SAMMY

di agfdetre
(/viewuser.php?uid=479550)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** COMPENDIO ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

Avevo tredici anni quando sentii per la prima volta il nome “My Little Pony”. Inizialmente non ci feci particolarmente caso, prendendo addirittura in giro quei miei amici che già lo guardavano. Ma giorno dopo giorno, fanart dopo fanart comparsa nelle chat di Skype e Teamspeak, decisi di dare a quello strano cartone una chance. Fu così che iniziò la mia avventura con MLP: una storia abbastanza banale, come credo quella di tanti altri brony attirati da questo mondo decisamente atipico per un maschio adolescente.

Ma dopo poco tempo la mia attenzione venne catturata dall’immensa quantità di fanfiction che popolavano le sezioni di forum e siti: questo fandom era diverso, non come gli altri. Nessuno in Europa e Stati Uniti aveva mai visto un fenomeno simile: migliaia e migliaia di opere qualunque genere, dal letterario al musicale al visivo, venivano continuamente pubblicate in massa. Mi immersi in letture che ben poco avevano a che fare con il semplice e colorato mondo di MLP: storie come “Cavalcare la Tempesta” di Lantheros hanno scavato un solco nell’animo di chiunque le abbia mai lette.

Ben presto mi resi conto della portata mondiale del fenomeno: il BronyCon, le altre tante convention in giro per il mondo, le animazioni di Argodaemon o Pony.mov e le fanfiction più belle di sempre. Certe volte queste storie diventavano così lunghe e complesse da trasformarsi in veri e propri romanzi: come dimenticare la leggendaria Fallout:Equestria ed il suo spin-off Project Horizon, la cui lunghezza supera sia Il Signore degli Anelli che la Bibbia. Ero così felice di poter fare anche io parte di questo mondo: aspettavo trepidante l’episodio nuovo ogni settimana e mi confrontavo con i ragazzi del forum mentre scrivevo la mia prima storia dai tempi delle elementari.

Ma purtroppo questo nuovo universo aveva portato con sé l’attenzione della gente, dei media e soprattutto delle persone che mi erano fisicamente vicine. Non è difficile immaginare cosa succede quando un gruppo di adolescenti annoiati scopre che uno di loro guarda un cartone animato per bambine e ci scrive addirittura delle storie sopra. Non ricordo molto di quel periodo, e non vedo nemmeno la necessità di riportarlo qui in particolare: ricordo solo il grande senso di solitudine, di sofferenza ed incomprensione che mi attanagliava. Loro non capivano perché non avevano voluto capire, non avevano voluto nemmeno provare ad affacciarsi ad un mondo che non conoscevano.

Da allora ho sempre avuto paura di mostrare questo mio interesse, mio malgrado ora più che mai. Non so neanche se troverò mai il coraggio di far leggere questa storia a tante persone che conosco per paura del loro giudizio. Ma è proprio attraverso queste disavventure e questa sofferenza che questo show per bambine mi ha insegnato qualcosa di così potente: la gente ha paura di ciò che non conosce e per questo lo odia, lo insulta. Succede ogni volta, con tutto: anche con cose molto più canoniche di questa.

Io non voglio essere così, ho imparato a non essere così sulla mia pelle. Questo cartone mi ha insegnato ad andare oltre, ad apprezzare le persone per quello che sono e ad incuriosirmi delle passioni altrui, per quanto strane possano essere. Perché dietro un velo di apparente semplicità si possono nascondere grandi cose: nessuna delle storie da me citate prima parla semplicemente di pony. Ognuna di loro racconta un sentimento umano, struggente e che fa riflettere: quei piccoli cavalli colorati si trasformano in veri esseri umani che vivono e affrontano le loro incertezze. Sono solo un pretesto, delle pedine per raccontare qualcosa di molto più grande. Non è forse questo il fulcro di qualunque storia degna di questo nome? Non importa l’ambientazione o i personaggi: ciò che conta è il senso di fondo, il sentimento che lega come un filo tutta la storia. Toy Story non è un film sui giocattoli: è un film sull’amicizia, sull’invidia e sull’accettare che qualcuno possa andar via dalla nostra vita. Monsters & Co non è un film sui mostri: è un film su un uomo che diventa un padre.

E dopo tanti anni, ormai all’ultimo anno di magistrale, una triste sera vuota mi è venuta un’idea. Un’idea carina, concreta, strutturata come non ne avevo da anni. Si, amerei poter creare storie veramente originali, con personaggi e mondi completamente frutto della mia immaginazione, ma ancora purtroppo non ci riesco. Allo stesso tempo c’è un qualcosa di familiare, di accogliente nello scrivere di nuovo di quei piccoli pony colorati.

Mentirei se dicessi che riesco sempre a seguire questo insegnamento: sono debole ed incredibilmente spesso mi ritrovo in trappola delle mie ansie e delle mie paure. Non è difficile capire che chi giudica sempre sé stesso finisce anche per giudicare gli altri. Ma superati i momenti più bui pian piano so su cosa riflettere e mi ricordo cosa ho passato.

È questo quello che chi leggerà queste righe deve capire. È questo il lascito che secondo me un fenomeno come quello dei brony può dare a tutti.

Spero che questa storia riesca a trasmettere qualcosa di più, esattamente come quelle da me citate in precedenza.

Un giorno ci sentiremo tutti liberi di esprimere chi siamo fino in fondo, senza paure. Magari a quel punto il mondo sarà un posto migliore.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

Dormire in microgravità faceva schifo. Fluttuare potrebbe anche sembrare rilassante, fin quando ciò non implica farsi legare come un salame ad una parete per non svegliarsi con la testa dentro un gavone di carico dall’altra parte della nave. Dunque anche in quel turno di riposo Sammy non aveva affatto dormito bene: si rigirò mollemente nella sua branda facendo scivolare il suo pelo bianco sotto le fasce che la legavano alla parete. Nell’oscurità della sua cabina si stiracchiò piano con un rumoroso sbadiglio.

Dopo qualche minuto allungò una zampa verso l’interruttore ed accese le luci mentre l’oblò si apriva sullo spazio profondo. Miriadi di stelle lontane riempivano un nero profondo come la pece, ma la luce da loro generata non sarebbe mai stata sufficiente ad illuminare l’ambiente.

Sbuffando buttò un occhio all’orologio: era già quasi in ritardo, sarebbe stato meglio darsi una mossa. Non era certo da lei fare tardi ad un turno di lavoro o alzarsi dopo il suono della sveglia, ma era dall’inizio di quel viaggio che i suoi ritmi andavano modificandosi sempre più man mano che si avvicinavano alla meta. Velocemente si recò in bagno per sciacquarsi la faccia e truccarsi un po’ per nascondere quelle orribili occhiaie che sul suo manto bianco risaltavano ancora di più.

Dopo essersi asciugata rimase a fissarsi a lungo allo specchio.

Ok, non è difficile: vai in plancia come ogni giorno, fai quello che devi fare, rispondi alle domande se te ne fanno e quando finisce il turno torni in cabina.

Riflessa nel vetro vedeva l’immagine di una giovane pony bianco perlaceo. La lunga criniera rossa avvolta in una coda, gli occhiali viola già indossati e gli zoccoli ben limati contribuivano perfettamente a dare l’idea professionale e composta che sempre l’aveva caratterizzata con i suoi colleghi.

Per un attimo le balenarono in testa i ricordi di quando quei coglioni l’avevano presa di mira in accademia, facendole trovare la porta della sua stanza ricoperta di carta igienica con l’improbabile scritta Samantha Betz secchiona del cazzo incisa su di essa con un pennarello. Era perché era sempre seriosa, perché si sistemava così come richiesto dai suoi superiori o forse perché quegli sfigati in realtà fantasticavano su di lei ogni notte e non sapevano come avvicinarla e quindi la odiavano per questo. Quest’ultima ipotesi era stata Rosemary a dargliela a dire il vero, sua unica vera amica dei tempi dell’accademia, ma Sammy non ci aveva mai davvero creduto.

Scrollò la testa e si girò per indossare la sua tuta levandosi quei brutti pensieri: era interessante come la sua mente cercasse in tutti i modi di non pensare a quello che stava per succedere e comunque riusciva a farsi del male da sola anche in una simile situazione. La tuta arancione sgargiante non l’aveva mai fatta impazzire, anche perché non si addiceva per niente al colore della sua criniera, ma allo stesso tempo ogni volta che la prendeva in zoccolo un brivido di soddisfazione la percorreva fino alla punta della coda. Accarezzò lentamente il logo IF dipinto in un blu brillante prima di indossare la tuta con dedizione: era un esercizio psicologico che faceva ogni mattina per ricordarsi quanto era stata brava ad arrivare fin lì, e quella mattina ne aveva bisogno più che mai.

Oh beh, mattina forse è un termine un po’ azzardato per definire l’inizio di un turno su una nave interstellare: Sammy non si svegliava in una vera mattina da ormai due mesi ed ogni volta che succedeva era dura ricordarsi come sorgeva e tramontava un sole su un pianeta. Tuttavia ogni tre mesi staccava per uno intero e poteva tornare a casa dai suoi genitori a riposare un po’, mentre passava le giornate a cercare di camminare nuovamente in presenza di gravità e a tentare di non vomitare mentre i suoi ritmi circadiani completamente distrutti tentavano di riadattarsi ad un mondo coerente.

Finalmente era pronta: tirò un grosso sospiro e aprì la porta della sua cabina trascinandosi lungo gli appigli in modo deciso verso il ponte di comando. Sperò vivamente di non incrociare nessuno lungo la strada dato che conversare era l’ultima cosa al mondo che avrebbe voluto fare in quel momento. Risalì velocemente svariati condotti fino a raggiungere la porta del ponte di volo, la quale si aprì all’istante con un suono sordo.

La gigantesca vetrata di comando si affacciava verso un pianeta colmo di vita, verde, lussureggiante, con grandi oceani che ne ricoprivano la superficie. Il cuore di Sammy perse un battito per un istante, ed un nodo alla gola le tolse il respiro.

«Buongiorno ingegnere! Le porto il caffè come al solito?» squittì una voce limpida alla destra di Sammy. La pony perlacea si risvegliò dal suo torpore per trovarsi davanti una Ashley Reed palesemente preoccupata.

Innanzitutto non era mai successo che in un anno di servizio Reed avesse avuto bisogno di chiedere se l’ingegner Betz volesse il suo caffè: dopo la prima settimana aveva imparato a preparare un cappuccino ben schiumato esattamente quattro minuti prima dell’inizio del turno, visto che Betz non arrivava mai e poi mai nemmeno un minuto in ritardo. Provava una grandissima stima per la sua superiore e portava un grande rispetto per i ranghi: appena laureata e terminata l’accademia aveva subito ottenuto un posto come Assistant Route Engineer in virtù dei suoi eccellenti studi, ed era stata assegnata proprio al fianco dell’ingegnere di rotta Samantha Betz. Quando poi aveva scoperto che entrambe si erano specializzate in navigazione interstellare al Pimpaina Institute of Technology (PIT) era andata in visibilio. L’ingegnere era sempre molto serio, ma aveva deciso di prendere Reed sotto la sua ala e le due, anche in virtù dell’essere due giovani pony su una nave militare isolata nello spazio, avevano stretto un rapporto più confidenziale pur sempre nei limiti della professionalità.

Ma quella volta Reed sapeva bene che non sarebbe stata come le altre, e per la prima volta vide entrare Samantha Betz con ben sette minuti di ritardo rispetto al suo orario schedulato. Il cappuccino si era ormai raffreddato e la giovane pony ingegnere color verde acqua incalzò il suo superiore nella speranza di aiutarla.

«Oh…ciao Ashley, sì grazie» Sammy osservò brevemente la criniera blu di Ashley Reed ondeggiare fluttuante mentre restava interdetta per quella domanda inaspettata, e subito dopo la sua assistente si voltò dirigendosi verso l’angolo galley del ponte di comando per preparare un nuovo caffè. Sammy si diresse alla sua postazione cercando di concentrare lo sguardo all’interno della nave senza osservare l’esterno.

«Sparkey è già qui?» chiese Sammy mentre si allacciava le cinture per restare fissata al proprio sedile. Risvegliò il computer davanti a sé dalla modalità sleep ed iniziò a battere sulla tastiera.

«Il primo ufficiale è stato in plancia fino a poco fa a dire il vero. Vederlo eseguire personalmente la circolarizzazione dell’orbita è stato affascinante» Reed sembrava genuinamente emozionata mentre pronunciava quelle parole: il suo entusiasmo per ogni cosa riguardante il volo spaziale era uno dei motivi per cui Sammy l’aveva presa così a cuore. Le due passavano ore a parlare di argomenti super tecnici ed estremamente nerd come li avrebbero definiti i suoi compagni d’accademia.

«Beh, direi che ormai il nostro lavoro è finito» ridacchiò un po’ nervosamente Reed dall’altro lato della grande sala di comando «Non credo importi a qualcuno della triangolazione dei radiofari di Soglia quando siamo in orbita attorno alla destinazione»

«E’ qui che ti sbagli, Ashley» sospirò Sammy mentre lo schermo davanti ai suoi occhi mostrava svariati grafici colorati procedere nel tempo «Dobbiamo sempre garantire che i sistemi di navigazione siano perfettamente in funzione, e direi che poter conoscere le proprie coordinate sui tre assi è leggermente importante nel caso di un’emergenza». Un sorrisetto beffardo comparve sul suo viso mentre si girava verso la sua assistente che le porgeva il caffè «Ecco qua, gli dei delle antenne ci sorridono, niente giri con la tuta all’esterno a riparare roba per oggi»

Le coordinate astrali comparse sul monitor a seguito della connessione con i tre radiofari posti ai confini dell’universo conosciuto (la cosiddetta Soglia) coincidevano perfettamente sia con quelle date dalla piattaforma di navigazione inerziale che con quelle calcolate tramite la posizione rispetto al pianeta attorno a cui si trovavano.

L’assistente abbozzò un sorriso e per una volta non fu triste di essere stata ripresa dal suo superiore per un’inesattezza: era contenta di vedere la Betz di ogni giorno un po’ sarcastica tornare fuori dopo quello che aveva visto poco prima. Ma sapeva che la cosa non sarebbe durata.

«Fammi indovinare, dopo la manovra Sparkey ha raggiunto il comandante, vero?» chiese Sammy mentre il suo volto si incupiva.

Ashely annuì accanto a lei «Sono tutti in riunione con loro. Oggi è il grande giorno»

«Già, così finalmente quelle teste di cazzo faranno quello che devono fare e poi potremo tornarcene al Comando Stellare il più in fretta possibile» Sammy si stiracchiò sulla sua poltrona sempre evitando di guardare all’esterno «Però hai ragione: anche se dobbiamo sempre eseguire le solite checklist di routine avremo uno o due giorni di vacanza finché saremo qui in orbita»

Reed ridacchiò alla battuta del suo superiore. Il cuore le batteva all’impazzata. Sapeva che non era una buona idea, ma la preoccupazione e la curiosità la stavano divorando dall’interno «Sa ingegnere…mi chiedevo se, insomma, potrebbe darsi che…la convochino in riunione?»

Sammy sentì nuovamente un tonfo al cuore e la flebilissima serenità che aveva guadagnato negli istanti precedenti scomparve di botto. «Perché me lo chiedi?»

«Beh, insomma, lei qui è l’unica che…»

«Basta, Ashley» Sammy posò uno zoccolo sulla zampa della sua assistente mentre fissava un punto non precisato sul pavimento. La pony verde acqua ebbe un sussulto e maledisse sé stessa per non aver tenuto la lingua a freno.

«Quello che ero da puledrina non ha nessuna importanza. Non ne voglio parlare e comunque non vedo come possa mai essergli d’aiuto». La pony bianca si passò uno zoccolo nella folta chioma rossa e si aggiustò nervosamente gli occhiali «Piuttosto mettiti al lavoro, completa i cicli di controllo secondari e fa rapporto nel logbook»

Ashley scattò istantaneamente fluttuando verso la sua postazione in silenzio e si mise a lavorare frettolosamente.

La giornata stava iniziando male, persino la sua assistente aveva cominciato a ficcanasare sulla questione. No, non l’avrebbero convocata. Al massimo il comandante sarebbe passato a farle qualche domanda, lei avrebbe risposto brevemente e tutto sarebbe andato liscio. Se ne sarebbe tornata in cabina a finire la sua serie TV e nel giro di due giorni sarebbero ripartiti lasciandosi alle spalle questo casino. Più i giorni passavano più faceva fatica a dormire ed il senso di frustrazione e fastidio che l’accompagnava si faceva più intenso, ma ora era al culmine della questione: bastava resistere due fottutissimi giorni e poi la cosa sarebbe finita. Non sapeva come avrebbe affrontato gli strascichi del fatto, il pensiero di esserne in qualche modo coinvolta, ma ora non voleva pensarci.

I due ingegneri rimasero in silenzio a lavorare per circa una mezz’ora fino a quando come di consueto il resto del team di comando raggiunse il ponte di volo. Era normale che gli ingegneri di rotta fossero i primi della giornata a salire sul ponte, dato che in navigazione erano coloro che eseguivano i check più importanti per capire dove la nave si stesse dirigendo. Quel giorno essendo ormai in orbita attorno al pianeta la cosa era superflua, ma per semplicità ed organicità i ritmi di lavoro venivano sempre rispettati allo stesso modo.

Ben presto il ponte di volo fu popolato da una ventina di individui: team di propulsione, meccanica orbitale, armamenti e altri ancora. Tutti con la loro tuta arancione ed il bel logo delle Interstellar Forces stampato su di essa. Metà di essi erano pony, gli altri provenivano dai quattro angoli dell’universo: ciò non era certo un problema per gente abituata sin dall’università o addirittura dalla nascita a vivere in un mondo popolato dalle creature più strane. Forse era solo uno scherzo del destino che per quella missione avessero scelto proprio la Pardatchgrat come nave a cui affidarla. Una nave stranamente piena di pony e povera di pimpaini.

C’era un motivo se Samantha e Ashely si trovavano in delle posizioni così rispettabili su una nave da ricognizione della flotta interstellare: erano cittadine pimpaine ed avevano studiato nella più importante università del paese più militarizzato ed influente di tutta la Universe Protection Organization. Non c’era perciò da stupirsi che gran parte dell’organico delle forze armate universali fosse composto principalmente da umanoidi rosa con delle grosse orecchie a punta. Ciononostante, per qualche ragione, l’equipaggio della Pardatchgrat era prevalentemente composto da pony ed altri esseri.

«Certo che fa proprio strano vederlo dal vivo» commentò una pony del team di propulsione mentre teneva il suo naso appiccicato ad i vetri. Da quando era iniziato il turno di lavoro, tutti i pony presenti si erano radunati ad osservare il grande pianeta scorrere sotto di loro. Tutti tranne Sammy: la pony perlacea fissava ossessivamente il suo monitor tentando di restare concentrata. Persino Ashley aveva abbandonato la sua postazione per raggiungere gli altri, ma Sammy non ci aveva fatto caso.

«Già: te ne parlano nelle storie da piccolo, ma chi avrebbe mai immaginato che ci saremmo andati»

«Ah, non ci tengo proprio a scendere, ti lascio volentieri il piacere»

«Col cazzo Ray, scommetto venti dollari che non sanno neanche leggere e scrivere laggiù»

«Boh, leggere e scrivere forse sì ma di sicuro se gli fai vedere uno schermo si cagano addosso pensando sia una stregoneria. Ma tipo lo sai che ci sono gli unicorni?»

«Ma che stai dicendo, non ci credo neanche se lo vedo. Mia madre non mi ha mai raccontato di questa roba»

«Te lo giuro! E altri invece hanno le ali e volano pure. I miei me ne parlavano sempre»

«Sì vabbè, e poi? I tuoi erano sempre ubriachi prima di farti addormentare la sera?»

«Che stronzo! Questi racconti li tramandiamo da generazioni e generazioni sin dal programma di protezione»

«Beh, scusa chiediamolo a Betz, no? Ehi Betz, ti risulta che ci siano pony volanti e con un pisello in testa la sotto?»

Un pony dal manto grigio topo incalzò sbeffeggiante Samantha, la quale aveva continuato per tutto il tempo a concentrarsi sui suoi monitor. La ragazza ebbe un sussulto e cercò di non distogliere lo sguardo dalla sua postazione; poteva sentire dietro di sé gli occhi preoccupati e sperduti di Ashley. Quella giornata si stava rivelando parecchio difficile.

«Non lo so, Hammer. Perché invece di dire cazzate non passi il tuo tempo a bucherellare qualche asteroide o fare qualche altra cosa estremamente utile per questa nave?» rispose sprezzante Sammy cercando di mantenere un tono senza che la sua voce si rompesse per l’ansia.

«Almeno io ricordo ancora come si spara. Dopo il corso in accademia voialtri vi siete dati alle comodità, tra un po’ passerete a condurre qualche nave passeggeri e tanti saluti. E poi testare gli armamenti ogni tre cicli di volo è parte del protocollo di sicurezza, lo sai benissimo»

Hammer si avvicinò piano a Sammy volteggiando nell’aria con fare canzonatorio mentre tutto il resto dell’equipaggio guardava divertito «Eddai, rispondi! Ci sono o no quei pony? Non ti ricordi proprio niente niente

Sammy strinse i denti e si slacciò le cinture dal suo sedile «Ecco perché odio stare in orbita: la gente pensa che non si stia più in servizio e comincia a cazzeggiare». Si voltò fissando negli occhi Hammer: si conoscevano sin dai tempi dell’accademia, ma lui non aveva fatto l’università diventando un responsabile degli armamenti. Non era davvero uno stronzo e lei lo sapeva: semplicemente quando qualcosa lo divertiva tanto non riusciva più a capire quando era l’ora di smetterla, soprattutto se aveva un pubblico a guardare.

Era incredibile come nessuno di loro mostrasse un minimo di empatia, di cordoglio, di sensibilità per quello che stava per succedere. Come potevano essere così? Come potevano aver dimenticato tutto? Come potevano aver ripudiato tutto? Samantha si era ripetuta che era solo una questione di tempo: ne era passato troppo poco per lei, era normale che si sentisse così. La sua transizione non era ancora completa, non era ancora l’ingranaggio della macchina perfetta che vegliava serena su tutti i sistemi dell’universo. Persino Ashley era più curiosa che altro, ansiosa di scoprire di più.

Sammy strinse ancora di più i denti «Lasciami in pace, Hammer»

«Oh, che palle! Vogliamo solo saper-»

«Lasciami stare!» urlò Sammy fuori di sé. Il pony grigio si ammutolì stupefatto: nessuno aveva mai visto Samantha Betz perdere le staffe ed uscire da quel ruolo da competente sotuttoio che l’aveva sempre caratterizzata. Tutto l’equipaggio si fermò a fissarla: Ashley era senza parole per quello a cui stava assistendo.

‘Samantha Betz è convocata in sala riunioni sul ponte due’

La voce del comandante Cerutti riempì il ponte di comando. Sammy sgranò inconsapevolmente gli occhi e nuovamente il suo cuore perse un colpo quella mattina. Tutti i presenti si guardarono tra loro smarriti.

Un leggero vociare si alzò nella stanza «Va da loro?» «Ma allora sa davvero qualcosa» «Non dovrà mica…»

Samantha ricercò Ashley nella calca che la fissava. La sua piccola assistente verde acqua la guardava smarrita, incapace di capire la situazione. La pony perlacea fece un grande respiro, trattenendolo così tanto che le sembrò di soffocare. Dopo si alzo e si diede una leggera spinta dalla sua postazione, volando verso la porta d’ingresso. Quasi come un automa lasciò il ponte di volo dirigendosi verso le zone posteriori della nave, mentre il resto dell’equipaggio di navigazione la seguiva con gli occhi.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

La Universal Star Ship (U.S.S.) Pardatchgrat non era una nave particolarmente grande. Quando Sammy l’aveva vista per la prima volta in uno degli hangar del Comando Stellare era rimasta leggermente delusa, inebriata com’era dalle immagini delle grandi navi ammiraglie che sin da piccola osservava nelle riviste. Malgrado fosse una nave costruita per operare prevalentemente nello spazio, possedeva una spiccata forma aerodinamica e coerente. La vernice bianca faceva risaltare l’aspetto longilineo e slanciato che culminava nel retro con due grosse appendici che ospitavano i propulsori. Se lo ricordava bene quel giorno, hangar L06: era il suo primo giorno di lavoro vero. Dopo mesi passati in accademia dove si era sentita presa in giro e regredita dopo una brillante laurea come la sua, finalmente aveva l’occasione di coronare il suo sogno.

Aveva iniziato a lavorare su quella nave sei anni prima come assistente a sua volta del vecchio ingegnere di rotta. Dopo poco più di un anno aveva ottenuto il posto principale, e da allora aveva condotto in maniera impeccabile la Pardatchgrat verso le sue destinazioni. Solitamente la nave si dirigeva sulla Soglia a monitorare il comportamento di due misteriosi satelliti artificiali lasciati probabilmente da una qualche civiltà sconosciuta denominati in codice Alfa-Bravo ed Alfa-Charlie. In questi viaggi portavano abitualmente avanti ed indietro dei gruppi di Space Ranger con loro, ma nessuno sapeva cosa poi facessero una volta lì. Era un lavoro particolarmente monotono e standard, ma a Sammy piaceva la sua routine, il resto dell’equipaggio, la sua assistente Ashley con cui poteva guardare un film in cabina dopo il turno.

Quello che non le piaceva era ospitare a bordo dei veri e propri plotoni militari. Sin dall’accademia non li aveva mai sopportati: li trovava tendenzialmente degli spacconi arroganti e ignoranti, buoni solo a menare gli zoccoli e poco più. Solitamente si ritrovavano a trasportare gruppi di fanteria dell’esercito pimpaino o di una qualche altra Forza Armata Superiore; facevano la spola fra il Comando Stellare, quartier generale delle forze armate interstellari (IF) e degli Space Ranger, e il pianeta Turo, cuore della Universe Protection Organization e sede del parlamento universale.

Come ormai chiaro, Sammy non nutriva un particolare rispetto o ammirazione per le forze armate universali, a differenza della sua assistente Ashley Reed. Per lei era stata solo una questione utilitaristica: l’unico modo per lasciare Pimpaina City e volare nello spazio era arruolarsi; non esisteva alcun tipo di reale trasporto civile passeggeri tra pianeti. E ciò aveva senso: le distanze siderali ed il fatto che ogni civiltà avesse già di che preoccuparsi ognuna sul proprio mondo faceva sì che la UPO fosse un’organizzazione di natura più amministrativa e militare che effettivamente una comunità unita. In sostanza, se qualcuno aveva bisogno di viaggiare tra un pianeta e l’altro con tutta probabilità era un militare oppure un diplomatico e dunque un membro stesso del sistema amministrativo. Per questi motivi la pony perlacea aveva terminato gli studi e si era subito buttata nel suo percorso d’accademia prima a terra presso il Tappedy Space Center sulle isole Pimpaine e poi finalmente al Comando Stellare. Ma tutto sommato si era lasciata alle spalle quell’orribile esperienza e la sua vita aveva acquisito una nuova piega quando era stata davvero libera di volare nello spazio. Aveva fatto relativamente amicizia con gli altri membri d’equipaggio e non vi era più stato nessuno che le avesse dato noia. Finalmente la sua vita aveva assunto una sorta di serenità.

Ma in quel momento Samantha Betz si trovava di fronte al grosso portellone della baia cargo 2, riconvertita in sala riunioni nell’ultima sosta in cantiere della nave, con gli occhi sbarrati e cercando di respirare ritmicamente.

Ok il piano resta lo stesso. Abbiamo detto che qualche domanda avrebbero potuto fartela, no? Semplicemente sarà un’occasione più formale. Entri, parli, esci e torni in cabina. Semplice.

Un altro respiro e la grossa porta si aprì attirando l’attenzione di tutti i presenti all’interno.

«Ah, ingegner Betz! Venga pure dentro» esordì il comandante Cerutti. Un essere umano alto e spigliato, con lunghi capelli ricci ramati. Se ne stava in piedi a fluttuare ad una delle estremità del lungo tavolo, muovendo nervosamente una penna nelle sue mani. Conoscendolo, Sammy poteva intuire che anche lui non amava il fatto di starla mettendo in quella situazione.

Samantha si spinse dolcemente dentro la sala e inquadrò velocemente i presenti. Quattro pony in tuta mimetica sedevano retti e composti ai lati del tavolo mentre un pimpaino, anch’egli in divisa militare, tamburellava con le dita rumorosamente. Era un grande umanoide alto quasi due metri dalla pelle rosa come zucchero filato. Un grosso naso schiacciato svettava sul volto insieme a due lunghe orecchie a punta di un rosa molto più scuro, quasi violaceo. Sammy sgranò gli occhi quando lo vide: osservò con attenzione il corpo muscoloso, le cicatrici sul viso, la pelle sbiadita e consumata, gli occhi neri come la pece e soprattutto l’orecchio di destra mozzato a metà. Che fosse davvero lui? All’estremità della stanza, lontano dal tavolo, il primo ufficiale Sparkey stava in disparte con le braccia conserte. Era difficile non notare una forma alienoide gialla evidenziatore come lui, ma nessuno sembrava interessato ad inserirlo nella conversazione.

Il comandate riprese parola indicando con un cenno della testa uno dei sedili disponibili «Dunque ingegnere, lei è al corrente del perché siamo qui?»

Samantha annuì lievemente con la testa mentre prendeva posto. Alcune delle informazioni che possedeva di volta in volta erano voci trapelate tra i ranghi dell’equipaggio, quindi doveva pensare bene a cosa dire se non voleva fregarsi da sola «Si, so quello che siamo venuti a fare. Anche se onestamente non ne conosco il motivo»

«Non credo che placare la sua coscienza sia una delle nostre priorità, signorina». Il pimpaino si voltò di botto con fare duro verso di lei. Accennò un sorriso mentre si grattava la barba «Anche lei della grande P, vero? Riconosco l’accento». Si stiracchiò leggermente «Ah come mi manca Pimpaina City, sarebbe bello poter nuovamente passare qualche settimana a casa»

Il comandante Cerutti colse la palla al balzo «Generale, le presento l’ingegnere di rotta Samantha Betz». Il pimpaino la scrutò attentamente mentre annuiva col capo «L’ultima del programma di protezione…sono contento che lei e la sua famiglia abbiate trovato asilo nella nostra repubblica»

Sammy era rimasta pietrificata per l’interezza del discorso. Non poteva crederci: davanti a lei a pochi metri sedeva il generale John Pimpez. Capo di stato maggiore dell’esercito pimpaino e comandante del corpo scelto dei moschettieri del presidente della nazione. In qualità di capo dell’esercito partecipava regolarmente alle riunioni del Consiglio delle Forze Armate Superiori ed aveva combattuto e condotto innumerevoli conflitti sia sul suo pianeta che su altri. Sammy sapeva che la cosa che avrebbero fatto non sarebbe stata semplice, ma non poteva immaginare che si sarebbe ritrovata faccia a faccia con una leggenda, lì, nella stiva della sua nave.

«Signorina Betz» incalzò uno dei quattro pony. La sua criniera era quasi rasata a zero, la barba ossessivamente perfetta, il pelo color porpora spazzolato e corto. «Il mio nome è Mark Sarang. Oltre a far parte del corpo di fanteria della UPO army force, sono uno storico ed esperto della cultura dei nostri antenati» fece una pausa «del pianeta d’Equestria insomma»

Sammy ebbe un sussulto mentre ricordi cominciavano ad affiorare nella sua mente. Sarang proseguì «Sono stato nominato personalmente dal segretario della difesa per accompagnare la squadra SOG in questa missione. Lei capisce che in una situazione così delicata la conoscenza approfondita delle condizioni che potremmo trovarci di fronte è di vitale importanza»

Adesso Sammy capiva, ma non poteva crederci. Spostò lentamente la testa osservando gli altri tre pony ed il generale Pimpez: erano parte della squadra Special Operations Group. Era un qualcosa di cui chiunque sentiva parlare almeno una volta nella vita: una squadra top secret dei servizi segreti universali formata solo dai migliori che sgomina le minacce più insidiose, chi non ci avrebbe fantasticato su? Ma adesso li aveva davanti a sé, e mai si sarebbe aspettata di trovarci il generale Pimpez in persona. Chissà chi erano quegli altri pony misteriosi che restavano in silenzio, chissà di cosa erano capaci. Anche se Sammy non portava rispetto per le forze armate, la sensazione di sedere al fianco di tali personaggi provocò uno strano senso di riverenza in lei. Pensò ad Ashley e a come sarebbe letteralmente impazzita quando avrebbe scoperto chi aveva conosciuto quella mattina.

«Questa mattina abbiamo raggiunto il pianeta d’Equestria come lei ben sa e ci stiamo orbitando attorno ormai da qualche ora» continuò Sarang «Nonostante le mie ricerche, ciò che sappiamo è relativamente troppo poco per poter colpire con certezza»

Improvvisamente tutti sembrarono concentrare la loro attenzione su Sammy. Mark Sarang ridusse gli occhi a due fessure «Lei, signorina, e la sua famiglia siete gli unici pony ad aver lasciato questo pianeta nell’arco degli ultimi centocinquant’anni. Siete stati inseriti correttamente nel programma di protezione dei pony fuggiti da Equestria ed avete trovato dimora nella Repubblica Democratica Federale delle Isole Pimpaine»

Sammy non era sicura se quel riassunto avesse un qualche scopo persuasivo o se Sarang lo stesse facendo solo per mettere al corrente gli altri presenti «A noi non importa come e perché lei e i suoi genitori ci abbiate raggiunto proprio ora. Sta di fatto che lei aveva già nove anni quando lasciaste Equestria». Sarang fece una pausa, il tono di voce si abbassò «Lei è l’unica tra noi che sa cosa succede lì sotto. È l’unica che ha dei ricordi di come i pony d’Equestria pensano, agiscono e comunicano. È l’unica che può guidarci nella nostra missione»

Nella sala cadde il silenzio. Tutti gli occhi erano puntati sulla pony bianca come il latte, la quale rifuggiva ogni sguardo cercando di prendere tempo. Sembrava una scolaretta impreparata che subisce la punizione del suo insegnante. Era vero, Sammy aveva lasciato Equestria con i suoi genitori ed aveva dovuto abbandonare in fretta e furia la sua vita, la scuola e tutti i suoi amici per venire catapultata in un mondo alieno a centinaia di anni luce da casa. Suo padre le aveva parlato quando erano arrivati a Pimpaina City appena scesi dall’elicottero: le aveva detto che da allora in poi avrebbe dovuto essere una nuova pony. Le disse che era fondamentale che dimenticasse ciò che era stata fino ad allora, che imparasse a recitare, che si facesse benvolere da quegli strani esseri rosa con le orecchie a punta. Le disse anche che i pony che avrebbe trovato lì non sarebbero stati come quelli che aveva conosciuto finora, e che era molto importante che non parlasse mai di Equestria con nessuno di loro. La bambina aveva ubbidito, e col passare degli anni si era trasformata in una perfetta ragazza della grande P, una delle più frizzanti metropoli dell’universo. Aveva fatto nuovi amici, studiato cose nuove, scelto un corso di laurea accattivante nella migliore università e accantonato in un cassetto della sua mente quel mondo che ormai le appariva così lontano. Ma quel giorno qualcuno stava violando quel cassetto con un gigantesco piede di porco, e non pareva intenzionato a fermarsi.

«Si tratta solo di dare una mano, Samantha. Starai con loro fino alla partenza domani mattina e poi potrai tornare al tuo lavoro di sempre» disse Sparkey dal fondo della stanza. I suoi grandi occhi vitrei violacei incrociarono quelli verdi di Sammy, cercando di esprimere quanto più possibile che non l’avrebbe abbandonata nelle loro grinfie.

«Naturalmente! Non le chiederemo niente di strano od inappropriato, ha la mia parola» concluse Sarang cercando di suonare il più accomodante possibile.

Samantha deglutì rumorosamente ed iniziò ad annaspare. Dopo anni passati a costruire un equilibrio nella sua fragile vita, le stavano chiedendo di demolire tutto ed aprire quel cassetto. Certo, aveva solo nove anni, ma il trauma che aveva subito nel distaccarsi in maniera così violenta dal suo mondo l’aveva segnata per sempre. Dall’altra parte aveva trovato un tetto, un pasto caldo e qualcuno che la istruisse, ma mai qualcuno che poteva davvero cogliere la sua essenza: era questo ciò che suo padre le aveva detto.

Sforzandosi notevolmente fece un lento cenno di sì con la testa. Non aveva molta scelta d’altronde: cosa avrebbe dovuto fare? Intralciare un’operazione dei SOG ordinata direttamente del segretario della difesa Pick Lasemby in persona? Avrebbe potuto dire addio alla sua carriera e forse anche a qualcosa di più.

«Molto bene» rispose soddisfatto Mark Sarang. Gli altri tre pony continuavano imperterriti a fissarla con la loro postura statuaria inamovibile. «Direi di iniziare da un fondamento: vorrei conoscere il suo nome, signorina Betz»

«Ma di che stai parlando?» sbottò il generale Pimpez, probabilmente già stufo di dover avere a che fare con una timida pony che stava rallentando la loro operazione «E’ quello il suo nome! Lo hai detto tu stesso!»

Mark Sarang scosse la testa con fare deciso «I pony d’Equestria assegnano il nome ai propri figli con molta attenzione. Vi è un significato esoterico, quasi tribale nella scelta del nome. E soprattutto ha sempre un legame con la natura, con la realtà. Mark, John, Steve, sono nomi senza senso. Appunto, solo nomi. Ma un vero pony d’Equestria non si chiama certo così»

John Pimpez cambiò improvvisamente atteggiamento, assistendo molto incuriosito e quasi stupito alla spiegazione di Sarang. Il comandante Cerutti ed il primo ufficiale Sparkey strabuzzarono gli occhi ascoltando quelle parole: Sammy non si chiamava davvero Sammy?

Il pony rossastro si avvicinò leggermente ad una pietrificata Samantha che teneva lo sguardo fisso su di lui «Una pony nata e cresciuta ad Equestria non si chiama certo Samantha Betz. Questo è il nome che la sua famiglia ha scelto per lei una volta arrivati a Pimpaina» Posò uno zoccolo sulla zampa della pony perlacea appoggiata sul tavolo «Dunque signorina, qual è il suo vero nome?»

Sammy fece un grosso respiro: ormai non poteva più tornare indietro. Doveva affrontare quella cosa, doveva scavare a fondo dentro di sé. Quello che aveva detto Sarang era vero, e nel suo caso più che mai. Solitamente i genitori ad Equestria fanno una predizione sul temperamento e l’aspetto del figlio e da quello decidono il suo nome. Nel caso della giovane pony non poteva essere più azzeccato.

«Snowy Night…è il mio nome» bofonchiò poco decisa Samantha, persa nei suoi pensieri. Non pronunciava quelle parole da ormai sedici anni.

Sarang arretrò soddisfatto: una luce di gioia brillava nei suoi occhi. Anni di studi stavano finalmente dando i loro frutti: aveva davanti a sé una vera discendente d’Equestria di prima generazione, fresca di conoscenze e ricordi. Cerutti e Sparkey erano letteralmente senza parole.

A questo punto Mark Sarang procedette come aveva pianificato di fare, evitando di massacrare la povera pony di domande «La ringrazio molto per essere così collaborativa signorina Ni-»

«Betz. Mi chiamo Samantha Betz»

«Naturalmente. Signorina Betz. A questo punto le vorrei chiedere: osservando noialtri pony, cosa nota maggiormente che ci distingue da un pony d’Equestia? Cosa potrebbe farci non passare inosservati?»

Il flusso di ricordi si stava sbloccando. Samantha non aveva un’espressione. Lo stress che aveva accumulato da quando si era svegliata quella mattina era troppo elevato affinché la sua fragile psiche lo potesse sopportare. Sembrava separata, distaccata, dissociata da quello che stava accadendo. Sapeva che doveva andare avanti, e non ebbe alcun problema a rispondere abbastanza velocemente.

«Innanzitutto, nessuno di noi qui ha un cutie mark»

Gli occhi di Mark Sarang sembrarono brillare ancora di più, mentre si tratteneva dal contorcersi per l’emozione.

«Sarebbe veramente assurdo vedere dei pony adulti fianchi bianchi girovagare per le strade. Attirereste immediatamente l’attenzione». La voce della pony era monotonica, cantilenosa.

I pony militari che fino a quel punto avevano mantenuto la loro aura impassibile ruppero la loro compostezza e strabuzzarono gli occhi fissando Sammy.

«Un cosa?» chiese spaesato uno di loro: un pony dalla criniera argentata e dal manto blu come la notte.

«Allora è proprio vero! Solo alcuni testi riportano brevemente l’esistenza dei cutie mark, ma praticamente nessuno nella comunità scientifica crede che siano un fenomeno reale» bisbigliò tra sé e sé Sarang, ormai perso nelle sue elucubrazioni.

«Forse nessun pony discendente di coloro che fuggirono ha un talento speciale. O molto più realisticamente la comparsa del cutie mark dipende dalla magia» proseguì Sammy, ormai nel pieno del suo fiume di pensieri.

«È un’ipotesi estremamente affascinante e plausibile. Oltretutto la presenza di magia su questo pianeta ci provocherà non pochi problemi»

Il generale Pimpez sbuffò «Assolutamente. Purtroppo qualunque cosa che non abbia quattro zampe e senza pelo che decida di avventurarsi la sotto morirebbe soffocata nel giro di pochi secondi». Indicò il suo petto con il grande pollice rosa «Anche un ragazzone stagionato come me»

Sarang si rivolse con un sorriso a Sammy «Sono sicuro che abbia dato qualche esame di elettromagia e di meccanica magitronica nel suo corso di studi al PIT, vero signorina Betz?»

La pony perlacea annuì aggrottando la fronte mentre cercava di ricordare qualche nozione persa nella memoria degli anni di università. Non era neanche sicura di aver seguito in aula il corso di fondamenti di elettromagia: probabilmente aveva studiato dalle dispense subito prima dell’esame. Equestria non era certo l’unico pianeta nell’universo a possedere questo strano prodigio e anche se Sammy non era particolarmente appassionata alla materia, sapeva bene che la magia era un fenomeno strettamente legato all’elettromagnetismo e permesso grazie alla presenza di una particella subatomica fortemente energetica nota come magitrone. Il fatto è che i magitroni presentano una fortissima affinità con gli atomi di ossigeno a cui si legano istantaneamente impregnando l’aria e permanendo nell’atmosfera. Questo legame impedisce all’emoglobina di una qualunque creatura non nativa di un pianeta magico di legare l’ossigeno e trasportarlo all’interno dell’organismo: solo i pony possiedono una modificazione della proteina in grado di legare ossigeno magico così definito.

«Il generale Pimpez utilizzerà un autorespiratore con filtri attivi ionizzanti per purificare l’ossigeno. Non sarà certo scomodo come indossare una tuta da astronauta» disse Sarang intuendo dallo sguardo di Sammy che ella sapeva effettivamente di cosa stavano parlando.

«Già, ma un handicap del genere rappresenta un serio rischio in combattimento. Una scheggia, un proiettile, anche solo della polvere potrebbero mettere a repentaglio la vita di un membro della squadra e la riuscita della missione» sentenziò il pony dalla criniera argentata mentre scrutava fisso il pony rossastro. «Non siamo venuti qui a fare una gita turistica professor Sarang, e un punto debole come questo sarebbe già troppo per procedere con la missione in una normale circostanza»

Pimpez alzò la mano in segno di stop verso il pony blu scuro e socchiuse gli occhi «Basta così Lasseter, credo di saper badare abbastanza a me stesso e anche a voi. Questa cosa si farà come stabilito dal segretario e dall’Alto Comando»

«Signorsì signore». Lasseter, il pony dalla criniera argentata, riprese la sua compostezza e obbedì all’ordine del suo superiore. Sammy era davvero stupefatta. Lei ed il resto dell’equipaggio sapevano di avere a bordo un gruppo di militari particolarmente incazzati ed erano a conoscenza di quale fosse l’obiettivo della loro missione, ma nulla poteva far loro pensare di avere a bordo la squadra SOG. Che l’operazione fosse stata ordinata direttamente dall’Alto Comando delle Forze Armate Universali era effettivamente plausibile, anzi quasi necessario data la sua importanza e delicatezza.

Mark Sarang, impassibile all’invettiva di Lasseter, proseguì con il suo discorso «Ad ogni modo, il cutie mark è un simbolo che compare sui fianchi di un pony generalmente nel periodo dell’adolescenza. Prende forma solo ed esclusivamente quando egli scopre il suo più grande talento che lo rende unico rispetto a tutti gli altri, e questo simbolo rappresenta proprio il talento speciale»

«Ottimo, ho sempre desiderato tatuarmi dei pancake sulle chiappe. Mia moglie sarebbe fiera di me» esordì ridendo uno dei due pony rimasti. Il resto della squadra annuì senza reagire alla battuta.

«Temo proprio che sarà esattamente quello che faremo» disse Lasseter fissandosi il fianco «Sarà meglio preparare delle decalcomanie in fretta per questa sera» e il suo volto si girò verso il comandante Cerutti.

«Nessun problema. Sparkey, per favore, comunica al ponte tre che i laser di stampa sono interdetti all’uso fino a nuovo ordine. Non voglio nessuno in quel settore almeno fino a domattina»

Il primo ufficiale rispose con un cenno ed alzò il suo braccio sinistro per portare il suo MSU al viso. Il vistoso computer legato al braccio si illuminò e Sparkey cominciò a picchettare velocemente per trasmettere il messaggio. Sammy lo fissò incuriosita: per lei era sempre estremamente interessante vedere una Mobile Status Unit all’opera. Quel misterioso e complesso computer da braccio era in dotazione a chiunque facesse parte delle forze armate universali o di una forza armata superiore. Beh, a tutti coloro che davvero facevano parte delle forze armate: Samantha in qualità di membro di equipaggio del ponte di volo non aveva diritto a riceverne uno. In generale, su una nave interstellare solamente il comandante ed il primo ufficiale ne erano in possesso, ed infatti erano gli unici a non indossare la caratteristica tuta arancione: il loro abbigliamento consisteva nella classica uniforme militare della UPO army force con il logo Interstellar Forces stampato sopra. C’era chi diceva che non tutti gli MSU fossero uguali e che alcuni fossero più potenti o presentassero capacità nascoste: di sicuro, se le voci erano vere, quelli indossati da John Pimpez ed il resto dei SOG dovevano essere tra i più speciali di tutto l’universo.

«Bene, direi che abbiamo già dell’ottimo materiale su cui ragionare» sentenziò soddisfatto il professore dal manto rossastro. «Mentre parliamo, lo scanner della Pardatchgrat sta lavorando senza sosta per mappare correttamente il territorio. Dovremmo riuscire ad ottenere una precisione inferiore al metro grazie alla ristrettezza della zona di ricerca»

Si voltò per l’ennesima volta verso Samantha, assetato di carpire quante più informazioni dalla povera pony color latte «Come lei credo possa immaginare, il nostro obiettivo è la città di Canterlot». Si avvicinò col muso verso Sammy: il suo tono di voce si fece nuovamente più basso, come a voler caricare di pathos la scena «Se ricordo bene il suo profilo si tratta proprio della sua città natale, signorina Betz»

Quel modo di chiamarla faceva sembrare a Sammy Mark Sarang ancora più viscido di quanto non fosse. «Sì. È così» rispose telegrafica lei. Il momento di fredda lucidità si era concluso e la pony si era nuovamente richiusa in un profondo turbamento. Desiderava solo che quella riunione avesse fine e di poter riprendere un po’ fiato.

«D’accordo signori, direi che può bastare» sentenziò con voce ferma il generale Pimpez mentre si sganciava dal suo sedile cominciando a fluttuare. «Il piano resta lo stesso per ora, dobbiamo solo aggiungere le decalcomanie ed assicurarci che voi ragazzi siate il più mimetizzati possibile»

Sammy ringraziò mentalmente il generale, e le parve anche che egli la stesse guardando con apprensione, come se l’avesse fatto apposta per lei ad interrompere il meeting. A quel punto il possente pimpaino si diresse verso Samantha e la sua espressione cambiò di colpo in una molto più dura «Naturalmente ingegnere, non credo serva che le dica che tutto quello che ha sentito in questa stanza è assolutamente materiale classificato del dipartimento della difesa, comprese le nostre identità. Credo conosca già le sanzioni in caso di mancato rispetto dei decreti». Avvicinò il suo viso alla pony perlacea che nel frattempo era rimasta ancora legata al suo sedile «Non faccia cazzate e vedrà che tutto si concluderà molto in fretta»

Senza dire un’altra parola l’intero gruppo SOG seguì il generale fuori dalla stanza diretti presumibilmente verso le proprie cabine. Rimasero solo il comandante, il primo ufficiale ed una Samantha Betz quasi in stato di shock. Fu il comandante a slacciare le cinture della pony e a farla fluttuare via dal suo sedile.

«Ascolta Samantha: posso solo provare ad immaginare quanto sia doloroso per te dover affrontare una cosa del genere. Non solo nel ricordare ma anche nel pensiero di cosa stai contribuendo a fare» Cerutti era estremamente calmo e serio nel pronunciare le sue parole. Era ancora turbato dopo aver scoperto il vero nome di Sammy che continuava a rimbombargli nella mente.

Poco dietro, il primo ufficiale Sparkey posò una mano sulla spalla di Sammy mentre il comandante continuava «Ma per quanto orribile sia, devi tirare avanti. Non farti ingannare dal loro smalto: saranno anche dei combattenti e strateghi formidabili ma questa volta sembra abbiano bisogno di te. Mi dispiace solo che un così bravo ingegnere di rotta debba ritrovarsi in una situazione di merda come questa»

Il primo ufficiale annuì «Sei esonerata da qualunque incarico Betz. Va pure in cabina e riposa per quanto puoi: sono sicuro che non tarderanno a farsi sentire nuovamente»

Cerutti sospirando si voltò verso Sparkey «In pratica in questo momento Pimpez ha più autorità su questa nave di quanta ne abbia io»

Stremata, Sammy si diresse nella sua cabina. Non era nemmeno mezzogiorno mentre la pony entrava in stato catatonico chiudendosi la porta alle spalle. Crollò istantaneamente sulla sua branda senza neanche legarsi, sprofondando in un sonno scuro e tormentato.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

La luce del giorno traspariva appena dalle tende socchiuse. Malgrado il buio, tanti piccoli puledrini schiamazzavano in giro per l’aula, rincorrendosi e giocando spensierati. Una piccola pony dal manto bianco come la neve e la criniera rosso fuoco si affacciò timidamente dentro la stanza. I suoi genitori dietro di lei la osservavano in silenzio.

La puledrina si voltò indietro incerta sul da farsi, incrociando il severo sguardo del padre. Gli aveva promesso che sarebbe stata brava, che avrebbe fatto amicizia. Perché lei voleva rendere felice papà, e se papà fosse stato felice loro tutti avrebbero vissuto bene nella loro nuova casa.

Improvvisamente la bambina sentì incombere su di lei la figura di una giovane ragazza pimpaina che le sorrideva «Buongiorno piccolina! Io sono la maestra Josy. Vieni con me, andiamo a conoscere i tuoi compagni» e la prese per la zampa guidandola nel corridoio centrale tra i banchi. Nel buio della stanza il proiettore acceso dipingeva sul muro la scritta ‘Benvenuti!’ con un pony che gonfiava palloncini sorridente sullo sfondo.

La piccola si girò di nuovo, ma i suoi genitori erano spariti. Voleva tornare a casa, ma doveva fare felice papà. La mamma sarebbe stata felice se papà fosse stato felice.

«Come ti chiami piccola?» chiese la maestra Josy ormai quasi arrivata alla cattedra sempre tenendola per la zampa. Improvvisamente cinque puledrini smisero di rincorrersi e si fermarono a guardarla, curiosi di conoscere la nuova arrivata. Lei era ferma, pietrificata a guardare un punto imprecisato del pavimento.

Doveva rendere felice papà. Fece un bel respiro «Mi chiamo…»

***

«Ingegner Betz! Samantha! È lì dentro?»

Il rumore di qualcuno che batte sul metallo era uno dei suoni che Sammy aveva imparato ad odiare nel corso della sua vita. Soprattutto se quel qualcuno bussava su una nave interstellare dove tutto può rimbombare quasi all’infinito. Era la prima cosa che veniva insegnata a chiunque mettesse piede, zoccolo o qualunque altra cosa su una nave: fluttua in giro, appoggiati ai sostegni per spingerti, va dove ti pare ma non cercare MAI di camminare o di dare colpi alle pareti se non vuoi che l’ira del resto dell’equipaggio torturato dal rimbombo si abbatta su di te. La pony perlacea aprì gli occhi per ritrovarsi a testa in giù davanti allo specchio del bagno della sua cabina: ecco cosa succedeva non legandosi, soprattutto se si aveva la tendenza ad avere incubi e dimenarsi nel sonno. Si girò su sé stessa abbastanza velocemente, abituata com’era da anni a muoversi in microgravità, e riconobbe subito la voce preoccupata della sua assistente Ashley Reed.

La porta si aprì di colpo e Ashley si trovò davanti una Samantha Betz con la criniera arruffata ed il volto scavato. Ebbe un sussulto ed istintivamente fece un passo indietro: non aveva mai visto il suo superiore in quelle condizioni in un anno intero che la conosceva. Senza dire nulla Samantha fece un cenno con la zampa ed invitò la pony verde acqua ad entrare velocemente per poi chiudere la porta dietro di lei.

«Ma che fine ha fatto? Che cosa le hanno detto?» la incalzò Reed forse ancora più preoccupata di prima «Ci aspettavamo tutti che la cosa durasse poco, ma poi ho visto il comandante entrare in plancia e la sua espressione mi ha fatto rabbrividire». Fece una pausa per riprendere fiato «E poi abbiamo aspettato ancora e lei non arrivava quindi ho chiesto a Sparkey e aveva detto di lasciarla stare perché era molto stanca e so che avrei dovuto farlo ma ero preocc-» per la seconda volta quel giorno Samantha le posò una zampa sulla spalla e la sua assistente si ammutolì.

Rimasero qualche secondo a guardarsi negli occhi, mentre Ashley scrutava lo sguardo di Samantha nel tentativo disperato di cogliere un segnale da parte sua. Chiusa nella sua mente, Sammy stava contemporaneamente cercando di riprendersi dalla sveglia improvvisa e di capire cosa e cosa non avrebbe potuto raccontare alla sua assistente. I grandi occhi rosa della pony verde acqua la stavano scrutando nel profondo. Dentro di sé avrebbe voluto vuotare il sacco con l’unica persona che davvero considerava degna di stima su quella nave, ma le parole del generale Pimpez le rimbombavano minacciose in testa.

«Quanto ho dormito?» bofonchiò Sammy scuotendo la testa e guardando lo spazio profondo attraverso il grande oblò accanto a loro. Ashley restò interdetta e disorientata da quella reazione. Aveva anche lei udito le voci e sapeva lo scopo della missione come tutti su quella nave, ed era per questo che temeva così tanto per la sua superiore. Ma dopo una rocambolesca mattina in cui già l’aveva vista fuori di sé come mai prima di allora si trovava lì, spiazzata, davanti a quella che era solo l’ombra della pony che conosceva.

«Direi almeno tre ore» rispose dunque Reed con una voce arresa e demotivata. Quella situazione era così irreale e strana che non sapeva davvero come comportarsi. Era bastato raggiungere quel dannato pianeta per far scoppiare il più grosso casino che la USS Pardatchgrat avesse mai visto accadere nei suoi ponti e nelle sue cabine.

Osservò attentamente la pony dalla criniera rossa mentre fluttuava vicino all’oblò, persa nei suoi pensieri. Sembrava quasi si fosse dimenticata della presenza di Ashley ed un’espressione atona ma allo stesso tempo preoccupata era dipinta sul suo volto. La pony verde acqua non sapeva cosa fosse successo in quella riunione, né cosa effettivamente Samantha potesse sapere o ricordare su Equestria, ma fu allora che si ripromise di non lasciarla da sola. Aveva conosciuto quella pony abbastanza a lungo per carpire il senso di solitudine e desolazione che aleggiava nei suoi occhi, anche se aveva sempre cercato di nasconderlo dietro la sua professionalità e le chiacchiere spicciole che scambiava tra un turno e l’altro. E ora quel viaggio stava palesemente minando la psiche della povera Samantha, costretta probabilmente a ricordare un passato di cui avrebbe fatto volentieri a meno.

Ashley si avvicinò all’amica molto lentamente mentre cercava qualcosa da dire.

«Non è strano?» Improvvisamente Sammy ruppe il silenzio della stanza facendo sobbalzare Ashely, che continuava a fissarla. «I Pimpaini non nutrono particolare simpatia per i pony, figuriamoci per la più stramba di tutti»

La pony perlacea si voltò con occhi spenti verso la sua assistente «Tutti i pony che ho conosciuto in questi anni erano esattamente come i loro fianchi: bianchi, vuoti. Mi hanno presa in giro per quello che ero, perché gli facevo paura. Gli ricordavo un mondo che avevano dimenticato, che i loro nonni ed i nonni dei loro nonni avevano cercato di cancellare il più possibile»

Improvvisamente Ashley vide gli occhi verdi di Samantha prendere una nuova energia, un guizzo di vitalità «Per tutta la vita mi hanno chiesto di dimenticare, di cancellare quella che sono. E adesso mi chiedono il contrario. Non è strano?»

La pony d’improvviso sembrò diventare più grande di quello che era. Una forza vigorosa venuta fuori dal nulla la stava investendo mentre la povera Ashley arretrava «Vogliono che rivanghi il passato per aiutarli a compiere l’ultimo passo. A risolvere definitivamente il problema»

I suoi occhi divennero due fessure. Fissò Ashley e la sua voce divenne cupa «Così voi pony sarete finalmente in pace con voi stessi, non è vero? Avrete la coscienza meno sporca? Potrete finalmente dormire sonni tranquilli sapendo che la vostra principessa è morta per causa vostra!»

Samantha urlò quelle frasi con tutta la forza che aveva. Gli occhi spalancati trasudavano livore mentre annaspava furiosamente di fronte ad una Ashley senza parole e spaventata. La pony verde acqua rimase lì balbettando qualcosa con le lacrime agli occhi.

Sammy si avventò su di lei prendendola per le spalle, gli occhi ancora sgranati e fissi su di lei «Tu sai chi sei Ashely? Lo sai davvero? Ti hanno insegnato così bene a ripudiare il tuo passato che non ti importa nulla del tuo cazzo di mondo natale?»

Ashley annaspava con il volto di Samantha a pochi centimetri dal suo, completamente scioccata da quella reazione. Dopo poco la pony dalla criniera rossa sembrò rinsavire e si allontanò dalla povera assistente «Ashley…io…mi dispiace»

In quella mattina Ashley aveva visto quella strana pony cambiare così tante volte atteggiamento che non sapeva più cosa pensare. Una lacrima le solcò il viso mentre indietreggiava. Samantha provò a riavvicinarsi allungando una zampa ma la pony verde acqua continuava ad allontanarsi singhiozzando, finché non fu fuori dalla stanza. La porta si richiuse immediatamente alle sue spalle lasciando Sammy nel silenzio della sua cabina.

Cazzo! Aveva esagerato di nuovo, e questa volta davanti alla sua assistente. Come ogni volta aveva sentito fluire la rabbia nel suo stomaco e da lì era esplosa senza più riuscire a controllarsi. Fino ad allora era successo solo con i suoi genitori, ma mai sul posto di lavoro. Perché non riusciva mai a fermarsi? Pensò a quante volte suo padre le aveva ripetuto che aveva un carattere di merda. Sapeva che in fondo Ashley le voleva bene e che non avrebbe fatto parola di quella conversazione a nessun altro, ma allo stesso tempo sentì come se qualcosa tra loro due si fosse spezzato in quella cabina.

Mentre rifletteva su quanto accaduto, il suono metallico dell’altoparlante interruppe il silenzio della stanza.

‘Ingegner Betz, venga in plancia per favore’

Si sforzò di riconoscere quella voce, ma non le parve di nessun membro dell’equipaggio, e la cosa era alquanto strana. Scosse la testa buffando: aveva appena avuto il tempo di riposare un po’ e di avere oltretutto una discussione e già la stavano nuovamente convocando. Fece un ghigno al pensiero di avere nuovamente a che fare con Mark Sarang: quel pony era così ossessionato da Equestria da vedere lei solo come una cavia da laboratorio. Ciononostante non aveva molta scelta: si diede malamente una ripulita in fretta e furia ed uscì controvoglia dalla sua cabina diretta verso il ponte di comando.

Quando le porte si aprirono, Samantha restò sbigottita nel constatare che il ponte di volo era praticamente deserto. Il pianeta d’Equestria era sempre lì, riempiendo le enormi vetrate mentre scorreva lento sotto di loro. Alla fine tutti i pianeti ottimali per la vita erano uguali: oceani, zone verdeggianti, nuvole. Molti sostenevano fosse più interessante osservare giganti gassosi o strani luoghi inospitali, come enormi oceani di metano liquido o inferni di vulcani e lava incandescente. Sammy di luoghi così ne aveva visti tanti durante i suoi anni da ingegnere di rotta, ma nonostante tutto ciò trovava sempre qualcosa di estremamente poetico e spirituale nell’osservare un pianeta abitabile; nel guardare le nuvole che si muovevano lente e realizzare che qualunque forma di vita era solo un minuscolo e fragile granello di sabbia nell’immensità dell’universo. Per la prima volta in quella giornata vinse il suo sconfortò e guardò a lungo fuori dalle grandi vetrate. Poteva chiaramente vedere la linea del terminatore che si avvicinava inesorabilmente: presto sarebbero stati al buio. Ovviamente l’orario della nave che scandiva i turni dell’equipaggio non aveva nulla a che fare con il ciclo giorno-notte del pianeta su cui si trovavano, senza contare che orbitandoci attorno la nave sperimentava tramonti ed albe continue.

«È magnifico!»

Sammy si girò di botto ritrovandosi accanto al professor Sarang. Il pony rossastro se ne stava lì, accanto al sedile del comandante, fissando anche lui l’esterno. Riconobbe la sua voce come quella udita all’interfono.

«Ogni cosa nell’universo prima o poi trova la sua condizione di equilibrio stabile. Non è affascinante pensare che ogni sistema planetario possieda un solo verso di rotazione orbitale per tutti i suoi pianeti? Nel tempo, il verso privilegiato ha vinto sull’altro eliminando tutti i corpi celesti controrotanti»

Samantha ascoltava smarrita il discorso di quel pony così eccentrico. Che cosa voleva ancora da lei? Si guardò attorno, notando che apparentemente erano soli sul ponte di comando. Cominciò a sentirsi vagamente a disagio.

«Eppure secondo le leggi della meccanica orbitale, questo è l’unico pianeta conosciuto che non dovrebbe stare dove si trova. Il suo livello energetico non combacia con la sua posizione attorno a questa stella ed anche la rotazione sul proprio asse non segue un ritmo perfettamente costante»

Mark Sarang si voltò verso Sammy, osservandola con uno sguardo indagatore «Un piccolo sassolino beffardo che sfida le leggi che regolano la realtà da quando esistono i concetti stessi di tempo e spazio. È davvero magnifico, signorina Betz»

«Perché non mi dice qualcosa che non so già?»

«E’ già stufa dei miei discorsi? Speravo che avremmo potuto...»

«Preferirei che le nostre conversazioni si mantenessero al minimo indispensabile, professor Sarang» tagliò corto Samantha «Sono qui per rispondere alle vostre domande, nient’altro»

Il pony dal manto rossastro si irrigidì «Forse abbiamo iniziato con lo zoccolo sbagliato, signorina Betz»

«Ingegner Betz»

Il pony sembrò ignorare la frecciatina di Sammy, e proseguì con il suo discorso «Forse non le è chiaro che mantenere dei buoni rapporti sia la cosa migliore. La sua cooperazione è fondamentale per questa missione»

«Ne dubito professore, io non sono un’assassina»

Improvvisamente una voce tuonò da dietro di loro «Oh ma guarda, la pony ingegnere ha i sensi di colpa. Ci avevo visto lungo in sala riunioni»

La faccia di Sarang si fece seria mentre il generale Pimpez entrava nella sala di comando «Ogni cosa ha un suo prezzo professore. Se decide di avere a che fare con la piccola pony fuggita dal suo paese prima o poi dovrà fare i conti con il suo animo»

Quasi contemporaneamente, Lasseter ed i due altri pony in divisa mimetica fecero capolino dalla porta e si posizionarono in silenzio ed in riga vicino ad una parete.

Il possente pimpaino fluttuò vicino Samantha «Lei ci chiama assassini, ingegnere. Beh, non posso darle torto: è sempre facile puntare il dito contro chi è disposto a fare il lavoro sporco»

Detto questo posò una mano sulla spalla della giovane pony e si avvicinò pericolosamente al suo viso. Nonostante fossero in microgravità, per un attimo Sammy percepì di star sprofondando verso il basso.

«Prima ha detto di conoscere lo scopo della missione, ma non perché dobbiamo farlo. Francamente credo che lei stia cercando di prenderci per il culo, ingegner Betz»

Si avvicinò ancora di più, così tanto che Samantha poteva percepire il suo respiro «O forse preferisce mentire a sé stessa»

Sammy rimase ammutolita di fronte all’inquietante essere rosa che incombeva su di lei. Per qualche istante temette addirittura che di lì a poco le avrebbe fatto del male, ma il pimpaino si ritrasse cominciando a girovagare per il ponte di comando con fare strafottente «Come ho detto prima, certe volte la gente ha bisogno di un capro espiatorio per poter addossare le colpe dell’orrore che accade nell’universo. Un modo per andarsene a letto sereni»

Si sedette su uno dei sedili della sezione propulsione, stiracchiando le braccia «Certe volte facciamo in modo che quel capro espiatorio sia proprio noi». Si voltò fissando la pony bianco latte negli occhi «Lei non sa tutto Betz, ma se davvero ci serve il suo aiuto allora sarà bene metterla al corrente»

Samantha restò sbigottita udendo quelle parole. Più quella giornata andava avanti più le sue modeste energie si prosciugavano per i mille eventi che stava affrontando.

«Ma signore, queste informazioni sono...»

«Ti ho forse chiesto di intervenire Springer? È meglio che tieni chiusa quella fogna se non vuoi che ti prenda a calci nel culo» tuonò Pimpez contro uno dei pony in uniforme. Malgrado Springer fosse un pony decisamente massiccio e muscoloso, anche più grosso degli altri due, sembrò ridursi ad un puledrino di fronte alla reazione del suo superiore. Era evidente come il generale si stesse sforzando di comportarsi in modo per lui estremamente cordiale con Samantha, rispetto a come era normalmente abituato nella sua posizione.

«Sergente Lasseter, può per favore esporre il protocollo Delta alla signorina?» disse Pimpez con fare canzonatorio. L’avevano di nuovo chiamata signorina.

«Delta: protocollo di amministrazione planetaria. Il pianeta fa parte della confederazione ma il suo popolo ne è all’oscuro. Un ambasciatore viene nominato presso il parlamento universale ma non sono previsti seggi o capacità decisionali» disse con voce ferma Lasseter dal fondo della stanza.

Samantha sapeva bene ciò di cui stavano parlando. I protocolli di amministrazione venivano ripetuti fino allo sfinimento nel percorso scolastico di un giovane pimpaino, per non parlare di quando si era iscritta in accademia. Normalmente i pianeti, o per meglio dire le nazioni, che entravano a far parte della Universe Protection Organization stabilivano l’utilizzo del protocollo Alfa. Quest’ultimo sanciva semplicemente l’ingresso del paese nella confederazione ed il suo ottenimento di un seggio nel parlamento universale. Il nuovo rappresentante veniva accolto con una solenne cerimonia in cui firmava l’atto di alleanza e stringeva la mano ai tre presidenti della UPO e al segretario della difesa.

Tuttavia, nel corso dei secoli e con l’estensione della UPO a sempre nuovi mondi, ci si rese conto che non sempre questa modalità poteva essere la migliore. Fu così che nacquero altri protocolli di amministrazione, ed il Delta era proprio quello che Equestria aveva adottato molti anni prima. Sostanzialmente solo le principesse regnanti e pochi loro collaboratori erano a conoscenza dell’esistenza stessa della confederazione, di forme di vita aliene e di tutto ciò che ne conseguiva: il Delta era stato elaborato per permettere ad un pianeta di collaborare con la UPO ed ottenere protezione militare e tecnologie senza che i suoi equilibri interni e sociali venissero scombussolati da una rivelazione del genere.

Pimpez indicò soddisfatto con la mano il pony che aveva appena finito di recitare il protocollo «Di pianeti così ce ne sono pochi e di solito se ne stanno ai margini della confederazione. Sanguisughe che si aggrappano al pesce più grosso per riuscire a sopravvivere»

Il generale rivolse velocemente uno sguardo a tuti i presenti «Oh, ma non Equestria! Voi pony sapete veramente essere dei piccoli bastardi incalliti»

Di colpò sembro che le parti in gioco fossero cambiate. Non c’erano più la timorosa Samantha Bezt e la temibile squadra SOG: adesso un gruppo di pony confusi ascoltava un pimpaino parlare del loro mondo natale.

«Malgrado il mio orgoglio patriottico, sarei un folle a non riconoscere la possenza e la magnificenza delle forze armate che il vostro paese era riuscito ad assemblare»

I pony rimasero in silenzio. Tutti conoscevano la storia di come l’esercito e la marina d’Equestria si fossero immediatamente distinti per la loro potenza d’armamenti, anche se a parte qualche dimostrazione la loro azione era estremamente limitata dal protocollo Delta. Ma se c’era qualcosa che i pony di Equestria avevano davvero saputo sfruttare divenendo i leader indiscussi del campo era la tecnologia aeronautica. Forse grazie all’innata abilità nel volo dei pegasi o forse grazie alla dedizione allo studio degli unicorni, il regno d’Equestria riuscì in brevissimo tempo ad acquisire ed assimilare enormi quantità di nozioni su aerodinamica, meccanica del volo, strutture e propulsione aerospaziale. Il dipartimento della difesa universale istituì una fruttuosa collaborazione con la Pimpaina’s Aeronautical Developmet Institution (PADI) e dopo poco i neo ingegneri equestriani furono in gado di sviluppare aeromobili da combattimento dalle capacità mai viste prima: l’Equestrian Air Force era ufficialmente nata.

Questo progetto fu un successo clamoroso, ed anche i piloti si rivelarono estremamente capaci: una grande novità fu che i pegasi non avevano praticamente bisogno di indossare scomode ed ingombranti tute anti-g durante il volo, grazie alla struttura stessa del loro corpo abituato alle accelerazioni improvvise che si potevano sperimentare. Ovviamente la cosa non era totale ed i piloti avevano comunque bisogno di supporti nel caso di manovre particolarmente violente, ma questi erano estremamente meno complicati e pesanti rispetto a quelli utilizzati in altri aeromobili. Questo permise ai caccia equestriani di ridurre ulteriormente il loro peso e raggiungere la massima efficienza nei combattimenti aria-aria e nelle missioni di supremazia aerea.

«Una potenza tale da rendere l’Equestrian Air Force addirittura una forza armata superiore. Ancora ricordo le foto del generale Soft Glider appese al muro nelle sale del consiglio»

Le forze armate superiori erano un gruppo ristretto di enti militari che si distinguevano per potenza, capacità tecnologica e tattica all’interno dell’intera Universe Protection Organization. Al di là delle unità controllate direttamente dal dipartimento della difesa, come le Interstellar Forces o gli Space Ranger, in questo modo la confederazione poteva usufruire in maniera più efficiente delle migliori forze militari provenienti dai suoi pianeti. Una forza armata superiore partecipava al Consiglio delle Forze Armate Superiori e si interfacciava direttamente con il dipartimento della difesa, il generale supremo delle forze armate ed i tre presidenti della UPO in persona: queste quattro entità rappresentavano l’Alto Comando, il massimo grado decisionale per qualunque tipo di operazione militare di cui l’universo tutto avesse bisogno.

Una forza armata superiore riceveva una strabiliante quantità di fondi economici, supporto tecnico e logistico e veniva inglobata direttamente nell’organico universale con basi operative sul pianeta Turo ed altrove, ma tutto questo aveva un prezzo. Una forza armata superiore diveniva immediatamente di totale controllo dell’Alto Comando: la nazione o regno di cui essa faceva parte non possedeva più alcuna capacità decisionale, e l’utilizzo della forza militare per operazioni ed interessi interni doveva sempre essere preventivamente autorizzato dal consiglio.

Il generale Pimpez continuava il suo discorso mentre il resto dei pony ascoltava ammutolito «Per un po’ di anni la cosa funzionò bene. L’EAF era il fiore all’occhiello di tutta la UPO ed era costantemente in missione ai quattro angoli dell’universo». Si voltò verso Samantha con sguardo truce «Ma forse proprio quel vostro essere dei piccoli bastardi incalliti, quell’animo che vi aveva portato tanto in alto» aggrottò la fronte «vi fece sprofondare nel baratro»

Il pimpaino fluttuò nuovamente vicino alla pony ingegnere, la quale era rimasta immobile vicino al sedile di comando per tutta la durata del suo discorso. Per l’ennesima volta quel giorno l’avevano messa con le spalle al muro, costretta ad ascoltare storie e monologhi di cui avrebbe volentieri fatto a meno.

«Avanti Betz: non mi faccia fare ancora il coglione con questi ragazzi chiedendo loro di ripetere. Lei sa benissimo a cosa mi riferisco, non è così?»

Tutti si voltarono verso Sammy: la sua criniera rossa come il fuoco ondeggiava libera in microgravità avendo perso l’elastico dopo la riunione. Il suo volto era marmoreo, stretto in un’espressione neutra: si stava palesemente concentrando con tutte le sue forze per non andare in crisi in una situazione del genere.

«emigrif…» disse Samantha con un filo di voce, sguardo fisso nel vuoto. Il resto dei pony annuì silenziosamente.

Pimpez stese il braccio indicandola come fosse un conduttore in uno show che annuncia chi ha dato la risposta esatta «Il nostro ingegnere ha fatto i compiti vedo»

Sammy strinse i denti usando ogni briciolo di forza di volontà rimasta per non urlare e riempire di insulti quel pallone gonfiato arrogante. Perché continuava ad incalzarla in quel modo? Perché voleva che fosse proprio lei a rivivere quella storia? Gli dava così fastidio che fosse l’unica pony a possedere ancora un legame con il suo mondo?

«La cara principessa Celestia pensò bene di usare quel potere per i suoi comodi. E ovviamente la cosa fu un disastro» continuò Pimpez.

Era vero. Dopo anni e anni di pace Equestria si era trovata ad affrontare un grosso problema diplomatico, un problema che riguardava uno dei paesi più bellicosi e vicini: la Terra dei Grifoni. L’improvvisa morte del re Guto I aveva provocato una profonda spaccatura nel loro popolo, tra i sostenitori del leggitimo erede al trono Guto II e un’importante fetta di rivoluzionari che miravano ad ottenere il controllo del paese. Era fondamentale per Equestria che la famiglia reale continuasse a regnare affinché la pace fosse mantenuta: non era mai corso veramente buon sangue tra pony e grifoni, e la loro brama di potere avrebbe facilmente fatto scaturire una guerra devastante; milioni di vite sarebbero andate perse.

Celestia fece una scelta. Avrebbe usato tutte le forze militari a sua disposizione per aiutare la famiglia reale a riprendere il controllo della Terra dei Grifoni. Fu così che nacque in gran segreto la Equestrian union MIssion to GRIFfinland: un selezionato numero di plotoni di esercito, marina e di alcuni stormi dell’EAF fu inviato immediatamente oltremare per risolvere la questione.

Pimpez si allontanò da Sammy posizionandosi al centro dell’ampio ponte di comando: il resto dei presenti era attorno a lui verso le pareti «Voi sapete perché i vostri avi sono scappati da Equestria?»

Calò il silenzio. Samantha scrutò gli sguardi dei membri della SOG persi nel vuoto: non si aspettavano certo di essere messi anche loro in difficoltà, ma come detto ormai le parti erano cambiate.

Il possente pimpaino si voltò per l’ennesima volta verso la pony perlacea «Credo di capirla adesso signorina Betz. Dev’essere stato orribile vivere in un mondo che aveva cancellato tutto quello che lei e la sua famiglia eravate». Squadrò con sguardo sprezzante i suoi sottoposti fermi al muro «Il nostro programma di protezione dev’essere stato davvero eccellente. Sarete anche dei combattenti formidabili, ma non avete neanche idea di cosa e del perché lo state facendo»

Il sergente Lasseter, Springer e l’altro si guardarono a vicenda scombussolati. Per la prima volta in quella giornata, Sammy provò un attimo di sollievo nel sentir parlare uno di quegli strani militari. Ma era un sollievo dettato dalla rabbia e dal rancore: era proprio quello che non riusciva a perdonare nemmeno ad Ashley. Tutti questi fottuti pony abituati a vivere come pimpaini in un mondo che non apparteneva loro davvero: si erano integrati bene, e ora che sorgevano dei problemi anni e anni di testa sotto la sabbia avevano creato generazioni di ignavi, esseri standardizzati e meccanicamente inseriti nel ciclo che la confederazione universale voleva.

«Springer! Hai cercato di bacchettarmi su delle informazioni classificate che neanche tu conoscevi?» ridacchiò il generale con una voce però anche punitiva.

«Io…Signore, credevo si riferisse al procedere della missione» rispose quasi balbettando il pony giallo paglierino dalla criniera blu elettrico.

«Sarà meglio allora mettere tutti al corrente» disse improvvisamente Sarang rompendo il suo silenzio e salvando Springer da ulteriori ramanzine. Per la prima volta quel giorno la sua voce e la sua espressione suonavano molto meno pompose e più dirette.

«La versione ufficiale che fu redatta all’epoca, ormai persa negli anni e non più nota al pubblico» disse lanciando un’occhiata ai pony in uniforme «si limita ad affermare che l’operazione EMIGRIF fu immediatamente scoperta dal dipartimento della difesa: Celestia ed Equestria tutta furono quasi cacciati dalla confederazione ed i pony più affiliati ad essa ebbero l’opportunità di fuggire»

Il pony rossastro si avvicinò a Sammy con uno sguardo estremamente serio, che quasi la mise a disagio «Ma detta così sembra una storiella per far addormentare un puledrino la sera, non trovate?»

Tutti i pony sgranarono gli occhi fissando lo strano e misterioso professore «C’è una registrazione. Un messaggio audio inviato poco prima l’inizio dell’evacuazione»

Detto ciò il pony rossastro sfiorò il touch screen del suo MSU ed il suono di un profondo respiro affannato riempì la sala.

'Foxtrot-cinque-lima-romeo. Quei…quei pazzi ci hanno sparato. Hanno sparato davvero! È stato un massacro, non eravamo pronti. HAWX uno e tre sono morti, insieme a…non lo so cazzo, tanti altri'

La voce del pony era trafelata e disperata, sembrava proprio sul punto di piangere. Nel suono gracchiante del messaggio si potevano udire spari ed esplosioni in lontananza.

'Hanno…hanno preso gli aerei. Qualcuno è riuscito a scappare: ci siamo dispersi a caso nella foresta. Ormai è chiaro, siamo in guerra con i nostri fratelli. Non può succedere davvero. Mandate qualcuno a prenderci, per Luna!'

Calò nuovamente il silenzio. Samantha non si era resa conto di avere la bocca spalancata, ma non era l’unica sul ponte di comando.

«Questo messaggio è rimbalzato tra i ripetitori per giorni finché non è stato inviato da un sistema automatico verso il Comando Stellare. Sappiamo solo che proviene da un MSU dell’Equestrian Air Force. Non sappiamo chi l’abbia inviato, cosa sia successo di preciso e quando». Sarang aggrottò la fronte «Ma sembra abbastanza chiaro che dei pony abbiano aperto il fuoco su altri»

La pony perlacea era chiusa in sé stessa, persa nei suoi pensieri: sentire la voce di un equestriano come lei piangere di dolore e rabbia l’aveva scossa nel profondo. Cosa era successo laggiù?

«Ma perché uccidere Celestia? Perché ora? Cosa c’entra tutto questo?» chiese dopo un po’ Sammy fissando gli occhi neri come il carbone del generale Pimpez.

Il pimpaino ricambiò inflessibile lo sguardo, scrutando gli occhi verdi di Sammy «Qualche giorno fa, dopo centinaia di anni, un server del Comando Stellare ha ricevuto una richiesta di un file da Equestria»

«Solo un piccolo log a testimoniarlo: uno degli impiegati se n’è accorto per miracolo» aggiunse Springer, quasi a volersi riscattare per prima.

Pimpez proseguì «Questo file conteneva coordinate. Coordinate spaziali espresse nel formato per un sistema di puntamento». Fece una pausa e la sua voce divenne cupa «Erano le coordinate di Turo»

«Insomma, qualcuno vuole puntare qualcosa contro la capitale universale dopo duecento anni in cui Equestria è stata lasciata in pace» intervenne il professor Sarang. «L’Alto Comando non ha dubbi che sia stata la principessa Celestia ad ordinarlo: è l’unico pony insieme a sua sorella Luna ad essere immortale ed a conoscere dopo questo tempo il segreto della nostra esistenza. La confederazione ha abbandonato Equestria e adesso lei per qualche ragione cerca vendetta»

La squadra SOG annuì e tutti tornarono a fissare Samantha: adesso anche lei sapeva. Le nuove informazioni avevano lasciato la pony priva di ogni capacità di espressione, sempre più stremata da quella giornata assurda. Che davvero i pony di Equestria fossero così malvagi? Forse c’era un motivo se tutti quanti avevano scelto di dimenticare. Forse era lei in fondo l’ignorante testa di cazzo che si ergeva sugli altri solo perché non sapeva fino in fondo ciò che era successo su quel pianeta che orbitava sotto di loro.

Sammy si voltò a fissare Equestria attraverso i vetri della Pardatchgrat: era ormai notte e tutto l’emisfero era avvolto nelle tenebre. Non si scorgevano puntini luminosi, a dimostrazione del fatto che la luce elettrica fosse una cosa sconosciuta laggiù.

Improvvisamente si sentì toccare la spalla dalla grossa mano rosa del generale Pimpez «Chi troppo vuole nulla stringe, signorina Betz. Forse se la sua tanto adorabile principessa lo avesse saputo a quest’ora non saremmo qui»

Di colpo quel sentore di rabbia tanto familiare si materializzò nel suo stomaco: ne aveva avuto abbastanza. Fu un attimo: la pony si voltò tirando una poderosa zoccolata sul viso del pimpaino. John Pimpez fu sbattuto via dal colpo inaspettato fluttuando lontano; un rivolo di sangue sgorgava dal suo naso. Il suono sordo riempì il ponte di comando mentre il resto della SOG sgranava gli occhi.

Samantha restò lì paralizzata respirando affannosamente. Si guardò lo zoccolo e notò che era leggermente sporco di sangue anch’esso. Rimase a guardare inerme il possente generale che senza emettere un suono si rimise diritto fluttuando. Tutti gli occhi erano puntati su di lui, mentre Sammy non sapeva neanche a quale divinità appellarsi per avere pietà. Aveva davvero fatto una cazzata questa volta: cominciò ad immaginarsi gli scenari peggiori, la sua carriera rovinata, magari anche una bella denuncia al tribunale militare e lei che tornava a Pimpaina City a vivere con i suoi genitori.

Tutti attendevano. Dopo essersi asciugato il sangue del naso con il polso, Pimpez rimase immobile a fissare la pony dalla criniera rosso fuoco, e dopo qualche secondo parlò senza che la sua faccia avesse alcuna espressione «Tuttavia riconosco la sua integrità e la rispetto per questo: almeno lei ha davvero una bandiera»

Sammy restò interdetta e stupita dalla reazione del generale. Rimase in silenzio non sapendo cosa rispondere, mentre tutto il resto della squadra continuava a fissarla.

Ben presto però Pimpez ruppe il silenzio. La sua voce era cambiata, più atona di prima: in qualche modo suonava ancora più dura «Lei verrà con noi»

Il cuore di Samantha perse un colpo, e improvvisamente sembrò riacquisire tutta la vitalità persa «Cosa?!»

«Gli scanner non stanno funzionando. Qualcosa blocca le onde, probabilmente magia». Il pimpaino si strinse nelle braccia conserte «Non abbiamo nulla su Canterlot: non possiamo agire senza una mappa o un navigatore»

Fece una pausa. Dopodiché stese nuovamente il braccio per indicare Samantha, questa volta con fare decisamente serio «Lei verrà con noi. Sarà la nostra guida. È nata è cresciuta in quella città del cazzo e può darci le indicazioni che ci servono. Per il resto starà nell’angolo e non si metterà in mezzo se vuole rimettere il culo su questa nave»

La pony era nuovamente a bocca aperta. Non sapeva davvero cosa pensare, era ancora terrorizzata per aver realizzato cosa aveva appena fatto. Dopo qualche secondo di esitazione si rese conto per l’ennesima volta di non avere scelta. Lentamente il suo capo si mosse su e giù a segnalare un sì.

Improvvisamente le porte si aprirono ed il comandante Cerutti seguito da Sparkey entrarono sul ponte di comando.

«Ah, comandante! Giusto in tempo! Deve mettere a verbale che la sua ingegnere viene con noi» disse Pimpez rivolgendo lo sguardo verso il riccioluto essere umano.

Il comandate ed il primo ufficiale si guardarono increduli fermandosi improvvisamente. Non appena Cerutti tentò di aprir bocca Pimpez lo fermò «Sono certo che capirà se le diciamo che abbiamo convenuto essere di vitale importanza per la missione. Non vorrà certo che comunichi al segretario della difesa che lei ha ostacolato le nostre decisioni, vero?»

Sparkey cercò preoccupato lo sguardo di Sammy: la pony era in stato catatonico, ferma nello stesso punto da quando tutto quel discorso era iniziato. Annaspava chiusa nei suoi pensieri a tal punto che quasi non guardò l’alienoide giallo a sua volta.

Cerutti era sbalordito. Squadrò dall’alto in basso l’intera squadra SOG e Sammy, ma non aveva scelta: doveva eseguire gli ordini. Fece un bel respiro, accese la registrazione sul suo MSU e recitò «9 aprile 2327, ore 17:23 Zulu. Samantha Betz, ingegnere di rotta, è convocata dal generale John Pimpez del Special Operations Group per l’operazione Pony Onnipotente»

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

La cabina dei laser di stampa al ponte 3 era una di quelle zone della nave in cui Sammy si trovava veramente di rado. Non aveva un vero motivo per recarvisi e non trovava particolarmente emozionante guardare degli operai usare dei bracci meccanici per intagliare lastre di metallo o altro. Ogni unità della flotta interstellare abbastanza grande veniva dotata di laser in grado di fabbricare velocemente eventuali pezzi necessari alla riparazione della nave stessa. C’erano materiali di tutti i tipi, ed alcune volte i laser venivano anche usati per incidere etichette elettroniche che andavano poi apposte su pacchi e merci che la nave trasportava all’occorrenza. Ripensandoci, Sammy osservò come fosse una grossa fortuna che svariati chili di pellicola da incisione trasparente fossero rimasti in eccesso da un vecchio carico che avevano trasportato qualche mese prima.

Dopo la terrificante scena in cui aveva letteralmente preso a cazzotti il pezzo più grosso dell’esercito pimpaino, i militari avevano lasciato il ponte di volo intimando alla pony ingegnere di raggiungerli in seguito nella cabina di stampa. Ormai avevano il pieno controllo della nave ed agivano indisturbati: da quella mattina il resto dell’equipaggio era praticamente rimasto chiuso nelle proprie cabine su richiesta del generale Pimpez, di modo che nessuno potesse vedere o ascoltare nulla delle loro operazioni. Dopo che la SOG era andata via, Samantha si era ritrovata sola a fissare Equestria sotto di lei con uno zoccolo sporco di sangue, mentre Sparkey e Cerutti cercavano di ricostruire nelle loro menti cosa potesse essere successo in quella mezz’ora.

Poco dopo la pony era uscita senza dire una parola, e i due non avevano nemmeno provato a fermarla. In stato quasi catatonico Sammy si diresse nei bagni comuni della nave. Premette un pulsante sulla parete ed il dispenser rilasciò una piccola quantità di gel che subito si spalmò sullo zoccolo ed in faccia per risciacquarsi dopo essersi tolta gli occhiali: non era certo come usare acqua vera, ma faceva il suo dovere a centinaia di anni luce dalla civiltà nel vuoto cosmico.

Per l’ennesima volta quel dannato giorno si guardò allo specchio mentre piccole gocce di gel si staccavano dal suo viso fluttuando in giro. Non poteva essere vero, non poteva star tornando davvero lì. Prese a respirare affannosamente, come se le mancasse l’aria: cosa stava per fare? Con chi stava andando? Lei non aveva esperienza militare, aveva sparato qualche volta in accademia e poco più. Ma perché, avrebbe dovuto sparare? Le avrebbero dato un’arma? Qualcuno avrebbe sparato contro di loro? E se avesse dovuto lottare? Come si uccide una principessa alicorno immortale? Quali sono le conseguenze?

Si ritrovò ad annaspare furiosamente con il volto arrossato, gli arti formicolanti come punti da infiniti spilli e le orecchie ronzanti di un rumore sordo. Samatha si accasciò fluttuando preda di un attacco di panico con ancora il gel detergente sul volto, che per poco non inghiottì rischiando di soffocare. Finì appoggiata con tutto il corpo sullo specchio mentre cercava di riprendersi respirando lentamente. Non era la prima volta che le succedeva: aveva imparato come gestire queste cose quando la psicologa della scuola a Pimpaina aveva voluto vederla personalmente dopo che aveva fatto chiamare ben due volte un’ambulanza restando paralizzata sul pavimento della classe.

Lentamente riprese il controllo di sé pulendosi finalmente quel fluido viscido dalla faccia con un asciugamano. Mai come in quel momento si era sentita davvero sola: era sola fisicamente in quel simulacro di un bagno su una nave in orbita, ma soprattutto era abbandonata a sé stessa. Ripensò ad Ashley e a come si era comportata prima con lei: un brivido di rabbia le percorse la schiena. Perché doveva sempre rovinare tutto? Si guardò intorno per dare un’occhiata ma apparentemente nessuno l’aveva sentita: i corridoi della nave non erano mai stati così vuoti e silenziosi come allora.

La pony bofonchiò tra sé e sé mentre indossava nuovamente i suoi occhiali. Pimpez era fuori di testa se pensava davvero di portarla con loro: non capiva davvero cosa l’avesse spinto a prendere una tale decisione. Magari era una punizione per il gesto che aveva fatto, magari era tutto un bluff per spaventarla e dopo una lunga ramanzina l’avrebbero lasciata andare. I suoi pensieri ansiosi la portarono a rimuginare ossessivamente sull’accaduto, analizzando ogni piccola cosa successa nelle ore precedenti cercando di capire se qualcosa sarebbe potuta andare diversamente.

Si incamminò verso la cabina di stampa cercando di essere il più lenta possibile. Avrebbe tanto voluto che Ashley fosse lì con lei, chiederle scusa e tornare in cabina a chiacchierare un po’. Ma non poteva: per un attimo il pensiero di non poter nemmeno salutare la sua assistente prima di quella assurda partenza le balenò in mente e un brivido le percorse la schiena.

Dopo aver girato un angolo la pony perlacea si trovò improvvisamente di fronte il primo ufficiale Sparkey, il quale fluttuava fermo nel mezzo del corridoio. Per poco Sammy non vi sbatté contro: l’essere si voltò verso di lei mantenendo un’espressione atona.

«Hai così fretta di raggiungerli che per poco non mi vieni addosso» abbozzò Sparkey con un mezzo sorriso sarcastico. La mano destra giocava nervosamente con il suo MSU, le due antenne sulla testa vibravano «Quell’energumeno deve aver visto qualcosa di davvero speciale in te se non ti ha ancora fatta a pezzetti»

Samantha strabuzzò gli occhi fissando con aria interrogativa l’alienoide giallo, il quale con un cenno della testa invitò la pony a seguirlo lentamente verso la loro destinazione comune.

«Davvero? Pensavo che doverli seguire in un’assurda missione in incognito fosse già una punizione adeguata»

Sparkey scosse la testa e fissò Sammy con sguardo truce «Non so cosa quel pimpaino possa averti detto Samantha, ma tirare un pugno ad un alto funzionario dell’esercito è davvero la più grossa cazzata che io abbia mai visto. Devi ringraziare il cielo di non essere stata arrestata sul momento»

La pony abbassò mestamente la testa. Non era mai successo in tutti quegli anni che il primo ufficiale si rivolgesse a lei in modo così duro. Non riusciva ad accettare di aver commesso un errore così grossolano, lei che era sempre stata così precisa e calma. Cosa avrebbero detto tutti quanti?

Sparkey si ricompose e proseguì «Ad ogni modo, uno come Pimpez non porterebbe mai con sé qualcuno se lo considerasse un peso morto. Nemmeno se quel qualcuno gli venisse proposto come guida locale». Fece una pausa tenendo lo sguardo fisso avanti «Avrebbe sicuramente trovato un altro modo per risolvere la questione. Non sarà certo la prima volta che i SOG si infiltrano in un territorio sconosciuto»

Sammy seguiva il primo ufficiale poco dietro mentre il suo volto si caricava di un’espressione sconcertata «Ma allora perché vogliono me?»

Sparkey fece spallucce mentre i due si avvicinavano ormai al portellone della cabina dei laser di stampa «Non ne ho idea. Questi affari da super complotti top secret mi fanno girare la testa». Posò una mano sulla spalla di Sammy «Purtroppo nemmeno il comandante può opporsi ad un ordine del genere: non c’è niente che possiamo fare per proteggerti»

Samantha deglutì rumorosamente mentre entrambi fissavano ritti la porta davanti a loro. In realtà lo sapeva già: aveva assistito di persona all’intimazione di Pimpez, ma sentirselo dire in faccia aveva tutto un altro sapore.

Il primo ufficiale si voltò un’ultima volta verso Sammy con la mano già sul pulsante di apertura «Qualunque cosa abbia in mente il generale, prego solo che includa farti tornare sana e salva su questa nave»

La pony ricambiò lo sguardo degli occhi violacei senza pupille di quello strano essere. Non sapeva come sentirsi di fronte alle parole del primo ufficiale: era evidente che provasse compassione e un senso di protezione nei suoi confronti, ma il modo in cui si esprimeva e le parole che usava erano comunque sempre fredde e composte. Forse forme di vita come lui non erano in grado di sperimentare forti emozioni: negli anni a bordo della Pardatchgrat Sammy aveva visto Sparkey aprirsi lentamente verso di lei, ma più che un individuo riservato che iniziava a confidarsi sembrava un robot che imparava ad elaborare sentimenti. A pensarci bene era curioso come Samantha non avesse mai visto nessun altro esemplare della stessa specie di Sparkey in tutti quei viaggi in giro per l’universo.

La porta si aprì ed i due si trovarono davanti uno Springer impettito che subito li riconobbe facendosi da parte «Nessun altro con voi, giusto?»

Sparkey scosse la testa ed il pony annuì soddisfatto chiudendo la porta alle loro spalle «Mi dispiace risultare inopportuno signore, ma è una questione di sicurezza universale»

Subito dopo Springer fece cenno ai due di restare fermi ed iniziò a perquisirli, palpando accuratamente sia la tuta di Sammy che l’uniforme del primo ufficiale. L’alienoide giallo sbuffò ghignando mentre si lasciava controllare e lanciò un’occhiata a Sammy: aveva fatto tutta quella strada nella vita per farsi mettere le mani addosso da un soldato a bordo della sua stessa nave. Samantha dal canto suo si fece perquisire senza emettere un fiato, mentre la sua testa viaggiava veloce: se li stavano controllando proprio ora e non prima voleva dire che erano in procinto di rivelare informazioni ancora più importanti e segrete di quelle precedenti.

Una volta terminato, con un cenno Springer disse loro di seguirlo malgrado sapessero benissimo dove andare. Girarono l’angolo attraverso il piccolo corridoio di servizio e si trovarono davanti alla baia cargo in cui erano alloggiati i laser di stampa: dei grossi bracci robotici scendevano dal soffitto ponendosi sopra delle piattaforme mobili su cui andavano posizionati i materiali. Tutte le postazioni erano spente e deserte, fatta eccezione per la numero 4, dove il resto della squadra SOG chiacchierava tranquillamente davanti agli occhi pietrificati del povero Waxford, il malaugurato tecnico di stampa. Il pony se ne stava immobile legato alla sua sedia con indosso il camice da lavoro sopra la tuta IF mentre scrutava i grossi militari davanti a sé. Per sua sfortuna lo avevano costretto a rimanere sul posto per poter operare i laser, mentre tutti gli altri colleghi erano potuti tornare in cabina. Quando vide Samantha sembrò risvegliarsi dal suo vegetare ansioso e assunse un’espressione interrogativa mentre lei non ricambiò lo sguardo persa nei suoi pensieri. Per ironia della sorte avevano chiesto di restare proprio al tecnico più paranoico di tutta la Pardatchgrat.

Il generale Pimpez era l’unico in disparte: fluttuava a braccia conserte fissando il vuoto cosmico fuori da uno degli oblò della nave. Subito si accorse della presenza del duo e si voltò raggiungendo gli altri davanti alla postazione di stampa. Il resto della SOG smise di parlare e tutti si posizionarono di fronte a Sammy e Sparkey. La pony poteva chiaramente vedere la grossa ferita sul volto del pimpaino che la scrutava impassibile: se già il generale era inquietante di solito, in quella situazione Sammy si sentì diventare microscopica ed inerme.

Pimpez fece un cenno con la testa e subito Lasseter e Springer slacciarono le cinture di Waxford immobilizzandolo e trascinandolo via mentre il poveretto cominciava ad annaspare ed a chiedere perché.

«Calmo nanerottolo, ci servi per dopo. Ora te ne stai qui buono finché non ti riprendiamo» sghignazzò Springer mentre i due lo chiudevano in un container pieno di plexiglass sul lato opposto della baia di carico: era evidente che non volessero che ascoltasse nulla di quello che stavano per dire. Sparkey ebbe un sussulto, ma mantenne la sua compostezza rigida evitando di reagire.

«Primo ufficiale Sparkey, data la situazione e gli ordini dell’Alto Comando avrei potuto tranquillamente bypassare lei ed il comandante e ordinare lo sbarco su Equestria senza aprir bocca» tuonò Pimpez con fare estremamente autoritario. Quel pimpaino emanava un’aura di potenza e di fermezza assoluta.

L’alienoide giallo rimase però impassibile come sempre mentre il generale continuava «Tuttavia credo sia meglio che tutte le parti cooperino per salvaguardare l’obiettivo della missione. Lei sarà l’unico informato su questa nave»

Pimpez fece una pausa, quasi a voler caricare di significato le parole seguenti «Le chiedo di non far parola di ciò che sentirà qui dentro nemmeno al suo superiore. Se lo farà, ne pagherà le conseguenze»

Il primo ufficiale rimase immobile con la glacialità che lo contraddistingueva e dopo qualche secondo annuì semplicemente con la testa senza mai abbassare lo sguardo. Pimpez fece un cenno di rimando e proseguì «Betz, malgrado il suo scopo sia semplicemente di navigatore ed informatore, sarà bene che rinfreschi qualche concetto di autodifesa»

Mentre diceva così, Lasseter tirò fuori dalla tasca del suo giubbotto rig una pistola semiautomatica e le diede una piccola spinta in modo da farla fluttuare fino a Sammy. La pony la prese in zoccolo e con un po’ di esitazione trovo il pulsante di sgancio del caricatore, per scoprire che era vuoto.

«Non sono così folle da lasciare un’arma carica in zoccolo ad un topo da biblioteca su una nave spaziale» ridacchiò Lasseter.

Pimpez annuì «Si limiti ad esercitarsi a mirare, ricaricare e tutte le azioni base che ha imparato in accademia. Se tutto filerà liscio di sicuro non dovrà usarla»

Samantha rimase qualche secondo ad osservare l’arma: era molto più grande di quelle che avevano usato durante l’addestramento ed era ricoperta da una vernice mimetica con striature marroni e verdi. Se la rigirò tra gli zoccoli non sapendo cosa pensare, mentre un brivido di paura le percorse la schiena fin lungo la coda al pensiero di ciò che stavano per fare.

«Ehi novellina! Mai maneggiare un’arma senza controllare prima il colpo in canna» disse Springer con fare spaccone avvicinandosi terribilmente a Sammy. Si mise dietro di lei e le prese l’arma dagli zoccoli con le zampe attorno al suo collo: mosse il carrello della pistola rivelando la canna vuota. «Anche senza caricatore, un’arma con un proiettile qui può fare boom ancora una volta mentre tu pensi che farà click» le disse vicino all’orecchio.

La pony scostò la sua criniera rossa in un ghigno di disgusto cercando di evitare il più possibile il contatto con quel pony tutto muscoli che la stava agguantando mentre il resto della squadra rideva. Il generale fece un cenno e subito Springer smise di fare l’idiota tornando al suo posto.

«Equestria è un pianeta privo di qualsivoglia tecnologia. La popolazione vive all’oscuro di tutto e l’atterraggio di una capsula scatenerebbe un casino assurdo» continuò Pimpez.

«Non esistono zone scarsamente popolate vicino Canterlot» disse Mark Sarang introducendosi nel discorso «L’unico sito di atterraggio papabile è rappresentato da un deserto ad oltre cinquecento chilometri a sud»

Samantha ebbe un sussulto: ricordi della sua infanzia affioravano mentre la geografia di Equestria prendeva forma nella sua mente. Mentre ancora rimuginava, Sarang sfiorò lo schermo del suo MSU e una gigantesca proiezione olografica comparve davanti ai presenti. Si trattava di un grosso mosaico di immagini satellitari, accostate l’una all’altra in maniera raffazzonata. Alcune zone erano praticamente invisibili a causa delle coltri di nubi catturate nelle fotografie.

«Questa è la miglior mappa di Equestria che siamo riusciti ad ottenere. Non essendoci satelliti in orbita qui, abbiamo utilizzato le telecamere della Pardatchgrat per scattare delle fotografie lungo il percorso orbitale»

Il professore si voltò beffardo verso Sammy «Fortunatamente il nostro brillante ingegnere di rotta ha scelto un’orbita simil equatoriale. Questo ci ha reso la vita molto più facile»

La pony lo ignorò concentrandosi sulla grande mappa davanti a sé. Sarang proseguì sfiorando il suo MSU e aggiungendo dei marker sulle immagini «Non avremo belle immagini recenti, ma dalle mappe di qualche secolo fa posso dire con certezza che quello è il deserto di San Palomino» esitò «O almeno così si chiamava all’epoca»

«Al diavolo il nome! Il punto è che non possiamo atterrare così lontani dal nostro obiettivo e non possiamo permetterci un ingresso in grande stile con paracadute aperti o altra roba» berciò Pimpez stufo del pomposo professore «Pertanto c’è solo una cosa da fare»

Sarang annuì e aumentò lo zoom: prima sulla grande penisola di Equestria, poi verso il suo centro dove Sammy riconobbe Canterlot dall’alto, ed infine più a sud est su di una piccola catena montuosa. Continuando ad ingrandirsi, l’immagine rivelò un altipiano alla base delle montagne e Sammy strabuzzò gli occhi: una grossa ed imponente striscia di cemento scuro troneggiava attraverso la landa. I numeri bianchi dipinti alla base di essa lasciavano poco all’interpretazione: era una pista per aerei.

«Quello è il Rambling Rock Ridge. E quella è la Ponisella Air Station» sentenziò Sarang soddisfatto.

Samantha era rimasta a bocca spalancata. «Una…una base dell’EAF?» chiese balbettando senza staccare gli occhi dalla mappa.

«Esattamente Betz» rispose Pimpez. «Domattina alle 6 Zulu la nave sarà in posizione per eseguire la manovra di de-orbit. Useremo lo shuttle di servizio pilotato da Watts ed alle 7.45 dovremmo toccare terra sulla pista 08»

Nel dire così indicò l’ultimo pony rimasto della squadra SOG a cui Sammy non aveva fatto caso, visto che non aveva mai aperto bocca da quando avevano messo piede su quella nave. Osservò il suo manto grigio e la testa completamente rasata, ma solo allora si accorse sussultando che Watts non aveva neppure la coda, rasata anch’essa. L’unica cosa a spiccare erano i grandi occhi verdi e le ciglia lunghe: il pony rispose a Pimpez semplicemente sbattendo le palpebre una sola volta.

Sparkey ruppe la sua compostezza rivolgendosi a Sarang «Il segretario della difesa ha autorizzato questa manovra?»

«Queste non sono cose che la riguardano, Sparkey» tuonò Pimpez ancora prima che il professore rossastro potesse rispondere «Prima ho detto che sarebbe stato informato, nulla di più. Quindi stia zitto e non si intrometta di nuovo»

Il primo ufficiale si ammutolì scrutando Pimpez con un’occhiata così truce da quasi tagliare l’aria, ma il generale lo ignorò volgendo il suo sguardo verso Samantha. La pony stava ancora cercando di elaborare le informazioni che aveva appena appreso.

«Ma non è ancora più pericoloso atterrare lì? Come faremo a restare nascosti?» chiese timidamente Sammy, preoccupata che riservassero a lei lo stesso trattamento di Sparkey. Probabilmente qualche ora prima avrebbe fatto una domanda molto più sprezzante e sarcastica, ma dopo tutto quello che era successo il suo animo l’aveva trasformata in un essere indifeso e tranquillo.

Lasseter scosse la testa «Le basi EAF sono abbandonate da decine di anni ormai, non troveremo anima viva. Anzi, direi che siamo decisamente fortunati: la pista è ancora in ottime condizioni»

«Lo shuttle è, di fatto, un aereo. Avendo le ali potremo eseguire il rientro in atmosfera sull’oceano così che nessuno noti una palla di fuoco in cielo o il suo rumore» spiegò Sarang.

«E poi raggiungeremo la base di Ponisella nel silenzio che solo un aliante può garantire» concluse Springer ammiccando a Sammy.

Malgrado i sentimenti terribilmente scombussolati, l’animo da grande ingegnere fece capolino nella testa di Samantha: quella roba d’altronde era pane per i suoi denti. Sollevò un sopracciglio e sentenziò «Mi sembra una procedura di rientro particolarmente complessa. Non sarà così banale calcolare tutto alla perfezione per riuscire a raggiungere la pista planando senza ulteriore propulsione»

«Oh, non c’è problema Betz. Lei non è l’unica a capirci qualcosa di meccanica orbitale da queste parti» rispose Pimpez. «La nostra Watts ha già programmato l’intera manovra con precisione»

Quindi Watts era una femmina. La pony grigia non mosse nemmeno un muscolo e nuovamente sbatté solo le palpebre per confermare. Sammy le lanciò un’occhiata ma l’altra mantenne lo sguardo fisso avanti ignorandola totalmente. Cos’era? Una sorta di pilota più istruito?

Mark Sarang spense la proiezione olografica del suo MSU e aggiunse «All’epoca le basi EAF erano equipaggiate con un incantesimo di occultamento che le rendeva invisibili sotto una certa quota. È plausibile pensare che questo non sia più in funzione, ma dalle immagini di prima sembra che non vi sia alcuna presenza di pony nell’area»

«Cazzo, ci credo! Quella base è in mezzo alle montagne, sicuro nessuno l’ha mai beccata in tutti questi anni» sbottò Springer con la sua immancabile delicatezza «Sarà davvero uno spasso camminare da lì fino a Canterlot» aggiunse roteando gli occhi.

«Dunque questo è il piano» sentenziò Pimpez chiudendo i discorsi futili. «Useremo la base abbandonata come appoggio per preparare l’equipaggiamento e poi ci metteremo in marcia. Contiamo di raggiungere Canterlot in due giorni»

Si voltò verso Sammy «A quel punto entra in gioco lei Betz. Dovrà guidarci attraverso la città fino alla sua adorata principessa. Se sarà necessario interagire con qualcuno ci penserà lei»

Samantha deglutì rumorosamente mentre una nuova scarica d’ansia l’attraversava.

Il grosso pimpaino incrociò le braccia «Per il resto non toccherà niente, non farà niente, non dirà niente. Se qualcuno di noi le dice di fare qualcosa, lei lo fa. Punto. Se Lasseter le dice di pisciare su un albero, lei ci piscia senza discutere. E se non ne ha, se la fa venire. Chiaro?»

La pony perlacea rispose affermativamente con un filo di voce mentre l’ultimo baluardo di speranza che fosse tutto solo un bluff svaniva miseramente.

Assicuratosi che Samantha fosse abbastanza spaventata, Pimpez si rivolse all’alienoide giallo «Sparkey, manterremo il contatto radio con la nave quando sarà possibile. Lei stia pronto a chiamare la cavalleria se qualcosa dovesse andare storto». Il generale volse lo sguardo fuori verso la miriade di stelle «Non voglio restare su un pianeta pieno di pony colorati per il resto dei miei giorni»

Sparkey dal canto suo rispose brevemente e meccanicamente «La nave ha un periodo orbitale di circa novanta minuti. Non essendoci alcun tipo di supporto satellitare per ripetere il segnale, dovremmo avere una finestra di quattro minuti ogni ora e mezza per poter comunicare»

Tutta la squadra SOG annuì e Pimpez rispose «Cercheremo di farci vivi almeno due volte al giorno»

Terminato il briefing, tutti si rilassarono leggermente. Lasseter e Springer tornarono al container liberando Waxford che per poco non aveva avuto una crisi di panico: lo riportarono alla sua postazione chiedendogli scusa e dicendogli di accendere tutto per iniziare la stampa.

Samantha rimase immobile a fissare lo spazio profondo attraverso le ampie vetrate. Quello che il generale le aveva detto l’aveva scossa profondamente, non tanto per il contenuto in sé, ma perché significava che aveva davvero intenzione di portarla con loro: sarebbe davvero tornata su Equestria. Quella mattina quando si era svegliata non avrebbe mai potuto immaginare il gigantesco casino in cui sarebbe stata infilata in così poche ore.

Improvvisamente Sparkey le poggiò una mano sulla spalla senza dire una parola. La pony si girò per osservare il primo ufficiale che la fissava impassibile, probabilmente voglioso di rincuorarla ma totalmente incapace sul da farsi.

«Ehi, Springer. Ma quindi stampi davvero i pancake?» chiese Lasseter ancora indeciso sul suo cutie mark. Il pony paglierino dalla criniera blu annuì trionfale mentre Waxford cercava su UniNet un’immagine di pancake da poter utilizzare «Mi sono persino consultato con Sarang per essere sicuro che esistessero anche su Equestria»

«Così traspare dalle nostre fonti» si introdusse Sarang. «Speriamo solo che non siano diventati un cibo anacronistico o stravagante»

Lasseter si grattò il mento pensieroso mentre un grosso foglio di pellicola scivolava sotto il braccio meccanico mosso dai rulli. Dopo pochi secondi e qualche battuta sulla tastiera di Waxford, il laser si accese e cominciò ad intagliare la pellicola. Springer aveva dunque chiesto al tecnico come facesse il laser a colorare la stampa, ma il pony era troppo spaventato e scosso per poter rispondere.

Dopo pochi minuti il macchinario produsse due piccoli ovali trasparenti del diametro di circa cinque centimetri, all’interno dei quali si trovava l’immagine stilizzata di due pancake fumanti. Waxford si chinò lentamente per prendere le due pellicole e chiese balbettando al colonnello Springer di mettersi di fianco a lui. Subito dopo il tecnico posizionò le due decalcomanie sui fianchi del pony e accese una pistola ad aria calda per qualche secondo: la pellicola aderì perfettamente al suo pelo giallo a tal punto da sembrare un tatuaggio.

«Guarda che roba! Questi nuovi tessuti sintetici sono pazzeschi» esclamò Springer mentre si sfiorava delicatamente il fianco con lo zoccolo. Il resto del team si avvicinò a lui con fare curioso ed entusiasta: sembravano tornati dei puledrini emozionati davanti ad un nuovo giocattolo. Tutti meno Watts che continuava a fluttuare guardandosi intorno.

Samantha lanciò nuovamente uno sguardo alla pony grigia e un brivido la attraversò: c’era qualcosa nei suoi occhi freddi e nella sua compostezza maniacale che la metteva estremamente a disagio. Oltretutto il suo ignorarla in maniera così smaccata rendeva l’atmosfera ancora più pesante.

Lentamente, altri pony della squadra ebbero il loro cutie mark applicato sui fianchi: Lasseter alla fine aveva scelto una mazza da baseball, in quanto ci giocava sempre da puledrino. Sarang si era fatto stampare una banale pila di libri, anche se a suo dire i nomi sui dorsi erano tutti appartenenti ad importantissime opere equestriane di almeno due secoli prima.

Fu il turno di Watts: la pony grigia si diede una lieve spinta e senza dire una parola fluttuò con sguardo fisso verso Waxford fermandosi delicatamente vicino a lui. «Uno smeraldo» disse con voce quasi robotica, e nessuno osò chiederle come mai: persino Springer non scherzava affatto con lei. Forse ancora più irrequieto di prima, il tecnico eseguì l’ordine ed in pochi minuti la misteriosa pony cinerea ebbe sui fianchi un brillante smeraldo dal profondo verde come i suoi occhi.

Dopo che Watts si fu spostata, Waxford rivolse timidamente lo sguardo verso Sammy, la quale era rimasta tutto il tempo in disparte a fissare il vuoto, anche dopo che Sparkey si era allontanato. Assorta nei suoi pensieri, continuava a rigirarsi ossessivamente quella pistola tra gli zoccoli, mentre la sua folta chioma rossa volteggiava libera nell’aria.

La pony perlacea si sentì improvvisamente dare dei buffetti sulla testa e udì la possente voce del colonnello Springer alle sue spalle «Ehi novellina. Guarda che manchi solo tu»

Malgrado avrebbe voluto strappare gli zoccoli a quell’idiota, Sammy si sentiva troppo scombussolata per reagire. Si limitò a girarsi per notare come tutti avessero per l’ennesima volta gli occhi puntati su di lei. Il generale Pimpez se ne stava ancora appoggiato alla fiancata della nave con uno sguardo annoiato: la fissò per un secondo e fece un cenno con la mano invitandola verso la postazione di stampa.

Samantha fece un respiro e si spinse verso Waxford mentre tutti la fissavano: non capiva davvero il perché questo succedesse ogni volta. Forse perché la consideravano davvero una novellina incapace ed erano curiosi di vedere cosa avrebbe combinato. Persino prima quando aveva preso in zoccolo la pistola tutti si erano messi a ridere. Si, beh, grazie al cazzo: lei odiava quella roba, odiava quei coglioni di militari e non le fregava nulla di non aver brillato durante l’accademia. Lei era un ingegnere, aveva studiato e sapeva molta più roba di quei quattro bifolchi arroganti che la stavano prendendo in giro, buoni solo a menar gli zoccoli.

Dopo aver fatto una smorfia tra sé e sé si trovò faccia a faccia col titubante tecnico di stampa che la fissava in attesa di un segnale: già nella normalità Waxford non la salutava mai quando si incrociavano in corridoio per la sua timidezza, quindi in quella situazione il pony si stava letteralmente sciogliendo su sé stesso.

Era il momento di scegliere il suo cutie mark. In realtà non ci aveva pensato affatto fino a quel momento visto che la cosa le creava davvero una grande ansia: ricordava ancora quando da piccola ad Equestria come ogni puledrina sognava il giorno in cui avrebbe ottenuto il suo cutie mark. Quando arrivarono a Pimpaina suo padre non le disse mai che la mancanza di magia su quel pianeta non le avrebbe mai fatto ottenere il suo, ma la piccola cominciò ad intuire la cosa quando vide i suoi genitori tingersi i fianchi quasi quotidianamente per nascondere il loro. Fu un colpo terribile per Sammy, ma anche e soprattutto per sua madre: Crystal Shine aveva un cutie mark meraviglioso che tutti avevano sempre adorato. Il suo fianco era adornato da una serie di diamanti tagliati in modi diversi che splendevano quasi come fossero veri: lo aveva ottenuto per caso con dei rubini che aveva trovato in una grotta sotto Canterlot e da allora era diventata una delle più abili nel taglio delle pietre preziose di tutta Equestria; così tanto da avere avuto degli ordini di diamanti dalla principessa Celestia in persona. E una volta a Pimpaina aveva dovuto ricoprirlo con la pittura dello stesso colore del suo manto beige e aveva cambiato nome in Melanie Betz, trasformandosi in una pony frustrata e perennemente depressa. Una pony che non aveva saputo o non aveva potuto prendersi cura di sua figlia.

Samantha scosse la testa per liberarsi da quei pensieri e cercò di trovare qualcosa da dire al tecnico di stampa. I secondi passavano e tutti fissavano Sammy iniziando quasi a spazientirsi, ma la pony proprio non sapeva cosa scegliere: era un argomento troppo delicato per lei per poter pensare serenamente. Improvvisamente però, una luce le riempì gli occhi ed una inattesa tranquillità avvolse il suo corpo e la sua mente.

Sapeva cosa dire. Prese coraggio e la sua voce riempì il silenzio assordante della sala.

«Una piuma di gabbiano»

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5

Erano ormai quasi le sette di sera ed il sole stava calando sull’orizzonte di un mare cristallino. Una leggera brezza soffiava scuotendo le fronde degli alberi e creando piccole increspature bianche sull’acqua che rendevano quel panorama ancora più suggestivo. Sul fianco di una collina a picco sul mare, due giovani pony sedevano in silenzio ai piedi di un ulivo fissando il sole che scendeva.

«Sei pronta?»

«Va bene ma che palle sdraiarsi a terra, non voglio sporcarmi»

«Vedrai che sarà una figata»

Così dicendo le due si steserò sull’erba con lo sguardo rivolto al tramonto: pochi secondi dopo il sole iniziò a scomparire dietro il mare, fino a che non fu completamente sotto di esso. Immediatamente le due si alzarono e così poterono vedere il sole ricomparire sull’orizzonte e tramontare un’altra volta.

«Non ci credo!» esclamò quasi a bocca aperta la pony dal manto color crema e la criniera bionda che prima aveva tanto protestato per sdraiarsi.

«Te l’avevo detto» rispose Samantha ammiccando con fare un po’ saccente «E’ perché il nostro pianeta è tondo: se ti alzi di botto la curvatura fa sì che tu possa vedere il sole tramontare una seconda volta»

L’altra fece una smorfia imitando la spiegazione di Sammy e si accasciò nuovamente alla base dell’ulivo «Gne gne gne, tu sai sempre tutto, vero?»

L’espressione di Samantha cambiò improvvisamente ed un senso di ansia e di vergogna si impadronì di lei. Aveva detto qualcosa di sbagliato? Perché aveva risposto così? Pensava che quella cosa del doppio tramonto le sarebbe piaciuta e invece si era probabilmente annoiata.

L’altra non fece caso agli assillanti pensieri di Sammy e le fece cenno serenamente di sedersi accanto a lei. La pony perlacea fece un respiro profondo e la raggiunse cercando di scacciare i brutti pensieri: probabilmente stava solo esagerando come sempre, vero?

Rimasero così sedute in silenzio per un po’ a godersi i colori rossastri del tramonto. Davanti a loro svettava imponente la siluette del Big Bridge, il mastodontico ponte lungo quasi duecento chilometri che collegava Rüa, la più settentrionale delle isole pimpaine, alla Tigraina meridionale. Da quando lo aveva visto la prima volta Sammy era rimasta stregata da quella costruzione dipinta di bianco: il modo in cui scompariva all’orizzonte inghiottito nella foschia rappresentava poeticamente il viaggio e l’ignoto. Per i Pimpaini quel ponte era un simbolo molto importante di potere, a tal punto da essere stampato sulle banconote: era stato costruito alla fine dell’ultima guerra contro i Tigraini, nella quale il popolo pimpico era riuscito a strappare loro un pezzo di terra nella punta estrema meridionale del continente. Con la firma del trattato di pace era stato eretto un gigantesco muro che cingeva l’intero confine, con un solo varco verso il paese nemico: il checkpoint Alpha.

La pony color panna si stiracchiò mollemente ed indicò il grande ponte con uno zoccolo «Pensa Sammy: quando sarai un pilota potrai portarmi a volare attorno al Big Bridge! Quella sì che sarebbe una figata»

Samantha ridacchiò dolcemente «Ma non sarò un pilota, Anna! Quante volte te lo devo ripetere? E poi volerò nello spazio, mica qui»

«Oh già è vero. Tu e le tue robe super spaziali mi fate girare la testa» rispose Anna mentre roteava le zampe nell’aria con fare confuso.

Dopo un sorriso le due rimasero ancora in silenzio per un po’, osservando le onde del mare che si muovevano lentamente. Sembrava che ci fosse un’aria pesante in realtà, un qualcosa di malinconico di cui le due stavano evitando di parlare.

«Sono felice che tu sia venuta sta volta» disse Anna dando un leggero buffetto sul viso di Sammy, la quale accennò un sorriso mentre teneva lo sguardo fisso verso il mare «Mia zia è stata molto contenta di conoscerti»

Samantha sospirò rilassata «Rüa è meravigliosa. È così bello staccare per qualche giorno dalla grande città e venire qui»

«Già» Anna fece una breve pausa sospirando «Sarebbe fantastico se tornassi qui anche per la festa di fine anno»

Samantha sentì di colpo un nodo in gola e la sua espressione cambiò «Anna, lo sai che i miei non vogliono. Mia mamma si sente troppo male ad avermi così lontana. Ne abbiamo già parlato»

Anna scosse la testa scocciata «Cazzo Samantha! È la festa della fine della scuola! Dopo non ci vedremo più! Già che praticamente non parli con nessuno in classe, almeno così avresti potuto provare a fare un po’ amicizia»

La pony color crema si alzò sbuffando affacciandosi sulla discesa a picco sul mare, lasciando sotto l’ulivo una Samantha triste ed ammutolita.

Poco dopo l’espressione della pony perlacea si tramutò in un ghigno di disprezzo «E quindi? Tanto non me ne frega un cazzo di quelli là. Sono tutti dei coglioni»

Anna roteò gli occhi sospirando «Si, certo. Se almeno avessi provato a parlarci decentemente in cinque cazzo di anni»

Samantha la ignorò alzandosi e raggiungendola sul bordo della scogliera. Il tramonto stava ormai per terminare ed il cielo si tingeva di un rosso sempre più scuro.

«Non puoi farti sempre condizionare dai tuoi Sammy. Abbiamo diciott’anni ormai» proseguì sconsolata Anna fissando il grande ponte davanti a loro.

«E’ per questo che andrò via. Già all’università avrò un sacco di trasferte e robe da fare, e poi l’accademia»

Anna sorrise accarezzando la criniera rossa di Sammy «L’unica di tutta la classe ad essere ammessa al PIT! Non sarai così simpatica ma almeno sei super intelligente, dai»

Samantha arrossì alla sensazione dello zoccolo di Anna che passava attraverso la sua criniera, non sapendo come reagire.

Improvvisamente un gabbiano prese a volteggiare sopra le loro teste, roteando sospinto dalle correnti ascensionali. Poco dopo planò elegantemente giù per la scogliera verso il mare, non prima però di perdere una piuma che cadde dolcemente qualche metro più sotto delle due giovani pony. Anna la seguì con gli occhi e un’idea le balenò in mente: si scapicollò giù per la collina per recuperare la piuma, rischiando quasi di scivolare. Samantha rimase a guardarla inebetita sul pianoro.

Tornata su ansimando ed un po’ sudata, Anna posò la piuma davanti a Samantha e sentenziò «Ecco! Tu volerai! Come il gabbiano, no? Così ti ricorderai di me anche all’università»

Samantha abbozzò un sorriso sarcastico «Anna, tu farai economia. Sarai solo dall’altro lato della città: perché non dovremmo più vederci?»

La pony color crema la guardò con occhi socchiusi «Non lo so, ho come l’impressione che una volta fuori da scuola non mi cagherai di striscio»

***

Samantha prese un asciugamano e catturò accuratamente tutte le sfere gelatinose di gel che lambivano la sua criniera. Subito dopo accese l’asciugatore automatico ed in pochi minuti essa fu asciutta e profumata. Finalmente poteva rilassarsi un po’ dopo quella terribile giornata: la prima cosa che aveva fatto dopo essere tornata in cabina era stata fiondarsi in bagno per farsi una doccia.

L’appuntamento era per l’indomani mattina presto. Come spiegato da Pimpez, avrebbero effettuato un briefing prima di imbarcarsi su uno degli shuttle di servizio della Pardatchgrat per lanciarsi nel vuoto verso Equestria sotto di loro. Era da un bel po’ di tempo che Samantha non volava in atmosfera: mancava poco alla fine del suo turno di tre mesi e poi i rientri su Pimpaina erano ormai standardizzati ed automatici per arrecare il minimo fastidio all’equipaggio; di certo non come il volo che stavano per fare. Alzò metaforicamente gli occhi al cielo al pensiero dei probabili conati di vomito che avrebbe dovuto affrontare.

Si fissò per un’istante allo specchio, lo stesso nel quale si era guardata quella mattina quando ancora era ignara di tutto quel disastro. L’immagine di una composta ed ordinata ingegnere di rotta aveva lasciato spazio ad una stanca, stordita e disordinata Sammy. Neanche la doccia ed il balsamo erano riusciti davvero a domare la sua criniera che in qualche modo portava ancora i segni di profondo stress della giornata. L’unica cosa rimasta invariata era la tuta arancione brillante delle IF.

Con una smorfia di disappunto nel notare il suo aspetto, la pony uscì dal bagno per appoggiarsi alla sua cuccetta e appisolarsi un po’: in quel momento di disperazione l’unica cosa che voleva fare era dormire.

Si posò sulla branda con un profondo respiro cercando di rilassarsi, mentre i suoi occhi vagano senza meta nella cabina. Ma nel momento in cui li chiuse per cercare di prendere sonno la sua mente fu invasa da un solo ed unico pensiero. Non poteva restare lì.

Pochi minuti dopo Samantha si trovava davanti alla porta. Era la quarta volta che il suo zoccolo si trovava a pochi centimetri dal pulsante del campanello sotto la scritta Ashley Reed senza il coraggio di premerlo. Per fortuna quella sera la nave era deserta per via dei SOG, altrimenti avrebbe sicuramente fatto una figura ridicola davanti a quelli che passavano.

La pony fece un profondo sospiro e si allontanò leggermente dalla porta fissando il vuoto: odiava quella sensazione. Odiava sapere di aver torto e di non poter far nulla per rimediare. Era colpa sua d’altronde, no? Magari Ashley non avrebbe più voluto avere a che fare con lei, e non avrebbe avuto tutti i torti. Il modo in cui si era comportata era assurdo, non erano neanche molto in confidenza.

Nel pensare queste cose il suo battito cardiaco accelerò e i suoi muscoli sembrarono pietrificarsi. Conosceva bene quella sensazione: essere così vicini al fare qualcosa che crea disagio, eppure sentirsi impotenti ed incapaci. Pensò a sé stessa sul trampolino di una piccola piscina pubblica alla periferia di Pimpaina City, nel North End: da piccola la baby sitter la portava lì ogni settimana per nuotare e puntualmente l’istruttore voleva che si tuffasse. La piccola restava minuti interi a fissare il vuoto sotto di lei, incapace di agire per darsi lo slancio. Forse era la paura del salto, forse lo shock dell’acqua freddolina, ma in ogni caso Sammy doveva subire svariati minuti di urla prima di riuscire effettivamente a tuffarsi.

Tossì fissando il vuoto davanti a lei. La sua vita era sempre uguale, lei cresceva ma non cambiava mai davvero. Come una puledrina sul trampolino era bloccata davanti a quella porta, con le stesse emozioni e lo stesso torpore che la immobilizzava. Era patetica. Di sicuro suo padre l’avrebbe detto se fosse stato lì.

Improvvisamente un rumore meccanico risvegliò Samantha dai suoi ragionamenti e la porta si spalancò rivelando gli occhi interrogativi di Ashley. Le due rimasero così a fissarsi per qualche secondo. Di sicuro la cosa non sarebbe stata facile penso Sammy, tra lei bloccata nei suoi pensieri e Reed timida e paurosa pure della sua ombra.

«Sentivo dei rumori fuori dalla porta e non capivo cosa stesse succedendo» abbozzò la pony verde acqua dopo un po’ con fare poco deciso, non sapendo cosa dire.

Sammy rispose con una leggera smorfia mentre si guardava intorno, cercando di evitare lo sguardo dell’assistente. Il farsi vedere dal suo secondo in quelle condizioni la faceva sentire sempre peggio, lei che era sempre stata un punto di riferimento, una guida.

Ma forse Samantha sottovalutava la piccola e timida assistente, la quale raccolse il suo coraggio e la sua maturità invitando con un cenno il suo superiore ad entrare. La pony dalla criniera rosso fuoco non disse nulla e si limitò a fluttuare dietro Ashley mentre la porta si richiudeva alle loro spalle.

La cabina di Ashley era un po’ più piccola di quella di Sammy, e aveva giusto uno striminzito oblò che dava sullo spazio profondo: nulla a che vedere con la grande vetrata della capo ingegnere. Per il resto l’arredamento ed i confort erano più o meno gli stessi. Le pareti erano tappezzate di poster di ogni tipo raffiguranti aerei, navi spaziali e qualsiasi forma di volo: vedendo tutto ciò la pony perlacea si ricordò di quando si era ripromessa di abbellire ed arredare un po’ la sua cabina, cosa che si era sempre dimenticata di fare.

Lo sguardo di Samantha fu catturato da un poster in particolare: fece una smorfia fermandosi a mezz’aria. La gigantesca nave ammiraglia U.S.S. Pimpez della flotta interstellare spiccava nella sua magnificenza sopra la cuccetta di Ashley. La foto la ritraeva poco dopo aver lasciato il Comando Stellare, il quale faceva capolino dietro la parte posteriore della nave.

La pony tornò velocemente col pensiero per l’ennesima volta a tutto quello che era successo quel giorno. Quel dannato pallone gonfiato era riuscito addirittura a far chiamare una nave col proprio nome. Non era praticamente mai successa una simile cosa con un personaggio ancora in vita: solitamente questo trattamento era riservato ad eroi di guerra postumi.

Dopo un po’ Sammy si rese conto di essere nella cabina di una pony che aspettava un segno da lei, e che forse non poteva semplicemente rimanere a fissare un poster in silenzio. D’altronde era lei che si era presentata lì. Ashley Reed fluttuava sul lato opposto della stanza, vicino al bagno, e teneva i suoi grandi occhi rosa fissi sulla pony perlacea: la sua espressione era indecifrabile.

Un bel respiro, «Ashley…io» una pausa lunga, «Mi dispiace, non…» un’altra pausa. Il cuore di Samantha martellava nel suo petto mentre la pony cercava di trovare le parole giuste.

Mentre Sammy apriva per l’ennesima volta bocca probabilmente per bofonchiare qualcosa, Ashley la interruppe «Un giorno, quando ero piccola, mio zio mi fece una sorpresa portandomi sulla spiaggia di Lower Castle»

Samantha si ammutolì osservando con attenzione la piccola pony verde acqua che proseguiva il suo discorso con un’espressione marmorea «Da quel quartiere la vista sulle isole artificiali dell’aeroporto è magnifica»

«Lo so» rispose Sammy con un filo di voce, formulando per la prima volta una frase di senso compiuto «I miei vivono lì»

Ashley la ignorò «Mi aveva portato di prima mattina. All’inizio non succedeva nulla e mi stavo annoiando, ma poco dopo un aereo gigantesco si posò sulla pista così vicino a noi con un rombo assordante»

La pony verde acqua imitò con le zampe le dimensioni di quel gigante del cielo. Samantha ascoltava senza capire dove volesse andare a parare con un filo di ansia: non aveva mai sentito la sua assistente parlare così.

«Da allora rimasi stregata da quella visione. Cominciai ad informarmi un sacco sugli aerei, a comprare riviste, a guardare documentari». Si diede un lieve colpo in testa con una zampa «Cavolo, costrinsi anche i miei a comprarmi un computer apposta per volare con un simulatore!»

Ashley si avvicinò un po’ di più a Sammy e spostò lo sguardo fuori dal suo piccolo oblò «Avevo capito qual era il mio posto nel mondo: sarei stata un pilota»

Al sentire quelle parole Samantha capì che il discorso stava per prendere una brutta piega. Non sapendo cosa fare rimase immobile fluttuando mentre Ashley continuava a muoversi nella cabina per il nervosismo.

«Ma a quanto pare non sapevo ancora che il pilota non era esattamente considerato un lavoro da femmina a Pimpaina City» si girò di botto fissando Sammy «A nessuno importava niente delle mie passioni. I miei compagni mi sfottevano e le ragazze dicevano che sarebbe stato meglio dedicarsi ai ragazzi, come facevano loro. Devi curarti di più, sciatta!»

Nel dire l’ultima frase la pony imitò una voce ridicola in falsetto e fece una smorfia. Samantha annuiva silenziosamente: almeno lei ci parlava con i suoi compagni di classe, pensò.

«E poi quando scopri che sei troppo piccola fisicamente e la tua vista non sarà mai troppo acuta per farti prendere neanche come pilota civile, che cazzo fai?» inveì Ashley fissando Sammy con espressione sconsolata. La pony perlacea non aveva mai conosciuto questo lato della sua assistente.

Ashley scosse la testa «Ti iscrivi all’università, anche questa piena misteriosamente di gente a cui non frega un cazzo ed è lì solo per il nome altisonante del corso di laurea. E vai a fare l’unico lavoro in cui gli ingegneri sono ancora a bordo di qualcosa che vola»

La pony verde acqua aveva le lacrime agli occhi: forse aveva visto nello sfogo di Samantha l’aprirsi di una porta. Un qualcosa che aveva in realtà liberato dei sentimenti anche in lei.

Sammy deglutì, cercando di rincuorare la sua assistente «Ma sei davvero brillante Ashley. Il lavoro che svolgi qui è notevole, ne ho conosciuti pochi di ingegneri come te. Sono sicura che tra qualche anno avrai anche tu il tuo post-»

«Non me ne frega niente, ingegnere! Non lo capisce? Io non volevo essere qui» rispose di botto Ashley interrompendo la pony dalla criniera rossa. Samantha era sbigottita e totalmente impreparata a vedere Reed in quel modo.

L’assistente si avvicinò di colpo a Sammy e le pose uno zoccolo sulla spalla «Tutto questo per dirle che forse capisco come si sente. Anche io vivo una vita che non vorrei con gente che non mi ha mai capita, a parte lei magari»

Istintivamente, per un nanosecondo, la terribile ansia di Samantha sembrò diradarsi dal suo cuore e la pony ebbe la forza di cogliere in un grande abbraccio la sua assistente che singhiozzava lievemente «Quello che mi ha detto prima è stato orribile. Ma poi ci ho pensato e ho capito che non sta bene, con tutto quello che starà passando. Mi dispiace di essere scappata via»

Samantha sussultò al sentire che Ashley potesse pensare che lei non stesse bene, ma alla fine annuì stringendola. Ebbe quasi l’istinto di accarezzarle la criniera blu che ondeggiava libera, ma si trattenne ritenendolo inopportuno: era pur sempre la sua assistente.

«Perché non me lo hai mai detto?» chiese dopo un tempo che parve interminabile. Le due ancora abbracciate nel mezzo della cabina.

«Perché…le voglio bene. È così brava nel suo lavoro e amo vederla all’opera» Ashley scosse la testa «E poi non è proprio vero che odio questa roba. Cioè, stiamo pur sempre guidando una nave spaziale, no? Certe volte mi piace…non lo so, è troppo complicato»

Dopo qualche altro secondo le due sciolsero l’abbraccio e tornarono l’una di fronte all’altra forse un po’ imbarazzate.

«Grazie, Ashley» disse Samantha dal profondo del cuore. Quel gesto le aveva infuso un senso di tranquillità e pace: malgrado le dispiacesse molto che la sua assistente soffrisse in quel modo, poteva davvero capire cosa volesse dire il rigetto ed il rifiuto altrui. E soprattutto per la prima volta qualcuno si era interessato profondamente a lei, a come stava. Semplicemente, come Ashley stessa aveva detto, le voleva bene davvero.

Improvvisamente l’assistente strabuzzò gli occhi fissando il fianco di Sammy con fare interrogativo. Ella si girò a guardarsi e si rese conto di non aver riflettuto prima di recarsi in quella cabina: sulle sue cosce spiccava il disegno di una lunga piuma di gabbiano quasi argentea che rifletteva debolmente la luce artificiale della stanza.

Cazzo. Adesso Ashley avrebbe preteso delle spiegazioni: la pony verde acqua sembrò rianimarsi con la vitalità di sempre e cominciò ad inondare la povera Samantha di domande, ancora di più di come aveva fatto la volta prima. Lei le volse un’occhiata così seria da farla ammutolire immediatamente.

«Devi giurarmi che non dirai nulla a nessuno. Niente deve uscire da questa stanza: ne va della nostra vita» sentenziò Sammy mentre teneva per le spalle la sua assistente. L’altra deglutì rumorosamente e un brivido le percorse la schiena al sentire quella minaccia. Annuì, trepidante di sapere cosa stava attanagliando il suo superiore da tutta la giornata.

Samantha fece un cenno di risposta e cominciò lentamente a vuotare il sacco: ripercorse l’intera giornata dal momento in cui era stata convocata in sala riunioni fino a quando Waxford le aveva applicato quel cutie mark farlocco. Ashley ascoltava con gli occhi sempre più sgranati e non emetteva neanche un suono, concentratissima ad ascoltare. Man mano che andava avanti, Sammy iniziò ad aggiungere sempre più dettagli, a gesticolare e ad essere impetuosa nel suo racconto.

Dopo quasi dieci minuti ininterrotti di spiegazioni, la pony dalla criniera rosso fuoco si posò sulla cuccetta della sua assistente esausta ma sollevata: era contenta di aver potuto condividere quel peso con qualcuno, e sentiva che Ashley Reed fosse la persona giusta. L’iniziale paura a condividere quelle informazioni con lei aveva presto lasciato il posto all’impeto della frustrazione e della paura per ciò che ancora doveva affrontare.

Ashley era rimata in silenzio dall’altra parte della cabina, appoggiata ad un poster di un aereo acrobatico che volteggiava sopra i grattacieli della grande P. Aveva la fronte aggrottata, il volto chiuso in un’espressione pensierosa e giocava nervosamente con la sua lunga criniera blu come la notte. Samantha si rincuorò mentre aspettava un segno dalla sua assistente: almeno quella conversazione aveva distratto Ashley dal pensare ai suoi problemi e sembrava tornata quella di sempre.

«Perché una piuma di gabbiano?» fu la domanda della pony verde acqua.

Samantha sobbalzò «Non so, era la prima cosa a cui avevo pensato in quel momento»

Ashley percepì la malcelata bugia della pony e lasciò perdere. Scosse la testa sbuffando «Questa storia è assurda. Davvero ha conosciuto il generale Pimpez in persona?»

«Già. E non è stato così piacevole» rispose Sammy con una smorfia. Possibile che Reed si concentrasse solo su quelle stupidaggini? Non capiva il peso che le avevano messo addosso?

«E poi quella tizia…Watts, giusto? Da come l’ha descritta fa venire i brividi» continuò Ashley dirigendosi verso il suo piccolo dispenser di bevande al muro. Raccolse due sacchettini con beccuccio che riempì di thè e ne fece fluttuare uno verso Samantha, la quale lo afferro al volo.

La pony perlacea annuì mentre succhiava un sorso di infuso: quella maledetta aria secca all’interno delle navi spaziali faceva sembrare qualunque cosa senza sapore. Non c’era da stupirsi se in mensa le salse piccanti erano sempre le prime a finire.

«Ingegnere, ma davvero ha intenzione di andare laggiù con loro? Atterrare in quella base? Diamine, dovranno assassinare una principessa!» chiese Ashley finalmente preoccupata.

Samantha scrollò le spalle «Non ne ho intenzione, io devo. Pimpez ha richiesto la mia presenza come guida, ricordi?»

«Ma non può farlo! Sono sicura che esista un protocollo di reclutamento ben preciso. Se ci appellassimo al tribunale di Turo…»

Samantha la interruppe con una risata isterica e disillusa «Ashley, stai parlando del più importante generale di tutte le forze armate universali, secondo solo forse al fottuto generale supremo». Bevve un altro sorso di thè indicando con la zampa il poster della grande nave ammiraglia intitolata a John Pimpez «Quello fa colazione col segretario della difesa un giorno sì e l’altro pure: credi davvero che avrebbe qualche problema a distruggermi la vita?»

L’assistente restò interdetta fissando sconsolata Sammy, cercando disperatamene un’altra soluzione nella sua mente «Ma è un folle! Lei non sa nulla di combattimento, non è un militare! Se non riusciranno a proteggerla…»

«Forse è meglio morire così che tornare a Pimpaina» disse rabbrividendo Samantha. Quella frase le era uscita dalla bocca in modo spontaneo, senza averci davvero ragionato sopra. Non sapeva neanche lei se lo pensava davvero oppure no. Lo sguardo delirante di sua madre in presa ad una profonda crisi isterica le occupò la mente. Scosse la testa «Questo lavoro è tutto quello che ho»

Le due rimasero così in silenzio per un tempo che parve interminabile. Dopo quelle frasi Ashley Reed non sapeva davvero più cosa dire. Era terribilmente scossa di scoprire dei lati del suo superiore che non poteva neanche immaginare. Certo, sapeva che fosse un tipo particolare, molto dedita al lavoro, poco incline ai rapporti amichevoli e aveva assistito al suo crollo psicologico di quel pomeriggio, ma non poteva immaginare l’oscurità e la sofferenza che tormentavano il suo cuore: solo quel giorno, per la prima volta, Samantha ne aveva rilasciato un poco all’esterno, e lei aveva intravisto la superficie di un pozzo nero e senza fondo. Fissò la pony dal manto perlaceo e si chiese se avrebbe mai potuto capirla fino in fondo, se sarebbe stata in grado di aiutarla: forse lei era davvero l’unica persona che Samantha avesse in tutto l’universo.

«Comunque mi hanno dato una pistola» disse Sammy rompendo il silenzio assordante. Un sorrisetto di circostanza comparve sul suo volto, nella speranza di scacciare via i suoi brutti pensieri.

«Davvero? A lei che a stento non versa in terra il caffè la mattina?» ridacchiò Ashley cogliendo la palla al balzo ed incalzando il suo superiore. Dopo quella conversazione si sentiva in diritto di prendersi qualche libertà in più.

«Oh già, e anche bella grossa» rispose l’altra stando al gioco. «Ho bisogno di esercitarmi un po’ con le azioni base prima di domattina. Ti andrebbe di venire da me e darmi una mano?»

Ashley annuì immediatamente sorridendo e poi si fermò un attimo a pensare «Cavolo, non sparo un colpo da due anni ormai: quell’addestramento in accademia era agghiacciante»

«Non dirlo a me» rispose Sammy rabbrividendo al pensiero dei suoi orrendi compagni, ma per fortuna riuscì velocemente a togliersi quei pensieri dalla testa e a concentrarsi sul da farsi: Ashley le aveva infuso fiducia.

Dopo qualche minuto le due uscirono dalla cabina e cominciarono a muoversi lungo i vuoti corridoi della Pardatchgrat. Ashley rimase alquanto inquietata dal profondo silenzio, non essendo mai uscita dalla sua cabina come tutti gli altri quel giorno. Poco dopo raggiunsero la porta di Sammy ed entrarono velocemente all’interno.

Ad Ashley piaceva sempre andare nella cabina del suo superiore: era più grande, più bella e poi aveva quella gigantesca vetrata che lei poteva solo sognarsi. Quando guardavano una serie tv insieme, lei passava minuti interi a guardare l’esterno come incantata da quelle stelle, e spesso Sammy doveva tornare indietro con il video quando si accorgeva che Ashley non stava seguendo. Ma quella volta il caso volle che nella vetrata della cabina ci fosse il grande pianeta d’Equestria illuminato dal sole.

Samantha sospirò rumorosamente mentre osservava quella che a poche ore da lì sarebbe diventata la terra del suo inferno personale. Fissata al muro con un magnete c’era la cinta con la grossa pistola semiautomatica che le avevano dato: Ashley si diresse autonomamente verso di essa e la prese in zoccolo osservandola bene.

Dopo qualche secondo sganciò il caricatore, notò anche lei con sollievo che era vuoto, e provò a mirare scegliendo come bersaglio la luce della cuccetta di Sammy.

«Farlo qui è facile. Con la gravità sarà tutta un’altra cosa» disse poi porgendo l’arma a Sammy.

«Già, soprattutto se invece di una luce hai davanti un pony che vuole ucciderti» rispose la pony perlacea con una risata sarcastica che nascondeva un brivido di terrore.

Ashley intuì che forse l’idea di maneggiare quella pistola non fosse buona. Non nelle ultime ore che quella povera pony aveva per sé stessa. Forse era stata solo una scusa per stare insieme e lei l’aveva presa alla lettera rovinando tutto.

«Forse è meglio se ci guardiamo un film» disse finalmente l’assistente verde acqua togliendole nervosamente l’arma dagli zoccoli «Come una sera normale!»

Samantha annuì mentre guardava fuori dalla vetrata «Come una sera normale» ripeté.

Fu così che le due fluttuarono l’una accanto all’altra sulla branda di Sammy. Con un tasto il grosso televisore scese dal soffitto. Non c’era bisogno di parlarsi: entrambe sapevano che avrebbero rivisto per l’ennesima volta il loro film preferito, mancava solo un po’ di gelato sintetizzato dai macchinari della nave e sarebbe stata la serata comfort perfetta.

Sentire il contatto fisico con il fianco di Ashley provocò in Sammy un senso di quiete e serenità: per la prima volta si chiese davvero se quello che stavano facendo fosse opportuno. In realtà erano mesi che organizzavano le loro serate tv, ed erano state abbastanza brave e discrete da non farsi notare dalla maggior parte del resto dell’equipaggio. La cosa era nata spontaneamente ed innocentemente, e Sammy aveva colto la palla al balzo godendosi finalmente dei momenti di leggerezza e spensieratezza. Forse proprio per questo aveva sempre tenuto lontano il pensiero che un capo ingegnere non può compromettere il rapporto di lavoro con la sua assistente in quel modo: lei doveva formarla, darle disciplina, insegnarle ad avere sangue freddo e capacità decisionale; non poteva essere la sua amichetta del cuore con cui stare insieme a fine giornata. E dopo come si era mostrata quella sera, la sua posizione era terribilmente compromessa.

Arrivati però ad una scena particolarmente divertente, le due risero e l’ennesimo pensiero ansioso lasciò finalmente la mente di Sammy. Dopo un po’ la coppia si stava davvero godendo la serata come fosse normale, come se niente stesse per accadere. Samantha strinse istintivamente Ashley più vicina a lei e l’altra la lasciò fare. Passò un’altra mezz’ora in cui la pony perlacea si sentì come se quella spada che le pendeva sul collo non ci fosse. C’erano solo lei, Ashley ed il loro film preferito.

Di colpo il suono di poderose zoccolate fece sobbalzare le due ragazze. Samantha fermò la riproduzione e si spinse fino alla porta con il cuore in gola. Quando questa si aprì, si trovò davanti il sergente Lasseter che la fissava con il suo sguardo severo. Il pony aveva con sé un’uniforme mimetica a chiazze verdi e marroni troppo piccola per lui.

Samantha deglutì in silenzio rimanendo sull’uscio mentre Ashley da dietro intravedeva per la prima volta uno di quei misteriosi pony militari. Lasseter ignorò la presenza dell’assistente verde acqua che violava chiaramente le indicazioni date da Pimpez: Sammy non sapeva se lo aveva fatto per pietà nei suoi confronti o perché non gliene importava veramente nulla.

Con un solo gesto spinse l’uniforme verso Samantha che la raccolse prontamente: sembrava fatta di un tessuto sintetico veramente avanzato e leggero.

Il momento idilliaco era finito. Lasseter ruppe il silenzio con voce dura «Si cambi la tuta, signorina Betz»

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6

Samantha si grattò nervosamente il collo per l’ennesima volta. Certo che quella tuta era davvero stretta, quanto diamine ci avrebbe messo ad adattarsi un po’ al suo corpo? Dopo averla allargata leggermente con lo zoccolo tornò a guardarsi allo specchio: se non altro quella nuova uniforme le donava molto di più di quella delle forze armate interstellari. La tuta sembrava una semplice tenuta mimetica generica, con grandi macchie che viravano dal marrone chiaro al verde scuro. Malgrado il prurito, quel materiale le aderiva perfettamente alla pelle facendola traspirare senza alcuno sforzo. Si sentiva molto più leggera e libera nei movimenti rispetto a prima.

In fondo un po’ le piaceva quella nuova immagine di sé: sembrava una dura, una spietata pony mimetizzata e armata di mitragliatrice che trucidava chiunque sul suo cammino! Sammy era riuscita a ridere di gusto quando Ashley se n’era uscita con quella descrizione nel vederla vestita in quel modo: aveva insistito così tanto nel farle subito provare la tuta che la pony perlacea aveva ceduto. E forse quel piccolo siparietto l’aveva aiutata a distogliere nuovamente i brutti pensieri.

Dopo poco tempo avevano dovuto salutarsi. Samantha non era sicura che si sarebbero viste di nuovo, ma Reed l’aveva costretta a prometterle che si sarebbero trovate nel corridoio principale del ponte equipaggio alle 5:10 Zulu. Esattamente cinquanta minuti prima della partenza.

La pony buttò un occhio all’orologio fluorescente al lato dello specchio mentre con un gesto si legava la lunga criniera rossa in un elastico: il display ad otto segmenti segnava le 4:53. Aveva potuto dormire poche ore avendo perso un sacco di tempo a parlare con Ashley, ma non le importava. Oltretutto dormire era davvero una parola eccessiva per descrivere il suo riposo tormentato e nervoso.

Scrutò sé stessa per l’ultima volta prima di lasciare il bagno: i suoi occhi verdi avevano perso la loro brillantezza, le iridi erano opache e tristi. Il suo intero volto era contratto in una smorfia di tristezza che non riusciva a controllare, non se ne rendeva neanche conto. Poco dopo varco la soglia tornando nella stanza principale.

Con una lieve spinta iniziò a girare osservando tutta la cabina, come a volerla stampare sulle sue retine. Fissò la sua branda, la sua piantina che aveva sin dall’accademia e la grande vetrata che piaceva tanto ad Ashley: Samantha si rallegrò del fatto che quella mattina la vista fosse esclusivamente sullo spazio profondo. Si soffermò un istante sulla fotografia di lei con i suoi genitori il giorno della sua laurea: neanche in quell’occasione sua madre era riuscita a fare un sorriso sincero. Per ultima guardò la cintola con la pistola fissata al muro, la prese e se la legò alla vita con un sonoro clack: era pronta.

Dopo un grosso sospiro la pony aprì la porta e si lasciò alle spalle il suo nido sicuro. Una minuscola voce dentro di lei le diceva che non ci sarebbe mai più tornata.

Lentamente si mise in marcia lungo i corridoi della nave: per lei quelli erano sempre stati luoghi di serenità, la sua casa nei lunghi mesi nello spazio. Ma quella mattina la Pardatchgrat le appariva come un mostruoso labirinto oscuro, e lei si stava incamminando verso il minotauro che l’avrebbe sbranata tra urla e atroci dolori.

Il suo respiro pesante risuonava nel silenzio siderale. Era troppo presto perché potessero esserci altri membri dell’equipaggio in giro, e Sammy non era neanche sicura che il coprifuoco di Pimpez fosse terminato. Per un momento si chiese se Ashley sarebbe stata in grado di prendere il suo posto. Ma, aspetta: Ashley non avrebbe preso il posto di nessuno! Non doveva condurre la nave da nessuna parte: non li avrebbero abbandonati lì, vero?

Proseguì il suo cammino dalla sua sezione dormitori fino al corridoio principale del ponte equipaggio: se aveva fatto bene i conti quello doveva essere l’orario in cui si sarebbe vista un’ultima volta con Ashley. Quando girò l’angolo non vide nessuno e un velo d’ansia ulteriore l’attanagliò. Rimase a fluttuare nel silenzio, immobile, in mezzo al corridoio nell’attesa di sentire un suono.

«Già sveglia?»

Samantha cacciò un grido di terrore e si voltò di colpo per trovarsi a pochi metri dal primo ufficiale Sparkey che la fissava a braccia conserte. Come diavolo aveva fatto ad arrivare senza farsi sentire? L’altro non sembrò molto stupito dalla reazione della pony ed attese che si calmasse, invitandola con un gesto della mano a non fare baccano.

«Cosa ti viene in mente, Sparkey? Sono già abbastanza stressata di mio, non ho bisogno anche dei tuoi stupidi giochetti»

«Volevo solo salutarti. Non credo proprio di essere il benvenuto nell’hangar» rispose lo strano alieno giallo facendo spallucce. Subito dopo si guardò intorno con nonchalance «Non è da te stare ferma davanti agli ascensori. Aspettavi qualcuno?»

Samantha abbozzò restando sorpresa della domanda. Prima che potesse pensare a cosa rispondere, Ashley fece capolino dal corridoio opposto e si bloccò nel notare la presenza di Sparkey.

«Ah, adesso capisco» annuì il primo ufficiale accennando un sorriso.

Senza dire nulla la piccola pony verde acqua si fiondò ad abbracciare Samantha, cogliendola del tutto impreparata. Rimase qualche secondo interdetta e poi ricambiò l’abbraccio: sebbene avesse adorato la serata precedente, non poteva fare a meno di pensare al vincolo professionale che c’era tra loro due. Sparkey le osservava con un’espressione atona, e Sammy non riuscì come al solito a capire cosa gli passasse per la mente.

«Vedo che ha preso davvero sul serio la formazione della sua assistente, ingegner Betz» la incalzò l’alienoide giallo con una voce che cercava di essere simpatica. Le due sciolsero l’abbraccio imbarazzate e Ashley si posizionò istintivamente accanto al primo ufficiale davanti a Sammy.

Le antenne sulla testa di Sparkey vibrarono leggermente e con un gesto del braccio la creatura gialla guardò il suo MSU «È ora che tu vada, Samantha. Sarò sul ponte di comando a coordinare il vostro rientro in atmosfera». Volse brevemente lo sguardo verso Ashley «Se uno dei SOG ci vede qui con lei di sicuro ci saranno rogne»

La pony verde acqua annuì mentre la sua chioma blu scuro ondeggiava libera seguendo i suoi movimenti. Il suo volto si contrasse in una smorfia di preoccupazione mentre fissava la pony perlacea davanti a sé.

Samantha era stordita dalla mancanza di sonno e dalle tremende emozioni che aveva provato nelle ultime ventiquattr’ore. Ogni cellula del suo corpo voleva scappare via da lì, da tutto quel casino, via dove nessuno l’avrebbe mai trovata. Nello sconforto totale però, una luce le attraverso le pupille e si rese conto di non essere sola: lo aveva capito solo adesso, quando stava per lasciare quella nave alla volta di un viaggio terribile. Quei due erano lì per lei e…le volevano bene. Era assurdo per lei pensarlo. Lei che aveva affrontato ogni incertezza della vita da sola, contando solo sulla sua esile forza d’animo. Per qualche secondo sentì il suo cuore che si alleggeriva, felice di avere qualcuno al suo fianco.

Sparkey si schiarì la voce per spezzare la tensione e con estrema indecisione porse la mano verso la pony dalla criniera rossa «Beh, buona fortuna Samantha»

Sammy rispose al gesto con il suo zoccolo e quello fu tutto ciò che il primo ufficiale riuscì a fare. L’alieno attese che Ashley abbracciasse la pony perlacea un’altra volta prima di invitarla con lo sguardo a seguirlo per tornare nella sua cabina.

«Mi prometta che tornerà» disse Ashley con una voce rotta dal singhiozzo.

Samantha sobbalzò. Era davvero arrivato il momento di andare: guardò la sua assistente come la cosa a lei più cara in tutto l’universo. Pensò a tutte le volte in cui aveva sbagliato nella sua breve vita: i suoi genitori, i suoi compagni di scuola, i suoi pochi amici, Anna. Il volto della pony color crema comparve per un istante nella mente di Sammy mentre il suo cuore si stringeva fino a diventare minuscolo. Era solo una stupida, patetica pony che non era riuscita a combinare niente di buono: sapeva solo allontanare gli altri, eppure in qualche modo il pensiero della socialità e dell’amore la ossessionavano. Era sempre stato così, e ora il destino le stava servendo la portata più amara di quella triste e ridicola esistenza. La stava allontanando dall’unica persona con cui, forse, sarebbe riuscita a costruire qualcosa.

«Io…lo prometto» disse infine sussurrando. Era una promessa che stava facendo più a sé stessa che alla sua assistente. Ma da qualche parte dentro di lei sentiva che non sarebbe stato così.

Subito dopo, Sammy si trascinò indietreggiando all’interno di uno degli ascensori e premette il pulsante per portarla sul ponte uno. Prima che la cabina si mettesse in movimento, poté scorgere Sparkey che con una mano portava via la povera Ashley rimasta a fissare le porte vetrate davanti a sé. Una lacrima solcò il viso bianco come il latte della giovane pony.

Il portellone interno dell’hangar 03 non era come tutte le altre porte della Pardatchgrat. Normalmente le porte scorrevoli automatiche ci mettevano poco più di un secondo ad aprirsi con un rumore sordo, ma quella che Sammy si trovava davanti era un ben più grande e massiccio portone d’acciaio che si stava lentamente ripiegando su sé stesso emettendo un frastuono sferragliante. Ce n’erano ben due in realtà: costituivano l’airlock, ovvero una zona cuscinetto che separava l’interno della nave dallo spazio profondo nel momento in cui l’hangar veniva aperto per permettere l’ingresso e l’uscita dei mezzi; ecco anche spiegato il motivo della robustezza di quei portoni.

Samantha aspettò pazientemente persa nei suoi pensieri che la prima porta si chiudesse dietro di lei all’interno dell’airlock, per poi seguire con lo sguardo la lenta apertura della seconda. Non appena si fu alzata abbastanza, lo sferragliare del meccanismo venne quasi sovrastato da un gran vociare poco più sotto. Sammy si affacciò dalla balaustra e poté ammirare il Freedom in tutta la sua magnificenza.

Lo space shuttle di classe Bravo era una versione pesantemente modificata e avanzata dei modelli originali di navette riutilizzabili usate anche sul pianeta Terra: era una specie di aereo lungo più di venticinque metri ed il rivestimento in lega di titanio scurissimo gli dava un aspetto quasi spettrale. La coda ospitava tre grandi ugelli per i motori principali più due piccoli per gli attuatori orbitali. Per una come Sammy era davvero uno spettacolo: non capitava tutti i giorni di avere davanti agli occhi un simile gioiello dell’aerotecnica. Quello shuttle era stato caricato al Comando Stellare qualche settimana prima che la squadra SOG salisse a bordo e la nave si dirigesse verso Equestria: che il tutto fosse solo una coincidenza? Purtroppo spesso il personale di volo non aveva accesso alle informazioni sul materiale che trasportava, e questo era uno di quei casi.

Alla base della grossa navetta si trovava la squadra SOG intenta ad assemblare la propria attrezzatura. Svariate casse tecniche con misteriosi adesivi che indicavano la segretezza del materiale occupavano gran parte dello spazio. Il tutto era legato saldamente a terra con numerose fasce gialle per evitare che fluttuasse in giro.

Ben presto Springer si accorse di lei, ma stranamente si limitò ad un semplice saluto e si mantenne molto serio. Gli altri lanciarono solo un’occhiata a Sammy per poi proseguire nelle loro operazioni. Si intuiva dalle loro facce che erano estremamente concentrati sulla missione che stavano per compiere. Non erano la squadra SOG mica per nulla, pensò Samantha mentre fluttuava giù per le scale.

Non appena la pony bianca come il latte ebbe messo zoccolo sulla piattaforma di carico dell’hangar, il generale Pimpez estrasse con grande attenzione, aiutato da Sarang, uno strano e vistoso macchinario simile ad uno zaino. Era costituito da un complesso sistema di tubazioni e recipienti che culminavano in una grande maschera da porre sul viso. Samantha non ebbe difficoltà a riconoscere il marchingegno, aiutata anche dalla vistosa sigla posta sulla cassa: un Semi-closed Circuit Magical Rebreather. Non era esattamente sicura di come funzionasse, ma sapeva che quell’aggeggio avrebbe tenuto in vita il possente pimpaino su un pianeta dove l’aria sarebbe stata per lui irrespirabile. Per un istante si chiese se dopo tutti quegli anni lontani da Equestria i pony di Pimpaina non avessero perso la speciale emoglobina Hb-M che permetteva loro di vivere su un pianeta colmo di magia: un brivido le percorse la schiena. Ma d’altronde lei era un’equestriana di prima generazione: poteva stare tranquilla, giusto?

Mentre rimuginava su questi pensieri ed il resto della squadra caricava svariate casse piene di chissà cosa sul Freedom, la misteriosa Watts si avvicinò inesorabilmente a Sammy con sguardo duro e fisso nei suoi occhi, così inquietante che a Samantha parve di gelare.

«Ripassiamo il piano di volo» disse laconicamente con voce ferma e robotica. Quella pony era veramente raccapricciante. Subito dopo stese una copia cartacea della mappa-mosaico ottenuta dalle foto aeree di Equestria su una delle casse lì attorno.

«Inizieremo la manovra alle 6:05 Zulu. La velocità da raggiungere non è molto bassa, non dovremmo tenere i motori accesi per più di dieci secondi». Detto questo si concentrò sulla mappa «Concluderemo la fase critica di rientro più o meno qui…Arabia Sellata» disse indicando un punto abbastanza vicino al mare di una grande penisola desertica.

Samantha seguiva il discorso con attenzione sebbene ancora profondamente stordita e turbata: per lei si trattava di nozioni molto basilari.

«Da qui abbiamo un oceano per rallentare. Dobbiamo diventare subsonici prima di raggiungere la costa occidentale d’Equestria». Alzò lo sguardo privo d’espressione verso Sammy «Altrimenti faremo un bel botto»

Sammy annuì concentrata malgrado l’aspetto inquietante della sua interlocutrice. Sapeva bene quello a cui Watts si riferiva: fintanto che sarebbero rimasti supersonici, arrivando dall’enorme velocità che possedevano in quel momento stando in orbita, lo shuttle sarebbe stato più veloce del suo stesso rumore. Le onde sonore, che non sono altro che variazioni di pressione, si sarebbero accavallate su loro stesse non potendo sfuggire alla navetta spaziale creando delle onde d’urto. Queste onde si sarebbero propagate fino a terra: in parole povere, fintanto che la navetta fosse stata supersonica, chiunque si fosse trovato sotto di loro avrebbe udito improvvisamente un boato terribile, talmente forte da rompere i vetri delle finestre. Il famoso boom sonico, penso Sammy tra sé e sé. Ed ovviamente ciò era assolutamente deleterio per la loro missione: avrebbero sfruttato l’oceano che separava l’Arabia Sellata da Equestria per rallentare sotto il muro del suono e planare silenziosamente verso la base dell’Equestrian Air Force.

Di colpo Watts si rivolse direttamente a Samantha «Hai mai fatto un rientro in VFR?»

«Come?» rispose la pony bianca inebetita. Era anche stupita dal fatto che quella stramba le stesse dando del tu la prima volta in cui le rivolgeva davvero la parola.

«VFR. Visual Flight Rule. Volo a vista» Precisò gelidamente Watts aspettando un cenno da Samantha. Quando vide che non arrivava, prosegui senza battere ciglio «La pista di atterraggio. Dobbiamo raggiungerla a vista. Non abbiamo radiofari che ci aiutino»

«Ah» rispose Samantha stizzita «No, ho solo usato il simulatore dell’università per qualche esame di meccanica del volo»

La pony color grigio topo sembrò rompere per un solo istante la sua freddezza totale, e a Sammy parve di leggere del disprezzo e della rassegnazione.

«Dovevo immaginarlo»

Watts le voltò le spalle dirigendosi verso il portellone di carico del Freedom.

«Sempre meglio che avere Springer come copilota» aggiunse Mark Sarang dal fondo della stanza.

«Porca puttana! Ti ricordi quella volta sulla Gönergratt? Un atterraggio pazzesco» ridacchiò Springer spezzando quell’aura di silenzio e serietà e tornando quello di sempre. Il pony paglierino aveva sulle sue spalle due grossi nastri colmi di munizioni larghe quasi quando metà zoccolo: Sammy rimase di stucco nel rendersi conto dell’enorme quantità di armi che quegli strani pony stavano portando con sé.

«Diciamo che non sei entrato in questa squadra per le tue abilità di pilota, colonnello» precisò Lasseter dall’altro lato del grosso hangar mentre fluttuava supino sotto la navetta spaziale. Samantha notò solo allora che il sergente si era allontanato dagli altri e reggeva in bocca una torcia per osservare l’interno del vano del carrello di atterraggio anteriore.

Watts si diresse a bordo del Freedom senza aggiungere una parola ed iniziò ad armeggiare con dei pannelli al muro, lasciando Sammy da sola senza sapere cosa fare. La pony perlacea restò interdetta dal loro ignorarla: si era così tanto stressata, aveva atteso quella partenza con terrore e preoccupazione e adesso quegli stronzi stavano in silenzio facendosi gli affari loro?

«Quindi?» chiese nel vuoto Samantha a denti stretti. L’unico a degnarla di una risposta fu Pimpez che era appena sceso dal Freedom dopo aver risposto con cautela il suo rebreather.

«Quindi cosa?» berciò il pimpaino senza neanche guardarla.

«Che devo fare?»

Pimpez ridacchiò sprezzante «Il nostro ingegneruccio ha dell’entusiasmo?». Sembrava adorasse vederla friggere in quella posizione. Poteva vedere dal volto distrutto che la pony aveva passato probabilmente la peggiore giornata della sua vita, ed ora era lì che fremeva aspettando un segno. Per un attimo le parve che il generale si accarezzasse la ferita della zoccolata, ormai cicatrizzata sul viso.

«Non devi fare niente, Betz. Sei inutile ora come ora. E vedi di darti una calmata»

Samantha rimase a bocca aperta. Quelle frasi così semplici eppure taglienti e sprezzanti distrussero il fragile equilibrio che la pony era riuscita a mettere in piedi in quelle ore. Notò che adesso anche il generale aveva preso a darle del tu, non avrebbe avuto più nessun riguardo per lei. Era in trappola.

Quelle poche parole erano bastate. La pony bianca come il latte si accasciò sulle casse piene di materiale dietro di lei e copiose lacrime cominciarono a staccarsi dal suo viso fluttuandole attorno. Sammy singhiozzava a denti stretti cercando di non dare a vedere il suo dolore: non voleva neanche per un secondo mostrare la sua debolezza a quei mostri. Era tutto perduto. Non aveva più la forza di andare avanti. Lasciare davvero Ashley era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Nulla aveva più senso ormai, la sua vita era finita: anche se avesse seguito quei pazzi in quell’assurda missione, sarebbe sicuramente morta. L’ansia prese per l’ennesima volta possesso del corpo della pony perlacea.

«Walkaround terminato. Lo shuttle è a post…» la voce di Lasseter si interruppe bruscamente quando notò la povera Samantha ansimare nell’angolo. Cercava di nascondersi con la sua criniera rossa e guardando verso un punto imprecisato del pavimento.

Il pony dal manto blu si fermò a fissarla come pietrificato. Nella sua lunga carriera aveva visto tante cose, cose che una persona dotata di anima non dovrebbe mai vedere: lui e i suoi compagni avevano sgominato molte insidie, salvato più volte capi di stato da assalti terroristici e ucciso grandi criminali interplanetari. Ma quando aveva ascoltato il briefing di quella missione per la prima volta nella sala riunioni del Consiglio delle Forze Armate Superiori, il suo pelo si era rizzato istintivamente come succedeva ogni volta che fiutava il pericolo, quello vero. Aveva capito sin da subito che non sarebbe stata una cosa facile come le altre, e non solo perché si trattava della principessa del loro pianeta d’origine. No, c’erano troppe cose che non quadravano in quella faccenda, e adesso il generale Pimpez aveva deciso di portare quella povera pony con loro.

Sammy si strinse ancora di più su sé stessa quando sentì addosso gli occhi di Lasseter. Lui continuò a fissarla: sebbene il suo animo fosse ormai temprato da tante atrocità, il senso imponente di disperazione di quella pony dalla criniera rossa riuscì a scuoterlo nel profondo. Il sergente rabbrividì ed i suoi occhi divennero leggermente umidi. Forse avevano esagerato con quella poveretta.

Si avvicinò lentamente schiarendosi la voce, e nel farlo si tolse quel poco di lacrime dagli occhi. Samantha non reagì, ormai silenziosamente persa nell’angoscia come un fiume in piena. Il pony dalla criniera argentata si mise accanto a lei.

«Allora…Samantha, giusto?»

L’altra rimase immobile nella sua posizione fetale. Dopo qualche secondo, Lasseter notò un quasi impercettibile sì con la testa. Anche se era disperata, Lasseter era comunque l’unico di quel maledetto gruppo che non si era rivolto male nei suoi confronti, l’unico che sembrava un pony normale.

«Ascolta…posso immaginare come ti senti. Ma non sei sola»

«No, non puoi. Lasciami in pace» berciò Samantha tra un singhiozzo e l’altro.

Il sergente non si fece intimorire da quella risposta e scrollò le spalle «Ok è vero, probabilmente non ho idea di quanto tu ti senta di merda. E non sono bravo con questa roba, però…». Con una pausa Lasseter si arrischiò molto lentamente a porre una zampa sulla spalla di Sammy: per fortuna la pony non reagì, restando semplicemente rannicchiata.

«Però, diamine, tu non sei una di quelli! Tu sei una di noi! Io l’ho visto come parli, come ti muovi, il tuo accento. Sei più pimpaina di me e Springer messi assieme!»

Samantha uscì dal suo guscio e si voltò interrogativa verso quello strano pony. Lasseter era dannatamente serio «Devi piantarla di pensare al tuo passato come se c’entrasse qualcosa. Tu non hai colpa di quello che è successo cent’anni fa o di quello che sta succedendo adesso»

Sammy continuava a guardarlo inespressiva mentre altre lacrime si staccavano dai suoi occhi. Il sergente non mollò il colpo «Noi siamo una squadra, tutti noi. Siamo della stessa pasta. Ti proteggeremo e completeremo questa missione in un batter d’occhi. Devi stare tranquilla»

Di colpo Lasseter ebbe un brivido: il volto di Samantha si era contratto in un ghigno estremamente inquietante; digrignava i denti così tanto che da un momento all’altro avrebbe potuto spaccarli.

«…cosa cazzo ne sai di cosa sono io?» bisbigliò mentre gli occhi le si iniettavano di sangue.

Il sergente non ebbe il tempo di reagire e la pony prese la sua zampa ancora sulla spalla e gliela torse violentemente. Lasseter iniziò a girare su sé stesso fluttuando, ma il colpo era stato abbastanza forte da fargli del male. Se fossero stati su un pianeta in presenza di gravità gli avrebbe quasi rotto la zampa, pensò.

«Che cazzo ti prende, stronza!?» urlò Springer sbigottito per poi lanciarsi verso la pony bianca. Samantha rinsavì improvvisamente: il suo volto si distese e rimase immobile ad osservare quella montagna di muscoli incazzata che le veniva incontro.

Poco prima che Springer potesse colpirla, Lasseter lo bloccò «Fermo Steven! È colpa mia, ho esagerato»

Rimasero in quella posizione per un tempo che parve interminabile. Springer fissava Samantha con odio, uno sguardo che lei non aveva mai visto fino ad allora. I suoi occhi sgranati le penetrarono nell’anima. Si rannicchiò ancora di più, con la zampa di Lasseter ad essere l’unico scudo tra lei e quel grosso pony.

«Toccalo…toccalo ancora una volta e giuro che non avrai neanche la forza di piangere quando avrò finito con te, lurida…»

«Ho detto basta! Torna a farti i cazzi tuoi!» urlò minaccioso Lasseter spingendo via il pony paglierino. L’altro fissò Betz ancora per qualche secondo per poi girarsi silenziosamente verso le casse.

Samantha si rese conto di essere rimasta in apnea per tutto il tempo e prese una grossa boccata d’aria ansimando. Steven Springer…sembrava sì uno spaccone, ma il modo in cui l’aveva guardata, la sua voce…non aveva mai visto tanta rabbia in un solo pony. Era lo sguardo di qualcuno capace di uccidere. Ne era certa: se avesse potuto l’avrebbe uccisa lì, seduta stante.

Lasseter si massaggiò la zampa ed accennò un sorriso forzato alla pony perlacea «D’altronde me lo avevi detto di lasciarti in pace»

Lei rimase immobile non sapendo cosa dire. Si era fatta controllare dalla rabbia per l’ennesima volta in quei due giorni.

Stupida.

Patetica.

Si massaggiò la faccia sospirando: aveva digrignato i denti così tanto da farsi male. Che cosa le stava succedendo?

«Ti chiedo scusa Betz. Non dovevo parlare di cose che non mi riguardano» disse Lasseter con il tono più amichevole che riuscì a sfoderare. «Quello che volevo dire è che noi ci siamo. Non sei sola. E ti proteggeremo fino alla fine: presto sarai di nuovo a bordo di questa nave»

La ragazza fece ondeggiare la sua lunga criniera rossa nell’etere mentre annuiva in silenzio. Non riusciva nemmeno a guardare il sergente negli occhi, ma almeno aveva smesso di piangere.

«Non fare caso a Springer, lui è fatto così. Vedrai che tra poco tornerà come sempre» disse voltandosi verso il fondo dell’hangar. Fortunatamente sembrava che Sarang, Watts e Pimpez non avessero sentito quel teatrino da dentro lo shuttle.

«Il modo in cui mi ha aggredito…» iniziò con un filo di voce roca Samantha «…c’era qualcosa nei suoi occhi. Perché tiene così tanto a te?»

Lasseter aggrottò la fronte evitando lo sguardo di Samantha «Quando vivi una vita come la nostra succedono tante cose. Diciamo che il legame che si stringe è molto particolare»

Detto ciò il pony cambiò immediatamente discorso come infastidito dalla domanda di Sammy «Perché non vai a dare un’occhiata al cockpit e inizi ad ambientarti?»

«Ambientarmi per cosa?»

«Per il volo, no? Watts ti vuole come suo secondo ai comandi»

Samantha sollevò un sopracciglio. Ecco perché aveva voluto ripassare il piano di volo con lei.

«Magnifico» borbottò la pony gettando un occhio verso il grosso portellone di carico del Freedom.

Senza aggiungere altro i due si separarono e Samantha entrò all’interno dell’astronave. Lo shuttle era veramente grande, anche troppo per la loro piccola squadra. Dalla grande baia di carico si accedeva al ponte superiore con un ascensore interno. Mentre saliva, Sammy pensò che fosse proprio una disdetta che nessuno avesse previsto delle cuccette per l’equipaggio: avrebbero dovuto trovare un altro modo per dormire una volta su Equestria.

Apertesi le porte, la pony perlacea si trovò davanti due lunghe file di sedili estremamente avvolgenti. Le pareti, quassù molto più vicine tra loro rispetto al ponte inferiore, erano ricolme di schermi interruttori e luci che attivavano le varie funzioni dello shuttle. Samantha contò venti posti mentre raggiungeva il cockpit, ovvero la cabina di pilotaggio vera e propria.

La pony si rallegrò nel notare che gli schermi e gli interruttori erano estremamente simili a quelli dei simulatori dell’università. Al centro tra i sedili del comandante e del pilota (così si chiamavano in realtà i due ruoli) troneggiavano le manette dei tre grandi motori sul retro.

Watts stava appoggiata al sedile di comando guardando fissa fuori dai finestrini frontali. Era estremamente inquietante, considerando che davanti a loro avevano solo la parete dell’hangar della Pardatchgrat. Aveva già indossato la grossa tuta arancione da astronauta che avrebbero usato per precauzione durante il viaggio.

 «Non sembra tanto complicato» disse Samantha per spezzare la tensione. Watts fece un impercettibile balzo, a dimostrazione del fatto che non si era accorta della presenza della pony bianca. Sembrava imbarazzata, come se fosse stata beccata con gli zoccoli nel sacco a fare qualcosa di strano.

«Non lo è» tagliò corto come suo solito. Mentre diceva così, spinse verso Sammy un piccolo raccoglitore con dei fogli. «Pronta?»

Bravo class shuttle flight checklists diceva la copertina. Aveva pochi minuti per darci un’occhiata e indossare la sua tuta prima che gli altri finissero di caricare l’attrezzatura.

«Pronta» rispose Samantha con un sospiro.

Erano ormai le 5:55 Zulu. Tutta la squadra era finalmente legata ai propri posti. Watts e Samantha sedevano in prima linea di fronte ai complicati comandi del Freedom. Con un cenno, Watts diede l’ordine a Sammy di procedere.

«Buongiorno Pardatchgrat. Freedom è con voi per prova radio»

‘Buongiorno Freedom. Vi copiamo cinque su cinque’ rispose gracchiante la voce stridula di Imogen Lindwall, l’addetta alle comunicazioni radio della nave. Quanto le stava sul cazzo quella tizia, pensò Sammy roteando gli occhi.

«Ricevuto Pardatchgrat. Richiediamo clearence per la messa in moto»

Ci fu qualche secondo di silenzio. Per un solo istante Samantha pregò che venisse negata. Che qualcuno venisse lì a salvarla e a riportarla nella sua cabina.

‘Shuttle Freedom, autorizzati al rientro su Equestria come da piano di volo. Start-up approvato, riportate pronti allo sgancio’ rispose purtroppo Lindwall come da manuale.

«Before start checklist» intimò Watts mentre cominciava a muovere le zampe come un ragno cliccando svariati interruttori sopra la sua testa. Samantha iniziò a leggere ad alta voce uno di quei fogli elencando tutto ciò che andava controllato prima di poter accendere i motori.

«Before start checklist completata» rispose alla fine la pony dalla criniera rossa. Non poteva vedere il resto della squadra dietro di sé, ma si sentiva gli occhi del generale Pimpez sul collo.

Ben presto un ruggito sordo cominciò a riempire l’abitacolo. Dapprima flebile, divenne sempre più forte fino a diventare quasi assordante. Lo shuttle cominciò a tremare mentre il pannello mostrava la pressione del motore tre crescere fino a regime. Watts ripeté il processo altre due volte ed il rumore divenne totalizzante.

La squadra chiuse i caschi delle tute spaziali e tutto divenne ovattato. Samantha poteva sentire il suo respiro farsi sempre più pesante. Stava per succedere, era il momento. Non poteva più tornare indietro.

«Aspetti la carrozza Betz?» chiese Watts tramite l’interfono appena attivato «Datti una mossa»

Samantha deglutì mandando indietro le lacrime per l’ennesima volta «Pardatchgrat. Freedom è pronto allo sgancio»

‘Copiato Freedom. Autorizzati allo sgancio. Inizio apertura del portellone’

Tutto iniziò a tremare ancora di più. Svariati lampeggianti si accesero in giro per l’hangar e il suono di una sirena sovrastò quello dei motori. Lo spazio nero come la pece fece capolino sotto di loro.

Ti voglio bene, Ashley. Pensò Samantha per l’ultima volta. Poi chiuse gli occhi.

‘Sganciate!’

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7

Il fischio assordante dell’aria che fuoriusciva dall’hangar riempì la cabina. Allo stesso tempo, uno scossone terribile segnalò lo sgancio dei perni che tenevano il Freedom legato alla Pardatchgrat. Durò solo un attimo, poi il silenzio totale. L’aria attorno alla navetta era sparita.

«Propulsori RCS attivi»

Quando Samantha riaprì gli occhi si trovò davanti all’infinità del creato. Il nero profondo inghiottiva la luce delle poche stelle visibili come piccole lucciole in una notte di pioggia. Lentamente, Watts fece ruotare lo shuttle su sé stesso grazie ai piccoli propulsori posti strategicamente in giro per la navetta e cominciò ad allontanarsi dalla nave madre.

«E’ sempre meraviglioso. Non ci si stanca mai» disse Sarang da dietro scrutando l’esterno. Nessuno ribatté, ma era chiaro che tutti fossero d’accordo mentre guardavano fuori ammutoliti.

«Pardatchgrat, sgancio effettuato. Ci prepariamo alla manovra»

‘Ricevuto Freedom. Riportate in posizione’

«Ok gente, siete pronti?» chiese Pimpez mentre si stiracchiava sul suo sedile. «Diamo ufficialmente inizio all’operazione Pony Onnipotente» sentenziò mentre picchettava con le dita sul suo MSU al polso.

Nessuno rispose: il generale sembrava l’unico a riuscire a rilassarsi lì dentro. I pony militari fissavano ritti davanti a loro il pianeta d’Equestria che pian piano compariva nel parabrezza. Stavano per tornare a casa, e sebbene nessuno di loro ci fosse mai stato, il pensiero di vedere per la prima volta la terra dei propri avi aveva reso tutti molto nervosi. E non erano lì per una gita turistica: avrebbero ucciso Celestia, la loro principessa. Probabilmente il più grave crimine che il suddito di un regno potesse immaginare di compiere.

«Qualcuno qui ha portato sacchetti per il vomito? Speriamo che il comandante sia clemente con noi» disse sarcastico Pimpez: era la prima volta che qualcuno prendeva in giro Watts.

«Può stare tranquillo, generale» rispose atona la pony grigia mentre posizionava lo shuttle con il joystick sulla traiettoria di manovra. Samantha rimase ammutolita a guardare lo spettacolo che le si parava di fronte: Equestria era perfettamente sotto di loro. Davanti al parabrezza la luce del tramonto in arrivo colorava l’arco di atmosfera di mille tonalità meravigliose. Questa volta però si distrasse abbastanza brevemente da non far infastidire Watts.

«Pardatchgrat. Freedom è in posizione. Pronti alla manovra»

‘Freedom. I vostri dati sono stati trasmessi al Comando Stellare. Autorizzati alla manovra di de-orbit. Buona fortuna’ rispose questa volta la voce di Sparkey.

«Pressurizzazione cabina ok. Superfici di controllo ok. Piattaforma inerziale ok» confermò velocemente Samantha controllando gli schermi.

Watts annuì con un battito di ciglia «Ci siamo». La pony cinerea raccolse nello zoccolo destro le manette dei motori orbitali e dopo qualche secondo spinse a fondo. Tutti si strinsero nei sedili pronti al contraccolpo, ma non accadde nulla.

«Che succede?» chiese nervosamente Springer da dietro. Watts riprovò più volte ad alzare ed abbassare le manette senza alcun risultato.

«Allora?» insistette il pony paglierino.

«Non lo so. I motori orbitali non vanno»

«Cosa vuol dire “i motori non vanno”?»

«Vuol dire quello che ho detto, Springer». La pony roteò gli occhi mentre cominciava ad armeggiare coi pulsanti.

«Maledizione Lasseter, che diavolo di controlli hai fatto?»

«Cosa c’entro io? Mica si testano i motori accesi camminandoci davanti, razza di idiota»

«Merda…quanto tempo abbiamo prima di perdere la manovra?»

«Se steste zitti invece di blaterare, magari riuscirei a risolvere il problema!» berciò Watts mentre faceva scorrere fiumi di informazioni tra gli schermi davanti a lei.

Pimpez era rimasto in silenzio e Sammy non poteva vedere quale fosse la sua espressione dietro di lei, ma non preannunciava nulla di buono.

‘Freedom, qui Pardatchgrat. Cosa succede? Perché non siete ancora partiti?’ chiese la voce gracchiante di Sparkey.

«Uh…i motori orbitali sono in avaria» rispose incerta Samantha mentre Watts continuava a sbracciarsi tra i comandi.

‘Freedom. Avete sei minuti prima che la finestra di manovra si chiuda. Se non li attiverete in tempo dovrete rientrare’

«No!» urlò improvvisamente Pimpez. «L’Alto Comando ha dato ordini precisi di massima urgenza. Non esiste che torniamo indietro»

«…ricevuto Pardatchgrat» rispose Sammy ignorando il generale che non poteva essere sentito alla radio.

«Mi prendi per il culo Betz? Hai sentito cosa ho detto?» continuò iracondo Pimpez attraverso l’interfono. Sammy si sentì grata di non dover sostenere lo sguardo di quel pallone gonfiato in quella situazione. «Dì immediatamente a quell’aborto giallo che non torniamo indietro, o ti giuro che…»

«L’impianto del carburante non è pressurizzato» disse improvvisamente Watts salvando Sammy. «O meglio, lo è fino a un certo punto. Sembra che un’elettrovalvola non si sia aperta»

«Cazzo! E quindi? È grave?» chiese Springer sempre più nervoso.

«Forse. Qualcuno deve andare fuori a vedere» disse Watts volgendo lo sguardo freddo verso Samantha «Qualcuno che abbia un minimo dimestichezza con valvole e pezzi meccanici»

Fantastico.

Qualche decina di secondi dopo, Samantha era già nel piccolo airlock dello shuttle mentre indossava l’imbragatura sopra la tuta spaziale. Lasseter agganciò il moschettone alla pony e diede qualche strattone al cavo d’acciaio per testare la tenuta. Subito dopo, Watts le porse una pagina del manuale operativo della navetta «C’è una piccola apertura accanto al timone di coda. Lì c’è la nostra valvola»

Samantha annuì infilandosi il disegno in una tasca stagna, prese la cassetta degli attrezzi e con un cenno salutò il gruppo mentre la porta la separava dalla cabina. Pochi attimi dopo, Sammy udì il familiare sibilo dell’aria e con una lieve spinta si trovò nel vuoto.

Ammirò l’infinità di nulla che la circondava ed il silenzio assordante che avvolgeva la sua mente. Lì fuori eri solo con te stesso come in nessun altro luogo. Le passeggiate spaziali erano una cosa di routine per una come lei. Non era raro che le tante antenne della Pardatchgrat si danneggiassero durante i lunghi viaggi, ed era compito suo e di Ashley garantirne il funzionamento. Solitamente si portava dietro sempre un tecnico che potesse subito intervenire in caso di danni gravi: era la prima volta che usciva da sola. Completamente contro qualsiasi regolamento, pensò. Ma non c’era tempo per questo.

‘Mi senti Betz?’. La voce di Watts ruppe quel magnifico silenzio.

«Forte e chiaro, purtroppo»

‘Muoviti invece di fare la stupida. Abbiamo solo quattro minuti’

Sammy si spinse lungo lo shuttle verso la parte posteriore: la sua superficie scurissima quasi brillava sotto la luce del sole, e il grosso timone di coda sembrava la guglia minacciosa di un castello stregato. Anche se non udiva alcun suono, Samantha percepiva le vibrazioni di quella complessa macchina quando la sfiorava: era tutto acceso, e avvicinarsi a quegli ugelli non l’allettava proprio per niente.

Con pochi balzi fu alla base del piano di coda. Da lì poteva vedere la Pardatchgrat fluttuare poco sopra di loro: era da un bel po’ che non la vedeva per bene da lontano con i suoi occhi. Era così elegante, longilinea, la sua casa tra le stelle. Avrebbe così tanto voluto spiccare il volo e tornare sulla sua nave volteggiando nel nulla, tornare da Ashley.

'Allora? Ci sei o no?’ quella fastidiosa radio riportò mestamente Sammy alla realtà. Fece per tirare fuori il disegno dalla tasca ma non ne ebbe bisogno: seguendo le linee della fusoliera aveva subito identificato il pannello di servizio rettangolare.

«Quasi» rispose, e lasciò fluttuare davanti a sé la cassetta degli attrezzi per prendere quello che le serviva. Con l’apposita chiave il pannello si aprì rivelando la conduttura di idrogeno liquido che si dirigeva verso i propulsori orbitali poco dietro. La grossa elettrovalvola che avvolgeva il tubo era ferma in posizione chiusa.

«E’ molto strano che non reagisca. Forse si è congelata» disse la pony iniziando leggermente a sudare: stare alla luce diretta e maneggiare attrezzi in uno scafandro non era esattamente un toccasana. Prese una grossa chiave inglese ed agì sulla vite forzando l’apertura della valvola mentre faceva leva appoggiandosi con le zampe sulla fusoliera dello shuttle. Con un po’ di insistenza la valvola scattò.

«Ecco fa…»

Le sembrò per un istante che Watts avesse detto una parolaccia, il che era molto strano visto che non gliene aveva mai sentita dire una. In un battito di ciglia i due propulsori orbitali si accesero e Samantha venne scaraventata all’indietro nel vuoto cosmico. La pony urlò così forte come mai aveva fatto in vita sua, in preda al terrore. Ma nell’infinità dello spazio nessuno poteva sentirla.

Dopo una frazione di secondo per lei interminabile, il cavo d’acciaio si tese strattonandola così forte che le parve di venire tranciata a metà. Urlò ancora di più in preda al dolore mentre la cassetta degli attrezzi le sbatteva addosso a grande velocità, colpendola ulteriormente.

Il cavo tesissimo a cui la sua vita era appesa oscillava minacciosamente mentre tirava il corpo di Samantha dietro alla potente navetta spaziale. Con gli occhi sgranati, Sammy vide ad uno zoccolo dal suo muso il gas violetto incandescente che fuoriusciva dagli ugelli. Tra le sue urla gutturali, la pony percepì l’enorme calore che arrivava da quell’inferno di fiamme. Ancora pochi secondi e il suo casco si sarebbe sciolto, lasciandola indifesa alla morte certa dello spazio aperto.

Poi, come tutto era iniziato, cessò. I motori si spensero ed il cavo smise di tendersi, lasciando Samantha senza respiro, immobile, poco dietro l’astronave.

‘Betz! Betz, ci sei? Rispondi maledizione’ la voce di Watts sembrava finalmente aver acquisito un minimo di emotività.

Sammy ci mise ben più di qualche secondo a rispondere: fluttuava immobile con la bocca spalancata e gli occhi rossi, annaspando. Cercò di farfugliare qualcosa senza senso, ma tanto bastò a Watts per capire che non era morta.

‘Il computer ha eseguito la manovra automaticamente, non ho idea di come sia successo’

La manovra era stata completata? Samantha sgranò gli occhi ancora di più.

‘Rientra subito o finirai incenerita. Saremo in atmosfera tra un minuto e mezzo’

La pony perlacea alzò lentamente una zampa e si paralizzò fissandola con terrore «La…la tuta è perforata»

‘Cosa?!’

«La cassetta degli attrezzi…ha tagliato la tuta» boccheggiò Sammy mentre osservava una nuvoletta di aria umida uscire veloce dallo squarcio sulla zampa.

Improvvisamente però, si sentiva calma come non lo era mai stata. Fluttuare leggera nel silenzio era così rilassante ed avvolgente. Si mise a fissare i piccoli puntini luminosi incastonati nel manto nero dell’universo: magari poteva prendersi una pausa, no? In fondo quella giornata era stata così stressante, era davvero stanca: avrebbe ripreso un attimo fiato e poi sarebbe tornata da quei bagordi. Sì, era proprio una buona idea.

Ad un certo punto le parve che le stelle cominciassero a muoversi volteggiando nel nulla a velocità assurda: certo era un fenomeno interessante, pensò. La sua vista si offuscò e la voce di Watts che rispondeva si trasformò in un ronzio ovattato sempre più lontano.

***

Samantha sbatté la porta con così tanta forza da far tremare persino i muri. Rimase qualche secondo immobile, fissando la parete spoglia di fronte a sé: poteva sentire chiaramente la rabbia che le fluiva in corpo. Era una sensazione che aveva sempre avuto, sin da puledrina: la sua psicologa aveva detto che un giorno sarebbe riuscita a controllarla, ma nel frattempo le aveva dato degli esercizi di respirazione per contenere quelle gigantesche esplosioni.

Un respiro profondo, poi due, tre, fino a dieci. Dopo qualche secondo la pony sentì le sue membra che si rilassavano e la morsa allo stomaco che si alleviava. Sospirò e percorse il minuscolo corridoio che la separava dal salotto.

«Ormai ho perso le speranze con te. Non hai un minimo di rispetto»

Il padre di Sammy abbassò severo il giornale sul tavolo. Il suo sguardo carico di sdegno era qualcosa che Samantha era abituata a sentire su di sé, specialmente nell’ultimo periodo. La pony fissò il pavimento ancora scossa dalla scarica di rabbia precedente.

«Dopo tutto quello che abbiamo fatto per te in tutti questi anni, è così che ci ripaghi?» continuò il pony dal manto verde scuro. Le sue parole suonavano particolarmente colme di disprezzo: Samantha sentiva che non sarebbe stata soltanto una banale ramanzina.

La ragazza provò flebilmente a rispondere. La sua voce tremava «Io non ce la faccio più così. Non si può andare ava…»

«Tua madre è malata, Samantha! Molto malata! Lo capisci? Noi dobbiamo starle vicino e sostenerla»

Il pony si alzò dalla poltrona furioso «Ma chiaramente sei troppo egoista ed immatura per capirlo, e ti comporti in questo modo spregevole»

Sammy non rispose rimanendo in silenzio. Le si inumidirono gli occhi mentre suo padre la fissava iracondo a poca distanza. Lo aveva deluso, di nuovo.

«Se non si alza dal letto da una settimana è colpa tua! Con questo tuo carattere di merda!»

Samantha scoppiò a piangere singhiozzando «Ma cosa stai dicendo? Io non ho fatto niente!»

«Invece sì! Perché se non ti rivolgessi con quel tono ogni volta che le porti da mangiare si sarebbe già ripresa» continuò ad urlare il pony. Veloce, alzò uno zoccolo e colpì Sammy sul viso con un rumore sordo «Ingrata e maleducata!»

La ragazza aveva preso a piangere rumorosamente mentre singhiozzava «Lei è mia madre! Io non sono la sua! Non può stare in quel letto tutto il giorno minacciando di uccidersi e pretendere che io sia carina con lei»

Dopo una breve pausa, Samantha inspirò a pieni polmoni ed urlò «Avrebbe dovuto prendersi cura di me in tutti questi anni invece di essere una depressa del cazzo!»

«Fuori» disse semplicemente suo padre con voce tremolante. Il suo corpo vibrava colmo d’ira mentre fissava Sammy con odio. La pony si paralizzò, terrorizzata nel vederlo in quel modo.

«Ho detto fuori!» urlò, e nel farlo prese Samantha con la forza e la spinse una prima volta contro la porta di casa. Subito dopo, aprì mentre la pony singhiozzava e la gettò fuori brutalmente. L’aveva spinta con talmente tanta forza che per poco Sammy non finì a rotolare giù per le scale.

Si fissarono per qualche secondo. Samantha sembrava un piccolo cucciolo impaurito con il viso colmo di lacrime: non aveva mai visto suo padre in quel modo. Certo, il suo arrabbiarsi le era familiare, ma mai era arrivato a fare o a dire una cosa del genere. L’altro, forse esitando un istante, chiuse violentemente la porta dietro di sé.

Sammy si ritrovò sola nella tromba delle scale. Rimase seduta ad ascoltare il rombo del portone sbattuto che riecheggiava verso l’alto mentre le lacrime bagnavano lo zerbino. La pony fissò quel tappetino per qualche secondo: parte delle setole era dipinta di rosso a formare la scritta “Benvenuti” e subito sopra il disegno di una casetta; il fumo che fuoriusciva dal comignolo creava un cuoricino stilizzato.

Se lo ricordava quel tappetino: lo avevano scelto lei e sua mamma insieme al mercato qualche anno prima, quando stava ancora bene. O meglio, quando stava non così male da ridursi in quello stato. Ma quel giorno era stato sereno e divertente, e le due aveva comprato un sacco di cose carine d’arredamento e suppellettili. Alla fine avevano pure preso un gelato prima di tornare a casa.

Il pianto di Samantha si fece profondo e rumoroso mentre il suo corpo si curvava su quello zerbino sporco, colmo di disperazione. Era finita, pensò. Avrebbe voluto fuggire, scappare via per sempre da tutto, dove nessuno l’avrebbe mai trovata.

Si voltò molto lentamente, affacciandosi dal corrimano: la tromba delle scale del grande condominio scendeva ritta sotto di lei per dieci piani, più due interrati. Il suo pianto sembrò interrompersi quasi bruscamente, il suo sguardo era spento. Uno zoccolo tremante si appoggiò alla balaustra, spingendo il corpo di Sammy fino a farla sedere a cavalcioni. La sua criniera rossa volteggiava nel vuoto, pendendo minacciosa verso il lontanissimo pavimento del garage.

Samantha respirava piano, il volto ancora arrossato e solcato dalle lacrime. Come un automa, chiuse gli occhi e trattenne il respiro.

«Ma che fai? Ti arrendi?»

La pony sobbalzò trovandosi davanti Ashley Reed, anche lei a cavalcioni sul corrimano. La sua assistente la guardava accennando un sorriso mentre si accarezzava la lunga criniera blu.

«Io…voglio andare via. Non ce la faccio più» bisbigliò Sammy fissando il vuoto sotto di sé.

«Lo so Sammy, la vita non è stata generosa con te. Ma non importa quanto ci troviamo in basso, possiamo sempre risalire»

Ashley accarezzò il suo viso asciugandole le lacrime «Tu hai me, non dimenticarlo»

«E avevi me»

Anna sedeva sul pianerottolo di fronte, fissando Samantha con sguardo truce.

«Lasciami in pace» si lamentò Sammy, quasi tornando a piangere.

«Non sono qui per parlare di noi, Samantha. Non ogni cosa nella vita può funzionare. Anzi, spesso sono molti di più i fallimenti e le sofferenze»

La pony beige si alzò fluttuando nel mezzo della tromba delle scale, raggiungendo Sammy ed Ashley «Ma prima o poi le gioie arrivano. Devi combattere per queste, Sammy. E devi essere felice per tutte le piccole e grandi cose che hai»

Ashley annuì sorridendo «Adesso devi svegliarti. Non arrenderti, hai capito?»

«Cosa?» chiese Sammy disorientata.

«Riprendi a respirare e torna là dentro. La vita è un dono meraviglioso Sammy: lotta per questo» disse infine Anna prima di volteggiare verso l’alto.

«Ricordati che devi tornare da me» disse Ashley gettando un ultimo dolce sguardo alla pony perlacea; poi seguì Anna.

Le due volarono insieme verso il tetto che non c’era più. Una luce accecante comparve improvvisamente dall’alto mentre un vento fortissimo cominciava a soffiare. Samantha urlò mentre si teneva aggrappata al corrimano: cercò di resistere per quanto poté, ma dopo poco si ritrovò scaraventata verso la luce da quella corrente poderosa. La sua vista si annerì mentre tratteneva il respiro.

***

Sammy riaprì gli occhi mentre l’aria fresca le riempiva i polmoni. Attraverso il casco appannato poteva intravedere il viso di Springer che la teneva stretta a sé. Il pony aveva delle grosse bombole sulla groppa e stava tirando il cavo d’acciaio per riavvicinarsi al portellone: si trovavano già poco dietro le ali della navetta spaziale.

Samantha si guardò la zampa da cui pochi attimi prima aveva visto la sua vita scivolare via. Springer aveva ricoperto lo strappo con del resistentissimo nastro adesivo e stava rifornendo direttamente il suo sistema di supporto vitale con dell’aria supplementare.

Il modo in cui il pony si muoveva era estremamente nervoso. Dopo pochi secondi la mente di Sammy riprese a funzionare: il rientro atmosferico! Quanto tempo era passato? Springer si diede un ennesimo strattone ed i due sbatterono contro la fiancata dell’astronave. Non appena ebbero raggiunto il portellone, la pony si accorse con orrore che le superfici dello shuttle stavano cominciando a circondarsi di un’aura sempre più giallognola.

Veloce, Springer fece scattare la chiusura appena in tempo, sigillandoli nell’airlock. Qualche secondo ed un forte rumore di pressurizzazione dopo, la coppia fu nuovamente all’interno della cabina.

«Presto! Mettetela al suo posto» urlò Springer lanciando Sammy semicosciente verso Watts. Lasseter e Pimpez la legarono velocemente al sedile del pilota mentre il pony paglierino si fiondava al suo.

«Per un soffio, Steven. Ti deve ben più di qualche birra» disse Lasseter mentre assicurava la ragazza.

«C’è un modo per darle l’ossigeno da lì?» tagliò corto Springer, ignorando la battuta del compagno.

Watts annuì senza dire una parola ed indicò a Pimpez la maschera d’emergenza sul lato destro del cockpit. Il generale la prese con agilità e la pose sul volto di Sammy dopo averle tolto il casco. Subito dopo, lui e Lasseter tornarono ai propri sedili appena prima che il plasma incandescente cominciasse a ricoprire il parabrezza.

«Pardatchgrat. Manovra completata, entriamo in silenzio radio» disse Watts non potendo contare su Samantha. La risposta non arrivò dato che era troppo tardi: lo shuttle aveva iniziato a precipitare a folle velocità nell’atmosfera del pianeta che si faceva sempre più densa. La gigantesca resistenza e forza d’attrito scaldava così tanto l’aria da trasformarla in plasma, mentre la navetta perdeva quota e decelerava.

Samantha socchiuse gli occhi, accecata da quella forte luce davanti a sé. Cominciò lentamente a riprendersi mentre lo shuttle vibrava e si scuoteva come un carrello delle montagne russe. Nessuno parlava mentre Watts manteneva la navetta sul giusto angolo di rientro: quella fase così critica generava sempre grande nervosismo, anche in chi l’aveva vissuta decine di volte.

«Stai bene, Betz?» chiese infine il generale Pimpez quando notò che il viso di Sammy si era finalmente voltato: il forte bagliore del plasma tingeva il suo manto di un giallo acceso. Lei rispose a fatica di sì con un cenno del capo, ma la sua espressione amebica dava ben altro da pensare.

***

La giovane cavalla dal manto roseo risaliva con grazia le scale di pietra mentre il suo volto accennava una smorfia di disappunto. Come ogni sera, lui non era sceso all’orario stabilito e così toccava a lei andarlo a chiamare. L’aria era riempita dal soffuso brulicare di gente che rincasava. Rallentò quando ormai aveva raggiunto la cima di quell’antica torre così ricca di ghirigori, e con estrema riverenza posò gli zoccoli sul tetto.

«Padre, la cena è pronta» disse poi con voce lieve. Il suo fastidio era scomparso davanti all’ombra imponente del cavallo che armeggiava con un grande telescopio dorato.

«Ti chiedo scusa Moon Breeze» rispose una voce profonda e possente «Stasera ci ho messo qualche minuto in più»

Come sempre… Pensò lei annuendo con fare accondiscendente.

«Dovresti sapere bene quanto sia importante osservare il cielo per noi» proseguì avendo notato quella punta di irrequietezza negli occhi della figlia.

Il sole ormai sotto l’orizzonte tingeva il cielo di una vampata che andava dal rosso acceso al violaceo profondo: uno spettacolo magnifico in cui soltanto poche stelle grandi e luminose erano visibili.

«Vieni qui, avanti» disse il padre allungando uno zoccolo verso di lei «Mostrami cosa hai imparato».

Moon Breeze si avvicinò in silenzio e con lo sguardo fisso sul meraviglioso telescopio davanti a lei. Su quella torre di pietra chiara la sua aura dorata spiccava notevolmente: grossi ed arzigogolati rilievi di foglie ed altri ornamenti si districavano su tutta la sua superficie, mentre all’interno le grandi e delicate lenti piegavano la luce permettendo di osservare corpi celesti lontani.

«Ormai dovresti essere in grado di trovare la Stella Maggiore in un batter d’occhi» disse lo stallone invitandola a sedersi davanti al delicato apparato ottico. Svariate ruote e leve permettevano di orientare lo strumento in tutte le direzioni e di regolarne il fuoco.

«Ma padre, la cena…»

«Non discutere» tuonò indicando ancora il telescopio.

Moon Breeze sospirò lievemente, cercando di mantenere la maggior compostezza che poteva. Mentre si sedeva, il suo sguardo si perse verso i candidi tetti delle case sotto di loro. Quella torre era una delle più alte di Neighad e da lì era possibile ammirare l’interezza della città cresciuta attorno ad una piccola oasi. Lo sconfinato deserto dell’Arabia Sellata si stagliava all’orizzonte tingendosi anch’esso di un rosso acceso.

Lentamente, la giovane cercò di ricordare ciò che il suo maestro le aveva insegnato ed iniziò a ruotare il telescopio dopo qualche istante di esitazione.

«Iniziamo male Moon Breeze, sembra che non ti sia esercitata abbastanza» disse il cavallo con voce dura.

Prima ancora che potesse ribattere, la ragazza sobbalzò sbigottita davanti a quello che stava vedendo attraverso le lenti: non capiva se il telescopio avesse qualche malfunzionamento dato che tutto ciò che riusciva a vedere era una massa vicinissima e molto luminosa. Appena voltatasi vide suo padre guardare qualcosa verso l’alto ad occhio nudo: una grande cometa brillante era apparsa in cielo.

«Padre, cos’è quella?» chiese preoccupata mentre seguiva quello strano fenomeno con lo sguardo.

Dopo un istante un tremendo boato riempì il silenzio della sera. Le pareti ed il pavimento vibrarono mentre l’acuto rumore dei vetri infranti si materializzava di colpo. Moon Breeze cacciò un urlò di terrore cadendo a terra e tappandosi le orecchie con gli zoccoli.

Durò solo un attimo, poi il nulla: tutto era tornato come prima. La giovane si rialzò e cercò smarrita lo sguardo del padre: notò con orrore che quella strana cometa non era svanita e che viaggiava veloce nel cielo.

«Per tutti gli Dei» mormorò il padre con un filo di voce.

Sotto di loro le urla ed il vociare si erano fatti fortissimi, mentre un fiume di cavalli si riversava nelle strade colme di vetri rotti, terrorizzati da quanto appena successo.

«Torna subito da tua madre» tuonò improvvisamente lo stallone fissando sua figlia negli occhi: la sua espressione la fece rabbrividire.

***

«Pressione atmosferica in aumento» sentenziò Watts mentre il plasma brillante si diradava sempre di più e lasciava spazio ad un cielo blu scuro. Il forte rumore delle vibrazioni stava venendo lentamente sostituito dal soffiare forte del vento.

«Altimetro barometrico e anemometro attivi» continuò la comandante «Velocità all’aria…»

«Mach sette» rispose Samantha dal sedile di destra. Watts gettò una velocissima occhiata sorpresa per poi tornare a concentrarsi alla guida dello shuttle: la piccola ingegnere si era ripresa.

«Siamo sette volte più veloci del suono?» chiese Lasseter da dietro quasi incredulo.

«Non per molto. Iniziamo la decelerazione» rispose Watts dando un netto colpo alla cloche. Lo shuttle rollò deciso verso sinistra iniziando una lunga curva.

Sammy respirò profondamente mentre l’accelerazione improvvisa la schiacciava sul suo sedile. Come previsto avevano iniziato le grandi curve ad S: sotto di loro poteva vedere il blu dell’oceano che si mescolava con il cielo scuro del tramonto. Con quelle curve avrebbero allungato il tragitto rispetto alla linea retta: il forte attrito dell’aria avrebbe fatto da freno. Allo stesso tempo, inclinare la navetta permetteva di disperdere la gigantesca portanza improvvisamente generata dalle ali in una direzione che non li avrebbe sbalzati nuovamente verso l’alto.

Dopo qualche decina di secondi, Watts mosse nuovamente la cloche ed una accelerazione annunciò il cambio di curva. La pony dalla criniera rossa non disse nulla mentre cercava di raccogliere i propri pensieri dopo essere stata ad un passo dalla morte.

In pochissimi minuti attraversarono il grande oceano e la terra d’Equestria spuntò veloce all’orizzonte.

«Mach due» disse Sammy guardando gli strumenti. Watts digrignò i denti: mentre sorvolavano la costa del continente, la pony cinerea curvò improvvisamente per l’ennesima volta dirigendosi verso sud.

«Che diamine sta succedendo?» urlò Pimpez da dietro.

«Siamo troppo veloci» tagliò corto Watts mentre si allontanavano dalla loro destinazione.

«Com’è possibile? Le manovre sono andate lisce come l’olio» pensò ad alta voce Springer mentre si guardava attorno sperduto.

«Betz, aerofreni» berciò il comandante guardando fisso davanti a sé.

Sammy sgranò gli occhi sbigottita mentre lo shuttle vibrava forte attorno a loro.

«Maledizione! Muoviti Betz!»

«Ma a questa velocità si distruggeranno!» rispose l’ingegnere fissando la leva del comando.

«Fallo e basta!» urlò Watts per la prima volta da quando l’aveva conosciuta.

Samantha deglutì e le si gelò il sangue nelle vene mentre tirava la leva degli aerofreni. Il rombo dell’aria e le vibrazioni aumentarono notevolmente mentre lo shuttle decelerava sempre di più. Pochi secondi dopo l’ala sinistra vibrò tremendamente con un colpo ed il rumore del metallo che si squarciava riempì la cabina. Sammy urlò di terrore mentre tutto sembrava una gigantesca lavatrice impazzita.

Watts rimase impassibile e con uno strattone virò nuovamente a sinistra verso il centro d’Equestria.

«Quella è Canterlot» disse Sarang attraverso il forte rumore indicando un monte avvolto dalle nuvole fuori dal parabrezza. Sulla sua cima svettava un castello dalle guglie appuntite.

«Ci siamo quasi. Betz, imposta la prua della pista» ordinò Watts mentre combatteva vistosamente con la cloche per tenere la navetta in assetto. Quello squarcio sull’ala aveva sicuramente danneggiato gli alettoni, ma grazie al cielo sembrava che potessero ancora volare.

La pony perlacea cercò di calmarsi in preda alla tachicardia mentre ruotava le manopole davanti a lei: la vibrazione era talmente forte che gli strumenti sembravano scapparle da sotto gli zoccoli.

«Quanto siamo veloci?» chiese il generale Pimpez con voce leggermente nervosa. Watts lo ignorò mentre Samantha era troppo impegnata per starlo a sentire. In pochi secondi il castello di Canterlot svanì dietro di loro mentre il suolo si faceva sempre più vicino.

«Vedo la pista!» urlò improvvisamente Sammy svegliandosi dal suo torpore. Watts annuì di rimando ed inclinò ulteriormente il muso dello shuttle: la navetta rispose rombando e deformandosi sotto le tremende forze aerodinamiche mentre si fiondavano a velocità folle verso terra.

«Al mio tre carrelli giù ed aerofreni al massimo» disse la pony cinerea mentre continuava a combattere con quella navetta che sembrava un toro impazzito. Samantha deglutì un’ennesima volta ed annuì pronta ad eseguire.

«Uno…»

«Ehi aspetta! Siamo troppo veloci, salterà tutto in aria!» urlò Springer rompendo la sua compostezza.

«Due…»

«Che il Grande Imperatore ci protegga» bisbigliò Lasseter gettando un’occhiata verso il pony paglierino.

«Tre!»

Samantha abbassò la leva dei carrelli ed estrasse completamente gli aerofreni. Watts tirò la cloche con tutte le sue forze verso l’alto mentre lo shuttle urlava come una bestia ferita. La decelerazione improvvisa fu talmente forte che Sammy si sentì quasi strappare dal suo sedile malgrado fosse legata.

One hundred

La voce robotica del radioaltimetro annunciò i cento piedi dal terreno. Il rumore era tale che ormai nessuno avrebbe più potuto comunicare all’interno della cabina.

Fifty…forty…thirty

La lunga pista nera era ormai davanti a loro e si avvicinava ad una velocità folle. Sammy trasalì capendo che non ce l’avrebbero mai fatta.

Twenty…ten…five

Watts sbatté con forza le ruote del carrello contro l’asfalto. La sbandata che ne seguì fu tremenda ma la pony cinerea riuscì per un pelo ad evitare che lo shuttle uscisse di pista e si ribaltasse. Tutti si misero ad urlare tranne Pimpez e la pony comandante che con uno sguardo di ghiaccio si piantò sui pedali dei freni con una forza tale da quasi romperli.

Con un lunghissimo stridio, lo shuttle frenò lungo la pista per un tempo che parve interminabile: per l’ennesima volta Sammy si sentì come se ogni centimetro del suo corpo venisse strappato violentemente dal sedile. Continuò ad urlare con tutte le sue forze mentre la navetta oltrepassava la fine della pista.

Poco dopo però, lo shuttle si fermò con un ultimo strattone piantandosi nell’erba fresca del prato. Lo sferragliare cessò di colpo ed un silenzio sinistro cadde attorno alla squadra SOG. Samantha aveva gli occhi rossi, la gola le bruciava terribilmente e le orecchie le fischiavano come se avesse una locomotiva nella testa.

La pony perlacea rimase imbambolata a fissare le fronde degli alberi al limite del prato che ondeggiavano dolci e lente seguendo la brezza. Per lunghi secondi nessuno emise un suono, finché Sammy non si voltò lentamente alla sua sinistra: Watts era sempre lì con il suo imperturbabile sguardo glaciale, ma persino lei ansimava fissando il parabrezza.

Il comandante si slacciò le cinture, ruotò il suo sedile e volse lo sguardo al resto della squadra sconvolta «Benvenuti su Equestria»

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8

Dopo qualche istante a contatto con l’accendino anti vento, il pezzo di legno prese a bruciare dapprima flebilmente e poi via via in maniera sempre più vigorosa. Lasseter lo poggiò velocemente alla base del mucchio di rametti che si illuminò di colpo ravvivando l’ambiente.

Sammy si strofinò gli zoccoli allungando le zampe verso il tepore del piccolo falò. Rabbrividì quando la sua schiena sfiorò il freddo metallo del carrello di atterraggio dello shuttle dietro di lei: dopo quel rocambolesco atterraggio avevano aperto il grosso portellone posteriore e si erano accampati alla bell’e meglio sul prato accanto alla navetta per avere un po’ di riparo dalla brezza fresca della sera.

La pony dalla criniera rossa si stiracchiò sospirando: attorno a lei i volti seri dei suoi compagni venivano illuminati debolmente dalla luce del piccolo fuoco. Lasseter e Springer si stavano occupando di mantenerlo acceso, lanciando qualche legnetto in più ogni tanto, mentre Sarang aveva già tirato fuori uno dei suoi libri e continuava a guardarsi intorno come se fosse in un museo di storia naturale.

Sammy scosse la testa alla vista del pomposo professore e osservò anch’essa l’ambiente intorno a sé. Si trovavano in una piccola vallata montana verdeggiante, chiusa da alte colline rocciose. Dietro di loro la pista nera d’asfalto conduceva a degli edifici moderni apparentemente abbandonati, ma la poca luce a disposizione non permetteva di analizzarli al meglio. Per loro fortuna, la testata della pista era seguita dalla radura in cui avevano concluso la loro folle frenata, chiusa da una fitta coltre di alberi che scendevano lungo un pendio verso valle. Quel luogo era un perfetto fortino naturale, il posto perfetto dove costruire una base segreta, pensò Sammy.

Lo strisciare di una cassa lungo il portellone risvegliò la pony ingegnere dai suoi pensieri: poco dopo, Springer e Lasseter trascinarono il grosso contenitore giallo davanti al fuoco e lo aprirono per rivelare svariate razioni di cibo.

Il pony paglierino si schiarì la voce per attirare l’attenzione: da quando erano atterrati nessuno aveva più proferito parola.

«La cena è pronta gente». Subito dopo prese in zoccolo due scatolette e rivolse lo sguardo verso Lasseter «Il signore preferisce carote stufate o spinaci saltati?» lo incalzò.

Prima che il sergente potesse rispondere, Pimpez strappò entrambe le razioni dagli zoccoli di Springer senza dire una parola. Si allontanò dal fuoco camminando lentamente: gettò un’occhiata verso Samantha e le lanciò davanti una delle scatolette. Il generale indossava il suo rebreather che gli permetteva di respirare l’aria di Equestria: la maschera trasparente gli copriva l’intero volto, lasciando vedere il suo sguardo per nulla rassicurante.

Springer tossì nervosamente e senza più scherzare tirò fuori qualcos’altro da mangiare per sé e per il suo compagno. Sammy raccolse lentamente la scatoletta, stupita da quel gesto: doveva fare piano se voleva riabituarsi alla gravità senza farsi male.

«Ehi Watts, vieni a prendere anche tu qualcosa» disse Springer sempre nel tentativo di ravvivare la situazione. La pony se ne stava in un angolo lontano dal fuoco con il suo solito sguardo spento e privo di espressività.

Dopo poco Watts si mosse per prendere del cibo, ma una voce dura ruppe quel silenzio assordante «Non così in fretta»

Tutti si voltarono a guardare il generale Pimpez che, con ancora la sua razione chiusa in mano, fissava la pony dall’altro lato del falò. Springer deglutì rumorosamente.

«Se vuole guadagnarsi da mangiare, il nostro pilota dovrà spiegare un paio di cosette»

Watts rimase congelata sul posto e si ritrasse nuovamente nella posizione di prima. Sembrava interdetta ma non abbandonava mai il suo sguardo imperturbabile: non l’aveva fatto durante quell’atterraggio terribile, pensò Sammy, figuriamoci davanti ad una ramanzina. Ma nonostante tutto, anche la gelida pony pilota sembrava turbata nel profondo da quella situazione, e tutti attendevano con il fiato sospeso.

«Tralasciando l’assurdo incidente accaduto a Betz, in cui ho rischiato di perdere la vita di uno dei miei uomini, non mi è chiara una cosa Watts» iniziò Pimpez. Nel sentire quelle parole, Springer abbassò lo sguardo.

Pimpez camminò lentamente verso la pony cinerea e si acquattò sulle ginocchia a poca distanza da lei «Come può uno dei migliori piloti della nostra aeronautica pianificare una manovra di rientro e sbagliarla così clamorosamente da quasi distruggere lo shuttle e farci restare secchi?»

Calò un silenzio totale. Watts sosteneva lo sguardo nero come la pece del grosso pimpaino davanti a lei senza dire una parola. Il resto della squadra assisteva immobile dietro di loro.

«Prima di atterrare ho fatto una domanda a cui né tu né quell’altro genio di Betz avete risposto»

Sammy trasalì e un brivido la fece tremare appoggiata al grosso carrello d’atterraggio. Si tese ancora una volta verso il fuoco per scaldarsi un po’ come se quelle parole l’avessero raggelata.

Il pimpaino si avvicinò ancora alla pony cinerea e scandì le parole «Quanto eravamo veloci sopra Equestria prima di atterrare, caporale Watts?»

Dopo qualche secondo, il pilota rispose con voce atona «Le condizioni si sono rivelate diverse da quelle pianificate, le curve di decelerazione non sono state sufficienti»

«Non mi interessano le tue stronzate. Te lo chiedo un’ultima volta prima di farti ingoiare questa scatoletta del cazzo intera fino a farti sanguinare lo stomaco: quanto eravamo veloci quando abbiamo raggiunto Equestria?»

Calò nuovamente un silenzio terribile, Pimpez vicinissimo a Watts che anche se impassibile respirava più profondamente: Sammy poteva percepire che sotto sotto aveva paura.

«Siamo rimasti supersonici fino a poche centinaia di metri di quota» rispose Watts dopo un tempo che parve interminabile.

«Merda!» esclamò Springer incredulo da dietro con il suo solito tempismo.

«Questo vuol dire che quasi l’intero continente ci ha sentiti arrivare con un boato assordante» disse Lasseter pensieroso.

«Esatto sergente. Tutto merito del nostro pilota qui» rispose Pimpez sarcastico, ancora pericolosamente vicino a Watts che reggeva il suo sguardo.

Il possente generale sospirò profondamente «Maledetto il giorno in cui ti hanno raccomandata per questa missione Watts, non capisco che cazzo avessero in testa. Ringrazia il cielo che mi servi ancora». Scosse la testa «Quando torneremo a casa potrai scordarti la tua carriera da pilota. Stare col culo per terra forse ti farà bene»

La pony ebbe un quasi impercettibile scatto, come un movimento bloccato sul nascere: sembrava tremare febbrilmente mentre manteneva la sua compostezza.

Detto questo, Pimpez si alzò e voltandosi tornò accanto al fuoco. «Datele da mangiare» ordinò a Springer e Lasseter ancora accanto alla cassa. Poi risalì lungo il portellone di carico ed entrò nel Freedom.

Tutti erano rimasti senza parole all’assistere a quella scena. Watts tremava ancora leggermente e quasi non si accorse di Lasseter che le aveva portato una delle razioni di cibo: si svegliò dalla trance e raccolse la scatoletta nervosamente senza neanche ringraziarlo per poi voltarsi e dare le spalle al fuoco.

Sammy fece un profondo respiro cercando di calmarsi: tutto quel trambusto unito al terrificante atterraggio stava mettendo a dura prova i suoi nervi. Si accorse di avere fame: aprì finalmente quella scatoletta ed iniziò a mangiarne il contenuto. Era cibo molto diverso da quello che era abituata a consumare sulla Pardatchgrat, non liofilizzato e a scadenza relativamente breve: non stava più mangiando il pranzo della mensa fatto per volare nello spazio, ma una razione dell’esercito pimpaino.

Ci mise poco a consumare la sua scatoletta, ma si sentiva sazia. Davanti a lei Springer stava ancora mangiando la sua razione accanto al fuoco. La pony perlacea prese coraggio e decise di avvicinarsi per parlare.

«Oh. Ehi ingegnere! Piaciuta la cena?» Springer sembrava essere tornato quello di sempre. Il pensiero del suo sguardo assassino nell’hangar quella mattina la fece rabbrividire, ma non perdendosi d’animo fece cenno di sì con la testa accennando un sorriso.

Sammy si sedette accanto a lui «Volevo ringraziarti per oggi» disse semplicemente e con lieve imbarazzo.

Il colonnello mugugnò con la bocca piena e poi rispose «Oh figurati, era da un sacco che volevo provare una passeggiata spaziale come si deve»

«Dico sul serio. Saresti potuto morire, e io lo sarei stata di certo» Sammy raccolse tutto il suo coraggio e appoggiò la sua zampa su quella del militare accanto a lei «Grazie»

Springer rimase stupito da quel gesto e la sua espressione rimase indecifrabile «Beh, si. Io sono fatto così: agisco subito per risolvere i problemi. È il mio punto di forza»

«Beh, allora grazie al tuo punto di forza» rispose Samantha ridacchiando nervosamente.

L’altro contraccambiò con un sorriso e fece una pausa «Credo di doverti chiedere scusa per stamattina. In fondo è vero, sei stata catapultata qui senza sapere nulla e con tutto il carico emotivo che di sicuro ti porti appresso su questa storia»

Sammy rimase ammutolita ad ascoltare Springer parlare in un modo in cui non lo aveva mai visto fare: stava scoprendo il lato più serio e sincero di quel militare spaccone.

«Certo che però hai delle belle reazioni quando ti partono i cinque minuti, eh? Ho seriamente temuto che slogassi la zampa di Lasseter»

«Direi che abbiamo un difetto in comune allora» disse Sammy osando un po’ e schivando la domanda scomoda.

Springer rimase ammutolito. «Touché» rispose semplicemente dopo qualche secondo «Comunque mi devi un favore, e anche bello grosso»

«D’accordo, quando torniamo a Pimpaina posso farti fare un tour fighissimo del Tappedy Space Center, non la solita roba che fanno vedere ai turisti»

«No grazie» ridacchiò il pony paglierino «Quando avremo finito qui non vorrò più avere nulla a che fare con astronavi e altra roba che vola per un bel po’»

Springer si stese a terra stiracchiandosi vicino al fuoco e Sammy lo imitò istintivamente. Quella conversazione più leggera le stava diradando la mente dai suoi oscuri pensieri.

«Penso proprio che mi affitterò una casa a Rüa, al mare. Magari anche un bel gommone per girare qualche caletta» continuò il militare.

«Già. Rüa è stupenda. Mi è capitato di andarci qualche volta» rispose Sammy guardando la volta celeste sopra di loro. Era assurdo pensare che venissero proprio da lì.

«Casa di qualche parente?»

«No, di un’amica»

«Oh, capisco. Non dirmi che guardavate i tramonti romantici assieme». Il lato stupido di Springer non tardava a tornare, pensò Sammy.

«È capitato»

«Allora forse era qualcosa di più, che ne dici?»

«Forse è meglio se ti concentri sulla missione, colonnello» rispose sarcastica Sammy, sentendosi ormai in confidenza. Non aveva alcuna intenzione di aprirsi in quel modo in una situazione del genere e con quel tizio. Ripensò ad Ashley che in quel momento volava sopra di lei.

«Ok ok, ma dal tono di voce mi sa che non è andata bene. Ti dico solo che nella vita non bisogna mai lasciare nulla di intentato, credimi». Si voltò da steso a fissare Sammy negli occhi, dannatamente serio «Potresti pentirtene per il resto dei tuoi giorni»

L’altra annuì ricambiando il suo sguardo, stupita da quell’improvviso cambio nel suo atteggiamento. Subito dopo Springer tornò in sé e si voltò verso Sarang che ancora non aveva toccato la razione che Lasseter gli aveva messo accanto: se ne stava col binocolo ad osservare nervosamente i dintorni ed il cielo.

«Ehi professore, non hai fame?»

«Non quando mi trovo in una situazione di merda, Springer» rispose il pony rossastro abbassando il binocolo. Sammy si meravigliò di sentire parlare il professore in quel modo così poco elegante: doveva essere parecchio nervoso.

«Se davvero abbiamo scatenato un boom sonico su Equestria la nostra situazione è estremamente compromessa. Potrebbero essere già all’erta, aver inviato qualcuno, rintracciarci»

«Ma dai, rilassati. Per quanto ne sappiamo questi bifolchi primitivi si cagheranno addosso pensando a qualche divinità o a qualche strano incantesimo. Non c’è modo che ci trovino qui» rispose Springer tornando a guardare il cielo stellato.

«Potrebbero averci visto in cielo e seguito la nostra traiettoria?» chiese Lasseter avvicinandosi inserendosi nel discorso.

«È possibile» rispose Sarang. «In ogni caso è chiaro che la missione prende una piega decisamente diversa rispetto a quella pianificata: sarà bene informare l’Alto Comando al più presto»

«Accomodati pure» sbottò Springer indicando lo shuttle con un cenno del capo «Io non so usare la radio di questo coso e lì dentro c’è un pimpaino grosso come un armadio ed incazzato nero»

Sarang ignorò il pony paglierino e rivolse il suo sguardo verso Samantha «Ingegnere, prima di dormire è fondamentale che effettui un collegamento radio con la Pardatchgrat. Temo che il nostro pilota al momento non ne sia in grado»

Così dicendo, tutti si voltarono ad osservare Watts che per tutto quel tempo era rimasta nella stessa posizione, dando le spalle al fuoco dall’altro lato del piccolo accampamento.

«Beh, in effetti ci ha fatti ballare un po’ per atterrare» disse Lasseter sarcastico spezzando il silenzio.

«Quanto sono gravi i danni, Betz? Riusciremo a ripartire al più presto?» chiese il professore.

Sammy si voltò verso l’ala sinistra dello shuttle illuminata solo dalla fioca luce del fuoco: l’aveva esaminata abbastanza bene appena scesi durante il tramonto. L’apertura degli aerofreni ad altissima velocità aveva provocato il distacco di alcuni pannelli e la rottura degli attuatori idraulici con la perdita di pressione di uno degli impianti: per fortuna lo shuttle ne aveva tre, tutti intercambiabili. Come se non bastasse, nel volare via i pannelli avevano squarciato la parte posteriore del dorso dell’ala, lasciando un bel buco nella lamiera di titanio.

«Se il manuale non mente e a bordo abbiamo una stampante laser, in ventiquattr’ore dovremmo essere in grado di stampare il pezzo e saldare lo squarcio» rispose Samantha con sicurezza.

Sarang annuì lasciando intendere che si fidava davvero delle parole dell’ingegnere: il suo atteggiamento e la sua voce erano cambiati notevolmente da quando avevano lasciato la Pardatchgrat, e Sammy non poteva che esserne sollevata.

«Bene signori. Direi che è il momento di rientrare» disse Springer mentre cominciava a spegnere il fuoco. «Tirate fuori i sacchi a pelo e preparatevi ad un’emozionante notte nella stiva di carico»

«Qualcuno vada a recuperare Watts» aggiunse Lasseter dando un’occhiata a Samantha.

«Perché proprio io?»

«Mah, non so. Tra donne ci si capisce meglio, credo»

Sammy roteò gli occhi e scosse la testa mentre attraversava il prato ormai nell’oscurità. Il vento fresco della sera la fece rabbrividire mentre si avvicinava sempre di più alla schiena di Watts. Quella pony non smetteva di essere la figura più enigmatica che avesse mai conosciuto, anzi se possibile lo diventava ogni secondo di più. Pimpez era stato molto duro con lei, ma Samantha non ricordava di aver mai sperimentato un volo neanche lontanamente simile a quello che avevano fatto quel giorno. Non poteva neanche provare ad immaginare cosa passasse nella mente di quella tizia: non era neanche sicura che fosse in grado di provare dei sentimenti veri e propri.

La pony perlacea si schiarì la voce nel tentativo di attirare la sua attenzione, senza successo «Ehi…Watts»

Nessuna risposta. C’erano solo loro due ed il lontano frusciare delle fronde degli alberi ai limiti della radura. Per un istante Sammy rimase ad osservare il prato e la lunga striscia di cemento scura su cui erano atterrati.

«E’ l’ora di rientrare» riprovò Samantha, ma di nuovo non ottenne risposta. L’unica cosa che poteva vedere era la schiena di quella pony rasata e senza coda, che nell’ombra della notte sembrava davvero una figura inquietante.

«Allora…vado, eh?»

La situazione stava diventando sempre più ansiogena per Sammy, la quale stava esaurendo ogni briciolo delle sue limitate capacità sociali. Ma malgrado l’evidente tentativo amichevole della povera ingegnere, Watts rimase sul suo posto imperterrita: si muoveva appena seguendo il ritmo del respiro. Se non fosse stato per quello Sammy avrebbe giurato che fosse morta, o che si trattasse di una statua per il colore grigio del suo manto.

«Ok…Faccio io la chiamata radio, così puoi stare tranquilla» disse infine voltandosi e andando via imbarazzata. Sperava almeno che la pony si sarebbe risvegliata da quello stato entro la nottata o l’indomani sarebbero stati guai seri. Non bastava la loro missione terribile, adesso ci si mettevano anche i fottuti drammi personali!

Eppure, mentre stava lentamente tornando verso il Freedom, una parola sussurrata raggiunse le sue orecchie come portata dal vento.

Grazie

Sammy si voltò di colpo sgranando gli occhi, ma Watts era sempre nella stessa posizione. Non riusciva a capire se l’aveva solo immaginata o davvero quella pazza l’aveva almeno ringraziata. Augurandosi il meglio, fece spallucce e risalì lungo il portellone di carico dello shuttle: guardò fuori un’ultima volta per scorgere ancora la figura di Watts nell’oscurità, ferma come gli alberi più in fondo.

«Signore, deve indossarlo anche per dormire?» chiese Springer mentre si sistemava nel suo sacco a pelo.

«Se non voglio morire, sì» rispose Pimpez in malo modo aggiustandosi la maschera sul viso: i lunghi tubi corrugati correvano fino al rebreather appoggiato dietro la sua testa.

«Potremmo pressurizzare lo shuttle con la sua atmosfera controllata priva di magitroni, ma sarebbe uno sforzo eccessivo» aggiunse Mark Sarang dal fondo della stiva.

«Grazie della precisazione professore. Ora, se possibile, vorrei poter riposare senza che voi due rompiate i coglioni» berciò Pimpez voltandosi su un fianco.

«Vado a contattare la nave» disse Sammy mentre saliva sul ponte di comando. Sarang annuì mentre il pimpaino le fece un pigro cenno col braccio da dietro la schiena.

Una volta su, Samantha tirò un sospiro di sollievo: finalmente era un po’ da sola. Non avrebbe avuto privacy per il resto della missione, quindi voleva godersi ogni istante di quel periodo di libertà.

Si avvicinò al suo sedile di destra davanti agli strumenti e fece un rapido check con gli occhi per controllare batterie, generatore e qualche altro componente ausiliario. Dopo controllò sul computer di rotta quanto mancasse affinché la Pardatchgrat uscisse dalla zona d’ombra della radio: per sua fortuna avrebbe potuto contattarla dopo pochi minuti.

Attese paziente dondolandosi leggermente sul sedile e godendosi il silenzio del ponte di comando. Le piaceva davvero tanto osservare gli alberi in fondo alla radura attraverso il parabrezza, forse perché erano mesi che non ne vedeva uno vero. Le venne un’idea: era da sola lassù dopo tutto, perché non mettere un po’ di musica?

Dopo qualche secondo di esitazione tirò fuori il suo lettore musicale dalla tasca della tuta mimetica: era stata indecisa fino all’ultimo se portarlo o meno, impaurita che le avrebbero detto qualcosa, ma alla fine si era convinta. Alla faccia di sua madre che continuava a prenderla in giro!

«Ormai la musica si ascolta sui telefoni, in streaming: a che serve un lettore MP3?» Sammy ripeté ad alta voce le parole di Melanie Betz facendole il verso. Allo stesso tempo era riuscita a collegare il lettore alla radio di bordo: due giri di manopole e una forte musica rock uscì dalle casse sul ponte di comando. Sammy regolò velocemente il volume per non svegliare gli altri sotto di lei e si stese sul sedile respirando profondamente: finalmente si stava rilassando un po’.

Cominciò a canticchiare e a muovere una zampa a ritmo con la musica, come era solita fare nella sua cabina nei momenti morti. Che strano, ad Anna il rock non era mai piaciuto: doveva sempre staccare tutto quando scendeva dall’autobus prima di andarla a trovare. Già…Anna.

Sammy scosse la testa deglutendo: doveva rilassarsi, punto. Non era quello il momento per avere altri brutti pensieri. Il suo sguardo le cadde sul fianco e sulla brillante piuma di gabbiano argenteo che si era fatta applicare: che cosa le era venuto in mente? Adesso aveva qualcosa che le ricordava lei ad ogni passo.

Improvvisamente qualcosa attirò la sua attenzione: con la coda dell’occhio le parve che una piccola luce fosse comparsa al di là delle fronde degli alberi. La pony si stese sugli strumenti poggiando quasi il muso sul parabrezza: la notte pareva sempre la stessa e gli alberi tutti uguali, ma sembrava esserci qualcosa di strano in un punto preciso. Le fronde dei cespugli si muovevano di meno, come se qualcosa o qualcuno le stesse tenendo ferme con la propria presenza. Samantha aggrottò la fronte e sforzò gli occhi a più non posso per cercare di vedere meglio: sembrava…una sagoma?

Un beep molto forte fece letteralmente saltare la pony sul sedile, che per quasi non cacciò un grido di paura. Si portò uno zoccolo al petto ansimando mentre silenziava l’allarme: la Pardatchgrat era finalmente in posizione per essere contattata. Aveva solo quattro minuti: doveva fare in fretta.

Modulò velocemente la frequenza e iniziò il rito di chiamata.

«USS Pardatchgrat, qui shuttle Freedom»

Dopo qualche secondo di ansiosa attesa, la risposta arrivò chiara ‘Avanti Freedom. Vi copiamo quattro su cinque’. Era sempre la voce di Imogen Lindwall.

«Chiamiamo per rapporto di missione»

‘Solo un istante Freedom. Vi passo al primo ufficiale’

Sammy aggrottò un sopracciglio: a quanto pare Sparkey aveva già organizzato le cose per bene. Chissà cosa aveva detto al comandante Cerutti per convincerlo a lasciargli carta bianca.

‘Avanti Freedom. Pronti a registrare il primo log di missione’ disse dopo qualche secondo l’alienoide giallo.

«Ciao Sparkey»

‘Samantha! Va tutto bene? Siete atterrati come previsto?’ la voce del primo ufficiale era robotica e piatta come sempre, ma sembrava a suo modo piegarsi verso una sorta di affetto nei confronti dell’ingegnere.

«Si e no. Abbiamo raggiunto la destinazione ma il viaggio è stato un po’ movimentato»

‘Quanto movimentato?’

«Diciamo che siamo vivi per miracolo, abbiamo un’ala squarciata e mezza Equestria ha ascoltato il nostro piacevole boom sonico prima di andare a dormire»

Ci fu una pausa piuttosto lunga. Sammy poteva percepire che il respiro di Sparkey era accelerato.

‘Maledizione. Lo sapevo che quel piano era un’idiozia. Le probabilità di farcela erano troppo basse’

«Pimpez non la pensa così. Ha letteralmente distrutto Watts che è ancora la fuori in preda ad una crisi esistenziale»

‘Quel pallone gonfiato può pensare quello che vuole. Sarà pure un generale pluridecorato ma non ci si inventa esperti di volo spaziale in qualche ora: è stato stupido’

«Ashley sta bene?»

Una lunga pausa seguì quella domanda poco opportuna per la situazione. Sparkey sospirò profondamente.

‘Sì, sta bene. Ma non posso farla venire qui a parlarti. Conosci meglio di me la segretezza di questa missione: il vostro incontro di stamattina è stato già troppo’

Sammy fissò dritto davanti a sé un punto impreciso e si morse un labbro «Capisco»

‘Abbiamo poco tempo Samantha. Devo sapere tutto. Quali sono i vostri piani ora?’

«Non ne ho idea. Il resto della squadra sta già dormendo»

‘Ma come è possibile? Che razza di team di incursori sono?’ rispose il primo ufficiale sempre più alterato.

«Forse sanno già quello che devono fare, non sono la persona più indicata per fare un rapporto di missione in effetti»

‘Siete almeno in una zona sicura? Qualcuno vi ha visti?’

Samantha esitò gettando un altro sguardo fuori dal parabrezza: quella strana luce che aveva visto era vera? Quella sagoma scura tra i cespugli?

«Sì, siamo al sicuro. La radura è ben protetta e non c’è anima viva» disse infine la pony bianca continuando a guardare l’esterno senza scorgere nulla: tutto sembrava normale.

‘D’accordo. Ma ho bisogno di essere informato sul da farsi il prima possibile’

Sparkey si stava finalmente calmando. Per un istante l’idea che il primo ufficiale credesse che lei gli stesse nascondendo qualcosa fece capolino nella mente di Sammy.

‘E’ meglio che non informi il Comando Stellare di com’è andato il vostro atterraggio, non ancora almeno’

«Vorresti mentire in un rapporto missione?» esclamò la pony sgranando gli occhi.

‘La questione è estremamente delicata Samantha, e secondo me sotto c’è qualcosa di strano. Aspetto di vedere cosa Pimpez avrà intenzione di fare’

«Corri un grande rischio in questo modo, Sparkey» rispose Samantha preoccupata. Era vero: riportare false informazioni in un’operazione del genere avrebbe comportato delle conseguenze durissime.

‘Sto cercando di proteggerti Sammy. Non ho idea di cosa i SOG o il dipartimento della difesa siano capaci di fare nel caso in cui qualcosa vada storto’

La ragazza rimase interdetta nel sentire Sparkey che la chiamava col suo nomignolo per la prima volta. Davvero teneva così tanto a lei da rischiare in quel modo?

‘Potrebbero anche ucciderti e farti sparire. Devi stare molto attenta, chiaro?’

Sammy deglutì rumorosamente e rispose di sì con un sussurro. Quel poco rilassamento che aveva guadagnato lassù da sola era sparito. Salutò Sparkey promettendogli che sarebbe stato ricontattato il prima possibile ed il ponte di volo piombò nel silenzio.

Dopo aver spento tutto con cura, la pony scese le scale che la separavano dalla stiva di carico. Notò con piacere che il portellone era chiuso e che anche Watts era rientrata: sembrava dormire su un fianco dando come sempre la schiena al resto del gruppo. Rimase imbambolata a guardare le sagome dei suoi nuovi compagni: avrebbero potuto ucciderla? Lo avrebbero fatto davvero? Ripensò a Springer, a come l’aveva guardata quella mattina, ma anche a come l’aveva salvata da morte certa e come avevano scherzato stesi sul prato.

Senza fare rumore aprì un gavone sul fianco della stiva per trovare la borsa che le avevano assegnato contenete un sacco a pelo ed un piccolo kit personale per l’igene. Mentre quelle degli altri avevano i loro nomi dipinti sopra la trama del tessuto, alla sua era stato appiccicato un improbabile foglietto di carta con del nastro adesivo: a giudicare dalla brutta calligrafia con cui era stata scritta la parola Betz, probabilmente era stato Springer.

Guardandosi intorno trovò uno spazietto vicino alla paratia non troppo vicino agli altri. Tirò fuori il sacco a pelo dalla borsa e lo stese dolcemente a terra. Lo aprì e vi si infilò dentro in un colpo solo: malgrado fossero in realtà passate poche ore dalla sua sveglia sulla Pardatchgrat, la levataccia e le terribili emozioni che aveva provato fino a quel momento l’avevano prosciugata completamente. Fece per chiudere gli occhi ma si accorse che qualcosa la stava pungendo all’altezza del collo: si voltò e trovò un altro foglietto di carta, questa volta appallottolato. Aprendolo, lesse quelle poche parole alla fioca luce della lampadina di servizio in quella stiva buia.

Benvenuta in squadra. Non avere paura e non fare cazzate – SOG

La pony rimase immobile a fissare quel foglietto per un tempo che parve interminabile. Qualcosa in lei si sbloccò mentre i suoi occhi si inumidivano. Iniziò a singhiozzare leggermente e poi sempre più forte fino a scoppiare in un pianto soffocato per non fare rumore. Tutta la tensione, la paura, lo sgomento che aveva accumulato in quelle ore folli venne fuori come un fiume in piena. Malgrado il messaggio non molto rassicurante, quel gesto aveva scosso Samantha nel profondo. Lo interpretava come un segno di affetto e protezione: erano pur sempre dei rozzi soldati, no?

Alzò uno zoccolo nell’oscurità e lo fissò fino a scorgerne i contorni. Ripensò a come aveva reagito con Lasseter e l’odio che era fluito in lei con così tanta forza, a come forse non si sarebbe nemmeno trovata lì in quel momento se fosse stata in grado di contenere quei maledetti attacchi di rabbia.

Il suo sospiro echeggiò dentro quella grande stiva buia, mentre la sua fragile mente cercava in tutti i modi di accettare il destino che le era stato imposto. Ancora non riusciva davvero a realizzare il fatto che si trovasse ad Equestria e che in così poche ore fosse passata da una brutta giornata di lavoro all’essere accorpata ad un terrificante gruppo di assassini. Sì, erano solo assassini, non contavano tutte le storielle pseudo politiche che continuavano a raccontare per raggirarla. Come poteva aiutarli? Come poteva essere loro complice?

Eppure…eppure quel biglietto, l’atto eroico di Springer, tutti quei gesti l’avevano stupita sempre di più. Per quanto eccentrici erano davvero dei mostri come lei si ostinava a volerli dipingere? Forse erano solo dei poveri esecutori vittime di un disegno più grande. O forse la realtà, quella che Samantha temeva di più nel profondo del suo cuore, era che avevano ragione, che l’UPO aveva ragione. Che il suo era un popolo di codardi approfittatori che non meritava di far parte della gloriosa alleanza universale, che la sua principessa era solo una folle esaltata che aveva condotto il suo regno allo sbando.

Si addormentò abbastanza in fretta malgrado i terribili pensieri, crollando sotto il peso di una stanchezza estrema, con ancora le lacrime che scorrevano sul suo viso bagnando il materassino del sacco a pelo.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9

Moon Breeze respirava profondamente cercando di restare calma mentre teneva il passo. Le massicce guardie che la precedevano quasi le occludevano la vista del sontuoso corridoio che stavano attraversando: un corridoio così lungo da non essere ancora giunti alla sua fine seppur avendo trottato per svariati minuti. E quella lunga camminata con dei cavalli tanto più grandi di lei non si stava rivelando affatto facile.

Da quando erano scesi dalla torre il giorno prima, suo padre non aveva praticamente più proferito parola e si era chiuso per tutta la notte nel suo studio a cercare chissà cosa tra la moltitudine di libri che possedeva. In quel momento camminava davanti a lei precedendola e non si era voltato a guardarla neanche una volta da quando erano entrati in quel palazzo senza fine.

La giovane cavalla aveva gli occhi fissi su di lui, aspettando un segnale o delle istruzioni su quello che avrebbe dovuto fare. Sperò fino all’ultimo che si fermassero in tempo, ma ben presto furono davanti ad un gigantesco portone d’oro massiccio. Altre guardie fecero un cenno ed esso si spalancò emettendo un suono così flebile che quasi Moon Breeze si stupì: la perfezione di ogni cosa in quel luogo la metteva tremendamente in soggezione.

Entrati nella gigantesca sala, il gruppo si inginocchiò prontamente portando il muso quasi a contatto con il lucidissimo marmo del pavimento. Con la coda dell’occhio la ragazza cercò di scorgere il gigantesco trono ricoperto di foglia d’oro. La moltitudine di ghirigori ed ornamenti che lo ricopriva era sbalorditiva, così tanto che se qualcuno avesse voluto osservare tutte le scene rappresentate negli innumerevoli bassorilievi avrebbe sicuramente perso delle ore.

Su di esso sedeva un cavallo dal manto particolarmente scuro, inusuale per quelle terre. Moon Breeze riuscì sforzandosi ad osservarlo di sfuggita mentre teneva il proprio muso fisso sul pavimento.

«Star Watcher» tuonò con voce profonda il califfo dal suo trono «Vi ringrazio di averci raggiunto al più presto»

Il padre di Moon Breeze rispose al suo nome rompendo l’inchino, e così fecero tutti gli altri. Nessuno però si mosse restando ai margini della grande sala scintillante. Il suono delle voci permaneva echeggiando per qualche secondo, rendendo l’atmosfera ancora più eterea.

«Nulla più del mio dovere, maestà» rispose lo stallone, aprendo bocca per la prima volta da svariate ore.

«Deduciamo che la giovane sia colei di cui ci avete parlato»

Tutti gli sguardi tranne quello di Star Watcher si poserò sulla ragazza che cercava di mantenere una postura composta ed ordinata mentre dentro di sé si sentiva piccola come un granello di sabbia.

«Lei è mia figlia, Moon Breeze. Segue i miei insegnamenti da quando è nata. È estremamente capace e perspicace, non vi deluderà»

La ragazza sentì un brivido percorrerle la schiena mentre suo padre pronunciava quelle parole davanti al califfo in persona. Non sapeva se essere contenta degli improvvisi complimenti o terrorizzata dal senso di responsabilità che le stava piovendo addosso.

«Lo speriamo vivamente» rispose l’emiro con sufficienza, quasi come annoiato da quella conversazione «Ad ogni modo, i nostri astronomi qui a palazzo stanno ancora cercando di capire cosa sia successo ieri sera, mentre voi venite qui già con una soluzione»

Il califfo si piegò leggermente in avanti sul suo trono, facendo una pausa «L’intero regno brancola nell’oblio e nella paura. Non vi pare quantomeno singolare Star Watcher? Siete davvero così brillante da oscurare i nostri consiglieri personali?»

Lo stallone rimase immobile reggendo lo sguardo indagatore del sovrano. Moon Breeze rabbrividì un’ennesima volta mentre le possenti guardie la cingevano ad entrambi i lati. Di colpo si sentiva in trappola e non riusciva ad immaginare come suo padre facesse a reggere quella tensione: non aveva nemmeno idea di cosa avesse escogitato in quella notte di studio.

«Sono molto sicuro dei miei studi, vostra altezza» rispose semplicemente Star Watcher «Non ci sono dubbi che si tratti di ciò che penso»

Dopo qualche interminabile secondo di silenzio, il califfo tornò nella sua posizione di riposo sul trono e sospirò «Temiamo che voi abbiate ragione. Se davvero ciò che dite sta per accadere, è necessario che vostra figlia si diriga ad Equestria il più in fretta possibile, come abbiamo concordato»

Un leggero sorriso si materializzò sul volto di Star Watcher. Tese poi una zampa verso Moon Breeze che era rimasta pietrificata sul posto. Lentamente e con gli occhi strabuzzati si avvicinò al padre compiendo due passi per poi fissarlo intensamente. Lui non si scompose e tornò a guardare il sovrano in fondo alla grande sala.

«È pronta» sentenziò il padre con voce ferma.

«Molto bene. Riponiamo grandi aspettative in te, Moon Breeze» disse l’emiro rivolgendosi direttamente alla ragazza per la prima volta «Il destino del nostro glorioso regno è anche nei tuoi zoccoli»

La ragazza trattenne il respiro e si sentì quasi svenire al suono di quelle parole.

***

«Buongiorno fiorellino»

Una voce lontana. Il rumore del metallo che stride. Passi che rimbombano.

«Ti dai una mossa o no? Forza!»

Un colpo non molto forte ma ben assestato fece rotolare Samantha insieme al suo sacco a pelo. Finalmente riprese conoscenza e aprì gli occhi per trovarsi il faccione rosa del generale Pimpez ad un pelo dal suo. Il pimpaino non aggiunse nulla, ma con un cenno deciso la invitò ad uscire da quel bozzolo caldo.

Sammy scattò come una molla, già stressata di prima mattina. La luce di un’alba ormai ben avviata entrava dal portellone di carico aperto. Alla sua base il resto della squadra stava armeggiando con alcune delle casse che avevano caricato dalla nave madre.

«Fossi in te mi sbrigherei a mettere qualcosa sotto i denti» le disse Pimpez girato di spalle mentre tornava a lavorare su dell’attrezzatura «Partiamo fra venti minuti»

Al sentire quelle parole la ragazza si fiondò nel bagno della navetta a sciacquarsi la faccia in preda all’agitazione. Il cuore le batteva così forte che quasi sarebbe fuoriuscito dal petto: stavano per partire davvero, non si tornava più indietro. Ogni nuovo passo in quell’assurdo viaggio scatenava in Samantha delle sensazioni terribili. Guardandosi allo specchio si rese conto con disgusto di star indossando quella tuta mimetica ormai da due giorni: sulla Pardatchgrat era normale lavare i propri indumenti e cambiarli ogni giorno, ma non di certo in una missione del genere.

Cercò di levarsi dalla testa l’odore di sudore delle sue ascelle, uscì dal bagno e scese lungo il portellone per raggiungere l’aria aperta. Inspirò a pieni polmoni e si guardò intorno. Lasseter le fece cenno di avvicinarsi e le porse un’altra di quelle dannate scatolette per la colazione.

«Il tuo zaino è pronto» le disse il pony dal manto blu mentre cominciava a mangiare. Con un cenno del capo indicò un grosso sacco mimetico appoggiato su uno dei tavoli della stiva.

«Dentro ci sono per lo più vettovaglie e apparecchi di supporto»

«Che genere di supporto?» chiese Sammy a metà tra la curiosità genuina ed il sospetto.

«Di comunicazione e bellico» ribattè secco Lasseter «Non sono cose di cui devi preoccuparti. Te lo metti in spalla e basta»

«Ma se devo usarlo dovrò sapere cosa c’è dentro di preciso»

«Non devi usarlo. Hai sentito Lasseter: lo porti e basta» disse Springer da dietro di loro con voce dura. Quando Sammy si voltò lo vide in una veste decisamente diversa: la semplice tuta mimetica come la sua era coperta da una spessa armatura antiproiettile; un casco con dei visori gli copriva la testa e un minaccioso fucile d’assalto pendeva a tracolla. Anche qualcosa nei suoi occhi era cambiato: non era lo sguardo omicida che Sammy aveva temuto, ma neanche quello più rilassato e scherzoso della sera prima. Era uno sguardo serio, calcolatore e freddo. La missione stava iniziando per davvero.

La pony perlacea non ebbe più nulla da ridire e si richiuse nei suoi pensieri mentre finiva la colazione. Il silenzio della radura era interrotto dai continui rumori metallici, scatti e scivolamenti vari di quell’enorme quantità di attrezzatura che la squadra stava portando con sé.

Di colpo Samantha si sentì cingere la vita da due forti braccia e subito dopo udì un sonoro e familiare clack.

«Questa è la tua Betz. Non dimenticartela» disse Pimpez da dietro il suo collo.

La pony abbassò lo sguardo per trovarsi la cintura della sua pistola legata alla vita. L’arma era nella fondina: la estrasse e già dal suo peso si rese conto che non era più scarica come sulla nave. Deglutì rumorosamente e fece fatica a riporla al suo posto a causa del tremore dei suoi zoccoli.

Dopo pochi minuti di ordinato trambusto la squadra era pronta a partire. I membri della SOG erano bardati in un modo imponente, chiusi nelle loro armature e nei loro visori che li facevano quasi apparire come delle strane creature aliene. Persino Mark Sarang, il prolisso e noioso professore, ora appariva in una veste completamente diversa e molto più spaventosa. Watts fu l’ultima a raggiungerli silenziosamente alla base dello shuttle, anche lei con un vistoso armamento appresso, ma più leggero di quello degli altri: non aveva nessun fucile gigantesco e minaccioso che le pendeva davanti.

«Buongiorno caporale, spero che la sua volontà di portare a termine la missione sia ancora con noi» disse enigmatico Pimpez mentre si guardava attorno con un binocolo per osservare l’area.

La pony cinerea rispose secca con un signorsì, signore che non lasciava trasparire nessun segno di risentimento, o di alcuna altra emozione del resto. Il casco e la bandana verdognola sulla bocca rendevano quella tizia ancora più chiusa e indecifrabile di prima. Restavano fuori solo i suoi grandi occhi verdi brillanti che scrutavano in giro.

«Per essere un super generale cazzuto, di certo ama la teatralità» bisbigliò Springer in un orecchio di Samantha. La ragazza restava sempre stupita da come riuscisse a cambiare atteggiamento in un batter d’occhi, da soldato austero a giocherellone.

Al di là della frecciatina, la pony pilota armeggiò velocemente con un pannello esterno ed il grosso portellone di carico iniziò a richiudersi sferragliando, accompagnato da una classica sirena da macchinario in funzione. La squadra rimase in silenzio a guardarlo finché con un tonfo secco finale non si richiuse, quasi a sancire ancora di più la loro partenza.

Il generale abbassò il binocolo e si sistemò distrattamente la maschera del rebreather sul viso «Lasseter, procediamo»

Il pony annuì e senza dire una parola si mise in marcia seguito dagli altri. Dopo qualche secondo in cui era rimasta imbambolata a guardarli, Sammy si sentì sfiorare la coda dalla punta del fucile di Springer che la spronava a camminare con un sorrisetto.

La giornata era senza una nuova in cielo ed il sole stava ormai facendo capolino oltre la cresta delle montagne che cingevano l’altopiano. Nel mezzo della radura Lasseter procedeva a passo spedito, seguito da Watts e dal generale Pimpez. Sarang, Sammy ed infine Springer chiudevano quella stravagante fila di militari armati fino ai denti. Malgrado nessuno ne avesse parlato, si stavano dirigendo verso quelli che sembravano i misteriosi edifici abbandonati della base aerea.

Sammy fissò le vetrate rotte ed i muri grigi qua e là senza intonaco che si avvicinavano lentamente: quell’architettura non aveva nulla a che fare con il mondo di Equestria e vedere quegli ecomostri svettare in una pianura rigogliosa come quella risvegliò nella ragazza delle strane sensazioni di disagio.

Si voltò a guardare il grande shuttle nero che puntava ancora gli alberi all’estremità della grande radura: metteva quasi ansia vederlo lì, con la sua forma aggressiva e quei giganteschi motori pronti a partire, a qualche metro dallo sfracellarsi contro un’intera foresta di arbusti. Un brivido le percorse la schiena pensando al terribile atterraggio del giorno prima: c’era mancato davvero poco.

«Quel posto è pericolante» disse Springer con voce infastidita.

«Lo avevamo messo in conto» berciò secco Lasseter dalla testa del gruppo senza voltarsi.

Dopo svariati minuti in cui era piombata in religioso silenzio, la pony bianca come il latte colse la palla al balzo, prese coraggio e chiese «Cosa ci andiamo a fare lì?»

A differenza di prima il gruppo si scambiò diverse occhiate, tutte più o meno dirette verso Pimpez. Ci vollero parecchi secondi per avere una risposta, come se ormai soppesassero ogni parola da rivelare all’ingegnere che avevano deciso di portare con loro.

Infine, dopo un susseguirsi di misteriosi segnali ed assensi, Lasseter parlò «E’ una struttura militare abbandonata. Potremmo trovarci attrezzature, una radio più potente» fece una pausa «O informazioni»

Samantha continuò a camminare mentre rifletteva su quelle parole. Già, informazioni. Non aveva certo dimenticato il motivo per cui erano lì: a quanto pare il cuore dell’alleanza universale era in pericolo, minacciato da una qualche arma interplanetaria nascosta chissà dove su quel pianeta arcaico. Per tutto quel tempo si era concentrata soltanto sulla principessa, sull’orribile crimine che dovevano compiere, ma mai sul perché di quel gesto estremo.

Scosse la testa sbuffando: quella storia non stava davvero in piedi. Chi avrebbe mai potuto fare una cosa simile? Anche la principessa stessa dopo quei secoli non poteva più disporre di alcuna tecnologia rilevante: quei ruderi davanti a loro ne erano la prova lampante. E per cosa poi? Per un’improbabile vendetta dopo centinaia di anni di pace? Non aveva senso.

Mentre marciava persa nei suoi pensieri, quasi non si rese conto che la fila davanti a sé si era fermata. Erano ancora ad un centinaio di metri dal complesso di edifici che ormai erano chiari davanti a loro: grossi parallelepipedi di cemento non più alti di tre piani si susseguivano ammassati attorno ad un blocco centrale. Il gruppo si acquattò a terra ai piedi di un grosso albero e tutti tirarono fuori un binocolo cominciando ad osservare meglio la scena. Tutti tranne Sammy ovviamente, che se ne stava lì in silenzio a guardare.

«Ingresso principale?» chiese Lasseter come se fosse un’ovvietà.

«Perché no? La struttura è abbandonata. Per una volta non avremo rogne» rispose Pimpez dal suo fianco mentre entrambi fissavano il portone con i binocoli.

La pony cinerea si introdusse inaspettatamente nella conversazione «Generale, c’è un varco sul lato nord di quel blocco»

«Lo vedo Watts, se speravi di fare il genio ti è andata male» rispose il pimpaino. «Piuttosto, dimmi perché secondo il tuo cervellino dovremmo passare di lì»

«Le antenne sul tetto sono da quella parte» aggiunse il pilota.

«Antenne distrutte» precisò Springer accanto a Sammy. Quel battibeccare la stava quasi stordendo: sembrava che stessero avendo una conversazione al bar, non che fossero su un mondo alieno.

«Non sono le antenne il punto, Springer» rispose Watts con disprezzo «Credo che la sala comunicazioni sia là sotto: possiamo iniziare da lì»

La cosa sembrava aver quasi convinto il gruppo, che rimase in silenzio ad ascoltare.

«Inoltre» continuò «Non ci sono montagne di vetri rotti da attraversare. Preferirei non distruggere i miei scarponi prima di arrivare a Canterlot»

Ancora qualche secondo di esitazione e per la prima volta Sammy vide Pimpez non comportarsi da perfetto stronzo. Si grattò il mento per un istante, poi abbassò il gruppo ottico e rispose «D’accordo Watts. Facciamo come dici»

Con un cenno del capo il generale ordinò alla squadra di alzarsi ed in pochi secondi i pony avevano messo via i loro binocoli ed erano già in marcia verso la nuova destinazione. Sammy li seguì stordita e tampinata da Springer che voleva tenere il passo con gli altri.

«Che ti prende novellina? Hai dormito male stanotte?»

«Questo palazzo mi mette i brividi» rispose lei con un filo di voce.

«Ah, davvero? Preferisci le passeggiate nella foresta?» ridacchiò il pony paglierino da dietro di lei. Il pensiero che quel tizio fosse armato di un enorme fucile d’assalto faceva camminare Samantha ritta come un fuso. Aveva già visto di cosa fosse capace.

«E’ un pensiero comune in realtà, sai? Molti preferiscono il combattimento a distanza infrattatati in un cespuglio rispetto a quattro mura» continuò lui mentre mancavano ormai poche decine di metri alla struttura.

Quando arrivarono, Springer si fermò accanto a Samantha «Ma alla fine essere seccati da un cecchino o esplodere per una granata lanciata dalla stanza accanto non fa molta differenza»

Quella frase ed il sorriso che ne seguì fece raggelare il sangue della ragazza. Il pony non sembrò rendersi conto di aver fatto una battuta parecchio infelice e con un cenno della testa la invitò a salire.

Effettivamente quando Watts aveva parlato di un varco era stata abbastanza accurata: era vero, non c’erano vetri rotti, ma si trattava di una grossa crepa nel muro con alla base un cumulo di calcinacci e pezzi di mattoni. Quell’ammasso di detriti costituiva una sorta di rampa con cui sembrava si potesse accedere direttamente al primo piano dell’edificio. Il resto del team aveva già quasi raggiunto la cima facendo rotolare qua e là qualche pietra.

Con un sospiro Sammy cominciò a salire mentre ormai i primi erano già dentro la stanza. Non ebbe molte difficolta a raggiungere la cima, al contrario di Springer che si lamentava che non veniva pagato abbastanza per fare alpinismo. Con un balzo finale fu all’interno della struttura anche lei, ma quello che vide la fece rimanere imbalsamata sulla crepa da cui erano entrati.

«Per tutti i pimpaini...» esclamò Lasseter mentre attraversava quella stanza lugubre e completamente distrutta. L’oscurità era appena attenuata dalla luce proveniente dal varco e lasciava intravedere la moltitudine di apparecchiature, carte e mobili sparsi per il pavimento. Lunghi cavi scuri pendevano dal controsoffitto mancante e divelto in più punti e ondeggiavano lentamente seguendo la brezza che soffiava dalla spaccatura nel muro. Persino Springer diede un taglio alla sua ironia spicciola alla vista di quell’inferno.

Per la prima volta Sammy vide l’intera squadra SOG mostrare delle facce incredule. Sarang continuava a guardarsi attorno disorientato e confuso «Cosa diamine è successo qui? La base doveva essere semplicemente abbandonata»

«Calma professore» rispose Pimpez alzando la mano dietro la sua schiena mentre osservava molto lentamente il corridoio scuro di fronte a loro «Il piano resta lo stesso. Se non troviamo niente di utile in breve tempo allora procederemo verso Canterlot prima del previsto»

Dopo aver acceso le torce sui propri fucili ed essersi facilmente accertati che non fosse rimasto proprio nulla in quella stanza devastata, il gruppo iniziò ad inoltrarsi in quel dedalo di oggetti distrutti. Il corridoio si dipanava ritto per decine di metri con diverse porte sbarrate ai suoi lati. Assi chiodate erano state usate per impedirne l’accesso.

Samantha rabbrividì al passaggio dell’aria fredda che proveniva dall’oscurità davanti a loro. Cercava di stare il più possibile vicina a Sarang che la precedeva mentre la luce della torcia di Springer dietro di lei proiettava delle lunghe e spettrali ombre sul pavimento. Quel posto era terribile e la opprimeva come mai le era accaduto in vita sua. Malgrado fosse circondata da gente armata fino ai denti, si sentiva incredibilmente vulnerabile tra quelle mura. Le era capitato di entrare in qualche edificio abbandonato nella periferia di Pimpaina City, portata da Anna e da alcuni suoi amici, ma nulla si avvicinava all’aura che permeava quel corridoio. Non erano semplicemente i detriti a renderlo strano: la ragazza sentiva in cuor suo che qualcosa di davvero terribile fosse accaduto lì dentro, qualcosa di indicibile. Malgrado non lo avesse mai pensato prima e non si capacitasse di come potesse saperlo, ne era certa mentre camminava lentamente nel buio: quel luogo odorava di morte.

«Restiamo vicini» disse Lasseter dalla testa del gruppo. Ma non ce n’era alcun bisogno, visto che i sei procedevano acquattati e compatti come una testuggine. Ormai la flebile luce della spaccatura da cui erano entrati era soltanto un ricordo.

«Cosa può aver condotto a questo?» si chiese Mark Sarang ad alta voce mentre continuava a guardarsi intorno «Sapevamo della guerra, ma quella si è combattuta nella terra dei Grifoni, a migliaia di chilometri da qui. Perché mai una base nel cuore d’Equestria può essere stata distrutta?»

Le sue elucubrazioni risuonavano nel silenzio interrotte solo dai passi del gruppo e dal respiro del reabreather di Pimpez. Nessuno aveva idea del perché e Sammy non era neanche sicura di volerlo davvero sapere. A quel punto non desiderava neanche più tornare sulla Pardatchgrat: avrebbe dato qualsiasi cosa pur di tornare semplicemente allo shuttle, o anche solo nella radura alla luce del sole.

Improvvisamente la voce di Watts si udì nel buio «Ehi! Guardate qua! Ho trovato delle scale»

Tutti puntarono le proprie torce a sinistra seguendo quella della pony grigia. Una rampa di scale scendeva ripida verso il piano inferiore.

«Beh, su questo piano le porte sembrano tutte sbarrate e non mi sembra il caso di perdere tempo a tentare di aprirle. Diamo un’occhiata giù?» chiese Lasseter con calma. Il generale gli rispose di sì muovendo la testa: anche lui sembrava vagamente turbato dall’aspetto di quel posto. Sammy pregò che facessero in fretta ad uscire da lì: perché diamine non aveva potuto aspettarli fuori? A che serviva lei là dentro?

Iniziarono lentamente a scendere con cautela lungo quei gradini di cemento. Tutto l’ambiente era incredibilmente spartano, spoglio e freddo. Un freddo che Samantha sembrò provare dentro di sé. Respirò profondamente cercando di riprendersi: si stava autosuggestionando troppo, era solo un edificio abbandonato. Distrutto e spettrale, ma pur sempre un rudere del cazzo. Springer notò la tensione nella giovane ingegnere, ma questa volta neanche lui osò scherzare in quel silenzio di tomba.

Arrivati in fondo alle scale il nuovo corridoio si dirigeva in due direzioni opposte. Laggiù il pavimento sembrava ancora più ricolmo di frammenti di materiale e pezzi di attrezzature distrutte di quanto non fosse al piano di sopra.

«Dividiamoci» disse secco Pimpez «Betz, Springer, andate di là. Sarang e Watts dall’altra parte» ordinò indicando con le braccia i due lati del corridoio «Io e Lasseter guardiamo la stanza qua di fronte»

La squadra annuì senza discutere. Sammy deglutì rumorosamente e fece per fare un passo, ma sentì la zampa di Springer trattenerla.

«Frena un secondo novellina» le disse frugandosi nel giubbotto tattico. Poco dopo le porse una torcia scura con un laccio per appenderla al collo «È la mia torcia di riserva, mi raccomando»

La pony si sentì un poco sollevata da quella nuova conquista, e fu ancora più serena quando il grosso militare la superò per mettersi davanti a lei e avanzare nell’oscurità. Fecero qualche metro in silenzio prima che Springer notasse da come la luce di Sammy si muoveva che la ragazza stava tremando come una foglia.

«Posticino niente male, eh?»

«Diamine Springer, risparmiami la tua ironia idiota» rispose in preda al nervosismo e priva dei suoi soliti freni inibitori «Quando ci decidiamo ad uscire da qui?»

«Quando avremo trovato qualcosa di utile o quando Pimpez si sarà rotto i coglioni» ribatté lui senza scomporsi per gli insulti. «Entriamo qui» disse indicando la prima porta trovata lungo il loro cammino, finalmente una non sbarrata.

Dopo averla socchiusa delicatamente si fece largo per primo illuminando il muro di fronte a loro. La stanza era abbastanza piccola e con degli armadietti ai lati, sembrava una specie di spogliatoio. La parolaccia detta da Springer non appena all’interno fu abbastanza rumorosa, ma l’urlo di terrore di Samantha riecheggiò per il corridoio facendo quasi muovere l’aria.

«Che cazzo succede?!» urlò Pimpez di rimando mentre lui e Lasseter scandagliavano una stanza colma di computer rotti.

«Generale, è meglio che venga qui a vedere» rispose Springer. Si poteva sentire che stava cercando di calmare Samantha in preda ad un quasi attacco di panico.

Pochi secondi dopo l’intero team si era radunato sull’uscio di quel piccolo spogliatoio apparentemente insignificante. Samantha era fuori, accasciata contro il muro e respirava affannosamente: Watts e Lasseter la fissavano atoni illuminandola con la torcia senza sfiorarla, assicurandosi solo che non svenisse o non si strozzasse da sola.

Non appena il generale fu all’interno, anche lui non si risparmiò con una lunga serie di parole non ripetibili, in un misto di sorpresa e disgusto. Nel centro della stanza erano stati piantati quattro pali di legno lunghi un paio di metri, spaccando le mattonelle sul pavimento. Accanto ad essi giacevano quattro cadaveri di pony con ancora indosso le uniformi militari su cui si poteva leggere una serie di tre lettere blu sbiadite: E A F, Equestrian Air Force. Che fossero dei cadaveri non sarebbe stato facile dirlo se non per le uniformi e per gli scheletri, dato che tutto ciò che rimaneva delle carni era una poltiglia nera come la pece ed estremamente secca, scarto di una putrefazione durata chissà quanto. Sui pali si trovavano quattro teschi con ancora appeso qualche brandello nero come quelli rimasti sul pavimento: il tutto era circondato da vistose chiazze di sangue ormai più che secco che coprivano grandi spazi delle pareti.

 «Sembra un omicidio tribale» puntualizzò Sarang dopo decine di secondi di silenzio. Springer era rimasto ammutolito e si limitava ad illuminare la scena da un lato della stanza. Il generale stava in piedi nel centro del tutto. Fissava quello spettacolo raccapricciante con un’espressione severa e quasi indecifrabile.

«Potrebbe essere successo dopo che la base è stata abbandonata. Potrebbero aver trovato i cadaveri ed averli decapitati» continuò il professore mentre si avvicinava meglio ad uno di quei pali.

«Oh certo, chi non se ne va in giro per edifici abbandonati a impalare teste? E soprattutto, perché cazzo questi tizi sarebbero morti da soli?» ribatté Springer visibilmente alterato «Perché non pensa prima di parlare, professore?»

 Sarang non gli diede corda e continuò ad osservare la scena con un’espressione neutra «Formulo ipotesi, Springer. Ogni opzione va valutata». I suoi occhi correvano in giro molto velocemente come alla ricerca di qualche dettaglio.

«Sì, ipotesi stupide»

«Piantatela con queste cazzate» berciò infine il generale Pimpez risvegliandosi dal suo silenzio «Non siamo dei detective, non ci interessa capire chi abbia fatto questo scempio». Si voltò a guardare il corridoio e Samantha che ancora annaspava cercando di calmarsi «Stiamo perdendo tempo qua dentro. Andiamocene. È chiaro che non troveremo nulla che ci possa aiutare»

«Ci sono delle grosse finestre in una stanza in fondo al corridoio» disse Watts da fuori la stanza «Possiamo uscire più velocemente da lì invece che risalire di sopra»

Il pimpaino annuì stranamente senza ribattere e fece per uscire.

«Solo un istante, generale» disse Mark Sarang che non aveva smesso per un attimo di analizzare la scena «C’è qualcosa sul muro, sotto il sangue»

Fece cenno a Springer di avvicinarsi e fargli luce, ed il pony giallo passò suo malgrado tra due teste impalate per schiarire il muro di fondo. Sarang avvicinò il viso cominciando ad analizzare la superficie e con qualche zoccolata raschiò via la polvere ed il sangue incrostato vecchio di anni «C’è della vernice dipinta a zoccolo qui»

La squadra rimase a guardare in silenzio lo strambo professore che con cura rimuoveva i detriti su quel vecchio muro. Ci volle qualche minuto, durante il quale Samantha riuscì a riprendersi e a rimettersi in piedi: avrebbe voluto dirne quattro a quei due che non l’avevano neanche aiutata, ma preferì lasciar perdere ed entrare anche lei di nuovo nella stanza.

«Wow Betz, dove credi di andare?» le disse Lasseter tenendola per una spalla «Non ti è bastato quasi svenire una volta?»

Lo sguardo che ricevette in cambio riportò alla mente del soldato i brutti ricordi di quando si trovavano sull’astronave, ed istintivamente lasciò andare la pony. Samantha continuava a cambiare stato d’animo e a seguitare emozioni sempre diverse e contraddittorie.

«Voglio sapere» disse semplicemente con voce molto dura. Non sembrava nemmeno che fino a qualche secondo prima stesse boccheggiando seduta a terra contro il muro. Ormai stanco di tutta quella storia, il pony dal manto bluastro la lasciò fare, mentre Watts era l’unica non affatto interessata alla cosa e fissava l’oscurità del corridoio ignorando i corpi brutalmente assassinati nella stanza.

«Ma che diavolo è quell’affare?»  bisbigliò Springer tra sé e sé con un filo di voce mentre Sarang aveva ormai liberato quello che sembrava un grosso simbolo dipinto sul muro. La vernice nera era stata posta con fretta e poca cura, ed il suo colore coincideva lugubremente con quello della poltiglia organica rimasta di quei corpi.

Samantha entrò nella stanza, ma nessuno le diede attenzione dato che tutte le torce erano puntate su quegli strani simboli adesso ombreggiati dalle siluette delle teste impalate. Lo stomaco della pony si contrasse in una morsa strettissima, ma Sammy si trattenne dal vomitare e buttò giù un bolo di saliva insieme a tutte le sue emozioni per cercare di capire cosa fosse successo laggiù.

«Non avevo mai visto niente del genere» disse Sarang dopo aver osservato la pittura per qualche secondo. «Dentro quel cerchio sembra esserci una creatura, ma non riesco a capire»

Si avvicinò ancora al muro, così tanto da quasi sfiorare il sangue incrostato, perso com’era nel desiderio di scoprire di più. Springer si voltò di scatto in preda anche lui ad un conato di vomito.

«Dacci un taglio Sarang» berciò Pimpez dirigendosi di nuovo verso l’uscita «Ne ho abbastanza di questo posto e di queste stupidaggini tribali, usciamo»

«E’ un alicorno»

Tutti si voltarono verso la provenienza di quella voce. Samantha se ne stava nel mezzo della stanza, circondata da quei pali, con gli occhi ridotti a due fessure ad esaminare il muro davanti a sé.

«Guardate…qui. Queste sono le ali, quello il muso. E quello lassù è il corno»

Inspiegabilmente, il generale non riprese la pony per aver disobbedito al suo ordine, ma si concentrò anche lui di nuovo su quella strana pittura che aveva destabilizzato l’animo dell’intero gruppo.

«In effetti è vero. Sì…ha senso» mormorava Sarang mentre gli si illuminavano gli occhi. «Complimenti Samantha, una come te non poteva deluderci»

«Non sapevo di far parte di una spedizione archeologica» si lamentò Springer sputando per terra. Poi con un cenno del capo invitò i due pony ad uscire seguendoli a ruota: la squadra si lasciò finalmente alle spalle quella strana tomba.

«Chissà a chi appartiene quel simbolo. Questo pianeta è sempre più affascinante» continuò il professore tra sé e sé mentre si incamminavano nuovamente nell’oscurità verso la stanza indicata da Watts.

«Se davvero qualcuno ha fatto quella roba e ridotto questo posto così, di fascino io ne vedo ben poco» ribatté Pimpez sbuffando «Questa base è stato un bel buco nell’acqua. Vediamo di metterci in marcia verso Canterlot»

Samantha procedeva come suo solito in silenzio, ascoltando le conversazioni altrui. Ora dopo ora si sentiva sempre più asettica ed allo stesso tempo preda delle proprie emozioni. Non sapeva neanche lei dove avesse trovato la spinta e la forza di entrare in quella stanza, ma adesso il suo cervello stanco e stressato cercava di mettere insieme quei pochi indizi per cercare di capirci qualcosa.

Finalmente Watts girò a sinistra in quella che era l’unica stanza da cui proveniva della luce. Sammy sentì le sue membra rilassarsi alla sensazione dei raggi del sole che di nuovo colpivano la sua pelle. La stanza era abbastanza grande e alta, fino a raggiungere il piano di sopra: era ricoperta interamente da piastrelle azzurre e blu e file di soffioni per la doccia spuntavano dalle pareti. Su un pilastro centrale, il blu scuro delle tessere formava a mosaico la scritta Ponisella Air Base.

Davanti a loro, dall’altra parte della grande sala docce, due vetrate snelle e lunghe si alzavano fino al soffitto: bastava rompere quei vetri e sarebbero stati fuori. Certo, Watts avrebbe avuto di che lamentarsi, ma nessuno aveva osato proporre di tornare di sopra ed allungare il tragitto.

Con un sospiro di sollievo Sammy si avviò insieme agli altri verso le vetrate, finché per l’ennesima volta il sangue non le si raggelò nelle vene. Ma si rese subito conto che quella volta non sarebbe stata come le altre.

«Fermi dove siete!» urlò una voce sconosciuta. Nel giro di qualche secondo il pianerottolo a mezz’altezza sopra di loro si riempì di figure nere armate fino ai denti.

La squadra scattò all’unisono come una molla ed in men che non si dica rispose alla mira con le proprie armi. Con una zampata poderosa, Springer gettò Sammy distesa sul pavimento e cercò di coprirla.

«Chi cazzo siete?» urlò il generale Pimpez da dietro il suo fucile d’assalto. Watts, Lasseter e Sarang continuavano a muoversi nervosamente non sapendo dove mirare di preciso. L’intero perimetro era colmo di armi spianate: erano circondati.

«Generale, per il suo bene e quello della sua squadra, ordini ora di abbassare le armi»

Quella voce rimase impressa a Samantha che a stento poteva guardarsi attorno sotto il peso della zampa di Springer: era roca ed impastata, come quella di un fumatore accanito.

«Cosa ne sai di chi sono? Cosa diavolo state facendo?» tuonò Pimpez con una tale forza da quasi far tremare le pareti. Quel pimpaino stava mostrando tutta la sua aggressività.

«Riconosco il suo grado sull’uniforme, generale. E gradirei che venisse portato rispetto anche a me, visto che sono un suo pari»

Il pony a parlare era al centro del gruppo, proprio a cavallo tra le finestre che la squadra avrebbe dovuto attraversare. Nessuno di loro si vedeva in volto, coperti com’erano dalla testa ai piedi in quelle armature nere come la notte.

«Non darò mai quell’ordine!» urlò Pimpez «Allontanatevi o apriremo il fuoco»

«Siete circondati. Qualunque resistenza porterà alla vostra morte. Non c’è bisogno che le cose vadano così»

«Al diavolo, Equestriano del cazzo!» urlò Lasseter mentre mirava uno dei fianchi della stanza, schiena contro schiena con Watts.

«Arrendetevi!» tuonò di nuovo il figuro nero.

La tensione era alle stelle. Le urla ed il suono delle armi che si muovevano vibravano nella testa di Samantha come martellate su un pezzo di ferro. Cominciò a singhiozzare, disorientata e schiacciata da Springer che la proteggeva.

«Siamo morti…» bisbigliò il pony paglierino con una voce talmente flebile che soltanto la ragazza sotto di lui aveva potuto udirla. Il tono in cui lo disse era qualcosa che Samantha non aveva mai sentito nella sua vita: il suo cuore si strinse in una morsa.

Fu un attimo. All’improvviso qualcosa cadde dal mezzanino verso terra: nessuno seppe cosa, se un calcinaccio o un pezzo d’attrezzatura di quegli strani pony. Ma quel detrito fece rumore impattando sul pavimento, e tanto basto al tesissimo Lasseter per aprire il fuoco mentre ancora i due comandanti si urlavano contro.

L’inferno si materializzò in un istante. Le bocche da fuoco urlavano selvaggiamente lanciando colpi senza freno. Samantha si acquattò ancora di più a terra coprendosi la testa con gli zoccoli e urlando a più non posso. Nel rumore devastante sembrava sentire la voce del loro comandante urlare di cessare il fuoco, ma senza successo.

Dopo qualche secondo un boato riempì la stanza ed una coltre di fiamme avvolse Samantha. La pony urlò a squarciagola mentre il calore lancinante l’avvolgeva ed il fuoco iniziava a divorare il suo corpo.

Esalò il suo ultimo respiro, svenendo per il dolore, mentre fissava quelle mattonelle azzurre tingersi di sangue.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10

Le ville del Southern East Side scorrevano lente lungo i fianchi di quell’elegante strada cittadina. I meravigliosi cancelli arzigogolati con decine di ghirigori riportavano le iniziali delle prestigiose famiglie che le abitavano. Ognuna delle magioni era nascosta da fitti giardini alberati.

Samantha si tolse gli auricolari e il potente assolo di chitarra elettrica smise di rimbombarle nelle orecchie. Sospirò mentre l’autobus si fermava in una piazzetta rotonda senza uscita: era il capolinea. Scesa dal mezzo, si diresse spedita verso una delle proprietà più maestose di tutto il quartiere, il più ricco di Pimpaina City. La residenza sorgeva proprio sul capo meridionale che cingeva la baia, con una meravigliosa vista della skyline della città.

Sammy si fermò davanti al citofono, gettando un’occhiata oltre la gigantesca acca in ottone incisa sul cancello: la grande casa in stile moderno si intravedeva in fondo ad una breve strada asfaltata.

«Sono Samantha» disse la pony alla diffidente guardia giurata dopo aver suonato. Nonostante andasse lì da parecchio tempo non si era mai decisa a guardarla di buon occhio.

«La signorina Harper la riceverà tra qualche minuto»

Samantha sbuffò mentre il cancello si apriva, stufa di quei modi di fare ridicoli. Neanche stessero avendo un incontro d’affari! Velocemente percorse la strada interna che conduceva all’ingresso della casa. Girò bruscamente a destra prima di raggiungere il sontuoso portone ed entrò attraverso un ingresso secondario della servitù nascosto tra le fronde dei cespugli.

«Ciao Sammy! Vai a trovare la signorina?» le chiese amorevolmente la governante intenta a stirare delle gigantesche lenzuola bianche. Samantha replicò annuendo con un sorriso mentre saliva sull’ascensore di servizio. Qualche secondo dopo uscì al primo piano della mastodontica villa, trovandosi in un lussuosissimo corridoio di marmo con le vetrate che si affacciavano sul mare.

Svelta, raggiunse la fine del corridoio ed aprì una delle tante porte di mogano, infilandosi dentro.

«Era ora!» esclamò Anna stesa a pancia in su sul suo letto e con la testa penzoloni «Mio padre sta per uscire. Ancora un secondo e ti avrebbe vista»

Samantha gettò il suo zaino colmo di libri a terra e si accasciò anche lei sul grande letto a due piazze dell’amica.

«Pensi che io avrei voluto?» chiese sprezzante. «Se l’autobus arriva in ritardo non posso farci niente»

«Lascia perdere» borbottò la pony bionda mentre rotolava su sé stessa. Prese il cellulare e se lo appicciò al viso scorrendo decine di foto che la ritraevano in posa.

«Dai, andiamo a fare un bagno» disse poi lanciando il telefono sul comodino e volgendo lo sguardo fuori dalla grande finestra. La bellissima piscina a sfioro della famiglia Harper occupava gran parte della proprietà verso il mare. Fuori faceva un caldo terribile.

«Studiare per domani ti dice niente?» disse Samantha tirando fuori i libri dal suo zaino.

La pony color crema sbuffò rumorosamente accasciandosi di peso sul letto e coprendosi la testa col cuscino.

«Anna, se continui così rischi di non passare l’anno» la riprese paziente Sammy mentre disponeva libri e quaderni sulla tanto grande quanto poco utilizzata scrivania di vetro della sua amica. L’altra rispose con un lamento e si trascinò mestamente sulla sedia accanto a lei.

Qualche ora ed incredibili sforzi da parte di Sammy dopo, le due erano in piscina quasi al calar del sole. Chiacchieravano godendosi l’acqua azzurrina appoggiate al bordo che dava sullo strapiombo verso il mare, il loro posto preferito.

«Come farei senza di te» disse Anna accarezzando la pony perlacea e stringendola a sé.

Sammy ebbe un brivido malgrado l’acqua fosse a temperatura piacevolissima «Oh santissima pazienza. Me lo chiedo anche io» ridacchiò imbarazzata.

Rimasero in silenzio osservando la grande baia di Pimpaina accendersi pian piano con le sfavillanti luci della notte.

«Sammy, mi dispiace che le cose con i miei siano così» sussurrò Anna mentre ancora stringeva l’amica. «Ci ho provato in tutti i modi, ma mia madre è davvero una testa di cazzo»

«Lo so, non è colpa tua. Non pensarci». Samantha si stiracchiò osservando i domestici che chiudevano i lettini prendisole attorno alla piscina e preparavano il tavolo all’esterno per la cena. Non poteva mentire a sé stessa: sapeva quanto avrebbe adorato una vita del genere. Era così felice di poter assaporare quei piccoli momenti, e soprattutto di poterli condividere con Anna. Era un modo per fuggire via, scappare da quella maledetta casa e da sua madre. Dai problemi che ogni giorno le piovevano addosso.

Anna si voltò di scatto con un’espressione maliziosa «Parliamo di cose serie. Hai fatto come ti ho detto?»

Samantha aggrottò la fronte per qualche secondo prima di spalancare gli occhi «Oh no, ti prego. Non ancora quella storia»

«Vabbè, ho capito. Devo farlo io per forza» e così dicendo la pony color crema si staccò dall’abbraccio e nuotò velocemente verso un lato vicino della piscina. Raccolse il suo cellulare lasciato sul bordo e si voltò per scoprire che Sammy era con la testa sott’acqua.

«Smettila! Esci di lì, è importantissimo!» ridacchiò Anna, ma non dovette aspettare molto prima che la pony perlacea tornasse su. Non era esattamente un asso dell’apnea.

«Qualsiasi cosa piuttosto che quelle maledette foto»

«E’ invece te le faccio eccome. Come devo spiegartelo che senza il profilo giusto sui social non sei nessuno». Anna girò su sé stessa a zampe aperte «Guarda che location, modestamente. Mica faccio fare le foto a tutte le mie amiche che vengono qui, eh. Me lo chiedono in ginocchio, ma solo io posso!»

Accese la telecamera del cellulare e si mise in posa per scattare con grande maestria «Quindi renditi conto di che privilegio hai»

«Preferirei di gran lunga non averlo» bofonchiò Samantha a zampe conserte. Si voltò a guardare il mare, dando le spalle ad Anna.

«Cazzo Samantha, smettila! Ma perché diavolo non posso scattarti una foto? Come pensi di trovarlo un ragazzo per la festa di fine anno della scuola?»

Quelle parole fecero sobbalzare la pony, che quasi scivolò di nuovo sott’acqua «Non me ne frega niente dei ragazzi. Soprattutto di quegli idioti che abbiamo in classe»

«Piantala con le tue solite lagne. Lo so che non è questo il motivo, ti conosco troppo bene» così dicendo si avvicinò ed appoggiò uno zoccolo sul petto di Sammy «Dimmi perché non vuoi che ti faccia una foto»

L’altra cambiò espressione. Anna la scrutava con i suoi profondi occhi rosa mentre aspettava una risposta: quello sguardo la scioglieva come nient’altro al mondo. Il volto di Sammy divenne triste.

«Anna…io non sono bella come te. Lascia perdere, ti prego» sospirò la pony perlacea guardando il mare.

«Ma di che cavolo stai parlando? Fidati di me per una volta!» e così dicendo tornò dall’altro lato della piscina in posizione per scattare. «Mettiti come prima…ecco così! Guarda il mare, fai finta di niente»

Sammy decise di cedere. Si sentiva vagamente a disagio nell’avere una fotocamera puntata addosso: veniva sempre male nelle foto, ecco perché non voleva. Si impegnò il più possibile nel far finta di nulla, e qualche decina di scatti dopo Anna fu di nuovo al suo fianco sullo sfioro.

«Guarda qua che roba!» disse la pony color crema mostrandole il telefono.

Samantha si sforzò di guardarsi e rimase stupefatta. Forse era la luce della sera, forse la piscina, forse qualche diavoleria di fotoritocco di Anna, ma quella nella foto era davvero una bella ragazza. Il suo manto bianco luccicava appena bagnato riflettendo la luce del tramonto, e la sua criniera rosso fuoco si mescolava al colore del cielo scendendo lungo la sua schiena. In tutto questo i suoi occhi verdi brillavano risaltando come non mai.

«Sei bellissima! Davvero Sammy. Non riesco a pensare ad un solo ragazzo che non vorrebbe averti con sé»

Calò il silenzio. I loro volti così vicini mentre il sole stava ormai per scomparire sotto l’orizzonte. Samantha poteva sentire il battito del cuore di Anna che accelerava, strette com’erano in quel modo. Non sapeva come fossero finite in quella posizione, ma non osava muovere un muscolo.

«…e ad una sola ragazza» bisbigliò Anna con voce tremolante.

Il cuore di Samantha pulsava come un grosso stallone al galoppo mentre la testa aveva cominciato a girarle. Sentiva il respiro affannoso di Anna davanti a sé, sentiva il suo corpo vibrare quando lo accarezzava. La guardò negli occhi, la ragazza più bella che avesse mai visto. Ed era lì con lei.

Come attratte da una forza inesorabile, le due ragazze si avvicinavano sempre di più. Le loro labbra erano così vicine che Samantha poteva odorare il vago sentore di ciliegia del rossetto di Anna. Chiuse gli occhi mentre l’adrenalina si scaricava attraverso le sue membra come una gigantesca frana inarrestabile. Stava davvero accadendo.

«Oh merda!». Anna si spostò bruscamente schizzando in giro. Samantha cadde all’indietro spaventata, ingoiando dell’acqua.

«Sono arrivati. Abbiamo fatto tardissimo maledizione». La sua voce era completamente cambiata. La sua espressione era di terrore. Cominciò a spintonare Samantha che ancora annaspava in cerca di aria: la spinse con insistenza finché non furono fuori dalla piscina. La pony perlacea si accasciò sulle mattonelle, rabbrividendo alla leggera brezza della sera.

«Muoviti cazzo! Devi andartene, lo capisci? Se ti vedono…»

Sammy era ancora a terra, tremante come un pulcino bagnato, mentre Anna continuava a spintonarla senza neanche degnarsi di porgerle un asciugamano. Improvvisamente una sensazione familiare bussò nel cuore della pony perlacea. Il suo stomaco si rivoltò mentre la rabbia cominciava a scorrere potente dentro di lei.

All’ennesima volta in cui Anna la toccò per spronarla, Sammy prese quello zoccolo color crema e spinse così forte da farla cadere. La bionda rovinò all’indietro battendo il muso sullo spigolo del bordo piscina, ed un rivolo di sangue comincio a scenderle dal labbro macchiando l’acqua cristallina.

«Non mi devi toccare» tuonò Samantha con voce roca. La sua espressione avrebbe inquietato anche il più duro dei duri. Grosse lacrime cominciarono a scendere dal suo volto mentre Anna si massaggiava la faccia impaurita.

«Vattene a fanculo. Tu e i tuoi genitori snob del cazzo. Forse hanno ragione a dire che dovresti solo frequentare pony di un certo livello, “signorina Harper”» disse con voce rotta. La rabbia e la profonda tristezza si mescolavano in un connubio devastante «Mica una morta di fame come me, giusto? Che per venirti a trovare deve nascondersi come un ladro, mentre tu da me non puoi venire perché “oh cielo, no! Non c’è l’aria condizionata!”»

Prese un asciugamano e si frizionò in modo grossolano e nervoso mentre tremava tesa come una corda di violino. Anna era rimasta appoggiata sul bordo piscina, ammutolita dalle sue parole.

«O forse è solo perché hai bisogno di qualcuno che ti faccia i compiti? Perché sei troppo stupida per non farti bocciare?» chiese riducendo gli occhi a dure fessure. Anna continuava a fissarla con un volto impaurito.

«Cosa sta succedendo laggiù?» chiese autoritaria una voce maschile. Poco dopo, il principale azionista della Cercam Electronics, Lucas Harper, si fiondò sulla scena fissando Sammy con odio. «Tu! Cos’hai fatto a mia figlia? Vattene subito o chiamo la polizia»

Anna rimase immobile senza dire una parola. Samantha la fissò profondamente un’ultima volta, chiusa in un’espressione di dolore. Poi si voltò e corse via più veloce che poteva. Per fortuna la governante era stata così carina da portare giù il suo zaino dalla stanza di Anna, così Sammy poté raccoglierlo al volo mentre piangeva. Mentre la dolce signora delle pulizie la rincorreva chiedendo spiegazioni, la ragazza fuggì per l’ultima volta da quella casa e si incamminò senza nemmeno aspettare l’autobus. Per scappare il più lontano possibile da quel quartiere di lusso, bellezza e dolore.

***

Sammy spalancò gi occhi boccheggiando e tossendo a più non posso, mentre sputava la fuliggine che le era scesa lungo la trachea. Rimase stesa per svariati secondi, non vedendo praticamente nulla, prima di riuscire ad alzarsi diritta. La testa le pulsava con un dolore lancinante e le pareva che ogni centimetro del suo corpo si stesse ribellando al suo controllo. Alzò gli occhi al cielo inspirando così profondamente da sentire quasi il petto esplodere e finalmente dell’aria fresca entrò nei suoi polmoni.

Attraverso il terribile mal di testa la pony cercò di ricordare quello che era successo: la sala docce, quei pony scuri, gli spari…le fiamme! Era sicura di aver preso fuoco! Aveva sentito un dolore come mai nella sua vita farsi strada lungo i suoi arti, un calore talmente forte da bruciarle l’anima. Eppure guardandosi le zampe ed i fianchi non vi era traccia di alcuna bruciatura, se non forse per qualche punta del suo pelo leggermente annerita rispetto al classico bianco perlaceo. Non aveva inspiegabilmente neppure più il suo zaino sulla groppa e della sua tuta mimetica rimaneva solo un lontano ricordo incenerito sul pavimento. Cercò di muovere lentamente tutte le sue articolazioni e si accorse che sebbene estremamente doloranti funzionavano correttamente. Mentre le sue zampe rispondevano ai suoi comandi la pony le osservava con gli occhi pieni di stupore, come un puledrino che scarta i regali la mattina di Natale.

Fu quando distolse lo sguardo da sé stessa che si rese conto di non aver sognato nulla: quelle che un tempo erano le piastrelle azzurre della sala docce erano diventate una pasta vetrosa nera e bruciata oltre ogni modo. L’intera stanza sembrava arsa a lungo, mostrando ormai solo lo scheletro di quello che era in precedenza. La pony si guardò attorno cercando segni di vita, ma quel maledetto gruppo di mostri neri era scomparso, esattamente come il resto della sua squadra.

Decise finalmente di provare ad alzarsi in piedi: in quell’istante si accorse che fino ad allora era rimasta appoggiata con la schiena a qualcosa di consistente, qualcosa che non aveva ancora notato. Quando si voltò, l’urlo che ne venne fuori assomigliava più ad un rantolo soffocato e strozzato a causa della cenere e della fuliggine. Accanto a lei giacevano i resti di un pony completamente carbonizzato, mischiati a materiali plastici della sua attrezzatura che si erano fusi nel processo: il risultato era una poltiglia nerastra raccapricciante da cui facevano capolino le ossa dello scheletro.

Samantha indietreggiò istintivamente battendo la schiena contro il pilastro centrale della stanza, quello dove prima del terribile incendio si trovava il mosaico con il nome della base. Rimase pietrificata a fissare quel disastro davanti a sé: come diavolo era possibile che fosse viva? Forse non lo era…non era viva! Era solo un altro sogno. Un sogno da morta. Perché lei non aveva bruciato? Eppure aveva sentito quel dolore con tutta sé stessa, non era possibile.

Mentre ansimava, il suo sguardo venne catturato da qualcosa che rifletté la luce del sole proveniente da dietro di lei: le grandi vetrate che avrebbero dovuto raggiungere erano infrante e la radura si presentava all’esterno rigogliosa e tranquilla; era evidente che gli altri fossero scappati. Ma quella cosa riflettente proveniva proprio dal cadavere carbonizzato davanti a lei: non era un semplice resto dell’incendio, sembrava proprio qualcosa che aveva resistito alle fiamme.

La ragazza rimase ad ansimare per qualche secondo cercando di calmarsi, poi fece mente locale: forse tutto quello stress a cui era stata sottoposta la stava lentamente temprando a resistere di più. Si sforzò a guardare per più tempo quel corpo senza vita, e si rese conto che ormai non aveva più nulla addosso: se davvero quel tizio aveva qualcosa con sé che poteva aiutarla anche solo a tornare allo shuttle era il caso che la prendesse.

Decise di farsi coraggio e forte dell’esperienza con i corpi decapitati di prima, si lasciò semplicemente cadere a pancia in giù non avendo le forze. Il suo viso finì a pochi centimetri dal fianco del cadavere: per fortuna tutto ciò che Sammy poteva odorare era cenere, sembrava che persino i fumi tossici delle plastiche si fossero ormai dileguati grazie alle finestre rotte. Con uno sforzo immane si alzò dolorante da terra cominciando ad analizzare quello scempio: sotto il cumulo di ossa annerite sembrava effettivamente esserci qualcosa di grosso e scuro anch’esso.

Sammy alzò gli occhi al cielo e dopo qualche sospiro riuscì ad infilare la zampa tra le parti del cadavere per far scivolare quell’oggetto verso di lei, il quale emise un forte rumore metallico mentre strofinava contro il pavimento della stanza. Quel suono così forte fece sobbalzare la povera pony che si ritrasse nuovamente spaventata come un cucciolo. Quando finalmente si riprese, poté vedere che si trattava di un grosso fucile come quelli che il resto della sua squadra aveva portato con sé: lo prese in zoccolo con fatica e notò che a parte l’annerimento aveva resistito bene alle fiamme. Fortunatamente un caricatore era già inserito e Sammy sperò che avesse dei proiettili all’interno, visto che non aveva alcuna intenzione di setacciare quell’orrenda stanza alla ricerca di altre munizioni che non sarebbe neanche stata in grado di riconoscere.

Rigirò ancora la pesante arma nei suoi zoccoli: la fascia che lo reggeva era molto consumata ma ancora funzionale, probabilmente composta da materiale ignifugo che aveva più o meno resistito al rogo. Si mise dunque il fucile a tracolla senza pensarci troppo e tornò a concentrarsi sul cadavere che aveva di fronte cercando il luccichio di prima. Dopo qualche secondo di movimenti della testa riuscì a trovare il punto e si calò nuovamente in mezzo a quelle ossa consumate: trattenne il respiro e tastò un altro grosso pezzo di metallo, questa volta dalla forma circolare. Per un istante pensò di lasciarlo lì, a cosa poteva mai servirle un affare del genere? Ma alla fine la curiosità e la disperazione prevalsero e la pony perlacea cominciò a strattonare quell’oggetto misterioso nel tentativo di tirarlo fuori.

A guardarla dall’esterno quella scena era estremamente grottesca, ma la povera ragazza non poteva rendersene conto, persa com’era nello smembrare quel cadavere per ottenere quello che voleva. Sembrava di colpo così determinata a scoprire cosa fosse quell’affare, e non sapeva nemmeno perché. Dopo qualche altro secondo di lavoro, un rumore di ossa rotte indebolite dal fuoco annunciò il trionfo di Samantha: la pony cadde all’indietro per l’ennesima volta da quanto stava tirando forte verso di sé, rimanendo a fissare il soffitto con la schiena a terra.

Rimase lì, respirando profondamente e prendendosi tutto il tempo necessario. Quello sforzo l’aveva sfiancata più del dovuto. Erano passati ormai svariati minuti da quando si era svegliata in quella stanza distrutta e quasi non si sentiva più a disagio. Non riusciva neppure a sentirsi preoccupata per il fatto di essere da sola in quel mondo alieno, abbandonata a sé stessa: il suo cervello sembrava aver messo quei pensieri in pausa, concentrato solo a cercare di venir fuori da quella situazione. A volte la mente può agire in modi incredibili, pensò la ragazza mentre riposava.

Dopo un po’ si ricordò il motivo per cui era finita a pancia all’aria sul pavimento: aveva ancora tra le sue zampe il misterioso oggetto. Senza muoversi portò gli zoccoli davanti al suo viso che cambiò in un’espressione sbalordita quando si trovò davanti un MSU. Il computer sembrava ancora in ottime condizioni, come se non avesse bruciato affatto, pronto per essere indossato. Uno schermo piatto copriva quasi interamente la superficie come il quadrante di un orologio, mentre un grosso bracciale di metallo rivestito internamente costituiva il cinturino di quella macchina da indossare sulla zampa. In cima allo schermo le tre lettere dell’acronimo dipinte del classico blu militare dell’alleanza universale rendevano inequivocabile di cosa si trattasse.

Sammy rimase imbambolata a guardare il marchingegno mentre la sua mente anestetizzata si risvegliava da quel finto torpore. C’era solo una grande domanda che le rimbombava in testa: di chi era quel computer? Poteva mai appartenere ad uno di quei tizi che li avevano attaccati? Il suo sguardo si posò sul cadavere incenerito che aveva quasi smembrato per tirare fuori ciò di cui aveva bisogno, ed il suo cuore quasi perse un colpo.

Con una lentezza ed una calma religiosa Samantha indossò il vistoso MSU e chiuse il bracciale assicurandolo alla sua zampa sinistra. Mentre ancora pensava a come avrebbe potuto accenderlo, il computer si avviò da solo al contatto con la sua pelle, illuminando lo schermo. La prima cosa che vide fu uno strano messaggio di errore di colore rosso lampeggiare a tutto schermo che diceva BUS NOT FOUND. Dopo qualche secondo in cui la pony guardava inebetita il tutto senza sapere cosa fare, la schermata sparì ed il messaggio rosso si ridusse nell’angolo in basso a destra. Comparve un layout in cui erano presenti delle note, le condizioni ambientali come la temperatura e l’umidità, una gestione d’inventario e delle icone di una mappa e di una radio. Sembrava insomma proprio quello che pensava che fosse, un sistema di supporto con un po’ di roba sopra: le voci che dicevano che gli MSU fossero delle macchine misteriose e capaci di chissà cosa erano delle cavolate, guarda un po’. Restava lo strano errore rosso nell’angolino, ma poteva tranquillamente essere dovuto all’incendio e a chissà cosa il computer aveva dovuto sopportare.

Sammy si tirò su mentre osservava con attenzione la schermata del computer: notò con piacere che non era così tanto pesante e scomodo come sembrava, anzi non pareva darle quasi nessun fastidio. Agitò un poco la zampa nell’aria per sentire bene il bracciale e tornò a guardare lo schermo, dove un’icona in particolare catturò la sua attenzione: ne aveva viste tante come quella, ed era sicura che portasse all’account del proprietario di quel computer.

L’adrenalina si rigettò di colpo nelle sue vene. Con uno zoccolo tremante sfiorò l’icona e l’MSU rispose immediatamente al tocco aprendo una nuova schermata. La ragazza rimase pietrificata, senza emettere un suono, a fissare quel computer che aveva appena indossato da sola in quella stanza orrendamente bruciata.

Steven Springer – Colonnello – Esercito di Pimpaina – Nato il 25 novembre 2295

Samantha urlò di nuovo, a pieni polmoni: un lamento di disperazione risuonò nel palazzo abbandonato. Si rannicchiò su sé stessa con violenza, sbattendo il computer contro il pilastro dietro di lei. Si contorceva tra i singhiozzi cercando di dare il più possibile le spalle al cadavere di Springer che giaceva arso e smembrato lì davanti. Cominciò a strisciare goffamente in direzione opposta, verso le finestre, decisa a scappare e a non voltarsi più indietro. Scavalcò i vetri rotti ferendosi alla zampa destra mentre ancora emetteva degli strani versi soffocati e cominciò a correre alla bell’e meglio nella radura erbosa.

Sammy correva col cuore in gola, correva come una forsennata senza mai fermarsi. Il pesante fucile le sbatteva ripetutamente sul fianco e la zampa ferita sanguinava, ma tutto ciò non importava. Voleva solo scappare, andare via, tornare a casa, sulla sua nave. Un solo nome tornò nella sua mente: Ashley, dove sei?

Crollò ben presto stremata e senza forze nel morbido prato mentre ansimava con foga: la natura attorno a lei era così calma e rigogliosa in quella mattina di sole, così in contrasto con una pony rantolante e sporca di fuliggine. Probabilmente se qualcuno passando di lì l’avesse vista in quelle condizioni sarebbe scappato via in preda al terrore. Ma dopo qualche altro istante di riposo l’attacco di panico sembrò lentamente rientrare e Sammy si rimise in piedi respirando profondamente: si ricordò di ciò che la sua psicologa le aveva insegnato quando ancora era a Pimpaina.

Andiamo…conta fino a dieci…respira

Inspirava ed espirava forzatamente chiudendo gli occhi, mentre poteva ancora sentire ogni centimetro del suo corpo tremare come una foglia. Ma respiro dopo respiro effettivamente la tecnica sembrava funzionare: le membra si rilassarono tornando a rispondere come sempre e poco dopo riaprì gli occhi sentendosi leggermente più sollevata.

La prima parola vera e propria che uscì dalla bocca della ragazza fu un’imprecazione. Sentiva che il suo corpo stava raggiungendo il limite, non poteva continuare a subire quella dose di stress: malgrado si fosse calmata, la sua testa era completamente vuota e girava vorticosamente. I suoni piacevoli del vento tra le fronde degli alberi ed il leggero cinguettare degli uccelli la aiutarono a concentrarsi e dare un’occhiata in giro: attraverso i rami di un cespuglio poteva chiaramente vedere la sagoma dello shuttle ancora parcheggiato lì, da solo, esattamente come lo avevano lasciato.

Senza pensarci due volte e con una forza che non sapeva da dove fosse sbucata, Samantha si rimise prontamente in marcia con passo spedito, zoppicando leggermente sulla zampa anteriore destra. Attraversò in fretta la radura uscendo nello spazio aperto al di là della vegetazione ed in poco tempo fu sulla nera pista di asfalto di quella orrenda base fantasma. Non si era nemmeno posta il problema che quei tizi fossero ancora in giro: ciò che contava in quel momento era mettersi al sicuro, scappare via, e lo shuttle era decisamente ciò che più si avvicinava a quel concetto. Lo raggiunse in pochi passi e si accovacciò contro il carrello di atterraggio, proprio come aveva fatto la sera prima. Si riposò protetta dall’ombra della grande navetta sentendosi sollevata, ma la realtà dei fatti era ben diversa da quella che credeva.

Il portellone era sbarrato. Non c’era alcuna traccia di nessuno che fosse passato di lì nelle ultime ore: persino i segni nel morbido terreno scavati dalle casse erano intatti e nella stessa posizione che Samantha ricordava da quando erano partiti. Gettò lo sguardo verso l’alto e socchiuse le palpebre accecata da quella pastosa luce che si mischiava a delle nuove basse: quando trovò il sole, si ricordò che Equestria ruotava nel senso opposto al pianeta dove aveva vissuto, e dunque si rese conto che   era rimasta incosciente per più di ventiquattr’ore. Era mattina, non pomeriggio come avrebbe dedotto un ignorante che non conosceva il moto di quel pianeta attorno alla sua stella.

Dopo aver controllato il taglio nella zampa ed essersi assicurata che non fosse troppo profondo, Samantha si alzò in piedi e raggiunse il pannello sulla fiancata dello shuttle per aprire il portellone di carico. Quando lo attivò, una richiesta di password le impedì di proseguire: rimase interdetta qualche secondo, per poi cominciare a provare delle combinazioni. Provava e riprovava con un’espressione smarrita, ma l’unica cosa che continuava ad ottenere era il gracchiante suono d’errore che la pulsantiera le restituiva. Continuò così per parecchi secondi, mentre il suo volto si contraeva sempre di più in una smorfia di rabbia e disperazione.

«Maledizione Watts…lurida figlia di puttana!» urlò mentre tirava delle poderose zoccolate contro la fiancata. Cominciò ad ansimare rumorosamente mentre si massaggiava l’arto già ferito: e ora? Quella stronza aveva bloccato tutto, ma perché? Una precauzione? Non doveva esserci anima viva su quell’altopiano, che motivo c’era di sigillare lo shuttle?

La pony si sedette dando la schiena alla navetta spaziale, con il capo chino a fissare l’erba sotto di lei che ondeggiava lievemente al soffiare della brezza. Springer era morto: quel pony così strano e burbero che a momenti aveva odiato era riuscito a scavare comunque un solco nel suo cuore. La prima cosa che aveva fatto in quella stanza maledetta era stata proteggere Samantha, schiacciarla sotto di lui per coprirla dai colpi. L’aveva accompagnata in quella missione, cercando a modo suo di sollevarle il morale e di tenerla con sé. E le aveva salvato la vita.

Dopo poco delle grosse lacrime iniziarono a rigare il suo viso. Samantha pianse come mai aveva fatto nella sua vita, liberando tutta la tensione che aveva accumulato in quei giorni infernali. Si dimenava ed urlava parole sconnesse, a volte chiamando Ashley, altre volte Springer, altre ancora i suoi genitori. Sbatté la testa contro il terreno disperandosi ancora: voleva solo andare via, andare via…via.

Desiderò morire. Desiderò aver bruciato come Springer, e aver abbandonato quel mondo che mai era stato buono con lei. Voleva scappare da quel corpo dolorante e malridotto, abbandonata a sé stessa in un mondo alieno che si muoveva minaccioso attorno a lei. Da terra percepì il fucile ancora legato al suo fianco: lo prese in zoccolo, lo ruotò e lo poggiò davanti a sé. Ora poteva vedere la lunga canna di quell’arma puntare dritta in mezzo ai suoi occhi, nera come la notte. Avrebbe tirato una piccola leva e tutto sarebbe finito, non avrebbe mai più sofferto, per sempre.

Chiuse gli occhi: il vento caldo del mattino le accarezzava la lunga criniera rossa brillante. Sentiva il freddo del metallo della canna premere contro la sua fronte. Trattenne il respiro, era una meravigliosa mattina per morire.

Devi tornare da me

Ashley. Lo stesso sogno, quello che aveva fatto quando aveva esalato l’ultimo respiro nello spazio, le apparve davanti agli occhi. Vide lo sguardo della pony verde acqua scrutarle l’anima, e non era solo il suo: vide gli occhi di sua madre, vide quelli di Springer e quelli di Anna. Vide tutto ciò che aveva avuto un valore nella sua misera vita, ancora una volta. Strinse i denti spingendo contro il fucile così tanto da lasciarle il segno sulla pelle ed urlò di nuovo.

Gettò l’arma lontano in mezzo all’erba. La pony aveva gli occhi arrossati dal pianto ed il volto sporco di terra e fuliggine, seduta lì davanti allo shuttle mentre fissava un punto imprecisato davanti a sé senza muoversi. Dopo un tempo che parve interminabile, si asciugò le lacrime con la zampa sinistra e tirò su col naso, ancora boccheggiante.

Imprecò ancora, ed osservò il suo nuovo MSU che attendeva in standby legato al suo arto: l’MSU del colonnello Springer che ora le apparteneva. Lo accarezzò quasi fosse una reliquia e si disse che sarebbe andata avanti, in qualche modo. Lo doveva a quel pony che in fondo aveva davvero creduto in lei. E lo doveva ad Ashley.

Si guardò intorno ancora una volta, come se potesse trovare una soluzione oppure un indizio: l’unica cosa che poteva vedere erano le montagne che cingevano l’altopiano e le fronde degli alberi all’estremità della radura. Non c’era niente, tutto sembrava tornato come prima: se non fosse stata coperta ancora di fuliggine avrebbe quasi pensato di aver sognato.

Samantha attivò il suo MSU decisa a cercare delle informazioni utili: ci mise poco a capire il sistema per muoversi attraverso le varie schermate, ma non ne ricavò granché. A parte elenchi di attrezzatura con strani nomi che non poteva comprendere, il sistema era equipaggiato con una radio VHF a corta distanza. Provò ad utilizzarla ma il computer non rilevava segnale su nessuna frequenza o nessun’altra unità attiva nel raggio di dieci chilometri. Quando cliccò sull’icona della mappa rimase ancora più delusa: come prevedibile il sistema non possedeva alcun dato sul territorio d’Equestria, e tutto quello che vedeva era una piccola freccia verde che rappresentava sé stessa in mezzo allo schermo nero. Fantastico, pensò.

Quando mosse un po’ lo zoom però, rimase colpita. Si accorse che il computer aveva tenuto traccia dei suoi spostamenti, probabilmente con dei giroscopi al suo interno: poteva vedere chiaramente che era tornata allo shuttle dopo aver girovagato in quel maledetto edificio poco lontano. Continuò a rimpicciolire la mappa fino a che nello schermo completamente nero comparve un’altra icona oltre alla sua frecciolina verde: quando la evidenziò usci fuori il nome di Canterlot.

Gli occhi di Sammy si illuminarono: Springer aveva inserito le coordinate della città! E aveva calibrato il computer all’arrivo dello shuttle per capire dove si trovasse! Anche se probabilmente era una prassi di missione e nulla di più, la ragazza ringraziò il pony paglierino con tutto il suo cuore per avergli dato quella possibilità: sapeva che se davvero il resto della squadra era riuscita a fuggire c’era solo un luogo verso cui potevano essersi diretti. Non c’era altro da fare.

Diede un’ultima occhiata al nero shuttle dietro di lei, raccolse il fucile che aveva gettato e si mise in marcia: allo stesso tempo, la freccia verde sulla mappa si mosse puntando verso quella lontana icona in mezzo al nulla. Non aveva cibo né acqua e sapeva che Canterlot doveva trovarsi a circa due giorni di cammino, ma non aveva altra scelta. La zampa destra aveva cominciato a dolerle di più, soprattutto dopo i colpi che aveva tirato allo shuttle: forse quella ferita non era così banale come credeva.

Dopo circa venti minuti aveva percorso l’interezza della pista d’atterraggio e varcò il limite opposto della radura. Gli alberi si facevano da sparpagliati a sempre più fitti ed il terreno iniziava ad inclinarsi notevolmente verso il basso, ma la ragazza perseverò continuando la sua discesa dall’altopiano.

Ore dopo stava ancora camminando in quella gigantesca foresta che si era fatta più cupa e minacciosa, ma finalmente era scesa più o meno al livello del mare, segno che aveva abbandonato la catena di piccole montagne in cui quella base aerea era nascosta. In tutto quel tempo non aveva incontrato alcun segno di vita intelligente, né un campo né un sentiero né un’impronta. Solo silenzio e piccoli animali della foresta che strisciavano qua e là spaventati quando la sentivano arrivare.

Ormai le zampe le facevano terribilmente male, insieme alle spalle che reggevano il peso di quel grosso fucile che si era portata appresso. Ma continuava a camminare, lenta e costante. Mangiò qualche bacca trovata nei cespugli pregando con tutta sé stessa che non fossero velenose e proseguì, anche se quello scarno pasto non poteva averle dato granché energia. Non era nemmeno riuscita a trovare un ruscello ed era terribilmente assetata: sentiva il palato e la lingua che si stavano gonfiando man mano che il tempo passava.

Giunta ormai la sera la pony era stremata. Aveva seguito tutto il giorno il suo cursore sull’MSU che si era spostato un bel po’ verso l’icona di Canterlot. Certo, mancava ancora tanta strada, ma si sentiva soddisfatta del punto che aveva raggiunto. Si sedette finalmente tra due cespugli riprendendo fiato, mentre le ultime luci del tramonto penetravano attraverso le foglie della grande foresta che davvero sembrava non avere fine.

Accese la torcia del suo computer da zampa e cominciò a guardarsi intorno per cercare un giaciglio per la notte. Continuava ad avere una sete incredibile, ma non era riuscita a trovare nulla da bere: cercò di non pensarci mentre raccoglieva un po’ di foglie contro il tronco di un albero con le ultime forze rimaste. Doveva raggiungere quella città, era il solo modo per riuscire a salvarsi. Era sicura che dopo quello che era accaduto Pimpez avrebbe ordinato la ritirata e sarebbero tornati sulla Pardatchgrat in fretta e furia: l’unico problema era trovarli. Ma se le sue preghiere erano state esaudite, anche loro si stavano dirigendo verso l’unica meta di cui avevano parlato.

Pensò a Sparkey che aveva probabilmente aspettato un contatto radio per due giorni interi e alla preoccupazione che di sicuro aveva attanagliato Ashley da quando avevano smesso di rispondere. Aprì di nuovo la radio del suo MSU, ben consapevole che non avesse alcuna capacità di poter contattare la nave e la fissò pensierosa. Sbattè le palpebre mentre si stendeva a terra e si ripromise di andare avanti, di non mollare. Quell’icona sulla mappa le aveva impedito di arrendersi quella mattina, e ora voleva solo portare a termine il suo obiettivo.

Mentre rifletteva, il silenzio della sera venne improvvisamente interrotto da un beep intermittente. Samantha sobbalzò sorpresa e guardò il suo computer: aveva lasciato la schermata di rilevazione radio attiva, ed improvvisamente un segnale era apparso sullo schermo. Un pallino, un altro MSU suppose la ragazza, a poche centinaia di metri da lei.

Si alzò di botto abbandonando il giaciglio e si incamminò nella direzione da cui proveniva il segnale. Il tramonto era quasi sul punto di terminare e tutta la foresta era tinta di un rosso scuro mentre Sammy si faceva largo tra i rami alla bell’e meglio. Improvvisamente vide una luce tra gli alberi, poco distante. Stanca e stordita com’era, non pensò affatto alle conseguenze e si alzò dirigendosi a passo spedito verso di essa. Il battito del suo cuore era accelerato di colpo e l’emozione la pervadeva.

«Ehi! Ho bisogno di aiuto!»

Samantha sbraitò e cominciò a sbracciarsi fino a che la luce sembrò girarsi nella sua direzione: prima esitante e poi più decisa la figura si avvicinò verso di lei. Samantha pian piano mise a fuoco chi fosse: la luce veniva da qualcosa che impugnava, sembrava una torcia…sì, una torcia montata su un fucile.

Ebbe un tuffo al cuore, terrorizzata di aver attirato uno di quei tizi che li avevano attaccati. Si mosse istintivamente per scappare via, ma guardando meglio si rese conto che si trattava di una figura familiare. Vide l’armatura mimetica, la camminata, il colore del manto e spalancò gli occhi.

«Watts! Watts, sono qui!» schiamazzò Sammy mentre cercava di muoversi il più possibile per farsi notare bene. La pony grigia però sembrava non venirle più incontro, si era fermata.

«Cazzo, ho una zampa messa male, aiutami!» urlò ancora la ragazza in preda alla disperazione, ma il caporale non si mosse. Samantha avvertì una strana sensazione da dentro il suo stomaco, e tutte le sue membra vibrarono di paura. Strinse gli occhi sforzandosi di guardare lontano, ed in un attimo vide che Watts stava puntando il suo fucile contro di lei.

Non ebbe davvero il tempo di realizzare la cosa, poiché in un battito di ciglia l’aria della foresta si riempì del suono dello sparo, anche se attutito da un silenziatore. Immediatamente tutto divenne nero e la pony perlacea cadde a terra esanime.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11

Il nulla. Era questo che Samantha percepiva attorno a sé: un profondo sonno senza sogni. Un sonno in cui era in qualche modo vigile ed intrappolata. L’oscurità l’avvolgeva mentre galleggiava leggera nell’infinito. Non sviluppava alcun pensiero, non poteva racchiusa lì dentro: tutto era statico, fermo ed immutabile. Era questa la morte?

Lentamente l’etereo nulla venne sostituito da qualcosa, uno stimolo, un sentore. Sì! Poteva sentire qualcosa formicolare, da qualche parte. Più il tempo passava più il formicolio prendeva forma: veniva dalla sua zampa! Quale però? L’anteriore destra. Sembrò come se Sammy fosse uscita da un profondo oceano di pece e riacquisì la presenza del suo corpo: sentiva le membra comparire pian piano, il suo addome, il suo collo, la sua testa ed infine i suoi occhi.

La ragazza li aprì lentamente risvegliandosi da quel misterioso stato e tutto ciò che vide fu un soffitto di legno. Il formicolio era ancora presente, era davvero sulla sua zampa.

«Basta ragazzi. Lasciatela in pace» disse una voce flebile e dolce dalla destra di Sammy. Improvvisamente, come ordinato, il formicolio sparì e la pony bianca si stiracchiò sentendosi straordinariamente bene. Non aveva più dolori di nessun tipo, il suo palato era tornato alla normalità.

Si mise seduta eretta su quello che si accorse solo allora essere un letto. Si trovava in una stanza di modeste dimensioni, completamente in legno come il tetto che aveva visto prima. Una moltitudine di piccoli mobili rendeva l’atmosfera calorosa ed accogliente. La luce del mattino entrava dalle finestre, segno che era svenuta per tutta la notte.

Un uccellino rosso si materializzò davanti ai suoi occhi volandole da dietro la nuca: volteggiò cinguettando qualche secondo attorno a lei per poi posarsi dall’altra parte della stanza. Fu allora che Samantha notò colei che aveva parlato poco prima: era una pony dal manto di un giallo molto simile a quello di Springer. Se ne stava nell’angolo della stanza a fissare il pavimento con la sua criniera lilla che si muoveva appena: ogni tanto alzava lo sguardo dando una timida occhiata a Sammy, ma tornava prontamente giù. Attorno a lei ogni sorta di piccolo animale si era radunato appollaiandosi su ogni mobile e tutti fissavano Samantha in silenzio: uccellini, scoiattoli, procioni ed un coniglietto bianco che sedeva un po’ più avanti degli altri con una faccia da sbruffone.

Sammy rimase interdetta da quello spettacolo decisamente strano, e ancora stordita dallo stato comatoso, si limitò a fissare a sua volta quell’assembramento per qualche secondo mentre muoveva lentamente le sue zampe.

«Ti senti bene?» chiese infine la pony senza alzare lo sguardo da terra. La sua voce era così soffice e bassa che per poco a Sammy parve di esserla immaginata.

La ragazza esitò qualche secondo «Umh…sì. Decisamente»

Subito dopo si accorse che la sua ferita sulla zampa destra era fasciata e che l’infezione era praticamente guarita non facendole più male.

«Sei…sei stata tu a curarmi?»

La pony rispose annuendo lentamente senza emettere un suono, sempre ferma sul fondo della stanza. La situazione stava mettendo Sammy decisamente a disagio mentre quegli animaletti continuavano a fissarla in religioso silenzio: non aveva mai visto una cosa del genere, sembravano finti da quanto stavano immobili e composti. Di certo nulla a che vedere con lo zoo di Pimpaina City.

«Eri in brutte condizioni quando sei svenuta nella foresta. Davvero tanto disidratata» aggiunse poi la tizia sostenendo un poco di più lo sguardo verso Sammy.

Fu allora che la pony si mosse leggermente distendendo le sue ali, come a stiracchiarle. Samantha rimase di sasso a fissare il primo pegaso che vedeva da così tanto tempo: era davvero surreale per lei sentir tornare quei ricordi nella sua mente, cose che credeva perdute per sempre. Tutto cominciava a prendere forma pian piano: Canterlot, la grande città, lei viveva lì. C’erano unicorni e pegasi in ogni dove, volteggiavano sulla sua testa di puledrina mentre camminava per andare a scuola tutte le mattine.

L’espressione sognante ed imbambolata di Sammy mise immediatamente a disagio la pony, che chiuse in un lampo le sue ali e si rannicchiò nuovamente nella posizione di prima a fissare il pavimento. Era davvero strana, ma sembrava in fondo solo molto timida, quindi la ragazza decise di farsi forza e prendere un poco di iniziativa.

«Ti ringrazio per avermi aiutata…come hai detto che ti chiami?»

L’altra si fermò per qualche istante, probabilmente pensando di non aver affatto già detto il suo nome. Ad ogni modo, rispose flebilmente mentre si passava uno zoccolo nella lunga criniera lilla «Fluttershy»

La situazione non sembrava sbloccarsi e Samantha stava esaurendo le sue poche cartucce di capacità sociali: si sentiva come quando aveva cercato di parlare con Watts davanti lo shuttle la sera prima della partenza.

Già, Watts…quella lurida stronza maledetta: Sammy fece un ghigno senza rendersene conto e Fluttershy reagì impaurita arretrando ancora di più nell’angolo della stanza. Le aveva sparato! Ed era sicura che l’avesse vista, non poteva aver sbagliato…un momento, le aveva sparato? Certo che sì: aveva sentito il boato ed era svenuta sul colpo per il dolore, ma non aveva nessuna ferita.

Cominciò a tastarsi di colpo ogni parte del corpo con una faccia sbigottita cercando una benda, del sangue, una crosta o qualsiasi cosa il proiettile potesse averle fatto. Fluttershy aveva smesso di guardare il pavimento e adesso la fissava con sguardo smarrito mentre la pony perlacea si muoveva disordinatamente.

«Non ho un’altra ferita a parte questa?» chiese Sammy di botto alzando la zampa destra fasciata «Non hai trovato nient’altro?»

La pony gialla continuava a guardarla insieme alla sua combriccola di animali con fare sempre più stranito. Scosse la testa e osservò Samantha continuare a tastarsi in giro per qualche altro secondo mentre mormorava cose incomprensibili fra sé e sé.

«E tu…come ti chiami?» chiese Fluttershy risvegliando Sammy da quei gesti sconnessi. La pony si fermò e rimase con la faccia inebetita per qualche istante a fissarla. Un incerto Sa di Samantha le sfuggì dalla bocca prima che potesse frenare la lingua: deglutì, sembrava avesse quasi un nodo in gola.

«Snowy Night» rispose infine mentre un brivido l’attraversava fin sulla punta della coda.

Le due rimasero in silenzio, mentre gli animali attorno a Fluttershy sembravano cominciare ad abituarsi alla presenza della pony bianca e si muovevano un po’ in giro restando comunque da quel lato della stanza.

«Sono magnifici» disse Sammy mentre si stiracchiava e si alzava definitivamente dal letto «Li hai addestrati tu?»

«Oh cielo, no!» rispose prontamente Fluttershy questa volta «Loro vivono qui con me, devi scusarli, sono solo un po’ stressati dalla tua presenza»

Samantha accennò un sorriso: aveva trovato la chiave per farla parlare un po' di più «Non preoccuparti, non avevo mai visto degli animali così…»

Si bloccò improvvisamente non appena alzata dal letto. La sua zampa sinistra libera e leggera; portò subito lo zoccolo destro su di essa e si tastò il pelo morbido con fare ansioso: il suo MSU era scomparso.

«Dov’è?!» tuonò con una voce a metà tra la rabbia e la disperazione. Al suono di quelle parole gli animali reagirono emettendo versi a più non posso e rannicchiandosi tutti di botto dietro Fluttershy, sempre nell’angolo della stanza.

«Il mio…bracciale,» si interruppe Samantha per cercare la parola giusta «dov’è finito?!»

Avanzò minacciosamente verso Fluttershy, ma si accorse allora che la poveretta tremava come una foglia guardandola attraverso la sua chioma lilla. Samantha rinsavì, fermandosi e distendendo i muscoli del suo corpo: prese a fare i suoi soliti respiri profondi chiudendo gli occhi nel mezzo della stanza.

«L’ho tolto» rispose Fluttershy con voce tremolante mentre ancora Sammy aveva gli occhi chiusi «E’ in quel baule. Mi dispiace tanto, avevo bisogno di assicurarmi che la tua zampa stesse bene»

Samantha riaprì gli occhi dopo l’ennesimo sospiro per scoprire che la pony si era messa a piangere. Singhiozzava molto piano, ma era evidente. Il cuore le si appesantì di colpo: non le era mai capitato di vedere una persona tanto fragile come quella tizia, e lo stress che aveva accumulato in quei giorni infernali stava mettendo davvero a dura prova il suo raziocinio.

«No, dispiace a me. Scusa se ho avuto questa reazione, sono molto scossa» disse poi cercando di avvicinarsi un poco a Fluttershy, ma questa si ritrasse all’unisono con tutti gli animali mentre ancora piangeva un poco.

«Quel bracciale…è molto importante per me. Avevo paura di averlo perso» continuò fissando il pavimento. Si sentiva davvero in colpa per quello che aveva fatto: quella povera stramba l’aveva raccattata dalla foresta e lei la ripagava urlandole in faccia dopo cinque minuti. Solito carattere di merda, proprio come diceva suo padre.

L’altra sembrò smettere almeno di piangere e con gli occhi umidi usò la zampa per indicarle un baule in fondo alla stanza. Samantha si girò e lentamente lo raggiunse gettando comunque ogni tanto un’occhiata dietro di lei. Quando lo aprì trovò l’MSU in perfette condizioni, appoggiato all’interno: lo prese in zoccolo sentendosi estremamente sollevata, ed un sorriso comparve sul suo volto. Svelta lo posizionò attorno alla zampa e lo serrò con un click avendo cura che lo schermo non si accendesse.

«Era della tua famiglia?» chiese Fluttershy riprendendo coraggio a parlare con quella strana ed imprevedibile pony misteriosa.

Sammy alzò lo sguardo ed il suo minuscolo sorriso scomparve immediatamente «No, di un amico»

L’altra annuì silenziosa mentre fissava con grande curiosità il vistoso computer. Un’ondata d’imbarazzo attraversò Samantha mentre cominciava a realizzare il fatto che non fosse una buona idea andare in giro con quel coso sulla zampa ora che era davanti ad uno di quei pony.

«Ho preso anche il tuo strano bastone. L’ho appoggiato di sotto accanto alla porta» aggiunse Fluttershy con la sua solita vocina.

La mente della ragazza ci mise qualche istante a capire che si stava riferendo al fucile. Le uscì un grazie incerto mentre le si rizzava il pelo al pensiero di quella scena paradossale. Doveva far sparire quella tutta quella roba il più in fretta possibile, ma come poteva?

Improvvisamente si sentì un forte bussare ad una porta proveniente dal piano di sotto. Lo sguardo di Fluttershy si rianimò e senza dire una parola si fiondò fuori dalla stanza e giù per le scale, seguita dai suoi animali. Solo uno si fermò qualche secondo sull’uscio della stanza a guardare Samantha con un’espressione indagatrice: era lo stesso coniglietto bianco di prima.

La pony perlacea rimase da sola nella stanza senza sapere cosa fare. Poteva sentire che la porta era stata aperta e qualcuno era entrato in casa chiacchierando con Fluttershy. Quella situazione non andava bene per niente, doveva andare via: meno interagiva con quell’indigena e meglio era. Ma andare dove? A Canterlot? Era ancora una buona idea dopo quello che Watts le aveva fatto? Ormai nulla aveva più senso, non era al sicuro da nessuna parte su quel pianeta maledetto.

Mentre ancora rifletteva, Fluttershy comparve di nuovo in cima alle scale seguita da un'altra pony.

«Sono arrivata appena ho potuto, Fluttershy. Spero sia urgente, ho lasciato il povero Big Mac a finire di sistemare quell’albero da solo»

La tizia aveva un grande cappello a tesa larga sulla testa. Appena vide Sammy rimase sorpresa facendo ondeggiare la sua lunga treccia bionda.

«Oh! E lei chi è?» esclamò mentre le due entravano nella stanza. Non era chiaro chi fra Samantha e Fluttershy fosse più a disagio.

«Mi chiamo Snowy Night» rispose Sammy poco convinta. Fluttershy si riposizionò nell’angolo di prima osservando le due da lontano.

La nuova pony color ambra la squadrò velocemente soffermandosi anche lei sul vistoso bracciale che portava alla zampa «Io sono Applejack, zuccherino». Si voltò poi verso Fluttershy che rimaneva ferma come sempre «Come mai è qui da te?»

«L’ho trovata stamattina presto nella foresta di Everfree, mentre portavo da mangiare ai serpenti. Era svenuta» rispose lei un po’ più serena per la presenza dell’amica.

«Cavolo! Devi aver preso una bella botta, è sempre pericoloso andare nella foresta da soli» disse Applejack sorridendo candidamente a Sammy. La ragazza si sentì sollevata: quella pony sembrava essere normale, sicuramente meglio di quella stramba con gli animali nell’angolo che le fissava.

«Non ti ho mai vista qui a Ponyville. Sei di passaggio?»

Samantha fu colta alla sprovvista da quella domanda. Cercò il più possibile di evitare che il suo volto la tradisse e sfruttò qualche secondo per pensarci su.

«Vivo a Canterlot»

Gli occhi di Applejack si spalancarono «Davvero? Diamine, hai un accento stranissimo, non ho mai sentito nulla del genere in tutta la mia vita. Di certo non suona come quello di Canterlot»

Sammy provò un brivido lungo la schiena, ma la pony color ambra sembrava genuinamente interessata alla faccenda senza alcuna malizia e attendeva una spiegazione.

«Applejack, credo che sia molto stanca» disse improvvisamente Fluttershy entrando nella conversazione. Si avvicinò alle due e posò una zampa sulla spalla di Sammy, come ad accarezzarla. La pony dalla criniera rossa si stupì di vedere Fluttershy così intraprendente: sembrava un’altra rispetto a quando si era svegliata sul letto poco prima.

«Ops! Scusa, hai ragione» rispose Applejack sistemandosi il cappello. «Ti accompagnerei in stazione Snowy Night, ma sarebbe inutile visto che è tutto bloccato»

Una stazione? Ma certo! Sì, ad Equestria c’erano i treni, se lo ricordava. Suo padre l’aveva portata qualche volta a vederli partire con i loro fischi e gli sbuffi di vapore.

«Bloccato?»

«Come la porta arrugginita di un fienile!» sentenziò la pony. «Sono tutti impazziti dopo il trambusto di due giorni fa»

«È stato orribile, Applejack,» disse Fluttershy cominciando a tremare «e Twilight non è ancora riuscita a capire cosa sia stato»

«Oh, andiamo! I pony hanno smesso di lavorare, i treni non vanno e per cosa? Per un rumore durato un istante?»

Applejack si voltò verso Sammy con sguardo serio «Beh, io vi dico una cosa: gran rumore o no, le mele maturano lo stesso e noi dobbiamo raccoglierle prima che sia tardi o addio sidro. Non ci possiamo permettere il lusso di aver paura agli Sweet Apple Acres»

«Quel rumore ha rotto le mie finestre!» ribatté Fluttershy con un’energia notevole per il suo temperamento. Erano passati pochi minuti e già Sammy aveva visto quella pony cambiare più volte.

Riprese poi subito a tremare «Ero già andata a letto, è stato terribile. Angel ha quasi avuto un infarto»

Detto questo, il coniglietto bianco di prima sbucò dal nulla sulla spalla di Fluttershy continuando a fissare Sammy con sguardo indagatore mentre la pony gialla lo accarezzava. Sarà anche stato carino e coccoloso, ma a Samantha sembrava proprio un piccolo bastardo.

Per il Grande Imperatore! Era successo davvero: tutta Equestria aveva sperimentato il loro boom sonico. E a giudicare dal fatto che persino i treni non circolavano, la cosa non era stata presa alla leggera. Gli occhi della pony dalla criniera rossa si spalancarono da soli e una lunga serie di oscenità si dispiegò nella sua mente.

«Ehi zuccherino, tutto bene?» chiese amorevolmente Applejack nel notare il volto di Sammy.

La ragazza scosse la testa mentre lo sconforto la avvolgeva. Non aveva più niente, niente! Tutto stava andando male nel peggior modo possibile e lei era soltanto una povera ingegnere che avrebbe voluto restare sulla sua nave e farsi i dannati affari suoi, invece che andare in giro per pianeti ad assassinare principesse.

«Sì, sono solo un po’ scossa» rispose con voce tremolante.

Applejack le si avvicinò un po’ di più sfiorandole la zampa con la sua «Sta tranquilla, ormai sono passati due giorni. Vedrai che non succederà nulla». Gettò un’occhiata di sufficienza a Fluttershy «Non dobbiamo farci prendere dal panico senza motivo»

La pegaso si alzò in volo a qualche centimetro da terra ed incrociò le zampe in un gesto di offesa. Samantha la guardò affascinata prima che Applejack le rivolgesse la parola «Allora, hai un posto dove stare qui a Ponyville?»

Sammy abbozzò senza sapere cosa dire e fece cenno di no con la testa.

«Oh, cielo! È proprio un problema! Questo è il mio unico letto ma credo di poter dormire anche sul divano» disse Fluttershy in preda al nervosismo mentre ancora volava a mezz’aria

Al sentire quelle parole, Angel trasalì e cominciò a squittire in maniera molto agitata. A giudicare dalla faccia che fece Fluttershy, il coniglietto stava dicendo delle cose davvero poco carine «Smettila Angel. Questa è un’emergenza. Per qualche sera non avrai il divano tutto per te»

«Frena, Fluttershy. Non c’è bisogno che ti scomodi così tanto» le rispose Applejack «La ragazza può stare da noi»

«Ma è ancora debole! Avrà bisogno di altre cure»

«Rilassati, non è un caso se Granny Smith ha cresciuto tre nipoti sani e forti. Sarà in buoni zoccoli»

Samantha assistette a quella conversazione completamente sbalordita. Davvero quelle due stavano offrendo così la loro disponibilità, a lei? Una strana sconosciuta persa nel bosco? Aveva fatto letteralmente piangere la povera Fluttershy pochi minuti prima e adesso quella pony si stava preoccupando così tanto per lei al punto da cederle il suo stesso letto.

«Beh, allora credo che vada bene» disse Fluttershy calmandosi e atterrando finalmente sul pavimento «Ma promettimi che mi farai sapere come sta»

«Puoi venirci a trovare quando vuoi» ridacchiò Applejack «Due zoccoli in più farebbero proprio comodo in questa stagione»

Detto questo la pony color ambra si voltò verso Samantha mentre si aggiustava il grande cappello da cowboy «Allora è deciso! Puoi stare con noi alla fattoria finché i treni non ricominceranno a circolare. Tornerai a Canterlot il prima possibile»

Sammy era senza parole. Continuava ad alternare occhiate ad entrambe le ragazze che le sorridevano candidamente. Erano tutti così i pony d’Equestria? Se qualcuno avesse bussato alla porta di un appartamento nel centro di Pimpaina City chiedendo aiuto si sarebbe probabilmente beccato un colpo di pistola nella zampa; o peggio, sarebbe stato arrestato. Non aveva mai dimenticato la volta in cui una volante del Pimpaina City Police Department si era fermata sul ciglio della strada mentre lei stava camminando verso la scuola. Qualche istante dopo due poliziotti stavano prendendo a calci un senzatetto con una tale violenza che il poveretto era svenuto. Lo avevano immediatamente caricato sui sedili posteriori ed erano sgommati via a sirene spiegate.

«Io...non so cosa dire» bofonchiò la ragazza «Grazie, davvero»

«Stai scherzando? La famiglia Apple non lascerebbe mai per strada un pony nel momento del bisogno» la rincuorò Applejack orgogliosa. «Adesso però è bene che andiamo, non posso abbandonare Big Mac per tutta la mattina»

Detto questo la pony si girò e fece per scendere al piano di sotto. Fu allora che Sammy notò per la prima volta il suo cutie mark: tre mele di un rosso scintillante. Delle farfalle rosa adornavano invece il fianco di Fluttershy, che la fissava sorridente. Samantha si sfiorò istintivamente il tatuaggio come a volersi assicurare che fosse ancora lì: era talmente ben fatto che era quasi impercettibile sotto gli zoccoli. Conosceva già i veri cutie mark dei suoi genitori, anche se erano sempre stati perennemente coperti di vernice, ma vederne dei nuovi, reali, davanti a lei era davvero una strana sensazione.

Raggiunsero quindi l’uscio di casa di Fluttershy: anche al piano di sotto decine di animali circolavano indisturbate tra i vari mobili. Sul fondo del soggiorno si trovava un divano verde sul quale Angel sedeva trionfale: Fluttershy gli lanciò un’altra occhiataccia, ma il coniglio incrociò le zampe contrariato.

«Non dimenticare il tuo bastone, Snowy Night» le ricordò dolcemente la pegaso. Il grosso fucile d’assalto di Springer era appoggiato nell’angolo accanto alla porta.

«Wow, da dove viene quel coso? È veramente strano! Un po’ come quel tuo bracciale» disse Applejack incredula mentre avvicinava il suo viso alla zampa di Sammy per osservare meglio lo strano oggetto.

La ragazza si ritrasse nervosamente e raccolse in un lampo il fucile mettendolo a tracolla «Eh già,» ridacchiò forzatamente «è un’antica tradizione della nostra famiglia. Sono dei monili che vengono da molto lontano»

«Ma non era di un tuo amic-»

«Grazie mille, Fluttershy!» la interruppe Sammy abbracciandola di botto: la prima cosa che le era venuta in mente. La pony gialla si irrigidì e rimase stupefatta non sapendo come reagire mentre Samantha le pesava addosso.

«Ti sono grata per avermi salvata. Spero che ci rivedremo presto» continuò ancora abbracciata. Il suo cuore martellava a più non posso mentre pregava con tutte le forze che quella conversazione si chiudesse lì. Che il Grande Imperatore potesse maledirla, si era già tradita da sola! Non era facile tenere traccia della quantità di cazzate che si stava inventando di minuto in minuto.

Dopo qualche altro secondo, Fluttershy si sciolse e ricambiò l’abbraccio della pony perlacea senza aggiungere nulla. Le due si salutarono così e poco dopo Applejack e Sammy lasciarono il cottage immerso nella foresta: Fluttershy rimase a guardarle sulla porta per qualche istante e poi rientrò in casa.

«Che mi venga un colpo!» esclamò Applejack poco dopo che si erano allontanate «Non avevo mai visto Fluttershy abbracciare qualcuno che conosce appena. Certe volte facciamo fatica persino noi». Si avvicinò a Sammy dandole un colpetto su una zampa «Devi essere davvero una pony speciale»

La ragazza fece nuovamente una risata di circostanza. Camminavano piano nella foresta rigogliosa illuminata dalla luce del sole. Di sicuro quella zona era molto meno cupa e fitta di quella in cui Sammy aveva camminato per quasi tutto il giorno precedente, e poi almeno adesso avevano un comodo sentiero. Sentiva ancora le zampe stanche dallo sforzo, ma Fluttershy aveva fatto davvero un lavoro miracoloso su di lei.

«Sicura che non vuoi uno zoccolo?» chiese Applejack rompendo il silenzio «Posso portare io il tuo bastone se vuoi»

Samantha rabbrividì. «No, grazie. Davvero, faccio da sola» farfugliò. Strinse istintivamente il fucile tra gli zoccoli come a volerlo nascondere alla vista della cowgirl: era così strano per lei portarsi appresso quella macchina di morte in un mondo che le sembrava così puro. Non voleva neppure che Applejack lo toccasse e sarebbe stata grata se fosse sparito di punto in bianco, ma non poteva abbandonarlo così nella foresta.

Passò uno zoccolo lungo la canna e osservò quell’arma più da vicino: non ci capiva molto di quella roba, ma si accorse che c’era qualcosa di strano; non l’aveva notato il giorno prima, persa com’era nelle sue emozioni. Pur non essendo un’esperta, era sicura di non aver mai visto niente del genere né in accademia né addosso a nessun militare a bordo della Pardatchgrat. Ad una prima occhiata l’arma sembrava normale, ma la sua superficie era disseminata e ricoperta da delle sottilissime bande di metallo larghe qualche centimetro: correvano dal calcio fino allo spegnifiamma, qua e là assottigliandosi dove necessario.

«Beh, se ci tieni così tanto ti consiglio di metterlo via appena arriviamo» disse Applejack. «Se lo vede Apple Bloom sarà dura tenerla lontana»

Samantha annuì vigorosamente, contenta di poter nascondere tutta quell’attrezzatura: meno pony la vedevano e meglio era.

Passò qualche altro minuto in cui le due camminavano in silenzio. Le stranezze di quella pony avevano leggermente turbato Applejack, ma la ragazza si rasserenò pensando che fossero dovute alla sua stanchezza: era pur sempre svenuta nella foresta di Everfree dopotutto. E poi era di Canterlot, si sapeva che quelli della grande città erano dei ricchi eccentrici ed annoiati. Pensò per un’istante alla sua amica Rarity e a come sarebbe stata contenta di conoscere quella pony: chissà, magari quel bracciale che Snowy Night portava era una nuova strana moda.

Giunsero infine al limite della foresta: gli alberi si diradarono di colpo ed il panorama si aprì davanti alle due pony. Numerosissime colline galleggiavano in una pianura senza fine; l’erba rigogliosa ricopriva ogni angolo insieme a ciuffi di piccoli boschi sparsi qua e là come macchie sulla trama di un tappeto. Il paese di Ponyville con le sue casette sparpagliate dai tetti di paglia si snodava in un piccolo avvallamento davanti a loro e una piccola strada lastricata di pietre lo attraversava per poi proseguire. Aguzzando un po’ la vista, Sammy seguì quel filo grigio fino a riconoscere la silhouette del grande monte di Canterlot attraverso la foschia: le guglie del castello svettavano appuntite nella nebbia all’orizzonte.

La ragazza rimase a bocca aperta mentre una dolce brezza di vento le scompigliava la lunga criniera rosso fuoco che brillava al sole. La natura rigogliosa di quel luogo sembrava provenire da un’altra dimensione, dal paradiso forse. Malgrado avesse potuto ammirare la bellezza dei parchi naturali di Rüa decine di volte, nulla si avvicinava a ciò che aveva davanti. Non aveva mai provato una sensazione così forte di trovarsi in un luogo familiare ma completamente estraneo ed etereo allo stesso tempo.

Una sola cosa però non tornava all’interno di quello che sembrava un meraviglioso dipinto: un grosso edificio appuntito svettava maestoso al centro di Ponyville. Decifrarne la forma era davvero difficile, dato che la sua superficie rifletteva e piegava la luce come niente al mondo: doveva essere di cristallo.

«Cos’è quello?» chiese Samantha indicando con la zampa la strana costruzione.

«Oh, quello è il castello di Twilight! Bello vero? Certe volte mi manca la vecchia biblioteca»

«Di chi?» chiese Sammy stordita.

Applejack la fissò sgranando gli occhi «Twilight Sparkle ovviamente, non sai che sta qui a Ponyville?». Le gettò un’occhiata scherzosa «Non tutte le principesse vivono a Canterlot. E io modestamente sono una sua grande amica»

«Una principessa?» si lasciò scappare Sammy sottovoce. Chi era questa Twilight Sparkle? A rigor di logica le principesse erano sempre state due: Celestia e Luna. Ma Luna era stata bandita molti anni prima da sua sorella quando si era trasformata in quel mostro di cui Sammy non ricordava il nome. Almeno così diceva la leggenda, ed era sicura che fosse proprio ciò che le avevano raccontato quand’era una piccola puledrina d’Equestria. Che fine aveva fatto Celestia? Sarebbe stato veramente ridicolo scoprire che colei che erano venuti ad uccidere fosse già morta.

Malgrado fosse più una domanda rivolta a sé stessa, Applejack la sentì e l’espressione con cui guardo Sammy non prometteva niente di buono.

«Snowy Night, sei sicura di sentirti bene?» fece una pausa «Twilight Sparkle è la principessa dell’amicizia, abbiamo salvato Equestria un sacco di volte»

Samantha aggrottò istintivamente un sopracciglio e un lievissimo sorriso le comparve sul volto: principessa dell’amicizia? Ma cosa si erano fumati questi?

Cercò di camuffare il suo sarcasmo e mantenne un’espressione smarrita «Non so Applejack, credo che la botta che ho preso alla testa mi abbia fatto perdere la memoria»

L’espressione della cowgirl si rilassò ma rimase comunque seria «Direi proprio di sì. Curare una cosa del genere è troppo anche per Granny Smith»

Le mise una zampa sulla spalla e la spinse delicatamente «Vieni, sbrighiamoci ad andare a casa. È il caso che Twilight ti dia un’occhiata appena possibile»

«Quella Twilight?»

Applejack rise di gusto «Proprio lei». Poi scosse la testa «Diamine Snowy, sei messa male, eh? Mi ricordi quando Big Mac si è beccato una trave in testa»

Samantha si ammutolì e preferì non aggiungere nulla per non peggiorare ultimamente la situazione. Sembrava che Applejack si fosse bevuta la storia dell’amnesia, quindi poteva avere un po’ di margine su tutte le cose che non sapeva su Equestria. E forse incontrare questa principessa poteva esserle utile: di sicuro avrebbe potuto raggiungere Canterlot molto più in fretta con il suo benestare, sempre che avesse un qualche vero potere...questa principessa dell’amicizia. Doveva davvero fare attenzione a non ridacchiare pensandoci.

Continuarono a camminare costeggiando il villaggio per qualche altro minuto, fino a che il grande recinto di una fattoria non fece capolino dietro le case. Un imponente meleto si dipanava di fronte alla coppia di pony, con al centro un grosso edificio dipinto di rosso: era decisamente rustico, con assi di legno inchiodate alla bell’e meglio qua e là e dava più l’idea di essere un fienile che una casa. Evidenti segni di riparazioni successive la facevano sembrare una struttura quasi pericolante.

Applejack attraversò velocemente il cancello del recinto sotto la grossa scritta Sweet Apple Acres e invitò Sammy a seguirla. Non appena entrambe furono alla base della grande casa rossa, una piccola puledra ne venne fuori correndo a più non posso verso di loro.

«Sorellona! Dove sei stata? È tutta la mattina che Big Mac ti cerc-»

Si interruppe bruscamente nel notare Samantha. La ragazza fece un timido sorriso imbarazzato e prima che potesse fare qualunque cosa, la bambina si fiondò su di lei.

«Ciao! Io sono Apple Bloom, tu come ti chiami? Che razza di bastone è quello?»

«Calmati scricciolo!» rise Applejack prendendo la sorellina di peso e staccandola da Samantha. Si inginocchiò per abbassarsi alla sua stessa altezza e le disse «Lei è Snowy Night, ha preso una bella botta ed è svenuta nella foresta ieri sera, starà con noi qualche giorno finché non potremo rimandarla a Canterlot, ok?»

La puledrina ascoltò con attenzione, poi si voltò verso Samantha sorridendo e annuì vistosamente. Aveva anche lei il manto di un giallo molto simile a quello di Springer, ma con una lunga criniera rossa brillante raccolta in un grande fiocco rosa che le rimaneva sopra la nuca.

Samantha si bloccò improvvisamente mentre il volto del colonnello le si stampava nella mente alla vista del pelo del suo stesso colore. «Ciao piccola» disse infine cercando di sfoderare la voce più dolce che poteva. L’idea di conoscere un’intera famiglia di quei pony non l’allettava per niente, voleva solo andare via. Ma per il momento stare al gioco era l’unica cosa che poteva fare.

«Accidenti! Hai l’accento più assurdo del mondo!» esclamò Apple Bloom per poi beccarsi una zoccolata sulla testa dalla sorella.

«Va' a chiamare la nonna, subito!» le intimò Applejack, e la puledrina corse di nuovo in casa.

Con un sorriso ed un cenno del capo, la cowgirl invitò Samantha ad entrare a sua volta. La pony varcò così l’uscio di quella casa mentre imbracciava ancora il grosso fucile d’assalto: l’ambiente era quello di una tipica casa di campagna con un grande camino nella stanza principale. Tutto intorno a lei era di legno, un po’ come la casa di Fluttershy, ma decisamente più rustico e meno grazioso. Le mura erano disseminate di fotografie e persino ritratti che sembravano venire da ogni epoca: il simbolo della mela rossa era onnipresente.

«Fa come se fossi a casa tua» disse Applejack mentre si affacciava su per le scale assicurandosi che la sorella stesse facendo quello che le aveva chiesto.

Samantha rimase ritta come un fuso in mezzo alla stanza con un mezzo sorriso mentre si guardava in giro. Non dovette attendere molto perché qualche attimo dopo un forte rumore di zoccoli fece capolino dalle scale.

«Per tutti i torsoli di mela!» urlò una voce roca, e subito dopo cacciò un forte colpo di tosse. Un’anziana pony verdognola con la chioma ingrigita dalla vecchiaia la raggiunse zoppicando leggermente mentre la scrutava con sguardo indagatore. Applejack era ancora lì accanto.

«Nonna, lei è…»

«Questa ragazza è denutrita! Non ho mai visto un pony così scheletrico in vita mia, ci credo che non ricorda un fico secco» sbottò la vecchia tastando le zampe di Sammy senza neanche chiedere il permesso. Subito dopo le aprì la bocca per controllarle i denti e addirittura le alzò le palpebre, il tutto così in fretta che la pony perlacea non ebbe il tempo di reagire.

«Diamole subito la stanza per riposare! Le preparo qualcosa di caldo» e detto questo si fiondò in cucina iniziando ad armeggiare con giganteschi pentoloni. Samantha era rimasta di sasso, con ancora indosso il fucile.

Applejack fece un sorriso e ridacchiò «Lei è Granny Smith. Non puoi essere in zoccoli migliori»

L’altra non rispose, non sapendo se considerare l’essere scheletrica come un complimento per la dieta che aveva seguito o se avrebbe dovuto sentirsi offesa. Mentre era ancora stordita, Applejack la stava già accompagnando su per le scale verso la sua stanza. Al piano di sopra trovarono Apple Bloom, la sorellina, con un sorriso smagliante che le aspettava tutta emozionata.

«Vedrai! La stanza degli ospiti ti piacerà un sacco!» disse mentre saltellava sul posto.

«Sì, sì. Grazie zuccherino, ma adesso è meglio che tu vada giù. Parlerai con Snowy dopo» rispose la sorella maggiore mentre la spingeva verso le scale. La bambina cacciò un broncio e si avviò mesta, non prima di aver salutato Samantha un’ultima volta.

«Perdonami, è molto emozionata. Non abbiamo spesso ospiti qui,» le disse Applejack mentre le indicava la porta della sua stanza «soprattutto come te».

«In che senso?» chiese ingenuamente Sammy aprendo la bocca per la prima volta dopo svariati minuti. La cowgirl si rese conto della gaffe e esitò qualche secondo «Forestieri!»

Chiuse subito il discorso indicandole il grosso letto di legno a baldacchino «Riposati pure, sarai stanca. Come hai sentito ti porteremo qualcosa da mangiare». Fece un sorriso rassicurante «Appena ti sarai ripresa un po’ andremo a farti vedere»

«Da Twisleight»

«Twilight»

«Ah! Sì, giusto» abbozzò Samantha da dentro la stanza. Applejack non aggiunse nulla e chiuse la porta con un’espressione decisamente confusa e dubbiosa.

Samantha ingoiò aria a pieni polmoni ed emise un forte sospiro: finalmente era di nuovo da sola. Malgrado si fosse svegliata da poco, sentì addosso la tensione che si scaricava e la stanchezza che prendeva il sopravvento. Scandagliò la stanza ed in un attimo mise il fucile all’intero dell’armadio: si sentì immediatamente sollevata come se quell’arma pesasse un quintale.

Chiuse le ante e fece per dirigersi verso il letto, ma il suo sguardo cadde sull’MSU che ancora portava alla zampa. Fece un altro respiro profondo e decise che per il momento la cosa più importante era non dare nell’occhio: aveva già rischiato fin troppo. Dunque si slacciò il computer e ripose anch’esso nell’armadio, privandosi dell’unica guida che possedeva in quel mondo alieno. L’unità rispose con un beep ed entrò in modalità riposo; Samantha sussultò rimanendo imbambolata a fissare l’armadio: anche Fluttershy aveva sentito quel suono quando le aveva tolto il computer per la prima volta? In ogni caso non era successo nulla e la pegaso non aveva aperto bocca al riguardo: chissà, forse era talmente sbarellata da non essersene nemmeno accorta.

Scrollò la testa e con un ultimo slancio si adagiò sul materasso che trovò estremamente comodo. Molto più di qualsiasi branda o sacco a pelo. Non dormiva in un letto vero da tre mesi, se si escludeva quello di Fluttershy di cui non ricordava assolutamente nulla. Si stiracchiò appisolandosi mentre il sole saliva nel cielo della mattina: malgrado centinaia di pensieri le affollassero la mente, quello era il primo momento di serenità dopo tante terribili peripezie. Fu così che si addormentò.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Capitolo 12

Le vele gonfie di vento disegnavano tante mezze lune con le loro ombre sul grande ponte di legno. La luce rosea del tramonto tingeva un cielo macchiato qua e là da qualche nuvola vaporosa mentre la nave filava cheta ma veloce sulle piccole increspature dell’oceano. Quella sera la gigantesca distesa d’acqua era appena rigata da minuscole onde che si infrangevano debolmente sullo scafo malgrado la velocità. Moon Breeze era affacciata al parapetto quasi a prua: la sua chioma violacea sventolava libera come una bandiera mentre i suoi occhi azzurri scrutavano con attenzione la volta celeste che cominciava ad intravedersi nella luce della sera.

Dal primo momento in cui era salita su quella nave, il resto della delegazione diplomatica l’aveva trovata una cavalla decisamente bizzarra. Una giovane silenziosa che non appena poteva sgusciava via da noiose riunioni e si ritrovava sul ponte; ma non a guardare il mare: quello sarebbe stato più comprensibile. No, Moon Breeze aveva perennemente lo sguardo volto verso l’alto, che ci fosse la luce del giorno a nasconderle le stelle o meno.

E anche quella sera, ormai dopo qualche giorno di viaggio, lei era lì sul ponte deserto a scrutare il cielo. Nel lieve soffiare del vento udì dei passi composti e lenti dietro di lei.

«Magnifica serata, non è vero?» chiese una voce vellutata. Al suono di quelle parole Moon Breeze scattò voltandosi e chinando immediatamente il capo in segno di riverenza.

«Meravigliosa, consigliera Shuffle Sky» rispose fissando il pavimento.

«Oh, non c’è bisogno che tu sia così formale,» disse la diplomatica con un sorriso «sono solo venuta a dare un’occhiata quassù»

Moon Breeze si rilassò leggermente e nel silenziò si volto di nuovo appoggiata al parapetto ad ammirare il cielo sopra di lei. Shuffle Sky rimase ad osservarla pensierosa: avrà avuto una ventina d’anni più della giovane; il suo pelo di un marrone sbiadito era dipinto di rosso dalla luce del tramonto, la sua criniera dorata ondeggiava nel vento come quella di Moon Breeze, ma nel farlo sembrava in qualche modo essere più leggiadra e composta. Tutto era elegante di quella giumenta, una delle più importanti consigliere del califfo. Ogni volta che apriva bocca, il suono della sua voce suadente e sofisticata era in grado di ammaliare anche il più ostico degli oppositori. Quando Moon Breeze l’aveva incontrata su quella nave insieme al resto della delegazione si era fatta piccola come una formica, mentre il gruppo di eruditi la fissava con uno sguardo curioso e quasi divertito: che ci faceva una ragazzina su quella nave?

«Spero che il viaggio sia piacevole,» continuò Shuffly Sky dopo una lunga pausa «sono lieta che tu stia partecipando alle nostre riunioni con attenzione»

Moon Breeze annuì sorridendo senza distogliere lo sguardo dall’alto: scandagliava il cielo avanti e indietro, a destra e a sinistra, lenta ma metodica. La diplomatica si chiese come facesse a non avere la nausea dopo minuti interi passati in quel modo.

«Ma credo che stare qui per te sia molto più allettante» ridacchiò Shuffle Sky.

«Non c’è niente» disse Moon Breeze in un bisbiglio che quasi si perse nel vento.

«Prego?»

La ragazza dal manto roseo alzò uno zoccolo verso la volta celeste che ormai appariva quasi del tutta formata mentre il sole era svanito sotto l’orizzonte «Il cielo. È calmo, troppo calmo. Non è più successo nulla da quella sera»

«Oh,» esclamò Shuffle Sky nella sua grande compostezza «adesso capisco il perché delle notti passate sul ponte». Si voltò a guardare l’oceano vellutato che si perdeva nel cielo scuro «Degna erede del padre, sempre con lo sguardo verso le stelle»

«Non siete preoccupata?» chiese Moon Breeze tornando a guardare la giumenta dietro di lei.

Shuffle Sky sorrideva con un’espressione enigmatica e serena «È normale che talvolta delle comete cadano dal cielo. La collezione del califfo comprende meravigliosi cristalli che…»

«Voi non ci credete?» la interruppe bruscamente Moon Breeze. L’altra si ammutolì composta.

«Non credete che sia vero?!» berciò la ragazza che sembrava aver dimenticato tutta la sua riverenza mentre scrutava la consigliera con sguardo truce. Shuffle Sky non fece una piega.

«Come ho detto, non sarebbe certo la prima volta» rispose calma la diplomatica.

Moon Breeze scosse la testa mentre il suo respiro si faceva più accelerato «Nessuna cometa ha mai creato un boato simile. Quella luce in cielo…»

«La luce si è diretta verso Equestria» ribatté Shuffle Sky. «Infatti è lì che ci stiamo dirigendo»

Quel velo di dolcezza che aleggiava nelle sue parole era sparito. Seppure di fatto la diplomatica non avesse affatto cambiato espressione o tono durante quel discorso, Moon Breeze sembrò percepire che qualcosa era cambiato. In peggio.

«Se siamo tutti radunati su questa nave c’è un motivo, giovane Moon Breeze. Sua Altezza è preoccupato, e noi ci muoviamo di conseguenza» continuò Shuffle Sky. Gettò lo sguardo nel mare, lontano dalla ragazza «Ma talvolta il filo di lana della nostra vita può ingarbugliarsi, attorcigliarsi, e farci perdere di vista ciò che davvero c’è di importante»

Moon Breeze la fissava ammutolita mentre la notte aveva ormai quasi del tutto avvolto la nave con il suo scuro mantello. La consigliera tornò a fissare la ragazza, questa volta dritta negli occhi «In questi casi è bene che sia qualcun altro a sciogliere il nodo per noi, ad indicarci la retta via»

Fece una pausa. La sua voce delicata ma affilata squarciò l’aria pregna di salsedine «Tu, Moon Breeze, sei il nodo al filo di lana»

La ragazza rimase sbalordita spalancando inavvertitamente la bocca. Indietreggiò leggermente mentre con le zampe faceva scorrere goffamente il parapetto sulla sua schiena.

«Ma non è colpa tua» disse sospirando Shuffle Sky. In un attimo quell’aura velenosa e diretta era scomparsa, come un aculeo retrattile che scatta sulla preda.

«Se mio padre pensa che sia vero, allora lo è!» sbottò Moon Breeze. «Ha passato una notte intera a…»

«Tutti conosciamo le capacità e le gesta del grande Star Watcher, giovane Moon Breeze,» la interruppe Shuffle Sky imponendosi nuovamente su di lei «ma l’intelletto e il virtuosismo vanno bilanciati dalla ragione, dal buon senso»

La giovane cavalla si ammutolì di nuovo e rimase a fissare quella misteriosa giumenta davanti a sé. Lo sguardo di Shuffle Sky abbandonò la sua aura di serenità e divenne più serio «Il nostro regno sta vivendo la più lunga pace mai sperimentata nella storia. Il popolo prospera ed i rapporti con Equestria non sono mai stati così distesi»

Fece dei passi avvicinandosi molto a Moon Breeze mentre la fissava. Adesso la giumenta torreggiava sopra di lei «A noi queste condizioni servono. Ne abbiamo bisogno. E non sarà l’arrivo di una sciocca cometa a metterle a repentaglio»

«Ma…»

«Raggiungeremo Equestria. Faremo i nostri incontri e calmeremo le acque, come sempre. Tu sarai al nostro fianco in rappresentanza, nulla di più»

«Ma il califfo…»

«Il califfo è confuso, come dicevo. Io sono colei che deve sciogliere il suo filo ingarbugliato, per il bene di tutti noi»

Si ricompose allontanandosi dalla ragazza e passandosi uno zoccolo nella folta chioma color oro «Pertanto, in qualità di capo di questa delegazione, non intendo udire un’altra parola su questa faccenda»

La giovane non riuscì più a ribattere, schiacciata dalla sorpresa e dalla figura di quella giumenta così intimorente. Deglutì e abbassò lo sguardo, muta.

«Buona notte, Moon Breeze,» disse infine Shuffle Sky «che le stelle possano…guidarti»

Senza aggiungere altro, la diplomatica si voltò e andò via lentamente verso gli interni della nave. Moon Breeze rimase lì, rabbrividendo per il vento che si era fatto più fresco e umido da quando il sole era scomparso sotto l’orizzonte. Alla luce della luna l’acqua luccicava mossa dalle onde che via via si facevano sempre più grandi, increspando e riempiendo di spuma grigia quello che prima era un meraviglioso tappeto di velluto.

La giovane dal manto roseo volse un’ultima volta gli occhi al cielo: migliaia di stelle la guardavano da quell’oceano scuro, molto più scuro e profondo di quello che stava attraversando. Chissà cosa si nascondeva in quell’abisso senza fine, chissà quanto erano lontane quelle piccole luci che era stata istruita a riconoscere da quando era nata. La sua mente era offuscata dalla paura, quella di aver visto con i propri occhi il cielo piangere una lacrima di fuoco che si era abbattuta sulla loro testa sprizzando la sua forza devastante.

Padre, perché hai lasciato che andassi da sola?

Una stella cadente squarciò per un istante il firmamento. Moon Breeze chiuse gli occhi e tanti rivoli di lacrime cominciarono a solcarle il viso.

***

La prima cosa che Sammy vide fu uno smagliante sorriso ad un palmo dal suo naso. La pony balzò all’indietro mentre la leggera sonnolenza che accompagna il risveglio l’abbandonava di colpo.

«Wow! Attenta!» esclamò la voce squillante di una puledrina «Per poco non rovesciavi la zuppa!»

Samantha boccheggiava con la schiena appoggiata alla grossa spalliera di legno del letto mentre cercava di riprendersi. Accanto a lei, seduta sul letto, la piccola Apple Bloom la guardava con un misto di curiosità e sgomento. Quella reazione era decisamente inusuale per un risveglio, pensò la piccola, ma non poteva nemmeno immaginare ciò che Sammy aveva passato nelle ore precedenti.

Senza aggiungere altro, la bambina tornò a sorridere e raccolse la ciotola di zuppa dai piedi del letto, porgendogliela. La pony perlacea fissò la scena con un’espressione amebica per qualche istante, poi si riprese e raccolse la scodella ringraziando Apple Bloom con un cenno del capo. Anche quel riposo era stato tormentato da incubi; continuava a vedere il volto di Springer bruciare tra le fiamme e quello di Watts che senza battere ciglio le sparava ancora e ancora.

«Accipicchia! Il tuo cutie mark è bellissimo» esclamò dal nulla la ragazzina mentre si avvicinava pericolosamente alla coscia di Sammy «Cosa significa?»

Al suono di quelle parole la zuppa le andò di traverso e la ragazza cominciò a tossire. Si scansò istintivamente allontanando il viso di Apple Bloom dai propri fianchi: quanto diavolo era inopportuna quella bambina? Si era appena svegliata e il suo cervello faticava a processare la realtà in cui si trovava, figuriamoci fare da baby-sitter.

«Sono…sono una scrittrice» esitò Sammy mentre fissava evasivamente il soffitto «La piuma rappresent

«Sì, sì. Piuma e calamaio, giusto? L’abbiamo studiato a scuola. Troppo bello!» la interruppe Apple Bloom sempre più energetica ed entusiasta. Sammy rimase inebetita a guardare la bambina che saltellava tutta emozionata.

«Come lo hai ottenuto? No, aspetta! Non dirmelo!» continuò da sola la bambina «Devo subito chiamare Sweetie Belle e Scootaloo, ti adoreranno!»

Mentre urlava queste parole, Apple Bloom corse fuori dalla stanza e giù per le scale, lasciando una Samantha esterrefatta con ancora il muso sporco di zuppa e la scodella negli zoccoli.

La ragazza fece un respiro profondo e finì la zuppa, unico suo pasto da ormai molte ore, senza neanche concentrarsi sul sapore. Continuava ad essere troppo scossa per poter pensare a quella bambina e alle sue stranezze: l’unico obiettivo adesso era convincere quegli strambi pony primitivi a portarla a Canterlot. Non poteva fare altro, sebbene lo sguardo gelido di Watts che le puntava l’arma contro fosse fisso nella sua mente. Perché lo aveva fatto? Dov’era adesso? Chi erano quei figuri che li avevano attaccati? Di chi poteva fidarsi?

Applejack fece capolino dalla porta mentre Sammy era profondamente assorta nei suoi terribili pensieri. La cowgirl quasi si bloccò alla vista dello sguardo carico di dolore e perso nel vuoto di quella giovane pony. Era così strana, così misteriosa che non aveva fatto altro che pensare a lei mentre aiutava Big Mac nel meleto.

«Come va zuccherino? Piaciuta la zuppa?» le chiese per svegliarla dal suo torpore. Sammy si voltò verso di lei ed accennò un sorriso incerto mentre annuiva.

«Beh, è pomeriggio inoltrato, spero tu abbia ripreso le forze» continuò Applejack mentre le si avvicinava sorridente «Perché dobbiamo andare»

«Andare dove?»

«Al castello di Twilight» rispose la cowgirl con voce trionfale, poi il suo voltò si incupì «Siamo state chiamate tutte, credo abbia trovato qualcosa di grosso»

«Su quel boato?» chiese esitante Sammy.

«Penso proprio di sì» rispose Applejack molto seria «Stavo per chiederle di vederla, ma poi ho ricevuto questa chiamata e ho pensato che sarebbe perfetto portarti con me»

Applejack le si mise accanto e le fece l’occhiolino «È come calciare due meli in un colpo solo!»

Sammy sorrise di rimando e annuì non poco nervosa. Se davvero questa Twilight poteva aiutarla sarebbe stato ottimo incontrarla al più presto, ma l’idea di essere faccia a faccia con una principessa d’Equestria non l’allettava affatto.

Fu così che si alzò dal letto e si stiracchiò: effettivamente si sentiva molto meglio malgrado i terribili incubi; anche la zuppa le aveva ridato forza. Fece per uscire dalla stanza ma si bloccò: ci rifletté qualche secondo e poi aprì l’armadio per raccogliere il vistoso MSU che aveva riposto qualche ora prima.

Applejack fece un’espressione stupita, come se si fosse dimenticata di quel misterioso oggetto «Non ti stacchi proprio mai da quel tuo bracciale, eh?»

C’erano mille motivi per cui quella non era una buona idea. Primo fra tutti il farsi vedere in giro con un’apparecchiatura aliena. Ma Samantha non riusciva a sentirsi sicura senza quel computer che l’aveva portata fin lì: era la sua unica mappa e l’unico sistema che le avrebbe permesso di individuare o comunicare con i suoi compagni. Non poteva neanche sapere se sarebbe tornata più in quella stanza, pertanto aveva deciso di prenderlo con sé malgrado tutto. Dopotutto sembrava che quei pony non ci dessero molta attenzione.

«Già, è un cimelio molto importante per me» ripeté come aveva detto a Fluttershy mentre chiudeva la fibbia attorno alla zampa sinistra. Poi le due uscirono e si diressero al piano di sotto.

I grandi nodi del legno scuri che ricoprivano mura, tetto e pavimenti di quella casa rendevano l’atmosfera quasi opprimente. Nel grande soggiorno, la vecchietta di prima sedeva su una sedia a dondolo intenta a lavorare a maglia. Accanto a lei c’era un grosso pony maschio, il primo equestriano che Sammy avesse visto, delle dimensioni simili a quelle di Springer. Il suo manto era color porpora e la criniera di un arancione un po’ spento.

«La ragazza si è già ripresa!» esclamò la vecchietta Granny Smith alla vista di Sammy «Lo dico sempre che un mestolo della mia zuppa fa miracoli»

«Snowy Night, questo è mio fratello Big Macintosh» disse Applejack indicando il grosso pony. L’altro non rispose ma accennò un gesto col capo mentre fissava Sammy in una maniera a dir poco intensa. Rimase lì, fisso senza dire una parola ad osservare la pony perlacea. La ragazza arrossì e cominciò a sentirsi a disagio, ma Big Mac non sembrava intenzionato a smettere. Per fortuna dopo qualche secondo Applejack la tirò a sé e le due uscirono di casa ritrovandosi nella grande tenuta degli Apple.

«Diamine, era da un sacco che non vedevo quello sguardo in mio fratello»

«Ah, davvero?» chiese Sammy rabbrividendo.

«Eccome! Mi sa che gli piaci, Snowy. E anche molto» disse Applejack ridacchiando e abbassandosi la grossa tesa del cappello sulla fronte «Ti conosco da meno di un giorno e mi hai già stupito più volte. Sembra che tutti si interessino a te»

Che culo fu l’unico pensiero che Samantha riuscì ad elaborare.

Si misero in cammino e ben presto il prato lasciò spazio alle piccole ma numerose casette col tetto di paglia del paese di Ponyville. Il suono appena lastricato e le costruzioni semplici davano proprio l’idea di un villaggio medievale, e con esso anche il livello tecnologico sarebbe stato lo stesso. Il castello di Canterlot era sempre visibile in lontananza, arroccato su quel grande monte che troneggiava sulla landa immersa nella foschia.

Le viuzze erano ricolme di pony di ogni tipo. Samantha si guardava in giro cercando di evitare che la sua bocca restasse spalancata: pegasi, unicorni ovunque! I ricordi della sua infanzia vorticavano nella sua mente mentre osservava quei pony uguali eppure così diversi da quelli di Pimpaina. Chi volteggiava nell’aria, chi andava in giro trasportando oggetti con la magia e chi allestiva bancarelle nella piccola piazza. Erano tutti così allegri e felici, sembrava di essere in una dimensione eterea, una recita, qualcosa che non può esistere nel mondo reale. Di certo non nel mondo lugubre e violento in cui Sammy aveva vissuto per tutti quegli anni.

La ragazza si fermò istintivamente ad annusare un grande mazzo di fiori viola esposti su una piccola bancarella lungo la strada: erano meravigliosi! Un fioraio così in centro a Pimpania sarebbe diventato ricco in un istante. La pony mercante le sorrise, ma Applejack con un tocco sulla spalla attirò nuovamente Sammy a sé. La cowgirl sembrava molto impaziente: salutò con dei cenni svariati pony senza però mai fermarsi; la sua espressione era molto seria.

Alla fine le case si diradano all’improvviso e le due si trovarono di fronte al grande palazzo che Sammy aveva intravisto la mattina dalle colline: era davvero fatto di cristallo! Una grossa base a forma di tronco d’albero si alzava verso l’alto dipanandosi in vari rami su cui appoggiava una struttura più tradizionale con tante finestre e balconi che si affacciavano su Ponyville. Una stella di cristallo acuminata ornava l’imponente costruzione che si ergeva per almeno una cinquantina di metri sull’esile paesino circostante.

Sammy rimase imbambolata a fissare quello che sembrava il disegno di un bambino svettare di fronte a lei in tutta la sua magnificenza. Era oltre ogni immaginazione, quella struttura non aveva senso architettonico né c’era alcun modo che quei pony potessero averla costruita. La risposta era solo una: magia.

«Ehi, zuccherino. Hai visto il melo mannaro?» le chiese Applejack sventolandole uno zoccolo davanti agli occhi e svegliandola dalla trance «Dobbiamo darci una mossa»

Samantha balbettò qualcosa cercando di scusarsi, ma la cowgirl non le diede il tempo trottando decisa verso il grosso portone. Quel castello non aveva alcun effetto su di lei, sembrava stessero facendo visita ad un’amica come se nulla fosse.

Non appena furono sull’uscio, la grande porta si aprì ed il volto di una pony rosa sbiadito fece capolino dall’interno.

«Ciao Applejack! Le altre sono già arrivate» disse amorevolmente. Samantha fissò a lungo il corno che si faceva spazio in una criniera viola e azzurra.

«Oh…chi è la tua…amica?» chiese la pony vagamente a disagio ad essere osservata in quel modo poco opportuno. Sembrava ormai che Sammy avesse perso il lume della ragione, bombardata com’era da continui stimoli e cose mai viste prima.

«È una lunga storia, Starlight» tagliò corto Applejack con una smorfia. Rimasero qualche istante immobili prima che l’altra capisse che Sammy doveva necessariamente andare con la cowgirl.

«Beh, entrate!» disse allora la pony riappropriandosi del suo sorriso e spalancando il portone.

Le tre percorsero il lungo corridoio di cristallo che si dipanava all’interno del castello. Applejack, più nervosa, sapeva già dove andare e camminava in testa, mentre la pony rosa si trovava a fianco di una Sammy che non faceva altro che guardarsi tutt’intorno, imbambolata com’era dallo scintillio del cristallo.

«Piacere, sono Starlight Glimmer» disse porgendo uno zoccolo alla ragazza dalla chioma rossa. Samantha si risvegliò per l’ennesima volta mentre stava fissando il soffitto e ci mise qualche secondo a realizzare la situazione. Rispose con uno Snowy Night biascicato che fece fare a Starlight un’espressione alquanto perplessa; la pony non riprese la conversazione e le tre non parlarono più durante il tragitto.

Dopo svariate scalinate sontuose e lunghi corridoi completamente deserti, delle porte si spalancarono su una grande sala rotonda al centro della quale si trovava un grande tavolo, ovviamente di cristallo. Sei differenti troni lo circondavano, ognuno con un particolare disegno ornamentale in testa.

Ciò che però catturò immediatamente l’attenzione del trio non fu la maestosità della sala, ma la gigantesca pila di libri accatastati alla rinfusa che occupava il grande tavolo centrale. Alla base di quello scempio, una manciata di pony sembrava discutere animatamente.

«Applejack! Finalmente!» esclamò una pony color lavanda in preda al nervosismo. Era quella che stava al centro del gruppo seduta su un altro mucchio di libri, più piccolo. Samantha si bloccò: quella ragazza era un unicorno, ma poteva chiaramente vedere un paio di ali piumate sui suoi fianchi. Era un alicorno! Era…

«Snowy Night, ti presento la principessa Twilight Sparkle» disse Applejack indicando l’amica con una zampa.

La principessa si bloccò e si rese conto solo allora della presenza di Sammy. La scrutò qualche istante un po’ interdetta «E lei chi sarebbe?»

Samantha ebbe un brivido di paura temendo il peggio: non conosceva il temperamento di questa principessa. Per quanto ne sapeva avrebbe potuto imprigionarla per capriccio.

«Una pony in difficoltà che ho trovato nella foresta» disse una voce dolce da dietro l’alicorno viola. Anche Fluttershy faceva parte di quella riunione: si voltò verso Sammy sorridendole.

«Già. Diciamo che ha subito delle…perdite di memoria» esitò Applejack per cercare di descrivere le stramberie di quella ragazza sbucata fuori dal nulla «Dobbiamo aiutarla»

Fu allora che lo sguardo indagatore dell’alicorno si sciolse in un sorriso «Allora sono certa che potremo fare qualcosa per te, Snowy Night. Non temere»

Samantha farfugliò qualcosa senza senso ed istintivamente si inchinò «È un onore, principessa»

«Chiamami pure Twilight» disse lei volandole accanto e sollevandole il volto da terra con uno zoccolo «Davvero, queste formalità mi mettono a disagio»

Sammy le sorrise di rimando come un’ebete e rimase lì immobile, senza sapere cosa fare, mentre il cuore le batteva all’impazzata. Un alicorno! Aveva davanti a sé un alicorno! Un’altra principessa, allora era vero. Che fine aveva fatto Celestia, il loro obiettivo?

«Wooooooow! Hai un accento che non ho mai sentito! Sembra che tu venga da un altro pianeta» urlò una voce acuta ed allegra. Subito dopo una pony rosa come zucchero filato si materializzò davanti a Sammy, come se si fosse teletrasportata. Iniziò a scuoterle la zampa a velocità elevatissima «Io sono Pinkie Pie, mi sembri super simpatica. Non vedo l’ora di…oh, oh! Puoi venire alla festa! Vieni anche tu alla festa, vero?»

«Pinkie!» urlarono tutte le altre in coro. La pony rosa si bloccò e con un balzo altissimo tornò al suo posto ridacchiando «Ops!»

«Scusala cara, è un po’…particolare» disse una pony bianca come Sammy ma dalla criniera bluastra estremamente acconciata. Da come si muoveva e parlava sembrava stesse cercando a tutti i costi di darsi un tono «Io sono Rarity»

«A dopo i convenevoli. Ora che siete tutte qui, possiamo parlare» sbottò Twilight. Dopo un lungo sospiro proseguì «Come immaginavo, l’esplosione dell’altra sera non prometteva nulla di buono»

Applejack sbuffò poco convinta dal fondo della stanza.

«Mi sono già confrontata con Celestia, e ho scoperto qualcosa di ancora peggiore: a quanto pare in Arabia Sellata è comparsa una gigantesca cometa infuocata diretta verso di noi»

L’intero gruppo esclamò per lo sgomento. Samantha irrigidì ogni muscolo del suo corpo per evitare che innumerevoli imprecazioni fuoriuscissero dalla sua bocca. Era un disastro. Se non altro aveva appena scoperto che Celestia era ancora viva.

«Quando dici verso di noi intendi verso Equestria?» chiese Rarity.

Twilight annuì grave «Ho passato gli ultimi giorni a cercare una soluzione senza sosta, e credo di aver trovato qualcosa. Ecco…dov’è? Dov’è il libro? Spike! Portamelo subito!»

Un draghetto viola attraversò la sala come un razzo con in mano un tomo molto più grande di lui. Twilight lo prese con la levitazione senza battere ciglio ed iniziò a sfogliarlo alla velocità della luce. Vista così da vicino era facile notare gli occhi arrossati e le rughe, segno del grande stress e delle notti insonni che la principessa stava affrontando.

Samantha guardava ammirata la magia per la prima volta dopo così tanti anni. Un libro volava da solo a mezz’aria davanti a lei, e quella cosa la mandava fuori di testa.

«Ah! Ah! Trovata!» esclamò l’alicorno viola fermandosi su di una pagina sbiadita ed ingiallita dal tempo. Le scritte erano così leggere da essere quasi incomprensibili.

«Esiste una leggenda,» iniziò Twilight aggrottando la fronte per leggere meglio «che risale ad un’epoca molto antica, ancor prima del regno delle principesse»

Tutti ascoltavano ammutoliti. Persino Applejack che si era sempre mostrata così insofferente alla cosa adesso fissava attenta l’alicorno.

«Da quel poco che sono riuscita a tradurre si parla di esseri che cavalcavano comete infuocate per raggiungere Equestria. Li chiamano pony delle stelle»

«Ed erano buoni o cattivi?» chiese l’ultimo pony presente nella stanza: una pegaso azzurra dalla criniera arcobaleno che svolazzava a mezz’aria con le zampe conserte.

Twilight scosse la testa «Non lo so, su questo volume c’è poco e niente. Dovrebbe esserci molto di più nella biblioteca di Canterlot: ricordo bene di aver visto una copia di…»

«Sì ok, ok, abbiamo capito» la interruppe la pegaso con fare annoiato. La principessa si ammutolì guardandola male.

«Non lo so, Twilight. Mi sembra una storiella per puledrini, sinceramente» disse quindi Applejack nel modo più delicato possibile. «E poi siamo proprio sicuri che i cavalli abbiano visto bene? Quei tipi sono davvero strani»

«Non convince neanche me, Applejack» ribatté l’alicorno viola. «Più che altro di solito ogni leggenda parla di creature magiche potenti e misteriose, qui invece ci sono dei semplici pony che vengono dalle stelle. È molto strano»

«Tesoro, forse dovresti riposarti un po’» disse Rarity. «Magari Applejack ha ragione: sono passati due giorni ormai e a parte qualche vetro rotto non è successo proprio nulla. Questa leggenda non mi sembra granché»

La principessa sembrò innervosirsi notevolmente al suono di quelle parole: era chiaro che fosse in preda all’isteria. Stirò le ali e sgranò gli occhi mentre fissava Rarity «Vi ho chiamate qui per aiutarmi. Sono due giorni che non dormo per trovare una soluzione e tutto quello che avete da fare è prendermi in giro?»

Il gruppo di ragazze mostrò una serie di volti preoccupati mentre Starlight Glimmer si avvicinava a Twilight per metterle uno zoccolo sulla spalla.

«Non è così Twilight, lo sai…» disse Fluttershy con la sua vocina

«…però non sarebbe la prima volta che, come dire, ti fai un po’ prendere dal tuo essere una secchiona?» disse la pegaso azzurra.

La principessa fece un ghigno mentre scostava con forza la zampa di Starlight. Urlò di rabbia e volò via veloce sbattendo una grande porta dietro di sé. Tutto il gruppo fissò la pegaso con severità.

«Che c’è? Ok, forse ho esagerato, però è vero!» si difese lei ancora a mezz’aria.

«Oh cielo, che figura abbiamo fatto davanti a Snowy Night» disse Fluttershy preoccupata tornando a guardare la pony perlacea che aveva assistito ammutolita a quella scena surreale. Improvvisamente si trovò gli occhi di tutti i presenti addosso.

«Adesso che abbiamo finito con le comete di fuoco, parliamo di feste!» urlò Pinkie Pie fiondandosi nuovamente su Sammy con un balzo «Vieni alla festa di stasera? Tipregotipregotiprego

Samantha balbettò sopraffatta «Che…che fest

«La festa per Maud, mia sorella! È tornata dalla sua accademia delle rocce! Non la vedo da un sacco e ci saranno tutti quanti, sarà fantastico!»

«Pinkie, lascia stare Snowy. Non sta ancora bene» le disse Applejack interponendosi tra loro due e scollando finalmente quella massa rosa di dosso a Sammy «Se si sentirà di venire, verrà. Ok?»

Pinkie Pie ci pensò su qualche istante emettendo un forte mh per poi esclamare «D’accordo! Tanto ho abbastanza torte e cupcake per tutti!»

«Fluttershy mi ha detto che sei di Canterlot, cara» disse Rarity avvicinandosi a Samantha. «Io adoro la capitale, ci vado ogni volta che posso»

La pony perlacea ridacchiò imbarazzata «Già, purtroppo faccio molta fatica a ricordare in questo momento»

«Caspita! La cosa deve essere davvero grave, allora! Come ci si può dimenticare dello sfarzo e dell’alta classe di Canterlot

«Si vede che non sta bene, da come risponde sembra addormentata» sbottò sarcastica la pegaso azzurra dall’alto della stanza. Subito dopo volò a velocità folle compiendo un’inutile acrobazia prima di fiondarsi accanto a Sammy, facendo allo stesso tempo cadere Rarity a terra per lo spostamento d’aria «Io sono Rainbow Dash»

«Fantastico. Adesso che vi siete presentate tutte, credo che sia il caso di chiedere scusa a Twilight» disse sarcastico e preoccupato il piccolo drago viola mentre sostava davanti al portone che la principessa aveva sbattuto.

«Ma dai Spike, rilassati» rispose Rainbow Dash annoiata «Questa storia è ridicola e lei si sta facendo prendere dal panico come sempre. Dopo tutto quello che abbiamo affrontato sapremo anche riconoscere una minaccia per Equestria, no?»

«Io mi fido di Twilight» rispose con voce flebile ma decisa Fluttershy. Sembrava però che tutte le altre fossero d’accordo con quel ragionamento.

Samantha era profondamente scombussolata da tutti quegli eventi, e trovarsi in un così folto gruppo di persone l’avrebbe fatta sentire terribilmente a disagio in condizioni normali, figuriamoci in quelle circostanze. La poca lucidità rimasta le fece però tirare un sospiro di sollievo: se davvero la principessa era l’unica convinta che il loro arrivo fosse qualcosa di strano, probabilmente la cosa sarebbe scemata in fretta.

«Magari la cosa migliore è parlarle alla festa,» disse Starlight Glimmer introducendosi nel discorso «così Twilight avrà tempo per darsi una lavata e calmarsi»

«Ottima idea! Le feste portano sempre allegria!» esclamò Pinkie Pie, poi cambiò espressione di botto in una di terrore «Che ore sono? È tardi! Devo ancora mettere tutto in forno!»

Così dicendo la pony rosa si scaraventò a razzo fuori dalla sala.

«Beh, direi che è stato tutto inutile» sentenziò Applejack «Che ne dite di andare? In effetti non manca molto alla festa»

Fu così che il gruppo ripercorse i corridoi a ritroso fino ad uscire dal castello. Dopo aver salutato Starlight Glimmer, ognuna delle ragazze corse via in una direzione diversa per andare a prepararsi. Samantha ed Applejack si misero in cammino verso casa.

«Mi dispiace che sia andata così,» iniziò la cowgirl «purtroppo è un momento molto particolare, e tutti sappiamo Twilight com’è fatta». Le pose uno zoccolo sulla spalla «Non preoccuparti Snowy Night, troveremo il modo di farti tornare la memoria»

Sammy fece istintivamente un sorriso amaro, di rassegnazione. Era bloccata in quel paesino in mezzo ad un mucchio di pony completamente folli, come avrebbe fatto a tornare a casa? Nonostante tutto però, il sorriso che Applejack le fece riuscì a scaldarle il cuore: sembrava che quelle ragazze sbarellate ci tenessero davvero a lei, e non facevano altro che dimostrarlo continuamente.

«Non sentirti in obbligo di venire alla festa, anche se penso che in fondo ti farebbe bene»

Le due avevano ormai lasciato il paese di Ponyville mentre il sole stava tramontando tingendo i contorni delle colline di un rosso acceso. Aguzzando la vista, Samantha riconobbe in lontananza il profilo frastagliato dei monti da cui era scesa nel suo terribile viaggio: dietro quelle creste rocciose si trovava la base militare nascosta. Era incredibile pensare che un tale luogo tecnologicamente avanzato potesse trovarsi nelle vicinanze di quel piccolo paesino, e soprattutto che le atrocità commesse all’interno potessero esistere in un mondo come quello.

«Potrebbe essere un’ottima occasione per parlare con Twilight del tuo problema. E ok, probabilmente Pinkie Pie si offenderebbe a morte se tu non venissi» ridacchiò Applejack ripensando alla sua amica.

«Davvero una tipa particolare» disse Sammy cercando di nascondere il suo sarcasmo.

«Vero,» rispose la cowgirl facendo spallucce «ma ti garantisco che fa i cupcake migliori d’Equestria»

Samantha sorrise genuinamente per la prima volta da quando aveva lasciato la Pardatchgrat. Riusciva davvero a sentirsi più leggera. «D’accordo,» disse «ci vengo»

«Allora sarà meglio sbrigarci» le rispose Applejack «Sei simpatica, sai Snowy

Qualche ora dopo le due passeggiavano nuovamente per le stradine di Ponyville, questa volta alla luce della luna. Con loro c’era Apple Bloom, anche lei invitata alla festa, che aveva passato tutto il tempo a saltellare intorno a Sammy raccontandole delle sue due migliori amiche e di come avrebbe organizzato una riunione speciale solo per lei.

Samantha aveva provato l’ebbrezza di farsi il bagno in una grossa tinozza di legno con dell’acqua gelata. Mai nella sua vita fino ad allora aveva rimpianto il triste gel detergente dell’astronave, così spartano ma almeno non traumatico.

Quando furono davanti al negozio Sugarcube Corner fu chiaro che erano arrivate: le luci ed il gran vociare all’interno erano inequivocabili. Le porte si spalancarono rivelando decine di pony che chiacchieravano animatamente. I soffitti erano decorati con striscioni di tutti i colori, mentre su lunghi tavoli era disposti centinaia di dolci di tutti i tipi, oltre a cappellini da festa di carta e altri giochi decisamente infantili.

Samantha fece un grosso sospiro e si fece coraggio cercando di vincere la sua ansia. In men che non si dica Pinkie Pie sbucò fuori dal nulla soffiando in una trombetta proprio sul muso della pony perlacea.

«Sei venuta! Sei venuta! Sono così felice…oh! Maud! Devo presentarti subito mia sorella, è la sua festa dopotutto»

Così prese Sammy da una zampa e la trascinò con sé velocissima attraverso la folla. Per un attimo la ragazza intravide le amiche di Applejack che la salutavano, ma sgusciò subito via tirata da Pinkie. In men che non si dica, con la testa che le girava, Sammy si ritrovò dall’altra parte del negozio.

«Snowy Night, lei è mia sorella Maud Pie»

Quando alzò lo sguardo, il cuore di Samantha si fermò. Le sue pupille si restrinsero a due spilli mentre tutto attorno a sé si trasformava in un ronzio ovattato. Gli arti le si irrigidirono fino a diventare di marmo, ed un terrificante brivido la percorse attraverso le membra come una potente scarica elettrica. La mente si annebbiò completamente, lasciandola inerme.

Davanti a lei, accanto alla gioiosa Pinkie Pie, c’era Watts.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Capitolo 13

Un urletto a dir poco fastidioso rovinò la canzone proprio sul più bello. Samantha si tolse gli auricolari e si voltò verso Anna che mostrava un’espressione di terrore.

«Che schifo!» disse la pony beige mentre si lisciava la lunga criniera bionda.

Sammy roteò gli occhi sbuffando «Anna, basta stare attenta e non appoggiarsi al vetro»

«Ho capito, ma è impossibile! La mia criniera finisce ovunque e questi sostegni sono luridi!» disse Anna lamentosa «Non capisco come fai con la tua»

«Allora non sederti!» rispose Sammy già più alterata «Se stai nel mezzo del vagone vedrai che non strofinerà contro nulla»

Anna si alzò dal sedile a fianco a quello di Samantha brontolando. Si mise di fronte a lei con le zampe allargate per avere più equilibrio «Odio la metro»

«Lo dici ogni volta»

«Perché è vero, ma in taxi ci metteremmo tropp-ehi, siamo arrivate!»

La pony beige raccolse uno zoccolo di Sammy e la trascinò con sé fuori dal treno prima che le porte si richiudessero. Si misero a ridacchiare fitte fitte mentre risalivano le scale mobili della grande stazione stracolma di pimpaini. Per quei grandi esseri rosa la cosa più facile era far finta che i pony non ci fossero proprio. Quando andava in giro per la città, non era raro che Samantha si sentisse più un’ombra che una persona. Soprattutto se le toccava interagire con qualcuno.

Presto raggiunsero la superficie e la gigantesca metropoli si aprì attorno a loro. Passeggiare per Pimpeda, il quartiere della moda e del lusso a due passi da Downtown, non era certo una cosa che Samantha faceva tutti i giorni. Più che altro perché non aveva alcun senso, visto che non poteva permettersi neanche un bottone dei vestiti di quelle marche così importanti. Ma quando era con Anna, tutto cambiava.

«Allora, abbiamo un sacco di giri da fare. Ho almeno dieci cose da provare» disse Anna tirando fuori il suo telefono e aprendo le schede di Uninet su cui aveva salvato i capi che più le piacevano.

Iniziarono a passeggiare lungo le fantastiche vie del centro. Lì l’asfalto era perfetto, i marciapiedi candidi, le aiuole potate perfettamente. Sammy continuava a riempirsi gli occhi di meraviglia ad ogni occasione, mentre Anna marciava a testa bassa sul telefono come un soldato dritto al suo obiettivo.

Qualche ora dopo, le due erano di nuovo vicine alla stazione della metropolitana. Adesso però sembravano una carovana di mercanti a giudicare dalla quantità di buste che entrambe portavano in ogni modo possibile: l’unica differenza era che dei mercanti non si sarebbero mai sognati di avere quei loghi sontuosi sulla propria merce.

«Cosa c’è di meglio di un pomeriggio di shopping per rilassarsi?» chiese Anna finalmente felice. Samantha le rispose con un sorriso forzato mentre faceva attenzione a non far strofinare a terra le buste della sua amica. Per quanto le piacesse Pimpeda, fare il facchino non era esattamente entusiasmante.

«Grazie amo, non so come avrei fatto a portare tutta questa roba senza di te» disse poi la bionda accarezzando la criniera ed il volto di Sammy. Improvvisamente, una scarica elettrica percorse la ragazza dal naso fino alla coda, e magicamente fare la porta pacchi non le sembrò più una brutta prospettiva.

Un messaggio fece vibrare lo smarphone di Anna: la ragazza lo raccolse dalla borsa con un complicato gioco di equilibrismo per non far cadere le altre buste. Quando lo lesse, il suo volto si illuminò «Mio papà è su in cima, chiede se voglio passare a salutarlo»

Sammy strabuzzò gli occhi. Qualunque abitante della grande P sapeva bene che ‘su in cima’ poteva voler dire solo una cosa. La ragazza dalla criniera rossa alzò la testa fino a guardare dritta in cielo: poteva chiaramente vedere una delle due grandi corna di vetro e acciaio pendere nel vuoto sopra di loro. Erano le parti sommitali del grattacielo più alto della città: il Pimpeda Center. Alla base un gigantesco centro commerciale, tanti uffici e ‘su in cima’, proprio in quelle corna di vetro, il più lussuoso ed esclusivo hotel della città.

A Lucas Harper piaceva stupire i clienti importanti affittando una delle sale conferenze lassù, malgrado la Harper Electronics possedesse già una bellissima sede a nord della città. Quando la posta in gioco era alta, era necessario un passo in più.

Per accedere all’hotel si utilizzava un ingresso laterale, diverso da quello che portava al centro commerciale. Era in cima ad una scalinata protetta da vari uscieri in abito, e i vetri oscurati non permettevano ai comuni mortali nemmeno di vedere che forma avesse il corridoio all’interno. Da lì, un ascensore portava dritti al centosettantesimo piano, dove si trovava la reception, fotografata pochissime volte solo dagli influencer più in voga.

Per le ragazze della città era un sogno anche solo pensare di visitare un luogo del genere. Ma ovviamente non per Anna.

«Potresti…venire anche tu?» chiese titubante la pony beige. Sammy ebbe un altro brivido: le sarebbe piaciuto così tanto vedere quel posto insieme a lei.

«Ma tuo padre cosa dirà?»

«Senti, tu sei la mia migliore amica! Deve accettarlo, questa storia non può andare avanti» rispose Anna prendendole uno zoccolo e trascinandola attraverso il grande viale alberato: di fronte a loro, la grande scritta Pimpeda Center si mescolava ai vetri cristallini della parete del grattacielo.

Samantha deglutì nervosa mentre l’ansia si impadroniva di lei. Allo stesso tempo però sentiva un calore crescerle nello stomaco nel vedere Anna così determinata a portarla con lei. E camminare zoccolo nello zoccolo era così bello.

Erano ormai alla base della scalinata laterale in pietra lavica. I buttafuori in cima avevano già riconosciuto la ‘signorina Harper’ e le fecero segno di salire pure, socchiudendo la porta a vetri scuri.

Improvvisamente il telefono di Samantha prese a squillare: quando se lo portò all’orecchio, l’espressione della ragazza mutò di colpo.

«Ciao Mamma»

‘Samantha! Dove cavolo sei? Hai finito la scuola tre ore fa, perché non sei a casa?’

«Sono in giro con un’amica» rispose lei balbettando.

‘Non me ne frega niente, devi tornare a studiare. Possibile che non fai mai nulla? E poi sarai di sicuro con quella biondona stupida, vero?’

Le si formò un nodo in gola. Anna la fissava qualche gradino più in su, ma la sua espressione faceva trapelare che aveva capito.

‘Ti ho detto mille volte che con quella non ci devi uscire. È una poco di buono e va male a scuola. Non è gente per te! Torna subito a casa o giuro che non ti faccio più vedere la luce del sole’ urlò Melanie Betz iraconda.

Samantha chiuse la telefonata mentre qualche lacrima cominciava a scenderle lungo il viso. Non ebbe la forza di guardare l’amica in faccia.

«Puoi lasciare le buste qui, non preoccuparti, le prendono loro» disse Anna asettica indicando i buttafuori.

Sammy annuì in silenzio con un’espressione mesta. Abbracciò la bionda che sospirava rumorosamente.

«Ci vediamo lunedì a scuola?» chiese Samantha con voce rotta.

«Certo» rispose Anna poco convinta.

La ragazza dalla criniera rossa non aggiunse altro. Lasciò l’amica imbambolata, si voltò e corse verso la stazione della metro pensando già alla terribile sfuriata che l’attendeva.

***

«Piacere»

La voce gelida che ben conosceva rimbombò nell’animo di Samantha fino a toglierle il respiro. Watts la fissava con il suo solito sguardo inespressivo, mentre Pinkie Pie la teneva per una spalla sorridendo a più non posso. Una folta criniera e coda viola erano comparse dal nulla, insieme ad un pesante trucco sulle palpebre, viola anch’esso. La tuta mimetica militare era stata rimpiazzata da un triste vestito color petrolio che le copriva i fianchi.

La pony rosa non sembrò accorgersi dello sgomento di Sammy. «Maud è stata via per un sacco di tempo a studiare le rocce! Finalmente è tornata» disse abbracciandola forte mentre l’altra rimaneva impassibile. Gli occhi spenti erano fissi su Samantha in un modo che sembrava quasi innaturale.

«Adesso le mie amiche!» urlò Pinkie Pie. Trascinò Samantha via da Watts perdendosi nella folla. Dopo qualche secondo, entrambe furono davanti alle pony che Sammy aveva conosciuto quel pomeriggio.

«Eccovi!» esclamò Rarity mentre sorseggiava un bicchiere di punch che levitava davanti al suo viso «Ci voleva proprio un po’ di relax dopo questi giorni così stressanti»

Le ragazze chiacchieravano allegramente in mezzo al frastuono della serata mentre Pinkie Pie continuava a scattare per il salone come una trottola impazzita, controllando che il buffet fosse sempre pieno. Sarebbe stato difficile in un tale momento di spensieratezza e trambusto accorgersi che una strana pony dal manto bianco stava tremando come una foglia.

La mente di Samantha vorticava come un potente tornado. Ogni centimetro del suo corpo le intimava di scappare, fuggire via. Nulla aveva senso in quel momento. Le risate e la musica si mischiavano in un mormorio ovattato che a malapena le giungeva alle orecchie, mentre la luce si contorceva e stingeva in tante chiazze confuse nei suoi occhi.

«Ciao, Snowy Night»

Il terribile torpore di Sammy fu risvegliato da una voce vicina. La principessa Twilight era accanto a lei, un po’ in disparte rispetto alle sue amiche: la sua espressione mesta e pensierosa non lasciava presagire nulla di buono.

«Ti stai divertendo?» continuò l’alicorno portandosi un muffin alla bocca e masticandolo svogliatamente. Il rumore di fondo aiutò a mascherare i singhiozzi di Samantha mentre cercava di rispondere.

«Io…io…sì, molto. Credo di dover andare al bagno» disse tremando.

L’altra sorrise appena e con la punta dell’ala destra le indicò il fondo del grande salone sul quale si trovava una porta. La pony perlacea balbettò qualcosa di simile ad un grazie che si perse nel trambusto della festa per poi voltarsi di scatto e cominciare a farsi largo attraverso la folla.

«Sta tranquilla per la tua memoria! Troveremo il modo di aiutarti!» le urlò Twilight vedendola scomparire tra gli invitati.

Samantha spintonò insistentemente decine di fianchi ornati da altrettanti cutie mark che le si stampavano negli occhi. In qualche decina di secondi raggiunse a fatica la porta di legno e la richiuse alle sue spalle: si ritrovò in una dispensa non molto grande, illuminata solo da qualche candela. Le pareti erano ricoperte di mensole ricolme di barattoli, mentre un’altra porticina conduceva verso delle turche che i pony d’Equestria usavano per i loro bisogni.

Di colpo, il rumore delle voci e della musica si ridusse ad un mormorio di sottofondo e la pony tirò un gigantesco sospiro. cominciando ad annaspare e liberando l’ansia accumulata. Delle lacrime cominciarono a scorrerle lungo il viso senza che se ne rendesse conto: era un pianto isterico. Che il Grande Imperatore potesse proteggerla: dove diavolo era finita? Il suo corpo si scuoteva in preda al panico, cedendo sotto il peso di quei giorni terribili di stress.

Mentre singhiozzava nel mezzo di quella dispensa in penombra fissando il pavimento, vide i contorni di un’ombra allungarsi verso di lei. Quando tirò su lo sguardo si trovò Watts di fronte, come se si fosse teletrasportata all’interno della stanza. Samantha cacciò un urlo di terrore e indietreggiò verso le mensole, mentre la pony grigia la fissava con la sua solita espressione di ghiaccio. La criniera e la coda viola sembravano così reali che quasi si poteva dubitare che fossero la stessa persona, ma Samantha non aveva dubbi: avrebbe riconosciuto quello sguardo terribile tra mille.

«Tu! Maledet-» cercò di urlare Sammy, ma in un battito di ciglia Watts la colpì al volto con una zoccolata poderosa. La pony bianca sbatté violentemente contro le mensole facendo cadere svariati contenitori: il pavimento cominciò a riempirsi di olio dei sottaceti misto al suo sangue.

Watts tornò in posizione aspettando qualche istante mentre la pony perlacea annaspava in preda a degli spasmi: il modo in cui si era mossa era incredibile, con una velocità ed una tecnica impressionante. Samantha cercò di rialzarsi terrorizzata, ma Watts la colpì su un fianco facendola rotolare per terra: un nuovo fiume di dolore attraverso il suo corpo mentre urlava.

«Lurida troia!» imprecò Samantha con le poche forze che le rimanevano mentre si rannicchiava contro il muro.

«Adesso capisco» disse la pony cinerea con un tono glaciale.

Sammy la fissava con gli occhi arrossati, in un angolo, con la criniera imbevuta di lacrime, sangue ed olio, mentre si proteggeva le ferite.

«Che…cazzo?» bisbigliò con il poco fiato che le rimaneva.

«So bene dove ho mirato. Ti ho preso in testa, ti ho vista cadere a terra» continuò Watts con estrema calma «Ma non sei morta»

Detto questo, la pony cinerea si voltò e raccolse in un lampo un grosso coltello da cucina appeso al muro: continuava a muoversi come mai aveva fatto prima, con una velocità ed una maestria che non erano proprie di nessun pony che Samantha avesse mai visto.

«Non è ammissibile mancare un bersaglio tre volte» disse ancora voltandosi verso la pony con l’arma affilata che rifletteva minacciosa la debole luce della stanza.

Gli occhi di Sammy si chiusero in due fessure. «Sei…sei stata tu!» disse con un filo di voce mentre il corpo carbonizzato di Springer le compariva davanti agli occhi. Ora tutto aveva senso, persino la valvola del carburante dello shuttle era stata una montatura per toglierla di mezzo.

Adesso quella figura spettrale troneggiava sul corpo della povera Samantha.

«Sarebbe stato molto più facile, indolore e soprattutto pulito» rispose Watts facendo spallucce e dando un altro calcio alla pony. Samantha rispose digrignando i denti e urlando di dolore mentre sentiva il suo stomaco spappolarsi: non aveva mai sofferto così tanto in vita sua. Era cosciente per miracolo mentre il suo cuore pulsava e martellava forsennatamente.

Watts sbuffò fissandola contorcersi con la tranquillità di chi sta gettando una cartaccia in un cestino. Si guardò attorno per un istante valutando la scena, poi schioccò le labbra e sollevò il coltello. Samantha riprese ad urlare con tutto il suo fiato, terrorizzata. La sua mente non pensava, nulla esisteva più. Ormai era finita.

 «Mauuuud!» urlò la dolce voce di Pinkie Pie da dietro la porta: Watts si voltò di scatto. La testa di Samantha si schiarì improvvisamente, e la pony sentì una forza che non sapeva di avere scorrere dentro di lei. Mossa da qualcosa di soprannaturale, Sammy si voltò e raccolse in un istante un grosso coccio di vetro lì accanto: svelta, lo piantò in una zampa di Watts gettandovisi con tutto il suo peso.

La pony grigia urlò di dolore rovinando a terra e lasciando cadere il coltello. Cominciò immediatamente a massacrare Sammy di colpi in ogni modo possibile, mentre l’altra cercava di difendersi come poteva.

Un groviglio di pony sporche di olio e sangue si contorceva in quella piccola stanza di legno, picchiandosi alla bell’e meglio come forsennate. Malgrado Watts fosse palesemente molto più forte e capace, Samantha le si era avvinghiata addosso come una piovra sfruttando il suo peso e sembrava quasi non percepire più i terribili colpi che l’altra continuava ad assestarle.

Nella disperazione, Samantha addentò il collo di Watts e morse con ogni briciolo di volontà che le era rimasta. La pony grigia rantolò mentre altro sangue cominciava a sgorgare dalla ferita imbrattando la faccia di Sammy. Quella mossa terribile fece breccia nella resistenza ferrea di Watts, che smise di colpirla e cercò in tutti i modi di liberarsi: dopo qualche istante riuscì a staccarla, e Samantha portò via con sé un grosso pezzo di pelle e peli grigi nella sua bocca. Prese subito a sputare mentre il sapore metallico del sangue le avvolgeva il palato.

«Ma perché non si apre? Mauuud! Sei lì dentro? Dai vieni, c’è la torta!»

Degli zoccoli cominciarono a battere sulla porta. Pochi centimetri di legno separavano Pinkie Pie da un inferno che non poteva nemmeno immaginare. Quelle zoccolate riportarono la mente delle due pony al mondo reale mentre erano stese sul pavimento ad un metro di distanza l’una dall’altra.

Samantha e Watts si fissavano, ansimando rumorosamente, entrambe sporche oltre ogni modo di olio e sangue proveniente da decine di ferite. Watts si premeva il collo con una zampa: sotto di essa si poteva vedere l’impronta rossa ed insanguinata della dentatura di Sammy.

«Mauuud! Per tutti i cupcake!»

«A…arrivo» rispose Watts dopo qualche secondo, dando fondo a tutte le sue energie e senza mai staccare gli occhi sbarrati da Samantha. Anche in una situazione come quella, la sua voce non tradiva alcuna emozione.

«Pinkie, cosa succede là dentro?» chiese la voce di Twilight Sparkle da dietro la porta «Snowy Night, stai bene?»

«Oh, c’è anche Snowy in bagno? Dai ragazze muovetevi, cosa state combinando?» chiese Pinkie tornando a bussare insistentemente.

«S-sto bene!» rispose Samantha con la voce più normale che riuscì a fare «Sono caduta…si sono rotti dei barattoli» farfugliò. Fece una pausa fissando la sua terribile nemica «Wa…Maud mi sta dando uno zoccolo»

«D’accordo. Ma fate presto! E aprite questa porta!» rispose Pinkie continuando a bussare come una deficiente.

Fu così che le due continuarono a fissarsi in silenzio mentre recuperavano le forze. Samantha era distrutta, ogni centimetro del suo corpo urlava di dolore ed era ricoperto di lividi. Malgrado avesse assestato qualche colpo a Watts, la pony pilota era stata decisamente più efficace nel massacrarla di botte.

«Springer…» disse Watts con un filo di voce senza staccare gli occhi da Samantha. L’altra rimase immobile, incapace di elaborare un pensiero. Dopo qualche istante vide che Watts stava fissando la sua zampa, quella sul quale era legato l’MSU.

«Non permetterti di nominarlo, maledetta traditrice» rispose Sammy tossendo con voce roca.

«Quello stupido bastardo…» disse ancora la pony cinerea bisbigliando tra sé e sé mentre la ferita sul collo aveva smesso di irrorarle la zampa di sangue fresco «Ti ha protetta. Si è sacrificato per te»

Samantha era pronta ad urlarle ancora qualche imprecazione contro, ma si ammutolì con lo sguardo perso nel vuoto. Watts continuava a fissare l’MSU di Sammy e per la prima volta la ragazza sembrò vedere un accenno di emozione nel suo sguardo: era rabbia, la rabbia di chi non era riuscito a calcolare ogni variabile nel suo piano.

«Allora? Vi muovete?!» disse ancora Pinkie Pie da dietro la porta. Fu allora che Watts si risollevò da terra zoppicando. Samantha indietreggiò strisciando preoccupata, ma la pony cinerea sembrava aver smesso di puntarla. Si guardò attorno per qualche istante, per poi fissare Sammy per l’ennesima volta. Fece un grosso sospiro e chiuse gli occhi.

Di colpo la stanza fu illuminata da una nuova luce, molto più forte delle candele appese al soffitto: il corpo di Watts si stava ricoprendo di centinaia di linee luminose che correvano sulla sua pelle in ogni dove. I suoi occhi diventarono dapprima gialli come due fari per poi tornare normali, ma al loro interno si poteva notare la presenza di strani simboli che si muovevano sulla cornea.

Samantha prese ad ansimare impaurita e si rannicchiò nuovamente contro il muro: non aveva nemmeno mai immaginato una cosa simile. Si accorse allora che sulla zampa di Watts era comparso dal nulla il suo MSU e che lo schermo era acceso: la pony si guardò la ferita sulla zampa e dei nuovi simboli vorticarono veloci nei suoi occhi. Dopo qualche istante, il suo collo e la sua zampa si illuminarono anch’essi intensamente: il coccio di vetro si estrasse da solo levitando lontano avvolto da un’aura come quella di Twilight Sparkle.  In pochi secondi la luce svanì e Samantha guardò a bocca spalancata la pelle di Watts tornare liscia e candida come prima: le ferite erano sparite, il sangue solo un ricordo.

A quel punto la pony cinerea si voltò verso di lei, avvicinandosi. Sembrava un inquietante androide luminoso di un qualche film di fantascienza, mentre le pareti della stanza riflettevano la luce dei filamenti che seguivano i movimenti del suo corpo.

«Sta lontana da me!» urlò Sammy, ma Watts la ignorò portandosi sopra di lei proprio come aveva fatto qualche minuto prima con il coltello negli zoccoli. Bloccò Samantha con le zampe anteriori e la pony fece per urlare di nuovo, quando iniziò a percepire una sensazione di calore in tutto il corpo. Ma si accorse presto che non era spiacevole: sentiva pian piano la forza tornarle nelle vene, il dolore scomparire. Alla fine si mise eretta pure lei, osservandosi sbigottita: tutte le contusioni, i lividi ed i tagli erano spariti. Di tutto quel macello restava solo il pavimento sporco d’olio e sangue.

Poi, come era iniziato, tutto finì. In un istante i filamenti luminosi si spensero e scomparvero mimetizzandosi sotto il pelo grigio di Watts; il suo MSU sparì dalla zampa diventando invisibile.

Watts spalancò la porta in un colpo solo e il frastuono della festa riempì la piccola cantina. Samantha socchiuse gli occhi per la forte luce del salone che entrava nella stanza: davanti a loro Pinkie Pie e Twilight Sparkle guardavano sbigottite il pavimento.

«Snowy è caduta e si è tagliata con dei vetri, la stavo aiutando» disse Watts con la sua solita flemma.

«Oh, povera!» esclamò Pinkie Pie raccogliendo un mocio dal muro e cominciando a pulire.

«Sei sicura di stare bene, Snowy? A terra c’è molto…sangue» chiese Twilight con voce titubante: continuava a fissare la scena con uno sguardo stralunato, senza capire cosa fosse successo.

«Sta benissimo» tagliò corto Watts spingendo la pony perlacea fuori dalla cantina. Samantha guardava dritto davanti a sé senza rispondere agli stimoli esterni: fisicamente si sentiva bene, come se non fosse successo nulla, ma la sua mente era a pezzi.

Twilight le avvolse un’ala attorno al fianco e la indirizzò attraverso la folla verso il resto delle sue amiche. La sua espressione era ancora pensierosa e mesta, ma non fece altre domande.

Quando furono di nuovo dalle altre, Applejack e Fluttershy si precipitarono verso di lei chiedendo dove fosse finita. Pian piano la testa di Sammy riprese a girare mentre cercava di balbettare qualcosa. Ben presto un solo pensiero le si materializzò in mente.

«Scusate, devo andare» biascicò, e senza aggiungere altro si diresse di gran carriera verso la porta dello Sugarcube Corner. I richiami e le domande delle pony si persero nel baccano della festa.

Samantha correva a più non posso lungo le stradine deserte del paesino di Ponyville, illuminate soltanto dalla pallida luce della luna. Correva e basta, senza un perché, senza una direzione. Il terrore avvolgeva ogni parte di lei mentre singhiozzava imboccando vicoli e viuzze a caso. Non sapeva cosa pensare, a cosa credere. Non era nemmeno sicura che quello che aveva visto fosse successo davvero, forse si era immaginata tutto. Forse l’intero viaggio era solo un sogno. Sì! Un sogno: si sarebbe risvegliata nella sua cabina e Ashley le avrebbe preparato il solito caffè. Una giornata di lavoro come un’altra.

Improvvisamente qualcosa la colpì sul fianco, facendola cadere per terra ed interrompendo la sua corsa. Si accorse dal terreno morbido e dai fili d’erba che la circondavano di aver lasciato il paese e di trovarsi ormai nei prati circostanti.

«C’è la torta» disse una voce terribile che lei ben conosceva. Watts era accanto a lei, con la sua tetra silhouette grigia illuminata dalla luna, allo stesso modo della sera dell’atterraggio.

«Cosa?» boccheggiò Samantha indietreggiando nell’erba in preda al panico.

«Tra poco c’è la torta, non puoi andartene» rispose Watts atona ed immobile.

«Ma di che cazzo stai parlando?!» urlò Samantha. Improvvisamente un fiume di rabbia si impadronì di lei, stufa di tutto «Sta lontana da me o questa volta ti strappo un orecchio a morsi, puttana!»

«Se avessi voluto ucciderti saresti già morta, Betz» rispose lei con tutta la calma del mondo.

«Fanculo, cosa cazzo stavi per fare poco fa?» ringhiò Sammy ancora a terra.

«Appunto, poco fa. Le carte in tavola sono cambiate»

Samantha scosse la testa boccheggiando mentre fissava l’erba sotto di sé «Cosa sta succedendo?» si chiese in un bisbiglio.

«Mia sorella e le sue amiche ti conoscono, sarebbe impossibile eliminarti adesso» precisò gelidamente Watts.

«Chi…chi diavolo sei tu?» chiese Samantha tremando.

«Non è né il momento né il luogo per questo» tagliò corto la pony pilota controllando che attorno a loro non ci fosse nessuno «Ti sei ambientata bene. Sei ospite alla fattoria Apple, giusto?»

«Cosa cazzo vuoi da me?!» urlò Samantha iraconda «Io non dovevo neanche venire col vostro gruppo di paz-»

Non fece in tempo a finire la frase che Watts le assestò una zoccolata veloce sul viso, questa volta molto meno forte, abbastanza per farla azzittire e cadere di nuovo a terra.

«Se urli un’altra volta potrei cambiare di nuovo idea sulla tua vita» disse l’altra «Un modo per nascondere un corpo si trova sempre, arrovellandosi un po’»

«Per il Grande Imperatore…» imprecò Sammy a denti stretti mentre si risollevava.

«È inutile che invochi il tuo dio, Betz. Non può sentirti su questo mondo» disse Watts sedendosi accanto a lei nell’erba alta. Quella sera non c’era un alito di vento e la pianura era avvolta in un candido silenzio, interrotto solo dal gracchiare dei grilli e dalla musica lontana dello Sugarcube Corner.

«Dobbiamo restare nascoste ancora per qualche giorno, troverò una soluzione» continuò Watts.

Samantha scosse la testa sbuffando «E adesso io dovrei collaborare con te?»

«Se non vuoi morire, affermativo»

«Tanto morirò comunque, in un modo o nell’altro. Ho firmato la mia condanna quando quel pimpaino figlio di puttana mi ha costretta a salire su quello shuttle»

Watts socchiuse gli occhi «Come ho detto prima, sarebbe stato molto meglio se Springer non ti avesse salvata entrambe le volte»

Al suono di quelle parole, gli occhi di Samantha si iniettarono di sangue. Si lanciò con un ruggito contro Watts, ma questa volta la pony cinerea non si fece trovare impreparata: con una mossa da arte marziale raccolse Sammy e la ruotò, respingendola e facendola cadere tra l’erba per l’ennesima volta.

«Ho detto che non devi neanche nominarlo!» urlò Samantha.

«Devi essergli piaciuta davvero tanto» continuò Watts ignorandola «Ha convogliato tutta l’energia del suo MSU in un incantesimo di protezione su di te. Ero certa saresti morta nella sala docce»

Sammy si bloccò improvvisamente, mettendo un freno alla sua furia. Ripensò al rogo che l’aveva avvolta in quella base militare, al proiettile che quella stronza le aveva sparato in testa. Tutte le volte era svenuta, aveva sentito dolore, ma era ancora lì. Infine, l’immagine di Watts ricoperta di strisce luminose le balenò in mente.

«Gli MSU…sono magici?»

«Pochissimi, praticamente solo i nostri» rispose Watts asettica «Tecnologia top secret del dipartimento della difesa»

Samantha alzò la zampa sinistra osservando ammutolita il vistoso computer di Springer che attendeva in stand-by. Watts fece lo stesso ed in un istante il suo MSU si materializzò dal nulla. Invisibilità, pensò la pony perlacea.

«Anche se non sai nemmeno come si usa, il sistema ti ha protetto autonomamente dai proiettili in arrivo» disse Watts con una punta di orgoglio ferito «Avrei dovuto prevedere anche questa possibilità»

Sammy rimase in silenzio, inebetita, mentre la sua mente si contorceva in un miscuglio di emozioni senza senso. Non sapeva cosa pensare, come pensare. Non sapeva nemmeno più cosa immaginare, cosa fosse reale e cosa no. Rimase chiusa in sé stessa a fissare la moltitudine di fili d’erba che componevano quel prato.

«Dove sono gli altri?» chiese. Ci fu una pausa «Dovevano morire anche loro, vero?»

Watts rimase in silenzio per qualche istante, poi annuì. Samantha lanciò un’ennesima imprecazione e scoppiò a piangere istericamente. La pony cinerea rimase a fissarla senza alcuna espressività.

«Loro avevano stabilito così. La missione si sarebbe conclusa in questo modo»

«Chi sono loro? Perché quella è tua sorella? Come puoi essere…equestriana anche tu?» chiese Sammy singhiozzando tra le lacrime. Continuò a piangere per qualche minuto in silenzio, con la pony grigia che la osservava senza rispondere alle sue domande.

Alla fine, Watts si avvicinò dandole un buffetto sulla schiena, come ad invitarla ad alzarsi. Quando vide che non funzionava, cominciò a scuoterla più insistentemente «Dobbiamo tornare dentro. Si insospettiranno»

Sammy smise di piangere con lo sguardo fisso a terra. Adesso le due parti si erano invertite e Watts cercava di smuovere una Samantha completamente priva di espressioni.

«Cosa hai intenzione di fare con me?» chiese infine con un filo di voce. Watts rimase interdetta per qualche istante prima di rispondere.

«Andremo a Canterlot, lì capiremo cosa fare»

«Loro sono a Canterlot? E poi cosa? Mi ucciderai come un cane per strada?»

«Adesso basta con queste domande, sei ancora più fastidiosa di quello che credevo» rispose tagliente Watts. Poi riprese «Continuerai a stare dagli Apple finché non troveremo un modo per andarcene da qui»

«Già, grazie al tuo fantastico atterraggio, mezzo mondo ci ha sentiti arrivare» berciò Samantha a denti stretti.

«Era l’unico modo per essere sicura di danneggiare lo shuttle e recuperare tempo nel caso Pimpez fosse voluto scappare» rispose semplicemente Watts come se stesse descrivendo il più ovvio dei fatti.

Samantha fece per alzarsi, ma di colpò sentì il peso delle zampe di Watts sopra di lei a bloccarla «Fa anche solo una cazzata e non esiterò a renderti concime per il meleto»

Per l’ennesima volta, Sammy sentì su di sé l’incombere di un destino che non poteva rifiutare: annuì deglutendo e l’altra la lasciò andare.

Fu così che si rimisero velocemente in viaggio, trottando verso il luogo della festa. Watts seguiva Sammy da dietro, controllando che non si allontanasse e non si facesse venire strane idee.

Quando furono di nuovo davanti all’ingresso dello Sugarcube Corner, la pony cinerea bloccò la porta con una zampa e precisò «Il mio nome è Maud Pie, ricordalo»

Samantha fece un ghigno, annuendo con la testa «Snowy Night. Non ci siamo già presentate prima?» disse poi porgendole lo zoccolo sarcasticamente. Watts la fissò per un istante senza replicare il gesto e poi aprì la porta.

Immediatamente un ammasso rosa si materializzò dal nulla davanti alla coppia.

«Ma dove eravate finite? Vi stiamo aspettando!» urlò la solita Pinkie Pie trascinandole verso il centro della sala «Però sono molto contenta che abbiate fatto amicizia»

Le lasciò davanti ad una gigantesca torta glassata. Sulla base era stata decorata con la scritta Ben tornata Maud. Tutti gli abitanti di Ponyville erano attorno a loro, comprese Applejack e le sue amiche: fissavano Samantha con un’espressione veramente strana, fino a far sentire la ragazza a disagio. Sembravano molto preoccupate.

«Sono così felice che tu sia tornata!» urlò Pinkie abbracciando Watts «Adesso potremo fare un sacco di cose insieme!»

«Anche per me è così, Pinkie» rispose la pony cinerea con la stessa identica voce atona di sempre. Poi si voltò per prendere qualcosa da una tasca del suo vestito: tirò fuori una piccola collana fatta di caramelle e si avvicinò alla sorella.

Le pupille di Pinkie Pie si dilatarono e la pony esplose in un urletto di felicità «Ti sei ricordata! Ti sei ricordata!» e così dicendo fece comparire dal nulla un’altra di quelle strane collane.

Le due se le scambiarono e le indossarono, Pinkie sempre più contenta insieme al resto della folla e Watts sempre identica nella sua follia.

«Adesso spegni le candeline!» disse Pinkie posizionando la sorella davanti alla grande torta.

Watts rimase immobile per qualche istante, ed il suo sguardo incrociò quello di Samantha che se ne stava ai margini della scena. Sammy sentì addosso il peso di quegli occhi inespressivi mentre cercava di scrutarci dentro qualcosa, senza successo. Chi era quella pony? Cosa voleva? Cosa nascondeva davvero quel pianeta apparentemente così carino, dolce e colorato?

Le due si guardavano ed il tempo sembrava essersi fermato. Alla fine, Watts si girò, riempì i polmoni e soffiò, spegnendo le candeline.

Gli invitati esplosero in un applauso e Pinkie abbracciò di nuovo la pony cinerea.

«Voglio fare un augurio a Snowy Night» disse poi inaspettatamente Watts. La sala si ammutolì e tutti si voltarono verso Sammy. Un lieve mormorio si alzò tra la folla, curiosa di conoscere quella misteriosa pony venuta fuori dal nulla.

Watts tagliò una fetta di torta e si avvicinò a Sammy porgendogliela «Benvenuta a Ponyville»

Samantha rimase inebetita mentre il cuore tornava a martellare per l’ennesima volta, con gli occhi dell’intero paese addosso. Senza sapere cosa fare, raccolse il piatto con la torta e continuò a fissare quella pony assurda che si trovava di fronte.

«Sì! È vero! Benvenuta Snowy Night!» disse Pinkie Pie precipitandosi ad abbracciare anche lei.

«Benvenuta» ripeterono le amiche, anche se Applejack e Twilight sembravano davvero poco convinte.

Il resto degli ospiti si adeguò a poco a poco, ripetendo il saluto, fino a che l’atmosfera non tornò alla normalità.

Samantha fece un lungo respiro mentre già vedeva il gruppo di Applejack avviarsi verso di lei.

Già, bentornata su Equestria, Snowy Night

 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** COMPENDIO ***


UNIVERSE PROTECTION ORGANIZATION DEPARTMENT OF DEFENSE

 

 

COMPENDIO DI MISSIONE

 

 

All’attenzione del Capo di Stato Maggiore John Pimpez – ARMED FORCES ID 09041999

 

 

INFORMAZIONI CLASSIFICATE

VIETATA LA LETTURA AL PERSONALE NON AUTORIZZATO

 

 

Finito di stampare il 5 aprile 2327 – Ufficio Stampa del Dipartimento Della Difesa, Pianeta Turo

NOTA DELL’EDITOREGenerale, questa nota per informarLa che secondo le normative vigenti del Ministero è d’ora in poi obbligatorio inserire tutte le informazioni base del manuale d’ordinanza delle forze armate nel compendio di missione. Pertanto troverà molte voci per Lei banali in aggiunta a quelle normalmente mostrate nel documento. La pregherei di non inviare più email minatorie all’ufficio stampa riguardo questa faccenda, dato che noi non abbiamo alcun potere. Se questa nuova modifica La infastidisce può inoltrare un rapporto al Ministero della Difesa, o magari parlare con il segretario Lasemby in persona, vista la sua posizione.

Cordialmente,

Noreen Kaleka - Ufficio Stampa del Dipartimento della Difesa

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A

·       Alfa-Bravo / Alfa-Charlie – Codice che identifica una coppia di satelliti artificiali Precursor di forma cubica che orbitano attorno ad un piccolo pianeta roccioso nei pressi della Soglia.

 
·       Alto Comando – Massimo organo decisionale delle forze armate universali. È composto da quattro entità distinte: il SAFC, il generale supremo delle forze armate universali, i tre presidenti della UPO ed il segretario del Dipartimento della Difesa.

L’Alto Comando si riunisce solo in casi di emergenza e può emettere un ordine solo se tutti e quattro gli enti sono d’accordo.

C

·       Comando Stellare – Gigantesca stazione spaziale orbitante nel settore Y12. Funge da quartier generale per le IF e per gli Space Ranger. È direttamente controllato dal Dipartimento della Difesa.

 

D

·       Dipartimento della Difesa – Organo che si occupa di amministrare e coordinare tutte le operazioni militari e di diplomazia all’interno ed all’esterno della UPO. È comandato dal segretario della Difesa e lavora a stretto contatto con il generale supremo delle forze armate universali.

L’attuale segretario della Difesa è Pick Lasemby.

 

E

·       Equestria – Nazione e pianeta abitato principalmente da esseri senzienti dalla forma equina. Esistono altre forme di vita intelligenti su Equestria, ma nessuna di queste ha mai interagito con la confederazione universale.

Il regno d’Equestria ai tempi della scissione dalla UPO era governato da due principesse alicorno immortali: Celestia e Luna, che esercitavano il potere monarchico.

Equestria è stato il primo pianeta della confederazione ad applicare il protocollo Delta, ovvero mantenere il popolo totalmente all’oscuro dell’esistenza della UPO. Per questo motivo l’organizzazione della società è di stampo medievale con la totale assenza di tecnologia e conoscenze avanzate.

A seguito di una grave violazione delle leggi universali, Equestria è stata bandita dalla UPO perdendo ogni contatto con la confederazione per centinaia di anni.

·       Equestrian Air Force (EAF) – Regia aeronautica militare d’Equestria. Divenuta forza armata superiore pochissimo tempo dopo la sua fondazione.

 
·       Equestrian union Mission to GRIFfinland (EMIGRIF) - Operazione militare illegale ordinata dalla principessa Celestia del regno d’Equestria per la soppressione delle rivolte all’incoronazione del re grifone Guto II.

Avendo ordinato ad alcuni stormi dell’EAF di combattere senza aver consultato il SAFC, l’operazione fu dichiarata incostituzionale e fu la causa dell’uscita di Equestria dalla confederazione.

 

F

·       Forza Armata Superiore – Corpo militare di un paese della UPO che si è distinto per capacità e potenza a tal punto da essere potenziato ulteriormente con fondi economici, nuovo personale e tecnologie dal Dipartimento della Difesa stesso.

Una forza armata superiore viene controllata direttamente dal SAFC e dal Dipartimento della Difesa e non può più ricevere ordini dalla nazione di provenienza: ciò rappresenterebbe una grave violazione delle leggi universali.

 

I

·       Interstellar Forces (IF) – Forze armate interstellari comandate direttamente dal Dipartimento della Difesa. Hanno come quartier generale il Comando Stellare ed il loro organico è composto da una vasta flotta di navi spaziali per i più svariati utilizzi e scopi.

Ogni nave delle IF possiede l’acronimo Universal Star Ship (USS) prima del nome.

 

M

·       Magia arcana – Branca della magia dei pony di Equestria che si occupa di studiare gli incantesimi senza interrogarsi sul funzionamento scientifico della magia stessa. È la forma più antica e naturale di studio della magia, unicamente praticabile dagli unicorni.

Uno dei capostipiti di quest’arte fu sicuramente l’arcimago Starswirl il Barbuto, il quale scrisse i primi tomi sul lancio di incantesimi.

Lo studio della magia arcana si contrappone nettamente a quello dell’elettromagia.

·       Magitrone – Particella subatomica cardine del fenomeno noto come magia. Fu osservata per la prima volta da Navier Pokes, il quale riuscì a formalizzare il funzionamento della meccanica magitronica tramite le sue famose equazioni.

Presenta un’elevatissima affinità con gli atomi di ossigeno, a cui si lega disturbando la forma degli orbitali ed il tragitto degli elettroni. Per questo motivo la molecola di O2 subisce una modificazione che riduce notevolmente la capacità di legame con il gruppo EME dell’emoglobina, rendendo l’aria irrespirabile.

Nei millenni dell’evoluzione, le creature native dei pianeti magici hanno sviluppato una modificazione della proteina, denominata Hb-M, in grado di legare l’ossigeno magico.

 
·       Mobile Status Unit (MSU) – Unità computerizzata d’ordinanza delle forze armate universali.

Il sistema è dotato di una cinghia regolabile da indossare esclusivamente sull’avambraccio o zampa sinistra.

L’unità base è costituita da un software di monitoraggio delle condizioni ambientali (es. termometro, igrometro, altimetro) e da un sistema di comunicazione di prossimità (peer to peer) ed anche a lungo raggio (con utilizzo di ripetitori).

O

·       Operazione Pony Onnipotente – Operazione top secret ordinata dall’Alto Comando che coinvolge esclusivamente la squadra SOG.

L’obiettivo è l’eliminazione della principessa Celestia del regno d’Equestria.

A seguito dell’uscita di Equestria dall’UPO si verificò una violenta fuga di una consistente fetta di popolazione legata all’attività della confederazione sul pianeta. L’opposizione del governo equestriano a questa evacuazione fu uno dei primi segni (oltre all’infrangimento delle leggi del SAFC) che portarono l’attenzione dell’intelligence del Dipartimento della Difesa a focalizzarsi sul pianeta.

Dopo più di duecento anni il Comando Stellare ha ricevuto una richiesta di download di un file da un sistema evidentemente rimasto attivo su Equestria. Vista la natura del file stesso, ovvero coordinate per il puntamento di un’arma verso il pianeta Turo, l’Alto Comando ha deciso di dichiarare lo stato di emergenza.

La squadra SOG si imbarcherà sulla USS Pardatchgrat con l’ordine di raggiungere Equestria ed eliminare il problema alla fonte.

 

P

·       Pimpaina – Sineddoche per Repubblica Democratica Federale delle Isole Pimpaine. Nazione abitata da umanoidi rosa con le orecchie a punta costituita da tre isole di grandi dimensioni disposte in direzione nord-sud sul pianeta KT-12. Si tratta del paese più ricco, militarizzato ed influente di tutta la UPO. Il suo esercito e la sua aeronautica sono entrambe forze armate superiori.

Da meridione in sequenza si presentano Pimpezia, Pimpa (isola principale e sede della capitale Pimpaina City) e Rüa. Le tre isole sono strette in un braccio di mare chiamato mar Pimpico che si estende per più di 1000 chilometri sempre da nord a sud. A definire il mar Pimpico vi sono la Tigraina meridionale a nord e il continente Austropiacale a sud.

Dall’isola di Rüa parte un gigantesco ponte sul mare chiamato Big Bridge che si estende per quasi 150 chilometri fino a raggiungere la Tigraina meridionale.

La Tigraina meridionale (Southern Tigraina) è una parte di territorio occupato e strappato ai tigraini dai pimpaini durante una lunga guerra ed è tutt’ora una zona di tensione tra le due razze.

A cingere il confine tra Tigraina e Pimpaina vi è un gigantesco muro che rappresenta il confine vero e proprio non solo di Pimpaina ma di tutta la UPO dato che la Tigraina non ha mai aderito alla confederazione. Esiste un unico varco in tutto il muro lungo centinaia di chilometri, e prende il nome di Checkpoint Alpha: il portale più militarizzato dell’universo.

 
·       Precursor – Nome generico che indica tutte le antiche civiltà complesse andate perdute nella storia dell’universo e non riconosciute dalla UPO. Esistono svariati manufatti, edifici e testi lasciati da queste genti in giro per l’universo: alcuni di essi sono molto interessanti in quanto catalizzatori per incantesimi.

 
·       Protocolli di amministrazione planetaria – Sistemi legislativi che regolano l’interfacciarsi di un pianeta o una nazione con il governo centrale della UPO. Il più utilizzato è il protocollo alfa, che include la semplice annessione alla confederazione ed i suoi tanti benefici.

Tuttavia nel corso dei secoli sono nati molti altri protocolli necessari per l’amministrazione di mondi più complicati.

 

 

S

·       Semi-closed Circuit Magical Rebreather (SCMR) – Macchinario di autorespirazione in dotazione alle forze armate universali per operazioni su pianeti magici. Permette ad un essere vivente non proveniente da un pianeta magico di respirarne l’aria.

·       Soglia – Nome gergale per identificare i confini dell’universo conosciuto. Si tratta di una gigantesca sfera all’interno della quale è racchiuso tutto lo scibile mai osservato.

Sulla soglia sono posti 3 differenti radiofari che sono alla base della navigazione interstellare moderna. La complessità dei sistemi di navigazione delle navi spaziali ha richiesto nel tempo la nascita della figura specializzata dell’ingegnere di rotta.

 
·       Space Rangers – Forze speciali della UPO controllate direttamente dal Dipartimento della Difesa. Si tratta di un piccolo gruppo operativo con base sul Comando Stellare.

Tutte le loro operazioni sono top secret e non si sa nulla di cosa facciano esattamente.

 
·       Special Operations Group (SOG) – Squadra top secret ad intervento rapido della UPO. Anche noti come Speed Over Ground, I SOG rappresentano il fiore all’occhiello della capacità tattica e di combattimento delle forze armate universali.

Si occupano prevalentemente di lotta al terrorismo e di risoluzione di situazioni estremamente delicate agendo in piccolissimi gruppi di non più di una decina di elementi.

L’autorizzazione delle operazioni della SOG può essere solo concordata dall’Alto Comando. Sono comandati invece direttamente dal segretario della Difesa e dal generale supremo delle forze armate universali una volta che l’unità viene dispiegata sul campo.

Per ragioni di sicurezza non si conoscono i nomi dei membri e ad ogni apparizione in pubblico le unità presentano il volto coperto.

·       Superior Armed Forces Council (SAFC) - Consiglio decisionale delle forze armate superiori della UPO. Ad esso partecipano i capi di stato maggiore di ogni forza armata insieme al generale supremo delle UPO Armed Forces.

T

·       Turo – Pianeta artificiale Precursor e sede centrale della UPO e del parlamento universale. È costituito interamente da placche rocciose movimentabili meccanicamente tramite un complesso sistema di leve ed ingranaggi. La sua superficie è completamente deserta: l’interezza degli uffici della UPO si sviluppa all’interno del pianeta stesso fin nel suo nucleo.

 

U

·       Universe Protection Organization (UPO) – Confederazione di protezione dell’universo di cui fanno parte la stragrande maggioranza dei mondi conosciuti.

Formatasi dall’espansione dell’Alleanza Galattica della sola Via Lattea, la UPO è il massimo organo di governo da più di 250 anni.

A capo della confederazione universale vi sono tre presidenti diversi che hanno pari grado decisionale. Ognuno di essi coordina una delle tre sezioni del parlamento..

 

Z

·       Zulu time – Fuso orario standard ufficiale della UPO. Fu elaborato per la prima volta quando il pianeta artificiale Turo venne abitato come nuova sede centrale. Mancando di visione diretta della luce della stella, essendo la superficie del pianeta deserta, si decise di stabilire un orario unico per l’intera sede universale. Da allora l’orario è lo stesso per tutte le forze armate e qualunque nave spaziale, ovunque si trovi.

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4020895