Tutti pronti a ricominciare

di Reginafenice
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** "Susie" ***
Capitolo 2: *** "Lenny" ***
Capitolo 3: *** "Midge" ***



Capitolo 1
*** "Susie" ***


L’invito color rosa confetto spiccava come un pugno nell’occhio tra la pila di scartoffie tutte uguali, sparse da giorni sulla scrivania. La persona alla quale era stato recapitato lo aveva gettato senza troppe cerimonie una volta letta l’intestazione sulla busta. Il profumo di rose appena colte, unito alla fragranza della ricchezza newyorkese, era intriso nella carta e nell’inchiostro con cui la penna di Rose Weissman aveva impresso l’indirizzo del nuovo ufficio di Susie Mayerson.

Peccato che, presto o tardi, avrebbe dovuto leggerne il contenuto, altrimenti la poco indulgente signora Weissman le avrebbe intasato l’unica linea telefonica che possedeva, risoluta a ricevere una conferma retorica al suo elegante tentativo di far passare un obbligo di presenza come un’amichevole richiesta di partecipazione.

Susie non vedeva Midge dall’ultima volta in cui avevano litigato per via della rinuncia all’ingaggio presso il Copa. Non aveva ancora trovato la voglia di parlarle di nuovo, convinta che la sua cliente di punta non avrebbe mai cambiato idea e che non valesse a nulla sprecare il suo fiato in rimproveri inefficaci a smussare gli spigoli della sua testardaggine. Ci aveva già provato: non avrebbe continuato ad appoggiare Midge e i suoi masochistici tentativi di sabotare ulteriormente la sua carriera. Nemmeno Midge l’aveva cercata, però.

La minaccia si rivelò realtà quando le orecchie di Susie avvertirono il fastidioso squillo del telefono. La sua segretaria era già andata via, per cui si trovò da sola ad affrontare la voce cristallina di Rose. Non le rimase altra scelta che alzare la cornetta in completa apnea.

«Pronto, Susie Mayerson?»

«Mi dispiace, ma al momento non è raggiungibile. La prego di tentare un altro giorno.»

«Credi veramente che non sia in grado di riconoscere la tua voce? È alquanto unica nel suo genere. Ad ogni modo, ti consiglio di ascoltarmi. È evidente che tu non abbia avuto modo di rispondere al mio invito e lo capisco, davvero. Sei una manager piuttosto impegnata e sono certa che riceverai tanta di quella corrispondenza che…»

Susie alzò gli occhi al cielo, «Qual è il punto?»

«Il punto è che vorrei che tu cenassi con noi domani sera.»

«Non c’è un’etichetta che prevede una qualche stramaledetta forma di preavviso per questo genere di cose? Forse ti sarà sfuggito ma io e tua figlia abbiamo avuto degli attriti ultimamente. Non la sento da settimane!»

«Ne sono al corrente. Proprio per questo ti chiedo di fare il primo passo e condividere con noi il lieto evento.»

«Mi sono persa qualcosa, per caso?»

«Se avessi letto il mio invito lo sapresti.»

«Vuoi farmi venire l’orticaria per la tensione? Cosa aspetti a dirmelo?»

«E d’accordo. Domani Joel presenterà la sua nuova fidanzata ai bambini.»

«Non riesco a cogliere il nesso. Cosa c’entro io con Joel, “fottutamente insopportabile”, Maisel?»

Rose abbassò il tono della voce per non farsi sentire, «Sai che non lo faresti per lui ma per sostenere Midge. La vedo stranamente presa da un’occupazione segreta che le sta assorbendo ogni energia. Eppure, non sta lavorando, giusto?»

«Non lavora da novembre, che io sappia.»

«Questo non fa altro che avvalorare la mia preoccupazione. Inoltre, a volte mi sembra di cogliere delle lacrime sul suo viso. Naturalmente, soltanto quando sa di non essere osservata.»

Susie avvertì una strana curiosità e un persistente bisogno di sapere in quali guai si fosse cacciata Midge. Il suo cuore tenero iniziava a mostrare le crepe dell’orgoglio, mentre la sua mente da professionista le suggeriva di tenere il pugno di ferro. Conosceva bene la risposta a quel dilemma interiore, sebbene fingesse di ignorarla.

«A che ora è previsto l’evento? Sai, non sto nella pelle! Unirmi a cena con lo squilibrato nucleo famigliare di una comica squilibrata ma brillante è sempre stato l’unico scopo della mia misera vita.»

Affondò il viso nelle scartoffie e poggiò la cornetta sulla scrivania, in modo da poter ascoltare la voce di Rose da una certa distanza. Era esausta.

Rose sorrise compiaciuta e spuntò il nome di Susie dalla sua lista degli invitati, «Perfetto. Ti aspettiamo per le nove in punto. Ah, dimenticavo… Ci sarà un’altra sorpresa. Se ne sta occupando Abe.»

«Davvero? Non mi stupisci affatto Rose Waissman! Sei la donna più imprevedibile che conosca, malgrado la pesante concorrenza di tua figlia. Ti prego soltanto di risparmiarmi il posto vicino al tuo ex genero. Sarebbe troppo anche per una santa come me. Ah, dopo il dessert posso ritenermi sollevata da qualsiasi incarico?»

«Certamente.»

«Grazie per la concessione, sua maestà.»

Riattaccò il telefono prima ancora che Rose potesse rispondere o augurarle la buonanotte. L’indomani avrebbe dovuto tirare fuori dall’armadio il suo completo migliore, sperando di riuscire nella doppia impresa: sopportare la famiglia Maisel al completo e le infantili scuse di Midge, ancora una volta.


 

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Capitolo 2
*** "Lenny" ***


Alle dieci meno un quarto dell’indomani sera, due taxi arrivarono nella strada in cui si trovava l’appartamento di Midge, entrambi con notevole ritardo ma perfettamente sincronizzati l’uno con l’altro. Susie fu la prima a scendere dalla macchina, sistemandosi il colletto della camicia e poi il berretto in testa. Senza prestarci troppa attenzione, con la coda dell’occhio, intravide la figura seduta nell’altro taxi.

Con una leggera indolenza in più rispetto a quanto dimostrato da Susie, la persona in questione pagò la sua corsa e si accinse a raggiungere il marciapiede.

Susie spalancò gli occhi: Lenny Bruce era l’ultima persona che sia aspettava di ritrovare in quel quartiere. Non poteva certamente trattarsi di una coincidenza. Allora si schiarì la voce, tentando di racimolare qualche idea su come impostare la conversazione.

«Cosa cavolo ci fai tu qui?» Sbottò, in un tono molto più scontroso di quello che avrebbe voluto che fosse. Lenny si voltò di scatto, mentre teneva in una mano un pacco di sigarette e l’accendino nell’altra.

Susie si affrettò ad aggiungere, «Ehm…piacere di rivederti, comunque. Mi hanno detto che hai spaccato alla Carnegie Hall.»

«Dipende da cosa intendeva chi te l’ha detto. E poi è stato un bel po' di tempo fa.»

Lenny accese la sigaretta e fece il primo tiro, rilasciando l’aria calda nella fresca brezza serale, «Sei stata reclutata anche tu?»

«Sì. Stesso bigliettino rosa profumato, immagino. Ma, certo. Ora capisco. Tu devi essere la sorpresa di cui parlava Rose…» Disse rivolta più a se stessa che a Lenny.

«Che cosa combina Midge?» Le chiese, con uno sguardo decisamente diverso da quello che ricordava Susie. Era come se ci fosse un velo di tristezza e di preoccupazione.

«Di cosa parli, esattamente?»

«Beh, non ho sue notizie da un po'…»

«È la sua nuova politica, non lo hai saputo? Sparire dalla circolazione e rifiutare le occasioni della vita.»

«Ne ho sentito parlare.»

Lenny rivolse gli occhi verso la finestra di quello che ricordava essere il piano dell’appartamento di Midge, «Sono ridicolmente in ritardo. Chissà quale sarà la mia pena…»

«La vera domanda è: chi ci pagherà la cauzione?»

«Beh, di sicuro l’unica che avrebbe qualche interesse a farlo arriverebbe indecentemente tardi. Sai, sembra che esita un modo di vestirsi appropriato anche a questo genere di faccende.»

Susie colse il riferimento implicito a Midge e rispose divertita, «È una caratteristica di voi comici, eh? Per fortuna che il vostro senso dell’umorismo vi precede, altrimenti avrei mollato Midge la prima volta che mi ha fatto aspettare due ore ad un appuntamento. Sa come farmi perdere la pazienza quella ragazza!»

Lenny scosse la testa, «Lo sai anche tu che non l’avresti mai fatto. Ed è sempre il vestito a fregarci.»

Susie lo guardò intensamente ma non rispose. Aveva colto in quella reazione una sfumatura sentimentale alla quale non riusciva a dare un nome.

«Perché ti hanno invitato?»

Lenny gettò la sigaretta sull’asfalto e la spense con la punta della scarpa, «Non lo so nemmeno io. Non avrei dovuto accettare, però.»

«Davvero, Lenny. So che voi due siete amici da anni ormai, ma non capisco. Non credere che la mia presenza non sia fuori luogo questa sera, ma non riesco ad immaginare il motivo per cui uno come te vorrebbe cacciarsi in questo stramaledetto circo umano. Soprattutto ora che… Beh, ho saputo che quei bastardi ti stanno di nuovo addosso. Mi dispiace.»

Lenny fece per aprire bocca, ma nel frattempo un bambino corse nella loro direzione dall’atrio del palazzo, seguito a ruota da un’affannata ed elegantissima Midge. Il suono dei suoi tacchi produsse la stessa tamburellante sensazione di paura nel loro petto.

«Ethan, torna dentro! La nonna ha cambiato il tuo posto. Adesso puoi sederti vicino a tuo padre. Basta che la smetti di fare i capricci!»

Il bambino si fermò al centro dell’ingresso, con lo sguardo corrucciato rivolto a sua madre. Midge si chinò alla sua altezza, «È stato un mio errore. Puoi perdonarmi? Ho lavorato fino a tardi e non ho avuto il tempo di controllare l’organizzazione del tavolo.»

Susie e Lenny rimasero paralizzati. Se avessero mosso anche solo un muscolo lei si sarebbe accorta della loro presenza e nessuno dei due aveva ancora idea di quale sarebbe stata la loro prima mossa. Si fissarono per quella che sembrò essere un’eternità, ma a un certo punto a Susie venne un colpo di tosse impossibile da trattenere

Midge si sollevò da terra prendendo Ethan per mano. Si avvicinò cautamente alla strana coppia per provare a se stessa di non averla soltanto immaginata e girò loro intorno con aria attonita.

«Che razza di scherzo è questo?»

«Chiaramente non lo è, visto che sei tutto tranne che divertita. Se fossi in te non lo aggiungerei nel tuo prossimo numero.»

Lenny aveva l’impressione che, una volta ascoltata la sua voce, Midge si fosse leggermente intenerita.

Susie la guardò con particolare nervosismo, «Che ne pensi di farci salire? Sarebbe meglio chiarire tutto dentro, no?»

Midge non proferì parola. Rimase a fissarli con la bocca ancora mezza spalancata.

«Abbiamo ricevuto un invito. Entrambi!» Indicò Lenny con la testa e prese dalla tasca la busta rosa tutta stropicciata, giusto per sventolargliela davanti a mo’ di prova. Per fortuna era ancora lì. Era più che convinta di averla già gettata via.

«E va bene. Seguiteci.» Fu l’unica cosa che Midge riuscì a dire.

«Credo di ricordare la strada.» Lenny le rivolse un lieve sorriso, non badando all’enorme punto interrogativo impresso sul volto di Susie.

 

 

Oltrepassato l’uscio di casa, l’immagine che si sottopose ai loro occhi fu prevedibilmente comica: Abe e Mei erano coinvolti in un’appassionata conversazione sulle ragioni storiche delle difficoltà riscontrate da una brillante studentessa asiatica come lei ad integrarsi nel sistema universitario statunitense, mentre seduto al centro del tappeto del salotto Moishie intratteneva con le sue smorfie buffe e le sue imitazioni la piccola Esther. Midge liberò Eathan dalla sua morsa, cercando di capire che fine avessero fatto gli altri membri della famiglia. Un chiacchiericcio in sottofondo giunse alle sue orecchie dalla cucina.

Susie e Lenny rimasero impalati all’ingresso del corridoio. Nessuno si era ancora reso conto della loro presenza, ma Midge si voltò facendo loro cenno di seguirla verso la sua camera da letto.

«È stata una pessima idea.» Sbottò Susie, dopo aver colto una parte della chiassosa discussione che stava avvenendo in cucina tra Shirley e Joel e tra Rose e Zelda.

La notizia della gravidanza di Mei fremeva sulle labbra leggermente tremanti di Joel, il quale faticava a trovare il coraggio di non svicolare le domande dirette di sua madre sulla ragione della nausea della sua ragazza alla menzione della zuppa di pollo che aveva preparato con tanto amore quella mattina.

«Shirley, non preoccuparti. Ho detto a Zelda di conservare la tua zuppa per un momento più opportuno, così Mei non avrà alcun problema.»

Rose supplicò la sua domestica di darsi una mossa per servire il pasto il prima possibile: gestire Shirley in cucina rappresentava la tredicesima fatica di Ercole. Tanto valeva incominciare a mangiare, anche se di Susie e di Lenny non aveva visto traccia.

«Qual è il suo problema? Vorresti spiegarcelo Joel? E perché mai l’hai invitata a casa di Midge?» La donna si rivolse al figlio con l’aria di un’investigatrice intenzionata a non mollare la sua preda, picchettando con le affilate unghie rosse sulla spalliera della sedia.

«Non ha nessun problema, mamma. E poi la conosci già. Non c’è bisogno di fare la maleducata.»

Finse di non sentirlo.

«Adesso che mi ci fai pensare… Ricordo di aver avuto la stessa nausea quando ero incinta di te. Non ho voluto vedere pollo per mesi interi! Il che non è da me.»

«E se fosse soltanto allergica al pollo?»

Shirley scrutò intensamente suo figlio e poi pensò bene di cercare la soluzione da Rose, la quale trovò il pretesto di dover chiedere ad Abe quale vino aprire a tavola per potersi dileguare all’istante.

La rivelazione stava per avvenire proprio nel modo in cui si sperava che non accadesse, ovvero per mero intuito. Joel avrebbe voluto più tempo per farle digerire la novità.

Fu quando guardò oltre la spalla di sua madre con l’intenzione di verificare che la sua fidanzata stesse bene e che la sua ansia si fosse smorzata, che Joel si accorse del fulmineo passaggio del trio. Ovviamente, non riuscì a riconoscere subito di chi si trattasse, quindi pensò che sarebbe stato meglio indagarlo subito e colse al balzo l’occasione di liberarsi dalla sua aguzzina.

La porta della stanza era socchiusa, ma la voce di Susie attraversò facilmente la fessura di spazio lasciata aperta da Midge, giungendo senza troppa sorpresa all’orecchio di Joel. La profonda voce maschile – che riuscì a identificare soltanto dopo un po' – lo lasciò letteralmente senza fiato.

Non poté trattenersi: appoggiò una mano sudata sulla maniglia e spalancò la porta con gli occhi sgranati.

«Ti serve qualcosa, Joel?» Domandò Midge, leggermente infastidita.

«Cosa diamine ci fa Lenny Bruce nella mia ex camera da letto?»

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Capitolo 3
*** "Midge" ***


Alla menzione del suo nome Lenny si voltò verso di Joel e alzò le spalle, annuendo debolmente.

«Lo sai che è sempre stato il mio idolo, Midge! Perché non me lo hai presentato prima?» Si inumidì le labbra secche, sintomo dell’incontenibile emozione che lo aveva assalito al cospetto del suo comico prediletto.

Midge si lasciò cadere sul materasso, esternando la sua insofferenza.

Susie, invece, si avviò rapidamente nella direzione in cui si trovava Joel soltanto per sbattergli la porta in faccia.

«Scusa tanto eh, ma qui si sta cercando di avviare una conversazione privata! Sai che vuol dire?» Sbottò impazientemente. Il volume della sua voce fu attutito dal limite fisico della parete, riuscendo a comunicare comunque la forza del messaggio che recava con sé.

All’improvviso nella stanza piombò il silenzio.

«Non vorrei aver frainteso, quindi scusami se ti chiedo cosa cavolo siamo venuti a fare qui. Se è per farci una bella dormita, allora preferisco di gran lunga il letto del mio nuovo appartamento. Per lo meno non è affollato come questo.» Di fronte alla progressiva tensione dei muscoli del viso di Midge, Susie si precipitò a chiarire, «E no, Miriam. Sai che non era un’offesa.»

«Quindi, cos’è di preciso che vorresti che ci dicessimo? Sono io quella all’oscuro di tutto.»

«Non possiamo farlo dopo aver mangiato? La cena si raffredderà e Zelda andrà su tutte le furie. Sono sicura che avrà speso tutta la giornata per preparare non meno di cinque portate. E poco importa se in sostanza è sempre gulash.  È una fottuta artista della cucina quella donna! Ci avrà messo il cuore e io non ho intenzione di spezzarglielo.»

«Se fossi in te prenderei qualche appunto, Midge.» Lenny non riuscì a trattenersi e le chiese con gli occhi il permesso di occupare il posto accanto al suo.

Lei lo guardò con estrema consapevolezza.

Soltanto dopo un cenno di assenso le si accostò in maniera estremamente seducente e intima, sfiorandole la coscia con il ginocchio: nonostante gli strati di stoffa che separavano la sua pelle da quello più superficiale del suo abito color rosa salmone, le gambe di Midge tremavano quasi impercettibilmente. Nella speranza di dimostrarsi padrona di sé, cercò di evitare il contatto visivo pur essendo cosciente del fatto che Lenny sapeva perfettamente quali sensazioni stesse suscitando in lei.

Indecisa su dove poter appoggiare gli arti superiori – considerata la pericolosa vicinanza del corpo di Lenny – Midge incrociò le mani al petto e dichiarò con una leggera asprezza: «Sto ancora aspettando che uno dei due scavi a fondo nella propria coscienza alla ricerca di un briciolo di coraggio per spiegarmi il reale motivo di questa visita improvvisata. L’ultima volta che abbiamo parlato siete stati molto chiari, ve lo assicuro.»

Susie deglutì a fatica prima di parlare, «Beh, Miriam. È ora di mettere da parte qualsiasi cosa sia successa tra di noi e rimboccarti quelle costose maniche che ti ritrovi per cercare nuove occasioni di lavoro. Ti ho perdonata e ora sono pronta a ricredermi su di te. Ho ancora delle belle carte da giocare.»

«L’importante è che non siano quelle di Alfie!»

«Divertente! Vedo che sei in forma, quindi direi che possiamo dimenticare tutto e ricominciare daccapo.»

Midge scosse la testa, «È giusto che me lo ricordi, invece. Ho sbagliato e sto imparando la lezione.»

Si voltò finalmente verso di Lenny, inclinando il viso da un lato per guardarlo meglio. Poi, posò esitante una mano candida sul suo ginocchio e la sensazione che quel contatto produsse a entrambi fu come un sorso di liquore in una gelida notte invernale.

Lenny la fissò con un’espressione molto indulgente, «Hai aperto gli occhi, uh? Era ora! Credo che ti piacerà quello che vedranno adesso che non sono più appannati dalla paura e dall’orgoglio.»

«Mi ci è voluta una tempesta di neve per capirlo. Sai, ho avuto la fortuna di prendermi una ramanzina dal signor Bruce in persona nel momento del suo trionfo. Hanno persino ridipinto le pareti della sua stanza di blu! Sapevi che forse è il suo colore preferito?»

Lenny sollevò le mani in aria in segno di discolpa, «Carnegie Hall…»

Rimasero immobili, presi l’uno dall’altra, per quella che sembrò essere un’eternità, come se il reciproco sguardo potesse spogliare loro di qualsiasi indumento avessero addosso.

Susie, in piedi di fronte al letto matrimoniale su cui erano seduti i due comici, guardò loro esterrefatta, «Wow, wow, wow…»

«Cosa?!» Dissero all’unisono girandosi di scatto, colti in flagranza.

«È chiaro. Ma certo, come ho fatto a non accorgermene? Sono evidentemente di troppo in questa stanza.»

Lenny nascose un ghigno dietro la mano, divertito come non mai nel vedere l’aria imbarazzata di Midge.

«Mi sembra di capire che la prossima volta che un giornalista mi chiederà se la mia cliente è la ragazza di Lenny Bruce la mia risposta non potrà più essere la stessa. Andranno in brodo di giuggiole, soprattutto ora che il tuo bel fusto qui non se la passa affatto bene. Quegli avvoltoi amano il dramma e temo che…» Si bloccò all’istante, indecisa se rivelare ad alta voce le sue preoccupazioni riguardo al danno di immagine che la resa pubblica della loro relazione avrebbe potuto comportare a Midge. Iniziò a balbettare, cercando un modo giusto per uscire da quella spiacevole situazione.

Lenny comprese perfettamente dove Susie volesse andare a parare e la sua espressione si oscurò in modo repentino: si fece malinconica, sebbene risoluta. Guardò Midge, «Susie ha ragione. Non ho nessuna intenzione di trascinarti giù con me. Hai la tua strada da fare e la mia presenza sarebbe un ostacolo alla tua carriera. Non hai idea della merda che mi è caduta addosso ultimamente...»

Quindi si levò dal letto e si aggiustò la cravatta, pronto per andarsene.

Midge, tuttavia, non aveva alcuna voglia di lasciarlo libero così presto. Allungò il braccio e lo attirò di nuovo a sé, costringendolo a riprendere posto accanto a lei.

«Ah, quindi fammi capire: dovrei semplicemente voltarti le spalle e far finta che non ti stia accadendo nulla? Vorresti che io chiuda gli occhi ogni volta che ti vedo indifeso e vulnerabile sul ciglio di una strada e lasciare che la polizia ti sbatta dentro per l’ennesima volta? Vuoi dirmi che dovrei bermi le tue stronzate e assecondare le tue dipendenze premiandoti con uno stupido applauso a fine serata? E tutto questo nonostante avermi letteralmente dimostrato che tu non lo faresti mai a parti invertite. Dopo “quella cosa molto carina” che hai fatto aprendo per me al Gaslight quando Sophie Lennon mi aveva bannata da qualsiasi locale; dopo avermi proposta per l’ingaggio al Copa e aver trattato per ben tre volte con lo scopo di farmi avere una paga dignitosa. Lenny, dopo quello che c’è stato quella notte… Come puoi pensare che io possa essere così ingrata?» Si sedette sul suo grembo, accarezzandogli una guancia perfettamente rasata.

«Non ho fatto nulla di tutto questo per avere un ritorno da te.»

«Lo so. Ho compreso il motivo per cui lo hai fatto mentre eravamo sul palco della Carnegie Hall. Adesso, vorrei che anche tu comprendessi il motivo per cui ho deciso di darti ascolto. Non voglio deluderti per nulla al mondo. Abbiamo ancora diverse cose da chiarire, ma prima di tutto voglio che tu mi prometta che in futuro le mie orecchie non ascolteranno una seconda volta quello che il tuo cervello ha imposto alla tua adorabile bocca di esprimere ad alta voce poco fa.»

Fece una pausa, respingendo le lacrime che minacciavano un diluvio emotivo.

«Quel giorno, il giorno dello Yom Kippur, ero una casalinga dell’Upper West Side ridotta a pezzi e sola. Tu non hai visto un bel vaso distrutto da sorpassare con indifferenza o da compatire, ma una persona vera da incoraggiare a tirarsi su da sola, ad avere fiducia in sé stessa e a lavorare, lavorare e lavorare. Quindi, sappi che il mio ombrello sarà sempre pronto a difenderti dalla pioggia o dalla prossima bufera di neve in cui ti troverai coinvolto.»

Susie ascoltò in religioso silenzio. Non pensava di avere il diritto di lasciare che il suo cinismo oscurasse la bellezza e l’intensità di quelle parole. Anche lei lo ammirava per la generosità e la premura con cui aveva sempre trattato Midge, senza aspettarsi nulla in cambio.

«Ma è da stupidi, Midge!»

«Quando due persone leali si incontrano è inevitabile che si sentano stupide rispetto a buona parte della gente che bazzica nel mondo. Se ti può rincuorare, mio padre pensa che tu sia una persona brillante e credo di avergli sentito elogiare anche un passaggio del mio ultimo monologo l’altro giorno. Ho una grande considerazione del suo giudizio, sai?»

Lenny scrollò le spalle, «Beh, se ne è proprio così sicuro…» Avvicinò il suo viso a quello di Midge, contemplandole le labbra con desiderio.

«È un critico di spettacolo per il Village Voice già da un po' di tempo. Il che rende le sue idee ancora più scientifiche del solito.»

Susie decise che era giunto il momento di intervenire, «Fate finta che io non ci sia, mi raccomando! È tutto così romantico e melodrammatico, e sono sicura che il rabbino sarebbe pronto a celebrare il vostro matrimonio anche tra un’ora, ma il mio stomaco è saturo di zuccheri per oggi.»

Si rivolse direttamente a Midge con un dito puntato nella sua direzione, «Vorrei soltanto sapere a quale monologo ti riferivi prima, dato che non mi risultano tue recenti esibizioni nell’agenda che Dinah non fa altro che ficcarmi sotto al naso ogni santo giorno.»

«Giusto. Allora, potresti non capirlo immediatamente, ma sappi che ho lavorato pur non lavorando. Restando a casa per di più! Ho tutto nella mia mente, Susie.»

«Cioè?»

«Non sono stata in panciolle e ho creato qualcosa di geniale, se posso dirmelo da sola.»

«Tu ci hai capito qualcosa? Tra voi comici dovreste capirvi…» Supplicò Lenny in preda ad un attacco acuto di impazienza.

«A parte quanto il mio ego sia infinitamente più modesto del suo?»

Susie si lasciò cadere sulla sedia della scrivania.

«Cosa aspetti a parlare in maniera meno criptica?»

«Ho scritto un intero spettacolo! Anzi, ad essere precisi si tratta di un’idea per un programma televisivo che ho intenzione di proporre a Gordon Ford.»

Midge si tirò su e aprì uno dei cassetti del suo comodino, finendo con l’estrarre una pila di fogli scritti in maniera molto fitta e rapida. La penna, evidentemente, aveva fatto fatica a stare al passo della sua mente in fermentazione.

«Calma, ragazza. Frena un po' l’entusiasmo. Capisco l’ottimismo, la fiducia in te stessa e l’idealismo che ti hanno ispirata, ma hai pensato a come fare arrivare questo nelle mani di Ford?» Indicò il faldone che Midge, nel frattempo, aveva passato a Lenny.

«Ho pensato che potresti pensarci tu. Mi hai detto che hai delle conoscenze nella produzione.»

«In effetti, dal momento che non ti esibisci più da nessuna parte mi sembra l’unica possibilità… Così sapranno che esisti e che non sei una mia allucinazione.»

Susie lasciò che Midge la stringesse in un abbraccio soffocante, scegliendo però di ricambiare il suo impeto con cauta partecipazione. Mentre il suo soffocamento procedeva senza pietà, Susie diresse la propria attenzione all’uomo seduto con le gambe accavallate e la testa china sulle carte, assorbito dalla lettura del soggetto. Finalmente, quando Lenny sollevò gli occhi su di lei non fu necessario aggiungere altro: l’orgoglio che leggeva in quello sguardo bastava a infonderle l’energia per riscaldare i motori e ricominciare a far partire l’ingranaggio.

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