I figli dell'Accademia

di LondonRiver16
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Due ribelli per un solo saggio ***
Capitolo 2: *** Responsabilità ***
Capitolo 3: *** Dovere ***
Capitolo 4: *** Uno scontro ad armi impari ***
Capitolo 5: *** Re e regina ***
Capitolo 6: *** L'eco di una melodia senza significato ***
Capitolo 7: *** Tre fratelli (prima parte) ***
Capitolo 8: *** Tre fratelli (seconda parte) ***



Capitolo 1
*** Due ribelli per un solo saggio ***


I. Due ribelli per un solo saggio

 

Fu un clangore di lame che cozzavano a svegliarmi nei meandri della notte, strappandomi senza alcun rispetto ai miei sogni. Non appena riuscii a recuperare una parvenza di coscienza, saltai a sedere e diedi un’occhiata alla stanza per farmi un’idea di ciò che stava accadendo.

Il letto arrangiato su una struttura di giunchi accanto al mio era disfatto e vuoto, così come quello addossato alla parete opposta della stanza. La mia tunica e il mio mantello erano gli unici indumenti appesi al muro dietro la porta, mentre perfino parti delle armature da addestramento dei miei fratelli mancavano. Arrivai ad essere certo del guaio in cui si erano cacciati ancora prima che il frastuono dato dall’incrocio inclemente di due spade e le loro grida giungessero come promemoria alle mie orecchie.

Lasciando che i capelli mi volassero dietro le spalle, mi precipitai ad affacciarmi alla finestra che dava sul cortile e subito i due apparvero sotto il mio sguardo allarmato, con i corpi che emergevano dalle tenebre della notte solo grazie ai pochi lumi appesi alle pareti esterne del maniero.

Stavano combattendo. E non per mero allenamento, ma lottando per prevalere l’uno sull’altro. Con spade reali, non le solite armi di legno che eravamo soliti usare per allenarci ogni volta che non potevamo perdere tempo a indossare una vera armatura.

Non mi misi a urlare solo perché sapevo bene che non mi avrebbero nemmeno sentito, figuriamoci ascoltato. Per qualche secondo li osservai dall’alto dare e ricambiare affondi, parate e attacchi da ogni lato, servendosi anche dei passi più elaborati mostratici dal nostro maestro di spada, e mi ritrovai a pensare che forse nostro padre aveva ragione: quei due non avevano bisogno d’altro che di un intervento fisico per imparare un minimo di prudenza. Ma, malgrado ciò, non ero mai riuscito a controllare il mio buon cuore prima d’allora e mi fu subito chiaro che nemmeno quella sarebbe stata la serata giusta.

Rifiutando di allungare i tempi che avrebbero potuto permettere ai miei fratelli di uccidersi a vicenda, mi precipitai a infilarmi la tunica appesa alla parete – a garanzia del pudore che non mi avrebbe permesso di precipitarmi nel cortile nella mia nudità notturna -, calzai i miei sandali di cuoio e sbattei la porta nella fretta di precipitarmi nel corridoio in penombra e poi giù dagli scalini a chiocciola che conducevano al piano terra, direttamente nella sala arredata di ricordi di glorie e onori che fungeva da atrio.

Non feci troppa attenzione al cuore che mi martellava in petto né al fracasso che l’eco del mio passaggio lasciò nell’androne delle scale. In fondo, se il baccano del duello fra Devin e Kenneth aveva lasciato almeno un’anima libera di riposare, io non sarei mai riuscito a peggiorare la situazione, neppure impegnandomi a fondo. Tutto quello a cui pensai in quei venti secondi di discesa fu la nuvola d’incertezza che mi annebbiava la mente.

Io, Devin e Kenneth eravamo tre ragazzi gemelli di sedici anni. Ma mentre io ero reputato senza dubbio alcuno il più docile e assennato, i miei fratelli emergevano come sicuri talenti nell’accademia di guerrieri di cui nostro padre era il responsabile e, tanto per complicare la vita al sottoscritto, erano nati con una spiccata attitudine a una competitività sfrenata che profanava a dir poco le regole di vita del nostro illustre genitore. Però occorre dire che anch’io avevo le mie discrete qualità di guerriero e apprendista. Nonché una formidabile abilità nel seguire i miei cari fratelli nel fango che si creavano da soli.

Superato in un lampo il fastoso ingresso deserto, giunsi nel piazzale appena in tempo per ammirare una parata di Devin all’ultimo tentativo di Kenneth di ferirlo al fianco. Fu quello l’istante in cui mi accorsi che non solo stavano rischiando di ferirsi a morte con vere lame taglienti, bensì avevano avuto l’ardire di sguainare niente di meno che i generosi regali che avevano ricevuto dalle più nobili casate affiliate all’Accademia. Spade eccelse, che avrebbero fatto una figura eccellente durante ogni occasione di rappresentanza, ma che erano anche affilate e assetate di sangue come ben poche. E quei cretini non si erano nemmeno presi la briga di infilarsi degli elmi, oltre che fornire come protezione al resto del corpo solo una misera imbottitura.

“Ragazzi, smettetela! Siete usciti di senno, nostro padre vi ucciderà!”

Senza prestarmi la benché minima attenzione, Devin si preparò a menare uno dei suoi fendenti più temibili. Gettando la testa all’indietro, sollevò la spada sopra il capo prima di gettarsi in verticale sopra Kenneth, che rispose al suo grido con un ruggito non da meno, portando il suo pesante spadone all’altezza della fronte e mettendo in atto una trionfale coreografia difensiva.

Siano ringraziati gli Dei, pensai, sudando freddo al pensiero dell’esito opposto.

Preso alla sprovvista, Devin rotolò nella polvere per qualche metro prima di ritrovare l’equilibrio. Kenneth gli riservò un’implacabile risata provocatoria.

Non meriti il nome che porti! I tuoi attacchi sono efficaci quanto quelli di un undicenne!”

“Vedremo chi sarà degno di chiamarsi Hjallmar una volta che avrò frantumato la tua difesa! La verità è che ti sopravvaluti e sei troppo lento, per resistere ancora a lungo!”

Io rimasi lì come un fantoccio a pochi metri dal centro dell’azione, raggelato e intontito, pieno di ammirazione e di compassione allo stesso tempo. I miei fratelli avevano la stoffa dei guerrieri, letali in ogni movimento che precedesse un vibrante affondo. Possedevano sia il coraggio che la ferocia del leone, ma parevano essere del tutto privi della pazienza e del buonsenso degli stessi felini, come aveva confermato il più vicino custode degli Antichi Padri, ribadendo più volte nel corso degli anni che quei tratti sembravano essersi riversati totalmente in me quando nostro nonno ci aveva lasciato.

Fui l’unico a voltarmi trasalendo quando nostro padre fece sbattere il portone da cui ero appena uscito e si fermò appena oltre l’uscio per scandagliare il cortile con occhi sgranati. Chiunque avrebbe potuto leggere con facilità i segni tangibili della sua collera, che non so come ma mi arrivava al cuore più intensa che mai, forse per il semplice fatto che non avevo nulla da temere sostenendo il suo sguardo.

Le pieghe disordinate della stoffa dei calzoni e la camicia di lino che gli si apriva per metà sul petto testimoniavano il suo brusco risveglio, ma l’abbigliamento trasandato non toglieva nulla all’autorevolezza che quell’uomo si portava dietro come un’ombra: nelle spalle possenti, nella schiena dritta come un fuso, nei capelli color fiamma, nelle mani strette a pugno le cui nocche stavano sbiancando rapidamente e nei fieri occhi cobalto che riflettevano la luce degli astri in quella notte tormentata.

Dietro la sua figura possente intravidi quella alta e fragile di mia madre, coperta solo da una tunica leggera e da una vestaglia celeste che le sfiorava le calzature da interni, fatte solo di morbida stoffa. Potevo sentire ardere il suo turbamento anche solo scorgendola nell’ombra, notando il tremore della mano che teneva posata sul braccio di mio padre.

Per un paio di interminabili secondi lui osservò i miei fratelli affrontarsi, teso e con la mascella che fremeva, mentre loro rimanevano ignari del suo arrivo. Quando ebbe avuto la conferma del tipo di armi con cui stavano combattendo ed ebbe visto da sé che razza di patetica protezione Kenneth e Devin avevano indossato prima di dare il via a quel suicidio programmato, un lampo di allarme gli balenò negli occhi e l’uomo fu rapido a sottrarsi al tocco delicato di sua moglie per intervenire il più celermente possibile.

Marciò verso il punto del piazzale di ghiaia dove né Devin né Kenneth si stavano risparmiando, aggredendo l’altro a ogni pie’ sospinto, senza tregua, tra ansiti e mezze grida di battaglia. Io lo seguii con lo sguardo, addolorato ma anche desideroso di sapere se i miei fratelli avrebbero imparato la lezione, quella volta, e dopo pochi attimi sentii mia madre affiancarsi a me, con la bocca coperta da una mano.

Mio padre si fermò per un istante laddove la sabbia s’involava in risposta al continuo balzare di qua e di là dei miei fratelli, proprio mentre Devin rispondeva a un assalto del fratello e incontrava la sua lama di piatto. Poi tutto accadde in una manciata di secondi: mio padre approfittò dell’istante in cui Kenneth scivolò con un ginocchio a terra per inserirsi nell’intreccio del combattimento e, approfittando della sorpresa di entrambi i figli, li divise seduta stante. Una sua manata decisa sull’elsa della spada di Devin fu sufficiente a fargliela abbandonare, stupito com’era mio fratello da quell’intrusione che non aveva visto arrivare. Subito dopo, voltatosi verso Kenneth, nostro padre vibrò un calcio sulla sua presa malferma, attento ad evitare di colpirgli le dita ma spaventandolo abbastanza da far crollare l’arma a terra, pervasa da un brivido che risuonò in tutto il cortile.

Poi mio padre fece un passo indietro e si concesse solo un sospiro, mentre Kenneth si rimetteva in piedi e si scambiava con Devin un’occhiata indecifrabile quanto il loro bisogno di misurarsi in battaglia. Quando finalmente l’uomo parlò, fu usando un tono di voce forzatamente basso, come se si trovasse davanti a una pira funeraria e si stesse mordendo la lingua per non concedere libero sfogo alle urla.

Non solo decidete di mettervi a guerreggiare nel bel mezzo della notte, spaventando l’intera cittadella, ma lo fate senza alcun riguardo per le vostre vite. L’idiozia che vi ha colto vi ha forse fatto dimenticare quanto facilmente una lama di quel tipo può trapassare queste imbottiture, se usata senza un minimo di criterio? Non credete ci sia una ragione se ve le facciamo usare assieme a spade di legno? Razza di sconsiderati!” scattò, allungando una manata alla veste di cuoio imbottito che rivestiva il torace di Kenneth.

Quest’ultimo, saggiamente, non mosse la minima obiezione al colpo subito e chinò la testa in segno di rimorso. O forse intendeva fare del proprio meglio per cercare di ignorare la piccola folla accorsa per scoprire a cosa fosse dovuto tutto quel fracasso e per godersi lo spettacolo agrodolce di un superiore infuriato. C’erano i nostri compagni dell’Alta Cavalleria, oltre la prima fila di istruttori, il che voleva dire che il giorno seguente sostenerne lo sguardo sarebbe stato arduo.

Avreste potuto ferirvi, rompervi un arto, o peggio!” disse mio padre a denti stretti, ma ora abbastanza forte perché la sua voce tuonasse nitida nel cortile. Poi alzò lo sguardo e studiò quello dei figli, irritato dalla loro sfacciataggine oltre che da tutto il resto. “Troppe volte ho indugiato, con voi due. Ringraziate vostra madre se sono state poche quelle in cui ho alzato le mani su di voi. Ma ora basta.”

Senza ulteriori spiegazioni, si pose di fronte a Devin, che non indietreggiò ma abbassò il capo serrando gli occhi.

Il primo ceffone lo fece trasalire e retrocedere di un passo, ma ai seguenti, che non osai contare, si fece trovare preparato, stabile, silenzioso nell’assorbire l’ira di nostro padre. Come suo solito, dimostrava il coraggio e la prontezza di spirito che gli invidiavo da sempre. All’ultimo di quella serie di schiaffi assestati senza pietà paterna, però, si accasciò al suolo, sopraffatto, sputando sangue.

Dopo avergli concesso la benevolenza di un’occhiata dall’alto, mio padre si spostò verso destra fino a fronteggiare Kenneth, le cui mani tremavano per la tensione. Conoscevo la sua angoscia. Mio fratello era un soldato addestrato che prometteva di diventare un Cavaliere valoroso, un giorno, ma non era ancora in grado di sostenere l’incendio della rabbia di nostro padre senza rabbrividire.

“Morven, no!” provò a opporsi mia madre, facendo due passi avanti e allungando un braccio.

Non avevo mai avuto dubbi su chi fosse il figlio che preferiva e sicuramente non li aveva neppure mio padre, ma questo non lo fermò dal concedere a Kenneth niente di più o di meno della stessa sorte subita da Devin. Kenneth, che nell’aspetto era la fotocopia di nostro padre, dimostrò una resistenza maggiore del fratello, ma alla fine anche lui cadde in ginocchio con il naso che sanguinava.

Ora portatemi le vostre spade” ordinò nostro padre, indifferente agli sguardi spauriti dei miei gemelli.

I due obbedirono, l’uno pulendosi la bocca su una manica della casacca prima di raccogliere la propria spada e l’altro tamponandosi il naso con la stoffa della camicia di cotone mentre ritornava di fronte a nostro padre con la lama in posizione di riposo.

Io ammirai le due armi scintillanti alla luce della luna. Entrambe erano state forgiate nelle fucine dei maestri dell’acciaio dell’Impero dei Laghi, ma ognuna era unica nelle sue caratteristiche inimitabili, dato che erano state disegnate e create appositamente per aderire alle caratteristiche fisiche e allo stile combattivo proprio dei miei fratelli. Mentre quella di Devin era una spada ricurva – per la sua implacabilità chiamata Audace –, quella di Kenneth era una lama a doppio taglio, più classica e simile a quella di Lord Morven, per la sua rapidità nell’inferire squarci mortali battezzata Sfregio. Entrambe erano state un regalo per i miei fratelli da parte del regno da cui provenivano le loro rispettive future spose – anch’io ne possedevo una per lo stesso motivo. Ma utilizzarle senza permesso e vestiti al modo di Devin e Kenneth all’interno dell’accademia militare di cui la nostra famiglia era responsabile e che fin dall’infanzia si era fatta vanto di infonderci i basici principi di sicurezza in un conflitto… ebbene, quello era un ovvio desiderio di morte.

“Consegnatemele” comandò nostro padre, tendendo le braccia. “Le terrò rinchiuse finché non sarò sicuro che le meritiate. Sono due lame eccellenti e spettano a combattenti molto più capaci di quanto non siate voi ora.”

Ma, padre…” mormorò Kenneth, incredulo.

“Non intendo discutere con degli incoscienti immaturi, non stanotte!” tuonò allora l’uomo, allungando la mano aperta verso Sfregio e sfidandolo a replicare puntandogli addosso uno sguardo inflessibile. “A me.”

Stringendo le labbra fino a farle divenire esangui, Kenneth gli porse la propria spada dalla parte dell’elsa e suo padre se la infilò nella cintura, per poi voltarsi verso l’altro figlio.

In fretta, Devin, non voglio rimanere qui tutta la notte.”

È un'ingiustizia!” sbottò però il mio gemello, alzando il capo per fissarlo negli occhi, con le guance ancora rosse per i manrovesci ricevuti. “Queste spade ci appartengono di diritto! Non potete sottrarcele come se niente fosse!”

Anche se ero lontano, fui quasi sicuro di vedere una vena sulla tempia di Morven gonfiarsi di fronte a quell’ennesimo affronto.

“Non osare sfidarmi ancora, ragazzo. Ricorda che sono tuo padre e che puoi frignare quanto vuoi, ma non salirai mai sul gradino superiore al mio dove già ora credi di stare. Fa’ sì che non debba richiamartelo alla memoria di nuovo, Devin, se non vuoi incorrere in qualcosa di molto più serio di ciò che hai ricevuto stasera.”

Devin chinò nuovamente il capo, vibrante di vergogna. Immaginai si sentisse più consapevole che mai dell’assembramento di cadetti dell’Alta Cavalleria che si erano radunati nel cortile a debita distanza, affascinati da quello che sarebbe diventato l’evento più chiacchierato della settimana a dispetto dei richiami al silenzio degli istruttori.

“Dammi Audace immediatamente,” proseguì nostro padre in un sibilo, “se non desideri che ti colpisca ancora, stanotte. Qui, davanti a tutti. Sai che non avrei difficoltà a farlo, pur di inculcarti un po’ di rispetto in quella testa dura.”

Sì, lo so bene” ringhiò Devin, per poi tendere la propria spada verso suo padre dalla parte della lama.

Per niente stupito da quell’implicita minaccia, l’uomo afferrò la punta di Audace con una mano, la spinse in aria facendola roteare, la riafferrò per l’impugnatura e la mise a far compagnia a Sfregio.

Ora tornate nella vostra stanza e restateci li congedò, assestando una spinta alla schiena di Devin. “E ricordatevi che la prossima volta si tratterà di frustate e non di semplici schiaffi. Vediamo se questo sarà sufficiente, come monito, a impedirvi di trapassarvi il cuore a fil di spada a vicenda, dannazione.”

Quindi superò i passi incerti dei figli e fece un cenno a testa alta verso i due istruttori presenti ai margini del cortile perché facessero disperdere i loro allievi e gli ordinassero di tornare ai rispettivi giacigli. Infine venne a fermarsi davanti al sottoscritto.

Arlen” esordì, cercando di calmare il più possibile il tono di voce per farmi capire che non voleva riversare su di me la collera di cui Devin e Kenneth erano responsabili. “Non posso dirmi deluso dal fatto che non provi gli stessi istinti fratricidi dei tuoi fratelli, ma un aspirante cavaliere deve comunque dimostrare sempre il suo coraggio: intervieni, la prossima volta. Con le tue capacità sei in grado di fermarli entrambi mentre sono in un tale stato di idiozia.”

“Sì, padre” assentii, abbassando lo sguardo a terra. “Chiedo perdono, è solo che… ogni volta sento il loro rancore divampare anche dentro di me e… sono entrambi miei fratelli, non ho la forza di decidere da chi parte stare. E questo mi immobilizza.”

La tua maledizione è che sei il loro gemello” mi sorrise stancamente lui, posandomi una mano sulla spalla. “E allo stesso tempo sei molto diverso. Vorrei che fossi nato qualche anno prima di loro. Almeno adesso li potresti sopraffare con facilità e farti obbedire.”

Forse fu solo un’impressione, ma improvvisamente mi sentii perforato dallo sguardo letale di Kenneth.

“A letto, ora” sospirò però nostro padre, mettendo fine alla conversazione e precedendo tutti all’interno del maniero e poi lungo le scale a chiocciola.

Procedemmo in una fila scomposta tutti e cinque, i nostri genitori davanti e noi figli dietro in religioso silenzio, fino al primo piano. Lì si concentravano molti più alloggi di quanti noialtri, in qualità di famiglia del discendente del fondatore dell’Accademia, potessimo occuparne al momento. Soprattutto dato il fatto che io, Devin e Kenneth, in quanto cadetti militari, eravamo destinati a condividere un’unica camera, la più spoglia, finché non avessimo avuto una moglie che giustificasse un aumento di comodità.

Dal nulla intravidi nostra sorella minore Coraline affacciarsi alla porta della sua camera e rimanere sgomenta notando i volti malconci di Devin e Kenneth. Così, dopo che si fu curata di salutare il padre al suo passaggio, rivolse a nostra madre uno sguardo di supplica al quale la donna rispose annuendo con un sorriso triste prima di seguire il marito in camera da letto e chiudere la porta con il minimo rumore.

Solo allora Cora uscì di corsa, con addosso una veste da camera decorata da ricami argentati sopra la tunica leggera con cui aveva dormito, per precipitarsi verso Kenneth e Devin. Stava per parlare, mettendo a nudo ogni singola goccia della sua apprensione, ma Kenneth ebbe il buonsenso di premerle un dito sulle labbra e aspettare che tutti e quattro fossimo entrati nella nostra camera e la porta fosse stata chiusa per concedere libero sfogo a qualsiasi commento.

Che cosa è successo?”

Devin e Kenneth si sono sfidati di nuovo” risposi io, visto che i miei gemelli stavano ancora affogando nell’imbarazzo della punizione subita. “E questa volta nostro padre non si è limitato a urlargli addosso.”

Lasciatemi dare un’occhiata a quei lividi” sospirò allora Cora, che ad appena tredici anni era una Guaritrice più potente di nostra madre.

Quando però allungò la mano verso il volto di Devin, questi si ritirò con fare irritato.

“Lasciami stare, Cora.”

Dubiti che ti possa far stare meglio?” domandò allora nostra sorella, indignata. “Chi ti salvò dalla perdita di una gamba quando avevi dodici anni e ruzzolasti giù da quella tettoia?

Non è questo il problema.”

E allora…”

Ti dirò io qual è il problema” intervenne Kenneth, alzando lo sguardo. “Ci vergogniamo, Cora.”

“E per quale strano motivo?” insistette lei, spaesata.

Kenneth scoppiò in una risatina malsana e per niente allegra.

“Ti rendi conto di quanto sia grave quello che è successo per noi, per il nostro orgoglio e onore? Essere presi a sberle da nostro padre alla veneranda età di sedici anni, davanti a mezza Accademia. Ci ha trattati come due marmocchi capricciosi, certo non come due militari, e domani mattina tutti lo sapranno.”

“Ebbene, lascia che ti dica quello che penso, Kenneth” esclamai io a voce un po’ troppo elevata, alzandomi dal giaciglio dove mi ero accomodato, con le guance profuse dello stesso calore che doveva aver provato mio padre pochi minuti prima. “Data l’immaturità e l’avventatezza del vostro comportamento, dovreste rendere grazie che non vi abbia stesi sulle ginocchia e sculacciati come faceva quando conoscevamo il significato di ben poche parole. La verità è che voi due vi comportate continuamente come mocciosi viziati.”

Senza nemmeno lasciare alle mie parole il tempo di sedimentare, Devin mi si avvicinò con fare minaccioso, borbottando ingiurie, e mi afferrò bruscamente per la parte anteriore della tunica.

Prova a ripeterlo, femminuccia leccapiedi, e ti fa lavare l’offesa col sangue!”

Perché non usi il tuo, visto che nostro padre ha già gentilmente provveduto a fornirlo?” sibilai di rimando.

Lui tirò indietro la mano serrata a pugno prima di dirigerla contro il mio stomaco, ma per mia fortuna Cora fu lesta ad aggrapparsi al suo braccio e a bloccarlo.

“Smettetela!” ordinò con gli occhi lucidi. “Possibile che riusciate a ignorare in questo modo il fatto di essere fratelli? Non posso obbligarvi a volervi bene, ma almeno abbiate un minimo di rispetto per le persone che ve ne vogliono!”

Colpito dal malessere della sorella, Devin acconsentì ad abbassare il braccio lungo il fianco, ma sputò ai miei piedi e mi rivolse un’occhiata carica d’odio prima di andare a stendersi sul proprio letto dalla parte opposta della stanza senza aggiungere una singola parola.

“Bene” disse allora Cora nel silenzio, con lacrime che minacciavano di colarle lungo le guance da un momento all’altro. “Visto che nessuno qui sembra avere bisogno di me, me ne vado. Buonanotte.”

“Aspetta, Cora” si affrettò a fermarla Kenneth, rivolgendole un sorriso colmo d’affetto non appena lei si voltò a guardarlo. “Ti sarei davvero molto grato se volessi aiutarmi con questi lividi. Nostro padre ha la mano pesante e lo ammetto, la faccia mi fa un male cane.”

Lei lo guardò stralunata per qualche secondo, poi annuì, compita: “Certo. Fammi vedere.”

La osservai con attenzione mentre posava le mani fresche sulle guance di Kenneth e chiudeva gli occhi per concentrarsi sul dolore del fratello. Dopo pochi secondi, Kenneth sussultò e, quando nostra sorella allontanò le mani, il suo viso era di nuovo latteo e fiero, vagamente lentigginoso, senza accenni di gonfiore.

“Grazie, sorellina” mormorò lui.

“Aspetta.”

Con un solo tocco, Cora gli pulì il naso dal poco sangue raggrumato.

Dopo che della punizione di Kenneth non fu rimasto altro che il ricordo, tutti e tre restammo in silenzio per un tempo indefinito, con le maglie della notte che parevano sfilacciarsi attorno ai nostri respiri pacati e sguardi sfuggenti. Ben presto il mio e quello di Cora si concentrarono sulla schiena di Devin ed entrambi non impiegammo molto per dedurre che la stanchezza aveva avuto la meglio sul suo sdegno. Era quasi incredibile, quanto in fretta si fosse addormentato dopo essere stato uno dei protagonisti di tanto fracasso.

Sarà meglio che mi occupi anche di lui, ora che non può lamentarsene” sospirò mia sorella.

Con il tatto che la contraddistingueva, si avvicinò a Devin e operò su di lui come aveva fatto con Kenneth, senza destarlo dal suo sonno accigliato.

Ora me ne torno a letto” sbadigliò poi. “Cercate di riposare.”

Ricordo che sorrisi intenerito di fronte all’istinto materno che non sapeva tenere a bada. Ma il suo augurio non si rivelò sufficiente e quella notte dormii poco e male, conscio dell’astio che i miei fratelli covavano nei miei confronti.

 







 

Angolino dell’autrice

Se siete arrivati fin qui, grazie. Questa è una storia che ho rimaneggiato per moltissimi anni – dieci, se ricordo bene – e che da qualche mese, forse, si è avviata sul binario giusto.

Un abbraccio sconfinato a Luinloth per avermi fatto tornare la voglia di impegnarmi nella pubblicazione – cercherò di essere puntuale, pubblicando un capitolo ogni due settimane.

E un benvenuto a voi che state leggendo! Spero che questo capitolo vi abbia incuriositi almeno un po’ e che vi sia venuta voglia di seguirmi in questo viaggio. Se vorrete farmi sapere cosa pensate di questo primo capitolo, ogni recensione sarà più che ben accetta ❤️

Alla prossima!

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Capitolo 2
*** Responsabilità ***


II. Responsabilità

 

Devin si ridestò dopo un paio d’ore e, confuso nel non avvertire più le guance pulsare per i colpi di suo padre, se le tastò e scoprì che Cora aveva operato con la magia a sua insaputa, mentre dormiva. Sorrise tra sé e sé, lieto di sapere che malgrado il suo orgoglio gli eventi, quella notte, avrebbero potuto proseguire come aveva pianificato qualche ora prima della lite con Kenneth.

Prima di ergersi in piedi, controllò che i suoi due fratelli vantassero un respiro regolare. Non poteva rischiare di essere visto, se non voleva che uno di quei due ficcanaso lo denunciasse di lì a poche ore. Dopo aver appurato la profondità del loro sonno, si alzò in piedi e uscì dalla stanza con passi leggeri, evitando le assi cigolanti di cui oramai conosceva a memoria la posizione.

Mantenne lo stesso livello di cautela nel superare la parte di corridoio sulla quale si affacciavano le stanze occupate dai membri della sua famiglia, senza lasciarsi ingannare dalla falsa sicurezza delle porte chiuse, ma non concesse ai suoi sensi di cessare l’allerta neppure una volta che ebbe svoltato nell’ala ovest e oltrepassato un portone massiccio che si richiuse alle spalle. Se il suo segreto aveva vissuto tanto a lungo era perché, almeno in quell’ambito della sua vita, non si era mai permesso di giocare d’azzardo.

Il corridoio che gli si parò davanti era ben tenuto, pulito, ma c’era qualcosa, nell’aria che si respirava in quella parte del maniero, che sapeva di abbandonato nonostante l’attenta manutenzione. Devin sapeva che quell’ala, assieme a tutti gli altri spazi della dimora che non erano abitati, sarebbe servita a ospitare nuovi rami della famiglia una volta che lui e i suoi fratelli avessero contratto matrimonio. Ma, dato l’uso che lui stesso aveva conferito a una di quelle piccole sale, l’inevitabile unione con una delle antiche famiglie del Continente era qualcosa a cui cercava di pensare il meno possibile.

Completò la sua marcia laddove un muro sembrava impedirgli di andare oltre e si ritrovò nel punto più silenzioso, meno illuminato e meno appariscente dell’androne. Si guardò in giro un’ultima volta, prima di intrufolarsi nell’ultima stanza a sinistra e richiudersi la porta alle spalle con cautela.

La ragazza dormiva a terra sopra due spesse coperte di lana, raggomitolata in posizione fetale e con ancora addosso la veste di cotone grezzo color mattone in cui Devin l’aveva intravista durante la giornata, mentre si recava a nutrire le galline e le oche o spariva nelle cucine per lavare i piatti della cena. Doveva essere salita dalla scala a chiocciola nascosta oltre la parete di fondo troppo presto e, nell’attesa, si era appisolata.

Per un attimo Devin rimase a rimirarla alla luce della luna che filtrava dalla finestra, senza neppure sforzarsi di cancellarsi dalla faccia il sorriso sereno comparso alla vista di lei. Aveva la sensazione di poter affogare delicatamente nella semplice visione del suo corpo, che si muoveva appena sull’onda del respiro tranquillo, del braccio che lei teneva piegato sotto la guancia, delle sue labbra schiuse appena, dei ciuffi di capelli color miele che le erano sfuggiti dalla treccia e ora le contornavano il viso dalle linee armoniche, dolci.

Era una visione, per Devin. Lo era sempre stata, in un modo o nell’altro, in una maniera che sapeva rendere il ragazzo inerme al punto da spaventarlo. Quella passione, quei desideri erano quanto di più pericoloso si fosse mai concesso in vita propria e non essere in grado di resistervi serviva soltanto ad aumentare il suo turbamento.

Improvvisamente, come se avesse avvertito quello sguardo di contemplazione pesarle addosso, Martha aprì gli occhi e si erse a sedere sobbalzando non appena mise a fuoco la figura che si stagliava poco oltre la soglia della porta.

Il ragazzo attese qualche secondo affinché lei lo riconoscesse. Poi, come accadeva ormai da una vita, lei lo accolse con un sorriso sollevato.



Il mattino seguente a quell’inquieta nottata mi svegliai con un acuto mal di testa che mi obbligò a restare ancorato a letto per qualche minuto al fine di riordinare le idee. Fin da bambino avevo sofferto di quel tipo di disturbo, che io maledicevo mentre i miei genitori lo associavano alla mia, per dirla come loro, smisurata bontà d’animo. Per il semplice fatto che l’emicrania si presentava ogni volta che cercavo di togliere dai guai i miei fratelli e invece che un accorato ringraziamento ne ricevevo in cambio solo sguardi vendicativi e sprezzanti.

Ogni volta che mi lasciavo invadere da tali pensieri, questi mi soffocavano con la loro asprezza. Rimarcavano la mia convinzione che, mentre fra Devin e Kenneth – anche se di eterna rivalità – esisteva malgrado tutto un legame profondo, i miei rapporti con i miei gemelli si facessero più scarni e freddi ogni anno che passava, allontanandomi da loro come mai avevo sentito dire da due fratelli.

Mio padre insisteva nel sostenere che ciò era dovuto per una parte al mio livello di maturità e per l’altra alla quasi totale mancanza di giudizio ereditata da Kenneth e Devin, ma tali parole non erano bastate a incantarmi da bambino e sortivano un effetto ancora minore ora che vagavo nel deserto infuocato dell’adolescenza.

Mi strofinai gli occhi con vigore e mi misi seduto con una spinta, lamentandomi debolmente per la fitta che il movimento brusco mi provocò alla nuca.

Accorgendosi che ero sveglio, Devin, che si stava vestendo dandomi le spalle, mi lanciò un’occhiata assassina che decisi di ignorare. Non valeva la pena di ritornare a discutere sull’argomento della sera precedente, soprattutto perché Devin preferiva di gran lunga regolare i propri conti con un’arma in mano piuttosto che a parole e presto sarebbe riuscito a centrare la propria occasione per farmela pagare. Senza alcun dubbio.

In quanto alle scuse che ognuno credeva di meritare dall’altro, eravamo entrambi troppo giovani e superbi per cedere senza alcun incentivo.

Mi alzai dal letto massaggiandomi le tempie per dirigermi verso la finestra incavata nel muro di pietra con nulla addosso, sperando che l’aria fresca rimettesse in sesto il mio cervello e si portasse via i miei pensieri più lugubri per trasportarli lontano, oltre le montagne che ci circondavano da est a nord-ovest.

Mi affacciai per prendere grandi boccate della frizzante aria mattutina, rendendomi conto che era da poco passata l’alba, il sole aveva appena fatto capolino dalle cime a est e nel cortile sul retro della casa il ciclo di attività quotidiane svolte dai domestici stava lentamente riprendendo dopo la pausa notturna: uno degli sguatteri delle cucine stava ritornando dalle stalle con andatura caracollante, reggendo un enorme secchio di latte appena munto, mentre una ragazza vestita con un abito di stoffa grezza e un grembiule color panna lo seguiva stando attenta a non farsi scappare dalle mani qualcuna delle uova appena prelevate dal pollaio, mentre una lunga treccia bionda le dondolava sulla schiena.

Il maniero di famiglia dove vivevamo si trovava all’interno della cittadella, non lontano dal confine a nord del territorio dell’Accademia, perciò il panorama che potevo godere ogni giorno da quella finestra era a dir poco mozzafiato, con le inaccessibili vette innevate e spesso celate da coltri di nebbia poste a coronare il tappeto di prati e foreste che si estendeva in salita per una distanza che nessuno di noi ragazzi aveva mai avuto l’ardire di misurare. Gli alloggiamenti dei soldati, degli apprendisti cavalieri e dei maestri d’armi e il dedalo di viuzze della città che si potevano ammirare dalla stanza di Cora erano senz’altro imponenti, ma nel mio cuore non potevano nulla a paragone della maestosità della natura.

Mi sentii subito meglio e, aiutato da un rinnovato ottimismo, il mal di testa iniziò a scivolare via.

Mentre godevo di quegli istanti, sentii la porta della stanza schiudersi da qualche parte alle mie spalle e mi voltai. Kenneth, già vestito e pronto per i primi allenamenti della giornata, comparve sulla soglia, concesse uno sguardo glaciale sia a me che a Devin a mo’ di saluto e c’informò con tono seccato.

Nostra madre mi ha mandato a dirvi di darvi una mossa se volete mangiare qualcosa prima di andare.”

Andare dove?” domandai, perplesso. “È ancora presto per raggiungere il maestro d’armi.”

Non direi” replicò Kenneth, acre, senza degnarmi di uno sguardo. “Niente addestramento ordinario per oggi, sarà nostro padre a farci da maestro d’armi.”

Grandioso, un’altra lezione di buone maniere. Finirà per sfiancarci” borbottò allora Devin, calzando dei parastinchi di cuoio sopra i pantaloni di lino. “Arlen, è tutta colpa tua.”

Senza concedermi il tempo di smentirlo, mi lanciò addosso una delle tuniche leggere che usavo ogni giorno durante le sessioni di addestramento, subito seguita da un paio di calzoni smessi da Kenneth e da un paio di schinieri morbidi della mia misura. Io afferrai il fagotto con uno scatto azzardato, imponendomi di non rispondere ad alcuna provocazione e nel contempo chiedendomi per quanto ancora avrei dovuto sopportare il ruolo di assennato del trio con cui gli Dei avevano voluto punirmi.

In silenzio, ma ripetendomi mentalmente alcuni dei fondamentali principi morali del codice cavalleresco per non farmi indurre in tentazione, seguii i miei fratelli fuori dalla stanza e verso l’antica sala dove la nostra famiglia era solita consumare tutte le colazioni e le cene assieme.

Coinvolto com’ero nella tensione del momento, il corridoio mi parve interminabile e ogni minimo scricchiolio prodotto dai nostri passi un’esplosione degna di una battaglia per la sopravvivenza.

Abbassai il capo e strinsi i pugni, consapevole di ciò che stava accadendo. Come sempre provavo più rimorsi che orgoglio per la giusta azione che avevo compiuto e, anche se sapevo che erano i miei gemelli a essere dalla parte del torto, il bisogno di parlargli per chiarire la faccenda mi premeva contro il petto con l’insistenza e la capacità di persuasione di un carbone ardente.

La mia debolezza nei confronti degli sguardi duri di Kenneth e Devin, però, suscitò in me un disgusto tale da indurmi a retrocedere per mettere da parte certe idee.

Entrammo nella sala dopo aver convenientemente bussato e ci posizionammo uno accanto all’altro e con le mani dietro la schiena poco oltre la soglia, in attesa di un cenno di assenso da parte di nostro padre. Lord Morven era seduto a capo di una lunga tavola di mogano lucidata e apparecchiata con tutto il necessario per una colazione luculliana che nessuno si stava veramente godendo.

Lui non alzò subito lo sguardo per degnarci della sua attenzione, ma continuò a spalmare paté di carne su una grossa fetta di pane, imprimendo nel movimento del polso più vigore del necessario a mo’ di monito. Alle sue spalle, la luce mattutina che filtrava dalla finestra donava un che di mistico alla sua figura rabbuiata.

Nostra madre, seduta alla sua sinistra con la schiena ritta, vestiva un abito verde muschio stretto in petto da ordinati lacci dorati e ci rivolse un sorriso incerto, mostrando gli occhi chiarissimi e gonfi. Non era certo la prima volta che la preoccupazione per i suoi figli le impediva di prendere sonno, ma notare la sua sofferenza equivaleva ogni volta a una stilettata inferta al cuore.

Lo sguardo di Kenneth precipitò a terra, rammaricato, mentre Devin fece finta di perdere interesse per dedicarlo ai vari quadri dai colori tetri che popolavano i muri, lasciando poco respiro alla parete vera e propria.

In quanto a me, quella sala arredata completamente in legno mi aveva sempre messo in soggezione. Forse perché era il luogo preferito da nostro padre quando si trattava di imprimerci una buona lavata di capo. O forse a causa dell’alto soffitto intonacato, dei mobili che profumavano di lettere deposte ad asciugare nei cassetti, dei dipinti maestosi che trasmettevano l’eco di antiche leggende.

Finalmente nostro padre alzò lo sguardo dal piatto, togliendoci dall’imbarazzo per gettarci nell’angoscia che un tale sguardo adirato portava sempre con sé. Vedevo in quei suoi profondi occhi oltremare che la collera non aveva ancora lasciato il posto alla rassegnazione ed ero anche in grado di leggerci il pronostico di una dura giornata di lavoro ai suoi ordini di esperto cavaliere e Comandante dell’Alta Cavalleria.

Io e vostra madre non abbiamo chiuso occhio, questa notte. Ma mentre lei non riusciva a placare l’apprensione per voi disgraziati, io ho riflettuto” esordì l’uomo, non staccando gli occhi di dosso ai miei gemelli. “Ho anche ricordato che lo spettacolo che voi due avete offerto ieri sera non si differenzia molto dalle liti di due mocciosi che vogliono lo stesso balocco. Ora, io pensavo di avere dei sedicenni come figli, e che cosa mi ritrovo? Due uomini fatti e finiti nel corpo che combattono fra loro per decidere chi è il più forte? No, anzi, sono costretto a correggermi.”

Alzò la voce così all’improvviso che tutti e tre trasalimmo vistosamente: “Due fratelli con l’intento di uccidersi a vicenda per presunzione!”

Solamente quando l’eco di quell’urlo si fu placato, Kenneth si azzardò a prendere la parola in quanto primogenito, ma i suoi occhi indugiarono prima di alzarsi al livello di quelli di nostro padre.

Padre, noi… non saremmo mai arrivati a quel punto, lo sapete. Noi…”

Voi siete sempre gli stessi, Kenneth” proseguì l’uomo con rinnovato ardore. “È da quando siete bambini che tu e tuo fratello vi sfidate in mille modi, e se all’inizio erano lotte innocenti ora sono diventate le manie di due giovani perfettamente capaci di ferire e di uccidere. E sinceramente non so se uno di voi due sia abbastanza giudizioso da sapere quando è ora di fermarsi, accecati come siete dalla boria.”

Certo, secondo voi fra noi tre Arlen è il solo che sappia formulare una frase di senso compiuto” bofonchiò Devin, infastidito, attirando l’attenzione di tutti su di sé come il magnete per guai che era sempre stato.

Lord Morven si irrigidì appena un poco di più.

Ti pregherei di metterci a conoscenza delle tue opinioni senza esporle a metà, Devin.”

Il giovane prese fiato senza timore: “Dico semplicemente che ci sottovalutate.”

Kenneth gli assestò un’implacabile gomitata nel fianco mentre nostro padre tornava a gonfiarsi d’ira.

Ragazzino, se solo sapessi quante cose devi ancora imparare sulla vita, ti…”

Prima che scoppiasse di nuovo, nostra madre allungò una delle sue pallide mani affusolate per sfiorargli il braccio e rivolgergli un’occhiata amabile che, dopo anni di matrimonio, nascondeva ben pochi significati. Nostro padre parve calmarsi e prese un respiro profondo prima di continuare con tono più contenuto.

Kenneth, ogni volta spero che sia l’ultima in cui mi toccherà ripetertelo, ma cerca di ricordare che bene o male sei il fratello maggiore e perciò hai una responsabilità speciale nei confronti degli altri.”

D’ora in poi lo terrò a mente” promise il mio gemello, grave.

E Devin” procedette l’uomo, non celando l’inclinazione pungente del suo tono di voce. “Che non succeda mai più.”

Sì, padre” disse questi tra i denti, indispettito.

Solo allora nostro padre si alzò da tavola. Mi parve più stanco della notte precedente.

Ora fate compagnia a vostra madre per la colazione. Vi aspetto in cortile, pronti, tra un quarto d’ora. Portate i vostri zaini più resistenti.”

Mentre noi ci accomodavamo ai nostri posti, l’uomo si diresse verso la porta e, passandomi accanto, mi toccò la spalla per attirare la mia attenzione e rivolgermi un breve sussurro.

Ovviamente considerati escluso da tutto questo.”

Io assentii, tirando gli angoli della bocca in un sorriso forzato, poi presi posto a tavola e mi servii del latte e una pagnotta ancora calda.

Quel poco di amor proprio che mi era concesso mi trattenne dal rivolgere la parola ai miei fratelli per l’intera durata della colazione e il silenzio di nostra madre unito alla debolezza che traspariva dal suo viso non mi incitò a nulla di più.

Fu nel tragitto dalla sala da pranzo alla nostra stanza, dove ci stavamo recando per recuperare quanto richiesto, che persi il controllo, mi fermai nel bel mezzo del corridoio e li chiamai per attirarne l’attenzione.

Ragazzi.”

Accettai di buon grado lo sguardo di sufficienza che mi rivolse Devin e quello più benevolo e curioso di Kenneth mentre alzavo il mio, in cerca di pace, verso di loro.

Volevo dirvi che mi dispiace per ieri notte. Forse… forse avrei dovuto mettermi dalla vostra parte. Forse avete agito meglio di me, combattendo, mentre io non ho fatto nulla per dimostrare il mio valore e ho persino ricevuto le lodi di nostro padre. Quindi, ecco…”

D’accordo” assentì semplicemente Kenneth, interrompendomi con un sorriso smagliante quanto inaspettato.

Da dove l’aveva tirato fuori? Era stato forse il discorso di nostro padre?

Prima che potessi anche solo rendermi conto di essere restato senza parole, lui mi saltò addosso senza alcun preavviso, mi intrappolò mettendomi un braccio attorno al collo e cominciò a strofinarmi le nocche sulla nuca fino a farmi urlare dal dolore mentre tentavo di scrollarmelo di dosso.

Ah! Lasciami andare, bestione, piantala!”

Questo ti insegnerà a non fare mai più il leccapiedi con nostro padre rise lui, liberandomi dalla morsa dei suoi muscoli per posarmi una mano bollente sulla spalla. “No, la verità è che sei troppo buono a chiederci perdono. Sei stato tu a comportarti nella maniera più giusta ieri e, dal canto mio, ho compreso di essermi meritato il castigo.”

Pace fatta, allora?” azzardai, speranzoso.

Ma certo, fratellino.”

Entrambi ci voltammo verso Devin, che ci stava osservando con un’espressione accigliata, come se stesse pensando a quanto suonassero sdolcinate e poco adatte a un discorso tra due uomini quelle parole. Infine sbuffò e mi rivolse un sorrisetto accorto.

Sai bene che non bastano le tue melensaggini da donnetta per soddisfare me, Arlen. Se vuoi il mio perdono devi guadagnartelo. Che ne dici di una sfida?”

Non potrei essere più d’accordo” annuii, deciso a non apparire inferiore alla sua arroganza. “Cosa proponi?”

Combattimento” replicò Devin senza un secondo d’esitazione. “La spada sarebbe ideale, ma vista la situazione ogni occasione per misurarsi andrà più che bene.”

Devin” obiettò però Kenneth, rimproverandolo con lo sguardo. “Non ti è bastata l’umiliazione di ieri? Di cosa si tratta veramente, vuoi mettere anche Arlen sotto una cattiva luce agli occhi di nostro padre? Vuoi vendicarti?”

Che bassa considerazione hai di me, fratello! Tutto ciò che desidero è regolare i conti con Arlen come farebbe un cavaliere e non un politico vestito con una tunica soffice e comodi sandali ai piedi” lo provocò l’altro, godendo del fastidio che provocava.

Prima che l’atmosfera si riscaldasse, provvidenziale come un temporale scatenatosi su un incendio dirompente, Cora comparve dalla profondità delle scale, tutta trafelata, con l’orlo del suo abito color ambra sporco di fango per almeno tre dita.

Tutti capimmo che era andata di nuovo a cogliere piante selvatiche di nascosto, ma non avemmo il tempo di farglielo notare in quanto lei fu la più lesta ad ammonirci, stentando a celare un sorriso.

Che fate ancora qui, scansafatiche? Nostro padre vi sta aspettando nel chiostro. E posso dirvi che ha una faccia da generale che non promette nulla di buono!”

Allora sarà meglio fornirgli al più presto un po’ di carne da macellare” le sorrise Kenneth, allungandole un buffetto sulla guancia prima di affrettarsi ad andare a recuperare il suo zaino, seguito da me e Devin. “A più tardi, piccola peste.”

 

 

 

 

Angolino dell'autrice

Err, avevo forse detto che avrei aggiornato ogni due settimane? Ops. Ma accorciare i tempi non ha mai fatto del male a nessuno, dico bene? 🌻

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Capitolo 3
*** Dovere ***


III. Dovere

 

Malgrado il cielo fosse coperto e la stagione delle nevicate pesanti avesse lasciato spazio a quella delle fioriture solo da qualche settimana, si preannunciava una giornata calda. Nostro padre ci accolse nel chiostro a braccia conserte, con i capelli rossi mossi dalla lieve brezza, un abbigliamento essenziale e leggero, una sacca di pelle a tracolla e gli occhi blu accesi da un’energia implacabile. Era più che mai somigliante a Kenneth nei suoi giorni no.

“Alla buon’ora” commentò una volta che tutti e tre fummo approdati al suo cospetto con le nostre sacche più robuste appese alle spalle.

Quando ci fece cenno di seguirlo, tutti e tre obbedimmo in silenzio. Affiancati, proseguimmo dietro di lui ignorando il cortile di addestramento e superando ognuno degli edifici sparsi che costituivano la cittadella per inerpicarci lungo i prati a nord. Eravamo in cammino da un quarto d’ora e avevamo appena svoltato verso est per affiancare le prime macchie d’alberi quando mi resi conto di essere l’unico di noi ragazzi a non rischiare di essere fatto tacere malamente per una semplice domanda. Morven aveva chiarito di non ritenermi colpevole di nulla di quanto accaduto la notte precedente.

“Padre?”

Dimmi, Arlen.”

“Dove stiamo andando, se posso chiedere?”

All’ansa del torrente” rispose lui, continuando a macinare metri lungo il leggero pendio, con lo sguardo puntato in avanti. “Riempirete le vostre sacche con il numero di pietre che riterrò consono e faremo un’escursione fino all’Altopiano degli Olmi. Una volta lì, valuterò i vostri progressi.”

Alle sue spalle, io e i miei fratelli ci scambiammo delle occhiate consapevoli. Per salire all’Altopiano degli Olmi si impiegavano tre ore, con un buon passo e nessun bagaglio. Nessuno di noi era estraneo a quel tipo di marcia, quindi tutti sapevamo che il carico di pietre avrebbe quasi raddoppiato i tempi di percorrenza. Era da almeno quattro anni che ci allenavamo per essere in grado di sopportare il peso di un’eventuale armatura.

In un’altra manciata di minuti raggiungemmo l’acqua che scorreva tra le radici degli abeti e, come nostro padre, ci fermammo accanto alla sponda del torrentello che in quel punto attraversava il bosco. Già istruiti in merito a ciò che ci si aspettava da noi, ci accucciammo e cominciammo a caricare rocce di ogni dimensione senza che nostro padre dovesse aggiungere altro. Kenneth, però, si fermò poco dopo per raddrizzarsi e rivolgersi a lord Morven dopo avermi scrutato per un istante.

Col vostro permesso, padre” intervenne. “Arlen non ha nessuna colpa in tutto questo. Vi prego di permettergli di unirsi ai nostri compagni per l’addestramento ordinario.”

Che cosa? Neanche per sogno” mi opposi d’istinto, abbandonando a mia volta la ricerca di ciottoli adatti per lanciargli un’occhiata offesa.

Nostro padre valutò la mia indignazione dall’alto per un paio di secondi, quindi si rivolse al suo primogenito con serenità, come se fosse stato chiamato a mediare tra noi.

Non dovresti sottovalutare tuo fratello.”

Io non lo sottovaluto” si difese Kenneth, che evidentemente si era mosso con l’intento di proteggermi e non di insultarmi. “Ma siamo stati io e Devin a contravvenire alle regole, siamo noi a meritarci… tutto questo.”

Nostro padre si accigliò appena di fronte a quell’interpretazione.

Saprò separare l’allenamento dalla punizione, Kenneth. Di questo non dubitare. E ora forza con quelle pietre, il sole si sta alzando.”

A conferma delle sue parole, io ricevetti prima dei miei fratelli l’ordine di smettere di incastrare pietre nel mio zaino. Nostro padre lasciò che Devin e Kenneth si caricassero di qualche chilo in più, prima di annunciare l’inizio della marcia.

L’escursione venne consumata in doveroso silenzio. Mantenendo gli scambi di parole al minimo e concentrandoci sul ritmo dei nostri respiri, raggiungemmo la meta in poco più di cinque ore senza che nessuno di noi rimanesse indietro. Stavo proprio riflettendo su come Devin e Kenneth avessero fatto un ottimo lavoro, trattenendosi dal bisticciare per l’intera mattinata, quando, approfittando del fatto che Kenneth si era fermato a riprendere fiato sull’ultima curva scoscesa prima dell’altopiano, Devin gli si affiancò superandomi con uno scatto.

Sei al limite, ah?” chiese a Kenneth per stuzzicarlo.

“Niente affatto” replicò nostro fratello, secco. “Stavo solo pensando che avremmo passato una giornata più comoda, se non fosse per la boccaccia che ti ritrovi e che non tieni mai chiusa.”

Mi sembra che tu abbia risposto alle mie provocazioni con fin troppa facilità, fratello. Non molto onorevole, per un aspirante cavaliere” ribatté Devin, gongolando mentre lo oltrepassava con soddisfazione lungo il sentiero.

Kenneth non fece in tempo a rimettersi in marcia con passo raddoppiato che nostro padre sbucò dal valico che separava la ripidità del sentiero dal prato pianeggiante dell’altopiano e mise fine al battibecco con uno schiocco delle dita.

Voi due” li ammonì. “Sento che avete ancora fiato in abbondanza.”

Se non mi fossi trovato tre metri più indietro rispetto ai miei fratelli, li avrei visti sbiancare e loro avrebbero avuto occasione di accorgersi che stavo sorridendo sotto la mano che mi portai al volto per asciugare una parte del sudore che lo irrorava.

Kenneth ebbe l’ardire di provare a metterci una pezza.

Veramente, noi…”

“È davvero un’ottima notizia, dato che vi spettano ancora tre giri del perimetro dell’altopiano, prima di poter posare quegli zaini. Di corsa” aggiunse dopo un attimo di riflessione.

Il perimetro dell’altopiano doveva corrispondere a due o tre chilometri, stimai a occhio.

Ma…”

La debole protesta di Devin venne spenta dal grido marziale con cui nostro padre mise fine alla questione.

Muoversi!”

Mentre i miei fratelli si affrettavano ad obbedire per non incorrere in conseguenze peggiori, io ricevetti il permesso di svuotare il mio zaino dal peso delle pietre e di abbandonarlo non appena ebbi messo piede sull’altura. Lo avremmo recuperato sulla via del ritorno, mi spiegò mio padre mentre lo seguivo placidamente attraverso il terreno erboso. Per un po’ i nostri sguardi seguirono la corsa di Kenneth e Devin – lord Morven non si sarebbe certo dimenticato di controllare che facessero come aveva comandato. Poi mi disse che avrei potuto andare a rinfrescarmi presso la cascata una volta che il calore della salita si fosse dissipato. Nel laghetto ai piedi di quella cascata, io e i miei fratelli avevamo imparato a nuotare da bambini.

Prima che Devin e Kenneth completassero la corsa, io ero già a mollo nelle acque fresche, immerso fino al collo. La posizione di quella piccola oasi offriva una vista senza eguali della pianura verde dell’altipiano, perciò li osservai da lontano mentre, a missione compiuta, raggiungevano nostro padre accanto all’unica quercia che dominava il prato, un albero secolare che si era sviluppato ampiamente in larghezza, e finalmente abbandonavano a terra le loro sacche zeppe di sassi del torrente.

Appoggiatomi con le braccia sulle pietre piatte che facevano da sponda al laghetto, rimasi a guardarli, pur non potendo udirli, mentre lasciavo che il gelo dell’acqua mi sciogliesse i muscoli tesi dalla camminata. Potei soltanto intuire quanto, più tardi, Kenneth mi avrebbe raccontato. A quanto pare, Devin stava per dirigersi verso la cascata quando lord Morven lo frenò.

Torna sui tuoi passi, Devin. Non avete ancora finito.”

Mio fratello si voltò nuovamente verso di lui con la consueta guerra negli occhi.

Siamo esausti e stiamo morendo di fame” protestò.

“Eccellente” replicò l’uomo, studiando la struttura della quercia sotto la quale aveva deposto la sua borsa a tracolla. “Così forse imparerete qualcosa da questa esperienza. Per esempio, a usare le vostre notti per dormire, invece di tentare il fratricidio, e le vostre colazioni per nutrirvi, invece di tenervi il muso a vicenda.”

Ma Devin non si arrese, con buona pace di Kenneth e di tutte le occhiatacce che gli stava lanciando mentre riprendeva fiato con più impegno del fratello, piegato in due.

Intendete farci allenare affinché possiamo migliorare o semplicemente sfiancarci come bestie da soma?”

Lord Morven lo gelò con lo sguardo da sopra la spalla.

Questo dipende da voi. Ora scegliete un ramo e badate bene di rimanere appesi fino al mio comando. Se uno di voi si lascerà cadere prima del tempo, dovrete ricominciare” illustrò, voltandosi per poterli tenere d’occhio. “Entrambi.”

Da lontano, li vidi arrampicarsi sull’albero quel tanto che gli consentì di ritrovarsi ben presto a penzolare dallo stesso ramo robusto, uno vicino all’altro. Dal racconto di Kenneth so che per almeno due minuti nessuno parlò, ma che infine il primo a cedere alle lamentele fu Devin. Entrambi erano già provati dalla marcia, ma lui era anche una vittima del suo istinto a ribellarsi a tutto quanto percepiva come ingiusto.

Mi si stanno per slogare le spalle. O per staccare le braccia” borbottò tra i denti, mentre cercava di accomodare meglio le dita che stavano per cedere attorno alla corteccia.

“Resisti” si affrettò a incoraggiarlo Kenneth a mezza voce. “Pensa a qualcos’altro.”

“Tipo a che cosa, genio?”

Kenneth alzò gli occhi al cielo.

“Magari a qualcuna delle decine di fanciulle per cui hai perso la testa dai dieci anni in su?”

Fra noi tre, Devin era l’unico a essersi costruito una fama di seduttore, malgrado tutte le restrizioni a cui eravamo sottoposti in ambito relazionale e sentimentale la rendessero vuota di fatti. O perlomeno così credevo a quei tempi. Se non altro, l’allegra provocazione di Kenneth riuscì a farlo sogghignare mentre si sforzava di non pensare al dolore alle braccia.

“Oh be’, fantastico” commentò, rivolgendo la cosa più simile a un ghigno complice che si sentiva di offrire al fratello. “Non riesco a decidere se potrebbe rivelarsi utile o del tutto controproducente, in questo caso.”

Trascorse un altro minuto di silenzio e immobilità, prima che una delle mani sudate di Kenneth perdesse la presa da un secondo all’altro. Con uno scatto istintivo, la mano sinistra di Devin abbandonò a sua volta il ramo per correre ad afferrare il braccio tremante del fratello e alzarlo in tempo affinché potesse recuperare l’appiglio prima che il ragazzo rovinasse sul prato e li condannasse entrambi a ricominciare l’esercizio daccapo.

Con le labbra strette e il volto madido di sudore, Kenneth si accertò di essere stabile prima di voltarsi verso Devin con una traccia di imbarazzata riconoscenza.

Grazie.”

Dovere” mormorò di rimando Devin, tenendo lo sguardo saldo davanti a sé.

Stava fissando l’uomo che a sua volta li studiava entrambi a braccia conserte dall’inizio di quello che Devin considerava un inutile teatrino. Lord Morven non evitò l’astio di quegli occhi uguali ai suoi, ma dopo qualche altro momento sciolse il nodo delle proprie braccia, soddisfatto.

“È sufficiente. Lasciatevi cadere.”

I miei fratelli non se lo fecero ripetere e abbandonarono immediatamente il sostegno dell’albero per crollare carponi a terra. Una volta che si furono rimessi in piedi col fiato corto, nostro padre li trattenne mettendo una mano sulla spalla di ognuno per impedirgli di allontanarsi l’uno dall’altro alla velocità della luce.

Vedete quanto riuscite a essere migliori quando collaborate, invece di saltarvi alla gola a vicenda?” gli fece notare, e attese di aver ricevuto almeno un cenno di assenso da parte di entrambi prima di sospirare e lasciarli andare. Raggiungete Arlen, forza.”

Dopo che anche Devin e Kenneth si furono rinfrescati sotto la cascata, entrambi immersi in una quiete meditabonda, ci riunimmo sotto la quercia per pranzare con quanto nostro padre aveva portato, caricandoselo sulla schiena al posto dei massi del torrente. Trascorremmo una mezz’ora serena nel silenzio immacolato dell’altopiano, asciugandoci al sole che faceva capolino tra le nubi, e io, da osservatore nato qual ero, potei rallegrarmi tra me e me di vedere i tratti del viso di Kenneth rilassarsi e perfino Devin abbandonare qualche briciola del rabbioso amor proprio che ultimamente sembrava seguirlo come un’ombra. A volte, tra un addestramento e l’altro, capitava che riuscissimo a sentirci soltanto dei sedicenni senza turbamenti di sorta. Erano momenti rari e preziosi, per noi, e di quei ricordi faccio tesoro ancora oggi.

“Trenta minuti di riposo, poi vorrò vedere cosa avete ricavato dall’addestramento delle ultime settimane” ci informò nostro padre dopo che il pane d’avena e il pesce salato furono terminati.

Duelli?” chiese allora Devin, con gli occhi accesi da un nuovo moto di speranza.

Almeno per qualche tempo puoi toglierti dalla testa che dia in mano una spada a te o a tuo fratello” lo frenò l’uomo, fulminandolo con lo sguardo. “E non pensare neppure che ti consentirò di fronteggiare Kenneth, in alcun modo, né quest’oggi né per molti giorni a venire.”

“Quindi corpo a corpo, signore?” domandò Kenneth per spezzare il momento di tensione.

Lord Morven assentì col capo.

Corpo a corpo.”

Dopo che avemmo riposato a sufficienza, allungammo i muscoli in vista dei combattimenti. Devin mi lanciava continuamente occhiate di ostentata rivalità che io mi sforzavo di ricambiare con pari slancio nonostante quella parte del codice d’onore cavalleresco non fosse mai stata una mia priorità, mentre per una volta era Kenneth a osservarci preoccupato.

Ma malgrado conoscessi la potenza dirompente degli attacchi di mio fratello, non avevo intenzione di rimangiarmi la parola, e non solo perché ciò avrebbe significato perdere la stima di Devin. Non ero un semplice aspirante soldato o cavaliere come chiunque frequentasse le lezioni dell’Accademia, ma un discendente diretto del suo fondatore e non avevo il diritto né il benché minimo desiderio di disonorare la mia famiglia.

Mentre mi avvicinavo a nostro padre per proporgli uno scontro tra me e Devin, riflettei sul fatto che nonostante tutto mio fratello si era sempre dimostrato il più affezionato alla tradizione cavalleresca di famiglia. Anche se sapeva bene che sarebbe stato Kenneth a ereditare tutto in quanto primogenito e che noi figli minori ci saremmo sempre dovuti accontentare di posizioni di poco rilievo rispetto a nostro fratello, lui non demordeva e almeno in ambito militare si teneva stretto ai principi con cui nostro padre ci aveva cresciuti: rispettare il codice, sempre e comunque.

Kenneth poteva avere una predisposizione fisica che lo avvantaggiava leggermente e il suo stesso entusiasmo, ma non era un combattente capace e resiliente quanto Devin.

In quanto a me, ero l’ultima ruota del carro. Non solo il figlio minore, non solo il meno portato per l’arte della guerra in senso fisico, ma anche il più morigerato e giudizioso: tutte caratteristiche che i più consideravano inadatte ai fuochi della battaglia.

Padre” chiamai una volta riemerso dai miei pensieri. “Vorrei essere il primo e sfidare Devin, se siete d’accordo.”

L’uomo, più alto di me di una trentina di centimetri, mi scrutò in viso come a voler scoprire del loro velo le mie sottili menzogne.

Non si tratta di sfide, Arlen, ma di incontri di addestramento” mi fece notare, marcando il mio palese errore.

“Sì, era quello che intendevo dire. Vorrei solo… misurarmi con Devin.”

“Sei tu o è Devin a volerlo?” continuò a pressarmi lui, lanciando un’occhiata a mio fratello, che si stava allungando pazientemente i muscoli dei polpacci a una decina di metri da noi. “Te lo sto chiedendo solo perché conosco bene le sue brame di onnipotenza, e con ciò che è successo ieri notte…”

Sono io” replicai a quel punto in tono determinato. “Con il vostro permesso, desidero migliorare. E Devin è uno dei migliori dell’intera Accademia.”

Dovetti sottostare a quello sguardo implacabile ancora per qualche istante prima che l’uomo annuisse, almeno superficialmente convinto dal pretesto che avevo imbastito sul momento.

D’accordo. Kenneth, lascia il campo libero ai tuoi fratelli.”

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Capitolo 4
*** Uno scontro ad armi impari ***


IV. Uno scontro ad armi impari

 

Ebbi appena il tempo di notare quanto sconsolato apparisse Kenneth di fronte all’affermazione di nostro padre prima di ritrovarmi Devin a pochi passi, con gli occhi cobalto brillanti d’eccitazione e un mezzo sorrisetto salito a deformargli il volto. Era quella spavalderia a far invaghire di lui le persone, ne ero sempre stato certo.

Deglutii, rendendomi conto che era da qualche tempo che non mi misuravo con lui e, soprattutto, che non avevo apportato migliorie rilevanti alla mia tecnica dall’ultima sconfitta. Non mi restava che stringere saldamente i pugni per concentrarmi e affrontare la sfida a mente aperta, dimenticandomi di quanto fossero esigue le mie possibilità di vittoria.

Credi di riuscire a non tremare, fratellino?” sghignazzò lui sottovoce, cominciando a girarmi attorno come un predatore con la sua vittima. “Non vorrei deconcentrarmi a causa di una fanciulla delicata come te.”

La voce di mio padre, posizionatosi a una ventina di metri per avere una visuale globale della situazione, mi destò dallo stato di trance.

Non stare inchiodato a terra come un monaco, Arlen! Devi muoverti!”

Fa paura, pensai di mio fratello, mentre cominciavo a seguire la sincronia dei suoi passi. Riesce a farmi scordare anche le regole basilari del combattimento.

Allora, non dici niente?” mi stuzzicò ancora Devin. “Mi costringi a fare il primo passo!”

Dal nulla si portò di fianco a me con un salto, mi diede una spinta poderosa con l’intento di farmi perdere l’equilibrio e tentò di colpirmi al viso caricando con tutta la forza che aveva nel braccio. Ma all’ultimo momento riuscii a riprendermi e a bloccargli la mano sotto il mio braccio sinistro, passando in posizione di vantaggio.

Mio fratello fece in tempo a rivolgermi un sorrisetto tra il sorpreso e il compiaciuto prima che io, approfittando della situazione, incastrassi la mia gamba destra sotto la sua e facessi leva per farlo stramazzare a terra.

Crogiolandomi in un orgoglio che mi era sconosciuto, ascoltai con soddisfazione il suo lamento mentre cadeva sulla schiena e mi limitai a osservarlo mentre si rialzava di colpo, mostrandomi più benevolo del necessario. Quindi riprendemmo a camminare in cerchio, orientando i nostri movimenti in base a quelli dell’altro come in una precisa danza tradizionale.

Quindi non sei una totale perdita di tempo e denaro per questa accademia” valutò Devin, mentre solo una mezza smorfia sul suo volto affilato faceva trasparire il dolore alla schiena.

Miglioro con la fatica ed evito la presunzione” replicai, alzando un sopracciglio.

Fa lo stesso. Se pensi che accetterò di farmi sconfiggere da un verginello, hai preso un abbaglio.”

È una mia impressione o dai troppa aria alla bocca, fratello? Ero venuto qui per una sfida.”

Giusto” sghignazzò lui. “Bando alla conversazione e passiamo ai fatti.”

Con un grido scattò nuovamente verso di me, ingaggiando uno scontro faccia a faccia per mirare alle mie spalle e gettarmi a terra, ma ormai i miei sensi erano avvolti dall’adrenalina scatenata dal primo attacco e la mia reazione non tardò. Gli impedii di arrivare al risultato che desiderava afferrandolo a mia volta per le spalle e lottai per resistere alla sua forza.

Dopo qualche secondo Devin optò per liberarsi dalla mia presa e scivolò via dalle mie mani con maestria, abbassandosi per poi tentare di demolirmi mirando alle gambe. Lo evitai per un pelo con un salto all’indietro. Mio fratello non perse tempo e tentò d’infrangere la mia strategia di difesa con un attacco frontale, tirandomi un calcio che non mi colpì dritto al ventre solo grazie alla prontezza dei miei riflessi. Riuscì comunque a farmi indietreggiare di parecchi metri.

Studiammo ognuno il respiro accelerato dell’altro, con le tempie velate di sudore e i muscoli febbricitanti mentre riprendevamo a girare in cerchio. Kenneth e nostro padre non erano che macchie scure ai confini del nostro verde campo di battaglia, ormai, e li notavamo appena ogni volta che entravano nel nostro campo visivo.

Possibile che combattere contro di te sia sempre una caccia al topo?” soffiò Devin senza perdere la concentrazione e passandosi la lingua sulle labbra bagnate di sale.

Mi stupii del suo tono, non più canzonatorio bensì adirato dal mio comportamento, dal mio continuo difendermi.

Sei un aspirante cavaliere, un futuro capitano, discendente di grandi guerrieri” proruppe ad alta voce, facendomi sussultare. “Come pretendi di avere la mia stima se il tuo destreggiarti in combattimento è più adatto a un ballo in maschera che a una battaglia?”

Non ti permetto di…” ringhiai.

Dimostramelo in campo, le tue parole sono aria!”

In un battito di ciglia mi fu di nuovo addosso e le mie braccia riuscirono a malapena a trattenerlo come avevano fatto poco prima, mentre lui pigiava contro le mie spalle per piegarmi, lasciando i nostri volti tanto vicini l’uno all’altro che potevo specchiarmi nei suoi occhi cobalto come lui poteva contare le pagliuzze dorate nei miei, sentire il tremore delle mie mani e lo sforzo che impregnava il mio essere.

Vuoi rimanere per sempre solo il figlio minore, Arlen?” mi sussurrò, e forse per la prima volta in mesi colsi nella sua voce qualcosa di simile all’interessamento per ciò che provavo. “Essere considerato il perdente, il fallito della famiglia, è questo ciò che vuoi?”

La mia risposta fu immediata e feci attenzione ad esprimerla in un linguaggio che Devin avrebbe compreso senza difficoltà. Imprimendo nelle gambe tutto il vigore che possedevo, costrinsi mio fratello a indietreggiare quel tanto da fargli perdere l’equilibrio e precipitare all’indietro con la goffaggine di un bambino.

Dal basso mi concesse un sorriso soddisfatto che io ricambiai, malgrado tutto riconoscente di essere stato messo alla prova.

Un inizio discreto, apprendista. Ma ora basta giocare.”

Con una capriola fu di nuovo in piedi davanti a me e cominciò a tartassarmi con affondi molto più frequenti e rapidi dei precedenti, tanto che a un certo punto sentii i muscoli delle braccia cigolare per il dolore e fui costretto a rallentare il ritmo della mia difesa, rendendo il compito di Devin fin troppo facile.

Mi distrasse con un altro paio di tentativi di colpirmi al volto prima di roteare il corpo a sufficienza da riuscire a colpirmi appena sopra il fianco con un tallone. Fu il suo ultimo colpo, abbastanza ben assestato da strapparmi un gemito di dolore, togliermi il fiato e farmi battere a terra col sedere.

Quando alzai lo sguardo Devin era , con il viso illuminato dalla gioia della vittoria, e impiegò una frazione di secondo a bloccarmi sul prato, sedendomisi sopra con una mano impegnata a tenermi i polsi legati assieme e le dita dell’altra strette attorno alla mia gola.

Hai vinto” mi complimentai con un ghigno, stando al gioco.

Sì, ma non ti ho stracciato. E questo rende te una macchia sul poema che un giorno canterà le mie gesta gloriosescherzò lui, calandosi alla perfezione nel personaggio.

Capisco” finsi di considerare. “In effetti è un problema non da poco.”

Pensavo di risolverlo immolando il tuo corpo agli Dei. Cosa ne pensi?”

Che ne sarebbero deliziati. Ti devo inoltre far notare che un fratello in meno fa sempre comodo, sia in camera da letto che ai pasti.”

Devin ridacchiò, mi liberò e fece per tendermi una mano per trascinarmi di nuovo in piedi con lui. Fu allora che un inaspettato avversario gli venne addosso senza preavviso, colpendolo al fianco abbastanza forte da farlo rotolare nell’erba a due passi da me.

Solo voltandoci riconoscemmo nostro padre, che si affrettò a raddrizzare il busto per dedicarsi a trapassare mio fratello con lo sguardo.

Che cosa credevi di fare questa volta, Devin?” indagò, con l’aria di chi sta sforzandosi di mantenere un tono ragionevole.

Io e Devin ci scambiammo uno sguardo spaesato.

Che cosa ho fatto…?”

Non cercare d’imbrogliarmi! Anche se ero lontano qualche metro ho visto benissimo che non stavi lasciando la gola di tuo fratello, quindi non provare a negarlo” abbaiò nostro padre, avvicinandosi a lui tanto da fondere il proprio sguardo furente con il suo.

Pensate che gli avrei fatto del male?” sussurrò Devin, spalancando gli occhi.

Padre, ciò che dite non ha senso” intervenni, incredulo che l’uomo che tanto ammiravo potesse essere arrivato a supposizioni tanto estreme nei confronti di uno dei propri figli. “Stavamo solo scherzando, a combattimento concluso.”

Tu non difenderlo!” mi ammonì però lui levando una mano, ma senza distogliere lo sguardo dall’espressione ferita di Devin. “Sono stato in guerra, gli occhi di chi ha voglia di uccidere li ho visti tante volte.”

Padre!” protestai ad alta voce, scioccato, ma oramai Devin aveva incassato il colpo con nient’altro che un sussulto.

Abbassò il capo fin quasi ad appoggiare il mento sul petto e strinse a pugno le mani che avevano iniziato a tremare. Dalla sua collera nacque una voce profonda e quasi priva di note incerte, una delle voci più false che avessi mai sentito in vita mia, e tutto per celare a nostro padre il dolore arrivato a corrodere un poco di più l’affetto che li legava. Lentamente, si rimise in piedi.

Solo perché si tratta di me, non è vero? Alzò di nuovo la testa per affrontare il delirio negli occhi dell’uomo. “Non ne ho mai capito il motivo, ma so che se fosse stato Arlen a mirare alla mia gola, o Kenneth, probabilmente vi sareste limitato a lodarli per la loro abilità nel neutralizzare l’avversario. A loro non avreste fatto questa scenata. Vi sareste complimentato con loro anche se avessero portato a termine lo scontro, togliendomi la vita. Chissà quante lodi, quanti premi avreste destinato a chi vi avesse liberato del vostro peso, del figlio sbagliat-…”

Il frustino da equitazione che nostro padre si era sfilato dalla cinta prima che uno di noi potesse notarlo mise fine alla questione, zittendo Devin e lasciandogli un graffio sanguinante sulla guancia sinistra.

Vidi gli occhi del mio gemello annebbiarsi, la sua ribellione ingobbirsi di fronte al potere indiscusso di nostro padre, e saltai in piedi per andargli incontro.

La notte precedente, Lord Morven aveva detto che erano state poche le volte in cui aveva alzato le mani sui suoi figli. La verità era che il suo concetto di “poco” era discutibile e, inoltre, non vi era dubbio che Devin fosse il più abile nel provocarlo al punto da estorcergli di mano quel tipo di correzione.

Devin… è colpa mia” mormorai nel vano tentativo di essergli d’aiuto.

Aver osato parlare in quel modo a un tuo superiore comporterà delle conseguenze” intervenne nostro padre con voce atona, riponendo la verga. “Sarò costretto a chiedere al tuo maestro d’armi d’intervenire nella tua istruzione quotidiana. Non posso starti dietro tutto il tempo, Devin, e tu devi imparare a rispettare la gerarchia. Devi crescere.”

Perché invece non mi cacciate dall’Accademia?” bisbigliò Devin, pur con la voce rotta. “Risolvereste ogni vostro problema.”

Si voltò di scatto e, una volta divincolatosi dalla presa leggera della mano che gli avevo posato sulla spalla, corse via. Sfrecciò oltre lo spiazzo dell’altopiano che avevamo adibito a campo di addestramento e in direzione del punto in cui il sentiero del ritorno lasciava la radura per lasciarsi fagocitare nuovamente dal bosco, in discesa. Feci per corrergli dietro, ben conscio che se avessi perso un altro secondo sarebbe diventato impossibile raggiungerlo, ma una voce mi bloccò.

Lascialo andare” sospirò mio padre e, anche se percepivo il suo rammarico, il suo tono suonò autoritario. “Torna ad allenarti assieme a Kenneth, veloce.”

Cosicché quando mi girai verso l’imbocco del sentiero Devin era già scomparso, lasciandomi con nient’altro che un lacerante senso di colpa a invadermi il petto. Non riuscivo a togliermi dalla testa l’idea che avrei potuto fare di più per evitare quella piega degli eventi.

Non lo vedemmo più per l’intera giornata di allenamento. Anche una volta tornati a casa, nel tardo pomeriggio, non lo trovammo ad aspettarci al maniero. Mentre nostro padre dava a me e a Kenneth il permesso di ritirarci per lavarci, cambiarci d’abito e riposarci prima del pasto serale, vidi il suo umore incupire ancora più di quanto non fosse accaduto sull’Altopiano degli Olmi.

 

Quando, poco prima del crepuscolo, lord Morven rientrò nella camera matrimoniale, sua moglie sedeva accanto al fuoco che crepitava nel caminetto, intenta a ornare l’orlo di un abito che presto sarebbe stato di Cora.

Sto crescendo degli stupidi ostinati” dichiarò l’uomo, chiudendosi alle spalle la pesante porta di legno massiccio prima di appoggiarvi la schiena con un sospiro e darle una debole testata disperata mentre alzava gli occhi al soffitto.

Sempre grata di essere colei – l’unica – a cui il sommo comandante dell’Accademia mostrava tali debolezze, Esyld sorrise mentre si apprestava a interrompere il lavoro di ricamo laddove le sarebbe stato facile riprenderlo in un altro momento.

Non mi sembra affatto che i nostri figli corrispondano a questa descrizione. Non tutti, perlomeno, e nessuno di loro per tutto il tempo” osservò con garbo, infilando l’ago in un punto nascosto della stoffa color rubino in modo che non rischiasse di muoversi da lì né di rovinare il disegno.

Se stai parlando di Arlen, siamo perfettamente d’accordo. Quel ragazzo, che gli Dei lo abbiano in gloria. È l’unico che mi aiuti a tenere a bada la sensazione di aver proprio sbagliato tutto, come padre, fin dall’inizio” riprese a sfogarsi lord Morven, chinandosi per liberarsi delle scarpe usate durante l’escursione. “Ma se almeno lui si è salvato, allora com’è che quegli altri due sono una continua fonte di problemi? Sarebbero i migliori cadetti che abbiamo, in maniera indiscussa, se solo possedessero anche solo un briciolo del buonsenso di Arlen.”

Una volta abbandonato il vestito sullo sgabello, Esyld raggiunse il marito dall’altro lato della stanza e allungò le braccia per accarezzargli le spalle con l’intento di tranquillizzarlo.

Non stavo parlando solo di Arlen” protestò divertita, con un sorriso pacato. “Quei tre hanno caratteri diversi, lo sai bene, e proprio per questo si compensano tra di loro. E questo non può essere altro che un bene, no? Non pensi davvero che Kenneth e Devin siano degli stupidi.”

La rinuncia di lord Morven ad agitarsi sul posto e il suo conseguente sospiro rassegnato sembrarono chiari segni di ammissione agli occhi di entrambi i coniugi.

Se solo facessero gioco di squadra, invece di scannarsi a ogni occasione per il primato” desiderò l’uomo, sottraendosi al tocco della moglie per lasciarsi cadere a sedere sul proprio lato del letto e sorreggersi la testa con una mano. “Se solo Devin non fosse una freccia vagante.”

Ah, eccolo, il nocciolo di ogni tuo cruccio” commentò Esyld, sull’onda di un’amara vittoria. Un istante dopo, si accomodò vicino al marito per poter carpire con dolcezza qualche informazione in più: “Cos’è successo ancora?”

Che cosa vuoi che sia successo? Quel ragazzino è sempre uguale a se stesso. La sua solita boria, la sconsideratezza e la riottosità che ha ereditato pari pari da…”

Un bussare rapido e deciso alla porta lo interruppe. Vista l’evidente urgenza, il signore del maniero alzò la voce per permettere all’ambasciatore di entrare e un istante più tardi una delle guardie che si alternavano all’ingresso si affacciò sulla soglia con aria costernata.

Perdoni l’intrusione, mio signore, ma è arrivato un messaggero.”

Con Esyld immobile al proprio fianco, lord Morven alzò un sopracciglio e si fece attento.

Notizie gravi?”

Dovevano esserlo, o non lo avrebbero disturbato con tanta solerzia.

Dice di essere autorizzato a conferire solamente con voi. Mi sono permesso di disturbarvi perché viene dal Regno del Sud, mio signore. Nello specifico, dal villaggio di Faverby.”

Quel nome scosse di dosso ogni residua particella di frustrazione dal corpo di lord Morven, che si erse in piedi all’istante.

Fatelo accomodare. Ditegli che lo riceverò immediatamente.”

 

Durante il bagno, mentre mi toglievo di dosso la polvere e la stanchezza della giornata di addestramento, mi crogiolai nella speranza di ritrovare Devin nella nostra stanza non appena fossimo tornati. Non vedevo l’ora di parlargli per chiarire, perché si sfogasse, ma il mio infantile desiderio venne, com’era prevedibile, disilluso.

Kenneth dovette leggere lo sconforto nei miei occhi non appena varcai la soglia della camera in cui dormivamo, perché mi rivolse un sorriso fugace mentre s’infilava i sandali di vimini che usavamo solo fra le mura domestiche.

Stai tranquillo” cercò di consolarmi. “Tornerà non appena comprenderà i suoi errori, come fa sempre, e allora non ci sarà più niente da dire.”

Ma non ha nessuna colpa” asserii, legandomi i capelli in una coda bassa che mi lasciai cadere lungo la schiena. “Non ha fatto nulla per meritarsi la collera di nostro padre. In effetti, ancora non capisco cosa sia preso, a nostro padre.”

Kenneth respirò a fondo e si passò una mano tra i capelli rossi ancora umidi, chiudendo le palpebre.

Ciò che penso io è che nostro padre non dovrebbe sorprendersi se ogni tanto Devin si dimostra più ostinato e sfrontato sia di te che di me, considerato il trattamento che gli riserva.”

Per qualche attimo m’incantai a osservare la tinta turchese del cielo dalla finestra, assorto. Poi, senza dire niente, mi voltai per dirigermi a grandi falcate verso l’uscita.

Dove vai?” mi frenò mio fratello.

Non è ovvio? A cercarlo.”

Kenneth parve disorientato.

Tra poco si cena.”

Vai senza di me, ne farò a meno. Non posso mangiare con questo senso di colpa.”

Senza attendere un’altra replica, uscii dalla stanza chiudendomi la porta alle spalle. Attraversai in fretta il corridoio e stavo per correre giù dalle scale quando il visino rabbuiato di Cora, incorniciato dai capelli neri raccolti in una treccia, mi si parò davanti.

Con una candela in mano per illuminare il cammino davanti a sé, mi parve uno spettro senza dimora, incapace di rispondere al sorriso che le rivolsi in automatico.

Lui e Devin hanno litigato, vero?” esordì prima ancora che potessi salutarla.

Come lo sai?” le domandai, carezzandole una guancia pallida per assicurarmi che stesse bene.

Nostro padre ha un’aura negativa, questa sera, e le sue parole bruciano” fu l’unica delucidazione che mi offrì. Detto ciò, mi scrutò a lungo con quei suoi occhi color del ghiaccio ingigantiti dall’apprensione. “Se trovi Devin… se ha bisogno di me, digli che io ci sono.”

Sa bene che può sempre contare sul tuo talento di Guaritrice.”

Lei abbassò lo sguardo, come vergognandosi: “Non si tratta solo di quello, io… vorrei che mi parlasse di più, che si confidasse con me. Ma spesso, ultimamente, mi sembra che non si fidi.”

Colpito come sempre dalla sua sensibilità, le lasciai un bacio soffice sulla guancia, tentando di consolarla con un altro sorriso.

Conta su di me.”

Il brillare della fiducia nel suo sguardo mi rinvigorì e una volta uscito di casa cominciai la mia ricerca con rinnovata speranza, senza avere idea di come quella notte avrebbe cambiato tutto.

 

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Capitolo 5
*** Re e regina ***


 

V. Re e regina



Le stalle della tenuta, che accoglievano i viziati destrieri privati della famiglia del fondatore dell’Accademia e quelli dei maestri d’armi, erano buie e deserte a quell’ora della sera.

Sicuro delle informazioni in suo possesso, Devin entrò dal portone principale senza farsi alcuno scrupolo, ma fu ben attento a chiuderselo alle spalle senza produrre il minimo rumore.

Senza fretta, lasciò che i suoi occhi si abituassero al buio per poi rimanere a osservare per qualche secondo gli alloggiamenti dei cavalli, che si susseguivano lungo le due pareti della struttura, alternati a stretti depositi di fieno da dove gli stallieri erano soliti attingere per nutrire gli animali.

Si avviò lentamente sul sentiero sporco di terra e paglia che divideva una sezione dall’altra, sempre vigile onde evitare qualsiasi movimento che potesse svegliare i cavalli o innervosirli fino a spingerli a nitrire. Tuttavia non seppe resistere ad avvicinarsi al suo baio, alloggiato nello scomparto immediatamente precedente a quello di Kenneth, e, trovandolo sveglio, gli accarezzò il muso.

Bravo, bello. Silenzio, mi raccomando. Non essere tu a rovinarmi la serata.”

Una volta ripreso il prudente cammino, Devin si guardò attorno nel buio alla ricerca della sagoma di Martha, finché non la scorse e provò l’abituale tuffo al cuore.

Vestiva un lungo abito cucito assieme con stoffa di scarto e si era dimenticata di sfilarsi il grembiule usato in cucina prima di raggiungere il luogo dell’appuntamento. Gli dava le spalle e, sorreggendo una candela con la mano sinistra mentre era intenta ad accarezzare il manto di uno splendido puledro nero con l’altra, non si era ancora accorta del ragazzo che la contemplava a pochi passi di distanza.

Ammirare una persona che non sa di essere guardata e perciò si comporta nel modo più spontaneo possibile è molto più piacevole che scoprire di essere osservati, eppure Devin si turbò nel rendersi conto di quanto lo emozionava contemplarla.

Non era solo il suo corpo ad attirarlo. Il modo in cui si spostava le ciocche bionde dalla fronte e sorrideva al puledrino, carezzandone l’addome gonfio con la tenerezza e l’attenzione di una madre, il suo volto dolce illuminato dalla luce della candela…

Devin si scosse, turbato da tali pensieri, poi sorrise con affetto alla schiena di Martha, respirando profondamente.

Pensa solo a farla felice, si disse. Falla felice questa notte e sii felice anche tu, perché domani non è altro che una coltre d’incertezza.

Quindi non resistette ad avvicinarsi di soppiatto per posarle le mani sui fianchi, facendola trasalire mentre qualche goccia di cera calda cadeva sulla paglia, facendola sfrigolare.

“Non ricordavo che soffrissi il solletico” commentò Devin con una punta d’ironia, mentre lei si voltava di scatto.

Mi hai spaventata” si giustificò, corrucciata, per poi abbassare lo sguardo e arrossire.

Devin le posò due dita sotto il mento per incoraggiarla a guardarlo negli occhi. Le fece scivolare una mano sulla nuca e, serrando forte le palpebre per l’emozione di riaverla accanto, le baciò la fronte.

Il sollievo del sorriso di lei lo intenerì a tal punto che si ripromise di farle trascorrere la notte più dolce della sua vita. Dalla fronte scese a baciarle una tempia, una guancia, il collo, poi risalì per percorrere la linea delle sue labbra inumidite.

Accennò un sorriso e continuò a baciarla mentre con le mani le scendeva lungo la schiena, cercando il laccio che le stringeva l’abito in vita. Accortasene, lei lo bloccò, afferrandogli i polsi, e lo guardò ansimando, rossa in viso.

Troppa premura? Perdonami” mormorò Devin, baciandole teneramente un lobo.

No, è solo che… mi sento osservata” spiegò lei, accennando ai cavalli con una mezza risata.

Oh, capisco” sghignazzò Devin, per poi chinarsi e sollevarla fra le braccia senza preavviso. “Allora tenete ben alta la vostra lanterna, mia signora, vi guiderò in un posticino più appartato.”

Sentendolo darle del voi lei s’irrigidì, ma Devin intervenne sussurrandole all’orecchio: “Smettila di vedermi come il figlio del padrone. Smettila. Durante la notte siamo re e regina e dettiamo legge.”

Lei, che non era mai riuscita del tutto a vederlo come un suo pari, a quelle parole si rilassò. Lieto del risultato, Devin la condusse in fondo al lunghissimo percorso interno alle stalle per poi virare a sinistra quando il lume della candela illuminò il primo scalino di una ripida scaletta di legno seminascosta dai vari utensili accatastati. Quindi prese a salire, proteggendo la testa di Martha con la propria in modo da essere il primo a toccare la botola che lo attendeva in cima e che non tardò a sorprenderlo.

Quando ebbe superato il portello e raggiunto il piano superiore, condusse la ragazza lontano dai gradini e lasciò che si acclimatasse. Il soffitto era molto basso e non c’era che qualche minuscola fessura nelle pareti di pietra per far circolare l’aria, ma era un nascondiglio perfetto, provvisto di coperte e cuscini nell’angolo più lontano.

Martha si guardò attorno per abituare gli occhi alla semi oscurità, per poi tornare a fissarlo con un sopracciglio alzato e una smorfia allegra sul viso.

A volte dubito che io sia l’unica ragazza che porti quassù” lo prese in giro.

Devin scosse la testa dinnanzi allo scherzo.

“Sei la sola a cui mostro i miei rifugi. Ormai dovresti saperlo.”

Mentre le baciava e mordicchiava il collo e godeva dell’accelerazione del suo respiro, le prese la candela dalle mani per posarla oltre il letto di paglia e coperte dove la lasciò adagiare, stendendosi a sua volta senza mai lasciare l’eccitazione di quelle iridi verdi.

Cominciò a spogliarla, costringendosi a essere un amante delicato nonostante la frenesia e il bisogno di averla che i suoi primi gemiti gli avevano incollato addosso. Una volta gettati da un lato sia l’abito che una logora sottoveste, si alzò per liberarsi dei vestiti a sua volta, ma Martha lo afferrò per un braccio e lo tirò di nuovo a terra, accanto a sé.

No” sorrise, determinata. “Lascia, faccio io.”

Colto alla sprovvista, Devin assentì.

Lei si sedette sulle sue gambe, gli slacciò la camicia e lo aiutò a disfarsene per poi passare ad armeggiare con le funicelle di pelle che gli tenevano chiusi i pantaloni. Dedicò solo una carezza leggera e un bacio delicato al graffio che spiccava netto sulla guancia del ragazzo, poi riprese a ignorarlo, guadagnandosi altra riconoscenza da parte di Devin.

Presto, molto presto, il ragazzo non seppe più trattenere l’impazienza e ribaltò le posizioni, gettò i calzoni da un lato e con uno scatto si ritrovò sopra Martha. Presto, molto presto, tutto ciò che accadde dopo divenne troppo trascinante perché i due amanti ricordassero che dovevano essere prudenti e non fare rumore.

Alla fine, l’orgasmo li colse entrambi impreparati. Il grido di piacere di Martha risuonò nell’aria, echeggiando nelle stalle vuote e spaventando i cavalli al piano inferiore.


Solo nei campi che abbracciavano l’Accademia, mi fermai di colpo quando udii quell’urlo e subito mi voltai verso le stalle, da dove mi pareva che il rumore fosse arrivato.

Avevo cercato Devin in lungo e in largo per più di un’ora, perlustrando ogni edificio della cittadella diffusa dove mi fosse permesso entrare e arrivando persino a entrare all’interno dei confini della città per chiedere a ogni cavaliere o apprendista che conosceva mio fratello anche solo di vista se lo avessero visto passare di lì, ma non avevo ottenuto il benché minimo risultato.

Ora vagavo per i campi, lontano un miglio da casa, deluso dall’inutilità delle ricerche nonostante mi fossi aspettato un esito così sconfortante. Dopotutto mio fratello sapeva dimostrarsi più orgoglioso di nostro padre quando sapeva di essere stato trattato ingiustamente. Non sarebbe stata la prima volta che decideva di trascorrere qualche giorno ad allenarsi in montagna in solitudine per sbollire la rabbia e, se davvero si era arrampicato lungo quei sentieri impervi e conosciuti solo a pochi, non aveva senso seguirlo se non per rincorrere la morte in uno dei numerosi dirupi che si nascondevano fra gli alberi.

Più scoraggiato che mai, avevo appena deciso di tornare a casa quando quel grido era risuonato, attirandomi di corsa fino alla porta di servizio sul retro delle stalle.

A quest’ora dovrebbero essere vuote, riflettei, spingendo la porta. Speriamo che nessuno si sia fatto male.

Entrai senza indugio, per poi percorrere le stalle per tutta la loro lunghezza, controllando che i cavalli stessero bene e che nessuno si trovasse nei loro alloggi. Notandoli irrequieti mi convinsi definitivamente che non ero stato l’unico a sentir urlare. Dopodiché proseguii fino a raggiungere l’unico, sgangherato assembramento di scalini che permetteva di raggiungere il piano superiore della costruzione, che sapevo essere inutilizzato.

Aguzzai l’udito e rimasi in attesa per parecchi secondi, lasciando che il silenzio s’insinuasse in me al punto da gelarmi le ossa. Fu allora che mi parve di udire delle voci, dei bisbiglii che non avrebbero mai potuto confondersi con lo sbuffare spazientito dei cavalli.

Percorsi la gradinata di corsa per poi spingere con decisione la botola che il mio braccio teso incontrò in cima, deciso a dare una buona tirata d’orecchi ai ragazzini che, come molti altri loro coetanei in precedenza, si dovevano essere nascosti lassù per organizzare chissà quale burla. Una volta posati i piedi sul pavimento della mansarda, mi affrettai a cercare con lo sguardo i clandestini.

Giacevano in un angolo su un mucchio di coperte lacere e da quel che potevo scorgere da quella distanza non indossavano nulla, sdraiati l’uno accanto all’altro a scambiarsi effusioni.

Stavo per redarguirli e intimare loro che cambiassero luogo, ma improvvisamente il ragazzo si accorse della mia presenza e saltò in piedi per proteggere il corpo della ragazza dalla mia vista, imprecando ad alta voce.

Il misero lume di un mozzicone di candela posato a terra gli rischiarò il volto e il corpo mentre mi avvicinavo di qualche passo, fino ad averlo ad appena cinque o sei metri da me. Fu allora che mi bloccai.

Un corpo atletico, sudato e sussultante. Capelli castani che gli scendevano poco oltre i lobi delle orecchie, scompigliati dalle carezze dell’amante. Segni di baci vogliosi tra il collo e le clavicole, un viso affilato e arrossato. Occhi cobalto.

“Devin! Cosa diavolo stai…?”

Tentai di avvicinarmi, ma mio fratello mi bloccò alzando una mano a mezz’aria. Lo sguardo che mi rivolse fu astioso e ci vidi riflesso l’odio e il disagio che doveva aver provato quella stessa mattina, quando nostro padre lo aveva accusato e colpito ingiustamente, spingendolo a scappare.

Credetti di comprendere all’istante. Un atto di ribellione, ecco che cos’era quello a cui stavo assistendo. Nient’altro che un divieto infranto per ripicca, lo sberleffo di un bambino a cui viene negato l’affetto, il silenzio di un adolescente che non vuole più ascoltare, la collera di un uomo che non riesce a comprendere perché.

Non ti avvicinare” mi sibilò contro. “Abbi almeno la decenza di voltarti, si deve rivestire.”

Dopo aver esitato un attimo, obbedii, rincuorato dal fatto che il buio coprisse il rossore del mio viso accaldato. Ma non potei fare a meno di continuare ad ascoltare i loro mormorii, la voce di Devin che suonava così diversa rispetto al solito, così calda e confortante mentre tentava di consolare la ragazza, di soffocare i suoi singhiozzi con un bacio.

Come facciamo adesso?” la udii piangere fra i fruscii delle vesti infilate in fretta.

Non ti preoccupare… Martha, non ti preoccupare. È mio fratello, stai tranquilla.”

Martha. Non avevo avuto l’ardire di osservarla abbastanza a lungo da riconoscerla, dato lo stato in cui era.

Lo dirà a vostro padre… ti puniranno, mi cacceranno! Devin, non dovevamo… non avremmo mai dovuto…”

Il suo tono acuto, disperato, mi tose il respiro fino a farmi sentire il vero colpevole della situazione. Non potevo che rimanere in silenzio, odioso terzo incomodo qual ero sempre stato. Immaginai Devin mentre le prendeva il viso tra le mani e la baciava a lungo, mentre il silenzio dietro di me diveniva assordante e i singulti venivano messi a tacere con un’urgenza angosciante.

Ancora un bisbiglio, le parole ben scandite di Devin.

“Non succederà niente di tutto questo. Devi fidarti di me quando ti giuro che non ti accadrà nulla di male. Non lascerò che ti si avvicinino. Abbi fede in me, ti prego.”

Tuo padre…” La voce rotta dal pianto della ragazza mi fece salire un nodo in gola. “Se lo viene a sapere… che cosa succederà, Devin? Tu sei un signore…”

Forse a quel punto Devin le accarezzò le labbra con un dito per farla quietare: “Siamo re e regina, ti ho detto. Credi in me, credi nel tuo re?”

S-sì…”

Allora tranquillizzati e ascoltami: andrà tutto bene. Ritorna alle cucine senza farti vedere, mia regina. Non cercarmi, ma sappi che non tarderò. Mi sei indispensabile, ora più che mai. Andrà tutto bene.”

Con gli occhi chiusi, perché all’improvviso mi sentivo un estraneo con nessun diritto di essere lì ad ascoltare quei discorsi, sentii i passi leggeri della fanciulla sorpassarmi, raggiungere la botola, percorrere la scalinata, sbattere la porta di servizio delle stalle e abbandonarmi a mio fratello.

Mi voltai e lo osservai mentre si rivestiva, sentendomi a disagio al posto suo.

Coraggio, Arlen” mi incitò lui, stringendosi i pantaloni attorno ai fianchi senza degnarmi di un’occhiata. “Non vorrai perderti una così succulenta occasione per rimproverarmi, vero? Sarebbe deludente per entrambi.”

Deglutii, colpito dalla sua calma, sorprendente anche se solo apparente, prima di lanciarmi.

Perché hai fatto una cosa del genere?”

Ha parecchi effetti positivi sull’umore, pare. Sai, mi ci voleva una boccata d’aria.”

Lo hai fatto a causa di nostro padre, non è vero? Sei stato arrabbiato tutto il giorno e poi hai pensato che forse stare con una ragazza avrebbe risolto parte dei tuoi problemi. Che ti avrebbe alleggerito la mente. Devin, è stato un passo avventato, visto chi sei e cosa rappresenti. Per non parlare dei tuoi precedenti con Martha.”

Finalmente incrociò il mio sguardo per rivolgermi un sorriso amaro, senza fondamento.

“Non hai capito, Arlen. Io e Martha non abbiamo mai smesso di frequentarci.”

Il mio cuore mancò un battito.

Come?”

“Mi hai sentito. Per quanto possa stupire i tuoi nobili sentimenti e il tuo ferreo attaccamento alle regole, non ci siamo mai separati. Per quanto riguarda questo,” precisò, indicando con le braccia l’ammasso di coltri sul quale avevano appena finito di fare l’amore, “abbiamo scoperto un paio di anni fa quanto possa essere piacevole. Ora, sappi che non ti giudicherò se andrai a dire a nostro padre ciò che ho fatto. So quanto sia forte il tuo senso del dovere, non ti chiedo di soffocarlo per me. Ma se solo oserai accennare a Martha, ti uccido” decretò, gelido, mentre i suoi occhi mi trapassavano da parte a parte. “Se proprio devi, inventati qualcosa su una prostituta senza nome. Usa la fantasia, d’accordo? E dai il meglio di te, dato che sarà il motivo per cui nostro padre mi metterà in isolamento per settimane.”

“Non ce ne sarà bisogno” replicai, sicuro che ne sarebbe stato in grado. “Non dirò nulla. Non sono la carogna che credi.”

Se ne fu sorpreso, non lo diede a vedere. A ripensarci ora, doveva sapere che avrei reagito in quel modo. Doveva avere qualche indizio sulla bontà della mia natura, oppure, strafottenza congenita o meno, a quell’ora avrebbe mostrato almeno un briciolo di angoscia in più all’idea di affrontare nostro padre a fronte della scoperta di un segreto così grande.

Allora grazie” si limitò infatti a ribattere, riservandosi la possibilità di rimangiarsi la gratitudine se avessi finito per tradirlo. Finì di abbottonarsi la camicia e mi lanciò un’occhiata curiosa, come se la faccenda di cui stavamo parlando un attimo prima fosse evaporata. “Si può sapere che cosa stavi facendo tu in giro per le stalle a quest’ora?”

Fu il mio turno di concedere la mia attenzione al pavimento.

Ti stavo cercando per parlarti. Io… io credo che ciò che nostro padre ha fatto oggi non sia…”

Ma Devin mi bloccò immediatamente, alzando la voce con tono di stizza per sovrastarmi.

Ascolta, Arlen. Parlarne non mi fa stare meglio né può cambiare i fatti. Nostro padre mi ha sempre trattato in quel modo e sempre lo farà, quindi tutto quello che ti chiedo di fare per me è non rivangare l’argomento anche quando lui non c’è, intesi?”

Per un attimo fui tentato di ribattere a testa alta al fine di difendere l’importanza dell’argomento, in quanto le basi e le motivazioni non mi mancavano di certo.

Devin era figlio di nostro padre quanto me e Kenneth. Era nato il nostro stesso giorno, il secondogenito più sano e combattivo che un comandante del livello di nostro padre avrebbe mai potuto desiderare. Certamente aveva i suoi difetti, ma né io né Kenneth ne eravamo privi. E allora perché – questa è la domanda che avrei voluto porre sia a mio fratello, per istigarlo a indagare, sia a mio padre, per sentire cosa avrebbe risposto –, perché un simile trattamento?

Ma capitolai come sempre di fronte alla preghiera implicita nelle parole di Devin, che piangevano le lacrime nascoste negli anni.

 

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Capitolo 6
*** L'eco di una melodia senza significato ***


 

VI. L’eco di una melodia senza significato



Sia io che i miei fratelli conoscevamo Martha dalla più tenera età, ma Devin le era più vicino, lo era da sempre.

Dato che lei era nata solo qualche mese dopo di noi, avevamo iniziato a caracollare e a giocare tutti e quattro assieme nel prato retrostante il maniero ad appena due anni, due anni e mezzo. Grata di poter approfittare della sorveglianza di qualche altro adulto, in quel periodo la madre di Martha ne approfittava per svolgere le mansioni domestiche che le competevano a mente leggera, sapendo che occhi attenti controllavano anche sua figlia.

Ma solo Devin, tra noi fratelli, si era sempre curato di aspettare pazientemente i passetti incerti di Martha e di aiutarla a rialzarsi quando le capitava di fare un capitombolo. A quei tempi nostra madre e le nostre balie avevano riso beatamente di quell’abitudine così bizzarra per il carattere di Devin, definendolo un piccolo gentiluomo. Ma allora la ruota degli eventi aveva appena cominciato a girare e ognuno si permise di ignorarla.

Negli anni seguenti, mentre noi tre eredi crescevamo ai ritmi di un addestramento che definiva con sempre maggiore accuratezza i contorni della nostra esistenza privilegiata, Martha assunse colori e comportamenti sempre più simili a quelli di qualsiasi altro membro del personale di servizio, col risultato che io e Kenneth presto capimmo l’antifona e ci allontanammo da lei, ponendo fra di noi il doveroso distacco che giace tra ogni nobile e la servitù. Devin, al contrario, ignorò ogni cambiamento e rimase fedele al suo ruolo di bastian contrario.

Ogni volta che poteva, trascorreva del tempo con Martha. Se la svignava dalle lezioni che considerava più noiose non appena l’insegnante girava le spalle, per portarle un fiore, farla ridere e osservarla portarsi una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio al suono delle sue lusinghe – prima di venire trascinato nuovamente tra noi dal maestro di turno, che ne approfittava per tirargli le orecchie a dovere. Se al momento della fuga lei era impegnata in uno dei compiti che i genitori le delegavano fin dalla prima infanzia, lui mollava tutto e la sostituiva per risparmiarle tutta la fatica che poteva.

Una volta, la primavera successiva al compimento dei nostri sei anni, Devin si volatilizzò prima di colazione. Quando nostra madre entrò nella nostra stanza per svegliarci, quel mattino, trovò soltanto me e Kenneth. Con il cuore in gola, corse a comunicare la scomparsa di Devin alle guardie e a suo marito, cosicché per un po’ un trambusto allarmato riecheggiò tra le camere e nei corridoi, per poi espandersi oltre le mura del maniero. Quasi metà cittadella era già stata mobilitata per le ricerche quando l’uomo che si occupava dei nostri animali da cortile e della pulizia delle stalle si presentò sulla porta della sala dove consumavamo i pasti con un’espressione imbarazzata in volto e per mano mio fratello, tutto imbronciato, che lo seguiva di malavoglia.

“Devin, dove eri finito?” pretese di sapere lord Morven, accigliato, dopo che nostra madre fu corsa a stringere a sé il figlio.

“Dalle galline” rispose il bambino senza esitare, come se fosse ovvio.

Nostro padre si portò una mano alla fronte per massaggiarsela e incitarsi alla pazienza. Lo spavento che si era preso, unito alla prospettiva delle urla con cui avrebbe freddato la guardia dell’ingresso che si era lasciata sgusciare sotto il naso suo figlio, minacciavano di condurre rapidamente a un’emicrania.

E perché, se è dato saperlo, sei andato nell’ovile? Quando fuori faceva ancora buio, peraltro. Sai che non ti è permesso uscire da solo, men che meno di notte.”

“Ma Martha aveva bisogno di aiuto!”

Lord Morven si accigliò e cercò gli occhi della moglie.

“Chi è Martha?”

“È mia figlia, mio signore” intervenne a quel punto il servitore che aveva riportato Devin a casa, torcendosi il cappello di feltro tra le mani. “Chiedo perdono per il disagio che abbiamo creato a voi e alla vostra famiglia. Martha è solo una bambina, ma è sincera e mi ha assicurato di non aver chiesto nulla al signorino...”

“Tu e la bambina non avete nessuna colpa” lo rassicurò lord Morven, prima di spostare l’attenzione su Devin e lanciargli un’occhiataccia severa. “Mi sembra evidente che sia stato mio figlio a infilarsi in questa situazione e a farci stare in ansia.”

Devin diventò rosso in faccia e prese un gran respiro prima di dare aria a tutta la sua indignazione.

Li ho visti dalla finestra. Suo fratello l’ha lasciata sola con le uova e se è da sola le uova sono troppe e le cadono tutte per terra! Dovete dire a quel tipo di fare meno il pigro e aiutarla tutti i giorni, sempre, perché io a volte non posso!”

Dopo una tale risposta, nessuno se la sentì di rimproverarlo granché. Nostro padre si fece promettere che non si sarebbe allontanato mai più in quel modo, facendo angustiare tutti quanti, e la storia fu messa via da entrambe le famiglie come un aneddoto che in futuro sarebbe stato divertente da raccontare. Allora, Devin e Martha erano ancora troppo giovani perché il loro legame destasse preoccupazione. Senza dubbio i nostri genitori pensarono che Devin avrebbe messo la giusta distanza tra se stesso e quella ragazzina nel momento in cui avesse capito il concetto di status sociale.

Ma non accadde. Altri anni passarono e Devin non accennò neppure a prendere quella via, malgrado le differenze tra il suo ceto e quello di Martha gli risultassero più chiare di giorno in giorno. Se capitava di chiedersi dove fosse finito Devin, otto volte su dieci lo si trovava dovunque fosse Martha. Se aveva del tempo, lo dedicava a lei. Se glielo si chiedeva, lei era la sua migliore amica. La sua persona. Il fatto che spinse al culmine l’inquietudine delle nostre famiglie a riguardo e che li costrinse a cominciare a vedersi in segreto accadde quando avevamo tredici anni.

Tredici anni non fu solo un’età difficile di per sé, ma fu anche l’età che avevamo quando nostro padre siglò definitivamente gli accordi relativi ai futuri matrimoni politici di tutti e tre e, di conseguenza, anche l’età in cui cominciò a prestare maggiore attenzione a come percepivamo il nostro ruolo e agivamo, più o meno coscienti delle conseguenze. Fu anche l’età che aveva Devin quando, un mattino di inizio estate, scelse di dimenticare i suoi doveri e saltare gli allenamenti per sottrarre il proprio cavallo dalle stalle, convincere Martha a salire in sella con lui e cavalcare lungo i sentieri che conducevano ai pascoli in quota.

In base a c che venni a sapere più avanti, trascorsero la giornata all’aria aperta, nei prati ancora al limite massimo della fioritura, raccontandosi storie e sogni, ridendo, mangiando il pane che Devin aveva sottratto dalle cucine e i frutti di bosco che Martha raccolse. Godettero della natura, della compagnia l’uno dell’altra e di quello squarcio vertiginoso di libertà di cui non avevano mai vissuto l’ebbrezza. Forse vi fu un primo bacio, forse no. Forse era già capitato, in passato, e quel giorno fu soltanto una dolce conferma. Oppure perfino allora si limitarono a guardarsi negli occhi più a lungo di quanto fosse considerato accettabile e a chiedersi che cosa fosse esattamente, quel pizzicore che li spingeva l’uno verso l’altra in una maniera così diversa rispetto a quando erano piccoli.

Comunque andò, il sole calò anche su quel giorno speciale e i due dovettero farsi forza e tornare a casa. Ad attenderli c’erano lord Morven, livido in volto, e Tomas, il padre di Martha, terrorizzato all’idea di cosa sarebbe potuto accadere alla figlia a causa dell’infausta decisione di seguire uno dei giovani signori, quel mattino.

Non appena scese da cavallo, Devin si buscò un manrovescio tale da mandarlo a sbattere contro il fianco dell’animale. Lo so perché ero presente allo scoppio d’ira di nostro padre. Dopo essere stato il primo ad avvistare la cavalcatura che scendeva dalla cima delle colline, ero rimasto impietrito nel cortile a osservare il ritorno di mio fratello e, subito dopo l’intervento di nostro padre, ne udii il gemito di dolore. Lord Morven non aveva alcun dubbio riguardo alle colpe di suo figlio. Se Tomas se ne fosse reso conto, avrebbe smesso di preoccuparsi per Martha, almeno per quel giorno.

Senza una parola, nostro padre aiutò Martha a scendere da cavallo. Quando la sentì tremare sotto il suo tocco, cercò di tranquillizzare la ragazzina con una carezza sulla testa e serio, a voce bassa, invitò sia lei che suo padre a raggiungerlo nella Sala delle Decisioni il prima possibile, una volta che la bambina avesse mangiato, si fosse scaldata e avesse indossato degli abiti puliti. Quando Tomas e Martha si allontanarono per fare quanto concesso, Devin venne trascinato dal comandante dell’Accademia in persona fino alla cella d’isolamento che lo avrebbe ospitato per un paio d’ore. Quando finalmente una delle guardie andò a prelevarlo e da lì e lo condusse fino alla Sala delle Decisioni, io e Kenneth li seguimmo senza farci notare. Una volta allontanatasi la guardia, ci accucciammo con circospezione davanti alla porta chiusa, vi accostammo un orecchio e rimanemmo in ascolto come due pettegole incallite.

Dov’è Martha?” domandò Devin all’istante, febbrile.

Non doveva aver fatto più di due passi oltre l’entrata prima di tornare a gettare nella mischia la propria insolenza, ma suo padre si sforzò di aspettare a prenderla in considerazione e, seduto com’era in fondo alla stanza, offrì al figlio una sedia, spingendola con il piede da sotto il tavolo.

Siediti.”

Lo sguardo di Devin indugiò per un momento sulla sedia, ma un attimo dopo i suoi occhi corsero di nuovo a quelli di suo padre, il corpo immobile se non fosse stato per i pugni chiusi che fremevano, abbandonati lungo i fianchi.

Che cosa le avete fatto?”

Non le ho fatto niente, ragazzino. Lei e suo padre sono venuti ad ascoltare ciò che avevo da dire riguardo a quanto accaduto oggi, i miei consigli spassionati per il futuro, e poi se ne sono tornati nei loro alloggi. Dopo una giornata simile, mi auguro che quella bambina sia andata a dormire. Ora siediti” ripeté infine lord Morven, calcando sulle ultime tre sillabe per rendere palese che la sua pazienza in merito era al limite.

Se Devin finalmente obbedì, fu più che altro perché aveva bisogno di più dettagli. Marciò rapidamente fino alla sedia e ci si piantò sopra con l’espressione di chi avrebbe preferito tagliarsi via un dito.

Non l’avete punita?” incalzò poi, ansioso di ricevere smentite più precise.

No.”

Punirete suo padre?”

No.”

Di fronte all’imperturbabilità del comandante supremo dell’Accademia in merito a un argomento che credeva lo avrebbe mandato in bestia, Devin aggrottò le sopracciglia.

Perché?” domandò ancora, più cauto, come se temesse che ogni approfondimento avrebbe potuto accendere la miccia.

Suo padre abbandonò lo schienale della sedia assieme all’impeccabile compostezza mantenuta fino ad allora per portarsi in avanti col busto, appoggiare gli avambracci sul legno levigato della tavola e intrecciare le dita delle mani per unirle.

“Perché so che la scampagnata di oggi è stata una tua idea. Lei non me l’ha detto, ovviamente. Ti ha protetto, come pensavo avrebbe fatto, ma non importa. Io ti conosco abbastanza da poterne essere sicuro. So chi punire e provvederò, stanne certo. Da domani ti aspetta una settimana di allenamenti notturni supplementari con il sottoscritto. Non sei più un bambino, Devin, non intendo lasciare che tu ti convinca di poter…”

Non mi importa di venire punito” lo interruppe il figlio a denti stretti.

Probabilmente è perché non ho finito di esporti i provvedimenti che intendo prendere” replicò suo padre, indurendo lo sguardo. Tu e quella ragazzina… da questo momento in poi vi è proibito frequentarvi.”

Suo malgrado, la morte del disinteresse di Devin fu evidente. Pur non spiccicando parola per non svendere il proprio panico, il ragazzino impallidì, ma suo padre rincarò la dose per non lasciare alcun dubbio.

Non potrete più vedervi né rivolgervi la parola. D’ora in poi rispetterete le regole nella maniera più rigida. Lei si comporterà da domestica anche con te, come fa con tutti noi, e tu ti comporterai in modo consono alla tua posizione sociale, come dovrebbe fare ognuno dei miei figli. O gli Dei mi siano testimoni, ci saranno conseguenze severe per entrambi.”

L’uomo aveva parlato abbastanza a lungo perché Devin ritrovasse le fila dell’ostinazione che lo fece adombrare di nuovo di colpo, spazzando via ogni rimasuglio di terrore.

Non mi importa quello che direte o farete. Io Martha me la sposo.”

Per lord Morven, che pur si era lasciato convincere dalla moglie a fare del suo meglio per mantenersi pacato e ragionevole nel districare tutti gli inutili e dispendiosi nodi con cui Devin aveva reso insormontabile quella giornata, quella fu l’ultima goccia. Batté un pugno sul legno della tavola e si erse in piedi con uno scatto, riuscendo a intimorire Devin quel tanto da farlo arretrare con la schiena fino a imitare un soldato sull’attenti.

Sai che cosa le stai facendo rischiare? Sai a quale destino la stai condannando, col tuo interesse nei suoi confronti? Sai cosa succederebbe se una domestica come lei dovesse rimanere incinta a causa tua? Conosci le leggi che ci governano, in materia?” lo interrogò a bruciapelo, col volto accaldato dalla collera. Forse, se lo sapessi e se davvero ti importasse di lei, faresti del tuo meglio per allontanarla da te e smettere di illuderla, il prima possibile. Ci sarà l’esilio per lei, nel caso in cui accadesse di nuovo quello che è successo oggi. Esilio che si estenderà a tutta la sua famiglia, se si opporranno. E se dovesse rimanere incinta, allora, lo sai cosa le accadrebbe? È prevista la pena di morte, senza attendere la data del parto. Dimmi, la vuoi vedere morire a causa tua? Mi vuoi davvero sfidare fino a quel limite? Sei davvero egoista a tal punto?”

Investito da quel fiume di minacce, il tredicenne tacque solo per qualche secondo – sembrò quasi prendersi il tempo di studiare gli effetti dell’ira sul volto tirato di suo padre – prima di deglutire a fatica.

“Abbiamo delle leggi barbariche” commentò poi a mezza voce, con la gola secca e le energie per ribellarsi che andavano esaurendosi.

Le spalle gli si incurvarono, il suo sguardo scivolò a terra e il suo atteggiamento sconsolato, pur non smuovendo suo padre dalle proprie posizioni, lo indusse a concedergli del tempo e qualche spiegazione in più. Sospirando, lord Morven tornò a prendere posto a capotavola e per calmarsi richiamò alla mente le parole che Esyld gli aveva rivolto solo poche ore prima, quando uno degli istruttori dei ragazzi era venuto a comunicargli dell’assenza di Devin e lo stalliere aveva cominciato a cercare sua figlia in ogni dove.

Ha tredici anni, Morven. È un ragazzino invaghito di una coetanea. Chiarisci le cose, perché è vero che ha l’età giusta per comprenderle. Ma senza mangiartelo vivo, o rischierai di ottenere il risultato opposto.

“Che cosa credi tenga in piedi lAccademia?”

Lo stupore di Devin a quella domanda posta con tono tranquillo venne riassorbito quasi subito dal suo tentativo di fornire una risposta sensata.

“La forza e il coraggio di cavalieri e soldatiaffermò il ragazzino dopo pochi istanti. Stava cercando di vendere bene la propria teoria, aveva di nuovo la schiena dritta e gli occhi vigili.I loro sacrifici.”

Suo padre fece una smorfia che stava a significare sia sì che no.

“Questi aspetti sono fondamentali, non c’è dubbio. Ma solo una volta che uno li ha, i soldati” gli fece notare. “Chi ci affida le persone che noi trasformiamo in guerrieri?”

Questa volta Devin non ebbe alcuna perplessità.

I Regni.”

“Esatto. E perché lo fanno?”

C’è l’Accordo dell’Alleanza. Quello firmato dagli antenati di tutti.”

Tutto qui?” lo spronò lord Morven. “Un pezzo di carta con le firme di gente morta da secoli?”

No” lo accontentò Devin, udendo nella propria mente l’eco di lezioni ripetute decine e decine di volte, dato che quelle nozioni stavano alla base della società in cui era cresciuto e viveva. In cambio del loro appoggio…”

“Appoggio economico.”

Sì. In cambio del loro appoggio economico, l’Accademia si impegna a proteggere i Regni. Fornisce loro soldati regolari ed eserciti in caso di attacchi esterni.”

“Corretto. Saresti d’accordo se dicessi che questo patto conviene a entrambi, Regni e Accademia?”

Certo” ribatté Devin, quasi offeso da una tale domanda, chiaramente retorica. “Senza, i Regni rimarrebbero indifesi e l’Accademia resterebbe a secco di risorse. Andrebbe tutto a catafascio.”

Morven storse la bocca quando sentì quell’interpretazione, ma proseguì senza correggere il figlio pur di arrivare rapidamente al punto.

Di nuovo corretto, almeno nei contenuti. E noi come coltiviamo la fiducia dei Regni? La sola esistenza dell’Accordo non è sufficiente. Nessun governante si fiderà mai di un comandante dell’Accademia che non sia pronto a rinnovare le promesse scritte in quel patto mettendo in campo quanto ha di più prezioso. E ciò vale anche per noi nei loro confronti, com’è ovvio” si dilungò, consapevole che ci sarebbe voluto più di una semplice domanda diretta per cavare di bocca a suo figlio qualcosa che il ragazzino non aveva la minima voglia di considerare e riconoscere. “So che sai di che cosa parlo. Dillo.”

Il tredicenne si morse con forza la lingua finché poté, ma lo sguardo fisso di suo padre lo costrinse a capitolare dopo qualche altro secondo.

I figli” borbottò, a dir poco scontento. “Ognuno offre i propri figli per rinnovare la promessa.”

“I matrimoni non si limitano a rinforzare l’Alleanza, Devin: sono l’elemento principe che la tiene in vita” chiarì lord Morven, categorico. “È per questo che abbiamo le leggi che tu definisci barbariche. Io, come i miei predecessori prima di me, non posso lasciare che uno dei miei figli, oltre a condannarsi a una vita miserabile, attenti alle fondamenta di una struttura che sta in piedi e prospera da secoli solo per rincorrere le gonne di una contadinella. Per questo, se insisterai su questa strada, non potrò farmi scrupoli riguardo a quella ragazzina. Acconsentire a che vi frequentiate e correre il rischio che questa faccenda arrivi alle sue inevitabili conseguenze è un lusso che, in quanto persona a capo di questa Accademia, non posso permettermi.”

Devin lo ascoltò con attenzione, ma poi incrociò le braccia sul petto, resistendo.

“Avete altri due figli da accasare e una figlia da maritare, oltre a me. Le loro nozze non sarebbero sufficienti, per voi e i Regni, come prove di fedeltà?”

Devin, ti avviso” sibilò suo padre a quel suo ennesimo tentativo di svincolarsi dalle proprie responsabilità. “Non riceverai altri avvertimenti dopo quello di oggi.”

Devin lasciò sedimentare quella minaccia rimasta sospesa nell’aria, quindi esalò in un colpo tutta l’aria che aveva trattenuto nei polmoni dopo la sua ultima provocazione e si affossò nuovamente, un poco più di prima, accartocciandosi come un rametto bruciacchiato sullo schienale della sedia.

“Martha sa… sa di tutto questo? Sa che cosa le accadrebbe…?”

“Ne ho parlato a lei e a suo padre nei termini più chiari possibili, pur cercando di non spaventarla. Ora è informata, così come lo sei tu.”

Morven continuò a osservare il giovane figlio, lui e i suoi occhi improvvisamente bassi, intenti a rifugiarsi sul pavimento. Quando udì le parole successive uscire dalla bocca di Devin, unite a uno scoramento assoluto, quasi non volle crederci.

Sia fatto il vostro volere, padre. Non la sfiorerò più neanche con uno sguardo.”

Evidentemente, non era durata.



Morsi alle caviglie da un silenzio insostenibile, io e Devin lasciammo le stalle e il loro tanfo per avviarci a passo lento attraverso i campi illuminati dal chiarore etereo della luna e sferzati dall’impietoso vento serale che annunciava una bufera. Nessuno dei due aveva fretta di varcare la soglia di casa per dover spiegare a nostro padre perché non ci eravamo presentati a cena.

Con le orecchie che mi fischiavano, osservavo Devin mentre annegava nelle sue ansie senza emettere un singolo verso di protesta, troppo impegnato a intrattenermi con la falsa immagine che voleva dare di se stesso, assorta ma tranquilla, per rendersi conto di quanto io fossi preoccupato.

Devin?”

Hm.”

Per quanto riguarda la tua fuga di oggi, non serve che affronti nostro padre da solo un’altra volta. So bene che non avevi la minima intenzione di farmi del male.”

Ti ho già detto che non voglio parlare di nostro padre” decretò però mio fratello, secco.

Il coraggio di riprendere la conversazione risorse in me solo quando scorsi in lontananza le luci alle finestre del nostro maniero e l’andatura rallentò ulteriormente.

“La ami? Martha.”

Un fruscio di stoffa.

Ho bisogno di lei. E lei ha bisogno di me, come hai potuto vedere.”

Non mi hai risposto, ti pare?”

Amore è una parola troppo difficile per me, Arlen, anche solo da pensare” sospirò allora mio fratello, pigiandosi le mani nelle tasche. “Non conosco l’amore di mio padre e ho avuto pochi, preziosi assaggi di quello di nostra madre, molte volte spinta dalla pietà più che da un sentimento reale.”

Non hai il diritto di dire certe cose.”

Cosa? Io non avrei il diritto?” proruppe, arrestandosi di colpo per gettarmi un’occhiata di disprezzo. “Forse tu non te ne sei mai reso conto, ma è così che funzionano le cose sin da quando eravamo bambini. Anche allora io e Kenneth lottavamo e ci ferivamo, qualche volta, e la stessa cosa vale per te, che ai tempi intervenivi di gran carriera per fermarci. E come si completava, puntualmente, il quadro della giornata? Nostra madre medicava tutti quanti, ma poi teneva in braccio Kenneth per tutta la sera. Tu correvi difilato da nostro padre, dove sapevi di poter trovare approvazione e conforto. Ma io restavo solo, Arlen” Riprese a camminare. “Sono solo da quando serbo memoria.”

Gli corsi dietro, ma non trovai le parole adatte a fermare quello che mi pareva uno sproloquio senza capo né coda.

Non so cosa sia l’amore in nessuna sua forma, quindi come credi che possa risponderti? Martha è bella, gentile, più dolce del miele, ma l’amore… mi pare una parola così effimera, senza definizione alcuna. So che con lei sto bene da sempre e questo mi basta, per ora.”

“E come farai con lei in futuro? Ciò che intendo è… per quello che ne sappiamo, potrebbero mancare anche solo pochi mesi alle nozze di tutti noi. Dipende soltanto da nostro padre e dalle questioni politiche che governano le sue decisioni in materia. Come farai con Martha quando quel momento arriverà?”

Mi stupii nel vederlo sorridere nella penombra.

“Mesi. Arlen, non sai quanto quel futuro mi appaia lontano.”

Ma non lo è, Devin, e quella ragazza…”

Che ti piaccia o no, fratello, io continuerò a vederla finché vorrò, finché smetterò di sentirmi bene quando sto assieme a lei. Per il momento nostro padre non ha ancora annunciato nulla di preciso, malgrado si sia permesso di fare accordi per i matrimoni di tutti noi non appena abbiamo superato l’infanzia, quindi non vedo il motivo di preoccuparsi ora per un problema che ancora non esiste.”

“Permesso?” fu il mio turno di esclamare, sbigottito. “Devin, è la tradizione, è così che funziona! Anche nostra madre venne scelta da nostro nonno e non da nostro padre, lo hai dimenticato?”

I Primogeniti nascono per rispettare le tradizioni, Arlen, mentre i figli minori altro non sono che l’inutile eco di una melodia senza significato. Farò i miei conti con i rituali barbari della nostra famiglia quando non potrò più evitarlo.”

Se non ribattei ancora fu solo perché ormai eravamo molto vicini a casa e non volevo rischiare che qualcuno udisse quei discorsi, fosse stato anche l’ultimo dei servitori. Credevo che Devin fosse già abbastanza nei guai così com’era. Per questo fui il primo a sorprendermi quando sia io che mio fratello riuscimmo ad attraversare il portone e il corridoio d’ingresso del maniero senza che nessuna delle guardie ci fermasse per condurre almeno lui da nostro padre.

Una volta che avemmo salito le scale a chiocciola e raggiunto la nostra stanza, fui certo che ci fosse qualcosa che non tornava. In circostanze normali, dopo una scenata simile a quella di cui Devin era stato il protagonista quel mattino, nostro padre non lo avrebbe lasciato andare a letto prima di una discussione faccia a faccia che ristabilisse l’ordine e chiudesse il discorso. E invece niente. Dei nostri genitori non pareva esserci traccia in tutta l’estensione dei nostri appartamenti, mentre scoprimmo che la nostra stanza ospitava sia Kenneth che Cora. Dato che era ancora presto per andare a letto, erano seduti sul pavimento uno di fronte all’altro, con una scacchiera pieghevole e portatile aperta tra loro, impegnati in una partita a scacchi.

Al nostro arrivo, Cora s’illuminò in viso e saltò in piedi per correre ad abbracciare Devin all’altezza della vita. Era già avvolta da una morbida camicia da notte di velluto color porpora che le sfiorava le caviglie, pronta per andare a dormire.

“Temevo non sareste riusciti a tornare prima che cominciasse a piovere” ci confessò, preoccupata, mentre Devin le carezzava il capo con affetto malgrado la durezza dei discorsi che avevamo appena abbandonato sulla soglia.

Kenneth, invece, non mancò di notare il nostro stupore, anche se di sottecchi. Era il suo turno di muovere e stava studiando la posizione delle pedine bianche di Cora per decidere da che lato sbilanciarsi.

“Non c’erano nemmeno a cena” ci informò, neutro. Con pollice e indice si decise a muovere una delle sue torri in avanti, poi, solo allora, si fece cadere le mani in grembo e alzò lo sguardo su di noi. I nostri genitori, intendo. Non so dove siano, io e Cora abbiamo mangiato da soli. Mi sa tanto che stasera la scampi, Dev. Tirata d’orecchi rimandata a domani.”

Devin fu sul punto di rispondere a tono al suo sorriso canzonatorio, ma proprio in quel momento Cora gli tirò la manica con evidente entusiasmo.

Dato che nostro padre non c’era, Kenneth ne ha approfittato per sgraffignare qualcosa per voi. Sarete affamati.”

Sul tavolo di legno grezzo accanto all’armadio erano appoggiate una ciotola contenente cinque o sei uova sode private del guscio, delle carote cotte e una grossa pagnotta dall’aspetto fragrante. Di fronte a quel dono, perfino Devin dovette rassegnarsi a chiudere la bocca, se non per ringraziare Kenneth a mezza voce. Mangiammo avidamente, osservando lo svolgimento dello scontro tra le pedine bianche di Cora e quelle nere di Kenneth e dando occasionali consigli ai due giocatori. Una volta che nostra sorella ebbe inflitto un impietoso scacco matto a Kenneth, diede un bacio sulla guancia di ognuno di noi per augurarci la buonanotte prima di ritirarsi nella sua stanza accompagnata dallo scalpiccio dei suoi piedi nudi sulla pietra fredda. Se qualcuno la avesse vista, il giorno dopo Devin non sarebbe stato l’unico a beccarsi una lavata di capo.

Mi distesi sul mio giaciglio e non ebbi nemmeno il tempo di ripensare a tutto ciò che aveva reso quella giornata memorabile. La stanchezza ebbe la meglio in meno di un minuto, col risultato che caddi addormentato con l’assurda convinzione che l’indomani non avrebbe mai potuto essere foriero di notizie altrettanto impegnative.

 

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Capitolo 7
*** Tre fratelli (prima parte) ***


VII. Tre fratelli

(prima parte)

 

Piovve tutta la notte e poi anche tutto il giorno seguente. Diluviò contro le pareti esterne dell’aula magna, la modesta costruzione della cittadella dove svolgevamo le lezioni teoriche del mattino, e piovve a dirotto contro quelle dello stanzone dove consumammo il pranzo assieme ai nostri compagni, le giovani promesse destinate all’Alta Cavalleria. La pioggia continuò anche nel pomeriggio, mentre ci allenavamo con scudi e bastoni di legno nel cortile di ghiaia, incalzati dagli sguardi attenti e dai numerosi consigli dei maestri che ci giravano attorno. Quando ore dopo fummo finalmente congedati, tutti avevamo la sensazione che l’acqua che ci aveva inzuppato abiti e capelli fosse penetrata fino alle ossa, congelandole.

Mentre ci recavamo a lavarci, sognando il bagno per il quale i domestici stavano sicuramente già scaldando l’acqua sui bracieri per noi, mi affiancai a Devin e gli feci cenno di lasciare che Kenneth ci precedesse e distanziasse di parecchi metri.

Solo allora gli domandai in tono contenuto: “Nostro padre non ti ha più mandato a chiamare?”

Mio fratello scosse appena la testa, ma fu sufficiente perché una pioggia di goccioline abbandonasse le ciocche scure e grondanti dei suoi capelli per spargersi tutt’attorno. Non che importasse, dato che stavamo camminando nei prati zuppi quanto noi e la pioggia non accennava a diminuire d’intensità.

Sono stato con voi tutto il giorno e nessuno mi ha detto niente. Non che mi stia lamentando, ma non c’è stata traccia di nostro padre. Tu lo hai intravisto?”

No” considerai. “In effetti è strano.”

Di solito, per quanti impegni potesse avere, si faceva vedere da noi perlomeno a colazione o, se non gli era possibile, dedicava qualche minuto della giornata a osservarci mentre ci addestravamo. Eravamo abituati a una sua occasionale indicazione – o rimprovero – al punto che percepivamo quella giornata priva di interventi come un’anomalia che non si spiegava, soprattutto se accompagnata all’assenza della sera precedente. Non che sospettassimo una sparizione vera e propria, ma c’era senza dubbio qualcosa che non andava.

Una volta di ritorno dai bagni, colsi lo sguardo di Kenneth a metri di distanza. Aveva finito prima di noi, affrettandosi laddove io e Devin ci eravamo goduti il calore dell’acqua attorno ai nostri muscoli stanchi. Ci stava aspettando appoggiato allo stipite del portone d’ingresso con un’espressione talmente grave dipinta in volto che compresi perché Devin pensò fosse stato inviato da nostro padre a cercarlo.

Lord Morven ti ha forse mandato a ricevermi con il suo fedele frustino?” lo provocò con un ghigno, cercando di scansarlo, ma il rosso fu più lesto a bloccarlo afferrandolo per una spalla.

Frenò sul nascere la protesta che stava già nascendo sulle labbra di Devin.

Nostro padre ci vuole nella Sala delle Decisioni. Ora.”

Immediatamente compresi perché Kenneth apparisse tutto d’un tratto così teso e fui certo di aver assunto a mia volta il colore delle pareti di pietra del maniero. Nonostante fossero stati rari i casi in cui a noi figli fosse stato permesso mettere piede in quella sala, sapevamo bene quali erano gli affari che nostro padre vi conduceva: si riuniva con i suoi consiglieri, incontrava responsabili politici, regnanti e autorità da ogni dove, per discutere di argomenti troppo impegnativi per essere svelati la sera a cena.

“È successo qualcosa?” domandai, attirando l’attenzione di Kenneth.

Mio fratello fece spallucce: “Ho sentito dire che ieri è arrivato un messaggero da Sud e so che si è intrattenuto a lungo con nostro padre. Forse si tratta di quello.”

Nostro padre non ci ha mai messo a conoscenza di nulla all’infuori degli affari interni all’Accademia” obiettò Devin. “E perché avrebbe dovuto? Siamo ancora minorenni, nient’altro che mocciosi irrispettosi ai suoi occhi.”

Kenneth fece un gesto di stizza per poi serrare le mani a pugno. Dalle sue labbra uscì un sibilo di avvertimento.

Avrai tutto il tempo di fare il ribelle più tardi, Devin, ora nostro padre ha bisogno di vederci con urgenza. E non mi sembra il caso di farlo aspettare ancora a lungo, visti i tuoi precedenti di ieri.”

L’altro contrasse la mascella, ma dovette mordersi la lingua per non ribattere a tono. Poi entrò in casa a grandi passi, ringhiando: “Spero sia abbastanza importante da ripagarmi del piacere che mi avrebbe procurato colpirti al basso ventre.”

Sospirando con fare esasperato, seguii i miei fratelli in casa.

Nessuno di noi aveva idea di quale notizia si celasse dietro la porta della Sala delle Decisioni né di quanto avrebbe cambiato la vita di ognuno di noi. Eppure il sudore che senza alcun motivo apparente c’impregnava i palmi delle mani non era nient’altro che un avvertimento che non avremmo dovuto permetterci di ignorare.

Quella che seguì fu una notte di burrasca, confusa da uno dei temporali estivi che anni prima mi avevano spaventato tanto e che ora, da adolescente affetto da frequente insonnia qual ero, mi affascinavano non poco. Eppure, nella mia memoria, quella sera ha un sapore diverso.

Non sa di muschio e terra di bosco bagnata né rievoca nella mia mente il canto ininterrotto di grilli, cicale e volatili che corrono a ripararsi nei propri nidi. Il suo sapore sulla mia lingua è invece, malgrado tutto, quello amaro della delusione. Quella notte decretò la metamorfosi della mia vita e di quella dei miei fratelli.

Fu infatti allora, all’alba dell’estate, che nostro padre ci rivelò verità la cui esistenza avevamo sempre avuto paura di ipotizzare. Verità che avrebbero cambiato tutto, sovvertendo le nostre identità dalle fondamenta.


Nonostante le acute proteste,
Cora venne mandata a letto presto perché non avesse alcuna possibilità di origliare, mentre nostra madre, per nostra sorpresa, apparve dal chiostro in silenzio e si unì a noi.

Il suo sorriso, labile sul volto tanto pallido da apparire cinereo alla luce tremolante delle lampade ad olio, mi rese ancora più ansioso e spinse Devin ad abbassare lo sguardo. La sua presenza stava a significare che il motivo per cui eravamo stati convocati riguardava l’intera famiglia. L’assenza forzata di Cora, invece, ne annunciava le possibili acri conseguenze.

Prima che la tensione assumesse la consistenza di una lastra di ferro calata sulle nostre teste, fu Kenneth a bussare con decisione alla porta di massiccio legno intarsiato dietro alla quale si erano sempre tenute riunioni a noi precluse.

Entrate” disse una voce grave dall’interno.

Una volta aperto l’uscio, nostra madre raggiunse suo marito senza la minima esitazione. Noi, bambini invecchiati dai sogni troppo coloriti, rimanemmo invece sulla soglia. Un po’ per pudore, un po’ a causa della soggezione che quell’ambiente, interamente intagliato in pregiato legno di ciliegio, ci incollava addosso senza pietà.

Una lunga tavola attorniata da dodici seggi occupava gran parte della sala e sulle pareti erano appese riproduzioni degli stemmi di tutti i regni con cui l’Accademia intratteneva buoni rapporti. Ma un arazzo che correva parallelo alla tavola, appeso alla parete, dominava la stanza con i colori accesi propri dei tessuti orientali.

Il generoso dono di un capitano delle truppe d’Oriente per suggellare la pace” spiegò la voce di mio padre, notando il mio interesse per quell’opera d’infinita pazienza. All’età di quattro anni voi tre rischiaste di dargli fuoco.”

Non siamo mai entrati in questa stanza a quell’età, ci era vietato” obiettò allora Devin, acido.

Il semplice fatto che voi non lo ricordiate non significa che non sia mai accaduto. In realtà voi tutti siete stati oggetto di molte discussioni in questa sala, quando eravate ancora più giovani. E a volte eravate presenti, malgrado foste troppo piccoli per esserne pienamente coscienti.”

Osservai mio padre per trovare una traccia della collera del giorno precedente sul suo volto, ma restai a bocca asciutta. Sedeva a capotavola tenendo i gomiti appoggiati sulla polita superficie di legno, con le labbra premute sulle mani come a voler impedire alle parole sbagliate di scappargli di bocca e le palpebre chiuse attorno a pensieri turbolenti. La fronte corrugata e le sopracciglia aggrottate lo facevano sembrare più vecchio dei suoi quarantanni e non aiutavano a placare il nostro nervosismo.

Nostra madre, appostata dietro di lui ad accarezzargli le spalle, dava l’impressione di cercare un rifugio dietro al possente marito.

Fu la pace suggellata dopo l’ultima guerra con l’Est? La prima in cui combatteste e comandaste le truppe dell’Accademia?” domandai.

Esatto” confermò l’uomo, lapidario.

Seppur insicuro, spostando il peso da un piede all’altro, fu Kenneth a riprendere la parola: “È forse successo qualcosa di grave, che vi ha spinto a convocarci qui?”

L’uomo aprì gli occhi, come se la frase di mio fratello lo avesse risvegliato dal torpore, e ci squadrò uno ad uno, consacrando qualche secondo alla pura e semplice contemplazione dei suoi figli.

Poi sospirò di nuovo, quasi rivolgendosi a se stesso nel mormorare: “Sarà davvero il momento opportuno?”

Fu sua moglie a incoraggiarlo, stringendogli una spalla e parlando in un soffio.

Dobbiamo dirglielo, Morven. Non solo per il loro bene, ma per quello dell’intera famiglia e dell’Accademia stessa, questa storia deve cessare di essere un segreto. E poi guardali: uomini hanno preso il posto dei bambini che ci facevano disperare tanto. È ora.”

Uomini!” sbuffò il veterano di guerra, sarcastico ma arrendevole. “Uomini che ancora mi fanno dannare con capricci da marmocchi. Sedetevi, giovanotti, purtroppo vostra madre ha ragione ad insistere.”

Obbedimmo tutti e tre senza emettere alcun suono, frastornati da quello scambio di battute apparentemente senza senso. Kenneth si sedette alla destra di nostro padre e io immediatamente accanto a lui. Nostra madre si accomodò alla sinistra del marito per potergli tenere una mano, mentre Devin prese posto vicino alla donna.

Nonostante la mia proverbiale pacatezza, quell’ennesima pausa nel discorso mi divorava i nervi.

È talmente difficile parlarvene come di un qualsiasi altro argomento” sospirò nostro padre, mentre scoraggiato rivolgeva alla moglie uno sguardo supplicante, disperato quanto la sua richiesta d’aiuto. “Ti prego, Esyld.”

Per niente sorpresa, lei si limitò ad annuire e a umettarsi le labbra con cautela prima di guardarmi dritto negli occhi. Non avrei mai dimenticato quello sguardo. Pena, ecco che cosa vi vidi. Compassione per la parte sconosciuta del mio passato e una serietà che mi stroncò assieme alla fermezza delle parole che le uscirono di bocca lentamente, come le protagoniste di un sogno.

Taglierò i convenevoli per non farvi angustiare oltre” dichiarò, e non mentiva. Non fu mai più altrettanto brusca. “Voi non siete tutti figli nostri. Non nel senso più stretto del termine.”

Non appena assimilai quel breve discorso, il cuore cominciò a battermi più rapidamente, con sempre più furia, e, mentre mi sentivo scaraventare in un pozzo senza fine, notai il medesimo senso di smarrimento sui volti dei miei fratelli. Non dicemmo nulla, incapaci di reagire, così lei fu costretta a continuare da sola, mentre la voce le si incrinava per l’emozione, per convincerci di non star tirando un brutto scherzo ai nostri sentimenti.

Solamente Kenneth è nostro figlio naturale.”

Trascorsero diversi secondi, che corsero gelidi lungo la schiena di noi tutti. Infine fu Devin, confuso quanto me e Kenneth, a spezzare per primo quel terrificante incanto. Aveva gli occhi sgranati sotto le sopracciglia inarcate e le nocche gli si erano fatte lattee a forza di stringere il bordo della tavola.

State scherzando? Che cosa significa?” eruppe, facendo una pausa per riordinare le idee più che per dare a qualcuno la possibilità di rispondere.Vuol dire che oltretutto non siamo neppure fratelli? Da dove veniamo io e Arlen, allora?”

Esyld, chiaramente in pena, tentò di placarlo col suo tono più dolce.

Siete comunque parte della famiglia, tesoro.”

Lo dite solo perché ci avete adottati” insistette lui in un bisbiglio, implacabile.

No. Non solo per quello.”

Voltammo tutti la testa verso chi sedeva a capotavola. Finalmente nostro padre era intervenuto con la forza d’animo che gli era propria e io, seppur ancora sbigottito, potei riconoscere l’uomo e il coraggio accanto al quale ero stato fiero di crescere. I suoi occhi, ora brillanti di quel colore inverosimile che Devin e Kenneth avevano ereditato, erano aperti alle domande implicite nei nostri sguardi, pronti ad accoglierle.

Vostra madre intende dire che tu e Arlen appartenete a questa famiglia anche dal punto di vista del sangue, anche se non siete nati dalla nostra unione. È una storia che vi abbiamo tenuto nascosta per molto tempo perché troppo dolorosa per me e potenzialmente pericolosa per voi e per gli equilibri di questa famiglia, ma ora è decisamente arrivato il momento di raccontarvela. Spero riuscirete a perdonarci per non avervi rivelato tutto già molto tempo fa. A nostra discolpa, posso dire che abbiamo agito come abbiamo ritenuto giusto per il vostro bene.”

Respirò profondamente prima di riprendere in tono pacato.

Per permettervi di comprendere, dobbiamo tornare ai tempi della mia infanzia. Sono nato Primogenito di Darragh, una figura che conoscete più dalle vostre lezioni di storia che dall’esperienza, dato che vostro nonno morì pochissimi anni dopo la vostra nascita.”

Aveva ragione. Io non avevo altro ricordo di mio nonno che non fossero la sua tosse gravosa che riecheggiava nei corridoi e la voce bassa di mia madre che, mentre mi prendeva per mano per esortarmi ad allontanarmi dalla porta socchiusa della stanza da letto dove l’uomo trascorreva quel poco tempo che gli rimaneva da vivere, bisbigliava: “Lasciamo in pace il nonno, è molto malato”.

Ad ogni modo, io fui destinato fin da subito a ereditare il comando dell’Accademia. I miei fratelli minori, Ian e Connor, vennero al mondo rispettivamente uno e cinque anni dopo la mia nascita. Avevo nove anni quando scoppiò la guerra contro l’Oriente, ma non fui autorizzato a prendervi parte fino a quando non ne compii diciotto. Ian si unì alle truppe un anno dopo. Connor, invece, non arrivò a combattere.”

La guerra terminò prima dei suoi diciotto anni?” domandò d’istinto Kenneth, già catturato dalla storia di cui, come me e Devin, conosceva solo una versione rimaneggiata dai nostri insegnanti. Ci era sempre stato fatto credere che nostro padre fosse figlio unico.

Sì” confermò mio padre, con una nota di angoscia che ne rendeva palese il peso sul cuore. “Con la morte di Ian sul campo di battaglia.”

La stretta di nostra madre sulla sua mano si fece più salda e l’uomo trattenne la sofferenza relegando le lacrime dietro ombre scure nell’oceano dei suoi occhi. Noi invece ci torcevamo le mani, sentendoci improvvisamente degli estranei in casa altrui. Com’era possibile che fossimo arrivati quasi alla maggiore età senza conoscere la vera storia della nostra famiglia? Dal nulla cominciavo a vergognarmi di non essermi mai preso il disturbo di fare più domande sul passato a noi più prossimo. Anche se probabilmente non avrei mai ricevuto risposta da quelli che avevo creduto essere i miei genitori né da chi aveva il compito di istruirmi, avrei almeno offerto un pensiero, una sorta di piccolo sacrificio alla parte celata del mio albero genealogico.

Ian era diventato un bravo combattente grazie a una vita spesa a seguire gli allenamenti di nostro padre, ma la sua passione era un’altra. Lui amava le persone, la loro umanità. Avrebbe voluto esserne il difensore. Aveva sempre sognato di fare il curatore, nonostante non possedesse un goccio del talento di un Guaritore e la sua nascita lo avesse destinato a un’esistenza da cavaliere. Quanto lottò con nostro padre per convincerlo a permettergli di studiare l’arte della medicina e delle erbe… quante urla, quante liti e rimproveri dovette sopportare prima che nostro padre si rendesse conto che, se non fossero arrivati a un compromesso, lui avrebbe perduto l’amore di un figlio e Ian avrebbe perduto la voglia di vivere.”

Quando aveva tredici anni, a Ian venne finalmente accordato il permesso di seguire i corsi di un curatore, a patto che il suo impegno nelle arti militari non diminuisse. Dopo aver trascorso l’adolescenza tra libri e addestramenti, senza neppure un attimo libero per sé, ricevette il diploma di curatore e cominciò a praticare per chiunque ne avesse bisogno, in città. Dopo solamente un anno, però, venne reclutato nel nostro esercito come capitano. Dovette lasciare da parte la sua dedizione nei confronti dei sofferenti per unirsi alle nostre file. Ricordo ancora quella che fu la brevissima discussione tra lui e nostro padre. Ian me la raccontò non appena si unì a me, appena oltre l’attuale confine con l’Oriente” precisò, sentendo che stava per perdersi tra le memorie e dimenticarsi dei presenti. “Ian obiettò alla sua decisione di mandarlo in guerra dicendo che curare i feriti tornati dai campi di battaglia non avrebbe dovuto essere considerato un ripiego, ma un’esigenza che si affiancava alla guerra. Vostro nonno rispose soltanto: "Se ognuno di noi non farà la propria parte per rimettere al loro posto gli Orientali, presto ti ritroverai senza più nessuno da medicare".”

Tutto andò più che bene per qualche tempo: io e Ian guidavamo legioni in territori che le truppe guidate da nostro padre non riuscivano a coprire, eravamo il nuovo emblema della forza dell’Accademia. Le vittorie ci galvanizzavano, le ritirate forzate ci spronavano a migliorare le nostre strategie. Quando io ebbi meno di vent’anni e lui quasi diciannove, ci venne accordata una licenza perché potessimo tornare a casa e sposare le donne che nostro padre aveva scelto come nostre mogli. Io sposai Esyld, naturalmente, mentre per Ian era stata scelta una nobildonna del Sud di nome Eireen. Ci ritenemmo entrambi molto fortunati.”

Sua moglie accennò un sorriso nella sua direzione: “Né io né Eireen la pensavamo diversamente nei vostri riguardi.”

Ian seppe della prima gravidanza di Eireen a pochi mesi dal ritorno nell’esercito e divenne padre a diciannove anni. Ma solo quando ne ebbe ventidue, a causa dell’asprezza della guerra, poté tornare a casa per qualche giorno per rivedere la moglie e conoscere il figlio. Lo accompagnai nella visita a casa, ma poi dovemmo immediatamente tornare a dare man forte all’esercito.”

Nostro padre si concesse un altro sospiro prima di affrontare la parte più ardua del racconto.

Ricordo quella mattina di inizio primavera. Eravamo accampati in un fondovalle oltre il confine orientale e io e Ian ci eravamo dati appuntamento per fare colazione assieme e discutere della marcia che intendevamo compiere con le nostre legioni. Dovevamo guadagnare terreno in fretta, ci eravamo illusi di poter attaccare prima di essere notati. Sapevamo che, se avessimo vinto ancora qualche battaglia, gli Orientali avrebbero dovuto cederci definitivamente vasti territori e rifugiarsi a casa. Sapevamo che erano allo stremo, alcuni battaglioni quanto e più di quanto lo fossimo noi, e forse ci lasciammo accecare dalla speranza che la guerra finisse, finalmente” si perse per un momento nel ricordo delle strategie di allora, con la fronte aggrottata. Ma poi tutta la sua tensione si sciolse con un sospiro addolorato. Arrivò una lettera che annunciava la lieta notizia delle gravidanze di entrambe le nostre consorti. Ricordo che brindammo alla prosperità della famiglia poche ore prima che l’esercito nemico piombasse su di noi senza alcun preavviso, approfittando della nostra posizione di svantaggio. Avevamo scelto quel posto con l’illusione che ci avrebbe nascosti alle sentinelle Orientali, invece quella decisione finì per decretare la nostra disfatta.”

Io, Devin e Kenneth trattenevamo il fiato come bambini all’incedere del lupo nero, ma nostro padre non ci badò nemmeno.

Ian era uno dei cavalieri meglio addestrati del continente, ma era soprattutto uno dei migliori curatori che avessi mai conosciuto. Soprattutto aveva il cuore di un curatore, altruista e disinteressato. Fu così che nonostante le mie proteste, il mio ordine di occuparsi di coordinare le retrovie, quel giorno s’impuntò e mi seguì in prima linea in battaglia. Non lo avrebbe mai ammesso, ma la sua fortissima moralità lo spingeva a cercare i feriti per soccorrerli. Invece…”

Morven” lo chiamò sua moglie, sentendo lei stessa il dolore bruciare come acido.

Invece fu lui a soccombere sotto il colpo dell’ascia di un nemico, per proteggere me” confessò l’uomo, e all’improvviso i suoi occhi si levarono per cercare i miei. “Ero molto legato a Ian e non solo perché era mio fratello ed eravamo cresciuti insieme. Era un ragazzo d’oro e sarebbe diventato un grand’uomo. Generoso, talentuoso, affettuoso con la famiglia, rispettoso delle gerarchie, ma abbastanza testardo da imporsi per vincere le ingiustizie. Un uomo come non ne ho più conosciuti. Nonché tuo padre, Arlen.”

 

 

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Capitolo 8
*** Tre fratelli (seconda parte) ***


 

VIII. Tre fratelli

(seconda parte)

 

Per l’attimo più lungo della mia vita, dimenticai come far arrivare l’aria ai polmoni. Mi persi nella voragine cerulea degli occhi dell’uomo che fino a quel giorno avevo chiamato padre senza il minimo sospetto che un appellativo talmente semplice, talmente familiare potesse nascondere una bugia tanto amara da perforarmi lo stomaco. Rimasi senza fiato, assalito da innumerevoli particolari e ricordi della mia vita che davano ragione alle parole di Morven, privandomi di ogni certezza mi avesse sostenuto fino a quel momento. I miei occhi verdi e la pelle olivastra, come prima cosa, dovevano essere segni delle origini di mia madre.

Solo dopo qualche secondo mi resi conto che avevo tutti gli sguardi dei presenti addosso. Ero figlio di un ammirevole curatore sacrificatosi in battaglia per salvare la vita del fratello. Cercai di trattenere l’emozione, ma la nota commossa che io stesso percepii nella mia voce tradì il terremoto che mi aveva travolto.

Se mio padre è morto in guerra, che ne è stato di mia madre? Perché siete stati solo voi a crescermi?”

Fu la donna che aveva curato tutte le mie sbucciature alle ginocchia a rispondermi, dopo aver allungato il braccio attraverso il tavolo, verso di me, e aver posato una mano pallida sulla mia.

“Eireen ti diede alla luce qualche giorno dopo il solstizio d’inverno dell’anno di quella battaglia, l’anno in cui la guerra finì. Dopo la morte del marito non era più la stessa, non superò mai il lutto. Il dolore la rese quasi del tutto distaccata perfino nei confronti del primo figlio, per quanto lo amasse. Per non contare il fatto che era dimagrita molto e la gravidanza venne portata avanti con difficoltà” mi raccontò Esyld, nella cui voce si percepiva l’amarezza malgrado stesse facendo del suo meglio per incoraggiarmi. “Purtroppo il suo corpo debilitato non resistette al parto e lei ci lasciò, ma tu nascesti sano. Un amico di tuo padre ti affidò a Morven e a me per poi partire assieme a tuo fratello maggiore Aidan, che allora aveva appena tre anni, per portarlo al Sud, farlo crescere fra la gente di tua madre e istruirlo come curatore, come Ian aveva lasciato scritto in caso gli fosse successo qualcosa di irreparabile.”

Assimilando la tragicità di quelle informazioni come diversi pugni in pancia, abbassai il capo e svuotai del tutto i polmoni, rimanendo a fissare il pavimento a occhi sbarrati per qualche secondo. Avevo la bocca aperta a testimoniare la mia indecisione riguardo alla domanda alla quale concedere la precedenza, il dubbio da colmare per primo fra tutti quelli che mi facevano pulsare le tempie.

Perché portare via solamente mio fratello e lasciare me qui?” scelsi infine, cercando di immaginarmi il viso del parente di sangue che non avevo mai conosciuto e non riuscendo a trovargli degli occhi. “Perché separare la famiglia in questo modo se anch’io sono figlio di Ian?”

Contro ogni mia aspettativa, Morven accennò un sorriso storto, abbracciando vecchi ricordi da cui fui precluso, ma mi rispose con tono amabile.

Tuo padre aveva deciso del futuro che desiderava per tuo fratello soltanto perché non ebbe il tempo utile per pensare al tuo. Forse Karim si sarebbe potuto occupare anche di te, ma...”

Ma non dimenticare,” intervenne Esyld, “che ai tempi tu eri solo un neonato, bisognoso delle cure di una donna. Quando nascesti, Kenneth aveva un paio di settimane di vita e io ero quella che si dice la candidata ideale per farti da madre. Avresti rischiato di non sopravvivere al viaggio che Karim insistette per intraprendere al più presto. Noi avremmo voluto che anche Aidan rimanesse con noi, dopotutto eravamo l’unica famiglia che avesse mai conosciuto. Ma quell’uomo si intestardì per far valere il testamento di Ian e ci ritenemmo fortunati per aver potuto adottare almeno te.”

Alla fine mi limitai a ricambiare il suo sorriso, sollevato, e ad accogliere come miele le sue parole di conforto. Il mio cuore non era ancora sereno – e forse non lo sarebbe stato mai più – ma avevo bisogno di tempo per elaborare tutto ciò che avevo sentito.

Fosti un dono più che gradito per me e Morven, Arlen. E credimi quando ti dico che Ian sarebbe fiero della persona che sei diventato.”

Quando Morven cominciò a torcersi nervosamente le mani, facendo scivolare un palmo contro l’altro con finta noncuranza e finì con l’incontrare il suo sguardo glaciale, Devin comprese che era arrivato il suo turno e inconsciamente si ritirò un poco verso lo schienale della sedia.

La storia della tua nascita, Devin, è forse la più complicata” mormorò l’uomo fra un respiro profondo e l’altro, non badandoci. “Ma anche tu hai diritto a non essere più tenuto all’oscuro su una faccenda tanto importante come le tue origini.”

Sono figlio di Connor Terzogenito?” azzardò il ragazzo, ormai poco sorpreso.

Esattamente.”

L’uomo piantò gli occhi severi in quelli apparentemente neutri di Devin, della stessa tonalità cerulea.

Sei figlio del più inguaribile ribelle testardo che io abbia mai visto calpestare queste terre. Essendo nato ben cinque anni dopo di me, sia io che Ian lo vedemmo sempre come un bambino. Certo gli volevamo bene, ma ai nostri occhi rimase sempre un marmocchio col quale molto raramente parlavamo senza scherzare o schernirlo in qualche modo. D’altronde, non avemmo il tempo di vederlo crescere.”

A quel punto vidi le gote di Devin perdere colore fino ad assumere un pallore febbrile.

È morto anche lui?”

Non posso affermarlo con certezza. Però ho paura di non poterti neppure assicurare che sia vivo” replicò l’uomo a bassa voce, come se stesse rivivendo il passato all’interno della sua mente per prepararsi a discuterne. “Sappi che quasi tutto ciò che so di questa storia mi fu raccontato a mia volta da terzi, quindi ti prego di perdonare le mie manchevolezze.”

Devin annuì, riuscendo a stento a riassumere l’espressione intoccabile che lo contraddistingueva fin dall’infanzia. Sedeva di fronte a me, cosicché notai che una goccia di sudore iniziò a scorrergli lungo l’attaccatura dei capelli nel medesimo istante in cui le prime avvisaglie del temporale cominciarono a percuotere il fine vetro colorato delle finestre.

Ci perdemmo così nelle parole acri di Morven, avidi di sapere cosa rendeva Connor Terzogenito un argomento tanto arduo da affrontare.

L’ultima volta che vidi mio fratello minore fu il giorno in cui mi sposai, quando cioè aveva appena quindici anni. Non c’è bisogno che te lo descriva in aspetto, Devin: guardati allo specchio e vedrai tuo padre, un po’ più uomo di come lo lasciai.”

I capelli” s’intromise ancora Esyld, accennando alla chioma castana di Devin. “Ricordo che i capelli di Connor erano dello stesso biondo di vostra madre, Morven. Devin deve avere i capelli di sua madre.”

Il grugnito di Morven risvegliò il sospetto di Devin, che fece spaziare più volte lo sguardo dall’uomo a sua moglie, rapido, cercando di scoprire nei loro occhi ciò che pareva aver reso gli schienali dei loro scranni improvvisamente scomodi come letti di chiodi.

Chi era mia madre?” si decise infine a domandare.

A quanto mi raccontò vostra nonna al mio ritorno a casa dalla guerra, con gli anni in Connor crebbero la prepotenza, la cocciutaggine, il desiderio di prevalere su tutti e di distinguersi dalla massa. Non nel modo più sano, però. All’alba dei diciott’anni mise incinta una ragazza del paese, una donna con cui passò una notte soltanto, e i nostri genitori lo vennero a sapere senza grosse difficoltà.”

Fece una pausa per grattarsi il mento con aria indifferente e io immaginai il cuore di Devin piombare nel vuoto alla stessa stregua del mio, mentre il pianto di quella ragazza bionda distesa nuda contro il corpo di mio fratello nel tanfo di una stalla mi rimbombava nelle orecchie, rendendo fastidioso lo scranno su cui ero seduto.

Ricordare mio padre equivale a riportarmi indietro a interminabili notti di pioggia torrenziale durante le quali io e Ian dovevamo allenarci all’aperto nonostante il gelo. Ma ricordo anche discorsi profondi ascoltati dopo cena, davanti al fuoco, e il suo senso del dovere.”

Morven cercò gli occhi di Devin, dandogli per una volta la precedenza rispetto a me e Kenneth.

Era un uomo con principi ben radicati nell’animo e badava che anche noi figli li rispettassimo col suo stesso rigore. Era equo, ma severo con noi non meno che con chiunque altro.”

Per questo non esitò a punire Connor, esiliandolo non appena la verità venne appurata. Da quel giorno Connor non è più tornato a casa, neppure dopo che la notizia della morte di nostro padre, qualche anno dopo, attraversò il continente.”

Non c’è da stupirsene, dato che l’esilio è a vita” osservò Devin, statico.

Sensibile come sempre alle emozioni delle persone che le stavano attorno, Esyld allungò le dita affusolate sopra la mano destra di Devin, così come aveva fatto con la mia, e gli offrì la consolazione del suo punto di vista.

Se solo fosse tornato, non saremmo stati tanto intransigenti quanto lo fu tuo nonno a suo tempo.”

Cercò gli occhi del marito in cerca di appoggio.

Morven si sarebbe seduto in questa sala e assieme a lui avrebbe parlato di perdono.”

L’uomo incrociò tra loro le dita delle mani per poi appoggiarsi allo schienale del seggio con un’espressione combattuta.

“Nonostante io non la pensi troppo differentemente da mio padre, credo che trattandosi di un parente così stretto avrei acconsentito a rifletterci sopra.”

Forse è proprio per questo motivo che non ha ardito fare ritorno” azzardò allora Devin, tornando alla carica. “Sapeva di avere un fratello che non avrebbe dimenticato facilmente il suo errore di gioventù.”

Errore! esclamò Morven, sgranando gli occhi. “È a causa di quell’errore che nascesti tu, Devin. Non si trattò di un diverbio né di un’impertinenza, ma di lasciarsi alle spalle tutte le responsabilità che uno Hjallmar sa di avere, mirando al mero piacere che può derivare dal rapporto occasionale con una donna. Spiacente, ma mai sono stato e mai sarò pronto a ignorare facilmente certi errori.”

Spiazzato, Devin allontanò lo sguardo dagli occhi infuocati dell’uomo e finì col posarlo sulle proprie ginocchia, mordendosi un labbro per costringersi a tacere, a non ribattere una volta di troppo.

Poiché ero l’unico a conoscere il suo segreto, solo io potei accorgermi del fatto che non stava mettendo in campo la propria testardaggine solo per difendere il ragazzo che suo padre era stato, ma più che altro se stesso dalle medesime accuse, recuperate dalla sua coscienza dal fervore di Morven e gettategli addosso senza pietà.

Mia madre” bisbigliò dopo alcuni istanti, dandomi l’impressione di vergognarsi. “Che ne è stato di lei?”

Secondo le nostre leggi avrebbe dovuto essere giustiziata per il semplice fatto di aver giaciuto illegalmente con un uomo di lignaggio superiore, ma tua nonna convinse il marito a risparmiarla per rispetto della creatura che portava in grembo, affermando che era l’unica innocente in quella faccenda. Non ne sapemmo più niente finché, la sera del solstizio d’inverno, quella donna bussò alla nostra porta.”

Era vestita di stracci, sudicia ed esausta, ma tu dormivi serenamente fra le sue braccia, nato da poche ore” proseguì sua moglie, senza nascondere la commozione negli occhi lucidi. “Ci pregò di prenderti con noi nonostante il tuo sangue non fosse del tutto puro. Disse che restando con lei saresti andato incontro a morte certa, poiché lei non era che una ragazza della plebe e non possedeva il denaro necessario a mantenere un figlio da sola.”

“E voi accettaste per pietà” completò Devin, muovendo appena le labbra con un che di feroce.

Accettammo perché, nonostante tutto, ai nostri occhi apparivi come un membro della famiglia.”

Sono solo un bastardo.”

Quell’unico sussurro pregno di un odio di tutt’altra natura mi raggiunse il cuore e lo fece sanguinare tanto da spingermi a scattare in piedi per dare libero sfogo alla mia indignazione.

Non devi dirlo. Sei un discendente del fondatore dell’Accademia quanto me e Kenneth. Hai tutto il diritto di ricevere un’educazione degna di questo titolo, di vivere sotto questo tetto, di chiamarti Hjallmar” reiterai, utilizzando l’antico nome di famiglia così come aveva fatto nostro padre. “Non pensare neanche per un secondo di non esserne degno.”

Lui si limitò a fissarmi per alcuni secondi, spaventandomi con la sua immobilità, poi tornò a guardarsi le ginocchia senza lasciar trasparire i propri pensieri.

Infine si alzò in piedi a sua volta, ben attento a tenere il capo chino.

Chiedo il permesso di ritirarmi. O ci sono altri piccoli particolari del mio passato che mi avete tenuto nascosti per timore e che ora siete pronti a rivelarmi con tanta magnanimità?”

Pensavo che avresti avuto più domande da pormi” confessò Morven, interdetto. “Ma se non è così, non ho motivo di trattenerti.”

Allora, senza sprecare una parola in più per augurare la buonanotte, Devin lasciò la stanza a passi veloci, chiudendosi alle spalle il portone con fermezza.

Morven rimase a fissare il battente dietro il quale era scomparso fino a che i suoi passi che si allontanavano non terminarono di scandire i secondi. Poi archiviò la faccenda con un cenno della testa e si rivolse a me con benevolenza.

Come ti senti, figliolo?”

In concreto, non molto diverso da quando credevo di conoscere tutta la mia famiglia,” buttai lì con un sorriso, per poi aggiungere con qualche riserva: “signore.”

Lui accolse la mia insicurezza con una piccola smorfia che si affrettò a camuffare da mezzo sorriso.

Credi che riuscirai ancora a chiamarmi padre?”

Nulla è cambiato” mentii spudoratamente, forse con l’unico obiettivo di cancellare quell’espressione contrita dal suo volto. “Ora so chi mi ha messo al mondo, ma per il resto… sono ancora la stessa persona che ero stamattina, così come lo siete voi.”

Mi aspettavo un sorriso, ma lui rimase ad osservare il muro a braccia conserte, perso in ricordi che oramai non condivideva più con alcuna persona viva e nei quali noi tutti lo lasciammo navigare finché non ne riemerse, svuotato e con gli occhi rossi per la stanchezza.

Un giorno ti parlerò di tuo padre” mi promise allora, annuendo. “Ti parlerò delle paure che da bambino mi confessava durante la notte, di come covava in segreto la sua aspirazione di diventare curatore, del suo valore, della sua generosità e del sentimento ineguagliabile che lo univa a tua madre e lo ha reso insonne per molte notti, al fronte. Ti dirò tutto, ma non stanotte. Stanotte non potrei rendere onore alle sue gesta col giusto riguardo.”

Padre” lo chiamai allora, turbato. “Perché non fate la stessa cosa per Devin? Forse sentir raccontare di suo padre lo aiuterebbe a comprendere e a superare questo momento. Anche il poco che ricordate di vostro fratello Connor potrebbe essere d’aiuto, ne sono certo.”

La sua bocca si fece più sottile e nelle sue guance tornò a diffondersi il lividore. Nel discorso che seguì non potei fare a meno di avvertire il dramma di mio fratello Devin bruciare più che mai sulla mia stessa pelle.

Mi dispiace, Arlen” sospirò l’uomo, pur non apparendo per niente addolorato. “Vostra madre mi ha chiesto di non dirlo di fronte a Devin per non ferirlo più del necessario, ma la verità è che io, come mio padre, non ho mai perdonato mio fratello minore per ciò che fece. Penso invece che fu corretto punirlo con l’esilio e che, se tornasse chiedendo asilo, non glielo concederei.”

Di fronte allo stupore mio e di Kenneth, che ci trovammo entrambi sul punto di subissarlo con altre domande, curvò un angolo della bocca in una specie di sorriso volto a consolare se stesso.

Voi siete giovani e posso comprendere come per voi sia difficile capire il motivo di tanto risentimento. Ma il fatto che si tratti di mio fratello non cambia la sua colpa e gli effetti che ebbe in passato e ha tutt’oggi. Al solo ricordo di Connor mi prudono le mani. E purtroppo, essendo Devin il sosia del ragazzino che conobbi, io…”

Morven, no” provò a dissuaderlo dal parlarne la moglie, ma invano.

Io mi accorgo che molte volte rovescio su Devin colpe che non ha del tutto” seguitò invece l’uomo, fissandosi le mani abbandonate sul tavolo. “Ma guardandolo rivedo Connor, la sua stessa boria, lo stesso disprezzo per le regole, e sento di doverlo frenare con più decisione possibile. Temo che se non lo facessi, Devin finirebbe per sfuggire al mio controllo e la storia per ripetersi.”

Fu Kenneth che, non sapendo ciò che sapevo io, si fece avanti per difendere nostro fratello.

Ma padre, lui non…”

Non vi chiedo di capirmi” lo bloccò immediatamente l’uomo con tono esausto. “Non credo neppure di essere un genitore inetto per questo. Anzi, sono fiero dell’educazione che sto impartendo a Devin come a voialtri due. Ho solo creduto fosse giusto dirvelo, perché non mi fraintendeste e in futuro non...”

Ma non riuscì a completare la frase, perché un urlo di terrore rimbombò all’interno dell’intera costruzione, così intenso da farmi scorrere brividi gelidi lungo la spina dorsale e da spingermi a chiedermi quale bestia avesse potuto portare un essere umano a lanciare simili strilli di morte.

 

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