GORETOBER o quella volta che Adri decise di partecipare a un writober fuori tempo massimo

di adrienne riordan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Giorno 1: formicoliò ***
Capitolo 2: *** Giorno 2: perdita sensoriale ***
Capitolo 3: *** giorno 3: strisciando dall'interno ***
Capitolo 4: *** Giorno 5: prescription dreams ***
Capitolo 5: *** Day 9: Soffocamento ***
Capitolo 6: *** Day 26: Mal di denti ***
Capitolo 7: *** Giorno 4 e 18: Carne e macchina + lasciarti in sospeso ***
Capitolo 8: *** Giorno 16: occhio ti vede ***
Capitolo 9: *** 20 ottobre Sei già morta (You’re already dead) ***
Capitolo 10: *** Giorno 17 ottobre “fare a pezzi” e giorno 21 “infestazione” ***
Capitolo 11: *** Day 19: Dismantle Instructions ***
Capitolo 12: *** Giorno 27: piece by piece (pezzo dopo pezzo) ***
Capitolo 13: *** giorno 11: odore di marciume ***
Capitolo 14: *** Giorno 30 ottobre: Spezzami ***
Capitolo 15: *** Capitolo 24: bruise me, beat me ***
Capitolo 16: *** Giorno 13 ottobre: tale madre, tale mostro ***
Capitolo 17: *** Pasto alternativo (6 ottobre) ***
Capitolo 18: *** Giorno 15 ottobre: Istinto animale ***
Capitolo 19: *** Giorno 15 ottobre: Istinto animale ***
Capitolo 20: *** Mordecai, vacanze parigine (prima parte) ***
Capitolo 21: *** Giorno 8 ottobre: “Infezione” ***
Capitolo 22: *** Giorno 28 ottobre “Parti extra” ***



Capitolo 1
*** Giorno 1: formicoliò ***


goretober 1 ottobre formicolio

Disclaimer

E niente, sono caduta nel baratro del Writober, l’evento durante il quale si scrivono 31 storie in 31 giorni! Si dovrebbe pubblicare una storia al giorno, rispettando l’ordine dei prompt assegnati, ma pubblicherò appena posso perché la vita reale fa schifo e posso scrivere soprattutto durante il fine settimana. Cercherò tuttavia di non far passare troppi giorni tra una pubblicazione e l’altra, promesso!

Per questa nuova serie di one-shot legati al fandom La Calaca de Azucar (non lo conosci? FILA A LEGGERLO CHE É BELLISSIMO!) mi sono basata sui prompt di una lista creata per il Goretober e trovata su questa pagina tumblr:

https://drawkill.tumblr.com/post/178061910802/whos-ready-for-some-goretober-i-have-here-a

risale al 2018 e riguarda fanart, ma i prompt mi sono piaciuti!

OVVIAMENTE i prompt sono horror ma le mie storie no perché sono capra.

 

 

FORMICOLIO

Tutto, il giorno successivo all’arrivo ad Esqueleto, stava cospirando contro Felipe per irritarlo più di quanto già non fosse. Non solo era irritato all’idea che il fratellino si fosse dimenticato di tutti i conti che aveva in sospeso con lui, Tezcatlipoca, al secolo Felipe, ma era pure irritato dal fatto che si fosse dimenticato pure di lui!

Il centro di tutte le sue più recenti irritazioni, ovviamente, era Santos. Aveva dimenticato il suo zaino nell’albergo in cui avevano alloggiato prima di arrivare alla città maledetta da Emanuel, e ciò era un bel problema. Recuperarlo era fuori discussione per ovvi motivi, più di tipo magico che logistico. Già la distrazione del compagno (di viaggio) per le sue proprietà era irritante,  ma pure il fatto che toccava a Felipe correre ai ripari lo era.

Anche il pensiero di non conoscere la città dove si sarebbe dovuto muovere lo irritava. Attendere la divina apparizione di Alejandro (in senso puramente sarcastico: la sua apparizione non era divina, era un miracolo – ma non aveva degli orari fissi di reperibilità sul posto di lavoro!?) nella reception del motel era irritante! La necessità di dover chiedere informazioni ad Alejandro stesso era irritante. E quando lo stupido colibrì ebbe illustrato al moro la mappa della città, Felipe si irritò ancora di più.

“Un disco pub, un parrucchiere, una gioielleria, un negozio di fiori, uno di musica e NEMMENO UNA FARMACIA?” chiese con tono davvero irritato.

“É tutta una questione di domanda e offerta, se non c’è richiesta non c’è mercato e, quindi, nemmeno il negozio” replicò Alejandro, il cui finto candore contribuiva ad aumentare l’irritazione del moro.

“Mi stai dicendo che la gente che abita qui non ha bisogno di farmaci in casa?” chiese Felipe.

“Mi stai dicendo che non vedi un grosso ospedale disegnato sulla parte destra della mappa?” replicò lo stupido colibrì.

Lo avevo già scritto che Alejandro era irritante?

“L’ospedale non è un negozio” ribattè piccato il moro.

“Ad Esqueleto è anche un negozio. Sai com’è, manca la farmacia…” il sorrisino irriverente della divinità della guerra aggiunse un’ulteriore tacca al termometro dell’irritazione di Felipe che, senza porgere alcun saluto, girò i tacchi e uscì dal motel.

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Felipe non era affatto sicuro di trovare ciò che cercava. Era un prodotto piuttosto specifico dato che trattava una complicanza piuttosto rara tra gli umani. Persino acquistarlo in grandi città, più abitate e trafficate, aveva richiesto la prenotazione. Dopotutto, non si trattava di un farmaco salvavita.

L’incertezza circa l’esito della sua spedizione lo irritava molto. Odiava le incertezze. Non essere padrone della situazione lo irritava enormemente.

I timori di Felipe si rivelarono, non senza sorpresa da parte di quest’ultimo, infondati. L’ospedale non solo era ottimamente fornito di quel prodotto ma, fece presente l’infermiere che lo aveva consegnato a Felipe, sembrava essere stato ordinato mesi prima proprio in previsione di un eventuale acquirente non ancora arrivato a Esqueleto, non essendoci stato alcun abitante con la sintomatologia in questione. Questo poteva sembrare un inspiegabile colpo di fortuna, ma si trattava di Esqueleto. In quella città, pensò irritato Felipe, nulla avviene per caso.

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Felipe non si prese nemmeno la briga di annunciare il suo arrivo, entrando nella stanza di Santos con la stessa naturalezza di chi entra nella propria stanza e si diresse con passo sicuro verso il bagno privato, aprendo con altrettanta sicurezza la porta.

“FE-FELIPE” annaspò Santos, colto di sorpresa, in ammollo nella vasca da bagno – da dove non si era più mosso dopo esserci stato scaraventato dentro da un Felipe molto irritato prima di uscire per la sua commissione.

“Asciugati e mettiti la crema, prima di finire con l’assomigliare ad un’aragosta” esclamò Felipe mettendo diverse confezioni di crema specifica per gli eczemi sul mobiletto accanto allo spazzolino di Santos.

Il ragazzo uscì dalla vasca lanciandosi letteralmente sulle creme, quasi in lacrime.

“Tu mi salvi!” esclamò aprendo la prima confezione. Non perse tempo a coprirsi con l’asciugamano, anzi, l’acqua rimasta sul corpo lo avrebbe aiutato a stendere meglio la crema, molto compatta al tatto. La mancanza di pudore di Santos avrebbe potuto irritare il moro, ma Felipe sapeva quanto fastidiose fossero le irritazioni cutanee del giovane e, magnanimamente, non ci fece caso.

“E tu dopo mi rimborsi. Quelle creme costano un occhio della testa, lo sai”. Avere dei crediti in sospeso lo irritava tanto quanto avere dei debiti.

Ma Santos stava già bellamente spalmando la crema sulle gambe arrossate. Felipe stava per lasciare il bagno quando venne richiamato.

“Ti prego ti prego, me ne metti un po’ sulla schiena? Sai che non ci arrivo!”

Sapevano entrambi che Felipe non avrebbe detto di no e infatti, con un pesante sospiro fatto apposta per sottolineare la sua irritazione, il moro prese la crema e iniziò a spalmarla sulle zone che sapeva essere effettivamente irraggiungibili dalle braccia di Santos. Gliel’aveva detto un sacco di volte di fare esercizi di stretching per sciogliere la muscolatura, ma il biondo rispondeva sempre di sì ma poi ignorava il consiglio, con conseguente irritazione di Felipe, chiamato fin troppo spesso a massaggiare la schiena al compagno (di viaggio).

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Santos era Xipe-Totec, il dio azteco che aveva scelto di levarsi la pelle di dosso per nutrire gli uomini. Tezcatlipoca gli aveva già dato abbondantemente dell’imbecille all’epoca ma Felipe, malgrado i numerosi secoli passati da allora, si irritava ancora al pensiero. Ora che era umano, in un certo senso, Santos stava pagando il conto di quella scelta. Se non avesse avuto le pomate a tenere sotto controllo la sua dermatite, sorprendentemente grave rispetto alla media, gli eczemi che sarebbero comparsi lo avrebbe mangiato vivo. Quei farmaci erano nati in epoca davvero recente. In una vita precedente, Felipe aveva visto Santos piangere come un bambino al progressivo seccarsi della pelle, mentre si lamentava dei continui bruciore e prurito. Il formicolio era talmente penoso che quasi non si muoveva più dalla vasca da bagno, riempita d’acqua con disciolti i più disparati emollienti. Uscito dalla vasca però, ecco che gli eczemi tornavano a tormentarlo con i mille insetti che gli camminavano sottopelle, senza tregua. Solo nelle ultime generazioni, Santos sembrava davvero rinato.

Fino alla perdita del suo zaino.

Mentre Felipe spalmava la crema sulla schiena di Santos, rifletteva su quanto la perdita di quello zaino lo avesse davvero irritato. No, non per l'incombenza che si era ritrovato ad assolvere. Il motivo, ad essere onesti, era un altro.

Semplicemente, se c’era una cosa che più di tutto aveva il potere di irritare Felipe, era veder soffrire Santos e non poter farci niente.

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Capitolo 2
*** Giorno 2: perdita sensoriale ***


PERDITA SENSORIALE

Felipe lo aveva avvertito che Alejandro non si sarebbe fatto trovare facilmente alla reception dell’albergo ma Santos non se ne era fatto cruccio. Probabilmente Felipe, quando il giorno precedente era sceso a chiedere informazioni per l’ospedale, era troppo preoccupato per ragionare (ma piuttosto che ammetterlo si sarebbe amputato qualche arto) sul fatto che si stava parlando, appunto, di Alejandro. Se non si trovava al suo motel, forse lo avrebbero trovato al suo locale poco distante? Ok, era mattina mentre El Laberinto era un locale notturno ma valeva la pena tentare di dare un’occhiata, no? E, fosse andata male, Santos sarebbe andato dritto all’ospedale. La strada non era difficile: sarebbe bastato camminare lungo il lago verso destra e prima o poi pure lui, mezzo accecato com’era, avrebbe visto la grossa croce rossa situata sull’edificio più grande della zona. In realtà, Felipe non aveva dubbi sul fatto che il compagno (di viaggio) avrebbe trovato il grosso ospedale, ne nutriva molti di più sul fatto che avrebbe ritrovato la via del ritorno… Per questo, dato che serviva solo un kit di pronto soccorso, aveva preferito ordinare a Santos di richiederlo direttamente allo stupido colibrì: il motel sarà stato pure al di fuori di qualunque giurisdizione umana ma almeno il minimo indispensabile per la sicurezza dello stabile doveva essere garantito, e la presenza di un kit di pronto soccorso rientrava sicuramente nell’elenco.

La porta del Laberinto era aperta, anche se ovviamente il locale era chiuso al pubblico, e Santos entrò lo stesso.

“Eihlà, c’è nessuno?” chiese a gran voce. Le luci erano accese ma la sala che dava verso il piano bar era deserta. “Alej, ci sei? Devo chiederti un favore!” ancora silenzio. Attese una ventina di secondi: ancora niente. Strano, il locale aperto così, lasciato esposto all’ingresso di eventuali malintenzionati. Alejandro, a quanto pareva, doveva essere ben sicuro di sé. Perplesso, stava per andare verso l’uscita, deciso ad andare in ospedale, quando una voce che non conosceva lo fermò:

“Ma siamo qui! Davanti a te! Davvero non ci hai visto?” domandò con tono sconcertato quello che doveva essere il barista, dietro al banco. A pochi passi dal barista c’era Alejandro, davanti alla cassa aperta, che lo guardava con un sorrisino beffardo.

“Ah, scusate, non vi avevo visto. Lo sfondo della parete vi aveva nascosto bene” esclamò Santos. Certo, i colori variopinti erano i medesimi degli abiti indossati dai due dietro al bancone (e dei capelli di Alejandro) ma giusto una persona con problemi alla vista poteva cascarci. Però Santos non poteva sapere che, appena era entrato, Alejandro aveva fatto cenno al barista di non proferir parola né di muoversi, e Santos era troppo puro per cogliere la stronzaggine dietro allo scherzetto di Alejandro.

“Vedo che ti senti benone oggi. Serve qualcosa, Santos?” chiese subito Alejandro, in modo da non dargli tempo di realizzare che, ehi, se lo avevano sentito chiamarli, perché non avevano risposto?

“Ah? Sì sì, io sto bene, grazie. Mi serve un kit del pronto soccorso. Disinfettante, pinzetta, bende, ecco, un po’ di tutto” .

Alejandro fece cenno al barista, che prontamente si diresse nel retro a prendere quanto implicitamente richiesto.

Non appena il barista fu fuori dalla zona bar, Alejandro riprese.

“Se tu sei qui in piedi, allora il kit del pronto soccorso serve al grande e grosso uomo nero, mh?”.

“Un piccolo incidente, niente di che” si precipitò a dire Santos con fare improvvisamente rigido. Sapeva che a Felipe non piaceva mostrare alcuna debolezza, e certo lui non si sarebbe messo a spifferare in giro affari che riguardavano lui soltanto. Senza contare che sentire Alejandro definirlo “uomo nero” come fosse un mostro mangia bambini di un folklore che non apparteneva loro lo irritava ancor di più. Ok, Tezcatlipoca non era stata la divinità più pacifica del Creato, tutt’altro, ma… ecco, a Santos non piaceva affatto che si parlasse male del suo compagno (di viaggio).

Non ebbero bisogno di aggiungere altro; il barista era rientrato con una piccola cassetta.

“Il kit è completo, c’è tutto quello che hai richiesto” disse il barista mentre allungava la cassetta a Santos, che la prese esprimendo genuina gratitudine.

“Quando hai finito puoi lasciarlo alla reception del motel. Ci penserò io a riportarlo al Lab” concluse Alejandro con un gesto di commiato.

“Va bene. A dopo!” Santos se ne andò di corsa. Felipe lo stava aspettando.

---

Santos annunciò a gran voce il suo arrivo, entrando nella stanza di Felipe con la stessa naturalezza di chi entra nella propria stanza. Il moro era seduto sul letto a controllare i danni sotto al piede sinistro.

“Ce ne hai messo di tempo. Temevo di dover chiamare la polizia per ritrovarti” disse piattamente Felipe.

“Com’è che tutte le volte che esco da solo pensi sempre che finirò col perdermi?” esclamò piccato il giovane mentre armeggiava con la scatola del pronto soccorso.

“Lasciami pensare… forse l’esperienza?” replicò il moro. Il tono piatto aveva lasciato spazio a una sottile nota di sarcasmo.

“Cattivo!” esclamò Santos, armato di disinfettante. Spostò la sedia dalla scrivania al bordo del letto e vi ci sedette sopra.

“Poggia il piede” ordinò dandosi qualche piccola pacca sulle ginocchia per intendere dove il moro avrebbe dovuto appoggiare il suo arto bisognoso di cure.

Non era la prima volta che il problema, come lo chiamava, si presentava quindi Felipe già sapeva che non sarebbe servito a nulla dire al compagno (di viaggio) che non era necessario il suo aiuto e che poteva arrangiarsi da solo. In realtà il moro lo diceva tutte le volte e lo avrebbe detto anche quello stesso giorno se non fosse che sapeva quanto Santos ci tenesse a fare qualcosa, anche di piccola entità, per sdebitarsi dell’enorme favore che il moro gli aveva fatto il giorno precedente. E comunque, Santos era l’unico autorizzato a toccargli il piede.

Perciò mise docilmente il piede ferito sulle ginocchia del biondo, che subito prese ad esaminarlo con cura. Il ragazzo aveva già ben lavato prima di lasciare Felipe in camera per recuperare il famoso kit del pronto soccorso.

Felipe era Tezcatlipoca, e anche lui aveva sacrificato una parte del suo corpo per contribuire alla Creazione del mondo. Nella sua condizione umana, anche lui era costretto a pagare un conto per la sua scelta. Il suo piede sinistro non percepiva nulla. Né il caldo, né il freddo. Né la pressione, né tantomeno il dolore. Nessuno stimolo sensoriale. Non era poi quel gran pagamento, giusto?

E invece.

Non una goccia di sangue aveva scelto di percorrere quel tratto finale del suo arto. Cresceva bello e proporzionato come il resto del suo corpo ma doveva tenerlo riscaldato, e solo l’esperienza poteva rassicurarlo sul fatto che l’arto era curato abbastanza da non andare incontro a conseguenze negative. Non c’era alcuna reale certezza sul futuro, sul fatto che, invecchiando, quel corpo meramente umano non decidesse di mandare in cancrena quel suo bel piede.

Da piccolo, per l’irruenza e l’inesperienza della giovinezza, giocava spesso scalzo e si era talvolta provocato piccole ferite che, non dandogli ovviamente alcun dolore, peggioravano. Il piccolo Felipe si era reso conto, con rabbia, che il piede lo costringeva ad essere sempre consapevole della sua mortalità: doveva regolarmente controllare che non ci fossero ferite che potevano infettarsi fino a renderlo storpio.

O portarlo alla morte.

Quel corpo, che aveva conservato tutta la bellezza per la quale era stato venerato nei tempi antichi, ora gli ricordava che divino, lui, non era più, e non per sua scelta.

Non lo aveva detto mai apertamente a nessuno, nemmeno a Santos. Lui non ammetteva nemmeno a se stesso di avere delle debolezze. Ma Santos, a dispetto delle apparenze, non era stupido.

Santos poteva ignorare tante cose ma non aveva mai ignorato alcun gesto del moro, né quando si chiamava Tezcatlipoca, né ora che chi chiamava Felipe. A Santos piaceva pensare di essere in grado di capirlo senza parlargli. Magari non capiva tutto, ma sperava di capire abbastanza da poter essere considerato un degno compagno (di viaggio). Quella mattina lo aveva visto zoppicare lievemente, ancor prima che Felipe se ne rendesse conto. Scrutando con sospetto gli stivali nuovi del moro, aveva insistito perché li togliesse e si controllasse subito il piede. Aveva sospettato che il continuo camminare con degli stivali nuovi per recuperare la sua crema avesse provocato delle abrasioni e aveva avuto ragione. Come aveva fatto Felipe a non accorgersene quando si era tolto le scarpe la sera prima? Cosa aveva avuto in testa al punto da distrarlo dai controlli di routine? Aveva lavato con cura il piede di Felipe pulendo bene le piaghe, raccomandandogli di asciugarlo con cura e aspettarlo in camera mentre correva a procurarsi il kit di medicazione.

Mentre bendava il piede del moro, dopo averlo ben disinfettato, Santos poteva quasi percepire la rabbia di Felipe dietro alla maschera di apparente noncuranza. Un altro contrattempo legato alla loro natura umana.

Santos aveva già dato la propria pelle per gli uomini. Adesso, con rammarico, gli toccava scendere a patti col fatto che avrebbe voluto dare tutti i suoi arti sani per quello difettoso di Felipe ma non avrebbe potuto farlo perché, tanto, non sarebbe servito a niente.

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Capitolo 3
*** giorno 3: strisciando dall'interno ***


Attenzione: questa storia si allaccia all’ultimo capitolo della raccolta di one shot “Quella maledetta volta che Mordecai ha deciso di andare al Laberinto”. Se non l’avete letto, recuperatelo, è one shot e si legge tranquillamente anche senza aver letto i capitoli precedenti.

Altro avviso: questo capitolo è una prima parte che si concluderà col prossimo capitolo.

 

Strisciando dall’interno

Il silenzio era stato pesante fin da subito ma nessuno sembrava avere l’intenzione di infrangerlo. Lungo la strada di casa, al rientro dal Pavo, Mordecai aveva camminato spedito, evitando, per la prima volta, di adeguare il passo a quello dei suoi accompagnatori. Era stato un atteggiamento a tal punto insolito che Moravich e Jason avevano deciso di limitarsi a seguirlo senza fare domande. Mordecai era stato in grado di percepire quasi fisicamente gli occhi dei fratelli puntati sulla sua schiena e, nell’agitazione che ancora lo dominava, si era domandato per la prima volta se la guardia che premurosamente avevano sempre fatto fosse davvero per la sua incolumità oppure fosse fatta… per tenerlo sotto controllo. Per la prima volta stava diffidando dei propri fratelli: una sensazione sgradevole, resa ancor più sgradevole dal fatto di non saper riconoscerne il motivo.

Rientrati a casa, non volle cenare, e questo non solo per evitare i fratelli. Aveva lo stomaco chiuso. Avvertiva sul palato un lieve retrogusto metallico che manteneva vivo il ricordo della sfida appena conclusa con Emanuel, conclusasi con l’ingestione forzata del suo stesso sangue. Quando aveva detto ai fratelli di non avere fame, Moravich aveva obiettato che, avendo fatto gli straordinari con le pulizie del locale, avrebbe dovuto recuperare le energie mangiando qualcosa, ma il tono poco convinto aveva smascherato la  scusa. Jason aveva provato a toccargli l’avambraccio ma, anche a costo di apparire maleducato, Mordecai si era scansato. La visione dell’ombra di mezzo teschio sul suo volto, stavolta, lo aveva lasciato più inquieto di quanto era stato la prima volta che lo aveva sognato.

Già, quel sogno che ancora non si spiegava, su cui i fratelli stessi non avevano fatto alcun commento, come fosse stato un parto della sua immaginazione che neppure loro avevano compreso…

Il biondo era scappato al piano di sopra, grato ai fratelli di non aver insistito seguendolo. Tuttavia, non sembravano nemmeno intenzionati a tornare alla loro abitazione.

Appoggiato alla porta della sua stanza, Mordecai si prese le mani nei capelli, cercando di dominare il tremore.

La sfida… era stata tutt’altro che una sfida. Era stato orribile. Il fatto che Emanuel avesse anche solo pensato che lui, Mordecai, avrebbe ucciso un essere umano, un amico, era inconcepibile! Ma il peggio era che non stava male per quello. Non stava male per quello. No. Stava male perché per quale diavolo di ragione aveva la sensazione di aver già vissuto quell’esperienza? Perché si sentiva come avesse già scelto una volta di mandare Thomas a morire, preferendolo al fratello? Perché sentiva di avere le mani lorde di sangue, lui che non aveva mai fatto del male a una mosca e, al contrario, aveva preferito (oddio, l’aveva fatto davvero) uccidersi? Quella sera la sua vita avrebbe dovuto concludersi, con la testa piena di domande e un pugnale nero affondato nel cuore. Invece eccolo lì, nella sua stanza, vivo, e diverso.

C’era qualcosa di diverso e continuava a non capire. Quando si era risvegliato al Pavo, aveva visto ombre strane sovrapposte ai suoi amici. Li aveva percepiti in modo diverso. Aveva trovato strano l’aver sentito, cosa mai successa prima, una strana forza in Artemisia, in Jason e in Moravich, ma allora… perché l’aveva avvertita anche in Mattie, Thomas e Franklin? Perché degli umani erano apparsi somiglianti alle divinità? …perché Mattie, Thomas e Franklin erano umani come lui, vero? La sua mente registrava informazioni precedentemente registrate ma che acquisivano ora nuove sfumature. In fondo era stato convinto che pure Valiant e Murdock fossero umani come lui, e invece aveva scoperto, tra l’altro nel corso di una sfida, che decisamente non lo erano.

Era accaduto di nuovo e Mattie, Thomas e Franklin … non lo sapevano? O lo sapevano e non gliel’avevano detto – lo avevano tenuto all’oscuro..!?

E poi… Moravich aveva detto di non avere più alcun potere e invece non era vero quindi… cosa diavolo stava succedendo?

E non era tutto. Quella sera si sentiva strano, diverso. Non si era trasformato in daino. Era libero? Era ritornato in possesso della parte della sua anima sottrat…? La consapevolezza del ricordo del suo primo incontro con Emanuel nella sua forma originale di divinità azteca lo colpì come una secchiata d’acqua fredda. No, non aveva l’anima intera, questo gli aveva detto Emanuel. La prima volta che aveva sentito questo discorso, era stato solo confuso. Adesso, si sentiva genuinamente terrorizzato. Tutti i dubbi, tutte le stranezze che aveva visto nell’ultimo anno ora sembravano avere un senso che però restava lì, sotto la soglia della coscienza. Quei deja vu erano solo scherzi di immaginazione? Tutti questi dubbi strisciavano dall’interno e premevano per uscire per avvertire Mordecai di qualcosa

Ma lui non voleva sapere assolutamente nulla. Qualcosa, tra quel tutto che restava a strisciare sottopelle, lo stava ammonendo dal cercare le risposte, altrimenti qualcosa di catastrofico sarebbe accaduto.

Sì alzò di scatto, bisognoso di bere dell’acqua. Quel sangue in bocca iniziava a nausearlo e l’ansia aveva contribuito a seccargli la bocca. Non volendo scendere in cucina (sentiva ancora la presenza dei fratelli, probabilmente avevano deciso di cenare a casa sua – avevano deciso di non lasciarlo solo e questo stavolta non lo rassicurava affatto) andò diretto al lavandino del bagno (sì, quello con la porta piccina dove aveva rischiato di incastrare le corna diverse volte). Se ne sarebbe pentito. Sopra al lavandino c’era lo specchio.

Il riflesso allo specchio mostrava un volto pallido ma tuttavia normale, e questo aveva dato un po’ di sciocca sicurezza a Mordecai. Ma non appena ebbe finito di bere e aveva raddrizzato la schiena… il riflesso era sempre il suo ma il volto era dipinto, adornato di piume verdi, e restituiva lo sguardo tagliente. L’aspetto che aveva nel sogno spaventoso che era seguito alla sua prima sfida con Emanuel.

Lanciò un grido di sgomenta sorpresa e fuggì subito in corridoio. Jason e Moravich, allarmati dalle grida, erano volati su dalle scale

“Mordecai, cosa succede?” chiese Moravich teso.

“No, nulla!” ma la voce stridula e l’agitazione del biondo dicevano l’esatto contrario.

“Mordecai..”

“Non è niente, niente!”. Se non avevi niente da dire la prima volta che ti ho raccontato del sogno non credo che avrai qualcosa da dire adesso!

E comunque, col cavolo che voglio sapere!

“Mordecai, possiamo parlarne…”

“Per favore, no” più i fratelli si avvicinavano, più Mordecai indietreggiava. Averli più vicini avrebbe aumentato il suo senso di oppressione.

Scese le scale, seguito a ruota dai fratelli che, stavolta, sembravano ben decisi a metterlo sotto torchio.

Beh, Mordecai era deciso a non farsi mettere sotto torchio. Non era ancora psicologicamente pronto a farlo. Quindi, volevano seguirlo? Lo seguissero pure.

Passeggiatina serale. Non lo preoccupava più ciò che avrebbe trovato fuori, o meglio, sì, era preoccupato. Il punto era che, in quel momento, dentro o fuori casa, i rischi gli sembravano i medesimi.

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Capitolo 4
*** Giorno 5: prescription dreams ***


Giorno 5

No, non ho perso il giorno 4 per strada: semplicemente, il prompt del giorno 5 ben si conciliava alla seconda parte del capitolo sul giorno 3.

 

Prescription dreams

“Mordecai, non è il caso di andarsene in giro a quest’ora”

“É solo una passeggiata, Moravich” disse il biondo, sebbene il tono fosse tutt’altro che leggero. “Non vado distante. Non serve che mi accompagnate”. Perché continuate a starmi dietro?

“Ma… dove vai?”

“Dove mi porteranno i piedi”

“Non sei mai andato lungo questa via…”

“Ci sono posti nuovi che ancora non ho visto?”

“Beh, giù di qui c’è solo casa nostra e…” Moravich, realizzando la destinazione, dovette reprimere una reazione di sgomenta incredulità. Mordecai al… cimitero?

Jason cercò di sbarrare la strada a Mordecai con un’espressione di supplica che gridava “Torniamo a casa”.

“Moravich, Jason…” Mordecai chiuse gli occhi per qualche istante, trattenendo un sospiro “Quale parte di voglio stare per conto mio non vi è chiara?” e intanto spingeva gentilmente a lato il fratello per passare oltre.

“Non è un luogo sicuro” disse Moravich lanciando un’occhiata di sbieco in direzione dei lumini accesi in lontananza.

“Allo stato attuale mi sembra che nessun luogo lo sia” commentò asciutto il biondo, proseguendo ancora.

“Quello è decisamente il meno sicuro di Esqueleto”

“ESAGERATO!” la vocetta femminile proveniva inequivocabilmente dall’ingresso del cimitero, non essendoci altro edificio intorno. Certo, i tre non erano ancora giunti all’entrata, ma ci volevano solo pochi metri e, confidando nell’isolamento del luogo (non sembravano esserci calacas nei paraggi a far la spia) non avevano badato al volume della voce.

“Alma, è tardi. Che ci fai ancora in giro?” alzò la voce Moravich ma senza alcun cenno di volersi avvicinare al cimitero più di quanto già non erano.

“Mi prendi per i fondelli, Moravich? Per te, stare sul perimetro del cimitero, è andare in giro?”.

“I bambini dovrebbero già essere a dormire a quest’ora” sospirò Moravich. Non bastava Mordecai a comportarsi in modo allarmante, ci voleva pure la signorina a complicare la situazione.

La bambina” tono sarcastico “in effetti ci stava andando, ma non mi sembrava carino non ricevere un visitatore.”

 “Sapevi che stavo arrivando?” chiese Mordecai, che ormai era pure stanco di meravigliarsi.

“Funziona così con tutti, niente di speciale” rispose con leggerezza “Ma dovete proprio continuare a stare lontani dalla mia vista? Mi sembra di parlare coi miei amici! Cioè, Moravich e… c’è anche Jason? Beh, se loro continuano a restare fuori dalla mia vista mi fanno solo un piacere…” aggiunse con una nota acida “ma mi sorprende ritrovarti qui Mordecai! Di notte! Non ti spaventavano i cimiteri?” proseguì con tono molto più cordiale.

“A dire il vero” rispose il biondo avvicinandosi “avevo proprio pensato di seguire il tuo suggerimento: venire qui se avevo bisogno di starmene per conto mio” e con passo felino attraversò il cancello rimasto aperto (per lui?) senza trovare alcuna resistenza. Solo allora vide una grossa tarantola poco distante dalla bambina e subito si allarmò. E c’era anche… l’ombra di un teschio su Alma?

“Mordecai!” Jason e Moravich provarono a seguirlo ma rimasero bloccati fuori dal cancello.

“Mordecai, sembra che tu abbia visto un morto” commentò Alma perplessa dallo sguardo spaventato del ragazzo.

“Alma, non muoverti troppo veloce ma allontanati da lì” disse allarmato il biondo. “C’è una tarantola vicino a te”.

“Che?” guardò in basso “Naaa, Whisky è docile! Anche se può ferire in altri modi”

“Eh?” guardò esterrefatto la bambina mentre consolava con tono accondiscendente e dolce il ragnetto che sembrava essere sospettosamente triste come un bimbo che è stato appena offeso.

Guardò Mordecai e alzò le mani “No, davvero, è innocuo” si affrettò a rassicurarlo. Beh, stranezza più o stranezza meno.

“Alma, lasciaci entrare” chiese serio Moravich.

“Non siete qui per me ma mi state sulle scatole quindi no, non vi faccio entrare. Ma visto che siete qui per lui…” fece cenno verso Mordecai. Poi si rivolse direttamente al biondo

“Ecco le regole in questo posto. Tutti possono entrare o uscire a piacimento da qui: ovviamente è un luogo pubblico, oltre che speciale, ma questo te lo avranno già detto al Pavo del Corral. Ma se qualcuno pensa di entrare qui per qualsiasi cosa che riguarda me, lo vengo a sapere; allora scelgo se tenerlo fuori o farlo entrare. Tutto questo per gentile concessione del padrone del luogo che, essendo appunto il padrone del luogo, può andare e venire come gli pare.” Si rivolse ai due fratelli “Ho dimenticato nulla?”

“Hai dimenticato di notare che, contrariamente a quanto hai appena illustrato, ci stai lasciando fuori! E magari il padrone del luogo non avrà piacere di vedere Mordecai nel suo territorio a quest’ora della notte. E lui sì che può trattenere le persone all’interno del suo territorio” replicò Moravich con una punta di stizza.

Alma alzò gli occhi al cielo “Basta non venire qui con brutte intenzioni e nemmeno si fa vedere! E poi Mordecai vuole solo starsene per i fatti suoi – ho capito bene?” chiese al biondo.

Mordecai fece un cenno affermativo, intontito da quella discussione tra una bambina (oh, strana pure la bimba, vestita con pigiamone di pile rosa che la faceva assomigliare a un peluche gigante ma che teneva come animaletto domestico una tarantola e stava confinata da anni in un cimitero) e due adulti, discussione che presumibilmente aveva come oggetto Emanuel e da cui il biondo sembrava apparentemente tagliato fuori.

“In conclusione: fai come vuoi Mordecai. I miei amici, che al momento ci stanno guardando dalle tombe come tanti vicini di casa ficcanaso – sì ragazzi, vi sto osservando! -  non ti infastidiranno. Lascio a te la scelta di farli entrare quando vuoi, se vuoi. Posso limitare gli ingressi ma non le uscite: sentiti libero di andare via in ogni momento, se non ti sentissi a tuo agio. E se vuoi star per conto tuo, tolgo anch’io il disturbo. So quanto possa essere una rottura quando qualcuno impone la propria presenza. Siate liberi di far quel che volete, voi che potete” girò i tacchi con un gesto di commiato e si allontanò verso la chiesa, lasciando i tre a sbrigarsela da soli. Whisky il ragnetto la seguì come un docile cagnolino.

“Mordecai, ti lasciamo da solo, se è questo che desideri. Ma torniamo a casa”

“Perché non posso restare qui?”

Moravich non rispose. Se avesse detto qualcosa, qualunque cosa, in risposta, avrebbe potuto prendere in considerazione l’idea di seguirlo. Ma lo stava tenendo ancora all’oscuro. Ancora segreti.

“Non starò via molto. Ci vediamo più tardi”. Cercò di non badare alle voci dei fratelli che lo chiamavano mentre lui dava loro le spalle e si allontanava.

Piuttosto.

Col cavolo che voleva stare da solo in un cimitero!

Si sbrigò a raggiungere Alma. Ok, faceva inquietudine pure lei ma.. le faceva pure un po’ pena. Ok, ultimamente aveva il sospetto che le sue sensazioni facessero cilecca e questo lo destabilizzava un po’ ma non riusciva a credere che Alma avrebbe potuto nuocergli in qualche modo.

“Già qui?” chiese la ragazzina appena Mordecai la raggiunse. Non volle entrare in chiesa ma deviò verso una panchina e lì si sedette.

“Meglio che non mi porti uomini in casa o il padrone” fece un segno con le dita come se stesse mettendo le virgolette alla parola “si potrebbe irritare” .

Mordecai arrossì violentemente “Ma io non..!”

“Ma stai tranquillo! Sei quasi più pesante di quelli che hai lasciato fuori!”

“Sembri conoscerli bene”

“Bene… non tanto. Ma diciamo che se non li avessi conosciuti ora starei meglio. Forse.”

“Perché dici così?” non era semplice curiosità: si domandava cosa avessero fatto i suoi fratelli di così brutto da scatenare l’antipatia di una ragazzina all’apparenza così dolce.

“È una storia lunga e non mi va di rovinarmi la serata con ricordi spiacevoli. Se ti va, puoi sempre chiederlo a loro.” Fece una smorfia, come a intendere che non ci scommetteva un centesimo sulla loro sincerità di una loro eventuale risposta.

Ancora una volta, Mordecai ebbe l’impressione di intravedere un’altra figura evanescente sovrapposta ad Alma. Uno scheletro il cui aspetto era piuttosto familiare.

“Posso chiederti una cosa?”

Alma fece un cenno affermativo.

“Anche tu sei una divinità?” chiese titubante. Non era esattamente una domanda che faceva con leggerezza.

Alma lo guardò senza comprendere.

“Da quanto tempo sei qui, Mordecai?”

“Quasi un anno”

“Sei qui da un anno e te ne esci ancora con queste domande?” chiese incredula.

“Scusa tanto se sono venuta a conoscenza della tua esistenza da meno di una settimana!”

“Il punto non è conoscere me da una settimana ma essere ad Esqueleto da un anno e non conoscere i fondamentali. Comunque sì, sono pure io una divinità, e congratulazioni per lo spirito d’osservazione eh!”

“Siete davvero tante” sospirò.

Noi siamo… beh..Sì..? La cosa ti turba Mordecai?”

“No, non è quello. È che… vedo cose che non dovrei vedere, sento cose che non dovrei sentire… cose che mi sembrano familiari ma non dovrebbero esserlo… e non capisco”

“Ciò che non capisci oggi non è detto che non le capirai domani, basta metterci impegno”

Mordecai la guardò scettico.

“O almeno questo dice il maestro di scuola e, prima che tu me lo chieda, viene lui qui a darmi lezioni a domicilio. Homeschooling l’aveva chiamato”.

“Non credo di volerle davvero conoscere, queste cose”

“Perché?”

“Non so. Paura, credo”

“Ma così è peggio, no?”

Mordecai non rispose.

“Quando mi hanno portata qui, c’erano tante cose che non capivo e anch’io avevo paura. Piangevo sempre, volevo la mamma e il papà. Ma Esqueleto è così: ti sussurra delle cose e finché non le capisci ti spaventano. Poi però ci arrivi a capirle (ci arrivano tutti) e ti rendi conto che la paura era per l’attesa, non per quello che verrai davvero a sapere”.

 “E non potrei, semplicemente, ignorarle?”

“Se sei qui a Esqueleto no, non puoi non ascoltare. Anche se ti strappassi occhi e orecchie, continueresti a vedere e sentire cose. Però dopo va meglio. Credo”.

“Tu… hai una mamma e un papà? Dove sono ora?”

“Fuori” rispose laconica.

“Mi dispiace”

“Sapessi a me… Piuttosto, non capisco perché hai detto tutte queste cose a me, che non mi conosci – e da queste parti è sempre meglio conoscere bene il proprio interlocutore, vero Whisky? -  mentre stai evitando Jason e Moravich. Dovreste essere più che amici, o sbaglio?”.

Mordecai guardò il ragno reagire al richiamo di Alma “Dimmi che avete tolto le ghiandole velenose a quel ragno”.

“Potrei anche dirtelo, ma sarebbe una bugia. Avanti, sputa il rospo”.

“Beh, tu mi sembri così carina, un po’ come Artemisia, e sento che non faccio male a dirti queste cose.”

“Oh, la bibliotecaria! Sì è carinissima, mi porta sempre tanti libri per passare il tempo, sai com’è, qui è un po’ un mortorio!” sorrise alla sua stessa battuta.

“Quanto ai miei fratelli sento che mi tengono nascosto qualcosa. Questo mi inquieta”.

“Ma se ti vogliono bene, forse non ti dicono tutto per non farti agitare, ti agiti già abbastanza da solo!”

Mordecai rimase in silenzio a riflettere su quanto detto.

“Ma, come hai detto tu prima, non sapere le cose mi mette ansia lo stesso”.

“Loro sanno meglio di te cos’è Esqueleto. Avranno voluto aspettare che cogliessi i segni che la città ti sta mandando, come è successo a tutti. Ma nessuno può sapere meglio di te se è giunto il momento di capire, e a certe cose, credimi, è molto meglio arrivarci da solo. Se venissero solamente raccontate, potresti non crederci. Basta affidarsi ai sogni, ti si sveleranno quando sarai pronto ad accoglierli”.

I sogni… tipo quello fatto mesi addietro, quello dove c’era uno scheletro molto somigliante all’ombra che va e viene dall’aspetto di Alma? …meglio non affrontare il discorso, sarebbe piuttosto complicato e, soprattutto, Mordecai aveva la sensazione che, se glielo avesse detto, la ragazzina gli sarebbe scoppiata a ridere in faccia.

“Quindi… dovrei sognare”

“Col cuore aperto alla voglia di conoscenza. Che poetessa che sono” si autocompiacque la ragazzina. “E dacci dentro con camomilla, passiflora o melissa, che ansioso come sei scommetto che fatichi a prendere sonno. Chiedi qualche infuso a Ebenezer, sono sicura che la conosci”.

“No, ora non sono più ansioso”. Era vero. Non aveva affrontato direttamente il discorso, forse non lo avrebbe affrontato comunque coi fratelli, ma chiacchierare alla leggera, senza interruzioni provenienti dall’esterno, e allo stesso tempo ricevere rassicurazioni sul fatto che era normale ciò che stava succedendo, che la colpa è della città, che quando le cose saranno chiare allora saranno meno spaventose, lo aveva fatto stare un po’ meglio. Esqueleto e i suoi abitanti saranno pure inquietanti ma almeno le ragazze sono  rassicuranti. Anche quando talvolta assumono sembianze spaventose. E anche quando iniziano a lanciare sbadigli senza ritegno.

“Ti ringrazio Alma. Si sta facendo davvero tardi. Credo che tornerò dai miei fratelli”

“Scommetto che li troverai ancora attaccati al cancello”

“E tu dovresti davvero andare a dormire”

“Puoi giurarci che lo farò”

Si alzarono dalla panchina.

“Fai attenzione alla tarantola”

“Tranquillo, dorme fuori. È un ragno da guardia”

Mordecai rise per la battuta.

“Non era una battuta. Lui fa davvero la guardia”.

“Buonanotte Alma”  sorvolò il biondo, seppur sentendo scivolare un sudorino freddo dietro al collo.

“Buonanotte˜˜” cantilenò leggera la ragazzina sparendo nella chiesa. Chissà se dormiva in una bara come i vampiri. Il parallelismo gli fece tornare in mente il fatto che, quella sera, era stato lui, semmai, a bere sangue, non Alma. Rabbrividì. Meglio non farsi domande.

 

**

Mordecai notò i fratelli lasciar andare un sospiro di sollievo nel vederlo tornare e, soprattutto, nel vederlo uscire dal cancello del cimitero, che si chiuse da solo alle sue spalle.

“Davvero, non c’era bisogno che rimaneste al freddo solo per aspettarmi” non era irritato ma era sinceramente dispiaciuto di averli lasciati all’aperto. Dopotutto, era ottobre.

Jason appoggiò una mano sulla spalla del biondo, come per dirgli che non sarebbero mai potuti andare a dormire sapendolo fuori casa e turbato.

“Torniamo a casa. Mi è venuta voglia di bere qualcosa di caldo”  propose il biondo. Chissà se tenevano della camomilla in casa.

“Sì, torniamo a casa. Dovrebbero esserci diversi tipi di tisana nella dispensa” disse Moravich.

Bingo.

 

 

**

La routine giornaliera di Alma era scandita da piccoli doveri che le garantivano la salvezza dalla precipitazione in uno stato di angoscia perenne legata allo stare confinata della stessa zona per tutti i giorni della sua vita a Esqueleto, iniziata ben cinque anni prima, quando aveva a malapena concluso la prima elementare. La mattina si alzava presto per dare il becchime alle quaglie (sì, aveva un piccolo pollaio nella parte più interna del cimitero, ai suoi amici non dispiaceva) prima di prepararsi la colazione e iniziare a studiare, da privatista ovviamente, le materie dal programma di prima media. Il pomeriggio, dopo la scuola, sarebbe venuto il maestro della scuola della città a darle un po’ di ripetizioni e non voleva mai trovarsi impreparata. Poi c’era la chitarra, il giardinaggio (coltivava personalmente i cempasùchil che adornavano il cimitero durante il Dia de muertos e ne forniva al Pavo come suo contributo personale alla festa a cui non avrebbe partecipato) e, ovviamente, le chiacchiere con gli amici che occupavano le tombe. L’unica seccatura, a parte l’isolamento ovviamente, era la visita giornaliera del padrone del luogo.

“Il mio servitore mi ha informato che hai avuto delle visite ieri sera” le comunicò laconico Dorian.

“È il lavoro di Whisky dopotutto” commentò piattamente.

Dorian si accigliò “Non potevi dargli un nome più dignitoso?”

“A lui sembra piacere” rispose facendo spallucce.

“Non lasciarti coinvolgere Alma. Ciò che deve accadere, accadrà”.

“Certamente, ciò che deve accadere, accadrà, ma intanto hai messo i tuoi servitori a sorvegliare Mordecai”

“Sono i suoi fratelli. Avranno cura di lui”

“Oh sì, Mordecai non dubita dell’amore che i suoi fratelli provano per lui. Sfortunatamente, a chi va la loro lealtà?”

“E la tua lealtà? Dove si schiererà stavolta?” domandò Dorian affilando lo sguardo.

Era soltanto una ragazzina ed era ancor più piccola quando incontrò per la prima volta quell’uomo altissimo dall’aspetto cupo, responsabile della sua prigionia ad Esqueleto, tuttavia lo guardò dritto negli occhi “La mia lealtà verso di te non è mai vacillata e mi dispiace che tu lo abbia messo in dubbio. Ma sono Alma Elefthería ora, e non ho alcuna intenzione di rinunciare a questa esistenza. Non di nuovo”.

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Capitolo 5
*** Day 9: Soffocamento ***


Giorno 9

Vabbè, si è capito che, con i giorni, vado a sentimento. I prompt vengono sempre scelti dalla rosa dei 31 giorni di ottobre ma poi è l’ispirazione che decide che giorno è “oggi”. In questo capitolo ci saranno riferimenti all’ultimo capitolo dell’altra raccolta di fanfiction scritta sulla Calaca de azucar che avevo pubblicato ad aprile.

Voglio essere chiara, sto facendo voli pindarici imbarazzantissimi che nulla hanno a che fare ormai con la trama originale dell’opera, che sarà mille volte più fantastica, me lo sento. Sempre detto, e qui lo riscrivo: mi farò grasse, grassissime risate, non appena avrò i prossimi volumi tra le mani, e probabilmente grassissime risate se le faranno pure gli autori, ma abbiate pietà dei miei passatempi fangirlosi.

 

Soffocamento

Il senso di empatia di Itztlacoliuhqui Ixquimilli era gravemente sottosviluppato ma al dio del gelo, del giudizio e delle catastrofi andava benissimo così. Nessuna complicazione nell’adempiere ai suoi doveri, nessuna preoccupazione quando doveva dare un giudizio equo ma doloroso – per gli altri. Aveva un blocchetto di ghiaccio al posto del cuore insomma. Per questo motivo era stata designata come la persona perfetta per tenere Quetzalcóatl lontano dagli affari degli umani per qualche tempo. Francamente, all’inizio la richiesta lo aveva disturbato parecchio ed era stato sul punto di declinare l’incarico.

Quetzalcoatl era già stato attirato in un tranello analogo anni prima della fine del Quarto Sole. Un lavoretto pulito di pochi giorni al massimo, a cui si erano prestati all’epoca i fratelli di Quetzalcóatl, giusto il tempo necessario a far fare il lavoro sporco a Tezcatlipoca e a Xocipilli, ossia far sparire per sempre nel Mictlan l’amichetta umana del Serpente Piumato. Quetzalcóatl era devastato alla scoperta della morte di Malintzin e ci aveva messo parecchio tempo a riprendersi dal lutto, ma a Itztlacoliuhqui Ixquimilli non era importato granché; tuttavia, da divinità razionale qual era, aveva considerato l’episodio come una carognata gratuita, senza alcuna utilità, e l’aveva condannato.

Stavolta, in effetti, una motivazione c’era, ossia dare la possibilità alle altre divinità di distruggere il mondo del Quinto Sole – e non sarebbe stata questione di pochi giorni – senza che Quetzalcóatl si intromettesse. Sarebbe stata l’ennesima carognata ai suoi danni, era vero, ma le motivazioni delle altre divinità non erano così campate in aria: si dava per ricevere, era così tra gli umani, così era anche tra gli dei – fatta eccezione per Quetzalcóatl, naturalmente. Il tempo dell’adorazione tramite sacrifici stava per giungere al termine, presto soppiantato dalle favole ipocrite degli invasori. Le divinità azteche sarebbero state dimenticate presto e, allora, perché continuare a elargire doni a quegli stessi umani? Qualunque epoca al termine dei 52 anni del calendario azteco poteva essere quello buono per porre fine al Quinto Sole e il momento era ormai arrivato.

Xolotl e Xocotl, turbati dalla sofferenza arrecata al fratello la prima volta, non avevano osato contribuire attivamente ad ingannarlo nuovamente, quindi ecco entrare in scena Itztlacoliuhqui Ixquimilli. Lui non sarebbe stato influenzato dal carattere del Serpente Piumato. Ne era sicuro lui, ne erano sicuri tutti gli altri.

Però… la sorte aveva un innegabile senso dell’umorismo, quell'infame.

A quanto pareva, un cuore lo possedeva anche Itztlacoliuhqui Ixquimilli. Un cuore particolare il suo, indipendente dalla razionalità come quello di tutte le creature mortali e immortali, ma programmato per funzionare assai raramente e destinato ad appartenere solo ed esclusivamente a una persona. Già questo era incredibile, se si considerava il tipo di divinità in questione, ma rasentava la follia se si pensava che, quella persona sarebbe stata Quetzalcóatl stesso.

La divinità del gelo non aveva fatto nulla, non aveva messo in atto strategie particolari, era semplicemente stato presente. Parlava con il Serpente Piumato più spesso del solito (quasi come se l’episodio avvenuto tanto tempo prima, davanti all’umana impiccata, avesse costruito un flebile legame che andava soltanto alimentato perché si rafforzasse) e lo ascoltava, rendendosi conto che, malgrado l’ingenuità, la bionda divinità era davvero intelligente e sapeva parlare di cose interessanti che davano il via a vivaci ma rispettosi dibattiti. Non erano quasi mai d’accordo su nulla ma Quetzalcóatl, benché accorato nella difesa delle sue tesi, non era mai prevaricante nei confronti col suo interlocutore, né consentiva di farsi prevaricare a sua volta, e la divinità del giudizio non poteva che apprezzare questa sua qualità. Ben presto, Itztlacoliuhqui Ixquimilli si era dimenticato del suo “lavoro”.

Non ci volle in verità molto prima che il tempo, immutabile per le divinità, assumesse un carattere diverso, vibrante, se passato accanto a Quetzalcóatl. Il tempo, immutabile per le divinità, assumeva un carattere penoso, dilatato, se Quetzalcóatl mancava. Se Itztlacoliuhqui Ixquimilli cercava incessantemente il Serpente Piumato non era perché troppo ligio al dovere, come credevano tutti. Era cotto a puntino, e nemmeno se ne rendeva conto. E veder ricambiato tale sentimento dal Serpente Piumato gli era sembrato un miracolo, un dono. Non ci volle molto tempo perché le due divinità non ebbero più bisogno di parlare per essere vicini. L’eternità, con Quetzalcóatl, non poteva che essere luminosa, anche per una divinità di tenebra come lui.

Poi, un giorno nefasto, tutta la felicità di Itztlacoliuhqui Ixquimilli andò inesorabilmente in frantumi.

 

 

Era bastata una frazione di secondo per capire che qualcosa turbava Quetzalcóatl. I muscoli del viso erano tesi, gli occhi erano spenti, vuoti. La bionda divinità sembrava sul punto di rompersi da un momento all’altro e Itztlacoliuhqui Ixquimilli, avvicinandosi a lui, ebbe quasi timore a chiamarlo, a chiedere. Quetzalcóatl non lo guardava nemmeno in faccia.

“Eri con Itzlapapalotl. Con Huitzilopochtli. I miei fratelli, Xipe-Totec e Tezcatlipoca. Con Xocipilli. Ho sentito tutto. Ho sentito. Tutto”. Quetzalcóatl prese una piccola pausa prima di porre la domanda che gli stava più a cuore.

“Itztlacoliuhqui… perché?” il Serpente Piumato non aveva mai negato a se stesso di mostrare i propri sentimenti, e nemmeno ora negò all’altro la vista delle sue lacrime.

Probabilmente, un pugnale di ossidiana nel cuore avrebbe provocato molto meno dolore rispetto a quanto ne stava provando in quel momento Itztlacoliuhqui Ixquimilli.

“So che ti è caro il popolo che abita il Quinto Sole ma lo stiamo perdendo” argomentò improvvisando. “Eri preoccupato per i Mexica, ricordi? Chi li farà soccombere non avrà nessuna pietà. Perché dovremmo averne noi?”

“Non è questa la risposta che voglio da TE. Itztlacoliuhqui, tu lo sapevi e non mi hai detto niente. Ti sei avvicinato a me per…” la voce gli morì in gola.

Itztlacoliuhqui Ixquimilli non gli lasciò il tempo di insinuare il tradimento parlando con un’urgenza mai provata prima “Appoggio la scelta dei nostri fratelli di annientare il Quinto Sole. Gli esseri umani sono creature indegne. Abbiamo fatto dei tentativi di migliorare la specie, ne faremo altri. Sì, mi è stato chiesto di avvicinarmi a te, e sì, l’ho fatto. Ma ti ordino di non dubitare mai di quello che c’è stato tra noi: quello è tutto reale”.

“Mi… ordini..?” Quetzalcóatl rise. Una risata bassa, tra le lacrime, senza alcuna gioia. “Quello non l’ho mai dubitato, puoi stare tranquillo. Tuttavia non dubito nemmeno del tuo tradimento” lo guardò negli occhi. “Mi hai taciuto i piani dei nostri fratelli. Mi hai taciuto la verità sulla morte di Malintzin. E ora, vuoi distruggere la stirpe a cui lei era appartenuta e che io continuo ad avere cara, nonostante tutta la sua imperfezione! La lotta tra Mexica e Spagnoli è una lotta fratricida, ma gli esseri umani hanno la stessa origine, la stessa di Malintzin. Ma a voi non interessa questo. Non vi è mai interessato, purché non vi manchi la vostra preziosa libagione all’altare del sacrificio!”

“Perché continui a parlare di lei?”

“È forse gelosia quella che percepisco? Non te ne devi crucciare. Il tempo passato con Malintzin è stato come quello passato in un sogno, ma dai sogni, ad un certo punto, ci si risveglia” Fissò uno sguardo glaciale su Itztlacoliuhqui. “Sai perché ho rubato le ossa nel Mictlan? Perché mi sentivo dannatamente in colpa per lei. Amare me l’aveva solo messa in difficoltà. Per me tutto era immobile ma per lei no. La vita scorreva e lei non poteva cogliere le opportunità perché restava con me, che apparivo ai suoi occhi come uno sconosciuto ragazzo di qualche sconosciuta città. Era ai ferri corti con la sua famiglia, lei non accettava alcun pretendente, ma allo stesso tempo non poteva unirsi a me e lei nemmeno sapeva la ragione, ma era così innamorata, per colpa mia. Ormai mi ero rassegnato a lasciarla e ad augurarle una vita migliore. Il mio appoggio agli umani, mi ero ripromesso, non sarebbe mai venuto meno, qualunque cosa fosse accaduta. Poi lei venne sacrificata, ed è risaputo che i sacrifici servono a mandare a morte gli indesiderati, no? Quando mai si mandano donne così giovani appartenenti e alla stessa comunità in sacrificio, se non è il capofamiglia stesso a offrirla ai sacerdoti? Se fossi stato presente, lo avrei impedito. Le avevo rovinato la vita e non ero neppure riuscito ad impedire la sua morte. Quando venne l’ora di ripopolare il mondo all’inizio del Quinto Sole, decisi che avrei fatto tornare indietro tutti. Malintzin avrebbe avuto la sua seconda possibilità e questa volta l’avrei lasciata in pace. Ma lei non c’era… lei non c’era. Avevo dato la colpa alle ossa rotte, forse avevano cambiato Malintzin così tanto da non renderla più riconoscibile, o forse sarebbe rinata in qualche generazione successiva. Ora invece so che Malintzin, dal Mitclan, non era mai uscita, perché i sacrifici erano in onore di Mictlantecuhtli, che non rinuncia mai a ciò che è suo!”

Qualcosa, nella mente di Itztlacoliuhqui Ixquimilli, lo mise in allarme “Ma… questo come fai a saperlo?” chiese cautamente “Xocipilli aveva detto che era stata mandata nel Mictlan, non che vi era costretta a rimanerci dal suo Signore”.

Quetzalcoàtl sorrise di sbieco “Questo lo so perché me lo ha detto lei. O adesso dovrei chiamarla Mictlacihuatl? Avevo chiesto un piccolo favore al Signore del Mictlan, ma mi era stato rifiutato. Fortunatamente, la sua Signora si era dimostrata più incline ad ascoltarmi e, alla modica cifra di una parte della mia futura anima mortale, mi ha donato quanto avevo richiesto." prese una breve pausa prima di aggiungere, amareggiato "Non mi ha riconosciuto. Non sapeva nemmeno chi era lei” .

A Itztlacoliuhqui Ixquimilli si gelò il sangue nelle vene.

“Futura…” balbettò.

“Futura anima mortale. Proprio così. Hai detto di amarmi. Ora devi dimostrarmelo” prese a indietreggiare, allontanandosi cautamente dall’altro.  “Ti propongo una sfida, Itztlacoliuhqui Ixquimilli. Sarai disposto a lasciar distruggere il Quinto Sole, quando avevo giurato a me stesso di prendermene cura, sapendo che ci vivrò anch’io d’ora in avanti? Fallo perire, e io non tornerò più, poiché sarò solo un’anima meramente umana…”

“E a quel punto sarai di proprietà del Signore del Mictlan per l’eternità! Quetzalcóatl se è uno scherzo è di pessimo gusto!”

“Francamente non avrei voluto arrivare a tanto. Davvero, avrei potuto voltare le spalle al Quinto Sole, pensare solo a… noi? C’è davvero un noi?” chiese incerto.

“Sì, c’è un noi. Non dubitarne mai” rispose con foga.

“Eppure, nonostante l’esistenza di un noi, che vorrei così tanto vivere assieme a te, c’è una parte di me che non vuole… e non può… lasciarti fare tutto questo”.

“Quetzalcóatl!”.

“Ero rimasto solo dirti questo: ti affido me stesso e ti affido il Quinto Sole! La nostra esistenza, d’ora in avanti, dipenderà da te!”

“QUETZALCÓATL!” il grido di Itztlacoliuhqui Ixquimilli si levò così forte che, chiunque lo avesse udito, se ne sarebbe pentito amaramente.

 ***

 

Quante volte Emanuel aveva rivisto la morte di Quetzalcòatl, nei suoi incubi? Quante volte si era risvegliato terrorizzato, con un grido strozzato in gola e la mano tesa ad afferrare il vuoto? Quante volte gli era mancata l’aria nei polmoni, strozzati dalla paura e dal rimpianto? Quante volte aveva provato a cambiare il finale di quegli incubi?

Purtroppo l’inconscio di Emanuel non aveva mai avuto pietà di lui e quell’incubo tornava spesso a perseguitarlo per ricordargli il suo compito: cambiare quel finale almeno nella realtà, alternando numerose identità e numerose vite vissute in cinquecento anni.

Emanuel aveva combinato un bel casino e il prezzo che la sua condizione umana gli imponeva di pagare era la sensazione costante di soffocamento, al risveglio, come preso tra due fuochi: quello del passato, a memento di ciò che aveva avuto e che, per sua colpa, non aveva più; e quello del futuro, perché, ora che era umano, il tempo scorreva veloce e implacabile e presto, prestissimo, anche l’ultima speranza di riavere ciò che aveva perduto gli sarebbe scivolata via come foglie al vento.

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Capitolo 6
*** Day 26: Mal di denti ***


Sì, dai, io ve lo avevo detto che non sarei stata proprio puntuale con la pubblicazione, eh. Confesso che non mi è venuta proprio benissimo questa storiella, avevo un’immagine precisa nella mente ma, boh, poteva uscire meglio. Chiedo venia.

 

Mal di denti

Prologo

Avreste mai detto che un gioco da tavolo, da fare in famiglia, sarebbe stato il preludio di un’aggressione? E non mi sto riferendo alle carte Uno, la prova per eccellenza della solidità di un’amicizia tra i giovani umani che vivevano pacificamente l’ultimo trentennio del Quinto Sole.

No, il gioco in questione era ben più innocuo, indicato, recitava la scatola, per i bambini dai quattro anni in su. Il Cocco Dentista, nella versione degli Anni ’90. Chissà, probabilmente la nuova edizione era stata modificata per quanto accaduto in tempi recenti… no, improbabile che sia questo il motivo. Nessuno, là fuori, era a conoscenza della città maledetta di Esqueleto, sede del drammatico evento.

Ebbene lasciate che vi spieghi quanto accadde alla famiglia Molotov alcuni anni fa, quando i rampolli di Valiant avevano un’età compresa tra i tre e i sei anni. Caso volle che il giovane padre avesse portato con sé alcuni giochi della sua infanzia tra cui, appunto, una delle prime edizioni di Cocco Dentista. Vi starete chiedendo cosa sia questo gioco. Nulla di eclatante, in realtà. Il gioco consiste in un piccolo coccodrillo di plastica dalla forma simpatica e con la bocca tenuta spalancata da una molla interna. I giocatori devono controllare i denti del coccodrillo: quando premono su un dente, il coccodrillo morde se si tratta di quello dolorante, eliminando così il giocatore dal gioco. Ecco, ciò che vi ho descritto è la versione recente del gioco. Nella prima versione, i denti andavano tolti con una pinza giocattolo e scopo del gioco era togliere i denti sani ed evitare quello “dolorante”, pena la chiusura istantanea della bocca e il coccodrillo che ti correva dietro. Sì, la prima versione era dotato anche di rotelline che spingeva in avanti il coccodrillo. Adrenalitico.

***

Breve storia triste (e dolorosa)

“Il coccodrillo ha male al dentino, curiamolo!” aveva esclamato Valiant ai suoi figli, e tutti insieme avevano passato qualche ora di divertimento quel pomeriggio con il Cocco Dentista. La pace non sarebbe durata a lungo.

***

 “Papà aveva male al dentino, l’ho curato”. Fu questa la giustificazione che diede la piccola Delia quando Valiant si risvegliò nel cuore della notte con un dolore atroce, la bocca piena di sangue e la certezza che sua figlia non era proprio del tutto normale.

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Capitolo 7
*** Giorno 4 e 18: Carne e macchina + lasciarti in sospeso ***


Giorno 4 e 18 ottobre

Scritta tra le 23.00 le 2.00  di notte, visto che a Capodanno non avevo nulla da fare MA spero di aver riletto abbastanza bene da aver evitato strafalcioni penosi o sintassi mandate a passeggiatrici notturne. Volutamente criptico perché sì. I fatti narrati sono liberamente ispirati a La Calaca de Azucar ma sono frutto della mia fantasia fumata dall’alcool dello spumante – quindi le illazioni su Thomas e fratellino sono solo mie, in attesa di scoprire di più su di loro nei futuri volumi. La colpa di questa storia è del bellissimo disegno che Kokoro e Lelecat (gli autori) hanno postato oggi sui loro social facebook e instagram. Roba che mi scioglie el corazon ma poi mi spinge a scrivere boiate.

Il titolo del capitolo è legato ai due prompt del goretober che, come vedete, sto compilando con moooooolta calma. Magari sarà completato nell’ottobre del 2021, chissà.

 

Carne e macchina + lasciarti in sospeso

A Thomas la vita ad Esqueleto piaceva, nonostante tutto. Si trovava in una gabbia? Sì: come tutti, non poteva uscire dalla città. Era costantemente sorvegliato dalle calacas di zucchero stregate di Emanuel? Sì, come tutti gli abitanti del resto. Era costretto a un codice di condotta non scritto che rasentava l’omertà? Sì, ma seguirlo non gli era mai particolarmente pesato. Era maledetto? Sì, come del resto tutti quelli (e solo quelli) che erano incappati in Emanuel e non in Alejandro la prima volta che avevano messo piede a Esqueleto. E, fatalità, si trattava di coloro che dovevano essere, in un certo senso, persuasi ad accettare il sopra citato codice di condotta.

In fondo, a Thomas bastava ciò che aveva. Era più di quello che aveva avuto prima di arrivare a Esqueleto, quando era solo un signor nessuno che si lasciava pestare da un omuncolo che credeva di amare e che – ora lo sapeva – non valeva quanto una sua unghia. Thomas aveva un lavoro che amava, una famiglia che amava, e comunque molta più libertà rispetto a quella che aveva avuto molto tempo prima, quando era morto. Beh, non proprio morto. Gli dei aztechi non muoiono come gli umani, semplicemente cambiano.

Ora viveva con Mattew e con Franklin e non gli importava di vivere una vita sospesa in una bolla, in attesa di ciò che sarebbe dovuto accadere. Perché qualcosa sarebbe accaduto, lo sapeva. Come avrebbe potuto ignorarlo, proprio lui che era stato il Sole personificato? Uno splendido ingranaggio di una macchina perfetta, il mondo del Quinto Sole creato dagli dei. Una macchina, nutrita a carne e sangue, ma con obsolescenza programmata. Thomas, in verità, temeva il grande cambiamento che si sarebbe verificato a seguito di questa obsolescenza programmata, ma sapeva anche che Franklin e Mattew sarebbero stati con lui anche dopo, e che nessuno sarebbe morto di nuovo, per questo motivo non era rimasto per nulla turbato quando Mordecai era arrivato a Esqueleto. Il suo arrivo aveva dato il via a un conto alla rovescia di cui il ragazzo era completamente all’oscuro. Solo le prove di Emanuel scandivano quel conteggio, e Mordecai non lo sospettava nemmeno.

Tic..tac…tic…tac… era ironico che il medaglione di Emanuel fosse stato trasfigurato proprio in un orologio, chissà se Balthazar lo aveva scelto apposta? Conoscendolo, ne sarebbe stato proprio capace.

Il codice di condotta gli vietava di mettere Mordecai al corrente della situazione, e una parte di Thomas avrebbe voluto farlo. Probabilmente, Mordecai avrebbe voluto essere avvertito… probabilmente, Mordecai avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per evitare ciò che sarebbe dovuto accadere. Ma… perché agitare il biondo prima del tempo? Era meglio lasciarlo nella beata ignoranza.

Era stato Quetzalcoatl a ucciderlo e Nanauatzin lo conosceva abbastanza da sapere che il fardello di quell’azione era pesato enormemente sul suo spirito. Perché fargli venire in mente brutti ricordi prima del tempo? Non gli aveva serbato alcun rancore, anzi, era stato Nanauatzin stesso a offrirsi di buon grado al posto di suo fratello, destinato al sacrificio. Che poi Tecciztecatl fosse finito nella sua stessa pira dopo di lui era stato ininfluente…  Comunque, Tecciztecatl non l’aveva presa bene. Il suo attuale atteggiamento nei confronti di Mordecai faceva pensare che non l’avesse ancora del tutto superata. Però… beh, si doveva pur creare, sto benedetto sole.

Ad essere onesto, Thomas era stato felice di rivedere Mordecai, e soprattutto di saperlo in salute, sereno, un bravo ragazzo. Sapeva che era orfano ma sembrava che la vita non fosse stata troppo severa con lui.

Era da tanto tempo che Thomas non passava un Capodanno così felice. Non voleva sembrare ingiusto, o ingrato, ma quello che aveva appena trascorso era stato forse il migliore degli ultimi anni, ad Esqueleto. C’era stata la festa organizzata al Pavo de Corral come tutti gli anni, c’erano stati i soliti battibecchi tra Franklin e Mattie, c’era la solita gente. Ci si divertiva come ogni anno, ma questo era diverso, anche se sembrava essere tutto come al solito. Sembrava. Il giovane padrone del locale guardava Mordecai che teneva un bastoncino di stelline scintillanti in una mano e la flûte di spumante nell’altra mentre brindava all’anno nuovo con i suoi fratelli e con Misia più sexy che mai nel suo abitino nero (Lesath era un uomo fortunato). Persino Emanuel, seppur scostante come sempre, sembrava più… sereno? Comunque, la sua presenza sembrava essere meno opprimente del solito. Thomas avrebbe potuto andare lo stesso in paranoia visto che Emanuel, di solito, disertava le feste del Pavo, ma quella sua espressione di serenità così insolita lo aveva rasserenato: forse non ci sarebbero state sfide, per Mordecai, quella notte.

A Thomas piaceva vedere Mordecai sorridere. Gli erano mancati molto, i suoi sorrisi, e Thomas sperava che non sarebbero andati perduti di nuovo. Thomas si stava godendo da spettatore quei sorrisi: era la serenità di Mordecai ad aver reso speciale quel Capodanno.

Chiaramente influenzava parecchio il fatto che, quasi sicuramente, quello sarebbe stato il loro ultimo Capodanno e, si sa, le cose vengono apprezzate molto di più quando sai di essere sul punto di perderle. Finalmente, la vita a Esqueleto non era più sospesa in una bolla. Non tutti lo sapevano, e forse, era meglio così.

Mictlancihuatl, una volta, aveva detto che il peggior difetto delle divinità era quello di non saper tollerare il cambiamento. Nanauatzin non vedeva l’ora di scoprire se fosse davvero così.

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Capitolo 8
*** Giorno 16: occhio ti vede ***



 

Questa storia mi vagava per la mente già prima delle vacanze di Natale e avrebbe dovuta essere scritta, appunto, per Natale. Ma, come avete visto dal mio tempismo nello scrivere i prompt per un evento che si tiene a ottobre, capirete che non potevo fare altro che scrivere la storia, e postarla, dopo Capodanno. È più forte di me.

… Stupido neurone fanwriter.

 

Occhio ti vede

 

“Adesso ti dico cosa puoi fare, Franklin”. Emanuel non aveva bisogno di alzare la voce per farsi sentire da Franklin. Sapeva che non era molto lontano e, nel silenzio della notte, le sue parole si sentivano molto chiaramente. “Puoi uscire dal tuo nascondiglio con le tue gambe oppure continuare a giocare a nascondino. Ma quando ti troverò potresti pentirti di non avermi ascoltato”.

Franklin non sapeva cosa fare, ma certo non aveva intenzione di avere a che fare con Emanuel. Nascosto nel retro del Pavo, si chiedeva perché Emanuel sembrava tanto arrabbiato con lui. Non aveva senso, l’unica relazione che aveva con lui erano le ordinazioni al locale ed era sicuro di non averne sbagliata nessuna, ma allora perché..!?

“Sai che non puoi nasconderti da me. Io vedo tutto.” Emanuel avanzava piano e sicuro nella sala deserta ma caotica. Si dovevano ancora allestire gli addobbi natalizi, sparsi disordinatamente per la stanza. Se Franklin avesse avuto la pazienza di tirarli fuori in un secondo momento, avrebbe avuto l’aiuto degli altri; tirandoli fuori alla fine del turno serale, invece, aveva tardato molto e solo per avere scatoloni sparsi nel locale. Mattew, unico rimasto oltre a Franklin per fare chiusura, era stato categorico nel non voler aiutare il collega a mettere a posto ma gli aveva intimato di sistemare entro l’indomani o Thomas non ne sarebbe stato affatto contento.

Franklin, rimasto solo a portare nel retro gli scatoloni (Mordecai sarebbe stato un po’ strettino il giorno seguente ma sarebbe stata una situazione temporanea) aveva visto dalla finestra Emanuel avvicinarsi al locale con lo sguardo più truce che gli era mai capitato di vedere. Il suo sesto senso gli diceva di tagliare la corda in fretta, fuggendo dalla porta sul retro. Fece per aprire ma vide, davanti ad essa, due signorine calacas. Non poteva farsi vedere da loro: avrebbero sicuramente avvertito il loro padrone della sua fuga e, una volta tramutato in tacchino, non sarebbe corso molto lontano. Si rassegnò a nascondersi dietro uno degli armadi, con l’assurda speranza di poter evitare l’inevitabile (e le parole del moro non avevano fatto altro che gettare benzina sul fuoco della sua ansia: l’oscura divinità era lì per lui!).

La porta della stanza si aprì lentamente. Nel silenzio, il lieve scricchiolio apparve ancor più sinistro alle orecchie del povero ragazzo. Non venne accesa la luce e la sagoma scura di Emanuel che entrava nella stanza apparve spaventosa.

 “Voglio solo parlare con te! Non ti faccio nulla, per ora. Il tono con cui erano pronunciate risultava però piuttosto funereo e minaccioso, cosa che fece rannicchiare Franklin alla parete, trattenendo il respiro, pregando chissà quale benevola divinità di poter diventare piccolo piccolo. Ecco, in quel momento non gli sarebbe dispiaciuto se la maledizione di Itlazcoliuhqui-Ixquimilli lo avesse trasformato in un piccolo insetto che avrebbe senza dubbio potuto battere in ritirata nel modo più discreto possibile…

Emanuel si avviò verso la porta di ingresso ma arrestò il passo per pochi secondi, come fosse in ascolto di qualcosa (forse sentiva il cuore di Franklin battergli furiosamente nel petto?) e Franklin non poté trattenere un grido disperato quando, con passo repentino, il ragazzo cambiò la direzione e si precipitò verso il nascondiglio di Franklin, intrappolandolo.

“AAAAAHHHH- ” Franklin sentì una mano di Emanuel stringersi attorno alla sua gola che gli strozzò il grido; lo vide alzare l’altra mano, da cui stava nascendo una luce azzurra sul palmo della mano. La luce azzurra finalmente rischiarì il buio, fino a quel momento tagliato dalla luce proveniente dalla porta, ancora aperta, da cui era entrato il moro, e creava un gioco di ombre che rendevano terrificante l’espressione di Emanuel anche senza la necessità di trasmutare nel suo aspetto divino.

“Ti ricordavo meno pavido, Tlaloc. Cinquecento anni di umanità ti hanno forse rammollito?” chiese Emanuel con severità.

 “VATTENEEEEE!” stridette Franklin in tutta risposta con la poca aria che la presa salda di Emanuel gli consentiva, piangendo come un bambino.

“Nel caso ti fosse sfuggito… non sei nella posizione per darmi ordini…” e guardò con schifo malcelato le sue lacrime. L’antica divinità della pioggia aveva passato secoli a ottenere le lacrime dei fanciulli come tributo, ed ora era ridotto così?

 “Dai, non piangere, sii uomo…” indicò con la mano rivestita di luce verso la finestra da cui una delle calaca osservava intensamente la scena.

“Ti do un consiglio per la prossima partita a nascondino: quando ti nascondi almeno non metterti davanti alla finestra. Quello che vedono loro, lo vedo anch’io” puntò nuovamente la mano verso Franklin “E non è la sola cosa che ho visto oggi” avvicinò le labbra all’orecchio di Franklin.

“Tu. Non. Legherai. Mordecai. A. Una. Slitta.” Franklin strabuzzò gli occhi. Ecco, quella era decisamente una cosa che Emanuel non avrebbe potuto sapere, se Franklin non avesse rivelato a Mordecai la sua grande idea proprio nella veranda del locale dove sostava una calaca apparentemente intenta a fissare il vuoto.

L’evento natalizio al Pavo si sarebbe tenuto la settimana successiva e Franklin aveva chiesto tutto entusiasta a Mordecai se non trovava una magnifica idea trainare una finta slitta di Babbo Natale per qualche metro, ovviamente nella sua forma di daino, che era così simile a una renna! Mordecai era ammutolito per lo shock, Thomas avrebbe voluto recuperare una pala per scavarsi la fossa in cui sprofondare, Mattie aveva effettivamente tirato fuori una pala gridando insulti, Alyson, Valiant e Aindreas si erano trincerati dietro a un “no comment” e la storia era finita con Franklin che prometteva che non si sarebbe arreso finchè Mordecai non gli avesse detto di sì.

“Ripeti cosa devi fare” disse Emanuel, facendolo tornare alla realtà; la luce aveva nel frattempo assunto la forma di una freccia, la cui punta si trovava troppo vicina alla sua carotide. “Tu. Non. Legherai. Mordecai. A. Una. Slitta.

“T-tu.. n-non legherai…” balbettò senza pensare il povero Franklin.

“Ti sei anche rimbecillito, Tlaloc!?” . Era possibile ruggire pur tenendo il tono di voce basso? Perché la voce di Emanuel, mentre alludeva al “rammollito” di qualche minuto prima, aveva proprio assunto la vibrazione di un ruggito, pur continuando a mantenere le labbra a pochi centimetri dal suo orecchio.

“IO non legherò Mordecai a una slitta! Lo giuro, lo giuro!” piagnucolò convinto Franklin.

Emanuel fece un passo indietro, liberando dalla sua presa il ragazzo tremante e allontanando definitivamente la punta della freccia da esso. Si avviò verso la porta, non senza prima avergli lanciato uno sguardo di pura severità ad ammonirlo di fare esattamente come aveva detto, o la sua vendetta sarebbe stata indimenticabile.

Franklin avrebbe davvero voluto scappare subito a casa da Thomas. L’idea di restare da solo nel locale (le calacas continuavano ad osservarlo imperterrite dalla finestra) lo atterriva e, piuttosto, avrebbe lasciato Mattie a gridare il giorno successivo, quando avrebbe constatato che non solo gli scatoloni erano rimasti nella sala ma che le luci erano rimaste accese e le porte erano rimaste aperte. Il giovane si impose una calma che non provava veramente: sì, era un rammollito, sì, era uno stupido ma no, non avrebbe coinvolto Thomas. Franklin aveva suscitato la collera di Emanuel e condividere questa informazione con Thomas avrebbe avuto come conseguenza quello di spaventare anche lui, e questo non era disposto ad accettarlo.

Spente le luci e chiuso per bene il locale, si avviò a passo di tacchino verso casa, per la prima volta con fare guardingo. C’era un’altra questione che lo impensieriva… All’apertura del Pavo del Corral, Thomas era stato chiaro: non c’era nulla di male a festeggiare eventi come il Natale, la Pasqua o la Festa del Ringraziamento ma non tutti, ad Esqueleto, avevano la stessa sensibilità in materia, ed era esattamente quella diversa sensibilità a dirottare diversi abitanti verso il Laberinto quando c’erano le serate a tema al Pavo. Quelle erano le festività di coloro che avevano annientato il popolo che adorava le divinità azteche, condannandole a loro volta all’oblio, e Thomas e Franklin avevano optato per spogliare tali festività di ogni connotazione religiosa o lesiva della dignità dei nativi americani. Di conseguenza, il Ringraziamento era diventato una mera occasione per ballare e banchettare col tacchino mentre il Natale era sentito tanto quanto un Natale vissuto in Giappone: solo lucine colorate e scambi di regali. Franklin non aveva visto nulla di male a chiedere a Mordecai di interpretare Rudolph, la renna dal naso rosso a capo della slitta, più profano di così! Ma aveva sbagliato clamorosamente i conti.

Emanuel non era tipo da vivere la vita cittadina, e sarebbe stato illogico pensare il contrario essendo uno dei carcerieri, ma una cosa l’aveva capita anche uno stupido come lui: il moro era uno di quelli che trovava irritante quel genere di festività. Tuttavia aveva lasciato gli abitanti liberi di vivere come volevano, e certo non aveva mai interferito con le iniziative del Pavo, almeno fino a quando Franklin non aveva coinvolto Mordecai nell’irritante festività. Itlazcoliuhqui-Ixquimilli era davvero così preso da Quetzalcoatl da non ammettere neppure di vederlo “umiliato” in una tradizione natalizia?

“Franklin! Ma ti sembra questa l’ora di tornare a casa? Franklin non aveva neppure realizzato di essere giunto a casa e Thomas, sotto forma di alce, lo stava aspettando all’ingresso. “Stavo iniziando a preoccuparmi” aggiunse spostandosi per lasciar entrare il compagno ma, vedendolo insolitamente privo della consueta energia, la preoccupazione aveva cominciato effettivamente a crescere.

“Franklin, cosa è successo?”

“Ecco, temo che Mattie si arrabbierà parecchio domattina, ho lasciato tutti gli scatoloni alla rinfusa nel salone” balbettò Franklin cercando disperatamente di imitare il solito sé.

“Nessun problema, vorrà dire che domattina arriverai prima”

“Oh no!”

“E ti darò una mano, così finiremo prima e faremo colazione direttamente lì”

“Oh sì!”

“…”

“…”

“Thomas…”

“Sì?”

“Coccole” esclamò arruffando le piume (e nascondendo l’espressione potenzialmente traditrice) contro la zampa dell’alce.

 

***

“Sai, Tlaloc, in fin dei conti sono convinta che attirare l’attenzione o conquistare l’amore di un dio non porti quasi mai a niente di buono”.

All’epoca, la divinità della pioggia aveva preso parecchio sottogamba le parole dette con noncuranza da quella che era stata una semplice serva nel Mitclan: lui, all’epoca, non aveva conosciuto Nanauatzin (conoscerlo, amarlo, per poi perderlo sarebbe stato dilaniante), senza contare che la servetta aveva avuto le sue ragioni personali per parlare così.

Adesso aveva realizzato che Itlazcoliuhqui-Ixquimilli era davvero così preso da Quetzalcoatl al punto non solo da cacciare tutti in quella gabbia chiamata Esqueleto, ma pure da minacciare la gente per inezie. Adesso, quelle lontane parole dette in tono del tutto casuale avevano assunto, nella mente di Franklin, tutta la forza di un pessimo, pessimo, pessimo presagio.

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Capitolo 9
*** 20 ottobre Sei già morta (You’re already dead) ***


Piccoli avvisi: questa storia è Mictlancihuatl centric ma ambientata in un tempo in cui ancora non era Mictlancihuatl. Gli autori della Calaca de azucar nel primo volume hanno spiegato che era stata una bambina sacrificata al Mictlan e in questo sito https://archaeus.it/il-giorno-dei-morti/ viene detto anche che sarebbe nata in una tribù pre-umana di esseri viventi, quando il mondo era nuovo, per questo motivo l’ho collocata nell’Era del Quarto Sole. Nella mia versione, però, non è una bambina (bambina lo è nelle fic ambientate nel 2012): se avete letto le altre fanfic che ho scritto avrete già capito che ho fuso la sua storia con quella di una donna umana senza nome che, secondo un mito, aveva ricambiato l’amore di Quetzalcoatl dopo che egli aveva fatto dono all’umanità della capacità di amare – e pare abbia fatto altro, in altre versioni, ma questa è un’altra storia, anche perché tradotte dall’italiano potrei aver preso fischi per fiaschi. La sua morte, nella mia versione, era diventata un dispetto di Tezcatlipoca e di altre divinità complici per cercare di allontanare l’interesse di Quetzalcoatl dalle sorti degli umani.

Mictlancihuatl, prima del fumetto già ne avevo la fissa dato che sembra essere l’origine della Santa Muerte, non vedo l’ora di scoprire chi è nel fumetto, anche se mezza idea già mi è venuta e non vedo l’ora di scoprire se è vera. Ma intanto vado di fantasia!

Wikipedia in italiano e Focus.it non sono proprio il massimo delle fonti, ne convengo, ma sembra che le festività in onore delle divinità del Mictlan cadessero in agosto, quindi agosto sia. In teoria, le festività sembrano essere anche, secondo alcuni siti web addirittura solo, in onore di Mictlancihuatl (povero Dorian) ma, essendo lei (per ora) viva e vegeta, le festività citate diventano solo del Signore del Mictlan. E diamogli una gioia (?).

Altra nota: nella storia si accenna alla raccolta di miele e la storia è ambientata in agosto. In Italia, a luglio si raccoglie miele di castagno mentre nella seconda quindicina del mese di agosto è possibile smielare, ossia togliere il miele dai favi. Non so se esistono piante o fiori da cui ricavare miele nel Mesoamerica dei tempi degli aztechi che sbocciavano in tardo luglio (il miele però ce l’avevano, eh) quindi boh, spero di non aver scritto un’imprecisione madornale.

***

 

Non si comporta da brava figlia… il suo comportamento ti disonora e getta scandalo sulla tua famiglia… se non vuole rendersi utile alla società con un buon matrimonio, che si renda utile ai sacerdoti.

Le parole sussurrate dal dio degli inganni assunsero forma di pensieri che avevano occupato la mente di un padre frustrato e arrabbiato per comportamento di sua figlia maggiore. L’uomo non seppe riconoscere l’estraneità di tali pensieri ma gli erano sembrati così giusti…

***

La vita è strana. Una mattina ti svegli piena di progetti su cosa fare durante la giornata – tipo pensare a come comprare da sola quella deliziosa stoffa rossa che avevi trovato al mercato per farci un nuovo vestitino ma che tua madre si era categoricamente rifiutata di acquistare, andare a cercare e raccogliere del buon miele per farci dei dolci da condividere durante le festività che sarebbero iniziate l’indomani e che sarebbero durate almeno un mese, oppure andare a litigare con quella gallina di Cihuātōn che ti aveva pubblicamente infamato solo perché avevi rifiutato la proposta di matrimonio di quello “splendore” suo fratello maggiore – oltre che con la speranza di rivedere lui..!

Al pensiero del mio amore, mi sciolsi come burro di cacao lasciato al sole, ma subito mi imbronciai: era da diversi giorni che non avevo sue notizie, chissà dov’era finito?

Poi tra faccende domestiche, pensare al tuo amore, uscite di nascosto per evitare tuo padre che ti tiene il muso, pensare ancora al tuo amore e mattina passata a recuperare dei bei favi, non fai nemmeno in tempo a realizzare che… sei già morta.

Ero rimasta sorpresa ma non troppo quando, dopo essere tornata a casa con un bottino di miele più che dignitoso e un paio di punture, trovai un inserviente del tempio ospite a casa nostra. Non era raro che i sacerdoti si servissero dell’aiuto delle donne della città per preparare feste particolarmente grandi o importanti e avevo sempre collaborato, anche in quell’occasione, ma che ci faceva l’inserviente a casa nostra? Non si respirava l’aria tesa che avevo percepito in mattinata anzi, tutti risero alla battuta scema dell’inserviente circa le punture sulle mie braccia che avrebbero fatto onore persino a Xipe Totec. Ah ah, che risatone, davvero. Ma ridacchiai anch’io per non sembrare maleducata. Alla vista dei favi recuperati durante la spedizione mattutina, mio padre aveva decantato all’ospite le mie capacità non solo di raccolta ma anche di preparazione di alimenti con il miele. Mi aveva ordinato di servire all’inserviente l’idromele che avevo fatto in precedenza e mi era parso estremamente strano che mi avesse invitata ad assaggiare il liquore in loro presenza.

Quando bevvi… venni colta da una strana e improvvisa sonnolenza. Mentre l’inserviente mi spingeva cautamente fuori di casa con una mano appoggiata sulla schiena, presi mentalmente nota: non reggevo gli alcolici, nemmeno quelli con gradazione ridicola. Che vergogna.

Non seppi dire quante ore passarono, ma ogni tanto mi davano qualcosa da bere dicendo che mi avrebbe fatto passare il torpore… beh, avrebbero dovuto cambiare guaritore, visto che mi sentivo sempre più rimbecillita.

Avevo dormito alcune ore, o almeno così mi era sembrato. Mi svegliai con il suono ovattato della musica nelle orecchie. Era già cominciata la festa? Pensai con disappunto. Mi sentivo uno schifo! E come ci arrivavo al luogo di sepoltura dei miei cari? Cercai di alzarmi, per fortuna che c’era una donna che mi aveva aiutato a fare un rapido bagno… ma… era una delle serve del tempio, che ci faceva a casa… no, non era casa mia… ma che cavolo..?

“Oooh, un vestito rosso!” biascicai felice, la mamma si era ricordata la stoffa e aveva fatto un vestito per me, allora non era più arrabbiata con me?

“Grazie mamma! …Mamma, dove sei? Hai visto mia madre? Devo dirle che le voglio tanto bene”.

“Tua madre lo sa già” rispose sbrigativamente la serva, vestendomi e pettinandomi come fossi stata una bambola. Continuavo a sentire la testa pesante ed era un sollievo non dover fare la fatica di vestirmi da sola.

Mi sentivo trascinare via. Le immagini mi passavano confuse davanti agli occhi, familiari e sconosciute allo stesso tempo. Tutti mi guardavano, perché? Iniziai a sentirmi vagamente inquieta.

Mentre ciondolavo, mi ritrovai qualcosa tra le mani. Dei fiori. Ma che tipo erano? Avevano una forma  davvero particolare ed erano di un intenso arancione. “Questi sono solo per te. Li ho creati apposta per te” la voce sembrava gentile ma il suo tono aveva un non so che di… ostile. Allontanai la vista dai fiori per mettere a fuoco colui che mi aveva rivolto quelle parole. Non lo avevo mai visto prima e aveva un aspetto così insolito… la pelle più scura, gli occhi rossi, i capelli bianchi?!

“Che fiori sono?” mormorai. Lui mi sentì lo stesso, malgrado i canti ora assordanti. “Decidilo tu. Sono tuoi, ora”. Stava dicendo tutte cose assurde. Ma tutta quella situazione sembrava assurda che decisi di dargli retta. E per il resto del percorso (ma dove stavo andando?) pensai a come chiamare quei fiori: almeno così avrei tenuto a bada l’inquietudine. Giocai qualche combinazione di lettere assurda: cem-pa-sú-chil, magari suonava bene?

Ma che cos’era questa stanchezza che mi faceva arrancare e appesantiva il mio respiro? Da quanto tempo camminavo? Ero davvero a pezzi quando finalmente mi lasciarono riposare.

Sentii un dolore lancinante ma  svanì rapido come un battito di mani. Mi sentii decisamente meno pesante.

 “Oh, sto meglio! Ma che mi avete fatt..” neanche il tempo di finire la domanda che vidi la risposta. Mi avevano appena… estratto il cuore.

“Ma che significa questo?” esclamai con una nota di puro orrore nella voce.

“Significa che è ora di andare” la voce profonda alle mie spalle mi fece sussultare. Mi voltai e… alla vista di un mostro con la testa di cane nero esclamai a gran voce che non avrei mai più toccato un goccio d’alcool in vita mia.

“Su questo non ho il minimo dubbio” replicò laconico quella creatura.

Passai un’occhiata interrogativa piuttosto eloquente da quell’essere al mio corpo che i sacerdoti stavano tranquillamente squartando e dissanguando.

“Sei stata sacrificata” mi rispose come fosse stata la cosa più ovvia di tutte, cosa che in effetti era anche ai miei occhi, grazie tante.

“Q… quindi tu saresti… Xo…” era difficile riacquistare il dono della favella dopo una rivelazione simile.

Non era facile accettare quell’idea. Agitai una mano davanti ai sacerdoti, che ovviamente non notarono. Xolotl sospirò, probabilmente aveva già visto quella scena molte volte… o forse era la prima volta che vedeva un defunto fare una cosa così stupida.

“Ma ci deve essere un errore… mandano i prigionieri ai sacrifici e… della nostra gente, mandano a morte quelli indesiderati, ma quelli solo dopo averli drogati…” i pensieri giravano veloci nella mia testa, in cerca di una risposta “è stata una delle famiglie che mi aveva chiesto in sposa? Ma mamma e papà non avrebbero permesso…” un dubbio atroce si impossessò di me “Papà…?” ammutolii.

“Andiamo” ripeté Xolotl, impassibile. Che dovevo fare? Andai con lui. Casualmente, vidi nuovamente lo sconosciuto che mi aveva dato quei fiori. Il suo sorrisino beffardo mi avrebbe fatto rabbrividire, se solo avessi avuto ancora un corpo, soprattutto dopo aver realizzato che poteva vedermi anche in quelle condizioni. Strinsi tra le mani quegli strani fiori che sembravano essere davvero miei: dubito che, come spirito, avrei potuto toccare qualcosa del mondo materiale che avevo appena abbandonato.

Il viaggio mi parve interminabile. E, francamente, traumatizzante!

“Che gli dei ti benedicano Xolotl” mormorai con fervore, dopo aver mancato per un pelo lo scontro tra due montagne ed essermi risparmiata tagli dolorosi con quarzi di silicio aguzzi. Senza la guida di Xolotl, sarei rimasta a girare in tondo tra montagne gelate. Torturavo i poveri cempasúchil per il nervosismo e il freddo innaturale che persino un’anima incorporea poteva sentire, al punto da lasciar cadere incautamente dei petali. Briciole di colorata bellezza donate a luoghi così macabri. Ma almeno, tra le terre dell’ Ītzehēcayān e del Pāncuēcuētlācayān (gentile Xolotl a riferirmi i nomi di quei luoghi e la sorte dolorosissima che la mia anima avrebbe subito se fossi rimasta intrappolata dalle minacce ivi nascoste!) si poteva stare un po’ più tranquilli e il rimpianto mi tormentò più forte che mai.

“Non lo rivedrò mai più” mi lamentai. Xolotl non diede segno di ascoltarmi. Beh, aveva pure ragione, perché curarsi dei problemi di cuore di una ragazzina? Ma al silenzio innaturale di quel luogo, preferii sfogarmi a voce alta. “Non ho nemmeno potuto dirgli addio”.

“Quasi nessuno ha questo privilegio” mormorò il dio guardando avanti e proseguendo la sua strada. Arrivati a quel punto del percorso, potevo solo scegliere di tenere il passo, o sarebbe stato peggio per me.

“Naturalmente gli auguro una lunga e serena vita, ma tra quanto lo rivedrò? Venti, quarant’anni? Io lo aspetterò” esclamai convinta.

“Di chi parli?” chiese Xolotl. Mi sorprese constatare che sembrava davvero attendere la mia risposta.

“Del mio amore”.

“Il tuo amore ha un nome?”.

“Non me l’ha mai detto. E io non gliel’ho mai chiesto”.

“… non credo che lo rivedrai”.

Sussultai. “Perché dici così?”

“…”

“Xolotl?”

“Potrebbe cadere in battaglia. Finire nell’Omeyocan”.

Rimasi senza parole. Non ci avevo pensato.

“O affogare e andare nel Tlalocan”

Xolotl non replicò.

“Non è detto che accada. Potrebbe arrivare anche lui nel Mitclan. E io lo aspetterò”.

“Stai attenta” disse Xolotl, scrutando il cielo.

“Attenta a cosa?” chiesi. Il dio rispose spingendomi a terra di malagrazia, proprio mentre una saetta scaricava nel punto dove ero stata io qualche istante prima.

“Benvenuta nel Tēmīmīnalōyān” esclamò piattamente.

“E andiamo!” esclamai con sarcasmo.

***

E dopo bestie affamate, nebbie fitte e fiumi impossibili da guadare da soli (grazie, Xolotl!), finalmente la strada si fece “semplicemente” chiusa e cupa.

“Davvero sono passati solo quattro anni, Xolotl? Perché mi sembra che sia passata un’eternità” chiesi sfinita.

“Dite tutti così” commentò piatto la divinità.

“Ma ora mi aspetta il luogo dell’eterno riposo, il Chiucnahuapan, dove rivedrò i miei antenati e aspetterò i miei cari – e renderò conto a mio padre” conclusi con un ringhio appena percettibile.

“Non esattamente”.

“?”

“Prima devi rendere omaggio al Signore del Mictlan” .

“Giusto, sarebbe una scortesia non farlo”.

“Sarà un delirio”.

“Cosa?” chiesi stupita dal timore nella sua voce. Sembrava non essere sollevato per la fine del viaggio quanto lo ero io. Boh, roba di divinità, supposi.

Avevo supposto davvero male.

Quello fu il giorno peggiore della mia vita, o meglio, della mia morte. No, non era ancora esatto. Come l’aveva definita, il Signore del Mictlan? Una vita nella morte.

Al cospetto del sovrano di quel posto, mi ero sentita come essere tornata al mio primo giorno di scuola alla capitale Tenochtitlán, per la prima volta lontana dalla mia famiglia e al cospetto di un sacerdote davvero temibile agli occhi di una nanerottola di sei anni. L’unica differenza era il luogo, decisamente macabro, e il suo padrone, ancora più inquietante. Ma ero già morta, cos’altro poteva succedere?

Beh, sentirlo masticare a denti stretti “E così sarebbe questa l’arrogante mortale”, che mi guardava con ostentato disprezzo mentre ero inchinata al suo cospetto, non prometteva affatto bene. Arrogante, io? Ma che, mi conosceva? Rimasi in silenzio: era un dio, un sovrano, ovvio che gli sembrassimo tutti dei pezzenti. E soprattutto, faceva paura. Quasi rimpiangevo di non aver sposato uno dei pretendenti scelti da mio padre: una probabile morte per un parto difficile sarebbe stato preferibile e avrei scampato il Mictlan. Ma ultimamente sembravo la candidata perfetta a vincere il titolo “Mai una gioia”.

“Istruiscila ai suoi doveri, mostrale il suo buco, e che non me la trovi tra i piedi a meno che non sia convocata, cosa che vedo assai improbabile”.

In. Che. Senso?!

“Rimarrai nel Mictlan, a vivere una vita nella morte al mio servizio, come del resto accade a chi è sacrificato in mio onore. Imparerai ad abbassare la testa con chi ti è superiore”

“Ma… se resto qui non potrò incontrare la mia famiglia” mormorai attonita nel sentire quella che suonava come una condanna.

L’aria si fece così pesante che poteva essere tagliata con un coltello. L’espressione del Signore del Mictlan, già temibile di suo, si fece ancora più terribile mentre tuonava: “Tu non sei nessuno per obiettare sulle mie decisioni!”

Atterrita, mi prostrai più profondamente che potei. Decisi di non proferire più parola, piuttosto che mettere a rischio le mie ossa. Decisamente, la mia attuale situazione non era delle più rosee ma non aveva senso lamentarsi. Avere della servitù era un diritto del Signore dei morti, servirlo era un mio dovere. Era naturale che fosse così, visto che ero morta.  

Sono morta.

Seppure a malincuore, struggermi per il mio amore perduto per sempre non rientrava più nelle mie priorità.

 

FINE

 

 

Ok, Mictlancihuatl sembra un po’ sciocchina. Ma capitela, era una semplice giovane umana mezza drogata. Avrà secoli davanti per maturare, se riesce a salvare le sue ossa da Mictlantechutli. E no, giuro che Mictlantechutli non sarà come il principe della Bella e la Bestia (oddio ora mi immagino Dorian che canta con la voce della Bestia, avrò gli incubi, addio).

Bel posticino il Mictlan, eh? Link Wikipedia per la strada verso la destinazione finale https://it.wikipedia.org/wiki/Mictlan

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Capitolo 10
*** Giorno 17 ottobre “fare a pezzi” e giorno 21 “infestazione” ***


Giorno 17 ottobre “fare a pezzi” (slice and dice) e giorno 21 “infestazione”

“είναι όλα σωστά, γιαγιά[1] ? ” vista da fuori, la scena poteva sembrare un po’ bizzarra: una bambina, seduta alla scrivania, fissava un punto vuoto, in attesa, e parlava da sola. Solo dopo alcuni minuti, annuendo come se avesse ricevuto delle istruzioni, tornò a scrivere delle correzioni sul suo quaderno. A completare il quadretto bizzarro, una tarantola sonnecchiava in un angolo del tavolo, tipo animaletto domestico.

“Πώς γράφετε αυτήν τη λέξη[2]?” chiese di nuovo all’aria, ma non fece in tempo ad ascoltare la risposta. D’un tratto, tutta la sua concentrazione parve rivolgersi altrove e la sua espressione, fino a quel momento concentrata, parve oscurarsi, titubante.

“Κάποιος μόλις μπήκε στο νεκροταφείο. Πάντα τον. Θα επιστρέψει σε… um… να την βρει[3]” il disagio si fece palpabile. “Όχι, ας συνεχίσουμε, σε παρακαλώ. Δεν θα σας ενοχλεί ούτως ή άλλως. Νομίζω[4].” proseguì in risposta alla domanda che solo lei poteva sentire. Non le aveva mai dato fastidio l’accesso di Alejandro al cimitero, ma era meglio non averci a che fare quando si trovava… in quello stato.

Represse il brivido sottopelle e si sforzò di allontanare il pensiero di quello che sarebbe nuovamente successo. Riprese i suoi esercizi di grammatica greca, materia che sua nonna aveva insegnato quando era in vita e che si era ritrovata, non senza una certa riluttanza, ad insegnare anche dopo. Avrebbe potuto risparmiarselo, godersi l’eterno riposo se, dopo il trapasso avvenuto un paio d’anni prima, non avesse scelto di raggiungere la sua nipotina scomparsa nel nulla, in occasione del giorno dei morti, uno dei pochi giorni in cui i cancelli erano aperti per loro. Il risultato di tale ricerca fu uno shock, tanto per l’anima della defunta, quanto per Alma. La prima aveva trovato una bambina uguale alla nipote che aveva perso ma, allo stesso tempo, diversa – ora lo poteva riconoscere. La seconda, oltre al dolore per la morte della nonna, aveva compreso che non sarebbe mai uscita nemmeno lei da Esqueleto: la legge “non si poteva uscire dalla città” valeva davvero per tutti. A ferirla di più, tuttavia, era stato il cambiamento nell’atteggiamento dell’anziana: il vincolo d’affetto era stato presto soppiantato dall’antico rispetto che si poteva riservare a una regina, cosa a cui Alma era stata tutt’altro che pronta e che le aveva causato una crisi isterica. Aveva bisogno di sua nonna, non di un suddito. Dubitava di potersi mai abituare alla situazione, fino a che in petto avesse continuato a battere il cuore di una creatura mortale. Da lì l’insistenza nel parlare in greco con lei, anche se la cosa era diventata inutile: Alma poteva comprendere la voce di chiunque, purché fosse trapassato, e i morti non erano più tenuti a subire una barriera che avevano creato i mortali stessi (la moltitudine di linguaggi, dopotutto, altro non era che il frutto dell’intelletto umano). Lo studio della lingua della sua famiglia paterna sarebbe stata inevitabile, se Alma avesse continuato la sua vita fuori da Esqueleto, e la bambina era più che mai risoluta a mantenere quell’appiglio con le radici della sua ultima incarnazione, una piccola illusione di normalità. La defunta aveva accettato, ma Alma aveva capito che non era più l’orgoglio di veder proseguire la storia della famiglia con la nuova generazione a muoverla, bensì come pura e genuina obbedienza a una richiesta che non avrebbe potuto rifiutare.

***

Alejandro era entrato con riluttanza nell’area del cimitero, e avrebbe preferito regalare a Emanuel un paio di nuovi abitanti graziati dalla sua maledizione piuttosto che dover avere a che fare con lei. Nondimeno, a dispetto della faccia da funerale, si diresse a passo spedito verso un’anonima tomba all’interno di un viale.

“Eccomi, sono di nuovo qui, sarai contenta adesso…” tacque, in ascolto di una voce che solo lui poteva udire. “Sì, è da un po’ che non mi faccio vedere… sai com’è, il locale, e poi è arrivata un po’ di gente nuova…” parlava a voce bassa, troppo bassa per essere udita da qualcuno, a meno che questo non fosse a pochi centimetri da lui… tuttavia non c’era anima viva nei paraggi.

“Sì, lo so che vorresti più attenzioni… mi spiace, lo sai che mi dispiace tanto, sì?” Si torse le mani con malcelato nervosismo. “Però non puoi arrabbiarti così quando non vengo a trovarti… non è il caso che mi segui dappertutto quando non ho tempo, lo sai che non dimentico, sai che non potrei mai farlo… Dopotutto stai ben attenta a non farmelo dimenticare…” il tono, prima sommesso, iniziò ad assumere un tono acido. “Quando finirà questo gioco, eh? Per quanto tempo continuerai a perseguitarmi? Eravamo piccoli, Soledad. Anche a te piaceva da matti scivolare col tappeto giù dalle scale di casa, fare a gara a chi arrivava per primo… era divertente, era bello vederti ridere, così bello… giuro che non l’ho fatto apposta… volevo solo farti prendere più velocità, non avevo visto che non eri ancora seduta bene… e poi sei rimasta in fondo alle scale e non ti sei più mossa… la posizione della tua testa era così strana ma ero convinto ti fossi stancata, che ti fossi addormentata… Quante volte vuoi sentirtelo dire? Dispiacemidispiacemidispiace!” Aveva praticamente gridato le ultime parole, fuse insieme in un lamento. “L’ho detto tante volte alla mamma ma non ci ha mai creduto, non ho più visto un suo sorriso… nemmeno me lo ricordo, il sorriso di mamma, lo ha mai fatto…?” il dubbio aveva prevalso nella voce, ora ridotta a un tremante mormorio. Aveva mai visto sua madre sorridere, dopotutto? Quel dettaglio, inspiegabilmente, provocò ulteriore tensione al giovane. “E tu, perché ora sorridi in quel modo..?” il volume tornò ad aumentare in modo considerevole, nel realizzare che Soledad si stava compiacendo del disagio del fratello “Basta! Devi smetterla di darmi il tormento, mi hai perseguitato anche troppo! Si può sapere cosa vuoi da me!? PARLA! Cosa vuoi sentirti dire, che sono pentito di quello che ho fatto? Ho passato tutta la vita pentirmi, non è abbastanza? Togliti quel cazzo di sorrisino dalla faccia!” gridò esasperato.

“Perché non te ne resti qui e fai la brava, eh?  Non dovresti andartene in giro per Esqueleto, dovresti stare rinchiusa qui!” il pentimento aveva presto lasciato il posto alla rabbia.  I nervi di Aleandro erano stati messi a dura prova e, alla fine, erano stati fatti a pezzi.

“Una sola cosa doveva fare, quella là! Una! Tenere te e gli altri maledetti come te chiusi qui dentro! Lontani dai vivi! Cinquecento anni di umanità l’hanno forse fatta tornare ad essere la nullità che era prima?”. Ormai Alejandro straparlava e non si curava più né del volume della sua voce, né tantomeno della diplomazia.

Tutte le persone avevano un punto debole, fossero esse umane o divine, e Alejandro non faceva eccezione. Tormentare a lungo un nervo scoperto, tuttavia, non poteva avere altra conseguenza che fare a pezzi gli altri, di nervi. Alejandro aveva avuto cura di non mostrare mai questo suo nervo scoperto, esibendo, in caso di crisi, una poker face da attore da Oscar, soprattutto davanti alle calacas di Emanuel. Tutto quello sforzo nel dissimulare, tuttavia, gli impediva di ragionare lucidamente: se lo avesse fatto, avrebbe avuto subito la soluzione al suo problema di nome Soledad. Almeno lì, al cimitero, le uniche orecchie che potevano sentire il suo sfogo, gli unici occhi testimoni della sua penosa uscita, appartenevano a coloro che non potevano più parlare, non coi vivi, almeno, se si faceva eccezione ai due padroni di casa. Si rivolse così all’unica vivente nel perimetro: “Essere la puttana delle divinità ti fa sedere sugli allori, Malintzin? Nasconderti qua non ti proteggerà per sempre, e quando quel giorno arriverà…” Probabilmente, lo sproloquio di Alejandro sarebbe andato avanti ancora a lungo se non fosse stato che…

***

Tecnicamente, Aleandro non avrebbe avuto bisogno di urlare per far sentire i suoi anatemi ad Alma e a Soledad. La bambina sentiva tutto quello che accadeva dentro il confine del cimitero ma, quel giorno, si sarebbe volentieri strappata le orecchie, pur di non sentire. Schizzava da un angolo all’altro della stanza, sotto lo sguardo indignato e preoccupato dell’anima di sua nonna. Della tarantola, destata dalle grida provenienti dall’esterno, non c’era più traccia.

“Ma che c’entro io adesso? Non aveva mai fatto così prima!”  squittì spaventata. Poco importava che avesse ripreso a parlare la sua solita lingua: era troppo presa a pentirsi sinceramente di aver consentito l’accesso al cimitero al ragazzo fuori controllo – e, diavolo, lui l’aveva pure ammonita per la leggerezza con cui faceva entrare la gente! Stava valutando se fosse il caso di nascondersi da qualche parte quando capì che non ce sarebbe stato bisogno.

“AHI! Maccheccazz…?! Ma che..? Fuori dai piedi…oh! OH!E va bene, va bene, me ne vado! AHIA!!” sentiva le grida spezzate, sbalordite, di Alejandro che si affievolirono sempre di più, fino a sparire.

***

“έχει φύγει[5]” mormorò la bambina verso la defunta, ma non smetteva di tremare. Andò a guardare fuori dalla finestra, ad accertarsi di quanto era appena accaduto.

Il suo cellulare, abbandonato sul tavolo, iniziò a vibrare. Alma avrebbe preferito non rispondere ma non era difficile intuire chi fosse a chiamarla: non era il caso di rifiutare la chiamata.

“Pronto… sì, ci sono” non era in vena di parlare ma cercò di tenere un certo contegno. Stava pur sempre parlando col tizio responsabile il suo sequestro.

“… Senti, Whisky ha organizzato un assembramento … sì… circa…boh… cinquecento? Un migliaio? Sì, hai mezza corte riunita davanti a una tomba, tu ne sai qualcosa? Li hai mandati tu… sì, immaginavo… Sì, Alejandro ha dato i numeri qui al camposanto… di nuovo. Sì, sempre quella storia! Ero nascosta, sì, mica mi faccio trovare da lui quando dà di matto! …Certo che sto bene! No, Whisky è bugiardo, non avevo paura!... e comunque se volevi che stessi bene mi avresti lasciato a casa mia!  … Va bene, non lo farò entrare più… Non aveva mai fatto così, prima, di solito si sfogava solo con Soledad, mi lasciava fuori dai suoi discorsi. Non sembrava neanche più lui… Capisco che ti abbia irritato sentire Alejandro darmi dell’incompetente e di .. beh, altro, ma forse era meglio fare come le altre volte ed ignorarlo, erano solo parole... oh… è perché mi ha insultato che stavolta sei intervenuto…

…Sì, sono ancora in linea. Comunque, ciò che volevo dire era che, dal suo modo di vedere le cose, Alejandro  non ha tutti i torti, no? Da Esqueleto non puoi uscire nemmeno da morto… e visto che vivi e morti non possono stare insieme hai creato questo settore… Sì, tranne i soliti giorni di novembre, come al solito. A festeggiare il dia de los muertos a zonzo per la città, loro, io no eh, senza che gli altri abitanti se ne accorgano. È incredibile, il sistema regge dopo tutto questo tempo! Lo avevi organizzato bene!

… pronto, ci sei ancora?

…beh comunque, io non glielo dico. Tu nemmeno..? All’ospedale non hanno un reparto dedicato a chi ha un esaurimento nervoso? Ok, non è un mistero che Huitzilopoctli non sia stato proprio felice di aver ammazzato sua sorella, e questo spiega perché ora Alejandro smadonna dietro a questo spirito che, dice lui, lo sta perseguitando, eppure solo dal suo nome dovrebbe arrivarci da solo che è tutto nella sua testa! SOLEDAD! Pure il fatto che non veda altre anime dovrebbe essere un indizio, no? Questa Soledad l’ha fatta morire in qualche missione di guerra? È morta di parto? No? Cioè, io vedo le anime, tu le vedi, lui, al massimo, qui può vedere solo la signora Claire che è morta dando alla luce i suoi gemelli due secoli fa! Chi glielo dice allora che non esiste nessuna Soledad?

 

Angolo delle chiacchiere che non interessano a nessuno

In pratica, il riassunto del capitolo è questo: Alejandro sclera male e Dorian lo invita gentilmente a rompere le palle da un’altra parte tramite Wiskey.

Mi scuso per aver reso Alejandro sicuramente Out of Character. Volevo rendere (male) l’horror giocando un po’ con l’argomento allucinazioni in caso di forte stress. Poi, vabbè, quella parola volgare rivolta ad Alma. Salterà fuori, prima o poi, che Malintzin non era ben vista da tutti, e che l’esser stata amata da due divinità poteva anche generare maldicenze. Se Alejandro fosse stato meno sotto stress, non lo avrei mai fatto reagire in questo modo nei confronti di una che, divinità o meno, al momento è una bimba di 10 anni.

Mi devo scusare anche perchè esce un po’ troppo spesso il personaggio di Alma. Se uno sta a leggere una fanfiction su La Calaca de Azucar vorrà pur leggere i personaggi del fumetto, e ha pure ragione. Per quanto abbia amato crearle un background, in realtà in questo capitolo Alma è uscita per un altro motivo. Volevo parlare del cimitero. Siccome mi sono fatta delle seghe mentali su quel luogo, non potevo fare altro che parlarne attraverso chi conosce bene il posto. Dorian è ancora troppo un mistero perché possa azzardarmi a mettergli delle parole in bocca (anche lui ha un background frutto del mio neurone fanwriter scemo ma, al momento, me lo tengo per me) , quindi la scelta è caduta per forza su Alma che ci abita. E dire che la sua doveva essere una comparsata del capitolo “Cimitero”, che si trova nell’altra piccola raccolta di fanfic.

Oh, il cimitero di Esqueleto mi incuriosisce un botto. Quando lessi il primo volume di Calaca per la prima volta, non avevo capito perché quel cimitero mi interessasse particolarmente: ok, era un luogo speciale dove non ti trasformavi in animale, un posto abbastanza riservato da consentire a Emanuel di fare cose da villain, il luogo dove era apparso per la prima volta quel personaggio che mi fa sangue ogni volta che compare in una vignetta con o senza pelle (sì, Dorian), eppure qualcosa non mi tornava. Quando avevo partecipato al writing week di Fanwriter.it, l’anno scorso, avevo avuto partita facile nella scelta tra il prompt “cimitero” e il prompt “casa abbandonata” ed, eureka!, avevo capito cosa non mi tornava: di chi diavolo erano tutte quelle tombe? Qual era lo scopo di quel cimitero? Il tasso di mortalità, a Esqueleto, città dove il crimine quasi non esiste (lo dice Murdock nel secondo volume) è così alto da avere tutte quelle tombe nei 18 anni di vita di Emanuel (ammesso che Esqueleto non sia nata prima della nascita di Emanuel stesso…)? E lì la mia fantasia ha fatto voli pindarici che avevano poca attinenza con la trama originale e mi sono fatta una storia sulla natura di quel cimitero. L’idea non è esposta in maniera completa perché, chissà, magari tornerà fuori ancora, ma intanto volevo che si capisse che era un luogo più affollato di quanto sembri, più antico di quello che è. Nello sviluppo iniziale del prompt, l’esistenza Alma non era proprio contemplata. Nel capitolo “Cimitero”, Mordecai doveva vedere un vero e proprio fantasma che, in quanto morto, non poteva restare in mezzo ai vivi. Ho esteso la regola che non poteva uscire da Esqueleto neanche chi moriva lì (o le anime che ci entravano). Ebbene, quel fantasma doveva essere la sorella di Alejandro. Avrei però rischiato un buco di trama se si fosse visto solo un fantasma, se tutte le tombe dovevano essere “abitate”, così accantonai l’idea. Mi dispiaceva tuttavia abbandonarla del tutto, così ho reso Soledad un’allucinazione di un Alejandro che non ha mai elaborato correttamente il lutto e che si è costruito fantasie che avrebbero dovuto “tenere viva” la sorella ma che hanno invece fatto ripetere in tempi recenti il fratricidio commesso nell’antichità à collo “rotto” e caduta dalle scale. Ok, è il dio della guerra, ma si sarebbe autoassolto se avesse ucciso ingiustamente un’altra divinità?

Sì, insomma, mi sono piuttosto fissata sul mito secondo cui Huitzilopoctli aveva ucciso fratelli e sorella per vendicarsi dell’uccisione della madre, ignoro il motivo. Avevo già usato il concetto in un altro capitolo della prima raccolta di fanfic, solo che, in quel caso, Alejandro sembrava pure contento di aver ucciso la sorella Coyolxauhqui. Però girano versioni diverse in internet: in una di queste, la dea è stata uccisa per sbaglio, perché si era messa in mezzo ad aiutare la madre (tipo fuoco amico). Per confortare la madre, Huitzipoloctli aveva scagliato la testa della sorella in cielo affinché potesse vederla sotto forma di luna.

Comunque, sembra che Coyolxauhqui non fosse una tipa tanto carina, visto che nel mito rincorre il sole piuttosto incazzata, e guai se lo raggiunge. Ecco perché lo spirito, nella fanfic, è un tantinello rompicoglioni, dato che insegue il fratello anche nei tempi moderni per dargli il tormento.

Ultimo, doveroso appunto: le frasi in greco sono spudoratamente copiate da google translate, il che non è una garanzia di accuratezza, abbiate pietà. Perché, tra tante nazionalità, ho scelto proprio il greco, di cui non so una cippa (gente del classico, chiedo perdono)? Alma vuol dire anima e, in greco antico, anima è Psiche à guarda caso, una mortale che ha saputo ottenere l’amore di una divinità e che, dopo averne passate di cotte e di crude per esser stata ingiustamente accusata di superbia da un’altra divinità, diviene lei stessa una dea per mezzo di un matrimonio. Che poi Alma sia spagnolo, poco importa: pure una cantante francese si chiama Alma, e la cito solo perché, all’Eurovision Song Contest, aveva cantato una canzone dal titolo REQUIEM. Segni, segni ovunque.

HO. PARLATO. TROPPO.

DI NUOVO.

SCUSATE.



[1] È tutto corretto, nonna?

[2] Come si scrive questa parola?

[3] È solo entrato qualcuno nel cimitero. Sempre lui. Sarà tornato a… uhm… trovare lei

[4] No, continuiamo, per favore. Tanto non darà fastidio. Credo

[5] Se ne è andato

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Capitolo 11
*** Day 19: Dismantle Instructions ***


19 ottobre Dismantle instructions

Erano molte le cose che avrei voluto scrivere quando avevo pubblicato il capitolo finale della raccolta “Quella maledetta volta che Mordecai ha deciso di andare al Laberinto”. Il racconto sarebbe diventato però troppo lungo, troppo pieno, così avevo snellito il capitolo, lasciando da parte i dettagli. Il prompt Dismantle Instructions (che ho tradotto, in senso letterale, come smontare le istruzioni, da me inteso come un sovvertimento di un sistema prestabilito) si sposava bene con le tematiche che avevo lasciato in sospeso, quindi… era giunta l’ora di riprendere in mano gli appunti. Alcuni elementi, comunque, si erano già palesati nei prompt del giorno 5 (Soffocamento) e del giorno 9 (Prescription Dreams) del giorno 17 ottobre, l’ultimo pubblicato (Fare a pezzi). Spero si capisca dove voleva andare a parare il mio neurone fandomico, il neurone fanwriter non è mai stato il massimo quanto a chiarezza espositiva! XD

***

DISMANTLE INSTRUCTIONS

Certe cose erano inesorabili. Il sole e la luna si rincorrevano nel cielo. L’acqua cadeva dall’alto verso il basso. Le stagioni si susseguivano sempre con lo stesso ciclo. Il signore restava signore e lo schiavo restava schiavo – tra gli umani. Per le tzizimine, l’inesorabile era rappresentato dalla loro morte per mano del dio Xolotl, e la loro puntuale rinascita al calar della sera. La sorpresa di poter essere annientate anche dalla voce di una donna, che era discesa nel Mictlan molto tempo addietro, era stata presto soppiantata dalla consapevolezza di non poter resistere al potere di colei che era cambiata al punto da essere diventata simile a Xolotl, e divenne cosa inesorabile anche quella. Non si sorpresero, dunque, nel veder comparire lei, e non Xolotl, a cantare la sua richiesta di uscire e passare indisturbata. Richiesta! Come se avessero avuto la possibilità di negargliela, quando la voce corrodeva come acido la loro anima, consumandola. E così accadde anche in quel momento. La musica suonava così dolce alle loro orecchie, era perfetta come ultimo elemento che le Tzizimine avrebbero percepito prima della disfatta delle loro membra. Era il loro inesorabile destino.

Fu una notevole sorpresa, quindi, per una delle anonime demoni-stella, percepire la fine del canto e le parole della Signora dei morti. Aprì gli occhi: attorno a lei, vi era solo la cenere delle sue sorelle e la scheletrica figura della donna del Mictlan che le sorrideva in modo sinistro.

“Hai mai visto la luce del giorno?” chiese con tono apparentemente complice.

“No” sbottò la tzizimine. Nessun titolo né riverenza: i demoni-stella erano seguaci di Tzitzimitl, non del Signore del Mictlan, e l’essere assassinate dai suoi sottoposti ogni mattina non aiutava a distendere cordiali rapporti di buon vicinato.

“Bene, ora avrai possibilità di farlo, se tu farai una cosa per me” proseguì la donna. Era una piccola irregolarità nell’ordine del cosmo prestabilito, ma una piccola stella sarebbe stata del tutto invisibile nella luce del giorno: nessuno l’avrebbe notata.

“Sempre che tu sia d’accordo, naturalmente. Se non ubbidisci, ti rispedirò subito dalle tue sorelle; domani chiederò a qualcun'altra” concluse Mictlancihuatl.

Le donne erano creature curiose, tutte, anche demoni. La stella, che non avrebbe mai potuto vedere il giorno in circostanze normali, decise che non si sarebbe lasciata sfuggire un’occasione del genere, e la sua espressione fu abbastanza eloquente.

“Nessuno ti noterà, piccola e solitaria lucina nel manto azzurro. Dovrai essere discreta e avvicinarti al dio Quetzalcoatl. Consegnerai un messaggio da parte mia…”.

***

Quetzalcoatl non si era mai davvero reso conto di quanto tempo fosse passato dall’ultima volta che aveva camminato tra gli umani. Dopotutto, era stato distratto bene da Itztlacoliuhqui Ixquimilli: il dio della giustizia aveva svolto il proprio compito in modo eccellente. Il serpente piumato aveva lasciato una terra serena; ora, aveva appena iniziato a realizzare, costernato, la presenza di elementi caotici e inquietanti che avevano preso il sopravvento nella terra dei Mexica, e non solo in quella. La popolazione locale era stata piegata da uomini con un incarnato pallido, simile a quello degli abitanti del Quarto Sole e, casualmente, a quello di Quetzalcoatl stesso; questi ultimi avevano preso i tesori, le terre, la libertà dei Mexica. Per quanto il serpente piumato aborrisse saccheggio e guerre, non erano certo attività estranee alle popolazioni mesoamericane, e non poteva certo farne loro una colpa. Tuttavia, quanto fatto dalla gente con la pelle pallida sembrava andare ben al di là delle peggiori azioni compiute dai Mexica.

Il luogo dell’appuntamento a cui era stato convocato, con notevole stupore e sorpresa da parte del serpente piumato, era un mercato improvvisato dai forestieri. Quetzalcoatl avanzava guardandosi intorno. Era tutt’altro che ignorato dai coloni, e il dio  poteva ben immaginare il loro stupefatto pensiero: cosa diavolo ci faceva uno di loro vestito come quei selvaggi? Quetzalcoatl, agli occhi di quegli stranieri, doveva apparire come un tipo eccentrico ma, fortunatamente per lui, aveva i colori e il genere giusti (ovviamente, aveva fatto preventivamente sparire coda, piume e segni verdi dal suo corpo), quindi nessuno si era scomodato ad andare oltre la prima, scettica occhiata. Se fosse stata un’altra divinità, avrebbe fatto pagare a caro prezzo l’imbarazzo che quegli inferiori, con le loro occhiate, avevano osato fargli provare. Quetzalcoatl non era mai stato così severo con gli umani, nemmeno quando sbagliavano gravemente, se si esclude il “piccolo incidente di percorso” conseguente alla caduta del Secondo Sole. E, comunque, quella volta aveva iniziato Tezcatlipoca, tanto per cambiare.

Presto tutta la sua attenzione venne attirata da una giovane donna che stava contrattando qualcosa. Era una donna dall’aspetto dolorosamente familiare, che credeva non avrebbe mai più rivisto.

Indossava un abito rosso e un quechquèmitl, una mantellina nera di ottima fattura, a cui erano stati strategicamente rimossi gli ornamenti macabri che la indicavano come la Signora del Mictlan. Dei comodi sandali completavano l’abbigliamento e solo i grandi orecchini di fattura mexica tradivano l’agiatezza economica agli occhi delle persone, un lasciapassare per ottenere il rispetto di quella gente, oltre al bianco incarnato della sua pelle. La pelle chiara era stata una caratteristica peculiare di tutti gli umani dell’Era del Quarto Sole; dopo che le ossa erano state rovinate nella fuga rocambolesca di Quetzalcoatl dal Mictlan, gli umani avevano assunto per la prima volta fattezze e caratteristiche differenti, e a quanto pareva, l’incarnato pallido era stato riservato solo a una parte della popolazione, quella giunta con grandi case sul mare, da Occidente. I capelli della donna, ora nuovamente corvini, erano legati nelle alte trecce trattenute sulla testa da diversi fiori di cempasùcil arancioni, unico dettaglio che la distingueva dalla fanciulla amata dal serpente piumato nell’Era del Quarto Sole, che era stata solita lasciarli sciolti. A dimostrare la sua estraneità con la stirpe del Quinto Sole, forse, erano gli occhi: marroni, un colore normale in quel mondo, ma con linee sfumate tra il chiaro e il rossastro; i colori delle fave del cacao che Quetzalcoatl aveva creato per farne dono agli umani, ispirandosi proprio agli occhi della fanciulla.

“Ma i miei occhi sono uguali a quelli di tutta la mia gente” rise la fanciulla mentre rigirava quegli strani frutti tra le dita che, forse, erano tipici del villaggio del suo amato, una vita fa. “Ma sono stati i tuoi occhi ad avermi ispirato” le aveva risposto dolcemente il dio.

Un singolo anello all’anulare sinistro, usanza piuttosto inusuale sia tra le divinità che tra i Mexica, era stato strategicamente messo come monito forte e chiaro a eventuali inferiori che avessero avuto bisogno di ulteriori incentivi a non rompere le scatole a una donna sola. Era ricca, bianca, sposata molto probabilmente a un loro simile: una donna da non importunare, in pratica. Forse era quello il motivo per cui non erano riservate a lei le stesse occhiate meravigliate alla vista di quegli indumenti da selvaggia, che comunque facevano il loro dovere di coprire a sufficienza, a differenza del vestiario delle selvagge di bassa casta.

Incredulo, si diresse verso la sua direzione.

“Vi renderebbero molto poco, e, anche se riusciste a venderli, potreste avere problemi con i compratori, quando scopriranno che potranno vivere pochi mesi soltanto” argomentò con noncuranza la signora, mostrando dell’oro al mercante.

“Signora, questi schiavi sono in perfetta salute” azzardò a ribattere quella sgradevole persona, ma la baldanza andò presto a scontrarsi con la sufficienza nello sguardo della donna: sapeva che stava mentendo, e aveva ben cura di farlo capire al soggetto di fronte a lei con uno sguardo di puro scetticismo.

“Voi accetterete quanto vi ho appena dato: sarà difficile che otteniate di più, vendendoli” ordinò con risoluta calma, accennando alle persone nella gabbia “E voi mi farete avvicinare a quelle persone senza fare domande. Dopodiché, per la somma che è nelle vostre mani, mi aspetto che i loro corpi vengano cremati con il rispetto che meritano” aggiunse con tono che non ammetteva repliche.

“Signora, possono essere messi in una fossa con la benedizione del prete” ribatté l’uomo, infastidito dall’ incombenza che quell’estranea pretendeva per quei… subumani.

“Se volete essere reso colpevole di aver causato un focolaio di pestilenza, prego” il tono era gentile, eppure l’uomo si sentì rizzare i peli persino in posti che non pensava di avere, pervaso da un sinistro presagio.

“Strega” mormorò.

“Prego?” sibilò col sorriso tirato.

“I vostri abiti… i vostri occhi insoliti… le vostre parole… siete forse una strega?” chiese acquisendo un tono minaccioso. Non lo credeva veramente, ma aveva appena intuito che denunciare una strega non sarebbe stato una brutta mossa: avrebbe tenuto l’oro, non avrebbe perso tempo a bruciare gli schiavi e, anzi, magari li avrebbe pure venduti senza che quella femmina insolente avesse modo di accusarlo, impegnata come sarebbe stata a nascondersi o a essere torturata in carcere.

“A dire il vero, quel prete che hai citato prima, nella sua… cos’era la parola…omelia? Che roba è, boh… ci aveva definito diavoli. Ha un bel suono, ma non credo fosse stato un complimento, il suo” concluse con una risatina tutt’altro che divertita.

 “Io vad-” il mercante non concluse la frase: rimase gelato sul posto. “Oh no, tu non te ne vai” replicò alzando un dito verso l’uomo.  Quetzalcoatl stava osservando la donna avvicinarsi all’orecchio dell’uomo ed era anche in grado di sentire quello che stava mormorando. Era un canto dolce, sottovoce. Il mercante cadde come addormentato mentre la donna lo sorreggeva, prima di posarlo sulla sedia vicino. Quetzalcoatl era senza parole mentre pensava che fosse un vero miracolo che nessun altro avesse prestato loro attenzione. In effetti, dimenticava sempre che Malintzin era stata un’assassina, quando era ancora in vita. Una voce familiare lo destò dai suoi pensieri.

“Quetzalcoatl!”. Al contrario di Mictlancihuatl, Xolotl era rimasto nella sua forma divina, ma celato alla vista degli umani. Avrebbe potuto assumere anche lui sembianze umane e mischiarsi alla gente, se lo avesse desiderato. In verità, era una cosa che faceva assai raramente, dal momento che preferiva andare nel mondo degli umani per un unico motivo: portare con sé le anime dei defunti nel Mictlan. Guardava ora il fratello con sorpresa, anche se a Quetzalcoatl non era sfuggito un riflesso di puro sbigottimento nella sua espressione. Era forse spavento, quello che il serpente piumato aveva visto negli occhi del fratello?

“Non mi aspettavo di trovarti qui” commentò mentre prendeva le mani del fratello tra le sue e, in modo tutt’altro che casuale, lo spostava verso la sua direzione – togliendo Mictlancihuatl dal suo campo visivo.

“Sono stato via a lungo” replicò il serpente piumato, a disagio. “Non posso credere a quello che vedo. Se fossi stato qui, io..” cercò di voltare la testa, come a dare forza alle sue parole mostrando il mercato di schiavi alle sue spalle – e vedere se il fratello avrebbe proseguito con l’inganno che, secoli prima, aveva perpetrato ai suoi danni. Non rimase stupito nel notare il tentativo di Xolotl di non farlo voltare.

“Sarebbe successo comunque, neppure gli dei possono opporsi al destino” lo interruppe il fratello. “E il destino di questa povera gente è segnato” indicò i Mexica. “Il lavoro, nel Mictlan, è aumentato molto. Le trasferte lavorative si sono fatte più frequenti. Tutti ci stiamo impegnando a seguire le direttive del nostro Signore”. Rimase silenzioso per qualche secondo. “Quetzalcoatl, non è un buon momento. Ti prego, torna a casa”.

“Xolotl, sarebbe meglio che tu mi spiegassi cosa ci fa la Signora del Mictlan fuori dal suo Regno e, soprattutto, perché ha l’aspetto di Malintzin” sibilò serio.

Xolotl trattenne il respiro: Quetzalcoatl poteva sentire tutti mi muscoli tendersi all’improvviso anche senza percepire la stretta sulle sue mani farsi più ferree. Alla fine sospirò, teso. “Malintzin non esiste più. È Mictlancihuatl, adesso. Non chiedermi come sia potuto accadere, ma è stata sacrificata a Mictlantechutli, e pertanto chiamata a servirlo nel Mictlan. Ciò che posso dirti è che, ora, non conosce la sua vecchia identità, men che meno sa chi sei tu. Ha perso la memoria quando cadde il Quarto Sole. Mentre il Regno si riempiva di un numero abnorme di anime, lei vagava in stato confusionale. In fondo, anche la sua anima apparteneva a quell’Era, che aveva appena cessato di esistere. Per quel che ne sa, la sua vita è cominciata in quel momento, non rammenta nulla di quando camminava su questa terra. Successivamente, ha sposato il mio Signore, e ora viene onorata come la divinità che è.”

“Ma tu lo sapevi”. E me lo hai taciuto. Me lo avete taciuto tutti. L’avrei tirata fuori da lì.

“Fartelo sapere non avrebbe cambiato nulla, ti avrebbe reso solo più difficile voltare pagina. Mictlantechutli non rinuncia mai a ciò che è suo. Lo hai detto tu stesso nel Mictlan, quando hai reclamato quella follia” rispose il fratello, alludendo alla richiesta assurda che aveva fatto l’ultima volta che erano stati nel Mictlan.

“Ascolta, tu...”

“Xolotl! Sei già arrivato?” tanto erano prese le due divinità nella loro conversazione, che non avevano fatto minimamente caso a Mictlancihuatl che, terminati i suoi affari, si era avvicinata ai due.

Xolotl guardò appena dietro alle spalle della donna. “Signora, perché avete addormentato quelle anime? Sarebbero morte comunque. E per quale motivo avete aggiunto alla lista qualcuno che non era destinato a morire oggi?”. domandò Xolotl, notando il corpo del mercante che, almeno quel giorno, avrebbe dovuto restare vivo. I prigionieri sembravano addormentati.

Mictlancihuatl fece spallucce in modo assai poco regale.

 “Non era mia intenzione appesantire ulteriormente il tuo lavoro, Xolotl… anche se è quello che ho appena fatto, in effetti. L’agonia di quella gente sarebbe durata troppo a lungo” rispose la donna, facendo un cenno al suo fianco. Quetzalcoatl non poteva vedere le anime che attendevano con devota pazienza, ma Xolotl e la sua Signora sì.  “Molte persone hanno già subito tale sorte, e altre la subiranno, ma sai che il dolore rende il distacco da questa terra più difficile: se le anime non sono in pace, sarà più difficile per te portarli a destinazione. E diventerà più difficile, per il nostro Signore, gestire la loro tensione. Almeno quelli a cui faccio in tempo a dare una buona morte non daranno problemi”.

“Anche lui?” chiese amaro, accennando a uno spazio vuoto, accanto a lei, che per loro non lo era affatto.

“Il mercante? Potremmo definirlo un piccolo incidente sul lavoro” .

“Incidente che non ci sarebbe stato, che foste rimasta invisibile come fate di solito” Quetzalcoatl poteva ben immaginare che quello del mercante non fosse stato il solo incidente a cui si stava riferendo.

Mictlancihuatl ignorò deliberatamente l’osservazione con una poco regale alzata di spalle. Almeno, appariva meno austera del suo consorte. “Finiranno nelle fosse. Le loro ossa saranno disperse. Dovrò recuperare quelle già perdute, come da programma ma, a questo punto, mi procurerò anche le loro. Tu porta queste anime a destinazione, che poi ci servi ancora qui. Ci rivediamo nel Mictlan” e attese. Anche Xolotl attese. Quetzalcoatl guardò entrambi e attese. “Xolotl, è urgente. Ciao” salutò con la manina e, intanto, si allontanò dai due.

“Non posso restare, le anime hanno un lungo viaggio da fare. Per favore, torna a casa”.

“Certo, non preoccuparti” lo rassicurò. Come lo vide sparire, corse subito dietro a Mictlancihuatl.

“Bene, avevo quasi temuto che avessi vuotato il sacco con Xolotl. O che non avessi capito di dovermi seguire non appena lui se ne fosse andato” commentò senza fermare la sua passeggiata.

“Recuperate le ossa dei morti anche sulla terra?”

“Se non lo facessi, le ossa di coloro che non hanno ricevuto i riti funebri resterebbero disperse e le anime nel Mitclan non avrebbero pace. Per cosa credi che vengano custodite, per collezionismo?”

“Mictlantechutli ha lasciato intendere che fossero molto preziose”

“E perché sono preziose? Tu non sei quello più sveglio della famiglia, vero?” non rimase in attesa di vedere se Quetzalcoatl si fosse offeso per l’insinuazione. “Quando sei venuto a portar via le ossa, non siamo stati contenti, ma di questo te ne sei accorto da solo. Un tuo capriccio ti aveva dato l’arroganza di strappare quelle anime dal loro eterno riposo”. Era un’accusa ben più dura di quanto la sua voce aveva lasciato trasparire.

“Non c’era niente di male a ridare loro la vita” protestò debolmente. In effetti, pur sapendo di aver fatto una cosa buona, non poteva dire di aver fatto una cosa giusta: era inutile negare a se stesso di averlo fatto, dopotutto, per una sua volontà egoistica. Per quanto Quetzalcoatl avesse fatto passare la sua azione per altruismo, tutte le divinità facevano i loro interessi, e doveva ammettere che lui non faceva eccezione.

“In ogni caso, ormai era fatta, e noi non abbiamo potuto fare altro che recuperare le anime in comode rate. Tra l’altro, non è stato nemmeno l’unico casino che hai combinato... Quanto alle ossa della tua bella, dopo la sfuriata che hai fatto, ci ho pensato su e credo di aver capito dove sono finite. Tranquillo, stanno benone! Comunque, avevi ragione: a causa di un cavillo tecnico, non ti sono state consegnate. Né possono esserlo, in effetti”.

Quetzalcoatl, per poco, non inciampò per la sorpresa: non riusciva a credere che proprio lei avrebbe tirato fuori l’argomento.

“Quale.. sarebbe questo cavillo?” chiese cautamente.

“Già lo sai, lo hai detto anche durante la tua sfuriata. La tua bella è stata sacrificata, e nessuno può disporre di un’anima se non la divinità a cui è stata offerta. Capisco che tu non sia avvezzo al sistema, visto che sei schizzinoso e hai già fatto ben sapere che non gradisci sacrifici umani in tuo onore, ma che tu sia totalmente a digiuno dell’argomento rasenta quasi l’imbecillità”.

“Che ne è stato delle ossa di Malintzin?” chiese ignorando l’insulto che gli era stato appena rivolto.

“Se escludi Xolotl, le anime dei sacrificati diventano tutti servitori, a meno che il mio signore non decida di farne a meno, e allora li manda al loro eterno riposo assieme a tutti gli altri. Gli scorticati che avrebbero dovuto spiumarti la prima volta che sei giunto da noi erano alcuni di loro”.

“Dov’è Malintzin?” insistette il serpente piumato. Xolotl aveva ragione: la Signora non sembrava avere la minima idea che si stesse parlando proprio di lei.

 “Se chiedessi a Xolotl (davvero, di cosa parlate nel tempo libero, voi fratelli?!) sapresti che il mio Signore non prende donne al suo servizio (tra l’altro, gliene mandano proprio pochine, forse gli umani l’hanno capita che non le considera proprio). Vengono lasciate assieme alle altre anime – solo, non escono dal Mictlan. Sono vincolate a stare là. Fine della storia.”

Erano usciti dalla parte abitata, ormai non si vedeva nessuna persona sulla loro strada. Continuava a camminare verso chissà dove, mentre tornava alle sue originarie sembianze scheletriche e a una condizione celata all’occhio umano. Quetzalcoatl seguì il suo esempio. “Dovevo per forza ricoprire le mie ossa di ciccia, altrimenti la copertura sarebbe saltata. Ma lo stesso vale per le tue piume, dopotutto” .

“Avreste potuto mantenervi invisibile”

“Certo, avrei potuto farlo ed elargire un po’ di buona morte senza tante pantomime con quel mercante. È stato piuttosto sgradevole avere a che fare con lui e la sua gente” fece una pausa significativa. “Se il mio Signore ti avesse accordato quanto avevi educatamente richiesto, in questo momento saresti un bell’infante mortale che presto, sarebbe stato in balìa di questa gente, a provare sulla sua pelle cose che adesso puoi solo vedere, o immaginare, mentre sei al sicuro nella tua condizione divina. Perché dovresti rinunciare al ruolo che l’ordine delle cose ti ha destinato? Certo, potresti anche avere delle vite tranquille, ma trovo veramente stupido che tu voglia giocare d’azzardo con il destino”

“Ciò che scelgo di fare della mia vita non è una tua responsabilità”

“Può darsi”. La risposta colse di sorpresa il serpente piumato.

“Posso sapere, Signora, il motivo per cui sono stato convocato?” d’accordo, era stato invitato in mezzo al deprimente scenario della gente a lui tanto cara con l’anima spezzata per dargli un assaggio di vita futura, ma dove voleva arrivare?

“Il mio Signore potrà anche aver chiuso l’argomento, ma ti confesso che sono molto incuriosita. Hai fatto una richiesta davvero assurda e te ne sei uscito fuori con la pretesa di essere accontentato tirando in ballo la mancata restituzione delle ossa della tua amata mortale, tra l’altro lamentandotene fuori tempo massimo…” Mictlancihuatl non tradì alcuna espressione nel nominare se stessa in modo del tutto inconsapevole e questo aveva dato un velo di malinconia al serpente piumato.

“Il mio Signore si sentiva sicuro nel dirti che potevi prendere le ossa, anche se non aveva avuto, nemmeno per un secondo, la minima intenzione di dartele: a quanto pare, per lui era stato sufficiente omettere che non ti aveva dato il permesso di portarle via dal Mictlan. Non capisco perché non ti abbia semplicemente detto di no e mandato fuori dai piedi. Ma figurati se glielo andavo a chiedere, era incazzato come non l’avevo visto da tanto tempo! Ma tu sei riuscito a fuggire lo stesso… tecnicamente, le hai rubate, e non ti dovremmo proprio risarcire per la mancata consegna delle ossa che più ti interessavano. Eppure, ciò che non viene detto non può essere vincolante in un accordo, quindi, in realtà, ti ha legittimato a portarle via… e hai potuto vantare così il credito che hai preteso. All’epoca, non sapevamo di non aver onorato l’accordo: anche tu avevi omesso un particolare importante nella tua richiesta, dopotutto.  Avevi creato paradosso: tu avevi diritto di reclamare tutte le ossa dei morti del Quarto Sole, mentre il mio Signore aveva tutto il diritto di tenere per sé i sacrifici a lui dedicati, pur essendo deceduti durante il Quarto Sole”.

“Non sapevo che Malintzin fosse stata sacrificata. Non lo avrei permesso”. Gli fece male vedere che la donna non sembrava minimamente toccata da quelle parole: giurò di averla anzi vista alzare gli occhi al cielo.

“Ricapitolando: vanti un credito che non puoi riscuotere, quindi il cambio di richiesta, da parte tua, è stata la cosa migliore che poteva capitare! Ed ecco che arriviamo al nocciolo della questione: il motivo per cui sono qui. Hai chiesto di essere spedito come mortale nel mondo degli uomini? Ti ci mando io, egoista guastafeste che non sei altro! Ma prima, toglimi una curiosità: non avevi fatto in tempo a dirci per quale motivo desideri suicidarti”.

“Non è un suicidio!” protestò indignato.

“Esalerai l’ultimo respiro ripetutamente, incarnandoti un’esistenza dopo l’altra, il più delle volte, probabilmente, soffrendo – lasciatelo assicurare da una che è del mestiere. Senza contare poi il fatto che, molto presto, questa Era si concluderà… perché fai quella faccia? Lo sanno tutti che l’Era del Quinto Sole ha gli anni contati: le tzizimine sono chiacchierone, le voci giungono fino alle profondità del mio reame e il mio Signore sta già avvertendo che presto la vita sarà spezzata via” Mictlancihuatl tacque un momento, per dare il tempo al serpente piumato di afferrare il concetto “Quando l’era del Quinto Sole tramonterà, la tua sarà una comunissima anima, proprietà di Mictlantechutli per tutta l’eternità. È un periodo piuttosto lungo, sai? Oltre che una condizione irreversibile.” Concluse con piglio pragmatico.

“Io non voglio morire” ammise il giovane dio con sincerità “Lo faccio perché non voglio che l’Era del Quinto Sole perisca”.

Mictlancihuatl sospirò. “Se, la prima volta, avessi detto questo, forse il mio Signore ti avrebbe dato più retta. Per quanto brami di riavere indietro il suo tesoro, non credo sia pronto ad affrontare di nuovo il delirio accaduto alla fine dello Quarto Sole. Tutte quelle anime in stato di shock, arrivate tutte insieme! Anche Xolotl era stato sull’orlo di una crisi di nervi, non te l’ha mai raccontato?”

“No, a dire il vero, Xolotl sa essere molto riservato sulle questioni del Mictlan”.

“Ecco perché il mio Signore lo tiene in gran conto” Parve ragionare un momento. “No, non credo ti avrebbe accontentato. Anzi, probabilmente avrebbe respinto la tua richiesta per principio. Ce l’ha… ancora a morte con te per il furto” amava fare battute cretine.

“Non era un furto, mi aveva detto che potevo prenderle, me lo avete appena confermato voi!”.

“Stai parlando di Mictlantechutli, dal suo punto di vista rimane un furto bello e buono”.

“Ero serio quando dicevo che la sua fama sarebbe cresciuta, se vi fossero stati di nuovo gli umani in vita”.

“Dimmi piuttosto che ti eri stancato di ricreare l’umanità partendo da zero”.

“Meritavano di vivere”.

“Meritavano di riposare in pace” ribatté con tono da rimprovero. “Soprattutto quando il tuo obiettivo era di tipo puramente egoistico. Lo hai detto tu. Rivolevi indietro la tua donna”.

Quetzalcoatl ci rimase male: non era mai stato accusato di essere egoista, prima di allora, anzi. Era la prima volta che veniva definito in quel modo.

“E comunque, perché stai ancora parlando di lei? Non hai trovato qualcun’altra, nel frattempo? Oppure… qualcun altro? Persino gli umani riescono ad elaborare il lutto, col tempo!”.

“Non è questione di lutto. E nemmeno la volontà di riaverla indietro, quindi, vi prego, non tacciatemi di egoismo” mormorò Quetzalcoatl. Sinceramente, non sarebbe stato tenuto a dire alcunché a una dea con cui non aveva avuto alcun tipo di confidenza. Una creatura che non aveva alcun ricordo di essere Malintzin poteva essere ancora chiamata Malintzin? Non era solo una questione di aspetto fisico: il Mictlan aveva davvero ucciso la giovane fanciulla ingenua, e dai suoi resti era stata forgiata un’altra creatura.

Eppure, doveva dirglielo. Lei non avrebbe capito nulla, ma lui glielo doveva.

“L’amore che avevo provato per lei le aveva rovinato la vita. Il suo sacrificio alle festività in onore di Mictlantechutli non è stato un caso sfortunato. È stata colpa mia, volevano colpire me attraverso lei. Un puro dispetto. Volevo fare ammenda restituendo ciò che le era stato strappato e… chiedendole perdono”. Perché, alla fine, il punto era tutto lì: Quetzalcoatl non aveva mai dubitato della forza del sentimento che lo legava, attualmente, il dio del gelo e della giustizia, ma non aver avuto la possibilità di espiare lo faceva stare male.

Non avrebbe dovuto stupirsi del sospiro pesante, evidentemente scocciato, della Signora che lo stava guardando con evidente compatimento. Non empatico compatimento. Pietoso compatimento, che era peggio.

“Cambiamo argomento, ti prego. Hai detto che vuoi scongiurare il pericolo della fine del Quinto Sole. Non capisco come il tuo diventare mortale dovrebbe scongiurare il pericolo”.

“Non sarò io a farlo. Lo farà Itztlacoliuhqui Ixquimilli”. Mictlancihuatl si fermò di botto.

“Cos’ha fatto Itztlacoliuhqui Ixquimilli per meritarsi un simile destino?” chiese in tono mortifero.

“Mi ama, e io lo amo abbastanza da mettere il mio destino nelle sue mani”.

“Tu..! Tu sei davvero uno stronzo, Quetzalcoatl” replicò la dea con malcelato schifo. “Le persone che ami vengono colpiti dalle disgrazie! Dicono che sia stato tu a donare la capacità di amare agli umani, e l’amore fa fare loro cose che vanno al di là del bene e del male – spero che Itztlacoliuhqui Ixquimilli, in quanto divinità del giudizio e della giustizia ti abbia già cazziato a sufficienza per questo!”

“Sì… l’amore fa fare loro cose che vanno al di là del bene e del male” rispose Quetzalcoatl, intendendo in realtà molte cose.

“Oh, beh, l’amore per la tua bella mortale l’ha spedita direttamente sottoterra; per amor tuo, Itztlacoliuhqui Ixquimilli avrà l’ingrato compito di impedire la tua morte definitiva e questo perché tu ami troppo questa gente… sei sicuro che sia Tezcatlipoca il dio del caos!?”

“E ci ha pure incasinato la gestione del Regno!” Ricordava l’espressione corrucciata del suo Signore, seduto sul trono: la preoccupazione sembrava gravare fisicamente sulle sue spalle, incurvandogli la schiena. La servitrice che era stata Malintzin e a cui era stato proibito di usare il nome che non le apparteneva più –il suo nuovo nome, Mictlancihuatl, donna del Mictlan, non solo le aveva tolto le sue origini umane, ma le conferiva un totale anonimato, a fronte del suo unico pregio che le era stato riconosciuto al suo arrivo, ossia quello di appartenere a quel luogo per l’eternità – era avanzata nella sala delle udienze per fare rapporto.

“Le ossa degli ultimi trapassati sono state messe in sicurezza?” il sovrano aveva smesso da tempo il tono aggressivo che era solito rivolgerle nei primi tempi, quando era stato sinceramente convinto di aver avuto a che fare con una nullità grondante di superbia per essere stata l’amante di un dio – aveva fatto del suo meglio per punire la presunta peccatrice con la schiavitù e con l’impossibilità di ambire all’eterno e pacifico riposo delle anime che dimoravano nel suo Regno (un po’ noioso rispetto agli altri regni, ma meglio di niente). Solo dopo molto tempo  aveva realizzato che la fanciulla non aveva mai avuto la più pallida idea che il giovane che aveva amato fosse Quetzalcoatl, che era stata ingannata dal serpente piumato e, soprattutto che lui stesso era stato ingannato dalle parole di altre divinità, le quali avevano abilmente fatto in modo che non solo l’umana amata dal dio sparisse nel Mictlan, ma che non avesse alcuna possibilità di uscirne, qualora Quetzalcoatl avesse provato a fare dei tentativi in merito.

Lo sdegno del principio non venne mai scemato, semplicemente aveva cambiato direzione. Sfortunatamente per la fanciulla, non vi era stata alcuna possibilità di renderle il riposo a cui ogni anima aveva diritto – la permanenza nel Mitclan in una condizione di vita nella morte l’aveva portata a una lenta, inesorabile e, soprattutto, irreversibile metamorfosi, non solo fisica. Tuttavia, complice la devozione e il desiderio di fare quel che poteva per proteggere il tesoro del sovrano, era presto diventata una valida servitrice, ben al di sotto delle qualità di Xolotl, per certi aspetti, con tanti difetti legati alla sua origine umana, ma abbastanza abile, con la pratica e il conferimento di qualche piccolo potere, da poter dare un contributo alla gestione delle anime che dimoravano nel Regno.

“Lo sono, mio Signore” mormorò la servitrice, in ginocchio i segno di rispetto “nonostante questo, le anime sono sempre più inconsolabili. Questo rende il lavoro di Xolotl più difficile: faticano a lasciare il corpo,  faticano a seguire la via che viene indicata loro”.

Erano pochi i motivi per cui un’anima non era in grado di distaccarsi dalle preoccupazioni e abbandonarle definitivamente durante il trapasso. Un affare in sospeso, un grande rancore, i riti funebri non eseguiti. Se le ossa restavano disperse, le anime vivevano rimanevano sospesi in uno stato di agitazione perpetua. Le ossa saranno state pure di grande valore materiale per il Signore del Mitclan, ma tale valore diventava incalcolabile se associate ad anime serene. Sostanzialmente, era per questo motivo che Mictlantechutli era venerato dai Mexica. Era un Re: un sovrano non si limitava a comandare, ma proteggeva il suo popolo, e questo gli era riconosciuto. L’altruismo non c’entrava affatto: la questione, piuttosto, poteva essere riassunta con mantenimento dell’ordine pubblico. Un’anima serena era un’anima che non avrebbe fomentato disordini nel Regno e, nel frattempo, il sovrano si arricchiva. A contribuire alla serenità delle anime, vi era stata anche la scommessa della fanciulla sul recupero delle ossa disperse fuori dal Regno di Mictlantechutli, all’insaputa del sovrano, quando aveva compiuto il rischioso viaggio a ritroso che nessuna anima avrebbe potuto fare da sola – ma lei aveva smesso da tempo di essere una semplice anima. Da allora, Xolotl conduceva le anime verso la loro destinazione finale, e Mictlancihuatl ne recuperava e vegliava le ossa.

“Xolotl non può perdere tempo, le anime non possono restare nel mondo. C’è un ordine prestabilito da mantenere” sottolineò il sovrano.

“Sto cercando di aiutarlo il più possibile. Veglio sulle ossa, come mi avete comandato di fare, e, quando posso, cerco di dare una buona morte a chi è pronto”. Tra il canto di Mictlancihuatl, che non risultava dolce e letale solo alle Tzizimine, e il recupero delle ossa disperse sulla terra, era diventato inevitabile che fosse onorata tra i mortali come colei che donava la buona morte.

“Sta bene, purché non ti venga di nuovo in mente di giocare un altro scherzo di pessimo gusto a Xocipilli. Potesse farlo, ti avrebbe già fatta a pezzi. La prossima volta, potrebbe non bastare il fatto che tu sia una mia protetta”. Ebbene, anche lo scherzetto fatto a Xocipilli non aveva avuto altro fine che favorire una buona morte agli umani che la cercassero. Ma questa era un’altra storia.

“Sarò più prudente, mio Signore. Come desiderate” esitò un momento, prima di riprendere la parola. “Mi è concesso parlare, mio Signore?” . Il consenso giunse con una rapida alzata di mano.

“Xolotl mi ha detto che non è sempre stato così. Le anime erano più… leggere. Quale fardello ha appesantito i loro cuori?”. “Tu lo sai. Non era stato forse pesante anche il tuo, di cuore, quando sei giunta nel mio Regno?” La ragazza cercò di non manifestare disappunto al cospetto del suo Signore. Le aveva espressamente ordinato, in passato, di non menzionare mai la sua vita precedente ma, allo stesso tempo, non faceva che ricordagliela, quasi a voler indagare sulla qualità della sua memoria. “Non ricordo” rispose troppo precipitosamente.

“Non ricordi” ribatté scettico.

“…”

“Non mentire”

“… Signore, questo ordine contraddice quello che mi avevate dato in principio. Di dimenticarmi della mia vita precedente”.

“Rispondi alla domanda”

“…Ho amato. Questo aveva reso penoso il mio viaggio”.

Mictlantechutli parve ragionare con cura sulle parole appena udite, prima di riprendere a parlare: “Non è sempre stato così. È stato Quetzalcoatl a dare all’umanità la capacità dare e ricevere amore. Questo ha rafforzato i vincoli tra le persone… che resistono anche dopo aver esalato l’ultimo respiro”.

Da quando Quetzalcoatl aveva fatto questo dono all’umanità, erano iniziati i guai, nel Mictlan: chi sopravviveva alla persona amata, sperimentava per la prima volta il dolore del lutto; chi abbandonava quella terra era affranto nel lasciare i propri cari, soprattutto vedendoli così disperati. I sacrifici non erano più solo un momento di festa collettiva per tutti. A peggiorare la situazione, non era scontato che la morte avrebbe infine riunito le persone separate. Se l’ordine delle cose aveva stabilito una diversa destinazione a seconda del tipo di decesso, quale guerriero sarebbe andato ancora felicemente in battaglia, sapendo che avrebbe potuto non rivedere mai più la propria sposa, a meno che non fosse morta di parto? O il proprio figlio, se fosse morto in tenera età? O gli anziani genitori, se fossero morti per malattia o vecchiaia? Prima del dono di Quetzalcoatl, ciascun membro della famiglia avrebbe mantenuto il ricordo ma avrebbe mantenuto un progressivo distacco emotivo, godendosi la serenità, o la gloria, più o meno meritata. 

“I vivi temono sempre di più la morte, non la propria, ma quella dei propri cari. Temono di non rivederli più”.

“Si riuniranno quando moriranno anche loro!” protestò il sovrano.

“Sì, ma dopo quanto tempo? Il nostro tempo è eterno, quello degli umani  sembra un granello di sabbia nel deserto, ma quel tempo è tutto. E se saranno destinati ad altri reami a seconda del differente decesso, vivranno la pena della separazione” la fanciulla sembrava voler proseguire ma tacque. Tuttavia, per quanto stesse immobile, in posa ossequiosa, sembrava fremere di leggera impazienza..

“Se hai qualche suggerimento, esponilo senza girarci intorno” tagliò corto il suo re. La ragazza colse l’opportunità al balzo.

“Se, anche solo per poco, le anime potessero rivedere i loro cari, sapere che stanno bene e che stanno andando avanti con le loro vite, starebbero meglio, non credete? E pensate anche se i vivi sapessero che i loro cari hanno questa possibilità, non ne sarebbero lieti? Il legame affettivo non sarebbe più un problema anche se le persone si trovassero su due piani differenti dell’esistenza”. 

“Stai presentando la cosa come una banale visita al villaggio confinante. Esempi di vita vissuta, immagino”.

Mictlancihuatl abbozzò un tiratissimo sorriso. Una cosa doveva fare. Una. Non – accennare – alla – vita – in – superficie.

“È la cosa più stupida che mi sia mai capitato di sentire da molto tempo” sentenziò freddamente il sovrano “Ciò che dici è complesso da realizzare e potenzialmente pericoloso per l’ordine delle cose. Ammesso che il tempo delle visite sia breve, ammesso che i vivi non vedano né sentano i morti, come gestiresti un flusso così intenso di anime? Come garantiresti il loro ritorno? Come impediresti agli spiriti più ribelli di non nascondersi nella terra a cui non appartengono più?”.

Quelle parole avevano fatto abbassare la testa e le spalle alla donna come se le fossero stati posti dei pesi reali. Non era molto divertente passare per stupida, soprattutto se l’interlocutore non aveva remore a fartelo notare.

“Tieni conto di queste problematiche e analizza qualunque tipo di complicazione che potrebbe sorgere nell’assurda ipotesi che questo progetto venisse realizzato. Ragiona sulle possibili soluzioni, poi esponimi le tue conclusioni”. L’ordine sembrava così surreale che Mictlancihuatl pensava di esserselo sognato. Mictlantechutli sembrava aver intuito l’incredulità dell’espressione della sua servitrice, e concluse:  “Spezzare i legami affettivi sarebbe ancor più complicato, se non impossibile, da attuare. Però qualcosa va fatto. Sono disponibile a sentire tutte le proposte, purché abbiano senso”. La situazione si era fatta così complessa che il Signore del Mictlan sarebbe stato disposto a sentire persino il suggerimento di una donna mortale, se si fosse rivelato fattibile.

Apportate le migliorie richieste, Mictlantechutli era rimasto ancora parecchio scettico sulla questione. Nella teoria, tutto sembrava perfetto, e avrebbe potuto aver maggior fiducia se non fosse stato per i sentimenti degli umani: un elemento troppo caotico per poterlo considerare una variabile controllabile. Aveva pertanto accondisceso ad un unico tentativo, e di Mictlancihuatl sarebbe stata l’onere di attuarlo, essendone stata lei l’artefice. Avrebbe passato l’eternità a raccattare ogni singola anima fuggita, se avesse fallito.

Tutto il resto, beh, è risaputo. Il periodo prescelto per l’esperimento? Le festività in onore di Mictlantechutli (“Mio Signore, è una festa in cui si festeggiano i morti, e voi non li fate partecipare?”). Il modo per raggiungere la terra dei vivi? Attraversare a ritroso, senza Xolotl, le valli piene di pericoli non era proprio possibile, sarebbe stato meglio costruire un bel ponte temporaneo – e non avendo la donna dimestichezza con la carpenteria, aveva scelto di usare l’unico materiale che poteva manipolare a suo piacimento: i petali di cempasùcil. Quei petali erano a lei profondamente legati: aveva potuto rintracciare ogni singolo petalo che aveva abbandonato durante il suo viaggio verso il Mictlan, petali seminati inconsapevolmente ma che si erano rivelati una traccia utilissima per uscire dal Regno senza l’aiuto di Xolotl – la cosa era stata successivamente sfruttata dal suo Signore per farle fare le trasferte di lavoro, ossia il recupero delle ossa. L’ottimizzazione delle risorse umane e divine era eccellente, in mano a Mictlantechutli. I petali tornarono utili non solo per il ponte: al momento della trasferta, ogni anima avrebbe avuto un petalo a fungere da rintracciatore, per sicurezza.

A dispetto dei sospetti del loro Signore, nessun defunto osò mancare al rientro. I sentimenti umani si erano rivelati davvero la variabile non controllabile, ma non come aveva pensato il Signore dei morti: la gratitudine per il felice dono che avevano ricevuto aveva prevalso sul desiderio di fuga. Anche il terrore per le eventuali ripercussioni, in caso di disobbedienza, aveva contribuito in parte, a onor del vero. Visto il successo dell’impresa, Mictlantechutli aveva acconsentito a mantenerla stabile. Le preghiere dei mortali sarebbero state più ferventi e avrebbero garantito al Mitclan quell’energia che avrebbe formato il ponte di cempasùcil per i secoli a venire.

A Mictlantechutli non era sfuggito il significato sotteso all’utilizzo di quei fiori da parte della ragazza, al di là della loro effettiva praticità. Erano stati un dono di scherno di Xocipilli, destinato a sparire nel Mictlan assieme a lei, e invece il dio se li sarebbe visti sbattere ovunque sulla terra, a testimoniare la resilienza di qualcuno che aveva voluto vedere spezzato e che, invece, avrebbe guadagnato la sua rivincita.

 

“Non ne posso più!” sbottò il serpente piumato, zittendo con involontaria malagrazia la sua interlocutrice.

“Sono stanco, Signora. Stanco di subire inganni da coloro a cui avevo riposto la mia fiducia, stanco di ferire le persone a me care, stanco di sentirmi in difetto come sono ora. E, per quanto mi addolori vedere come il creato stia andando allo sfacelo per il male che gli umani si fanno gli uni con gli altri, non sopporterei di vederli perire di nuovo. Non è davvero colpa loro. Non sopporto di vederli soffrire quando il responsabile non paga pegno per essersi voltato dall’altra parte perché… troppo distratto…! E, in quanto responsabile per non aver vegliato abbastanza su chi avevo fatto tornare in vita, su chi ho strappato dal loro riposo, per dirlo con parole vostre, vorrei pagarlo, questo pegno, accollandomi parte della loro sofferenza, vivendola come loro” piangeva, ma non se ne vergognava.

“Tu… sei un idiota” mormorò la Signora con molta meno acrimonia, come a constatare un dato di fatto, non come insulto. “E io ti do pure retta” emise un profondo sospiro, prima di continuare “ Il mio sposo può tollerare il peso di un debito, ma io no. Benché sua consorte, non sono certo priva di potere. Avrai ciò che hai chiesto”.

“Perché dovreste andare contro una decisione di Mictlantechutli? Lo state facendo di nascosto: anche Xolotl sembrava all’oscuro delle vostre intenzioni”.

“Non mi piace affatto che il mio Signore abbia un debito con chicchessia, e ancor meno il fatto che non abbia intenzione di saldarlo. In un contratto, non sta bene né ricevere troppo, né ricambiare con troppo. Bisogna bilanciare altrimenti si rischia di intaccare il corpo terreno, il destino, l’anima. Nessuno è tanto speciale da non rientrare nell'ordine delle cose, nemmeno una divinità”.

“Quindi lo state facendo per lui…”

“Non vedo la ragione per cui dovrei farlo per te” replicò asciutta. “Vuoi impedire all’Era del Quinto Sole di tramontare definitivamente? Benissimo, meno lavoro per noi! Vuoi affidare la sorte tua e di tutta l’umanità a Itztlacoliuhqui Ixquimilli? A me sta bene. Ho molta fiducia nel suo giudizio”. Quetzalcoatl non avrebbe dovuto stupirsi nel sentire parlare così la donna: ironicamente, Malintzin era sempre stata più devota al dio della giustizia che non al serpente piumato, quando era in vita. In effetti, la sua esistenza era stata pesantemente influenzata dalla giustizia, quando aveva scelto di sporcarsi le mani con un omicidio ritenuto necessario, e rischiando di conseguenza una condanna a morte, quando avrebbe potuto voltare la testa dall’altra parte. Se lo avesse fatto, il serpente piumato non l’avrebbe mai notata. La dea avrà pure perso i ricordi della sua vita precedente e la sua spensieratezza, ma Quetzalcoatl era grato di vedere che almeno qualcosa della sua vecchia personalità era rimasta.  

“Comunque! Mica sono cose che si improvvisano così. Mi servirà una parte della futura anima mortale come pagamento. Metà circa, ma tranquillo, potrai sopravvivere senza problemi. Anzi, non te ne accorgerai nemmeno” proseguì la donna, distogliendolo dai suoi pensieri.

“Come, pagare? E il credito?”

“Non mi stai chiedendo di creare un chihuahua dal nulla. Cosa ho appena detto? In un contratto, non sta bene né ricevere troppo, né ricambiare con troppo. Se vuoi un grande incantesimo, devi darmi un grosso pagamento. Anche perché… non è che abbia tutto questo gran potere, resto comunque una consorte, quindi mi serve quella tua benedetta anima” concluse con riluttanza. Dopotutto, non era piacevole ammettere che il proprio potere non fosse innato, ma che provenisse piuttosto da quello assorbito nel Mictlan, oppure da quello ereditato con il matrimonio.

Arrivati al momento di congedarsi, e ottenuto quello che voleva, Quetzalcoatl non seppe trattenersi. “Voi state bene?”

“Ehm.. sì?” rispose perplessa la Signora.

“Voglio dire… e perdonate la mia sfrontatezza… voi siete felice?”

“A te cosa cambierebbe conoscere la risposta?”  chiese, non celando affatto il fastidio per una domanda così inopportuna e personale.

Quetzalcoatl non sapeva come rispondere a quella domanda, ma Mictlancihuatl sembrò accontentarsi della sua espressione sinceramente preoccupata.

La Signora dei morti sospirò “Non so come tu consideri un giuramento, ma posso garantirti che io lo prendo seriamente. Non permetterei mai che mi venisse fatto con superficialità, o che venisse tradito” aveva omesso di dire di nuovo “e il mio Signore prende con estrema serietà le promesse che ci siamo scambiati. Ti sia sufficiente sapere questo.”

 

***

Il suo Signore non sarebbe stato all’oscuro a lungo e, quasi sicuramente, non sarebbe stato contento di veder accollato un suo debito dalla moglie. Non era avvezzo alla clemenza, ma certamente l’avrebbe perdonata, qualora avesse saputo che l’aveva fatto solo per il suo bene, come aveva sempre fatto. Dopotutto, gli voleva bene. Mica l’avrebbe sposato, altrimenti.

In quanto creatura in grado di amare, non era stato impossibile scorgere del buono dietro all’austerità del Signore dei morti, per lo meno dopo che era caduto l’equivoco sulla sua presunta superbia. L’aria da tiranno gli era rimasta, ma sembrava essere frutto del un senso del dovere e del rigore che, a quanto sembrava, era necessario per assicurare una certa stabilità nel Regno dei morti. Ed era anche giusto, qualità che lei apprezzava da sempre. Ok, aveva tutta l’aria di essere un accumulatore compulsivo di ossa umane, ma nessuno era perfetto, nemmeno una divinità, e fintantoché la veglia sul suo prezioso tesoro aveva l’effetto di dare benessere ai morti, era una bella cosa. Per il bene che lui faceva, quindi era giusto che lei contraccambiasse affinché stesse bene anche lui.

L’impalpabile barbagianni a cui aveva dato forma, partendo dalla forma del pagamento ottenuto dal serpente piumato, svolazzava intorno alla sua creatrice, che lo scrutava con occhi pensosi.

“Sarai la parte dell’anima che custodirà le memorie di Quetzalcoatl” lo istruì “e sarai sempre distaccato dalla sua parte cosciente. Gli sarai sempre vicino, come suo custode, se dovesse sentirsi troppo smarrito. Sarai la sua buona sorte”. Da tempo aveva smesso di provare risentimento per la divinità che aveva amato nei tempi passati e da tempo aveva compreso che, a differenza di suo marito, non gli serbava più alcun rancore. Ne aveva provato molto, all’inizio: i primi tempi nel Mictlan erano stati caratterizzati da profonda infelicità, e la colpa era stata sua. Per quanto platonica fosse stata la loro relazione, si era sentita ingannata, usata. Ma, in fondo, anche saper perdonare era una forma d’amore, e non poteva ignorare che amare lui era stata una condizione indispensabile per conoscere, in seguito, suo marito.

Era stato facile mantenere un atteggiamento distaccato, quanto l’aveva dovuto esercitare nel tempo, per non cadere nei tranelli verbali di Mictlantechutli, atti a verificare se davvero ella non avesse serbato più alcun ricordo della sua vita passata! Ormai, il vecchio amore di un’umana poco più che bambina era un lontano ricordo, ma non per questo avrebbe augurato alcun male al serpente piumato. Averlo visto così rammaricato per la sorte che le era toccata aveva convinto la donna che aveva fatto bene a mantenere quella recita: aveva visto che stava bene e, a modo suo, aveva persino avuto l’occasione di scusarsi. Ora, entrambi avrebbero potuto chiudere quel capitolo della loro esistenza. Provava pena per la bionda divinità: sembrava soffrire davvero molto. Donargli l’oblio relegando le sue memorie in una parte separata della sua anima le era sembrata una buona idea: vivere da mortale, nei secoli a venire, con un simile fardello non sarebbe stato il distacco che il dio andava cercando. Era preoccupata anche per Itztlacoliuhqui Ixquimilli: Quetzalcoatl sarà stata pure una divinità amabile, non era affatto qualcuno facile da amare.

“Possano i tuoi desideri realizzarsi, in questa vita o nelle prossime. Cretino”.

***

Lo schiaffo che aveva stampato in faccia a Xolotl era risuonato secco nel vuoto della caverna e questo aveva compensato la mancata possibilità, per Mictlancihuatl, di vedere l’effetto della sua azione con gli occhi, coperti da un velo di lacrime che stavano scendendo copiose, tuttavia era stata ben lungi dal procurarle qualche soddisfazione.

Mictlancihuatl sapeva che sarebbe stato rischioso mostrarsi in giro con Quetzalcoatl ed era convinta che sarebbe stata la stella lasciata a zonzo in pieno giorno a parlare, oppure qualche altra divinità con velleità da comare pettegola a fare la spia. Invece, il pettegolo era stato proprio il “fedele servitore”, quello che teneva nascoste cose importanti al fratello ma le stupidaggini le riferiva subito, permettendo a Mictlantechutli di far crescere la sua rabbia per la sua ennesima disobbedienza. In quell’occasione, la donna aveva infatti contravvenuto, in una volta sola, a tutte le ammonizioni che il marito, nel tempo, le aveva dato: era uscita dal Regno per qualcosa che non aveva a che fare con esigenze lavorative; non solo era entrata in contatto con altre divinità, cosa potenzialmente pericolosa per lei, ma aveva lei stessa organizzato un incontro, proprio con la divinità che, più di tutte, avrebbe dovuto tenere alla larga – notizia elargita dalla stella lasciata a zonzo, che era stata facilmente intercettata e interrogata da Xocotl, da sempre fedele prima al gemello, e poi a tutti gli altri; infine, cosa ancora più grave, la donna si era intromessa in una sua decisione, realizzando per Quetzalcoatl ciò che il Signore del Mictlan si era rifiutato di esaudire. Questa colpa andava ben oltre le intemperanze compiute quando era solo la sua servitrice: fuggire dal Mictlan, la prima volta, senza il permesso del suo re, a recuperare le ossa, per il benessere delle anime; rubare gli oppiacei a Xocipilli, per facilitare il trapasso di chi non aveva altro destino che restare intrappolato nell’agonia dell’epilogo della propria vita; concentrare tutta la propria energia per consentire una temporanea trasferta delle anime a beneficio dei legami affettivi durante le festività terrene in onore dei defunti. Si era salvata dalle punizioni perché, effettivamente, le sue azioni avevano portato davvero maggior efficienza nella gestione delle anime nel passaggio da un Regno all’altro e nel mantenimento dell’ordine. Era stata tuttavia accusata di non aver mai dimenticato le sue origini umili, di aver conservato caratteristiche troppo umane in una forma divina che non poteva essere altro che un elemento caotico, in un luogo rigoso come era il Mictlan, assai severo nel mantenere l’ordine prestabilito, tra cui la necessaria separazione tra vivi e morti. Fu per questa accusa, per l’ossessione che Mictlantechutli sembrava avere verso l’umanità della moglie, che quest’ultima si era avvalsa dello stratagemma della memoria perduta.

Stavolta, non ci fu alcun perdono.

“Ma io l’ho fatto per voi. Non volevo che teneste sulle vostre spalle il peso di un debito non saldato. Me lo avevate detto voi che non è salutare. Ho pensato unicamente al vostro bene” aveva mormorato, incredula.

Non le aveva creduto. Le sue parole erano così velenose, così rancorose, ma perché?

L’aveva accusata di disobbedienza, ma le sue azioni erano state dettate solo dall’amore che provava per lui.

L’aveva accusata di tradimento, ma come avrebbe potuto farlo? Quetzalcoatl era il passato, aveva persino finto di dimenticare la sua vita precedente per tranquillizzarlo in tal senso, e anche questo escamotage, alla fine, le si era ritorto contro.

L’aveva accusata di essere una presuntuosa, ma da quando in qua offrirsi di pagare un debito che gravava sull’anima della persona amata era segno di presunzione, seppur fatto all’insaputa del beneficiario?

Nessuna parola aveva scalfito la rabbia del suo Signore che l’aveva infine reclusa nel Mictlan, con la proibizione assoluta di fare alcunché perché, le disse con voce cattiva, aveva fatto abbastanza.

“Mi state mettendo in castigo come una bambina stupida? È dunque così che sarò trattata da voi, d’ora in avanti? Oppure mi avete sempre considerata tale?”.

Scacciata, aveva passato giorni interi a chiedersi cosa avesse sbagliato, non trovando tuttavia alcuna risposta logica; passava i giorni avendo come unico interlocutore il suo secondino, una tarantola particolarmente osservatrice tra i membri della corte del suo sovrano, da cui era sorvegliata a vista e da cui, ovviamente, non riceveva alcuna risposta. Ormai, il suo Signore non perdeva il suo prezioso tempo a rivolgerle la parola. La sua vita era diventata quasi peggiore rispetto a quando era giunta nel Regno. Il suo Signore era tornato ad essere crudele, seppur in modo diverso; il suo cuore era tornato a sanguinare per amore, seppur donato ad un altro uomo; era tornata ad essere impotente, non potendo più aver cura delle ossa.

Ma una vita che non veniva vissuta, non aveva senso nemmeno tra le divinità.

Gli dei potevano morire, pur rimanendo immortali. Semplicemente, cambiavano forma. Dopotutto, Mayahuel non aveva smesso di vivere davvero, seppur trasformata in pianta di agave. Nanauatzin e suo fratello erano diventati il sole e la luna, perdendo la loro forma originaria, dopo essersi gettati volontariamente nel fuoco.

E, a quanto pareva, una divinità poteva morire di crepacuore. Costretta nella passività, diventava sempre più difficile controllare il proprio potere, non foss’altro perché non aveva più un motivo per farlo.

Mictlancihuatl non lo aveva fatto apposta. Semplicemente, aveva replicato l’ultima magia che aveva realizzato senza neppure accorgersene. Il suo ultimo pensiero razionale fu che, forse, era stato meglio così. A quanto pareva, era stata una servitrice decente, ma una pessima moglie. A Mictlantechutli non sarebbe dispiaciuto se avesse tolto il disturbo, dopotutto.

***

La memoria era sempre stata a cuore a Mictlancihuatl. Aveva avuto la massima cura di quella dei mortali, nel loro passaggio verso un diverso piano dell’esistenza. L’aveva manipolata, donando a Quetzalcoatl l’oblio che andava cercando. Ci aveva persino giocato, fingendo di aver perduto i ricordi della sua vita da mortale per non venire accusata di essere guidata, nelle sue azioni, da difetti umani.

Quale miglior contrappasso, per l’anima mortale che avrebbe custodito quella divina, che veder scomparire davvero la propria memoria? Niente di che, all’apparenza, visto che diverse divinità avevano avuto modo di dimenticare, del tutto o in parte, la loro vita passata. Anzi, in fin dei conti, appariva come bel risarcimento per la vita di Malintzin precocemente spezzata, oltre che per l’esser stata defraudata del suo diritto all’eterno riposo, una volta deceduta: avrebbe potuto godersi finalmente la vita, una vacanza lunga cinquecento anni nella più beata ignoranza. Ma Mictlancihuatl avrebbe avuto ancora così tante cose da dire… e stavolta le aveva dimenticate sul serio.

Si dice che tutta la tua vita ti scorra davanti quando stai per morire… ed era vero. Solo che, per tutte le  divinità, era davvero tutta la vita precedente. Per Mictlancihuatl valeva l’esatto contrario. Tornata nuovamente mortale, aveva vissuto spensierata una vita dopo l’altra, con gli ovvi alti e bassi dell’umana esistenza. Poi, verso i diciassette-diciotto anni circa, iniziava a vedere cose che non avrebbe dovuto vedere, avvertire sensazioni strane, a fare incubi incomprensibili. Infine, un normale giorno d’agosto, i ricordi ritornavano, e con essa la consapevolezza. Non aveva quasi mai il tempo di realizzarlo pienamente.

L’ultima volta era avvenuta una sera d’agosto del 2000, quando venne investita mortalmente da un’auto che era andata a schiantarsi a folle velocità sulla piazzetta dove un gruppetto di adolescenti stava commentando il film appena visto al cinema. Diciotto anni prima, in una soleggiata mattinata d’agosto al mare, aveva fatto un salto azzardato dalla scogliera e, sfortunatamente per lei, l’acqua non era stata così profonda come lei aveva creduto… poi ci furono l’incidente in moto, l’incendio in una discoteca attrezzata con dispositivi di sicurezza obsoleti, l’avvelenamento da monossido di carbonio per colpa di una stufetta difettosa, un increscioso caso di malasanità… e così via, ogni diciotto anni, sempre nel mese di agosto. A quel punto ricordava tutto… ma non aveva la possibilità di dire quello che doveva dire, costretta nell’agonia dell’ultimo respiro… e comunque, raramente aveva avuto la fortuna di avere, accanto a sé, la persona con cui avrebbe tanto voluto parlare. Esistenze diverse, fine vita sempre varie, un unico punto in comune: avere tutta la vita davanti, e non riuscire a viverne neppure una fino in fondo.

Alla divinità dei legami affettivi, mantenuti saldi tra due piani dell’esistenza attraverso il ricordo delle persone amate in vita, era stato impedito di mantenere i suoi, di affetti. Nel momento in cui il ricordo li avrebbe fatti riaffiorare, sarebbe sopraggiunto il decesso: non solo sarebbe stato cancellato nuovamente l’antico affetto, ma sarebbero stati spezzati anche gli affetti creati nella vita corrente. L’estremo meccanismo di difesa: se non puoi ricordare, non puoi amare; se non puoi amare, nessuno potrà farti soffrire di nuovo. Fortunatamente per lei, non era consapevole di nulla. Si godeva la vita e gli affetti stabiliti durante l’attuale esistenza. Il peso del ricordo era stato lasciato agli altri.

Alma avrebbe potuto parlare. Esqueleto ti metteva nelle condizioni di rammentare il tuo passato, se eri abbastanza pronto ad ascoltarlo: così aveva detto a Mordecai, ed era vero. Dopo cinque anni a contatto con il potere, la bambina non ricordava tutto (guai a lei, se fosse successo!) ma ricordava abbastanza. Di quel che ricordava, la bambina non sembrava toccata da nessuna delle emozioni che Malintzin, o Mictlancihuatl, potevano aver provato, come fossero stati ricordi estranei appartenuti ad un’altra persona. Alma sapeva cosa Mictlancihuatl avrebbe voluto dire, se solo avesse potuto, ed era abbastanza in salute per poter riferire il messaggio al suo destinatario: mi dispiace, mi sei mancato. Sfortunatamente, o fortunatamente, la bambina non aveva alcun interesse a farlo. Parlare alla persona che l’aveva rinchiusa lì dentro? Sul serio? Quelle parole non le appartenevano più. Ormai era al corrente dei motivi che avevano portato Dorian ad allontanarla dalla sua casa, razionalmente lo capiva, ma al suo cuore di bambina non interessava.

Anche quando aveva rivisto Mordecai, lo aveva riconosciuto, ma stop. Era stato il suo ex ma, ormai, il ragazzo gli faceva solo una superficiale tenerezza, forse giusto un po’ preoccupata nel vederlo così spaesato e preoccupato, quindi ok, si faceva una chiacchieratina ma poi arrivederci, è stato bello avere a che fare con qualcuno non pericoloso e che fosse ancora vivo. Ovviamente voleva che anche Mordecai restasse vivo e vegeto, sennò col cavolo che sarebbe mai più uscita da lì! Jason e Moravich? Era stato antipatico, da parte delle due divinità, mettere nei guai Mictlancihuatl, ma ciò che stava davvero sulle scatole alla bambina era quel che avevano fatto in quella vita, averla portata via con l’inganno. Quanto a Dorian… beh, meglio lasciar perdere. Ormai, Alma era ormai quanto di più lontano dalla vecchia se stessa. Per quel che ricordava, almeno.

 

Mictaltechutli non riceveva molte visite dalle divinità, e ne era lieto. Due visite del serpente piumato erano state più di quanto avrebbe solitamente tollerato. Itztlacoliuhqui Ixquimilli era consapevole di giocare col fuoco, ma non aveva avuto altra scelta che contattarlo, se voleva capire cosa era successo a Quetzalcoatl al termine della loro discussione. Rimase dunque assai sorpreso nel sentirlo non solo disposto ad ascoltarlo, ma anche a fare molto di più.

“So cosa ha fatto quell’imbecille del tuo compagno. Se è il mio aiuto che cerchi, ti farò un’offerta che non potrai rifiutare”.

Se Rigore e Giustizia, ben ligi al mantenere l’equilibrio, avessero teso la mano al caos generato dall’Amore e dalla Compassione, forse il sovvertimento dell’ordine prestabilito non sarebbe stata una pura follia dettata dalla disperazione.

 

 

 

Piccole note sulle scelte narrative

Mictlancihuatl: nell’unica immagine della Signora del Mictlan che ho trovato, teneva la bocca spalancata. La didascalia diceva che mangiasse le stelle per farle sparire dal cielo durante il giorno (un ruolo simile a quello di Xocotl nel fumetto) ma confesso che l’immagine che mi aveva fatto venire in mente era quella dei macrofagi di Siamo fatti così XD. Ho preferito quindi trasformarla in una sorta di Jigglipuff (sì, il pokemon), visto che, in fondo, esistono leggende su musiche che portano alla morte. Anyway, da una iconografia simile, posso dedurre che Mictlancihuatl potesse uscire dal Mictlan. Avevo inoltre letto che, in un’altra versione dei miti che la riguardano, andava lei stessa a recuperare le ossa disperse sulla terra per portarle nel Mictlan e custodirle là assieme alle altre, tale versione viene affermata anche in questo interessantissimo video à https://www.youtube.com/watch?v=s28sYCF5-Ak&t=877s . Queste informazioni mi avevano portato dunque a scegliere di mandare a zonzo la Signora per “trasferte lavorative” autorizzate.

Nei vari siti internet, inoltre, tutti son concordi nel considerarla l’origine della Santa Muerte messicana. Influenzata da Coco e da Il libro della vita, dove era importante che i morti venissero ricordati, mantenendo un legame basato sull’affetto, ho mantenuto questo aspetto anche per Mictlancihuatl. Poi, ho letto questo su Wikipedia e niente, ho volato alto: “Secondo la credenza popolare, invocarla o votarsi ad essa senza un valido motivo, sarebbe considerato un atto estremamente pericoloso se compiuto in maniera superficiale ed effimera. Si pensa che il castigo per un simile gesto, così come per una promessa fatta non mantenutale, verrebbe ad essere la morte, non propria, ma di una persona cara” . Ecco perché avevo scelto di fare della memoria e dei legami affettivi il centro delle azioni di Mictlancihuatl (come avevo già scritto per Felipe e Santos, tutte le divinità, nella vita mortale, subiscono un contrappasso più o meno pesante) ed ecco perché lei, alla fine, è “morta di crepacuore”. Dorian è stata la prima vittima di quanto descritto nella credenza popolare.

Nota su alcune frasi di Mictlancihuatl: alcune sono palesemente prese dalle citazioni immense di Yuuko Ichihara ̛♥ nel primo volume di XXX Holic! Lasciatemele usare senza biasimarmi, vi prego! Ecco le frasi originali: “Quando si riceve qualcosa è essenziale, anzi necessario, compensare con qualcosa di egual valore. Non sta bene né ricevere troppo, né ricambiare con troppo, né dare in eccesso, né in difetto, ma solo l’equivalente. Bisogna bilanciare altrimenti si rischia di intaccare il suo corpo terreno, il destino dei suoi astri, l’anima del cielo”. “Nessuno è tanto speciale da non rientrare nell'ordine delle cose”.

Un ultimo appunto su Quetzalcoatl che, nel non accorgersi che la popolazione mesoamericana stava soffrendo, sembra fare un po’ la figura del pirla. Nel mito, comunque, sembra che la presenza del dio fosse effettivamente venuta meno, ad un certo punto, sempre per colpa di uno scherzetto di Tezcatlipoca, tant’è che, quanto comparve Hernan Cortés, quest’ultimo sembra fosse stato scambiato per il serpente piumato, complice la pelle bianca e una profezia sul ritorno del dio che, fatalità, cadeva proprio nell’anno dell’arrivo dei conquistadores spagnoli. Che culo.

 

 

 

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Capitolo 12
*** Giorno 27: piece by piece (pezzo dopo pezzo) ***


Giorno 27 ottobre: piece by piece (pezzo dopo pezzo)

Disclaimer: Il mio neuroncino fanwriter è partito per la tangente, con le ipotesi su Esqueleto e i suoi abitanti, chiaramente tutto cadrà come un castello di carte quando avrò tra le mani il terzo volume, e non vedo l’ora che ciò avvenga presto. Mi ero già dilettata in passato, con Thomas, Mattie e Franklin, oggi riprovo a fare il mio gioco preferito: la caccia alla divinità azteca, ossia indovina quali sono le altre divinità nascoste dietro a insospettabili umani.

 

 

 

 

Esqueleto, in senso lato, potrebbe essere descritta come una prigione, dal momento che era materialmente impossibile uscire dalla città e che si era costantemente sorvegliati. Questo poteva apparire snervante nei primi tempi di detenzione, soprattutto se avevi avuto una vita, o una famiglia in angoscia per la tua scomparsa, fuori da Esqueleto, ma quando finalmente ci si faceva l’abitudine, le calacas di Emanuel diventavano presto un trascurabile elemento del paesaggio circostante. Inoltre, a differenza di una normale prigione, dentro i confini di Esqueleto potevi fare praticamente tutto quello che volevi, stando ovviamente bene attento a non pestare i piedi a qualcuno che aveva il potere di farti pagare caro l’affronto. Se poi la tua famiglia era reclusa insieme a te, almeno l’angoscia diventava più gestibile, anche se non svaniva mai.

Valiant aveva sempre aspirato a una vita tranquilla, modesta ma dignitosa. Divenuto prigioniero della città, aveva avuto il rimpianto di non poter allevare altrove i suoi figli. Esqueleto non era precisamente un luogo adatto dove crescere bambini, ce n’erano così pochi, e quello non era nemmeno il problema principale!

Riacquistati i ricordi della sua prima vita, non aveva cambiato idea circa il rimpianto di non poter allevare altrove i suoi figli; eppure, questo sì che era paradossale da ammettere, riteneva che non potesse esistere un luogo migliore dove crescerli, all’infuori di quella città. Il motivo?

Durante la sua vita fuori da Esqueleto, Valiant non aveva programmato diventare padre così giovane eppure, quando arrivarono i gemelli, con un tempismo del tutto inaspettato, si era sentito come se avesse sempre saputo di essere al mondo per loro. Non si era mai risparmiato, e non si era mai pentito di nessuno dei sacrifici che, in quanto ragazzo padre, aveva scelto di compiere. Valiant aveva visto i figli crescere e si era spesso stupito nell’osservare lo sviluppo di personalità così diverse dalla sua: si era domandato spesso da chi avessero preso. Guardandoli, si era reso conto che i bambini erano davvero altro da sé, come scrivevano gli psicologi dell’età evolutiva nei manuali per il perfetto genitore, e sarebbe dovuto essere, in effetti, una cosa del tutto normale. Invece, non aveva saputo reprimere un senso di inquietudine nel constatare che c’era qualcosa, nei suoi figli, che non riconosceva. Li percepiva come estranei. Questa sensazione era decisamente diversa da una semplice presa di consapevolezza dell’individualità dei ragazzi, e Valiant si era chiesto se, forse, lui non fosse altro che un padre snaturato che desiderava un rapporto simbiotico con i figli, o che i bambini crescessero a sua immagine e somiglianza.

Una volta sceso a patti con la consapevolezza di essere una divinità e di essere prigioniero nella città maledetta da Emanuel, Valiant aveva trovato nella sua routine di cameriere al Pavo del Corral e di padre single la salvezza per i suoi nervi. Sarà pure stato il "Signore delle acque”, ma le acque chete (anche se non meno pericolose) erano decisamente più nelle sue corde. Il giovane padre aveva intuito le minacce nascoste dietro a quell’apparente cittadina fittizia, ma aveva ben presto capito che la minaccia non era rivolta ai suoi figli, e questo gli bastava. Questo lo consolava ma, allo stesso tempo… lo rattristava, con conseguente, ovvio, senso di colpa. Avrebbe voluto avere la forza di proteggere i suoi cari ragazzi da ciò che sarebbe sicuramente accaduto. Perché adesso aveva compreso il senso di estraneità che aveva percepito nei suoi ragazzi. Una cosa era stata lampante fin da subito, non appena ebbe riottenuto i ricordi e il potere: solo una divinità poteva accedere ad Esqueleto e, in qualunque parte del mondo si fosse trovata, il volere divino  l’avrebbe guidata verso la città, come una lanterna attirava le falene con la sua luce. Se i suoi figli fossero stati dei semplici umani, non sarebbero riusciti ad accedere alla città, neppure se fossero stati tenuti in braccio durante l’attraversamento del confine. Valiant si chiedeva perché il destino avesse deciso di rendere proprio lui il custode di tre giovani divinità. Aveva il suo senso, comunque: se ci si incarnava troppo tardi, la divinità sarebbe stata troppo giovane per spostarsi in autonomia, sarebbe rimasta fuori da Esqueleto e, in tal caso, non sarebbe più potuta tornare, alla fine di tutto;  ma se fosse stata scarrozzata da qualcun altro… Valiant non poteva saperlo, prima, ma era stato usato, come un uccello che allevava i pulcini di un cuculo. Poteva solo supporre l’identità dei tre piccoli clandestini, senza avere comunque nessuna certezza. Affrontare la scoperta della propria vera identità era un fatto personale. Privato. Valiant era stato tagliato fuori da quella dei suoi figli, con sua somma delusione, prontamente dissimulata, nell’attesa che fossero i ragazzi stessi a fare il primo passo verso di lui. Un’attesa, fino a quel momento, vana. Tra l’altro, Delia, Johann e Karol non vennero toccati dalla maledizione, pur essendo arrivati insieme a Valiant, e la cosa  sembrava aver sancito un’ulteriore, impercettibile presa di distanza dal loro padre. Dopo un periodo di crisi, aveva raggiunto la consapevolezza che, dopotutto, chiunque essi fossero, a lui non importava. Loro erano Johann, Delia e Karol, in quel momento, e avrebbe benedetto ogni singolo giorno che ancora potevano passare con la loro identità umana. Tra l’altro, a lui stava bene che i ragazzi non fossero stati costretti a badare a se stessi, che avessero potuto contare (e potessero contare ancora) su qualcuno che li amasse incondizionatamente, ossia Valiant stesso.

Non c’era mai stato un lago, prima del suo arrivo. Valiant voleva fare qualcosa per alleggerire le giornate dei bambini, e cosa c’era di meglio di un bello specchio d’acqua vicino alla loro nuova dimora, dove tuffarsi e divertirsi nelle giornate di sole? Era stata un’ottima motivazione per testare il suo potere, tornato a lui dopo tutto quel tempo… e il progetto aveva entusiasmato anche Murdock, per ovvie ragioni. Non gli si poteva certo nascondere un progetto del genere e Valiant aveva accettato con gratitudine la sua collaborazione. Due divinità dell’acqua, in fondo, erano meglio di una, e l’antica affinità che provava per Amimitl era riemersa dall’oblio dei secoli. Senza contare che il libero accesso a un lago avrebbe potuto essere un bel modo per distendere rapporti di buon vicinato con gli altri, indipendentemente da chi fossero e da chi fossero stati, sempre a vantaggio di quella tranquillità che tanto anelava. Emanuel non era stato disturbato da quella miglioria alla sua creazione (ammesso che avesse fatto tutto da solo, cosa su cui Valiant era stato decisamente scettico); anzi, il moro gli aveva addirittura chiesto (il carceriere che chiedeva a un detenuto, altra bizzarria di quel carcere) di estendere l’acqua attorno a tutta la sua abitazione, in modo da poter tenere fuori dai piedi i potenziali disturbatori, e Valiant non aveva potuto dire di no, per il solito quieto vivere.

Quel tardo pomeriggio di novembre, nel suo giorno libero, Valiant osservava quanto aveva costruito in quegli anni, e non si trattava soltanto del lago con il pontile, lussuriosamente spanciato in acqua nella sua forma animale. I suoi ragazzi erano cresciuti bene, e non poteva che essere orgoglioso di loro: sembravano sereni. Karol e Johann stavano giocando la loro ennesima partita a scacchi, eternamente in rivalità (ma non in conflitto) su chi dei due fosse il migliore, mentre Delia, con il suo solito atteggiamento distaccato e superiore, leggeva un libro dal titolo assai discutibile (Via col daddy: cos’era, una dichiarazione d’intenti?) scovato sicuramente in biblioteca – o magari passatole personalmente da Artemisia stessa. I suoi ospiti, amici da ben più di una vita, si stavano divertendo tra tuffi, nuotate e chiacchiere leggere. Sarebbe stato bello se quella serata fosse durata per sempre ma, con l’arrivo di Mordecai a Esqueleto, il quieto vivere aveva i giorni decisamente contati. Il countdown era già partito da un pezzo, in verità, e questo era risaputo persino tra gli umani che si prendevano gioco di quella data (i sacerdoti Mexica avevano adorato i calcoli matematici ben più di Atlahua stesso in passato – o di Valiant nel presente) ma era innegabile che l’arrivo di Quetzalcoatl avesse messo in allerta tutti, come fosse stato un inconsapevole messaggero del monito che l’inevitabile era ormai imminente.

Al momento però, il biondo era soltanto il portatore della cena ordinata al Pavo, nelle sembianze di un assai tenero cervo – no, daino, come ebbe modo di correggere il più saputello della sua prole.

Valiant non era del tutto in pace con se stesso: si sentiva in colpa nell’aver scelto di tenere Mordecai all’oscuro e vederlo, per questo, così a disagio nel trovarsi in una situazione che non conosceva. Gli era stato imposto di tacere e l’avrebbe fatto – sempre per quieto vivere. Dopotutto, il biondo non era in pericolo, non lo era nessuno a dire il vero. Semplicemente, il serpente piumato andava tenuto tranquillo, affinché non facesse altre stupidaggini. L’ultima sua stupidaggine era costata parecchio a tutto il pantheon azteco, seppur indirettamente.

Presto, molto presto, Johann, Delia e Karol non ci sarebbero stati più, soppiantati dal riemergere definitivo delle loro vere identità… sarebbe andato perduto anche il loro legame, visto che Atlahua non aveva avuto alcun figlio? Questa eventualità, talvolta, gettava nello sconforto il povero Valiant. Forse era stato davvero solo un povero pennuto sfruttato da una nidiata di piccoli cuculi, dopotutto…

Con pensieri del genere in testa, era più che naturale contraddire l’accurato pronostico di Johann circa la sicura vittoria di un coccodrillo in una gara di nuoto, anche se non l’avrebbe mai ammesso.

“Papà, sei stato una schiappa!” lo canzonò Karol.

“La fisica non spiega come sia possibile che tu abbia perso!!!” commentò incredulo Johann.

“I tamales me li sono meritati come premio di consolazione?” chiese Valiant in tono leggero, per dissimulare il fatto di aver bisogno davvero di comfort food, in quel momento. Proprio lui, che poco prima era andato a fare la morale a Mordecai circa il non essere sempre angosciato!

Poi però…

C’era stato il sostegno di Johann, che aveva preso su di sé la maggior parte del peso di Valiant per aiutarlo a salire sul pontile, proprio lui che preferiva l’uso della testa a quello dei muscoli ed evitava sempre qualsiasi incombenza fisica. C’era stata la delicata carezza dell’imperturbabile Delia sulla sua dura corazza verde, mentre aiutava il fratello a sollevare il padre. C’era stato il sorriso dolce che gli aveva rivolto Karol, il figlio che aveva fatto del broncio arrabbiato il suo marchio distintivo e, pertanto, qualunque cambio di espressione era da celebrare come un evento più unico che raro.

Erano stati atti così piccoli e fugaci che avrebbero potuto benissimo passare inosservati, ma ebbero su Valiant l’effetto di una magia benefica che aveva sciolto la sua preoccupazione.

Forse, Johann, Karol e Delia avrebbero conservato qualche ricordo del loro papà, o forse no. Avrebbero continuato ad amarlo, o forse lo avrebbero lasciato indietro, chi lo sa. Ma avrebbero preso il vento verso la vita, e a Valiant, l’uomo, o ad Atlahua, il dio delle acque, sarebbe andato bene così. I ricordi che stavano costruendo insieme, pezzo dopo pezzo, non avrebbero potuto cancellare le prove dell’esistenza di un legame affettivo forte come quello che Valiant e i suoi figli avevano costruito, se anche soltanto uno di loro li avesse conservati nel cuore come il più prezioso dei tesori.

***

 

 

Nota finale

Comunque non so se Atlahua avesse avuto davvero figli, non ho trovato niente a tal proposito quindi… magari non è nemmeno Valiant. Anche perché, in alcuni siti web, Atlahua sembra essere semplicemente una variante di Tlaloc, quindi boh… Oh, io ci gioco, poi chi vivrà vedrà e leggerà…

Fun fact: non ho accennato alla eventuale madre di Karol, Delia e Johann perché… beh, secondo me non è mai esistita! Ha fatto tutto Valiant! Ma non avrebbe avuto senso con la storia scritta sopra, che voleva essere un pensiero sui genitori che “non riconoscono” i propri figli, a un certo punto della loro vita, ma che li accettano e li amano per quello che sono, solo che per Valiant il problema era un po’ più sovrannaturale! Quindi ho soprasseduto sulla eventuale “signora  Molotov”…

Comunque, più scrivo e più mi accorgo di schifare i dialoghi. Male, molto male!

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Capitolo 13
*** giorno 11: odore di marciume ***



11 ottobre odore di marciume

Piccolo disclaimer: sia chiaro, non sto seguendo una trama logica. Sostanzialmente, il mio è più un giochetto fine a se stesso à prendo un prompt e mi chiedo come si possa piegare o interpretare nel mondo di Calaca in modo verosimile. Ergo, magari nel prossimo capitolo parlerò di tutt’altro e quello che ho scritto qui non avrà più seguito. O forse sì, vedremo.

Altra piccola nota. Quando ho scritto le prime storie, avevo rispettato una challenge che richiedeva la pubblicazione di una storia al giorno. Alcune cose, quindi, erano scritte con superficialità (oltre che non una grammatica un po’ meh). In teoria, pure questo goretober richiedeva una pubblicazione giornaliera dei prompt ma era davvero impossibile per me rispettarla, nemmeno se avessi avuto tutto il tempo libero. Comunque, all’inizio avevo dichiarato che Alma era arrivata ad Esqueleto a 8 anni e che era stata prigioniera 5 anni, portando la sua età a 13 anni, praticamente quasi coetanea dei gemelli Molotov. Nella mia immaginazione, però, lei è più piccola di Delia, Johann e Carol, quindi ho ritoccato l’età iniziale e, nel capitolo, la sua età si è abbassata a 6 anni e gli anni di prigionia ridotti a 4, in modo che, nella linea temporale attuale, abbia tra i 10 e gli 11 anni. Non che ai fini della trama cambi qualcosa, ma almeno è più in linea col mio immaginario. Ho ancora qualche dubbio riguardo le linee temporali, ma spero vada tutto bene. Semmai rettificherò.

***

 

Erano passati diversi giorni da quando Emanuel aveva costretto Mordecai a compiere un sacrificio umano nel corso della sua ultima sfida, e non era successo niente. A seguito della libagione di sangue imposta al biondo, i poteri di Quetzalcoatl, a lungo sopiti, erano tornati in pieno regime, sebbene il legittimo proprietario non se ne fosse nemmeno accorto. Per Mordecai, nulla sembrava essere cambiato, eccetto il fatto che, al tramonto, non si trasformava più in un daino. Mordecai aveva continuato a comportarsi come aveva sempre fatto: lavoro al Pavo durante il giorno, incontri più o meno imbarazzanti con gli avventori del locale, serate in compagnia dei fratelli a parlare del più e del meno – il biondo non accettava deviazioni  di conversazione su altri tipi di argomento. Era diventato molto più sospettoso e stava molto più sulla difensiva nei confronti dei suoi amici e fratelli, e questo era l’unico cambiamento degno di nota nel suo atteggiamento. Non era la conseguenza che ci si sarebbe aspettati da qualcuno che avrebbe dovuto riottenere dei ricordi sopiti da troppo tempo.

Questa mancanza di consapevolezza non avrebbe dovuto verificarsi, a meno che…

Emanuel aveva già avuto qualche sospetto quando, molti mesi prima, aveva visto un etereo barbagianni sottrarre il medaglione a Mordecai per guidare il giovane dritto da Jason e Moravich. Dopo l’ultima sfida, il suo sospetto si era intensificato, e il moro era ben intenzionato a farlo diventare una certezza, prima di decidere la mossa successiva.

Naturalmente, Emanuel poteva spostarsi ovunque, all’interno di Esqueleto, trattandosi di una sua creazione. Quanto all’accesso al cimitero, non gli serviva certo il permesso di una niña, avendo già avuto il benestare di Dorian da sempre. Gli scocciava dover giocare a nascondino, ma la niña, molto probabilmente, aveva già saputo che era lì e, probabilmente, era già entrata in modalità coniglietto, nascosta dietro a qualche tomba. Non che le lapidi potessero offrire chissà quale riparo, per quanto fosse minuta la bambina.

Contrariamente alle sue aspettative, la trovò invece intenta a cercare qualcosa tra le aiuole, mentre arricciava in continuazione il naso, a tal punto concentrata da ignorare completamente il suo visitatore. La bambina sembrava più in forma rispetto all’ultima volta che aveva avuto a che fare con lei, e il colorito del suo incarnato ben più sano, come quello che aveva avuto Malintzin. Il suo ragno da guardia stava appollaiato pacifico sulla testa della bambina, come fosse stato un docile criceto. Nel frattempo, qualche quaglia beccava pigramente in giro.

“Buongiorno” attirò piattamente la sua attenzione. La niña saltò con uno strillo per la sorpresa, voltandosi verso il moro, come fosse stata beccata con le mani nel sacco in un momento poco opportuno. A seguito del brusco movimento, il ragno era precipitato dalla testa di Alma come una piccola patata, e guardava ora il nuovo arrivato con indignazione.

“Che sorpresa vederti qui Emanuel!” pigolò. Il moro non rispose. Non era lì per fare convenevoli, e trovò strano il fatto che la bambina non avesse notato la sua presenza.

“Dorian non è qui” disse la piccoletta mentre si sfregava le narici con le dita. Sembrava infastidita, come se avesse un’allergia ai pollini, seppur fuori stagione.

“Non sono qui per lui” replicò l’altro.

“Cercavi me?” si stupì la bambina. In fondo, quella era la seconda volta in quattro anni che le rivolgeva la parola.

“Vedi qualcun altro intorno?” domandò scettico, ma comprendendo solo un attimo dopo la stupidità della sua domanda.

“Beh… sì” rispose Alma con mezzo sorrisetto, alludendo alla sua capacità di vedere i defunti che avevano avuto la disgrazia di morire in quel luogo, carico di una magia così antica da averli intrappolati lì nel corso dei secoli, da ben prima che Dorian lo indicasse ad Emanuel, in cerca del posto perfetto che fungesse da base per creare la sua città maledetta.

La bambina approfittò del momentaneo sovrappensiero di Emanuel per allontanarsi alla chetichella ma il moro l’acchiappò quasi subito per il colletto della maglietta.

“C’è una cosa che vorrei chiederti, niña blanca” disse il moro sollevandola e poggiandola gentilmente a sedere sopra una lapide per non farla sgattaiolare via facilmente, con espressione seria.

“Guarda che ce l’ho un nome. Potresti chiamarmi Alma come fanno tutti.” brontolò la bambina, scandalizzata per quella violazione del suo spazio personale.

“Tutti chi?” alluse al fatto che non vi erano molte persone viventi con cui la bambina potesse interagire.

“Beh, io mica ti chiamo Devastatore di capelli”.

“Ce l’hai con me per la tua treccia tagliata al tuo arrivo?”.

“Potevi spiegarmelo in un altro modo che mi sarei incenerita se avessi messo piede fuori dal cimitero!” replicò indignata.

“È stato più semplice e rapido così. Comunque Alejandro te li ha sistemati, quindi non lamentarti”.

“Vorrei vedere te se avessero tagliato i tuoi!” protestò in tono polemico.

“Lo stai facendo apposta?”

“Che cosa?”

“Sviarmi dalla domanda che devo farti”

“Ci stavo riuscendo però”

“Potrei essere meno gentile di così”

“Certo, come lo sei stato con Jason?” chiese, serafica. Emanuel, con la mente occupata da pensieri ben più urgenti, tra perdita del medaglione e l’arrivo in città del serpente piumato, non si era accorto, al tempo, della presenza di Alma durante l’interrogatorio subìto dal giovane l’anno precedente, proprio al cimitero, e conclusosi con l’intervento di Dorian.

“Non è educato guardare di nascosto” replicò calmo.

“Io guardo quello che mi pare. C’eri tu a casa mia, non il contrario”

“Casa tua?” continuò a mantenere lo sguardo serio ma si compiacque di quella affermazione.

“Va bene, casa sua, ma qui ci vivo io, non lui” replicò, alludendo a Dorian.

“E comunque non dire che non ti è piaciuto quello che hai visto. So bene che Jason e Moravich non ti sono… simpatici”.

Alma cercò di trattenere un sorrisino, senza tuttavia riuscirci. Il moro non aveva affatto torto. Emanuel decise di aver perso fin troppo tempo e andò al sodo.

“Bene, allora fa’ la brava e rispondi alla mia domanda. I poteri di Quetzalcoatl si sono risvegliati, ma la sua coscienza è ancora sopita. Perché Mordecai non ricorda niente del suo passato?”

“Perché ci sei andato giù pesante con la tua ultima sfida, probabilmente” commentò, soffiandosi il naso con un fazzolettino pescato da una tasca.

“Oh, io non credo proprio. Perché ho come l’impressione che c’entri tu?”

“Perché hai l’impressione che c’entri io?” chiese, senza nemmeno guardarlo, intenta a mettere via il fazzoletto. Emanuel si chiese per un momento se lo stesse prendendo in giro.

“Sei stata tu a praticare l’incantesimo che lo ha reso mortale. Questo, ormai, lo dovresti ricordare”.

“Come fosse successo ieri” ammise Alma candidamente.

“Hai trattenuto una parte della sua anima come pagamento”.

“Mi hanno già fatto l’interrogatorio, e non è stato piacevole” mormorò amaramente. Proseguì con in modo più provocatorio: “Se lo sai allora Dorian ti ha già detto tutto, non capisco perché sei qui a chiederlo anche a me”.

“Visti i tuoi precedenti, non posso essere certo che tu abbia detto proprio tutto a Dorian”.

Quella domanda indispettì moltissimo la bambina. Avrebbe dovuto rispondere docilmente dopo una tale, scortese, insinuazione?

“Hai scrutato le anime dei mortali per trovare l’unico individuo su questa terra con un’anima parziale, tagliata da me.” fece una breve pausa, a riflettere su quanto le suonava strano parlare in prima persona di una cosa fatta da una divinità adulta, di una vita che non percepiva più come sua.  “E, non trovandolo, hai cominciato a rubare parte dell’anima delle persone che entravano ad Esqueleto. In questo modo, ti sei guadagnato energia spiccia senza versare sangue” l’accusa venne lanciata con leggerezza, a dimostrazione che, seppur confinata, seppur trattenuta, Alma poteva vedere, sentire ciò che accadeva alle anime di quella città, incluse quelle dei vivi. “Hai potenziato delle calacas animali legandole alle anime appena tagliate non solo per mantenere integre quelle persone, ma anche per nutrire, a tempo debito, quell’anima parziale che hai finalmente ritrovato, con la scusa delle sfide” concluse, in evidente riferimento alle calacas che, recuperate da Mordecai, erano puntualmente confluite non nel medaglione, ma dentro di lui, cambiandolo senza che lui se ne rendesse conto. Ciò lo aveva inevitabilmente reso più forte e pronto a risvegliarsi, al momento opportuno.

“Perché lo stai facendo?” concluse la bambina.

“Al termine della sfida, Mordecai avrebbe dovuto ricordare la sua vita passata. La coscienza di Quetzalcoatl risiede nella parte di anima che lui ti ha consegnato, è così? È per questo che non sa ancora nulla” il moro lanciò la sua accusa senza badare alle osservazioni appena esposte da Alma, così scontate da non necessitare una sua conferma.

“Se io rispondo alla tua domanda, tu risponderai alla mia?”

“Perché dovrei parlare ad una niña dei miei pensieri?”

“Perché sto iniziando a stancarmi di essere trattata come una niña da tutti voi” rispose con un tono molto amaro. Emanuel non tradì alcuna espressione ma si compiacque nuovamente nell’udire quelle parole. Dietro quel niña c’erano molti più riferimenti di quanti la parola stessa ne era portatrice.

“Potresti fare la fine di Jason, se non stai attenta a quello che dici” minacciandola di farle subire la stessa ritorsione che aveva inflitto al fratello del serpente piumato.

“Dorian te lo ha lasciato fare, e probabilmente te lo lascerebbe fare anche con me: suppongo che avere dei servitori muti non possa fargli altro che piacere. Ma in tal caso porterei le mie risposte... nella tomba. Ce ne sono parecchie qui”.

Emanuel non si era fermato davanti a nessuno pur di raggiungere i suoi scopi e non aveva alcun motivo per accettare il compromesso di una piccoletta. Invece, rispose, e non solo perché sapeva non essere il caso di andarci giù pesante al punto da infastidire Dorian.

“Ho cercato a lungo Quetzalcoatl. Non ho avuto altro scopo in questa vita, né in tutte le altre. Sì, ho rubato parte delle anime per accumulare potere da usare per questo scopo, e per alimentare la mia presa su Esqueleto e demotivare gli eventuali sabotatori del mio piano. Ho fatto tutto questo perché, se Quetzalcoatl non tornerà entro la fine dell’anno…” il moro non riuscì  di proseguire la frase, come se non esprimere a parole il suo timore più grande avesse potuto in qualche modo renderlo meno fattibile. La bambina non aveva bisogno di altre parole per comprendere. Sapeva bene cosa sarebbe successo all’anima di Quetzalcoatl se fosse rimasta nella sua temporanea forma mortale prima alla fine dell’Era del Quinto Sole. In fondo, era stata lei stessa metterlo in guardia da tale possibilità, cinquecento anni prima, quando gli aveva concesso di abbandonare la sua essenza divina.

Alma abbandonò il suo atteggiamento sostenuto a fronte di quelle parole così cariche di sincerità e dolore.

“Non avevo bisogno di alcun pagamento, né tantomeno di energia per completare la mia opera. Avevo mentito solo per farmi consegnare parte dell’anima da Quetzalcoatl senza destare sospetti” ammise infine “Hai ragione quando dici che, in quella parte di anima, sono custoditi i ricordi del serpente piumato. Però non l’ho trattenuta, né ho reclamato alcun potere su di essa, questo te lo posso giurare”.

“Allora dov’è?” chiese Emanuel. Stavolta, la voce tradiva la sua preoccupazione. “L’ho vista assumere la forma di un barbagianni, che è una creatura a te consacrata, non appena Mordecai aveva messo piede ad Esqueleto” .

“Certo, sono stata io a dargli quella forma. Ma è sempre stata con Mordecai, in questi cinquecento anni, anche se nascosta alla sua vista. Quetzalcoatl… A ogni sua nuova vita, avrebbe mantenuto i suoi ricordi… forse non subito, ma sarebbero tornati. Succede a tutti. Riottenere pieni poteri e pieni ricordi è indispensabile per tornare alla propria forma originale, ed è necessario che accada prima della fine del Quinto Sole. Non era mia intenzione fare più di quanto mi avesse chiesto, ossia tramutarlo in una creatura mortale. Ma tu non l’hai visto, quel giorno… Sembrava davvero turbato. Disperato. Non mi era sembrato il caso di infierire lasciandogli anche i ricordi, per questo avevo scelto di isolare la sua memoria nella parte di anima a lui non accessibile”.

Certo che Itztlacoliuhqui Ixquimilli lo aveva visto. Rivedeva ogni notte, nei suoi incubi, il serpente piumato che lo accusava di aver tradito la sua fiducia. Una pugnalata al cuore avrebbe fatto meno male rispetto alla vista della sua espressione addolorata.

“Quindi non potrà più tornare indietro? Finirà nel Mictlan per questo!” esclamò iniziando ad arrabbiarsi sul serio. La Signora dei morti lo aveva forse fatto apposta? Era stata una vendetta di Mictlancihuatl, dopotutto?

“No!” Alma aveva risposto alla sua domanda fatta a voce ma, per Emanuel, sembrò la risposta a quella non espressa. “Quella parte di anima appartiene comunque a Mordecai! Tornerà a lui quando lui vorrà ricordare! Solo allora tornerà ad essere consapevolmente Quetzalcoatl! Nessuna divinità potrà più giocare con lui su cosa deve o non deve sapere: la scelta sarà solo sua!”. Era ciò che Quetzalcoatl aveva sempre voluto, e che Itztlacoliuhqui Ixquimilli  e i fratelli del serpente piumato non gli avevano mai concesso.

Questo, se possibile, era per Emanuel uno scenario quasi peggiore. Aveva passato secoli a perseguire un obiettivo, pensando di avere una possibilità, e l’ultima mossa l’aveva avuta, da sempre, Quetzalcoatl.

“Ma andrà tutto bene, indipendentemente dalla scelta che farà Mordecai” concluse Alma.

Erano parole di conforto, le sue? Emanuel ne dubitava fermamente.

“Cosa ti fa pensare che sarà così?”

“Tu non hai intenzione di far perire il Quinto Sole, no? Quindi Quetzalcoatl non potrà finire nel Mictlan” rispose come fosse stata la cosa più ovvia del mondo.

“Quello era il piano di Quetzalcoatl. Poni caso che io invece voglia che tutto torni ad essere come prima”.

“Niente torna come prima. Comunque Huitzilopotctli avrà pure il potere di lasciar perire il sole ma sei tu la divinità dei disastri. Come li provochi, li puoi anche prevedere e impedire, se vuoi. E la fine di un’Era è un disastro in piena regola, con la gentile collaborazione del mio Signore Mictlantechutli” assunse un tono sospettosamente sarcastico alle parole mio Signore, accompagnato dal gesto delle dita delle virgolette  “Insomma, un bel gioco di squadra, simile a quando altri dei hanno creato questo mondo, no?”.

“Io voglio Quetzalcoatl. Il resto non mi interessa” chiarì meglio la divinità.

“Oh, certo che ti interessa. Se acconsentissi a lasciar perire il Quinto Sole, non riusciresti più a guardare il tuo amato negli occhi, poiché gli avresti consapevolmente tolto l’unica cosa che lui ti ha chiesto. Ecco perché sono sicura che farai tutto ciò che è in tuo potere per impedirlo. Sei ai ferri corti con Alejandro per questo motivo, no?”.

Emanuel iniziò a dubitare che le Catrine di zucchero fossero solo i suoi occhi. Per essere isolata in un perimetro fin troppo circoscritto, la niña blanca indovinava un po’ troppe cose con una precisione inconsueta. Di certo non ne parlava con Dorian, né tantomeno coi suoi… ragni? Loro erano gli occhi di Mictlantechutli, non della sua Signora, men che meno da quando si trovava in quella forma umana. Emanuel lanciò un’occhiata diffidente alla tarantola che girava nervosa ai piedi della sua sorvegliata speciale.

“Da come parli, si direbbe che nemmeno tu voglia la fine del Quinto Sole”.

“E perché dovrei volerlo? Ora ho una famiglia, degli amici, un futuro. Dovrei rinunciarci? Col cavolo! Non c’è niente per me, nel Mictlan! I miei genitori non mi riconoscerebbero più, per loro non sarei più Alma, ma una servitrice del Mictlan”.  Servitrice? Emanuel inarcò il sopracciglio.  Singolare che la Signora ricordasse quasi tutto tranne un piccolo, seppur cruciale, dettaglio. La rabbia della bambina iniziò pian piano a montare.

“A Dorian non stava bene come lavoravo? Benissimo, che mi lasciasse fuori da Esqueleto ad aspettare la fine come una comune mortale! Tanto, non gli servirei più a nulla, men che meno per i ponti di cempasucil per le festività dei morti! Non ci sarebbe nessuno vivo per organizzarle, le feste! Invece no, a quanto pare deve continuare a farmi pesare il suo sdegno, il peggio è che non so perché è così arrabbiato! Io… non gli servirò più a nulla…” Sembrava dovesse esplodere da un momento all’altro e invece… iniziò a piangere “Ma che cosa ho sbagliato? È per aver aiutato quel cretino Quetzalcoatl? In effetti, perché l’ho fatto? Chi me l’ha fatto fare!?” e si lasciò andare in un fiume di lacrime.

“Questo, in effetti, me lo sono chiesto anch’io” tentennò il moro. Quello era un cambio di argomento inaspettato, nonché un terreno decisamente pericoloso, il che gli suggeriva di tagliare la corda il prima possibile. Senza contare il fatto che trovava il frignare dei bambini estremamente fastidioso.

Non sentì la necessità di salutare la bambina impegnata a riprendere il suo fazzoletto e a soffiarsi rumorosamente il naso mentre si allontanava.

“Ci mancava pure il moccio al naso, non era sufficiente questo odore di marcio dappertutto!” si lamentò ad alta voce, rivolto forse al ragno ai suoi piedi, mentre scendeva dalla lapide e riprendeva a cercare la fonte di quell’odore fastidioso.

Emanuel, a quelle parole, si bloccò e percepì un brivido lungo il collo, sperando di aver capito male. Tornò sui suoi passi con espressione terribile, prese per le spalle la bambina.

“Cos’hai detto?” chiese allarmato.

Alma, ancora con le lacrime lungo le guance, sussultò timorosa.

“Com’è questo odore? Lo senti ovunque? Descrivilo!” ordinò. Il ragnetto dovette scansarsi per evitare di finir pestato dai due fuori controllo.

“Emanuel, lasciami stare, sei impazzito?” alzava le mani come a proteggersi. Non che il moro la stesse fisicamente aggredendo, ma il gelo tutto attorno a lei l’aveva messa in serio allarme. Prima Allen, poi Alejandro, adesso ci si metteva pure Emanuel a dare di matto all’improvviso!

“Da quanto tempo lo senti?” proseguì il moro con urgenza, stringendo ulteriormente la presa.

Alma chiuse gli occhi, incapace di sostenere lo sguardo dell’altro, e strattonò le braccia per liberarsi. “Ho detto… lasciami… STARE”. La piccoletta non capì mai cosa fosse successo in quel momento, ma Emanuel aveva visto fin troppo bene e aveva avuto la prontezza di scansarsi in tempo. Quando la bambina aprì gli occhi, vide solo petali di cempasucil per terra e l’espressione imperscrutabile di Emanuel, che sembrava essere tornato ad azioni più ponderate. A quel punto, entrò davvero nella modalità coniglietto prevista da Emanuel all’ingresso al cimitero, e scappò tra i vialetti a gambe levate.

Emanuel non la trattenne, aveva visto anche troppo.

Un odore di marciume!

 

Era del Quinto Sole, 3 novembre 2006.

Emanuel sembrava non capacitarsi della presenza di una niña al Pavo. Gli abiti bianchi, in contrasto con la lunga treccia nera, esaltavano il pallore della bambina, che sembrava sfinita mentre si guardava intorno con aria spaventata, rifiutandosi di aprire bocca e ignorando totalmente i tentativi di Franklin e Thomas di metterla a suo agio. Nemmeno i gemelli, seduti placidamente al bancone, erano riusciti a rasserenarla, ma era naturale: se, da un lato, Moravich e Jason non sembravano sinceramente interessati a farlo, dall’altro non vi sarebbe stata alcuna argomentazione in grado di placare i timori di una piccola vittima di sequestro, sola, portata in un luogo a lei sconosciuto e circondata da estranei.

Nel mentre, Dorian ed Emanuel erano rimasti a parlare all’esterno, lontano da occhi e orecchie indiscrete.

“Ti sembrava il caso di portare qui un bambina così piccola? Questo posto non è una scuola dell’infanzia, Dorian!”

“Ha già iniziato la scuola primaria” replicò piattamente Dorian. Come se fosse stato quello il punto.

“Potevi aspettare ancora qualche anno”.

“Certo, potevo farlo. Avrei potuto ignorare il fatto che, a scuola, mia moglie costruisce certi oggetti durante l’ora di laboratorio artistico - musicale” Emanuel lasciò correre la stranezza di sentire un uomo adulto chiamare moglie una bambina di sei anni mentre si vide passare tra le mani un rozzo fischietto glitterato, con la vaga forma di un gufetto, lavoretto artigianale da scuola dell’infanzia.

“Provalo” suonava una minaccia ed Emanuel non se lo fece ripetere due volte, seppur sospirando. Il suono che giunse alle orecchie lo sorprese moltissimo, non assomigliando affatto al fischio stridulo che si sarebbe aspettato. I due deficienti e la niña dentro al Pavo sussultarono nell’udire quel… suono, ma, a seguito di una occhiata eloquente di Emanuel dall’altra parte della finestra, si guardarono bene dal mettere naso fuori dal locale. D’altro canto i gemelli, già a conoscenza dei lavoretti scolastici malriusciti di Alma, non avevano battuto ciglio.

“Alejandro sarebbe felicissimo di averne uno” commentò sorpreso. Per quanto gli mancasse la forma caratteristica di teschio, Alejandro avrebbe amato sicuramente il glitter rosso, ma ancor più l’effetto nostalgia di un death whistle che era stato in grado di generare terrore nei nemici dei Mexica, per lo meno fino all’invasione degli spagnoli. Per tutta risposta, Dorian se lo riprese.

“Terrorizzare involontariamente se stessa e un’intera classe di bambini non era certo un problema” proseguì Dorian “e nemmeno salutare nessuno e mettersi a parlare da sola durante i Dias de los muertos. Tanto meno dire a un giovane conoscente della sua famiglia che odorava di marcio, conoscente che sarebbe morto pochi giorni dopo”.

Tutte cose che potevano essere superficialmente classificate come stranezze. Nel peggiore dei casi, la bambina avrebbe rischiato solo qualche visita dallo psicologo. Per sua fortuna, il tempo dei roghi in piazza per stregoneria erano finiti da un pezzo.

“Ha mandato in coma la sua classe mentre cantavano una canzone di Halloween. A quanto sembra, la canzone parlava di una notte da vivere senza stelle per permettere ai mostri di uscire liberamente”.

“A sei anni?!” . Ecco, quello poteva essere un ottimo motivo per far sparire una bambina ma.. sei anni?!

“Nessuno manifesta i poteri così giovane, e nessuna delle sue precedenti incarnazioni ha ricordato o fatto nulla di… strano… prima dei quindici anni. Ma mancano solo altri sei anni, Emanuel. Sono un niente. Passeranno prima di quanto immagini”.

Se l’era del Quinto Sole era imminente, i protagonisti non potevano certo trovarsi impreparati, men che meno la Morte.

“Io non mi occupo di bambini. Quelli presenti hanno già i loro tutori”.

“Ci sono già abbastanza persone che possono occuparsi di lei” quali fossero queste persone, Emanuel poteva solo immaginarselo, sapendo con chi aveva a che fare.

“Allen è già arrivato a Esqueleto. E altre persone non saranno felici di rivederla. La ritengono responsabile della loro attuale vita mortale. Ad alcuni non interessa, si sono adattati vergognosamente bene, ma altri non vedrebbero l’ora di fargliela pagare”.

“Ti stai preoccupando per lei?” Preoccupazione? Era una parola grossa. Piuttosto, non considerava giusto che una bambina sola rischiasse di essere facilmente oggetto di… cose spiacevoli, solo perché vulnerabile.

“Faccio solo presente le possibili conseguenze della sua presenza qui. Per questo dicevo che sarebbe stato meglio che lasciarla dov’era per un altro paio d’anni”.

“Mi assicurerò che gli altri le stiano alla larga. Tu assicurati che lei ne sia informata” con questo, Dorian considerò chiuso l’argomento, lasciandolo senza dargli ulteriore possibilità di replica.

Emanuel aveva trascinata Alma di peso al cimitero, cosa non difficile visto quanto era minuta. La bambina aveva provato a scalciare e divincolarsi, ma sembrava davvero senza forze. Non un suono osava uscire dalle labbra serrate.

“Benvenuta a casa” esclamò con sarcasmo. Il buio rendeva il cimitero ben più tetro di quanto fosse normalmente e, giustamente, la niña guardava il moro con sorpresa mista a raccapriccio. Casa!? Aprì la bocca per dire qualcosa, forse protestare o lamentarsi, ma la richiuse immediatamente.

“Un alebrije ti ha mangiato la lingua?” non che fosse un problema, tutt’altro, ma la bambina intrecciava le dita delle mani in chiaro segno di nervosismo. Emanuel poteva intuire il suo bisogno di parlare e il suo timore di farlo. Al pensiero di quale fosse la preoccupazione della bambina, si irritò, e non ebbe tante remore a togliere la niña dall’impiccio.

“Guarda che puoi parlare liberamente. Qui, nessuno può essere ferito dalla tua voce, men che meno ucciso”.

Già riteneva oltraggiosa l’eventualità di essere giudicati strani da delle nullità come gli umani, ma che una divinità arrivasse a temere la propria forza perché non in linea con la normalità di un essere umano era semplicemente inammissibile. Poteva quasi comprendere l’urgenza di Dorian di allontanare la bambina dalla sua casa. Al di là delle possibili complicazioni pratiche, ci sarebbe mancato qualche blocco psicologico a fermare lo sviluppo del suo potenziale.

“Ma allora sono stata davvero io a far star male la mia maestra e i miei compagni? I dottori non hanno saputo dire come mai si sono sentiti male.” domandò con voce esitante.

Emanuel non replicò. Non era tenuto a dare alcuna spiegazione. All’interno di Esqueleto, la memoria le sarebbe comunque pian piano tornata, e con essa le risposte alle sue domande.

“Ma chi sono loro? Perché mi hanno portato via? Chi sei tu?”

Non era tenuto a dare alcuna spiegazione. Non era proprio esatto. Una c’era, e anche piuttosto urgente.

“Voglio tornare a casa!”

“Questo, niña blanca, non è proprio possibile. Anzi, ti consiglio caldamente di non uscire da questo cimitero perché, se lo farai…” si avvicinò alla bambina abbastanza da afferrarle la treccia che teneva a un lato della testa e gliela tagliò di netto, con una lama d’ossidiana uscita dal nulla. Se l’atto in sé aveva messo in allarme la bambina, vedere la treccia gettata oltre il cancello ridursi a un mucchietto di cenere l’aveva orripilata. Quella gente non solo era cattiva (solo i cattivi rapiscono i bambini!) ma era anche pericolosa e… strana! Si voltò e scappò in direzione opposta a Emanuel e al cancello, in cerca di un posto dove stare al sicuro, ma consapevole che non lo avrebbe trovato.

Solo con il tempo, Alma avrebbe compreso che il cimitero non era la sua prigione, ma la sua difesa. Non potendo spostarsi da lì, la bambina avrebbe potuto interagire solo con persone morte: questo le avrebbe imposto il continuo esercizio di un controllo ancora così acerbo – la sua voce avrebbe potuto ucciderle, quelle persone -  e, così facendo, avrebbe pian piano riacquistato e compreso appieno il suo potere.

Soprattutto, sarebbe stata al sicuro dalle altre divinità. Se già prima era malvista per le sue origini umane e per la sua presunta sfrontatezza nell’essersi elevata a divinità di rango elevato, la sua situazione era peggiorata ulteriormente quando si era venuto a sapere che quanto era successo a Quetzalcoatl fosse stato causato di una sua azione. Se Quetzalcoatl non se ne fosse andato, gli altri non sarebbero stati trascinati a vivere il medesimo destino e a sospendere i piani di fine dell’Era del Quinto Sole. Per quanto fosse stata una esplicita richiesta del serpente piumato, e sebbene la sorte che ha coinvolto gli altri fosse stata conseguenza diretta delle scelte di Mictlantechutli e di Itztlacoliuhqui Ixquimilli, era risultato più semplice, per gli altri, attribuire la colpa all’unica outsider del pantheon azteco. Va detto, a onor del vero, che non tutti l’avevano vista con ostilità e che c’era chi non le attribuiva alcuna responsabilità. Emanuel stesso, che più di tutti avrebbe avuto motivo di prendersela con lei, era stato segretamente grato a Mictlancihuatl per essere stata l’unica ad aver teso la mano a Quetzalcoatl quando lui credeva di essere solo contro tutti. Tenere la bambina distante dagli altri era stato, a giudizio di Emanuel e Dorian,  la cosa migliore da fare… fino al giorno in cui lei sarebbe stata pronta ad uscire dal cimitero con le sue stesse gambe.

 

Alma aveva ironicamente parlato di lavoro di squadra. Non era proprio esatto. Piuttosto, ognuno ci metteva del suo in totale indipendenza. Ad alcune divinità poteva capitare di incrociare spesso la stessa strada, al punto da arrivare a riconoscere certe caratteristiche gli uni degli altri.

Prevedere i disastri. Quella era senza alcun dubbio una delle prerogative di Itztlacoliuhqui Ixquimilli. Quando un disastro era imminente, l’aria cambiava. Non era un presentimento, o un sesto senso. Era  piuttosto una vera e propria percezione. Chiaramente, anche il Signore dei Morti aveva una simile abilità per le morti imminenti e la divinità dei disastri ne era ormai al corrente. Non era forse stato sempre presente, allo sterminio dell’umanità nelle precedenti Ere? Non era forse sempre pronto a pretendere il conto delle vite spezzate dai vari disastri? Itztlacoliuhqui Ixquimilli  sapeva che, per Mictlantechutli, il mondo assumeva un odore tutto suo quando il Sole era finalmente pronto ad andare in malora (o meglio, quando chi aveva il dominio su di esso aveva intenzione di mandare tutto in malora) per l’ennesima volta. Assumeva odore di marciume, di putrefazione.

Emanuel sapeva che non c’era più molto tempo, ma sapeva anche che, finché non avesse avvertito il consueto odore persistente, poteva stare tranquillo. Tuttavia, Alma aveva appena rivelato che le cose non stavano esattamente come lui credeva, e che Dorian si era ben guardato dal fargliene menzione.

Emanuel non aveva dubbi sul fatto che Dorian avesse intenzionalmente manipolato la memoria di Alma al punto da rimuovere ogni ricordo della loro precedente vita coniugale, ma mai aveva sospettato che potesse  fare qualcosa di analogo a lui, in modo da non fargli percepire un mondo già condannato. Lo aveva creduto facilmente realizzabile su una bambina indifesa, non su un giovane adulto consapevole. Era stato dunque manipolato? Di nuovo?

Emanuel era entrato al cimitero per avere una risposta, ne era uscito con preoccupazioni ancora maggiori.

E se le parole di Alma non fossero state un sufficiente messaggio di allarme, la falce di pura energia che aveva tenuto tra le mani per pochi istanti era riuscita a farlo preoccupare definitivamente. Il Sole, i Disastri, la Morte: erano quasi tutti pronti per il gran finale.

Se l’imminente fine del Quinto Sole era ormai una certezza, risvegliare la coscienza di Quetzalcoatl era ormai diventato un imperativo urgente. La speranza era l’ultima a morire, dopotutto.

 

*****

 

 

NOTE

Ecco, il death whistle esiste davvero. Lascio i link (in italiano e in inglese) per un approfondimento. In breve si tratta di fischietti, quasi sempre a forma di teschio. Secondo alcune teorie, erano usati dai Mexica per “accompagnare” le anime delle persone vittime di riti sacrificali verso l’aldilà, oppure in battaglia per intimidire i nemici. Due strumenti di questo tipo sono stati trovati tra le mani di una vittima sacrificale al tempio di Tlatelolco tempio dedicato al dio del vento Ehecatl (una delle identità di Quetzalcoatl, se non ho capito male). La particolarità di questo strumento è il suo suono, molto simile a… grida umane di puro terrore. Quando ho visto il collanone di Alejandro, quello a forma di testa di colibrì, nel secondo volume, mi ero chiesta se fosse un gingillo fashion o un death whistle…

https://www.mexicolore.co.uk/aztecs/music/death-whistle (con tanto di immagine di Ehecatl con Mictlantechutli)

http://www.blueplanetheart.it/2018/03/terrificante-fischio-della-morte-lantica-arma-azteca/

Non che Alma l’avesse costruito apposta, ma volevo farle fare qualcosa di strano senza che se ne rendesse conto, qualcosa che facesse già intuire che non era una bambina normale.

 

Non so se è correttissimo associare Mictlantechutli alla Morte. Nel pantheon greco, morte e signore dei morti erano due figure ben distinte (rispettivamente Thanatos e Ade) ma non ho trovato la stessa netta distinzione tra le divinità del Mictlan. In ogni caso, il senso nel capitolo era “se si devono verificare eventi che si concretizzeranno in una mattanza generale, che il Signore del Mictlan sia pronto a ricevere taaanti nuovi sudditi”.

 

Niña blanca à è uno dei nomi con cui viene chiamata la Santissima Muerte. Essendo messicano, figuriamoci se Emanuel non lo sa. Questo è semplicemente un piccolo segnale per indicare che, nei confronti della ragazzina, Emanuel non ha alcuna ostilità, e che non condivide i pensieri delle altre divinità circa una sua eventuale indegnità ad essere considerata parte del pantheon azteco. Alma non lo sa minimamente, in quanto mezza greca e mezza statunitense di lingua inglese e ritiene sia legato al fatto che, il primo giorno, era vestita di bianco. Da californiana, sa che esiste il giorno dei morti, ma la sua famiglia non lo festeggia.

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Capitolo 14
*** Giorno 30 ottobre: Spezzami ***


Giorno 30 ottobre Spezzami

 

Il giardino di Aindreas era tra i più lussureggianti di tutta Esqueleto, al punto da poter rivaleggiare, in bellezza, con le creazioni di Balthazar. Quando non era impegnato nelle soffocanti cucine, il prestante cuoco del Pavo del Corral dedicava cure amorevoli alle sue piante, preferendo passare le sue ore libere ad innaffiare, a potare e, terminata l’opera, a godere dell’aria fresca all’aperto in compagnia di una birra fresca.

In particolare, la rigogliosa pianta di agave, che Aindreas aveva piantato di recente, aveva destato l’ammirazione e i complimenti dei suoi vicini e di tutti gli abitanti che passavano davanti alla sua casa. Solo una persona, passando, rimaneva assorta qualche secondo, in silenzio, per poi passare oltre, con un’espressione che poco aveva a che fare con l’ammirazione per la bellezza delle piante o per il pollice verde di Aindreas. Il rosso non se ne era stupito, in verità, e men che meno se ne era indignato. Piuttosto, era preoccupato di aver, inconsapevolmente, toccato un nervo scoperto; se così fosse stato, avrebbe dovuto porvi rimedio, in qualche modo.

Per questo motivo, non si era limitato a salutare cordialmente la bella Ebenezer, quando  l’aveva sorpresa a guardare mesta il suo agave, mentre dava da bere alle sue piante.

“Buon pomeriggio, Ebenezer. Sei bellissima come sempre” esordì Aindreas, affabile e lusinghiero come al solito, ma stavolta col desiderio di strappare un sorriso alla graziosa signorina.

“Buongiorno Aindreas! Oggi non sei di turno al Pavo?” rispose cordialmente Ebenezer, con un sorriso educato, tutt’altro che genuino.

“Attacco più tardi col turno serale. Visto il caldo anomalo, il menu prevede molti piatti freddi, stavolta” ammiccò in risposta.

“E quindi ti dai da fare col giardino” osservò la ragazza, accennando alla pompa dell’acqua aperta che Aindreas teneva tra le mani.

“Ho innaffiato abbastanza, adesso è giunto il momento di innaffiare me” ammiccò con fare volutamente sexy, provocando una risatina all’altra.

“Non vorrai fare Mister Maglietta Bagnata, spero!” esclamò, fingendo di coprirsi gli occhi con finta pudicizia.

“Macché! Mi innaffio di birra! Posso offrirti qualcosa da bere, prima che torni a casa?”

Ebenezer sembrò sul punto di rifiutare, ma cambiò idea.

“Allen non ha ancora terminato il turno di servizio, posso tardare un po’ il mio rientro” accettò, percorrendo il giardino.

“Le tue decisioni non devono per forza girare intorno ad Allen. Lo sai, vero?”.

Ebenezer si irrigidì appena, a sentir nominare il fidanzato. “Certo che no. Dicevo così perché avrebbe potuto preoccuparsi, se non mi avesse trovato a casa”.

“Cosa preferisci? Un alcolico, una bibita, una tisana fredda?”

“Tieni delle tisane in casa?” si stupì Ebenezer, grata per quel cambio di discorso.

“No, ma spero che non me ne chiederai”

“Allora decidi tu!”

Passarono pochi minuti quando Aindreas tornò non con delle birre, come aveva precedentemente anticipato, ma con … pulque e tequila.

“Hai detto che potevo decidere io” si giustificò alla vista dello sguardo stupito di Ebenezer, mentre le allungava un bicchierino e versava il liquore. Forse aveva esagerato, ma Aindreas era un tipo noto a tutti per la sua mancanza di tatto, tra l’altro mai animato da cattive intenzioni. Se, come sospettava, era la pianta di agave a togliere il sorriso a Ebenezer, avrebbe dovuto indurla ad aprirsi con lui, in qualche modo.

Senza dire una parola, si sedettero sullo sdraio a dondolo sotto la veranda.

Aindreas assaporava la sua tequila guardando Ebenezer di sottecchi; la ragazza rigirava il bicchierino tra le mani, portandoselo ogni tanto alle labbra e sorseggiando senza molta convinzione.

“Ha reso felici molte persone, quella bevanda. Eppure sembra che, proprio a te, non faccia lo stesso effetto”.

“Beh, non è che la mia posizione fosse molto comoda, all’epoca” commentò mesta. Mayahuel, la dea dell’agave. Per fare quel dono gradito, aveva dovuto letteralmente essere spezzata in molte parti, ma, a differenza di Nanahuatzin e Tecciztecatl, il suo sacrificio fu tutt’altro che volontario.

 

A Mayahuel non era mai pesato vivere una vita già predisposta da sua nonna, Tzitzimitl. Le conseguenze della sua ubbidienza erano sempre state piuttosto piacevoli, quindi non aveva mai avuto alcun motivo di lamentarsi. Persino il matrimonio con Xocipilli, per il quale non era stato chiesto il suo benestare, era andato meglio di quanto avesse sperato. Se non altro, il Principe dei fiori gli era sembrato, fin da subito, una brava persona, simpatica, divertente. Non era stato difficile volergli bene. Lei lo rispettava e lui faceva lo stesso. E poi, andava bene a sua nonna, quindi, tutto apposto. Faceva ciò che lui le chiedeva e lei eseguiva. Tanto, non le pesava, soprattutto perché anche lui cercava di esaudire tutte le sue richieste. Beh, quasi tutte.

Un giorno aveva espresso il desiderio di andarsene, ogni tanto, a zonzo nella terra degli umani. Quelle graziose creature dell’Era del Quarto Sole avevano destato una certa curiosità nella dea, se non altro perché si diceva che fossero state la creazione meglio riuscita, tra i quattro tentativi fatti fino ad allora. Mayahuel ne era meravigliata: come potevano degli esseri così imperfetti essere così carini? Come facevano a vivere, malgrado sperimentassero difficoltà che le divinità non potevano nemmeno immaginare di provare? Come riuscivano a compiere opere ingegnose con delle forze così miserrime, se paragonate alle loro?

Da nubile, la giovane dea non aveva mai avuto un grande margine d’azione, costretta com’era sotto la castrante tutela di quella strega di sua nonna, ma aveva sperato di poter convincere il marito a lasciarle più libertà per andare a vedere da vicino quelle bestioline curiose. Invece, Xocipilli l’aveva ammonita dall’avvicinarsi a quelle creature, buone solo a onorare le divinità con offerte, preghiere e sacrifici, ma con cui non era decoroso avere a che fare.  Mica avrebbe voluto diventare uno zimbello come Quetzalcoatl, le aveva chiesto stizzito, e non aveva più voluto tornare sull’argomento. Aveva detto quello che pensava, e Mayahuel avrebbe ubbidito, fine della storia.

Ma il maritino non aveva fatto i conti col fatto che era bastato nominare Quetzalcoatl per far spuntare a Mayahuel un pensiero dispettoso: se non l’avesse accompagnata Xocipilli, avrebbe potuto chiedere al serpente piumato di scortarla in quelle terre. Di sicuro, Quetzalcoatl non le avrebbe rifiutato quel favore, gentile e disponibile com’era. Sarebbe stato solo una volta, giusto per togliersi lo sfizio!

Mayahuel non aveva previsto che, invece, si sarebbe divertita parecchio. Le feste che gli umani celebravano nel corso dell’anno erano molto più divertenti, quando partecipavi in mezzo a loro. Gli umani avevano una vita dura, ma sapevano come alleviare le fatiche.

Il serpente piumato, poi, si era rivelato essere più pazzo di quello che credeva: adorava davvero quelle creature!

“Hai fatto COSA?” Mayahuel non credeva alle proprie orecchie.

“Non lo avevo previsto” si scusò quasi il biondo, dopo esser stato beccato dalla dea a coccolare una di quelle umane.

“Aspetta, non è quella che aveva ammazzato quel guerriero mentre… sì insomma, non gli ha fatto fare esattamente una fine da guerriero…”.

“Se non fossi intervenuto, l’avrebbero giustiziata. Poco importava che fosse una nobile. Aveva comunque ucciso qualcuno di importante nella sua comunità, un guerriero rispettato! Ma non sarebbe stata vera giustizia!”.

“Ma… non è quella che è riuscita a essere blasfema con almeno tre o quattro divinità contemporaneamente? Nessuno di noi avrebbe notato una donnetta mortale, se non avesse offeso in un colpo un paio di noi solo per scampare al giudizio dei suoi pari! E, nonostante questo, è sopravvissuta?”

Mayahuel ricordava il trambusto di quell’evento, e aveva trovato così strano che a provocarlo non fosse stato un qualche sovrano decisivo per le sorti di un popolo, bensì una ragazzetta di appena quindici primavere. Tutto era iniziato da quel guerriero, tanto coraggioso e valoroso in battaglia, quanto infame in tempo di pace. Abusava dei ragazzini, e nessuno diceva nulla, nemmeno i genitori di quelle creature, come se tutto gli fosse dovuto. Nessuno, del resto, si curava dei fanciulli, oltre alla somministrazione del mero nutrimento. Fino a quando quella Malintzin non si era stufata di quella situazione e, mentre l’infame era troppo impegnato e vincere le resistenze di un giovinetto, lo aveva colpito alle spalle con un affilato arnese agricolo, per fagli passare le sue perverse voglie in modo definitivo. A muovere la sua mano non era stata l’indignazione o l’empatia, ma piuttosto l’irritazione nel veder rovinate delle vite senza che nessuno intervenisse.

“Blasfema?! Ma no, che dici?” esclamò il serpente piumato.

“Aveva deliberatamente sottratto un guerriero a Huitzilopotchli ed esclamato a gran voce che tale immondizia non avrebbe meritato di finire nella beatitudine dell’Omeyocan. Non spettava a lei tale scelta. Ha sottratto un’anima che spettava di diritto a una divinità”.

“Beh, Huitzilopotchli non se l’era mica presa, se ben ricordi. E se non aveva provato fastidio lui, agli altri sarebbe dovuto importare ancora meno”  obiettò Quetzalcoatl.

“Non aveva anche aggiunto che, siccome non era giusto quello che quell’immondizia aveva fatto a dei bambini, se l’avessero condannata, sarebbe stata una perdita di tempo, da parte dei giudici, invocare Itztlacoliuhqui-Ixquimilli per essere equi nel giudizio?”

“Non mi risulta che l’offesa fosse diretta a Itztlacoliuhqui-Ixquimilli, bensì a chi diceva di poter parlare col suo favore! Avrebbe potuto intervenire, era parecchio irritato per l’evidente ingiustizia che Malintzin avrebbe subito dai suoi stessi concittadini, ma sai che lui non interferisce quasi mai nelle decisioni degli umani. Preferisce far scontare le conseguenze delle loro azioni” Quetzalcoatl si sentiva a suo agio, nei panni di avvocato difensore.

“E quando ha detto che non avrebbe temuto la condanna a morte, visto che lei, con la morte, ci flirtava in continuazione, ogni volta che si arrischiava nelle sue arrampicate verso i favi di miele, con la sua scusa di provare la sua scarica di adrenalina quotidiana?”.

“…mi arrendo”. Il serpente piumato non aveva avuto modo di sapere la reazione del Signore di morti a una tale impertinenza, ammesso che il sovrano ne fosse venuto a conoscenza, ma nemmeno la divinità più ottimista del Creato avrebbe potuto immaginare una qualche forma di clemenza da parte di Mictlantechutli.

“Quella sua boccuccia insolente avrebbe pesato parecchio sulla decisione di condannarla a morte, se non fosse stato per te, Quetzalcoatl” concluse Mayahuel.

Non era giusto quello che avrebbe subito la ragazza, ma era pur sempre un’umana, e nessuna divinità si sarebbe disturbata ad intervenire in suo favore. Quetzalcoatl, invece, aveva voluto impedire quella condanna, e ci riuscì dando agli umani un motivo che avrebbe completamente cambiato il loro modo di vedere la situazione che si era creata. Aveva donato loro un sentimento che avrebbe portato alla cura dei bambini e delle creature più deboli, e che avrebbe suscitato l’indignazione verso chi li avrebbe danneggiati. Fu così che la fanciulla venne infine graziata: non avrebbe potuto non soccorrere un bambino. Il punto di vista si era diametralmente rovesciato: il biasimo ricadde tutto sul guerriero assassinato e la fanciulla avrebbe commesso un torto enorme se non avesse agito in difesa del bimbo, avendo avuto la possibilità di farlo.

Comunque, gli umani ignoravano totalmente il fatto che a Huitzilopotchli, di quel guerriero, poco importava, essendo dotato di un’ovvia conoscenza che trascendeva quella di quelle piccole creature mortali. In quella situazione infima, lui lo sapeva, un guerriero sarebbe andato perduto comunque. Avrebbe potuto essere il guerriero, oppure il bambino stesso, destinato, in futuro, a superare in valore quello di colui che aveva tentato di abusare del suo corpo acerbo. Se l’infame fosse riuscito nel suo intento, il bambino avrebbe vissuto il resto dei suoi giorni con l’animo irrimediabilmente spezzato, divenendo la pallida ombra dell’uomo valoroso che avrebbe potuto diventare. Quindi, l’osservazione impudente della ragazzetta sarà stata pure blasfema ma era, sostanzialmente, corretta. Quindi, nessuna offesa.

“E tutto questo come si concilia col fatto che la stavi coccolando teneramente?” criticò Mayahuel sospettosa e vagamente disgustata.

“Troppa dose di amore, suppongo. È successo e basta” la bionda divinità non era un tipo che si faceva troppe domande, finché la situazione gli andava bene. Furbo, il serpente piumato.

A Quetzalcoatl erano piaciute le conseguenze di quel dono che aveva fatto all’umanità e, tempo addietro, aveva osservato la ragazza mentre abbracciava il piccolo che aveva salvato con un trasporto inedito, colmo di affetto, ricambiata dal ragazzino. Ma era bastato che la ragazza alzasse la testa e incrociasse, casualmente, il suo sguardo con quello del biondo sconosciuto, perché quel dono si manifestasse in un altro modo… imprevisto… per entrambi. Da quel giorno, quello sguardo sarebbe rimasto l’uno nei pensieri dell’altro per molto tempo.

Mayahuel era rimasta non poco stupita: il serpente piumato era davvero bizzarro a farsi piacere una simile creatura! Tale sorpresa l’aveva indotta ad approfondire la sua curiosità, e così quella che doveva essere una sporadica visita per togliersi lo sfizio era diventata una tappa periodica fissa con Quetzalcoatl come “guida turistica”. La dea non riusciva a provare lo stesso trasporto che il biondo aveva verso quelle creature, ma era divertente mescolarsi tra loro, fingere di appartenere alla loro stessa specie. Aveva persino conosciuto questa Malintzin: una tipa piuttosto graziosa e ingenua, per essere un’assassina, ma nulla di più di una bestiolina adorabile da trattare con accondiscendenza.

Tuttavia, quelle periodiche assenze nel mondo degli umani cominciarono presto a farsi notare; le domande del marito a farsi più insistenti; i sospetti farsi più pesanti.

E le accuse farsi più infamanti.

Era semplice andare d’accordo quando ti trovavi in sintonia con i tuoi tutori, ma Mayahuel non aveva mai immaginato quanto male sarebbe finita, per lei, quando quella sintonia fosse saltata. Era andato tutto bene finché aveva assecondato marito e famiglia. Una volta smesso di farlo… Mayahuel aveva potuto essere fatta a pezzi.

La nonna, venuta a sapere della condotta di sua nipote, era andata su tutte le furie. L’avrebbe fatta pentire di aver offeso il marito, disubbidendogli.

L’aveva fatta inseguire dalle sue compagne, le tzizimine. Esse trucidarono Mayahuel senza alcuna pietà. La sua unica colpa? Non aver ubbidito alla sua famiglia.

Mayahuel aveva sempre fatto ciò che sua nonna le ordinava, sempre. Ma non era stato abbastanza, per quella vecchia strega. Aveva realizzato troppo tardi, mentre impazziva di dolore per le membra tagliate via dal suo corpo, di essere imparentata con una vera e propria stronza. E allora, tanto valeva rendere la sua nuova condizione vantaggiosa per gli umani. Una piccola vendetta, da portare con sé per l’eternità.

Non avrebbe dovuto calcolarle nemmeno di striscio, quelle bestioline mortali, giusto? Bene, avrebbero avuto da lei un dono che poteva competere con quelli fatti da Quetzalcoatl, Xipe-Totec e Xocipilli messi insieme. Il dono di dimenticare le fatiche e i dolori; il dono di incrementare la gioia e le passioni; il dono di smettere di pensare, quando i pensieri si facevano tediosi; il dono di assumere un barlume di coraggio per fare cose folli, quando il buonsenso si faceva troppo austero. Lei, quel coraggio, lo aveva infine avuto, e le era stato fatale. Avrebbe augurato agli umani di poter vivere la loro libertà in modo gioioso.

La sbronza libera, la serena ebrezza: un liquore ricavato dalle foglie della pianta in cui era appena stata trasfigurata. Il primo agave.

 

Il pulque contenuto nel bicchierino, alla fine, venne bevuto in un unico, lungo sorso.

“Era stato Xocipilli a riferire a mia nonna dei miei viaggi tra gli umani” mormorò Ebenezer senza alcun preambolo. Ogni volta che vedeva una pianta di agave, il ricordo della sua origine invadeva la sua mente, e non poteva fare a meno di sentirsi a disagio.

“Non starai pensando la tua fine sia stata voluta da lui?” Aindreas stentava a credere alla possibilità che il Principe dei fiori (dei FIORI!) potesse riversare un tale livello di aggressività verso qualcuno che amava.

“No, certo che no! Mi credi così fuori di testa da stare assieme a una persona del genere, se fosse stato così? Allen mi giurato di aver richiesto l’aiuto delle tzizimine per cercarmi, non per vendicarsi. Gli credo. Ricordo la sua reazione, quando mi ha trovato morente. Sembrava fuori di sé dal dolore”.

“Credimi Ebi, lo era”.

Lo sguardo di Ebenezer si fece cupo, e la cosa non sfuggì ad Aindreas.

“Aveva creduto che gli fossi infedele. Io! Con Quetzalcoatl!” assunse un tono indignato all’idea che proprio suo marito potesse aver pensato una cosa così assurda e offensiva nei suoi confronti.

“E ha mandato a morire la donna di Quetzalcoatl per vendetta. Era soltanto un’umana, non c’entrava nulla. Non era stato niente di che, era soltanto un’umana… ma mai mi sarei mai aspettata una tale azione da lui… è stato così… meschino”.

“Non credo sia una buona cosa pensare troppo al passato. Come dice la parola stessa, è passato”. Aindreas lo credeva davvero. Aveva vissuto pienamente il presente in ogni sua vita trascorsa, cogliendo le possibilità sempre diverse che ogni nuova esistenza offriva. Aveva avuto periodi difficili, ma chi non ne aveva? Ma Aindreas aveva sempre reagito con vigore, energia, e anche un po’ di sana spacconeria, per affrontare con positività ogni evento. Restava pur sempre Tonatiuh, sebbene senza i suoi poteri divini, ma comunque con altre qualità da far fruttare.

“Col boicottaggio della fine del Quinto Sole di cinquecento anni fa, hai perso la tua forma di agave, così come Thomas e Mattie hanno perso le sembianze di astri. Ora, è sufficiente per voi esistere, per mantenere integre le vostre creazioni. I risultati di un sacrificio non vengono meno, se i sacrificati cambiano di nuovo forma. Tu e Allen avete una nuova possibilità”.

“Certo, una nuova possibilità” mormorò Ebenezer. Sembrava combattere con i pensieri nella sua mente.

“Quando ci siamo incontrati di nuovo, ero davvero convinta di aver avuto una seconda possibilità. Ero così felice di poterlo riabbracciare di nuovo, e lui così dispiaciuto di aver creduto a un tradimento da parte mia. Tutto quello che era successo sembrava una parentesi trascurabile”.

Prese un respiro, prima di continuare.

“Allen si è messo a tormentare una bambina, Aindreas! Che razza di comportamento è?” il riferimento ad Alma era lampante.

“Non c’entra niente con la vendetta di allora. Non fare l’errore di vedere Alma come una bambina, Ebenezer. Sono successe molte cose, dopo la tua… morte. Xocipilli, legando l’anima di quella mortale a un nuovo fiore, senza volerlo, aveva creato la sua nemesi. Non si sarebbe mai aspettato che quel fiore avrebbe assorbito l’energia del Mictlan, e Mictlancihuatl ha interpretato bene la parte che lui le ha proiettato addosso”.

“Ma la sta infastidendo ora che lei è impossibilitata a fare alcunché. È facile infierire quando le forze sono così sbilanciate a tuo favore, vero? L’hanno dovuta isolare in un cimitero, per tenerla al sicuro da lui! Per me è un comportamento da vili”.

“Pericoli non ne corre di sicuro, quella nanerottola. Stai pur certa che, appena ne avrà l’occasione, restituirà il piacere ad Allen con gli interessi!”

“Va bene, allora cambiamo punto di vista, e non vediamola come una bimba impotente. È per merito di colei che tu definisci sua nemesi che sono tornata a camminare sulle mie gambe. Morte e Rinascita. Lo stesso vale per Nanahuatzin e Tecciztecatl. Ma Allen, anziché esserne grato, sembra aver trascurato questo dettaglio. Per lui sembra esistere solo il fastidio che lei ha arrecato alla sua persona in passato”.

Sospirò.

“Ma questo posso ancora tollerarlo. Nessuno è perfetto, giusto? Lui mi vuole bene, e io gliene voglio a lui… e i contrasti tra divinità non cessano solo perché diventate umane, giusto?”

Aindreas decise che non era il caso di girarci ancora intorno. “Ebi… cos’è che ti turba?”

Ebenezer tornò a guardare il bicchierino vuoto. “Da quando Mordecai è arrivato, Allen è tornato ad essere paranoico. Ha ripreso coi suoi atti violenti e solo per puro caso non sono diretti a Mordecai. Ci deve stare persino fisicamente lontano, per non perdere il controllo. Ho visto come lo guarda. Quetzalcoatl non mi ha fatto niente, e Allen lo sa, quindi non c’è niente di cui vendicarsi. Ma anche me ne avesse fatto, ora sta covando rancore verso una persona del tutto inconsapevole!”.

Per la prima volta, Ebenezer diede voce alle sue preoccupazioni.

“Ebbene io temo che Allen sia una brava persona solo quando la vita gli sorride. Ma quando iniziano a verificarsi cose che non gli piacciono? È dunque questa la sua vera natura? Un passivo-aggressivo, pronto a dare il peggio di sé non appena l’occasione glielo consentirà? E il mio ruolo in tutto questo qual è? Posso fare qualcosa per aiutarlo? Oppure le mie azioni non porteranno a nulla, e dovrò restare in attesa che la bomba ad orologeria dentro di lui deflagri, distruggendo se stesso, altri e me stessa? Tornerò a spezzarmi come prima?”

Scosse la testa, desolata.

“Io… Non sono sicura di volerlo, Aindreas”.

“Ebenezer…” Aindreas non poteva immaginare che il rapporto tra Ebenezer e Allen fosse così compromesso; che la salute mentale di Allen fosse così compromessa.

“Ascolta un consiglio, per quello che vale ciò che esce dalla bocca di uno zotico come me. Hai avuto cinquecento anni per emanciparti. Sei padrona di te stessa, padrona del tuo destino. Anche dovesse… cambiare questa realtà… questo mondo… la Mayahuel di adesso non sarà la Mayahuel del passato. Se pensi che la tua storia con Xocipilli sia giunta al capolinea, non hai che da ignorare il concetto di finché morte non ci separi e lasciarlo a Mictlantechutli” fece una breve pausa. “Se invece credi che possiate ancora esistere, come coppia, forse sarebbe meglio parlarne direttamente con Allen, non pensi?”.

Ebenezer sembrava alla ricerca delle parole per rispondere al rosso. Alla fine, parve rinunciare.

“Ora devo proprio tornare a casa, Aindreas. Ti ringrazio per tutto”.

***

“Ebenezer, dove sei stata?” la domanda di Allen era stata posta con leggerezza, ma la ragazza, che non aveva fatto nemmeno in tempo ad attraversare completamente la porta d’ingresso, notò, non senza una punta di fastidio, che non vi era stato alcun saluto, nemmeno un “Come è andata oggi?”, da parte del fidanzato. Solo un piccolo interrogatorio, come esordio.

“Aindreas mi ha invitata a bere qualcosa nel suo giardino” tagliò corto.

“Sempre a provarci con tutti, quel mascalzone” replicò con tono canzonatorio.

“Abbiamo semplicemente parlato” il fastidio per quella accusa gratuita, aumentò.

“Mi ero solo stupito di essere tornato a casa prima di te. Non farmi preoccupare, tesoro mio” la blandì con un bacio, sottostimando il disagio di Ebenezer.

Ebenezer avrebbe potuto chiedere di cosa si sarebbe dovuto preoccupare, in una cittadina con criminalità inesistente dove si conoscevano tutti. Invece, abbozzò un sorriso.

“Va bene, caro” ricambiò il bacio.

Non si sentiva pronta per un confronto. Aveva ancora timore di conoscere le probabili conseguenze.

 

FINE

 

 

PICCOLE GIUSTIFICAZIONI CHE NON INTERESSANO A NESSUNO

Giuro che Allen mi piace, davvero! Però, boh… nel fumetto mi ha dato sensazioni strane. Le sue ferite, lo specchio rotto, i sorrisi piuttosto inquietanti, la pacca forte che aveva dato a Mordecai, con tanto di occhiataccia, la tentazione di abusare della sua posizione di poliziotto, anche se detto per scherzo… non mi sono sembrati segnali sereni, eh. E nelle poche interazioni che aveva avuto con Ebenezer, quest’ultima sembrava più preoccupata che felice (allarmata quando Allen si era ferito con lo specchio, espressione triste quando ha detto che Allen voleva stare lontano da Mordecai ma voleva che lei si divertisse alla festa del Ringraziamento). Al momento ho come la sensazione che la coppia si trovi a un bivio, ma sono solo idee mie, e se il fumetto le smentirà sarò solo contenta. E tutto questo l’ho pensato quando ancora non avevo letto la mitologia su sti due (boh, su Xocipilli è inesistente?).

La mia cara, dolce Mayahuel… quando ho letto il mito che la riguardava, ho solo esclamato: Perché T__T ?! Non potevo non citare la sua storia in una fanfic! Cito Wikipedia:

“Secondo la mitologia azteca, Mayahuel era la donna della quale si innamorò Ehecatl, il dio del vento (una delle sembianze di Quetzalcoatl, N.d.Adri). Lui fece dono dell'amore al genere umano, perché lei potesse poi ricambiarlo (fin qui, Mayahuel sembrerebbe essere umana… N.d.Adri). Mayahuel andò sposa a Xochipilli (…e il consenso? N.d.Adri) […] Gli Déi mandarono Ehēcatl a cercare Tzitzimitl (che era una divinità, N.d.Adri).. Al posto di lei, Ehēcatl trovò Mayahuel, la bellissima nipote di Tzitzimitl (quindi, anche Mayahuel è una divinità. Boh N.d.Adri). Ehēcatl se ne era innamorato e le chiese se potevano andare insieme sulla terra, almeno per un po' (nulla di zozzo, quindi. Semplice gita fuori porta? N.d.Adri). Dopo un po' di esitazione lei acconsentì e Ehēcatl la portò sulla terra. Tzitzimitl, furiosa, chiamò a sé le Tzitzimime, sue compagne e insieme si misero a cercare Mayahuel. Ehēcatl e Mayahuel, preoccupati, si trasformarono in una pianta. Mayahuel era un ramo e Ehēcatl era l'altro. Ma Tzitzimitl trovò l'albero. Le Tzitzimime spaccarono il ramo di Mayahuel e la uccisero, mentre Ehēcatl rimase lì (sta povera gioia è stata uccisa perché uscita di casa senza permesso. Se ripenso alla mia adolescenza, mi è andata di lusso … N.d.Adri). Quando le Tzitzimime se ne furono andate, Ehēcatl tornò normale e si mise a cercare i resti del suo amore. Li trovò e li seppellì. Per azione degli Dèi i resti della povera Dèa divennero il primo Agave. Così Mayahuel divenne la Dèa dell'agave. Dall'agave si ricavarono fibre per i tessuti e la pulque”.

Chiaramente, non è che mi andasse molto a genio che Quetzalcoatl fosse innamorato di Mayahuel. Lasciamo i triangoli con corna al marito alle commedie italiane Anni ’70, va là. Tra l’altro, ne avevo già parlato in uno dei primi capitoli, dal punto di vista di Allen (Capitolo “Terrorizzato”). Nella pagina Wikipedia di Ehecatl si dice esplicitamente che si era innamorato di un’umana, quindi la mia è fantasia fino a un certo punto, eh, per il resto c’è documentazione pacchiana. Quindi, dal riferimento “Lui fece dono dell'amore al genere umano, perché lei potesse poi ricambiarlo” è nata la mia Malintzin.

Come avete visto, il mio giochino preferito “trova il dio azteco” prosegue anche in questo capitolo, fedele alla mia ipotesi che tutti i personaggi sono, in realtà, divinità. Capelli rossi, a contatto col fuoco, gradasso: Aindreas doveva essere un Weasley… aspe’ no, volevo dire Tonatiuh. Sarà vero? Sarà falso? Agli autori di Calaca l’ardua sentenza!

Piccola nota anche su una frase che faccio dire nel capitolo: Noi flirtiamo con la morte à non vedevo l’ora di utilizzare questa frase da quando l’avevo sentita nel film Il libro della vita! J E a proposito del film, mi sono servita dell’aspetto della Muerte protagonista del film per immaginare l’aspetto di Malintzin: è più umano, ovviamente, con i capelli molto più corti (o Mictlancihuatl si sarebbe trovata una ventina di giri per ciascuna treccia sulla nuca) e gli occhi, che nel film hanno una luce calda come quella di una lanterna, hanno il colore di alcuni tipi di semi di cacao dal colore particolarmente caldo. Come Alma, ovviamente, va ringiovanita parecchio.

Quando ho visto che Alma e Malintzin stavano diventando personaggi fissi, non potevo non creare un background e una personalità ben delineati, in modo da non creare eventuali refusi tra un capitolo e l’altro. Ho quindi fatto di lei una sensation seeker, praticamente una che fa cose rischiose, potenzialmente mortali, ma con il controllo dei rischi calcolato perché adrenalina sì, aspirante suicida no! Ogni sua incarnazione è stata amante di uno sport estremo, ma Alma è in stand-by in un cimitero… avrebbe amato molto il parkour, crescendo. Volevo mettere un po’ in pratica il concetto che l’esistenza della morte rende la vita più importante, e una sensation seeker mi sembrava più vicina ad onorare la morte, come aspetto imprescindibile della vita, rispetto a un suicida o a un serial killer – senza nulla togliere a chi vive in modo meno spericolato, eh.

Una cosa su cui ho riflettuto parecchio, però, è stata la seguente: cosa poteva avere un’umana di abbastanza interessante da far innamorare un dio al punto da indurlo a donare la capacità di amare al genere umano, pur di averla? E perché la sorte di un’umana sacrificata è stata così differente rispetto a quella di migliaia di altre vite sacrificate, al punto da diventare la consorte di Mictlantechutli? Avevo letto su un sito (sfortunatamente ora fuori uso) che la bambina sacrificata aveva attinto potere crescendo nel Mictlan, ma perché proprio lei, tra tutte le anime? Non potevo lasciar correre come la Mayers in Twilight, con Edward che non sa perché è attratto da Bella o, peggio, come in 50 sfumature di grigio, dove Christian Gray, bono circondato da bone, è inspiegabilmente attratto dalla scialbina di turno. Qui ci stanno di mezzo due divinità e una mortale che sta a loro come una formica sta ad un essere umano. Trovatelo un essere umano che si innamora di una formica.

Ecco quindi che Malintzin non è qualcuno di particolare ma ha fatto qualcosa che ha attirato l’attenzione (un omicidio per giusta causa condito da blasfemia) e la cotta di Quetzalcoatl è stata un incidente conseguente al suo dono (che poi, alla lontana, ci sia un riferimento ad Amore e Psiche – chi dà l’amore, ops, si innamora a sua volta – è puramente casuale); e nel Mictlan cambia un po’ troppo rispetto agli altri defunti perché assorbe l’aria attraverso fiori che riescono a vivere anche in quell’ambiente, fiori a cui è legata. Questo le fa cambiare un po’ troppo il punto di vista – meno umano, più divino – e i gusti… E ci tenevo che, a causare tutto questo, fosse la divinità della fioritura Xocipilli attraverso i cempasùcil… la controparte greca di Mictlancihuatl, Persefone, era la dea della fioritura e della primavera, prima che regina nell’Ade, finita là sotto per colpa di un narciso… J Davvero, gente, non è un caso che abbia reso Alma greca.

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Capitolo 15
*** Capitolo 24: bruise me, beat me ***


DISCLAIMER'Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di Don Alemanno o di BardoMagno, nè offenderla in alcun modo" Questo capitolo è ambientato anni dopo le vicende narrate nel fumetto, per la precisione nell’agosto 2020. Il motivo vi sarà chiaro solo leggendo fino alla fine. Ovviamente, i personaggi sono più grandi. Sospendiamo per un momento ciò che è la serie canonica e immaginiamo che tutto è finito bene, il mondo non è finito e le nostre divinità proseguono le loro esistenze tranquille ma libere dalla prigionia di Esqueleto. Credo di aver sfiorato il punto di massima cretineria fandomica, ma spero che sarete clementi. Buona lettura!

***

 

“Non c’è davvero altro modo?” chiese titubante Mordecai, cercando di tenere la voce il più basso possibile, con la speranza che Emanuel lo sentisse comunque. Il ragazzo ne aveva passate di tutti i colori, in quegli ultimi anni, ma ormai era riuscito a ritagliarsi il suo angolino di normalità, soprattutto da quando era uscito da Esqueleto sano e salvo, cosa per nulla scontata. Certo, doveva fare i conti col fatto di non essere (di non essere mai stata) una persona normale e di avere un passato abbastanza ingombrante, ma Mordecai pensava di aver raggiunto, finalmente, un suo equilibrio, sia mentale che nella vita quotidiana. Invece, eccolo a irrompere, di nascosto, nell’appartamento di uno sconosciuto, motivato, suo malgrado, da intenzioni criminali.

“Temo di no” replicò piattamente Emanuel mentre avanzava senza far rumore. Ciò che erano sul punto di fare sembrava non fargli né caldo né freddo.

“Ma basterebbe parlargli… dirgli di ritirare la pubblicaz…” obiettò, leggermente più baldanzoso, il biondo.

“E con quali argomentazioni vorresti convincerlo?” lo interruppe il moro.

“Beh, se l’alternativa è u-ucciderlo…”

“In pratica, vorresti minacciarlo di morte” .

“No, certo che no! Sarebbe più… un avvertimento!”.

Alejandro, in testa al gruppetto con l’espressione di chi si trovava lì perché invitato, replicò in modo pratico “In fondo, abbiamo mezzi piuttosto adatti non solo per convincerlo a ritirare quella canzone, ma anche per farlo tacere. Voglio dire, non ci vuole molto a convincere un essere umano che siamo divinità azteche e che sarebbe meglio per lui fare quello che gli chiediamo”.

“E tu lasceresti testimoni in giro?” gli chiese, scettico, il moro.

“Pensi che qualcuno gli crederebbe, se andasse in giro a dire che le divinità azteche lo hanno minacciato di morte?”

“Francamente, preferisco che nessun umano sappia di noi. Men che meno un fumettista che prende per i fondelli divinità di altri culti”.

“Veramente prende per i fondelli il fan club di quei culti. Alcune vignette sono piuttosto spassose. Devo ringraziare Alma di avercelo segnalato”.

“Emanuel, ma allora tu preferiresti ricorrere ad un omicidio?!” pigolò indignato Mordecai, decisamente non interessato ai lavori di quel povero diavolo che, temeva, avrebbe passato, di lì a poco, un bruttissimo quarto d’ora.

“Ti ho seguito per questo motivo, giusto? Tu non ti sporcherai le mani con questo lavoretto, non ne avresti il coraggio. E allora ti sollevo io dall’incarico” concluse, con una nota di rimprovero, Emanuel.

“Anche se non capisco perché ci siamo dovuti portare dietro anche lui” indicò Alejandro.

“È una missione troppo importante per ignorarla! Diciamo che sono venuto a dare supporto morale al nostro serpentello con le piumette arruffate per lo spavento” denigrò deliberatamente l’essenza divina di Mordecai, ma quest’ultimo non ci diede minimamente peso, preferendo rispondere ad Emanuel.

“Devo farlo io… Alma ha incaricato me di farlo… le devo un favore”.

“Mordecai, non posso credere che tu abbia chiesto di nuovo un favore a Mictlancihuatl! L’esperienza di cinquecento anni fa non ti è bastata?” sbottò il moro. Nel frattempo Alejandro, che non si perdeva una sillaba della conversazione,  verificava l’eventuale presenza di altre forme di vita nell’appartamento.

“Il peso di un debito va pagato da chi lo ha contratto… lei è stata categorica su questo” almeno, quella lezione Quetzalcoatl l’aveva imparata bene, sebbene ai suoi danni e ai danni di tutto il pantheon azteco.

“Giusto, ed è esattamente questo il motivo per cui anche tu sei qui in Italia con me… parteciperai al delitto. È sufficiente”.

“E questo mi riporta alla domanda iniziale: non possiamo trovare un altro modo? Emanuel, come hai ridotto in silenzio Jason, non potresti fare la stessa cosa con quel fumettista?”

“Peccato che ridurlo al silenzio non raggiunga il peso del debito che hai contratto con quella niña. La prossima volta, ti prego, evita di chiedere alla Signora del Regno dei morti di salvare una vita, così lei non ti potrà chiedere di toglierne una per bilanciare!”

“Ma non è andata così…”

“Per come avevi formulato la richiesta, Alma ha fatto ciò che avevi chiesto. Ha tirato fuori quella tua compagna d’università che si è stupidamente persa nelle catacombe di Parigi, succursale europea del Mictlan. L’ha salvata, e questo, alla fine, lo avevi compreso anche tu”.

“Però non è giusto” ciò che aveva detto il moro era corretto, ma ricordare l’epilogo di quell’episodio fece tornare il magone a Mordecai.

“Giusto o meno, è stata chiara con te nel paventare le possibili conseguenze, se quella canzone dovesse diffondersi ulteriormente e giungere alle orecchie di Dorian”.

“Non posso credere che Dorian farebbe davvero mutare il virus del Covid 19 per un motivo così stupido!” si lamentò il biondo. “È solo una canzonetta italiana, e loro stanno in America! Dorian potrebbe non sentirla mai! La canta un tizio che non è nemmeno un cantante, ed è stata creata da un gruppo semisconosciuto che canta parodie! Alma l’ha sentita solo perché è venuta qui in vacanza con la sua famiglia!”

“Una canzonetta che prima finirà nel dimenticatoio, meglio sarà per tutti” sentenziò il moro, col chiaro intento di chiudere il discorso “Ridicola o meno, non è un caso che l’abbiano resa pubblica proprio nel cinquecentesimo anniversario della caduta dell’impero azteco!” ribatté severamente il moro, svelando alla fine cosa aveva scatenato la sua irritazione in tutta quella storia.

“Guarda che quel simpaticone ha aumentato il tasso di mortalità di alcune epidemie per molto meno. E se sua moglie dice che potrebbe sentirsi sufficientemente offeso per quella canzone da creare una variante di Covid che farebbe rimpiangere l’influenza spagnola, la peste e il vaiolo messi insieme, io le credo” Alejandro si interruppe, pensieroso “Ma se ci teneva così tanto a scongiurare tale eventualità, perché non ci ha pensato lei stessa?” chiese Alejandro.

“Perché deve studiare per il test d’ingresso all’università e non può permettersi distrazioni. O almeno così dice lei”.

“Ehi, guarda che l’università è importante!”

“Ma non mi dire” commentò Emanuel, rammentando le seghe mentali del biondo sull’esame che non aveva potuto dare, poiché appena intrappolato ad Esqueleto, e quelle peggiori, una volta tornato libero, sulla tesi di laurea che non riusciva a scrivere in modo perfetto come avrebbe voluto.

“Comunque, la canzone era pure orecchiabile” proseguì Alejandro,  guadagnandosi un’occhiata truce da parte del moro “però…” si interruppe.

Però… non avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura l’enorme fastidio, e anche qualcosa di più, che Alejandro aveva provato nel sentire lo sparo nel bel mezzo della canzone. Quello sparo aveva fatto da spartiacque tra l’ironia della canzonetta e l’irrispettosa rievocazione della morte dell’ultimo tlatoani dei Mexica, Montezuma II, con successiva messa a ferro e fuoco dei territori mesoamericani. Era caduto un impero millenario, diamine! Gli Spagnoli avevano mandato nell’oblio una nobile cultura e spedito nel dimenticatoio tutti loro. Poi, cinquecento anni dopo, arrivavano cinque idioti a prendere per il culo i Mexica… non intenzionalmente, chiaro, ma ciò non rendeva meno fastidioso il suo risentimento. Huitzilopoctli non avrebbe provocato una pandemia per una cosa del genere, ma la tentazione di farla pagare agli ideatori della canzone c’era tutta. Sarebbe stato quasi solidale con Dorian, nella malaugurata probabilità che arrivasse ad ascoltare, e non apprezzare,  Cerveza y latifondo.

“Però, guarda la cosa in quest’ottica, Mordecai: sacrifichiamo una vita per salvarne milioni” tagliò corto Emanuel, colmando il silenzio di Alejandro.

“Come ai vecchi tempi ” concluse Alejandro, segretamente grato per quell’allontanamento dai suoi cupi pensieri. Non avrebbe ammesso neppure quello.

“E la sua morte farà da monito ai cantanti di quella band affinché non cantino più quella oscenità, se non vogliono fare la stessa fin…”il rumore della serratura bloccò definitivamente le parole del moro.

“Ma che caz..?

Le ultime cose che Don Alemanno vide, subito dopo essere entrato in casa, furono una saetta azzurra e piccoli uccelli infuocati balzare fulminei verso il suo petto, accompagnati da un verso stridulo e strozzato dello sconosciuto biondo. Non ebbe nemmeno il tempo di mettere a fuoco il volto dei suoi aggressori, ma una cosa gli era chiara, mentre cadeva a terra, sebbene non sapesse chiarire il motivo di quella certezza. Quei tizi non erano fanatici cristiani o musulmani.

 

******************************************

Note necessarie

Dunque, sveliamo l’arcano. Anzitutto, Don Alemanno è una persona reale. Lo stimo e non gli auguro niente di male, anche se nella storia che avete appena letto è schiattato male. Sono sicura che è una persona intelligente e, semmai venisse a conoscenza di questa storiella scema, non si offenderebbe, ma confesso di temere alcuni suoi sostenitori, che reputo meno intelligenti di lui. Quindi, vi prego, che non vi venga in mente di taggarlo. Dovete sapere che, quest’estate, BardoMagno e Don Alemanno hanno cantato una canzone, Cerveza y latifondo, che narra, in modo goliardico, la conquista dell’Impero azteco da parte degli Spagnoli. Premetto che l’ho adorata, eh. Non ai livelli di Norwegian Raggaeton dei Nanowar of Steel, che narra in modo altrettanto goliardico le imprese vichinghe, ma è carina e orecchiabile.  Avevo chiesto se era stato un caso che l’uscita della canzone fosse vicina al cinquecentenario della caduta di Tenochtitlan, Don Alemanno mi aveva risposto che “Il caso non esiste, Adrienne”.  È stato più forte di me, mi sono subito chiesta come avrebbero reagito le divinità azteche se avessero sentito questa canzone e mi sono scritta da sola la risposta! Probabilmente non l’avrebbero presa bene. Forse Alejandro avrebbe apprezzato il ritmo, ma gli autori di Calaca, se non ricordo male, avevano scritto che aveva il terrore delle armi da fuoco. Vedere  il videoclip dove “Montezuma”  viene “ucciso” con un’arma da fuoco, probabilmente, lo avrebbe irritato moltissimo. Emanuel avrebbe detestato la tempistica scelta per il rilascio della canzone e Mordecai si sarebbe imbarazzato per essere stato citato nel testo senza permesso.

Perdonatemi se ho citato il Covid, d’altronde il periodo storico che stiamo vivendo è questo e le epidemie erano ritenute provocate dalla furia delle divinità (non direttamente da Mictlantechutli, ma suppongo che possa influenzarne il grado di mortalità).

Il cenno alla storia delle catacombe di Parigi è volutamente criptico: mi serviva un motivo per indurre proprio Mordecai  ad essere coinvolto in un omicidio ma ho pensato a tal punto nel dettaglio a tale motivo che potrebbe nascere un’altra piccola fic a sé stante. Se vi va, la scrivo, altrimenti lascio perdere.

 

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Capitolo 16
*** Giorno 13 ottobre: tale madre, tale mostro ***


Direi che questo prompt del famigerato Goretober che doveva durare un mese ma che, invece, dura anni, è perfetto per la festa della mamma e, finalmente, posso parlare un po’ della mia mamma preferita nel pantheon azteco 😊.

 

Giorno 13 ottobre: tale madre, tale mostro

 

Nella remota e tranquilla città di Esqueleto, ogni occasione era buona per organizzare una festa. Fortunatamente, la provenienza degli abitanti era così varia che le nuove tradizioni venivano tranquillamente incluse e festeggiate, dando vita a un calendario annuale assai ricco di ricorrenze, più o meno religiose.  E quando era il momento di organizzare una festa, gli abitanti di Esqueleto facevano le cose in grande stile.

Alcune festività avevano assunto maggior popolarità, al punto da farne naufragare altre. A far da regina, a fine ottobre, era ad esempio il Dia de Los Muertos, decisamente più sentita del commerciale e raffazzonato Halloween statunitense (ma i cittadini provenienti dalla Nazione a stelle e strisce potevano ben consolarsi con la grande Festa del Ringraziamento). I preparativi per i Dia de Los Muertos partivano con largo anticipo e si concludevano con l’evento clou, la serata danzante al Pavo de Corral, durante la quale persino il Laberinto chiudeva i battenti per consentire agli esercenti di parteciparvi e per togliere agli avventori l’imbarazzo della scelta su dove trascorrere la serata.

Il Dia de los Muertos era di gran lunga la festa più attesa e la più partecipata: tutti gli abitanti ne prendevano parte, proprio tutti, salvo rare eccezioni dovute a cause di forza maggiore. Per alcuni di loro, non si trattava solo di una festa: era LA festa, e non avrebbero rinunciato a parteciparvi per niente al mondo.

Tra loro vi era Dolores, una signora dalla bellezza matura ma incantevole – per lo meno a seconda dei canoni estetici che si sceglieva di prendere come riferimento - che aveva atteso con impazienza quella serata per tutto l’anno, contando i giorni mancanti sul calendario. Certo, anche i suoi figli non vedevano l’ora di uscire e far baldoria in giro per la città, ma per lei, quella serata era ben più importante di una libera uscita per ballare. Nemmeno il fatto che uno dei figli fosse impossibilitato ad uscire coi fratelli l’aveva preoccupata: per quanto inizialmente fosse rimasta turbata da quanto gli era successo, in un certo senso se l’era andata a cercare, e neppure per quel figlio avrebbe rinunciato all’evento. Difficilmente qualcuno l’avrebbe tacciata di essere una madre snaturata, comunque, se non voleva condividere col fratello il medesimo destino.

Dolores era arrivata al Pavo subito dopo il tramonto, quando la festa era appena cominciata. Indossava la sua solita – o insolita, a seconda dei punti di vista - veste, non era bardata a festa come gli altri avventori, ma aveva accettato di tenere un cempasuchil tra i capelli in onore della ricorrenza. Nessuno avrebbe fatto caso al suo abbigliamento, e comunque lei non era mai stata una donna vanitosa o propensa ad ascoltare le critiche delle malelingue.

Dolores aveva atteso Alejandro col cuore che le batteva forte in petto. Quella sensazione, lo sapeva, era di per sé assurda da provare, eppure non ne avrebbe potuta provare altre, quando pensava a lui.  Non passava giorno senza che lo facesse, con un misto di aspettativa, orgoglio e, sì, anche preoccupazione: il suo ragazzo era felice? Aveva problemi sul lavoro o i suoi affari andavano a gonfie vele? Mangiava abbastanza? Quando lo vedeva gli sembrava sempre così sciupato… avrebbe voluto dirgli di mangiare di più, ma lui, da quell’orecchio, non ci sentiva proprio… beh,  nessun orecchio, in verità, avrebbe potuto accogliere le sue parole, in quel luogo…

Senora Dolores, vi prego, venire a danzare con noi!” alcune delle donne con cui aveva stretto cordiali, seppur distanti, rapporti di vicinato negli ultimi dieci anni, non avevano mai desistito dal cercare di coinvolgerla nelle danze, seppur con un certo riverenziale timore.

“Scusatemi. Sapete che ballo soltanto con una persona, in questo giorno speciale!” declinò con grazia ma senza reale dispiacere.

“Non dovete scusarvi! Passate una piacevole serata!” rispose, un po’ troppo precipitosamente, la portavoce del gruppetto, che riprese un allegro girotondo senza degnare di uno sguardo le persone tra cui avevano preso posto, e da esse ancor più ignorate, prese dai loro divertimenti.

“Se soltanto si degnasse di arrivare!” brontolò a denti stretti, imbronciata. Alejandro era sempre stato tra i primi a giungere e a diventare l’anima della festa, ma quella sera, Dolores non poteva sapere che era stato trattenuto in un’amabile conversazione con un forestiero di recente arrivo.

“Pensi che verrà anche il nuovo arrivato?”

“È giunto qualcun altro in città?”

“S, da pochissimo tempo, ma la notizia ha fatto il giro in un lampo. Mi sorprende che tu non l’abbia ancora saputo!”

“Ah, beh, allora voglio vedere chi è!”

Dolores non volle far caso a quello scambio di battute, ma i due giovani che lei non conosceva, né si curava di conoscere, parlavano davanti a lei in modo apparentemente sfacciato, come se lei non fosse stata presente.

Un nuovo arrivo… il cuore, se possibile, riprese a battere ancor più furiosamente. Poteva trattarsi di lei...? Alejandro forse era proprio con lei, in quel momento! La speranza crebbe dentro Dolores, mentre si portava inutilmente la mano al petto. Sarebbe stata l’unica giustificazione che avrebbe accettato dal ragazzo per il suo imperdonabile ritardo.

La speranza, tuttavia, si sgonfiò come un palloncino quando lo vide arrivare non con una giovane fanciulla, bensì con un biondo e lentigginoso ragazzo dall’aria mesta che aveva appena abbandonato la sua forma di daino non appena varcata la soglia del Pavo.  Spalancò gli occhi, non ebbe alcuna difficoltà a riconoscerlo.

Quindi era giunto, finalmente… il serpente piumato. Con quel medaglione..? Cosa diavolo era successo, mentre lei era via?

“E attento a non perdere quel bel medaglione che porti al collo!”

Ah, la bellissima voce del suo ragazzo! Per quanto l’arrivo dell’incarnazione umana di Quetzalcoatl fosse un evento di portata eccezionale, la donna aveva smesso di prestargli attenzione nel momento stesso in cui aveva udito il giovane colibrì parlare. Come si era fatto bello! Ma Alejandro lo era sempre stato.

“Aspetta! Tu sai di chi è?”

“Ah no, proprio non ne ho idea! Ci si vede in giro!” Dolores seguì con amore quasi reverenziale il giovane che, malgrado la vicinanza, non aveva dato segno di averla vista.

Lo vide andare incontro ad alcuni ragazzi, salutarli, e invitare a ballare una giovane con piercing e tatuaggio sulle clavicole. Dolores, felice come non era stata mai nell’ultimo anno, danzò accanto a loro.

“Non mi puoi vedere, ma mi puoi sentire, Huitzilopoctli, figlio mio?”.

Dolores era giunta ad Esqueleto circa dodici anni prima, quando la città era appena nata. L’aveva conosciuto, il piccolo Emanuel. Di notte, avrebbe potuto incutere timore nei panni del grosso pitone in cui si trasformava, ma lei amava la vita tranquilla, e la notte se ne dormiva bellamente a casa sua. Poi aveva saputo, e a quel punto era stata ben felice di essere prigioniera, davvero. Era una donna intelligente, aveva capito presto il senso dell’esistenza di quel luogo. Emanuel le aveva parlato di Alejandro, sarebbe giunto presto anche lui a Esqueleto. Se lei fosse stata tranquilla ad aspettare, lo avrebbe riabbracciato presto. Ma la sorte non era stata generosa con Dolores durante la sua prima vita, non lo fu nemmeno durante l’ultima. Uno sciocco incidente domestico, inconcepibile nella sua banalità, e le spoglie di Dolores furono tumulate nel cimitero della città. Lei fu una delle poche persone a vivere e morire all’interno di Esqueleto, per la quale venne anche celebrato un funerale. Non aveva fatto in tempo a riabbracciare Huitzilopoctli nemmeno quella volta dato che quest’ultimo si era presentato in città solo due anni dopo.  Questo comunque non era del tutto esatto. Ogni anno, ogni benedetto Dia de los Muertos, lei lo raggiungeva. Lo abbracciava. Sapeva che lui poteva sentirla. Lui sapeva che era lì. Glielo avevano detto.

Lo aveva abbracciato anche quest’anno, quando Alejandro dopo alcuni giri di ballo, si staccato dal gruppo di amici e aveva posto un piccolo bouquet di cempasuchil sull’altare.

“Hola, mama” mormorò il ragazzo con una mestizia che solitamente non gli apparteneva, senza guardare niente in particolare.  Lei lo aveva sentito ed era sicura che lui aveva sentito lei. Avrebbe potuto sentirla anche al cimitero, se solo avesse potuto. Sì, veniva a trovarla, ma erano incontri così amari… purtroppo, alla donna non le erano sfuggiti i suoi deliri rivolti a una sorella che non poteva trovarsi in quel posto e che era frutto del suo senso di colpa.

Il tempo, quella sera, trascorreva veloce, ma la notte era appena cominciata. I balli, la musica e le risate scorrevano abbondanti come gli alcolici e gli analcolici serviti dai camerieri del Pavo. Dolores era serena e pensava che nulla avrebbe  rovinato la serata. Si era sbagliata.

Era da poco passata la mezzanotte quando Dolores avvertì la sensazione di essere chiamata. Si voltò controvoglia, per scoprire Dorian, poco distante, fissarla intensamente, quasi con severità. Era un’occhiata piuttosto eloquente, e siccome Dolores era una donna intelligente, aveva capito al volo che, da lei, poteva volere soltanto una cosa…

“La bambina!”

***

Dolores non aveva mai varcato la soglia del cimitero prima della scadenza del tempo concesso ai morti per tornare tra i vivi– e nessuno lo faceva mai, a giudicare dal cimitero deserto. Persino l’anima della nonna della attuale incarnazione di Mictlancihuatl aveva preferito uscire, piuttosto che restare in compagnia della falsa nipote. Era tuttavia assai probabile che glielo avesse concesso Alma stessa, il permesso, pur di non  sopportare una compagnia che avrebbe fatto di tutto per non essere gradita. Comunque, la libertà di Dolores si limitava sempre all’interno della città maledetta. Dorian doveva essere parecchio abitudinario per prevedere un luogo, all’interno di Esqueleto, che garantisse la separazione tra vivi e morti persino in quella città fuori dalla logica umana, proprio come faceva il Mictlan stesso, di cui, talvolta, la donna aveva persino la sensazione di percepire l’aura, soprattutto quando Alma era vicina alla donna. A onor del vero, il cimitero non era proprio deserto. Dolores poteva avvertire il pianto sommesso del figlio a cui era stata negata l’uscita. Non era stata lei a punirlo, mai le sarebbe venuto in mente di lei di intrappolare l’anima del figlio all’interno di una tomba sepolta, e nemmeno ne aveva il potere.

Dolores non poteva fare nulla per lui e, seppur a malincuore, avanzò verso la cappella. Solo ad Alma era proibito mettere piede fuori da lì, nemmeno in quei giorni così sacri. Non che la bambina ne avesse così tanta voglia, comunque, e molto probabilmente era già collassata nel suo letto.

A dispetto delle sue aspettative, Dolores la trovò, non senza sorpresa, addormentata dietro una lapide, incurante del ragno da guardia che batteva ritmicamente una zampetta sulla gamba per destarla, senza successo. Poco distante da lei, un’altra lapide era macchiata da inequivocabili chiazze di sangue. Lo spirito  esaminò quest’ultima attentamente, con un filo di apprensione – Dorian non avrebbe apprezzato, se Alma si fosse ferita, o peggio, mentre lei era assente: fortunatamente, il sangue non era suo. La bambina non era ferita ma c’era decisamente troppo freddo per restare all’esterno con abiti leggeri e Alma, pallida come… beh, un morto, non si sarebbe alzata di sua iniziativa. Era una seccatura.

“Sveglia principessina” in quei giorni, soprattutto le anime come quelle di Dolores avevano una forza inconsueta, almeno per interagire con la loro Signora. Come risultato, la scrollata che le diede ebbe tutto l’effetto di una scrollata data da mani tangibili e solide.

“Dolores? È già mattina?” biascicò la bimba confusa, sbadigliando in modo grottesco.

“Devi andare nel tuo letto” replicò asciutta la donna.

“Non ce la faccio, sono stanchissima” gli occhi faticavano a restare aperti.

“Perché eri fuori? Sai che crolli a terra facilmente in questi giorni”

“C’era Emanuel… stava facendo del male a Jason… avrei dovuto passare davanti a loro avevo paura a farmi vedere. È l’unica strada che porta verso la sacrestia. Ho aspettato che se ne andassero ma…” concluse con un altro sbadiglio profondo. Ci pensò Dolores a concludere mentalmente la sua frase: quasi sicuramente, aveva perso le forze e i sensi prima del tempo. A quanto sembrava, Dorian era andato a farle la consueta visita… e la presenza di Emanuel lo aveva disturbato? Mah, probabilmente Dorian lo aveva saputo dai suoi ragni servitori, piuttosto vigili su quel terreno.

“Comunque ti devi alzare” replicò lo spirito con malagrazia.

“Sono senza forze… non pensare a me, lasciami al mio destino…” mormorò in modo piuttosto melodrammatico, prima di spirar… pardon, riaddormentarsi.  

“Spero che non ti dispiaccia, principessina…” e la trascinò di peso, grata di avere quella possibilità di interazione, seppur circoscritta al solo cimitero e solo per i Dias de los Muertos, verso il caldo lettuccio di quest’ultima, dove la principessina cadde come un peso…morto e continuò a ronfare.

“Davvero questa è la Signora del Mictlan?” Dolores era tornata prima del tempo dalla sua serata speciale ed era stata pure costretta a tirare fuori le sue scorte speciali di energia. A nessuna anima comune era concesso il medesimo privilegio. Eppure, non aveva voglia di irritarsi davvero con la bambina.

Ogni anno, per i giorni coincidenti ai Dias de los Muertos, Alma cadeva in uno stato di spossatezza fisica e mentale senza sollievo, al limite dell’astenia, da cui pian piano si riprendeva solo a festività concluse.

“Tenere aperte le porte del Mictlan e gestire il flusso delle anime in viaggio richiede un’energia senza precedenti” le aveva spiegato Dorian “è naturale che, essendo solo una bambina, lei non riesca a sostenere tutto quello sforzo”.

“E voi non l’aiutate?” Dolores era sinceramente stupita. Non era Mictlantechutli a consentire il passaggio dei defunti nel mondo degli umani?

“La gestione di questo sistema è sempre stato nelle mani di Mictlancihuatl, e sempre lo sarà” aveva risposto Dorian con un tono vagamente solenne e un’espressione imperscrutabile.

Quando Dolores si era vista confinata nello spazio del cimitero, Dorian le aveva parlato chiaro: quel luogo, già intriso di un’energia che tratteneva le anime di chi lì aveva la sfortuna di morire, o di transitare, da centinaia di anni, era diventato il fulcro per la costruzione di Esqueleto, un luogo preposto alll’adunanza delle incarnazioni umane delle divinità azteche in giro per il mondo. Il cimitero all’interno di Esqueleto era nato per evitare le conseguenze di una morte troppo a ridosso del 2012. Morire fuori da Esqueleto, e arrivare al 2012 mentre eri un infante, o addirittura un neonato, avrebbe precluso definitivamente la possibilità, a una divinità azteca, di risvegliarsi. Morendo a Esqueleto, l’anima non avrebbe potuto trasmigrare verso una nuova esistenza e, nel cimitero, avrebbe potuto continuare a maturare la consapevolezza della propria natura divina, e quindi avere la possibilità di tornare, alla fine di tutto.

In senso lato, il Mictlan aveva dato asilo alle anime che avrebbero potuto avere delle difficoltà a rispondere all’adunata, e quindi anche alla stessa Dolores. Certo, vi era l’effetto collaterale di trattenere anche anime che non c’entravano nulla, ma erano innocue e, alla fine di tutto, sarebbero andate definitivamente nel luogo ad esse destinate, nel Mictlan.

Dolores, presto, avrebbe avuto finalmente la possibilità di tornare a essere Coatlicue, e riabbracciare definitivamente suo figlio Huitzilopochtli e gli altri figli giunti pian piano a Esqueleto – sì, anche quello che aveva continuato ad aggredirla verbalmente, convinto che il disonore di una donna che aveva partorito un figlio illegittimo fosse più forte dell’amore che ella provava per tutti loro, un atteggiamento che, alla fine, aveva esaurito la pazienza di Alma al punto da indurla a dare un assaggio del suo antico potere, con sgomento tanto della madre, quanto del figlio.

Alcuni suoi figli erano vivi, e, come Huitzilopochtli, conducevano la propria vita a Esqueleto. Altri avevano concluso la propria vita più o meno precocemente e, morendo a Esqueleto, come Dolores, o vagando verso essa e trovandosi in esso intrappolato, come era accaduto alla nonna di Alma, avevano proseguito la loro esistenza nel cimitero, più o meno consapevoli delle loro origini divine e confondendosi tra anime di comuni mortali che nulla avevano a che fare con le divinità azteche ma che si erano ritrovate prigioniere come mosche nella tela del ragno. Tra i figli risvegliati, la maggior parte aveva messo da parte il rancore verso la propria madre, vuoi per l’influenza delle vite umane sulla loro indole, vuoi per l’affetto filiale che, col tempo, aveva avuto finalmente la meglio sull’onore, vuoi per il temporaneo e drastico azzeramento della loro indipendenza e del loro potere che li metteva alla mercè di Dorian, il padrone di casa, che aveva più o meno intimato loro di non creare disturbo a lui e a sua moglie, nel periodo di permanenza in quel luogo …

Tuttavia, il più stolto e testa calda della nidiata non aveva voluto scendere a così miti consigli e, oltre che guardare con disprezzo la bambina, non si era fatto il minimo scrupolo a maltrattare verbalmente Dolores. La povera donna aveva provato a difendersi, gli altri figli avevano tentato, anche se con scarso impegno, di far desistere il fratello dai suoi atteggiamenti, ma nulla sembrava trattenere gli sfoghi del ragazzo, almeno fino a quando non fu Alma stessa a dire basta.

Dolores, sapeva bene che Alma era la Signora ma, francamente, non aveva visto altro che una banale bambina capace di vedere le anime e parlare con loro ma, per il resto, ostinata a vivere e parlare come una comune decenne normale, piuttosto che come la consorte del sovrano del Mictlan.  Era stata chiamata dea dagli umani, e come tale adorata, ma Mictlancihuatl, agli occhi della maggior parte delle divinità, rimaneva il curioso risultato di un’anima umana contaminata da un’energia che aveva ottenuto per puro caso, un’anima che aveva indotto una divinità a sposarla, rendendola sua pari, tra la costernazione di tutti. Una sgualdrina che aveva dato il via a un caos che li aveva resi tutti mortali e che, ora, sembrava essere regredita alla sua forma originale: una ragazzina umana.

Ma all’ennesima offesa a Dolores, Alma si era recata dritta a una lapide. Con la noncuranza di chi faceva del comune giardinaggio, aveva recuperato delle ossa nella bara lì sepolta e le aveva trasportate nella tomba più distante possibile. Era bastata gettarle nella nuova “dimora” che, in essa, vi fece precipitare anche l’anima a esse collegate, quella del figlio maltrattante.

Dolores, sgomenta da ciò che aveva appena visto, una bambina in grado di dominare come un burattino qualcuno solo disponendo delle sue ossa, aveva ordinato ad Alma di liberarlo, ma quest’ultima aveva replicato che la prigionia sarebbe durata fino a quando il ragazzo avrebbe compreso che si doveva portare rispetto alla propria madre. La donna, quel giorno, aveva represso un brivido – chiaramente percepibile, malgrado il suo stato di anima incorporea - Alma aveva dimostrato di essere davvero la Signora, pur non sapendolo, ma alla donna aveva fatto comunque una certa impressione vedere una bimba impartire un castigo così crudele.  

Quando, interpellata da Dorian, aveva descritto quanto successo, con la speranza che intercedesse in suo favore, Dolores avrebbe giurato di averlo visto impallidire, mentre dedicava alle sue parole la massima attenzione… e aveva rifiutato di annullare l’azione di sua moglie ai danni del figlio di Coatlicue.

Dorian aveva fatto in modo che tutti, vivi o morti, arrivassero a Esqueleto… mancava solo Coyolxauhqui all’appello. Ma sarebbe giunta anche lei, prima o poi, Coatlique ne era sicura. Aveva sperato che fosse finalmente arrivata, quando aveva appreso la notizia di un forestiero. Doveva aggrapparsi a quella speranza: l’idea di perdere definitivamente la sua unica figlia femmina senza aver avuto la possibilità di chiarirsi tra donne era per lei una prospettiva quasi più straziante di non aver potuto crescere Huitzilopocthli. La giovane dea le aveva rivolto parole ben più dure di quelle del figlio ora sepolto “vivo”, ma Coatlicue era pronta a giurare di aver visto del rimorso sul suo volto, di averla vista alzare la mano per fermare la sua esecuzione, prima che le lame calassero mortalmente su di lei.

Tuttavia, l’ospitalità nel cimitero di Dorian non era frutto di generosità… si stava parlando di Mictlantechutli, dopotutto. Era sua volontà che vivi e morti continuassero a rimanere distanti, ma era stato disposto a dare alcuni privilegi a Coatlicue, se avesse accettato di vegliare su Alma, fino a quando Dorian non l’avrebbe finalmente ripresa con sé.

Inizialmente, Coatlicue aveva ubbidito, grata di avere un’occasione per ritornare nuovamente alla sua antica vita dal Signore del Mictlan, e aveva trattenuto l’iniziale antipatia covata verso la falsa dea che, nonostante la sua attuale natura così infantile, aveva osato toccare uno dei suoi figli.

Con il tempo, tuttavia, il suo atteggiamento verso Alma si era addolcito. Restava grata a Mictlantechutli di avere la speranza di poter tornare alla sua vecchia vita divina, ma aveva dovuto oltremodo ammettere che era solo per Mictlancihuatl se Dolores poteva uscire dal cimitero e vedere ogni anno il suo figlio più piccolo. Alma avrebbe potuto scegliere di smettere di soffrire in qualsiasi momento: le sarebbe stato sufficiente smettere di impiegare la sua energia che permetteva quel tradizionale viaggio delle anime. Eppure, la bambina non lo aveva mai fatto, né inconsciamente, né tantomeno quando aveva riottenuto i suoi ricordi. Alma aveva sempre protestato che, finché fosse stata in quella forma, si sarebbe comportata come una normale decenne americana ma, a dispetto delle sue parole, non era mai venuta meno a quello che era stato, da sempre, il suo principale dovere. Come poteva disprezzarla, quando lei era disposta a fare questo dono ai defunti, ogni anno?

Avrebbe potuto portarle rancore perché non la considerava una vera dea, eppure lei aveva osato alzare la mano contro uno dei suoi figli.

“Sei stata vendicata da un lattante nella tua prima vita, ora vieni difesa da una decenne e mi biasimi pure? Credevo avessi più amor proprio, Coatlicue! E se lui vuole tornare libero, che mi preghi” aveva replicato con tono insolitamente severo e le pupille insolitamente rosse, accese come due lumi nell’oscurità. Pupille che erano tornate normali, umane, quando aveva aggiunto “Non rivedo mia madre da anni, probabilmente non la rivedrò più, e lui si permette di trattarti così!”

Sì, avrebbe potuto portarle rancore, ma come avrebbe potuto farlo, dopo che la bambina aveva appena ammesso di aver fatto quello che aveva fatto per proteggere lei, che aveva nei riguardi di Alma ben più premure di quante ne avesse l’anima di sua nonna?

Dolores-Coatlicue avrebbe potuto tornare alla festa ma, quella notte, avrebbe controllato che l’astenia di Alma non le giocasse qualche altro tiro mancino durante il sonno. Dorian avrebbe potuto arrabbiarsi sul serio, se la nanerottola si fosse presa qualche malanno, sebbene non capisse dove stesse il problema, se la piccola, disgraziatamente, finisse uccisa: il cimitero avrebbe trattenuto anche la sua anima e, alla fine di tutto, avrebbe ripreso le sue sembianze “divine”... Comunque, la donna aveva ancora tutto l’indomani per stare appresso al figliolo. Mentre guardava Alma, era inevitabile ripensare alla sua Coyolxauhqui quando era una bambina. Si chiedeva cosa la stesse trattenendo dal raggiungere Esqueleto: sapeva che non era necessario essere risvegliate o muoversi consapevolmente verso la città maledetta, ma allora cosa le era successo?

Mentre Dolores osservava pensosa la bambina dormire si chiese, non senza perplessità dovuto al soggetto del suo pensiero, se Dorian avesse scelto consapevolmente lei, una dea sola, che aveva perduto tragicamente la sua unica figlia femmina, per prendersi cura di una bambina altrettanto sola, allontanata forzatamente dalla sua famiglia, per lenire la solitudine di entrambe.

 

NOTE:

Ebbene, qui ho infilato un sacco di riferimenti a capitoli già pubblicati. Ad esempio, in passato avevo lasciato intendere che Alejandro era ben disposto a far terminare l’era del Quinto Sole, e forse questo capitolo lascia un po’ intuire il motivo! Ecco, non potevo non inserire nella fanfiction la famiglia di Alejandro, mi aveva colpito troppo il mito della nascita di Huitzilopoctli per non inserire anche madre e sorella tra i personaggi, non solo nei suoi ricordi del passato! Vero che, in un capitolo passato, avevo lasciato intendere che la sorella fosse solo un’allucinazione, ma ciò non mi impediva di farla esistere comunque, da qualche parte nel mondo! Eh, la signora Coatlicue aveva TANTI figli, ma qui sembra che tenga unicamente a Huitzilopoctli e a Coyolxauhqui: non è così, semplicemente sono i due figli che ancora non ha vicino a sé e, quindi, le mancano di più.

Finalmente, ho esaurito la descrizione di cosa è il cimitero nella mia pervertita fantasia. SIA CHIARO: Dorian NON è altruista, NON salva la gente, cerca solo di ripristinare lo stato precedente delle cose, e questo passa anche per il far tornare tutti alla loro vita precedente, nessuno escluso (anche se, a rigor di logica, non tornando al loro stato precedente, gli dei resterebbero mortali, quindi alla fine di tutto, finirebbero come comuni mortali nel Mictlan con le loro ossa, rendendo Mictlantecuthli ricco come mai era stato in precedenza… a lui non interessa. C’è un motivo, giuro. No, non è l’altruismo o la generosità, giuro).

 

 

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Capitolo 17
*** Pasto alternativo (6 ottobre) ***


Hola! È passato un sacco di tempo dall’ultimo capitolo pubblicato, purtroppo il mio neurone fanwriter è lento e pigro, come la sua padrona del resto! Però è stato proprio un anno pesante e vedo nubi ancora più scure all’orizzonte… da un lato, plottare sui prompt per Calaca mi rilassa i nervi, dall’altro l’ansia mi stanca enormemente, soprattutto quando potrei avere del tempo libero per scrivere.

 

Comunque!

Questo capitoletto è ambientato nel secondo volume.  Finalmente riesco a fare un po’ di POV su Moravich, era da tanto che volevo farlo, e nel capitolo successivo, che pubblicherò a breve, sarà più completo.

Piccola nota: che Quetzalcoatl rifiutasse i sacrifici “canonici” e ne richiedesse di meno cruenti non è una mia invenzione ma non riesco a ritrovare il riferimento che avevo visto in internet. Se questo aneddoto è corretto e non me lo sono sognato, mi chiedo se gli autori avessero pensato alla stessa cosa quando hanno reso Mordecai vegetariano oppure se si sia trattato di un caso. Inoltre, è piuttosto controverso il discorso del cannibalismo rituale dei sacerdoti, cui faccio cenno, non se ne ha una certezza storica, quindi va preso con le pinze.

 

Pasto alternativo (6 ottobre)

In seguito alla sfida impostagli da Emanuel, Mordecai non era uscito dalla sua stanza per i successivi tre giorni. Il terrore per l’esperienza passata lo aveva indotto ad un’autoreclusione forzata, e ben poco lo aveva rasserenato il fatto che Moravich e Jason, ormai liberi dalla maledizione, si fossero stabiliti a casa sua per vegliare su di lui. Di fatto, il biondo aveva evitato accuratamente qualsiasi contatto con le persone che, fin dal suo arrivo a Esqueleto, si erano mostrate ospitali e sinceramente interessate a instaurare un rapporto di amicizia con lui. I gemelli, d’altro canto, non forzarono mai la mano, anzi, assecondarono il suo bisogno di stare da solo, non foss’altro per il senso di colpa: mentre erano ancora legati alla maledizione di Emanuel, erano stati sul punto di uccidere Mordecai, e solo l’ostinazione di Moravich aveva cambiato l’esito della sfida all’ultimo tentativo di risposta all’indovinello. I due erano consapevoli di essere stati, in parte, loro stessi, nella loro forma divina, la causa della paura di Mordecai, ed erano disposti ad aspettare che il ragazzo riacquistasse il controllo delle proprie emozioni prima di fornirgli i necessari chiarimenti.

Si erano limitati pertanto a consegnare i piatti che Thomas e Franklin avevano fatto recapitare puntualmente a casa sua, assieme al messaggio implicito che loro ci sarebbero stati, in caso di bisogno, indipendentemente dal pericolo che poteva rappresentare Emanuel per tutti loro.

Fu solo dopo che Mordecai era andato incontro a Thomas e ad Ebenezer, fermi davanti alla porta d’ingresso, e dopo che aveva vuotato il sacco sulla sfida, sul sogno che aveva fatto e sulle emozioni provate, che i gemelli avevano potuto rivelare, almeno in parte, la parentela che li legava a Mordecai e a ricostruire pian piano quel legame affettivo allentato da secoli di lontananza e di oblio, ma mai distrutto.  Mordecai aveva accolto la rivelazione con una certa semplicità, seppur con titubanza nell’accettarla pienamente, come se non se ne fosse sentito davvero degno, o avesse temuto qualche errore da parte loro. Quello fu il primo giorno, dopo cinquecento anni, che i tre ragazzi si erano ritrovati sotto lo stesso tetto da fratelli, non da semplici conoscenti o amici.

Da quel momento, i tre si ritrovarono spesso a cenare insieme in un contesto più casalingo rispetto al Pavo de Corral, visto che Jason e Moravich, ormai liberi, erano in grado di mantenere la loro forma umana anche di sera, rendendo quindi possibile cucinare. In realtà, quello più entusiasta all’idea di mettersi ai fornelli era Jason (che già aveva dato prova della sua abilità in cucina preparando i biscotti e il tè per Mordecai, Thomas ed Ebenezer) mentre Moravich si limitava ad apparecchiare e a procacciare il dessert… comprandolo al Pavo.

“Jason, metteresti del peperoncino in più nei tamales di carne?” chiese Moravich al gemello, ottenendo da quest’ultimo un cenno affermativo.

“Tamales… di carne?” chiese Mordecai con una lieve nota di preoccupazione.

“È un tipico piatto messicano. Tranquillo, vedremo di lasciarne alcune con meno peperoncino, se ti dà noia il piccante” rispose Moravich, convinto che il problema fosse la spezia.

“Non è per quello…” malgrado fosse nella sua forma animale, l’espressione di Mordecai fu chiarissima nell’esprimere disagio. Fu solo in quel momento che a Moravich tornò in mente un dettaglio fino a quel momento ignorato: i piatti che giungevano dal Pavo per il fratello erano tutti vegetariani.

“Mordecai… tu non mangi carne?” chiese, anche se la cosa, a quel punto, poteva sembrare ovvia.

“Mi dispiace, non volevo rovinare i vostri piani per la cena! Mangerò solo il contorno, non è un problema!” si affrettò a rispondere Mordecai, confermando indirettamente il suo regime alimentare.

Jason, che in quel momento sembrava essersi perso l’ultimo scambio di battute, dopo aver visto qualcosa fuori dalla finestra che aveva catturato la sua attenzione, gli sorrise e fece un cenno con la mano.

“Jason dice che non sarà un problema preparare una variante vegetariana dei tamales, anche se non ne ha mai preparati prima” tradusse il fratello.

“Davvero, come riesci a comprendere quello che vuole dire?” Mordecai si sorprendeva ogni volta per l’abilità di Moravich di comprendere i pensieri di Jason, ma forse, ragionò, era così tra gemelli, soprattutto tra fratelli che avevano sempre vissuto insieme. Moravich aveva lasciato intendere di aver avuto una vita molto dura come esseri umani, eppure il biondo era convinto, non senza una punta di invidia, che molte prove della vita sarebbero risultate assai più ardue senza un fratello accanto su cui fare affidamento.

“Non è che la carne non mi piaccia o che mi faccia male ma… non ce la faccio. Non riesco proprio a mangiarla” cercò di giustificarsi il biondo, sebbene non ve ne fosse stata davvero la necessità.

“Non è che disprezzi queste offerte ma… non ce la faccio proprio ad accettarle” argomentò, apparentemente quieto, il Serpente Piumato, quando aveva scandalosamente rifiutato i sacrifici in suo onore da parte dei mortali.

“Fin da piccolo, anche quando gli educatori minacciavano di lasciarmi a digiuno se non avessi finito quanto avevo nel piatto… all’orfanotrofio non si poteva mangiare spesso la carne e rifiutarla era una cosa abbastanza grave…” proseguì, timoroso di essere malgiudicato dai suoi fratelli.

“Capisco che si tratta di offerte molto preziose, dalle quali dipende il funzionamento stesso del Quinto Sole, ma non voglio che quelle vite vengano offerte in sacrificio a me” si sentì in dovere di specificare ai suoi fratelli, che avevano protestato circa lo scandalo che il dio aveva sollevato tra gli altri dei, di cui avrebbe fatto meglio a non perdere il favore.

“Però non è che sono come quei vegetariani che vogliono imporre le proprie scelte agli altri, non mi dà alcun fastidio se gli altri la mangiano!” si affrettò ad aggiungere il biondo con una nota di voce un po’ più acuta.

“Comprendo bene che gli altri dei vogliano le loro offerte e non ho intenzione di impedir loro di riceverle. Ma se gli umani vogliono onorare me, mi basteranno fiori o frutta, su questo non ho intenzione di discutere!” tagliò corto il Serpente Piumato.

“Malgrado gli educatori giocassero la carta del senso di colpa, io proprio non riuscivo a mangiarla. L’idea che degli animali venissero uccisi mi faceva stare male!” concluse, abbassando il tono della voce e lo sguardo.

“Quegli umani avevano tutta la vita davanti..!” mentre pronunciava quelle parole, il volto di Quetzalcoatl quasi si accartocciò in una scandalosa smorfia di dolore. Xolotl e Xocotl erano avvezzi alle stramberie del fratello ma quella era stata la più assurda di tutte. Fino a quel momento, la peggior sciocchezza che aveva fatto era stata perdere la testa per una ragazzetta umana. I fratelli avevano pensato che, togliendola dai piedi, il loro Signore e fratello sarebbe rinsavito. Invece, persino da morta Malintzin aveva contribuito a far alzare l’asticella della stramberia di Quetzalcoatl. La frase “Quegli umani avevano tutta la vita davanti” era stata detta davanti al teschio della ragazzetta, esposto al tzompantli del tempio, mentre le sue ossa e la sua pelle erano state utilizzate dai sacerdoti in modo creativo e la sua carne era stata consumata in un rito di cannibalismo rituale. Se, fino al giorno prima, il Serpente Piumato aveva accettato il sacrificio tradizionale con fastidio, ma comunque con tolleranza e accondiscendenza, da quel giorno ne aveva avuto la repulsione suprema. Fiori e frutti in sacrificio a una divinità del suo calibro, quale emerita stupidaggine, aveva scosso il capo Xolotl al solo pensiero.

“Non ti devi giustificare, Mordecai” lo rassicurò Moravich, seguito da un sorriso di conferma di Jason. Mordecai, chiuso nel suo bozzolo di mortalità, sembrava la pallida imitazione della divinità che era stata. Sebbene il rifiuto dei sacrifici da parte del dio fosse stata fonte di preoccupazione per i fratelli, aver trovato un’ulteriore similitudine tra il ragazzo davanti a lui e il Serpente Piumato era stata una benedizione per loro. Era un’ulteriore conferma che quei cinquecento anni di oblio non avevano scalfito l’essenza di Quetzalcoatl e che, quando sarebbe ritornato, probabilmente non avrebbe avuto grandi conseguenze nel suo animo. Per questo motivo, la notizia del suo essere vegetariano non aveva infastidito minimamente i fratelli, anzi.

Se i cinquecento anni di vita umana non avevano apparentemente scalfito l’essenza di Quetzalcoatl, lo stesso si poteva dire per Xolotl e Xocotl, ma non come il fratello avrebbe probabilmente pensato. I gemelli non approvavano i modi di Emanuel ma, almeno in parte, avevano un desiderio comune: il ritorno di Quetzalcoatl. Ciò su cui non si trovavano per nulla d’accordo era la sorte di quel mondo: per Moravich e Jason, poteva pure perire con la loro benedizione! Da umani, erano stati costretti a vivere in un loop continuo in cui niente era mai andato nel verso giusto. Schiavitù, guerre, deprivazioni, violenza… avevano subito di tutto e di più. L’essere stati sempre insieme avrebbe potuto essere una buona cosa (la solitudine avrebbe sicuramente esacerbato le loro pene) se non fosse stato che i due erano stati sempre l’uno testimone della sofferenza dell’altro, senza possibilità di riuscire ad alleviarla.

I due fratelli non potevano avere la certezza che Dorian avesse rinunciato a giocare qualche tiro mancino al loro fratello, né che il loro prostrarsi al suo servizio anche in quella vita mortale avrebbe garantito loro il perdono, ma non avevano altra scelta.  Almeno, ora avevano la speranza di poter uscire al più presto da quel limbo chiamato vita mortale, se tutto fosse andato secondo i piani di Dorian che, almeno da quello che sapevano, consistevano nel riprendersi quella disgraziata di sua moglie e le ossa degli umani e nel restituire alle divinità azteche il loro predominio nelle loro rispettive dimore, dopo la distruzione del Quinto Sole.

Xolotl sapeva che, se si trovavano tutti in panni mortali, era a causa del patto stretto tra Itztlacoliuhqui-Ixquimilli e Mictlantechutli, e questo aveva inasprito la sua già non troppo rosea opinione sul dio del gelo e del giudizio (una cosa gli era stato chiesto di fare, una! E invece aveva incasinato tutto con suo fratello!), ma il suo istinto gli aveva sussurrato da tempo che la sua sorte e quella del fratello non potevano essere solo il frutto del caso o della sfortuna ma che fossero, piuttosto, legate in qualche modo alle ultime parole che  Mictlancihuatl gli aveva rivolto.

Quella sera, tuttavia, i gemelli avrebbero tenuto fuori di casa, letteralmente, Dorian e tutte le altre divinità, e avrebbero tenuto stretto quel piccolo momento di felicità, nella semplicità di un pasto caldo condiviso con la propria famiglia finalmente riunita sotto lo stesso tetto.

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Capitolo 18
*** Giorno 15 ottobre: Istinto animale ***


Ho scritto questo capitolo quasi in contemporanea col precedente capitolo, Pasto alternativo, e riprende il POV di Moravich, ampliando quanto detto nell’ultima parte. Qui ci sono anche tanti riferimenti a capitoli già scritti in questa raccolta, quindi per un bel pezzo se ne va anche per le mie tangenti che sviano allegramente dalla trama principale. Portate pazienza, tanto prima o poi smetto. I riferimenti che faccio alle vite passate dei gemelli, invece, sono i flashback illustrati nel secondo volume di Calaca.

Piccola noticina: viene citato Tlaloc. Per fisime mie, sono vagamente convinta che sia Franklin. Cioè, la prima volta che compare nel fumetto, piove di brutto…

 

Istinto animale (15 ottobre)

Xolotl sentì il pianto sommesso di Mictlancihuatl solo dopo essere entrato nella sua stanza, nella quale era stata reclusa dopo essere stata scacciata da Mictlantechutli, con la sola compagnia di un ragno da guardia a far da sentinella. Sebbene il Signore del Mictlan non glielo avesse espressamente proibito, Xolotl sapeva che non avrebbe dovuto rivolgere la parola alla sua Signora in disgrazia, e che, assai probabilmente, la sentinella avrebbe fatto rapporto. Tuttavia Quetzalcoatl era scomparso e Xolotl non era soddisfatto delle risposte che la falsa dea aveva dato al marito. Quel pianto aveva il potere di irritarlo enormemente e non provava la benché minima compassione per il dolore che la falsa dea stava provando: se si trovava in quella situazione non avrebbe dovuto biasimare altri che se stessa. La donna non sembrava essersi accorta del suo ingresso nella stanza o forse, più probabilmente, non se ne curava. Sapeva che non sarebbe mai entrato il suo Signore, degli altri non le importava. Pertanto, rimase seduta per terra, ad accarezzare distrattamente il suo secondino.

“Dove si trova Quetzalcoatl?” chiese senza preamboli.

La Signora lasciò scorrere diversi lunghi secondi prima di rispondere “Ho già risposto al mio Signore e tu eri presente”. Non riteneva necessario alzare lo sguardo per parlargli direttamente negli occhi.

“Hai un pezzo della sua anima, puoi rintracciarlo senza problemi” aggiunse la divinità, ben conscia di ciò che la donna aveva già rivelato a suo marito.

“Non è di mio dominio” tagliò corto quest’ultima.

“E per quale motivo hai lasciato perdere un pagamento?” questo, in effetti, era stato un comportamento inusuale per una divinità del Mictlan e, in quanto tale, sospetto.

“Perché non me ne faccio niente di qualcosa che appartiene a tuo fratello” rispose sottolineando, seppur con tono piatto, che l’anima di suo fratello, per lei, non aveva alcun valore.

“Anche solo una briciola dell’anima di mio fratello vale dieci volte quella di una creatura come te” mai aveva osato riferire parole tanto dure a Mictlancihuatl, nemmeno quando era ancora una serva appena giunta nel Mictlan, vittima delle dicerie sulla sua superbia a cui Xolotl, beninteso, non credeva: Quetzalcoatl gli aveva detto che non si era mai palesato alla sua amata nella sua vera forma. A Xolotl era bastato che lo credesse Mictlantechutli, affinché il soggiorno della ragazza non potesse risolversi con un suo eventuale ritorno, data l’ostinazione di Quetzalcoatl nel riaverla con sé. Ma adesso che la donna aveva perduto il favore del suo Signore, non aveva alcun motivo di mostrare deferenza alla responsabile delle disgrazie di suo fratello.

Quella frase così aggressiva destò una certa sorpresa in Mictlancihuatl, al punto da farle finalmente sollevare lo sguardo, ma non ne sembrava turbata.

“Inizi a togliere qualche sassolino dal calzare, Xolotl” commentò con leggero sarcasmo.

“Non c’è stato niente di personale quando ti ho condotta qui la prima volta. Eri semplicemente un’anima da far sparire, per il bene di mio fratello”.

“Complimenti, lavoro ineccepibile” fece un debole applauso per proseguire col sarcasmo, facendo attenzione a non colpire la sua sentinella.

“Hanno fatto tutto gli altri. Xocipilli, Tezcatlipoca. Io ho solo fatto il mio lavoro”.

“Ma tu conoscevi il loro piano?”

“Sì. Loro lo avevano fatto per dispetto. Io l’ho lasciato fare per proteggere mio fratello”

“Per dispetto…” ripeté con amarezza la donna. “Quindi tu sapevi che le dicerie cucitemi addosso al mio arrivo qui erano infondate. Non sapevo chi fosse il tuo prezioso fratello. Avresti potuto rendere il mio soggiorno meno penoso fin da subito avvisando che nooo, la ragazza non era stata solo vittima dei vostri capricci!”

“Come ti ho detto, non era niente di personale. Eri una semplice anima, non mi interessava il tuo destino. Ma, dopotutto, hai solo pagato in anticipo ciò che hai fatto in un secondo momento”.

“Scusa, non credo di capire” replicò con freddezza.

“Tra gli umani, tu sei riconosciuta come una dea. Col potere che ha assorbito dal Mictlan, hai iniziato a comportarti come se fossi a casa tua”

“Come se fossi a casa mia…” Mictlancihuatl lo guardava come se fosse stato un dio minore con poco cervello.

“Sai Xolotl, posso comprendere il pensiero della maggior parte delle divinità fuori dal Mictlan. Vedono una serva con un potere che, secondo loro, non le spetterebbe e che diventa la moglie di una divinità, un sovrano addirittura. Deve rodere parecchio. Anche tra i nobili mortali è così. La plebe nasce plebe e muore plebe. Ma tu… ci lavori, qui. Hai visto più o meno tutto ciò che ha visto il mio Signore. Alcune divinità ci sono arrivate semplicemente ragionando, persino Tlaloc c’è riuscito, seppur con l’aiuto di un disegnino!”

Xolotl si irrigidì alla implicita osservazione di essere meno sveglio di una divinità che... sì, era un grande dio, con straordinari poteri, assai venerato, ma se la giocava alla grande, quanto a ingenuità, con Quetzalcoatl!

“Come puoi prendere certe posizioni?” proseguì Mictlancihuatl, che dell’irritazione del suo servitore non poteva importare di meno “Hai visto come usavo il potere conferitomi. Ho fatto sempre tutto per migliorare le condizioni del Mictlan e per far star bene il mio sposo. Questo ha portato benefici ai mortali? Ha portato le persone a dedicare anche a me le preghiere e i sacrifici? Se la cosa non ha dato fastidio al Signore del Mictlan, non vedo perché dovrebbe dare fastidio a te!”.

“Le tue azioni non cancellano le tue origini” replicò Xolotl.

“Oh.. quindi, fammi vedere se ho capito… Gli dei hanno il diritto di fare ciò che desiderano con i mortali. Quetzalcoatl ha potuto giocare con Malintzin e questa poteva poi essere gettata da parte per volontà degli dei. È corretto?”

Xolotl fece un cenno affermativo. Era logico che un dio potesse fare quello che voleva con ciò che aveva creato.

“Nel frattempo questa Malintzin non avrebbe in alcun modo dovuto aspirare a migliorare la propria esistenza, se gli dei non vogliono, è corretto anche questo? Non importa quanto, nel frattempo, è… uhm… cambiata quella Malintzin, quante azioni degne di stima o con conseguenze positive abbia fatto, lei non può cambiare il suo destino, se gli dei non vogliono. È corretto anche questo?”

“È esattamente questo il punto” concordò il dio.

“Vivo nel Mictlan, rendo conto del mio operato esclusivamente al dio che lo governa. Non è sufficiente per te che Mictlantechutli mi abbia sposata? Per i mortali che mi venerano sì”.

“Noi la pensiamo diversamente dai mortali. Non fare l’errore di prenderli come metro di paragone. Che una come te si sia legata a una divinità è abominevole!”.

Mictlancihuatl si incupì “Quindi, quando hai visto che mi sono trovata in segreto con Quetzalcoatl nel mondo degli umani, hai pensato bene di fare la spia e mettermi in difficoltà con Mictlantechutli. Beh, chiariamo anzitutto un equivoco, Xolotl” sembrava aver esaurito la pazienza. “Per quanto la mia condizione possa sembrare il frutto di un caso legato ai cempasuchil da me portati al momento della mia dipartita, sappi che il Mictlan ha più senso dell’umorismo di quanto credi. Quell’idiota di tuo fratello ha donato l’amore ai mortali, portando il caos tra le anime separate. E chi ha mandato il Mictlan a limitare il danno? Proprio la persona a cui Quetzalcoatl aveva avuto interesse a fare quel dono. Ma, per quanto il senso dell’umorismo del Mictlan sia notevole, non avrebbe mai lasciato usare il suo potere a qualcuno di indegno. E questo, Mictlantechutli lo sa”.

“Parli come se il Mictlan fosse un essere senziente” commentò con disprezzo Xolotl.

A quel punto, Mictlancihuatl aveva un’espressione mista tra Ma questo è proprio un coglione! e Glielo devo dire? “Già, che scemenza, vero?” abbozzò infine un sorrisetto amaro e una lieve nota di sarcasmo nella voce.

“Tuttavia” proseguì con aria meditabonda “sarebbe bello poter vedere come te la caveresti, se succedesse a te quello che è appena capitato a me… sfruttare tutte le tue capacità e la buona volontà per ottenere dei benefici per te e per chi ami… impegnarti a migliorare la tua condizione… e scoprire che tutti i tuoi sforzi saranno vani, a meno che non sia una divinità a concederti la grazia”.

“Ma questo è ciò che spetta ai mortali, non agli dei… non a te” concluse velenoso Xolotl.

“Niente che augureresti al tuo amato fratellino, immagino. Ma non devi preoccuparti, lui sarà protetto dalla sua buona stella, anche se avrà di sicuro le sue difficoltà”.

“Che intendi dire?”, allarmato ma, allo stesso tempo, arrabbiato nel sentir nominare suo fratello da quella sgualdrina.

“Ha voltato le spalle ai suoi fratelli, ha abbandonato l’amore della sua vita – mi riferisco al dio del gelo e della giustizia, ovviamente! Queste cose pesano su un’anima, se è mortale, non lo sai? Come minimo, potrebbe rinascere senza l’appoggio di una famiglia o rischiare di crescere in solitudine”.

Il pensiero di suo fratello in difficoltà lo fece incollerire. Afferrò la donna e la scosse con fare minaccioso.

“Come trovo Quetzalcoatl?”

“Come osi!?” esclamò irata la Signora del Mictlan “Arrangiati! Chiedi aiuto ai tuoi pari! Ma non ti devo proprio niente perché non sei niente in confronto a me!”.

Xolotl, seppur solitamente restio a colpire una donna, era stato sul punto di reagire violentemente alla sua insensata insolenza (fino a prova contraria, era vera la frase opposta) quando, ironicamente, fu la stessa donna a dimostrare la propria debolezza, cedendo come incapace di reggere il proprio peso. Xolotl lasciò la presa e la Signora cadde a terra, rischiando di schiacciare la povera sentinella.

Una figura pietosa. Senz’altro aggiungere, e ormai persuaso che, da lei, non avrebbe ottenuto informazioni utili a ritrovare il fratello, Xolotl abbandonò la stanza.

 

Mentre combatteva l’imbarazzo per essere stato esaminato nelle parti intime dal mercante di schiavi… mentre assisteva testimone allo stupro di suo fratello da parte di un nobile francese dopo essersi procurato l’acqua per ripulirsi… mentre i morsi della fame lo tormentavano durante il massacrante turno di lavoro in fabbrica… mentre giaceva ferito gravemente durante la guerra in trincea… mentre veniva spinto sul convoglio che lo avrebbe condotto alla destinazione finale della sua ennesima esistenza… mentre salvava ancora una volta il fratello dal pestaggio da parte dei bulli in orfanotrofio… l’istinto di Moravich ne era più che certo: non era possibile un tale accanimento sulla sua esistenza e su quella del fratello. Quando poi era venuto a conoscenza del passato di Mordecai in orfanotrofio e aveva notato quella sua tendenza a schermirsi quando riceveva complimenti o manifestazioni di amicizia, il suo istinto lo aveva portato alla conclusione che anche il fratello stava pagando per una sua colpa ma che, fortunatamente per lui, aveva la benedizione di non esserne consapevole. A Jason e Moravich, tale benedizione non era consentita.

Il Serpente Piumato aveva abbandonato la sua famiglia, aveva dato al suo amante l’onere di lottare per mantenere un legame che lui aveva dimenticato. Per tale motivo, le sue incarnazioni umane sarebbero state sempre abbandonate dalle loro famiglie, e queste incarnazioni avrebbero dovuto faticare il doppio per costruire nuove relazioni.

Xolotl e Xocotl avevano agito contro gli interessi del loro stesso fratello; non solo, avevano stabilito che nessun mortale dovesse essere libero di agire per sé, ma doveva essere alla mercè delle divinità senza protestare. Dal loro primo respiro come esseri umani, nessuna azione che uno dei due avesse fatto per aiutare il proprio fratello avrebbe avuto alcuna conseguenza positiva; qualunque decisione presa per tirare avanti nella vita si sarebbe risolta in un buco nell’acqua. Per garantire l’efficacia di questa persecuzione, nessun potere divino era stato conservato ma i ricordi sarebbero stati fin da subito ben nitidi, a memento della responsabilità che avevano avuto per la loro condizione.

L’intervento divino che avrebbe dovuto toglierli dalla loro umana miseria? Oh sì, si era verificato anche quello. In quell’ultima vita, Dorian aveva preso con sé i gemelli, togliendoli da quel buco di istituto in Bulgaria. Chiaramente esigeva un tornaconto da loro, e i fratelli erano stati ben felici di fare tutto quello che lui aveva chiesto.

Anche rapire sua moglie che, da quanto avevano saputo, aveva avuto vite brevi ma assai spensierate e appaganti.

“Ma non torcetele un capello” aveva ammonito Dorian, con tono ed espressione decisamente sinistri.

A quell’istruzione che sembrava un monito, l’istinto di Moravich era subito andato a quella sentinella. Mictlantechutli aveva ricevuto rapporto, dopotutto… In tal caso, avrebbero usato le maniere buone con lei, come avevano sempre dovuto fare, per non contrariare il loro benefattore…

Erano poco più che ragazzini, all’epoca. Era stato facile, per Jason, convincere una bimba a uscire con lui dall’ospedale, dove era stata ricoverata per alcune visite, con la promessa di mostrarle un cagnolino che aveva trovato, portarla verso una via deserta e, con l’aiuto del “cane”, Moravich, trascinarla di peso nell’elegante auto nera di Dorian, prima di sparire nel nulla.

L’istinto di Moravich era stato impeccabile, quasi animale. Sarebbe stato sicuramente uno smacco, per lui, se avesse scoperto di aver accusato, nel corso dei secoli, la divinità sbagliata.

Venuto a conoscenza di quanto aveva detto Xolotl a sua moglie, e consapevole dell’inganno che gli dei avevano perpetrato anche verso di lui, inducendolo ad essere, in un primo momento, il carceriere e il tormentatore di un’anima innocente, Mictlantechutli aveva deciso di prendersi la sua vendetta personale verso tutti coloro che avevano fatto soffrire la sua sposa, mentre si adoperava per riaverla con sé.

Sarebbe bello poter vedere come te la caveresti, se succedesse a te quello che è appena capitato a me… sfruttare tutte le tue capacità e la buona volontà per ottenere dei benefici per te e per chi ami… impegnarti a migliorare la tua condizione… e scoprire che tutti i tuoi sforzi saranno vani, a meno che non sia una divinità a concederti la grazia. Questo aveva desiderato la sua amata, così sarebbe stato.

Questa era un  giuramento che il Signore del Mictlan aveva fatto a se stesso: tutti coloro che avevano danneggiato, o arrecato dolore, a Mictlancihuatl avrebbero pagato per le proprie colpe durante le loro vite mortali.

Tutti.

“Mi state mettendo in castigo come una bambina stupida? È dunque così che sarò trattata da voi, d’ora in avanti? Oppure mi avete sempre considerata tale?”*

Nessuno escluso.

 

FINE

 

*era l’ultima frase che Mictlancihuatl aveva rivolto a Mictlantechutli nel capitolo “Dismantle Instructions” in questa raccolta di fanfiction.

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Capitolo 19
*** Giorno 15 ottobre: Istinto animale ***


Ho scritto questo capitolo quasi in contemporanea col precedente capitolo, Pasto alternativo, e riprende il POV di Moravich, ampliando quanto detto nell’ultima parte. Qui ci sono anche tanti riferimenti a capitoli già scritti in questa raccolta, quindi per un bel pezzo se ne va anche per le mie tangenti che sviano allegramente dalla trama principale. Portate pazienza, tanto prima o poi smetto. I riferimenti che faccio alle vite passate dei gemelli, invece, sono i flashback illustrati nel secondo volume di Calaca.

Piccola noticina: viene citato Tlaloc. Per fisime mie, sono vagamente convinta che sia Franklin. Cioè, la prima volta che compare nel fumetto, piove di brutto…

 

Istinto animale (15 ottobre)

Xolotl sentì il pianto sommesso di Mictlancihuatl solo dopo essere entrato nella sua stanza, nella quale era stata reclusa dopo essere stata scacciata da Mictlantechutli, con la sola compagnia di un ragno da guardia a far da sentinella. Sebbene il Signore del Mictlan non glielo avesse espressamente proibito, Xolotl sapeva che non avrebbe dovuto rivolgere la parola alla sua Signora in disgrazia, e che, assai probabilmente, la sentinella avrebbe fatto rapporto. Tuttavia Quetzalcoatl era scomparso e Xolotl non era soddisfatto delle risposte che la falsa dea aveva dato al marito. Quel pianto aveva il potere di irritarlo enormemente e non provava la benché minima compassione per il dolore che la falsa dea stava provando: se si trovava in quella situazione non avrebbe dovuto biasimare altri che se stessa. La donna non sembrava essersi accorta del suo ingresso nella stanza o forse, più probabilmente, non se ne curava. Sapeva che non sarebbe mai entrato il suo Signore, degli altri non le importava. Pertanto, rimase seduta per terra, ad accarezzare distrattamente il suo secondino.

“Dove si trova Quetzalcoatl?” chiese senza preamboli.

La Signora lasciò scorrere diversi lunghi secondi prima di rispondere “Ho già risposto al mio Signore e tu eri presente”. Non riteneva necessario alzare lo sguardo per parlargli direttamente negli occhi.

“Hai un pezzo della sua anima, puoi rintracciarlo senza problemi” aggiunse la divinità, ben conscia di ciò che la donna aveva già rivelato a suo marito.

“Non è di mio dominio” tagliò corto quest’ultima.

“E per quale motivo hai lasciato perdere un pagamento?” questo, in effetti, era stato un comportamento inusuale per una divinità del Mictlan e, in quanto tale, sospetto.

“Perché non me ne faccio niente di qualcosa che appartiene a tuo fratello” rispose sottolineando, seppur con tono piatto, che l’anima di suo fratello, per lei, non aveva alcun valore.

“Anche solo una briciola dell’anima di mio fratello vale dieci volte quella di una creatura come te” mai aveva osato riferire parole tanto dure a Mictlancihuatl, nemmeno quando era ancora una serva appena giunta nel Mictlan, vittima delle dicerie sulla sua superbia a cui Xolotl, beninteso, non credeva: Quetzalcoatl gli aveva detto che non si era mai palesato alla sua amata nella sua vera forma. A Xolotl era bastato che lo credesse Mictlantechutli, affinché il soggiorno della ragazza non potesse risolversi con un suo eventuale ritorno, data l’ostinazione di Quetzalcoatl nel riaverla con sé. Ma adesso che la donna aveva perduto il favore del suo Signore, non aveva alcun motivo di mostrare deferenza alla responsabile delle disgrazie di suo fratello.

Quella frase così aggressiva destò una certa sorpresa in Mictlancihuatl, al punto da farle finalmente sollevare lo sguardo, ma non ne sembrava turbata.

“Inizi a togliere qualche sassolino dal calzare, Xolotl” commentò con leggero sarcasmo.

“Non c’è stato niente di personale quando ti ho condotta qui la prima volta. Eri semplicemente un’anima da far sparire, per il bene di mio fratello”.

“Complimenti, lavoro ineccepibile” fece un debole applauso per proseguire col sarcasmo, facendo attenzione a non colpire la sua sentinella.

“Hanno fatto tutto gli altri. Xocipilli, Tezcatlipoca. Io ho solo fatto il mio lavoro”.

“Ma tu conoscevi il loro piano?”

“Sì. Loro lo avevano fatto per dispetto. Io l’ho lasciato fare per proteggere mio fratello”

“Per dispetto…” ripeté con amarezza la donna. “Quindi tu sapevi che le dicerie cucitemi addosso al mio arrivo qui erano infondate. Non sapevo chi fosse il tuo prezioso fratello. Avresti potuto rendere il mio soggiorno meno penoso fin da subito avvisando che nooo, la ragazza non era stata solo vittima dei vostri capricci!”

“Come ti ho detto, non era niente di personale. Eri una semplice anima, non mi interessava il tuo destino. Ma, dopotutto, hai solo pagato in anticipo ciò che hai fatto in un secondo momento”.

“Scusa, non credo di capire” replicò con freddezza.

“Tra gli umani, tu sei riconosciuta come una dea. Col potere che ha assorbito dal Mictlan, hai iniziato a comportarti come se fossi a casa tua”

“Come se fossi a casa mia…” Mictlancihuatl lo guardava come se fosse stato un dio minore con poco cervello.

“Sai Xolotl, posso comprendere il pensiero della maggior parte delle divinità fuori dal Mictlan. Vedono una serva con un potere che, secondo loro, non le spetterebbe e che diventa la moglie di una divinità, un sovrano addirittura. Deve rodere parecchio. Anche tra i nobili mortali è così. La plebe nasce plebe e muore plebe. Ma tu… ci lavori, qui. Hai visto più o meno tutto ciò che ha visto il mio Signore. Alcune divinità ci sono arrivate semplicemente ragionando, persino Tlaloc c’è riuscito, seppur con l’aiuto di un disegnino!”

Xolotl si irrigidì alla implicita osservazione di essere meno sveglio di una divinità che... sì, era un grande dio, con straordinari poteri, assai venerato, ma se la giocava alla grande, quanto a ingenuità, con Quetzalcoatl!

“Come puoi prendere certe posizioni?” proseguì Mictlancihuatl, che dell’irritazione del suo servitore non poteva importare di meno “Hai visto come usavo il potere conferitomi. Ho fatto sempre tutto per migliorare le condizioni del Mictlan e per far star bene il mio sposo. Questo ha portato benefici ai mortali? Ha portato le persone a dedicare anche a me le preghiere e i sacrifici? Se la cosa non ha dato fastidio al Signore del Mictlan, non vedo perché dovrebbe dare fastidio a te!”.

“Le tue azioni non cancellano le tue origini” replicò Xolotl.

“Oh.. quindi, fammi vedere se ho capito… Gli dei hanno il diritto di fare ciò che desiderano con i mortali. Quetzalcoatl ha potuto giocare con Malintzin e questa poteva poi essere gettata da parte per volontà degli dei. È corretto?”

Xolotl fece un cenno affermativo. Era logico che un dio potesse fare quello che voleva con ciò che aveva creato.

“Nel frattempo questa Malintzin non avrebbe in alcun modo dovuto aspirare a migliorare la propria esistenza, se gli dei non vogliono, è corretto anche questo? Non importa quanto, nel frattempo, è… uhm… cambiata quella Malintzin, quante azioni degne di stima o con conseguenze positive abbia fatto, lei non può cambiare il suo destino, se gli dei non vogliono. È corretto anche questo?”

“È esattamente questo il punto” concordò il dio.

“Vivo nel Mictlan, rendo conto del mio operato esclusivamente al dio che lo governa. Non è sufficiente per te che Mictlantechutli mi abbia sposata? Per i mortali che mi venerano sì”.

“Noi la pensiamo diversamente dai mortali. Non fare l’errore di prenderli come metro di paragone. Che una come te si sia legata a una divinità è abominevole!”.

Mictlancihuatl si incupì “Quindi, quando hai visto che mi sono trovata in segreto con Quetzalcoatl nel mondo degli umani, hai pensato bene di fare la spia e mettermi in difficoltà con Mictlantechutli. Beh, chiariamo anzitutto un equivoco, Xolotl” sembrava aver esaurito la pazienza. “Per quanto la mia condizione possa sembrare il frutto di un caso legato ai cempasuchil da me portati al momento della mia dipartita, sappi che il Mictlan ha più senso dell’umorismo di quanto credi. Quell’idiota di tuo fratello ha donato l’amore ai mortali, portando il caos tra le anime separate. E chi ha mandato il Mictlan a limitare il danno? Proprio la persona a cui Quetzalcoatl aveva avuto interesse a fare quel dono. Ma, per quanto il senso dell’umorismo del Mictlan sia notevole, non avrebbe mai lasciato usare il suo potere a qualcuno di indegno. E questo, Mictlantechutli lo sa”.

“Parli come se il Mictlan fosse un essere senziente” commentò con disprezzo Xolotl.

A quel punto, Mictlancihuatl aveva un’espressione mista tra Ma questo è proprio un coglione! e Glielo devo dire? “Già, che scemenza, vero?” abbozzò infine un sorrisetto amaro e una lieve nota di sarcasmo nella voce.

“Tuttavia” proseguì con aria meditabonda “sarebbe bello poter vedere come te la caveresti, se succedesse a te quello che è appena capitato a me… sfruttare tutte le tue capacità e la buona volontà per ottenere dei benefici per te e per chi ami… impegnarti a migliorare la tua condizione… e scoprire che tutti i tuoi sforzi saranno vani, a meno che non sia una divinità a concederti la grazia”.

“Ma questo è ciò che spetta ai mortali, non agli dei… non a te” concluse velenoso Xolotl.

“Niente che augureresti al tuo amato fratellino, immagino. Ma non devi preoccuparti, lui sarà protetto dalla sua buona stella, anche se avrà di sicuro le sue difficoltà”.

“Che intendi dire?”, allarmato ma, allo stesso tempo, arrabbiato nel sentir nominare suo fratello da quella sgualdrina.

“Ha voltato le spalle ai suoi fratelli, ha abbandonato l’amore della sua vita – mi riferisco al dio del gelo e della giustizia, ovviamente! Queste cose pesano su un’anima, se è mortale, non lo sai? Come minimo, potrebbe rinascere senza l’appoggio di una famiglia o rischiare di crescere in solitudine”.

Il pensiero di suo fratello in difficoltà lo fece incollerire. Afferrò la donna e la scosse con fare minaccioso.

“Come trovo Quetzalcoatl?”

“Come osi!?” esclamò irata la Signora del Mictlan “Arrangiati! Chiedi aiuto ai tuoi pari! Ma non ti devo proprio niente perché non sei niente in confronto a me!”.

Xolotl, seppur solitamente restio a colpire una donna, era stato sul punto di reagire violentemente alla sua insensata insolenza (fino a prova contraria, era vera la frase opposta) quando, ironicamente, fu la stessa donna a dimostrare la propria debolezza, cedendo come incapace di reggere il proprio peso. Xolotl lasciò la presa e la Signora cadde a terra, rischiando di schiacciare la povera sentinella.

Una figura pietosa. Senz’altro aggiungere, e ormai persuaso che, da lei, non avrebbe ottenuto informazioni utili a ritrovare il fratello, Xolotl abbandonò la stanza.

 

Mentre combatteva l’imbarazzo per essere stato esaminato nelle parti intime dal mercante di schiavi… mentre assisteva testimone allo stupro di suo fratello da parte di un nobile francese dopo essersi procurato l’acqua per ripulirsi… mentre i morsi della fame lo tormentavano durante il massacrante turno di lavoro in fabbrica… mentre giaceva ferito gravemente durante la guerra in trincea… mentre veniva spinto sul convoglio che lo avrebbe condotto alla destinazione finale della sua ennesima esistenza… mentre salvava ancora una volta il fratello dal pestaggio da parte dei bulli in orfanotrofio… l’istinto di Moravich ne era più che certo: non era possibile un tale accanimento sulla sua esistenza e su quella del fratello. Quando poi era venuto a conoscenza del passato di Mordecai in orfanotrofio e aveva notato quella sua tendenza a schermirsi quando riceveva complimenti o manifestazioni di amicizia, il suo istinto lo aveva portato alla conclusione che anche il fratello stava pagando per una sua colpa ma che, fortunatamente per lui, aveva la benedizione di non esserne consapevole. A Jason e Moravich, tale benedizione non era consentita.

Il Serpente Piumato aveva abbandonato la sua famiglia, aveva dato al suo amante l’onere di lottare per mantenere un legame che lui aveva dimenticato. Per tale motivo, le sue incarnazioni umane sarebbero state sempre abbandonate dalle loro famiglie, e queste incarnazioni avrebbero dovuto faticare il doppio per costruire nuove relazioni.

Xolotl e Xocotl avevano agito contro gli interessi del loro stesso fratello; non solo, avevano stabilito che nessun mortale dovesse essere libero di agire per sé, ma doveva essere alla mercè delle divinità senza protestare. Dal loro primo respiro come esseri umani, nessuna azione che uno dei due avesse fatto per aiutare il proprio fratello avrebbe avuto alcuna conseguenza positiva; qualunque decisione presa per tirare avanti nella vita si sarebbe risolta in un buco nell’acqua. Per garantire l’efficacia di questa persecuzione, nessun potere divino era stato conservato ma i ricordi sarebbero stati fin da subito ben nitidi, a memento della responsabilità che avevano avuto per la loro condizione.

L’intervento divino che avrebbe dovuto toglierli dalla loro umana miseria? Oh sì, si era verificato anche quello. In quell’ultima vita, Dorian aveva preso con sé i gemelli, togliendoli da quel buco di istituto in Bulgaria. Chiaramente esigeva un tornaconto da loro, e i fratelli erano stati ben felici di fare tutto quello che lui aveva chiesto.

Anche rapire sua moglie che, da quanto avevano saputo, aveva avuto vite brevi ma assai spensierate e appaganti.

“Ma non torcetele un capello” aveva ammonito Dorian, con tono ed espressione decisamente sinistri.

A quell’istruzione che sembrava un monito, l’istinto di Moravich era subito andato a quella sentinella. Mictlantechutli aveva ricevuto rapporto, dopotutto… In tal caso, avrebbero usato le maniere buone con lei, come avevano sempre dovuto fare, per non contrariare il loro benefattore…

Erano poco più che ragazzini, all’epoca. Era stato facile, per Jason, convincere una bimba a uscire con lui dall’ospedale, dove era stata ricoverata per alcune visite, con la promessa di mostrarle un cagnolino che aveva trovato, portarla verso una via deserta e, con l’aiuto del “cane”, Moravich, trascinarla di peso nell’elegante auto nera di Dorian, prima di sparire nel nulla.

L’istinto di Moravich era stato impeccabile, quasi animale. Sarebbe stato sicuramente uno smacco, per lui, se avesse scoperto di aver accusato, nel corso dei secoli, la divinità sbagliata.

Venuto a conoscenza di quanto aveva detto Xolotl a sua moglie, e consapevole dell’inganno che gli dei avevano perpetrato anche verso di lui, inducendolo ad essere, in un primo momento, il carceriere e il tormentatore di un’anima innocente, Mictlantechutli aveva deciso di prendersi la sua vendetta personale verso tutti coloro che avevano fatto soffrire la sua sposa, mentre si adoperava per riaverla con sé.

Sarebbe bello poter vedere come te la caveresti, se succedesse a te quello che è appena capitato a me… sfruttare tutte le tue capacità e la buona volontà per ottenere dei benefici per te e per chi ami… impegnarti a migliorare la tua condizione… e scoprire che tutti i tuoi sforzi saranno vani, a meno che non sia una divinità a concederti la grazia. Questo aveva desiderato la sua amata, così sarebbe stato.

Questa era un  giuramento che il Signore del Mictlan aveva fatto a se stesso: tutti coloro che avevano danneggiato, o arrecato dolore, a Mictlancihuatl avrebbero pagato per le proprie colpe durante le loro vite mortali.

Tutti.

“Mi state mettendo in castigo come una bambina stupida? È dunque così che sarò trattata da voi, d’ora in avanti? Oppure mi avete sempre considerata tale?”*

Nessuno escluso.

 

FINE

 

*era l’ultima frase che Mictlancihuatl aveva rivolto a Mictlantechutli nel capitolo “Dismantle Instructions” in questa raccolta di fanfiction.

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Capitolo 20
*** Mordecai, vacanze parigine (prima parte) ***


Ottobre, il mese più rognoso nel mio settore lavorativo… per la prima volta, pure pensare al Lucca Comics non mi dà sollievo, dato che precede la scadenza più rognosa di tutto l’anno lavorativo e io sono ancora in alto mare… ad un certo punto mi sono venuti i maroni così girati che solo andar dietro a sistemare le bozze di fanfiction mi ha rilassato i nervi. Quindi, ecco la mia terapia pubblicata. Se chi mi legge (so che ci siete, il contatore letture non mente) mi desse un feedback di supporto, mi tirerebbe su il morale.
Mi era stato richiesto di sgravare lo spin off parigino accennato nel capitolo Bruise me, Beat me di questa raccolta di prompt. Questo capitolo è solo una prima parte, un’introduzione, il prompt non è, pertanto, ancora espresso. Nella storia abbiamo un salto temporale nel 2019. Spero vi piaccia.



Vacanze parigine
“Davvero, mon chere, mi devi proprio dire da dove viene tutta questa fifa per i cimiteri!” la voce incredula e vagamente accusatoria della bionda interlocutrice ebbe l’effetto di far sentire Mordecai ancora più imbarazzato di quanto già non fosse, mentre percorrevano insieme la strada che li avrebbe condotti verso il pensionato studentesco dell’università.
Erano passati sette anni da quel caos azteco che aveva stravolto la vita di Mordecai e che, per poco, non si era concluso nientemeno che con la fine del mondo e dell’umanità per la quinta volta. Chiudere le faccende lasciate in sospeso per cinquecento anni non era stato semplice, né tantomeno indolore. Aveva ritrovato qualcuno di importante, altri erano stati allontanati per sempre. Ci sono stati dei ben ritrovati, degli arrivederci… e degli addii. Aveva versato lacrime, ma il suo animo si era anche rafforzato enormemente, come se l’anima di Quetzalcoatl, ormai riemersa dall’oblio, si fosse fusa a quella mortale di Mordecai, alla stregua di due liquidi disciolti in una soluzione, quando prima, per effetto dell’incantesimo della Signora del Mictlan, le due identità, umana e divina, erano come acqua e olio: sempre in contatto l’una con l’altra, ma destinate a rimanere distinte.
Il biondo aveva ripreso in mano le redini della sua vita, seppur, inizialmente, a fatica: aveva dato quel famigerato esame, passandolo, neanche a dirlo, con il massimo dei voti; aveva ottenuto l’agognata laurea e, alla fine, aveva anche vinto il concorso per un dottorato in Economia presso una buona università californiana. Raggiungere quei risultati accademici era ciò che Mordecai aveva sempre voluto… ma aveva ottenuto anche qualcosa in più, nel frattempo. Emanuel, per esempio, era tornato nella sua vita e, stavolta, non ci sarebbe stato dio o calamità che li avrebbe separati. Beh, il biondo aveva dovuto penare non poco per fargli accettare il fatto che, per esigenze di dottorato, avrebbe dovuto passare un anno accademico presso un’università francese (con la quale era gemellata il suo Dipartimento), lasciando a casa Emanuel… aveva dovuto penare TANTO, in verità. Certe abitudini erano dure a morire, e il vecchio Tlauizcalpantechutli, o dai più conosciuto col nome di Itztlacoliuhqui-Ixquimilli in seguito alla perdita del dominio sulla stella Venere, aveva dovuto scendere a patti col fatto che una distanza fisica di a malapena un anno non avrebbe potuto essere paragonato a cinquecento anni di disperata ricerca di un’anima che aveva dimenticato persino il proprio nome. Forse la divinità del giudizio e del gelo aveva imparato la lezione o, forse, aveva considerato le esperienze che Mordecai avrebbe fatto all’estero poca cosa rispetto tutto ciò che entrambi avevano dovuto sopportare in passato. Di fatto, poteva essere considerato un Erasmus, con la differenza che Mordecai non era uno studentello in cerca di feste e avventure – non lo era mai stato neppure prima del suo risveglio come una divinità stimata tra le più sagge e importanti del pantheon azteco.
Dunque, certe abitudini erano dure a morire e la stessa cosa valeva per Mordecai, il quale non aveva ancora superato la sua avversione per i cimiteri. Se prima gli era sembrata una cosa inspiegabile, seppur normale, ne aveva poi capito il motivo dopo essersi risvegliato. Probabilmente, l’inconscio era stato segnato dai suoi trascorsi nel Mictlan più di quanto pensasse, per quanto non si fosse mai pentito di aver affrontato quel viaggio per riportare in vita gli umani.
“Non posso spiegartelo, i cimiteri mi mettono inquietudine!” si giustificò il biondo con la sua collega di lavoro al dipartimento francese. Michelle, questo era il suo nome, aveva preso a cuore l’impegno di mostrare al suo collega americano le bellezze di Parigi, a cominciare dalle mete più mainstream e turistiche. Sfortunatamente per Mordecai, il cimitero di Père Lachaise era considerata una delle mete più gettonate, soprattutto per le spoglie degli illustri artisti che vi erano ospitate.
“Quindi non vorrai venire ai cimiteri di Montparnasse, di Montmartre e di Passy la prossima settimana?”.
“Si può sapere perché a Parigi siete fissati con i cimiteri?”
“Perché sono praticamente dei musei a cielo aperto! Hai visto che mausolei ci sono?”
In effetti, Mordecai dovette riconoscere che l’atmosfera era alquanto… affascinante, in un certo senso. Alcune tombe erano davvero eleganti, doveva ammetterlo… ma quanto gli era sembrato strano vedere le strade con la segnaletica e incrociare turisti che passeggiavano con nonchalance! Nondimeno, non riusciva a restare troppo a lungo in un luogo dove era presente una così tale concentrazione di corpi sepolti. Insomma, di potenziale pericolo, per quanto avesse uhm… risolto? … i suoi conti in sospeso con Mictlantechutli. Con quella divinità, non era proprio semplice stabilire se i debiti fossero stati saldati oppure no…
“Terra chiama Mordecai! Sei ancora con me?” Michelle non amava i silenzi protratti e Mordecai si trovò a dedicare attenzione al presente.
“Ma questa non è la strada per il campus” si soprese il biondo, suscitando uno sbuffo di ilarità nella collega nell’appurare fino a che livello la distrazione di Mordecai poteva protrarsi.
“Ci fermiamo a bere qualcosa, no?” chiacchierona e festaiola fuori dall’università, quanto seria e morigerata in ufficio o nelle aule universitarie: grazie a Michelle, probabilmente Mordecai avrebbe recuperato le esperienze che, da studente, si era rifiutato di vivere, troppo preso a contare ogni centesimo guadagnato durante i suoi lavori part time e a studiare in ogni momento di tempo libero per laurearsi in tempo.
Ecco un’altra cosa che Mordecai non amava fare… andare a bere nei locali. Già non aveva amato farlo da studente, dopo la sua “avventura” al Laberinto poi… diciamo che era ancora più restio a concedersi certi passatempi. Ma Michelle era, senza ombra di dubbio, innocua da quel punto di vista, una persona normale. Una normale ricercatrice universitaria parigina. Non sarebbe successo nulla di pericoloso.
Entrarono in un locale dove era in corso un evento karaoke. Non vi erano molti universitari: il locale era annesso a un albergo, pertanto la clientela, comunque non numerosa visto l’orario preserale, era molto varia.
Mentre veniva maltrattato un brano di Stromae da un avventore di mezza età, i due si recarono al bancone.
“Analcolico, per favore” specificò Mordecai all’amica, l’unica che parlava in francese e che poteva ordinare per entrambi, con un tono insolitamente perentorio. Sarebbe andato a sedersi ma, con la scusa di non lasciare l’amica da sola, di fatto voleva essere sicuro che il barman utilizzasse solo ingredienti davvero analcolici.
“Si può sapere da dove ti viene questa paranoia? Di solito sono le donne ad essere preoccupate di ciò che finisce nei loro bicchieri!”.
“Esperienza. Senza offesa, Michelle”.
“Mi dovrei offendere eccome! Un mojito et une boisson gazeuse de la maison, s'il vous plaît” si rivolse al cameriere.
“Vorrà dire che, per farmi perdonare, offrirò io” replicò Mordecai mentre andavano verso i divanetti e vi prendevano posto.
Il povero Stromae, giunto al termine del brano, lasciò posto a qualche minuto di silenzio, mentre un gestore del locale armeggiava col computer per trovare una canzone richiesta da una bambina di dieci anni circa, accanto alla madre che l’aveva accompagnata a scegliere.
Presto la sala si riempì con le note della canzone How far I’ll go on, cantata dalla bimba che ci stava mettendo tutta la passione di cui era capace. Non era spiacevole da ascoltare, anzi, la bimba era sufficientemente intonata, ma…
“Ancora questa canzone! Nooooo!”
La voce femminile, fintamente disperata, che giungeva dal divanetto opposto a quello su cui era seduto Mordecai, era decisamente familiare, sebbene non l’avesse più udita negli ultimi cinquecento anni. Mictlancihuatl?
Aveva quasi timore a voltarsi, tale era l’incredulità per una coincidenza così grande, ma non poteva fare a meno di verificare quel dubbio. Così si alzò a controllare chi stava occupando i posti dietro al suo. Seppure parzialmente di spalle, la riconobbe subito.
Non rivedeva Alma da quando avevano abbandonato Esqueleto, otto anni prima. Al posto della nanerottola che ricordava vi era, in tutto e per tutto, la giovane diciottenne conosciuta e amata durante l’era del Quarto Sole, vestita però con abiti più che attuali, mentre sorseggiava una coca cola con una cannuccia, in compagnia di un uomo di mezza età.
“Cosa ci vuoi fare, sai bene che a Eleni piace tanto Moana” commentò l’uomo con comprensione e… pazienza infinita.
“Ma non mi dire” replicò la ragazza, mostrando con la mano i libretti e i quaderni da disegno con immagini del film Disney aperti sul tavolo che stavano occupando, tra un succo di frutta, un tè e la tazza del cappuccino mezzo svuotato.
Mordecai aveva indugiato un secondo di troppo nel contemplare il quadretto perché lo sconosciuto, di fronte al ragazz,o, si accorse di lui e gli rivolse la parola, apparentemente infastidito.
“C’è qualcosa che non va?” chiese con tono vagamente accusatorio.
A quel punto si voltò appena anche la ragazza, alle prese con un lungo sorso di bibita… con il quale prese a strozzarsi non appena ebbe realizzato chi aveva davanti, tossendo in modo assai poco dignitoso.
“Alma!” esclamò il biondo. Certo Alma non era in pericolo di vita ma Mordecai, allarmato, le diede comunque qualche pacca sulla schiena, per liberarle le vie aeree dal liquido andatole di traverso per colpa sua.
“Tenga le mani lontane da mia figlia!” esclamò l’uomo scansando Mordecai e assicurandosi che la ragazza si riprendesse mentre quest’ultima si complimentava, col fiato corto, per la scelta delle sue priorità.
“Ma che ci fai qui?” gracchiò, non appena riprese possesso della capacità di respirare.
“Che ci fai tu qui!” replicò sbalordito il biondo.
“Sono in vacanza!” sputò fuori esprimendo tutta l’ovvietà del mondo.
“Chi è lei, si può sapere?” tornò alla carica lo sconosciuto, visibilmente irritato dal constatare che i due giovani si conoscessero, mentre lui era all’oscuro di tutto.
“Mordecai” rispose il biondo, sentendosi uno stupido. Non stava prendendo un po’ troppo seriamente quel piccolo incidente alla…figlia?
“Alma, come conosci questa persona?” il padre sembrava pronto ad iniziare un interrogatorio.
“Sto bene, papà, grazie per l’interessamento” non rispose, sarcastica, la ragazza.
“Alma!”
“Americani” commentò confusa Michelle, davanti a quella strana scena. Se non fosse stata abbastanza matura da non ragionare per stereotipi, avrebbe pensato che la mossa successiva sarebbe stata una bella pistola puntata verso il collega, cosa che, appunto, non avvenne. In compenso, mamma e figlia interruppero la canzone e tornarono al posto. La bimba osservava la scena incuriosita tanto quanto Michelle; d’altro canto, la madre stava condividendo l’ansia del marito.
“Tutto bene?” chiese con il timore di una risposta negativa.
“Tutto bene. Grazie mamma” tagliò corto Alma.
“Ciao! Sei un amico di mia sorella? Almeno non sei vecchio come l’altro!” commentò serena la bambina. Somigliava ad Alma quando la incontrò per la prima volta nel cimitero: spensierata e aperta alla chiacchiera col primo che passava.
Cos..? Vecchio lui? Non era esattamente una frase comune da dire. Mordecai non si rese conto subito del gelo che le parole della bimba avevano portato tra i membri della sua famiglia.
“Eleni, riprendi i colori e finisci il disegno” propose Alma, nervosa, per sviare la domanda.
Eleni si sedette al proprio posto, riprendendo la matita rossa in mano. “La prossima volta cantiamo insiem…”
“No” replicò piattamente la… sorella maggiore?
“Daaaai” protestò la bambina.
Così, quella era la famiglia umana di Alma? La bambina che aveva conosciuto al cimitero non vedeva l’ora di ricongiungersi ad essa… ma in Mordecai sorse una lieve ilarità nel vedere la Signora dei morti alle prese con una vita da teenager americana. Se si fermava a rifletterci su, però, nemmeno il fatto che il nobile Serpente Piumato vivesse come timido dottorando americano era esente, ad occhio esterno, da ilarità, però Mordecai lo considerava normale, forse perché, appunto, non poteva vedersi da un punto di vista esterno. La scena che il biondo aveva davanti agli occhi appariva normalissima, nella sua banalità. Eppure aveva la sensazione che quello non fosse il posto appropriato per la ragazza.
“Grazie per aver aiutato mia figlia, signor…?” esordì la signora, più diplomaticamente, ma senza discostarsi dall’obiettivo del marito: capire chi fosse quel biondo sconosciuto che sembrava conoscere la loro bambina.
“Il Dottor Mordecai Plumado, mamma. È stato tutor per la Facoltà di Economia durante la Settimana dell’Orientamento delle varie università per gli studenti all’ultimo anno delle superiori. Per inciso, quello a cui ti sei sospettosamente offerto di partecipare anche tu, papà, per la Facoltà annessa al tuo Dipartimento! Dottor Plumado, mia madre, mio padre e mia sorella” l’entusiasmo che Alma aveva messo nelle presentazioni rasentava quella di un’interrogazione a sorpresa in classe.
“Ah, un dottore di Economia! Non avrei mai detto, ha un’aria così giovane!” replicò il padre, sentendosi tirato in ballo, dando repentinamente del lei a colui che si era rivelato un collega che, cosa più importante, si era palesato nella vita della figlia in una situazione tranquilla.
“Sua figlia minore non sembrava dello stesso avviso” commentò Michelle, che iniziava a prenderci gusto.
“Per favore…” mormorarono Mordecai e Alma quasi simultaneamente.
“Quindi ha partecipato alla settimana dello scorso luglio?”.
“Signore, era a maggio”. Mordecai non avrebbe avuto elementi per sospettarlo, ma aveva capito che l’uomo gli aveva teso un tranello verbale, anche se non ne comprendeva il motivo. Da quando si era risvegliato, il suo sesto senso si era fatto molto acuto. Uno sospiro pesante di Alma confermò la sua supposizione.
“Ha ragione. Mi sono confuso” con tono tutt’altro che contrito.
In effetti, Mordecai era stato incaricato di partecipare alle attività della facoltà di Economia e di dirigere gli altri dottorandi ma si sarebbe accorto della presenza di Alma: il flusso di studenti interessati alla sua Facoltà non era così intenso da non notarla.
“Alma, eri alla Settimana dell’Orientamento? Non sapevo fossi venuta al seminario!” chiese Mordecai.
“Infatti non ho partecipato ad alcuna attività” rispose la ragazza facendo spallucce.
“…e allora come fa a sapere chi sei, se non hai partecipato al seminario di Economia del Dottor Plumado?” chiese il padre, di nuovo col tono vagamente da interrogatorio.
“Ho conosciuto il Dottor Plumado in caffetteria, durante la pausa caffè”.
…Non era vero. Mordecai si sorprese per quella bugia detta in modo così disinvolto ma, per fortuna, non lo diede a vedere, grazie a quella chiacchierona di Michelle che aveva colto la palla al balzo.
“Sei stata alle iniziative della Facoltà di Scienze Naturali, Alma? Mordecai mi ha raccontato che c’è stato un bel po’ di maretta con gli scheletri!”
“Quelli dati in prestito dal Dipartimento di Biologia? Chi l’avrebbe mai detto che non erano corpi di volontari lasciati per testamento alla Ricerca ma trafugati e venduti da tombaroli moderni?” chiese Alma. “Quell’evento, da solo, è valso il successo della Settimana di Orientamento tra gli studenti di tutte le high school di San Diego!”.
“Cosa? Fiiigo!” esclamò eccitata la bambina che, a quanto pare, era la prima volta che ne sentiva parlare. I genitori, evidenti responsabili dell’ignoranza della loro secondogenita, gemettero per la frustrazione.
“Ma come hanno fatto a scoprirlo?” chiese Michelle, curiosa di avere ulteriori notizie che Mordecai non era stato in grado di riferirle, ma che immaginava essere stato l’argomento forte tra i ragazzini che avevano partecipato a quel Seminario.
“Chissà, un vero mistero” chiosò Alma senza apparente interesse per la cosa.
In effetti, quella situazione aveva destato un enorme scalpore: qualcuno aveva chiesto, in modo puramente casuale, se fosse sicura la provenienza di quegli scheletri. L’espressione di Alma, seppur neutra, aveva lasciato a Mordecai uno strano presentimento.
“Non mi sembra un argomento adatto a una bambina! Eleni, continuiamo a disegnare in camera. Alma, vieni anche tu” concluse la madre, facendo un cenno di saluto ai due sconosciuti.
“Finisco la coca cola e arrivo. Conosco la strada”.
“Aspetto Alma e saliamo insieme” comunicò il padre. Madre e figlia minore raccolsero le proprie cose e tornarono alla propria stanza.
“Non ho bisogno della guardia del corpo!” il tono di Alma divenne improvvisamente polemico.
“Finisci la coca cola, dobbiamo prepararci per la serata”
“Puoi andare tu, intanto, a prepararti. Devo solo prendere l’ascensore per arrivare alle camere. Cosa vuoi che mi succeda?”. Il padre stette un attimo a pensare ma, alla fine, si convinse a dar credito all’obiezione della figlia.
“…Tieni acceso il cellulare”
“Grazie per questa dimostrazione di fiducia” salutò sarcastica vedendo il padre allontanarsi.
Non appena l’uomo se ne fu andato, Michelle non poté fare a meno di commentare “Pesanti i tuoi genitori, eh?”
“Succede, quando la tua foto staziona inutilmente per mesi sulle confezioni di latte del tuo Paese e poi ricompari anni dopo senza dare alcuna spiegazione”.
“Cosa?!” si sorprese Michelle.
“È un mojito quello? Sembra buonissimo” lasciò correre con nonchalance la rivelazione di essere una ex bambina scomparsa mentre guardava con desiderio il fresco aperitivo tra le mani della francese.
“Sei maggiorenne?”
“Per la Francia, sì. Per gli Stati Uniti, no. Per i miei genitori, mai”.
“Anche tuo.. padre insegna Economia all’Università?” chiese Mordecai.
“Docente universitario di Geologia. Studia i terremoti, soprattutto” Alma prese un altro sorso di bibita.
“…Terremoti” ripeté il biondo, a disagio. L’era del Quinto Sole sarebbe finita a causa di terremoti molto potenti, quando fosse giunta la sua ora. Obsolescenza programmata….
“Terremoti” confermò Alma, quasi leggendogli nella mente.
“Che ironia della sorte”
“…Già” annuì la ragazza.
“Non credo di comprendere la vostra ironia americana”.
“Troppo americana per essere compresa persino dagli statunitensi stessi” convenne Alma. Un commento fin troppo sottile per essere compreso da Michelle e persino per Mordecai, se non fosse stato una divinità: che la fine dovesse avvenire tramite terremoti era una conoscenza degli Aztechi, i veri abitanti del suolo americano assieme alle altre civiltà amerinde, e che il padre della attuale incarnazione della Signora dei morti li studiasse col metodo scientifico era abbastanza ironico.
“E tu perché sei qui, Mordecai? Sei in vacanza anche tu?”
“Io?” si sorprese il biondo “No, parte del dottorato comprende anche un periodo di collaborazione con i colleghi dell’università qui a Parigi”.
“Tranquilla, il turismo glielo faccio fare io! Questo ragazzo è nato vecchio, tutto lavoro e dormitorio!” si intromise allegra la francese.
“Dai, Michelle!” esclamò imbarazzato il ragazzo.
“In effetti, nato vecchio gli si addice” commentò la giovane dando fondo a ciò che restava della lattina.
“Louvre, Versailles e Tour Eiffel, immagino”.
“Anche. Ma oggi l’ho portato a trovare Jim Morrison e il fifone qui presente non ha gradito!”
“Ooh … al cimitero di Père Lachaise? Bello!” replicò Alma con interesse.
“Ci siete già stati? ”
“I miei genitori ritengono il luogo troppo… macabro per una bambina di dieci anni come Eleni”.
“La tua sorellina?”
“Già. Così domani ci toccherà Disneyland tutto il giorno”.
Mordecai quasi lasciò un sospiro di sollievo a sentir nominare Disneyland. Se aveva trovato ironica la professione del padre di Alma, vedere la sua collega decantare un cimitero come luogo turistico a una ragazza che vi aveva vissuto per anni segregata raggiungeva un livello grottesco, per non dire surreale. Se si aggiungeva pure il fatto che l’interlocutrice era nientemeno che un’amministratrice di riti funebri divina…
“Ma Disneyland non si trova anche in America?”
“Eleni vuole vedere se il vecchio Continente fa le cose in grande come l’America” alzò gli occhi al cielo.
“Mordecai, la segniamo come una delle prossime tappe, ci stai? Ci facciamo Pirati dei Caraibi!”
“Non male quella saga” commentò Alma.
“Non so di cosa state parlando, non guardo molta televisione”.
“Come no!” protestò inorridita Michelle che prese a citare la parte saliente del film per dimostrare la sua passione alla saga. Una a caso. “L’avidità di Cortes fu insaziabile. Fu così che gli dei scagliarono su quell’oro un’orrenda maledizione. Ogni mortale che sottragga uno solo dei pezzi dal forziere di pietra verrà punito per l’eternità.”
Mordecai non credeva alle proprie orecchie nel sentir citare divinità azteche mentre Alma tratteneva la ridarella. “Mordecai, gli attori della tv non possono competere con le tue espressioni facciali!”. Tornò a rivolgersi alla ricercatrice “Lo sceneggiatore ne aveva di fantasia!”.
“Piuttosto che altri cimiteri o cose simili, va benissimo Disneyland…” chiosò Mordecai, pur di sviare da quell’argomento.
“Fifone” commentò Alma giocherellando con la cannuccia.
“E io che volevo portarti alle catacombe di Parigi stasera!” protestò rassegnata Michelle, facendo accapponare la pelle a Mordecai che, impegnato a non risultare troppo stridulo nel declinare l’offerta di un tour, non fece in tempo a registrare la reazione di Alma che, al sentire la parola catacombe, si era irrigidita appena.
“Fanno accessi serali al pubblico?” Chiese Alma con tono neutrale, ma tutta la leggerezza che aveva esternato in precedenza sembrava svanita di colpo.
“Non ufficialmente…” nicchiò la ragazza con un accenno di sorriso birichino.
Alma si alzò dal suo posto, prendendo un anonimo bastone da passeggio, con lieve allarme del biondo alla sua vista. Un bastone da passeggio?
“Io non andrei, se fossi in te” disse la Alma.
“Che intendi dire?” chiese Michelle, sorpresa dal cambio di umore della ragazza.
“Quello che ho detto. Io non lo farei se fossi in te” ripeté marcando maggiormente ogni sillaba.
“Beh, la vita è mia, fino a prova contraria” replicò la donna, piccata.
“Viva il libero arbitrio, allora. Au revoir” tagliò corto la ragazza e si avviò verso il corridoio che collegava il locale ad accesso libero alle stanze dell’albergo con andamento lievemente claudicante, appoggiandosi al bastone per non pesare sulla gamba sinistra.
“Alma!” si allarmò Mordecai. Il ragazzo non avrebbe potuto farci caso mentre Alma era seduta. Da quanto tempo era in quelle condizioni? E poi, che le era preso, tutto di colpo?
“Scusa, torno subito” lasciò Michelle al suo posto – che, finalmente, poteva dedicarsi al suo mojito – e accorse ad aiutare Alma.
“Guarda che ce la faccio. Torna dalla tua collega. E stasera guardati Pirati dei Caraibi, piuttosto che andare… in giro” replicò, scostando la mano di Mordecai che voleva sorreggere la ragazza.
“Ma che ti è successo?”
“Lo scorso agosto ho fatto una caduta piuttosto brutta durante una sessione di parkour. Per poco non mi ammazzavo. Ci ho guadagnato una frattura del femore e un bel po’ ricordi tenuti nascosti dal mio personale contrappasso”. Giunsero all’ascensore.
“Buona vita, Mordecai” le porte si chiusero senza lasciar tempo al biondo di ricambiare quel bizzarro saluto e Mordecai non poté far altro che tornare dalla sua collega e dal suo drink, rimasto intatto, tra l’altro.
“Quella tipa è proprio strana” commentò Michelle quando Mordecai si sedette al suo posto.
“Michelle, perché vuoi andare alle catacombe stasera?” chiese il biondo mentre nascondeva il disagio tormentando la fettina di lime nel suo bicchiere.
“Fanno una festicciola. Guarda che le fanno abitualmente, anche se non così spesso. È divertente: c’è musica, si balla… l’unico difetto è che è clandestina, ma la vita senza un po’ di trasgressione è una tale noia!”.
“Ma siamo stati in giro tutto il pomeriggio. Non è meglio fare qualche attività più rilassante?” chiese Mordecai, deciso a seguire il monito di Alma.
“Domani è sabato, si può dormire! Se vuoi fare tu il pantofolaio, va bene, e magari ci vediamo per pranzo.” Prese un lungo sorso di mojito. “Quella tua conoscente, Almà… hai notato che si chiama come il tunnel dove ha perso la vita la principessa Diana?” domandò seria.
“Riesci a parlare di qualcosa che non sia macabro?” sospirò esasperato Mordecai, deciso a non dare ascolto allo spiacevole presentimento che albergava sottopelle.
Non lo avrebbe fatto mai più.

FINE PRIMA PARTE

Piccole note. Il contrappasso a cui fa riferimento Alma è un rimando esplicito al fatto che tutte le divinità, lei inclusa, vivono da quando sono umani. Al momento sono stati resi espliciti quelli di Tezcatlipoca (l’arto senza sensibilità), Santos (i problemi alla pelle), Emanuel (gli incubi notturni), Alejandro (le allucinazioni su sua sorella), Moravich e Jason (l’impotenza di fronte al destino avverso), Alma (morire non appena riacquista i ricordi sull’amore che prova per suo marito) e Mordecai (essere sempre orfano e solo). Vaghissimamente accennato anche quello di Dorian, in realtà, ma bisogna essere un po’ contorti, forse, per indovinarlo.
Altra nota. Ogni era si è conclusa con una precisa catastrofe ad opera di una divinità. Sembra che sia già stabilito che il Quinto Sole perirà per terremoti violentissimi, almeno questo si legge nella bibliografia a cui faccio riferimento.

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Capitolo 21
*** Giorno 8 ottobre: “Infezione” ***


Giorno 8 ottobre “Infezione”

Sapevo che questo momento sarebbe arrivato: il quarto volume di Calaca ha finalmente rivelato l’identità della dea Mictlancihuatl e, devo dire, è stata davvero una bella sorpresa per me, molto gradita (anche se, devo ammetterlo, i segni per riconoscerla, nel fumetto, c’erano pure stati ma, col senno di poi, sono capaci tutti). Vedere *quel personaggio* (no spoiler) interagire con Dorian, quando pensavo che fosse tutt’altra divinità, mi ha sciolto in un brodo di giuggiole!

Credo dunque che, per quanto abbia amato il mio personaggio originale, Alma, sia ormai giunto il momento di chiudere questo mio arco narrativo parallelo, creato dal mio iniziale bisogno di colmare quasi due anni di attesa per il terzo volume, chiusa in casa a causa della pandemia, per poi adattare le future storielle, eventualmente partorite dal mio neurone fanwriter, alla trama ufficiale. Questa narrazione parallela non si concluderà certo con questo capitolo, ma non mi sembra il caso aspettare altri due anni per farlo; d’altro canto, non me la sento nemmeno di interrompere questo ciclo di fanfiction: giacché il mio neurone aveva plottato altri prompt per quel lontano e famigerato goretober, tanto vale buttar fuori tutte le idee. Questo capitolo, ad esempio, era in bozza da mesi, e finalmente sono riuscita a scriverlo. Ho in preventivo gli ultimi due capitoli, dopodichè adios hermana (semicit.).

 

Infezione

“Allora, è grave?”. La voce, ad un orecchio attento, lasciava trasparire un certo nervosismo mentre il richiedente scrutava l’amico, intento a valutare la paziente seduta davanti a loro. Quest’ultima non faceva altro che passare il suo sguardo incredulo tra le due divinità che, di fatto, l’avevano tagliata fuori dai loro discorsi fin dall’inizio, pur essendone palesemente l’oggetto. Tale scetticismo, dopotutto, era abbastanza giustificato, dal momento che le due divinità stavano trattando Mictlancihuatl come una fanciulla gravemente malata, condizione decisamente impossibile nel Mictlan. Era da diversi secoli che l’anima dell’umana sacrificata viveva nella morte; le malattie non erano più un problema Laggiù, tra defunti e divinità immortali. Non che se la fosse passata bene, i primi tempi: subiva angherie da, praticamente, tutti (beccate di quaglie e morsi di ragno a random, servitori di Mictlantechutli pronti a picchiarla al minimo sbaglio di lei, su ordine del sovrano stesso – anzi, talvolta ordinava pure una razione in anticipo) ma, nell’ultimo periodo, stava bene. Mictlancihuatl eseguiva alla perfezione anche i compiti prima impossibili per lei, e questo aveva ridotto enormemente il numero di punizioni subite. Ragni e barbagianni si avvicinavano a lei per farsi fare una carezza. La fanciulla non sembrava più temere quel luogo lugubre, anzi, talvolta la si poteva sentire canticchiare mentre andava di qua e di là, impegnata in qualche faccenda ancora prima che le venisse assegnata.

Se già il contrasto tra la sua… vitalità e la domanda era strana, il culmine della stranezza era che, a porre quella domanda, era stato nientemeno che il Signore del Mictlan in persona. Che Mictlantechutli si interessasse alla salute della più disprezzata tra i suoi sottoposti raggiungeva l’apice del grottesco. Tuttavia, il numero di stranezze accumulate dalla sua servitrice stava via via aumentando: una situazione del tutto inedita. Aveva deciso che la situazione non poteva più essere ignorata quando nessun servitore, inspiegabilmente, osava più avvicinarsi a lei malgrado gli ordini ricevuti dal sovrano. Ma non poteva essere considerata disobbedienza: in totale conflitto tra due forze opposte (non toccarla oppure farle del male), il servitore coinvolto finiva semplicemente… col rompersi, letteralmente.

“In effetti, trovo molto, molto strano vedere un tuo servitore così in forma, dopo tutto il tempo trascorso dalla sua dipartita” commentò perplesso Painal, il dio della medicina venerato dai guaritori mortali, mentre, con piglio da luminare consumato, teneva una presa salda sulla mandibola di Mictlancihuatl, guadagnandosi un’occhiataccia torva (per quanto possibile dalle ossa fisse) della fanciulla, e scrutava le orbite oculari, le cavità nasali e la bocca.

“Da quanto tempo è in queste condizioni?” proseguì scrutando tra i capelli sciolti della sua paziente.

“Da circa un secolo… dopo un incidente” rispose Mictlantechutli dopo una breve riflessione.

“Lo chiamate incidente? Davvero?!” sbottò la ragazza.

“Parla solo se interpellata!” la ammonì il re.

“Sì, mio Signore” aveva risposto in modo rispettoso, ma del tutto privo della paura che avrebbe avuto un tempo. Altro sintomo strano. Il suo silenzio, comunque, non durò molto: “Ehi!” esclamò indignata, mentre Painal provvedeva ad abbassarle le spalline del vestito, e schioccò un rapido ma deciso schiaffetto alla mano del dio. Se lo avesse fatto a Mictlantechutli, il suo scheletro sarebbe diventato seduta stante becchime per quaglie; in effetti, qualunque altra divinità avrebbe potuto richiedere la medesima punizione, a tale oltraggio. Painal si lasciò sfuggire, al contrario, un sorriso divertito, seppur appena accennato. Anche quella reazione della fanciulla, nella sua mente analitica, era diventato un indizio pronto ad avvicinarlo ulteriormente ad un’ipotesi diagnostica piuttosto interessante. Si prestò dunque a parlare direttamente a lei, per la prima volta:

“Devo valutare la qualità del tuo respiro, signorina. Abbassa leggermente le spalline, in modo da lasciare libera la schiena” spiegò pazientemente, come se si rivolgesse a una bambina con la paura dei dottori. Grottesco voler esaminare uno scheletro come se fosse stato un corpo completo, ma chi era Mictlancihuatl per dubitare delle azioni di un medico divino?

“Ma io sto bene, divino Painal” obiettò la ragazza. Conosceva di vista quella divinità, andava spesso a trovare Mictlantechutli. Aveva intuito il rapporto tra le due divinità ma, intelligentemente, non se ne era mai curata. Non erano affari suoi, dopotutto.

“È questo il problema. E ora, fa’ quello che dice il medico” si intromise, tutt’altro che con delicatezza, il Signore del Mictlan.

Mictlancihuatl diede le spalle alle due divinità e scoprì la sua schiena, come le era stato ordinato.

“Fai dei respiri profondi… così…” beh, almeno Painal era professionale. Passò un lungo minuto, mentre la divinità esaminava il suo respiro, dopodiché la lasciò rivestirsi.

“Bene, ho finito. Ora vorrei farti qualche domanda, se non ti dispiace” la stava davvero trattando con gentilezza? Era davvero una situazione inedita, da quando Malintzin era morta.

“Allora, il tuo Signore mi ha detto che soffri di mal di testa”.

“Non sempre, solo qualche volta” confermò la ragazza.

“Quando?”

“Quando loro sono troppo agitati. Mi danno sui nervi”.

“Loro chi?”

“I morti, divino Painal”

“Sei dispiaciuta per la loro condizione?”

“Beh, non proprio. Voglio dire, mi hanno mandato loro a morire, no? E comunque, alcuni di loro creano troppo…scompiglio. Persino il mio Signore, ad un certo punto, si spazientisce, si dirige nel Chiucnāhuāpan, il settore più profondo del Mictlan, dove soggiornano tutte le anime dei defunti, e ZAC!” mimò un fendente nell’aria “fa a pezzi i più facinorosi con la sua falce!”.

“A quel punto, ti passa il mal di testa”

“Non sempre, divino Painal”

“Come fa a passare?”

“Mi passa soprattutto quando loro si sentono al sicuro nella loro nuova casa”

“Capisco. Bene,  cercherò di individuare la causa dei tuoi mal di testa, signorina…?”

“Mictlancihuatl” rispose la fanciulla, usando il nuovo nome con cui era conosciuta in quel luogo.

“Che nome interessante” commentò il Medico con educazione.

“Il mio Signore è preoccupato per i miei mal di testa?” chiese con tono molto, molto scettico.

“Torna a sorvegliare le ossa, ragazza” la congedò il sovrano e la fanciulla reagì prontamente all’ordine. Fece la riverenza ad entrambi – più profonda e ossequiosa per il suo re, naturalmente – e lasciò la stanza.

“Sei preoccupato per i suoi mal di testa, Mictlantechutli?” al contrario della ragazza, Painal pose la domanda con un misto di ilarità e serietà.

“Neanche per sogno” esclamò il sovrano, senza lasciar spazio al minimo dubbio sulla questione. “Tuttavia, un morto non può provare sensazioni fisiche, nel mio Regno. Niente fame, niente sete, niente dolore. Niente di niente”. Andò ad accomodarsi sul proprio trono, dopodiché fece accomodare l’amico.

“E, se chiamati al tuo servizio, non sentono nemmeno di avere una coscienza”.

Painal lo sapeva. La popolazione umana di quel tempo aveva un grande pregio, agli occhi dei loro governanti: era estremamente ubbidiente. Nessuno metteva in dubbio gli ordini, l’idea di rivoltarsi contro i propri padroni non passava nemmeno per l’anticamera del cervello. Se il destino di quella gente era quello di servire, lo avrebbe fatto con dedizione assoluta, anche perché la punizione, in caso di mancanze, sarebbe stata terribile. I governanti terreni erano come dei sulla terra; era logico che, una volta chiamati a servire gli dei nell’altra vita, in uno qualsiasi degli Oltretomba esistenti, l’ubbidienza sarebbe stata totale e assoluta. La conversazione appena avvenuta lo confermava: l’agitazione non era tollerata e veniva repressa senza alcuna pietà.

C’era tuttavia una caratteristica che accomunava le anime dei sacrificati nei Giorni dei Morti, designate a servire il Signore del Mictlan: nel momento in cui tornavano in possesso delle loro ossa, diventavano letteralmente delle marionette senza alcuna coscienza di sé stessi. Le ossa dei defunti erano gelosamente custodite in un settore, mentre le anime dimoravano in un altro settore del Mictlan. Possedere le ossa di qualcuno equivaleva a possedere il potere su quell’anima. Per poter servire il proprio Signore, le anime tornavano in possesso delle ossa, per divina intercessione. Ma l’energia del Mictlan, come un parassita, esigeva un prezzo per l’utilizzo di qualcosa che non apparteneva più alle anime, pur mantenendo un legame, ma al Mictlan stesso: progressivamente, la magia, al pari di una grave infezione, annullava la volontà di quelle anime, rendendole schiavi senza voce, fino al momento della sostituzione con altri servitori meno danneggiati. Non vi era la minima possibilità di disubbidienza e solo la volontà del Sovrano avrebbe implicato di nuovo la separazione tra ossa e anima – e, forse, l’anima avrebbe potuto ritornare in sé … o rimanere danneggiata per l’eternità.

Lo stesso destino sarebbe spettato a Malintzin. Piano piano, la sua mente si sarebbe azzerata. Nel frattempo, avrebbe passato le pene dell’inferno, prima di diventare una marionetta a sua volta. Anzi, nei piani di Mictlantechutli, il suo tormento sarebbe dovuto proseguire anche dopo tale lobotomia.

Eppure, questo non avvenne mai. Nessuna infezione l’aveva mai danneggiata: Mictlancihuatl non perse mai la sua coscienza. Non perse mai il controllo sulle sue ossa.

“Avevi accennato ad un incidente. Puoi descrivermi cosa è successo di preciso?”.

“Non ho altro modo per definirlo, non mi era mai capitato niente di simile prima d’ora. Avevo fatto rinchiudere Mictlancihuatl dentro una piccola caverna, come punizione per un suo atteggiamento insolente”. In realtà, la ragazza non aveva fatto nulla di male: obbediva agli ordini senza discutere, com’era giusto che fosse. Eppure, dopo aver scoperto l’identità di Quetzalcoatl e il motivo per cui era lì, non aveva fatto granché per mostrare quel che pensava della situazione. Non aveva più fede. Era ubbidiente come sempre, ma ogni sua fibra trasmetteva freddezza e disprezzo verso entità che riteneva, giustamente, più grandi di lei ma che si erano comportati, nei suoi confronti, come i più meschini tra gli umani. Eseguiva gli ordini, questo sì, ma non in modo abbastanza devoto e questo, ovviamente, fu sufficiente a Mictlantechutli per punirla. “Vi rimase per molti giorni, e non aveva fatto altro che gridare per il terrore di quell’antro tanto angusto da essere come una tomba. Poi, un giorno, quelle grida cessarono. Xolotl, su mio ordine, la liberò, convinto di trovarla impazzita. La trovò invece appoggiata alla nuda pietra, protesa ad ascoltare qualcosa con la massima attenzione. I fiori che aveva portato con sé dal mondo dei vivi avevano attecchito al suolo del Mictlan”.  Non aggiunse altro, pensieroso. La donna, da quel giorno, aveva continuato a subire in silenzio, ma non aveva più guardato il suo Signore con terrore. Anzi, era tornata ad esserci persino un rinnovato atteggiamento di riverenza nei confronti del sovrano – solo nei suoi. Tra un dovere e un supplizio, tuttavia, il re aveva notato come l’inquietudine di un’anima sveglia in un mondo di morti le crescesse dentro: da dove veniva tale inquietudine? Cosa la provocava? Non lo sapeva lei, non lo sapevano Mictlantechutli e Xolotl. A quella inquietudine, aveva trovato un’unica valvola di sfogo: sistemare le ossa accatastate che aveva trovato per caso. Il suo tesoro.

“Sembra felice del compito che le hai affidato” commentò l’amico, rammentando l’ultimo comando del sovrano alla ragazza e la sua leggerezza nel correre a svolgerlo.

“Le piace sorvegliare il mio tesoro”.

Painal non aveva remore a parlare con schiettezza al sovrano del Regno dei morti. Mictlantechutli, dal canto suo, si era sempre sentito libero di parlare con lui altrettanto liberamente. I Giochi tra le due divinità erano leggendari: da essi dipendeva la decimazione, o meno, del genere umano. Mictlantechutli lanciava la sfida: quante perdite ci sarebbero state, prima che l’epidemia diffusa con un certo tasso di mortalità venisse debellata? Painal donava indizi agli umani: spettava a loro trovarli, utilizzarli e, con l’aggiunta di un po’ di benevolenza divina, salvarsi. Da un lato, tali Giochi erano utili alle due divinità immortali per ammazzare il tempo e la noia; dall’altro lato, tali calamità erano utili all’umanità stessa che accresceva, vincendo, la durata media di vita e la sua qualità. Al pari di una pianta che non cresce sana e forte senza una bella potatura, allo stesso modo, un’epidemia ogni tanto non poteva che fare bene, su larga scala. Se non fossero divinità, il loro atteggiamento avrebbe potuto essere considerato oltremodo cinico e abominevole; ma d’altronde, come sarebbe stato possibile ottenere un bene superiore se non attraversando le difficoltà e sacrificando sé stessi? Xipe-Totec stesso non aveva dato il mais agli umani: aveva dato loro gli strumenti per procurarselo. Gli umani non usavano correttamente gli strumenti donati? Avevano ignorato per negligenza le tecniche di coltura? Conseguenza: carestia. Gli umani volevano vivere più a lungo e nel pieno della loro forma fisica? Dovevano cercare un rimedio alle malattie. Logico, no? Poi, chiaro, poteva sempre accadere che qualche divinità si svegliasse la mattina con l’idea: “oggi sono un po’ incazzato, aspetta che distruggo il mondo e i suoi abitanti”.

“Pensavo che la permanenza della fanciulla nel tuo reame dovesse essere una condizione penosa” commentò il dio medico.

“Fornisce un servizio particolarmente utile. Non avevo idea che le quaglie stessero beccando le ossa… stupidi pennuti… se ne era accorta lei”.

“Ossa danneggiate…”

“Sì, agitano le anime a cui appartengono e questo porta caos nell’ultimo livello del Mictlan, costringendomi ad intervenire per ripristinare l’ordine” prese una piccola pausa, prima di concludere “Ma da quando la sorveglianza è stata potenziata, quel problema specifico non si è più ripresentato”.

“Quindi le hai ordinato di fare la guardia”.

“Non l’ho fatto”.

“Come?”

“Pensi davvero che avrei mai dato fiducia ad una come lei al punto da farla avvicinare al mio tesoro? Era lei che andava lo stesso. E, vedendo che se la cavava bene, l’ho lasciata proseguire”.

“Una sua libera iniziativa…” commentò con l’aria di aver acquisito un importante indizio.

“Non è stata l’unica”.

“Parlamene”.

“È in grado di uscire dal Mictlan, poi torna con le ossa disperse nel mondo”.

“Le hai dato la dispensa di uscire dal Mictlan? Ma che ti dice il cervello?”

“Esce da sola”. Questo sconvolse davvero Painal. Era la cosa più assurda di tutte quelle che aveva appena finito di sentire.

“Non è possibile, per un morto, uscire dal Mictlan da solo!” esclamò inorridito.

“Quei fiori…” mostrò alcuni boccioli seminascosti nel terreno – Painal sgranò gli occhi: quindi crescevano davvero delle piante nel Mictlan? -  “le indicano la strada. Xolotl non riesce ad estirparli”.

“Ma…perdersi non è l’unico pericolo. C’è di tutto lungo la strada, senza la guida di Xolotl, un’anima umana resterebbe intrappolata”.

“Eppure, per lei è una passeggiata”

“Non fugge. Hai detto che torna con altre ossa”.

“Nessuno ha la tendenza a fuggire. Nemmeno le anime più agitate ci provano. Questa è la loro dimora, ormai”.

“La loro casa…” Painal rammentò che era così che la fanciulla aveva definito il Mictlan: casa. “Anime che non si agitano più quando le loro ossa… non sono più disperse. Quando sono al sicuro”. Una casa ha il dovere di essere un luogo sicuro, ipotizzò Painal, collegando i punti e ottenendo un cenno affermativo da Mitlantechutli.

“Ma lei che ci guadagna a comportarsi così? È a tal punto così altruista verso il suo vecchio popolo?” concluse il suo ragionamento.

Il Signore dei morti, se avesse potuto farlo, avrebbe fatto una smorfia di disgusto nel sentire l’aggettivo altruista, e rispose “Anch’io l’avevo interrogata in tal senso. Ha detto che lo faceva per lenire il suo mal di testa”.

“Dunque è questa la medicazione che mette in atto…” si diede la risposta da solo con un profondo cenno di assenso. “E scommetto che tu la lasci fare”.

La conferma non tardò ad arrivare. “Ridurre il valore di parte del mio tesoro annientando le anime a esso collegato era estremamente antieconomico, oltre che una seccatura”.

“Isolati nel Chiucnāhuāpan, avresti anche potuto ignorare le anime. Non si sarebbero mai mossi da lì, che lo volessero o no” replicò Painal. Forse non conosceva tutti i misteri di quel luogo, ma diverse frequentazioni col sovrano nella sua terra non lo rendevano nemmeno così ignorante.

“Il Mictlan non regge l’agitazione di chi vi abita. Questa è la mia terra, devo preservarla ed averne cura. E comunque, portando le ossa disperse nel Mictlan, la ragazza accresce il mio tesoro”.

“Così, quello che sembrava un favore alle anime degli umani, risulta essere, in realtà, un servizio a te e al Mictlan. Un servizio non richiesto da te esplicitamente”.

“Quindi qual è la tua conclusione, dottore?”

“La mia conclusione? Arriverà solo quando risponderai ad una mia ultima domanda, Mictlantechutli. So che potrà sembrarti sfacciata e, se non vorrai rispondere a me, non me ne risentirò”.

“Avanti” lo esortò il sovrano.

“Il sacrificio della fanciulla… non era destinato a te, vero?”

- Fine

 

 

NOTE

 

Questo capitolo ha collegato diversi elementi citati in altri capitoli: il peso di un debito sull’anima, il valore dei cempasuchil…. Spero che i passaggi risultino chiari! Nel prossimo capitolo torneranno l’odio di Xocipilli verso Quetzalcoatl e tutte le macchinazioni descritte nelle mie prime fanfiction.

Piccola curiosità che non interessa a nessuno: quando Mictlantechutli dice di aver chiuso Mictlancihuatl in uno spazio stretto come una tomba per punizione, ecco, questo si collega al figlio di Coatlicue nella tomba del cimitero. Se Dorian è impallidito al racconto del supplizio è perché si sta rendendo conto che Alma sta iniziando a ricordare cose spiacevoli che lui le aveva fatto dimenticare (infatti Alma ha una memoria solo parzialmente recuperata: dovesse recuperarla per intero, morirebbe).

Finalmente si inizia a delineare come è avvenuto il passaggio di Mictlancihuatl da semplice serva a qualcosa di… uhm… molto vicino ad una divinità. Dunque, non volevo esser troppo esplicita ma nemmeno troppo sibillina. Mi sono presa tante libertà, lo riconosco, ma mi è tanto piaciuta la definizione di come nasce una divinità nel terzo volume di Calaca che già una cosa posso dire: per quella definizione, la “mia” Mictlancihuatl non può essere una divinità. Due piccoli indizi su questo erano sparsi nei capitoli della fanfiction ben prima della pubblicazione del terzo volume, qui ne lascio un altro: un parallelismo con il Tartaro, una parte dell’Oltretomba greco, e non solo con esso, ma se lo dico, si scopre subito dove voglio andare a parare. A proposito della domanda di Painal, ho letto diversi siti, sperando di leggere dettagli sulla nascita della Signora del Mictlan. Uno mi ha colpito abbastanza. In nessuno di essi era scritto che il sacrificio della bambina era destinato a una divinità del Mictlan o al signore del Mictlan. Diceva qualcos’altro. E, se si legge tra le righe del mito, una fantasia abbastanza bacata e becera può farti facilmente immaginare cose.

Ah sì, Painal: divinità dei medici, della medicina e dei mercanti. Sta a vedere che, con quel mercanti, in realtà è il nome divino di Aidan, il commerciante di Esqueleto! Ma, a questo giro, faccio finta che sia solo il dio della medicina, e visto che a Esqueleto c’è un chirurgo… per me sarà Sigfried – almeno finchè un nuovo volume frantumerà anche questa certezza! Sì, quello che sbrodola dietro a Morrigan (e chi ha letto il quarto volume SA!) XD! Che abbia reso involontariamente proprio Dorian e Sigfried due amiconi al tempo degli Aztechi mi fa abbastanza sbellicare dalle risate. LOL.

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Capitolo 22
*** Giorno 28 ottobre “Parti extra” ***


Giorno 28 ottobre “Parti extra”

E andiamo avanti con lo sbolognamento dei prompt plasmati sulla mia versione di Mictlancihuatl, ormai obsoleta come Internet Explorer e, pertanto, destinata a fare la sua stessa fine (Alma, piccina mia, ti voglio bene lo stesso).

Questo capitolo è ambientato durante le feste dei morti nel periodo azteco, “la mia” Mictlancihuatl non è ancora sposa di Mictlantechutli, ma solo la serva, quindi siamo ancora nel Quarto Sole. È necessario aver letto il capitolo precedentemente pubblicato, che inizialmente era stato concepito come prologo ma che poi ho separato, vista la lunghezza, giacché torneranno alcuni riferimenti lì espressi.

 Eeee… non so se vi è capitato di cercare l’iconografia delle principali divinità azteche. Il corpo di Xocipilli (quello “vero”), a cui è dedicato il POV di questo capitolo, è coperto di… parti extra: piante e funghi con proprietà psicoattive. Anche questa immagine di Xocipilli di Kokoro lo è, quindi… neurone fanwriter in movimento!  Facebook 

Anche per Allen ho creato un contrappasso da pagare durante la sua vita da umano e, finalmente, la espongo. A proposito di Allen, povero, nelle mie fanfiction l’ho massacrato! Nell’ultimo volume, però, mi ha fatto una tenerezza… l’ho rivalutato. Molto. Bubino, ti avevo mal giudicato ;__;

 

Parti extra

Xocipilli aveva sperato che, ottenuta la sua vendetta, avrebbe trovato un po’ di pace. Per giorni, mesi, anni, secoli, aveva sperato che il tormento per ciò che il principe dei fiori aveva fatto alla sua dolce sposa Mayahuel mentre era in vita, ossia averla condannata a morte per mano delle tzitzimine solo perché si era lamentato della sua condotta, si sarebbe attenuato. In fondo, aveva tolto a Quetzalcoatl ciò che il Serpente Piumato aveva tolto a lui: la vita della donna che amava.  Eppure, la vendetta non era servita, e a Xocipilli non era rimasto null’altro a tirarlo su che lo stordimento provocato dall’uso delle sue stesse droghe, che si generavano sulle sue braccia come parti extra del suo corpo. Trovava un triste conforto anche nel consumo eccessivo di pulque: l’unico modo, estremamente labile, per avere ancora Mayahuel con sé dopo che la dea si era trasformata in una pianta di agave.

Sebbene il suo stato d’animo fosse ben lungi dall’essere risollevato da tali eccessi, Xocipilli poteva godere almeno della consolazione di aver trascinato con sé, nel baratro, anche l’odiato Quetzalcoatl. Tale consolazione, tuttavia, era presto venuta meno quando si era reso conto che, a differenza sua, il Serpente Piumato poteva confidare nell’aiuto e nella presenza di amici e fratelli che gli erano rimasti accanto. Sia pure con iniziale difficoltà, stava proseguendo con la sua vita, forse perché, aveva pensato il principe dei fiori, anche per il Serpente Piumato, alla fine, una donna umana non valeva quanto una dea, e non valeva la pena portare il lutto per l’eternità. In effetti, sembrava che Itztlacoliuhqui Ixquimilli gli avesse risollevato parecchio il morale. 

Se già questo ebbe l’effetto di irritare Xocipilli, presto si aggiunse una nuova ragione per alzare a dismisura i suoi livelli di frustrazione.

Raramente Xocipilli si mescolava tra i mortali. Non disdegnava di assistere, talvolta, alle feste dedicate alle divinità: giacché gli umani facevano uso dei suoi doni – le droghe che aprivano la mente dei sacerdoti, donando visioni mistiche, e che calmavano le vittime destinate al sacrificio - il minimo che il dio dei fiori potesse fare era andare a reclamare i tributi che gli versavano; ma questo era ben altra cosa rispetto a partecipare alle feste con loro, tra di loro. Anche altre divinità lo facevano, senza ovviamente palesare la propria identità, soprattutto se la festività era espressamente in loro onore.

Alle festività in onore di altri dèi, Xocipilli capitava di partecipare più che altro per approfittare di umani abbastanza “in estasi” (leggasi: drogati marci) su cui sfogarsi. Rimase dunque interdetto quando, durante le festività in onore dei morti, aveva casualmente trovato per le strade i petali di un fiore di cui aveva ceduto dominio, e che mai avrebbe pensato di vedere di nuovo… cempasuchil.

No, ragionò il dio, non potevano essere nel mondo dei vivi!

Il luogo pullulava di esseri umani, molti più del solito, eppure molti di essi erano… incorporei. Xocipilli poteva percepirli e, ne era consapevole, anche le altre divinità presenti riuscivano a farlo. D’altro canto, quelle anime degnarono a malapena di uno sguardo le divinità, prese com’erano dal restare appresso ai cari ancora in vita. Anime di defunti fuori dal Mictlan? Che pazzia era quella?

“Mictlantechutli è forse uscito di senno?” esclamò a gran voce, suscitando l’ilarità di Itzapapalotl e Huitzipolotchli, che si erano imbucati alla festa senza vergogna e lo avevano facilmente adocchiato nella bolgia di gente che percorreva le vie della città di Tenochtitlàn.

“Ma come, Xocipilli? Sono anni che i defunti festeggiano i Giorni dei morti in questo mondo e te ne accorgi solo oggi? Le tue droghe devono averti fritto il cervello!” esclamò il Colibrì del Sud accennando a qualcuno in lontananza.

Xocipilli voltò lo sguardo verso quanto indicato da Huitzilopotchli, seguendo involontariamente la via dei petali lasciati a terra… fu allora che la vide. Uno scheletro femminile, con lunghi e ondulati capelli sciolti sulle spalle, vagava per le strade, osservando i morti con l’aria di chi vigila su bambini intenti a giocare e inspirando il profumo di un cempasuchil tra le sue mani. I capelli, ora biancastri, avevano quasi tratto in inganno il dio dei fiori, ma poi comprese… quel vestito rosso… e quei fiori! Malintzin?!

“Ma dovrebbe essere sepolta nel Mictlan!” esclamò ad alta voce il dio dei fiori, paonazzo. Lo scheletro, udendo quelle parole, si voltò proprio in direzione della divinità. Diede segno di aver riconosciuto colui che gli aveva fatto dono di quei fiori a lei tanto cari: gli rivolse a malapena un’occhiata e lo salutò con la manina ossuta in segno di scherno, prima di proseguire per la sua strada, senza degnare più di uno sguardo nessuna delle divinità presenti.

“Ma… ci ha ignorato” constatò Huitzilopochtli, senza dare alcun segno di essere offeso.

“Beh, è chiaro che sta lavorando… non ha l’aria di essere qui per fare baldoria… al contrario di noi” commentò pratica Itzapapalotl.

“Ma siamo divinità… le siamo superiori!” protestò Xocipilli, indignato per la mancanza di rispetto che lo scheletro aveva riservato loro.

“Questo è vero. Ma appartiene al Mictlan adesso. Il suo unico dio è Mictlantechutli. Noi siamo passati in secondo piano, operando in tutt’altra giurisdizione rispetto alla sua” replicò calma Itzapapalotl.

“Tutti i morti diventano monoteisti, dopotutto. Le anime dell’Omeyocan, ad esempio stravedono solo per me. Le donne, soprattutto!” si autoincensò Huitzilopochtli.

“Sono qui anche le anime dell’Omeyocan?” chiese sempre più confuso il dio dei fiori.

“Veramente no” rispose l’altro con leggerezza.

“E questo mi riporta alla domanda iniziale. Mictlantechutli è forse uscito di senno?”

“Ah, direi proprio di no! Ma qualcosa mi dice che c’entra quella fanciulla… ahi!” la gomitata nella costola di Itzapapalotl troncò il desiderio del colibrì di chiacchierare. “Adesso dobbiamo lasciarti Xocipilli: abbiamo perso Tlaloc tra la folla!” concluse vivacemente Huitzilopoctli.

“Probabilmente è già al tempio, tra poco ci saranno i sacrifici! Ci si vede in giro, Xocipilli!” si congedò Itzapapalot e, senza attendere replica, le due divinità tolsero il disturbo.

Sempre quella dannata ragazza di mezzo! Infastidito oltre ogni dire, il dio dei fiori dimenticò totalmente i suoi programmi di sesso, alcool e droga. Ne aveva appena deciso un altro.

 

Lo scheletro della donna che, un tempo, era stata Malintzin non aveva motivo di nascondersi, ma non si lasciava neppure avvicinare tanto facilmente. Tuttavia, Xocipilli la seguì con ostinazione. Quando credette di averla finalmente raggiunta, il dio si accorse di averla persa di vista. Si trovava in un quartiere isolato, con il terreno sterrato, umile. Non c’era nessuno: erano tutti a godersi il culmine della festa, i sacrifici umani. Proprio quando stava per imprecare contro l’esistenza della ragazza, Xocipilli si sentì lanciare addosso qualcosa di bioluminescente, che lo colpì al bicipite, graffiandolo lievemente. Ne giunsero altri due a distanza di tempo ravvicinato, che colpirono i suoi avambracci. Infastidito, Xocipilli guardò verso la direzione di provenienza. In penombra, scorse lo scheletro.

“Ti perderai i sacrifici, restando qui. Pensavo ti piacesse quel tipo di spettacolo” esordì la fanciulla, mentre staccava un luminoso petalo dal cempasuchil tra le sue mani.

“Quel giorno non ero venuto a vedere un sacrificio. Ero venuto a veder morire te” il veleno nelle sue parole era così pesante che potevano quasi tagliare l’aria con un coltello.

“Lo immaginavo”. Gli lanciò addosso il petalo ma stavolta Xocipilli lo prese in mano al volo. Con sua sorpresa, il petalo non era morbido, delicato: era rigido, sottile, coi bordi taglienti. Si ferì le dita, aumentando la sua irritazione.

La ragazza lanciò altri petali, uno dopo l’altro.

“Tu mi hai tolto la vita. Non sarei dovuta morire quel giorno”. La maggior parte dei petali venne deviata ma alcuni petali andarono a segno, finendo contro le braccia di Xocipilli. Per toglierseli di dosso, la divinità dovette graffiarsi di nuovo. Niente di grave, visto che i graffi erano superficiali. Tutto qui quello che l’umana sapeva fare con i suoi cempasuchil? Che patetica creatura!

“Non ero una vittima sacrificale predestinata! Sono finita su quell’altare per tuo capriccio!”

“E quindi cosa dovrei fare? Riparare al danno? Sentiamo” domandò in tono canzonatorio. Trovava soddisfacente l’idea di sentirsi chiedere qualcosa… e negargliela. Oh sì, si sarebbe strappato via la pelle come Xipe-Totec, piuttosto che accontentare una richiesta di quella donna!

“Il tuo corpo produce sostanze stupefacenti. Voglio qualcosa che lenisca il dolore fisico”.

“Il tuo Signore Mictlantechutli ti sevizia? Ne sono lieto”.

“Che domanda abbietta, o somma divinità dei fiori” lo biasimò la donna con una smorfia. O meglio, con quello che poteva somigliare ad una smorfia, data la mancanza di muscoli e pelle a darle delle espressioni nitide.

“Comunque, non serve a me, ma agli umani. Sembra che abbiano bisogno di un aiutino extra per lenire i dolori delle infermità per le quali non vi è altro esito che la morte”.

“La mia risposta è no” con questa risposta, Xocipilli credeva di aver chiuso l’argomento.

“Non vuoi aiutare gli umani a soffrire di meno nel momento del trapasso?”.

“Affatto. Anzi, già mi secca che usino le droghe per stordire le vittime prima del sacrificio. Avrei voluto vedere la tua espressione atterrita davanti all’altare, quel giorno” concluse con un sorriso malvagio. Sapeva che, per la maggior parte dei guerrieri, la morte sull’altare era un grande onore, premiato con il soggiorno nell’Omeyocan, il Regno del dio della guerra Huitzilopoctli. Tuttavia, poteva capitare che la paura dell’ignoto o del dolore prendesse il sopravvento sulla fede, soprattutto se i prigionieri di guerra andavano a servire divinità di popolazioni nemiche.

“Non mi importa” continuò con leggerezza Mictlancihuatl.

“Come, non ti importa?” chiese confuso. Non le importava della sua gioia nel saperla morta o non le importava di avere le sue droghe?

“Intendo dire che non mi interessa ciò che vuoi tu. Mentre fantasticavi su come avresti potuto rendere la mia morte più dolorosa (sei davvero un essere deplorevole, lasciatelo dire), mi hai dato ciò che ti ho chiesto”.

“…già dato?” domandò l’altro, ancora più confuso di prima.

Per tutta risposta, Mictlancihuatl indicò verso i piedi del dio. Xocipilli guardò, e fu allora che si rese conto: alcuni frammenti delle piantine e dei funghi che crescevano sui suoi avambracci erano caduti sul terreno, tagliati dai petali di cempasuchil, anch’essi per terra… e buona parte di queste materie organiche divine erano bagnate dal poco sangue che Xocipilli aveva versato quando aveva afferrato con le dita uno dei petali, inconsapevole del bordo affilato. Un dono involontario pronto ad essere raccolto dalla terra degli umani: un nuovo tipo di sostanza stupefacente nata dall’unione tra le sostanze psicotrope di Xocipilli e i fiori dei morti. Piante con proprietà oppioidi, in grado di lenire i dolori più lancinanti, ma pronti a spedirti nel Mictlan per direttissima se eccedevi, anche solo di poco, con la dose strettamente necessaria.

“Ti ringrazio per collaborazione” concluse la donna con sottile ironia.

Quetzalcoatl stava andando avanti con la sua vita; Malintzin andava e veniva dal Mictlan come voleva, in possesso di un potere sconosciuto al dio dei fiori; e adesso, un suo dominio gli era stato estorto con l’inganno. La conseguenza era piuttosto prevedibile: Xocipilli perse completamente le staffe.

Con un grido terribile, si avventò su Mictlancihuatl, intenzionata a frantumare ogni singolo osso di cui era composto il suo scheletro; la ragazza, dal canto suo, sembrò congelarsi sul posto per la sorpresa o, forse, per lo spavento: forse, far infuriare una divinità non era stata la cosa più saggia da fare…

Al contrario delle aspettative, il colpo non venne mai: Xolotl, comparso all’ultimo momento come dal nulla, stava trattenendo la mano di Xocipilli. A debita distanza, nuove anime stavano osservando: erano le vittime appena sacrificate.

“Se intendi distruggere una proprietà del mio Signore Mictlantechutli, dovrai risponderne a lui: è questo che desideri, Xocipilli?”

Lo sguardo del dio dei fiori lasciò intendere che era pronto a prendere sul serio quella opzione.

“Mictlancihuatl è qui per un unico compito assegnatole dal suo padrone: se ha fatto dell’altro, non solo senza il consenso del mio Signore, ma persino arrecando disturbo a un’altra divinità, allora sarà punita severamente” concluse Xolotl.

“Allora che sia punita qui, adesso, davanti ai miei occhi!” pretese Xocipilli, ma Xolotl scosse la testa.

“Deve ancora portare a termine il suo compito, e la mano che può elargire qualsiasi punizione è solo quella del mio Signore. Addio, Xocipilli”.

Quest’ultimo non poté far altro che rinunciare ai suoi propositi omicidi: pertanto, si ritirò, non senza prima aver scoccato uno sguardo di puro odio verso la ragazza.

“È quasi l’alba” le comunicò Xolotl.

“Xolotl, dici che il nostro Signore si potrebbe arrabbiare per quello che ho fatto?” chiese Mictlancihuatl mentre accarezzava, per un istante, l’idea di darsi alla fuga, timorosa per l’eventuale collera di Mictlantechutli. Ma durò solo per un attimo: aveva assunto volontariamente un dovere, vigilare sul viaggio delle anime da e verso il Mictlan, e lo avrebbe portato a termine.

“Hai recato offesa ad una divinità. Questa è una cosa che si paga caro, come avresti dovuto già ben imparare. E per cosa? Per donare sollievo agli umani?”

“Ti sembra che sia nella posizione di fare doni? Faccio esclusivamente ciò che serve al Mictlan, né più, né meno”.

Senza aggiungere altro – aveva ben compreso che Xolotl non era intervenuto per aiutarla, dopotutto - concentrò il suo potere sul fiore che teneva ancora tra le mani. Non importava quanti petali avesse strappato, il fiore restava comunque rigoglioso e luminoso. Presto, anche i petali che aveva lasciato a ciascuna anima uscita dal Mictlan avrebbero brillato allo stesso modo, a segnalare che era l’ora di tornare nel Mictlan. Solo quando anche l’ultima anima fosse ripartita verso la sua destinazione finale, Mictlacihuatl avrebbe potuto rientrare nel Mictlan. A quel punto, il suo compito si sarebbe concluso, e allora avrebbe reso conto delle sue azioni al suo Signore.

***

 

“Cos’hai combinato, stavolta?” Mictlantechutli si limitò a sospirare, in attesa di ricevere una spiegazione dalla ragazza. Xolotl non riusciva a credere all’atteggiamento del suo Signore. Un tempo, Mictlantechutli avrebbe usato un tono irato e non avrebbe ascoltato alcuna patetica scusa o supplica di Malintzin. Un servitore che osava fare qualcosa di diverso da quanto espressamente ordinato dal suo Signore avrebbe, di norma, passato l’eternità a pentirsene. Adesso, sembrava un maestro pronto ad ascoltare l’ennesima, innocua marachella fatta dalla più discola delle sue allieve, senza una vera intenzione di punirla.

“Più o meno quello che ho fatto da quando ho iniziato a recuperare le ossa disperse direttamente in superficie: volevo contribuire a rendere più sereno il Mictlan”. A Mictlantechutli non sfuggì il movimento della mano di Mictlancihuatl: una lieve carezza alla tempia. Le era dunque tornato il mal di testa, ma sembrava aver cercato, e trovato, sollievo da sola.

“Non era necessario”.

“Signore, continuate a recarvi nel Chiucnāhuāpan, dove dimorano le anime, con la vostra arma. Era necessario” replicò con tono vagamente addolcito.

“Sai chi erano le anime che ho appena distrutto?” la interrogò il suo sovrano.

“Erano malati terminali, mio Signore. Il dolore provato alla loro dipartita è stato talmente prolungato, talmente intenso, da non essere riusciti a liberarsene del tutto, quando sono giunti qui. Quel rimasuglio li ha agitati troppo”.

“Non accadrà più”.

“No, non accadrà più”. Gli umani avrebbero presto appreso come usare a loro vantaggio le sostanze del nuovo fiore.

Mictlantechutli non aveva mai risposto alla domanda che gli fece Painal tempo addietro. Conosceva la risposta, ovviamente, ma tanti indizi non facevano una prova.

Xolotl, che aveva assistito a quello scambio, decise di intervenire. “Ha recato una grave offesa a Xochipilli, mio Signore. Questo affronto deve essere punito molto severamente. Così è l’usanza”. Per quanto bene possa aver fatto alla causa del Mictlan e alla preservazione del tesoro del suo sovrano, non si poteva rischiare un incidente diplomatico tra divinità. O almeno, così Xolotl pensava.

La risposta giunse totalmente inaspettata alle orecchie tanto di Xolotl quanto di Mictlancihuatl, che era già rassegnata ad essere punita come ai vecchi tempi. “La ragazza si è presa il suo riscatto”.

“Signore, intendete quindi lasciar correre?” chiese Xolotl, sbigottito.

Mictlantechutli non aveva dimenticato di aver accolto nel suo Regno la ragazza perché convinto da altri che fosse una donna superba. Lui stesso era stato ingannato, e non l’avrebbe perdonato.

“La ragazza non avrebbe dovuto essere sacrificata. Ha scelto un risarcimento e se l’è preso”.

L’ipotesi inespressa di Painal era divenuta, col tempo, anche la sua. Per confermarla, o eventualmente confutarla, aveva ordinato alla fanciulla di scortare le anime fuori dal Mictlan, e di riportarle indietro, per ridurre gli effetti della malinconia delle anime separate dalle persone che avevano amato in vita, effetto collaterale del dono di Quetzalcoatl all’umanità. A seguito del successo di quella rischiosa operazione, Mictlantechutli aveva concluso che la ragazza avrebbe avuto tutto il diritto di prendersi ciò che le spettava, anche da una divinità come Xocipilli. Ovviamente, in qualunque altro caso, dell’ingiustizia subita da un’umana non gli sarebbe importato di meno.

Mictlancihuatl sgranò gli occhi e guardò il suo Signore come se lo vedesse per la prima volta. Quegli occhi sembravano chiedergli di spiegare ancora.

“Se contrai un debito, o non riscuoti un credito, tale mancanza grava sull’anima immortale. Ma non mi aspetto che tu capisca: gli umani sono estremamente incoscienti quando si tratta di scaricare il peso di un proprio debito su qualcun altro”.

Xolotl si rasserenò un poco. “Dunque lo avete fatto per preservare Xocipilli” ignorava il motivo per cui il debito verso un’umana avrebbe dovuto influenzare la sorte di una divinità, ma accettava la spiegazione del suo Signore.

D’altro canto, gli occhi sgranati di Mictlancihuatl non accennavano a cambiare; anzi, come folgorata da una rivelazione, si protese lievemente verso Mictlantechutli. “Vi prego, insegnatemi ancora”.

Questa volta, fu il turno di Mictlantechutli di sgranare gli occhi.

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Qualche giorno prima di Natale Era del Quinto Sole, anno del calendario occidentale 2011.

“Quante volte ancora dovrò perdere me stesso?” aveva chiesto Allen alla sua fidanzata. Nemmeno abbracciarla, ed essere a sua volta stretto tra le braccia di Ebenezer, riusciva a reprimere l’angoscia che stava provando mentre aggiungeva “E in quali altri modi orribili?”. Allen aveva sperimentato differenti modi di morire, in cinquecento anni. Talvolta aveva perso la vita in modo banale, altre volte in modo decisamente creativo. Sfortunatamente, Allen se le ricordava una per una, assai più nitidamente dei momenti di vita vissuta.

Memento mori, ricordati che devi morire.

Sfortunatamente per Allen, alla consapevolezza di essere mortale, se ne era aggiunta un’altra, ben più angosciante. Tutte le morti che aveva passato, per quanto differenti, avevano avuto un denominatore comune: erano state tutte estremamente lente, maledettamente dolorose. Gli esseri umani sono stati, nei secoli, assai creativi nell’ideare metodi e strumenti di tortura, o di esecuzione, per prolungare l’agonia del povero malcapitato costretto a subirle. Talvolta, era la sorte stessa a mettere Allen nel posto sbagliato al momento sbagliato, e in quel caso, la dipartita dolorosa sarebbe stato solo il frutto di sfortuna, la quale sarebbe diventata sua crudele carnefice. Anche nascere nel posto sbagliato del mondo, come gli era accaduto diverse volte in quei cinquecento anni, poteva essere causa indiretta di una morte terribile per malattie crudeli.

Se non fosse stato per il patto scellerato tra Quetzalcoatl e Mictlancihuatl, Xocipilli, assieme all’intero pantheon azteco, avrebbe potuto mantenere il suo status, la sua potenza e la sua immortalità. Tale accanimento nel vivere il dolore fisico al momento della morte aggiungeva una chiara intenzione di persecuzione, da chi o da cosa poteva solo immaginare.

In una vita passata, addirittura, era stato alla mercè di una donna di fede che, pur avendo ricevuto molte donazioni per i suoi ospedali, lasciava languire i malati, tra cui vi era Allen stesso, poiché convinta che la sofferenza avvicinasse a Dio. Per la cronaca, quando giunse l’ora della pia donna, essa aveva ricevuto le migliori cure dagli ottimi medici di un prestigioso ospedale. Fu in quell’occasione che il sospetto si trasformò in certezza.

Xocipilli aveva negato alla Signora dei Morti qualcosa che avrebbe potuto rendere il trapasso dei mortali da un mondo all’altro meno doloroso. Aveva desiderato che lei stessa, quando era stata una fanciulla mortale davanti all’altare del sacrificio, non venisse esentata dalla sofferenza che la lama, affondata nel suo petto, le aveva provocato. Ora, tutte le sue incarnazioni umane terminavano la propria esistenza desiderando e invocando la morte, la fine della sofferenza come se fosse il più grande dei piaceri. Invece, come la crudele parodia di un videogioco, Xocipilli ritornava a nuova vita con il solito monito nella mente: memento mori

Solitamente, Mictlantechutli non si interessava degli ultimi istanti di vita degli umani: quella non era faccenda che lo riguardasse, in quanto legata alla fine della vita, non all’inizio della morte. Tuttavia la sua sposa era stata pregata, nei secoli, affinché concedesse ai suoi fedeli una dolce morte, rapida, senza sofferenza, senza umiliazione. Il Signore del Regno dei morti si era assicurato di far rimpiangere a Xocipilli l’aver tormentato sua moglie persino nella sua nuova vita nella morte, negandogli qualunque tipo di benedizione che il Mictlan potesse dare ad un essere umano.

Chissà se pentirsi delle sue azioni passate, rinunciare al rancore verso Mictlancihuatl e perdonare Quetzalcoatl avrebbe potuto salvare Allen, in qualche modo, da quel destino…

FINE

 

 

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