L'ultimo paradiso ~ Storie non raccontate.

di Usagi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Di una fuga diurna ***
Capitolo 2: *** Retrospettiva di una decisione ***
Capitolo 3: *** Finestre socchiuse ***
Capitolo 4: *** Stessi Ideali, mezzi diversi ***
Capitolo 5: *** Un Pantalone di Jeans ***



Capitolo 1
*** Di una fuga diurna ***


The Vision of Escaflowne

«L’Ultimo Paradiso ~ Storie non raccontate »

 

Di una fuga diurna

 

Era una giornata piuttosto calda per essere ancora inizio primavera e Hitomi aveva raggiunto il suo limite di sopportazione già prima di pranzo: Millerna non faceva altro che imporle nuove modifiche al suo vestito, costringendola a restare in piedi e dritta come un manichino mentre lei e le sarte trafficavano senza considerare la sua opinione mentre, nel frattempo, come se quel supplizio non fosse già abbastanza, Merle continuava prenderla in giro, trovandola ridicola nel trovarla costretta a comportarsi come una principessa.
L’unica cosa che le era rimasta da fare, dunque, era stata quella di fuggire da quella stanza infernale.
La scusa più vecchia del mondo era stata la sua salvezza.
Doveva andare assolutamente al bagno. Eh sì, persino la famosissima Ragazza della Luna dell’Illusione, salvatrice di Gaea e personificazione dell’insofferenza, aveva delle normalissime necessità umane.
Aveva dato sfoggio dell’espressione più drammatica che conosceva per sottolineare l’urgenza dell’impellenza fisica che se non avesse soddisfatto in tempi brevi l’avrebbe costretta, infine, ad imbarazzare se stessa proprio in quel luogo. 
Mossa a pietà, la Reggente di Asturia si era portata una mano sulla fronte e aveva scosso quella chioma dorata con la stessa indolenza di un gatto infastidito dall’essere turbato durante un riposino, mentre le dava il permesso di scendere dal piedistallo – un patibolo – dando al contempo alle sarte e a tutte loro una pausa.
Povera, sciocca, Millerna! Aveva concesso minuti preziosi proprio a lei: una velocista!
Pochi sapevano che anche lì su Gaea non aveva smesso di allenarsi nella corsa nonostante non avesse più la possibilità di partecipare ai tornei scolastici. In fondo, aveva sempre amato correre e sentire il vento scompigliarle i capelli, anzi, l’aria fresca di Fanelia si era rivelata perfetta e corroborante per i suoi allenamenti, quindi era certa, a quel punto, che sarebbe stata in grado di battere tutti i suoi record.
Se per conquistare il suo primo bacio avrebbe infranto la barriera dei tredici secondi, per fuggire da quella tortura le sarebbe bastato anche metà del tempo, poteva scommetterci!
Così, aveva compiuto piccoli e veloci passi dando l’impressione di essere davvero al limite e aveva richiuso velocemente la porta scorrevole alle sue spalle. Adesso, sebbene fosse già lontana dalla vista del nemico, avrebbe dovuto muoversi con cautela, almeno fino a quando era a portata d’orecchio della ragazza-gatto più fastidiosa di Fanelia, ma no! Di tutta Gaea, poco ma sicuro. Merle aveva l’incredibile capacità di trovarla in qualunque luogo si trovasse, in barba al fatto che una volta era stata lei a trovarla, dando dimostrazione dei suoi poteri di preveggenza. No, la sua doveva essere di certo una capacità affinata nel tentativo di separarla da Van, quando cercavano entrambi, di ritagliarsi un momento di intimità, ad esempio, per questo il fattore tempo era fondamentale: doveva guadagnarne il più possibile se sperava di mettere un vantaggio ai suoi avversari. Dovevano accorgersi del suo ritardo quando era troppo tardi, tuttavia, questo si scontrava con l’inevitabile e oggettiva difficoltà di lasciare il castello che era tale non a caso, visto che era pure sorvegliato da guardie che la conoscevano bene. Il livello di difficoltà era notevole, ma l’impresa non l’avrebbe di certo spaventata o fatta desistere dal suo intento.
Al massimo della sua concentrazione, aveva svoltato l’angolo e aveva iniziato ad accelerare il passo, all’inizio cercando di non fare molto rumore, poi – quando era stata piuttosto sicura di non essere più a portata di orecchio felino – aveva iniziato a correre. Vedendo nessuno tra i corridoi e rassicurata dall’assenza di voci nelle immediate vicinanze, le era nato spontaneo un sorriso di trionfo: ce l’avrebbe fatta!
Non aveva alcuna idea, però, di come superare la parte più difficile.
L’ingresso principale.
Era impossibile che non vi fosse qualcuno di guardia, per quanto il castello potesse essere frequentato, il suo volto era fin troppo conosciuto per passare inosservato.
Non c’era alcuna speranza che riuscisse ad eludere la sicurezza delle guardie, soprattutto adesso che la minaccia dell’uomo-camaleonte era pressoché confermata.
Cercò di non pensare alla preoccupazione che avrebbe causato se fosse sparita per troppo tempo. In fondo, anche lei aveva il diritto di trovare un momento di pace per se stessa, anche se la Reggente di Asturia l’avrebbe di certo rimproverata, dopo.
Riuscì a raggiungere un lato del cortile principale. Poteva vedere l’ingresso maggiore chiaramente: le porte erano pure aperte e sembrava esserci un discreto afflusso di gente.
Fu facile comprendere il perché: stavano già iniziando ad allestire il palco reale e gli spalti. La cerimonia si sarebbe svolta proprio lì, quindi era inevitabile che iniziassero a preparare tutto settimane prima.
In poco tempo riuscì a valutare la situazione. Aveva una possibilità. Le guardie sembravano particolarmente indaffarate nel controllare sia le persone che le merci.
Hitomi ricordava benissimo che in prossimità dell’ingresso principale ve n’era un altro, poco usato e quasi sempre chiuso, sì, ma dall’esterno. Quella era la sua unica possibilità.
Sbatté le mani l’una contro l’altra, come se si fosse trovata d’innanzi l’altare di un tempio e pregò perché avesse un po’ di fortuna.

La libertà era una bella cosa.
Dovevano sentirsi così i prigionieri, dopo anni dietro le sbarre.
Forse stava un po’ esagerando con i pensieri, si disse, ma in quel momento la sensazione di libertà era stata inebriante come il vino che aveva bevuto ad Asturia, tanto tempo prima.
Era vestita semplicemente, quindi non dava troppo nell’occhio. Qualcuno indugiava con lo sguardo più a lungo sul suo volto, notando i capelli piuttosto corti per una fanciulla, ma Hitomi non aveva alcuna intenzione di preoccuparsene.
Girava per la strada principale dove il mercato cittadino rendeva brulicanti le vie di persone, chiacchiere e odori.
Finalmente, dopo settimane, sentiva alleggerirsi le spalle dalla tensione accumulata. In qualche modo, la tranquillità e la spensieratezza di Fanelia le trasmetteva un senso di leggerezza che allontanava la preoccupazione e la tristezza.
Non aveva avuto modo di incontrare molto Van e questo le dispiaceva. Anche lui aveva i suoi impegni come sovrano e, in più, si era imposto di controllare la sicurezza del castello in prima persona e trascorreva molto tempo a rivedere le strategie di difesa o, almeno, così gli aveva detto.
Quella fuga dal castello sarebbe stata molto più romantica se ci fosse stato anche lui come suo complice.
Rallentando il passo, iniziava a sentire i sensi di colpa per l’essere fuggita senza dire nulla.
A quel punto, sicuramente, avevano già iniziato a cercarla.
Certamente Millerna sarebbe stata discreta nel non far scoppiare un putiferio senza esserne sicura, però non poteva di certo dire lo stesso per le persone che l’avrebbero cercata. Le guardie sarebbero state allertate e avrebbero iniziato a cercarla praticamente ovunque.
Si fermò.
Van si sarebbe preoccupato da morire.
Stringendo i pugni, si diede della stupida.
Le persone le passarono accanto, superandola. Lei sarebbe stata responsabile per tutte quelle persone, tra non molto tempo.
Van avrebbe contato su di lei per dividere le responsabilità del regno e lei, cosa faceva? Scappava dall’ennesima prova abito?
Aveva ancora tanto da fare, per migliorare se stessa. Doveva iniziare ad assumersi le sue responsabilità, altrimenti non sarebbe stata di nessun’aiuto a Van, tutt’altro.
La sua fuga era conclusa, prima di quanto sperasse. Si guardò intorno, accorgendosi di essersi allontanata parecchio. Aveva intrapreso una via secondaria per non dare troppo nell’occhio, ma il mercato era praticamente a due passi.
Si voltò e iniziò a camminare verso il castello. Non avrebbe potuto trovare alcuna giustificazione a ciò che aveva fatto. Sarebbe stata sincera e non si sarebbe lamentata più.

Una mano le si posò sul volto, tappandole la bocca.
Spalancò gli occhi e si ritrovò stretta su un polso.
Lo stomaco fece una capriola per lo spavento e non riuscì ad urlare.
« Non è un buon posto per gironzolare, da sola. »
Riconobbe la voce immediatamente.
Incredula, sentì la mano allentarsi sulle sua labbra con delicatezza.
« Van! Che cosa ci fai qui?! »
Sentiva ancora il cuore batterle forte per lo spavento.
Il Re di Fanelia indossava abiti semplici e prive di effigi. Solo l’emblema della spada che portava allacciata alla cintura avrebbe rivelato il suo retaggio.
« Dovrei essere io a chiedertelo, Hitomi. »
A quel punto, comprese, non aveva molto senso nascondere la verità.
« Vuoi davvero saperlo? » fece il sospiro più profondo che conosceva. « Sono scappata! »
Van sembrò perplesso, Hitomi vide un punto interrogativo: logico, come poteva anche solo immaginare il supplizio a cui era stata costretta?
Alla fine della sua spiegazione, Van aveva iniziato a ridere in una maniera così allegra che si era sentita ancora più imbarazzo.
« Tu non capisci! Scapperesti anche tu se avessi passato ciò che ho passato io! »
Il Re di Fanelia, tenendosi i fianchi con le mani, annuì.
La sua reazione la innervosì: credeva di meritare dei rimproveri per il suo comportamento sciocco, ma non un’ulteriore presa in giro!
Era incredibile! « Ah, e così? Allora me ne torno benissimo indietro! »
Si era già voltata e aveva mosso un paio di passi, ma sentì questa volta la mano di lui trovare la sua.
Cercò di opporsi, offesa, ma lui l’attirò a sé.
« Non volevo prenderti in giro, scusami. »
La sua voce però tradiva ancora una nota di divertimento. Così non faceva altro che peggiorare le cose!
Abbassò, lo sguardo, infastidita, ma non si oppose quando lui l’avvicinò ulteriormente a sé.
« Quando ti ho visto, in mezzo alla gente, mi sono preoccupato. Poi ho visto la tua espressione e ho iniziato ad immaginare come fossero andate le cose. Avrei continuato a seguirti da lontano, ma poi ho visto che hai lasciato la via principale… »
Hitomi sollevò lo sguardo, il tono di Van si era fatto più serio.
« Per quanto Fanelia possa essere una città relativamente sicura, potrebbe essere pericoloso persino per te, avventurarsi in luoghi meno frequentati. »
Ecco, forse era meglio la facesse sentire in colpa.
« Stavo per tornare indietro, infatti. » borbottò, arrossendo lievemente.
Van scosse il capo.
« Oramai il danno è fatto. »
E poggiò le labbra sulle sue, senza darle possibilità di replica.
Hitomi s’irrigidì un attimo solo, stupita, prima di rispondere al bacio chiudendo gli occhi.
Probabilmente fu il suo rilassarsi che spinse Van ad approfondire il contatto.
D’un tratto il Re di Fanelia la spinse per le spalle, adagiandola contro il muro, si mise davanti a lei.
Rossa in volto, Hitomi vide con la coda dell’occhio il mantello di un’uniforme attraversare lo spazio aperto poco lontano da loro.
« Non ci hanno visti. Avranno iniziato a cercare anche me. » disse, con un mezzo sorriso.
Hitomi stava per sollevargli una protesta quando lui appoggiò una mano sul muro.
« Dovremmo… ritornare? » chiese, abbassando lo sguardo.
Per quanto si fosse abituata alla sua presenza, le faceva ancora uno strano effetto, trovarsi in quelle situazioni.
« Restiamo qui, ancora un po’. »
Hitomi annuì e questa volta accolse il bacio di lui con delicatezza. Schiudendo le labbra poco a poco, come se non avessero fretta.
Forse fu proprio quel contatto lieve che spinse Van a diminuire ulteriormente le distanze e ad appoggiarsi a lei, attirandola a sé.
Forse perché adesso erano più vicini che mai, ma Hitomi aveva l’impressione che Van fosse cresciuto ancora di più, poiché le spalle le sembravano più grandi e il suo torace più robusto. In qualche modo, il suo corpo sembrava molto più piccolo di quello del giovane Re di Fanelia e questo le provocava una sensazione al basso ventre a cui non osava ancora dare un nome.
Non avevano avuto molto tempo per stare un po’ da soli, in quel periodo, e non aveva tenuto in considerazione il fatto che anche Van potesse aver voglia di trascorrere un po’ di tempo.
Sorrise: anche il Re di Fanelia si era dato alla fuga, scappando dai suoi doveri, per stare un po’ con la sua amata. Erano piuttosto simili, in questo.
« Perché sorridi? » le chiese, a voce udibile. I suoni provenienti dal mercato li raggiungevano persino lì e se avesse sussurrato certamente le sarebbe sfuggito qualcosa.
Scosse appena il capo. « Stavo per tornare indietro, temendo che ti saresti preoccupato se ti fosse giunta la notizia che ero sparita. Ma adesso penso che sia stato un bene averlo fatto. »
Lui si fece più serio. « Se per te è troppo difficile- »
Hitomi lo interruppe prima che potesse concludere la frase.
« No, non lo è. Non più, almeno. Ho capito cos’è giusto fare e voglio farlo. In futuro ci saranno molte più responsabilità e questa… in fin dei conti è una cosa sciocca. »
Van non disse nulla. Aveva la sua completa attenzione.
« Non voglio scappare dalle responsabilità future, perché ho scelto di restare qui di mia volontà. Sento che per quanto possa trovarlo noioso o seccante non posso esimermi, perché è un ruolo che ho scelto io stessa. Voglio farlo perché sento che è la cosa giusta da fare. »
Van si fece più serio. « Ne sei sicura? »
« Sì, soprattutto se ho la possibilità di trovarmi in situazioni come questa, con te. »
Fu lei ad iniziare il bacio, questa volta, facendo scorrere le mani fino a toccargli il tessuto leggero della maglia che indossava. Lui le accarezzò le braccia, scivolando con delicatezza fino a sfiorarle i polsi. Sentì un brivido quando le labbra di Van lasciarono le sue per spostarsi in un ansito sul suo collo. Il contatto la stordì di piacere e istintivamente girò il capo per assecondare e facilitare ulteriormente il movimento. Tenne gli occhi chiusi, sentendo che il cuore e il respiro acceleravano di pari passo. Avvampando, comprese di essere arrossita profondamente.
Cercò le mani di Van e un lieve tocco delle sue dita lo convinse a stringerle le mani con forza e desiderio.
Sentì dei passi passare poco vicino a loro e notò che qualcuno era passato molto vicino a loro, oltrepassandoli. Quello era… un sorriso?
Anche Van se n’era accorto e si era fermato all’improvviso. Anche lui sembrava in qualche modo in difficoltà. Lei aveva abbassato lo sguardo, sentendosi preda dell’imbarazzo. Sentiva ancora il cuore batterle all’impazzata. Si morse le labbra: doveva assolutamente smettere di pensare alle sensazioni che aveva provato prima. Eppure, era consapevole che non sarebbe stato così semplice.
« Sarà meglio andare, Hitomi. »
Lei annuì lievemente. Sì, assolutamente. L’ultima cosa che voleva era quella di essere scoperta in quelle circostanze proprio in città.
La mano di Van trovò la sua guancia. « Non dobbiamo fuggire in città per stare un po’ così, sai? »
La baciò in maniera fugace, lieve come una carezza.
« Dici davvero? »
Oh, benissimo. Così sembrava che quella situazione fosse piaciuta solo a lei. Che pervertita.
Van sorrise, divertito. Lei cercò di trovare le parole giuste ma lui la prese per mano e iniziò ad incamminarsi in direzione della via principale.
« Coraggio, andiamo da qualche parte, solo noi due. »
Lei respirò a pieni polmoni la felicità.

Avrebbe pensato dopo a come giustificarsi.

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Questa è stata scritta in un momento in cui avevo assolutamente bisogno di narrare delle vicende più leggere e divertenti per Van e Hitomi. Spero che questa piccola one-shot possa rendervi più piacevole l’attesa per il nuovo capitolo che probabilmente subirà un po’ di ritardo.
Spero che mi farete sapere cosa ne pensate di questo piccolo esperimento attraverso una recensione.
Fatemi sapere, inoltre, se trovate più piacevole alla lettura questo tipo di formattazione.
A presto!

Usagi.





 

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Capitolo 2
*** Retrospettiva di una decisione ***


The Vision of Escaflowne

«L’Ultimo Paradiso ~ Storie non raccontate »

Retrospettiva di una decisione

 

Lui era lì, nel giorno in cui aveva visto realizzarsi il Luogo della Fortuna Assoluta.

Quando tutti gli altri alchimisti avevano iniziato a darsi alla fuga, consapevoli che sia la guerra che il regno erano oramai perduti e che avrebbero potuto essere certamente vittime non solo delle sommosse popolari, ma anche di una probabile incursione degli eserciti che combattevano al confine dei territori appartenenti a Zaibach, lui aveva deciso di restare lì, poiché doveva assolutamente vedere con i suoi occhi il realizzarsi su quella terra maledetta, ciò che l’Imperatore Dornkirk aveva tentato di raggiungere per tutta la sua esistenza.

Tutto aveva avuto inizio da una colonna di luce. Essa era apparsa senza alcun preavviso nella grande sala dove l’Imperatore Dornkirk tentava di osservare e prevedere il destino. 

Non era stato il loro primo incontro, ma non erano mai stati così vicini come allora.

Era apparsa insieme a Folken, portata in quel luogo con la forza del solo potere di realizzare i desideri. Lui ed i suoi colleghi alchimisti si erano confrontati a lungo nel tentativo di fornire una risposta alle innumerevoli ipotesi che avevano formulato riguardo l’origine di un simile fenomeno, invano. L’animo di quella ragazza, unito al potere di Atlantide, entravano in risonanza in determinati momenti che per quanto si fossero sforzati di ricreare artificialmente, non potevano essere davvero pienamente controllati. 

Aveva già visto le ali di Folken, retaggio della sua discendenza del Popolo di Atlantide. Tuttavia, dall’ultima volta, le sue ali erano state grigie come il fumo, mentre adesso, scure come la pece. Non erano servite le urla e gli ammonimenti della Ragazza della Luna dell’Illusione: il capo degli alchimisti era lì per uccidere il suo mentore, per mettere un freno alla guerra e al corso degli eventi. Per realizzare il suo desiderio.

La reazione che più lo stupì fu quella di Dornkirk, nell’invitare il suo migliore allievo a prendersi la propria vita; lui a quel punto, stava quasi per uscire allo scoperto ma Folken era stato più veloce: sollevandosi in aria e librandosi con le sue ali, aveva raggiunto in un attimo la grande macchina che manteneva artificialmente le funzioni vitali dell’imperatore. Sollevando la spada, aveva reciso di netto la vita del vecchio con la stessa facilità di un mietitore. Disgustato, aveva visto il liquido che alimentava la macchina uscire dal corpo stesso di colui che un tempo doveva essere un uomo ma che non aveva più il proprio sangue a scorrergli nelle vene. 

I momenti successivi furono i più istruttivi di tanti anni trascorsi a tentare di comprendere il corso del destino. Tutti gli elementi erano lì riuniti, la macchina per la modifica del destino e la Ragazza della Luna dell’Illusione. In quel luogo, le forze di azione e reazione palesavano i loro effetti in maniera immediata. Non avrebbe potuto spiegare in altro modo il frantumarsi della punta della spada nelle mani di Folken e il suo successivo conficcarsi nel petto di colui che era stato, un tempo, Principe di Fanelia. 

Ed era stato allora che aveva approfittato della situazione. Il suono dei suoi passi coperti dalle urla della giovane ragazza. Si era avvicinato, animato da uno strano desiderio. Da qualche parte, nel profondo della sua coscienza, si era creata un’idea, aveva formulato una ipotesi. Era passato subito all’azione, facendolo silenziosamente, senza neanche rendersi conto di ciò che stava per compiere. Sapeva solo una cosa: anche lui doveva ottenere il potere di Atlantide e non poteva lasciare che parte di quella discendenza andasse perduta.

Aveva prelevato il sangue di Folken ancora caldo e scivoloso direttamente dallo squarcio che si era aperto dal suo petto e raccolto le sue piume insanguinate. 

A quel punto era fuggito, consapevole che il suo destino e quella di tutta Gaea sarebbe stato deciso nelle ore successive. Si era voltato un’ultima volta, prima di sparire all’interno dei corridoi del palazzo di ferro e metallo che facevano sembrare quella fortezza una fucina più che una residenza reale. Prima di lasciare la grande sala guardò per un’ultima volta la Ragazza della Luna dell’Illusione. Piangeva disperata la perdita di quello che un tempo era stato un suo nemico, con le mani a coprire il viso, incapace di affrontare l’enormità delle conseguenze di quello che era appena successo. 

Si era accesa in quel momento la curiosità verso quella persona proveniente da un mondo lontano. Per quanto il suo aspetto così diverso fosse lontano dai canoni e dai costumi di Gaea, era certamente una fanciulla molto bella. Si era soffermato il tempo necessario per poterle vedere il volto e fissare i suoi lineamenti nella sua mente, come se fosse stato certo che un giorno l’avrebbe nuovamente incontrata.

Ed era stato così. 

Da quel giorno, l’ultimo della guerra, il tempo trascorso l’aveva resa ancora più bella ed affascinante.  Probabilmente perché, nonostante avesse iniziato a vestire i costumi di un’abitante di Fanelia, aveva comunque mantenuto i capelli corti e qualcosa, probabilmente nel suo atteggiamento, che non aveva mutato profondamente l’impressione generale di lei. Stava iniziando a sbocciare come donna e questo non passava inosservato. Consapevole delle conseguenze, l’aveva comunque sottratta al suo promesso sposo nel giorno in cui avrebbe dovuto diventare consorte del Re di Fanelia. Anche se erano rimaste coinvolte altre persone, adesso non aveva alcuna importanza. 

Non poteva negare che quel giorno, la fortuna era stata dalla sua parte. 

Se quel giorno il suo fedele servo non gli avesse fatto scudo con il suo stesso corpo, l’enorme scarica di energia emanata dalla ragazza che si faceva chiamare Hitomi Kanzaki avrebbe potuto segnare la sua sconfitta. Il corpo della fanciulla si era afflosciato come un giunco nell’acqua ed era riuscita a portarla via facilmente, riuscendo ad evitare, contro ogni sua migliore aspettativa, il conflitto con Van Fanel. La Ragazza della Luna dell’Illusione aveva evidentemente usato fino all’ultimo briciolo di energia poiché i suoi occhi non si erano più aperti ed il suo respiro era diventato pesante come se fosse crollata in un sonno profondo. Mentre la portava via e non solo in quell’occasione, i suoi occhi ne avevano osservato attentamente ogni suo lineamento del viso, dalle pieghe nel suo collo, dalle spalle piccole ai polsi sottili. Anche se indossava lunghi vestiti che la coprivano quasi interamente, le sue mani che la tenevano sollevata, erano riuscite a sentire che, sotto il tessuto, il corpo era sodo e tonico, cosa che di certo la rendeva diversa dalle altre donne che aveva avuto tra le braccia. Forse era vero quello che si diceva, che Hitomi proveniente dalla Terra, amasse svolgere delle intense sessioni di allenamento nella corsa e che, proprio sul suo pianeta, questa fosse un’attività svolta non per la preparazione di un guerriero, ma per puro diletto.

Il tragitto per raggiungere la piccola nave volante che li avrebbe condotti nel regno di Zaibach era stato sorprendentemente breve e non solo perché aveva raggiunto il luogo tramite le sue ali, ma perché si era letteralmente perso nei suoi pensieri mentre rimaneva ad osservarla.

Com’era la Luna dell’Illusione? Com’era governata? Com’era organizzata la società in quel pianeta ricoperto d’acqua? Quante persone vivevano nei regni più grandi e prosperi?

Avrebbe voluto farle queste e decine di altre domande. Tuttavia, pensò, non sarebbe stato così semplice stabilire una comunicazione fra loro. Non sarebbe stato facile guadagnare la sua fiducia, ma forse, lei più di chiunque altro, avrebbe compreso la natura nobile dei suoi intenti. Il suo desiderio di poter ristabilire il Potere di Atlantide era nelle loro mani. La speranza di un futuro dove l’antica linea di discendenza veniva ricreata e poi alimentata attraverso la Macchina di modifica del Destino era a portata di mano. 

Le aveva lasciato la cabina più comoda di tutta la nave, anche se era angusta e piccola e probabilmente, al suo risveglio, si sarebbe sentita comunque confusa e in pericolo. 

Adagiandola sulla brandina, il corpo di lei aveva aderito perfettamente alla superficie e le labbra si erano dischiuse a malapena, rivelando la profondità del suo stato d’incoscienza. Vedendola indifesa e vulnerabile, la sua mano si mosse da sola, sfiorandole la fronte e spostandole una ciocca di capelli dal volto fu lui, improvvisamente, a sentirsi confuso. Quella ragazza misteriosa riusciva a suscitargli uno strano fascino che nelle ultime ore si era fatto crescente. 

Continuò a guardarla a lungo, anche dopo che iniziarono a sollevarsi in volo. Per minuti interi attese, nella speranza che gli occhi di quella ragazza avessero un fremito e che sul suo viso iniziassero ad apparire segni precoci di risveglio, ma non successe. 

Diversi erano i pensieri che gli si affacciavano nella mente. Il ricordo del loro primo incontro, nella fredda Zaibach, era certamente tale solo per lui. Lei non aveva idea di ciò che aveva compiuto allora. Probabilmente, dietro quelle palpebre chiuse, i suoi occhi l’avrebbero guardato con sospetto e rimprovero, forse odio, più probabilmente disgusto, quando si fosse svegliata. L’avrebbe biasimato ed avrebbe provato repulsione per ciò che come alchimista aveva compiuto sul suo stesso corpo con il solo fine di arrivare a creare le fondamenta del suo desiderio?

Riuscirai a condividere il mio sogno con me o sarò costretto ad impiantartelo come ho dovuto fare con queste ali?

Guardandola, iniziò a temere un ostacolo che fino a quel momento aveva pensato solo di aggirare. Aveva pensato di piegare quella donna con la coercizione e la minaccia, ma adesso che lei era lì, completamente alla sua mercé, si rese conto che semplicemente non poteva farlo. 

Aveva compiuto atti riprovevoli durante il suo passato da alchimista e nessuno di questi aveva scalfito la sua incrollabile volontà. Perché questa volta, di fronte a quella fanciulla a lui del tutto sconosciuta, che aveva pensato di radunare a sé al solo scopo di raggiungere il proprio obiettivo, si era sentito vacillare? Che fosse il potere di quella ragazza? Poiché dentro di lei risiedeva lo spirito stesso di Gaea, o almeno, questo era ciò che si diceva in ogni regno, sarebbe stato impossibile nuocerle in alcun modo?

In passato, aveva rinunciato a tutto: la sua posizione di reggente ereditario, il suo titolo ed i suoi possedimenti, con il solo scopo di inseguire la verità, la scienza e la conoscenza. Per questo si era unito agli scienziati di Zaibach, per questo aveva intrapreso la via dell’alchimista. Aveva ben presto capito che gli uomini ed i regni erano soggetti alla corruzione del tempo e della morte, per cui, il suo obiettivo era riuscire a ricreare quel paradiso eterno e governare sull’imperitura pace sul mondo di Gaea. 

Tornò ad osservare la fanciulla giacere incosciente sulla brandina e allungò una mano cercando la sua fronte. Poggiando delicatamente il palmo della mano si accorse e facilmente che la temperatura del corpo era alterata. Forse un effetto secondario dell’utilizzo dei suoi poteri? Era successo già in passato, lo testimoniavano alcuni rapporti che gli erano pervenuti ai tempi in cui era un alchimista al servizio di Folken. Evidentemente, anche se all’interno della anima albergava lo spirito di Gaea, il corpo rimaneva quello di normale essere umano. Chissà quali erano gli effetti sul fisico di quella fanciulla. Chissà quanti sforzi, in passato e fino a quel momento, aveva dovuto sopportare?

Quella ragazza aveva deciso di lasciare il proprio mondo per restare sul pianeta di Gaea. Era arrivata a quella conclusione solo per il legame con il sovrano di Fanelia? Si era innamorata anche della città galleggiante Asturia e delle sue verdi praterie e colline in riva al mare? Aveva riposato protetta dalle montagne che abbracciano i territori di Fanelia e le foreste protette dai draghi? Nella Valle dell’Illusione aveva trovato un frammento della discendenza del suo stesso popolo. Cosa aveva pensato? Quali sentimenti aveva provato di fronte alla consapevolezza che umani provenienti dal suo mondo avevano creato una civiltà che aveva raggiunto la perfezione? Avrebbe abbracciato anche lei il suo sogno di poter ricostruire un mondo dove si potesse sconfiggere ogni male, ogni malattia ed infine, prevalere anche sulla morte?

Indugiò con le dita lungo il suo viso sfiorandone la guancia ed i lineamenti del volto. Sapeva che non sarebbe stato facile convincere quella ragazza della nobiltà dei suoi scopi. Inoltre, non c’era alcun dubbio che, al suo risveglio, Hitomi Kanzaki lo avrebbe certamente considerato un suo nemico.

Staccò la mano dal suo volto e scosse il capo. Non serviva che lei appoggiasse i suoi scopi affinché lui riuscisse a realizzarli. Tuttavia, in fondo, una parte di sé sperava che quella ragazza potesse diventare sua alleata nel perseguire la fondazione di un mondo ideale. Il giorno che Folken era stato ucciso era stato l’ultimo di altri episodi dove l’aveva vista coltivare la speranza, indomita e coraggiosa. Lui era lì, il giorno in cui i Soldati dalla fortuna potenziata avevano quasi raso al suolo il cuore della capitale Palace, nel regno di Asturia. Hitomi Kanzaki sapeva di essere il bersaglio di Zaibach, eppure, era uscita fuori allo scoperto allargando le braccia, rivelando la sua posizione nonostante il rischio così alto alla sua vita. Anche se allora non era altro che un sottoposto agli ordini di altri, era davvero rimasto colpito dal suo coraggio e dalla sua forza di volontà. Qualunque altra persona avrebbe certamente approfittato della protezione ricevuta da Asturia e dalle importanti amicizie che aveva intrecciato, ma invece, aveva deciso di mettere in gioco se stessa al fine di scongiurare ogni ulteriore minaccia alla popolazione.

Mosse un passo indietro, volgendo le spalle alla ragazza addormentata, avvicinandosi alla porta d’ingresso della piccola cabina. 

Avrebbe dovuto lasciarla riposare e darle il tempo di capire la situazione nella quale si trovava. 

Si accorse che dentro di sé si stavano agitando delle sensazioni e delle emozioni che non credeva avrebbe provato tanto facilmente. Una parte di lui si sentiva in colpa per l’enormità delle conseguenze che voleva imporre su quella ragazza. L’altra, invece, gli suggeriva di continuare a perseguire il suo destino, certo che le conseguenze positive sarebbero state superiori agli effetti negativi, che aveva già calcolato.

Girò ancora una volta la testa, tornando ad osservare la giovane dormiente. Si rese conto che gli risultava difficile uscire da quella stanza: avrebbe voluto continuare ad attendere che Hitomi Kanzaki si risvegliasse per poterla rassicurare e spiegare quali fossero le sue intenzioni.

Sapeva che non avrebbe capito, almeno non subito. 

Temeva di non avere molto tempo a sua disposizione, aveva scelto di porre un termine ben preciso alla sua vita facendo una scommessa: se fosse riuscito a ripristinare l’antico potere di Atlantide e ristabilire l’antica discendenza andata perduta, sarebbe scampato anche alla morte. Gaea ed i suoi abitanti avrebbero potuto conoscere una nuova era di pace e di stabilità perpetua. 

Lui ci credeva e sperava anche che avrebbe visto la stessa luce negli occhi di colei che poteva permettere di realizzare quel futuro. Se non l’avesse fatto si sarebbe trovato nella condizione di dover imporre una simile scelta con tutti i mezzi che aveva a disposizione. 

Fece, infine, un altro passo, riuscendosi a portare all’esterno della cabina. La porta si richiuse alle sue spalle con un secco rumore di ingranaggi.

Non doveva vacillare: avrebbe ucciso Van Fanel e distrutto ogni cosa si frapponesse fra lui, la Ragazza della Luna dell’Illusione e la restaurazione di una nuova Atlantide.


________________

Ciao a tutti, sono ancora io!

Ho sempre provato rammarico per aver lasciato questa storia in sospeso e, forse anche complice del fatto che sono sempre super impegnata a lavoro ho davvero pochissimo tempo per realizzare quello che, talvolta, è il frutto dei miei pensieri legati alla storia.

In questo caso ho voluto cambiare pov e inserire, in questa storia non raccontata nella long fic (che, vi dico, su word pesa già 168 kb, oltre 100 pagine), Rakos, il nostro antagonista. Qui si abbozzano le sue origini ed il suo collegamento con la storia originale (non potevo lasciare un dettaglio così importante senza un riferimento alla storia dell'anime).

Spero che questo estratto dei suoi pensieri e dei mutamenti che attraverserà dal momento in cui avrà a che fare con Hitomi vi piaccia e possa portare anche me a continuare la long fic (sono ad un empasse, purtroppo). 

Mi fa molto piacere avere avuto l'opportunità, tramite questo piccolo capitolo di potervi salutare nuovamente. Spero che vogliate lasciare un pensiero sulla storia, se ne avrete voglia.

A presto!


Usagi.

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Capitolo 3
*** Finestre socchiuse ***


The Vision of Escaflowne

«L’Ultimo Paradiso ~ Storie non raccontate »

Finestre socchiuse

 

Aveva deciso di seguire il consiglio di Millerna e aveva fatto ritorno nella sua stanza, subito dopo il rito di purificazione e di preghiera che aveva svolto d’innanzi ai protettori di Fanelia. 

Gli aveva assicurato che in quel momento Hitomi stesse riposando per cui, anche solo questo sarebbe bastato per dissuaderlo dal disturbare il suo sonno. La Reggente di Asturia gli aveva raccontato che persino qualche ora prima Hitomi era stata nuovamente colta da una delle sue visioni. Ancora una volta, l’oscuro passato di distruzione della capitale di Atlantide continuava a tormentarla facendole rivivere gli orrori che i suoi abitanti avevano provato.

Stringendo in pugno l’elsa della sua spada, il Re di Fanelia si sentì frustrato: perché solo Hitomi doveva sorreggere il peso e il ricordo di quegli eventi? Era forse lo Spirito di Gaea che albergava dentro di lei a mostrarle quelle immagini? Stava forse cercando di avvertirla di un pericolo imminente che avrebbe potuto riguardare tutti loro proprio a causa dell’antico potere di Atlantide?

Raggiunse le sue stanze e richiudendosi la porta alle spalle si avvicinò alla finestra. Era rimasta aperta e le imposte si muovevano leggermente, sospinte dal vento della sera. Sollevando lo sguardo si volse ad osservare il cielo stellato soffermandosi sulla Luna dell’Illusione, quel globo celeste la cui luce riflessa dal sole lo rendeva ancora più affascinante e misterioso al contempo. 

Grazie ad Hitomi aveva potuto imparare molte cose sulle usanze e sulle abitudini degli esseri umani che vivevano su quella che lei aveva definito essere il pianeta Terra. Si domandò ancora una volta, come spesso gli accadeva negli ultimi tempi, se fosse stato un bene, per Hitomi, essere rimasta su Gaea. Rimanere insieme gli aveva restituito una felicità che per anni aveva creduto di non poter più trovare, ma questo valeva il prezzo della sicurezza della persona che amava? Sin da quando la guerra contro Zaibach aveva imperversato si era più volte chiesto se fosse giusto che Hitomi ne fosse così tanto coinvolta in prima persona, lei che di fatto non apparteneva a quel mondo. E quando la guerra si era conclusa, Gaea fra tutti aveva reclamato proprio la sua vita in cambio della salvezza di tutti gli altri. C’era qualcosa di profondamente ingiusto nel come si erano svolti gli eventi fino a quel momento. Una parte di lui, nascosta nella profondità dei recessi del suo animo, avrebbe sempre vissuto nel timore che Hitomi potesse rendersi conto di quanto la sua vita fosse stata negativamente influenzata dalla sua venuta su Gaea e che per questo avrebbe incominciato ad odiare quella situazione e, di conseguenza, detestare anche lui. Strinse le mani che erano appoggiate sul davanzale della finestra facendosi diventare le nocche bianche dallo sforzo: il suo unico compito doveva essere quello di proteggerla e di tenerla al sicuro. 

Van Fanel non poteva impedire che Hitomi avesse quelle visioni, l’unica cosa che poteva fare era impedire che qualsiasi cosa potesse nuocerle. L’Uomo Camaleonte era ancora lì fuori, da qualche parte. Anche in quel momento probabilmente li stava osservando, cercando una breccia nella loro difesa, di un momento propizio per colpire. Anche i rappresentanti del Regno di Basram sarebbero giunti domani mattina, ma chissà che qualcuna delle loro spie non fosse già stata accolta a palazzo. 

C’erano dei limiti alle cose che poteva fare ma avrebbe fatto il possibile. Continuare a pensarci gli avrebbe tolto il sonno.

Ripensò alle parole di Millerna e al fatto che entrambi, colmi delle loro preoccupazioni, non stavano riuscendo a godersi la trepidazione del momento più bello. Domani sarebbero stati finalmente insieme, la loro unione benedetta dagli Dei e celebrata dal suo popolo. Van sentì il cuore accelerare e il desiderio farsi strada. 

Durante la missione che li aveva portati nuovamente alla Valle dell’Illusione Van aveva avuto modo di condividere dei momenti sufficientemente intimi affinché i suoi ricordi ed i suoi pensieri venissero poi successivamente rievocati. L’aveva stretta dormiente sfiorandole il viso, sentendo il suo morbido corpo contro il proprio. Anche se in quei momenti il pericolo aveva reso quei contatti più dolci dalla preoccupazione per la salute di Hitomi e dalla freschezza dei sentimenti da poco condivisi, negli ultimi periodi, invece, le cose erano profondamente cambiate. Lui stesso faceva fatica a frenarsi, ogni volta che la baciava, ogni volta che la stringeva a sé e diventava sempre più complesso quanto più tempo trascorrevano insieme. I recenti avvenimenti avevano portato entrambi alla necessità di doversi soffermare su altri pericoli ma Van ricordava chiaramente l’ultima volta che aveva sentito l’odore della sua pelle sfiorando la carne tenera del collo con le labbra. Il gemito che si era liberato dalle sue labbra gli aveva letteralmente fatto ribollire il sangue nelle vene e aveva deciso di fermarsi dal procedere oltre solo perché era stato immediatamente consapevole che quello non sarebbe stato il momento giusto, non adatto ad Hitomi, ad entrambi. 

Il giorno successivo sarebbe cambiato tutto. Sarebbe diventata sua moglie e non avrebbe più dovuto trattenersi dall’amarla come avrebbe desiderato fare già da molto tempo. Van si sentiva abbastanza sicuro che il suo stesso desiderio albergasse anche in lei. Ne aveva avuto la prova dall’arrendevolezza dei suoi gesti, di come il suo corpo non solo sembrasse assecondare i suoi movimenti ma volesse anche effettivamente accoglierlo fra le sue braccia. Anche se Hitomi arrossiva quando i suoi baci si facevano più intensi lui non aveva mai visto l’ombra del dubbio attraversare i suoi occhi e c’era sempre stato assenso e, alla fine, il rammarico e l’imbarazzo quando tutto aveva fine troppo presto. 

Con la mente che iniziava ad esplorare nuovi confini e nuove possibilità, il Re di Fanelia riuscì per un momento a dimenticare i pericoli e le preoccupazioni dei giorni precedenti. 

Osservò attentamente il cortile all’esterno, puntando in una direzione ben precisa e non troppo distante da dove si trovava una particolare finestra di suo interesse. 

Forse poteva… se avesse ben sfruttato le zone d’ombra che offrivano gli alberi in quel lato del castello. Slacciò la spada, appoggiandola alla parete vicina, così non gli sarebbe stata d’intralcio. Con un saltello, si rannicchiò sul davanzale della finestra e, tenendosi in equilibrio con il braccio destro sul montante dell’apertura, rimase per un minuto buono ad osservare i movimenti delle guardie che pattugliavano nella zona. Fu un tempo sufficiente per comprendere come poteva muoversi.

Lasciò la sua stanza in quel modo, con un fruscio a malapena udibile nell’oscurità.

Forse in futuro avrebbe ricordato ad Hitomi di chiudere le finestre prima di andare a dormire, ma non lo avrebbe fatto di certo proprio quel giorno. Quella sua dimenticanza aveva rappresentato una fortuna insperata. Credeva che si sarebbe limitato ad osservarla dormire a debita distanza, magari dall’albero vicino, ma la brezza della sera aveva leggermente fatto muovere le imposte, rivelando che la finestra della sua stanza non era stata chiusa perfettamente. 

Era come aveva detto Millerna: Hitomi era scivolata in un sonno profondo e a giudicare dal suo viso rilassato, al momento il suo riposo era sereno, apparentemente non intaccato da alcun sogno infausto. La camera era illuminata delicatamente dalla luce emanata dalla Luna dell’Illusione e Van poté chiaramente intravedere le sinuose linee del corpo della donna che amava intuendole da come le sottili lenzuola indugiavano in alcuni punti strategici. 

Probabilmente i suoi pensieri erano stati uditi dalla ragazza proveniente dalla Luna dell’Illusione, perché all’improvviso si era voltata di lato e il lenzuolo che prima l’aveva coperta fin quasi alle spalle era scivolato in basso, all’altezza dello stomaco. A quel punto il respiro gli si mozzò in gola: vide una cosa che non si aspettava. Hitomi indossava un indumento che doveva certamente appartenere al suo esiguo corredo che si era portata con sé quando era venuta dal suo mondo. Le bretelline sottili, lievemente scivolate di lato, mettevano in risalto una scollatura audacemente ampia sul davanti. Nonostante l’oscurità e i pochi metri di distanza che li separavano, era in grado di vedere abbastanza senza neanche che la sua fantasia dovesse sforzarsi troppo di colmare i particolari. Adesso, lui era Van Fanel, sovrano del Regno di Fanelia, guida e protettore del suo popolo, avrebbe dovuto certamente distogliere lo sguardo, girare i tacchi e tornare nella sua stanza, maledicendosi e biasimando se stesso per aver anche solo pensato di essere stato il tipo di persona che non si pone alcuno scrupolo ad osservare una donna in un momento di piena vulnerabilità, al sicuro nella sua stanza. Invece, a dispetto di se stesso, Van Fanel non riuscì a smettere di guardare. 

Era così… bella. Nonostante non potesse in alcun modo sottrarsi al desiderio che quella vista gli suscitava, nel Re di Fanelia non c’erano soltanto pensieri di quel tipo. Hitomi giaceva addormentata con in volto un’espressione così serena che Van avrebbe voluto sempre vedere nel suo viso. L’intera figura della donna dormiente gli restituiva anche un senso di tranquillità e di purezza che avrebbe voluto che non venisse mai intaccata. Riuscì ad entrare senza essere visto né udito, ringraziando quelle doti che il suo maestro Balgus gli aveva permesso di apprendere molti anni prima. Certo, sicuramente il più importante dei generali di Fanelia non avrebbe di certo approvato il modo in cui stava utilizzando quelle capacità che con tanto sforzo gli aveva trasmesso, ma in quel momento avrebbe rischiato di essere aspramente rimproverato come quando era un bambino.

Forse il sonno di Hitomi era comunque davvero molto pesante in quel momento, poiché non diede alcuna impressine di averlo sentito quando si era mosso di alcuni passi in sua direzione. Van stava respirando così silenziosamente che, in quell’oscurità, l’unico suono che percepiva, insieme al respiro profondo di lei, era il battito accelerato del suo cuore.  

Il desiderio di toccarla, anche solo di sfiorarla per un momento, gli fece allungare una mano. Dopo qualche istante, tuttavia, la ritrasse: non doveva rischiare di svegliarla. Innanzitutto, si sarebbe di certo spaventata se lo avesse scoperto intento a fissarla e, soprattutto, si sarebbe certamente arrabbiata se fosse stata vista proprio in quel momento che era quasi del tutto… svestita. Da quella distanza riusciva a vedere ancora meglio: le sue labbra leggermente dischiuse così rosee erano decisamente invitanti; la piega del suo collo – che tanto gli piaceva torturare – era lievemente tesa a causa della testa lievemente reclinata di lato. Si era portata un braccio in alto, ad appoggiarsi al cuscino sopra la testa, e questo aveva reso quello strano indumento ancora più aderente proprio in un punto che aveva attirato sin da subito il suo sguardo. Van si riscoprì con la gola secca mentre seguiva con gli occhi la linea del suo seno e il punto culminante, lì dove il tessuto non riusciva a nascondere la delicata protuberanza. Sentendosi eccitato ed imbarazzato al contempo, fece un passo indietro, finendo per urtare leggermente una sedia che aveva già visto nel momento stesso in cui era entrato ma che, in quel momento, sembrava davvero passato in secondo piano. Con il cuore in gola, Hitomi mugolò a labbra dischiuse qualcosa nel sonno e, per un lunghissimo momento, Van temette che fosse in procinto di svegliarsi. 

Tornò a riprendere fiato quando capì che non lo avrebbe fatto e che aveva ancora una possibilità di uscire da quella stanza senza che venisse scoperto.

Una folata di vento entrò con maggiore vigore nella stanza la cui finestra, già completamente aperta da Van, scosse le delicate tende che erano state applicate sulla parte interna. Il sovrano di Fanelia però udì un nuovo rumore proveniente da un punto ben preciso della camera. Volse lo sguardo di rimando, seguendo il suono accorgendosi che sulla scrivania di legno addossata alla parete, insieme ad alcuni effetti personali di Hitomi c’erano anche poggiati i suoi tarocchi. La carta sommitale si era staccata dal mazzo e stava sventolando ancora sospinta dal vento. Seguì il suo movimento senza che neanche venne richiamato dall’impulso di cercare di raccoglierla, che era già finita al suolo in prossimità dei suoi piedi. In tutto quel tempo trascorso insieme, non era mancata l’occasione di chiedere ad Hitomi circa il significato delle carte, quanto meno delle più importanti. Ricordava chiaramente di aver appreso il significato di quelli che lei aveva chiamato “Arcani Maggiori” e, forse un giorno avrebbe continuato ad approfondire gli studi delle altre carte che componevano il grande mazzo. Van si chinò ignorando volutamente il brivido che gli era risalito lungo la schiena. Il silenzio della camera sembrava essere diventato quasi innaturale. Si sentiva inaspettatamente a disagio, come se avesse un brutto presentimento. Raccolse la carta senza produrre il minimo suono.

Un uomo con un bastone alla cui estremità è legato un fagotto. Un grosso cane dal manto scuro è con lui. Riconoscerebbe quella figura anche se le sue dita non stessero parzialmente nascondendo il nome della carta, visto che l’ha sollevata nella sua posizione rovesciata: il Pazzo.

 Van sbatte le palpebre una volta sola, e tutto intorno a lui era cambiato.

« Attraverso la sua forza sarà possibile ripristinare l’antico potere di Atlantide. »

Sentendo l’urgenza del pericolo scorrere nel suo sangue pompando anche adrenalina, Van si voltò in direzione della voce che aveva udito. Ciò che vide lo spiazzò. Hitomi giaceva priva di conoscenza tra le braccia di un uomo con delle folte ali nere. No, quelle ali nere erano come quelle di suo fratello: corrotte dal potere della Macchina di Atlantide. Non fu però quella vista a turbarlo lungamente, ma il fatto che Hitomi fosse completamente nuda e che il suo viso fosse mortalmente pallido.

Prima che potesse anche solo reagire d’innanzi a quella vista, i suoi occhi si erano richiusi e riaperti nuovamente, facendolo ritornare nella stanza di Hitomi, dove lei giaceva ancora addormentata, e, cosa immensamente più importante, al sicuro. Van però si accorse che il ciondolo rosso che la ragazza portava ancora sempre con sé, stava lentamente perdendo la sua luce, come se si fosse attivato per un breve momento.

Non c’era alcun dubbio. Quella era stata una visione. 

Cercò di contenere l’impulso di nausea che improvvisamente gli era salito dallo stomaco. Lei stava così tutte le volte? Pensò, cercando di trattenersi, proprio per non fare ulteriore rumore. La visione stava velocemente svanendo dalla sua mente. Si sentì smarrito con ancora la carta in mano e i ricordi che diventavano sempre più evanescenti. Stava sparendo velocemente anche il senso di nausea. Non gli restava altro che osservare la carta e cercare di darne una definizione: “Il Pazzo”. Nella sua accezione, quando la carta si presentava rovesciata, gli aveva detto di Hitomi, è indice di una follia perversa, dissoluta e violenta, senza scrupoli. 

Nel breve momento che era durata la sua visione aveva visto qualcuno e… sicuramente c’era anche Hitomi. Più continuava a ripensarci più difficile sembrava ricordare cosa avesse veramente visto, lo stesso sforzo inutile di quando si tentava di ricordare un sogno il mattino successivo.

Il suo sguardo cercò ancora una volta la figura della ragazza dormiente il cui sonno non era stato intaccato da tutto quello che era successo nella sua stanza, fino a quel momento. Van allungò un braccio, portandosi verso dove giacevano, ordinate in pila, le carte. Con delicatezza decise di posizionare il tarocco che aveva tra le mani in un qualsiasi punto nel mazzo, scegliendo volontariamente di non dare un ordine prestabilito. La serenità del sonno di Hitomi dissipò ogni suo dubbio. Chinandosi leggermente, sfiorò con le mani una ciocca di capelli all’altezza della fronte: fu un tocco così leggero che la ragazza sembrò non avvertirlo neanche. 

Quello era già più che sufficiente a calmare i suoi pensieri e a trasmettergli nuova fiducia sul futuro. 

L’avrebbe protetta anche a costo della sua stessa vita. 

 

Era ancora notte inoltrata quando Hitomi aprì gli occhi, ridestandosi delicatamente. Si rese conto immediatamente che aveva lasciato la finestra aperta e la luce della luna e delle stelle illuminava leggermente l’ambiente. Si sarebbe svegliata non appena il primo raggio di sole si fosse riversato su Fanelia. Avrebbe potuto dormire ancora un po’ se avesse ben chiuso le tende. 

Si mise in piedi, scostando di lato le coperte che forse erano troppo pesanti per quel periodo e che negli ultimi giorni l’avevano costretta a riprendere dalla sua borsa degli allenamenti un vecchio top leggero che lasciava le braccia e le spalle completamente scoperte. In quel modo non aveva sofferto il caldo che probabilmente era un po’ in anticipo per la consueta stagione lì a Fanelia. 

Quando fu vicina alle imposte, Hitomi sussultò. Sul davanzale vide una piuma bianca poggiata, prossima quasi a volare via. Sembrava proprio una piuma delle ali di Van. Allungò una mano, cercando di prenderla, ma quando le dita l’ebbero sfiorata, quest’ultima si smaterializzò esattamente come aveva fatto tempo addietro, quando si trovava sulla Terra.  Questa volta non ci fu sorpresa o turbamento. Le labbra di Hitomi si allungarono istintivamente verso l’alto. Si guardò indietro, osservando la stanza. Non vide nulla che fosse fuori posto, ma in qualche modo una consapevolezza si fece strada nella sua mente. 

Tornò a dormire, inaspettatamente felice ed emozionata. 

Fra qualche ora avrebbe sposato l’uomo che amava. E, per questo, non sarebbe più stato necessario lasciare le finestre socchiuse.


___________________________


Ciao a tutti!

Sono felice che ancora qualcuno di voi abbia interesse nel leggere le mie storie dedicate ad Escaflowne. Questo mi ha dato una nuova spinta creativa nell'aggiungere un nuovo episodio in questa raccolta. Il tono, questa volta, è decisamente più dolce e il punto di vista è quello di Van. 

Sto cercando di procedere anche con la long fic, "L'Ultimo paradiso" ma mi sono resa conto che ho già superato le 100 cartelle di word e sono arrivata in un punto un po' ostico, dove faccio fatica ad andare avanti con la storia. 

A questo punto, mi piacerebbe sapere se c'è qualche parte che vorreste che approfondisca: sono ufficialmente aperta alle richieste e ai suggerimenti. C'è qualcosa, o qualcuno in particolare di cui vorreste leggere?

Fatemi sapere con un commento e prometto che farò del mio meglio!


A presto!

Usagi.

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Capitolo 4
*** Stessi Ideali, mezzi diversi ***


The Vision of Escaflowne

«L’Ultimo Paradiso ~ Storie non raccontate »

Stessi ideali, mezzi diversi

 

Van stringeva in mano la pesante sfera che l’Uomo Camaleonte gli aveva recapitato direttamente, riuscendo, ancora una volta e, questa volta, sotto il proprio naso, a sfuggirgli. Lui conosceva bene quell’oggetto. Ne possedeva una uguale da qualche parte nella sua stanza, in qualche modo sfuggita alla distruzione che Zaibach aveva riversato sulla sua città e sul suo castello. 

Era stato un dono che sua madre aveva fatto ad entrambi, a lui e a suo fratello quando lui era ancora un bambino. 

Una sfera scura pesante, dove mani esperte che erano appartenuti ai discendenti di Atlantide avevano creato con la forza dei loro desideri una scrittura fitta, impossibile da leggere se non per coloro in grado di interpretare il complicato alfabeto atlantideo. La forma perfetta, se osservata da vicino, narrava la storia della nascita e della grandezza della loro patria perduta. Ma da lontano, le parole in qualche modo mostravano il disegno di una torre, avvolta dalle ali di un grifone nelle cui zampe s’incrociavano due spade. Se anche le parole non fossero sufficienti, anche quelle figure sarebbero state un monito, o almeno così gli era stato spiegato da sua madre. Era una storia che gli era stata narrata più volte da bambino. Sua madre lo aveva fatto ancora, un’ultima volta, prima di andare alla ricerca di suo fratello, il giorno in cui aveva lasciato il palazzo.

La caduta di Atlantide.

Era probabilmente la stessa storia che era stata sepolta e sigillata con la Spada dei principi di Freid, aveva dedotto Van, riuscendo a ricordare alcuni punti in comune con il racconto narrata da sua madre e il frammento narrato da Cyd. In qualche modo, costretto all’esilio, il Popolo di Atlantide aveva usato le proprie energie per sigillare il loro potere e tramandare gli avvertimenti a coloro che osavano solo immaginare di afferrare quel potere. 

Così Van, concentrato su quei pensieri, aveva finito per arrivare direttamente nella stanza dove era stato posizionato il suo guymelef.

Quanto poco sarebbe durato il riposo dell’Escaflowne? Van continuava a fissare la grande armatura vuota, posta di fronte a lui, senza riuscire a darsi una risposta. 

La sensazione del pericolo imminente riusciva persino a distoglierlo dalla gioia che avrebbe provato non più tardi dell’indomani. Il giorno successivo avrebbe finalmente sposato Hitomi. 

Gli avevano riferito che l’Escaflowne aveva appena concluso la manutenzione e si trovava quindi in posizione seduta, che avrebbe agevolato un rapido controllo delle parti funzionali e il facile raggiungimento delle varie componenti ai meccanici deputati al suo controllo. Presto sarebbe stato posizionato nel cortile interno. Al fine di assicurarsi che sarebbe stato facilmente raggiungibile in caso di bisogno.

Per tanto tempo, ai tempi della guerra contro Zaibach, Van si era occupato in prima persona dell’Escaflowne: affilando la grande spada, cucendo i lembi sgualciti del grande mantello e smussando i graffi, per preservare la corazza stessa, ma niente superava una vera e propria manutenzione svolta da meccanici professionisti. In passato aveva apprezzato il lavoro che avevano svolto i tecnici ad Asturia, ma il Sovrano di Fanelia trovava sincero piacere nel dedicarsi personalmente a quell’attività. Da quella vicinanza Van ne aveva tratto una comunione profonda, un legame simbiotico, le cui conseguenze lo avevano atterrito e quasi condotto alla morte, ma che adesso non rifuggiva più e aveva imparato a non temere.

Sollevò entrambe le braccia e a palmi aperti si appoggiò alla struttura centrale, vicino a dove splendeva la gemma dell’energyst, pulsante di potere vitale. Il cuore di un Drago della terra. 

Chiudendo gli occhi, Van riuscì a sentire facilmente il battito dell’essere che giaceva all’interno della grande corazza. Il drago a cui aveva sottratto il cuore non aveva smesso di vivere. Certo, doveva essere stato sottratto ad un drago della terra vivente, ma l’anima di quell’essere continuava a vibrare di volontà dall’interno del guymelef. Dopotutto, più di una volta l’Escaflowne aveva dimostrato di avere una volontà sua. Esso si era attivato anche in assenza del suo cavaliere, aveva subito trasformazioni e potenziamenti guidato solo dalla forza di volontà del Re di Fanelia ed era stato suo compagno più di ogni altro soldato, di ogni altro generale, fedele nelle innumerevoli battaglie che aveva dovuto sostenere. Come di consueto, nella sua mente si visualizzarono gli ingranaggi e i movimenti che l’Escaflowne compiva nel momento della sua attivazione e la comunione totale fu assoluta e immediata. Quegli esercizi di visualizzazione erano tratti dagli insegnamenti di Hitomi e, nonostante fosse passato tempo dall’ultima battaglia decisiva, la sensazione di allora si era appena rinnovata al semplice tocco della corazza.

Van..

Riaprì gli occhi di scatto, sollevando il capo in un misto tra la perplessità e lo stato di allerta. Con la coda dell’occhio si rese conto che l’energyst aveva ripreso a brillare con più intensità, richiamando la sua forza dall’interno.

Van aveva riconosciuto la voce di sua madre, per quanto fosse stata lontana e fugace. 

Proprio in quel momento dalla gemma scaturì un fascio di luce intenso che ebbe l’effetto di accecarlo. Il fastidio durò solo qualche attimo e quando il sovrano di Fanelia riaprì gli occhi si ritrovò sua madre di fronte a lui.

« Il potere di Atlantide deve rimanere sigillato. Altrimenti un grande pericolo potrebbe avvolgere per una seconda volta l’intero pianeta di Gaea. »

Superato lo stupore iniziale, Van oramai aveva capito che lo spirito di sua madre, si palesava solo in caso di estrema necessità.

« Madre, ditemi chi è il mio nemico! »

Tuttavia, Varye rimase al suo posto, con le braccia conserte e l’espressione preoccupata. Socchiuse appena gli occhi, scuotendo leggermente il capo.

« Questa volta dovrai confrontarti con qualcuno che ha la tua stessa forza di volontà, la tua stessa motivazione. Qualcuno che aveva gli stessi ideali di tuo fratello. »

Van strinse i pugni: detestava il modo in cui certe frasi fossero inevitabilmente criptiche. Avrebbe voluto maggiore chiarezza.

Bisogna avere fiducia nelle persone…

Era stata Hitomi a dirglielo più di una volta, quando era stato necessario chiarirsi con suo Fratello.

Sua madre non aveva ancora finito, cercò il suo sguardo.

« Non è contro un destino di distruzione che dovrai lottare, ma con la forza di volontà di colui che vuole la ricostruzione del nostro antico Regno. Il desiderio di colui che vorrebbe riportare in vita il passato con lo stesso strumento che ne ha decretato la sua caduta. »

In quel momento Varye svanì all’improvviso e Van si riebbe ed era nuovamente solo, di fronte l’Escaflowne. La gemma non brillava più come prima.

Era angustiato. La visione era durata così poco al punto tale da lasciarlo confuso e senza fiato. 

La prima reazione fu quella di stringere i pugni. Poco dopo, iniziò a riflettere sulle parole che aveva detto sua madre. Trovò ancora una volta, facilmente, il punto della questione: il Potere di Atlantide.

Ancora una volta, l’ambizione di qualcuno verso un potere troppo grande per essere gestito e che aveva condotto alla distruzione una intera popolazione e, dopo la Guerra contro Zaibach, aveva quasi trascinato l’intero pianeta di Gaea verso un punto di non ritorno era ciò che minacciava il loro futuro.

Per quanto Hitomi si fosse sacrificata, per quanto tutti loro avessero combattuto per scoprire il segreto di Atlantide e difendere il loro pianeta, la sete di potere personale metteva al rischio la pace che stavano adesso cercando di ricostruire.

Van si rese conto di aver ancora tra le mani la sfera scura. 

Non c’era alcun dubbio, quella era la sfera appartenuta a suo fratello. Perché era in possesso dell’Uomo Camaleonte? Forse era stata sottratta quando le truppe di Zaibach si erano intrufolati nel castello? Il Principe di Fanelia scosse il capo: no. Da qualche parte, nella sua mente, aveva recuperato il ricordo di Folken prenderla con sé poco prima di partire per la Foresta dove avrebbe avuto luogo la caccia al Drago. Sarebbe stato un amuleto porta fortuna, aveva detto, con un sorriso sul volto.

Quindi era stata sottratta a suo fratello, non era andata perduta come per lungo tempo aveva creduto.

Doveva esserci un legame. Ma perché il suo nemico avrebbe dovuto fargli recapitare un messaggio come quello e lasciargli intendere quelle che potevano essere le sue intenzioni ed i suoi piani?

“Qualcuno che ha gli stessi ideali di tuo fratello.”

Sua madre aveva tentato di dare un suggerimento, aveva cercato di dargli un indizio, ma in quel momento il Sovrano di Fanelia aveva solo a malapena iniziato a capire.

 

_____________

« Anche queste ali diverranno nere e mi condurranno alla morte. Ma io, a differenza di vostro fratello, so già cosa desidero e come impiegare il tempo che mi rimane. Attraverso questa ragazza riuscirò a ricreare la stirpe di Atlantide e allora, sarò in grado di ristabilire quel mondo meraviglioso senza che esso venga corrotto dall’avidità. »

Erano state queste le parole dette da Rakos di Basram poco prima di fuggire con Hitomi con sé.

Quei pochi istanti gli si erano impressi a fuoco nella mente. Continuava a biasimare sé stesso: ancora una volta non era stato in grado di proteggerla. Aveva lasciato che la portasse via.

Erano rimasti tutti coinvolti dall’incredibile potere che Hitomi aveva manifestato in un ultimo tentativo, disperato, di proteggersi. Se quell’uomo non era stato colpito direttamente lo doveva unicamente all’Uomo-Camaleonte che si era letteralmente frapposto all’onda d’urto che, invece, a lui lo aveva travolto in pieno. 

Van aveva riflettuto a lungo sul quel fenomeno. Hitomi aveva evocato la stessa energia che più di una volta era stata in grado di richiamare una colonna di luce. Il suo primo tentativo era stato, evidentemente, di fuggire. Verso la Luna dell’Illusione? Verso la sua Terra? O forse era stata incapace di controllare quel flusso di energia ed essa era finita letteralmente per sfuggirle provocando quella enorme forza capace di scaraventarlo al suolo e prosciugarlo di ogni energia?

L’aveva vista afflosciarsi al suolo, consumata dalla sua stessa forza, accendersi di potere ed esaurirsi qualche istante dopo, inerme. In quell’occasione, aveva scorto di sfuggita anche il volto di Rakos era… inebriato da quella manifestazione di forza. Un lampo di paura gli aveva attraversato lo sguardo e Van lo aveva visto: una luce d’ambizione all’idea che quella forza potesse appartenere a lui, che potesse usarla e… piegarla al suo volere. 

Aveva fatto la stessa cosa a suo fratello? Era rimasto ammaliato dal suo potere e in qualche modo glielo aveva sottratto? Lo aveva detto lui stesso: era stato durante il tentativo da parte di Folken di uccidere l’imperatore Dornkirk che lui aveva trovato un’occasione. Come aveva fatto quell’uomo a sottrarre per sé quelle ali? 

Il desiderio di colui che vorrebbe riportare in vita il passato con lo stesso strumento che ne ha decretato la sua caduta.”

Van si era appena rimesso in piedi e aveva urlato più di una volta il nome di Hitomi a vuoto, colmo di frustrazione. Aveva ancora fra le mani il ciondolo di lei, sapendo che a darglielo, con la sola forza di volontà, era stato l’estremo gesto disperato di preservare il loro legame, comunque andassero le cose.

Lacrime di disperazione gli pizzicarono gli occhi quando si rese conto che le sue ali non avrebbero collaborato, l’Escaflowne era troppo lontano e Rakos, in quel modo, avrebbe fatto facilmente perdere le sue tracce.

Ripensò a quelle che erano state le parole di sua madre e finalmente fu tutto più chiaro. 

Hitomi era la chiave per riattivare il potere di Atlantide. Lei proveniva dalla Luna dell’Illusione, lo stesso luogo da dove erano arrivati coloro che avevano creato Gaea. 

La conseguenza inevitabile del corso dei suoi pensieri ebbe la forza di essere devastante sia per il suo spirito combattivo che per il suo corpo. Si sentì letteralmente afferrare dal terrore e cadde nuovamente sulle sue ginocchia. 

Rakos di Basram voleva ricreare la Stirpe di Atlantide e lo avrebbe fatto grazie ad Hitomi. Aveva orchestrato il rapimento proprio il giorno delle nozze per un motivo ben preciso. 

Dallo stomaco risalì un conato di vomito e fu inutile il tentativo di chiudersi la bocca per interromperlo, dopo qualche istante ebbe uno spasmo e fece appena in tempo a sporgersi in avanti e rimise quel poco che aveva avuto nello stomaco lì stesso.

Van non osava pensare a quello che sarebbe potuto succedere ad Hitomi. Se quell’uomo avesse anche solo tentato di… non voleva neanche sussurrarlo con la mente. Lo avrebbe ucciso con le sue stesse mani se solo l’avesse sfiorata con un dito.

Doveva impedirlo. Doveva assolutamente impedirlo.

Sentì delle voci a distanza, segno che qualcuno si stava avvicinando in quella direzione.

« Vostra Maestà! » dal fitto degli alberi emerse un soldato. Si fermò immediatamente alla vista del Re di Fanelia a torso nudo, con le ali ripiegate pesantemente verso il basso e il viso reclinato verso l’alto.

Piume grigie e bianche erano sparse tutt’intorno e, ancora qualcuna di esse ricadeva dolcemente verso il basso sfiorando il corpo di Van e finendo delicatamente al suolo.

Il Sovrano di Fanelia strinse il pugno lì dove giaceva il ciondolo di Hitomi.

Rimase in silenzio con lo sguardo rivolto verso il cielo azzurro e gli occhi fissi chissà dove in lontananza.

 

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Rieccoci!

Sono imperdonabile, è passato davvero tantissimo da quest'ultimo frammento che avevo in cantiere già da un bel po'.

Questa shot deriva direttamente da una richiesta di Rebel Force, che avrebbe voluto un intervento di Varye per dare qualche indizio e spunto in più a Van. 

Non so se il risultato che ho prodotto è in linea con le tue aspettative e, ovviamente, con quelle di tutte voi, ma sento di aver dato un tassello importante e di star approfondendo di più degli aspetti che nella longfic finiscono per essere marginali.

Il mio obiettivo è cercare di rimanere quanto più possibile in-character proprio per poter dare continuità al progetto e permettere al carattere dei personaggi di svilupparsi pur senza perdere i riferimenti con la loro versione originale.

Spero di essere riuscita a fare anche questo.

Sarei felice di sapere cosa ne pensate, soprattutto dei lettori silenziosi!

A presto!

Usagi.

 

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Capitolo 5
*** Un Pantalone di Jeans ***


The Vision of Escaflowne

«L’Ultimo Paradiso ~ Storie non raccontate »

Un pantalone di Jeans

 

Quel giorno aveva avuto nostalgia di casa.

La sensazione era strisciata dentro di lei sul finire del giorno, quando le ombre avevano iniziato ad allungarsi nel grande palazzo di Fanelia. 

Era rimasta senza fare nulla e aveva pensato di andare a correre, giusto per liberare la mente e concentrarsi unicamente sul tenere il ritmo ed il respiro. La corsa le era sempre servita per schiarirsi la mente, rilasciare l’energia in eccesso quando si sentiva agitata ma oggi… oggi avrebbe voluto correre per ricordare i pomeriggi dopo la scuola, quando la pista d’atletica diventava il luogo della sfida, contro i suoi compagni certo, ma in primo luogo, con se stessa. 

Per questo quando aveva trovato il suo borsone – i cui segni di usura e del tempo iniziavano già a vedersi – e solo in quel momento, era riuscita a riconoscere la sensazione che stava provando. 

Forse avrebbe potuto condividere alcuni momenti divertenti che le erano venuti in mente con Van, come di quella volta che era inciampata proprio sulla linea di partenza, poiché era stata in grado di mettere scorrettamente le scarpe sui blocchi di partenza. Praticamente era stata la prima persona sulla faccia della terra ad essere miseramente caduta dopo neanche un passo. Yukari aveva riso fino a piegarsi in avanti con le mani strette allo stomaco, le lacrime che le punteggiavano gli occhi, quel pomeriggio l’aveva presa in giro fino a quando non si erano separate di ritorno sulla strada di casa. 

Quei pensieri le fecero salire le lacrime agli occhi per la nostalgia.

Non c’era stato un singolo momento nella quale avesse osato pentirsi della sua scelta di rimanere su Gaea. Sapeva che quello era il suo destino e lo aveva accettato con gioia, grata per la fortuna che le era capitata. Aveva trovato l’amore, degli amici che la volevano bene e tutti loro erano come una grande famiglia. Forse, in fondo al suo cuore, aveva sempre saputo di essere destinata a qualcosa più. Anche quando era solo una studentessa e leggeva i tarocchi per diletto le era capitato più volte di imbattersi in quelle strane previsioni di cambiamento che all’epoca aveva semplicemente attribuito all’aver cambiato scuola, all’aver conosciuto persone diverse e dell’essersi innamorata per la prima volta. Per il Senpai Amano non era stata che una cotta, se ne era resa conto proprio quando era arrivata su Gaea, la velocità con cui i suoi sentimenti erano cambiati le aveva fatto ben presto comprendere qual era la vera natura delle cose. 

Le lacrime le offuscarono la vista e, con le mani infilate all’interno del borsone, le sue dita intercettarono qualcosa che non si aspettava. Si accertò meglio scivolando con due polpastrelli sul tessuto ma quando afferrò l’indumento facendolo uscire dal borsone non poté credere ai suoi occhi. 

C’era un pantalone di jeans.

Era uno di quelli che aveva comprato qualche settimana prima della sua partenza su Gaea, riconobbe. 

Come faceva quell’oggetto ad essere arrivato fin lì? 

Ricordava esattamente che oltre la divisa scolastica e pochissime altre cose (tra cui un lettore cd e il suo cercapersone che teneva come una reliquia) quel giorno aveva avuto con sé lo stretto necessario per allenarsi. 

Sollevò in alto i jeans, perfettamente certa di non averli mai avuti prima di quel momento. 

Lo stupore le aveva fatto asciugare gli occhi e adesso si sentiva curiosa ed estremamente desiderosa di indossarli. 

Senza indugiare un solo istante, iniziò a spogliarsi. Fino a qualche tempo fa avrebbe faticato per lunghi minuti prima di capire quale fosse il corretto ordine per togliere tutti quei vestiti. Lo stile di Fanelia ricordava molto quello del Giappone feudale, per cui aveva confidenza con gli indumenti tradizionali, eppure, nell’indossare lo yukata aveva sempre avuto il supporto di sua madre. 

Abbandonò i vestiti dove avrebbe facilmente potuto riprenderli e ben presto restò praticamente nuda. Non le era ancora passata la sensazione che le mancasse qualcosa addosso, visto che – al massimo – solo la moda di Asturia concedeva un bustino. Prima o poi si sarebbe abituata a non portare un reggiseno. Quello che aveva avuto con sé lo aveva conservato per ricordo quando aveva constatato con soddisfazione che negli ultimi mesi era cresciuta anche da quel punto di vista, così da renderlo inutilizzabile. 

Sentire il tessuto aderire alle proprie gambe le provocò un brivido di puro piacere. Quando riuscì senza fatica ad abbottonare i due lembi e a sollevare la zip le venne quasi di saltellare sul posto dalla gioia. Evidentemente era cresciuta solo nei punti giusti, pensò, cercando di guardare l’effetto che il pantalone aderente le faceva sul posteriore. 

Oh, era così bello indossare abiti normali!

La brezza fresca le solleticò la pelle nuda del seno facendola rabbrividire. Forse avrebbe dovuto trovare qualcosa da mettersi su. Chinandosi, cercò la camicetta della sua divisa scolastica. La trovò e la indossò senza fatica. Come ricordava, adesso le stava maggiormente aderente sul seno ma le entrava ancora. Lisciandosi le pieghe all’altezza dell’addome, si sentì soddisfatta del risultato finale. 

Cercò lo specchio che le aveva regalato Millerna qualche tempo addietro. Averne uno grande come quello che aveva nella sua camera sarebbe stato un salasso per le finanze del regno di Fanelia per cui bisognava accontentarsi. 

Era grande quanto un libro, per cui lo poggiò dove sarebbe potuto rimanere in piedi e, puntando lo sguardo sul riflesso della sua immagine, fece qualche passo indietro fino a poter vedere la sua figura quasi per intero. 

« Hitomi, sei qui dentro? Posso entrare? »

Quasi sobbalzò nell’udire la voce di Van dall’altro lato del pannello di legno sottile. 

 Istintivamente tornò sui suoi passi, avvicinandosi al borsone. Ricordò in quel momento che avrebbero discutere di alcune notizie arrivate da Freid. Il Re Cyd aveva intenzione di programmare una visita a Fanelia dopo le loro nozze e Van avrebbe voluto chiedere la sua opinione in merito. 

« Certo, entra pure. » 

Sentì la porta aprirsi e a quel punto il suo entusiasmo era palpabile. « Non ci crederai, stavo guardando nel mio borsone e all’improvviso sono apparsi questi jeans! Ma ci pensi? »

Aveva ancora lo sguardo verso il borsone, covando la segreta possibilità che al suo interno potesse trovarci ancora qualcosa di diverso, attese qualche secondo di troppo una risposta che non era ancora arrivata. A quel punto, si voltò.

Van era rimasto fermo, un passo dentro la stanza, con la bocca spalancata. Hitomi non comprese cosa ci fosse che non andava fino a quando non comprese. 

Lui la stava guardando e… il suo sguardo si era soffermato più in basso. 

Oh! E lei si era anche fatta trovare chinata in avanti sulla borsa. 

Cercò di portarsi verso il basso la camicia tirando i due lembi inferiori in avanti, mettendo in mostra, senza volerlo, la scollatura. Van stavolta arrivò persino a girarsi dall’altro lato, come se la vista fosse troppo

Hitomi avrebbe voluto seppellirsi dall’imbarazzo. 

« È solo che… » Van tornò a guardarla. « Sei così bella. » Il suo sguardo si era acceso di interesse e desiderio. 

Lei avvampò e improvvisamente un punto vicino ai suoi piedi divenne estremamente interessante. Da quando le cose tra loro erano cambiate, Van riusciva a dire più liberamente ciò che provava.

« L-li ho trovati nella mia borsa, prima non c’erano. Pensavo che non li avrei mai più rivisti. » 

Quelle parole fecero sorgere un dubbio sul volto del Re di Fanelia.

« Stavi ripensando alla tua vita sulla Luna dell’Illusione? » 

Ecco, aveva usato nuovamente quel tono. La voce di chi non si sarebbe mai tolto il dubbio se aver lasciato che vivesse su Gaea non fosse stato un atto di puro egoismo. 

Hitomi scosse il capo e cercò di sorridere. « In realtà sono solo contenta di riuscire ancora ad indossarli. » In parte era vero e concentrarsi su questo forse avrebbe evitato di indugiare ancora sull’argomento. 

Van mosse alcuni passi, arrivandole di fronte e poi, sorprendendola, s’inchinò ai suoi piedi. 

« M-ma cosa? » 

« Posso? » disse lui, allungando una mano in direzione della sua caviglia. Era incuriosito dal tessuto. Oh, certo. Lì i pantaloni si allargavano a campana e il tessuto le copriva, in parte, le piante dei piedi nudi. 

« Ah… sì. » rispose, tirando un sospiro. La situazione e la vicinanza di Van avevano accelerato il suo cuore ed il suo respiro. 

Il Re di Fanelia allungò due dita per toccare il tessuto in jeans. Quando fu soddisfatto di sentire la consistenza provò anche a tirare. Hitomi vide nei suoi occhi accendersi lo stupore.

« Sembrano incredibilmente resistenti. » disse lui, osservando da vicino l’intreccio dei fili di cotone. 

« Lo sono! » commentò, incredibilmente soddisfatta. « Questi erano l’ultima moda a Tokyo! »  fece per mettersi in posa con le mani sui fianchi.

Ma Van aveva smesso di parlare e la guardava dal basso cercando il suo sguardo. Hitomi deglutì e Van si sollevò in piedi. 

Fu incredibilmente veloce a cingerle i fianchi e ad avvicinarla a sé. Le sue labbra calarono sulle proprie qualche istante dopo, spegnendo sul nascere qualsiasi parola.

Lo stupore iniziale che aveva fatto fare un triplo salto al suo cuore venne presto annebbiato dalla sensazione della sua bocca sulla propria. 

Hitomi comprese che quel bacio non sarebbe stato come gli altri.

 

Van aveva appena deciso che non ci sarebbe stato spazio per le discussioni quel pomeriggio. 

Non sapeva neanche come era riuscito ad arrivare davanti a lei senza che l’urgenza di toccarla e baciarla avesse preso il sopravvento. 

Hitomi era… praticamente nuda. Il tessuto che indossava metteva in mostra le lunghe gambe forti e flessuose per non parlare del… era un samurai, maledizione! Non un bruto. Eppure, quando aveva provato a distogliere lo sguardo da lì, lei aveva cercato in vano di coprirsi con la camicetta. Era quasi collassato sul posto quando il tessuto le aveva aderito il corpo mettendo in risalto il seno. Non aveva potuto fare a meno di notare i contorni di quello che c’era sotto e, per tutti gli Dei, lui l’aveva desiderata come mai prima d’ora. 

Così aveva voluto provare a cambiare punto di vista, concentrandosi su qualcosa che in quel momento gli era sembrato interessante solo per darsi un contegno. Il tessuto di cui era fatto quello strano pantalone gli era sembrata una buona idea. Fino a quando non aveva sollevato lo sguardo e se l’era ritrovata così vicina. 

A quel punto, qualcosa nel suo cervello si spense. Si sollevò in piedi e non poté fare a meno di lasciare scivolare le mani sui suoi fianchi e stringerla a sé. 

Quel vestito era… perfetto. Con le dita seguì il contorno della fascia che scorreva in vita, più rigida del lembo che aveva toccato in fondo. Lì le cuciture erano più strette e rinforzate perché il tessuto avrebbe dovuto essere più aderente e al contempo sembrava fatto proprio per sottolineare alcuni punti specifici del corpo di chi lo indossava e Hitomi era… dovette baciarla perché in quel momento aveva bisogno di concentrarsi su qualcosa di cui poteva avere il controllo.

Tuttavia, anche lì, la sua disciplina sarebbe durata ben poco. Le labbra di Hitomi erano dolci e invitanti e dopo qualche istante in cui lei era stata stupita del suo gesto si era rilassata quasi subito fra le sue braccia e aveva ricambiato il suo tocco schiudendo la bocca come un invito. Lui lo accolse, desiderando di più ma limitandosi a premere con maggiore forza seppur con gentilezza le labbra contro di lei. 

Quando si staccarono per un momento ed ebbe il respiro di lei contro il volto cercò i suoi occhi. Hitomi era leggermente arrossita e aveva appena espirato, come se avesse trattenuto il fiato fino a quel momento. Sapeva che il suo cuore stava battendo veloce come il suo. Van vide il suo stesso sentimento riflettersi negli occhi di lei e ne fu profondamente felice.

Avrebbe voluto dire qualcosa ma tramutare i suoi pensieri in parole l’avrebbe fatto vergognare. Affondò nuovamente le labbra su di lei e questa volta approfondì il contatto. Le mani, incapaci di star ferme, risalirono al di sotto del tessuto della camicetta, accarezzando la schiena.

 

Hitomi stava facendo fatica a pensare. 

Era semplicemente in balìa del suo stesso corpo e tutto il resto era stato immediatamente dimenticato. Quando sentì le mani di Van risalire direttamente sulla pelle della sua schiena rabbrividì di piacere. Anche lei ebbe il bisogno di avvicinarsi e ricambiare la stretta, finendo per stringere le dita intorno la blusa che lui indossava. Inclinò ancora di più il viso per permettergli di approfondire il bacio, quel gesto fu un invito per lui che si allontanò appena per mordicchiarle leggermente il labbro inferiore. 

Un mugolio di piacere uscì incontrollato da lei e si imbarazzò ancora di più. Eppure, sentì il cuore in gola quando Van liberò la sua bocca per andare a lasciarle con la lingua una scia umida lungo il collo. Istintivamente inarcò il collo verso l’alto e socchiuse gli occhi completamente in balìa del suo calore. Sentì le gambe cederle e sembrò quasi sbilanciarsi all’indietro, ma le mani di Van furono salde contro di lei e risalirono ancora fino a raggiungere la metà della sua schiena e le dita si allargarono afferrando porzioni di pelle più ampie. L’assalto alla sua bocca continuò e Hitomi ne assaporò ogni istante. 

Stava capitando più spesso che finissero in quel modo, rifletté, ed era qualcosa che sapeva esattamente dove li avrebbe condotti.

Lei sapeva esattamente cosa aspettarsi, sulla Terra era praticamente l’argomento più gettonato tra le ragazze e sapeva che presto o tardi avrebbe potuto sperimentare anche lei quel genere di situazioni. Se quello era solo un assaggio, un preliminare, così lo definivano alcune riviste per ragazze, allora quello che l’aspettava alla fine doveva essere infinitamente più travolgente e meraviglioso.

 Van si spinse contro di lei e Hitomi, lievemente sbilanciata, mosse un passo all’indietro, avvicinandosi, piuttosto consapevolmente in verità, verso il proprio giaciglio. 

« Hitomi…  » il sussurro di Van le arrivò direttamente all’orecchio, e la sua voce risuonò calda come se stesse per soccombere all’urgenza del suo desiderio. Anche lui stava per perdere il controllo, comprese, facendo scorrere le sue mani intorno alle sue braccia in una carezza lenta. Anche lui era cambiato rammentò, sentendo sotto le proprie dita i muscoli definiti e non troppo sporgenti che Van aveva guadagnato con l’allenamento costante e lo sviluppo di una forza fisica maggiore. 

D’un tratto Van rallentò il ritmo, lasciandole le labbra e respirandole sul viso. 

« Di questo passo… non riuscirò più a controllarmi. » Le disse, affondando nuovamente il viso nel suo collo, respirando il suo odore come se quel gesto servisse a calmarlo. 

Hitomi non poté fare a meno che allungare le labbra in un sorriso. 

« Non sono io che devo mantenere una tradizione… » rispose cercando di stemperare il momento. Van si irrigidì e sollevò lo sguardo puntando gli occhi direttamente su di lei. Prima che Hitomi potesse domandarsi cosa lo avesse turbato e che cosa significasse quella luce che gli aveva scorto nello sguardo, Van con un semplice e fluido movimento, la prese facendo scorrere le mani sotto le sue cosce, sollevandola. Sentì i piedi perdere aderenza e sbilanciarsi quasi come se stesse cadendo e dalla sua bocca uscì un gridolino di sorpresa che venne subito soffocato dalle labbra e dalla lingua di Van. 

Fu pochi istanti dopo che la sua mente si spense definitivamente. 

Tenendola a cavalcioni contro di sé Van mosse un semplice passo laterale e la spinse contro il muro. Hitomi sentì una fitta al basso ventre in risposta alla rigidità che percepì facilmente venendo a contatto con lui. Probabilmente fu per quello che, istintivamente, cercò una posizione migliore intrecciando le gambe dietro la sua schiena. Oh! Con i pantaloni era tutto più facile, esultò una minuscola parte di sé che ancora possedeva abbastanza raziocinio da riuscire a fare quei pensieri. Quasi contemporaneamente, Van si lasciò andare in un suono più gutturale che le regalò un nuovo picco di piacere fino ad ora solo a malapena sfiorato. 

A quel punto, Hitomi ebbe la decenza di arrossire, poi volle quasi sprofondare quando Van, sentendo che lei si era agganciata perfettamente a lui, fece risalire le mani soffermandosi sulle curve dei suoi glutei riempiendosi a pieno i palmi. Continuarono ancora per lunghi, lunghissimi secondi.

 

Per Van respirare stava diventando un’impresa. 

Sentiva il corpo di Hitomi schiacciato completamente contro il suo, i suoi seni che le premevano sul petto, la sua lingua intrecciata con la propria e, per tutti gli spiriti di Gaea, oramai doveva essere palese persino per lei quanto il suo intero corpo fosse preda del desiderio di lei. Stavano spingendosi in una direzione nuova e lui aveva colto la sfida dietro le parole di lei perché da quando l’aveva vista con quella semplice camicetta e quel pantalone aderente aveva perso completamente la testa. 

Un mese? Doveva davvero riuscire a controllarsi per un altro mese? Non sapeva neanche se sarebbe stato in grado di fermarsi in quel momento. 

« Van… » furono le parole di lei che emersero dall’intreccio delle loro lingue che lo fecero fermare all’improvviso. Seppe in quello stesso istante che lo avrebbe fatto, sarebbe riuscito a fermarsi. Non percepì nel tono di voce di lei un rifiuto, ma vi colse una sfumatura di dubbio e quello gli bastò per farlo ritornare in sé. 

Non avrebbe fatto nulla che lei non volesse. Forse, dopo quello che aveva appena fatto, era anche riuscito a intimorirla. Iniziò a maledirsi intimamente mentre, istintivamente le sue mani abbandonarono la presa, cercando un contatto più gentile ritornando ad accarezzarle la schiena. 

Hitomi però non fece alcun movimento per liberarsi dal suo abbraccio e accostò la sua guancia contro la propria. Sentì l’aria che fluiva dal suo naso che gli sfiorava la pelle più rigida all’altezza della mascella. Van deglutì e strinse i denti, ignorando l’acuirsi del desiderio che, nonostante tutto, era alimentato dal semplice alito d’aria che lei riversava quasi nel collo. Rimase in ascolto, in attesa delle successive parole di lei. 

« Si chiederanno dove siamo finiti e... qualcuno arriverà ad interromperci. » 

Lo disse con il tono della certezza che permeava la sua voce quando parlava con il senno delle sue precognizioni. Vide Hitomi portare all’indietro la testa e appoggiarsi lungo la parete. Si accorse che negli occhi di lei brillava lo stesso desiderio che c’era in lui. Sembrò ricercare un respiro più profondo quando socchiuse per un momento gli occhi, le sue guance erano arrossate e il suo respiro accelerato. Van avrebbe voluto baciarla ancora. 

« Allora forse dovremmo fermarci…» Indietreggiò di un passo per permetterle di svincolarsi dal suo abbraccio, anche se  - in effetti – era Hitomi ad essere letteralmente aggrappata a lui. E vi rimase salda, le braccia intorno al collo con le dita che gli sfioravano i capelli. 

« Non voglio! » protestò cingendolo con forza. 

Van sorrise, ebbro di felicità e di tenerezza. 

« Potrei venire a trovarti questa notte. » 

 

Lui lo aveva proposto con una tale naturalezza che lei gli credette. Il suo cuore iniziò a battere più velocemente. Non poteva fare a meno di ignorare come riuscisse a sentire la presenza di lui, rigida, contro di lei. Cosa sarebbe successo se avesse detto di sì?

D’innanzi la sua incertezza, Van non replicò fece qualche passo in direzione di una sedia e si chinò leggermente per farla accomodare lì. Anche quando lei si sedette, lui continuò a fissarla negli occhi, con un sorriso furbo nel volto. 

« Lo vorresti? » chiese, sfiorandole le labbra.

 

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Ben ritrovati a tutti! 

Qualche giorno fa, in uno dei miei soliti momenti in cui riascoltavo le meravigliose musiche composte da Yoko Kanno, mi è balzata agli occhi l'immagine di copertina dell'Ost numero 3 (potete trovarla facilmente in rete) che raffigura Hitomi, in un profilo a tre quarti, indossare un top aderente e un jeans. E' stato in quel momento che mi è balenata in testa l'idea "cosa succederebbe se Van la vedesse?". Ed ecco qui questa piccola shot. 

Come vedete il tono di questa shot è un po' più... adulto, per cui mi piacerebbe capire se può essere interessante continuare in questa direzione. In fondo, l'ultima domanda di Van è la stessa che vi porgo io! Siamo anche in periodo di San Valentino...

A presto! 

 Usagi.

 

 

 

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