva qualcosa che spiccasse. Afferrò l'arancione e glielo spremette un poco al lato del foglio « prova a usare questo, dovrebbe andar bene »

Manuel si bagnò le due dita e si sporcò del colore, della sua densità, sentendolo sotto i polpastrelli. Simone era di nuovo vicino, in silenzio.
Manuel si ritrasse un poco, il cardigan si era già macchiato sulle maniche. Se ne accorse troppo tardi.

« Se me lo lasci, più tardi te lo lavo io » si osservò la manica un po' a disagio, Simone aveva seguito i suoi occhi.

C'hai due gemme, proprio lì.

Simone annuì piano, anche se in realtà era l'ultimo dei suoi problemi. Manuel era ancora con le mani a mezz'aria.

« Come ti sembra maestro? » gli occhi erano sincronizzati non sul suo piccolo tentativo d'allievo.

« Mi sembra ben fatto » mormorò osservando il soggetto sul foglio. Manuel rise divertito. Simone era visibilmente concentrato su quella serie di linee improvvisate.

« Lo dici solo per paura de offendermi, Simò »

« No, davvero, » Simone toccò una parte della tela, il colore però era ancora fresco, si sporcò tre dita « hai capito come sfruttare la luce, qui »

Manuel captò altro: osservava la mano di Simone, adesso, ferma contro il lato destro del foglio. L'aroma dolce gli arrivava sempre più forte. Gli occhi già scuri, gli caddero sulla bocca del ragazzo attaccato a lui.
Ancora non lo guardava, ma notava come il respiro non fosse regolare, così come il battito, dal suono simile a un tamburo contro la schiena.

Questa vaniglia mi sta uccidendo.

Simone, non riesco a resisterti.

Di colpo, si girò verso l'oggetto del suo desiderio.
Simone si ritrovò circondato da Manuel: le sue gambe si avvolsero attorno alla sedia, il peso del suo corpo si caricò tutto sul suo grembo, il petto era rivolto completamente nella sua direzione. Il dito di Manuel sporco di acrilico venne premuto sulla punta del suo naso, poi toccò le guance, tracciando due linee, evitò labbra, segnò l'inizio del collo di Simone. Arrivò alla gola, bloccandosi per l'inizio del tessuto della maglia. Le mani di entrambi si incontrarono, non senza prima prendere altro colore spremendolo direttamente dal tubetto. Si era appena trasformata in una sfida all'ultimo tocco di colore.
Il cardigan ricadde a terra, senza cura, scivolando dalle spalle di Manuel. La maglia di Simone fu sfilata via senza tante carezze, macchiandosi di conseguenza. Manuel tinse col blu, il rosso, il verde, il petto finalmente libero del ragazzo, con quella pelle chiara, candida.
Le dita si mossero con più naturalezza, rispetto alla micro lezione seguita prima, come se conoscessero quella strada fatta di carne. Vera carne che pulsava, di vene e sangue. I loro visi erano già troppo vicini.
Manuel si attaccò alla bocca di Simone, le mani colorate gli circondavano il viso, segnandolo ora di nero, ora di verde. Respirando poco, sul suono della grancassa che aveva al petto, Simone non resistette a non fare lo stesso. Il corpo di Manuel era una tela di carne troppo invitante per limitarsi a usare il colore solo sul foglio. Intinse a sua volta la pelle nel colore, di rosso, di viola. Colorò la sua pelle col colore, dietro la schiena nuda di Manuel, mentre la toccava, la percorreva con la mano destra.
La sinistra era stretta dietro il suo collo.
Simone sentiva già un rigonfiamento all'altezza del cavallo dei jeans, farsi sempre più presente, una sensazione al basso ventre che lo accoglieva famigliare e calda.
L'altro gli scendeva la lingua lungo il palato, Manuel sembrava starci navigando dentro e Simone gli portava la mano libera su uno dei fianchi.
Simone soffocò un rantolo, gli depositò un bacio proprio lì, in una porzione di pelle ancora intonsa - forse l'unica - di colore. Era minuscola, vicino a una piccola costellazione di nei. Riuscì a sentire il suo battito cardiaco, il naso si poggiò piano sulla pelle, realizzando che anche Manuel non era proprio tranquillo.

Moriamo in due, quindi.

Poi appena alzò il volto, venne trascinato di nuovo e come un fiume in piena, Manuel. Le lingue si scontrarono ancora, in profondità, con meno cura e delicatezza.
Continuando a percorrergli il corpo, con Manuel che immergeva e ficcava le mani dentro i suoi capelli, Simone notò l'evidente erezione del ragazzo sopra di lui.
Annaspò in cerca d'aria, perché i loro corpi erano già inevitabilmente premuti e a separarli c'era solo il tessuto dei suoi jeans a frizionare la loro voglia.
Le gambe di Manuel erano sempre più avviluppate, il viso si infilava nell'incavo del suo collo e Simone sentiva di doversi liberare dei vestiti che ancora lo costringevano. La sue mani scesero e agguantarono il sedere di Manuel, che si chiazzò un bel colore rosso, la macchina risultò come una striscia spessa.
Manuel mormorò lamentandosi contro la sua bocca, quando Simone si staccò. Il ragazzo aveva le labbra gonfie, gli occhi larghi e imponenti, un espressione indescrivibile dipinta sul viso.
Con un solo movimento fluido, Simone si avvinghiò i glutei di Manuel attorno alla vita e alzandosi dalla sedia, procedette un po' tentoni, nello spazio. Camminò poco, avvertendo ancora di più i loro corpi caldi. In tutto quello, non mancò di vedere nell'altro un sorriso incandescente e furbo.

« Te avviso, non sono proprio un peso piuma »

Le braccia di Manuel erano strette al suo collo.

« Ho giocato a rugby in passato, » mormorò Simone, sembravano un gigante e la sua preda anche se Manuel risultava di poco più alto, visto che lo sorreggeva, le mani erano sulle sua gambe adesso « sono abituato a resistere a qualsiasi peso del corpo. In confronto, tu sei leggero »

Il sorriso che fece subito dopo, portò il più alto ad arrossire, nonostante avesse lui in mano la piena azione.

« Sei una continua sorpresa, Simone » gli soffiò sulle labbra. Poi le unì, e si lasciò portare in accavallando le gambe, attorno a Simone. Le gambe gli tremavano un poco, e le fece più strette attorno alla sua vita, incrociandosi tra loro. A Manuel era capitato poche volte nella vita quel tremoli, il subbuglio improvviso: e proprio quando aveva provato davvero qualcosa per qualcuno. E cioè davvero poche volte nella vita.

Simone proseguiva a tentoni, il petto ridotto a una massa di pittura che si asciugava, qualche ciuffo era ormai fissato e incollato dall'acrilico, le dita tastarono più di una porta lungo il tragitto.
Manuel rise sopra di lui e gli sussurrò all'orecchio.

« A sinistra »

Simone annuì, incespicando nel suo stesso passo quasi, con Manuel che gli tirava i ricci.
Dopo averla trovata, aprì la porta della camera - socchiusa - col palmo della mano aperto. Il suo sguardo venne investito da delle pareti rosse, ma non si interessò minimamente del resto. Manuel lo richiamò dell'attenzione, riempiendogli la bocca con la sua.
Simone si mosse ancora a tentoni, fino a quando non trovò il materasso del letto, lì, all'angolo di una finestra con delle lunghe tende.
Si distese sul materasso, con Manuel ancora attaccato al suo bacino, il cuore gli era drasticamente finito in gola, e non scendeva più.
Manuel artigliò con la patta dei jeans, cominciò ad abbassarli e la presa delle ginocchia si fece meno salda, per farli passare oltre quelle di Simone. Tolti quelli, la cosa più interessante furono il suo paio di boxer neri, circondati da un evidente erezione.
Manuel si mordicchiò il labbro inferiore, Simone era ricoperto di pittura dal viso fino alla pancia, terminando con dei leggeri schizzi astratti su quella.
Simone si riprese le labbra dell'altro, avvertendo la presa di Manuel sulla sua biancheria intima, il tocco delle mani, per poi lo scendere dell'indumento sui glutei e scivolare via, non senza aiutarsi con parte delle gambe e dei piedi.
Nudi, corpo contro corpo, si guardavano un attimo adesso.

« Questo cassetto, » sussurrò roco Manuel allungando una mano al capezzale del comodino « in fondo »

Simone non ebbe il tempo di dire nulla.
Ne di annuire, Manuel lo guardava da un altro pianeta.

Sta davvero succedendo?

Dal cassetto uscì fuori un pacchetto di preservativi e una boccetta di lubrificante. Gli tremavano le mani adesso, mentre ne prendeva uno dei tanti. Il pacchetto venne buttato di lato, e Simone con la bocca, apriva la confezione, strappando l'involucro. Si sentiva gli occhi del più piccolo puntati addosso, così, sopra a gambe divaricate, sopra di lui.
Una goccia di lubrificante, finì dentro l'estremità della protezione, Simone la strinse tra l'indice e il pollice e poi pizzicò, per fare uscire l'aria. Quel gesto gli era sempre venuto naturale, adesso, le dita invece gli tremavano.
Una mano di Manuel si allungò, ad accarezzargli il viso, Simone agganciò lo sguardo su di lui.

Potrei morire adesso, con te che mi guardi.

Fiducioso, come se gli avesse trasmesso la sicurezza solo con gli occhi, Simone infilò la protezione. Un respiro spezzato gli uscì fuori.
Una delle dita poi, recuperò un altro po' di lubrificante e lo applicò sulla lunghezza di Manuel.
Quello teneva le gambe ai lati, pronto ad accoglierlo.

Dipende se mi posso fidare di chi c'ho accanto.

Gli ronzarono le parole dette poco prima, in testa.
Simone si posizionò tra le cosce di Manuel, alzandosi di poco sul suo corpo, per capire come si trovasse meglio. Il corpo colorato del più piccolo, era già schiacciato contro il suo, le gambe erano già lungo il sedere di Simone.

« Manuel » fu di una dolcezza terribile.

« Mi fido »

Ah.

Gli aveva frugato tra i pensieri per caso?

« Stai bene? »

« »

Manuel lo sentì troppo silenzioso. Cercò ancora più contatto - come se fosse possibile, avvinghiato com'era già al suo corpo - ma Simone lo anticipò, baciandogli il palmo interno della mano. E mentre lo faceva sostenne il suo sguardo. Baciò le nocche, poi, una ad una. Manuel si ammutolì di colpo. Simone lo guardava dall'alto, studiandone la bocca dischiusa, gli occhi pieni, il petto che si alzava e si abbassava. La stessa mano, venne poi portata giù, andò ad artigliarsi su quel petto, ormai di mille colori. Simone si avvicinò a una spanna del suo viso di Manuel, quanto bastava, per poter leggerne le pupille e le lunghe ciglia.
Simone entrò dentro Manuel - controllando però poco dopo il suo viso, per accertarsi che andasse tutto bene - in un'unica spinta decisa.
Fu questa volta Simone a chiedergli se stava bene. Almeno un paio di volte. Manuel mugolò qualcosa, gli sembrò davvero bello anche mentre farfugliava incompresibile. Le gambe erano allacciate al bacino, una mano gli tirava i ricci e l'altra gli esplorava la chiena.

« Manuel » sussurrò melodico. Simone gli portò la bocca sul mento, passando per la linea della mascella, incontrando le due curve sottili della bocca, succhiandone piano il labbro inferiore.

Il viso però non era nascosto: Manuel teneva gli occhi aperti, osservando come del colore cominciasse a riprendere vita sul viso già sudato di Simone. Il rosso sulle guance però era naturale, oltre le macchie di pittura. Si spingeva dentro di lui, aumentando il ritmo. Simone lo baciava, Manuel soffocava i gemiti dentro la sua bocca.

« S-Simone » gemette Manuel, risuonando come un'onda del mare che si increspava.

La mano si spinse dalla schiena sulla natica sinistra di Simone, seguendone la forma, le dita di Manuel pizzicarono la pelle. Simone sussultò di conseguenza. Due dita passarono lungo la sua apertura, Simone scattò, ma non piegandosi, al contrario morse il labbro inferiore di Manuel tirandolo con i denti. Manuel lo attrasse in un altro bacio, soffocando il gemito che gli uscì poco dopo quando Simone si spinse di nuovo.

« Cazzo » quell'espressione lo avrebbe fatto ridere in un altro contesto, ma Simone era attirato dalla voce bassa e roca di Manuel, sotto di lui. Aveva già i ricci sulla fronte madidi e una delle gambe si strusciava sul suo sedere, come a dargli l'incoraggiamento per continuare. Il sudore si stava già duplicando, rianimando l'acrilico spento e ormai assorbito dal corpo.
La presa si fece ancora più salda, l'alito caldo di Simone gli solleticava l'orecchio, aumentava le spinte dentro di lui. Manuel gemette più forte di prima.

« Mmh » Manuel inarcò la schiena, buttando la testa indietro, i ricci ricaddero sul materasso.

Sentiva Simone addosso, dentro, pieno e caldo, la vaniglia gli colpiva le narici, l'odore quasi simile a vernice sulla pelle si sommava al testo: stava vivendo più sensazioni tutte in una volta. Stringeva i ricci del ragazzo sopra di lui, ci frugava dentro, osservava lo sforzo di Simone, prendergli il viso.
Le sue guance rosee come se gli avessero dato due pizzicotti e dunque non per la pittura.

Sta arrossendo. Puoi essere più dolce di così?

« Simone ma quanto puoi essere b-bello » confessò senza ritegno. Aveva un'aura così libera, due occhi aperti, le labbra dischiuse. Come potesse essere arrivato da un'altra dimensione parallela: un quadro di una Venere nuda, solo che non ricordava potessero esistere esempi con degli uomini. I peli sul suo ventre gli solleticavano la pelle, la costellazione di nei sembrava una serie di tante piccole perle, in contrasto con l'inchiostro dei tatuaggi, la sua erezione gli premeva addosso e sull'inguine.

Dovresti guardarti tu, invece.

Simone si spinse ancora, colpendo forse troppo forte, a un certo punto, al che sentì Manuel accartocciarsi contro di lui, aprire la bocca contro la sua e mormorare qualcosa che risultò strozzato. Avevano le fronti attaccate, da quella di Manuel cadeva già acqua sotto forma di goccioline, scendendogli sul naso.

« T-ti ho fatto mal-»

Simone non smettere mai.

« Non potresti mai farmi male »

Manuel scosse la testa, stringendo la presa sulla sua schiena, chiedendogli a bocca aperta di baciarlo senza dirglielo.
La sua bocca si scontrò contro la sua, e l'impatto fu più disordinato, più intenso. Simone si fiondò sopra la bocca di Manuel ancora, la lingua, la saliva erano diventate una costante, l'affanno dei respiri e il loro petto schiacciato - ormai indistiguibile - era una colata di colore, depositatosi ovunque. All'ennesimo mugolio strozzato di Manuel, Simone si ritrasse di poco per osservarlo, ripeteva la stessa cosa sconnessa di poco prima, che ancora lui non aveva capito.

« Manuel, c-che hai detto-»

« Ho detto che M-Matteo, » vibrò bassissimo, la mano gli stringeva sempre il sedere, e l'altra sulla schiena, ora gli scendeva sulla nuca e gli tirava i capelli alla base « non ce capiva un cazzo »

Simone allora rise di conseguenza. Una risata di cuore, di quelle che vengono fuori quando si è leggeri. Si spinse ancora, e quella risata venne risucchiata dalla bocca di Manuel, la lingua giocava scontrandosi tra i denti e la saliva, soffocando qualche altro suono di piacere. Simone lo prese ancora con sè, mentre l'altro pronunciava il suo nome, anche se gutturale, con la barba che gli pungeva la gola e gli depositava un bacio dopo qualche gemito, col calore in viso e il colore sciolto sopra. Pieno, si sentiva completamente pieno dell'immagine di Manuel sotto di lui. L'ultima volta che aveva fatto l'amore, non lo ricordava neanche più. Non pensava fosse possibile farlo così: sentendo il cuore che pompava forse troppo sangue, il respiro spezzato, gli occhi pieni di qualcuno che già sentiva essere diventaot piena parte di lui. Le ultime spinte furono così intense, che le loro mani si cercarono all'istante, Manuel rinunciò alla presa sul sedere di Simone e intrecciò le dita alle sue, fino a farle sbiancare.
Gli occhi di agganciarono di colpo, nel silenzio che allegiò per qualche secondo nell'aria. Simone si fermò dentro il corpo di Manuel per un solo istante. Gli baciò la bocca lentamente, catturando le labbra.
Il materasso sembrava un nuovo quadro di Pollock, completamente macchiato sotto di loro. Quando raggiunsero l'apice, l'orgasmo fu raggiunto come un rombo di un tuono. Simone e Manuel vennero all'unisono, con un'eco sordo e acuto che scosse tutto quanto. Il respiro gli appannò per qualche secondo la vista. Simone gli piombò di sopra sfinito, sfilò il preservativo buttandolo di lato, che per metà risultò riempito del suo sperma, mentre l'altra metà gli decorava la pancia. Poi osservò Manuel: aveva dei nidi - non più dei ricci - di capelli sopra la testa, le labbra erano gonfie, gli occhi erano socchiusi e il petto bagnato rilasciava fuori l'aria.

Penso di essermi innamorato di te.

Non lo disse però, Simone se lo tenne per sè. Sapeva che sarebbe stato prematuro, dirlo. Gli bastava - per ora - quella consapevolezza dentro di sè. La avrebbe custodita con cura. Mentre se lo ripeteva, Simone fu tirato in basso dalla mano di Manuel, che fece scontrare i loro nasi. Si sfiorarono lentamente, il rumore del cuore duplicato.

« Te va de restare a dormire, Simò? » sussurrò.

Non pensavo me lo avresti mai chiesto.

Simone annuì piano, in religioso silenzio, come per paura di dire qualcosa che spezzasse l'intensità di quel momento.
Si sarebbe svegliato nell'appartamento di Manuel, nel suo letto, prima di ritrovarsi in facoltà il giorno dopo.
Sperò di non andarci affatto in verità.
Inutile dire che quel pensiero gli provocò subito un brivido.

« Credo che dovrò buttare via questo piumone, » mormorò Manuel divertito « alla fine l'opera d'arte ce la abbiamo fatta sopra, entrambi » gli schiacciò ancora il naso, il sorriso era stampato e gli guardò gli occhi grandi: sembravano due stelle.

« Puoi sempre metterlo su internet e spacciarlo per un dipinto »

« Prima me toccherebbe lavarlo » puntualizzò.

Si guardarono e risero entrambi, come due eterni bambini.

« Non pensavo lo avrei mai detto ma: Dio benedica Laura » il piccolo spazio tra i denti era di nuovo visibile, in un sorriso accecante.

Manuel scoppiò a ridere, da solo, questa volta. Il pomo d'Adamo si mosse, e le mani stringevano il viso di Simone.
Lo guardò ancora - sicuro che non si sarebbe più sentito così vivo, come in quel preciso momento - prima di baciarlo.

« Vorrei ringraziarla di persona anch'io, Simò »

 

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