L’ange de Bretagne

di The_Storyteller
(/viewuser.php?uid=1085106)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il piano dei Templari ***
Capitolo 2: *** Fidati dei corvi ***
Capitolo 3: *** Il Café Théâtre ***
Capitolo 4: *** Brezhoneg ***
Capitolo 5: *** Un brutto scherzo ***
Capitolo 6: *** La canzone del mare ***
Capitolo 7: *** Verso Versailles ***
Capitolo 8: *** Balli e rivelazioni ***
Capitolo 9: *** Prima della tempesta ***
Capitolo 10: *** Tradimento ***
Capitolo 11: *** Cuori spezzati ***
Capitolo 12: *** Nuova vita, vecchi pericoli ***
Capitolo 13: *** Yannez ***
Capitolo 14: *** La fine del viaggio ***



Capitolo 1
*** Il piano dei Templari ***


Créteil, dicembre 1794.
Era solo pomeriggio, ma la pioggia incessante di quell’inverno continuava a far sentire la propria potenza, mentre una carrozza percorreva una strada di campagna. Al suo interno una donna di circa quarantacinque anni osservava annoiata quel paesaggio bucolico, non molto lontano da Parigi, finché i suoi occhi si illuminarono al vedere una vecchia villa. La donna sorrise appena, impaziente di raggiungere la sua destinazione.
La Rivoluzione non aveva risparmiato nessun angolo di Francia, eppure quel vecchio palazzo sembrava non essere stato il triste bersaglio di razzie e distruzione.
La carrozza si fermò all’entrata dell’edificio e un servo si precipitò immediatamente ad accogliere l’ospite. Dopo averla salutata con un inchino, il servo accompagnò la donna all’interno della villa, guidandola per varie stanze fino a raggiungere una porta.
L’uomo bussò tre volte e, dopo aver ricevuto una risposta affermativa, spalancò la porta e presentò la nuova arrivata: -Madame Thérèse Beauchesne da Lione.-
Thérèse Beauchesne sorrise compiaciuta, sistemandosi una ciocca bruna dietro l’orecchio, ed entrò nel salotto dove si trovavano altre quattro persone.
-Sei in ritardo, Thérèse- esclamò sorridendo un uomo sulla cinquantina, mentre le offriva un bicchiere di vino.
-Sono “elegantemente” in ritardo, mio caro Gauthier- scherzò la donna, accettando la bevanda.
-D’altronde, con un tempaccio del genere... La prossima volta dovremmo incontrarci a Marsiglia o a Cannes. Dicono che l’aria mediterranea sia un toccasana- aggiunse poi, guardando con scherno un uomo piuttosto anziano mentre si soffiava rumorosamente il naso.
-Bando alle ciance. Non ci siamo riuniti qui per chiacchierare di cose inutili- interruppe un uomo con una folta barba scura, un tentativo poco riuscito di nascondere una cicatrice alla mandibola.
-Isidore ha ragione- disse un’altra donna, dai capelli chiari e gli occhi sporgenti -Direi che possiamo iniziare la nostra riunione.-
I cinque si avvicinarono a un grande tavolo, prendendo ognuno una sedia, quindi l’uomo raffreddato prese parola: -In qualità di membro più anziano qui presente io, Réginald Chevalier, dichiaro aperta questa riunione, al cospetto di questi miei fratelli e sorelle: Gauthier Marchand, Ségolène Delacroix, Isidore Lefebvre e Thérèse Beauchesne. Che il Padre della Comprensione ci guidi.-
-Che il Padre della Comprensione ci guidi- risposero i Templari in coro, poi si sedettero e attesero che Réginald proseguisse il discorso.
Dopo essersi soffiato nuovamente il naso, il signor Chevalier continuò: -Come credo tutti voi sappiate, le morti di Germain e di Robespierre sono state un duro colpo per l’Ordine Templare francese. E tutti voi, immagino, sapete chi è il responsabile di questo- spiegò, prima di prendere un foglio e metterlo al centro del tavolo: sul pezzo di carta c’era il ritratto di un giovane dai capelli lunghi legati in una coda, gli occhi scuri e una cicatrice sotto l’occhio sinistro.
-Arno Dorian, maledetto Assassino- ringhiò Isidore -Avrebbero dovuto ammazzarlo insieme a suo padre, quel giorno...-
-E invece lo hanno nominato Maestro, nonostante tutto. Non capirò mai quegli anarchici...- commentò piatta Ségolène.
Un lieve colpo di tosse richiamò l’attenzione dei presenti, quindi Réginald proseguì: -Inutile dire che la sua presenza sia un grosso problema da risolvere, oltre al fatto che al momento non c’è nessun Gran Maestro nel nostro Ordine...-
Per la prima volta, Thérèse chiese la parola, mentre un sorrisetto apparve sul suo volto: -E se facessimo una specie di gara fra di noi?- chiese.
Ségolène alzò gli occhi al cielo: -Non siamo mica a Versailles a fare stupidi giochi da nobili!- protestò, ma Gauthier le fece segno di tacere.
-Continua pure, Thérèse- disse, intrigato dall’idea della donna.
Quest’ultima sorrise ancora di più, quindi espose la sua idea: -Visto che noi cinque siamo gli unici Templari di alto rango ancora vivi qui a Parigi, perché non rendere le cose un po’ più competitive? Il primo che ucciderà Arno Dorian verrà nominato nuovo Gran Maestro Templare. Nessuna regola su come farlo, basta che non ci ammazziamo fra di noi. Altrimenti sarebbe poco leale, no?-
Gli altri Templari rimasero a rimuginare per qualche minuto, finché Isidore non ruppe il silenzio: -Io ci sto! Non potete nemmeno immaginare quanto voglia ammazzare quel figlio di puttana!- esclamò, portando la mano alla sua cicatrice.
Anche Ségolène sorrise appena: -Per una volta mi trovo d’accordo con te, Beauchesne. Ho già in mente qualche idea...- mormorò con voce crudele.
Gauthier, il più vicino a Thérèse, le strinse la mano e le fece un occhiolino di nascosto dagli altri: -Magari possiamo discutere qualche piano... in “privato”?- chiese ammiccante.
Réginald, sospirando appena per essere stato praticamente ignorato,  non poté far altro che dare il suo assenso: -E sia. Il primo che fra noi cinque porterà la prova che Arno Dorian è morto succederà a Germain nel ruolo di Gran Maestro dell’Ordine Templare parigino. Dichiaro la seduta chiusa.-
 
Verso le nove di sera, Thérèse si trovava appoggiata al petto nudo di Gauthier, nell’intimità di un letto matrimoniale.
-Nonostante la noia di quest’incontro, noto con piacere che non hai perso il tuo vigore- mormorò seducente la donna, sfiorando con un dito la mandibola del Templare. L’uomo abbassò il volto, baciando la donna sulle labbra e proseguendo giù fino al seno, che sfiorò quasi con reverenza.
-L’unico mio dispiacere, mon amour, è che dovremo separarci presto. Sicura di non voler restare qui per la notte?- chiese, mentre con la mano scivolava verso la coscia.
Thérèse ridacchiò e rispose ai gesti del suo amante con un rapido bacio, per poi lasciare le lenzuola e cominciare a vestirsi: -Per quanto vorrei restare con te, mon chéri, non intendo lasciare troppo vantaggio a quei tre tangheri. Mi è venuta una certa idea e devo parlare con una persona- spiegò mentre si stringeva il corsetto.
Sentì le braccia del suo amante mentre la cingevano da dietro: -Almeno lasciami venire da te. Ti lascerò il tempo di discutere con questa persona, e poi potremmo continuare la nostra “chiacchierata”...- le sussurrò Gauthier all’orecchio, sfiorandolo appena con le labbra.
La Templare gli rispose con uno sguardo ammiccante, mordendosi appena il labbro inferiore: -Questo si può fare...-
 
Fortunatamente il viaggio di ritorno fu più breve di quello dell’andata. I due Templari arrivarono al piccolo chalet che Thérèse aveva preso in affitto, e appena varcarono la soglia furono accolti da una donna sulla sessantina in abiti servili.
-Geneviève, accompagna il signore nella camera degli ospiti e poi mandami Madeleine in salotto- ordinò alla serva, che annuì con un lieve inchino.
La Templare si recò dunque in salotto e si accomodò su un divanetto, aspettando con pazienza davanti al caminetto acceso.
Dopo un paio di minuti sentì dei lievi passi avvicinarsi con cautela: -Avete chiamato, madame?- chiese una voce.
Thérèse si girò verso la proprietaria della voce: una ragazza sui venticinque anni, coi capelli ramati legati in un severo chignon, la osservava con reverenza.
La donna le fece segno di avvicinarsi, osservando come il riflesso delle fiamme dava una sfumatura rossastra alla chioma della giovane. Sorrise soddisfatta della sua intuizione e fece segno alla ragazza di sedersi al suo fianco.
-Mia cara Madeleine, lo sai quanto ci tengo a te vero?- chiese, e la giovane annuì in silenzio.
-Ti ho accolto in casa mia quasi dieci anni fa, salvandoti da una vita di miseria, se non peggio. Ti ho portato via da questo paese durante i giorni più bui della Rivoluzione. Ti ho dato un’educazione degna di una figlia della borghesia, e tu mi hai sempre ubbidito. Sono davvero fiera di te- disse la donna, al che la ragazza sorrise appena.
-Ed è perché ho così tanta fiducia in te che voglio chiederti di fare una cosa molto importante- continuò la Templare; infilò la mano in una tasca della gonna ed estrasse il foglio di carta che ritraeva Arno Dorian, porgendolo quindi alla ragazza.
-Non farti ingannare dal suo bell’aspetto- l’avvertì severa -In realtà è uno spietato omicida.-
Madeleine sobbalzò, sconvolta da quella frase. Guardò la sua padrona con espressione sconcertata, e passarono parecchi secondi prima che riuscisse a parlare: -Cosa?! Cosa dovrei fare?- chiese sempre più preoccupata.
Thérèse rise bonariamente: -Ah, mia piccola Madeleine, dovresti vedere la tua faccia! Non ti manderei mai in una situazione pericolosa, ci tengo troppo a te! Ma tu sei l’unica persona che può avvicinarsi a quest’uomo senza destare sospetti.-
Sempre preoccupata, Madeleine chiese alla donna cosa intendesse dire, quindi la Templare le spiegò il suo piano: -Vedi, quest’uomo fa parte di uno strano gruppo di anarchici, e in passato ha colpito tante persone che conoscevo. Ha portato tanto dolore nelle loro famiglie: dovevi vedere il povero Thomas Lévesque, quando gli hanno riferito della sua adorata Marie; o la piccola Louise-Suzanne, quando le hanno detto che il suo povero padre era stato assassinato durante i festeggiamenti per l’imminente esecuzione del re. Ma tu puoi fare qualcosa per aiutare me e i miei amici: devi avvicinarti a questo criminale, scoprire i suoi segreti e dirmi tutto quello che ritieni importante. Solo così potremo consegnarlo alla giustizia e alla pena che merita.-
Madeleine appariva sempre titubante: -Come potrò avvicinarmi a lui? Non so nemmeno...- tentò di protestare, ma venne zittita dalla sua padrona.
-Non dire così, cara! Troverai un modo, ne sono certa. Adesso vai in camera tua a riposare, e domani ti spiegherò come arrivare a Parigi e cosa fare una volta là- sentenziò la Templare, ponendo così fine al tentativo della giovane di rifiutare; quest’ultima abbassò il capo e, dopo aver augurato buona notte alla donna, si recò in camera sua.
 
Anche Thérèse se ne andò nella propria camera, dove venne sorpresa dalla presenza di Gauthier sul suo letto, completamente nudo.
-Davvero vuoi far uccidere un Maestro Assassino da una semplice serva?- chiese divertito. Thérèse si spogliò e, con addosso solo il corsetto, si sdraiò in modo malizioso a fianco del suo amante che cominciò immediatamente a baciarla.
-Mio caro Gauthier, non sono così stupida come Isidore, che scommetto starà già pensando a come ucciderlo nel peggiore dei modi; Dorian non si lascerà ammazzare con facilità. No, intendo prima scoprire qualche segreto della Confraternita, e sono certa che la mia Madeleine troverà un modo- spiegò, mentre sentiva la mano di Gauthier in mezzo alle sue gambe.
-Madeleine? È così che si chiama? È molto graziosa, ma è più pudica di una suora di clausura. Speri forse che una così riesca a sedurre Dorian?- chiese, provocando intanto gemiti di piacere alla donna.
Stanca di quei preliminari, Thérèse montò sopra l’uomo e si posizionò a cavalcioni, prendendo il suo membro eretto e posizionandoselo contro la sua intimità: -Vedremo se la mia intuizione sarà giusta, mon amour. Intanto godiamoci questo momento...- mormorò seducente, calandosi lentamente e godendo del piacere che le procurava il suo amante.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Fidati dei corvi ***


Parigi, gennaio 1795.
Anno nuovo, vita nuova. E dopo il Regno del Terrore di Robespierre era quello che ognuno desiderava.
Arno Dorian respirò lentamente l’aria fredda del mattino, mentre si dirigeva al Cimetière des Innocents; nonostante gli impegni che derivavano dal suo nuovo grado, l’Assassino trovava sempre del tempo per visitare la tomba di Élise.
Oltrepassò il cancello di ferro del camposanto, praticamente deserto a quell’ora del giorno, e percorse la solita strada, facendo attenzione alla neve e al ghiaccio a terra. Raggiunse quindi le tombe dei De la Serre e si sentì immediatamente un peso al cuore. Fece un ossequio silenzioso a Julie e François De la Serre, quindi rivolse tutta la sua attenzione alla lapide più recente.
-Ciao Élise, buon anno nuovo- mormorò con affetto. Si accovacciò davanti alla tomba, leggendo silenziosamente l’anno di nascita e quello di morte della donna che aveva amato; si sentì un groppo in gola e la malinconia minacciava per l’ennesima volta di impossessarsi di lui, quando notò un particolare.
Solo in quel momento si accorse di alcune impronte attorno alle due tombe, e la neve sulla lapide di Élise era stata tolta. L’Assassino si chinò ad osservare le impronte, notando che erano fresche.
Si alzò con cautela e usando la sua vista speciale scansionò l’ambiente attorno a lui: ed eccola, più avanti nel cimitero, una figura dall’aura dorata china su un’altra tomba.
Silenziosamente percorse la strada che lo separava dal suo obiettivo, e rimase colpito nello scoprire la lapide presso cui si trovava quella persona.
 
*****
“Oh cielo, mi sono persa! Di nuovo!”
Questo era l’unico pensiero nella mente di Madeleine in quel mattino parigino. Si trovava nella capitale francese solo da una settimana, ma proprio non riusciva ad orientarsi in quella città enorme e sempre in movimento. E tutto quel movimento non faceva altro che confonderla. Che razza di idea aveva avuto Madame Beauchesne!
Scosse la testa e tentò di orientarsi: a quell’ora c’era poca gente in giro, ma lei non aveva il coraggio di chiedere informazioni. Non senza il rischio che qualcuno facesse certe domande.
Ebbe quasi la tentazione di ritornare presso la pensione in cui alloggiava, di chiudersi in camera al caldo e di rimandare al pomeriggio la ricerca del suo obiettivo, quando un’ombra nera le sfiorò il volto.
Sobbalzò, spaventata, e si girò verso la cosa che l’aveva colta di sorpresa: un corvo svolazzò per un paio di metri prima di posarsi su un muretto, gracchiò tre volte e poi si mise a fissare la ragazza.
Madeleine rimase immobile con gli occhi spalancati dalla sorpresa. D’istinto si portò una mano al collo, cercando attraverso gli strati di stoffa il ciondolo che portava legato a una striscia di cuoio. Immediatamente tornò indietro nel tempo, a una mattina non troppo diversa da quella odierna.
 
-Mamma?- chiamò ad alta voce una bambina di otto anni. La piccola Madeleine si asciugò velocemente una lacrima che minacciava di bagnarle la guancia, quando finalmente trovò sua madre al limitare del bosco.
Una donna dalla folta chioma rossa, china a raccogliere alcune erbe, si alzò e andò incontro alla bambina: -Che succede, storeen?- chiese preoccupata.
Madeleine tirò su col naso, quindi spiegò cos’era successo: -Il prete ti ha chiamato strega! Dice che non preghi il Signore e che parli con i demoni! Perché dice queste cose brutte?-
Brona, sua madre, sorrise amorevolmente e strinse tra le braccia la piccola: -Dice così perché è un vecchio ignorante, perché non accetta che qualcuno metta in dubbio la sua autorità. Soprattutto se è una donna. Ma ho chiesto a un mio amico di aiutarmi- le disse.
Finito di pronunciare queste parole, la donna fischiettò un breve motivetto e dopo pochi secondi un grosso corvo planò nella sua direzione, atterrando a pochi metri da lei.
Brona si avvicinò all’uccello e prese qualcosa che reggeva nel becco. Sorrise soddisfatta e diede al corvo un pezzo di pane come forma di ringraziamento. Si girò quindi verso sua figlia e le mostrò cosa aveva preso dal volatile: -Lo sai cos’è questo, vero?-
Madeleine riconobbe immediatamente il crocifisso che il prete indossava sempre, e notò che era sporco di una specie di impasto.
-Dopo pranzo andrò a fare una bella chiacchierata con il nostro amico prete, che oltre ad essere un difensore della morale è anche un gran distrattone. Sempre che lo trovi, visto che al pomeriggio è sempre dal fornaio, e soprattutto da sua moglie...- disse con una punta di malizia.
La bambina, ancora meravigliata da quello che era successo, le domandò: -Ma come hai fatto? Hai parlato col corvo?-
Brona ridacchiò divertita: -No, ma storeen. Quel corvo è mio amico: io gli do qualcosa da mangiare e lui mi porta dei piccoli regali. E a volte mi aiuta in certe situazioni- spiegò.
Le prese una mano e insieme si incamminarono verso casa: -Stai sempre attenta ai corvi, figliola. Loro sanno, loro ricordano. Se gli fai un torto o un favore, non lo dimenticheranno.-
E dal giorno seguente il prete non osò mai più sparlare di Brona e delle sue misteriose capacità.
 
Un altro gracchio riportò Madeleine alla realtà. La giovane vide che il corvo volò per un breve tratto, appoggiandosi a un muretto poco lontano, e sembrava aspettarla. La ragazza inspirò decisa e si mise a seguire quella strana guida per le vie di Parigi.
Dopo un po’ di tempo il corvo attraversò un cancelletto di ferro, e la ragazza sentì un lungo brivido percorrerle la schiena.
“Fra tutti i posti, proprio in un cimitero dovevi portarmi?” si chiese nella mente, turbata da quella strana scelta.
Fidandosi del suo istinto, Madeleine entrò nel camposanto e seguì il corvo nel suo misterioso volo. Oltrepassò parecchie lapidi, stringendosi nella sua cappa per proteggersi dal freddo, finché l'uccello non si fermò presso due tombe.
-Aspetta, ti faccio un po' di spazio- disse la ragazza, spostando la neve che copriva la parte superiore di una delle due lapidi. Si mise quindi ad osservarle, non capendo il motivo per cui il corvo si fosse fermato lì: erano di due periodi diversi, una più vecchia e l'altra più recente, ed erano le tombe di una tale famiglia De la Serre. Si concentrò sull'ultima, una ragazza morta solo l'anno prima, come intuì notando gli anni incisi sulla pietra.
"Poverina, era poco più grande di me. Chissà cosa le è successo" si domandò.
All'improvviso il corvo sbatté le ali e riprese nuovamente il volo, guidando la ragazza in quel labirinto di pietra e silenzio. L'uccello la condusse presso un'altra tomba ma, contrariamente a prima, non si posò sulla lapide. Invece volò sempre più in alto fino a sparire tra i tetti parigini e lasciando la ragazza da sola.
Madeleine si sistemò una ciocca sfuggita dal cappuccio, quindi si accovacciò davanti alla tomba: era più vecchia di quelle che aveva visto in precedenza, ma comunque tenuta in buono stato.
-Charles Dorian, morto nel 1776- lesse fra sé e sé. Rimase ad osservare la lapide, ponendosi nel frattempo alcune domande: perché quel corvo l'aveva condotta lì? Che storie nascondevano quelle persone di cui rimanevano solo alcune scritte? E perché le sembrava di aver già sentito quell'ultimo cognome?
-Chi siete? E cosa ci fate qui?- chiese qualcuno dietro di lei con voce autoritaria.
 
*****
Arno si avvicinò con cautela all’intruso. Lo analizzò una seconda volta, alla ricerca di eventuali armi, ma non trovò nulla di pericoloso. Anzi, con grande sorpresa scoprì che si trattava di una donna.
Soppesando ogni passo si avvicinò ulteriormente e si pose alle spalle della figura, quindi parlò: -Chi siete? E cosa ci fate qui?-
La persona misteriosa saltò letteralmente per aria, colta di sorpresa: una giovane ragazza si girò verso di lui con gli occhi spalancati dallo spavento, mentre si teneva una mano sullo sterno.
Arno rimase colpito dal suo sguardo, perdendosi per qualche secondo negli occhi della misteriosa giovane: erano di una strana sfumatura blu-verdastra, che per qualche motivo gli ricordava il mare in tempesta.
Scosse la testa, ritornando immediatamente serio: -Chi siete?- ripeté aggrottando la fronte.
Ancora scossa, la ragazza si tolse il cappuccio che le copriva la testa, rivelando una folta chioma dai riflessi rossastri. Respirava velocemente, mentre puntava gli occhi ovunque tranne che sull’Assassino.
-Allora?- disse Arno, cominciando a spazientirsi. Per il momento quella ragazza non si era dimostrata pericolosa, ma questo non era un motivo per abbassare la guardia.
Dopo un ultimo tremito, la giovane proferì un’unica parola: -Bran!-
L’Assassino rimase totalmente spiazzato da quella risposta. Il cruccio di poco prima venne sostituito da un’espressione confusa: -Pardon?-
La giovane sembrò essersi resa conto solo in quel momento di ciò che aveva detto. Arrossendo vistosamente, tentò di ricomporsi e di dare una spiegazione: -Vedete, monsieur, è un po’ complicato. Quand’ero bambina mia madre mi disse di fidarmi dei corvi, e poco fa ce n’era uno che mi ha condotto qui. Poi è volato via, io stavo leggendo questa lapide e poi...-
Si interruppe, assumendo un’aria mesta: -Probabilmente mi credete pazza...-
Arno sorrise appena, quasi intenerito da quella strana ragazza: -Diciamo che è una storia curiosa. Come vi chiamate?- chiese.
Finalmente lei si presentò: -Madeleine Caradec. E voi, monsieur?-
Quando anche l’Assassino ebbe detto il suo nome, Madeleine fece un’espressione sorpresa. Rimase qualche secondo immobile ad osservare il giovane, quindi si voltò verso la lapide presso cui l’aveva guidata il corvo: -Era un vostro parente?-
Arno sorrise mestamente, mentre osservava con tristezza la tomba: -Era mio padre. Avevo otto anni quando morì.-
Madeleine si portò una mano allo sterno, colpita da quella triste storia: -Mi dispiace. E vi capisco, signore. Mia madre è morta quando avevo sedici anni, e dopo qualche mese ho perso anche mio padre.-
Quando ebbe sentito quelle parole, Arno rimase sorpreso nello scoprire che avevano qualcosa in comune. Invitò la giovane fuori dal cimitero e le propose di passeggiare insieme.
L’aria del mattino si era riscaldata leggermente grazie a qualche timido raggio di sole: dando qualche occhiata di sfuggita, l’Assassino notò come la luce solare accentuasse ancora di più i riflessi ramati delle giovane.
-Vorreste raccontarmi un po’ di voi? Cosa ci fate qui a Parigi?- chiese Arno per rompere il ghiaccio.
Madeleine osservò la strada, adesso piena di gente, mentre rispondeva all’Assassino: -Sono cresciuta coi miei genitori in un villaggio vicino a Concarneau, in Bretagna. Mio padre si chiamava Yannick ed era un pescatore; mia madre invece si chiamava Brona, veniva dall’Irlanda ed era una sarta, ma era anche esperta di erbe medicamentose e spesso aiutava le partorienti.-
-Dopo la loro morte ho tentato di andare avanti, ma in quel piccolo villaggio non ho avuto fortuna. Ho provato ad andare a Quimper, ma anche lì non riuscivo a trovare lavoro. Le cose si stavano facendo difficili, quando un’anziana nobildonna di Lione decise di portarmi con sé nella sua casa, e così divenni la sua serva personale.-
Arno la interruppe: -Cos’è successo durante la Rivoluzione?- chiese incuriosito.
La bretone riprese il discorso: -Subito dopo la presa della Bastiglia la mia padrona ha voluto abbandonare la Francia, temendo il peggio. E posso dire che aveva avuto un’ottima idea, visto com’è andata a finire. Ad ogni modo, decise di andare in Inghilterra presso alcuni amici.-
-Siamo ritornate soltanto a ottobre, ma purtroppo poco dopo Natale è venuta a mancare. Mi ha lasciato alcuni soldi e ho deciso di venire a Parigi per cercare un lavoro, ma al momento ho ricevuto solo rifiuti- disse infine, terminando il suo racconto.
Proseguirono per alcuni metri in silenzio, quindi Arno si rivolse alla giovane: -Conosco un posto che sta cercando nuovo personale. Si chiama Café Théâtre e la sua sede principale si trova a Ile Saint-Louis. Fossi in voi farei un tentativo- le propose.
Il volto della ragazza si illuminò, sorpresa da quel suggerimento così prezioso: -Vi ringrazio, signore! Domattina andrò immediatamente a chiedere!- esclamò entusiasta.
Arno sorrise di rimando: -Non è molto lontano da Notre Dame. Recatevi alla cattedrale e poi chiedete a qualche passante. È un locale molto conosciuto, non sarà difficile trovarlo- le spiegò prima di congedarsi e di andare, infine, per la sua strada.
Mentre passeggiava per le vie di Parigi, Arno non riusciva a togliersi dalla mente l’immagine di Madeleine. Era una ragazza particolare, senza dubbio, ma gli ispirava fiducia.
C’era solo una cosa che lo turbava: la sua somiglianza fisica, per certi aspetti, con Élise. Scosse la testa, concentrandosi per scalare un muro. Arrivato sul tetto, l’Assassino proseguì nel suo giro di ricognizione, decidendo più tardi di passare al Café e di scambiare qualche chiacchiera con Madame Gouze.
 
*****
Madeleine non poteva credere alla propria fortuna. Non solo aveva risolto il problema della sua permanenza a Parigi, ma aveva trovato l’obiettivo della sua padrona; e le aveva addirittura suggerito un lavoro in uno dei posti più in vista della città!
Udì un sonoro gracchio sopra di lei, e sorridendo salutò il corvo: -Trugarez, bran! Grazie, corvo!-
Tutta quella allegria, però, venne offuscata da un sentimento di rimorso: la parte riguardante la “vecchia nobildonna” di Lione era stata un’idea di Madame Beauchesne, ispirata alla realtà ma con qualche differenza. Seppur di poco, aveva mentito ad Arno. E anche il fatto che la sua padrona avesse descritto l’uomo come una persona spietata e arrogante l’aveva lasciata perplessa: a parte la comprensibile diffidenza iniziale, Arno si era invece dimostrato molto cortese nei suoi confronti.
Persa nei suoi pensieri, Madeleine proseguì la sua camminata diretta verso la sua pensione. Sempre che fosse riuscita a trovarla, in mezzo a quella confusione.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Il Café Théâtre ***


Vestito buono della domenica? Perfetto.
Capelli legati in una treccia? Bene.
Ciondolo portafortuna? Al suo posto.
Probabilmente era la quarta volta che Madeleine controllava che fosse tutto in ordine, mentre si dirigeva al Café Théâtre. Si alitava sulle mani, nel tentativo di scaldarsele, quando finalmente giunse alla sua destinazione.
La bretone osservò incredula l’edificio, colpita dalla sua grandezza ed eleganza. Più che un café, le sembrava di essere davanti alla residenza di un nobile!
Nonostante fosse mattino presto, il locale pullulava già di gente, a giudicare dalle chiacchiere e dalle risate che si sentivano provenire dall’interno.
Madeleine cercò il suo ciondolo e lo strinse con forza per darsi coraggio. Ripensò ai vari tentativi che aveva fatto i giorni precedenti per cercare lavoro: la maggior parte l’aveva bloccata al primo accenno, dicendo che non aveva bisogno di nuova manodopera; solo un paio si erano rivolti a lei con gentilezza, mentre altri l’avevano scacciata non appena sentivano il suo accento, o per il solo fatto che era una donna.
La bretone si fece prendere dall’ansia: cosa sarebbe successo se non fosse stata assunta? Il Café era la sua ultima possibilità per poter rimanere a Parigi; cosa avrebbe pensato madame Beauchesne, se avesse fallito la sua missione?
Inspirando profondamente, cercando di calmarsi, Madeleine fece gli ultimi passi che la separavano dal Café Théâtre.
 
Un forte odore di caffè pervadeva l'aria di un grande salone dove numerosi clienti sedevano ai tavoli, gustando una tazza della suddetta bevanda accompagnata da qualche dolcetto. In fondo alla sala, su un piccolo palco, andava in scena un'operetta satirica che prendeva in giro la nobiltà dell'ancien régime, provocando grasse risate tra gli spettatori.
Per qualche secondo la giovane rimase ad osservare, distratta dai dialoghi degli attori e dall'intenso aroma di caffè.
-Posso aiutarti?- chiese, all'improvviso, una voce al suo fianco.
Madeleine si riprese all'istante e si girò verso la persona che aveva appena parlato: una donna dai lunghi capelli scuri, con addosso un elegante abito verde e un vistoso cappello piumato, che la osservava con gentilezza.
Si sistemò una ciocca ribelle e rispose: -Stavo cercando il proprietario del locale, o qualcuno che lo gestisca.-
La donna sorrise: -Perfetto, perché ce l'hai davanti a te. Charlotte Gouze, per servirti- disse tendendole una mano.
Madeleine ricambiò il saluto e si presentò, senza riuscire a nascondere una certa sorpresa: -Perdonatemi, madame. Non intendevo offendervi- si giustificò.
Charlotte ridacchiò: -Non preoccuparti, ho ricevuto reazioni peggiori. Ma sediamoci a un tavolo, così puoi spiegarmi stando comoda.-
Finito di dire queste parole, madame Gouze fece segno alla ragazza di seguirla a un tavolino posto di fianco alla sala principale, vicino al bancone. Chiese alla sua ospite se desiderava qualcosa, quindi ordinò a una cameriera di portare due tazze di cioccolata e qualche biscotto. Quando arrivò la loro comanda, Madeleine strinse le mani attorno alla tazza, godendosi il calore provocato dalla bevanda che le scaldava le mani intorpidite dal freddo. Inspirò profondamente, per non perdersi nemmeno una particella di quel profumo delizioso: se ricordava bene aveva bevuto cioccolata soltanto due volte in tutta la sua vita, una volta quand’era bambina a Natale e un’altra, inaspettatamente, offerta da Geneviève qualche anno prima.
-Allora, cosa ti porta qui al Café?- chiese la Gouze, interrompendo i suoi pensieri.
Madeleine si ricompose, quindi le spiegò che aveva bisogno di trovare un lavoro. Le raccontò i tentativi precedenti, tutti falliti, e le assicurò che avrebbe accettato qualsiasi mansione, anche la più umile.
Mentre le parlava, Charlotte osservava i suoi movimenti, notava il modo in cui si esprimeva ed eventuali gestualità, quando a un certo punto la interruppe: -Posso vedere il tuo abito?-
Confusa da quella domanda, la giovane tuttavia obbedì e si avvicinò alla donna in modo che potesse osservare il suo vestito.
-Questi ricami sono deliziosi! Non ne ho mai visti di simili!- esclamò la Gouze, sfiorando con il polpastrello alcuni ricami sulla manica.
-Li ho fatti io, mi ha insegnato mia madre- spiegò Madeleine, arrossendo lievemente.
Madame Gouze si massaggiò il mento con un dito, pensierosa, quindi fece cenno alla giovane di seguirla oltre il salone. Mentre seguiva la donna Madeleine osservava con meraviglia le scale e i corridoi che intravedeva al loro passaggio, chiedendosi dove portassero e quanto fosse effettivamente grande tutto quell'edificio, finché la donna non la condusse in un'ampia sala piena di abiti di scena.
Charlotte chiamò quindi un'altra donna, di circa cinquant'anni, e la presentò alla giovane: -Madeleine, questa signora è Marie-Jeanne Rose Bertin, la creatrice di tutti questi abiti meravigliosi. Nonché– aggiunse in un sussurro –la famosa ex sarta della regina, le cui meraviglie sono conosciute in tutta Europa.-
-Potevi anche evitare, Charlotte- replicò in tono burbero la Bertin, ma col sorriso sulle labbra.
La Gouze ignorò quell'appunto e si rivolse a quest'ultima: -Rose, cara, ti ho trovato una nuova aiuto sarta.-
Si girò quindi verso la ragazza: -Sarai in prova per una settimana, e se tutto andrà bene sarai assunta. Ti occuperai principalmente della sartoria, ma se ci sarà bisogno darai una mano in cucina. Chiedi pure a una delle ragazze di mostrarti il Café, e se hai bisogno di qualcosa rivolgiti pure a me o all'intendente- spiegò ad un'incredula Madeleine, quindi ritornò nel salone principale.
E fu così che la giovane bretone trovò lavoro a Parigi.
 
Ormai erano passate quasi due settimane e Madeleine si era ambientata al Café e ai suoi occupanti: aveva stretto amicizia con Célestine, una delle cameriere storiche del locale che le aveva fatto da cicerone, descrivendole i luoghi e le stanze in cui avevano il permesso di andare. Aveva anche avuto la fortuna di poter usare una delle camere messe a disposizione nel Café, per chi non aveva un alloggio proprio.
In generale andava d’accordo con tutto il personale; l’unica persona che trovava antipatica era Domitille, una cameriera che a volte prendeva parte agli spettacoli teatrali e che per questo si comportava come se fosse una cantante lirica all’Opéra national di Parigi.
L’unico posto in cui non era permesso andare era la Sala del Club, un luogo dove si riunivano spesso un misterioso amministratore, così le aveva detto Célestine, e i suoi amici. Madeleine aveva trovato strano che una stanza del genere si trovasse in un café, così come spesso aveva intravisto alcune figure incappucciate andare in un’altra sala a esercitarsi a tirare di scherma (cosa ancora più strana), ma aveva preferito non fare domande.
Una in realtà se la chiedeva: come avrebbe fatto a ritrovare Arno Dorian?
 
Un giorno stava cucendo lo strappo di una camicia quando udì alcune voci concitate provenire dal corridoio.
-Che cosa succede?- domandò a Célestine.
La cameriera diede un’occhiata distratta alla porta, dove intravide passare Domitille e altre due ragazze tutte eccitate: -Probabilmente è arrivato l’amministratore- bofonchiò incurante.
Notando lo sguardo confuso della bretone, Célestine sistemò i panni che aveva in mano e fece segno alla ragazza di seguirla: -Non credo tu l’abbia già incontrato. Dai, vieni con me.-
Le due uscirono dalla stanza e si diressero verso il salone, da dove udirono un sonoro “Bonjour, monsieur!”, presumibilmente da parte di Domitille e le sue amiche.
Célestine alzò gli occhi al cielo: -Quelle tre dovrebbero smetterla di fare le oche! Come se, dopo così poco, il signor Dorian fosse già interessato ad altre donne- disse in tono critico.
Madeleine, al sentir pronunciare quel nome, si bloccò all’ingresso del salone: contrapposto alle tre cameriere, al fianco di madame Gouze stava un giovane dai capelli legati, gli occhi scuri e una cicatrice sotto l’occhio sinistro.
-Voi?!- esclamò sorpresa, attirando l’attenzione dei presenti.
Arno Dorian la notò e le sorrise: -Bonjour, Madeleine. Madame Gouze mi stava raccontando del tuo ottimo lavoro in sartoria. Le volevo proporre una cosa, ma ora che sei qui posso proporla direttamente a te: volevo chiederti se vorresti occuparti anche del mio guardaroba personale. Ovviamente con un’adeguata retribuzione- disse.
Madeleine non poteva crederci: non solo Arno Dorian era l’amministratore del Café, e quindi lo avrebbe incrociato spesso, ma lavorando a così stretto contatto con lui avrebbe potuto scoprire ciò che interessava alla sua padrona! Era un’occasione d’oro!
-Accetto volentieri!- esclamò entusiasta la giovane. Nella sua mente cominciò a ringraziare tutti i santi del calendario, nella speranza di beccare quello che aveva compiuto quel miracolo.
Arno la ringraziò per la sua disponibilità, aggiungendo di mettersi d’accordo con l’intendente per eventuali questioni, quindi prese la strada per la sua stanza al primo piano.
Ma mentre Célestine le faceva i complimenti per la sua promozione, Madeleine non colse lo sguardo stizzito e pieno di invidia che le rivolse Domitille.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Brezhoneg ***


Era trascorso quasi un mese da quando Madeleine era diventata la sarta personale di Arno, ma più passava il tempo e meno lei capiva cosa diamine facesse l’uomo per vivere: non risiedeva stabilmente al Café, si incontrava spesso con quegli strani uomini incappucciati e andava in giro armato (non era così strano, visti i tempi, ma per un amministratore di un café...).
Prendendosi cura dei suoi vestiti, Madeleine aveva notato numerose tasche e un segno ricorrente sulla manica sinistra delle giacche all’altezza del polso, come se Arno vi tenesse legato sempre qualcosa. Ma la cosa che più l’aveva inquietata era stato trovare sugli abiti tracce di lotta, e qualche volta addirittura di sangue.
Madame Beauchesne non aveva mentito sul fatto che il giovane potesse essere coinvolto in fatti criminosi, eppure la ragazza faticava a immaginare quell’uomo così cortese e affascinante compiere qualcosa di così grave.
 
Un pomeriggio i dubbi di Madeleine vennero finalmente chiariti.
Si trovava al mercato per alcune commissioni per conto di Babette, la cuoca del Café. Aveva appena finito di comprare qualche verdura e si stava allontanando dal banco del venditore, quando notò un uomo che la osservava: era molto alto e robusto, e una folta barba scura nascondeva a malapena una profonda cicatrice alla mandibola.
Per qualche ragione, a Madeleine sembrò di aver già visto quella persona, ma l’idea non la rassicurava per niente. E, cosa peggiore, quell’uomo ora si stava avvicinando a lei.
-Tu sei la servetta della Beauchesne, non è vero?- chiese lui con tono arrogante.
La giovane annuì a malapena, avvertendo dei brividi lungo la schiena.
-Sai chi sono io, vero?- chiese di nuovo, mentre un sorriso crudele compariva sul suo volto.
Madeleine si morse il labbro, nervosa. Pensò alle lunghe riunioni che a volte organizzava la sua padrona, nel tentativo di ricordare il nome del suo minaccioso interlocutore.
-Le... Lefevre?- balbettò timorosa, deglutendo a fatica per l’ansia.
L’uomo ridacchiò appena: -Quasi, ma vedo che hai una buona memoria. Volevo solo dirti una cosa, piccola- disse abbassando la voce, in modo che solo la bretone potesse udirlo.
-Fossi in te andrei dalla tua signora, sempre che non sia troppo impegnata a scopare Marchand, e le direi di non preoccuparsi per il posto di Gran Maestro Templare, perché presto sarà mio- aggiunse in modo tronfio, gonfiando il petto con orgoglio.
Madeleine restò basita: -Il cosa?- si lasciò scappare.
Per un attimo, Isidore Lefebvre fece un’espressione sorpresa: -Non sai nulla? Non sai di cosa ci occupiamo noi, Thérèse e gli altri?- domandò quasi incredulo.
Quando la giovane rispose in modo negativo, Isidore scrollò le spalle: -Beh, sappi che presto il Café Théâtre dovrà trovare un nuovo amministratore, perché tra poco la testa di Dorian svetterà su una picca- disse infine, dando un’ultima occhiata crudele alla giovane e andandosene poi per la sua strada.
Madeleine era sconvolta da ciò che le era appena successo. Non aveva capito un accidente di cosa intendesse Lefebvre coi Templari e con la sua padrona, ma una cosa era certa: Arno era in pericolo.
 
Stringendo il cesto con la spesa la ragazza camminò il più in fretta possibile, rallentata dalla calca di gente che riempiva le strade. In cuor suo sperava che Arno fosse ancora al Café, perché in caso contrario non avrebbe saputo cosa fare.
Mentre evitava un capannello di guardie si sentiva il cuore battere all’impazzata; da tanto, troppo tempo non si sentiva così ansiosa per qualcuno.
Aveva appena superato la cattedrale di Notre Dame quando una macchia blu attirò il suo sguardo, volse la testa e vide Arno che si stava allontanando.
-Monsieur Dorian!- lo chiamò ad alta voce, mentre correva nella sua direzione.
Arno si fermò, guardandosi intorno per vedere chi lo aveva chiamato; quando lo raggiunse lei notò il suo sguardo corrucciato, come se qualcuno lo avesse buttato giù dal letto nel cuore della notte.
-Ciao Madeleine. Scusami ma sono piuttosto di fretta, ci vediamo più tardi- disse lui riprendendo a camminare.
-Aspettate! È una cosa molto importante!- replicò la ragazza, tentando di fermarlo.
-Sono certo che madame Gouze saprà risolvere la questione. Buona giornata.-
-Ma...-
-Ho detto buona giornata!- ribatté l’uomo esasperato, rendendosi conto troppo tardi di aver spaventato la giovane.
Vedendola trasalire si pentì immediatamente della propria reazione: -Mi dispiace, ti chiedo scusa Madeleine. Purtroppo ho una faccenda urgente da sbrigare, ma ti prometto che appena torno potrai dirmi tutto quello che ti preoccupa- disse nel tentativo di tranquillizzarla.
La giovane non riuscì a rispondere, quindi Arno dovette salutarla velocemente e andarsene per le strade di Parigi. Cercò di concentrarsi sulla missione che lo attendeva, ma il peso che sentiva sullo stomaco rendeva le cose più difficili.
 
La bretone era rimasta di sasso: mai, prima di allora, Arno si era rivolto a lei in modo così brusco. Sapeva benissimo che era un uomo con molti impegni, alcuni dei quali non sembrava gradire neanche lui, ma ci era rimasta comunque male.
Ma lo sconforto venne sostituito immediatamente dall’ansia: Madeleine si sentiva gocce fredde di sudore bagnarle appena la fronte, mentre mille pensieri le invadevano la mente.
“Cosa faccio ora?” si chiedeva continuamente. Che altri mezzi aveva per avvertire Arno del pericolo? Cosa avrebbe detto madame Gouze?
Ecco la soluzione!
Madeleine corse a perdifiato verso il retro del Café Théâtre, dove una piccola porta conduceva direttamente al retro delle cucine.
-Dov’è madame Gouze?- chiese senza fiato, cogliendo di sorpresa gli inservienti della cucina.
Babette le rispose: -È impegnata alla Sala del Club. Forse tra mezz’ora sarà libera e... Ma dove corri!-
La giovane le mollò il cesto della spesa e uscì di corsa dalle cucine, diretta verso la Sala del Club: sicuramente la Gouze avrebbe potuto mettersi in contatto con gli incappucciati, e loro avrebbero potuto aiutare Arno. Non le importava di infrangere una delle regole del Café, madame Gouze avrebbe capito.
Attraversò correndo vari corridoi fino a raggiungere la scala che portava alla Sala del Club.
-Madame Gouze! Madame Gouze!- chiamò ad alta voce, mentre scendeva i gradini. Aveva appena lasciato l’ultimo gradino, quando sentì qualcuno bloccarla per il braccio. Nella penombra era nascosto un uomo, e la flebile luce delle torce faceva intravedere soltanto la parte inferiore del viso e una barba un po’ incolta.
-Di qui non si passa- disse quest’ultimo con voce ferma.
-Vi prego, devo parlare con madame Gouze!- lo implorò la ragazza, mentre cercava di liberarsi dalla sua presa d’acciaio.
L’uomo incappucciato strinse ancora di più la presa: -Ritorna più tardi. Qui non puoi stare- replicò con una punta di rabbia.
Madeleine strinse i denti per il dolore. Disperata, gridò a pieni polmoni: -MAR PLIJ, AOTROU!!!-
Finalmente l’uomo allentò la pressione sul suo braccio, e qualcuno arrivò da loro.
-Si può sapere cosa sta succedendo?- chiese la Gouze, leggermente infastidita da tutto quel baccano.
Prima che Madeleine o la misteriosa guardia potessero spiegarsi, un altro uomo incappucciato si rivolse a quest’ultimo: -Lasciala andare, Gerard. E sta tranquillo che non ti ha insultato.-
La ragazza si stupì di quelle parole, ma si riprese subito e si rivolse alla Gouze: -Arno è in pericolo, madame! Un uomo mi ha fermato dicendo che lo avrebbe ucciso, ha parlato di maestri e di templi ma io non ci ho capito nulla! Vi prego, dovete aiutarlo!- spiegò fra le lacrime, pregando di essere ancora in tempo per poterlo salvare.
L’espressione sui visi di Charlotte Gouze e dei due uomini cambiò immediatamente. Si scambiarono un cenno di assenso, quindi i due incappucciati scattarono verso un corridoio che portava in un’altra sala; prima, però, il secondo uomo si rivolse a Madeleine con affetto: -Andrà tutto bene, plac’h.-
Rimaste sole, la Gouze mise una mano sulla spalla della giovane bretone per rassicurarla: -Andrà tutto bene, cara. Gerard e Laurent riusciranno a raggiungere Arno- disse, riprendendo le parole dell’Assassino.
Madeleine si lasciò scappare un singulto, mentre le lacrime continuavano a rigarle le guance: -Non siete arrabbiata con me?- chiese preoccupata.
-No, tranquilla. Era per un’emergenza e tu hai fatto bene ad avvertirmi. Adesso vai a riprenderti, se non ti senti in grado di lavorare spiegherò io a Rose- rispose la Gouze, rassicurandola ulteriormente.
La giovane la ringraziò, e dopo essersi asciugata le ultime lacrime si diresse verso la propria camera ignorando gli sguardi confusi delle altre inservienti, accorse a vedere cosa fosse successo.
Raggiunse finalmente la stanza piccola ma accogliente, si tolse le scarpe e si lasciò cadere sul letto. Prese il cuscino e lo strinse al petto, come se fosse stato un pupazzo, per poi affondarci la faccia. Scacciò dalla mente gli scenari più drammatici, e pregò che il signor Dorian fosse ancora vivo. Ma un dubbio le si insinuò nella mente: era solo per la missione affidatale dalla sua padrona, o ci teneva veramente ad Arno?
 
Ormai era sera inoltrata e i morsi della fame si stavano facendo più insistenti. Madeleine uscì dalla sua stanza per dirigersi in cucina, dove Babette la aspettava con una scodella di zuppa calda in mano.
-Prendi cara. Mi hai fatto preoccupare un sacco prima, sai?- scherzò la cuoca porgendole la ciotola.
La ragazza accettò più che volentieri e mangiò di gusto insieme alle altre inservienti, scambiando qualche chiacchiera e pettegolezzo sulle ultime novità di Parigi.
Tutto a un tratto Célestine entrò in cucina, attirando l’attenzione dei presenti. Sul volto aveva un’espressione seria, che sembrava nascondere a fatica un sentimento di dolore.
-Hanno appena riportato il signor Dorian- annunciò.
Qualcuno si lasciò scappare un sussulto, colto di sorpresa da quella notizia così inaspettata.
-Sta bene?- domandò Ophélie, una delle cameriere.
Célestine fece un profondo respiro, quindi rispose: -È conciato male. Mi hanno detto che è già stato visitato da un dottore, ma temo che per un po’ non potrà fare molto.-
Mormorii preoccupati riempirono l’aria, dando spazio a ipotesi su cosa potesse essere successo all’amministratore del Café Théâtre. Madeleine sospirò appena, grata per quel miracolo: seppur ferito, Arno era ancora vivo.
Finito di cenare, alcune ragazze decisero di passare ancora del tempo insieme, chiacchierando davanti al grande camino della cucina; altre invece, stanche per il lavoro, preferirono andare a coricarsi, tra cui Madeleine.
Stava andando in camera sua, ma durante il tragitto incontrò madame Gouze. La donna la notò e si avvicinò a lei con un’espressione malinconica sul volto.
-Va tutto bene, Madeleine?- chiese la donna.
La ragazza annuì appena, ma cominciò ad avvertire una spiacevole sensazione all’altezza dello stomaco: era come se qualcuno le avesse appoggiato un masso enorme, impossibile da rimuovere. Cominciò a provare un senso di colpa, come se in qualche modo si sentisse responsabile dell’agguato ad Arno.
-Come sta?- domandò invece.
Charlotte Gouze sembrò capire cosa tormentasse la giovane. Le mise una mano sulla spalla e l’accompagnò al piano superiore: -Tu non hai nessuna colpa, Madeleine. Anzi, se quell’uomo non ti avesse spifferato il suo piano, a quest’ora il signor Dorian starebbe molto peggio. Forse non sarebbe più nemmeno qui fra noi.-
A quelle parole la ragazza spalancò gli occhi, incredula.
La Gouze quindi le spiegò cosa intendeva: -Quando Gerard e Laurent, gli uomini che hai incrociato al Club, sono riusciti a metterlo in salvo, gli hanno trovato nella tasca un biglietto contraffatto che imitava una persona che conosciamo noi. Una trappola, ovviamente, ma così ben fatto che ci abbiamo creduto anche noi. Senza di te, Arno sarebbe morto.-
Quella notizia avrebbe dovuto rallegrarla, e lo fece; ma allo stesso tempo le provocò un senso di inquietudine. Isidore Lefebvre le aveva accennato a un Gran Maestro di qualcosa, e anche la sua padrona sembrava coinvolta. C’entrava veramente con ciò che aveva detto l’uomo? Che senso aveva spiare Arno Dorian per assicurarlo alla giustizia, se poi un amico di madame Beauchesne aveva tentato di ucciderlo?
Mentre pensava a queste domande, Madeleine non si era resa conto di trovarsi davanti alla porta della camera personale dell’amministratore del Café. La porta era socchiusa, e poco dopo ne uscì la Gouze.
-Mi aveva detto che voleva parlare con te, ma adesso sta dormendo- spiegò la donna.
Un fremito attraversò la ragazza, improvvisamente in preda all’ansia: -Posso... Posso vederlo?-
Madame Gouze osservò la stanza che aveva appena lasciato, titubante, ma infine acconsentì: -D’accordo, ma cerca di non svegliarlo- le raccomandò.
La giovane la ringraziò, quindi la donna voltò i tacchi e se ne andò per le scale. Rimasta sola, Madeleine fece un profondo respiro, girò la maniglia ed entrò nella stanza del signor Dorian.
 
Non era la prima volta che la ragazza si recava nella camera personale di Arno per via del suo lavoro da sarta, ma ogni volta rimaneva affascinata dall’eleganza dell’arredamento, allo stesso tempo semplice e di classe.
Poiché era sera la stanza era piuttosto buia, illuminata soltanto dal caminetto e da una candela posta sul comodino vicino al letto dell’amministratore.
Soppesando ogni passo per evitare di far rumore, Madeleine attraversò la stanza, salì il gradino del soppalco e, infine, osservò l’uomo disteso sul letto.
Alla fioca luce della candela, la giovane trattenne un singulto: sullo zigomo destro di Arno si era già formato un livido violaceo, mentre il labbro inferiore era ancora gonfio a causa di un brutto colpo che aveva ricevuto; sul petto, anche se coperto dalle lenzuola, si intravedevano alcune fasciature che coprivano chissà quali ferite.
Célestine aveva ragione: era proprio conciato male.
Ritornò ad osservare il volto, notando alcuni movimenti delle sopracciglia. Per sicurezza Madeleine gli controllò la temperatura sulla fronte, sperando che non si trattasse di una febbre nascente. Si guardò intorno e vide un catino con una brocca accanto, vi si avvicinò e intinse una pezza di stoffa nel contenitore pieno di acqua fresca. Ritornò quindi da Arno e appoggiò il fazzoletto bagnato sulla sua fronte.
Mentre gli rinfrescava il volto, Madeleine osservava attentamente possibili reazioni da parte dell’uomo, ma a parte un suo sospiro non accadde nulla. Sentendosi più tranquilla, la ragazza continuò a passare il fazzoletto e a guardare il suo volto, cogliendo particolari impossibili da notare in una giornata normale: la cicatrice sotto l’occhio, dall’origine sconosciuta ai più; le labbra carnose, in quel momento appena socchiuse nel sonno; gli occhi dalle ciglia lunghe, che tanto facevano impazzire alcune inservienti.
Rimase affascinata da quegli occhi che in quel momento nascondevano due iridi scure e dolci. Come il cioccolato, oppure come...
-Menn- mormorò Madeleine. Sì, glielo ricordavano proprio.
Arrossendo appena, la giovane distolse lo sguardo dal viso di Arno. La sua attenzione cadde invece sulle mani, rimaste fuori dalla coperta. Sfiorò quella più vicina, notando dita lunghe e affusolate che contrastavano però con numerosi calli.
“Mani da artista, quasi da musicista” pensò la ragazza. Cosa che, visto cos’era accaduto, non corrispondeva alla realtà.
Ad un certo punto Madeleine si accorse che il fuoco del caminetto si era indebolito. Andò quindi a mettere qualche pezzo di legno che sistemò con l’attizzatoio. Si accomodò poi lì davanti, stendendo le mani verso le fiamme per scaldarsi.
Chiuse gli occhi e con la mente ritornò alla sua infanzia, a quando c’erano serate di festa e si accendevano grandi fuochi attorno a cui la gente ballava, mentre i musicisti suonavano e cantavano per rallegrare gli animi. Una canzone in particolare riaffiorò dai suoi ricordi:
 
Ev chistr 'ta Laou, rak chistr zo mat, loñla
Ev chistr 'ta Laou, rak chistr zo mat
Ev chistr 'ta Laou, rak chistr zo mat
Ur blank, ur blank ar chopinad loñla
Ur blank, ur blank ar chopinad.
 
Madeleine continuò a canticchiare, riassaporando la gioia di quei ricordi felici, quando ad un certo punto ebbe la sensazione di sentirsi osservata. Riaprì gli occhi di scatto e vide Arno che la guardava sorridendo.
-Hai una bella voce- mormorò l’uomo.
La ragazza rimase pietrificata: sentì il cuore battere all’impazzata, mentre l’ansia le faceva mancare il respiro. Cominciò ad agitarsi, tappandosi la bocca e nascondendosi il volto dietro le mani: -Vi prego, non volevo. Non lo farò più, vi prego. Non denunciatemi...- supplicava quasi sull’orlo delle lacrime.
Arno rimase confuso da quella reazione, non riuscendo a capire il perché di quelle parole. Con grande fatica si mise seduto e fece segno alla ragazza di raggiungerlo.
-Per cosa dovrei denunciarti?- le chiese preoccupato, una volta che Madeleine si sedette a fianco del letto.
Asciugandosi velocemente una lacrima, la giovane spiegò: -Il governo rivoluzionario vuole che si parli solo francese. Dicono che i patois, le lingue regionali, sono considerate legate alla monarchia, perché non sapendo il francese i ceti più bassi non capivano cosa stesse succedendo. Per questo non vogliono che vengano parlate, per questo le vogliono cancellare. Anche la mia vecchia padrona mi proibiva di parlare bretone, ma io non voglio rinunciare alla mia lingua. Non voglio rinunciare a una parte di me...-
Madeleine teneva lo sguardo basso, pronta ad un eventuale rimprovero. Ma non udì nessuna parola di condanna. Anzi, sentì la mano di Arno sulla propria, mentre la picchiettava con gentilezza. Alzò dunque gli occhi, vedendo un debole sorriso sul volto dell’uomo.
-Qui sei libera di parlare tutte le lingue che vuoi, Madeleine. Nessuno di noi ti denuncerà, te lo posso garantire. Io, la Gouze e gli altri facciamo di tutto affinché chiunque lavori qui sia al sicuro sia dentro che fuori il Café- la rassicurò Arno.
Se fino a prima sentiva solo lunghi brividi di paura, adesso la bretone si sentì invadere da un tenero calore rassicurante che le sciolse tutta la tensione che provava fino a prima.
-Grazie, signor Dorian. Per me significa molto- disse riconoscente.
L’Assassino le sorrise nuovamente: -È il minimo che possa fare, dopo oggi. I miei “colleghi” mi hanno detto ciò che è successo: se tu non li avessi avvertiti...- si interruppe con un sospiro, ritornando subito serio.
Madeleine strinse i lembi del suo abito, immediatamente nervosa.
Timidamente, la giovane espresse i dubbi che la attanagliavano dal tardo pomeriggio: -Perché vi hanno attaccato? Che cosa fate in realtà?-
Arno rimase a pensare qualche secondo, ponendosi parecchi interrogativi: -Hai ragione. Tuo malgrado, ti sei ritrovata invischiata in qualcosa di molto grande e pericoloso. Ti spiegherò tutto non appena mi sentirò meglio, te lo prometto- rispose in tono serio.
-Ciò che non capisco- aggiunse subito dopo -è perché il mio assalitore ti abbia spifferato il suo piano. O era molto stupido, o era molto sicuro di riuscire nel suo intento.-
Madeleine deglutì a fatica: -Non lo so.-
Odiava quella situazione, ma si vide costretta a mentire temendo che potesse essere accusata ingiustamente di complicità, visto il legame tra la sua padrona e il Templare.
Arno sospirò, per via della stanchezza: -Devo dirti un’altra cosa, Madeleine. Ti chiedo scusa per come mi sono comportato con te. Non meritavi di venire trattata così- disse dispiaciuto.
La giovane accennò a un timido sorriso: -Non fa niente, signor Dorian. L’importante è che voi siate ancora vivo.-
L’Assassino ricambiò la gentilezza della ragazza, poi aggiunse: -Un’ultima cosa. Almeno quando siamo soli, non chiamarmi signor Dorian. Mi fa sentire terribilmente vecchio- scherzò.
Madeleine ebbe l’impressione di sentirsi arrossire le guance, ma non sapeva se per l’imbarazzo o altro. Sorridendo ancora di più, rispose: -D’accordo... Arno.-

----------------------------------------------------------------------------------------------------------------
P.S.: tradotto da wikipedia: La monarchia francese non si occupava delle lingue minoritarie della Francia, parlate dalle classi inferiori, e richiedeva l'uso del francese per gli affari del governo come parte della sua politica di unità nazionale. Durante la Rivoluzione francese, il governo introdusse politiche a favore del francese rispetto alle lingue regionali, che chiamava peggiorativamente patois. I rivoluzionari presumevano che le forze reazionarie e monarchiche preferissero le lingue regionali per cercare di mantenere le masse contadine poco informate. Nel 1794 Bertrand Barère presentò il suo "rapporto sul patois" al Comitato di Pubblica Sicurezza in cui affermava che "federalismo e superstizione parlano bretone".

P.P.S.: la canzone che canticchia Madeleine s'intitola "Son ar chistr", qui potete sentire la versione di Alan Stivell: https://www.youtube.com/watch?v=v80jZ_ZI-Ec

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Un brutto scherzo ***


Parigi, marzo 1795.
Ormai era arrivata la primavera e il sole scaldava coi suoi tiepidi raggi le strade della capitale francese. Ma dentro il Café Théâtre si muoveva qualcuno dall’animo tempestoso.
-Non ci posso credere! Non mi ha degnato nemmeno di uno sguardo!- esclamò Domitille, furiosa, mentre rientrava in lavanderia.
Ophélie alzò gli occhi al cielo, preparandosi ad ascoltare l’ennesima lamentela della ragazza.
Puntualmente, Domitille si sfogò: -Il signor Dorian non ha voluto nessun aiuto per il bagno! Non appena gli ho versato l’ultimo secchio in vasca mi ha mandato via, dicendo di non voler essere disturbato da nessuno! E io che ho pure indossato la mia camicetta speciale!- disse rabbiosa, avvicinandosi a uno specchio e rimirando il proprio riflesso, nonché il profondo scollo che lasciava intravedere il décolleté.
Ophélie sospirò: -È inutile, Domitille. Il signor Dorian non è interessato a nessuno in particolare.-
Ancora più furiosa, Domitille si voltò verso l’altra ragazza: -E allora come spieghi che quella contadina bretone continua a ronzargli intorno?! So per certo che le ha chiesto di aiutarlo con le medicazioni. Cos’ha in più quella mangia-burro rispetto a me!?-
Ophélie le avrebbe risposto volentieri facendole notare la sua mancanza di umiltà, ma preferì non diventare il prossimo bersaglio della cameriera-attrice. Finì di piegare le camicie che aveva appena stirato e si diresse verso la porta: -Appena si sono raffreddate portale dal signor Dorian- disse all’altra, e uscì dalla stanza.
Domitille si mise a camminare in circolo nel tentativo di calmarsi e di pensare. Madeleine non le aveva fatto nulla di particolare, ma non riusciva a tollerare il fatto che Arno l’avesse presa in simpatia fin dai primi giorni. Ad un certo punto il suo sguardo cadde sulle camicie appena stirate, e un’idea diabolica cominciò a formarsi nella sua mente.
Sentì la porta aprirsi e vide entrare proprio la bretone.
“Quando parli del diavolo spuntano le corna” pensò acidamente.
Senza neanche salutarla, prese le camicie e le diede in mano a Madeleine: -Carissima, capiti proprio a fagiolo! Devi portare queste camicie in camera del signor Dorian, gli servono subitissimo!- esclamò con finta allegria.
Madeleine la guardò confusa: -Ma io credevo che fosse impegnato a...-
-Ma no, ma no! In realtà è andato un attimo alla Sala di addestramento per discutere di alcune cose, e gli ci vorrà ancora molto! Su, cosa aspetti? A monsieur Dorian farà piacere vedere le camicie già pronte- le spiegò l’altra, sottolineando con voce suadente l’ultima frase.
Convinta da quelle parole, Madeleine salutò Domitille e uscì con le camicie in mano, ignara del sorriso crudele comparso sulle labbra della cameriera-attrice.
 
Mentre saliva le scale che portavano al primo piano, Madeleine pensò ai progressi della propria missione. Purtroppo, non andava per niente bene.
Non che non avesse cercato informazioni: aveva chiesto alle altre cameriere e agli inservienti, aveva tentato di origliare con discrezione i vari personaggi incappucciati; ma non aveva trovato nulla di importante o pericoloso che riguardasse Arno.
Molto probabilmente madame Beauchesne non avrebbe affatto gradito quella situazione di stallo. Per giunta, la giovane non aveva idea di come entrare in contatto con la sua padrona, e in quei mesi non si era mai fatta vedere o sentire.
Sospirò: cercare tra gli effetti personali di Arno era troppo rischioso, specialmente quando lui era presente al Café. Avrebbe aspettato il momento più opportuno, solo non sapeva quando.
 
Arrivò finalmente alla camera di Arno e vi entrò. Diede un'occhiata alla scrivania, ma notò soltanto una lettera appena iniziata e senza nessuna informazione. Si diresse quindi verso il letto dell'uomo, sopra il quale poggiò le camicie. Girandosi per andarsene, Madeleine vide che la vasca da bagno era piena, al suo fianco Arno si stava asciugando i capelli.
E a parte un asciugamano in testa non aveva nient'altro addosso.
I due rimasero immobili, completamente sorpresi l'uno dalla presenza dell'altra. C'era così tanto silenzio che si sarebbe sentito cadere uno spillo.
Poi entrambi sembrarono rianimarsi: Arno abbassò d'impeto l'asciugamano sul basso ventre, rosso in viso; ma la povera Madeleine si sentiva bollire il volto fino alle orecchie, paonazza per quella situazione così imbarazzante. Girò immediatamente la faccia dall'altra parte e si mise a correre verso l'uscita della stanza.
Non aveva fatto che pochi passi, quando all'improvviso Arno la chiamò: -Madeleine, aspetta! Fermati un attimo.-
La giovane obbedì, rifiutandosi però di guardarlo in faccia: -Scusami, non volevo! Giuro che non ho visto niente! In realtà ho visto, ma... Oddio, non lo sapevo!- farfugliò giustificandosi.
Ancora al riparo del paravento, Arno le chiese chi le avesse detto di portare le camicie in camera sua.
-Domitille. Mi ha detto che eri nella Sala di addestramento per discutere una cosa, e che ci avresti messo tanto. Io non...- spiegò la giovane. Poi un'orribile pensiero le venne in mente, e il rosso di imbarazzo si trasformò in un vermiglio di rabbia.
-Quella serpe! Quella strega!! Quella... quella... louskenn!!!-
Una risata divertita attirò la sua attenzione: avvolto da un ampio asciugamano, e fortunatamente con un paio di mutande addosso, Arno la guardava sorridendo: -Non ho idea di cosa tu abbia detto, ma di sicuro non è un complimento.-
Madeleine abbassò lo sguardo e si mise una mano sullo sterno, come a stringere qualcosa: -Mi dispiace, non avrei dovuto credere a Domitille.-
Quando rialzò gli occhi si ritrovò Arno a un passo da lei. L'uomo la guardava con comprensione: -Ehi, non è colpa tua se Domitille ha voluto farti questo scherzo. Ma puoi star certa che non resterà impunita.-
La bretone sobbalzò a quelle parole, al che Arno la rassicurò: -Ne parlerò con madame Gouze dopo. Il licenziamento forse è eccessivo, ma qualcosa sarà fatto.-
Madeleine sorrise appena: anche se Domitille le aveva fatto quel dispetto, non voleva che per questo si ritrovasse in mezzo alla strada. Ringraziò quindi l'uomo e fece per congedarsi, ma Arno la chiamò un'altra volta.
 
Quasi con timidezza, l'Assassino le chiese se potesse aiutarlo con le garze. La bretone accettò, quindi lo seguì dietro il paravento con la vasca, dove c'era anche un armadietto delle medicine.
Per un po' i due rimasero in silenzio, mentre Madeleine passava il disinfettante e bendava le ferite dell'uomo, ormai in via di guarigione. Osservò i segni vecchi e nuovi lasciati da chissà quante lotte, con sempre più domande nella sua testa.
Prese coraggio e, dopo un profondo respiro, disse: -Lo so che forse non è il momento giusto, ma mi avevi detto che mi avresti raccontato cosa ti è successo, Arno. E chi sei veramente.-
Sentì la schiena dell'uomo irrigidirsi appena, per poi rilassarsi subito dopo: -Hai ragione, dopotutto te l'ho promesso- lo sentì dire.
Non appena Madeleine ebbe finito di medicarlo Arno indossò una camicia e dei pantaloni, quindi fece segno alla giovane di accomodarsi su una delle sedie presenti nella stanza.
Di nuovo ci fu un momento di silenzio, come se Arno stesse decidendo come iniziare, e la giovane attendeva con pazienza.
Finalmente, Arno prese il suo orologio e cominciò a raccontare: -È iniziato tutto quasi vent'anni fa, con la morte di mio padre. Questa è l'unica cosa che mi è rimasta di lui- spiegò, mostrandole il quadrante di vetro rotto.
-Un uomo, François De la Serre, decise di prendermi con sé e di crescermi quasi come un figlio. Ciò che non sapevo, e che scoprii dopo il suo omicidio, è che lui era il Gran Maestro Templare di Francia, un gruppo di persone alla perenne ricerca di misteriosi manufatti che li aiuti a soggiogare la libertà della gente in nome dell'ordine mondiale.-
-Ma a combatterli esiste un altro gruppo, gli Assassini. E io sono uno di loro, così come altre persone in giro per il mondo- terminò l’uomo, chiudendo l’orologio e indicando alla ragazza l’insegna della Confraternita cesellata sul coperchio.
Dopo quelle parole Madeleine rimase in silenzio, ancora più confusa dalla rivelazione di Arno.
-Quindi, l’uomo che ti ha attaccato...- chiese, timorosa della risposta.
-Isidore Lefebvre, un uomo violento e senza scrupoli. Ma ora non potrà più fare del male a nessuno- rispose l’Assassino.
La giovane si sentì un groppo in gola: possibile che madame Beauchesne facesse parte di gente così malvagia?
 
Madeleine era ancora persa nei suoi pensieri, quando sentì la voce di Arno chiamarla. Si riprese subito, scusandosi per la propria distrazione.
L’Assassino le sorrise: -Tranquilla, capisco che ciò che ti ho detto ti abbia colpito. Inutile dire che queste informazioni devono rimanere segrete, ma confido nella tua discrezione.-
La giovane annuì con fermezza: -Te lo giuro, Arno. Non lo dirò ad anima viva.-
-Bene. Ora però ho io una domanda per te- replicò l’uomo.
Madeleine si sentì improvvisamente nervosa. Si raddrizzò la schiena, mentre stropicciava nervosamente un lembo della sua gonna.
Arno si grattò la testa, come se si vergognasse di ciò che stava per chiederle: -Ho notato che spesso, quando sei nervosa, ti porti una mano vicino al collo. Mi sembrava piuttosto curioso e, ecco, mi domandavo che cosa tieni legato a quel cordino.-
La ragazza rimase sorpresa da quella richiesta, e tutto il suo nervosismo si placò. Si tolse quindi la collana e mostrò il ciondolo che vi portava legato: un piccolo cerchio d’argento che rappresentava due mani che reggevano un cuore sormontato da una corona.
-È un claddagh, un simbolo tipico di una zona dell’ovest dell’Irlanda, da dove veniva mia madre. Di solito è a forma di anello: il cuore rappresenta l’amore, le mani l’amicizia e la corona la lealtà. È l’unico gioiello che mia madre abbia mai posseduto, oltre alla fede nuziale- spiegò la giovane.
Arno osservò affascinato quel piccolo gioiello, ammirando la maestria del misterioso orafo che aveva creato quel prezioso pendente.
Madeleine sorrise appena per la curiosità dell’Assassino, ma presto il suo sguardo si intristì: -Me lo affidò sul letto di morte. Da allora lo porto sempre con me.-
-Mi dispiace, non avrei dovuto chiedertelo- si scusò Arno.
La ragazza scosse la testa: -È tutto ok, non preoccuparti. Era malata da tempo, un brutto male che la indebolì giorno dopo giorno. Quando venne a mancare... fu un duro colpo. Ma mio padre...- si interruppe lei, lasciandosi scappare un respiro tremante.
Arno vide il suo disagio: -Se non ti va di parlarne, non devi- la rassicurò.
Madeleine sospirò, tentando di togliersi il peso che sentiva allo stomaco. Annuì e ringraziò l’Assassino per la sua comprensione.
Le campane di Notre Dame interruppero la loro conversazione, facendo loro notare quanto tempo fosse passato. Arno ringraziò di nuovo la ragazza per l’aiuto e le promise che avrebbe discusso con madame Gouze a proposito dello scherzo di Domitille.
 
L’indomani mattina la proprietaria del Café Théâtre si recò nello spogliatoio dei teatranti, dove si trovava Domitille.
Charlotte l’apostrofò duramente, rimproverandola per il suo comportamento infantile nei confronti di una collega. Per questo motivo sarebbe stata sospesa dagli spettacoli per almeno due mesi e, durante questo periodo, confinata a lavorare in lavanderia.
-Addio Opéra national...- commentò Ophélie con sarcasmo.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** La canzone del mare ***


TW: menzione di alcolismo
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Quella settimana al Café Théâtre fu particolarmente intensa: i clienti sembravano più numerosi del solito e Madeleine si era divisa tra il lavoro in sartoria e l’aiuto a Babette in cucina. In più Arno sembrava essere sparito insieme ad alcuni dei suoi compari incappucciati.
Verso il tardo pomeriggio, mentre si stava riposando in cucina, Madeleine udì bussare alla porta sul retro. Incuriosita andò ad aprire e si ritrovò davanti un ragazzino dai capelli scuri e l’aria scanzonata.
-Ciao- lo salutò la ragazza, -Posso aiutarti?-
Il ragazzino la osservò un paio di volte: -Non ti ho mai vista prima. Io sono Léon, tu lavori qui? Ho una lettera per Arno- disse senza lasciarle tempo di rispondere. Le consegnò la lettera e se ne andò per una stradina.
Per qualche secondo Madeleine rimase immobile sulla soglia, basita dal comportamento del ragazzino. Osservò la busta tra le sue mani, cercando di capire chi fosse il mittente: era un po’ sporca e stropicciata e l’unico indizio su chi l’avesse scritta era soltanto un’elegante firma composta da due lettere, D.S.
Chiuse la porta e uscì dalla cucina, diretta alla camera di Arno per depositare la lettera nell’apposita cassetta. D’un tratto le venne un’idea: quella era un’ottima occasione per frugare tra le lettere dell’Assassino e scoprire qualcosa di utile per madame Beauchesne. Non era qualcosa di piacevole, ma doveva proseguire nella sua missione.
 
La giovane aprì appena la porta della camera di Arno, guardando circospetta per eventuali presenze. Ma la stanza era totalmente vuota.
Accostò delicatamente la porta e si diresse verso lo scrittoio. Tolse il coperchio alla cassetta e vi inserì la lettera, notando subito che ce ne erano altre tutte raggruppate da un lato.
Prese la prima, rimanendo sorpresa nello scoprire che era piuttosto vecchia, di quasi dieci anni prima e firmata da una certa Élise. Lesse qualche riga e la rimise a posto, per poi prendere la seconda.
Anche questa era firmata da Élise, e così la terza, la quarta, tutte quelle che c’erano. E ogni volta Madeleine leggeva parole d’amore nei confronti di Arno.
L’ultima lettera, infine, era della scorsa estate, e sembrava una lettera d’addio. Non tanto la fine di una storia, ma un ultimo commiato prima di una tragica fine.
Rimessa a posto l’ultima lettera, la giovane si sentì in colpa, quasi svuotata da ogni forza vitale. Aveva rovistato nella corrispondenza privata del suo responsabile, e non una corrispondenza qualsiasi! Era stata testimone degli scambi tra l’Assassino e la sua amata, che chissà a quale tragico destino era andata incontro! Non aveva scoperto nulla, tranne che il cuore dell’amministratore era appartenuto ad un’altra. E che probabilmente apparteneva ancora a questa Élise, nonostante la sua dipartita.
Fu quest’ultimo pensiero a provocare a Madeleine un vago senso di nausea e di disagio, ma si riprese immediatamente quando sentì la porta aprirsi.
 
La giovane riconobbe subito la figura di Arno, eppure sembrava un’altra persona: se normalmente era sempre pulito e ordinato, ora l’Assassino presentava una barba incolta di qualche giorno mentre gli abiti mostravano segni di lotta e tagli. E la scintilla che di solito illuminava i suoi occhi era sparita del tutto.
Madeleine cercò di non far trapelare la sua preoccupazione: -Buonasera, Arno. Sono contenta che tu sia tornato, ti ho appena portato una lettera e...-
Si zittì, notando lo stato di apatia dell’uomo; e solo in quel momento vide che aveva in mano una bottiglia di vino. Ora la preoccupazione divenne ansia.
-Che cos’hai lì?-
Arno non rispose. Si avvicinò allo scrittoio, come se non l’avesse né vista né sentita, e appoggiò la bottiglia al tavolo.
La bretone cercò di attirare di nuovo la sua attenzione, chiamandolo e toccandogli appena il braccio.
L’Assassino sembrò riprendersi dal suo stato catatonico. Alzò lo sguardo verso la ragazza, ma i suoi occhi sembravano vuoti.
-Vorrei restare un po’ solo. Grazie, Madeleine- mormorò appena, come se pronunciare qualche parola gli costasse un’immane fatica.
La giovane capì che non avrebbe ottenuto risposta. Salutò quindi Arno e uscì dalla sua stanza. Appena chiuse la porta appoggiò l’orecchio, nel vano tentativo di capire cosa volesse fare l’uomo, ma udì soltanto un singulto.
Si allontanò scuotendo la testa, sentendo di nuovo la sensazione di ansia pervaderla ovunque.
Non di nuovo. Non anche lui.
 
Madeleine dovette appoggiarsi alla balaustra della scala, sentendosi girare la testa, quando d’un tratto udì delle voci provenire dalla Sala d’addestramento. Si avvicinò con cautela e, a pochi metri dalla porta, tese l’orecchio e ascoltò la conversazione in corso.
-Non pensi che dovremmo fare qualcosa?- disse un uomo.
Udì un sospiro, quindi un altro uomo rispose: -Non credo. Vuole stare da solo, non possiamo certo legarlo a una sedia e aspettare che gli passi.-
-Non sarebbe una cattiva idea- intervenne un terzo uomo dalla voce un po’ più giovane. Riecheggiò un sonoro scappellotto.
-Piantala Philppe, non scherzare su queste cose!-
-Quello che intendo dire è che ormai dovrebbe farsi passare la storia con quella Templare del cazzo! Diglielo anche tu, Laurent- ribatté l’uomo chiamato Philippe.
A Madeleine sembrò di aver sentito già quel nome, e presa dalla curiosità si sporse appena per vedere all’interno della stanza i misteriosi interlocutori: il primo sembrava il più anziano del trio, dimostrando circa cinquant’anni, e aveva una giacca marrone e una barba un po’ incolta; il secondo doveva essere Philippe, essendo il più giovane, e portava una giacca verde; l’ultimo poteva avere quarant’anni e indossava una giacca bianco sporco.
Ad una migliore occhiata, Madeleine riconobbe nei due uomini più maturi quelli che aveva incontrato nella Sala del Club.
Intanto Laurent contestava il suo collega: -Lo so che non ti piaceva, non piaceva a nessuno di noi. E non solo per il fatto che era una Templare. Ma era pur sempre il primo amore di Arno, e senza di lei non sarebbe riuscito a fermare Germain e Robespierre. Portale un minimo di rispetto.-
Philippe bofonchiò qualche parola di protesta, ma non replicò.
-Almeno posso dire che la Delacroix era una stronza?-
-Nessun problema, mon ami. D’altronde lo era.-
Ecco un altro nome che Madeleine ricordava di aver già sentito alle riunioni della sua padrona. Ricordava benissimo madame Delacroix, con quei suoi occhi sporgenti e velenosi e la lingua tagliente sempre pronta a criticare tutto. E il fatto che i tre uomini si rivolgessero a lei al passato le fece intuire che avesse seguito lo stesso destino di monsieur Lefebvre.
Tuttavia si chiese perché l’avessero nominata e in che modo c’entrasse con la donna amata da Arno. E la soluzione, per quanto la cosa la imbarazzasse, era proprio in quella stanza.
Madeleine fece un respiro profondo, quindi si affacciò alla soglia della sala e, timidamente, si rivolse ai tre uomini: -Scusate se vi interrompo, ma forse potete aiutarmi.-
Gli Assassini si voltarono nella sua direzione, e i due più anziani riconobbero la bretone e le fecero segno di entrare.
Laurent prese la parola: -Mi ricordo di te. Sei la ragazza che ci ha avvertito di Lefebvre. Come stai?-
-Bene grazie. Anche il mio braccio si ricorda di quel giorno- scherzò Madeleine.
Le si avvicinò il più anziano del trio, che se ricordava bene si chiamava Gerard: -Scusa se ti ho fatto male. Non potevo certo sapere che intenzioni avevi, ma spero di non avertelo stretto troppo.-
Madeleine accettò le sue scuse, poi intervenne Philippe: -Scusate, cari colleghi. Ma perché non mi avete presentato prima questa incantevole mademoiselle?-
-Oh cielo, che maleducata. Io mi chiamo Madeleine Caradec. Voi chi siete?-
Non fece in tempo a finire la sua domanda che Philippe stava già rispondendo: -Enchanté! Io sono Philippe Duval, questo brontolone alla mia destra è Gerard Moulin e il signore qui a sinistra è Laurent Lozach. E insieme formiamo l’invincibile “Banda delle Baguettes"!-
Quelle ultime tre parole provocarono diverse reazioni tra i presenti: dopo l’iniziale sorpresa Madeleine trattenne a stento una risata, Laurent si sbatté la mano sul volto e Gerard lanciò uno sguardo furioso a Philippe.
-Quante volte ti ho detto di non usare quel nome!? È ridicolo!- sbottò.
Philippe sbuffò: -Solo perché ti manca il senso dell’umorismo! Arno non si è mai lamentato.-
Al sentir nominare quel nome Madeleine colse la palla al balzo ed espose la sua preoccupazione: -Ho parlato prima con Arno. Non l’avevo mai visto così abbattuto, con quel suo sguardo spento... Che cos’è successo?-
I tre Assassini si ammutolirono all’istante, quasi restii a risponderle. Madeleine li rassicurò: -Arno mi ha spiegato che cosa fa. Mi ha accennato ad Assassini e Templari, ma non mi ha detto nient’altro. Manterrò il segreto, ve lo giuro.-
Dopo ancora un attimo di silenzio, Laurent prese la parola: -Avrai notato che questa settimana noi quattro siamo stati parecchio impegnati. Beh, dovevamo fermare una Templare, Ségolène Delacroix, dall’assassinare alcuni membri del Direttorio. È stato un combattimento piuttosto duro, ma infine Arno è riuscito a fermarla. Per sempre.-
La bretone deglutì a fatica. Un altro membro della cerchia di madame Beauchesne era stato ucciso. Poteva essere solo una coincidenza?
Gerard continuò il discorso: -Ma nei suoi ultimi attimi di vita la Delacroix deve aver detto qualcosa che ha molto turbato Arno, perché quando ce ne siamo andati aveva lo sguardo perso nel vuoto e ci ha detto che riguardava una donna di nome Élise.-
-Che, praticamente, era la sua ragazza- si intromise Philippe, -Un lunghissimo tira e molla finito in maniera tragica per lei. E, purtroppo, Arno conosce solo un modo per dimenticare la disperazione.-
Un lungo brivido percorse la schiena di Madeleine: -Il vino?- mormorò preoccupata.
Gerard annuì: -Già in passato ha affogato i dispiaceri nell’alcol. Sai, ha vissuto molte tragedie: l’omicidio del padre quand’era bambino, poi quello dell’uomo che lo aveva adottato. Ha subito altre perdite e disgrazie negli anni, fino alla morte di Élise per mano del loro nemico comune. Queste esperienze lo hanno segnato nel profondo e... temo che si consideri come uno iettatore.-
Di nuovo, nella mente di Madeleine ritornarono tristi ricordi di anni prima. Quell’angoscia che tanto l’aveva fatta soffrire era ritornata di prepotenza.
Scosse la testa e si rivolse ai tre uomini: -Non c’è niente che possiamo fare?-
Fu Laurent a risponderle, dopo un lungo sospiro: -Possiamo solo aspettare, plac’h. E sperare che si fermi a una bottiglia.-
 
*****
Solo un sorso.
Arno posò la bottiglia sulla scrivania ed estrasse le vecchie lettere di Élise. Le pose tutte sul tavolo e cominciò a leggerle una ad una. Rimirò quella calligrafia elegante, sorrise ai ricordi di anni passati, sospirò quando lesse le ultime parole della sua amata.
Solo un sorso.
La testa cominciava a girare, gli occhi si facevano più annebbiati. Era già l’ebbrezza provocata dall’alcol? O le lacrime che faticava a trattenere? Guardò la bottiglia, la lampada non faceva abbastanza luce. Era già a un terzo.
Solo un sorso.
Rivide di nuovo la Delacroix, i suoi occhi spalancati mentre conficcava la lama nella sua gola. Ricordò la loro “chiacchierata” nel limbo che separa gli ultimi secondi di vita dalla morte.
-Ma che bravo, già due su cinque in così poco tempo! Com’è che ci hai messo così tanto con Germain?- gli aveva chiesto beffarda.
-Doveva lasciarti a Versailles a morire ubriaco. Maledetta sciagurata! Ma tu pensi ancora a lei, non è vero? Alla tua cara Élise che dorme sotto terra. Di chi sarà la prossima morte, Arno? Quante persone perderai, nella tua inutile vita?-
-Non sono la prima, né sarò l’ultima. Guardati le spalle, Assassino. Non sai chi ti pugnalerà...-
 
Solo un sorso.
Le lacrime ormai scendevano copiose. Nella nebbia della sua mente Arno vide le ombre di chi aveva perso: suo padre, con gli occhi spalancati sul pavimento di Versailles.
Il signor De la Serre, che si stringeva il collo dopo il colpo traditore.
E poi Mirabeau. Bellec. Sé stesso dopo l’espulsione, un’ombra che vagava da osteria a osteria per dimenticare le proprie disgrazie.
E infine Élise, la sua Élise. Quel suo sguardo d’amore che diventava d’odio per essersi sfuggito di mano Germain. Ancora d’amore e infine d’addio, quando aveva preferito la vendetta alla vita.
Solo un sorso.
Arno scosse la bottiglia, ormai vuota. Si sentiva la testa pesante, si accasciò lentamente sullo scrittoio. Vide a malapena la luce della candela, poi la stanchezza e il dolore ebbero la meglio su di lui.
 
*****
Nonostante l’ora tarda Madeleine non riusciva a dormire. Continuava a pensare alle parole dei tre Assassini e alle crisi di Arno.
Aveva già vissuto qualcosa di simile, anni prima. E aveva sperato di non riviverlo mai più.
Si alzò dal letto e si coprì con uno scialle, uscì dalla stanza e s’incamminò in direzione della cucina. Sperava di trovare un po’ di camomilla avanzata, visto che Babette ne faceva sempre in grosse quantità. Forse avrebbe aiutato a prendere sonno.
Aveva appena svoltato nel corridoio quando incrociò madame Gouze.
La donna la vide e le rivolse un sorriso mesto: -Ciao Madeleine. Anche tu non riesci a dormire?-
La bretone annuì, stringendosi nello scialle per proteggersi dal freddo: -Sono preoccupata per Arno. Siete riuscita a vederlo?- chiese.
La Gouze le fece segno di seguirla, quindi rispose: -Stavo giusto andando a controllare, e credo che potrebbe servirmi una mano.-
Le due donne proseguirono fino a raggiungere la porta della camera di Arno. Charlotte fece segno alla ragazza di lasciarla entrare per prima, per ragioni di sicurezza.
Quando ricevette il via libera Madeleine entrò nella stanza, ma dopo pochi passi si fermò, pietrificata da ciò che si presentava davanti a lei: Arno profondamente addormentato sullo scrittoio, una decina di lettere sparse ovunque e una bottiglia completamente vuota.
Udì Charlotte sospirare, quindi si avvicinò a lei con circospezione. Le rivolse uno sguardo interrogativo, al che la donna rispose con un altro sospiro.
-Speravo che non gli capitasse più- mormorò la Gouze, poi si rivolse alla ragazza: -Aiutami a spostarlo sul letto.-
Le due donne presero ciascuna un braccio dell’Assassino e se lo misero dietro la spalla, quindi lo issarono dalla sedia e lo trascinarono con cautela verso il suo letto. Con un ultimo sforzo lo fecero sdraiare, sbuffando appena per la fatica.
-Forse è meglio se chiedo a qualcuno di tenerlo d’occhio. Non vorrei che stesse male durante la notte- disse madame Gouze.
-Posso restare io- propose subito Madeleine.
La donna rimase sorpresa da quella richiesta, e rimase ancora più sorpresa dallo sguardo preoccupato della ragazza. Preferì non chiederle ragioni, quindi le raccomandò di andare a chiamare qualcuno se le cose fossero peggiorate e lasciò la stanza.
Mentre si dirigeva verso la propria camera madame Gouze si chiedeva se c’era qualche ragione in particolare, o se semplicemente Madeleine provava più di una semplice simpatia nei confronti di Arno.
 
Rimasta sola, la bretone sistemò la legna nel caminetto, prese una sedia e una coperta e si mise a fianco di Arno. Cercare altre informazioni sul suo conto, in quel momento, era fuori questione: la stanchezza della giornata e la preoccupazione per le condizioni dell’Assassino superavano di gran lunga le ragioni della sua padrona. Aveva aspettato quasi quattro mesi senza farsi sentire; qualche giorno in più non avrebbe fatto la differenza.
Tolse le scarpe all’uomo e riuscì a sistemarlo sotto le coperte, quindi si sedette e si avvolse anche lei nella coperta che aveva preso.
Non sapeva quanto tempo fosse passato, ma nel suo dormiveglia udì dei lamenti. Si stropicciò gli occhi e vide che Arno si stava agitando nel sonno, biascicando parole incomprensibili e muovendo appena le mani.
-Arno?- mormorò preoccupata. Si alzò e si avvicinò all’uomo nel tentativo di capire cosa gli stesse succedendo.
D’un tratto, l’Assassino aprì appena gli occhi. La osservò per qualche secondo, mentre Madeleine rimaneva immobile e col fiato sospeso.
Infine, Arno mormorò un’unica parola: -Élise?-
Madeleine si tappò la bocca per trattenere un singulto, cercando inutilmente di trattenere le lacrime. Un’altra volta, un’altra maledetta volta.
 
Madeleine correva, l’ansia le rendeva difficile respirare ma doveva correre. L’aveva cercato dappertutto ma sembrava sparito. Sperava solo che non avesse fatto qualcosa di estremo.
Spalancò la porta di casa, il temporale che imperversava rendeva l’ambiente ancora più buio. L’odore di alcol pervadeva ogni spazio.
-Papà?- chiamò ansimante. Non udì nessuna risposta.
Si avvicinò al tavolo da pranzo, dove giacevano tre bottiglie vuote. La puzza di alcol era ancora più forte.
La ragazza salì le scale, sperando che suo padre fosse almeno in camera da letto. E così era, per fortuna, ma Yannick Caradec si trovava in uno stato pietoso, mezzo sdraiato sul letto e con l’ennesima bottiglia di vino in mano.
Madeleine si asciugò le lacrime, tolse la bottiglia dalla mano inerme del padre e cercò di far sdraiare completamente il vecchio pescatore.
Gli sistemò il cuscino e gli mise addosso una coperta; stremata dallo sforzo, si accasciò al suo fianco, bagnando la coperta con le sue lacrime.
Dopo qualche minuto udì dei lamenti: alzò la testa di scatto e vide che suo padre si era svegliato.
-Brona?- biascicò Yannick.
Madeleine scosse la testa: -La mamma è morta, papà. Sono passati due mesi ormai...-
Due mesi in cui la disperazione si era impadronita del bretone, e nonostante l’amore per la figlia il dolore per la perdita di sua moglie era troppo forte. Un dolore che sembrava non esistere più solo grazie all’alcol.
Yannick sospirò, quindi disse alla figlia: -Cantami la sua canzone.-
Madeleine obbedì, e nonostante le lacrime cantò la canzone di sua madre, l’unica che le avesse mai insegnato. Cantò con dolcezza, più e più volte, finché suo padre non si addormentò profondamente.
Una mattina di un mese più tardi, dopo l’ennesima sbronza, Madeleine scrollò appena la spalla del padre per svegliarlo.
Ma Yannick non si svegliò più. E lei rimase sola.
 
La giovane tentò di calmarsi, nonostante il dolore che provava: adesso doveva aiutare Arno.
Con un groppo in gola, decise di dargli corda: -Sì Arno, sono Élise. Non vado via.-
La ragazza soffriva nel mentirgli in un momento così doloroso, ma era l'unico modo per calmarlo. Effettivamente l'Assassino sembrò tranquillizzarsi, ma avvenne un fatto inaspettato: mentre Madeleine si era chinata per sussurrargli la sua risposta, Arno l'aveva cinta con un braccio e, girandosi supino, aveva trascinato la ragazza con sé sul letto.
E ora la bretone si trovava sdraiata al suo fianco, intrappolata fra le braccia dell'amministratore del Café.
“Oh cielo!” fu l'unico pensiero di Madeleine. Provò a chiamare a bassa voce l'Assassino, tentando nello stesso tempo di togliersi il suo braccio di dosso; ma Arno la strinse ancora di più, lamentandosi nel sonno.
Madeleine si immobilizzò all'istante: se c'era una cosa che aveva imparato dalla triste vicenda di suo padre, era di non far mai agitare qualcuno ubriaco.
Sospirò, osservando nella penombra l'espressione sofferente dell'Assassino. Istintivamente gli accarezzò con dolcezza i capelli e cominciò a cantare la canzone di sua madre, la canzone del mare:
 
Idir ann is idir as
Idir thuaidh is idir theas
Idir thiar is idir thoir
Idir am is idir áit

Casann sí dhom
Amhrán na farraige
Suaimhneach nó ciúin
Ag cuardú go damanta
Mo ghrá
 
Idir gaoth is idir tonn
Idir tuilleadh is idir gann

Casann sí dhom
Amhrán na Farraige
Suaimhneach nó ciúin
Ag cuardú go damanta

Idir cósta, idir cléibh
Idir mé is idir mé féin
Tá mé i dtiúin
 
Continuò a cantare, ricominciando ogni volta, finché non vide il volto di Arno rilassarsi, ormai addormentato.
Tentò un’altra volta di alzarsi dal letto, ma l’Assassino manteneva una presa di ferro anche nel sonno.
“Magari tra un paio d’ore si sarà addormentato del tutto, e io potrò andare” pensò. Si sistemò meglio sotto le coperte e chiuse gli occhi, certa che sarebbe rimasta in uno stato di dormiveglia. Ma la stanchezza fu più forte, e Madeleine cadde in un sonno profondo.
 
La mattina seguente, alle prime luci dell'alba, Arno si svegliò con un tremendo mal di testa. Aprì appena le palpebre, ma notò subito qualcosa di strano: non si trovava appoggiato al suo cuscino, bensì a qualcosa di più duro, come un osso. Aprì del tutto gli occhi e scoprì di trovarsi vicino a un petto femminile.
Si sentì percorrere la schiena da lunghi brividi, nonostante il calore delle coperte; vide che era abbracciato alla misteriosa figura, che a sua volta aveva posto la sua mano sul suo avambraccio. Alzò appena la testa e vide che era insieme a Madeleine.
Mantenendo i nervi saldi, nonostante la tensione, Arno si sciolse dall'abbraccio e si allontanò dalla ragazza, spostandosi verso il lato opposto del letto. Si mise seduto, ancora incredulo per quella situazione così assurda. Cosa diamine era successo?
In quel momento anche Madeleine si svegliò: si stropicciò gli occhi, sbadigliò e schiuse le palpebre. E vide Arno che la guardava con incredulità.
Colta di sorpresa la ragazza scattò seduta, ricambiando lo sguardo meravigliato dell'Assassino.
-Posso spiegare- esclamò imbarazzata.
Arno osservò la stanza, alla ricerca di eventuali indizi su cosa potesse essere successo, e vide sulla scrivania la bottiglia che aveva svuotato la sera precedente. Si mise una mano sul volto, pieno di vergogna: -Mi sono ubriacato- ammise amareggiato.
Prima che Madeleine potesse dirgli qualcosa Arno si girò a guardarla con apprensione, quindi le chiese ciò che più lo turbava: -Dimmi che non ti ho fatto del male.-
La ragazza scosse la testa: -No, non mi hai fatto nulla, Arno. Solo mi hai chiamato con il nome di un'altra. Élise.-
L'Assassino rimase di sasso a quella risposta. Di nuovo si mise una mano sul volto nel vano tentativo di nascondere il suo senso di colpa.
Madeleine provò a rassicurarlo: -Va tutto bene, Arno. Non è successo nulla di grave.-
Stavolta fu l'uomo a scuotere la testa: -Tu non capisci. Avrei potuto farti del male, o peggio. E scambiandoti con lei...- si interruppe.
-Non è la prima volta che mi succede- confessò Madeleine.
Arno guardò con stupore la ragazza, che intanto aveva assunto un'espressione triste.
-Che cosa intendi?-
La ragazza sospirò profondamente, quindi spiegò: -Ti avevo accennato alla morte di mia madre, e al fatto che mio padre ne era rimasto molto colpito. Anche lui iniziò a bere per dimenticare il dolore. A volte, quando la luce era più debole, nella sua ubriachezza mi scambiava per mia madre. Io speravo sempre che un giorno avrebbe smesso, che il dolore si sarebbe placato. Ma una mattina... lui non si è più svegliato.-
Un silenzio cupo, carico di dolore, cadde nella stanza.
Arno si ritrovò spaesato, colpito dalla somiglianza con la tragica vicenda del padre di Madeleine. E tremendamente in colpa per averglielo ricordato.
Nonostante il groppo in gola, l'Assassino si rivolse alla ragazza: -Madeleine, mi dispiace di averti fatto soffrire. Io... posso capire se non vuoi più lavorare qui.-
La bretone spalancò gli occhi, sorpresa: -Cosa?! No!-
Stavolta fu Arno a rimanere senza parole. Tentò di ribattere: -Se non ti senti al sicuro... hai tutto il diritto di andare in un posto più...-
-Ma io non voglio andare via!- lo interruppe lei.
-Io non voglio lasciare il Café! Non voglio lasciare madame Gouze, Célestine e le altre! Non voglio... lasciare te...- confessò con voce tremante.
Madeleine aveva parlato d'istinto, presa dall'ansia e dalla paura di dover lasciare quel posto accogliente, pieno di gente a cui si era legata nonostante il vero motivo della sua presenza al Café. E dove stava un uomo dal cuore d'oro e triste.
-Io ci tengo a te, Arno. Non voglio...- stava dicendo Madeleine, ma all'improvviso Arno la strinse a sé, cingendola tra le sue braccia. Braccia forti, abituate a scalare edifici e a brandire le armi più disparate. Eppure la bretone provava soltanto una sensazione di sicurezza, di protezione. Di calore.
Lentamente, Madeleine ricambiò l'abbraccio con l'Assassino. Appoggiò la testa sulla sua spalla e iniziò a cantare sottovoce la ninnananna di sua madre.
Arno chiuse gli occhi, rilassandosi al suono di quelle parole sconosciute ma dolcissime. E giurò a sé stesso che non si sarebbe mai più ubriacato, per il proprio bene e per quello delle persone a cui teneva.
-----------------------------------------------------------------------------------
La canzone che canta Madeleine è "Amhrán Na Farraige" del film "La canzone del mare", un film d'animazione dello studio irlandese Cartoon Saloon che vi consiglio tantissimo.
Vi lascio il link della canzone con testo e traduzione https://www.youtube.com/watch?v=5FkiHtTO-mk

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Verso Versailles ***


Parigi, fine aprile 1795.
Anzi, fiorile 1795. Madeleine doveva ancora abituarsi al nuovo calendario repubblicano. E ai sentimenti che provava per Arno.
Dopo quella specie di confessione di qualche giorno prima, i due avevano sviluppato la loro amicizia: la ragazza gli raccontava aneddoti della sua infanzia e gli cantava qualche canzone bretone, mentre l'Assassino le aveva concesso l'uso della sua biblioteca personale e le aveva spiegato alcune cose in più riguardo la Confraternita e i Frutti dell'Eden.
Allo stesso tempo la giovane aveva stretto amicizia con Laurent, che scoprì essere originario di Nantes e quindi bretone come lei. Le piaceva scambiare qualche chiacchiera nella propria lingua, e lui ormai aveva preso l’abitudine di chiamarla amichevolmente plac’h, ragazza.
In realtà la ragazza si sentiva confusa da quella situazione: temeva che la sua amicizia con gli Assassini avrebbe potuto compromettere il compito che le aveva affidato la sua padrona. E, contemporaneamente, più scopriva i vili piani dei Templari durante la Rivoluzione e più non sapeva cosa pensare di madame Beauchesne.
 
Durante una mattina Madeleine stava al mercato per le solite commissioni di Babette. Stava osservando con curiosità alcune stoffe, quando avvertì una presenza al suo fianco.
-Quanto tempo- disse con una punta di sarcasmo una voce femminile.
La ragazza si girò per vedere chi fosse la donna sconosciuta e rimase stupita nel vedere Thérèse Beauchesne in carne ed ossa.
-Madame! N-non sapevo foste qui a Parigi!- farfugliò.
-Ovviamente, altrimenti avresti fatto di tutto per metterti in contatto con me. Non è vero?- chiese acidamente la donna.
Senza nemmeno aspettare la risposta della ragazza, Thérèse strappò dalle sue mani la lista della spesa di Babette e quindi chiamò la sua fidata serva Geneviève, che Madeleine notò solo in quell’istante: -Geneviève, occupati di comprare queste cose e aspettami qui in piazza. Io e Madeleine abbiamo una piccola chiacchierata da fare...- disse, senza nascondere una punta di fastidio. La vecchia serva annuì, quindi madame Beauchesne portò la bretone in un edificio poco distante, dove salirono una rampa di scale ed entrarono in una stanza ben arredata.
Thérèse si accomodò su una poltroncina, mentre Madeleine rimase in piedi dov’era.
La donna la guardò per qualche secondo, tamburellando le dita sul bracciolo della poltrona. Quel silenzio sembrò durare ore invece di minuti, e la povera bretone si sentiva sudare dall’ansia.
Finalmente, dopo quella che era sembrata un’eternità, Thérèse si decise a parlare: -Sono piuttosto delusa, Madeleine. Quasi quattro mesi qui a Parigi e non ho mai ricevuto nulla, né informazioni su Dorian né sulle sue attività. Come lo spieghi?- domandò in tono infastidito.
Madeleine protestò: -Come potevo scrivervi? Non mi avete lasciato un indirizzo, o altro...-
Thérèse la interruppe: -Stupidaggini! Se ci tenessi così tanto a me e a questa importantissima missione, ti saresti adoperata a contattarmi. Ma forse non è così, cara?- chiese, fingendosi offesa.
-No, no! Io vi devo molto, madame! Non intendevo offendervi.-
La Beauchesne sorrise trionfante: -Lo so, mia piccola Madeleine. E ti perdono per la tua sfrontatezza di prima.-
Si alzò dalla poltroncina e si avvicinò alla ragazza. Le accarezzò il braccio con dolcezza, fino ad arrivare alla guancia: -Dopo tutto, sei una dei pochi ancora vivi. Il signor Dorian deve fidarsi molto di te, se sei ancora qui...-
Madeleine deglutì a fatica, avvertendo freddi brividi di paura lungo la schiena: -Che cosa intendete dire?-
Thérèse si avvicinò a un tavolino per prendere un ventaglio, che iniziò a sventolare vezzosamente sotto il mento: -Oh, quanti sacrifici bisogna fare per la giustizia! Alcuni miei amici avevano avuto la mia stessa idea, cioè mandare qualcuno a carpire i segreti di Dorian e dei suoi alleati. Ma, ahimè, sono stati quasi tutti uccisi da quegli assassini! Capisci perché ero così preoccupata per te?- spiegò, sbattendo le ciglia per enfatizzare il concetto.
La bretone impallidì. Arno le aveva spiegato ciò che faceva, senza tralasciare gli aspetti più cruenti. Si aspettava che potesse avere molti nemici, ma quanti esattamente? Possibile che i Templari lo volessero morto ad ogni costo? C’era un altro motivo, oltre alla loro guerra eterna?
Ma una domanda in particolare preoccupava la giovane: Thérèse Beauchesne era una Templare?
Stringendo il suo ciondolo per darsi coraggio, si rivolse alla sua padrona: -Ho saputo che monsieur Lefebvre e madame Delacroix sono morti, signora. E che facevano parte di un gruppo chiamato Templari. Voi ne sapete nulla?-
Madame Beauchesne fece un’espressione sorpresa, portandosi il ventaglio all’altezza della bocca: -Templari?! Non ne ho proprio idea. Pensavo non esistessero più da almeno tre secoli, o quattro. È la prima volta che ne sento parlare- rispose concitata.
Madeleine stava per ribattere, ma Thérèse parlò per prima: -Il tuo tempo sta per scadere, mia cara. Sappi soltanto che presto avrai un compito importantissimo per la nostra missione: ho saputo da fonti certe che Dorian dovrà recarsi in un certo posto per un certo evento, e tu dovrai andare con lui. Mi sono spiegata?-
La giovane voleva chiedere altre informazioni, ma lo sguardo accigliato della donna la fece desistere. Chinò appena la testa, sentendosi quasi schiacciata da quell’occhiata arcigna: -Sì, madame- mormorò.
Soddisfatta, Thérèse la congedò e le fece segno di andare. Si mise alla finestra e osservò la giovane che prendeva la spesa che le aveva fatto Geneviève e andarsene in direzione del Café.
Avvertì un cigolio dietro di sé, e presto due mani le strinsero dolcemente i fianchi.
-Sapevo che avevi un certo ascendente sulle persone, ma non fino a questo punto- esclamò Gauthier Marchand, uscito dal suo nascondiglio.
Thérèse ridacchiò, godendosi intanto i piccoli baci che il suo amante stava tracciando lungo il suo collo: -Modestamente, mon amour. Ma devo ammettere che Madeleine è stata molto brava, finora. Mi sembra di capire che Dorian le abbia rivelato qualcosa su Assassini e Templari. Deve fidarsi molto di lei...-
-E questo “certo posto per un certo evento” a cui dovranno andare? Ne sai qualcosa?-
La Beauchesne si girò e baciò sulle labbra Gauthier: -Ma ovvio. È un bel posticino dove presto andremo anche noi, mio caro. Dopotutto, il marchese non è l’unico che sa come procurarsi certe cose...-
 
Se c’era un posto che Arno odiava con tutto il cuore era la Corte dei Miracoli. E se c’era qualcosa che più odiava di quel posto era avere a che fare con De Sade.
Si era rivelato utile in passato, è vero, e lo aveva anche aiutato più di una volta, ma ogni volta che pensava a lui gli veniva l’orticaria.
Borbottò fra sé e sé, quindi Arno percorse le vie fangose e maleodoranti della Corte dei Miracoli: ad ogni angolo si vedevano mendicanti vestiti di stracci, ubriachi che cantavano canzonacce da osteria, ma soprattutto un numero imprecisato di prostitute. Distolse lo sguardo, arrossendo appena per l’imbarazzo, quando alcune “signorine” lo chiamarono in modo ammiccante mentre facevano sfoggio delle loro grazie in modo più o meno seducente.
Finalmente giunse al “palazzo” del marchese e notò che il numero di prostitute e libertini era persino maggiore che nelle strade.
Fece un profondo respiro e, cercando di non fare caso a certi “rumori” che provenivano da oltre una porta, marciò con passo deciso verso un divanetto dove stava mezzo sdraiato un uomo sui cinquant’anni, vestito con una camicia dal colore sgargiante e un semplice paio di culottes.
-Arno! Che piacere rivederti! Posso offrirti qualcosa?- esclamò De Sade sornione.
L’Assassino grugnì a malapena un saluto, prese una busta dalla tasca interna della giacca e la lanciò su un tavolino lì a fianco: -Non ho tempo da perdere, De Sade. Ora rispetta il patto e dammi ciò che mi hai promesso.-
Il marchese sorrise divertito. Si alzò appena dal divanetto e si allungò per afferrare un calice di vino. Bevve un lungo sorso, senza mai perdere di vista l’Assassino, infine sfilò una busta dalla manica della camicia e la tese ad Arno: -Ogni promessa è debito, amico mio.-
L’Assassino l’afferrò rudemente e la mise al sicuro nella sua giacca. Salutò nuovamente il marchese, ma venne subito interrotto da quest’ultimo: -Ma come? Te ne vai di già? Non vuoi trattenerti un po’?- chiese con finta sorpresa.
Arno rispose di malavoglia: -Al contrario di te, io ho molto da fare. E non azzardarti mai più a coinvolgere Léon nelle tue macchinazioni!-
De Sade ridacchiò: -Quel ragazzino! Così giovane e così sveglio! E con un ottimo spirito di osservazione: dopo aver lasciato la mia lettera al Café, è venuto da me e mi ha raccontato di una nuova lavorante. Una giovane piuttosto carina, a quanto mi ha detto...-
A quelle parole un lungo brivido percorse la schiena di Arno. Si avvicinò al marchese, scuro in volto: -Se provi a coinvolgerla nei tuoi giochetti...-
Il libertino spalancò gli occhi, sorpreso, e il sorriso sul suo volto si allargò ancora di più: -Ah! Ma come siamo protettivi! Ci devi tenere parecchio a questa signorina, hm?- domandò incuriosito.
Facendo un enorme sforzo per non tirargli un cazzotto in faccia, Arno gli si rivolse in tono minaccioso: -Lei deve restare fuori da questa faccenda e da quelle future. Chiaro?- e se ne andò senza dire altro.
De Sade lo osservò mentre usciva, prendendo nuovamente il calice di vino: -Oh, ma sarai tu stesso a farla entrare nel gioco...-
 
Mentre ritornava al Café Théâtre l’Assassino si lasciò scappare un respiro esasperato. De Sade non prestava mai aiuto senza avere qualcosa in cambio, e questa volta non si differenziava dalle precedenti. Purtroppo per lui il marchese era l’unico che aveva potuto aiutarlo per la missione che doveva portare a termine: infiltrarsi a una festa al palazzo di Versailles, trovare alcuni documenti importanti e portarli al Concilio. Una cosa facile, in apparenza.
Dopo essere entrato in camera sua, Arno prese la busta di De Sade e l’aprì per prenderne il contenuto: un biglietto d’invito per un tale Pascal de Saint-Pierre e la sua signora. E la sua signora...
In quel preciso momento, Arno sarebbe stato l’esempio perfetto per descrivere il termine “pietrificato” in una nuova edizione dell’Encyclopédie di Diderot e d'Alembert: era rimasto così sconvolto da quella scoperta che non riusciva a reagire, mentre guardava quel biglietto con un’incredulità così intensa che sembrava non respirare nemmeno.
Tutto ad un tratto si rianimò, lasciandosi scappare epiteti ben poco cortesi nei confronti di De Sade.
“Quel grandissimo figlio di...” stava pensando, quando vide la porta aprirsi e Madeleine fare capolino da dietro.
-Tutto bene?- chiese lei titubante.
Arno le fece segno di entrare e intanto scuoteva la testa: -Magari. È per una missione piuttosto urgente, ma a quanto pare sono nei guai.-
Notando lo sguardo confuso della ragazza, l’Assassino le spiegò il problema: -Domani sera dovrò andare a un ballo in maschera a Versailles per recuperare alcuni documenti. Purtroppo non sapevo che l’invito valesse per due persone, e io sono da solo.-
In quel momento a Madeleine ritornarono in mente le parole di madame Beauchesne: doveva andare a quell’evento con Arno.
Cercando di sembrare disinvolta, la ragazza chiese: -Non ci sono Assassine che possono venire con te?-
L’uomo sospirò: -Sfortunatamente non ci sono molte Assassine nella Confraternita francese, e quelle poche sono già impegnate in altre missioni. Non so proprio cosa fare-
Madeleine non poteva credere a quel colpo di fortuna, ma temeva comunque il diniego dell’uomo.
-Posso venire io con te- propose.
Arno rimase sorpreso. Per qualche secondo rimase in silenzio, quindi si rivolse alla ragazza con uno sguardo preoccupato: -Apprezzo la tua disponibilità, Madeleine. Ma potrebbe essere pericoloso, non vorrei che ti succedesse qualcosa- ammise.
La bretone si morse l’interno delle guance, improvvisamente nervosa: -Temi che ci possano essere Templari?-
L’uomo annuì: -Non solo loro, ma anche che certi uomini possano essere molesti con te. Credimi, sono della peggiore specie.-
-Ho presente- rispose la ragazza, sorprendendo di nuovo l’Assassino.
-La mia vecchia padrona mi portava spesso alle feste a cui era invitata, in qualità di dama di compagnia, e ho avuto modo di osservare e studiare i comportamenti di certe persone. So come evitarle, non devi preoccuparti per me.-
Di nuovo Arno rimase in silenzio, pensieroso. Rimuginava sulle parole della giovane mentre si teneva il mento in mano, valutando le opzioni a lui disponibili.
Finalmente, dopo un lieve sospiro, l’Assassino diede il suo responso: -Prepara un bagaglio leggero: domattina partiremo per Versailles.-
 
Il giorno seguente, dopo un viaggio in carrozza durato ore, Arno e Madeleine giunsero finalmente al paese di Versailles. La bretone osservava con meraviglia il piccolo villaggio, che aveva un’atmosfera più tranquilla rispetto al caos cittadino di Parigi: i contadini con i loro carretti carichi di ortaggi, le donne che si scambiavano qualche pettegolezzo, i bambini che giocavano per strada. Per un attimo le parve di essere ritornata nel villaggio bretone della sua infanzia, anche se l’ambiente era un po’ diverso.
Ad un certo punto, guardando dal finestrino della carrozza Madeleine vide che si stavano avvicinando a una villa signorile. E dopo qualche metro si fermarono proprio davanti all’ingresso.
-Destinazione raggiunta!- esclamò Laurent, che aveva voluto andare con loro e che aveva guidato il mezzo fin da Parigi.
Arno uscì per primo e aiutò la giovane a scendere dalla carrozza. Madeleine rimase a bocca aperta di fronte a tale magnificenza: oltrepassato un ampio cortile d’ingresso, davanti a lei vide una splendida villa con due ali laterali, con la facciata decorata da piccole colonne di pietra che guidavano lo sguardo fino al timpano in alto, scolpito a bassorilievo.
-Benvenuta a Villa De la Serre!- esclamò l’uomo sorridendo, facendo un ampio gesto del braccio per enfatizzare le sue parole.
-De la Serre? Ma non era il signore che ti aveva adottato?- chiese la giovane, ricordandosi ciò che le aveva raccontato l'Assassino.
Dopo aver preso i bagagli, Arno raggiunse la ragazza e la guidò verso l'edificio: -Esatto, qui è dove sono cresciuto dopo la morte di mio padre, e dove ho trascorso gli anni più spensierati della mia gioventù- spiegò con una punta di nostalgia.
I due, seguiti da Laurent, entrarono finalmente nell'edificio: ancora una volta Madeleine ammirò con stupore la ricchezza delle stanze e dei corridoi, la raffinatezza dei mobili e degli altri decori.
Stava ancora osservando ogni angolo della villa, quando la ragazza udì Arno chiamare qualcuno: dopo un paio di minuti, dal piano superiore arrivarono un uomo e una donna bionda piuttosto giovani che salutarono con affetto l'Assassino.
Dopo aver scambiato qualche chiacchiera Arno fece le presentazioni: -Laurent, Madeleine, questi sono Hélène e Jacques: vivono qui e si occupano della villa. Hélène, Jacques: loro sono Laurent, un mio collega, e Madeleine, una… mia cara amica.-
Madeleine notò con sorpresa quella lieve pausa, ma non ci prestò attenzione. Insieme a Laurent salutò i due, che li accolsero con cortesia e li condussero poi a un salottino.
Mentre Hélène offriva agli ospiti alcune tazze di tè, Arno spiegò alla coppia il motivo della sua visita: -Vi chiedo scusa se non vi ho avvertito prima, ma purtroppo questa missione mi è stata affidata con pochissimo preavviso.-
Jacques rispose: -Non preoccuparti, Arno. Io e Hélène saremo felici di aiutare te e i tuoi amici.-
L'Assassino lo ringraziò per la sua disponibilità, quindi spiegò cosa dovevano fare: -Fortunatamente nulla di pericoloso: dobbiamo andare alla festa di questa sera alla reggia per prendere alcuni documenti piuttosto importanti. E come potete notare ci servono abiti adatti per l'occasione.-
A quelle parole Hélène sorrise dalla gioia: -Lascia pure fare a noi, Arno! Non te ne pentirai!-
-Bene- disse Arno alzandosi dal divanetto dov'era seduto, -Io e Laurent andremo con Jacques. Hélène, ti affido Madeleine. Ci vediamo tutti al piano terra quando saremo pronti.-
 
A questo punto si formarono due gruppi: gli Assassini, guidati da Jacques, andarono verso le stanze che furono del signor De la Serre; Hélène, dopo aver preso sotto braccio Madeleine, la condusse dall'altra parte della villa.
Durante il tragitto la bretone notò un quadro posto sopra la porta che stavano per oltrepassare: ritraeva una giovane dai lunghi capelli rossi e mossi, con un ciuffo alla sua destra. Indossava un elegante abito scuro con le maniche corte e decorato con pizzo bianco, mentre in mano teneva un ventaglio semiaperto. Madeleine rimase colpita dall'eleganza e dalla ricchezza di abito e gioielli, ma la cosa che più la colpì fu lo sguardo della ragazza ritratta: quel bel viso, quasi da bambolina, tratteneva a stento una smorfia, come se fosse annoiata o infastidita dall'immobilismo a cui era costretta.
-Chi è quella donna?- chiese la bretone.
Hélène guardò dove stava indicando Madeleine e i suoi occhi si riempirono di malinconia: -Quella era Élise, l'unica figlia del signor De la Serre.-
Madeleine si pentì immediatamente della sua domanda: -Perdonami, non avrei dovuto chiedere.-
La bionda le rivolse uno sguardo interrogativo: -Arno ti ha parlato di lei?-
Madeleine annuì: -Mi ha raccontato di come il signor De la Serre lo prese con sé dopo l'omicidio del padre. Mi ha anche detto chi era e cosa faceva, ma non mi ha mai raccontato esattamente il rapporto con Élise, so solo che si amavano.-
Mentre chiacchieravano, la bretone non si era accorta che Hélène l'aveva portata in un'ampia sala dalle pareti chiare, con un grosso armadio lungo una parete e un tavolino da toeletta dalla parte opposta; l'ampia finestra dava sul parco della villa, dalla quale si intravvedeva quello che doveva essere un frutteto.
Hélène invitò la bretone a sedersi con lei su un divanetto in mezzo alla stanza, quindi iniziò a raccontare: -Come ti ho detto prima, Élise era l'unica figlia dei signori De la Serre. Fin da bambina è stata istruita per diventare la futura Gran Maestra Templare: lezioni di scherma, di equitazione, armi da fuoco, strategie e via dicendo. Per questo era sempre stata diversa dalle altre bambine nobili, preferendo i giochi da maschio piuttosto che le bambole. Aveva anche un carattere molto forte, quando voleva era parecchio testarda, ma aveva anche un animo gentile.-
-Lei mi salvò, anni fa, da una situazione terribile. Ed è stata sempre lei a portarmi a Parigi, dove ho conosciuto il mio caro Jacques. E quando mia suocera ci ha scritto della sua morte… è stata molto dura.-
Madeleine le mise una mano sulla spalla per consolarla: -Mi dispiace.-
Hélène le sorrise, quindi proseguì: -Lei e Arno si sono conosciuti da bambini, quando assassinarono il signor Dorian. Da quello che mi raccontò la signorina hanno legato subito, divertendosi a combinare scherzi agli inservienti. Anzi, spesso era Arno che la aiutava a togliersi dai guai. Era naturale che, passando così tanto tempo insieme, da una semplice amicizia nascesse l'amore. Ma immagino tu sappia già cosa è successo dopo la morte del signor De la Serre.-
La bretone annuì: -Arno, Laurent e gli altri Assassini mi hanno raccontato cosa successe, fino alla morte di Élise.-
Hélène sospirò e raccontò l'ultima parte: -Dopo la sua morte ci arrivò una sua ultima lettera, in cui diceva che Arno sarebbe passato a prendere alcuni suoi oggetti personali, tra cui il suo diario. Tuttavia c'era un altro uomo, un certo Ruddock, che in realtà lavorava per dei nemici dei De la Serre. Mi catturò e minacciò di portarmi in Inghilterra, per prendere la ricompensa che i Carroll avevano messo sulla mia testa. Ma per fortuna Arno e il signor Weatherall, il vecchio maestro d'armi di Élise, lo uccisero. E da allora ogni tanto Arno viene a farci visita, e noi siamo più che felici di ospitarlo. Anche perché è stato lui a ristrutturare la villa, dopo le devastazioni della Rivoluzione.-
Madeleine aveva ascoltato con attenzione tutto il discorso della donna e aveva notato un nome in particolare: -Carroll? Chi sono?-
-Una famiglia templare di Londra, degli arroganti avversi a ogni cambiamento che possa modificare il loro "ordine". Erano nemici dei De la Serre e molti anni fa tentarono di far uccidere la signora De la Serre, e dieci anni più tardi anche la signorina. E sono gli stessi che avevano mandato Ruddock per uccidere me e il signor Weatherall.-
La bretone sentì dei lunghi brividi lungo la schiena: durante il loro esilio dalla Francia rivoluzionaria, madame Beauchesne l'aveva portata a Londra, ospitate per un po’ di tempo da alcuni suoi amici. E ricordava benissimo il sorrisetto arrogante di Peter Carroll, la mano sfregiata di sua moglie e i ritratti della loro figlia, uccisa a tradimento un anno prima della Rivoluzione.
 
Hélène batté le mani, come per porre metaforicamente fine a quei discorsi: -Ma basta ora con queste cose tristi. Parlami un po’ di te e di come hai conosciuto Arno.-
E così Madeleine le raccontò di come aveva incontrato l’Assassino, del suo lavoro al Café e di come era venuta a conoscenza della Confraternita. Ovviamente non disse nulla riguardo madame Beauchesne e la sua ambiguità nei rapporti coi Templari.
Hélène ascoltò con attenzione: -Sembra che tu e Arno andiate piuttosto d’accordo- disse ad un tratto.
La bretone ammutolì e, contemporaneamente, si sentì arrossire le guance: -Ecco... Io sono affezionata ad Arno, è sempre gentile con me...- rispose quasi a giustificarsi.
La bionda rise: -Ciò che intendo è che anche lui sembra tenere molto a te.-
Madeleine sobbalzò, sorpresa: -Siamo solo amici, tutto qui...-
Hélène sorrise: -Forse è come dici tu. Ma credimi, dal modo in cui ti guarda per lui significa più di una semplice amicizia.-
Sentendosi arrossire ancora di più, la bretone decise di cambiare discorso: -Ehm... oh, ma come vola il tempo! E dobbiamo ancora cercare l'abito per stasera!-
Trattenendo una risata divertita, Hélène le fece un cenno e si diresse verso l'armadio, lo aprì e mostrò alla ragazza cinque abiti eleganti al suo interno: -La signorina odiava i ricevimenti formali, questi sono i suoi unici vestiti da festa. Dà pure un'occhiata e scegli quello che preferisci.-
-Davvero posso?- chiese titubante.
La bionda annuì: -Ormai sono anni che non vengono più indossati. Preferisco che li usi qualcuno, piuttosto che condannarli alle tarme- rispose rassicurandola.
Madeleine si avvicinò, quasi con reverenza, e osservò quei vestiti meravigliosi: le vennero in mente i suoi giochi da bambina, quando fingeva di danzare in saloni maestosi volteggiando nel suo immaginario abito da ballo. Accarezzò con delicatezza le sete, i pizzi, il taffetà degli abiti, osservando con occhio esperto i ricami e i decori.
Riconobbe l'abito del ritratto, ma lo scartò perché le sembrava sconveniente indossare il vestito presente nell'unica immagine rimasta di Élise. Prese quindi un abito blu scuro, dalle maniche lunghe e dallo scollo che lasciava scoperte le spalle, ma scartò anche quello perché le provocò una sensazione spiacevole allo stomaco.
Come se le avesse letto nella mente, Hélène disse: -Quello è l'abito che indossò la sera in cui fu assassinato suo padre.-
Madeleine rimase sorpresa dal proprio istinto, quindi passò al terzo abito: un voluminoso vestito verde, pieno di nastri e pizzi e altri fronzoli. Troppo esagerato, la bretone lo scartò per il rischio di risultare troppo ancien régime.
Rimasero solo due abiti, uno giallo ambra e l'altro rosa pallido. Entrambi erano stupendi, con numerosi ricami e nastri che conferivano loro un'aria elegante ma non pomposa.
-Oh cielo! Non so quale scegliere!- esclamò.
Hélène la rassicurò: -Tranquilla, abbiamo abbastanza tempo per provarli entrambi. Fidati di me, alla fine saprai quale abito indosserai al ballo.-
Madeleine, però, appariva ancora titubante: -Apprezzo molto il tuo aiuto, Hélène. È solo che questi abiti sono un po’ fuori moda. Se io e Arno dobbiamo passare inosservati dovremo fare qualche modifica.-
E così, armate di aghi, filo e forbici, le due giovani si misero al lavoro per sistemare l’abito prescelto.
 
Erano passate almeno due ore, ma le due donne non erano ancora uscite dalla stanza.
Al piano terra Jacques stava aiutando Arno a nascondere un paio di pugnali all’interno della giacca, mentre Laurent camminava impaziente vicino alla porta d’ingresso.
-Capisco che gli abiti femminili siano più impegnativi di quelli maschili, ma ci stanno mettendo troppo! Rischiamo di arrivare in ritardo!- brontolò l’uomo.
Arno, che si stava sistemando la lama celata, cercò di tranquillizzarlo: -Via, Laurent. Siamo ancora nella tabella di marcia. Scommetto che entro mezz’ora saremo già in viaggio per la reggia.-
Il bretone stava per ribattere, ma un rumore di passi attirò la loro attenzione; i due Assassini e Jacques volsero lo sguardo verso la scala che portava al piano superiore, dalla quale stavano scendendo Hélène e Madeleine.
Hélène aveva un sorriso fiero sul volto e, con un gesto della mano, invitò i tre uomini a guardare la bretone: indossava uno splendido abito rosa pallido dalla scollatura quadrata, decorata con un bordino arricciato. Al centro del vestito, partendo dallo scollo, partiva un altro strato di stoffa a fiori che scendeva fino al bordo della gonna, anch’essa decorata con bordi arricciati. Piccoli fiocchi di una tonalità più scura erano posti tra le due stoffe, mentre un nastro dello stesso colore circondava la vita della ragazza. Le maniche arrivavano fino al gomito e presentavano lo stesso bordo di stoffa, giusto un po’ più largo rispetto a quello in fondo all’abito.
La giovane aveva i capelli raccolti in un’acconciatura elegante, una specie di chignon con un paio di trecce intorno e alcune ciocche lasciate libere ai lati del volto. Aveva un trucco leggero, giusto un po’ di cipria e le labbra tinte dello stesso rosa del vestito. Un paio di orecchini d’oro decorati con zirconi era l’unico gioiello che aveva addosso.
I tre uomini erano rimasti in silenzio a osservare con meraviglia Madeleine, che cominciava a innervosirsi per tutto quel mutismo: -Come sto?- chiese timorosa.
Jacques fu il primo a rispondere: -Stai benissimo! Tu e Hélène avete fatto un ottimo lavoro a modificare quel vestito!-
Anche Laurent si congratulò: -Sei uno schianto! Scommetto che farai girare parecchie teste, al ballo. Che ne dici, Arno?-
L’Assassino era rimasto a guardare la ragazza a bocca aperta, colpito dalla sua eleganza. Per la prima volta la vide sotto una luce diversa: non più solo la sarta del Café, non più solo una sua amica, ma una splendida fanciulla di rara bellezza.
-Sei stupenda...- disse guardandola dritta negli occhi, come se ci fossero solo loro due. Madeleine sorrise un po’ imbarazzata, mentre Laurent scambiava occhiate complici con Jacques.
Un lieve colpo di tosse interruppe quell’atmosfera. Hélène si avvicinò alla bretone e le porse una maschera bianca decorata con un bordo dorato: -Ricordati di indossare questa stasera. Peccato però, non si vedranno i tuoi begli occhi- le disse.
Madeleine prese la maschera, ma d’un tratto notò che aveva ancora al collo il ciondolo di sua madre. Lo prese in mano e lo strinse, improvvisamente turbata: -Non posso indossarlo al ballo. È troppo caratteristico.-
-Temo che dovrai lasciarlo qui, plac’h- intervenne Laurent con rammarico.
A malincuore, Madeleine si tolse la collana e la affidò a Hélène. Avvertì immediatamente la sensazione di vuoto intorno al collo, ed ebbe quasi l’impressione di non avere più una parte del proprio corpo.
Cercò di placare il proprio nervosismo, ringraziando ancora una volta la bionda per il suo aiuto. Si diresse poi da Arno, che la osservava con uno sguardo preoccupato. Madeleine gli sorrise per rassicurarlo, quindi affermò di essere pronta ad andare.
Gli Assassini e la bretone salutarono Hélène e Jacques e uscirono dalla villa per dirigersi alla carrozza; Laurent si mise al posto di guida mentre Arno aiutò Madeleine ad entrare.
Una volta sistemati Arno diede il segnale di partenza e l’Assassino più anziano fece schioccare le briglie. Finalmente la carrozza si mise in moto, con il sole che stava cominciando a calare.
Destinazione: reggia di Versailles.

-------------------------------------
Per l'abito di Madeleine mi sono ispirata al vestito di questo link: https://www.pinterest.it/pin/523262050432070063/

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Balli e rivelazioni ***


Gli ultimi raggi di sole illuminavano la strada che portava alla reggia di Versailles. All’interno della carrozza in cui viaggiavano Arno e Madeleine stavano in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri. In particolare la ragazza cominciava a sentire il nervosismo per la festa imminente: madame Beauchesne l’aveva portata spesso alle feste, insegnandole comportamenti e trucchi vari che usavano le nobildonne per raggiungere i propri intenti. Ma non era mai stata brava a metterli in pratica per via del suo carattere schivo. Aveva osservato come altre dame da compagnia si prestavano volentieri a quel “gioco”, e ricordava ancora le loro risatine superbe nei suoi confronti.
Ma stavolta non ci sarebbe stata la sua padrona a guidarla tra le insidie della nobiltà, o di ciò che ne rimaneva; madame Beauchesne non le avrebbe detto come comportarsi con la nuova borghesia repubblicana, non le avrebbe ordinato di origliare questa o quella conversazione o di conversare con una certa dama. Sarebbe stata da sola, e la cosa non le piaceva per niente.
Persa in quei pensieri, Madeleine non si era resa conto che Arno la stava chiamando. Alzò la testa, sorpresa, e vide lo sguardo preoccupato dell’Assassino.
-Stai bene?-
La bretone sospirò e ammise il suo nervosismo: -Voglio solo che tutto vada bene, Arno. Non voglio fare un pasticcio...-
-Non farai nessun pasticcio. Ne sono certo- la rassicurò Arno.
La ragazza non rispose. Voleva credere alle parole dell’Assassino, ma non riusciva a togliersi di dosso una spiacevole sensazione, come se qualcosa sarebbe andato storto di sicuro.
-Come fai a esserne sicuro?-
Sentì la mano di Arno sulla propria. Volse lo sguardo verso l’uomo, che le stava sorridendo con comprensione.
-Sei una ragazza prudente, Madeleine. Mi hai detto che sai come funzionano questi eventi e ho fiducia in te- la rassicurò lui.
-E se qualcosa andasse comunque male?- chiese turbata.
L’Assassino la osservò preoccupato. Vide il lieve tremore delle sue mani e il suo sguardo teso. Chiedendole prima il permesso, le appoggiò una mano dietro la schiena, tra le scapole, e cominciò a fare dei lenti movimenti circolari. Continuò finché non vide la ragazza rilassarsi e smettere di tremare.
L'uomo le sorrise per incoraggiarla: -So che ce la puoi fare. Resta sempre nelle sale principali, dove c'è più gente. Cercherò i documenti e tornerò da te il più in fretta possibile, te lo prometto.-
Quei gesti e quelle parole sembrarono fare effetto su Madeleine. Finalmente riuscì a calmarsi e un lieve sorriso apparve sulle sue labbra.
La giovane avrebbe voluto ringraziarlo per la sua gentilezza, ma non fece in tempo: d'un tratto la carrozza rallentò e si fermò davanti a un enorme cancello. Pochi secondi dopo Laurent aprì la portiera e fece un ampio gesto del braccio: -Destinazione raggiunta! Ecco a voi la reggia di Versailles!- esclamò.
 
Indossata la maschera e aiutata da Arno, Madeleine scese dalla carrozza e rimase abbagliata dallo spettacolo davanti a sé: decine, forse centinaia di persone vestite in modo elegante e adornate da maschere multicolore chiacchieravano in vari punti dell'ampio viale d'ingresso; alcuni ospiti mostravano il proprio invito alla guardia ed entravano già all'interno del palazzo, da dove si sentiva provenire della musica.
-Incredibile!- esclamò meravigliata la ragazza.
-L'hai detto, avresti dovuto vedere com'era ridotto l'anno scorso. Strano che abbiano deciso di restaurarlo e non di abbatterlo- disse Laurent.
Arno non intervenne. Ricordava ancora i mesi dopo la sua espulsione dalla Confraternita e il suo vagare per le strade del paese, e come la reggia era diventata un rifugio di altri disgraziati o persino banditi. Vedere quell'edificio ritornato allo splendore di un tempo gli ricordò in qualche modo sé stesso, ritornato alla vita dopo un periodo di disperazione.
Indossò anche lui la maschera e si rivolse a Lozach: -So che ti annoierai parecchio qui fuori, ma tieniti comunque pronto per qualsiasi evenienza.-
Il bretone annuì: -Tranquillo, non pensare a me. Cercate di divertirvi e portatemi qualche tartina- rispose divertito, quindi fece un ultimo saluto alla coppia e andò a sistemare la carrozza nell'area apposita.
Arno e Madeleine attraversarono il cortile d'onore, si diressero verso la guardia e mostrarono i loro inviti. Per fortuna l'ufficiale non notò che erano contraffatti, quindi li fece entrare nella reggia.
 
La bretone rimase letteralmente a bocca aperta. Mai, in vita sua, aveva visto un palazzo più sontuoso: i decori più sfarzosi, ricordo del passato monarchico, erano stati rimossi, e tuttavia l'edificio aveva mantenuto la sua aura maestosa ed elegante. Ogni sala, persino la più piccola, era stata risistemata dopo le razzie rivoluzionarie, e dove fino a pochi mesi prima si trovavano macerie e vandalismi ora c'erano ospiti illustri intenti a chiacchierare.
Arno propose alla ragazza di fare una specie di giro turistico della reggia, cosa che Madeleine accettò più che volentieri. Sembrava che i due, per un attimo, avessero dimenticato il vero motivo della loro presenza alla festa: insieme esplorarono tutte le sale aperte al pubblico, osservarono i mobili e i decori, si fecero spazio tra gruppetti di ospiti spettegolanti. Erano anni che entrambi non si sentivano così spensierati.
Dopo aver girovagato per un po', Arno e Madeleine cominciarono ad avvertire i morsi della fame. Si recarono al salone preposto per il buffet e la bretone ringraziò il cielo che ci fosse parecchio rumore, altrimenti chiunque avrebbe sentito il brontolio del suo stomaco.
Vago ricordo dei ricchi banchetti reali, un lungo tavolo rendeva comunque giustizia alle pietanze offerte per i numerosi ospiti: tartine con carne, pesce o verdure, gelatine di pollo e legumi, castrato in umido, pâté di fegato d'anatra e d'oca, bignè salati e altro ancora. E a fianco, ovviamente, l'immancabile offerta di dolci: pasticcini mignon, tartellette con crema o cioccolato, biscotti ripieni di panna, torte sontuose decorate con glasse e stelline di zucchero coi colori della bandiera francese.
Ed ecco che a Madeleine, così come si era aperto, si chiuse repentinamente lo stomaco: quante volte, in passato, si accontentava di pranzare con una pagnotta e un po' di pesce, o se andava bene con un pezzo di formaggio. Quanti poveri avevano patito la fame, durante la monarchia, e chissà quanti ancora morivano per strada nell'indifferenza di tutti.
-Tutto bene?- chiese Arno, che si era accorto della sua titubanza.
La bretone distolse lo sguardo da tutte quelle leccornie: -Scusami. È solo che vedere tutta questa abbondanza mentre c'è gente che non ha nulla da mangiare... mi fa star male.-
L'Assassino capì il timore della ragazza e tentò di tirarle su il morale: -Temi che gli avanzi vengano gettati via, vero? Anch'io avevo questa preoccupazione, ma ho chiesto prima a un cameriere e mi ha risposto che il cibo avanzato verrà donato dal Direttorio ai poveri. Un gesto per differenziarsi dagli sprechi della nobiltà, ha detto.-
Madeleine si sentì rincuorata da quelle parole e accettò l'invito del suo compagno a prendere qualcosa da mangiare. Per fortuna non avevano cenato, prima.
 
-Erano anni che non mangiavo così bene!- sospirò soddisfatta Madeleine.
-Posso tentarti con un'ultima pralina?- scherzò Arno, porgendole una sferetta di cioccolato decorata con una spirale.
La bretone fissò il dolcetto, poi l'Assassino e il suo sorriso divertito: -Lo sai che sei diabolico, vero?- ribatté, ma quella pallina la stava attirando come il canto di una sirena. Si arrese al richiamo dello zucchero e tese la mano per prenderla dall'uomo, che le passò il pirottino con il dolcetto.
Madeleine ne prese un morso, scoprendo un morbido ripieno all'arancia che si sposava divinamente con l'amaro del fondente. Si lasciò scappare un mugolio soddisfatto, poi si rivolse all'Assassino: -Devi assolutamente provarne una, è squisita!-
Ma non avrebbe mai immaginato cosa sarebbe successo: cogliendola di sorpresa, Arno si chinò e mangiò direttamente dalla sua mano il resto della pralina. La ragazza non ebbe tempo di reagire, tanto che era rimasta con la mano immobile a mezz’aria ancora con la sensazione delle labbra dell’Assassino sulle dita. E ora, cosa forse peggiore, si sentiva le guance arrossire dall’imbarazzo per via dei sussurri pettegoli che udiva intorno a sé.
Anche Arno sembrò in imbarazzo, resosi conto che forse aveva esagerato. Distolse lo sguardo dalla ragazza e deglutì con fatica: -Scusami, non avrei dovuto. Non so cosa mi sia preso...-
La giovane sorrise appena: -Va tutto bene. Andiamo da qualche altra parte- rispose. Prese sotto braccio l'Assassino e si allontanarono dalla sala del buffet.
Il silenzio sembrò essersi impossessato dei due, ognuno perso in chissà quali pensieri. Madeleine ripensava ancora a ciò che era successo: a quel gesto così improvviso e allo stesso tempo così intimo; allo sguardo che le aveva rivolto l'uomo, nonostante la maschera; alla sensazione delle sue labbra sulle dita. Immaginò cosa sarebbe successo se fossero stati da soli, magari nella tranquillità della sua stanza al Café: loro due sul divano, davanti al caminetto, a scambiarsi cioccolatini e teneri sguardi. E poi Arno che le sfiora di nuovo le dita, poi la mano, si avvicina a lei e...
Madeleine scosse la testa, esterrefatta per quei pensieri. Cosa diamine le passava per la testa? Diede la colpa al ricevimento e alla sua atmosfera spensierata. Doveva essere per forza quello, certo non quello che provava per Arno.
Sospirando appena per non farsi sentire la ragazza guardò di sottecchi l'Assassino, che invece osservava con cautela gli altri invitati: Arno le piaceva, era inutile negarlo. La sua gentilezza, la sua generosità nell'aiutarla, persino la sua fragilità le erano entrate nel cuore. Quella che doveva essere una missione di spionaggio si era trasformata in una bella amicizia, e forse anche in qualcos'altro. Ma la giovane non osava pensare se l'uomo reciprocasse o meno quei sentimenti.
Ad un tratto venne distratta dagli altri ospiti, che si stavano muovendo di gran carriera verso un'unica direzione.
-Che succede?- chiese.
Il sorriso ritornò sul volto di Arno: -Credo che sia iniziato il ballo, andiamo a vedere.-
Cercando di non farsi travolgere dalla folla, i due giunsero infine nella famosa Galleria degli Specchi: grazie al gioco di riflessi la sala sembrava illuminata da migliaia di candele, conferendo all'ambiente una luminosità come se fosse giorno; un quartetto d'archi era già in azione, suonando sia pezzi classici che le ultime novità della musica classica; al centro della sala decine e decine di coppie danzavano i balli più in voga come contraddanza, polka e naturalmente il più apprezzato, il valzer.
Madeleine osservava meravigliata quello spettacolo di suoni e colori, coi vestiti delle dame che volteggiavano a ritmo di musica. Stava ancora ammirando le piroette dei danzatori quando sentì Arno chiamarla e, con sua grande sorpresa, vide che le tendeva una mano.
-Non credo che avrò altre occasione per chiedertelo– disse l'Assassino –Mi faresti l'onore di questa danza?-
La ragazza si sentì battere forte il cuore, tant'era emozionata. Timidamente accettò l'invito dell'uomo e quindi fecero il loro ingresso sulla pista da ballo.
-Spero di non schiacciarti i piedi, non conosco molto questi balli- avvertì Madeleine.
Arno sorrise divertito: -Non preoccuparti, è un rischio che corro volentieri.-
Al ritmo degli archi, la coppia cominciò a muovere i primi passi di un romantico valzer. Spiarono i movimenti delle coppie più esperte e seguirono la melodia dell’orchestrina fino a trovare il loro tempo, una nota per volta.
La ragazza avvertiva ogni tanto gli sguardi delle altre persone, dovuto probabilmente all’episodio della pralina, eppure non sentiva più l’imbarazzo di prima: la sua attenzione era rivolta solo ad Arno, alle sue mani forti e allo stesso tempo delicate, ai suoi occhi dolci e caldi.
Man mano che la danza proseguiva, i due ebbero la sensazione di trovarsi da soli, padroni della pista da ballo. Occhi di cioccolato fissavano con affetto uno sguardo color tempesta, le loro mani si stringevano appena un po’ di più, i loro volti si avvicinavano senza che se ne accorgessero... e poi la musica terminò.
Il rumore degli applausi riportò Arno e Madeleine alla realtà della festa, come se fosse scoppiata all’improvviso la bolla in cui si trovavano. Si allontanarono dalla pista per fare posto alle nuove coppie e la ragazza si rivolse all’Assassino: -Tutto sommato non è andata così male, no?-
Ma all’improvviso il volto dell’uomo si era fatto serio. Cercando di mantenere un’espressione rilassata, Arno accompagnò la ragazza lungo la Galleria degli Specchi dove si erano radunati gli ospiti che non volevano danzare.
Madeleine notò immediatamente il comportamento dell’Assassino: -Che cosa succede?-
L’uomo controllò un paio di volte la gente intorno a sé, e una volta certo che nessuno li stava ascoltando le rispose: -Devo andare a cercare i documenti che mi servono. Proverò a fare il più in fretta possibile, tu intanto resta qui e non ti muovere.-
Prima che la ragazza potesse fargli qualche domanda, lui rispose: -Ho notato un paio di Templari prima, e anche qualche loro agente infiltrato. Non so se mi hanno già riconosciuto, ma più gente c’è nei dintorni e meno proveranno a fare qualcosa. Prometti che starai qui?-
Madeleine tentò di individuare qualche comportamento sospetto, ma invano. Si girò verso Arno e vide il suo sguardo preoccupato dietro la maschera.
Annuì e gli sorrise per incoraggiarlo: -Vai pure, Arno. Mi troverai qui, te lo prometto.-
Rincuorato da quelle parole, l’Assassino le strinse appena la mano come ultima raccomandazione, quindi si allontanò con discrezione fino a sparire dalla vista della ragazza.
Non passarono neanche due minuti prima che Madeleine sentì qualcuno afferrarla per il braccio. Si girò di scatto, pronta ad allontanare il molestatore, ma si bloccò non appena riconobbe madame Beauchesne dietro la preziosa maschera che le celava il volto.
-Dobbiamo parlare. Ora- sibilò la donna, e portò la ragazza via con sé.
 
Le due donne attraversarono numerose stanze fino a che Thérèse Beauchesne non ne trovò una completamente vuota. Fece entrare la ragazza in un piccolo salottino e chiuse la porta, in modo che nessuno potesse disturbarle.
Madeleine osservò la stanza poco illuminata. Nella penombra di un candelabro riuscì a vedere un divanetto e delle poltrone intorno a un tavolo, e poco distante un mobile sopra cui troneggiava un grande specchio.
Un lieve colpo di tosse la fece girare verso la Templare, che la osservava con un certo fastidio.
-Ora giochiamo a Cenerentola, Madeleine?- esclamò la donna.
La bretone sobbalzò a quel tono così aggressivo. Thérèse sbuffò e si accomodò sul divanetto: -Non ti ho mica detto di venire qui per divertirti! Perché non sei dietro a Dorian a spiarlo?-
La ragazza tentò di ribattere: -Non... Non deve fare niente di che. Mi ha detto di restare alla Galleria perché è più sicuro.-
-O forse perché non ti voleva tra i piedi- insinuò la Templare.
Madeleine si sentì ferita da quelle parole: -No, io... io mi fido di lui. Ha detto che ci sono persone poco raccomandabili e...-
-E tu gli credi?! Ti fidi così tanto di qualcuno che conosci da così poco? Non hai più fiducia in me, forse?- replicò Thérèse.
Si alzò dal divanetto e si avvicinò alla finestra: -Io ti ho salvato dalla miseria, Madeleine. Se non fossi passata a Quimper, quasi dieci anni fa... Non ho bisogno di ricordarti madame Fournier e il suo localino, giusto?-
Madeleine avvertì un lungo tremito percorrerla dalla testa ai piedi. Si sentì il fiato mozzato in gola e tremendi ricordi le ritornarono in mente.
-No, non madame Fournier... V-vi prego...- implorò con voce tremula.
Thérèse sorrise soddisfatta per la sua vittoria. Si avvicinò alla giovane e le si rivolse in modo affabile: -E allora, mia piccola Madeleine, puoi spiegarmi perché ti fidi così tanto di un uomo che conosci da quattro mesi, e non della tua generosa signora che conosci da anni?-
La giovane si sentiva smarrita, ancora sconvolta dai ricordi che le aveva provocato la Templare. Si sentiva schiacciata dallo sguardo apparentemente rilassato di madame Beauchesne: sapeva che, sotto quella maschera, stava studiando le sue prossime mosse.
Fece un respiro profondo per calmarsi. Cercò di non pensare più alle sue parole e di ricordare invece i bei momenti passati con l’Assassino, dal primo incontro fino al valzer di qualche minuto prima: ripensò alle parole gentili, alle battute, ai quei momenti che man mano li avevano avvicinati l’un l’altra. E in un sussurro, quasi più a sé stessa che alla sua padrona, disse: -Io... io credo di piacergli.-
Non ci fu nessuna risposta da parte di Thérèse. La donna rimase in silenzio per alcuni secondi, poi cominciò a ridere sommessamente, e poi più forte, più forte, fino a che le sue risate non riempirono tutta la stanza.
Madeleine avrebbe voluto sparire, piuttosto che sentire quelle che sembravano risate di scherno.
Dopo un paio di minuti la Beauchesne riuscì a calmarsi, quindi si avvicinò alla giovane: -Ti faccio vedere io cosa gli piace di te.-
Ordinò alla ragazza di girarsi, poi la giovane avvertì un improvviso dolore alla nuca: la Templare le stava disfacendo senza alcuna delicatezza l’acconciatura che le aveva fatto Hélène, e senza darle tempo di protestare la trascinò poi davanti allo specchio.
-Cosa vedi?- le domandò Thérèse.
Madeleine non capiva il perché di quelle azioni. Osservò il proprio riflesso alla luce del candelabro e rispose titubante: -Vedo me stessa.-
Di nuovo la risatina di scherno della Templare: -Quanto sei ingenua, guarda bene- ribatté.
Sistemò meglio il candelabro, finché la luce delle candele non conferì alla chioma della ragazza una sfumatura rossa. E solo allora la bretone capì.
-Ho riconosciuto l’abito che indossi, quindi sarai stata certamente a Villa De la Serre. E avrai visto il ritratto di Élise, giusto? Ora capisci perché Dorian è così interessato a te?- le chiese subdolamente.
Ancora una volta Madeleine si sentì mozzare il fiato: complice la luce, ora in quello specchio non c’era più lei, ma quei capelli rossastri e quegli occhi dalla sfumatura azzurra appartenevano a Élise. Tentò di allontanarsi, non osando più guardare il proprio riflesso, ma la Templare la bloccò sul posto e la obbligò a fissare lo specchio: -Questa è l’amara verità, mia cara. Tu sei soltanto una seconda scelta, una copia non riuscita del suo primo amore. Davvero credevi che si sarebbe interessato a una frignona come te, altrimenti?-
Finalmente la ragazza riuscì ad allontanarsi dallo specchio. Si sentiva un enorme peso allo sterno che le impediva di respirare normalmente. Non voleva credere alle insinuazioni della sua padrona, ma la donna aveva detto il vero: la somiglianza con Élise era notevole, chiunque se ne sarebbe accorto.
Le prime lacrime minacciavano i suoi occhi, dandole una fastidiosa sensazione di prurito. Si tolse la maschera e cercò di asciugarsele il più in fretta possibile, nascosta alla vista della donna.
Sobbalzò sorpresa, quando avvertì le mani della Templare sulle spalle. Thérèse ora la guardava con comprensione, cambiando completamente espressione in pochi secondi: -Povera piccola Madeleine. A volte il cuore può giocare brutti scherzi, ma io posso aiutarti.-
La bretone la osservò confusa mentre cercava qualcosa tra le pieghe del suo abito, e poco dopo la Beauchesne estrasse una piccola boccetta che conteneva un liquido trasparente.
-Io e i miei colleghi abbiamo deciso di non voler più perseguire la nostra missione di giustizia, ci è costata la vita di troppa gente. Ma possiamo ancora scoprire qualcosa sul gruppo di Dorian.-
-Questo è un potente sonnifero. Sono solo poche gocce, ma questa boccetta può far addormentare un uomo in un’ora. Usalo con Dorian, trova qualsiasi documento che riguardi ciò che fanno lui e i suoi affiliati e portamelo. Ti do sette giorni di tempo, e se mi porterai qualcosa di utile ti prometto che potrai restare col tuo amichetto. Sono stata chiara?-
E senza nemmeno aspettare una risposta da parte della giovane, Thérèse le infilò la boccetta nello scollo dell’abito e le ordinò di andare.
 
Madeleine avrebbe voluto scomparire. Non aveva fatto che pochi passi e i sussurri pettegoli intorno a lei sembravano api impazzite, talmente erano numerosi. Camminò velocemente a testa bassa, cercando allo stesso tempo di trattenere le lacrime. Aveva bisogno di aria e di stare da sola.
Si fece spazio tra la folla, sentiva su di sé gli sguardi curiosi degli ospiti, i pettegolezzi non si arrestavano.
“Smettetela, smettetela!”
Finalmente trovò un’uscita e poco dopo si ritrovò davanti alle due grandi fontane che accoglievano i visitatori nell’enorme giardino della reggia. Fosse stato giorno avrebbe fatto volentieri una passeggiata, ma era ancora troppo sconvolta. E lì intorno c’era ancora troppa gente.
Ormai non le importava più degli altri e non fece caso alle persone che accidentalmente urtava; dopotutto era difficile vedere con le lacrime agli occhi.
Attraversò i primi giardini e seguì il lungo tappeto verde che portava fino all’imponente Fontana di Apollo. Deviò poi in uno dei corridoi laterali, perdendosi in quel labirinto di siepi e alberi curati, fino a che si ritrovò presso una delle numerose fontane minori.
Madeleine si arrestò, rendendosi conto di aver corso nonostante l’ingombro dell’abito. Ancora ansante si guardò intorno, scoprendo di essere completamente sola: i rumori della festa erano spariti e l’unica luce presente proveniva dalla luna piena.
Esausta, si sedette sul bordo della fontana e si tolse la maschera, permettendo finalmente alle lacrime di scorrere lungo le guance. Prese la boccetta che madame Beauchesne le aveva infilato così rudemente nello scollo e ne osservò il contenuto.
Si sentiva così affranta, confusa, e le parole della sua padrona non aiutavano per niente: le ritornarono in mente la sua risata di scherno; la presa di ferro sulle spalle mentre la costringeva a guardare il proprio riflesso; e quelle parole così velenose e, allo stesso tempo, così veritiere.
Tu sei soltanto una seconda scelta, una copia non riuscita del suo primo amore” udiva nella sua testa, in un’infinita cantilena maligna.
Osservò il suo riflesso nelle placide acque della fontana, ma a causa delle emozioni che provava in quel momento quelle le restituirono una pallida imitazione del ritratto di Élise De la Serre.
Nel silenzio di quel maestoso parco riecheggiarono i singulti disperati della povera Madeleine.
 
*****
-Eccovi qua- sussurrò Arno reggendo i documenti che stava cercando. Se li infilò con cura nella tasca interna della giacca, poi si avvicinò con cautela a un armadio; la guardia che aveva stordito prima era ancora svenuta, per fortuna.
-Bonne nuit- salutò sarcasticamente, quindi l'Assassino aprì appena la porta e uscì in silenzio dalla stanza in cui si trovava.
Si incamminò per tornare alla Galleria degli Specchi, ma si accorse subito che era successo qualcosa: in ogni sala che attraversava c'erano drappelli di persone che bisbigliavano concitate tra di loro, e notò che alcuni degli ospiti gli lanciavano sguardi discreti ma inquisitori.
Arno non capiva il perché di quelle occhiate. Continuò a camminare, ma a un certo punto sentì una parte di conversazione tra due donne.
-Dovevi vederla, era tutta sconvolta. Forse ha scoperto che il marito ha un'amante!-
-No, non può essere! Non hai visto prima al ballo? Erano così carini insieme.-
Arno avrebbe preferito risolvere il mistero da solo, ma ammise a sé stesso che forse così avrebbe fatto prima. Sospirò, quindi si avvicinò alle due signore.
-Perdonatemi, mesdames, potreste dirmi cos'è successo? Ho notato parecchio subbuglio tra gli ospiti- domandò.
Rispose la prima donna: -Oh, proprio voi! È successo quando avete lasciato la Galleria. Si è avvicinata una donna a vostra moglie e l'ha portata via con sé, e dopo un po' la poverina è ritornata sconvolta.-
Un campanello d'allarme cominciò a suonare nella testa di Arno: -Sapete chi era quella donna?-
Intervenne la seconda: -Ricordo che aveva i capelli bruni e un abito chiaro. Azzurro, o forse verde? In ogni caso non l'ho più vista qui.-
-E mia... moglie? Sapete dov'è andata?- chiese l'Assassino con preoccupazione.
Stavolta le due donne non seppero rispondere, quindi l'uomo le ringraziò e si diresse verso la Galleria degli Specchi.
Guardò in tutte le direzioni, percorse più e più volte la lunga sala, cercò nelle stanze vicine ma invano: Madeleine non si trovava da nessuna parte.
Decise di cambiare strategia: si concentrò e attivò l’occhio dell'aquila, osservando l’ambiente intorno a sé alla ricerca di indizi. Ed ecco, appena visibili, delle impronte dorate dirigersi verso l’uscita.
Arno fece molta fatica a seguirle a causa della gente che continuava a passarci sopra, col rischio di cancellare quella flebile pista, ma per fortuna riuscì a seguirle fino all’inizio del parco. Senza più l’ingombro degli ospiti, l’uomo vide con inquietudine che le impronte si addentravano nell’enorme giardino.
Si tolse la maschera, poiché era da solo e non ci sarebbe stato nessuno a vederlo, e corse seguendo la scia dorata delle impronte. In cuor suo si chiedeva cosa fosse successo alla giovane bretone e sperava che stesse bene. Se le fosse successo qualcosa di grave non se lo sarebbe mai perdonato.
Svoltò in una via laterale e percorse il corridoio alberato, finché giunse in uno spazio aperto con al centro una fontana. E sul bordo, china su sé stessa, era seduta la ragazza.
-Madeleine!- chiamò ad alta voce, sollevato nel vederla. Ma la giovane alzò di scattò la testa e, sotto i raggi della luna, Arno vide i suoi occhi gonfi e le sue guance rigate dalle lacrime. Si avvicinò a lei, sempre più preoccupato, e la ragazza si girò dall’altra parte.
-Stai bene? Cos’è successo?- le chiese, stupito dalla sua reazione.
La ragazza tirò su col naso e si asciugò un occhio. Sempre tenendo lo sguardo basso, dalle sue labbra uscì un’unica parola: -Perché?-.
L’Assassino rimase in silenzio, confuso da quella domanda. Madeleine si girò quindi verso di lui, mentre le lacrime ricominciavano a sgorgarle dalle palpebre: -Dimmi la verità, Arno. Perché mi hai aiutato, quel giorno al cimitero? Perché mi hai voluto al Café? È perché somiglio a Élise?-
Quelle domande furono come un fulmine a ciel sereno. Vedendo che l’uomo esitava a rispondere, la bretone continuò fra i singhiozzi: -All’inizio non ci aveva fatto caso, ma tu mi hai sempre trattato diversamente dalle altre cameriere. Eri sempre più gentile con me, mi hai voluto come sarta personale. Mi hai chiamato col suo nome. E ho visto il suo ritratto alla villa. E ora, con un suo abito e con questa maschera...-
Arno tentò di intervenire: -Madeleine, io...-
-Io non sono Élise! E non lo sarò mai! Non sarò mai intrepida, affascinante o colta come lei. Non potrò mai prendere il suo posto nel tuo cuore...-
La giovane si rese conto troppo tardi di ciò che aveva detto. Trattenendo a stento un singulto, si alzò e fece per andarsene, ma in un attimo sentì le braccia di Arno cingerla da dietro.
Rimase immobile, stupita da quel gesto. Sentiva l’Assassino tremare, il suo fiato le sfiorava appena la guancia. Riuscì a girarsi, mettendosi di fronte a lui, e nel suo sguardo vide sentimenti contrastanti: affetto e paura.
Arno strinse ancora di più la ragazza tra le sue braccia, appoggiando la testa sulla sua spalla.
-Hai ragione– ammise –All’inizio credevo impossibile trovare qualcuno che mi ricordasse così tanto Élise. Volevo conoscerti meglio e assumerti al Café sembrava la soluzione migliore. Ma ho capito subito che non eri un’altra Élise, nonostante l’aspetto fisico. Ed è giusto così.-
-Ma tu mi hai salvato, Madeleine. Se non avessi avvertito gli altri dell’agguato templare sarei morto. E poi mi hai salvato un’altra volta, quando mi sono ubriacato. È vero, ti ho scambiato per lei, con la luce della candela che ti rendeva i capelli rossi. Ma mi aveva ricordato anche un’aureola e il mattino seguente, quando ti ho vista accanto a me, sembravi un angelo. Il mio angelo salvatore.-
Madeleine ascoltò meravigliata quelle parole. Finalmente, da quando aveva incontrato la Beauchesne, sentì il dolore abbandonare il suo corpo e lasciar posto alla speranza.
Arno sciolse l’abbraccio per guardarla dritta negli occhi. Lentamente alzò una mano e l’avvicinò al suo volto per asciugarle una lacrima, per posarsi poi sulla sua guancia.
-Ho imparato a conoscerti e ad apprezzarti, mon ange: la tua dolcezza, la tua forza interiore, la tua bontà mi hanno conquistato. E ho capito di amarti.-
-Élise sarà sempre un capitolo importante del mio passato, ma è tempo di voltare pagina. E vorrei tanto che tu facessi parte di questa nuova storia- terminò l’Assassino.
Sentendo quelle parole così dolci e piene d’amore, Madeleine sentiva il proprio cuore battere sempre più forte. E quando Arno finì l’ultima frase non riuscì a trattenersi: prese il viso dell’Assassino tra le mani e lo baciò sulle labbra. Aveva agito d’istinto, guidata dai sentimenti che provava per l’uomo. E subito dopo l’uomo la baciò a sua volta, avvolgendola dolcemente fra le sue braccia.
-Ti amo, ma menn- sussurrò la ragazza.
-Che significa?- chiese Arno.
Madeleine ridacchiò appena, leggermente imbarazzata: -Te lo dirò un’altra volta. Adesso è meglio se torniamo alla festa.-
Arno le prese una mano con delicatezza: -Ho trovato ciò che mi serviva, se vuoi possiamo tornare alla villa. Ma prima...-
E con un gesto da prestigiatore fece apparire dal nulla un prezioso anello d’oro con delle piccole pietre preziose incastonate sulla parte superiore, e glielo infilò agilmente all’anulare.
La ragazza arrossì e sussultò allo stesso tempo: -Arno, ma sei impazzito?-
L’Assassino fece spallucce, sorridendo divertito: -Era dimenticato in fondo a un cassetto e dubito che la sua padrona verrà a riprenderlo. Nelle migliori delle ipotesi sarà scappata, altrimenti...- e fece un inequivocabile gesto col dito lungo il collo.
Madeleine osservò il prezioso gioiello alla luce della luna: -È stupendo, Arno. Grazie-
I due innamorati si scambiarono ancora un tenero bacio. Mano nella mano, si incamminarono lungo il sentiero del parco e decisero che era tempo di lasciare la reggia di Versailles.
La bretone non poteva essere più felice, ma un’ombra gravava su quella gioia: le parole della Beauchesne e l’ultimatum che le aveva dato.

-----------------------------------------------------------------------------------
Se volete orientarvi nel parco di Versailles, qui c'è una mappa molto dettagliata: https://it.map-of-paris.com/parchi---giardini-mappe/i-giardini-di-versailles-mappa#&gid=1&pid=1

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Prima della tempesta ***


Attenzione: in questo capitolo sono presenti contenuti sessuali
----------------------------------------------------------------------------

Un’altra serata al Café Théâtre si era appena conclusa. Nel salone principale i tavoli e le sedie venivano sistemati per permettere alle cameriere di pulire, mentre in cucina si riordinavano pentole e altri utensili.
Madeleine era nervosa. Erano già passati quattro giorni dalla festa di Versailles e dalla confessione di Arno. Ma soprattutto, purtroppo, erano già passati quattro giorni dall’ultimatum della Beauchesne.
La giovane non aveva trovato l’occasione giusta, visto che Arno era stato impegnato tutti quei giorni e ritornava al Café solo alla sera tardi: quelli erano gli unici momenti che riuscivano a trascorrere insieme per chiacchierare, scambiarsi gesti d’affetto o qualche casto bacio, prima che l’Assassino andasse a dormire per poi essere già altrove il mattino seguente. Il tempo stava scorrendo troppo velocemente, doveva agire subito.
La giovane sospirò, quindi si avvicinò al fornello per togliere una brocca piena di acqua calda. Fece attenzione a non scottarsi e prese un paio di cucchiai di camomilla.
Udì dei rumori di stoviglie dietro di sé e vide che Ophélie e Célestine avevano terminato di lavare i piatti.
-Finalmente domani è giorno di riposo!- esclamò la prima stiracchiandosi.
-Potremmo andare a fare una passeggiata lungo la Senna. Che ne dite?- propose l’altra.
-Non so, è già da qualche giorno che è un po’ nuvoloso- replicò Madeleine.
Le due osservarono la bretone, intenta a versare la camomilla in alcune tazze, e si scambiarono un sorrisetto complice.
-Non è perché sei impegnata col signor Dorian, vero?- chiese Ophélie. Per poco Madeleine non fece cadere una tazza.
-No! M-ma che dici? I-Insomma...- balbettò la ragazza.
Le due cameriere risero divertite, poi Ophélie le mise amichevolmente un braccio intorno alle spalle: -Andiamo, lo sappiamo tutti che vi state frequentando. Ti ha organizzato qualcosa di romantico? A noi puoi dirlo!- scherzò.
Madeleine arrossì dall’imbarazzo e cominciò a torcersi un lembo della manica. Com’era possibile che tutti si fossero accorti del loro rapporto? Sia lei che Arno avevano deciso di non annunciare subito il loro corteggiamento, ma evidentemente qualcuno aveva intuito che qualcosa tra loro era cambiato.
Célestine rassicurò la giovane: -Sta tranquilla, cara. È normale, all’inizio di una relazione, che i due innamorati vogliano trascorrere del tempo insieme.-
-Non è questo– replicò la bretone, –Mi preoccupa che... ecco, possiate pensare male di me...-
-Ma che dici?!- ribatté Ophélie. Prese una tazza e ne bevve un sorso, quindi continuò il discorso: -Anche un cieco potrebbe vedere che voi due vi piacete davvero. Credimi, e Célestine te lo può confermare, erano mesi che non vedevamo il signor Dorian così felice.-
Anche l’altra cameriera ribadì quelle parole: -Non devi preoccuparti, Madeleine. Ciò che importa è che voi due siate felici l’uno con l’altra. Chiunque sostenga che tu abbia secondi fini è soltanto invidioso o peggio.-
Commossa da quelle parole così gentili, Madeleine abbracciò di slancio le due inservienti: -Grazie ragazze. Siete le mie migliori amiche.-
Célestine e Ophélie ricambiarono quel gesto di affetto, quindi le due ragazze salutarono la bretone e se ne andarono.
Avevano appena varcato la soglia della cucina, e Madeleine si lasciò scappare un triste sospiro. Se solo avessero saputo la verità avrebbero avuto di sicuro un’opinione molto diversa.
Dopo essersi assicurata di essere rimasta da sola, la giovane estrasse il sonnifero che le aveva dato la sua padrona: le ritornarono subito alla mente le parole minacciose della Beauchesne e l’ordine di usarlo con l’Assassino per trovare qualsiasi cosa riguardante la Confraternita. E infine, dolce e suadente come il miele, la promessa di poter rimanere con l’uomo.
Aveva aspettato fin troppo, il tempo che le aveva concesso la sua padrona stava per terminare. Era giunto il momento di agire.
Mentre versava altra camomilla la giovane avvertì un lieve tremito alle mani. Stappò la boccettina e versò due gocce nella tazza bollente; sarebbero bastate, pensò fra sé e sé.
Le venne quasi un conato di vomito per ciò che stava facendo, ma riuscì a trattenersi.
“Qualsiasi cosa, basta che trovi qualsiasi cosa, anche la più inutile. Madame non potrà saperlo. Basta solo questo e sarò libera. E potrò stare con Arno.”
Ripetendosi queste parole, quasi per darsi coraggio, Madeleine prese la tazza drogata e si diresse verso la camera dell’Assassino.
 
La ragazza stava salendo le scale che portavano al piano superiore, a quell’ora deserto. Era sempre il solito percorso, eppure ci mise più tempo per percorrerlo. Ogni tre passi si fermava a causa dell'ansia che le procurava un peso allo stomaco; nella sua testa sentiva due vocine contrapposte che le suggerivano cosa fare, e il battito accelerato del suo cuore faceva da colonna sonora a quella disputa mentale.
“Sei ancora in tempo. Digli come stanno le cose e lui capirà” diceva la prima.
“Se gli dici la verità ti odierà per sempre. Trova anche la cosa più inutile e portala a Madame. Lei non lo saprà mai e tu sarai libera” controbatteva la seconda.
La ragazza scosse la testa nel tentativo di liberarsi di quelle voci così insistenti e si accorse di essere arrivata davanti alla porta della camera di Arno. Dopo un ultimo respiro profondo bussò e, ricevuta una risposta affermativa, entrò nella stanza. Rimase per qualche secondo sulla soglia, per permettere ai suoi occhi di abituarsi alla scarsa luce proveniente solo da un paio di candele sulla scrivania. E lì, incurvato sul tavolo, sedeva l'Assassino. L'uomo si girò per vedere chi era e subito un sorriso apparve sul suo volto stanco.
La ragazza ricambiò il sorriso: -Ti ho portato della camomilla- disse.
Arno si alzò dalla sedia e si stiracchiò la schiena: -Grazie, ho proprio bisogno di fare una pausa- rispose.
Madeleine appoggiò la tazza su un tavolino, quindi osservò il volto dell'uomo e notò tutta la stanchezza che aveva accumulato in quei giorni di lavoro incessante. Gli si avvicinò e gli sfiorò con affetto la guancia: -Dovresti riposarti. Non puoi smettere per oggi?-
Arno sospirò, appoggiando il volto sul palmo della giovane: -Vorrei, ma non posso. Il Concilio mi ha affidato una missione piuttosto urgente. Devo organizzare un...-
L'Assassino venne interrotto dalla giovane, che gli aveva appoggiato tre dita sulle labbra. Fece uno sguardo interrogativo, quindi lei lo rassicurò: -Non devi dirmelo per forza, capisco che certe cose debbano restare segrete. È giusto così.-
L'uomo si rilassò, si chinò su di lei e la baciò sulla guancia: -Grazie- le sussurrò. Si avvicinò quindi al tavolino con la tazza e la prese per berla, ma venne fermato nuovamente dalla ragazza.
-Che succede?- chiese l’uomo.
Madeleine cercò di mantenere un’espressione normale, ma in cuor suo avvertiva un’ansia crescente.
“Diglielo! Diglielo! Diglielo!”
Rimase immobile ad osservare la camomilla drogata, ma infine rispose: -Credo che sia ancora calda, non vorrei che ti scottassi.-
Arno sorrise: -Al contrario, è alla temperatura giusta.-
E finita quella frase bevve la camomilla in un paio di sorsi. Madeleine imprecò nella mente, ma ormai era fatta.
Sempre facendo uno sforzo enorme per mantenere il volto rilassato, la ragazza augurò la buonanotte all’Assassino e fece per andarsene, ma l’uomo la fermò subito prendendola per mano.
Stavolta fu la bretone a rivolgergli uno sguardo interrogativo, e inaspettatamente si ritrovò tra le braccia dell’uomo.
-Lo so che può sembrare stupido– disse  –Ma in questi giorni mi sei mancata, mon ange. Potresti... rimanere un po’?-
Madeleine rimase stupita da quella domanda, ma sorrise alla tenerezza di Arno: -Certo- rispose.
 
Rimasero abbracciati in silenzio, felici di godersi insieme quel gesto così semplice e allo stesso tempo così potente. La bretone si accoccolò contro il petto dell’uomo, lasciandosi cullare dal ritmo del suo cuore.
-Te l’hanno mai detto che hai gli occhi color del mare?- chiese di punto in bianco l’Assassino.
Madeleine alzò appena la testa, sorpresa da quella domanda. Vide lo sguardo d’affetto che le rivolgeva Arno e arrossì appena: -Grazie. Tu sei il primo a dirmelo, in realtà. Sei il primo per tante cose, ma menn...-
-Cioè?-
La giovane sospirò lievemente: -Sei il primo uomo con cui mi sia mai sentita a mio agio. Sei il primo che è riuscito a farmi sentire apprezzata, desiderata... Sei il primo uomo che abbia mai amato.-
Arno alzò le sopracciglia, stupito da quella confessione: -Davvero? Il primo?-
Lei distolse lo sguardo, colta da un’improvvisa ondata di imbarazzo: -Già. In passato non ho mai conosciuto qualcuno così gentile e comprensivo come te, qualcuno che mi facesse sentire speciale... Scusa, è un discorso insulso.-
L’Assassino le alzò gentilmente il viso e la guardò con dolcezza: -Non è vero, Madeleine. Fidarsi così profondamente di qualcuno non è semplice. Sono onorato di essere parte della tua vita.-
Quella frase, quelle parole così profonde furono come una pugnalata per la bretone. Il destino doveva essere proprio crudele, parlare di fiducia quando lei gli aveva appena dato del sonnifero...
Madeleine si strinse nuovamente al petto dell’uomo, nel tentativo di nascondergli le nascenti lacrime che minacciavano i suoi occhi.
-Ti amo, Arno. Ti amo, ti amo...- mormorò. “Andrà tutto bene, io sarò libera e staremo insieme” pensava nel frattempo, per darsi coraggio.
Avvertì le labbra dell’uomo sui capelli, per poi scendere sulla fronte, l’arcata del naso, infine posarsi sulla sua bocca. Quel primo bacio, dolce e casto, venne seguito da altri più lunghi, più intensi e profondi. Le mani di entrambi scorrevano lungo la schiena, i fianchi, stringendo le stoffe come se temevano che l’altro potesse sparire da un momento all’altro.
La giovane sentì le labbra dell’Assassino spostarsi lungo la mandibola per poi risalire fino all’attaccatura dell’orecchio. Trattenne a stento un mugolio di piacere, mentre si stringeva ancora di più all’uomo. E fu allora che avvertì qualcosa di strano e duro contro il suo bassoventre, oltre alla sensazione di calore che percepiva dentro di sé.
Anche Arno si accorse di quella situazione. Lasciò il collo della ragazza, che stava riempendo di baci lungo la giugulare, e guardò in basso; Madeleine fece lo stesso ed entrambi notarono, con un certo imbarazzo, un rigonfiamento sospetto.
Nonostante la poca luce presente, la vergogna sul volto dell’Assassino era ben visibile. Distolse lo sguardo dalla bretone, mentre cercava goffamente di nascondere la sua erezione: -Scusami. Non so cosa mi sia preso, io... Merde.-
In quel momento Madeleine provava sensazioni contrastanti: da una parte l’imbarazzo per la situazione che si era venuta a creare; dall’altra emozioni positive quali curiosità, una specie di orgoglio. Eccitazione.
-Sono... Sono stata io? Solo con dei baci?- chiese incredula. Arno annuì, sempre con lo sguardo rivolto altrove per la vergogna.
La ragazza gli si avvicinò e, come aveva fatto lui prima, appoggiò una mano sul suo viso e lo spostò in modo che la guardasse: -Arno, ciò che stavamo facendo... mi è piaciuto. Mi sento una sensazione strana, qui al centro e... Non so cosa sia.-
Sorpreso, l’Assassino sembrò capire cosa intendeva la giovane. Sovrappose la sua mano a quella della ragazza, mentre la guardava dritta negli occhi.
-Vuoi che lo scopriamo... insieme? Ne sei sicura?-
Madeleine lo baciò sulle labbra e rispose: -Sì, Arno. Voglio farlo con te.-
 
Arno baciò nuovamente la ragazza, stringendola a sé. La giovane chiuse gli occhi, aggrappandosi alla schiena dell'uomo per reggersi, godendosi quelle sensazioni mai provate prima: le sue labbra carnose sul collo, le mani forti e allo stesso tempo gentili, il respiro affannato di entrambi. Si sentiva la mente leggera, come se si trovasse all'interno di una nuvola che la isolava dalla realtà, in un sogno fatto di baci e carezze.
Tutto a un tratto, senza sapere bene come, Madeleine si ritrovò sul letto dell'Assassino, con quest'ultimo che la sovrastava.
-Vuoi continuare?- chiese lui, ansante. Lei gli spostò alcune ciocche dal volto e lo baciò con passione, dandogli così una risposta affermativa. Sentì la sua mano scendere sul fianco, lungo una coscia fino a raggiungere il piede, per poi risalire sotto la gonna, toccando la nuda pelle della sua gamba.
Il calore che sentiva dentro di sé era soffocante, perciò Madeleine fece segno ad Arno di fermarsi. Lo fissò nei suoi occhi scuri, neri di desiderio. Si alzò appena e si sbottonò il vestito per poi toglierselo, rimanendo in biancheria. Anche l'uomo seguì il suo esempio, spogliandosi degli abiti che gli parevano ormai una gabbia di tessuto.
Madeleine baciò l'uomo con tenerezza, sfiorando con le dita le pallide cicatrici che costellavano il suo corpo, testimonianza delle sue battaglie. Lunghi brividi di piacere le fecero inarcare la schiena, quando avvertì le mani dell'Assassino dietro di lei mentre le slacciavano il corsetto.
Gli ultimi strati di stoffa raggiunsero presto il resto dei vestiti. Presa dalla passione, Madeleine sembrò accorgersi solo in quel momento che erano entrambi nudi: si portò le ginocchia al petto, nel tentativo di coprirsi, e distolse gli occhi dall'uomo.
-Non è la prima volta che mi vedi in questo stato- scherzò Arno, per stemperare la tensione.
-Ma lo è per me- mormorò imbarazzata.
La ragazza continuava a evitare il suo sguardo, sentendosi a disagio per la propria nudità. Avvertì uno spostamento sul letto e, poco dopo, si ritrovò Arno al suo fianco. L’Assassino le sfiorò con delicatezza il braccio fino a raggiungere la spalla, a cui diede un bacio leggero.
-Mon ange, non dobbiamo continuare se non te la senti- la rassicurò.
Lei alzò la testa, vedendo comprensione negli occhi del suo amato e sorrise appena: -Lo so, è che sono un po’ nervosa. So come funzionano queste cose ma... non l’ho mai fatto. E non voglio che tu pensi male di me perché non sono capace- ammise.
Dopo qualche secondo di silenzio, sentì le mani di lui circondarle il corpo e Madeleine si ritrovò in breve accoccolata al petto dell’uomo.
Mentre la faceva sdraiare al suo fianco, Arno le accarezzava con dolcezza la schiena: -Solo un idiota se la prenderebbe per questo motivo. Ma voglio che tu sappia una cosa, Madeleine.-
La giovane lo guardò dritto negli occhi, notando la serietà del suo sguardo. Egli riprese il discorso: -Ammetto che in passato ho avuto alcune storie, prima di Élise, ma ho sempre seguito una regola: ascolta sempre il tuo partner. E vale anche per te: se non vuoi fare qualcosa, se vuoi fermarti, tu dillo e io mi fermerò. Non mi arrabbierò con te, anzi. Il tuo benessere viene prima del mio piacere.-
Madeleine lo guardò incredula, chiedendogli solo con i suoi occhi se intendeva davvero ciò che aveva appena detto; e quando l’uomo glielo confermò ancora una volta, la bretone si commosse.
-Vorrei che molti più uomini fossero comprensivi come te, ma menn- mormorò sorridendo.
-Mi dirai mai cosa significa?- chiese Arno, sfiorandole il collo con le labbra.
-Forse dopo...- sospirò lei. Trattenne a stento un mugolio, mentre l’Assassino continuava a baciarla sul petto e scendeva sempre più giù.
 
Madeleine si lasciò scappare un sussulto quando avvertì le mani di Arno sul suo seno: lo sfiorava delicatamente con le dita, provocandole un lieve solletico, per poi esplorare con la bocca le sue forme. Sentì le sue labbra spostarsi su un seno fino a raggiungere un capezzolo, mentre con la mano palpava e massaggiava l’altro.
Arno si prese il suo tempo a sperimentare, alternando movimenti più decisi ad altri più leggeri, le labbra con la lingua e i denti, e ascoltava con attenzione le reazioni della sua amata fino a capire cosa la faceva più eccitare. Scorse la mano dal seno al costato, accarezzò con dolcezza le morbide curve della pancia fino a raggiungere il pube. Un altro sguardo, un’altra richiesta silenziosa per poter continuare, e le sue dita raggiunsero l’intimità della ragazza.
La bretone tratteneva a fatica gemiti di piacere, si sentiva la mente annebbiata a causa di tutti gli stimoli di Arno sul suo corpo. Mai avrebbe immaginato che bastasse così poco per sentirsi in estasi. In un secondo di lucidità decise di osare: spostò la mano sinistra, che fino a quel momento accarezzava i capelli dell’uomo, lungo il suo volto, la spalla e la schiena, fino a scendere lungo l’addome e trovare il suo membro eretto. Lo sfiorò per tutta la lunghezza, provocando all’Assassino un sussulto sorpreso, e poi lo strinse leggermente in mano. Provava una sensazione di imbarazzo e di orgoglio allo stesso tempo, mentre muoveva il palmo intorno alla sua erezione e provocava all’uomo mugolii soddisfatti.
-Arno...– ansimò lei, richiamando la sua attenzione –Non ce la faccio più. Possiamo... mmhn... possiamo fare... “quello”?-
L’uomo le sorrise e le diede un lieve bacio, poi la guardò dritta negli occhi: -Sei sicura?-
Madeleine gli accarezzò la chioma, ricambiando il sorriso gentile: -Ne sono sicura.-
 
Arno le spostò una ciocca per baciarla sulla tempia, poi si allungò verso il comodino vicino al letto e aprì un cassetto. Vagò alla cieca, tastando con la mano, e poco a poco la sua espressione si faceva sempre più allarmata.
-Che succede?- chiese lei.
Dopo un ultimo vano tentativo l'Assassino si lasciò cadere al fianco della ragazza, mormorando a denti stretti alcune imprecazioni: -Non ho protezioni. E non voglio che ci siano "incidenti".-
Madeleine rimase in silenzio, confusa dalle sue parole, ma in breve capì cosa intendeva l'uomo e si lasciò scappare un sorpreso "Oh!". Osservò il volto di Arno, dispiaciuto per la propria mancanza, e lo abbracciò.
-Non devi preoccuparti, questi sono i miei giorni sicuri. E dopo mi farò una lavanda. Andrà tutto bene, ma menn.-
Di nuovo, una domanda silenziosa partì dallo sguardo preoccupato dell'uomo, alla quale la bretone rispose con un sorriso. Finalmente rassicurato, Arno riprese a baciare e ad accarezzare la ragazza, posizionandosi sopra di lei in mezzo alle sue gambe.
La giovane si fece scappare un sussulto quando sentì il membro di Arno strusciare contro la propria femminilità e, infine, penetrarla lentamente: sentì un dolore breve ma intenso, tanto da farle irrigidire il corpo. Non sapeva come descrivere ciò che stava provando e temeva che l'ansia avrebbe solo peggiorato le cose.
-Stai bene?- chiese lui, agitato. Madeleine fece dei respiri profondi per calmarsi e fissò lo sguardo sugli occhi dell'uomo, vedendoci desiderio misto ad apprensione. Si concentrò sulle sue iridi scure, ma soprattutto sul fatto che Arno, nonostante la situazione, si stava trattenendo. Per quanto fosse forte il suo desiderio, l'uomo stava facendo di tutto per farla sentire a suo agio e, soprattutto, al sicuro.
Finalmente, con il respiro ritornato normale, Madeleine non sentiva più l'iniziale dolore. Ora, invece, si era abituata all’ingombro dentro di sé e sentiva un tenue calore provenire dal basso ed espandersi in tutto il corpo, rendendola più rilassata e allo stesso tempo eccitata.
-Va tutto bene– ansimò lei, cingendogli i fianchi con le gambe –Andiamo avanti...-
Arno cominciò a muoversi dentro di lei, sempre attento a eventuali segnali di dolore, ma ciò che proveniva dalle labbra della bretone erano solo gemiti di piacere intervallati dal richiamo del suo nome. Aumentò man mano il ritmo, chinandosi su di lei per baciarla. Affondò le mani nella sua folta chioma, tirandole appena alcune ciocche e provocando alla ragazza gemiti più forti.
-Je t'aime, mon ange. Mon cœur...- diceva, tra un respiro affannoso e l'altro.
Le mani che sfioravano la pelle, le labbra che sussurravano dolci parole, i corpi che si muovevano con sempre più frenesia, le sue mani che graffiavano la schiena di lui per il troppo piacere. Il rumore di pelle contro pelle, l'insieme delle loro voci, persino gli odori non facevano altro che far eccitare Madeleine.
-Da garout a ran, Arno, ma menn...- gemeva, sussultando nuovamente quando Arno le baciò con foga un seno. E quando ormai pensava di aver raggiunto il limite, Madeleine avvertì le mani dell'Assassino stringerle i fianchi e un fiotto caldo dentro di sé che le provocò un ultimo, soddisfatto gemito di piacere.
Con le ultime forze rimaste, Arno si sfilò dalle braccia della ragazza e si sdraiò al suo fianco, esausto per lo sforzo. Si sentiva stranamente stanco e faceva fatica a tenere gli occhi aperti, ma diede la colpa all’incontro amoroso con la bretone. E mentre le sue palpebre diventavano più pesanti, l’ultima cosa che sentì furono le labbra di Madeleine che si posavano teneramente sulla sua bocca, infine si arrese al richiamo di Morfeo.
 
*****
La bretone aspettò circa un paio d’ore per assicurarsi che Arno fosse effettivamente addormentato, e una volta certa del suo stato decise di passare all’azione, seppur a malincuore.
Si alzò lentamente dal letto, venendo investita dall’aria fredda della stanza. Si coprì con lo scialle che aveva abbandonato insieme agli altri vestiti e si diresse verso la scrivania dell’Assassino. Diede un’occhiata veloce al primo cassetto, l’unico aperto, ma non trovò nulla. Studiò con attenzione il resto della scrivania e notò un biglietto con alcuni appunti sopra: tre lettere seguite da un puntino, il giardino delle Tuileries e la data di tre giorni dopo. Prese un altro pezzo di carta, copiò gli appunti e mise il foglietto nella tasca della sua gonna, facendo attenzione a fare il tutto in silenzio.
Sempre con cautela si rimise a letto e si sistemò le coperte. Si girò di fianco e, nel buio della stanza, guardò Arno, il suo viso rilassato e il lento movimento del suo petto. D’improvviso una sensazione tremenda le partì dallo stomaco, come se dovesse vomitare: l’ansia e il senso di colpa le provocarono un mugolio addolorato, mentre gli occhi cominciarono a lacrimare.
“Andrà tutto bene” pensò, avvicinandosi all’uomo e accoccolandosi al suo petto, “Da domani sarò una donna libera e potrò stare con te. Per sempre”.
Rincuorata dalle sue stesse parole, Madeleine riuscì finalmente ad addormentarsi tra le braccia di Arno, cercando di pensare a scenari felici col suo amato.
Non avrebbe mai immaginato, invece, cosa aveva in programma la sua padrona.
 
------------------------------------------
Ciao a tutti e a tutte! Scusate se c’ho messo così tanto per questo capitolo, ma purtroppo il blocco dello scrittore ha colpito nel profondo in questo periodo. Credo che le scene d’amore siano tra le più complicate da scrivere, non è semplice trovare il giusto equilibrio tra descrizione ed emozione (ed evitare da una parte il documentario e dall’altro il pornazzo XD!). Per non parlare del fatto che tutti in famiglia abbiamo avuto il Covid, per fortuna senza sintomi gravi.
In breve, aprile è stato abbastanza tosto. Questo capitolo doveva essere più lungo, ma ho preferito dividerlo in due parti perché sennò ci avrei messo troppo tempo; come si dice dalle mie parti “piuttosto che niente è meglio piuttosto”. Spero comunque che vi piacerà, ci vediamo alla prossima =)
 
NdA: un tempo, tra i vari metodi contraccettivi, vi erano lavaggi vaginali con sostanze acide. Lo stesso Casanova consigliava di usare un mezzo limone svuotato come protezione, “inventando” in un certo senso il moderno diaframma.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Tradimento ***


Quel giorno non assomigliava per niente a una mattina primaverile. Il cielo, se nei giorni precedenti presentava qualche nuvola sparsa, ora era di un grigio uniforme che preannunciava pioggia. Eppure la quantità di gente nelle strade era assai cospicua, desiderosa di svago e relax in quel giorno di riposo.
Ma in quelle strade si aggirava qualcuno dall'animo teso.
Madeleine raggiunse la piazza del mercato, sempre piena di cittadini intenti a fare compere, e si diresse verso l'edificio che fungeva da base templare. Bussò alla porta e poco dopo si ritrovò davanti la vecchia serva di madame Beauchesne.
-Buongiorno, Geneviève- salutò la giovane, ma la donna rispose solo con un cenno del capo e le fece segno di seguirla lungo una rampa di scale.
La bretone osservò di sfuggita l'espressione arcigna della serva, la sua schiena dritta e il passo deciso. Se fosse stata un uomo sarebbe stato un ottimo soldato, pensò nella sua mente. 
Non che provasse antipatia nei suoi confronti: fin dal primo giorno in cui era entrata a servizio dalla Beauchesne, Geneviève l’aveva trattata con fredda cortesia, parlando giusto il necessario e senza mai instaurare un rapporto che andasse al di là del lavoro. Da parte sua lei aveva sempre offerto aiuto, aveva tentato di scambiare qualche chiacchiera, eppure la vecchia serva era sempre rimasta sulle sue.
Salirono dunque i gradini che portavano al piano superiore, oltrepassarono un paio di stanze e infine si fermarono davanti a una porta. Geneviève l’aprì per far entrare la ragazza, richiudendola subito dopo.
Madeleine si ritrovò nella stessa stanza dove l’aveva condotta madame Beauchesne quasi dieci giorni prima. Riconobbe il divanetto e le poltroncine abbinate, il grande tavolo in mogano appena scentrato e i muri decorati con lo stucco. Tuttavia c’erano un paio di differenze rispetto alla prima volta: stavolta sul tavolo c’erano numerosi fogli, mentre la sua padrona era in compagnia di Gauthier Marchand. Rimase sorpresa da quella presenza, anche se sapeva benissimo che l’uomo era un “caro amico” della signora. Era sicuramente un uomo affascinante, ma dietro la voce melliflua e lo sguardo suadente si nascondeva una mente razionale e calcolatrice.
Un lieve colpo di tosse riportò la giovane alla realtà. Thérèse Beauchesne la guardava con uno sguardo accigliato, mentre si avvicinava a lei: -Allora, Madeleine. Hai trovato qualcosa di utile?-
La bretone annuì, nonostante il nervosismo. Estrasse il foglio con gli appunti rubati e lo consegnò alla sua padrona. Quest’ultima lo osservò con attenzione, ma presto il suo volto assunse un’espressione confusa; girò il foglio un paio di volte, come se dovesse apparire magicamente qualche altra parola, e si adombrò ulteriormente.
-Tutto qui?- chiese con una punta di fastidio. Gettò il pezzo di carta per terra, con disprezzo, e si rivolse alla giovane: -Cosa credi che me ne faccia di uno stupido pezzo di carta! Possibile che tu non abbia trovato altro?- esclamò con rabbia.
Madeleine tentò di giustificarsi: -Ho cercato ovunque, madame. È l’unica cosa che ho trovato, lo giuro! Il signor Dorian non tiene mai al Café informazioni sulla Confraternita, e...-
-Balle!- la interruppe brutalmente la Beauchesne. Le andò incontro con un dito puntato all’altezza degli occhi, sempre più arrabbiata: -Sei stata in quel posto per quasi cinque mesi, e l’unica cosa che riesci a trovare è un inutile foglietto! Mi prendi in giro?-
-No, madame! L-Lo giuro, vi prego!- balbettò la ragazza. Mai aveva visto la sua padrona così furiosa. Vide con orrore che la donna aveva allontanato la mano per tirarle uno schiaffo, ma Gauthier Marchand gliela afferrò prima che potesse colpirla.
-Basta così, Thérèse- disse in tono calmo, sorprendendo entrambe le donne.
La Templare lo guardò incredula, quasi risentita per averla fermata. L’uomo rassicurò Madeleine, chiedendole con gentilezza se potesse aspettare qualche minuto, quindi accompagnò Thérèse dall’altra parte della stanza per poter conversare in privato.
 
Nonostante fosse ancora scossa per la reazione della Templare, Madeleine studiò con attenzione la coppia nel tentativo di capire cosa stessero confabulando; fu inutile, visto che entrambi sussurravano appena, quindi dovette accontentarsi delle loro espressioni: vide il sorriso vittorioso di Marchand e il volto della Beauchesne che, man mano che l'uomo parlava, era passato dalla furia di poco prima all'incredulità, alla sorpresa e infine alla soddisfazione.
I due parlarono ancora per qualche minuto, poi Thérèse si avvicinò un'altra volta alla ragazza e le sorrise: -Brava, Madeleine. Ottimo lavoro- disse compiaciuta.
La bretone si sentiva confusa da quel cambio repentino di atteggiamento. Aprì la bocca per chiedere spiegazioni, ma la sua padrona la fermò subito: -Prepara i bagagli, domani partirai per Lione- ordinò.
-Cosa? Perché?- chiese allibita.
La Templare si avvicinò ulteriormente alla ragazza, tanto da trovarsi di fronte.
-Mia piccola Madeleine– disse con tono mellifluo, appoggiandole una mano sulla spalla –Non devi preoccuparti, è soltanto per qualche giorno. O dubiti di me?- chiese dolcemente, conficcandole però le unghie nella spalla.
La bretone strinse i denti per sopportare il dolore, stupita da quel gesto. Guardò la donna in faccia, notando come il suo sorriso gentile contrastava con lo sguardo duro.
-No, madame. Io... vado subito- rispose. Thérèse sorrise ancora di più, trionfante, e accompagnò la ragazza fuori dalla stanza, richiudendo la porta dietro di lei.
 
Madeleine aveva un terribile presentimento. Ripensò alle parole della sua padrona a Versailles, quando le aveva promesso che una volta compiuta la missione sarebbe potuta restare al Café. Ora invece le aveva appena ordinato di lasciare la città per chissà quanto tempo, dopo aver cospirato chissà cosa con Marchand. Un senso di inquietudine la pervase, ed ebbe la sensazione che qualcosa di terribile stesse per accadere.
Si avvicinò alla porta e appoggiò l'orecchio nel tentativo di sentire qualcosa, ma solo in quel momento si accorse che Geneviève la stava osservando.
-Geneviève, posso spiegare...- sussurrò spaventata, nel timore che la serva potesse riferire alla Templare. Prima che potesse aggiungere altro, la donna l'afferrò per il polso e le fece segno di tacere. La trascinò per un paio di metri lungo il corridoio fino a fermarsi davanti a una colonnina con alcuni decori floreali, toccò un punto preciso della guarnizione e fece scattare un meccanismo: davanti agli occhi stupiti di Madeleine si era appena rivelata una porta segreta.
-Entra e sta zitta, ti verrò a prendere dopo- borbottò la vecchia dandole una lieve spinta alla schiena.
La bretone, pur volendo chiederle spiegazioni, entrò nel passaggio poco illuminato e la porticina si richiuse subito dietro di lei. Tese l'orecchio, sentendo delle voci poco chiare provenire da un punto preciso, e proseguì nel corridoio fino a trovare una nicchia nel muro. Notò una specie di sportellino di legno di fronte a sé, lo spostò di lato e scoprì due piccoli fori nel muro. Avvicinò gli occhi e vide che quello spioncino segreto si trovava nella stessa stanza dove era stata poco prima, proprio dal lato del tavolo pieno di fogli. Madeleine tese le orecchie, restando il più silente possibile, e origliò la conversazione in corso tra i due.
-Ne sei proprio sicuro?- stava dicendo Thérèse.
Gauthier annuì con decisione: -Me lo aveva già riferito un mio agente, ma questa è la conferma che aspettavo! Cos’altro potrebbero significare queste lettere, altrimenti? S. C. V., ovvero Scilla Cornelia Vico, Maestra Assassina italiana. E sarà a Parigi tra due giorni.-
La donna si illuminò in volto, mentre un sorriso crudele apparve sulle sue labbra: -E prenderemmo due piccioni con una fava... C’est magnifique!-
I due si avvicinarono al tavolo, cominciando a puntare dita e a tracciare segni con del carboncino. Dopo qualche minuto l’uomo riprese a parlare: -Ora dobbiamo soltanto radunare abbastanza uomini per preparare la trappola...-
-... e finalmente potremo uccidere Arno Dorian- concluse Thérèse.
 
La bretone riuscì a stento a trattenere un sussulto, tappandosi all’ultimo secondo la bocca.  Si sentì svuotata di ogni energia vitale, mentre una tremenda sensazione di nausea le aveva bloccato lo stomaco.
Come aveva potuto? Come aveva potuto fidarsi così ciecamente della sua padrona? Come aveva potuto essere così stupida da non chiedersi il vero motivo della sua missione?
Soffocò un singulto, maledicendosi per ciò che aveva fatto: non solo aveva tradito Arno, l'uomo di cui si era innamorata, ma aveva permesso ai suoi nemici di architettare una trappola mortale per lui e un'altra Assassina. Avrebbe voluto sparire dalla faccia della Terra, ma si costrinse a spiare ancora i due Templari per scoprire altri dettagli del loro piano.
Essi parlottarono ancora per qualche minuto e infine uscirono dalla stanza. Madeleine si appoggiò al muro, ancora sconvolta da ciò che aveva scoperto. Cominciò ad avvertire un senso di oppressione e si sentiva il respiro mancare, quando udì dei passi nella stanza che si stavano avvicinando alla parete.
-Madeleine– la chiamò Geneviève –C’è una leva alla tua sinistra, tirala e potrai uscire.-
La giovane cercò la leva e, una volta trovata, la tirò verso il basso: la parete davanti a lei si aprì lentamente, cigolando appena, e il corridoio segreto venne invaso dalla luce del giorno.
Si schermò gli occhi, sbattendo rapidamente le palpebre per abituarsi alla ritrovata luminosità, ed entrò di nuovo nella stanza. E ancora una volta, prima che potesse chiedere spiegazioni, l’anziana serva l’afferrò per il polso e la trascinò al tavolo.
-La padrona e Marchand sono usciti. Tu segnati tutto quello che ti serve, io farò la guardia- disse la donna, e uscì rapidamente dalla camera.
Stava succedendo tutto troppo in fretta, Madeleine si sentiva smarrita: aveva la sensazione di trovarsi in un mare in tempesta dove ogni onda la sballottava cercando di annegarla, di toglierle il respiro. Lottava contro sé stessa per trattenere le lacrime, le grida di disperazione, la voglia di spaccare tutto. Doveva calmarsi o sarebbe impazzita dal dolore.
Si appoggiò al tavolo e fece alcuni respiri profondi. Nonostante il suo tumulto emotivo si costrinse a pensare razionalmente e con logica: doveva concentrarsi e trovare tutto quello che poteva servire agli Assassini. Prese un foglio pulito e un carboncino e si mise al lavoro: stilò una lista delle persone coinvolte, tracciò una pianta semplificata delle Tuileries, segnò con un colore diverso i punti dove si sarebbero appostati i Templari. Copiò tutti gli appunti della sua padrona, guardando con apprensione le lancette di un orologio lì vicino nel timore che la Beauchesne e Marchand ritornassero da un momento all'altro.
Finalmente Madeleine aveva tutto ciò che le serviva. Bussò lievemente alla porta e Geneviève le fece cenno di seguirla. Percorsero nuovamente le rampe di scale, ma stavolta la vecchia serva la condusse sul retro dell'edificio, dove una porticina dava sul lato opposto rispetto alla piazza.
-Fai un altro percorso per tornare al Café, così non rischi di beccare la padrona- bisbigliò la donna, guardandosi intorno circospetta e facendole segno di andare via.
-Aspetta!- esclamò la ragazza. Geneviève la osservò con la sua solita espressione corrucciata.
-Perché mi hai aiutato?- chiese la ragazza.
La donna rimase in silenzio per qualche secondo, poi si lasciò scappare un sorriso: -Consideralo il mio regalo d’addio- e senza aggiungere altro chiuse la porta, lasciando Madeleine in una strada secondaria. Confusa da quegli ultimi avvenimenti così repentini, la giovane non poté far altro che incamminarsi sulla via del ritorno.
 
Un vento freddo, insolito per quella stagione, accompagnava la bretone per le strade di Parigi, costringendola a stringersi nella cappa per proteggersi da quella temperatura così inusuale. Persa nei propri pensieri non si era accorta di essere arrivata davanti a Notre Dame. Si fermò a guardare ciò che era sopravvissuto della cattedrale, saccheggiata e profanata durante gli anni della Rivoluzione: osservò la facciata priva di statue, distrutte dall'odio antireligioso, i resti dei gargoyle nei punti più alti, la guglia che si ergeva maestosa nel cielo, e si chiese che aspetto poteva avere avuto solo qualche anno prima.
Presa da uno strano impulso, Madeleine decise di entrare in quello che era stato ribattezzato come "tempio della Ragione": intorno a lei c'erano le ultime macerie della violenza repubblicana, mentre le colonne delle navate erano decorate con nastri tricolori. La maggior parte delle vetrate era stata restaurata, sostituita da immagini neutre al posto dei precedenti soggetti religiosi. La ragazza si fermò dove un tempo doveva esserci una statua, a giudicare dai resti del piedistallo; al suo posto ora stava una specie di monumento laico a ricordo dei caduti della Repubblica.
Dopo essersi assicurata di essere sola, la bretone giunse le mani al petto e cominciò a pregare in silenzio: pregò per l'anima dei suoi genitori, per la buona salute dei suoi amici. Per la salvezza di Arno. Una singola lacrima le scivolò lungo la guancia, a pensare al suo amato. Se l’asciugò velocemente e, dopo un'ultima supplica, si diresse verso l'uscita dell’ex chiesa.
Una volta in strada ripensò ai suoi genitori e al loro rapporto con la religione: sua madre non era mai stata una praticante, e questo spiegava una delle ragioni per cui il prete del suo villaggio bisticciava spesso con lei. Ma in gran segreto Brona continuava a pregare le antiche divinità d’Irlanda, le sue creature e i suoi spiriti. Le aveva spiegato che era un modo per ricordare chi era, da dove veniva, e per creare una specie di connessione con la sua terra natale.
Suo padre Yannick, invece, era molto credente. L’accompagnava sempre alla messa domenicale e le raccomandava di pregare i santi della propria terra. Era molto devoto a San Corentin, e la giovane ricordava il piccolo ritratto del vescovo di Quimper sopra il caminetto della sua vecchia casa, la veste semplice da eremita e il piccolo pesce miracoloso che riusciva ogni volta a sfamarlo.
 
Madeleine aveva raggiunto il ponte che collegava l’Île de la Cité con l’Île Saint-Louis. Più si avvicinava al Café Théâtre e più si sentiva il cuore affranto: con quale coraggio poteva tornare in quel luogo, con quale coraggio avrebbe guardato i volti delle sue colleghe? Con quale coraggio avrebbe potuto rivolgersi ad Arno, dopo quello che aveva fatto?
Ebbe un lieve capogiro, probabilmente a causa di tutta la tensione che aveva in corpo. Si fermò sul parapetto del ponte e osservò le grigie acque della Senna mentre scorrevano placidamente, ignare di tutto e di tutti. Si sporse appena, come per osservare il proprio riflesso nel fiume, ma in realtà non guardava niente in particolare. Aveva così tanti pensieri per la mente che non si accorse subito di una presenza vicino a lei. Alzò la testa di scatto, colta di sorpresa, e al suo fianco ritrovò Lozach.
-Ciao Madeleine– salutò l'Assassino –È da un po' che non ci vediamo, come stai?-
-Sto bene, solo un po' stanca- rispose la ragazza. Le sue parole non sembrarono convincere il bretone, che infatti la stava osservando con attenzione.
-Scusa se ti sembrerò un vecchio impiccione, plac'h, ma mi sembri un po' turbata. È successo qualcosa?- chiese preoccupato.
Madeleine si sentì un nodo allo stomaco, colpita dalla perspicacia dell'Assassino, e istintivamente si portò una mano al petto per stringere il suo ciondolo. Tentava in tutti i modi di mantenere un’espressione rilassata, ma lo sguardo penetrante dell’uomo la stava facendo agitare.
Il senso di colpa stava ritornando alla carica, facendo scappare alla giovane un respiro tremulo.
-Cos’hai, Madeleine?- chiese lui, sempre più preoccupato.
La bretone scostò lo sguardo per impedire all’Assassino di vedere i suoi occhi pieni di lacrime, e mormorò a malapena una risposta: -Ho fatto una cosa molto brutta, Laurent...-
Prima che l’Assassino potesse approfondire la questione, Madeleine lo salutò velocemente e si incamminò a testa china verso il Café Théâtre, tamponandosi gli occhi con la manica della cappa. Entrò nell’edificio, fortunatamente privo di clienti per via del giorno di chiusura, e si diresse verso camera sua cercando di evitare più gente possibile; cosa che le riuscì facilmente, visto che quasi tutti erano fuori per godersi il meritato riposo.
Una volta raggiunta la propria camera si tolse la cappa e le scarpe e si lasciò cadere sul letto. Riparata fra quelle quattro mura Madeleine poté sfogare tutta la tensione accumulata: prese il cuscino, vi affondò la faccia e si lasciò andare a un pianto disperato. Tra lacrime e singhiozzi la bretone soffocava nella stoffa tutto il suo dolore, la sua rabbia, la sua disperazione. Cosa avrebbe dovuto fare? Dire la verità ad Arno e rischiare di subire la sua ira? Fare finta di nulla? No, assolutamente no. Cosa fare con il piano della Beauchesne? Come poteva avvertire gli Assassini?
Non sapeva quanto tempo fosse trascorso, ma a un certo punto Madeleine si calmò. Aveva esaurito le lacrime, mentre lamenti e singhiozzi si erano tramutati in un silenzio apatico. Rimase sdraiata sul letto, abbracciata al cuscino. Pensò a cosa poteva fare, ai vari scenari possibili, finché non arrivò a una decisione. Avrebbe sofferto molto, così come Arno, ma era la cosa giusta da fare.
Trattenendo un singulto, la bretone si alzò dal letto e cominciò a preparare il suo bagaglio: raccolse i suoi pochi abiti ed effetti personali e li sistemò in una borsa capiente, insieme ai soldi che aveva guadagnato. Terminato di preparare la valigia, Madeleine la sistemò sul letto e quindi si diresse verso un tavolino che fungeva anche da scrittoio. Prese gli appunti sul piano della Beauchesne e li appoggiò al mobile, poi aprì un cassetto ed estrasse un foglio di carta e dell’inchiostro. Si sedette, prese la penna e cominciò a scrivere: ricominciò più volte, cancellò certe parole e ne aggiunse altre, si asciugò le lacrime che minacciavano di macchiare la carta, fino ad arrivare alla versione definitiva.
Ora doveva soltanto consegnarla ad Arno.
 
Arrivò la sera e, con essa, tornarono alcuni inservienti del Café. Madeleine era in cucina con Babette per aiutarla a preparare la cena, quando venne distratta dalle voci di Ophélie e Célestine.
-Devi assolutamente convincere l'intendente a lasciarti il pomeriggio libero! Come farai sennò col tuo appuntamento?- diceva la prima.
-Smettila, è solo un amico. Niente di più- si difendeva la seconda arrossendo appena.
Ophélie continuò a prendere simpaticamente in giro l'amica, ma si interruppe quando vide la bretone.
-Ciao Madeleine. Come hai passato la giornata?- chiese.
-Ciao ragazze. Io tutto bene, forse ho passeggiato un po' troppo e sono un po' stanca- rispose con un sorriso tirato. Persino alle sue amiche dovette mentire, un'altra bugia che si aggiungeva alla lunga lista dei suoi peccati.
Madeleine ascoltò il resoconto di Ophélie, che le raccontò della loro giornata, dei loro giri e degli incontri che avevano fatto; Célestine, tuttavia, osservava la bretone e notò il colorito pallido, le spalle incurvate e lo sguardo triste.
-Ti senti bene, Madeleine?- chiese preoccupata.
La ragazza si spostò una ciocca di capelli e annuì: -Tranquilla, è solo un po' di stanchezza. Forse è anche il tempo che mi rende un po' malinconica.-
Quella risposta sembrò convincere l'inserviente, che non indagò oltre. Le tre giovani, insieme a Babette, cenarono insieme e chiacchierarono del più e del meno, scambiandosi gli ultimi consigli in fatto di moda e qualche pettegolezzo.
Il bricco della camomilla, com'era ormai tradizione di Babette, era stato preparato e ognuna delle ragazze si stava godendo una tazza di bevanda fumante.
-Sapete se il signor Dorian è tornato? Vorrei portargli una tazza- chiese ad un certo punto Madeleine.
-Ohi, puoi anche chiamarlo col suo nome quando siamo tra di noi!- scherzò Ophélie.
-Spero per lui di sì. È da quando è tornato da Versailles che lo vedo rientrare sempre tardi, stanco morto. Dovrebbe riposarsi un po'- intervenne Célestine.
Madeleine si lasciò scappare un sospiro mentre versava altra camomilla in una tazza: -Vado a vedere se è in camera sua, altrimenti chiederò a madame Gouze. Buonanotte a tutte.-
-Notte, Madeleine. A domani!- ricambiò Ophélie.
Se solo avesse saputo cosa sarebbe successo l'indomani...
 
Appena uscita dalla cucina la bretone controllò di essere da sola. S’incamminò lungo il corridoio e salì le scale che portavano al primo piano senza incontrare anima viva. Controllò ancora una volta e, sicura di essere sola, tirò fuori la boccetta col sonnifero rimanente e lo versò nella tazza di camomilla. Odiava doverlo fare, ma era necessario.
Arrivò davanti alla porta della camera di Arno e vide, da sotto la porta, una lieve luce: l’Assassino era lì. Fece un respiro profondo e bussò e, dopo una risposta affermativa, entrò nella stanza.
Arno riconobbe subito la ragazza e si alzò dalla sedia per andarle incontro.
-Ciao Madeleine- disse, salutandola con un bacio sulla guancia. La giovane sorrise a quel gesto d’affetto e, dopo aver appoggiato la tazza di camomilla su un tavolino, rispose con un abbraccio.
-Sempre al lavoro, eh?- scherzò lei, notando la scrivania piena di fogli.
L'uomo ridacchiò: -Tra due giorni avrò terminato questa missione. E ti prometto che poi passeremo un po' di tempo insieme- disse sorridendo.
La giovane si sforzò di sorridere, ma dentro di sé si sentiva urlare l'anima, come se qualcuno la stesse strappando pezzo dopo pezzo. Si sentiva malissimo, ma doveva seguire il suo piano.
Notò solo in quel momento che Arno si era allontanato per bere la camomilla drogata, e ora la stava guardando preoccupato.
-Va tutto bene?- chiese.
Madeleine sospirò all'ennesima domanda sul suo stato. Invece di rispondere si avvicinò all'uomo e lo abbracciò, accoccolandosi contro il suo petto e cogliendolo quasi di sorpresa.
-Posso farti una domanda?- disse. Arno la strinse a sé e annuì.
Seppur titubante, la ragazza proseguì: -Sei mai stato tradito da qualcuno di cui ti fidavi?-
Arno rimase colpito da quella richiesta. Chinò la testa verso la giovane, rivolgendole uno sguardo interrogativo, e vide un'ombra di tristezza nei suoi occhi color del mare.
Cominciò ad accarezzarle i capelli, quindi rispose: -Pierre Bellec, un Assassino amico di mio padre. Lo incontrai per la prima volta nella Bastiglia ed è grazie a lui che scoprii la mia eredità. È stato il mio maestro nella Confraternita, e nonostante i suoi modi burberi mi ci ero affezionato.-
-Un giorno, però, il Mentore Mirabeau venne ucciso con dell'aconito, proprio com'era successo al signor De la Serre. Un metodo da templare, quindi Élise, che voleva parlare con lui, venne accusata del suo omicidio. Ma la verità è che fu Bellec stesso ad ucciderlo, poiché era contrario alla sua proposta di pace con i Templari. Ci fu una lotta, lui tentò di uccidere Élise...-
Arno dovette fermarsi a causa del peso dei ricordi, ma riuscì a concludere il suo racconto: -Alla fine dovetti ucciderlo.-
Madeleine rabbrividì a quelle parole. Nella sua mente provò a immaginare che aspetto avesse avuto il vecchio maestro, i discorsi tra i due, i bisticci, e il loro ultimo scontro; solo che, ad un certo punto, davanti alla lama di Arno non c'era più l'Assassino, ma lei. Se Arno avesse saputo la verità, sarebbe andata incontro allo stesso destino?
Affondò la faccia nel petto dell'uomo, nel tentativo di nascondergli le lacrime nascenti.
-Promettimi una cosa– mormorò lei con un lieve tremito nella voce –Promettimi che sarai sempre prudente. Promettimi che tornerai sempre sano e salvo.-
Avvertì la mano di Arno sulla sua guancia e un movimento verso l'alto. Si ritrovò a guardare in volto l'Assassino, mentre con il pollice le asciugava una lacrima. Un bacio leggero, un'altra carezza, e Arno la strinse di nuovo tra le sue braccia, come se temesse che potesse sparire da un momento all'altro.
-Te lo prometto, mon ange. Tornerò sempre da te- disse con tenerezza, per poi baciarla sulle labbra.
 
*****
Madeleine si svegliò di soprassalto, colta di sorpresa dalle prime luci dell’alba. Si guardò intorno, spaesata, e vide al suo fianco Arno ancora profondamente addormentato, segno che il sonnifero stava ancora facendo effetto. Ma lei non doveva essere lì.
Eppure il suo piano era semplice: dare le ultime gocce di sonnifero ad Arno, aspettare che fosse profondamente addormentato, lasciargli la busta e andare via. Ma i suoi sentimenti verso l’uomo avevano avuto la meglio e la ragazza aveva trascorso con lui un’altra notte.
Ma adesso era arrivato il momento di muoversi.
La bretone si rivestì il più in fretta possibile, rimanendo senza scarpe per evitare di fare troppo rumore. Estrasse una busta dalla tasca della gonna e si precipitò a lasciarla sulla scrivania. Diede un’occhiata nervosa alle ampie finestre della stanza, notando il cielo nuvoloso dal quale filtravano i primi raggi del sole. Doveva sbrigarsi.
Si voltò per uscire dalla stanza, ma il suo sguardo cadde sulla sagoma che giaceva nel letto. Si avvicinò in punta di piedi e osservò il volto dell’Assassino mentre dormiva serenamente. Madeleine trattenne un singulto, si chinò sul suo viso e gli diede un bacio sulle labbra, leggero come una farfalla.
-Addio, ma menn- sussurrò con tristezza. Prese di nuovo le sue scarpe e, dopo un’ultima occhiata, uscì silenziosamente dalla camera di Arno.
 
La bretone si muoveva circospetta, timorosa di incontrare già qualcuno in piedi a quell’ora del giorno. Raggiunse in silenzio la propria camera, dove si infilò un paio di stivali comodi. Sistemò le scarpe nella sacca che fungeva da bagaglio, indossò la cappa e uscì dalla stanza diretta verso la cucina.
Tese le orecchie, sperando che Babette non fosse già impegnata ai fornelli, ma l’ampio locale era ancora vuoto. Rovistò velocemente nella dispensa, prese alcuni viveri e li mise nella sacca. Si sentì in colpa per ciò che stava facendo; frugò in una tasca e vi trovò alcune livres che lasciò sul bancone. Almeno non sarebbe stata considerata una ladra...
Senza perdere altro tempo Madeleine quasi corse in direzione della porta sul retro. Prese la chiave appesa lì di fianco, aprì la porta e uscì sulla strada che stava dietro il Café. Richiuse la porta e gettò la chiave nello spazio sottostante, facendola strisciare sul pavimento della cucina.
La ragazza percorse la strada che costeggiava il Café Théâtre. Sospirò mentre osservava con attenzione ogni dettaglio dell’edificio, come a volerselo imprimere nella memoria, quindi si allontanò in fretta.
Le prime gocce di pioggia l’accompagnarono verso uno dei numerosi ponti che collegavano le due isole fluviali alla terraferma. Madeleine si fermò vicino al parapetto e osservò le grigie acque della Senna, smosse dalla forte corrente. Estrasse la boccettina che le aveva dato la Templare; la osservò con astio, mentre nella sua testa ritornavano le scene della sua padrona e di tutte le bugie che le aveva propinato. In un impeto di rabbia gettò il piccolo contenitore nel fiume, maledicendo Thérèse Beauchesne e il suo malvagio piano.
Ormai il sole era sorto, nonostante le nuvole cariche di pioggia. Nella solitudine di quel mattino primaverile, con gli occhi gonfi di lacrime e il cuore pieno di dolore, Madeleine lasciò Parigi.

-----------------------------------------------------------
Se volete sapere di più su San Corentin, questo è il link della pagina di Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Corentino_di_Quimper

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Cuori spezzati ***


Silenzio. Smarrimento. Freddo.
Arno non capiva cosa stava succedendo. Si trovava in una specie di immenso mare di nebbia, senza un pavimento o un soffitto, nessun punto di riferimento che potesse aiutarlo.
Per un momento gli sembrava di essere di nuovo nel mondo onirico di tanti anni prima, quando Mirabeau gli aveva fatto bere quello strano intruglio per la sua iniziazione. Anche la sensazione di inquietudine era la stessa.
Nonostante la stranezza di quella situazione, Arno cominciò a camminare senza una meta precisa nella speranza che succedesse qualcosa.
Tutto a un tratto un’ombra apparve alla sua destra: era di spalle e indossava un ampio abito femminile, e la poca luce presente si rifletteva sui lunghi capelli scuri.
-Leb wohl, mein Schatz- disse la figura, prima di sparire nella nebbia.
Arno tese una mano, confuso, e una sola parola uscì dalle sue labbra: -Madre?-
Un’altra ombra si rivelò dalla parte opposta, e stavolta i lineamenti di Charles Dorian apparvero chiari e definiti.
-Padre!- chiamò l’Assassino, ma non fece che pochi passi che anche l’immagine dell’uomo scomparve, dissolta nell’aria come una statua di sabbia colpita dal vento.
Il senso di inquietudine si tramutò in ansia, quando dalla nebbia emerse l’austera figura di François de la Serre. E come le precedenti apparizioni, non appena Arno tentò di avvicinarsi sparì di colpo, spazzata via da una folata di vento impalpabile.
Più trascorreva il tempo in quel non-spazio, più Arno si sentiva agitato e confuso. Lunghi brividi gli scorrevano lungo la schiena, quando una quarta ombra si palesò davanti a lui.
-Élise…- sussurrò non appena riconobbe la donna. Provò a raggiungere anche lei, a tendere una mano per poter toccare il suo vecchio amore. Riuscì solo a sfiorarle la spalla, ma anche la Templare si dissolse come polvere grigia.
Arno respirava a fatica a causa dell'angoscia, la fronte madida di sudore gli provocava un'ulteriore sensazione di freddo e inquietudine.
-Che cosa significa?- gridò al vento, nella vana speranza di ottenere risposta. Rapidi sibili di aria fredda lo costrinsero a ripararsi il volto, facendolo voltare dalla parte opposta rispetta a dove era apparsa Élise.
E davanti a sé, avvolta in un mantello scuro, stava la giovane bretone.
Arno corse nella sua direzione col terrore che potesse sparire anche lei. La chiamò più volte, ma per ogni passo che faceva la ragazza sembrava allontanarsi sempre di più.
Corse ancora, forsennato, finché non riuscì a raggiungerla e a stringerla in un abbraccio.
-Ti prego, Madeleine. Non lasciarmi anche tu- supplicò l'uomo, mentre le prime lacrime gli bagnavano le guance. Alzò lo sguardo, disperato, e vide che anche la ragazza stava piangendo.
-Addio, ma menn…- mormorò a malapena la bretone. Si sciolse dall'abbraccio, come se fosse stata un fantasma, e dopo un ultimo sorriso si voltò dall'altra parte, allontanandosi nel mare di nebbia.
Arno si slanciò nella sua direzione, mentre un grido strozzato gli moriva in gola. Tentò di seguirla, ma all'improvviso qualcosa gli immobilizzò le gambe: come delle liane, dei tentacoli dotati di vita propria che gli avvolgevano gli arti, aggrovigliandolo e intrappolandolo fino ai fianchi.
L'Assassino cercò di liberarsi, mentre la bretone diventava un'ombra sempre più tenue. Più si dimenava e più quelle corde metafisiche lo stringevano, allontanandolo ulteriormente dalla sua amata.
Una voce lontana cominciò a chiamarlo: -Arno, Arno…-
 
-Arno! Svegliati!-
L'Assassino aprì gli occhi di scatto, boccheggiando per la mancanza d'aria. L'aria della stanza lo investì d'improvviso, facendolo rabbrividire a causa del sudore causatogli dall'incubo. Notò le lenzuola aggrovigliate alle gambe, tutte stropicciate per i movimenti repentini, e finalmente vide il volto preoccupato di Charlotte Gouze.
Gli ci volle qualche secondo ancora per riabituarsi alla familiarità del Café, infine si rivolse alla donna: -Cos'è successo?- chiese ansimando.
Lei sembrò esitare per un attimo, come se non sapesse da dove cominciare: -Non so cosa dire, Arno. È già mattina inoltrata, abbiamo cercato ovunque. Poi tu non riuscivi a svegliarti, ti agitavi nel sonno e…-
Arno la interruppe: -Cos'è successo?- ripeté in tono più spazientito.
Madame Gouze rimase per qualche secondo ancora in silenzio, quindi rispose: -Madeleine è scomparsa.-
Se gli avessero tirato un pugno in faccia, probabilmente Arno si sarebbe sentito meno frastornato. Guardò immediatamente al suo fianco, dove si sarebbe dovuta trovare la ragazza addormentata, e invece il posto era vuoto.
-Io… Io non capisco…- mormorò incredulo l'uomo. Come se l'incubo non lo avesse inquietato abbastanza, ora la realtà sembrava il risultato di quella premonizione onirica.
Charlotte gli disse di vestirsi, in modo da poter discutere cosa fare in un altro luogo, e lasciò la stanza. Arno si alzò dal letto e si vestì velocemente, senza prestare troppa cura ad eventuali pieghe. Stava per infilarsi la giacca, mentre si dirigeva verso la porta, quando si fermò davanti alla scrivania: la sera prima ricordava di aver lasciato alcuni appunti, ora invece la superficie era sgombra da ogni foglio e, al centro, c'era una busta chiusa.
L'Assassino prese la busta, notando subito un certo peso, e la aprì. La prima cosa che uscì dall'involucro fu un anello. Arno lo prese in mano e riconobbe immediatamente il gioiello che aveva regalato a Madeleine la sera del ricevimento a Versailles.
Cominciò a sentire un'orrenda sensazione all'altezza dello stomaco; osservò il foglio che spuntava dalla busta come se fosse un serpente velenoso, fermo e all'erta, in attesa del momento giusto per morderlo coi suoi denti assassini.
Con mano tremante, Arno prese il foglio e cominciò a leggere:
 
Mio caro Arno,
quando leggerai questa lettera io sarò già andata via. Ti starai chiedendo cos’è successo, perché sono scappata... è solo colpa mia. Lascia che ti spieghi.
Ti ho raccontato del mio passato in Bretagna, della morte dei miei genitori e delle difficoltà che ne sono seguite. Ti ho detto tutto, tranne una cosa. Una cosa talmente orribile che per anni non ne ho mai parlato con nessuno, tu sei il primo a saperlo.
Dopo la morte di mio padre andai a Quimper sperando di lavorare in una sartoria o qualcosa di simile, ma sembrava che nessuno volesse assumere una ragazza di campagna. Passarono i giorni e cominciai a disperarmi, finché un giorno mi fermò una donna.
Si presentò come madame Fournier e disse che cercava una ragazza per le cucine del suo locale. Inutile dirti che, disperata com’ero, accettai subito. E fu un grosso errore da parte mia.
Pensavo che il suo locale fosse un cabaret, o qualcosa di simile, ma una sera scoprii per chi stavo lavorando: madame Fournier mi ordinò di portare la cena per due persone presso la camera personale di una delle sue ragazze, e quando aprii la porta rimasi impietrita dallo spettacolo davanti ai miei occhi: una camera da letto sontuosamente arredata e la ragazza insieme a un uomo. Entrambi nudi. Lasciai il vassoio e corsi via, notando così altre coppie in quelle condizioni.
Ero stata assunta in un bordello.
 
Cosa potevo fare? Madame Fournier era stata l’unica persona a darmi un lavoro e un tetto sopra la testa, e se mi fossi licenziata sarei finita nuovamente in mezzo alla strada. Feci buon viso a cattivo gioco e continuai a portare la cena ai vari clienti.
Ma presto le cose volsero al peggio: alcuni clienti cominciarono a notarmi e madame Fournier mi disse che sarei diventata anch’io una delle “ragazze”. La pregai, la supplicai di non farmi diventare una prostituta. Si dimostrò una donna cinica e senza scrupoli: minacciò di picchiarmi se non avessi obbedito e così iniziò ad “educarmi” facendomi osservare di nascosto le altre prostitute “al lavoro”.
Non puoi immaginare il ribrezzo che provavo nel vedere certe porcherie, certi spettacoli che offrivano quelle notti... e dopo un paio di mesi di teoria giunse il momento della pratica.
Scongiurai la padrona di non farmi fare quel “battesimo”, ma lei fu irremovibile: a quanto pare la mia “purezza” aveva già attirato molti soldi. Mi sentivo peggio di un pezzo di carne all’asta del mercato, venduta al miglior offerente per il prezzo più alto.
Non sapevo più cosa fare, quando a un certo punto arrivò una donna. Disse a madame Fournier che mi avrebbe voluto con sé e che avrebbe offerto il doppio di qualsiasi cifra. Contrattarono molto tempo, ma infine venni ceduta alla mia nuova padrona: Thérèse Beauchesne.
 
Per me fu come uscire da un terribile inferno ed entrare in paradiso. Non ho mai saputo perché mi volle con sé, ma madame Beauchesne mi ha aiutato come nessun altro prima, mi ha dato un’educazione, mi ha insegnato molte cose. Tutto ciò che dovevo fare era obbedirle. Non potevo immaginare che, nel frattempo, lei mi avrebbe manipolato per legarmi totalmente a sé. Avrei dovuto capirlo prima, ma mi fidavo troppo di colei che mi aveva salvato da una vita orribile.
Ma la verità più tremenda l’ho scoperta solo ieri: lei è una Templare e vuole diventare la nuova Gran Maestra a tutti i costi. E per fare questo deve ucciderti, Arno.
Sono stata un’idiota a fidarmi di lei e a non chiedermi il perché dei suoi piani, e sono stata ancora più idiota a non dirti tutto. Sono stata una codarda, temevo che mi avresti odiato. Ed è quello che succederà comunque, ma almeno sono riuscita ad avvertirti.
Lei sa dell’incontro segreto e ti sta preparando una trappola mortale. Ti prego Arno, sei ancora in tempo per preparare un contrattacco. Pregherò affinché tu sopravviva, anche se ormai non ti importerà più nulla di me.
 
I mesi che ho trascorso al Café e con la tua compagnia sono stati i più belli di questi ultimi anni. Non dimenticherò mai la tua gentilezza, il tuo amore, la dolcezza dei tuoi occhi da cerbiatto.
Ti chiedo solo un favore, Arno: non incolparti per ciò che è successo, non potevi sapere. Non è colpa tua.
Addio, mio dolce Arno. Ti auguro di trovare qualcuno migliore di me.
 
Da garout a ran, ma menn.
Madeleine
 
Dopo aver letto le ultime parole, Arno lasciò cadere il foglio sulla scrivania. Si sentiva sconvolto, incredulo davanti alla confessione d’inchiostro della ragazza.
“No. No no no, ti prego...” pensò, riprendendo la lettera e rileggendola un’altra volta.
Per la prima volta, all’Assassino venne un orribile dubbio: possibile che Madeleine l’avesse ingannato? Era riuscita così bene a guadagnarsi la sua fiducia, tanto da permetterle di venire a conoscenza della Confraternita?
Rilesse le ultime righe: che senso aveva, allora, avvisarlo del pericolo? Era un pentimento sincero?
Troppe domande gli affollavano la mente. Arno si sentì girare la testa dalla confusione, mentre il respiro si faceva più affaticato.
Non poteva, non voleva credere a ciò che gli suggeriva malignamente l’inconscio. Doveva trovare Madeleine e sentire dalla sua viva voce la verità.
Si calò il cappuccio in testa ed uscì dalla portafinestra che, dalla sua stanza, si affacciava sulla terrazza. La pioggia scendeva copiosa e il freddo penetrava fin dentro le ossa, ma all’uomo non importava. Si calò dalla balaustra della terrazza e atterrò sul marciapiede. Attivò immediatamente l’occhio dell’aquila per individuare le tracce della bretone, e dopo aver girato l’angolo del Café trovò una flebile scia di impronte.
Arno sentì un brivido lungo la schiena: quanto tempo aveva, prima che la pioggia cancellasse del tutto la traccia?
Corse seguendo la scia dorata, ignorando lo sguardo incuriosito dei pochi passanti presenti a quell’ora del giorno. Notò una pausa delle impronte a metà di uno dei ponti, per poi proseguire; ma più si allontanavano dal Café, più diventavano rare e frammentarie a causa della pioggia.
Non sapeva quanto tempo fosse trascorso dalla fuga di Madeleine, ma dopo un’ultima svolta in una piazza le impronte erano sempre di meno finché, dopo pochi metri, scomparvero.
Arno avrebbe voluto urlare, gridare a tutta Parigi il suo dolore. Invece rimase in silenzio, attonito, mentre la pioggia lo colpiva in viso mischiandosi alle sue lacrime.
 
*****
A causa del cielo plumbeo la cattedrale di Notre Dame appariva quasi tetra. Si stagliava cupa e maestosa tra le nubi temporalesche, come un'anziana vedova in lutto da tanti anni.
Ma se qualcuno avesse osservato con più attenzione la facciata avrebbe notato una nota di colore in una delle terrazze: una piccola macchia blu che guardava senza alcun interesse la strada sottostante.
Arno teneva tra le dita l'anello che aveva regalato a Madeleine. Lo guardava con tristezza, la stessa sensazione che ormai si era impadronita del suo cuore.
-Da quanto sei lì?- chiese ad un tratto, apparentemente a qualcuno di invisibile. Passarono pochi secondi e Laurent Lozach si palesò dalle ombre della cattedrale.
-Solo qualche minuto, non è stato facile trovarti con questa pioggia- rispose il bretone, che si era portato al fianco del suo collega.
Rimasero entrambi in silenzio ad osservare la pioggia, in attesa di chissà cosa.
-Mi dispiace, Arno- disse dopo un po' Laurent.
-Dammi pure del coglione. Come se non lo avessi già fatto- replicò con durezza l'altro.
Laurent distolse lo sguardo, e solo in quel momento si accorse di qualcosa di strano: lontano da loro, sul fianco di una colonna, giaceva una bottiglia in frantumi. Il suo contenuto tingeva di un rosso scuro la superficie colpita dallo schianto, da dove proveniva un lieve odore di alcol.
-Ne ho bevuto solo un sorso. L'ho sputato subito, me lo ero ripromesso anche per lei- borbottò Arno in risposta alla domanda silente dell'altro Assassino.
Laurent lo guardò in volto e si accorse, dietro l'espressione dura, che Arno aveva gli occhi rossi e gonfi, segno che aveva pianto.
-Arno...- accennò l'uomo, ma si interruppe immediatamente quando udì un singulto, e nuove lacrime sgorgarono dagli occhi del Maestro Assassino.
-Sono stanco, Laurent– sospirò Arno –Sono stanco di perdere le persone che amo, per un motivo o per l'altro. Che cosa ho fatto per meritare tutto questo dolore? Perché, per una volta, non posso essere felice?-
Si asciugò le lacrime e, dopo un altro singulto, proseguì nel suo sfogo: -Ho provato a odiarla, sai? Ho tentato di convincermi che mi abbia ingannato per i suoi scopi, che ciò che è successo tra di noi era una farsa. Non ci riesco, neanche questo riesco a fare...-
-Perché tu la ami, e anche lei ricambia i tuoi sentimenti- intervenne Laurent.
Finalmente Arno guardò in faccia il suo collega e, con grande sorpresa, vide che reggeva la busta che conteneva la confessione di Madeleine.
Laurent anticipò la sua domanda e cominciò a spiegare: -Ero appena arrivato al Café quando ho incrociato Charlotte. Mi ha detto di Madeleine e cominciava a chiedersi perché ci mettessi così tanto a vestirti. Quando siamo andati in camera tua abbiamo visto che non c'eri, ma abbiamo visto questa. Scusaci, ma abbiamo letto la lettera della ragazza.-
-Quando le ho parlato ieri non capivo perché fosse così scossa, ma dopo aver letto le sue parole ho capito. Credimi Arno, lei era disperata quanto te ora. E ti ama, guarda qui.-
Terminata la frase, il bretone porse ad Arno la lettera e gli fece notare alcune macchie circolari, appena visibili, che avevano increspato la carta: le lacrime della bretone.
Laurent gli fece anche notare la frase di commiato, e Arno riconobbe il soprannome che gli aveva affibbiato Madeleine.
-Che cosa significa?- chiese.
Laurent si fece scappare un sorriso: -Vuol dire "Ti amo, mio cerbiatto".-
Incredulo, Arno prese fra le mani la lettera e, per la terza volta, rilesse la confessione di Madeleine. In quelle lettere tonde e gentili lesse parole di dolore, di sconforto, di amore. Riuscì quasi a vederla, mentre scriveva tra le lacrime le sue parole di addio.
 
-Arno, lo so che stai soffrendo e che vorresti andare a cercarla– intervenne Laurent –Ma ora dobbiamo pensare ai Templari e alla loro imboscata.-
-E cosa possiamo fare?- chiese, mentre piegava la lettera della bretone e la infilava nella tasca della giacca.
Laurent scosse la testa, quasi divertito, e tirò fuori dalla busta un secondo foglio. Lo sguardo confuso di Arno fu la risposta che si aspettava.
-Anche Charlotte non lo aveva visto subito, ma capisco che eravate sconvolti dalla sua scomparsa. Dagli un’occhiata, così capirai da che parte sta Madeleine- disse sibillino, tendendogli il foglio.
Arno lo prese e lo aprì, e presto un’espressione sorpresa gli apparve in volto: in mano aveva gli appunti che Madeleine aveva copiato in segreto da madame Beauchesne. Aveva annotato i nomi dei Templari coinvolti, i loro aiutanti, la pianta delle Tuileries e i luoghi dove si sarebbero nascosti per tendere l’imboscata agli Assassini. Era scritto di fretta, come se la giovane avesse avuto poco tempo, ma in modo chiaro e incontrovertibile.
Arno rimase ammutolito, colpito da ciò che aveva tra le mani: come avesse fatto ad ottenere certe informazioni rimaneva al momento un mistero, ma almeno quegli appunti gli avevano sollevato il cuore dal peso del dubbio. Grazie a Laurent adesso ne era certo: Madeleine aveva preferito lui alla sua padrona.
-Madeleine... mi ha avvisato. Mi ha salvato un’altra volta...- mormorò incredulo, più a sé stesso che al bretone.
Laurent annuì: -Ed è fuggita perché ha paura. Della tua reazione alla notizia, certo, ma soprattutto della Beauchesne. Non la conosco benissimo, ma so che può essere molto pericolosa.-
-Come tutti i Templari, d’altronde- disse una voce dietro di loro.
-Allora noi abbiamo incontrato l’eccezione alla regola- contestò un’altra.
Arno e Laurent si voltarono con le spade sguainate, pronti ad attaccare, ma si rilassarono subito quando videro apparire Gerard e Philippe.
-E voi due da dove arrivate?- chiese Arno sorpreso.
Gerard si scrollò dalle spalle un po’ di pioggia, quindi rispose: -Siamo tornati circa un’ora fa da Tours e abbiamo fatto rapporto al Concilio, poi siamo andati al Café e Charlotte ci ha detto quello che è successo.-
Philippe intervenne: -Ci dispiace tanto Arno. Non mi sarei mai aspettato che Madeleine potesse essere una spia templare.-
Arno accennò un sorriso: -Grazie, ragazzi. Neanch’io me l’aspettavo, ma c’è una cosa che dovete sapere- replicò, e insieme a Laurent mostrò agli altri Assassini gli appunti del piano templare.
Gerard e Philippe rimasero sorpresi, il secondo aveva addirittura un’espressione stranita in volto.
-Allora il vecchio non mentiva!- esclamò.
Gerard gli rivolse un mezzo sorriso: -Te l’avevo detto- replicò trionfante.
Laurent si intromise nella loro conversazione: -Potreste dirci, di grazia, di cosa state parlando?-
Philippe si riprese dal proprio stupore e si rivolse ad Arno: -Dopo il nostro rapporto al Concilio siamo subito corsi a cercarti, Arno. E dopo quello che ci avete detto, adesso ne abbiamo la certezza.-
E così i due Assassini raccontarono la loro missione.
 
Gerard e Philippe erano appena entrati al secondo piano della villa di Réginald Chevalier, dopo aver scassinato una finestra. I due Assassini avevano deciso di penetrare nell’edificio di sera, quando la maggior parte dei suoi abitanti sarebbe stata impegnata al piano terra.
Da troppo tempo la Confraternita francese non aveva notizie del vecchio Templare, e così il Concilio aveva affidato a loro due il compito di rintracciarlo, scoprire i suoi piani ed eliminarlo.
Dopo varie ricerche erano riusciti a trovare il suo nascondiglio: la sua casa di famiglia a Tours. Erano rimasti sorpresi, poiché si aspettavano un luogo più recondito e difficile da raggiungere.
Prestando la massima attenzione, i due si mossero in assoluto silenzio, usando l’occhio dell’aquila più volte per trovare il loro obiettivo. Percorsero varie stanze, evitando di farsi vedere e senza dover stordire qualcuno, e nella loro esplorazione finirono in una camera da letto.
Rimasero nascosti dietro un grande armadio, tesero le orecchie e scoprirono che in quella stanza si trovavano due persone, una piuttosto anziana e l’altra parecchio più giovane che stavano chiacchierando.
Attesero forse un quarto d’ora, infine la persona più giovane salutò l’altra e se ne andò; i due uomini si erano sporti appena e videro che la prima voce apparteneva a un ragazzino che poteva avere dieci anni.
-Mio nipote Antoine, il più piccolo e il più affettuoso- disse una voce maschile proveniente dal letto.
Gerard e Philippe rimasero sorpresi, come se l’uomo che aveva appena parlato si aspettava la loro “visita”. Sempre con cautela lasciarono il loro nascondiglio e si divisero, in modo da posizionarsi ognuno presso un fianco del letto. E lì, sotto le coperte, giaceva Réginald Chevalier.
 
Il vecchio Templare non aveva un bell’aspetto: era pallido e con le coperte tirate fin sotto il mento. Aveva un’espressione stanca, quasi sofferente, e respirava a fatica.
Osservò entrambi gli Assassini e una stanca risata gli sfuggì dalle labbra: -Allora qualcuno mi considera ancora...-
-È da un po’ che mancate da Parigi, Chevalier. Volevamo solo vedere come stavate- disse sarcastico Philippe, attirandosi un’occhiataccia da Gerard.
Il Templare sospirò tristemente: -Probabilmente questa notizia vi renderà felici, visti i nostri rispettivi legami... Sto morendo, signori. Polmonite fulminante, i medici mi hanno dato al massimo un mese di vita- spiegò loro.
Per quanto odiasse i Templari, Philippe si morse la lingua per la propria maleducazione; Gerard si tolse il cappuccio, in segno di rispetto per la sua condizione.
Réginald tossì violentemente, coprendosi la bocca con un fazzoletto, e dopo aver preso fiato si rivolse ai due Assassini: -Immagino il motivo per cui siete qui, perciò vorrei proporvi uno scambio: in quel cassetto troverete qualcosa di molto importante che riguarda Dorian. Prendete quegli appunti e portateglieli.-
-E in cambio...?- incalzò Philippe, mentre Gerard cercava nel mobile.
-In cambio vi chiedo di lasciarmi morire in pace, tra le persone che amo di più- replicò il vecchio.
Intanto Gerard aveva trovato il plico di fogli e aveva dato una rapida occhiata al suo contenuto; presto sul suo volto apparve un’espressione tra rabbia e sorpresa, e ritornò di gran carriera dal Templare.
-Avete fatto un patto per uccidere Dorian?!- chiese incredulo.
Réginald annuì: -Non è stata una mia idea, ma di Thérèse Beauchesne. E di loro quattro, soltanto Marchand ha avuto il buon cuore di venirmi a trovare e di aggiornarmi dei loro progressi e dei loro insuccessi, ovvero i destini di Lefebvre e Delacroix. E mi ha anche rivelato alcune informazioni raccolte da un suo agente riguardo l’incontro con un’Assassina italiana.-
-Mademoiselle Vico!- esclamarono all’unisono gli Assassini.
Il Templare proseguì nel discorso: -Sapevo che Thérèse e Gauthier avrebbero unito le forze. Vi chiedo di fermarli, altrimenti uno di loro diverrà il nuovo Gran Maestro.-
-La cosa non vi rallegra?- chiese Philippe con una punta di ironia.
-Nessuno dei due ne sarebbe degno: hanno una mente brillante, ma userebbero l’Ordine per i propri scopi e finirebbero per indebolirlo ulteriormente. Vi chiedo di fermarli, anche solo per la vita del vostro collega- terminò il vecchio.
Gerard sfogliò nuovamente gli appunti del Templare, quindi se li infilò nella giacca e fece segno a Philippe che era ora di andare.
-Lo so che suonerà strano, ma grazie di tutto, monsieur Chevalier. Vi auguro di godervi i vostri ultimi giorni in pace- si accomiatò l’Assassino.
Réginald Chevalier alzò appena la mano: -Addio, signori. E se fermerete quei due, ve ne sarò grato in eterno- disse, ricambiando il saluto.
Gerard e Philippe ripercorsero il tragitto di prima, sempre prestando la massima attenzione, e in silenzio lasciarono la villa del Templare. Ora dovevano tornare il prima possibile a Parigi.
 
-Ecco spiegato il loro accanimento nei tuoi confronti!- esclamò Laurent, una volta che i suoi colleghi ebbero terminato il loro racconto.
Gerard annuì: -Per sicurezza manderemo un nostro agente a controllare Chevalier, ma dubito che il vecchio abbia intenzioni di farci qualche scherzo.-
-Ora, però, dobbiamo avvertire il Concilio che la Beauchesne e Marchand conoscono i dettagli dell’incontro con mademoiselle Vico. E non ne saranno felici- intervenne Philippe.
-Andrò io. Dopotutto, questa missione è una mia responsabilità e se dovrò affrontarne le conseguenze, così sia- dichiarò Arno in tono serio.
Philippe gli si avvicinò e gli mise un braccio intorno al collo con fare amichevole: -Eh no, ci siamo dentro tutti e quattro ormai! Se si devono incazzare con te, dovranno vedersela con tutti noi!-
Anche Gerard e Laurent si unirono a loro: -E se Beylier e Quemar minacciano di espellerti un’altra volta, giuro che li prendo a cazzotti!- minacciò scherzosamente il primo.
-Noi saremo sempre dalla tua parte, Arno. Non dimenticarlo mai- aggiunse il secondo.
Arno si sentì commosso dall’affetto dei suoi amici. Ricambiò con calore il loro abbraccio collettivo e li ringraziò uno ad uno per la loro amicizia.
Di nuovo al completo, la “Banda delle Baguettes” si preparò a lasciare la cattedrale di Notre Dame. Prima di andare, tuttavia, Arno diede un’ultima occhiata all’anello di Versailles: se lo portò alle labbra e gli diede un bacio leggero, per poi infilarselo nella tasca interna della giacca.
“Spero che tu stia bene, Madeleine. Un giorno ti troverò e saremo di nuovo insieme, fosse l’ultima cosa che faccio in vita mia” pensò speranzoso Arno.
 
*****
Stava ormai calando la sera e gli unici rumori che si udivano erano lo scrosciare della pioggia e, in lontananza, il feroce mugghiare dell’oceano.
Madeleine aveva perso il conto di quanti giorni aveva viaggiato. Sei? Forse sette? Non aveva importanza, l’unico suo pensiero era allontanarsi il più possibile da Parigi.
Aveva camminato senza sosta verso ovest, qualche volta era riuscita a trovare un passaggio su un carro, ma aveva sempre evitato di dare confidenze a eventuali interlocutori. Anche le poche volte che aveva preso alloggio in una locanda parlava il meno possibile, e sbarrava sempre la porta della camera con una sedia nel timore che qualcuno volesse farle del male.
Erano anni che non rivedeva più la Bretagna, ma il suo cuore non era felice. Anzi, in quei giorni aveva provato solo sensazioni negative: paura, rimorso, tristezza. E dolore, tanto sentimentale quanto fisico: i piedi le facevano male dalla mattina alla sera, per via delle lunghe camminate, e più di una volta aveva provato una fastidiosa sensazione di nausea.
La giovane rabbrividì violentemente. La pioggia sembrava perseguitarla ormai da giorni, tanto che non aveva una parte del corpo asciutta: i piedi erano infradiciati, nonostante gli stivali, e le dita delle mani sembravano pezzi di ghiaccio; i capelli, a causa dell'umidità costante, erano una nuvola ingarbugliata, e l'abito di ricambio era ancora fradicio nonostante l'avesse cambiato due giorni prima.
Madeleine doveva assolutamente trovare un luogo asciutto e concedersi qualche giorno di riposo, a discapito dei suoi timori. L'alternativa era morire di freddo o fame, o entrambi.
Si strinse nel mantello nel vano tentativo di scaldarsi, quand'ecco che davanti a lei intravide delle luci soffuse. Sebbene camminasse male a causa dei piedi ghiacciati, Madeleine fece quell'ultima fatica e giunse finalmente alle porte di un villaggio non troppo distante dal mare.
Si appoggiò a un muro, colta da un giramento di testa. A causa del maltempo non c'era nessuno in giro, ma le luci provenienti dalle finestre indicavano che il villaggio era abitato. Si schermò gli occhi dalla pioggia e, poco lontano da sé, notò un grande edificio con un'insegna sopra la porta dal quale proveniva il suono di un violino: una locanda.
Madeleine avrebbe voluto considerare più opzioni, ma i giramenti di testa stavano diventando più frequenti. Controllò quanti soldi avesse e, dopo un respiro profondo, si incamminò faticosamente verso la locanda.
 
Un forte odore di sidro e di carne arrosto diede il benvenuto alla bretone, provocandole un brontolio di stomaco. C'erano pochi avventori, che chiacchieravano amichevolmente fra di loro fino a poco prima del suo ingresso: ora, infatti, erano intenti a osservarla.
Madeleine abbassò lo sguardo, sperando di venire ignorata, ma i suoi passi incerti verso il bancone non fecero altro che attirare ulteriormente l'attenzione su di lei.
Si appoggiò malamente alla superficie lignea del banco: la vista si stava annebbiando, impedendole di vedere con chiarezza i dintorni; il respiro si era fatto più affannato a causa della stanchezza e dell'ansia nascente; si sentiva tremare dalla testa ai piedi, temendo di essere caduta dalla padella alla brace.
"Dio mio..." stava pensando, quando al suo fianco udì una voce profonda.
-Tutto bene?- chiese il vocione.
Madeleine alzò la testa nel vano tentativo di identificare il suo interlocutore, ma davanti a sé non vide altro che una coltre nera.
-...aiuto- sussurrò debolmente, prima di perdere i sensi.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Nuova vita, vecchi pericoli ***


Madeleine aprì debolmente gli occhi, infastidita da una strana luce, e fu colta da un senso di smarrimento.
Si trovava in un letto grande abbastanza da ospitare tre persone, in una camera con pochi mobili ma accogliente. C’era una sola finestra, dalla quale entrava la luce del sole.
Istintivamente si portò una mano al collo e si lasciò scappare un sospiro di sollievo nel trovare il suo ciondolo al proprio posto, ma così facendo notò che non indossava più i suoi abiti da viaggio, bensì una semplice camicia da notte.
La ragazza si sentiva inquieta e mille domande cominciarono ad affollarle la mente: cos’era successo? Dove si trovava? Ma soprattutto, chi l’aveva portata lì?
Si mise a sedere e guardò intorno a sé nella speranza di trovare qualche indizio su cosa potesse essere accaduto, quand’ecco che la porta si aprì ed entrò una donna di mezz’età.
-Ah, buongiorno cara! Finalmente ti sei svegliata- esordì con allegria.
Madeleine la osservò: era una donna piuttosto bassa e magrolina, vestita con abiti semplici. I capelli castani erano coperti da una cuffietta e vispi occhi nocciola la guardavano con curiosità.
-Come ti senti?- chiese la donna, mentre appoggiava un vassoio con del cibo su un comodino.
La giovane si guardò di nuovo intorno a sé, confusa: -Dove mi trovo?-
La donna rispose: -Sei in casa mia a Lanévry, poco più a est di Douarnenez. Hai dormito per due giorni di seguito. Cominciavo a preoccuparmi per te, sai? Dopotutto, eri conciata piuttosto male.-
-Due giorni?!- esclamò sorpresa Madeleine.
La donna annuì: -Già. Io ero qui bella tranquilla a chiacchierare con le mie amiche, poi arriva mio marito in fretta e furia e, sorpresa sorpresa, con una povera ragazza tra le braccia. “Ma cosa succede?” dico io, e quindi lui va a chiamare il dottore mentre io e le altre ti portiamo in camera. Era delle mie figlie, sai? Comunque, eri davvero ridotta a uno straccio. “Poverina, chissà cos’è successo” ci chiediamo tutte, poi arriva il dottore. Tutto a posto, dice, ha bisogno di calore e tanto riposo. Quindi abbiamo mandato via gli uomini e io e le altre ti abbiamo fatto il bagno. Oh, non arrossire, tra donne non c’è nulla da vergognarsi, e nessun uomo ti ha visto. Quindi ti abbiamo cambiato e messo a letto, e nel frattempo...-
-Fransiza, la stai stordendo- disse una voce profonda. 
 
Quello era probabilmente l'uomo più grosso che Madeleine avesse mai visto in vita sua: era molto alto, tanto che dovette chinarsi appena per entrare nella stanza, e dalla corporatura robusta. Pareva più anziano della donna, come suggerivano la barba e i capelli brizzolati. Ma la cosa che più aveva attratto l'attenzione della ragazza erano gli occhi sotto le sopracciglia cespugliose, di un grigio indefinito e dall'espressione inquisitoria. In generale, sembrava una persona che era meglio non far arrabbiare.
-Tutto bene?- chiese l’uomo, sempre col suo vocione. La ragazza, in quel momento, riconobbe la stessa voce della sera in cui era arrivata al villaggio.
-Siete stato voi a portarmi qui?- chiese con timidezza. L’uomo annuì con un cenno del capo.
-Vi ringrazio, signor...?-
-Briag Jézéquel, e questa è mia moglie Fransiza- rispose l’uomo presentando entrambi.
-Tu come ti chiami, invece?- intervenne la donna.
Madeleine stava per rispondere, ma all’ultimo si zittì. Poteva veramente fidarsi di quella coppia? Se avessero voluto farle del male lo avrebbero fatto, pensò fra sé e sé, e in generale i Jézéquel le ispiravano fiducia. Ma se ci fosse stato un Templare da quelle parti, magari un conoscente di madame Beauchesne?
Non poteva correre il rischio di venire riconosciuta, quindi s’inventò un nome: -Marie. Mi chiamo Marie Dubois.-
Negli occhi di Briag balenò un lampo di scetticismo, ma l’uomo non disse nulla. Fransiza, al contrario, strinse la mano alla giovane: -Molto piacere, Marie. Hai proprio un bel nome, ma così comune! Qui in Bretagna ne abbiamo di così belli: Rozenn, Aourellig, Gwenaela, Tualenn, per esempio. Queste sono le nostre figlie, poi abbiamo anche Morvan e Trestan, i maschietti. Peccato che siano andati tutti via da qua: chi a Parigi, chi in Canada, forse qualcuno anche nelle ex colonie britanniche, gli Stati Uniti o come si chiamano. E ci scrivono così poco, e...-
-Da chi fuggi?- la interruppe il marito.
Sia Madeleine che Fransiza si voltarono verso l’uomo: la prima aveva un’espressione terrorizzata, la seconda invece lo guardava con aria di rimprovero.
-Briag! Ma che razza di domanda è?!- esclamò.
Madeleine scosse la testa: -Vostro marito ha ragione. Vengo da Parigi, dove ero a servizio di una donna. Avevo scoperto che voleva fare una cosa molto brutta e... ho avvertito la vittima del suo piano. Sono scappata, ma ho paura che mi possa rintracciare per farmela pagare. Posso capire se non mi volete qui...-
I due bretoni rimasero in silenzio, sorpresi dal suo racconto. Ad un cenno dell’uomo, i due dissero alla ragazza di aspettare qualche minuto, quindi uscirono dalla stanza e si misero a parlottare fra di loro. Madeleine tentò di origliare la loro conversazione, ma la coppia stava parlando a voce piuttosto bassa.
Passò forse un quarto d’ora, quando finalmente la coppia rientrò nella stanza.
Fu Briag a parlare per primo: -Ascolta, Marie. Non so se ti chiami veramente così, non mi importa, so solo che hai bisogno di aiuto. Se vuoi restare qui per riprenderti del tutto prima di partire, saremo lieti di ospitarti il tempo che ti serve e poi sarai libera di andare dove preferisci- disse.
-Oppure– si intromise Fransiza, –Puoi restare qui, questa casa è così grande per solo noi due. Ci farebbe piacere avere compagnia. Possiamo aiutarti a trovare lavoro, farti conoscere il resto del villaggio... insomma, a cominciare una nuova vita. Cosa ne pensi?-
La ragazza rimase sbalordita dalla loro proposta e dalla loro generosità nel volerla aiutare, nonostante il nome falso. Finalmente, dopo giorni di dolore, cominciava a sentire dentro di sé una nuova speranza nel lasciarsi alle spalle il proprio passato.
-Credo che starò qui ancora qualche giorno, poi deciderò cosa fare.-
 
*****
Era trascorso un anno, a Lanévry. Un vento leggero portava l’odore salmastro del mare tra le strade del villaggio, preannunciando una bella giornata di primavera.
Madeleine si svegliò, sfiorata dalla brezza entrata dalla finestra socchiusa. Si stiracchiò, ancora assonnata, e si alzò in silenzio. Accostò appena la finestra e, muovendosi in punta di piedi, uscì dalla sua camera. D’altronde, non voleva certo svegliarla.
Scese le scale che portavano al piano terra in cucina, dove si trovavano già i coniugi Jézéquel: Briag beveva con calma il suo caffè, mentre Fransiza controllava il pentolino del latte canticchiando una canzone:
 
Nozvezh kentan ma eured me'm oa komadaman
Evit servijan ar Roue ret eo bezhan kontan.
Evit servijan ar Roue ret eo obeisso,
Met ma dousig Fransisa 'chom d'ar gêr o ouelo.
"Tevet, tevet, Fransozig, tevet na ouelit ket,
A-benn un daou pe un tri bloaz me 'deuï c'hoazh d'ho kwelet!"
Paseet an daou an tri bloaz ar berved 'zo ivez,
Nag ar vartolod yaouank ne zeu tamm da vale.
 
Ar plac'hig a oa yaouank hag a gave hir he amzer,
'Doa lakaet e-barzh e sönj da zimezin 'darre.
Na pa oa tud an eured diouzh an taol o koanio,
N'em gavas ur martolod 'ban ti a c'houl' lojo:
"Bonjour d'oc'h matez vihan, na c'hwi lojefe?
Me 'zo martolod yaouank 'tistreïn eus an arme"
 
-Demat, Marie! Hai dormito bene?- chiese la donna, non appena la vide.
Madeleine salutò la coppia, quindi prese posto a tavola. La donna le versò per prima il latte in una tazza, per poi servirsi a sua volta. Quindi si voltò verso un vassoio e lo portò al centro del tavolo: -Stamattina presto sono passata da Evan, il fornaio, e guardate un po’ cosa ho preso!– esclamò sorridendo, mostrando delle piccole tortine a forma di conchiglia: –Ta dah! Le madeleine!-
La ragazza, che stava bevendo, venne colta di sorpresa al sentire il suo vero nome, anche se per puro caso. Le andò il latte di traverso e questo le causò un attacco di tosse.
-Tutto bene, cara?- chiese preoccupata Fransiza. Anche Briag le rivolse silenziosamente la stessa domanda, guardandola con uno sguardo turbato.
-Tutto a posto, ho solo bevuto un po’ in fretta- si giustificò lei tra un colpo di tosse e l’altro.
Ma quei rumori improvvisi non passarono inosservati: dalla camera della ragazza, al piano superiore, si udì un lieve piagnucolio.
Madeleine sospirò e si alzò dal suo posto : -Vado a prenderla- disse sorridendo.
Pochi minuti dopo la ragazza fece ritorno in cucina: in braccio reggeva una bambina di tre mesi, con i capelli ramati e due grandi occhi marroni.
-Pralina mia!- salutò affettuosamente Fransiza.
-Buongiorno, Yannez- aggiunse Briag, sorridendo.
La bambina agitò un braccio, come se avesse voluto mimare un saluto. Madeleine si sedette di nuovo, reggendo la figlia tra le braccia, mentre Fransiza faceva le voci buffe per far ridere la piccola.
Era cambiato così tanto, in un anno, ma Yannez era stata di sicuro la sorpresa più grande.
 
Madeleine non si era mai sentita così male da quando era tornata in Bretagna. Dopo tre mesi presso i Jézéquel era riuscita a trovare lavoro da una sarta, ma spesso aveva nausea e mal di schiena. E quella mattina, inaspettatamente, aveva vomitato.
-Cosa ti succede, cara? Hai mangiato qualcosa di strano?- le chiese Fransiza, dopo che la ragazza si era ripresa.
-No, niente di niente- biascicò lei, ancora paonazza per il rigetto.
La donna si massaggiò il mento con un dito, pensierosa. Rimase in silenzio per un paio di minuti, quando ad un tratto il suo volto si illuminò. Fece segno alla ragazza di sedersi sul letto, quindi si mise al suo fianco per aiutarla a riprendersi.
Guardò la giovane con affetto, quindi iniziò a parlare: -Ascolta, Marie. Sei qui da un po’ di tempo e ti sei dimostrata una ragazza per bene. Per qualcuno può essere poco, ma ho imparato a conoscerti e ad apprezzarti e per questo voglio aiutarti. Devo farti un paio di domande e ti prego di essere sincera. D’accordo?-
Per quanto turbata da quell’ultima frase, Madeleine acconsentì alla sua richiesta.
Fransiza fece la prima domanda: -Quand’è stata l’ultima volta che hai avuto il ciclo?-
La ragazza sobbalzò, imbarazzata, chiedendosi il perché di quell’argomento. Rimuginò per qualche secondo prima di rispondere: -Non mi ricordo esattamente. In effetti, è da un po’ che non mi arrivano...-
Un lungo brivido le percorse la schiena. Come aveva potuto dimenticarsi di qualcosa di così importante?
Ma prima che potesse riflettere, la donna le chiese un’altra domanda a bruciapelo: -Hai avuto rapporti, ultimamente?-
La ragazza divenne rossa di imbarazzo a causa di quella domanda così personale. Abbassò lo sguardo, sperando che Fransiza non insistesse, ma lei continuava a guardarla in attesa di una sua risposta. Infine, muovendo appena la testa, rispose affermativamente.
Fransiza rimase di nuovo in silenzio, borbottando fra sé e sé, finché non prese di nuovo la parola: -Allora, Marie. Crampi addominali, mal di schiena, nausea, mestruazioni che non arrivano... non posso essere sicura al cento per cento, ma credo di essere giunta a una conclusione: sei incinta.-
Madeleine rimase pietrificata a quella parola: incinta. Com’era potuto succedere? La notte che aveva trascorso con Arno era durante i suoi giorni sicuri, e poi aveva fatto anche la lavanda!
Il panico cominciò ad impossessarsi di lei: sentì il respiro farsi più corto e affannoso, mentre grosse lacrime sgorgarono dagli occhi. Cominciò a singhiozzare, cogliendo di sorpresa la donna.
-Cosa succede, Marie?- chiese preoccupata, intanto che le porgeva un fazzoletto.
La ragazza tentò di calmarsi, ma la disperazione aveva preso il sopravvento: -Non è possibile, sono stata attenta! Oddio, cosa farò adesso? Mio Dio, mio Dio...- continuava a ripetere tra un singulto e l’altro.
Fransiza non sapeva cosa fare, quando a un certo punto arrivò Briag. Quest’ultimo vide la ragazza piangente e rivolse una domanda silenziosa alla moglie.
-Credo che Marie aspetti un bambino- disse mogia.
L’uomo prese una sedia e si sedette vicino alla ragazza. Le accarezzò con affetto la spalla, finché non si calmò un poco.
-Puoi dirci chi è lui?- chiese.
Madeleine tirò su col naso, e con la voce rotta dal pianto rispose: -L’ho incontrato a inizio anno. È l’uomo più dolce, gentile e coraggioso che abbia mia conosciuto in vita mia. L’ho amato, lo amo ancora...-
-Ma...- la incoraggiò lui.
La ragazza riprese a piangere: -Era la vittima del piano della mia padrona. Sono riuscita a lasciargli un avvertimento, ma è colpa mia se la mia padrona è venuta a conoscenza di un’informazione cruciale. Non potevo rimanere dopo quello che ho fatto, e scommetto che ora lui mi odia.-
-Quindi... non siete sposati?- intervenne Fransiza. La giovane scoppiò nuovamente in lacrime, dando così una risposta alla sua domanda.
Briag rimase in silenzio, mentre osservava sua moglie consolare la ragazza. Pensò a un modo per poterla aiutare, finché non gli balenò in testa un’idea.
-Sì che siete sposati. Anzi, lo eravate- esclamò. Le due donne lo osservarono attonite, in attesa che aggiungesse altro.
-Si chiamava Étienne Dubois e vi siete sposati a inizio anno. Purtroppo lui è stato 
assassinato dai giacobini e tu hai deciso di lasciare Parigi, timorosa che potessero farti del male. Hai venduto la tua fede nuziale per pagarti vitto e alloggio durante il viaggio, ed eccoti qui. Che ne pensi?-
Di nuovo, le due donne rimasero sbalordite dal piano di Briag. Era una storia verosimile, ma avrebbe funzionato?
Fransiza fu la prima a esprimere i suoi dubbi: -Mi sembra un po’ rischioso. E se qualcuno scoprisse la verità?-
-Basta non farlo sapere in giro- replicò l’uomo, scoccando un’occhiata alla moglie; alludeva silenziosamente alla sua proverbiale parlantina, e la donna gli rispose con uno sguardo offeso: -So benissimo quando stare zitta, Briag. E comunque, il prete potrebbe indagare.-
-Quale prete? Quello che c’era l’hanno ghigliottinato l’anno scorso, e non mi pare che ne sia arrivato un altro- ribatté lui.
Fransiza aprì di nuovo la bocca ma la richiuse subito dopo, non trovando altre domande da esporre. Si girò verso Madeleine, che aveva ascoltato in silenzio lo scambio tra moglie e marito. Le prese con dolcezza la mano e le accarezzò il dorso, quindi disse: -Ascolta, Marie. Lo so che questa faccenda ti spaventa, è normale. Ma noi siamo qui per aiutarti, qualunque sia la tua scelta.-
La ragazza si stropicciò un occhio, ancora sconvolta dalla sua ipotetica gravidanza: -Fransiza, Briag, non posso. Avete già fatto così tanto per me, ma un bambino...-
-Non devi preoccuparti di questo, cara la rassicurò la donna Noi due sappiamo cosa fare, ci siamo passati sei volte! Anzi, forse abbiamo ancora qualcosa, o possiamo sempre chiedere a qualcuno qui. Di sicuro troveremo vestitini smessi o altro di utile.-
-Siamo più che felici di aiutarti, Marie. Fidati di noi- aggiunse l’uomo con affetto.
Madeleine si ritrovò sopraffatta dalle emozioni: aveva ancora paura per ciò che le attendeva in futuro, ma sentiva che con i Jézéquel ce l’avrebbe fatta. Si asciugò le ultime lacrime e, finalmente, sul suo volto stanco apparve un sorriso commosso: -Grazie, grazie di tutto. Dio vi benedica.-
 
I nove mesi della gravidanza furono un’altalena emotiva: un giorno Madeleine si sentiva felice, il giorno dopo piangeva dicendo di assomigliare a una mongolfiera, e Fransiza faceva di tutto per convincerla che era semplicemente in dolce attesa. Ma il più delle volte Madeleine si sentiva malinconica: spesso restava sdraiata sul letto a pensare ad Arno. Si chiedeva come stava, cosa stava facendo in quel momento, se ancora pensava a lei.
Si era fatta prestare da Briag un vecchio orologio da taschino, e quando pensava all’Assassino apriva il coperchio e se lo avvicinava all’orecchio, immaginando che fosse quello di Arno. E man mano che la gravidanza proseguiva, e veniva sorpresa dai primi movimenti nella sua pancia, notò che il piccolo si calmava a sua volta quando ascoltava l’orologio.
Su consiglio di Fransiza cominciò a dialogare con la creatura che portava in grembo, tenendo l’orologio sulla pancia: parlava dei suoi genitori, della propria infanzia, di come aveva conosciuto Arno; narrava delle sue imprese, di come se ne fosse innamorata e di come lo aveva tradito per qualcuno che non lo meritava. Si immaginò che aspetto potesse avere, se sarebbe assomigliato di più a lei o all’uomo. In ogni caso, pregava ogni sera che fosse sano e forte.
E una mattina di pieno inverno arrivò il momento del parto: Madeleine sentì dei forti dolori al ventre, talmente forti che non riusciva a stare in piedi. Fransiza corse subito a chiamare la levatrice, mentre Briag l’accompagnò in camera sua e l’aiutò a sdraiarsi sul letto.
-Ho paura, Briag- gemeva tra una fitta e l’altra, man mano che l’ansia si faceva più pressante. Briag le passava un panno imbevuto d’acqua sul viso e la rassicurava: -Andrà tutto bene, Marie. Posso solo darti un consiglio che ho imparato da sei parti: ascolta il tuo corpo. Se ti dice di alzarti, di muoversi, di fare qualsiasi cosa, falla. E se la levatrice ti dice il contrario, mandala a quel paese.-
La giovane non ricordava granché del travaglio, a parte che fu piuttosto lungo. Ricordava però che a un certo punto doveva aver tirato un pugno alla levatrice, o forse aveva urlato un’imprecazione talmente volgare da far strabuzzare gli occhi persino a Briag, che l’aveva sentita da fuori la stanza.
E finalmente, dopo quella che era sembrata un'eternità, si ritrovò in mano un fagottino urlante: ne scostò un lembo e dentro c'era una neonata che cercava di liberarsi di tutta quella stoffa; ma non appena la sfiorò sulla guancia si calmò, e la bambina strinse con la sua piccola mano il dito di Madeleine.
Nuove lacrime, stavolta di gioia, sgorgarono dagli occhi della giovane; e mentre le donne lì presenti festeggiavano con giubilo, in un sussurro diede il benvenuto a sua figlia: -Ciao Yannez. Sono la mamma...-
 
*****
In casa Jézéquel era appena terminato il pranzo. Briag era andato a bere qualcosa al “Cinghiale d’oro”, la locanda del paese, e a chiacchierare un po’ con i suoi amici; Fransiza era rimasta in cucina, mentre Madeleine era in camera a cullare sua figlia per il riposino pomeridiano. Con il ticchettio dell’orologio da taschino di sottofondo, la giovane cantava la ninna nanna di sua madre stringendo dolcemente Yannez tra le braccia. All’inizio la bambina fece resistenza, cercava di liberarsi dalla coperta che l’avvolgeva e voleva afferrare a tutti i costi il ciondolo di sua madre.
-Sei proprio una curiosona, eh Yannez?- scherzava sua madre. Visto che le canzoni non funzionavano, Madeleine tentò con fiabe e racconti, e finalmente riuscì a far addormentare sua figlia. Le diede un bacio in fronte e la sistemò delicatamente in culla, quindi uscì dalla stanza e raggiunse Fransiza in cucina.
-Sbaglio o in questi giorni ci mette più tempo ad addormentarsi?- chiese la donna.
-In effetti è già da un po’ che ha il sonno agitato, ma spero che qualche fiaba l’aiuti a tranquillizzarla- rispose la ragazza.
-Dovresti provare con la leggenda di Ys. Qui tutti la sanno a memoria.-
-Non credo che una tragedia dai risvolti religiosi sia molto adatta a una bambina di tre mesi...-
-Non è mai troppo presto per imparare la retta via, Marie.-
La ragazza prese una brocca d’acqua e riempì un bicchiere, e solo allora notò che la donna stava lavorando a un impasto. Incuriosita, le chiese cosa stesse preparando.
-Giusto qualche biscotto, niente di complicato. Puoi prendermi la cannella, per favore? È nel ripiano in alto, a sinistra- disse Fransiza.
Madeleine andò a cercare nella credenza, ma il barattolo della spezia era completamente vuoto.
Fransiza si batté una mano sulla fronte, quindi si tolse il grembiule e si diresse alla porta: -Vado un secondo dalla vicina a farmene prestare un po’, intanto potresti continuare a mischiare l’impasto?- chiese, e quando Madeleine le diede una risposta affermativa uscì e richiuse la porta dietro di sé.
La ragazza iniziò a mescolare l’impasto, ma dopo pochi minuti la porta si aprì di nuovo e si chiuse velocemente. Alzò lo sguardo per dire qualcosa, ma le parole le morirono in gola: un lungo brivido di terrore le percorse la schiena, quando vide che la persona appena entrata non era Fransiza.
-Quanto tempo, Madeleine...- disse Thérèse Beauchesne con una smorfia.
 
In quell’istante, il peggiore incubo di Madeleine era diventato realtà: non aveva idea di come avesse fatto a trovarla, ma ora la Templare era di fronte a lei. E certamente non aveva buone intenzioni.
-Non sei contenta di vedermi, mia piccola Madeleine? Io sì, sono davvero felice di rivederti- disse la donna. Aveva detto queste parole col sorriso sulle labbra, ma i suoi occhi erano pieni di odio.
La ragazza era pietrificata dall’orrore e non disse nulla. Pregò con tutto il cuore che Fransiza o Briag rientrassero il prima possibile, e nel frattempo la Templare continuava a parlare: -Sei stata davvero brava a nasconderti per così tanto tempo. E io che ti credevo una persona fidata. Invece no, mi hai tradito. Hai sputato nel piatto che ti ha sfamato per tutti questi anni... per cosa, Madeleine? Cosa ti ha promesso quel lurido Assassino?-
Per la prima volta, in quel momento carico di tensione, Madeleine aprì bocca: -Cos’è successo?- domandò tremando appena.
Thérèse fece un paio di passi nella sua direzione e cominciò a raccontare: -È passato quasi un anno, già. Un anno da quello che doveva essere il piano perfetto per liberarci una volta per tutte di Dorian. Era tutto pronto: i nostri agenti schierati al loro posto in attesa del nostro segnale; io e Gauthier con le pistole in pugno, nascosti ad aspettare che gli Assassini arrivassero. Era tutto perfetto, sarebbe bastato un colpo solo a Dorian per diventare Gran Maestra, ma poi successe qualcosa.-
-Fu un massacro: sembrava che centinaia di Assassini si fossero nascosti in tutti gli anfratti delle Tuileries, apparvero così all’improvviso che ci colsero impreparati. E poi il colpo di grazia: qualcuno aveva nascosto un barile di polvere da sparo nella nostra postazione e gli sparò. Puoi immaginare benissimo cosa successe: io riuscii a salvarmi per miracolo, anche se venni colpita dalle fiamme, ma Gauthier... non sopravvisse all’attacco.-
Il volto della Templare era contorto dalla rabbia, mentre si slacciava alcuni bottoni della camicia per mostrare i segni delle ustioni sulla parte sinistra del torso: -Il mio Gauthier, l’amore della mia vita, è morto fra le mie braccia, dopo che ero riuscita miracolosamente a portarlo in un luogo sicuro. Ed è solo colpa tua, Madeleine.-
La Templare le tirò all’improvviso uno schiaffo in pieno volto, talmente violento che Madeleine finì a terra. La guancia le bruciava e gli occhi cominciarono a lacrimare dal dolore, ma la donna le si avvicinò di nuovo. La prese per il colletto della camicia e la tirò a sé fino a pochi centimetri dal volto: -Sono stata mesi nascosta a Lione, per guarire e per sfuggire alla caccia degli Assassini. E, guarda un po’, non ti ho trovato lì come invece ti avevo ordinato. E allora ho cominciato a pensare a te, a ciò che mi avevi detto a Versailles, e alloro ho capito. Tu, piccola, ingrata Madeleine, mi avevi tradito- e, con forza inaspettata, sbatté la ragazza contro la gamba del tavolo.
Madeleine tratteneva a stento gemiti di dolore, mentre ormai le lacrime le scendevano dalle guance. Pregò con tutte le sue forze, in silenzio, che qualcuno o qualcosa fermasse la furia della Templare. Temeva che la Beauchesne volesse colpirla ancora, invece si allontanò di un paio di metri e, con grande orrore da parte della ragazza, estrasse una pistola da dietro la schiena.
-Geneviève è stata così gentile da raccontarmi come hai fatto a sapere del piano, dopo aver fatto una bella “chiacchierata” insieme- disse Thérèse con un sorriso crudele, mentre puntava la pistola contro la ragazza.
-Inutile dirti che, dopo aver spifferato tutto, ha pagato per il suo tradimento. Ma potrai chiederglielo tu stessa, all’Inferno!-
-E tu chi diamine sei?- disse una voce all’improvviso.
 
Fransiza era rientrata in quel preciso istante a casa sua e si ritrovò davanti a una scena inconcepibile: una sconosciuta, armata, che minacciava una ragazza innocente.
-Non so chi voi siate, ma vi ordino immediatamente di uscire da casa mia, se non volete...-
Fransiza non riuscì a terminare la frase: la Templare cambiò subito il bersaglio, puntò la pistola nella sua direzione e sparò.
La bretone, fortunatamente, riuscì a evitare il colpo, abbassandosi e indietreggiando oltre la soglia di casa. Cadde a terra, tra lo stupore dei passanti, e con un’espressione sconvolta in viso.
Madeleine era ancora scossa dalla storia che le aveva raccontato Thérèse e il terrore si era ormai impadronito di lei. E in quel momento la Templare fece una cosa ancora più terrificante: non appena Fransiza era caduta in strada, la donna sbatté la porta di casa e la chiuse a chiave. Adesso nessuno avrebbe potuto entrare o uscire.
-Dunque, dove eravamo rimaste? Sai, detesto quando vengo interrotta...- disse Thérèse giocherellando con la pistola, ma proprio allora si sentì un altro rumore: un pianto infantile proveniente dal piano superiore.
Madeleine spalancò gli occhi, rendendosi conto che Yannez si era svegliata a causa della Templare. E che ora era in pericolo anche lei.
Senza neanche pensarci, la giovane afferrò il primo oggetto che trovò sul tavolo e lo scagliò contro la sua ex padrona. Fortuna volle che fosse un mattarello, ma non fece caso se colpì effettivamente  la donna; corse immediatamente su per la scala con un unico pensiero in testa: doveva portare sua figlia via da lì.
Nel frattempo Fransiza tentò in tutti i modi di aprire la porta, ma era chiusa dall'interno. Batté con forza sul legno, e la sua rabbia si tramutò in disperazione non appena sentì il pianto della bambina da una finestra aperta. Cominciò a gridare, attirando l'attenzione dei passanti: -Aiuto, vi prego! C'è una pazza che vuole fare del male a Marie! Vi prego, c'è anche una bambina!! Mio Dio, qualcuno le aiuti!!!-
 
Madeleine corse più velocemente possibile, nonostante sentisse ancora il dolore per le percosse subite. Doveva muoversi in fretta, doveva portare Yannez al sicuro.
Corse in camera sua, dove vide sua figlia nella culla che piangeva e agitava per aria mani e piedi.
-Sono qui, Yannez! La mamma è qui- disse la giovane, prendendola fra le braccia. La bambina smise di agitarsi ma continuava a piangere, e guardava sua madre come a volerle chiedere cosa stesse succedendo.
A Madeleine piangeva il cuore nel vedere sua figlia così, ma ora doveva lasciare l'edificio. Si girò per uscire dalla camera ma si bloccò di colpo: davanti alla porta, sempre con la pistola in mano, stava madame Beauchesne. Sparò un colpo, ma la ragazza riuscì a evitarlo buttandosi a terra. La Templare avanzò nella stanza, torreggiando sulla giovane e facendola indietreggiare fino a un muro. Madeleine si guardò intorno, ma era bloccata nell'angolo tra due muri, accovacciata e con sua figlia tra le braccia.
Era in trappola.
Thérèse era ormai a un paio di metri da lei e osservava con stupore la bambina. Il suo sguardo passò da Madeleine alla lattante un paio di volte, poi parlò con acidità: -Hai avuto pure il coraggio di fare uno sgorbietto? E chi è l'idiota che ti ha...-
Si bloccò di colpo, come se stesse facendo dei calcoli mentali, finché non arrivò a una conclusione: -Dorian?!- esclamò esterrefatta.
Madeleine non replicò, ma la Templare aveva ragione: Yannez era la figlia di Arno. Glielo ricordava ogni giorno quando la guardava negli occhi, gli stessi occhi da cerbiatto di suo padre.
La Beauchesne fece una smorfia di disgusto: -Lo sapevo che in fondo eri una puttana. Vorrà dire che mi dovrò occupare anche di lei...-
-No, vi prego! Lei non c’entra nulla!- implorò la ragazza mentre stringeva ancora di più sua figlia, quasi a volerla nascondere agli occhi della Templare.
Thérèse la guardò con cinismo e un sorriso crudele le apparve sulle labbra: -Oh, tranquilla. Io e il tuo sgorbietto ci divertiremo molto insieme: potrei lanciarla dalla finestra, camminarci sopra, oppure gettarla direttamente nel caminetto! Quante belle idee che mi stanno venendo!-
Madeleine scoppiò a piangere, atterrita dalle sue parole: -NO! No, vi prego! Vi prego...-
La Templare la guardò con odio e puntò per la terza volta la pistola: -Addio, Madeleine.-
La giovane chinò la testa, ormai certa che quella sarebbe stata la sua fine. Guardò con amarezza sua figlia e i suoi occhi color cioccolato pieni di lacrime. Abbassò le palpebre e le diede un bacio in fronte: -Mi dispiace, Yannez- sussurrò tra i singhiozzi.
Thérèse prese la mira e, con un ghigno malvagio, sparò.
L’eco del colpo si sentì fino in strada, e Fransiza gridò tutto il suo dolore mentre batteva inutilmente le mani sulla porta.
 
Madeleine sobbalzò al frastuono dello sparo. Yannez piangeva ancora più forte, ma notò subito qualcosa di strano: il proiettile non l’aveva colpita.
Lentamente, la giovane volse la testa in direzione della Templare e rimase scioccata da ciò che vide: Thérèse Beauchesne era immobile, con un’espressione sorpresa sul viso. Aveva gli occhi strabuzzanti e la bocca spalancata in un grido muto.
Una mano inguantata premeva con forza sul collo della donna, dal quale colava una lunga scia di sangue scuro che tingeva di scarlatto la sua camicia. Un’altra mano, invece, teneva saldamente il polso che reggeva la pistola, che ora puntava il soffitto; sulla superficie era ben visibile il foro del proiettile destinato a lei.
Gli occhi della Templare erano fissi sulla ragazza, e dopo un ultimo rantolo la donna cadde a terra senza vita. Dietro di lei, subito dopo aver ritratto la lama, stava un uomo incappucciato e col fiatone: indossava una giacca blu con finimenti su polsini e spalle, e al suo fianco teneva una meravigliosa spada dalla foggia antica. Alzò la testa verso la bretone, e Madeleine riconobbe gli occhi color cioccolato che la stavano guardando con preoccupazione: -Arno...- sussurrò tremando.
L’Assassino scavalcò il corpo della Templare e si accovacciò al suo fianco. Il suo volto appariva sempre più preoccupato mentre diceva qualcosa, ma la ragazza non sentì nemmeno una parola: tutta la tensione accumulata in quei drammatici minuti avevano messo a dura prova la sua tempra. La paura per la morte incombente, il pericolo che avevano corso lei e sua figlia, e ora il ritorno dell’uomo che amava. Troppe emozioni tutte insieme: con le ultime forze rimaste, Madeleine strinse sua figlia al petto, mentre sveniva tra le braccia di Arno.
 
*****
Era successo tutto troppo in fretta.
Arno era arrivato il più velocemente possibile al villaggio di Lanévry, dopo aver saputo che era la destinazione della Beauchesne. Una volta giunto in paese ne aveva perso le tracce, ma all’improvviso le urla di una donna avevano attirato la sua attenzione.
Corse seguendo la gente in strada, e vide una donna di mezz’età battere con foga contro una porta. Attivò l’occhio dell’aquila e, attraverso i muri di granito, vide una figura dall’aura rossastra inseguire qualcuno lungo una scala. Doveva agire subito, o la povera vittima sarebbe di sicuro morta.
Notò una finestra aperta al piano superiore e, senza perdere un secondo, cominciò a scalare il muro per raggiungerla. Non fece caso ai passanti che lo osservavano con incredulità e in pochi attimi si ritrovò all’interno della casa. Udì le urla disperate di una ragazza e corse velocemente oltre il corridoio, raggiungendo in poco tempo la stanza dove si trovava.
Scoprì che l’aggressore era niente di meno che Thérèse Beauchesne e vide che stava minacciando la sua vittima con una pistola. Agì d’istinto: la raggiunse da dietro, afferrò la sua mano e la puntò verso l’alto, sparando al soffitto; contemporaneamente estrasse la lama nascosta e colpì al collo la donna, non lasciandole alcuna via di scampo.
Nel limbo delle sue memorie, Arno vide i ricordi della Templare: lei che piangeva sul corpo di Marchand e il suo giuramento di vendetta. Le torture che aveva inflitto alla povera Geneviève e la confessione che le aveva estorto. I suoi viaggi in incognito, le informazioni di un suo agente e, infine, l’ingresso a Lanévry con un desiderio di morte nel cuore.
Ora che la Templare era morta, l’Assassino si girò verso la ragazza ed ebbe un tuffo al cuore: davanti a lui, ancora sotto shock, stava Madeleine.
Arno tirò un sospiro di sollievo, ringraziando il cielo di essere arrivato in tempo per salvarla.
Si avvicinò alla giovane e tentò di chiederle come stava, ma la bretone svenne tra le sue braccia. Guardò il volto sofferente di Madeleine, ora senza conoscenza, e non poté evitare di vedere la bambina che stringeva a sé.
La ragazza aveva conosciuto un altro? Si era sposata? L’Assassino studiò velocemente la camera, ma non vide nulla che facesse intuire la presenza di un uomo.
Scosse la testa: non era il momento di farsi quelle domande. Ora doveva pensare a Madeleine, alla piccola e alla povera donna che stava fuori dall’edificio.
Con delicatezza, Arno spostò la mano della ragazza e prese in braccio la bambina per metterla nella culla.
-Torno subito, petite, vado ad aiutare la tua mamma- disse in tono calmo alla bambina, che continuava a piangere. Ritornò quindi da Madeleine e, sempre con cautela, la prese in braccio; percorse i pochi metri che separavano l’angolo del muro dal letto e vi appoggiò la bretone. Le tolse le scarpe e accomodò meglio la ragazza, poi la osservò per vedere se c’erano eventuali ferite, ma a parte un segno rosso sul viso non aveva altro.
Il suo volto si intenerì al rivedere la giovane: dopo un anno dalla sua scomparsa e innumerevoli ricerche, la donna che amava era davanti ai suoi occhi. Avrebbe preferito rivederla in un’occasione meno drammatica, e se non fosse stato per il suo intervento sarebbe sicuramente morta; se ciò fosse successo, non se lo sarebbe mai perdonato.
Le sfiorò il volto con dolcezza, spostandole una ciocca di capelli dal volto, e si chinò per darle un bacio in fronte: -Va tutto bene, mon ange. Vado a chiamare i rinforzi- sussurrò.
Il pianto di Yannez lo riportò alla realtà. Arno si avvicinò di nuovo alla culla e prese nuovamente in braccio la bambina e, dopo aver dato un ultimo sguardo d’odio al cadavere della Templare, uscì dalla stanza e scese le scale il più velocemente possibile.
Durante il tragitto cercò di calmare la piccola, mormorandole parole di conforto e massaggiandole la schiena: Yannez non smise di piangere, ma almeno non si agitava più tra le braccia dell’Assassino.
Arrivò finalmente alla porta d’ingresso e girò la chiave ancora nella serratura: fece appena in tempo a spostarsi dall’apertura, altrimenti la donna che aveva visto prima in strada lo avrebbe travolto.
 
Non appena vide la porta aprirsi, la donna corse dentro casa sua. Aveva le lacrime agli occhi e continuava a chiamare una persona: -Marie! Marie!- gridava disperata.
Arno rimase confuso: perché chiamava Madeleine con un altro nome? Non fece in tempo a fermarla che un’altra voce attirò la sua attenzione: -Dov’è Marie?-
L’Assassino si girò verso il proprietario di quella voce baritonale e davanti a sé vide un uomo robusto con capelli e barba brizzolati. Aveva un’espressione a metà fra lo spaventato e il furioso, e dava l’impressione di poter decapitare a mani nude un uomo. In poche parole, sembrava qualcuno a cui era meglio non fare un torto.
Arno vide che guardava con apprensione la lattante, quindi gliela porse e rispose: -La ragazza sta bene, è viva ma svenuta. Serve un dottore per lei, e...-
Venne interrotto da un urlo di donna proveniente dal piano superiore.
-E un becchino per la pazza- concluse.
 
---------------------------------------
La canzone presente in questo capitolo s’intitola “Fransozig” e a questo link potete ascoltare la versione del gruppo bretone Tri Yann: https://www.youtube.com/watch?v=XtlJKHIBWzE
Qualche informazione sulle madeleine: https://it.wikipedia.org/wiki/Madeleine_(gastronomia)
Qualche informazione su Ys: https://it.wikipedia.org/wiki/Ys_(isola)

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Yannez ***


La gente accorsa davanti alla casa dei Jézéquel non poteva credere a ciò che era successo: chi era la donna che aveva aggredito Marie? E chi era l’uomo che l’aveva fermata?
Ognuno esprimeva la propria ipotesi, quando finalmente arrivò il dottore seguito dal becchino e due suoi assistenti. Si fecero largo tra la folla di curiosi ed entrarono nell’edificio, e dopo pochi minuti il becchino uscì, sempre con i suoi aiutanti al seguito, trasportando il corpo della pazza coperto da un telo. Nessuno di loro rispose alle domande dei presenti, che chiedevano a gran voce chi fosse quella donna.
Soltanto una persona sembrava conoscere la verità, e quella persona era seduta a un tavolo proprio in quella casa. Ed era decisamente nervosa.
 
Quand’erano arrivati il dottore e il becchino, Arno aveva provato a seguirli nella stanza dov’era accaduto il misfatto, ma Briag l’aveva fermato subito.
-Stai seduto lì, io torno subito- gli aveva detto indicando una sedia. Aveva pronunciato quelle parole in tono calmo, ma i suoi occhi dicevano tutt’altra cosa: “Non osare muoverti. Io e te dobbiamo fare una bella chiacchierata”.
E ora, dopo che il cadavere della Templare era stato portato via, l’Assassino era ancora seduto al tavolo della cucina. Aspettava con pazienza il ritorno dell’uomo, anche se cominciava a sentirsi nervoso per tutta quell’attesa.
Dopo circa un quarto d’ora trascorso ad osservare la stanza, Arno udì un piagnucolio sommesso e dei passi pesanti. Alzò lo sguardo verso le scale e vide che l’uomo di prima stava scendendo i gradini con la bambina in braccio.
-Pensavo di non dover più cambiare pannolini, alla mia età...- borbottò, intanto che si sedeva di fronte ad Arno.
Sistemò meglio la bambina, accomodandola sulla gamba, quindi parlò nuovamente: -Io sono Briag Jézéquel. Mia moglie Fransiza sta aiutando il dottore, nel frattempo noi due faremo qualche chiacchiera. Ti sta bene?-
Ad Arno non piacque il fatto che quell’uomo gli si rivolgesse come se fosse stato un bambino di cinque anni, ma annuì in modo convinto; non si sarebbe certo fatto mettere i piedi in testa...
Briag spostò la lattante sull’altra gamba e riprese il discorso: -Innanzi tutto, chi sei e da dove arrivi?-
-Mi chiamo Arno Dorian, vengo da Parigi e gradirei che non mi faceste un interrogatorio- rispose l’Assassino con lo sguardo corrucciato.
Il vecchio bretone sostenne il suo sguardo di sfida, ma inaspettatamente gli apparve un lieve sorriso in volto: -Sei un tipo deciso. Mi piace.-
L’atmosfera si fece subito più rilassata e Briag riprese il discorso in tono più bendisposto: -Dunque, Arno, posso chiamarti Arno? Puoi dirmi chi era la donna che ha tentato di uccidere Marie?-
L’Assassino fece un cenno d’assenso alla prima richiesta dell’uomo, quindi rispose: -Si chiamava Thérèse Beauchesne ed era la sua ex padrona. Diciamo che faceva parte di un’associazione segreta con obiettivi sovversivi, al pari dei giacobini.-
Briag fece una smorfia nel sentire l’ultima parola: -Meglio così. Certa gente non merita di stare al mondo- commentò fra sé e sé.
Arno sorrise appena, ma quando Briag stava per fargli un’altra domanda la bambina riprese a piangere. Il bretone si alzò dalla sedia e appoggiò la piccola sulla spalla, facendola sobbalzare leggermente e mormorandole parole di conforto.
-Diamine, ho lasciato l’orologio nella stanza...- borbottò innervosito.
Arno sollevò un sopracciglio, incuriosito: -Orologio?-
Briag annuì e spiegò: -Sua madre lo usa per farla addormentare, pare che il ticchettio la calmi.-
-Se volete, io ne ho uno con me- propose l’Assassino, infilando una mano all’interno della giacca ed estraendo l’orologio che era appartenuto a suo padre.
Lo tese all’uomo in modo che potesse usarlo, ma Briag non lo prese. Invece rimase a guardare Arno con uno sguardo concentrato, come se all’improvviso gli fosse venuta una strana idea: con due ampie falcate raggiunse l’Assassino e, cogliendolo di sorpresa, gli mise in braccio la bambina.
 
-Ma che...?- stava dicendo Arno, ma venne interrotto da un mugolio della lattante.
Guardò sconcertato il bretone, che continuava ad osservare alternativamente lui e l’orologio che teneva in mano. E Arno capì cosa doveva fare: seppur perplesso dall’idea balzana dell’uomo, l’Assassino sistemò la bambina su una gamba, in modo che poggiasse la schiena contro il suo addome, e accostò l’orologio vicino al suo piccolo orecchio in modo che potesse sentirlo ma senza risultare troppo forte. E con sua grande sorpresa, dopo un paio di minuti, la bambina si calmò.
Arno si ritrovò a sorridere, mentre guardava la lattante che teneva in grembo: la piccola cercava di afferrargli i guanti e i polsini, osservando con curiosità quelle cose misteriose. L’Assassino la spostò appena di lato, estrasse dalla tasca un fazzoletto e tamponò con delicatezza le guance della bambina per asciugarle i segni delle lacrime precedenti.
Chiese quale fosse il suo nome, al che Briag rispose: -Si chiama Yannez.-
Arno si sporse leggermente, in modo da poter vedere la piccola in volto, e le parlò dolcemente: -Ciao Yannez. Io mi chiamo Arno e sono un amico della tua mamma.-
Yannez lo osservò con uno sguardo intenso, poi agitò il braccio ed emise un versetto allegro.
-Conosci Marie?- chiese Briag, mentre teneva d’occhio i movimenti dell’uomo.
L’Assassino sistemò nuovamente la lattante contro l’addome, quindi rispose: -Il suo vero nome è Madeleine Caradec. L’ho conosciuta a Parigi all’inizio dell’anno scorso, cercava lavoro e l’ho aiutata a trovarne uno onesto. Non avevo idea della sua missione, ma col tempo ci siamo conosciuti meglio e... siamo diventati buoni amici.-
Briag ascoltava con interesse, ma all’ultima frase assunse un’espressione scettica: -”Buoni amici”?- ripeté con una punta di sarcasmo.
Arno rimase turbato da quel comportamento, quindi Briag alzò gli occhi al cielo: -Lei ci ha accennato a quello che è successo a Parigi. Ci ha detto di aver incontrato un uomo e di essersene innamorata, ma poi è successo quello che è successo, grazie alla sua padrona pazza. Immagino che la “vittima” del piano di quella lì eri tu, giusto?-
L’Assassino sospirò: -D’accordo. Abbiamo avuto una relazione ma poi, circa un anno fa, lei sparì apparentemente senza motivo. Mi aveva lasciato una lettera con un avvertimento del piano per eliminarmi. Ed ora eccomi qui.-
Il bretone tacque per qualche secondo, rimuginando su ciò che aveva udito. Aprì la bocca per fargli un’altra domanda, ma in quel momento Yannez cominciò ad agitarsi.
 
-Che succede, petite?- chiese Arno, rivolgendosi direttamente alla bambina. Yannez aveva smesso di mangiucchiargli il pollice e ora guardava verso l’alto, agitando nel frattempo le mani nella stessa direzione.
-Vuole vederti in faccia- spiegò il bretone.
-In... faccia?- chiese Arno perplesso.
Briag annuì e gli fece segno di mettere la bambina sul tavolo, in modo che stesse seduta sul bordo. Gli raccomandò di sostenerla dietro la testa per farla stare dritta, quindi si posizionò di fianco all'Assassino per tenerlo d’occhio.
Arno era sempre più perplesso: si sentiva come un animale selvatico sotto osservazione da parte di qualche strano scienziato, in attesa di chissà quale fenomeno.
Decise di stare al gioco, pertanto si mise a sua volta a studiare la bambina: ora che la vedeva bene in volto, notò i capelli della stessa sfumatura di quelli di Madeleine, le sopracciglia sottili e gli occhi scuri e attenti. Si intenerì alla vista delle guance paffute e di un ricciolo ribelle che spuntava dal lato della testa, poi spostò lo sguardo su una manina che si stava avvicinando al suo viso. E poi, inaspettatamente, Yannez sbatté la mano sul suo naso.
-Ahia!- esclamò Arno, colto di sorpresa. Yannez emise un versetto divertito, come se stesse provando a ridere.
-Sì, quello è il mio naso- borbottò l'Assassino, ma non riuscì a trattenere un sorriso sulle labbra. Yannez spalancò gli occhi, poi spostò la mano verso destra fino a fermarsi sulla cicatrice sotto il suo occhio sinistro.
In quel momento Arno sentì una strana sensazione al petto: un tiepido calore, un senso di pace e tranquillità, tenerezza. Provò un inspiegabile sentimento di protezione verso quella piccina, anche se la conosceva da cinque minuti.
 
Mentre Arno giocava con Yannez, che ora stava tentando di afferrargli un dito, Briag osservava con attenzione l'interazione tra i due. Yannez non era una bambina timida, eppure era la prima volta che la vedeva così incuriosita da uno sconosciuto. Gli venne in mente una frase che sua madre ripeteva spesso, quando si sentiva malinconica: "Ha gli occhi di suo padre". E ora che aveva conosciuto Arno e aveva ascoltato la sua versione della storia, e aveva visto entrambi insieme, una strana ipotesi cominciò a solleticargli la mente.
Tutto a un tratto si udirono dei passi provenire dal piano superiore. Arno e Briag si volsero verso la scala e poco dopo il dottore e Fransiza li raggiunsero al piano terra. Il primo aveva un'espressione serena: -La ragazza sta bene, ha subito un forte shock ma non presenta ferite. Ha bisogno di tempo per riprendersi, se sorgessero altri problemi non esitate a chiamarmi- disse, quindi salutò i presenti e uscì dall'edificio.
Fransiza si lasciò scappare un lungo sospiro, ma quando stava per parlare si bloccò di colpo: solo in quel momento, infatti, aveva notato Arno che teneva in braccio la bambina.
-Briag?- disse al marito. Il tono indispettito e l'espressione corrucciata, però, significavano un'altra domanda: "Cosa diamine ci fa quello sconosciuto con in braccio Yannez?!".
Purtroppo per Arno, l'uomo le rispose in bretone; a quelle parole Fransiza spalancò gli occhi incredula, e continuò a interrogare il marito nella propria lingua. I due coniugi andarono avanti per qualche minuto, e dalle loro occhiate fugaci capì che stavano parlando di lui. E la cosa non gli piacque per niente.
Fece un lieve colpo di tosse per attirare la loro attenzione, quindi si rivolse a loro: -Capisco che non vogliate che io sappia cosa state dicendo, ma non mi sembra cortese parlare di qualcuno quando il diretto interessato è qui presente- disse infastidito.
La coppia si zittì all’istante. Si scambiarono uno sguardo d’intesa, poi Fransiza si avvicinò ad Arno tendendo le mani verso la bambina: -È l’ora della poppata- disse semplicemente.
L’Assassino lasciò che la donna prendesse la piccina in braccio, anche se Yannez non voleva lasciare il suo dito. Fransiza rassicurò la lattante, quindi salutò Arno e salì le scale diretta alla stanza di Madeleine.
 
Arno capì che era arrivato il momento di andarsene, anche se avrebbe voluto vedere Madeleine. Chiese a Briag un pezzo di carta, una penna e dell’inchiostro, e una volta ottenuto tutto il necessario scrisse un biglietto destinato alla giovane.
-Glielo potete dare quando si sarà ripresa?- domandò all’uomo, che accettò la sua richiesta.
-Hai un alloggio?- gli chiese a sua volta Briag. L’Assassino scosse la testa, per cui Briag lo accompagnò fuori dalla porta, percorsero poche decine di metri e si ritrovarono davanti a un grande edificio. Era su due piani e sopra la porta svettava una vecchia insegna lignea che rappresentava un cinghiale con alcune mele davanti alle sue zampe.
-Questo è il “Cinghiale d’oro”, la migliore locanda del villaggio. Vieni, ti offro un po’ di sidro- propose l’uomo.
La locanda era affollata di gente intenta a chiacchierare, ma non appena entrarono i due uomini calò un silenzio di tomba. Arno capì che era dovuto alla sua presenza: notò gli sguardi curiosi della maggioranza dei presenti, mentre alcuni lo guardavano con diffidenza.
Briag ci mise poco a rassicurarli: -Animo, gente! È l’uomo che ha salvato Marie e la bambina!-
L’effetto fu immediato: dopo uno scambio di saluti con i tavoli più vicini, gli avventori ripresero a chiacchierare fra di loro, come se avessero perso interesse per lo straniero accompagnato da Briag.
-Sbaglio, o siete un uomo importante qui?- chiese l’Assassino, stupito. Intanto avevano raggiunto il bancone e Briag aveva ordinato due boules di sidro.
-Diciamo che ho una certa autorevolezza. La mia famiglia era già rispettata in passato, e durante la Rivoluzione ho aiutato parecchia gente. Non mi considero così importante, ma qui le persone difficilmente dimenticano un favore o un’offesa- spiegò.
Le boules di sidro vennero servite da un uomo calvo sulla sessantina, ma che portava folti baffi rossicci. Indossava un ampio grembiule e Arno intuì che fosse il proprietario della locanda.
Briag salutò l’uomo con energia: -Gurwal! Avevo proprio bisogno di te, vecchia volpe!-
Il locandiere ricambiò il saluto: -Ehilà Briag! Come stanno la ragazza e la piccola?-
-Per fortuna bene. Ed è grazie a lui se oggi non piangiamo due vittime innocenti- disse mettendo una mano sulla spalla all’Assassino.
-Ha bisogno di un alloggio, per caso hai una camera libera?- continuò Briag.
-Sicuro! Dico subito a mia moglie di prepararne una- rispose l’oste, quindi si allontanò dal bancone per andare sul retro.
Arno afferrò la sua boule e fece roteare il liquido dorato al suo interno; bevve un sorso e fece schioccare un paio di volte le labbra per tastare meglio il sapore del sidro. Non era la prima volta che lo beveva, visto che Lozach riusciva sempre a procurarsi in qualche modo una bottiglia, ma non gli dispiaceva il sapore leggero e dolciastro e la sensazione di frizzante che lasciava in fondo alla gola.
 
Ormai stava giungendo la sera, e dopo un altro paio di bicchieri di sidro Briag si alzò per andarsene. Arno gli raccomandò il biglietto che aveva lasciato per Madeleine, al che il bretone gli rispose di non preoccuparsi. Lo invitò addirittura a casa sua l’indomani mattina, in modo da poter sapere come stava Madeleine.
L’Assassino lo ringraziò di nuovo e lo salutò, quindi lasciò il posto al bancone e seguì il locandiere verso quella che sarebbe stata la sua stanza per la notte: era arredata in modo spartano, ma almeno il letto sembrava comodo. Pagò l’oste per la stanza e per la colazione il mattino seguente, e il vecchio Gurwal se ne andò soddisfatto.
Finalmente solo, Arno si slacciò gli stivali e li sistemò sotto la finestra; si tolse la giacca, le armi e i guanti e li appoggiò sull’unica sedia e il piccolo tavolo presenti nella camera; infine, rimasto in camicia e in pantaloni, riempì un catino con dell’acqua e si sciacquò il volto stanco, quindi si sdraiò sul letto.
Esalò un lungo sospiro, ripensando a quella giornata così intensa e ricca di avvenimenti. Ancora non riusciva a decidere quale episodio l’aveva sbalordito di più: ritrovare Madeleine dopo così tanto tempo, salvarla in extremis dalla vendetta della Beauchesne oppure scoprire che aveva una figlia. Sperava soltanto di poterle parlare, ma questo sarebbe dipeso soltanto da lei.
 
*****
Briag rientrò in casa sua proprio mentre Fransiza stava scendendo le scale con Yannez in braccio.
-Dov’eri finito?- chiese la donna.
-Ho solo portato Arno al “Cinghiale d’oro”- rispose suo marito.
-Ah, siamo già a questi livelli? Lo conosci solo da poche ore e siete già in confidenza?- ribatté lei.
Il bretone rimase turbato da quella frase: -Perché sei così ostile? Mi ha raccontato parecchie cose, come per esempio che Marie non si chiama in realtà così.-
Briag raccontò in breve ciò che gli aveva riferito l’Assassino, mentre Fransiza picchiettava delicatamente Yannez tra le scapole. La donna ascoltò con attenzione le parole di suo marito, ma sul suo volto rimase un’espressione preoccupata.
-Ascolta, Fransiza. Lo so che è successo tutto in fretta, ma sono certo che Arno abbia detto la verità. Rifletti: se avesse voluto fare del male a Madeleine o alla bambina, lo avrebbe fatto senza problemi- disse, cercando di convincerla.
La donna sospirò: -Non so, Briag. L’ho guardato solo una volta in faccia e non aveva occhi cattivi, ma ho come l’impressione che nasconda qualcosa. Non puoi certo dire che sia un uomo comune.-
-Dovremmo andare a controllare la ragazza. Non si è ancora ripresa?-
Ma prima che Fransiza potesse rispondere, Yannez si lasciò scappare un ruttino piuttosto sonoro.
I due coniugi rimasero spiazzati, poi Briag rise allegramente: -Però! Potrebbe rivaleggiare con gli avventori del “Cinghiale d'oro”!-
-Ti proibisco di verificare questa ipotesi.-
 
Madeleine si sentiva la testa pesante, ma con un grande sforzo riuscì ad aprire gli occhi. Si guardò intorno, disorientata: la luce del giorno era ormai debole, ma riconobbe la propria stanza.
Man mano che riprendeva conoscenza le ritornarono alla mente le immagini degli ultimi avvenimenti: l’espressione feroce della Templare, le lacrime sul volto di Yannez; e ultimo e più sorprendente, il viso preoccupato di Arno. Le sembrava di aver vissuto un sogno sconvolgente, ma il buco del proiettile sul soffitto e una chiazza opaca sul pavimento, dove c’era stato il sangue di madame Beauchesne, la convinsero che era tutto vero.
All’improvviso un pensiero allarmante le venne in mente: cos’era successo dopo l’arrivo dell’Assassino? E dov’era Yannez?
Per fortuna, almeno la seconda domanda ebbe subito risposta: la porta della sua stanza si aprì lentamente e Fransiza fece capolino dalla soglia; tirò un sospiro di sollievo ed entrò insieme al marito, reggendo tra le braccia la bambina.
-Oh, ti sei svegliata! Come stai, cara?- chiese Fransiza, porgendole nel frattempo sua figlia.
Madeleine prese Yannez e controllò che stesse bene, e una volta certa delle sue condizioni le diede un bacio sulla guancia e l’appoggiò al petto.
-Sto meglio, anche se ho avuto molta paura. Cos’è successo?- domandò la giovane.
Fu Briag a rispondere: -Sei stata visitata dal dottore e il becchino ha portato via il corpo della donna che ti ha aggredito. Fransiza si è presa cura di te, mentre io ho parlato con l’uomo che ti ha salvato. E mi ha detto un po’ di cose sul vostro rapporto... Madeleine.-
La ragazza sussultò all’udire il proprio nome. Strinse istintivamente la figlia in braccio, ma i volti dei due bretoni non presentavano segni di rabbia.
Fransiza avvicinò una sedia al fianco della ragazza, vi si sedette e mise una mano sulla sua spalla per rassicurarla: -Sta tranquilla, cara. Immaginavamo che Marie Dubois non fosse il tuo vero nome, e dopo quello che è successo oggi abbiamo capito il perché della tua scelta. Ciò che ci importa è che tu e Yannez stiate bene e che quella donna non vi farà più del male.-
La giovane abbassò lo sguardo: -Mi dispiace di avervi mentito- disse desolata.
Anche Briag si avvicinò al fianco del letto: -Avevi paura e lo capiamo, Madeleine. È stato Arno a dirmelo.-
-Arno? È qui? È ancora qui?- chiese, mentre le sue guance arrossivano appena.
Briag sorrise: -Sì, ha preso una camera alla locanda. E mi ha chiesto di darti questo- rispose, poi le consegnò il biglietto scritto dall’Assassino. La ragazza lo tenne in mano, indecisa se leggerlo subito o dopo, ma decise di aspettare e perciò lo appoggiò sul comodino.
Fransiza riprese il discorso: -Ascolta, Madeleine. Briag mi ha riferito ciò che gli ha detto quel giovane, ma io ho come l’impressione che non ci abbia detto qualcosa di importante. È qualcosa di segreto o puoi dircelo?-
La giovane guardò la coppia, titubante. Non poteva rivelare la verità su chi era veramente Arno, ma almeno accennare qualche dettaglio: -Diciamo che fa parte di un gruppo segreto che combatte contro un altro gruppo segreto, di cui faceva parte la mia ex padrona. È un conflitto che attraversa il tempo e lo spazio, e che temo andrà avanti in eterno.-
Probabilmente non li aveva tranquillizzati affatto, ma almeno sapevano qualcosa di più sull’Assassino.
Briag sbuffò: -Società segrete di qua, altri gruppi di là... L’umanità trova sempre qualcosa per complicarsi la vita!-
 
I tre bretoni risero, ma ben presto i coniugi Jézéquel ritornarono seri. Briag riprese il discorso: -Madeleine, mi è parso di capire che fra te e Arno ci sia stato qualcosa di importante. Ho potuto osservarlo insieme a Yannez e... ho notato una certa somiglianza.-
Fransiza proseguì: -Ne abbiamo discusso e dobbiamo farti una domanda: Arno è il padre di Yannez?-
Madeleine si aspettava questa domanda. Abbassò il capo per osservare sua figlia. Le accarezzò i riccioli ramati e osservò i suoi occhi da cerbiatto: -Sì, Arno è il padre di Yannez- confermò.
Fransiza non riuscì a trattenere un sospiro: -E cosa farai, ora che lui è qui?-
La ragazza distolse lo sguardo, pensierosa. Il suo sguardo cadde sul biglietto dell’Assassino e si ricordò di non averlo ancora letto. Prese il pezzo di carta in mano e lo lesse:
 
Cara Madeleine, spero che quando leggerai queste parole ti senta meglio.
Lo so che dovrai ancora riprenderti da ciò che è successo e che ti starai facendo molte domande. Ma per adesso vorrei fartene una io: vorresti parlare con me, domani?
Posso capire se, dopo tutto quello che è successo, tu non voglia più avere a che fare con me. E rispetterò la tua scelta, qualunque essa sarà. Passerò domani mattina per la tua risposta.
Con affetto, Arno
 
La giovane provò diverse emozioni, dopo aver letto quel messaggio: possibile che Arno non fosse arrabbiato con lei? Ci teneva ancora al loro rapporto? E come avrebbe reagito al legame con Yannez?
Doveva essere rimasta in silenzio per parecchi minuti, perché a un certo punto udì un lieve colpo di tosse che la distolse dai suoi pensieri.
-Vuole parlare con me. Passerà domattina per sapere la risposta- spiegò lei.
Briag e Fransiza osservarono la ragazza e videro che era tesa. La donna fu la prima a intervenire: -Che cosa vuoi fare? Temi che possa essere una trappola?-
-No!– esclamò Madeleine –No, non mi farebbe del male, lo sento. Lo avrebbe fatto prima, altrimenti. Giusto?-
Briag osservò con aria soddisfatta sua moglie, come per dire “Visto, è quello che ho detto io”.
-Vuoi incontrarlo, quindi?- chiese di nuovo la donna.
Madeleine rimase in silenzio, ma in cuor suo sapeva già la risposta.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** La fine del viaggio ***


Arno si svegliò alle prime luci dell’alba, stuzzicato dal profumo di burro fuso che proveniva dalla cucina della locanda. Era abituato a colazioni molto semplici, di solito una tazza di caffè e dei biscotti, e quei profumi deliziosi di prima mattina gli provocarono dei sonori brontolii di stomaco. Ormai completamente sveglio, l’uomo si alzò e cominciò a prepararsi per la giornata: si lavò e si vestì, sistemò le armi in un posto sicuro e uscì dalla sua stanza per dirigersi al piano terra.
Si accomodò a un tavolo e venne salutato da una signora piuttosto robusta e dal viso giocondo. Intuì che si trattasse della moglie del locandiere, difatti la donna elencò le pietanze offerte per la colazione: formaggi locali con miele, frutta di stagione, torte e biscotti della casa. Arno rimase stupito da quell’abbondanza di scelte e decise di provare un paio di biscotti e una fetta di far breton, una torta molto cremosa e arricchita da una composta di mele aromatizzata con del rum.
Terminata la colazione, Arno ringraziò la locandiera e tornò in camera per prepararsi alla visita dai Jézéquel. Era inutile mentire a sé stesso: l’Assassino era nervoso per la risposta di Madeleine.
Non era più riuscito a vederla, dopo aver ucciso la Templare, e si augurò che si fosse ripresa. Avrebbe voluto parlarle, dirle quanto le fosse mancata da quando era scappata dal Café, ma temeva il suo diniego alla richiesta che le aveva fatto. Arno non riusciva ad immaginare come potesse essersi sentita la ragazza dopo la sua fuga da Parigi, ma probabilmente temeva di rivederlo. A quel pensiero l’uomo sentì una stretta al cuore, ma aveva giurato che avrebbe rispettato la sua decisione, qualunque essa fosse stata. Anche se ciò avrebbe significato non vederla mai più.
Diede un’occhiata alla finestra e vide i primi passanti riempire le strade del villaggio. Aspettare non sarebbe servito a nulla: dopo aver indossato la giacca e aver sistemato le armi, Arno lasciò la locanda e si incamminò verso la casa dei Jézéquel.
 
Arrivato davanti alla porta della casa dei due bretoni, Arno alzò la mano per bussare ma si fermò a mezz’aria. Fece un respiro profondo per calmarsi, ma il nervosismo non accennò a diminuire: e se i due coniugi gli avessero impedito di vedere Madeleine? Briag gli era sembrato un uomo ragionevole, ma la moglie gli era parsa ostile nei suoi confronti.
C’era solo un modo per scoprirlo: dopo un ultimo respiro profondo, l’Assassino bussò un paio di volte alla porta e aspettò. Trascorsero pochi secondi e la porta si aprì, rivelando il volto di Briag.
-Buongiorno, Arno. Prego, entra pure- salutò l’uomo, spostandosi dall’uscio per permettere all’Assassino di entrare.
-Buongiorno a voi, signor Jézéquel. E anche a voi, signora- rispose lui rivolgendosi ad entrambi. Fransiza, seduta vicino al tavolo, ricambiò con un cenno del capo, ma il suo viso non era più diffidente come il giorno prima.
Arno rimase in silenzio, in attesa che uno dei due dicesse qualcosa. Di nuovo ebbe la sensazione di sentirsi sotto osservazione, ed effettivamente la coppia lo stava guardando con interesse.
Dopo altri minuti passati senza dire una parola, l’Assassino si sentì la gola secca e spostò lo sguardo altrove, avvertendo un lieve imbarazzo. D’un tratto Briag ruppe il silenzio, rivolgendosi alla moglie: -Visto?-
La donna annuì con la testa senza mai perdere di vista l’Assassino.
-Che succede, ora?- chiese quest’ultimo, ormai spazientito da quello strano gioco.
Fransiza si alzò dalla sedia e rispose: -Volevamo vedere come avresti reagito. Sappiamo che vuoi vedere Madeleine, e volevamo capire quanto ci tenessi veramente.-
Briag intervenne: -Se ti fossi dimostrato aggressivo o violento, ti avremmo buttato fuori di casa. Ma visto che hai aspettato con pazienza, ora puoi vederla.-
Gli occhi di Arno si illuminarono. Si sentì accelerare i battiti del cuore mentre, incredulo, chiese conferma ai Jézéquel: -Lei... vuole vedermi?-
Il bretone annuì: -Esatto, ha accettato la tua richiesta.-
-Ma a una condizione: che tu lasci qui le armi- aggiunse decisa Fransiza.
Suo marito la guardò con aria interrogativa, ma Arno obbedì: probabilmente era una condizione nata dalla donna in quel momento, ma se ciò avrebbe significato tranquillizzarli accettava volentieri. Estrasse la pistola e si sfilò la spada dal fianco, quindi consegnò le armi ai due bretoni.
-Ve le affido, ma per favore trattatemele bene- disse, guadagnandosi uno sguardo corrucciato da parte di Fransiza.
Briag trattenne una risatina, poi si rivolse all’Assassino: -Ti aspetta in camera sua.-
Arno ringraziò la coppia e salì i gradini che portavano al piano superiore. Percorse il breve corridoio che portava alla stanza di Madeleine e arrivò davanti a una porta chiusa. Bussò gentilmente un paio di volte e, udita una risposta affermativa, entrò.
 
*****
Madeleine controllò di nuovo Yannez, che dormiva profondamente nella culla. Si diede un’altra occhiata allo specchio per controllare che la treccia fosse in ordine e aspettò. Arno sarebbe arrivato in breve tempo, lo sapeva. Aveva accettato di vederlo, ma non riusciva a togliersi il nervosismo di dosso. Come avrebbe reagito lui, una volta riuniti? Nella mente della ragazza si affollarono scenari drammatici: avrebbe urlato, avrebbe minacciato di picchiarla, o peggio?
Scosse la testa con decisione: no, Arno non lo avrebbe fatto. Si sarebbe arrabbiato, certo, ma non le avrebbe fatto del male.
Ad un certo punto udì qualcuno bussare alla porta della sua stanza. Madeleine fece un respiro profondo: doveva essere lui. Si sistemò per l’ultima volta l’abito, più per placare l’agitazione che per togliere eventuali pieghe, e fece entrare il visitatore.
 
La giovane non riuscì a trattenere un sussulto: dopo un anno dalla sua fuga, Arno era di nuovo di fronte a lei. Non era cambiato affatto: la stessa eleganza, lo stesso portamento fiero. Solo gli occhi avevano un’espressione diversa, mostrando in quel momento un misto di preoccupazione e attesa.
Lei, d’altro canto, si sentiva cambiata a causa della maternità: ormai non faceva più caso alle occhiaie sotto gli occhi o al senso di stanchezza dovuto ai risvegli notturni di sua figlia. Eppure l’Assassino la guardava come se fosse stata una dea o una dama uscita da qualche quadro rinascimentale.
Nessuno dei due aveva ancora spiccicato una parola, e il silenzio stava diventando imbarazzante. Dopo essersi sistemata per l’ennesima volta una ciocca, Madeleine decise di iniziare la conversazione: -Ciao.-
-Ciao. Come stai?- disse Arno.
-Bene. Grazie.-
Di nuovo, un silenzio imbarazzante s’impadronì dei due. La giovane cominciava a sentirsi nervosa, ma si sforzò di chiedere ciò che più temeva: -Quindi... madame Beauchesne...-
Arno rispose volentieri: -Ha raggiunto i suoi compari all’inferno. Non farà mai più del male a nessuno.-
Madeleine si lasciò scappare un sospiro di sollievo. Adesso era veramente libera dalla Templare e dalla sua terribile vendetta. Ma ora un’altra domanda cominciò a tormentarla: -Come hai fatto a trovarmi?- chiese. Avvertì una lieve stretta allo stomaco, ma cercò di non farci caso.
-Lozach. È stato lui a rintracciare la Beauchesne dopo l’agguato delle Tuileries, e mi ha avvisato non appena ha scoperto che era diretta qua. Avrei voluto occuparmene io, ma il Concilio non ha voluto concedermi questa richiesta. Forse è stata la loro punizione per le informazioni sull’incontro con mademoiselle Vico.-
Madeleine si sentiva sempre più nervosa. Ovviamente il suo lavoro di spia aveva avuto conseguenze per l’Assassino. Osservò il volto dell’uomo per cercare segni di rabbia, ma non ne vide. Nonostante ciò, l’agitazione che sentiva dentro di sé minacciava di diventare sempre più opprimente: -Arno, io...-
D’un tratto la giovane udì un rumore dietro di sé. Si girò, sentendo un mugolio di Yannez, e si avvicinò alla culla. La piccola si stava agitando nel sonno, ma Madeleine capì subito il motivo del suo turbamento: prese la bambolina di pezza che stava nell’angolo del lettino e la riportò accanto alla bambina, che si calmò all’istante. Sospirò di sollievo mentre le rimboccava le coperte, osservando Yannez che stava a braccia aperte come un orsetto. Sorrise e si girò verso il suo interlocutore, ma si ritrovò Arno a pochi passi da lei. Rimase immobile, colta di sorpresa dalla destrezza dell’uomo e senza la minima idea sulle sue intenzioni.
E ad un tratto lui l’abbracciò.
 
Madeleine era rimasta di sasso, mai si sarebbe aspettata quel gesto improvviso. Era ancora immobile tra le braccia dell’Assassino, in attesa che facesse qualcosa, qualsiasi cosa; ma Arno taceva, continuando a stringerla tra le sue braccia.
-Dovresti odiarmi- sussurrò lei, con voce tremante.
-Credimi, ho provato. Non ci sono riuscito. E non voglio farlo.-
Quelle parole, dette con dolcezza, sciolsero ogni dubbio della bretone: nonostante le bugie che gli aveva raccontato, gli inganni e la fuga, l’Assassino l’aveva incredibilmente perdonata.
Lacrime sottili solcarono le guance della giovane, che si sfogò per tutta la tensione accumulata in quei minuti. Trattenendo a stento dei singulti, Madeleine appoggiò la testa sulla spalla dell’uomo, stringendo nello stesso tempo le mani dietro la sua schiena.
-Mi dispiace, Arno. Mi dispiace per tutto. Se potessi tornare indietro...- singhiozzò, aggrappandosi alla stoffa della sua giacca.
-Shhh...- sussurrò appena Arno, appoggiando la guancia sulla sua testa.
-Mi sei mancata, mon ange. Ti ho pensato ogni giorno, pregando che fossi al sicuro e sperando di poterti rivedere. Non puoi immaginare quanto sia felice di riaverti tra le mie braccia.-
Madeleine scostò appena il volto e vide che anche l’uomo stava piangendo; ma non erano lacrime di rimorso, come le sue, bensì di gioia.
Arno avvicinò una mano al viso della ragazza per asciugarle la guancia, passando il pollice sotto il suo occhio e lungo lo zigomo. Tenne la mano sul suo volto, poi chinò il capo e, dolcemente, la baciò sulle labbra.
Dio, quanto le erano mancati quei baci! Quante volte aveva sognato un ultimo abbraccio, un’ultima carezza dall’uomo che amava! La bretone portò le mani dalla schiena dell’Assassino al suo volto. Lo accarezzò con dolcezza, mimando il gesto dell’uomo, e lo guardò negli occhi: quegli occhi dolci e scuri che l’avevano così colpita, la prima volta che si erano incontrati.
-Mi sei mancato anche tu, ma menn- mormorò, appoggiando la fronte contro la sua.
 
La giovane avrebbe voluto rimanere abbracciata al suo amato ancora un po’, ma un lieve mugolio attirò la sua attenzione. Girò il volto verso la culla e vide che Yannez si era svegliata e che la osservava con curiosità.
Rivolse un sorriso stanco ad Arno, come a volersi scusare; ma l'Assassino non parve essere disturbato da quell'interruzione. Anzi, guardava anche lui la bambina, sorridendo.
-Credo che abbia bisogno di te- disse divertito. Madeleine gli diede un ultimo bacio sulla guancia, quindi si avvicinò alla culla e prese sua figlia tra le braccia.
-Eccomi qui, Yannez. Hai dormito bene?- chiese alla bambina, che rispose con un versetto acuto. La bretone ridacchiò e sfregò il naso contro quello più piccino della lattante, facendola ridere.
-Devo presentarti qualcuno. Eccolo qui- aggiunse, girando la bambina in modo che stesse seduta contro il suo torace.
-In realtà, noi due ci siamo già conosciuti- disse Arno, cogliendo di sorpresa la giovane donna. L'Assassino si chinò verso la bambina, in modo che fosse alla stessa altezza dei suoi occhi, e le parlò con dolcezza: -Ciao Yannez. Ti ricordi di me? Ci siamo conosciuti ieri.-
La bambina rimase immobile mentre lo studiava coi suoi occhi scuri. Teneva una manina vicino alla bocca, quasi meditabonda, ma all'improvviso, cogliendo sia Arno che Madeleine di sorpresa, fece scattare il braccio in avanti e colpì un'altra volta il naso dell'Assassino.
-Ahio!- si lamentò l'uomo, massaggiandosi la parte dolente.
-Yannez! Ma che modi sono!- disse Madeleine con tono di rimprovero, mentre la bambina faceva un versetto allegro.
La bretone diede un colpetto alla mano della figlia: -Mi dispiace Arno, non so cosa le sia preso- si scusò, ma Arno rispose con un sorriso divertito.
-Vedo che ha una buona memoria. Ha anche una buona mira, credo- scherzò lui.
Lei sorrise e gli fece cenno di raggiungere il letto, in modo che entrambi potessero sedersi. Una volta accomodatisi, Madeleine sistemò meglio la bambina sulle gambe e lasciò che giocasse con le dita della sua mano. Arno non riusciva a distogliere lo sguardo dalla piccina e continuava a guardarla con tenerezza.
-Ha i tuoi stessi capelli- disse, rivolgendosi alla ragazza.
“E i tuoi stessi occhi” pensò lei, guardandolo in volto.
In quel momento, la faccia dell'Assassino assunse una lieve sfumatura rossastra, come se stesse pensando a qualcosa di imbarazzante. Diede un lieve colpo di tosse, forse per darsi coraggio, quindi espose il suo pensiero: -Dunque... l'hai cresciuta da sola?-
-Briag e Fransiza mi hanno aiutato molto- rispose la ragazza.
-Certo, e sono felice che tu abbia incontrato delle così brave persone. Ma ciò che intendevo chiederti è un'altra cosa. Non devi rispondere, se non te la senti. Insomma...-
Madeleine lo guardò incuriosita, sorpresa dalla sua reticenza: -Dov'è suo padre?- disse, indovinando il quesito dell'Assassino, che infatti annuì.
Dopo l'eventuale collera dell'uomo per il suo tradimento, che per fortuna non c'era stata, era giunto l'altro momento che la bretone temeva: come avrebbe fatto a dirgli la verità? E come avrebbe reagito?
Aprì la bocca per parlare, ma la richiuse subito. Non aveva idea di come dirglielo, se essere diretta o no. Ma forse, in fondo, le parole non servivano: prese Yannez dal suo grembo e la porse ad Arno, sfiorandogli le mani mentre lui prendeva la piccola tra le sue braccia.
L’Assassino rimase confuso da quel gesto. Rivolse alla giovane uno sguardo interrogativo, ma da lei ottenne solo un sorriso. E allora capì.
Girò la bambina in modo da poterla vedere in faccia e studiò di nuovo i suoi lineamenti, il suo volto, i suoi occhi. Occhi grandi e scuri, che ora sembravano fin troppo famigliari.
Arno trattenne a stento un sussulto. Stavolta fu lui ad aprire e chiudere la bocca più volte, incredulo per la risposta che gli aveva fornito la bretone.
-Lei... è mia... nostra...- balbettò stupito.
Madeleine annuì: -Lei è nostra figlia.-
 
Quelle parole colpirono Arno come un fulmine a ciel sereno, lasciandolo stupefatto. Il suo sguardo passava da Madeleine a Yannez e viceversa, come se il suo cervello dovesse ancora elaborare del tutto gli ultimi avvenimenti.
-Avevi detto che erano i tuoi giorni sicuri- mormorò confuso.
Madeleine abbassò gli occhi e si morse il labbro, avvertendo una sensazione di disagio: -Lo erano, te lo giuro. Avevo fatto anche la lavanda, ma a quanto pare non è servito...-
Per la terza volta da quando si erano ritrovati, il silenzio calò nella stanza. Madeleine alzò leggermente lo sguardo per studiare il volto dell’Assassino: ancora una volta non c’era rabbia nei suoi occhi, solo tanta confusione. E un’ombra di dispiacere.
-Se lo avessi saputo...- mormorò l’uomo.
-Non potevi, Arno. Non lo sapevo neanch’io, l’ho scoperto dopo essere scappata da Parigi- disse la bretone.
Yannez agitò le braccia in direzione di Madeleine e Arno le porse la bambina. La bretone l'appoggiò al petto e le diede un bacio sulla testa: -Quando la Beauchesne mi ha aggredito, ha scoperto della sua esistenza. Aveva detto che le avrebbe fatto delle cose orribili... Se non fosse stato per te...- disse con voce rotta.
Arno la cinse tra le braccia, stringendo sia lei che la bambina, e le diede un bacio sulla tempia. Sentì la ragazza tremare, nel tentativo di trattenere le lacrime, e le fece dei movimenti circolari dietro la schiena per calmarla.
-Come a Versailles, ti ricordi?- sussurrò gentilmente lui.
Dopo un ultimo sospiro, Madeleine riuscì a calmarsi, senza accorgersi che un sorriso le era apparso sulle labbra: -È stata una delle serate più belle della mia vita, anche se la mia pa... la mia ex padrona l'ha rovinata.-
-Non del tutto, però- replicò Arno, mentre infilava una mano all'interno della giacca.
Avvertendo quel movimento, Madeleine si sciolse dall'abbraccio con l'Assassino per capire cosa stesse facendo, e dopo pochi secondi spalancò gli occhi dallo stupore: comparso come per magia, Arno teneva tra le dita l'anello che le aveva regalato nel parco della reggia, dopo che si erano confessati i sentimenti che provavano l'uno per l'altra.
-L'hai tenuto?- chiese lei, ancora sorpresa.
L'Assassino annuì: -L'ho sempre tenuto con me, da quando sei andata via. Era l'unica cosa che mi era rimasta di te.-
Madeleine provò una sensazione di calore al petto. Per tutti quei mesi Arno aveva tenuto con sé l’unico oggetto che ricordava il loro amore e i bei giorni che avevano trascorso insieme, nonostante fosse insieme alla lettera della sua confessione del piano per ucciderlo. Da quando aveva lasciato Parigi, la giovane aveva tentato di convincersi che l’Assassino l’avrebbe odiata per ciò che aveva fatto, e non senza ragioni. Ora invece, davanti a quel piccolo, prezioso anello, poteva percepire l’affetto e i sentimenti che Arno aveva continuato a nutrire nei suoi confronti.
Eppure c’era ancora un’ombra di dubbio in cuor suo, come se avesse paura a lasciarsi andare, ad abbandonare definitivamente il suo passato e poter immaginare un futuro con l’uomo che amava.
-Non merito il tuo perdono, Arno. Né il tuo amore- mormorò.
L’Assassino sovrappose la sua mano a quella della bretone, sfiorandola con gentilezza: -Tu meriti questo e altro, Madeleine. Tu meriti di essere felice, e io... sarei onorato di far parte della tua felicità.-
La giovane non stava guardando Arno mentre parlava, ma appena udì l'ultima frase alzò il capo, sorpresa da quelle parole. E fu ancora più sorpresa quando vide l'uomo prenderle la mano e, allo stesso tempo, tenderle l'anello.
Arno fece un paio di respiri profondi, tuttavia non riuscì a trattenere il tremolio nella voce: -Vorresti sposarmi?- chiese.
 
Yannez tentava per l'ennesima volta di afferrare il ciondolo di sua madre, ma Madeleine non se ne accorse. Divenne rossa in viso, emozionata, mentre il suo cuore batteva così forte che sembrava un tamburo impazzito.
-Dopo tutto quello che ti ho fatto, vuoi ancora stare con me?- chiese incredula.
L'Assassino annuì: -Sì, mon ange. Sei entrata nel mio cuore, ormai. Dopo la morte di Élise pensavo che non avrei mai incontrato qualcun altro di così speciale. Anzi, mi ero addirittura ripromesso di non frequentare mai più nessuno, tanto la sua morte mi aveva sconvolto.-
-Ma poi ho incontrato te. È vero, i motivi sono quelli che sappiamo, ma più ti conoscevo e più scoprivo una ragazza dolce, sensibile e, a modo tuo, forte. E quando te ne sei andata, quando ho letto le tue parole in quella lettera, ho capito che non sarei più potuto tornare indietro. Ho capito che non avrei più potuto dimenticare il tuo sorriso, il modo in cui stringi il tuo ciondolo o sposti una ciocca quando sei nervosa, la tua voce.-
Arno aveva parlato di getto, lasciando libertà al suo cuore di esprimere il suo amore a Madeleine. Tuttavia, ad un certo punto si interruppe, e se prima la sua voce era incerta per l'emozione adesso trapelava un senso di timore: -Ma posso capire se non vuoi avere nulla a che fare con me. Io per primo sono una vittima della guerra tra Assassini e Templari, e anche molti Maestri del passato hanno perso delle persone che amavano: so cosa significa vivere sempre all'erta, sempre attenti a non farsi scoprire o peggio.-
-Ma ti giuro sulla mia vita, Madeleine, farò di tutto per proteggere te e nostra figlia. Giuro che...-
-Basta così- interruppe all'improvviso la bretone.
Arno si fermò, mentre la frase che stava pronunciando gli morì in gola, il volto preoccupato in un'espressione di attesa.
Grosse lacrime sgorgarono dagli occhi della giovane, lacrime di gioia che accompagnavano un sorriso radioso. Dovette lasciare la mano di Arno per asciugarsi le guance, ma infine fece un cenno con la testa: -Lo voglio- sussurrò emozionata.
Finalmente, tutta la tensione di Arno si sciolse come neve al sole. Sorrise, all'inizio incredulo, poi sempre più felice che Madeleine avesse accettato la sua proposta. Chiedendole la mano, l'Assassino infilò l'anello all'anulare sinistro della giovane, suggellando così la loro promessa d'amore. Senza smettere di sorridere Arno strinse in un abbraccio la giovane e la bambina, cercando invano di trattenere le lacrime. Guardò la bretone, che le sembrava ancora più bella di quanto ricordava, e le diede un bacio sulle labbra.
-Non hai idea di quanto sia felice adesso- le mormorò all'orecchio.
La bretone stava per rispondergli, quando Yannez fece un versetto che la distrasse. Si chinò verso sua figlia, che la stava osservando con un'espressione confusa. Madeleine si asciugò nuovamente gli occhi e rassicurò la piccina: -Mi sposo con papà. Sei contenta, Yannez? Così saremo una vera famiglia.-
Mentre osservava la sua futura sposa, Arno avvertì una strana sensazione all'altezza del cuore. Quella parola, famiglia, così semplice eppure così importante. Lui, che aveva perso la sua quasi vent'anni prima con la morte di suo padre, e poi i De la Serre, e per certi versi la Confraternita; non avrebbe mai immaginato che, un giorno, sarebbe finalmente riuscito ad avere una famiglia tutta sua. E si ripromise, sia a sé stesso che alle due persone tra le sue braccia, che non avrebbe permesso a nessuno di rovinare un'altra volta la sua felicità, Templare o no.
Ma proprio in quell'istante la porta della stanza si aprì con veemenza e Fransiza entrò con la forza di un uragano.
 
-OmmioddioMadeleinesonocosìfeliceperte!!!- esclamò Fransiza così in fretta che sembrava aver detto un’unica parola. Il suo volto, rosso di felicità, era rigato da numerose lacrime, e il suo sorriso era così largo che sembrava andare da un orecchio all'altro.
Mentre lei si congratulava con la coppia, Briag fece silenziosamente il suo ingresso. Anche sul suo viso, che di solito aveva un cipiglio burbero, era apparso un gioioso sorriso, e l'uomo faceva fatica a trattenere le lacrime.
Dopo l'iniziale sorpresa, e cercando di non farsi soffocare da un abbraccio della donna, Arno si rivolse alla coppia: -Stavate... origliando?- chiese stupito.
-Ovvio!– rispose Fransiza dopo aver schioccato numerosi baci a Madeleine –Dovevamo essere certi che non avresti fatto del male a lei o a Yannez!-
Arno indirizzò uno sguardo incredulo a Briag, che ammise in silenzio la loro opera di spionaggio.
-Sono così felice per tutti voi- disse Fransiza, dopo aver finito di congratularsi con entrambi. Si asciugò un occhio, ma poi il suo tono assunse una nota più triste: -Immagino che andrete a vivere a Parigi, giusto?-
Madeleine guardò Arno, che annuì. L’Assassino si avvicinò a Fransiza e le prese gentilmente una mano per rassicurarla: -Il mio “lavoro” mi costringe a stare a Parigi, ma voi potrete venire a trovarci ogni qualvolta vorrete. È il minimo, dopo tutto quello che avete fatto per Madeleine- propose.
Fransiza tirò su col naso e sorrise, per poi dare un buffetto sulla guancia dell’uomo: -Sei proprio un bravo ragazzo. Madeleine è stata fortunata a trovare uno come te.-
Quindi batté le mani, come per cambiare discorso, e con un tono più felice si rivolse alla coppia: -Su, forza! Abbiamo un matrimonio da organizzare!-
 
*****
Parigi, febbraio/piovoso 1798.
Quell'inverno aveva nevicato parecchio, tanto che la neve che veniva tolta da strade e piazze formava dei grossi cumuli ai lati della carreggiata, per la gioia dei più piccoli. Chi non sopportava il freddo, invece, ne approfittava per frequentare taverne o cafè per riscaldarsi le membra e mangiare qualcosa di caldo.
Arno aveva appena terminato il suo giro di pattuglia. Era partito alle prime luci dell'alba e ora, dopo aver sopportato il freddo e aver eliminato un paio di giacobini, attraversava con attenzione i tetti gelati per tornare al Café Théâtre. Il suo stomaco protestava sonoramente per la mancata colazione e tutto ciò che l'Assassino desiderava in quel momento era un litro di caffè bollente, magari accompagnato da una brioche al cioccolato.
Dopo un'ultima svolta la meta apparve davanti ai suoi occhi stanchi. Prestando la massima attenzione, Arno si calò da un muro e atterrò in strada per poi dirigersi verso l'edificio che ormai considerava casa sua. Appena varcata la soglia venne investito dall'aroma del caffè e dal chiacchiericcio dei clienti, già numerosi a quell'ora del mattino. Vide che il bancone era già occupato da altri avventori, quindi decise di fare colazione direttamente in cucina, così avrebbe approfittato dell'ulteriore calore del camino.
Percorse il corridoio che separava la sala principale dalla cucina e salutò le inservienti che stavano preparando i dolci da servire ai clienti del cafè. Le cameriere e le cuoche ricambiarono il saluto, tuttavia Arno notò una strana espressione giocosa sui loro volti. Si avvicinò a Babette e le chiese se fosse successo qualcosa, ma la cuoca gli fece segno di tacere e poi esclamò a voce alta: -Accipicchia, chissà dov'è finita la piccola Yannez! È davvero brava a nascondersi!-
Si udì una risatina soffocata da sotto un tavolo e Arno scorse un paio di scarpette sporgere appena da dietro una tovaglia. Babette si avvicinò con cautela, prese un lembo della tovaglia e la sollevò di scatto: -Eccola qui!-
Sotto il mobile comparve una bambina di due anni dalla folta chioma ramata e con due grandi occhi scuri. Fece un versetto di sorpresa e provò a scappare, ma Babette l'acchiappò subito e la strinse in un abbraccio, provocandole una risata divertita.
-Hai visto chi c'è, Yannez?- disse Babette dopo averla coccolata. La bambina girò la testa, seguendo il dito della cuoca, e spalancò gli occhi non appena vide Arno.
-Papà!- chiamò contenta, tendendo le mani in direzione dell'uomo. L'Assassino, che stava sorridendo così tanto che cominciava a dolergli il viso, prese sua figlia dalle braccia della donna e le diede un bacio sulla guancia.
-Buongiorno Yannez. Hai fatto la brava mentre non c'ero?- chiese, al che la bambina rispose in modo affermativo. Sempre tenendo sua figlia in braccio, Arno si avvicinò a un vassoio di biscotti e ne mangiò un paio, in attesa del caffè. A un certo punto notò che Yannez stava fissando affascinata le piccole paste con gocce di cioccolato come se fossero dei gioielli preziosi.
-Potto biccotto?- chiese lei, cercando di pronunciare correttamente le parole. Arno si volse in direzione di Babette, chiedendole silenziosamente se ne avesse già mangiati, e quando ottenne il via libera dalla cuoca fece una domanda alla bambina: -Qual è la parolina magica?-
-Pe’ favòle- rispose Yannez. Arno spezzettò il biscotto che aveva in mano e ne diede un pezzetto alla bambina, che lo mangiò lentamente per gustarselo al meglio. L'Assassino terminò la colazione e salutò le cuoche, quindi uscì dalla cucina con sua figlia in braccio.
 
Se pensava a quante cose erano cambiate in due anni. Arno tornò con la mente a una giornata di inizio pratile, quando lui e Madeleine si erano finalmente sposati dopo tante peripezie. Avevano celebrato il matrimonio in Bretagna con pochi invitati: i Jézéquel e alcuni loro amici accompagnavano la sposa, mentre Arno era riuscito a contattare i compari della “Banda delle Baguettes” per farli arrivare in tempo per la cerimonia. Poche persone ma buone, aveva detto Fransiza, ma era stato lo stesso un giorno speciale per tutti.
E dopo gli ultimi saluti alla coppia bretone e alla promessa di scriversi, Arno e Madeleine erano ritornati a Parigi e al Café Théâtre. Dopo l'iniziale sorpresa di Madame Gouze, Célestine, Ophélie e gli altri, i neo sposi erano stati accolti con calore, ma la cosa che più aveva stupito il personale del Café era stata di sicuro Yannez. E dopo pochi mesi di conoscenza la piccina era diventata una sorta di mascotte tra le inservienti, che si prodigavano ad aiutare Madeleine a gestire il lavoro per permetterle di stare il più possibile con sua figlia quando Arno era impegnato nei suoi doveri di Maestro Assassino.
 
Mentre ricordava questi avvenimenti, Arno venne fermato da uno dei garzoni che lo avvisò dell’arrivo di due visitatori.
-Hanno chiesto di voi, monsieur. Hanno un accento particolare, non credo che siano di qui- disse il ragazzo prima di congedarsi. Arno non aveva dubbi sull’identità della coppia, visto che si erano scambiati alcune lettere un paio di settimane prima. Si girò verso Yannez, che lo osservava con curiosità, e le sorrise: -Andiamo a salutare i nonni.-
L’Assassino si incamminò verso lo studio dell’intendente, dove erano stati accompagnati gli ospiti, e vide che Briag e Fransiza erano già stati fatti accomodare.
Yannez si lasciò scappare un versetto allegro, che attirò l’attenzione della coppia: -Nonna! Nonno!- disse non appena li vide.
Fransiza fu la prima a raggiungerla e a prenderla tra le braccia, riempendola istantaneamente di rumorosi baci: -Buon compleanno, pralina mia!- esclamò felice. Venne raggiunta dal marito, che reggeva in mano un pacchetto, e anche lui salutò la bambina, in modo meno espansivo ma altrettanto affettuoso.
-Buon compleanno, Yannez. Questo è il tuo regalo- disse il bretone sorridendo, intanto che le tendeva il pacchetto. Mentre la piccola scopriva con gioia dei nuovi vestitini per la sua bambola, i Jézéquel salutarono Arno e gli diedero un altro regalo per il compleanno della loro nipotina acquisita: un intero kouign-amann fatto da Fransiza, una succulenta torta fatta con pasta sfoglia e generose quantità di burro e zucchero.
Dopo aver scambiato qualche chiacchiera i bretoni chiesero dove fosse Madeleine e Arno rispose che quel giorno era di turno in sartoria. Prese per mano sua figlia, che teneva nell’altra il suo regalo, e fece segno ai Jézéquel di seguirlo all’interno del Café.
 
Madeleine stava terminando di cucire un ricamo, quando venne interrotta da una delle sarte che la informò di alcune persone che la stavano cercando. Per qualche secondo rimase sovrappensiero, poi si ricordò dell’ultima lettera di Fransiza e Briag in cui annunciavano il loro arrivo a Parigi. Sistemò l’abito su cui stava lavorando e lasciò la sua postazione per andare dai suoi ospiti, mentre un sorriso compariva lentamente sulle sue labbra. Era giunto il momento di dare loro la buona notizia.
Aveva appena lasciato la sartoria quando vide Arno di fianco alla porta, arrivato in quel momento. Si salutarono con un veloce bacio sulle labbra e un abbraccio, e nonostante il calore del locale la giovane percepì le ultime tracce di freddo sulla giacca del marito.
-Ci aspettano di sopra- annunciò l’uomo a sua moglie. Madeleine lo prese sottobraccio e insieme si incamminarono per le scale.
-Com’è andata stamattina?- chiese lei.
Arno rispose: -Le solite cose: furfanti vari, qualche giacobino, un freddo cane. Per fortuna per oggi non ho altri impegni.-
-Yannez è con Briag e Fransiza?- domandò poi.
L’Assassino annuì: -Stanno giocando con i nuovi vestiti che Fransiza ha fatto per la sua bambola. A proposito, spero che tu abbia un po’ di fame: hanno portato una torta bretone, ne ho mangiata una fetta e credo che non toccherò più cibo fino a stasera- scherzò.
I due giunsero infine davanti alla loro camera privata, dove li aspettavano i Jézéquel e Yannez, ed entrarono: Fransiza stava aiutando Yannez ad infilare un cappellino sulla testa della bambola, mentre Briag teneva sulle sue gambe la bambina.
Quando udirono la porta aprirsi, i due bretoni alzarono lo sguardo e videro Arno e Madeleine entrare nella stanza, ma quando stavano per salutarli si bloccarono di colpo e sulle loro facce apparve un’espressione stupita.
-Oh cielo, Madeleine! Perché non ce lo avete detto?- esclamò stupita la donna.
Madeleine ridacchiò e istintivamente si portò una mano sull’addome tondeggiante, segno di una gravidanza in corso: -Volevamo farvi una sorpresa. E direi che ci siamo riusciti.-
Fransiza fu la prima a raggiungerla e a congratularsi con la coppia: -Che bella notizia! Quanti mesi sono ormai?-
-Credo quattro- rispose Arno.
-Oh, allora nascerà in estate! Chissà se sarà un maschietto o una femminuccia!- commentò entusiasta.
Briag fece scendere dalle sue gambe Yannez, che corse immediatamente da Arno per farsi prendere in braccio, e anche lui si congratulò con i due per l’arrivo del loro secondogenito.
 
Mentre Fransiza raccontava aneddoti della sua maternità, Madeleine si ritrovò a pensare a quale svolta aveva preso la sua vita: da serva timorosa di una nobile rivelatasi una crudele manipolatrice, a una donna libera e con una famiglia tutta sua. Finalmente poteva essere felice: viveva in un posto magnifico con gente amica, al fianco dell’uomo che amava e con cui aveva costruito una famiglia. Soltanto qualche anno prima, se qualcuno le avesse predetto questo cambiamento nella sua vita lei non ci avrebbe mai creduto; invece ora pregava e ringraziava ogni giorno i santi bretoni e gli antichi dei irlandesi, a cui tanto erano devoti i suoi genitori, per averle dato una vita degna e piena di gioia. 

--------------------------------
Ed eccoci arrivati alla fine della storia. Credo che sia la fanfiction più lunga che abbia mai scritto finora e una di quelle che più mi è piaciuta.
Spero che vi sia piaciuta la storia di Arno e Madeleine e grazie per essere giunti fino all'ultimo capitolo.
Un piccolo ringraziamento va a MuSiCaNdArTs95, che ha recensito ogni capitolo di questa storia =).
Grazie ancora a tutti e spero di accompagnarvi in altre avventure in futuro ^-^!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4011793