La Storia Dimenticata || Lo Hobbit

di Josy_98
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Atto Primo: Un Viaggio Inaspettato ***
Capitolo 2: *** 1. Una riunione inaspettata ***
Capitolo 3: *** 2. Abbacchio arrosto ***
Capitolo 4: *** 3. Un breve riposo ***
Capitolo 5: *** 4. In salita e in discesa ***
Capitolo 6: *** 5. Dalla padella nella brace ***
Capitolo 7: *** Atto Secondo: La Desolazione Di Smaug ***
Capitolo 8: *** 6. Strani alloggi ***
Capitolo 9: *** 7. Mosche e ragni ***
Capitolo 10: *** 8. La botte piena, la guardia ubriaca ***
Capitolo 11: *** 9. Un'accoglienza calorosa ***
Capitolo 12: *** 10. Acqua e fuoco ***
Capitolo 13: *** 11. Le nuvole si addensano... ***
Capitolo 14: *** 12. Un ladro nella notte ***
Capitolo 15: *** 13. E scoppia il temporale ***
Capitolo 16: *** 14. Il viaggio di ritorno ***
Capitolo 17: *** 15. Epilogo. L'ultima tappa ***



Capitolo 1
*** Atto Primo: Un Viaggio Inaspettato ***




 
«Perchè lo fai?»
La ragazza si voltò verso di lui.
«Non è ovvio?» chiese. Al silenzio del nano sospirò e gli diede una spiegazione, anche se piccola. «Conoscevo tuo padre, e conoscevo tuo nonno. Erano entrambi miei amici. Ho fatto loro una promessa e intendo mantenerla.» disse.
«C’è qualcos’altro.» ribattè lui. «Qualcosa che non mi hai detto.»
«Sono tante le cose che non ti ho detto.» rispose.


 


 
«Sei davvero lei!» esclamò alla fine il Grande Goblin continuando a spostare lo sguardo da uno all’altra senza sosta. «Girano tante storie su di te. Su di voi.» disse disgustato e, allo stesso tempo, con un sorrisetto. «Nessuno sa quale sia la verità. Si pensava fosse morta con te. Non credevo ti avrei mai vista, e certamente non con lui.» continuò riferito a Thorin e confondendo il nano, che non capiva cosa mai potesse legarli.


 



«Tu…» ringhiò l’Orco Pallido indicandola con la mazza, gli occhi maligni che sprizzavano scintille di puro odio. «Io ti ho uccisa.»
Lei alzò le spalle indifferente. «Che vuoi farci. Anche tu sei duro a morire.»
Lui ringhiò di nuovo. «Uccideteli.»

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Capitolo 2
*** 1. Una riunione inaspettata ***


A mio fratello, il mio primo lettore e critico personale, che ha sopportato i miei sproloqui e le mie paranoie e mi ha spronato a far sentire la mia voce in questo nuovo mondo.
Ti voglio bene, anche se non te lo dico spesso.







 




1. Una riunione inaspettata
 
Un rumore di rami spezzati fece voltare la ragazza di scatto, l’arco in mano e la freccia in procinto di essere scoccata. Sotto i caldi raggi di un sole primaverile che si infilavano tra le foglie, un uomo con indosso una veste grigia da viandante completata da un cappello a punta dello stesso colore e una lunga barba avanzava verso di lei impugnando un bastone, facendosi largo fra i tronchi e le radici degli alberi di quella fitta, antica e oscura foresta in cui aveva deciso di cacciare per il villaggio di cui era ospite in quel periodo, fino a quando non se ne fosse andata per aiutare qualcun altro.
Lo riconobbe all’istante.
«Ciao Lumbar.» disse con un sorriso, fermandosi a un passo da lei, la freccia puntata alla sua fronte.
«Mithrandir. Ti aspettavo.» la ragazza abbassò l'arco, rilassando i muscoli tesi fino a quel momento. «Non mi sono ancora abituata al nome.»
«Tu lo hai scelto, così come hai scelto le sue conseguenze.» le ricordò. «Hai fatto di tutto per torturarti, anche se non capisco perchè. Mi hai visto arrivare suppongo.» si osservò intorno mentre lei annuiva. «Allora saprai anche perché sono qui.»
La ragazza distolse lo sguardo, puntandolo sugli alberi millenari che li circondavano e che sicuramente stavano ascoltando. Certo che lo sapeva, ma questo non lo rendeva più facile.
Gandalf sospirò.
«Sapevi che questo giorno sarebbe arrivato.» mormorò.
Lei tornò a guardarlo, facendogli notare la lucidità dei suoi occhi e il profondo tormento che sentiva. Stava trattenendo le lacrime, un'azione che lo stregone riusciva a comprendere.
Le sorrise dolcemente, ricordandole ciò che aveva fatto in passato, per spronarla a non cedere al dolore. «So quanto ti fa soffrire, ma so anche che non ti tirerai indietro, nonostante quando li vedrai rischierai di crollare più di ora. Sapevi tanti anni fa, quando hai preso quella decisione, cosa sarebbe accaduto, ma l’hai fatto comunque.»
«Non avevo scelta. Lui non avrebbe mai fatto ciò che doveva, altrimenti. Ho solo fatto ciò che era giusto.»
Lumbar tentò di giustificarsi, ma con lui non era necessario. Conosceva i motivi che l’avevano spinta a fare ciò che aveva fatto e non l’aveva mai giudicata per le decisioni che aveva preso. Era solo addolorato che la sua amica avesse perso così tanto.
«Ti sei sacrificata per lui e per un intero popolo. E non parlo solo della tua vita, hai sacrificato la tua felicità, per il loro futuro. E loro neanche lo ricordano. Comprendo perchè tu abbia scelto di cambiare nome, mia cara.» lei lo fissò con un dolore infinito sul volto che rifletteva tutti gli anni che in realtà portava sulle spalle, la sua lunga vita. Il tono dello stregone diventò più dolce. «Ce l'hai ancora?»
«Certo che ce l'ho. Sai che non la perderei mai.» il suo tono fu fermo, quasi offeso, mentre si portava la mano al collo, lì dove nascondeva due oggetti tanto importanti quanto diversi tra loro, entrambi simbolo di amore e fiducia in due modi simili ma allo stesso tempo differenti. Fece un respiro profondo prima di continuare, arresa. «Dove e quando?»
«Il venticinque aprile, tra due settimane esatte, nella Contea degli Hobbit. Chiedi di…»
«Bilbo Baggins, sì. Questo lo so.»
L’uomo sorrise, lanciando un’altra occhiata agli alberi attorno a loro, l’ennesima da quando si era avvicinato. «Non smetti mai di sorprendermi. Ora devo andare, ho ancora delle commissioni da fare prima della riunione. Sulla porta di casa Baggins ci sarà una runa, per facilitarvi la ricerca. Mi dispiace aver interrotto la tua caccia.»
«È stata una visione particolarmente chiara. E non preoccuparti per la caccia.» aggiunse noncurante, riprendendo l’arco. «Recupero in fretta.»
«Lo so.»
Lo stregone le rivolse un ultimo sorriso poi se ne andò mentre la ragazza si mise in ascolto dei rumori della foresta, pronta a riprendere da dove si era interrotta. Sapeva che gli alberi non si sarebbero offesi per la sua partenza improvvisa. Nessuno meglio di Barbalbero, il più antico e rispettato di loro, avrebbe potuto capire cosa stava passando ed era sicura che l’avrebbe incoraggiata a mantenere la parola data. Voleva uccidere ancora qualche animale in modo che tutti avessero un po’ di carne per almeno quella settimana, dato che nessuno si inoltrava nella Foresta di Fangorn a parte lei, troppo spaventati dalle voci che giravano su di essa. Dopotutto, gli Ent erano un popolo molto particolare e non era da tutti andarci d’accordo. Persino Gandalf evitava quella foresta, se poteva. Lumbar aveva notato la lieve tensione che lo aveva pervaso per tutto il tempo, il suo continuo scrutare gli alberi come se temesse un loro arrivo. Agli Ent, però, non piacevano molto le persone, quindi non si sarebbero mai fatti avanti in presenza di estranei. Tranne in pochi e particolari casi.
Inoltre aveva bisogno di liberare la mente: da settimane i sogni l’avvertivano sull’arrivo di quel giorno; i ricordi erano tornati a tormentarla, pieni di fiamme, perdita e persone che non vedeva da troppo tempo. Per non parlare di ciò che sentiva avvicinarsi.
Sarebbe stata un’impresa particolarmente difficile, per lei.


 
****


Era una sera particolarmente serena quella del venticinque aprile quando, finalmente, Lumbar arrivò nella Contea, il cappuccio del mantello sollevato a celare totalmente il suo aspetto mosso leggermente dalla leggera brezza. Era un posto davvero tranquillo, uno dei più pacifici in cui Lumbar fosse mai stata, e aveva superato diversi campi coltivati che, sapeva, erano alla base della loro economia.
Seguì il sentiero fino a quando non passò davanti a una grossa collina, che poi riconobbe come la casa che stava cercando. Una sfavillante runa azzurra sulla parte bassa della porta perfettamente tonda e dipinta di verde glielo confermò.
Lumbar scese da Erenie, la sua magnifica giumenta immortale figlia di Nahar (il capostipite dei Mearas), e le sussurrò dei ringraziamenti prima di lasciarla libera di andare dove preferiva; sarebbe tornata al suo richiamo per proseguire il viaggio. Poi superò il cancelletto di legno del giardino antistante l’ingresso, perfettamente curato, e salì le scale, fermandosi davanti alla porta quando sentì delle voci. Si mise in ascolto.
«Lontano, verso Est, oltre montagne e fiumi, al di là di terreni boschivi e terre desolate giace un’unica vetta solitaria.» raccontava Gandalf.
Lumbar era in ritardo, lo sapeva; aveva cavalcato senza mai fermarsi per arrivare il giorno stabilito dallo stregone, e all’inizio non era nemmeno sicura che ci sarebbe riuscita: era partita subito dopo essere tornata al villaggio, ma la distanza da percorrere era notevole. Il piccolo villaggio della terra di Rohan in cui si era rifugiata nell’ultimo paio di mesi, vicino alla foresta di Fangorn, era molto distante dalla Contea ed era l’ultimo di una lunga serie che la ragazza aveva visitato; non si fermava mai più di qualche mese, aiutava gli abitanti, che la accoglievano come se fosse sempre stata lì e poi ripartiva. In quel villaggio era arrivata da appena sei settimane quando Gandalf l’aveva trovata. Nonostante il ritardo, rimase comunque in ascolto, cercando dentro di sè la forza per bussare.
«La Montagna Solitaria.» disse una voce giovane che non conosceva, probabilmente quella del signor Baggins dato che tutti i nani conoscevano la storia, anche chi non era mai stato ad Erebor.
«Sì, Oin ha letto i presagi… e i presagi dicono che è il momento!»
La ragazza sentì un lampo di malinconia percorrerla; quella voce apparteneva a qualcuno che non vedeva da troppo tempo, così come le altre che avrebbe sentito da quel momento in avanti. Era Gloin, un nano panciuto con lunghi e voluminosi capelli rossi, una barba folta dello stesso colore e un carattere deciso. Era uno dei nani più forti che conosceva; inoltre Lumbar sapeva avesse una moglie e un figlio, rimasti sui Monti Azzurri.
«I corvi sono stati visti rivolare verso la Montagna come era stato predetto.» infatti eccone un altro, Oin appunto.
Era il fratello maggiore di Gloin, aveva lunghi capelli grigi e lo stesso valeva per la barba perchè era uno dei nani più vecchi della Compagnia che sarebbe partita per quel viaggio; per questo motivo usava un apparecchio di metallo per sentire, dato che era un po’ sordo se Lumbar non ricordava male, inoltre era anche considerato il medico del gruppo.
«Quando gli uccelli del passato torneranno a Erebor, il regno della Bestia avrà fine.» continuò.
«Quale bestia?» chiese lo hobbit.
«Oh, sarebbe il riferimento a Smaug il Terribile, la maggiorissima e più grande calamità della nostra Era.» disse Bofur, un nano con lunghi capelli scuri avvolti in due trecce e una corta barba. Aveva un carattere piuttosto allegro – Lumbar lo ricordava vagamente dalle fermate sui Monti Azzurri durante i suoi viaggi – ma era anche estremamente leale. «Denti come rasoi, artigli come ganci da macellaio… appassionato di metalli preziosi…»
«Sì, so cos’è un drago.» lo interruppe il signor Baggins.
«Io non ho paura, sono capace. Gli darò un assaggio del ferro nanico dritto nelle chiappette.» questa voce giovane doveva essere di Ori, uno dei piccoli che non aveva ancora propriamente conosciuto; non come i più grandi. Sapeva, però, che era molto timido e impacciato, oltre ad essere fissato a usare una fionda come arma. E come diversi suoi compagni aveva barba e capelli rossi.
«Il compito sarebbe già arduo con un esercito alle spalle.» fece notare Balin, il più anziano e saggio tra i nani. Molto pacato nei modi di fare, aveva un istinto davvero notevole, ed era in grado di intuire molto di una persona o una situazione solamente osservando. «Ma siamo solamente tredici. E non i tredici migliori. Nè i più svegli.»
Alcuni nani si lamentarono a quelle parole, Lumbar poteva sentire i loro borbottii infastiditi attraverso il legno della porta e tentò di nascondere un sorriso, nonostante non potessero vederla. Balin li aveva appena colpiti tutti nell’orgoglio.
«Saremo pure pochi di numero, ma siamo combattenti. Tutti quanti. Fino all’ultimo nano!»
«E dimenticate che abbiamo uno stregone nella compagnia. Gandalf avrà ucciso centinaia di draghi ai suoi tempi.» i giovani Fili e Kili, gli eredi della stirpe di Durin, entrambi smaniosi di partire e combattere. Entrambi desiderosi e impazienti di dimostrare il loro valore, assomigliavano molto allo zio nel carattere, e Kili anche nell’aspetto. A differenza del fratello, invece, Fili aveva i capelli e la barba biondi, mentre gli occhi erano gli stessi dello zio per entrambi.
Lumbar ricordava la loro nascita con un pizzico di tristezza: già a quel tempo i nani non sapevano più chi lei fosse e la chiamavano come molti altri: Palarran, colei che vaga lontano. Era uno dei tanti soprannomi, soprattutto elfici, con cui veniva identificata.
«Beh, no, io non direi che io…» disse lo stregone a disagio.
«Quanti allora?» chiese qualcuno.
«Eh?»
«Quanti draghi hai ucciso?» chiese nuovamente un nano robusto con barba e capelli bianchi e un po’ brontolone, mentre calava il silenzio e lo stregone iniziava a tossire, a disagio. «Avanti, dicci un numero.»
I nani cominciarono a discutere e litigare, sicuramente sotto lo sguardo confuso dello hobbit, finchè una voce non li riportò al silenzio.
«Shazara! (Silenzio!)»
Una voce imperiosa che lei conosceva molto bene. Thorin, il capo di quella Compagnia, si era spazientito e li aveva messi a tacere. Autoritario e fiero come poche altre persone, quel nano aveva l’aura del comandante, senza contare l’orgoglio smisurato e lo sguardo chiaro e penetrante. Aveva la capacità di farsi seguire senza nessuno sforzo, una qualità da leader. Era un vero re, lei lo sapeva meglio di chiunque altro.
«Se noi abbiamo interpretato quei segnali non pensate che anche altri l’abbiano fatto?» chiese a tutti gli altri. «Le voci hanno cominciato a diffondersi. Il drago Smaug non viene avvistato da 60 anni. Occhi guardano a Est, verso la Montagna, valutando, ponderando, soppesando i rischi. Forse la grande ricchezza del nostro popolo ora è senza protezione. Ce ne stiamo comodi mentre altri prendono ciò che è nostro di diritto, o afferriamo l’occasione per riprenderci Erebor? Du bekâr! Du bekâr! (Alle armi! Alle armi!)» gli altri nani esultarono.
Persino Lumbar sorrise leggermente, ancora nascosta dalla porta; quel nano aveva le stesse doti oratorie di tanti anni prima.
«Dimenticate che la Porta Principale è sigillata.» disse Balin, smorzando il loro entusiasmo. «Non si può entrare nella Montagna.» il suo tono era amaro, abbattuto anche, ma non sapeva che la realtà non fosse esattamente così.
A differenza di lei. E di Gandalf.
«Questo, mio caro Balin, non è del tutto vero.» disse, infatti, lo stregone.
La ragazza decise di bussare in quel momento, consapevole che il Grigio stesse aspettando solo lei. Al suono delle sue nocche sul legno il silenzio cadde all’interno. Probabilmente nessuno, tranne Gandalf, si aspettava un altro arrivo.
Stava per bussare di nuovo quando sentì la voce dello stregone. «Suvvia, mastro Baggins, non è da te far aspettare gli amici sullo zerbino.»
Dopo un paio di secondi la porta venne aperta e la ragazza si trovò davanti il padrone di casa: Bilbo Baggins, un comune hobbit di circa cinquant’anni con i capelli ricci e gli occhi scuri, che la osservava in silenzio dal basso della sua statura, con uno sguardo sorpreso. Probabilmente si aspettava un altro nano. Il mezzuomo si fece da parte per farla entrare e la ragazza potè notare come i nani stessero osservando curiosi la scena dalla stanza adiacente.
«Chiedo scusa per il ritardo, ho percorso molte leghe.» disse lei a nessuno in particolare.
«Fi-figuratevi.» balbettò il padrone di casa e, prima che lei potesse presentarsi, Gandalf si fece avanti.
«Mia cara, finalmente! Cominciavo a pensare non saresti arrivata.» lo stregone la osservava sorridendo dalla soglia della sala da pranzo, dietro di lui i nani visibilmente perplessi. «Non restare lì sull’ingresso, vieni avanti.»
La ragazza lo raggiunse seguita dallo hobbit. «Da Rohan ci vuole un po’ ad arrivare, Mithrandir, e tu non mi hai dato molto preavviso.» gli fece notare. «Chiedo scusa se non mi tolgo il mantello, ma preferisco tenerlo.» disse agli altri.
Quando era entrata, infatti, non aveva rimosso nemmeno il cappuccio.
«Non preoccuparti, vieni a sederti. Stavo giusto per parlare di te.» le disse Gandalf facendole posto al tavolo tra lui e Thorin. Lei si avvicinò, ma non si accomodò, e lo stregone si rivolse ai presenti che erano rimasti in silenzio per tutto il tempo. «Signori, ho il piacere di presentarvi l’ultimo membro della nostra compagnia. Lei è Lumbar e ci sarà molto utile in questo viaggio.»
«È una ragazza!»
Gandalf si volse verso il nano che aveva appena commentato e alzò un sopracciglio. «E quindi, Kili?»
«Non può accompagnarci. Non è un viaggio adatto alle ragazze.» protestò, appoggiato dal fratello.
Prima che lo stregone potesse ribattere lei gli mise una mano sul braccio, intimandogli di lasciar perdere con gli occhi. Lui le lanciò uno sguardo e capì. Osservò severamente tutti i nani prima di riprendere con tono controllato, nonostante il fastidio facilmente percepibile.
«Mettiamo bene in chiaro una cosa: ho aggiunto questa ragazza alla compagnia per un semplice motivo: senza Lumbar potete anche evitare di partire e tornarvene a scavare carbone!» disse schietto.
«Stai dicendo che questa donna è essenziale per la nostra spedizione?» chiese Thorin osservando di sottecchi l’ultima arrivata. Non riusciva a vederle il volto, nè nessun altro dettaglio, e questo non gli piaceva. Per niente.
«Esattamente.» confermò il Grigio.
Tutti i nani la fissarono, chi incredulo, chi diffidente, chi confuso e chi tutt’e tre insieme. Non riuscivano proprio a capire.
«Mithrandir…» sospirò lei.
Non avrebbe sopportato quella tensione ancora a lungo; era troppo difficile da sopportare per lei. Lo stregone lo comprese e riportò l’attenzione sulla Montagna e la missione.
«Dunque, prima che Lumbar bussasse avevo corretto Balin.» tutti riportarono gli sguardi su di lui che, nel frattempo, si era voltato verso la ragazza. «Mia cara, potresti…?»
Lei si portò una mano al collo e tirò fuori un cordino in cui erano infilati due oggetti; sfilò una grossa chiave d’argento di fattura nanica e nascose l’altro oggetto sotto i vestiti. Ignorando gli occhi di tutti, di nuovo puntati su di lei, mostrò la chiave a Thorin.
«Come mai è nelle tue mani?» le chiese, incredulo, studiando il manufatto.
«Mi è stata data da tuo padre. Da Thrain.» rispose, lasciandolo stupito. «Quando si rese conto che non sarebbe riuscito a dartela di persona la affidò a me e gli feci una promessa, la stessa che feci a tuo nonno: quando fosse giunto il momento ti avrei aiutato a riconquistare la Montagna. Morì dopo pochi minuti. È tua, adesso.» e gliela consegnò stando ben attenta a non sfiorarlo, mentre i nani elaboravano le sue parole.
«Se c’è una chiave…» disse Fili sciogliendo il gelo che aveva portato quella rivelazione. «... dev’esserci una porta.»
«Queste rune indicano un passaggio segreto alle sale inferiori.» disse Gandalf, indicando un punto sulla mappa.
«C’è un’altra via d’entrata.» affermò Kili sorridendo e appoggiando una mano sulla spalla del fratello.
«Beh, se riusciamo a trovarla. Le porte dei nani sono invisibili se sono chiuse.» ricordò loro lo stregone. «La risposta giace nascosta da qualche parte in questa mappa, e io non ho la capacità di trovarla; ma ci sono altri nella Terra di Mezzo che ce l’hanno.»
Lo sguardo che Thorin gli rivolse non era molto convinto, anzi era sospettoso ma non disse niente accantonando quel dettaglio. Lumbar, invece, studiava la mappa attentamente, sicura di aver visto qualcosa che, purtroppo, non era in grado di interpretare. Non con sicurezza.
«L’incarico che io ho in mente richiede una grande segretezza e una non piccola dose di coraggio. Ma se siamo attenti e astuti, credo che si possa fare.» riprese il Grigio dopo qualche istante.
«Ecco perchè uno scassinatore.» disse Ori.
«E anche bravo.» si intromise Bilbo da dietro Thorin, infilando i pollici nelle bretelle. «Un esperto, immagino.»
Tutti si voltarono verso di lui.
«E tu lo sei?» chiese Gloin.
«Sono cosa?» disse lui, osservandosi intorno.
«Ha detto di essere un esperto!» esclamò Oin.
«Io?» ripetè Bilbo, incredulo, indicandosi con un dito. «No! No no no no. Non sono uno scassinatore, non ho mai rubato niente in vita mia.»
«Temo di dover concordare con il signor Baggins.» disse Balin, mesto. «Non ha la stoffa da scassinatore.»
«No.» confermò Bilbo.
«Le Terre Selvagge non sono per la gente a modo che non sa lottare nè badare a se stessa. Tantomeno per le donne.» disse Dwalin lanciando una frecciatina alla ragazza, verso cui provava una profonda diffidenza.
Era il fratello minore di Balin e il migliore amico di Thorin, profondamente diffidente verso gli sconosciuti e chi non fosse un nano in generale; era altrettanto leale nei confronti del suo re, che appoggiava sempre in qualsiasi circostanza. A differenza degli altri, era calvo e con dei tatuaggi azzurri sul cranio contornato da una folta barba scura.
I nani cominciarono a discutere nuovamente tra loro e Lumbar rimase in silenzio. Sentiva la pazienza di Gandalf esaurirsi quindi non intervenne, sapendo che ci avrebbe pensato lui.
Dopo poco, infatti, lo stregone si alzò in piedi.
«Basta!» esclamò arrabbiato. «Se dico che Bilbo Baggins è uno scassinatore, allora uno scassinatore è!» i nani lo guardavano intimoriti, Bilbo compreso. Lumbar non fece una piega. «Gli hobbit hanno il passo notevolmente leggero. Infatti possono passare inosservati da molti, se lo vogliono. E mentre il drago è abituato all’odore dei nani, quello degli hobbit gli è completamente sconosciuto, il che ci dà un preciso vantaggio.» spiegò loro mentre tornava a sedersi, improvvisamente più calmo, e si rivolse direttamente a Thorin. «Mi avete chiesto di trovare un quattordicesimo membro di questa compagnia e io ho scelto il signor Baggins.» il nano scosse la testa contrariato, ma rimase zitto. «In lui c’è più di quanto le apparenze suggeriscano. E ha da offrire più di quanto voi immaginiate. Incluso lui stesso.» continuò spostando lo sguardo sullo hobbit per un istante, prima di tornare su Thorin. «Per quanto riguarda Lumbar, penso sia il caso di dirvi che lei vive spesso nelle Terre Selvagge, e nessuno di voi si ritroverà a doverla salvare nel corso di questo viaggio. Anzi, sicuramente sarà lei a salvare voi.» concluse. «Dovete fidarvi di me su questo.» disse a Thorin che lo osservava attentamente cercando di carpire altre informazioni, soprattutto su quella strana ragazza di cui non sapeva assolutamente niente.
«Molto bene.» ciò che vide negli occhi di Gandalf dovette convincerlo perchè non obiettò. «Faremo a modo tuo. Diamo loro il contratto.» disse a Balin mentre il mezzuomo si lamentava dietro di lui.
«È la solita roba.» disse il vecchio nano alzandosi e porgendo ai diretti interessati dei fogli. «Compendio delle spese personali, durata prevista, remunerazione, organizzazione dei funerali e così via.»
«Organizzazione dei funerali?» chiese Bilbo, confuso, prendendo il contratto e spostandosi nell’ingresso, dove c’era più luce, per leggerlo.
Thorin si alzò e si avvicinò a Gandalf.
«Non garantisco la loro sicurezza.» gli bisbigliò all’orecchio.
«Capisco.» rispose lo stregone, riflettendo, una mano che si accarezzava lentamente la barba. «Ma di lei non mi preoccuperei troppo.»
«Nè sarò responsabile dei loro destini.» aggiunse il nano, con voce grave.
Gandalf voltò il viso per incontrare i suoi occhi, osservando un secondo la ragazza che ricambiò il suo sguardo: lei stava sentendo tutto e si limitò ad annuire impercettibilmente; la freddezza del nano lo fece sospirare.
«Concordo.»
«Termini: pagamento alla consegna fino a, e non oltre, 1/15 del profitto totale, se c’è.» stava leggendo lo hobbit. «Sembra equo.» Gandalf ridacchiò, mentre Lumbar appoggiò il suo contratto sul tavolo senza nemmeno guardarlo. «La presente compagnia non risponderà di lesioni inflitte da, o come conseguenza di, incluso, ma non limitatamente, a... lacerazioni. Eviscerazioni?» lesse non credendo alle parole scritte. «Incenerimento?» continuò allibito, rivolgendosi ai nani.
«Ah, sì. Lui ti ridurrà in bracioletta in un batter d’occhio.» spiegò Bofur.
Lo hobbit chiuse di scatto il contratto e alzò il volto verso il soffitto, sospirando pesantemente, poi lo riabbassò.
«Stai bene, ragazzo?» gli chiese Balin, preoccupato.
«Sì, sto…» si voltò di spalle, appoggiò le mani sulle ginocchia, tenendo ancora il contratto, e cominciò a respirare profondamente per calmarsi. «Sto per svenire.» annunciò raddrizzandosi.
«Pensa a una fornace con le ali.» continuò Bofur, alzandosi e appoggiando una mano sulla porta che divideva la sala da pranzo dall’ingresso.
«Aria… mi-mi manca l’aria.» disse lo hobbit voltandosi e riappoggiando le mani sulle ginocchia, piegandosi nuovamente in avanti.
«Lampo di luce, dolore cocente, poi puf! Sei soltanto un mucchietto di cenere.» terminò Bofur ignorando le sue lamentele.
Lo hobbit lo guardò. Si raddrizzò, respirò, sembrò calmo per qualche istante, poi…
«No.»
E svenne.
«Oh, sei di grande aiuto Bofur.» disse Gandalf, alzandosi e avvicinandosi al mezzuomo.
«Almeno è stato schietto, dote rara al giorno d’oggi.» disse Lumbar attirando l’attenzione su di sè, gli occhi fissi sul contratto ancora chiuso poggiato sul tavolo davanti a lei. «Non è necessario.» continuò, cogliendo le domande inespresse. «Non per me.» ai loro sguardi confusi spiegò meglio. «Non mi interessa un pagamento, non avrò bisogno di un funerale se morirò e, sicuramente, so meglio di voi quali rischi corro. Quindi no, a me quel contratto non serve.»
Thorin la osservò in silenzio mentre Gandalf e gli altri nani si occupavano di Bilbo, trasportandolo sulla poltrona vicino al camino del salotto. Cercava di vedere oltre quel mantello e di leggere sotto il tono perfettamente controllato della dolce voce che apparteneva alla ragazza, ma non ci riusciva. Era un vero mistero e lui non si fidava del mistero. Non in quel caso, comunque. Voleva che si scoprisse, che gli rivelasse i suoi segreti, ma sentiva che non l’avrebbe fatto. Così le pose una semplice domanda.
«Perchè lo fai?»
La ragazza voltò leggermente la testa verso di lui, non voleva guardarlo direttamente.
«Non è ovvio?» chiese. Al silenzio del nano sospirò e gli concesse una spiegazione, anche se piccola. «Conoscevo tuo padre, e conoscevo tuo nonno. Erano entrambi miei amici. Ho fatto loro una promessa e intendo mantenerla.» disse.
«C’è qualcos’altro.» ribattè lui. «Qualcosa che non mi hai detto.»
«Sono tante le cose che non ti ho detto.» rispose.
Lo sguardo del nano era di ghiaccio, irremovibile e alquanto pesante sul suo corpo. Riusciva a percepirlo come se la tesse toccando, nonostante gli stesse impedendo di guardarla negli occhi. Thorin aveva visto lungo, aveva notato qualcosa nella sua risposta, e non avrebbe lasciato perdere tanto facilmente. Lumbar si chiese quanto avrebbe potuto rivelare senza esagerare. Riordinò i suoi pensieri, fece un respiro profondo per darsi coraggio e cominciò.
«La promessa di aiutarti la feci anche a un altro, tanto tempo fa. Prima ancora che a Thror e a Thrain. Lui è l’uomo più importante della mia vita ed è per lui che lo faccio. Per lui e per me. Glielo giurai quando questa storia cominciò, prima che venissimo separati.» rivelò al nano senza entrare nei dettagli. «Mi aveva dato tutto, tutto quello che aveva, anche se a me bastava lui. Non volevo altro, nè mi serviva. E quando perse tutto, come voi, io lo seguii. Negli anni precedenti mi aveva mostrato che anche per me esisteva una casa, e la mia era lui. Volevo essere la sua forza così come lui era stato la mia in uno dei periodi in cui il mio passato non mi dava pace. E ci riuscii, per un po’.» disse abbassando la testa e ripercorrendo nella mente quei momenti.
Si perse in quei ricordi di una vita che non le apparteneva più.
Era stata felice, all’inizio, come mai prima. Poi tutto si era trasformato in un incubo dal quale non si era più svegliata. E ora quei ricordi così belli erano i più dolorosi che avesse.
«E poi?» chiese una voce, riportandola alla realtà.
Lei alzò lo sguardo e solo in quel momento si accorse del silenzio che regnava nella casa. Dopo aver disteso lo hobbit nella stanza accanto, Gandalf e i nani si erano avvicinati per ascoltare il suo racconto e lei non se n’era accorta, troppo immersa in quelle memorie passate e terribilmente dolorose. Spostò lo sguardo sullo stregone, che la osservava con un misto di dolcezza e tristezza negli occhi. Lui sapeva quanto le stesse costando parlarne, ma era orgoglioso di lei proprio per quel motivo.
Riportò lo sguardo su Thorin, che non aveva smesso un secondo di osservarla, e continuò. «Poi arrivò il momento in cui sarei dovuta morire. Avrei dovuto lasciarlo con un peso immane sulle spalle e un dolore infinito nel cuore, troppo pesanti da sopportare entrambi. E feci l’unica cosa possibile: un incantesimo che lo portò a dimenticarsi di me e di ciò che avevamo condiviso.» strinse le mani in grembo, nascoste sotto il tavolo, fissando ostinatamente le venature del legno. Non era riuscita a reggere lo sguardo del nano. «Pensavamo entrambi che sarei morta e sapevo che si sarebbe lasciato morire anche lui. Non potevo permetterlo, così agii poi persi i sensi. Dopo mesi mi risvegliai esattamente nel punto in cui credevo di essere morta, peccato che non lo fossi. Cercai di capire cosa fosse successo mentre ero priva di sensi e, una volta scoperto, mi misi in viaggio.» concluse.
Il tono della sua voce era andato via via indurendosi, col passare del racconto, senza che lei se ne accorgesse.
«E lui?» chiese, Kili non riuscendo a trattenersi.
Fili lo fulminò con lo sguardo, infastidito dal fare indiscreto del fratello. Lumbar si irrigidì, persino Gandalf si mosse a disagio. Lo stregone stava per intervenire ma lei lo anticipò.
«Lui non mi ricordò mai più.» disse glaciale.
Il giovane nano aprì la bocca per dire qualcosa ma la richiuse in silenzio, comprendendo l’errore.
E in quel momento Bilbo riprese conoscenza. Lumbar ringraziò i Valar per quella distrazione arrivata al momento più opportuno.
Diedero una tazza di tè allo hobbit e lo lasciarono solo con lo stregone, proprio mentre lui iniziava a sorseggiarla dopo essersi seduto vicino al fuoco del camino.
«Mi riprenderò. Solo, lasciatemi tranquillo per un momento.» disse il mezzuomo portandosi la tazza alle labbra.
Lumbar riusciva a sentirli nonostante fosse rimasta nella sala da pranzo, insieme a pochi altri.
«Te ne stai tranquillo da tanto, troppo tempo.» disse Gandalf, avvicinandosi a lui. «Dimmi: da quando i centrini e i piatti di tua madre sono diventati così importanti, per te? Io ricordo un giovane hobbit che andava sempre in cerca di Elfi nel bosco. Che restava fuori fino a tardi e tornava a casa quando era buio, seguendo tracce di fango, ramoscelli e lucciole.» gli altri potevano vederlo mentre andava avanti e indietro davanti al mezzuomo. «Un giovane hobbit che avrebbe voluto solamente scoprire cosa c’era oltre i confini della Contea. Il mondo non sta nei tuoi libri e nelle tue mappe. È là fuori.» disse indicando con la testa fuori dalla finestra.
«Non posso andarmene di punto in bianco.» protestò lo hobbit. «Sono un Baggins di Casa Baggins.»
«Tu sei, inoltre, un Tuc.» gli fece notare Gandalf, facendolo sospirare. «Lo sapevi che il tuo pro-pro-pro-prozio Ruggitoro Tuc era così grosso da cavalcare un vero cavallo?»
«Sì.» disse Bilbo senza entusiasmo.
«Sì sì sì, è così.» continuò lo stregone con enfasi. «Nella battaglia di Campiverdi attaccò il gruppo dei Goblin, mulinò la sua mazza con tale forza da staccare la testa al re Golfinbul, testa che volò per cento iarde e rotolò nella tana di un coniglio. E così la battaglia fu vinta. E il gioco del golf nacque in quel momento.»
«Ah, mi sa che questa te la sei inventata.» disse lo hobbit.
«Beh, tutte le belle storie meritano un’infiorettatura.» osservò il Grigio, sedendosi davanti a lui. «Avrai una storiella o due da raccontare anche tu, quando ritornerai.»
«Puoi promettermi che ritornerò?» gli chiese il mezzuomo dopo qualche secondo.
«No.» rispose sincero. «E se farai ritorno non sarai più lo stesso.»
«È quello che pensavo.» disse Bilbo. «Scusa, Gandalf, non posso firmarlo.» continuò, alzandosi in piedi. «Hai scelto lo hobbit sbagliato.» poi si voltò e se ne andò in camera, lasciandolo lì.
«A quanto pare abbiamo perso il nostro scassinatore.» disse Balin a Thorin mentre lo osservavano allontanarsi per il corridoio, il primo seduto su una panca e il secondo appoggiato al muro. «Forse è meglio così. Le probabilità ci erano sempre a sfavore. Dopotutto, cosa siamo noi? Mercanti, minatori, stagnai, giocattolai. Non certo materia da leggenda.» scosse la testa, demoralizzato.
«Ci sono alcuni guerrieri tra di noi.» gli fece notare l’altro, sorridendo leggermente.
«Vecchi guerrieri.» specificò Balin.
«Io sceglierei uno qualunque di questi nani invece di un esercito dei Colli Ferrosi.» disse Thorin, sincero. «Perchè quando li ho convocati hanno risposto.» si staccò dal muro. «Lealtà, onore, un cuore volenteroso. Non posso chiedere più di questo.»
Balin si alzò in piedi. «Non sei costretto a farlo. Puoi scegliere. Ti sei comportato con onore verso la nostra gente. Ci hai costruito una nuova vita sulle Montagne Azzurre. Una vita di pace e prosperità. Una vita che vale più di tutto l’oro di Erebor.»
Lumbar, che li stava ascoltando, a quelle parole uscì fuori, in cortile, lasciando la porta semi aperta. Sapeva a cosa si riferiva Balin. Li aveva osservati, nel corso degli anni, e li aveva aiutati quando aveva potuto. Il vecchio nano aveva ragione: Thorin aveva restituito una vita al suo popolo, un posto da chiamare casa, un futuro; e non c’era niente che valesse di più.
«Da mio nonno, tramite mio padre, questa è giunta a me.» Lumbar non poteva vederli ma riusciva ancora a sentirli. «Sognavano il giorno in cui i nani di Erebor avrebbero reclamato la loro patria. Non c’è scelta Balin. Non per me.»
«Siamo con te, ragazzo. Faremo in modo che avvenga.» gli disse prima che si dirigessero nel salotto con il camino ancora acceso.
Così sia, pensò Lumbar con un sospiro, appoggiandosi allo steccato del giardino.
Gli altri nani li raggiunsero e, avvolti dalle ombre, cominciarono a cantare spandendo nell’aria un suono roco che sembrava salire dai recessi di un lontano passato, invadendo il cuore di ogni essere vivente presente in quella casa:


 
Far over the Misty Mountains cold
To dungeons deep and caverns old
We must away ere break of day
To find our lot forgotten gold

The pines were roaring on the height
The winds were moaning in the night
The fire was red, it flaming spread
The trees like torches blazed with light


Lei li ascoltò da fuori; conosceva quella canzone, ovviamente, ma non voleva intromettersi. Era già abbastanza doloroso così. Sentì una forte stretta al petto, come se qualche mano invisibile le si fosse serrata attorno al cuore; quelle parole sapevano di qualcosa dimenticato da tempo, di nostalgia per una cosa perduta. Sapevano di casa, di famiglia. Sentì un gran bisogno di piangere, mentre con le mani creava piccole immagini di fiamma rappresentanti i ricordi dei luoghi che aveva calcato all'interno di Erebor: piazze, strade e vicoletti, palazzi colmi d'oro, scuderie, armerie... e poi nani che passeggiavano, lavoravano, bambini che correvano e urlavano, giocando e divertendosi. Vita.
Tutto ciò era morto con la città, inghiottito dal terrore del drago Smaug.
Nessuno venne a disturbarla, nemmeno quando si coricarono, e lei passò la notte a pensare a ciò che sarebbe successo da quel momento in poi e a quell’incantesimo sulla memoria che aveva creato tanti anni prima. Ricordò il momento in cui l’aveva lanciato, l’espressione sul viso di lui e le lacrime che versava. Fino a quel momento non l’aveva mai visto piangere. L’aveva visto spaventato, arrabbiato, felice, triste, innamorato. Ma mai una volta le lacrime avevano percorso le sue guance. Fino a quel giorno.
Ricordò le parole che le disse e la sua disperazione quando si rese conto che la stava dimenticando. Ricordò come si sentì lei quando scoprì di essere ancora viva. E si asciugò una lacrima silenziosa nell’oscurità della notte.
Troppo persa in quelle devastanti memorie non si accorse che un nano la osservava nell’ombra, chiedendosi quale pesante fardello stesse portando sulle sue sole ed esili spalle ma senza riuscire a darsi una risposta.

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Capitolo 3
*** 2. Abbacchio arrosto ***






2. Abbacchio arrosto
 
La mattina dopo i nani la trovarono nello stesso punto in cui l’avevano lasciata la sera precedente. Gandalf la osservò di sottecchi, preoccupato, ma non le chiese niente e lei lo ringraziò con un leggero segno del capo. Tuttavia quello scambio non era passato del tutto inosservato: Thorin, infatti, non si era arreso al mistero che si portava dietro e cercava ancora di capirla, soprattutto dopo ciò che lei gli aveva raccontato il giorno prima.
La giovane, che poi tanto giovane non era, aveva osservato l’alba in silenzio, memore degli ultimi sogni. Quella notte, infatti, non aveva dormito, preferendo cominciare il viaggio dopo una notte insonne piuttosto che dopo una notte di incubi e visioni. Ciò che le veniva mostrato negli ultimi tempi la spaventava e preferiva non soffermarcisi troppo.
Fecero colazione in fretta e senza fare baccano per non svegliare lo hobbit, poi uscirono e si prepararono a partire. Lumbar emise un fischio particolare e si appoggiò allo steccato del giardino. Nel mentre i nani salirono sui pony che la sera prima avevano legato alla staccionata e Gandalf su un cavallo, poi osservarono la ragazza in silenzio. Aveva le braccia incrociate e non accennava a fare un passo.
«Cosa stai aspettando?» chiese Dwalin irritato.
Lei non rispose, limitandosi a voltare leggermente la testa verso destra, da cui proveniva un leggero rumore di zoccoli. Dopo qualche minuto un bellissimo cavallo dal manto bianco-argenteo e gli zoccoli dorati le si avvicinò, fermandosi accanto a lei e strusciando il muso sulla sua spalla. Lumbar ricambiò il saluto abbracciandogli il collo, poi salì in groppa sotto gli sguardi sbalorditi dei suoi compagni di viaggio.
«Quello è uno dei Mearas, dico bene?» disse Gandalf senza distogliere lo sguardo dall’animale.
In effetti lui non l’aveva ancora vista, nonostante i due si conoscessero da parecchio tempo.
«I cavalli leggendari? I discendenti di Nahar?» chiese Fili non credendo ai suoi occhi.
«È sua figlia.» rispose lei dando accarezzandole la criniera e lasciandoli ancora più sorpresi. «Si chiama Erenie e non le piacciono selle e morsi, quindi non li uso.»
«E riesci a cavalcare?»
«Certo. Vi avverto che lei vi capisce benissimo.» disse alzando le spalle. Dopo aver mormorato qualche parola a Erenie, per assicurarsi che fosse tutto a posto, si rivolse ai suoi compagni. «Andiamo?» e si incamminarono.
Dopo neanche qualche metro i nani cominciarono a scommettere su Bilbo: alcuni dicevano che sarebbe ricomparso, altri no. Gandalf puntò a favore e Thorin si rifiutò di scommettere. Quando chiesero a lei su quale possibilità puntasse, la ragazza si rivolse a Gandalf che cavalcava al suo fianco, in cima alla fila.
«Non gli hai detto proprio niente?» chiese.
«E rovinare la sorpresa?» ridacchiò lui.
«Quale sorpresa?» chiesero Fili e Kili contemporaneamente.
«Diciamo solo che se scommettessi voi sapreste già chi ha vinto.» rispose Lumbar con un sorrisetto.
I nani si scambiarono occhiate stranite mentre un lampo di comprensione passava negli occhi di Thorin.
Gandalf si affrettò a spiegare. «La nostra amica, qui, ha il dono della preveggenza. Questo vuol dire che sa già se Bilbo ci raggiungerà oppure no.»
«Puoi vedere il futuro?» chiese Kili, sbalordito.
«Forte!» disse Fili, con gli occhi che brillavano.
«Sicuramente può essere utile.» aggiunse Dwalin sorpreso da quella novità.
«No, non è forte.» li contraddisse lei facendoli fermare. Voltò il busto per osservarli. «Non sono io a scegliere cosa vedere, è il futuro che si mostra a me come e quando preferisce. E mai chiaramente o in maniera lineare.» i suoi occhi erano tristi, se ne accorsero tutti. «La maggior parte delle volte le visioni sono così confuse che faccio fatica a capirci qualcosa. Ma sono quasi sempre presagi di morte. Se potessi, ne farei volentieri a meno.» poi riprese a cavalcare, lasciandoli a rimuginare sulle sue parole.
Non aveva mentito. I sogni premonitori erano un vero e proprio peso sul cuore; ti facevano preoccupare per le persone che amavi senza permetterti davvero di fare qualcosa per cambiare ciò che vedevi, perchè le visioni erano troppo confuse per avere le idee chiare. Solo poche volte era riuscita davvero a fare qualcosa. Due delle quali era stato proprio per aiutare quei nani. Scosse la testa per non pensarci, doveva rimanere lucida.
In quel momento Lumbar sentì un rumore che la fece fermare di nuovo.
«Cosa c’è?» le chiese Gandalf. «Cosa senti?» i nani passavano lo sguardo da uno all’altra senza capire.
Lei chiuse gli occhi per concentrarsi, poi li riaprì e fissò lo stregone.
«Arriva qualcuno.» disse voltandosi verso il punto da cui erano venuti. «E si avvicina in fretta.»
Quella frase paralizzò gli altri, che non sapevano come comportarsi: nessuno di loro si aspettava un attacco in un posto come la Contea, e la tranquillità di quella ragazza non li aveva allarmati, così aspettarono.
Dopo qualche minuto sentirono qualcuno gridare. «Aspettate!»
I nani si voltarono indietro e videro il signor Baggins correre verso di loro con uno zaino sulle spalle e il contratto in mano.
«L’ho firmato.» disse dopo averli raggiunti e dando il contratto a Balin, che controllò fosse tutto in regola.
«Sembra che sia tutto a posto. Benvenuto Mastro Baggins nella compagnia di Thorin Scudodiquercia.» disse mentre restituiva il contratto al mezzuomo.
I nani ridacchiarono e Thorin intervenne voltandosi avanti. «Dategli un pony.»
«No no no no, non sarà necessario.» protestò lo hobbit mentre Lumbar, Gandalf e Thorin riprendevano a cavalcare, seguiti dagli altri. «Posso tenere il passo a piedi. Sì, insomma, ho fatto un bel po’ di vacanze a piedi, sapete? Sono arrivato fino a Chianarana una volta!»
Due nani lo presero per le braccia e lo fecero accomodare su un pony, così lo hobbit si ritrovò a cavalcare insieme a tutti gli altri.
Dopo qualche metro i nani cominciarono a lanciarsi sacchetti di monete: coloro che avevano perso la scommessa stavano pagando i vincitori. La maggior parte aveva puntato sul no. Con quella scommessa cominciò il  loro viaggio.


 
****


I nani raccontarono storie o cantarono canzoni tutto il giorno mentre cavalcavano, eccetto naturalmente quando si fermavano per i pasti. Non ce n'erano tanti quanti Bilbo avrebbe voluto, tuttavia egli cominciò a pensare che in fondo le avventure non erano poi troppo brutte. Non sapeva ancora cosa sarebbe successo in quel viaggio, sfortunatamente.
All'inizio erano passati attraverso le terre abitate dagli hobbit, una vasta e rispettabile contrada abitata da gente per bene, con strade buone, una o due locande e di quando in quando un nano o un fattore in giro per affari. Poi arrivarono a terre dove la gente parlava in modo strano, e cantava canzoni che Bilbo non aveva mai sentito prima. Lumbar, invece, ne aveva sentite di più strane durante i suoi viaggi. Adesso si erano profondamente inoltrati nelle Terre Selvagge, dove non c'erano più né persone né locande e le strade andavano costantemente peggiorando. Non molto lontano, davanti a loro, si ergevano sempre più alte tetre colline, scurite dagli alberi. Su alcune di esse si levavano vecchi castelli dall'aspetto sinistro, come se fossero stati costruiti da gente malvagia.
Mentre cavalcarono lo hobbit parlò molto con Gandalf, ascoltava quello che lui definiva “chiasso nanesco” e si guardava intorno. Lumbar era sempre in testa al gruppo, silenziosa, e ogni tanto spariva per far correre libera Erenie. Thorin la osservava, anche lui silenzioso, ma non le diceva mai nulla nonostante non gli piacesse che si allontanasse. Più di una volta i nani più giovani cercarono di coinvolgerla nelle loro chiacchierate, ma lei sembrava sempre distante e ogni tanto potevano scorgere Gandalf lanciarle sguardi preoccupati da sotto la tesa del suo cappello a punta. Si chiedevano cos’avesse la loro compagna, perchè non parlasse, e cosa poteva significare il racconto che le avevano sentito pronunciare la sera prima, ma nessuno di loro riusciva a darsi una risposta. Sembrava tesa, con loro, e si rilassava soltanto con lo stregone. Avevano notato tutti quella caratteristica e non sapevano come comportarsi a riguardo. Non riuscivano a capirla. Nè a farla sentire a suo agio con loro.
Fu proprio sulle colline che avevano avvistato durante il giorno che si accamparono per la notte. Cenarono in silenzio, dopo aver acceso un fuoco. Si trovavano su una collina, in un punto riparato dalle rocce, abbastanza in alto da avere davanti a loro una visuale quasi a strapiombo sulla terra che li circondava;  dietro di loro, invece, gli alberi e il fianco roccioso della collina li proteggevano. I pony erano stati liberati dalle selle, così come il cavallo di Gandalf. Erenie era libera di andare e tornare a suo piacimento, ovviamente, ma aveva deciso di restare e si stese vicino alla sua compagna, un po’ separate dagli altri.
La ragazza teneva ancora il volto coperto. Era appoggiata con la schiena a un albero vicino allo strapiombo, una gamba sospesa nel vuoto e l’altra piegata ad angolo sulla terraferma; sembrava tranquilla. Aveva una buona visuale su tutti i compagni davanti a lei, ma con il volto osservava la notte alla sua destra, e quella Terra di Mezzo che proteggeva da migliaia di anni, e si chiedeva se, un giorno, quel dolore e quella sofferenza che tornavano imperterriti a disturbare la pace di quei luoghi sarebbero mai spariti. Gandalf, poco lontano da lei, fumava appoggiato a una roccia, anche lui in silenzio. I nani, invece, erano un po’ sparpagliati; alcuni dormivano, altri erano vicino al fuoco, chi in silenzio chi a chiacchierare a bassa voce per non disturbare gli altri. Thorin era semi sdraiato su una roccia, con la schiena appoggiata al fianco della collina, che osservava il cielo, anche lui immerso in chissà quali pensieri.
A un certo punto lo hobbit si alzò dal punto in cui si era disteso in mezzo ai nani, probabilmente non riusciva a dormire; Lumbar lo vide, con la coda dell’occhio, avvicinarsi al suo pony e dargli una mela ma non disse niente. Mentre il pony mangiava un verso stridulo catturò l’attenzione dei pochi ancora svegli, che si voltarono verso la ragazza. Lei non si era mossa, il verso arrivava dalla zona che osservava.
«Che cos’era?» chiese lo hobbit voltandosi verso Fili e Kili, che si trovavano vicino al fuoco ed erano due di quelli che non dormivano.
«Orchi.» disse Kili facendolo avvicinare con quel suo passo saltellante, mentre un altro verso li raggiungeva.
«Orchi?» chiese nuovamente lo hobbit, preoccupato.
La ragazza volse lo sguardo nella loro direzione, in silenzio, e potè vedere Thorin raddrizzarsi a sedere sulla roccia sulla quale si stava, probabilmente, addormentando. Si sentiva come lui in quel momento.
«Sgozzatori.» continuò Fili. «Ce ne sono a dozzine là fuori. Le Terre Selvagge ne brulicano.»
«Colpiscono nelle ore piccole quando tutti dormono.» riprese il fratello. «Lesti e silenziosi, niente grida. Solo tanto sangue.» finì bisbigliando per spaventare il loro interlocutore.
Quando lo hobbit si voltò verso le Terre Selvagge loro si guardarono e si misero a ridere.
«Lo trovate divertente?» chiese Thorin mentre Lumbar sbuffava, concorde con lui.
Il nano si era alzato e ora stava camminando davanti ai suoi nipoti, gelandoli con lo sguardo. «Un’incursione notturna degli orchi è uno scherzo?»
«Non intendevamo dire niente.» disse Kili abbassando lo sguardo, mortificato.
Bilbo non capiva, era evidente.
«No, infatti.» disse Thorin passando accanto allo hobbit per avvicinarsi al punto in cui stava la ragazza e passando davanti allo stregone che, come lei, aveva ascoltato in silenzio. «Non sapete nulla del mondo.»
«Non farci caso, ragazzo.» disse Balin al più giovane dei Durin avvicinandosi al fuoco e appoggiandosi alla parete della collina. «Thorin ha più ragione degli altri di odiare gli orchi.» osservò il nano appoggiare un piede su delle rocce e osservare le Terre Selvagge. «Dopo che il drago ebbe conquistato la Montagna Solitaria, il re Thror tentò di riprendersi l’antico regno dei nani di Moria.» ascoltando la voce del vecchio nano Lumbar venne risucchiata nei suoi ricordi di quel giorno. «Ma il nostro nemico era arrivato prima. Moria era stata presa da legioni di orchi capeggiati dal più vile di tutta la loro razza: Azog il Profanatore. L’orco gigante di Gundabad aveva giurato di sterminare la stirpe di Durin. Cominciò decapitando il re. Thrain, il padre di Thorin, divenne pazzo per il dolore. Scomparve. Se fatto prigioniero o ucciso, noi non lo sapevamo. Eravamo senza una guida. Sconfitta e morte erano su di noi. E fu allora che io lo vidi: un giovane principe dei nani che affrontava l’Orco Pallido. Fronteggiava da solo questo terribile nemico. Con l’armatura squarciata, brandendo solamente un ramo di quercia come scudo, gli amputò un braccio con la lama della sua spada. Azog il Profanatore imparò quel giorno che la stirpe di Durin non sarebbe stata facile da troncare. Le nostre truppe si rianimarono e respinsero gli orchi. Il nostro nemico era stato sconfitto. Ma non ci furono feste, nè canti, quella sera, perchè i nostri morti superavano di gran lunga il nostro cordoglio. Noi pochi eravamo sopravvissuti. E allora pensai fra me e me: “Là c’è uno che potrei seguire. Là c’è uno che potrei chiamare re.”» era così che loro ricordavano la battaglia di Azanulbizar.
Lumbar scambiò uno sguardo con Gandalf, consapevoli entrambi della realtà dei fatti, ma nessuno dei due disse niente. Nel frattempo, Thorin si era voltato e ora fissava fiero e triste il mezzuomo, i suoi nipoti e tutti gli altri nani, che si erano svegliati e alzati mentre Balin raccontava.
«E l’Orco Pallido?» chiese lo hobbit. «Che fine ha fatto, poi?»
«Tornò strisciando nel buco da cui era fuoriuscito.» rispose Thorin mentre tornava verso la parete della collina, con gli occhi che riflettevano tutto l’odio che provava per quell’essere. «Quel lerciume morì per le ferite tempo fa.»
Gandalf sospirò piano e Lumbar scosse leggermente la testa osservando il nano tornare al suo posto.
«Almeno non hai perso tutto.» sussurrò.
Tutti si voltarono verso di lei facendola irrigidire. Non pensava l’avessero sentita.
«Cosa?» chiese il nano.
«Almeno tu non hai perso tutto.» ripetè stringendo più forte il cordino che portava al collo.
Non si era accorta di averlo preso in una mano mentre Balin raccontava, nè di aver appoggiato l’altra sul costato ormai sfigurato dalle ferite inflittele dall’Orco. Erano passati anni, ma a volte il ricordo le faceva ancora sentire dolore in quei punti. Il nano notò i suoi movimenti e un bagliore si fece spazio nelle sue iridi. Aveva un sospetto che lei confermò.
«Chi pensi fosse quello che mi ha quasi uccisa?» sorprese tutti tranne Gandalf. «Quando mi risvegliai, dopo l’incantesimo, erano passati mesi dalla battaglia di Azanulbizar e io andai comunque a cercarlo. Volevo affrontarlo di nuovo.» gli disse sinceramente. «Non avevo più niente da perdere, perchè la mia vita non aveva più nessun valore. Tu, invece, nonostante le perdite, avevi comunque delle persone che ti amavano, un popolo di cui prenderti cura, la possibilità di avere un futuro nuovamente felice, una vita. Io non avevo più niente.»
«Eri rimasta da sola? Non era sopravvissuto nessuno del tuo popolo?» chiese nuovamente lo hobbit.
«Io non ho un popolo.» rispose lei non togliendo gli occhi da quelli di Thorin. «Non l’ho mai avuto. Tutto ciò che avevo era lui, e l’Orco Pallido me l’ha portato via.» cadde il silenzio.
Negli occhi della ragazza erano visibili diverse emozioni: dolore, amore, rimpianto, rabbia, tormento. Troppo forti per essere causate da un lutto, pensò Thorin. Doveva esserci qualcos’altro sotto. Poi capì: quel lui di cui parlava, l’uomo che aveva amato così tanto e che probabilmente continuava ad amare, doveva essere ancora vivo; Azog non l’aveva ucciso e, a causa dell’incantesimo, non si ricordava più di lei. Cos’aveva detto la sera prima di partire? “Lui non mi ricordò mai più.” Ma questo lasciava pensare che lei l’avesse rivisto e, in quel momento, il nano si rese conto che quella donna doveva soffrire le pene dell’inferno per ciò che aveva fatto. Aveva compiuto una scelta tragica per salvare almeno lui e dargli una possibilità di vivere con la sua gente e quando si era resa conto di essere sopravvissuta era, molto probabilmente, andata a cercarlo per sapere come stesse; doveva aver visto che si stava ricostruendo una vita, che stava ritrovando una parvenza di equilibrio, quindi aveva deciso di non sconvolgerlo e di lasciare le cose come stavano. Quanto coraggio deve avere avuto per prendere una decisione del genere, e quanta forza. Rinunciare alla propria felicità per il bene di coloro che ami. Riusciva a capire come mai fosse tornata a cercare l’Orco Pallido, effettivamente non aveva più niente tranne dolorosi ricordi di un passato che non sarebbe mai più tornato.
Un moto di rispetto verso quella donna, che non aveva mai distolto lo sguardo dal suo, lo colpì; e fu ben visibile nei suoi occhi perchè non lo mascherò. Fu grazie a quel lampo che la ragazza si accorse che il nano aveva compreso qualcosa e temette di aver detto troppo. Poi, però, Thorin le fece un semplice cenno con la testa e lei si rilassò, mentre tutti tornarono a dormire. Quella notte, per Lumbar, fu esattamente come quelle precedenti: un connubio di incubi e visioni che la fecero svegliare di soprassalto prima dell’alba. Fortunatamente non aveva svegliato nessuno dei suoi compagni, così si mise comoda e cominciò ad accarezzare il manto di Erenie per passare il tempo, in attesa di riprendere il viaggio.

 
****


Tutto sembrava deprimente, poiché quel giorno il tempo era brutto. Per lo più era stato bello come lo può essere a maggio, anche nelle favole più liete, ma adesso era freddo e umido. Nelle Terre Selvagge erano stati costretti ad accamparsi dove potevano, ma almeno erano sempre stati all'asciutto. I cappucci sgocciolavano negli occhi dei loro proprietari, i mantelli erano pieni d'acqua; i destrieri erano stanchi e inciampavano sui sassi, tranne Erenie, e i nani erano troppo di cattivo umore per parlare. Bilbo, addirittura, era fradicio dalla testa ai piedi perchè non aveva nemmeno il mantello.
«Ehi, signor Gandalf!» esclamò Dori all’improvviso rivolto alla testa del gruppo. «Non potete fare qualcosa per questo diluvio?»
«Sta piovendo, mastro nano.» rispose lui infastidito guardando il cielo. «E continuerà a piovere finchè la pioggia non avrà finito. Se desideri cambiare il clima del mondo dovrai trovarti un altro stregone.» Lumbar, accanto a lui, ridacchiò. Lo stregone si voltò a guardarla. «A meno che tu, mia cara, non ne sia in grado.» disse furbescamente con una scintilla di incertezza nello sguardo.
Non avevano mai parlato di particolarità del genere, ma entrambi sapevano che fosse una ragazza con poteri fuori dal comune, date le sue origini. L’ultima frase, ovviamente, attirò l’attenzione di tutta la compagnia che si guardava incuriosita.
«Sapete farlo, lady Lumbar?» chiese Dori, speranzoso.
«Non sono una lady.» gli disse lei inorridendo. «Vi pregherei di non chiamarmi in quel modo. Il mio nome sarà sufficiente.»
Tralasciò apposta la domanda, ma dopo un po’ Dori tornò all’attacco.
«Quindi puoi fare qualcosa per questa pioggia, Lumbar?»
«Non lo so.» disse lei alzando le spalle. «Non ci ho mai provato, e non ho intenzione di scoprirlo. Mi piace la pioggia.»
I nani si lamentarono e iniziarono a protestare; Gandalf cercava di farli smettere e Thorin osservava la ragazza in silenzio. A lui non importava della pioggia, ma il modo in cui lei aveva detto che non voleva scoprire se fosse in grado di manipolarla gli aveva fatto venire i brividi. Si chiese quale fosse il reale motivo per cui non ci provasse. Non dovette scervellarsi molto poichè la ragazza, infastidita dalle insistenze dei nani, aveva ripreso a parlare facendo chiarezza nella sua mente. Per quanto riguardava quella questione, almeno.
«La pioggia fa parte del ciclo vitale della natura. Senza la pioggia le piante non crescerebbero, i fiumi e i laghi si seccherebbero e nessuno riuscirebbe più a vivere. Niente raccolti, niente acqua per bere e così via. La pioggia porta la vita, e solo perchè a voi infastidisce la sensazione di bagnato che vi causa non vuol dire che abbia smesso di essere importante. Io non farò mai niente per interrompere il ciclo della vita. Mai.»
Il tono fermo e convinto con cui pronunciò quelle parole fece capire agli altri che non avrebbe cambiato idea a riguardo neanche sotto tortura. Per lei la vita era sacra, e anche in battaglia evitava di uccidere, se poteva. Era una decisione che aveva preso nel momento stesso in cui era nata, quando le avevano detto perchè fosse nata. Nessuno l’avrebbe mai costretta a fare il contrario. Sapeva che a volte non c’era scelta ma, se poteva, cercava di salvarle le vite, non di distruggerle.
«Ce ne sono?» chiese Bilbo dopo un po’.
«Di cosa?» rispose Gandalf.
«Altri stregoni come te e Lumbar.»
«Io non sono come loro.» disse la ragazza. «Darmi dello stregone è un insulto alla loro razza.»
Qualcuno stava per chiedere spiegazioni ma Gandalf glielo impedì, con suo sommo sollievo. «Noi siamo cinque. Il più grande del nostro ordine è Saruman il Bianco. E poi ci sono i due stregoni Blu. Ho completamente dimenticato i loro nomi.»
«Alatar e Pallando.» disse Lumbar, lo sguardo puntato sugli alberi che stavano passando.
«Li hai conosciuti?» chiese Gandalf sorpreso.
«Io conosco tutti.» gli ricordò lei piatta. «Li ho aiutati, all’inizio, poi sono stata chiamata altrove e quando sono spariti li ho cercati, senza successo. Saruman non ha mai approvato, ovviamente.»
«Perché?» chiese Bilbo.
«Vedi, mio caro hobbit, Lumbar ha dei poteri che perfino Saruman il Bianco non possiede; e questo, assieme ad altri motivi che adesso non sto qui a spiegare, l’ha reso, come posso dire…»
«Infastidito dalla mia presenza.» finì lei. «O anche solo dal sentirmi nominare.»
Lo hobbit annuì. «E chi è il quinto?»
Lumbar sorrise mentre Gandalf rispondeva. «Quello sarebbe Radagast il Bruno.»
«È un grande stregone o è più come te?» disse lo hobbit facendo ridacchiare la ragazza.
«Credo che sia un grandissimo stregone, a modo suo.» rispose Gandalf cercando, malamente, di nascondere l’offesa. «È un’anima gentile che preferisce la compagnia degli animali agli altri. Tiene un occhio attento sulle vaste foreste, lontano a Est. Ed è una cosa molto buona, perchè sempre il male cercherà di prendere piede in questo mondo.»
La voce di Gandalf si faceva lontana, mentre Lumbar veniva risucchiata in una visione.


Vedeva Radagast correre tra gli alberi di Bosco Fronzuto, preoccupato, superando animali morti e piante malate.
«Oh no. Sebastian.» disse lo stregone sollevando dall’erba un riccio che si lamentava, in fin di vita. «Giorni celesti.»
Il Bruno corse attraverso gli alberi fino ad arrivare alla sua casetta, che si mimetizzava con l’ambiente circostante, ed entrò appoggiando il riccio su un tavolo e cercando di curarlo. Provò diversi modi, ma nessuno sembrava funzionare e Radagast era sempre più agitato.
«Non capisco perchè non funziona! Non è che si tratta di stregoneria?» disse balzando in piedi. Poi sgranò gli occhi. «Stregoneria! Oh, invece sì. Un’oscura e potente magia.» riprese voltandosi lentamente verso la finestra, su cui vide e sentì l’ombra di qualcosa di grosso zampettare verso il tetto.
Si girò verso le altre finestre e l’ingresso per accorgersi che delle lunghe zampe nere cercavano di entrare, così bloccò la porta con una sedia prima di rivolgere la sua attenzione al riccio, che si era immobilizzato e rilassato come se fosse morto. Preso dalla disperazione tolse la pietra dal suo bastone, la puntò sulla piccola bocca del riccio mentre lo teneva in mano e cominciò a pronunciare un incantesimo mentre i ragni giganti, perchè questo erano le bestie che cercavano di entrare, sfondavano il legno del tetto.
L’incantesimo funzionò: la pietra assorbì il male, una strana sostanza nera, dal riccio e il piccolo si risvegliò. I ragni se ne andarono e lui li seguì per capire da dove fossero spuntati. Più si avvicinava alla Vecchia Fortezza, più gli alberi erano ricoperti di raccapriccianti ragnatele.



La visione si interruppe.
Erenie, percependo l’inquietudine e la paura crescere dentro di lei, si era imbizzarrita per risvegliarla e la ragazza si era aggrappata di riflesso al suo collo, senza accorgersene. La Mearas aveva fatto un gran baccano, nitrendo, e aveva attirato l’attenzione di tutti gli altri che si erano fermati e ora la osservavano. Solo in quel momento si accorse di avere il fiatone e di stare tremando.
«Cosa succede?» chiese Thorin raggiungendola.
Gandalf, già al suo fianco, la osservava minuziosamente mentre lei cercava di riprendere il controllo di sè.
«Cosa ti è preso?» domandò, ancora, il nano vedendo lo stato in cui versava.
«Mio caro Thorin...» disse Gandalf attirando l’attenzione di tutti. «... penso di poter affermare che Lumbar abbia appena avuto una visione, e posso supporre che non fosse niente di piacevole.» la ragazza annuì mentre il suo respiro tornava regolare. «Ti chiedo di lasciarle del tempo per riordinare i pensieri in tutta tranquillità.» aggiunse prima che l’altro dicesse qualcosa.
La ragazza spronò Erenie con qualche parola elfica e si allontanò al galoppo, bisognosa di un momento sola con se stessa e la sua amica, e nessuno la seguì.
Senza che se ne accorgessero aveva smesso di piovere.

 
****


Chissà dove, dietro alle nuvole grigie, il sole doveva essere tramontato, perché il buio cominciò a calare facendo capire a Lumbar che forse era il caso di ricongiungersi alla Compagnia. Li trovò che smontavano dai pony vicino a una fattoria in rovina e si accorse subito che qualcosa non andava: la fattoria era stata bruciata. Anche Gandalf doveva averlo notato, perchè lo sentì dire che forse era il caso di proseguire. Lumbar si fermò al riparo degli alberi quando sentì lo stregone proporre a Thorin di raggiungere la Valle Nascosta. Sapeva cos’avrebbe detto il nano e non era sicura che sarebbe riuscita a sopportarlo se lo avesse avuto di fronte a lei. Li osservò parlare da lontano, nascosta da tutti.
«Te l’ho già detto.» disse, infatti, Thorin passando accanto allo stregone. «Non voglio avvicinarmi a quel posto.»
L’altro si voltò verso di lui. «Perchè no? Gli elfi ci aiuteranno. Potremmo avere cibo, riposo, consigli.»
«Non mi servono i loro consigli.» rispose Thorin, fin troppo testardo, fermandosi vicino ai resti di quello che, una volta, doveva essere un camino.
«Abbiamo una mappa che non riusciamo a leggere. Elrond potrebbe aiutarci.» protestò Gandalf.
«Aiutarci?» chiese il nano. «Un drago attacca Erebor. Quale aiuto arrivò dagli elfi? Gli orchi saccheggiano Moria, profanano i nostri luoghi sacri. Gli elfi rimasero a guardare senza fare niente!» Lumbar riusciva a sentire la sua rabbia da quella distanza. Oh, se solo avesse saputo. «E tu mi chiedi di cercare le stesse persone che hanno tradito mio nonno, che hanno tradito mio padre.»
«Tu non sei nessuno di loro due.» disse lo stregone, infastidito dalla sua testardaggine. «Non ti ho dato la mappa e la chiave perchè tu ti ancorassi al passato.»
«Non sapevo che appartenessero a te.»
«Tuo padre ha affidato la chiave a Lumbar perchè si fidava di lei e credeva in ciò che è e nel suo pensiero. Lumbar andrebbe dagli elfi.»
«Non sapevo che fosse lei quella che deve riconquistare Erebor.» disse il nano con astio. «L’hai portata tu in questa Compagnia, e se non fosse stato per la chiave ora non sarebbe qui. Non avrei mai accettato la sua presenza.»
«Se ora hai la chiave è solo per merito suo. Tuo padre le disse che avrebbe dovuto consegnartela solo se avesse pensato che tu fossi pronto, non prima. Voleva essere sicuro che riuscissi ad accettarne il peso e le conseguenze. Se lei si fosse rifiutata di darti la chiave, nessuno avrebbe potuto obbligarla, per quanto tu possa pensare il contrario. Lumbar ha avuto fiducia in te perché ti credeva abbastanza forte da poter rischiare per riprenderti la tua casa. Forse si sbagliava. Tuo padre sapeva delle cose, di lei, che nemmeno immagini. Tu non hai idea, Thorin Scudodiquercia, di ciò che ha fatto quella ragazza per te e per il tuo popolo.» e con un ultimo sguardo adirato si voltò e si incamminò verso il suo cavallo, sotto gli occhi di un Thorin confuso dalla sua ultima frase e dell’intera Compagnia.
Lumbar lo maledì mentalmente; aveva parlato troppo.
«Va tutto bene? Gandalf dove vai?» chiese lo hobbit.
«A cercare la compagnia dell’unico, qui, che ha un minimo di buonsenso.» rispose lo stregone, procedendo a passo spedito.
«E chi è?»
«Io stesso, signor Baggins!» urlò infuriato. «Ne ho abbastanza di nani per un giorno solo.»
Lumbar seguì il suo esempio e si allontanò in groppa a Erenie mentre i nani cominciavano a preparare la cena. Non aveva voglia di subire delle domande su ciò che aveva detto lo stregone, e non aveva nessuna intenzione di vedere Thorin dopo ciò che aveva appena sentito. Cavalcò tranquilla nella direzione che avrebbero preso l’indomani, tenendosi ben lontana da Gandalf, ma non troppo da non sentire quello che faceva. Era calata la notte da molto quando sentì che lo stregone aveva deciso di tornare indietro, così lo precedette.
Quando arrivò all’accampamento si accorse che non c’era nessuno; così scese da Erenie e la mandò via, poi cominciò a osservarsi intorno per capire dove fossero finiti tutti. Aguzzò l’udito e, dopo qualche minuto, sentì delle voci tra gli alberi. Camminò nella loro direzione, ma quando vide una luce si fermò, finalmente consapevole di ciò che stava accadendo: era al margine di una radura e poteva vedere chiaramente che i nani e lo hobbit erano prigionieri di tre orrendi troll di montagna le cui intenzioni erano piuttosto chiare: volevano mangiarseli per cena, sicuramente prima dell’arrivo dell’alba.
Lumbar analizzò la situazione: in mezzo alla radura alcuni nani erano legati in dei sacchi con lo hobbit e ammassati per terra; gli altri, invece, erano legati a un tronco che i troll facevano girare sul fuoco per arrostirli. Lo hobbit si era alzato come poteva e si era messo a parlare con loro su come andavano cucinati, quindi lei si mise in ascolto mentre elaborava una strategia. Sapeva che Gandalf stava arrivando, così come l’alba, quindi l’unica cosa da fare era guadagnare tempo. E anche Bilbo sembrava averlo capito.
Quando, però, uno dei troll sollevò Bombur per i piedi per mangiarselo intero, decise di dover intervenire. Scese dall’albero su cui si era acquattata e atterrò vicino ai nani insaccati, che si voltarono a guardarla sorpresi. Non pensò nemmeno per un secondo di tirare fuori le armi e combatterli, non sarebbe servito.
«E tu chi sei?» disse un troll.
«Ma come, non lo sai?» rispose lei, prendendolo in giro. «Pensavo ti credessi intelligente.»
«Tu…»
Un altro troll, il capo, lo fermò con un braccio prima che si avvicinasse.
«Rispondi alla domanda.» disse perentorio.
Lei alzò le spalle. «Solo qualcuno che non può permettere che queste persone finiscano in pentola. Per il momento.»
«Presto ci finirai anche tu.» disse il terzo troll.
Lei fece finta di riflettere. «Mhmm, no. Non credo.»
«E perchè?» chiese il capo. «Noi siamo tre e tu una. E se non vuoi che facciamo male ai tuoi amici dovrai farti mangiare.»
Lumbar scosse la testa. «Sei più scemo di quanto credessi se pensi che lo faccia; sappiamo entrambi che li mangereste dopo aver mangiato me. E comunque non mi va di avvicinarmi a voi più del necessario. Sai, non avete un bell’odore.» disse noncurante, appoggiandosi con la schiena all’albero dietro di lei.
I troll si arrabbiarono e cercarono di prenderla, ma lei era troppo veloce e saltava da un albero all’altro con estrema facilità mentre i nani la incitavano. A un certo punto atterrò davanti a Bombur e lo rimise dritto: il troll lo aveva fatto cadere di testa ed era rimasto a faccia in giù.
«Come va?» gli chiese con un sorrisetto in volto.
Ma prima di ricevere una risposta scappò di nuovo, proprio nel momento in cui un troll stava per colpirla finendo, invece, per prendersela con l’aria. Sentiva Gandalf muoversi attorno al falò, coperto dall’ombra degli alberi, e avvertì l’alba farsi pressante.
Stufi di giocare i troll si fermarono.
«Dicci chi sei, o schiacciamo i tuoi amici.»
Allora lei si fermò a sua volta, al sicuro su un albero. «Conoscete Roitare?»
«La Cacciatrice?» chiesero i nani e i troll, sconvolti.
Lumbar sorrise, nonostante ora i nani sapessero qualcosa in più di lei che avrebbe portato a molte domande. «Vorrei dire che è bello conoscervi, ma mentirei.»
«Sarà un vero piacere mangiarti.» disse un troll.
«Chissà che sapore avrà.» si chiese un altro.
«Temo che resterà un mistero.» disse lei saltando giù dal suo albero e finendo davanti a una grande roccia che puntava a Est, alle spalle dei troll, e facendoli voltare.
«Cosa?»
In quel momento Gandalf apparve sulla cima della roccia.
«L’alba vi prenderà tutti.» disse con voce grave.
«Quello chi è?»
«Che ne so io.»
«Ci mangiamo anche lui?»
Dissero i troll ancora più confusi senza avere il tempo di aggiungere altro. Gandalf, infatti, conficcò il suo bastone nella roccia, spezzandola in due e permettendo alla luce dell’alba di arrivare nella radura. Quando i raggi solari colpirono i troll, quelli si trasformarono in pietra e i nani si misero a ridere dalla gioia di essere scampati alla morte. Persino Thorin sorrideva nella loro direzione.
Una volta liberati i nani, Thorin si avvicinò a Gandalf e Lumbar, che stavano parlando di ciò che era successo, e si rivolse allo stregone. «Dov’eri andato? Se posso chiedere.»
«A guardare avanti.» rispose lui tranquillo.
«E cosa ti ha fatto tornare?»
«Il guardare indietro.»
Il nano annuì sotto il suo sguardo.
«Brutto affare. Sono ancora tutti interi, però.» continuò lo stregone.
«Non grazie al tuo scassinatore.» disse il nano.
Gandalf si scambiò un’occhiata eloquente con Lumbar e lei sorrise da sotto il cappuccio. Prima che il Grigio potesse rispondere lo fece lei. «Ha avuto il buon senso di guadagnare tempo.» Thorin spostò lo sguardo su di lei. «Nessun’altro di voi ci aveva pensato.» gli fece notare, e lui abbassò lo sguardo riconoscendo la verità di quelle parole.
Poi lo rialzò su di lei. «E tu dove sei stata per tutto il giorno? Non ti abbiamo più vista.»
«Un po’ ovunque, poi sono tornata e ho visto il vostro spettacolino.» disse indicando entrambi, che distolsero lo sguardo a disagio per essere stati beccati. «Davvero un bel comportamento. Comunque non mi andava di unirmi a voi, per buone e ovvie ragioni, così ho seguito Gandalf tenendomi a distanza e a un certo punto sono tornata indietro. Fortuna che l’ho fatto, altrimenti a quest’ora voi sareste stufato di nani con contorno di hobbit.»
«Sei stata davvero agile, e ci hai salvati. Grazie.» poi ripensando a ciò che era successo disse: «Prima hai nominato Roitare… intendevi la famosa Cacciatrice delle leggende?»
Lei sospirò, dopotutto se lo aspettava.
«Sì.» rispose.
Almeno non le aveva chiesto spiegazioni sulle parole di Gandalf.
«Quindi tu sei quella Cacciatrice?» chiese ancora non credendoci.
«Non farne un affare di stato, Thorin. Roitare è solo uno dei nomi con cui mi chiamano, uno dei tanti che mi hanno assegnato con il passare del tempo. Non è niente di importante.» cercò di finire lì la conversazione, ma non ci riuscì.
«Sì che lo è.» insistette lui fermandola per un braccio. Aveva una presa salda, ma la ragazza notò che non stesse stringendo tanto da farle male, aveva usato la forza minima affinché si fermasse. Era stato delicato. «Perchè non ce l’hai detto?»
«Per quello che tu e tutti gli altri state pensando adesso.» gli disse indurendo il tono della voce e liberando il braccio con un movimento semplice e veloce. «Non è tutto rose e fiori come sembra. I miei nomi non sono stati scelti a caso, sono un fardello che mi porto dietro da un numero di anni che non immagini. Sono un onore, certo, ma sono soprattutto un onere. I nomi creano aspettative e se li rivelassi subito la gente imparerebbe a conoscermi nel modo sbagliato. E molti di questi nomi si trascinano dietro ricordi che preferirei dimenticare.» poi si rivolse a Gandalf. «Devono essere calati dagli Erenbrulli.»
Lo stregone non fece caso al cambio di argomento, era più che legittimo.
«Da quando i troll di montagna non si avventurano così a Sud?» chiese il nano.
Gandalf e Lumbar si guardarono qualche istante, turbati.
«Non da un’Era. Non da quando un potere più oscuro guidava queste terre.» rispose lo stregone.
Sentendo sè stesso dire quelle parole, sgranò gli occhi e li puntò verso la ragazza che scosse il capo incrociando le braccia come a proteggersi. Lui aveva capito che qualcosa di grosso era in movimento, qualcosa di oscuro. Lei riusciva a sentirlo avvicinarsi, sempre più forte, sempre più pressante. Non riusciva più a ignorare quel peso sul petto che la opprimeva da mesi, e Gandalf si era appena reso conto di cosa avrebbe potuto significare. Il nano aveva osservato i loro scambi in silenzio, serio, capendo che Lumbar sapeva qualcosa, ma non chiese niente.
«Non possono essersi mossi alla luce del giorno.» proseguì lo stregone.
«Dev’esserci una grotta nelle vicinanze.» disse Thorin cominciando a guardarsi in giro.
Ben presto tutti gli altri lo imitarono e Lumbar tirò un sospiro di sollievo. Per il momento niente più domande.
Non ci misero molto a trovare il nascondiglio; bastò seguire l’odore di morte che li condusse a una caverna al cui interno c’era il “classico bottino troll”.
«Attenti a cosa toccate.» disse Gandalf mentre entravano, passando davanti a qualche cadavere da cui arrivava il fetore di carne in decomposizione.
La caverna era piena di monete d’oro e tesori; Thorin si era spinto verso il fondo, seguito da Dwalin, Lumbar e Gandalf. La ragazza si era fermata davanti a delle antiche spade, molto particolari, riusciva a sentirne il potere e ne aveva riconosciuto la fattura. Quando Thorin le si era avvicinato per osservarle lei aveva ricominciato a guardarsi intorno; riusciva a sentire la presenza di qualcosa di familiare in quella caverna, ma non era in grado di localizzarlo. Le spade di Gondolin, che ora erano in mano a Gandalf e Thorin, la destabilizzavano.
Aspettò che gli altri uscissero e, una volta sola, chiuse gli occhi e si concentrò su quell’energia. Dovette camminare fino in fondo alla caverna per trovarla, e quando ne ebbe davanti la fonte non potè credere ai suoi occhi. Sfiorò l’oggetto con la punta delle dita prima di prenderlo delicatamente in mano. Era proprio lui, l’avrebbe riconosciuto ovunque. Se lo strinse al petto, ignorando lo sporco e le ragnatele di cui era circondato e uscì, mentre una lacrima scendeva sul suo viso coperto dal cappuccio.
«Ma nel caso ricorda questo:...» stava dicendo Gandalf allo hobbit quando passò loro accanto. «... il vero coraggio si basa sul sapere non quando prendere una vita, ma quando risparmiarla.» lei non lo stava neanche ascoltando, troppo persa nei meandri della sua mente, risucchiata nei ricordi che il ritrovamento di quell’oggetto aveva fatto riemergere. «Lumbar è una vera esperta in questo.»
Qualcosa la fece riemergere, e non furono le parole dello stregone ma un rumore che, ora ne era sicura, si stava dirigendo verso di loro. Le ci volle qualche secondo per capire di cosa si trattasse, poi si rilassò e attese.
«Arriva qualcosa!» urlò Thorin; doveva essere abbastanza vicino perchè lo sentissero anche loro. Lei attendeva una sua visita da un po’; da quando aveva avuto quella visione, in effetti.
«Rimanete uniti!» disse Gandalf facendo saltare tutti i nani sull’attenti.
Mentre loro puntavano le armi verso la boscaglia, la ragazza rimase immobile con le mani al petto, impegnate a stringere l’involto. A niente valsero i richiami dei suoi compagni, era nuovamente persa nei ricordi e, per quanto non volesse, sapeva che sarebbe successo ancora.
«Ladri! Fuoco! Assassinio!» urlò Radagast sbucando tra gli alberi con la sua slitta trainata da conigli e piombando in mezzo alla compagnia incredula.
«Radagast.» disse Gandalf abbassando il bastone. «È Radagast il Bruno. Bene… che cosa diamine ci fai qui?» gli chiese avvicinandosi e facendo rilassare i nani.
«Ti stavo cercando Gandalf.» rispose lui affannato. «C’è qualcosa di sbagliato… qualcosa di terribilmente sbagliato.»
«Sì?» chiese il Grigio.
Radagast provò a parlare due volte ma si bloccò.
«Oh, dammi solo un momento.» disse. «Avevo un pensiero e ora l’ho perso!» si lamentò. «L’avevo qui, sulla punta della lingua. No, non è un pensiero, no.» biascicò mentre un insettino usciva fuori dalla sua bocca e Gandalf glielo appoggiava sul palmo, con i nani che ridacchiavano alle loro spalle. «Insetto stecco.»
I due stregoni si allontanarono un po’ dai nani, che presero a chiacchierare tra loro.
«Il Bosco Fronzuto è malato, Gandalf.» disse Radagast. «L’oscurità è discesa su di esso. Non cresce più niente, ormai. Niente di buono, almeno.» Gandalf cominciò a camminare preoccupato. Lumbar, che ancora non si era mossa, ascoltava in silenzio con parte della sua mente che cercava di districarsi dai ricordi che minacciavano di sopraffarla. «L’aria è satura di putredine. Ma il peggio sono le ragnatele.»
«Ragnatele?» chiese Gandalf voltandosi. «Che intendi dire?»
«Ragni, Gandalf. Ragni giganti. Una specie di figli di Ungoliant, o io non sono uno stregone. Ho seguito le loro tracce. Venivano da… Dol Guldur.»
«Cosa? Dol Guldur?» disse Gandalf. «Ma la vecchia fortezza è abbandonata.»
«No, Gandalf. Non lo è.» e la ragazza si districò dai suoi ricordi per piombare in quelli dello stregone Bruno, dal punto in cui la visione si era interrotta.


Vedeva Radagast avvicinarsi a Dol Guldur, la vecchia fortezza di pietra semidistrutta, e poi superare il ponte che conduceva all’interno.


«Un potere oscuro dimora lì, tale che non ho mai avvertito prima.» lo sentì dire a Gandalf nella realtà, in sottofondo, mentre nella visione lui avanzava lento all’interno della fortezza. Lei aveva già avvertito quel potere, tanto tempo prima, anche se più forte. «L’ombra di un antico orrore. L’ombra che può riunire gli spiriti dei morti.»


E lei potè vedere ciò che aveva visto lui: lo spirito di un essere oscuro morto tantissimi anni prima che lo attacca con un pugnale, lui che si difende scoprendo che lo spirito è più solido di quanto sembri, lo spirito che scompare e il pugnale che cade al suolo.
Poi Radagast si voltò, terrorizzato.



«L’ho visto, Gandalf.» diceva il Bruno nella realtà. «Dall’oscurità è giunto un Negromante.»
A quelle parole il Grigio si volse di scatto verso di lei mentre la ragazza, ancora immersa nella visione, crollava a terra in preda agli spasmi. Lui accorse mettendola su un fianco e tentando di riportarla alla realtà. I nani si erano avvicinati preoccupati, non capendo cosa stesse succedendo, ma Gandalf li fece allontanare di nuovo. Una volta che tornò presente a se stessa, Lumbar si mise a sedere, stringendo ancora in una mano l’oggetto recuperato in precedenza. In quel momento era l’unica cosa che la teneva ancorata al presente. Aveva sentito la sua voce, dopo tutti quegli anni, ed era rimasta più scossa di quanto si fosse aspettata.
«Dunque.» disse Gandalf quando lei smise di tremare. «Un Negromante. Ne sei sicuro?» chiese a Radagast.
Il Bruno tirò fuori un involto di stoffa e lo porse a Gandalf. Lumbar si era sollevata in piedi, tremante, ma vedendo l’oggetto si era irrigidita al loro fianco e loro lo avevano notato subito.
«Non proviene dal mondo dei viventi.» disse Radagast mentre Gandalf lo apriva; all’interno c’era il pugnale del re degli Stregoni di Angmar, uno degli esseri più oscuri del passato.
Un ringhio impedì loro di aggiungere altro e li fece voltare verso il resto della Compagnia che si stava guardando intorno.
«È stato un lupo?» chiese lo hobbit. «Ci sono lupi qui intorno?»
«Lupi? No, quello non è un lupo.» disse Bofur mentre la ragazza gli si avvicinava velocemente, una mano pronta sull’arco e il misterioso oggetto al sicuro dentro uno stivale.
Un mannaro piombò in mezzo al gruppo e Thorin gli si avventò contro con la spada sguainata mentre diceva a Kili di usare l’arco per abbattere quello che stava arrivando alle sue spalle. Lumbar fu più veloce e lo colpì con una freccia uccidendolo, sul colpo. Si avvicinò per recuperarla, consapevole che le sarebbe servita durante il viaggio.
«Un mannaro ricognitore.» disse Thorin liberando la spada dalla carcassa di quello che aveva ucciso.
«Un branco di orchi non è molto distante da qui.» disse lei facendoli voltare. «Riesco a sentirli. Avrei dovuto accorgermene prima, mi dispiace.»
«Non è colpa tua, Lumbar. Le tue visioni non ti lasciano molta scelta.» osservò Gandalf, che aveva capito cos’era successo qualche minuto prima. Poi si volse, adirato, verso Thorin. «A chi hai parlato della tua impresa, oltre che alla tua famiglia?»
«A nessuno.» rispose lui.
«A chi l’hai detto?» chiese lui non credendogli.
«A nessuno, lo giuro.» disse nuovamente il nano.
«Gandalf!» esclamò Lumbar attirando la sua attenzione e comunicando con lui in silenzio.
«In nome di Durin, che succede?» chiese il nano non capendo e passando lo sguardo da uno all’altra.
«Ci stanno dando la caccia.» disse la ragazza.
«Dobbiamo spostarci.» disse Thorin capendo la gravità della situazione.
«Dobbiamo andarcene da qui.» aggiunse Dwalin.
«Non possiamo!» urlò Ori. «Non abbiamo i pony, sono scappati.»
«Li depisto io.» disse Radagast attirando l’attenzione della Compagnia su di sè; aveva uno strano sorrisetto in volto, e Lumbar capì subito perchè.
«Questi sono mannari di Gundabad, ti raggiungeranno.» protestò Gandalf.
«E questi sono conigli di Rhosgobel. Vorrei che quelli ci provassero.» rispose il Bruno ghignando.
Non vedendolo convinto, Lumbar appoggiò una mano sul braccio di Gandalf e annuì da sotto il cappuccio, tranquillizzandolo. Se lei credeva che ce l’avrebbe fatta, ci avrebbe creduto anche lui.
Così, mentre Radagast si faceva inseguire dal branco di orchi, la Compagnia si lanciò tra le colline riparandosi dietro alte rocce e aspettando che gli altri si allontanassero prima di proseguire verso il cumulo di rocce successive. Potevano vedere come, in effetti, i conigli fossero talmente veloci da non farsi mai raggiungere dai mannari. Facevano a zig zag attraverso le colline e Gandalf li guidava in una precisa direzione che la ragazza aveva subito compreso.
«Dove ci stai portando?» chiese Thorin allo stregone mentre aspettavano che gli altri li superassero in modo che loro tre chiudessero la fila.
Gandalf fece una faccia strana e non rispose, facendo alzare gli occhi al cielo al nano, e proseguirono. Si erano appena nascosti dietro un masso quando un mannaro apparve sopra le loro teste. Li aveva fiutati e stava seguendo il loro odore. Si appiattirono tutti contro la pietra, in silenzio, e alla ragazza venne un capogiro che la fece quasi accasciare, ma si tenne in piedi. Quello non era affatto il momento adatto per svenire. Sopra di loro l’orco aveva sguainato la spada e stava girando in tondo sulla roccia mentre il mannaro continuava ad annusare in cerca della loro traccia. Kili li colpì con delle frecce e, mentre quelli cadevano al suolo venendo uccisi a colpi di spada e ascia dagli altri nani, il branco di mannari li sentì e loro non ebbero altra scelta che correre senza fermarsi. Il diversivo di Radagast non avrebbe più funzionato, gli orchi avevano trovato prede più interessanti da cacciare. Gandalf li guidò attraverso le colline, Lumbar rimaneva in fondo per non perdere nessun compagno; se non si sbrigavano i mannari li avrebbero circondati, cosa che successe dopo qualche minuto. Gandalf si diresse verso delle rocce e i nani si prepararono a combattere. Lumbar stava per dire loro di seguirlo, ma ci pensò lo stesso stregone a farlo.
«Da questa parte, stupidi!» urlò, facendoli voltare e sparendo dopo qualche secondo.
«Presto, muovetevi!» disse Thorin, incitandoli a scendere nella grotta in cui era sparito lo stregone.
A un certo punto rimasero solamente lui, Kili e Lumbar, che avevano aspettato che tutti fossero al sicuro parandogli le spalle.
«Kili!» urlò al nipote. «Corri!»
Il ragazzo era il più lontano dal masso e cominciò a correre verso di loro mentre Lumbar, accanto a Thorin, era pronta a lanciare frecce contro chiunque gli si fosse avvicinato troppo. Thorin stava per voltarsi quando vide un movimento muoversi veloce contro il nipote, ma lei era pronta e uccise il mannaro con una freccia. Il ragazzo si lanciò dentro la buca e Lumbar spinse Thorin all’interno proprio mentre un altro mannaro stava per azzannarlo, finendo invece per mordere lei.
«Lumbar!» gridò Thorin.
Si era accorto del nemico e sapeva non sarebbe mai riuscito a schivarlo; lei gli aveva appena salvato la vita. Dalla posizione in cui era, insieme agli altri che si erano avvicinati all’apertura, poteva vedere solamente dei movimenti confusi e sentire il ringhiare del mannaro sopra le loro teste, ma non era in grado di fare niente.
Lumbar, d’altro canto, stava cercando in tutti i modi di scrollare il mannaro dal suo braccio mentre lottava con l’orco che lo cavalcava con l’altro. Era in bilico sulla roccia che dava nella grotta, ma non riusciva a scivolare all’interno a causa dei denti del mannaro che la tenevano bloccata lì. Per non parlare del dolore che le percorreva l’arto dalla punta delle dita alla spalla e si irradiava nel resto del corpo e dei nani che urlavano il suo nome sotto di lei. Finalmente riuscì a piantare una freccia in un occhio dell’orco con la mano libera, così potè prendere il pugnale dallo stivale e colpire il mannaro sul muso; lui la lasciò all’istante e lei scivolò all’interno della caverna, raggiungendo i suoi compagni.
In quello stesso momento sentirono un corno suonare sopra le loro teste e dei rumori di battaglia li raggiunsero. Lumbar si rilassò; sapeva a chi apparteneva quel corno e sapeva che ora erano al sicuro. Alzò il braccio ferito all’altezza del volto per constatare la gravità della ferita, approfittando del fatto che i suoi compagni fossero distratti da ciò che succedeva all’esterno: due lunghe impronte di denti le percorrevano tutto l'avambraccio e facevano fuoriuscire una gran quantità di sangue. Quel mannaro non voleva proprio lasciarla andare. Forse la trovava appetitosa, pensò con una smorfia.
Sentì un rumore sopra di lei e si spostò di scatto mentre dall’apertura rotolava dentro un orco ucciso da una freccia. Nascose il braccio sotto il mantello e Thorin strappò la freccia per osservarla.
«Elfi.» disse contrariato lanciando la freccia per terra, poi si voltò verso Lumbar. «Stai bene?» le chiese ispezionandola con lo sguardo. «Quel mannaro mi avrebbe ucciso se non mi avessi spinto via. Ti ha morso?»
Quando l’aveva vista rimanere fuori e combattere contro l’orco e il mannaro dopo avergli salvato la vita, si era ritrovato ad essere più preoccupato per lei di quanto si aspettasse, e ora voleva assicurarsi che fosse tutto a posto. E non solo perchè gli aveva salvato la vita.
«Sto bene.» rispose semplicemente lei rimettendosi in piedi con un movimento fluido, nonostante il sangue perso.
Lui non sembrava molto convinto, anzi non lo sembrava per niente, e la soppesò con lo sguardo fino a quando non venne distratto.
«Non vedo dove porta questo percorso.» disse Dwalin qualche passo più avanti. «Lo seguiamo o no?»
«Lo seguiamo, è chiaro!» disse Bofur raggiungendolo velocemente, seguito dagli altri.
«La trovo una cosa saggia.» disse Gandalf affiancando Lumbar in fondo alla fila.
Lei sorrise, consapevole di cosa intendesse; aveva riconosciuto quel cunicolo immediatamente e sapeva esattamente dove li avrebbe portati.
«Sicura di stare bene, mia cara?» le chiese.
«Tranquillo, Gandalf.» gli rispose. «Preoccupati di cosa dirai a Thorin quando arriveremo alla fine del sentiero.»
«Se ne farà una ragione, Lumbar. Saremmo dovuti venire qui comunque per leggere la mappa.»
«Lo so.» disse semplicemente lei.
Lo stregone la osservò di sottecchi. «Tu hai notato qualcosa, vero? Nella mappa.»
Lumbar sorrise. «Forse. Non sono esperta come lui, quindi mi serve una conferma.»
«Capisco.»

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Capitolo 4
*** 3. Un breve riposo ***






3. Un breve riposo
 
Il sentiero si diramava attraverso pareti di roccia molto più alte di loro, dalla cui cima arrivava la luce; era talmente stretto che dovevano stare in fila indiana e alcuni di loro faticavano a passare comunque. A un certo punto furono perfino costretti a spingere Bombur perchè si era incastrato.
Quando finalmente raggiunsero il fondo si ritrovarono di fronte a un'enorme valle nascosta tra le montagne e piena di alberi, con diverse cascate che scendevano dai fianchi delle pareti rocciose e una città elfica al centro. I nani si fermarono ad ammirare quella meraviglia sul ciglio dello strapiombo su cui li aveva condotti il sentiero, e da cui si scendeva tramite un altro viottolo che fiancheggiava la parete.
«La Valle di Imladris!» disse Gandalf affiancandoli. Lumbar si appoggiò alla pietra alle loro spalle cercando di non farsi notare, ma fortunatamente gli altri erano troppo concentrati sul panorama davanti a loro per badare a cosa gli accadeva dietro la schiena; la ragazza cominciava a faticare a stare in piedi, stava perdendo decisamente troppo sangue. «Nella lingua corrente è nota con un altro nome.»
«Granburrone.» completò lo hobbit.
«Qui si trova l'ultima Casa Accogliente a Est del mare.» spiegò loro lo stregone.
«Era il tuo piano, sicuro.» disse Thorin arrabbiato, fermandoglisi di fronte. «Trovare rifugio dal nostro nemico»
«Non hai alcun nemico qui, Thorin Scudodiquercia.» gli rispose, di rimando, il Grigio. «Il solo malanimo che si trova in questa valle è quello che porti tu stesso.»
«Pensi che gli elfi vorranno benedire la nostra impresa?» ribattè il nano, gli occhi che lampeggiavano di furia. «Piuttosto tenteranno di fermarci.»
«Certo che lo faranno.» disse Lumbar con calma, staccandosi dalla parete e avvicinandosi al gruppo. «Ma noi abbiamo domande che attendono una risposta.»
Il nano abbassò la testa, la rabbia nei suoi occhi sparita, rendendosi conto che quella ragazza riusciva sempre a dire le parole giuste per calmarlo e fargli ritrovare la ragione.
«Se vogliamo avere successo la faccenda va trattata con tatto e rispetto. E non poca dose di fascino.» continuò lo stregone. «Ecco perchè lascerai parlare me. E Lumbar, ovviamente.» disse lanciando uno sguardo alla ragazza alla fine della frase.
Poi cominciarono a scendere il sentiero che costeggiava la montagna e che li avrebbe condotti a Imladris. Passarono sopra al ponte che dava accesso alla città e si fermarono in una piazzetta da cui partivano delle scale che conducevano alle diverse sale del palazzo. I nani e lo hobbit si guardavano intorno sbalorditi; Lumbar, invece, non poteva fare a meno di notare quanto tutto fosse rimasto immutato con il passare del tempo. Quel luogo era ancora permeato da una pace immensa, di quelle che davano sollievo all’anima.
Un elfo con lunghi e lisci capelli neri tenuti indietro da due treccine, una lunga veste blu scuro sormontata da una mantella rossa e una tiara tipica del suo rango a incorniciargli la fronte scese le scale con calma e li raggiunse.
«Mithrandir!» disse facendo voltare lo stregone.
«Ah, Lindir!» gli si avvicinò lui.
«Lastannem i athrannedh i Vruinen. (Vi abbiamo uditi guadare il Rombirivo.)» disse, in elfico, Lindir.
«Dobbiamo parlare con re Elrond.» rispose Gandalf nella lingua comune, in modo che anche il resto della compagnia potesse capire.
«Dobbiamo?» chiese l'elfo.
Lumbar si fece avanti. «Salve, Lindir.» sorrise tranquilla, la dolcezza nello sguardo coperto dal cappuccio.
Era da tanto che non si vedevano.
L'elfo sgranò leggermente gli occhi, sorpreso.
«Mia Signora?» domandò sorpreso, pur rimanendo composto come da sua abitudine. «Siete davvero voi?»
«Sì, Lindir.» confermò lei. «Quante volte ti ho detto di non chiamarmi “mia Signora” e di darmi del tu?»
«Molte, mia Signora.» rispose lui, sorridendo colpevole. La sua educazione e il suo carattere gli impedivano di farlo.
«Non abbastanza, a quanto pare.» sospirò Lumbar. «È un piacere rivederti.»
«Anche per me, mia Signora.» rispose lui prima di concentrarsi su Gandalf. «Il mio Signore Elrond non è qui.» disse.
«Non è qui? E dov'è?» chiese lo stregone; ma Lumbar si era già voltata, avendo captato un rumore di zoccoli avvicinarsi e attirando l'attenzione degli altri su di sè.
In quel momento un corno risuonò nella valle, producendo lo stesso suono che avevano sentito quando erano stati attaccati dagli orchi, e videro un gruppo di elfi a cavallo avvicinarsi velocemente.
«Ifridî bekâr! (Preparate le armi!) Serrate i ranghi!» urlò Thorin, facendo compattare i nani e mettendo al centro lo hobbit, mentre Gandalf perdeva il sorriso e Lumbar cominciava a sentire le gambe cedere.
Tuttavia nessuno dei due si mosse ed entrambi rimasero accanto a Lindir, in attesa di vedere cosa sarebbe successo.
Gli elfi a cavallo circondarono i nani in due anelli concentrici e girarono in cerchio senza fermarsi, uno in un senso e uno nell’altro, fino a quando non fu Elrond stesso, Signore di Imladris, a fermarli.
«Gandalf!» salutò lo stregone.
«Re Elrond.» ricambiò il Grigio, avvicinandoglisi. «Mellonnen! (Amico mio!)” si inchinò leggermente. “Mo evínedh? (Dove sei stato?)»
«Farannem 'lamhoth i udul o charad. (Stavamo inseguendo gli orchi che venivano da Sud.)” rispose Elrond scendendo da cavallo. “Dagannem rim na Iant Vedui. (Ne abbiamo abbattuti diversi presso l'Ultimo Ponte.)» continuò avvicinandosi al Grigio per abbracciarlo. «Strano per gli orchi avvicinarsi tanto ai nostri confini.» concluse consegnando la spada di un orco a Lindir. «Qualcosa, o qualcuno, li ha attirati.»
«Ah, magari siamo stati noi.» disse Gandalf indicando i nani dietro di lui.
Thorin si fece avanti - diffidente, orgoglioso e testardo come suo solito - ed Elrond gli si avvicinò, osservandolo.
«Benvenuto Thorin, figlio di Thrain.» gli disse, riconoscendolo.
«Non penso che ci conosciamo.» ribattè il nano, contrariato e incurante di chi avesse davanti.
«Tuo nonno aveva lo stesso portamento.» gli spiegò l'elfo, ignorando volutamente la provocazione. «Conoscevo Thror, quando regnava Sotto la Montagna.»
«Ah sì? Non ti ha mai menzionato.» rispose l’altro, con sfida.
Elrond lo osservò in silenzio, studiandolo apertamente. Probabilmente si stava chiedendo come mai lei si era tanto interessata al quel nano testardo e orgoglioso.
«Ero stato avvertito su di te. Mi avevano parlato della tua testardaggine, particolarmente radicata nel tuo carattere e superiore a quella di qualunque altro nano. Non preoccuparti.» aggiunse senza perdere la sua compostezza, prima che Thorin potesse lamentarsi. «La persona che me l'ha detto adorava questa tua caratteristica, perchè diceva rispecchiasse molto la sua.» si volse verso Gandalf, incuriosito e preoccupato. «Da quanto non hai sue notizie?»
«Ehm, veramente...» cominciò lo stregone, distogliendo lo sguardo. Non sapeva esattamente come dirglielo…
«Sono qui.» disse Lumbar, risparmiandogli la fatica e facendo voltare nani, elfi e hobbit nella sua direzione. Il Grigio la stava già guardando. «Salve re Elrond!» il tono della sua voce si era irrimediabilmente ammorbidito, rispetto a come l’avevano sentito gli altri componenti della Compagnia fino a quel momento, e i nani non poterono fare a meno di notarlo, tanto che Thorin si chiese, infastidito, cosa legasse lei e quel tipo dalle orecchie a punta.
«Amica mia.» disse Elrond, avvicinandosi per stringerla in un lungo e sentito abbraccio. «È bello vederti. Come stai?»
«È passato molto tempo dalla mia ultima visita. Ti trovo bene.» sviò lei ricambiando l’abbraccio, ma tentando di non mostrare la ferita che continuava a sanguinare.
Per non si sa quale miracolo, infatti, i vestiti avevano assorbito tutto il sangue che aveva perso e nessuno della Compagnia lo aveva notato. Ancora.
«Sei tu che hai scelto di non tornare prima.» le fece notare l'elfo, lasciandola andare.
«Vero. Colpa mia.» ammise lei, con un sorrisetto. «Ma sono contenta di essere qui, ora.»
Ed era sincera. Elrond poteva leggerlo nel suo sguardo spento e pieno di dolore, comprendendo quanto dovesse pesarle la situazione in cui si trovava. Sperò che trovasse un po’ di pace nella sua casa, nonostante immaginasse che non sarebbe rimasta a lungo.
«Nartho i noer, toltho i viruvor. Boe i annam vann a nethail vin. (Siano accesi i forni, preparato il miruvor. Dobbiamo rifocillare i nostri ospiti.)» disse l'elfo dopo che si furono separati.
«Che sta dicendo? Quello ci sta offrendo insulti?» disse Gloin facendosi spazio tra i suoi compagni mentre quelli si lamentavano, infervorandosi.
Prima che Gandalf potesse spiegare o che Elrond si offendesse, una risata cristallina riempì l'aria; era leggera, calda e soave come la voce della persona a cui apparteneva e aveva catturato l'attenzione di tutti. Nani, elfi, hobbit e stregone si erano, infatti, voltati meravigliati verso Lumbar, che rideva serena davanti a loro. Elrond e Gandalf si scambiarono uno sguardo: entrambi si stavano chiedendo da quanti decenni non sentivano quel suono così dolce, da quanti decenni la loro amica non rideva così liberamente. I nani, invece, cercavano di capire come mai quel suono così soave gli era tanto familiare, ma non trovarono risposta. Per lo hobbit, e per i nani più giovani, era semplicemente il suono più bello che avesse mai sentito.
Una volta calmatasi, Lumbar spiegò. «Quando re Elrond insulterà volontariamente un ospite, nevicherà in estate.» fece sorridere l'elfo. «Vi sta offrendo del cibo.»
I nani parlottarono tra loro, scambiandosi idee e opinioni, poi si voltarono nuovamente verso di loro.
«Ah beh, allora facci strada.» disse Gloin.
E così lui fece, dirigendosi all'interno e conducendoli in diverse stanze in cui si sarebbero potuti rinfrescare prima della cena. Lumbar si era volatilizzata: aveva una stanza fissa, gentile dono di Elrond, in cui si fermava ogni volta che faceva loro visita e si era diretta lì consapevole di avere il benestare del re. Una volta entrata si diresse velocemente in bagno e aprì l'armadietto in cui conservava le bende e tutto l'occorrente per curare le ferite, partendo dall'Athelas, e si medicò il braccio avvolgendolo poi con una benda. Tirò un sospiro di sollievo; non sarebbe riuscita a reggere ancora a lungo, pensò guardandosi allo specchio: il suo volto era incredibilmente pallido, anche per uno della sua specie; aveva la pelle quasi trasparente per la mancanza di energie e il dissanguamento a cui si era sottoposta per non far preoccupare i suoi compagni. Se non avesse portato il cappuccio lo avrebbero capito in fretta: sembrava un morto che cammina in quel momento.
Diede una lavata ai suoi vestiti e si ripulì dal sangue, indossando uno dei cambi di indumenti che aveva nell'armadio. Fortunatamente ne lasciava sempre insieme agli abiti da dama che Arwen si ostinava a donarle, nonostante sapesse che non li avrebbe mai portati. La figlia di Elrond diceva che le faceva piacere regalarglieli e Lumbar si riprometteva di indossarli, un giorno. Tuttavia quel giorno ancora non si era visto, quindi scelse una mise estremamente simile alla precedente: pantaloni scuri in pelle stretti ma comodi; una camicia lunga fino quasi alle ginocchia bianca, morbida e leggermente larga, stretta al corpo da un corsetto in pelle marrone, e con le maniche lunghe su cui legò i bracciali, anch'essi in pelle, all'altezza degli avambracci; la cintura in vita a cui avrebbe appeso la spada prima di ripartire; i suoi immancabili stivali alti fino al ginocchio, dentro cui nascose l'oggetto che aveva trovato nella caverna dei Troll; infine il cappuccio, a coprire il suo volto, come al solito. Elrond non ne sarebbe stato infastidito; sapeva che dopo quel giorno lei lo portava sempre e lo aveva accettato.
 

 
****

 
Quando bussarono alla porta, Lumbar andò ad aprire ritrovandosi di fronte Elrond che le sorrideva gentile.
«Sei riuscita a medicarti?» le chiese tranquillo.
Lei stette in silenzio qualche secondo, poi sospirò. Doveva aspettarselo. Chiuse la porta alle sue spalle e si incamminarono nel corridoio per raggiungere gli altri.
«Sto bene.» gli disse. «Come l'hai capito?»
«Quando ci siamo salutati ti sei irrigidita; quasi non me ne sono accorto, ma i tuoi abiti erano bagnati e ho capito che eri ferita. Anche Mithrandir aveva notato che qualcosa non andava e mi ha chiesto di verificare come stavi.» rivelò l'elfo.
Lei gli mostrò il braccio fasciato. «Guarirò. Un mannaro ha voluto assaggiarmi e ho perso molto sangue, ma non è niente di grave.» disse. «Riesco a muoverlo senza problemi, dita della mano comprese.»
«E il dolore?» chiese lui, premuroso come sempre.
Lei alzò le spalle, noncurante. «A quello sono abituata.»
In quel momento vennero affiancati da Gandalf, arrivato silenziosamente dal corridoio alle loro spalle.
«Sei stato gentile a invitarci.» disse a Elrond mentre entravano nella sala in cui erano già presenti i nani. «Non sono vestito per la cena.»
Elrond sorrise. «Beh, non lo sei mai.» rispose facendolo ridere.
I tre salirono dei gradini e si accomodarono a tavola: Gandalf alla sua destra, Lumbar alla sua sinistra e Thorin accanto a Lumbar. Durante la cena, rigorosamente vegetariana a causa dell’alimentazione priva di carne tipica degli elfi, lo stregone e il nano mostrarono all'elfo le spade che avevano trovato e lui le analizzò.
«Questa è Orcrist, la Fendiorchi.» spiegò a Thorin osservando le caratteristiche dell’arma. «Una lama famosa, forgiata dagli Alti Elfi dell'Ovest, la mia famiglia. Possa servirti bene.» Thorin ringraziò con un cenno riprendendo la spada e Elrond passò all'altra. «E questa è Glamdring, la Battinemici, spada del re di Gondolin. Queste spade furono fatte per combattere le guerre degli orchi della Prima Era. Come ne sei entrato in possesso?» chiese restituendo la lama a Gandalf.
«Le abbiamo trovate nel bottino dei troll sulla Grande Via Est, poco prima di un'imboscata degli orchi.» spiegò lo stregone mentre il nano diventava serio.
«E che stavate facendo sulla Grande Via Est?» chiese nuovamente l'elfo.
Avendo terminato la cena, decisero di spostarsi nello studio di Elrond insieme a Balin e Bilbo, in modo da avere un po’ di privacy e continuare la conversazione in tranquillità, mentre gli altri nani rimasero nel chiostro a chiacchierare.
«Le nostre faccende non sono affari degli elfi.» disse Thorin contrariato.
«Per tutti i fulmini, Thorin, mostragli la mappa!» gli disse Gandalf.
«È il lascito del mio popolo. Mia da proteggere, così come i suoi segreti.» si ostinò lui.
«Salvatemi dalla caparbietà dei nani! Il tuo orgoglio sarà la tua rovina.» protestò il Grigio.
Lumbar si fece avanti. «Sei alla presenza di uno dei pochi nella Terra di Mezzo che sa leggere la mappa. Io ho una teoria ma non sono esperta quanto lui. Mostrala a re Elrond, Thorin.»
L'elfo attendeva in silenzio, perfettamente calmo, lo hobbit passava lo sguardo confuso da uno all'altro e Balin osservava il suo re. Thorin infilò una mano all'interno della giacca e tirò fuori la mappa senza distogliere lo sguardo dalla ragazza.
«Thorin, no!» disse Balin tentando di fermarlo.
Ma lui si avvicinò al re degli elfi e gli porse la mappa. Elrond la aprì e capì subito di cosa si trattava.
«Erebor.» disse alzando gli occhi sul nano. «Qual è il vostro interesse per questa mappa?»
Prima che uno dei nani potesse rispondere lo fece Gandalf. «È per lo più accademico. Come sai questo genere di manufatto, a volte, contiene un testo nascosto.» Elrond sembrò non credere molto a quella giustificazione ma non protestò e si avvicinò alla finestra da cui entrava la luce della luna, mentre Gandalf ammoniva Thorin con lo sguardo, facendolo sospirare silenziosamente. «Leggi ancora il nanico antico, non è vero?» chiese all'elfo.
«Ah, Cirth Ithil. (Rune lunari)» disse Elrond esaminando la mappa sotto la luce dei raggi della luna.
«Rune lunari?» chiese Gandalf sorpreso.
«Lo sapevo.» disse Lumbar.
«Le avevi viste, vero?» le chiese lo stregone.
«Non ne ero sicura.» ammise lei. «Non erano molto chiare.»
«È facile non vederle.» spiegò Gandalf allo hobbit che li guardava con un enorme punto interrogativo sul volto.
«Beh, in questo caso è vero. Le rune lunari possono essere lette solo al chiaro di una luna che sia della stessa forma e stagione del giorno in cui sono state scritte.» spiegò l'elfo voltandosi verso di loro.
«Riesci a leggerle?» gli chiese Thorin speranzoso.
Elrond li portò sotto una cascata.
«Queste rune sono state scritte in una vigilia di mezza estate, al chiaro di una luna crescente, circa duecento anni fa.» disse avvicinandosi a un altarino di cristallo e appoggiandoci sopra la mappa, dopo aver lanciato uno sguardo alla ragazza. «Pare tu fossi destinato a venire a Granburrone.» si volse verso il nano. «Il fato è con te, Thorin Scudodiquercia.» continuò mentre quello si voltava verso la cascata per osservare il cielo all'esterno. «La stessa luna splende su di noi stanotte.»
In quel momento la luna fece capolino da dietro una nuvola e i suoi raggi passarono attraverso la cascata, riflettendosi sull'altare e illuminando la mappa da sotto, facendo apparire, di conseguenza, delle rune azzurre sul bordo in basso a destra.
«Sta accanto alla pietra grigia quando il tordo picchia,
e il sole che scende col suo risolutivo raggio nel dì di Durin
splenderà sul buco della serratura.» lesse Elrond.
«Il dì di Durin?» chiese Bilbo.
«È l'inizio dell'Anno Nuovo per i nani, quando l'ultima luna d'autunno e il primo sole d'inverno appaiono insieme nel cielo.» rispose Gandalf.
«Infausta notizia.» disse Thorin attirando l'attenzione. «L'estate sta passando. Il dì di Durin incombe su di noi.»
«Abbiamo ancora tempo.» lo tranquillizzò Balin.
«Tempo? Per cosa?» chiese nuovamente lo hobbit, smarrito.
«Per trovare l'entrata.» spiegò il vecchio nano. «Dobbiamo stare esattamente nel posto giusto, ed esattamente nel momento giusto. Allora, e solo allora, la porta può essere aperta.» spiegò mettendo le mani sui fianchi.
«Così questo è il vostro scopo? Entrare nella Montagna?» chiese Elrond con la mappa arrotolata in mano.
«Che hai da ridire?» chiese Thorin infastidito voltandosi verso l'elfo.
«Ci sono alcuni che non lo riterrebbero saggio.» gli spiegò restituendogli con garbo la mappa che il nano prese.
«Come sarebbe?» chiese Gandalf confuso.
«Voi non siete i soli Guardiani che stanno a vegliare sulla Terra di Mezzo.» gli disse Elrond rivolto anche a Lumbar, prima di tornare indietro.
«Maledizione!» disse lei capendo subito a chi si riferiva, andandogli dietro dopo aver fatto un cenno a Thorin e seguita da Gandalf.
Gli altri si diressero velocemente verso i compagni.
«Con o senza il nostro aiuto questi nani marceranno sulla Montagna.» disse Gandalf a Elrond mentre salivano le scale che portavano alla sala del consiglio. «Sono determinati a reclamare la loro terra natia. Non credo proprio che Thorin Scudodiquercia senta di dover chiedere il permesso a qualcuno. E se è per quello io neanche.»
«Non è a me che devi chiedere l'autorizzazione.» rispose l'elfo fermandosi in cima alle scale e osservando qualcosa all'interno della stanza del consiglio.
Gandalf e Lumbar si voltarono, lei consapevole lui dubbioso, e videro Dama Galadriel sul terrazzo che si girava lentamente verso di loro.
«Lady Galadriel.» disse Gandalf, sorpreso, facendo un passo avanti.
«Mithrandir.» rispose lei. «Gwenwin în únodui. (Incalcolabili anni sono trascorsi.)»
Gandalf si inchinò leggermente. «Nae nin gwistant infanneth, mal ú-eichia i Chíril Lorien. (Ahimé, lunghi anni hanno cambiato me, ma è immutata la Dama di Lorien.)»
Lei sorrise, dolce. «Amica mia.» si rivolse a Lumbar. «Mae govannen. (Ben trovata.)»
«Altrettanto.» rispose lei semplicemente.
«Non avevo idea che il re Elrond ti avesse chiamata.» disse Gandalf voltandosi verso l'elfo.
«Non è stato lui.» dissero insieme Lumbar e una voce grave alle loro spalle che lo fece bloccare e chiudere gli occhi.
«Sono stato io.» completò la stessa voce.
Lo stregone e la ragazza si voltarono, ritrovandosi davanti Saruman il Bianco, un uomo dalla lunga veste completamente bianca – come il suo bastone – e una barba altrettanto lunga, il più potente degli Istari.
«Ah.» disse Gandalf mentre chinava la testa in segno di saluto, come Elrond. «Saruman.»
«Sei stato occupato di recente, amico mio.» disse il Bianco sorridendo e ignorando completamente Lumbar, prima di accomodarsi al tavolo. «Dimmi, Gandalf, pensavi che queste tue trame, e questi tuoi piani, sarebbero passati inosservati?»
«Inosservati?» chiese lui non capendo.
Era l'unico ad essersi seduto oltre a Saruman: Elrond era in piedi alla destra di Gandalf e alla sinistra di Saruman; Galadriel si trovava nella stessa posizione, di fronte a lui, dall'altro lato del tavolo; mentre Lumbar si era sistemata al di là dell'arco che divideva il terrazzino dalla sala, seduta con le gambe nel vuoto, in modo da poter vedere il sole ormai sorgere. Sembrava non ascoltasse, ma non si perdeva una sillaba.
«No. Sto semplicemente facendo quello che ritengo giusto.» continuò Gandalf appoggiandosi allo schienale.
«Il drago è da lungo nella tua mente.» disse Galadriel voltandosi verso di lui.
Gandalf la guardò, annuendo. «Questo è vero, mia Signora.» poi si riconcentrò su Saruman. «Smaug non deve fedeltà a nessuno. Ma se dovesse schierarsi con il nemico, un drago può essere usato con un terribile effetto.»
«Quale nemico?» chiese Saruman. «Gandalf, il nemico è sconfitto. Sauron è vinto. Non potrà mai più riacquisire la sua forza.»
«Gandalf.» disse Elrond, che ora stava appoggiato a una colonna. «Per quattrocento anni abbiamo vissuto in pace, una pace vinta a fatica e vigilata.»
«Lo siamo? Siamo in pace?» chiese il Grigio. «I troll sono venuti giù dalle montagne. Saccheggiano villaggi, distruggono fattorie. Gli orchi ci hanno attaccati lungo la via.»
«Tutt'altro che un preludio alla guerra.» disse Elrond avvicinandosi al tavolo.
«Sempre devi intrometterti, in cerca di guai dove non esistono.» continuò Saruman.
«Lasciatelo parlare.» intervenne Galadriel passeggiando per la sala.
«C'è qualcosa all'opera, dietro il male di Smaug.» riprese il Grigio. «Qualcosa di molto più potente. Possiamo rimanere ciechi nei suoi confronti, ma esso non ignorerà noi, ve lo assicuro. Una malattia aleggia su Bosco Fronzuto. Quelli che abitano lì ora lo chiamano Bosco Atro e... dicono...»
«Ebbene?» chiese Saruman, impaziente, spostandosi col corpo in avanti. «Non fermarti ora. Dicci cosa dicono gli abitanti del Bosco.»
«Parlano di un Negromante che vive a Dol Guldur. Uno stregone che può evocare i morti.»
«Questo è assurdo.» disse Saruman. «Non esiste un tale potere a questo mondo. Questo Negromante non è altro che un uomo mortale. Un illusionista che si diletta di magia nera.»
«E così la pensavo anch'io. Ma Radagast ha visto...»
«Radagast?» chiese Saruman. «Non devi parlarmi di Radagast il Bruno. È uno sciocco, quello.»
«È meno sciocco di quanto credi.» mormorò Lumbar.
«Beh, è strano, te lo concedo.» ammise Gandalf, lanciandole un’occhiata. «Conduce una vita solitaria, e...»
«Non è questo, è il suo eccessivo uso di funghi allucinogeni. Gli hanno disorientato la mente e ingiallito i denti. Lo avevo avvertito. È disdicevole per uno degli Istari vivere nei boschi...»
Saruman continuava a parlare ma Lumbar non lo ascoltava più, troppo impegnata nel mandare un messaggio silenzioso e assicurarsi che fosse stato recepito. Si concentrò di nuovo sulla conversazione quando vide Gandalf tirare fuori l'involto che gli aveva dato Radagast e appoggiarlo sul tavolo.
«Cos'è quello?» chiese Elrond preoccupato fissando l'involto.
Persino Saruman si era zittito. Ognuno di loro era in grado di percepire l’aura maligna di quell’oggetto.
«Una reliquia di Mordor.» disse Galadriel.
Elrond spostò lentamente i lembi del tessuto, rivelando il pugnale, ma senza toccarlo. Lo riconobbe subito. «Una lama Morgul.»
«Fatta per il re degli Stregoni di Angmar.» aggiunse Galadriel. «E sepolta con lui. Quando Angmar cadde, gli uomini del Nord sigillarono il suo corpo e quanto lui possedeva nelle Colline di Rhudaur. Nella profondità della roccia lo seppellirono, in una tomba così oscura che non sarebbe mai venuta alla luce.»
«Ma questo non è possibile.» disse Elrond. «Un potente incantesimo grava su quelle tombe. Non possono essere aperte.»
«Quali prove abbiamo che questa arma provenga dalla tomba di Angmar?» chiese Saruman.
«Non ne ho alcuna.» disse Gandalf.
«Perchè non ne esiste alcuna.» si intestardì Saruman. «Esaminiamo ciò che sappiamo: un singolo branco di orchi ha osato attraversare il Bruinen. Una daga di un'Era passata è stata trovata e uno stregone umano, che si fa chiamare il Negromante, ha preso residenza in una fortezza in rovina. Non è granchè, dopotutto. La domanda di questa Compagnia di nani, tuttavia, mi turba profondamente. Non sono convinto, Gandalf. Non mi sento di poter incoraggiare una tale impresa. Se fossero venuti da me avrei risparmiato loro questa delusione. Non pretendo di comprendere perchè hai acceso le loro speranze...»
Se ne vanno. Disse Galadriel nelle menti di Lumbar e Gandalf, mentre affiancava la ragazza e guardava il punto in cui fissava lei.
Sì. Confermò Gandalf scambiando uno sguardo con Lumbar.
Voi sapevate. Comprese l'elfa.
Li ho tenuti d'occhio tutto il tempo e ho fatto un segno a Thorin per fargli capire che dovevano andare. Spiegò tranquillamente Lumbar, facendo sorridere leggermente gli altri due. Galadriel approvava di nascosto la mossa della ragazza.
«Temo che non ci sia nient'altro da fare.» disse Saruman mentre Lindir faceva la sua comparsa.
«Mio Signore Elrond.» disse l'elfo, a disagio. «I nani se ne sono andati.»
«Finalmente.» disse Lumbar alzandosi in piedi e mettendosi a posto i vestiti. «Vediamo di finire in fretta che dobbiamo raggiungerli.» si avvicinò al tavolo e si rivolse a Saruman mentre Lindir se ne andava. «Tu credi che non ci siano prove valide per supportare la tesi di Gandalf, io dico che sbagli. Io stessa sono una prova, e non ci vuole molto a dimostrarlo.» gli ricordò abbassandosi il cappuccio e mettendo in mostra i suoi particolari capelli.
Erano lunghi e perfettamente lisci, come quelli degli elfi; ma non erano biondi, castano-rossicci o neri, erano bicolori: ciocche nere si mescolavano a ciocche bianche, con un'evidente maggioranza delle prime; meno della metà dei suoi capelli, infatti, era bianca.
«Perchè non me l'hai detto?» le chiese Gandalf.
«Non ne ho avuto il tempo.» rispose lei, minimizzando. «E poi non è l'unica prova.»
«Di cosa stai parlando?» chiese Elrond temendo la sua risposta.
«Dal bottino dei troll ho preso qualcosa anch'io.» disse con espressione colpevole verso il Grigio, che la guardava sempre più sorpreso non capacitandosi di ciò che sentiva. «Ho trovato una cosa, nel fondo della caverna. Una cosa che non pensavo avrei mai rivisto.» continuò tirando fuori l'oggetto dallo stivale e appoggiandolo sul tavolo.
A differenza di quando lo aveva trovato nella caverna, ora era perfettamente pulito e questo permise agli altri di riconoscerlo all'istante. Elrond fece un passo indietro mentre negli occhi di Galadriel passava un lampo di consapevolezza. Persino Saruman sembrava turbato, anche se lo nascose subito.
«Questo è...» iniziò l'elfo.
«Helevorn.» concluse lei. «Vetro Nero. Il pugnale di mia madre. Lo stesso pugnale che mi diede quando riuscii a fuggire da Utumno. Lo stesso pugnale che Morgoth usò per ucciderla davanti ai miei occhi alla fine della guerra.» sospirò. «Lo stesso pugnale con cui Sauron mi pugnalò quattrocento anni fa, durante la Guerra dell'Anello. Era scomparso insieme a lui.»
«Questo non è possibile.» disse Saruman.
«Lo stai ripetendo un po’ troppo spesso, non ti pare?» lo rimbeccò lei, prima di riprendere. «Credimi, stregone, so riconoscere quel pugnale quando lo vedo. Non ho nemmeno bisogno di vederlo, in realtà, Helevorn ha un'aura tutta sua che mi permette di accorgermi della sua presenza da lontano. Le emozioni conflittuali che provo verso di lui mi rendono particolarmente sicura.» lo rimise nello stivale. «Inoltre anch’io ho visto il Negromante nelle mie visioni.» rabbrividì al pensiero di come si era sentita. «E confermo tutto. Pensa quello che vuoi ora, non mi interessa. Anche se per essere un Istari hai davvero una mente ristretta. In ogni caso, ho promesso che avrei aiutato Thorin a riconquistare casa sua e manterrò la promessa.» disse avviandosi verso le scale, senza voltarsi. «Gandalf, raggiungici quando hai finito. Elrond, Galadriel sono sicura ci rivedremo presto.» concluse prima di sparire oltre le scale.
Passò dalla sua stanza per recuperare le altre armi: si legò Fuinur, la spada, in vita; mise Galvorn, il suo pugnale, nell'altro stivale; arco e faretra, opportunamente riempita di frecce, finirono sulla sua schiena. Infine si diresse al sentiero che avevano intrapreso i nani.
Mentre passava sopra il ponte da cui erano arrivati si tirò su il cappuccio senza voltarsi indietro. Avrebbe raggiunto i suoi compagni il più in fretta possibile. Avrebbe mantenuto la sua promessa. Avrebbe rivisto Erebor.

 

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Capitolo 5
*** 4. In salita e in discesa ***






4. In salita e in discesa
 
Impiegò poco tempo a raggiungere il gruppo, neanche mezza giornata di viaggio; era molto più veloce rispetto a un nano e questo le permise di fare in fretta. Nessuno le fece domande, aspettando la sera, e continuarono a camminare a passo spedito. Lei affiancò Thorin, guidando il gruppo in silenzio.
Camminarono a lungo, le Montagne Nebbiose che si avvicinavano sempre più, minacciose e fredde; nonostante si trovassero ancora sulle pianure tirava un vento freddo, quello che ti entra nelle ossa e là rimane, per quanto tu possa essere vestito. Il giorno dopo averli raggiunti Lumbar aveva iniziato a canticchiare a mezza voce, per distrarsi da quel freddo pungente, ma a nessuno dispiaceva più di tanto: la sua voce era calda e armoniosa nonostante fosse poco più di un sussurro, era piacevole e li faceva quasi sentire a casa dal senso di familiarità che gli donava. Era sempre la stessa canzone, ne canticchiava la melodia quasi ininterrottamente mentre camminavano; aveva fatto un sogno particolarmente cruento e potenzialmente pericoloso e quella canzone le era tornata in mente dopo anni, troppo simile a cosa stavano per affrontare e corrispondente più del dovuto al passato per poterla davvero dimenticare.
Andarono avanti così per giorni, poi la pianura lasciò il posto alle rocce aspre e loro presero un sentiero che li avrebbe portati su, sempre di più, in un cammino tortuoso e solitario; l'aria si fece gelida, il passaggio più stretto sul fianco della montagna: se avessero compiuto un passo falso, o fossero inciampati o scivolati su una pietra, sarebbero precipitati in un dirupo via via sempre più profondo e buio.
Proseguirono anche quando la notte scese su di loro, accompagnata da una potente e fastidiosa pioggia. Incerti su dove mettevano i piedi, rischiavano di cadere dal precipizio su cui si trovavano ad ogni minimo movimento. Dovevano proseguire in fila indiana a causa del sottile sentiero su cui posavano i piedi, spesso troppo stretto per poggiarli del tutto sulla pietra.
«Fermi! Aspettate!» urlò Thorin per farsi sentire sopra la tempesta.
Nel frattempo Bilbo aveva rischiato di cadere e Dwalin lo aveva bruscamente riportato al sicuro, attaccandolo alla parete alle loro spalle.
«Dobbiamo trovare riparo!» urlò ancora Thorin.
«Attenzione!» urlò Lumbar allarmando tutti.
Aveva sentito arrivare qualcosa, sotto ai fischi e agli ululati del vento, ma non riusciva a capire che cosa. Sapeva solo che era grande e che sarebbe arrivato dalla zona alla loro destra, o di fronte per chi procedeva con la schiena rasente alla parete di roccia.
Un gigantesco masso venne scagliato contro di loro e andò a colpire un punto imprecisato sopra le loro teste, finendo in frantumi che si riversarono su di loro. Furono costretti a schiacciarsi contro la parete della montagna per cercare di ripararsi da quella pioggia di sassi mentre la montagna tremava.
«Questo non è un temporale!» urlò Balin sconcertato fissando una montagna muoversi davanti a loro. «È una battaglia tra tuoni! Guardate!» disse, infatti, indicando nella direzione in cui era puntato il suo sguardo, dove notarono un gigante di pietra staccarsi dalla parete alle sue spalle, prendere la vetta e spezzarla.
«Che mi venga un colpo!» Bofur si avvicinò al burrone per vedere meglio, noncurante del pericolo. «Le leggende sono vere! Giganti! Giganti di Pietra!»
«Sì, e avrei preferito non incontrarli.» disse Lumbar facendoli voltare.
«E perchè?» chiese Bofur confuso.
Per lui erano una vera meraviglia.
«Tu che dici?» chiese sarcastica lei, alzando gli occhi al cielo per l’esasperazione – nonostante la pessima situazione in cui si trovavano – prima di riportare l’attenzione sul gigante che stava lanciando la vetta nella loro direzione. «Giù!» urlò a tutti.
La cima li superò di parecchio. Andò a colpire un secondo gigante che si stava avvicinando da dietro di loro e lo mandando contro un’altra montagna.
«Riparati stupido!» urlò Thorin a Bofur mentre altri due nani lo riportavano contro la parete di roccia.
Le pietre tremarono, sotto di loro, e in quel momento la compagnia si rese conto di trovarsi ancora più nei guai: erano su un gigante anche loro, e quello stava per prendere parte alla battaglia con loro addosso. Si ritrovarono sulle sue gambe, poco sotto le ginocchia. Quando il gigante si alzò, loro vennero irrimediabilmente divisi in due gruppi. Fili aveva cercato di tirare Kili dalla sua parte ma non ci era riuscito; Lumbar, accanto al moro, gli strinse un braccio cercando di rassicurarlo, ma anche per celare l’improvviso capogiro che l’aveva colpita. Ne stava avendo sempre più spesso, indice di ciò che stava accadendo in quelle terre, ma non poteva pensarci in quelle circostanze e non voleva farlo notare agli altri.
Il loro gigante, nel frattempo, venne raggiunto da un altro della sua razza. Quello gli diede una testata in faccia e lui ricadde pesantemente sulla montagna alle sue spalle. Il gruppo di Thorin, Kili, Balin, Bifur, Nori, Oin, Gloin e Dori ne approfittò per scendere dal suo ginocchio e si ripararono sulla montagna; purtroppo gli altri non furono così fortunati: non avevano possibilità di fuga a causa della distanza che li separava dalla montagna, quindi non poterono fare altro che tenersi stretti alla roccia dietro di loro e cercare di non cadere mentre i due giganti facevano a pugni sopra le loro teste, rischiando di farli precipitare nel vuoto sotto lo sguardo spaventato e preoccupato dei loro compagni. Il loro gigante riuscì a mandare al tappeto il suo avversario, ma non si accorse del masso grande quanto la sua testa che il terzo gli aveva lanciato contro e che lo colpì in pieno. Gli staccò la testa e quella precipitò sui nani al sicuro che, però, riuscirono a proteggersi mentre osservavano il corpo del gigante, con sopra ancora il resto della compagnia, schiantarsi contro la parete della montagna e poi finire al suolo. Urlarono di paura e orrore.
Quando Thorin raggiunse il punto in cui si erano schiantati, poco più avanti nel loro percorso, vide una tremolante luce bianca svanire mentre i nani si rialzavano. Lumbar era riuscita a proteggerli dallo schianto con un incantesimo scudo che le aveva prosciugato quasi tutte le energie rimaste. Tuttavia non ci fece molto caso, troppo impegnata ad assicurarsi che i suoi compagni stessero bene. Davanti a lei, infatti, Fili, Dwalin, Bofur, Ori e Bombur cercavano di rimettersi in piedi, un po’ ammaccati, con Thorin in mezzo a loro che cercava di rassicurarsi sulle condizioni in cui erano. Aggrottò le sopracciglia, perplessa, ma non fece in tempo a chiedere niente che Bofur la anticipò.
«Dov’è Bilbo?» domandò a nessuno in particolare, guardandosi freneticamente intorno. «Dov’è lo hobbit?»
Lumbar era sicura che fosse vicino, riusciva a sentirlo ora che i giganti non combattevano più. Infatti le bastò voltarsi, data la sua posizione sul bordo del precipizio, per notare il mezzuomo che si teneva aggrappato alla roccia con le mani mentre il suo corpo era a penzoloni sullo strapiombo.
«Qui!» urlò avvicinandosi a lui e tentando di tirarlo su mentre gli altri si avvicinavano per aiutarla.
«Prendetelo!» urlò Thorin nel momento in cui lo hobbit perse la presa scivolando più in basso e rimanendo aggrappato per una mano.
Bofur e Ori cercavano di tirarlo su ma non riuscivano ad arrivare alla sua mano, così la ragazza si abbassò su una sporgenza, tenendosi salda alla roccia con una mano mentre con l’altra tirava su Bilbo dai vestiti e lo faceva arrivare agli altri più sopra, che lo presero e lo portarono al sicuro. Stava per risalire anche lei quando il braccio con cui si teneva alla roccia le cedette, provocandole un gemito di dolore che gli altri non sentirono. Sarebbe scivolata nel vuoto se Thorin non l’avesse afferrata per il polso e tirata su di peso, aiutato da Dwalin che l’aveva afferrata per il retro del corsetto. La ragazza si ritrovò in mezzo ai due nani, con il polso ancora stretto nella mano di Thorin. Nè lei nè il nano dissero niente sul liquido che sentivano scorrere attraverso la manica e la ragazza si limitò a ringraziarlo con un cenno alla sua domanda silenziosa. Stava bene, gli fece capire; avrebbe controllato il braccio più tardi, al sicuro da sguardi indiscreti. Quei nani avevano già troppi problemi di cui preoccuparsi. Ignorarono entrambi il brivido che li aveva percorsi dalla testa ai piedi, toccandosi, e ripresero fiato.
«Credevo lo avessimo perso.» Dwalin, alle spalle della ragazza, aveva appena commentato l’accaduto attirando l’attenzione della compagnia.
Thorin si rimise in piedi, lasciando la presa sul polso di Lumbar e facendo svanire, di riflesso, la leggera tensione che li aveva avvolti.
«Lui si è perso fin da quando ha lasciato casa sua.» disse osservando lo hobbit con astio. «Non sarebbe mai dovuto venire. Non c’è posto per lui tra noi.» fece qualche passo poi si voltò. «Dwalin.» chiamò semplicemente. E gli fece cenno di andare avanti.
Il nano porse una mano a Lumbar e la rimise in piedi, cogliendola un po’ di sorpresa, poi seguì Thorin; Fili, a sua volta, aiutò Bombur a rialzarsi, prima di proseguire anche loro, e lei gli andò dietro seguita dagli altri, tentando di non muovere troppo il braccio ferito. Aveva l’impressione che avrebbe dovuto cambiare le bende una volta trovato un riparo.
Continuarono a camminare per qualche centinaio di metri, sotto la pioggia battente e stando sempre attenti a non scivolare, finchè non si infilarono in una grotta riparata dal temporale.
«Sembra abbastanza sicura.» disse Dwalin guardandosi intorno.
«Controlla fino in fondo.» rispose Thorin. «Le grotte delle montagne sono spesso abitate.»
«Qui non c’è niente.» confermò il nano dopo aver ispezionato la caverna con una lanterna.
«Non mi piace.» mormorò Lumbar tra sè.
«Cosa vuoi dire?» la voce di Thorin alle sue spalle la fece voltare di scatto.
Non si era accorta che le si fosse avvicinato mentre gli altri entravano; ora la stava fissando con i suoi penetranti occhi azzurri in attesa di una risposta, i volti a un palmo di distanza.
«Una sensazione.» mormorò osservandosi attorno per un attimo prima di ripuntare lo sguardo su di lui.
Continuarono a fissarsi in silenzio, studiandosi apertamente, fino a quando un rumore di legno che si scontrava con la pietra non li distrasse. E la tensione scomparve per la seconda volta.
Gloin aveva fatto cadere dei rami per terra. «Bene, accendiamo un bel fuocherello.»
«No, niente fuoco.» lo contraddisse Thorin dando retta alla ragazza. Cominciava a credere alle sue sensazioni. «Non in questo posto. Cercate di dormire. Partiamo come arriva l’alba.»
Mentre i nani si preparavano a passare la notte in quella grotta, Balin si avvicinò ai due, rimasti vicini.
«Dovevamo aspettare tra le montagne fino all’arrivo di Gandalf.» disse a Thorin. «Questo era il piano.»
«I piani cambiano.» rispose Thorin.
«Se può rassicurarvi, è a un paio d’ore da qui.» disse la ragazza facendoli voltare nella sua direzione con una domanda inespressa sui volti. «L’ho contattato prima che ci inerpicassimo su per questo sentiero e in mezzo alla tempesta. Sa che non siamo andati molto lontano a causa dei giganti, ci raggiungerà presto.»
I due approvarono silenziosamente la sua mossa.
«Bofur.» chiamò Thorin, facendo voltare il nano. «Primo turno di guardia.»
Dopo quell’annuncio la compagnia si sparpagliò nella grotta e si stesero per dormire. Non era passata nemmeno mezz’ora quando Lumbar aprì gli occhi di scatto. Una visione improvvisa le aveva impedito di addormentarsi, mostrandole che gli orchi si stavano avvicinando, ma non era riuscita a vedere chi fossero nè quanti a causa della poca chiarezza delle immagini. Si mise a sedere lentamente, cercando di non fare rumore per non svegliare gli altri che russavano. Fortunatamente era un po’ in disparte rispetto a loro.
Si tirò su la manica e cominciò a srotolare la benda pregna di sangue rivelando che il morso del mannaro che finalmente aveva cominciato a guarire si era riaperto. Appoggiò la benda da una parte e ne tirò fuori una pulita dalla sua piccola borsa, insieme a una boccetta con un unguento a base di Athelas.
«Sapevo che mentivi.» sussurrò una voce poco distante da lei.
«Sto bene.» negò la ragazza appoggiando il tappo della boccetta sulla pietra, mentre un movimento si faceva largo nel suo campo visivo.
Thorin le si avvicinò in silenzio, osservando la ferita, e si sedette di fronte a lei. Mormoravano appena per non svegliare gli altri ma riuscivano perfettamente a sentirsi data la distanza inesistente che li separava.
«Non mi sembra.» disse lui, serio. «Quel mannaro ti ha morso e tu non hai detto una parola.»
Lei alzò le spalle, indifferente, e cominciò a ripulire la ferita dal sangue usando un po’ d’acqua. «Non era grave. Guarirà.»
«Hai rischiato di cadere, oggi.» la riprese lui.
«Avrei rischiato comunque.» lo corresse lei con lo stesso tono distaccato di prima.
«Perchè?» chiese il nano.
«Ho speso troppe energie.» disse semplicemente la ragazza.
Il nano la osservò in silenzio per qualche secondo prima di capire. «La luce bianca eri tu.» disse sorpreso. «Li hai salvati tu.»
«Un incantesimo scudo. Ci ha avvolti tutti in una specie di bolla protettiva. Non pensavo mi avrebbe risucchiato tanta energia, era da un po’ che non lo usavo.» spiegò la ragazza.
«E hai rischiato comunque per il mezzuomo.» osservò il nano.
«Lo avresti fatto anche tu.» lo sorprese lei.
«Non ne sarei così sicuro.» negò Thorin.
«Oh, ma io lo sono.» disse Lumbar convinta. Allungò la mano per prendere l’unguento e spalmarlo sulla ferita prima di bendarla ma il nano la anticipò. «Cosa fai?» si allarmò.
Thorin non rispose, limitandosi ad afferrarle delicatamente il braccio ferito e ad avvicinarlo a sè per spalmare l’unguento sul morso del mannaro, sotto il suo sguardo attento. Era estremamente leggero ed entrambi rabbrividirono a quel contatto, riuscendo a nasconderlo perfettamente. Thorin ogni tanto la osservava di sottecchi, trovandola intenta a fissare ogni sua singola mossa con quegli occhi particolari che sentiva di avere già visto e che gli trasmettevano una strana sensazione. Purtroppo non riusciva a vedere altro del suo volto a causa del cappuccio.
Una volta finito di spargere l’unguento, il nano prese la benda e cominciò ad avvolgerla lentamente attorno al braccio, cercando di non farle male. Una volta terminato la fissò con un nodo, poi chiuse la boccetta e gliela porse restando in silenzio. Lumbar la rimise dentro la borsa insieme alla benda sporca di sangue, l’avrebbe lavata al primo ruscello che avrebbero trovato sul cammino.
«Non eri obbligato a farlo.» gli disse, rilasciando lentamente il respiro che non si era accorta di aver trattenuto.
«Neanche tu.» rispose il nano.
Lei aprì la bocca per ribattere ma la richiuse, non capendo se si riferisse a quel giorno o all’attacco dei mannari. «Ti sbagli, invece.» disse alla fine ripensando agli anni passati. Lui la osservò aspettando una spiegazione che sapeva sarebbe arrivata, anche se non completa. «Te lo dovevo, Thorin, anche se tu non lo sapevi.»
«Perchè?» chiese lui tranquillo, nonostante la confusione. Aveva la netta impressione che gli sfuggisse qualcosa. Qualcosa che riguardava quella ragazza.
Lei sospirò.
«È una lunga storia. E non è il caso di raccontartela adesso, devi riposare.» disse soltanto.
«Perchè?» domandò nuovamente lui, volendo delle spiegazioni.
«Perchè non capiresti.» rispose sincera. «Non sei pronto. E quando lo sarai mi odierai, come tutti gli altri. Sono tante le cose che non sai di me, Thorin Scudodiquercia, ma un giorno le conoscerai. E temo che quel giorno arrivi troppo presto per entrambi.»
Il nano era confuso ma non ribattè, limitandosi a stendersi sulla pietra rivolto verso il suo corpo. Lumbar assecondò il suo silenzio, appoggiandosi con la schiena alla parete di roccia dietro di lei e chiudendo gli occhi pensierosa. Troppe cose stavano cambiando, e troppo velocemente. Temeva che la Terra di Mezzo non fosse pronta a ciò che sarebbe venuto. Le sue visioni parlavano chiaro, dopotutto.
«Perchè non dormi?» la voce del nano la distrasse dalle sue riflessioni.
«Potrei farti la stessa domanda.» disse lei rimanendo con gli occhi chiusi.
Dopo un silenzio che le fece pensare che lui non avrebbe risposto, lo fece. «Sogni.»
«Incubi?» chiese.
«Non esattamente.» disse il nano con uno strano tono che le fece aprire gli occhi per osservarlo. Lui aveva già lo sguardo puntato su di lei, la studiava, e aveva la fronte aggrottata. «Sembrano ricordi di una vita che non è la mia. Versioni diverse di una storia che credevo di conoscere.»
Un lampo passò nella mente della ragazza, non credendo a quello che sentiva. Era impossibile una cosa del genere. Nascose il suo turbamento, non volendo mostrarlo al nano.
«Erano versioni belle o brutte?» chiese piano, temendo la risposta.
«Entrambe. Dipende dalla storia che rappresentano.»
Solo in quel momento si accorsero dei movimenti dello hobbit, che si stava avvicinando all’imboccatura della grotta con il suo zaino sulla schiena e la sua piccola spada legata al fianco. Ascoltarono il suo scambio con Bofur: Bilbo stava dicendo che sarebbe tornato a Gran Burrone, spinto anche dalle parole che Thorin gli aveva rivolto, e Bofur cercava di convincerlo a non andare.
«Hai esagerato.» mormorò la ragazza al nano al suo fianco, senza distogliere lo sguardo dai due.
«Tu credi?» disse scettico lui.
«Io penso solamente che quel piccolo hobbit avrà una parte più importante di quanto pensi in questa storia, ma sei libero di non credermi.»
Bilbo zittì Bofur con una frase pesante, secondo cui loro non avrebbero potuto capire cosa voleva dire avere nostalgia di casa perchè erano abituati a non appartenere a niente, attirando nuovamente il loro silenzio. Potevano sentire il suo rammarico per aver detto quelle parole e il suo debole tentativo di scusarsi. Bofur rispose al mezzuomo con voce sconsolata che aveva ragione, loro non appartenevano a niente, e Thorin le lanciò un’occhiata triste.
Lei gli strinse una mano con la sua, solidale. Sapeva come si sentivano. Lui ricambiò la stretta, aggrappandosi a lei come se da quello dipendesse la sua vita. Poi la ragazza venne distratta da qualcosa che aveva colpito il suo udito e si irrigidì. Thorin lo notò subito e si irrigidì a sua volta, mentre Bilbo estraeva di qualche centimetro la sua spada mostrando che la lama era diventata blu, segno di pericolo. Lumbar si alzò velocemente separandosi dal nano e rivolgendo gli occhi verso il basso; il suono, infatti, proveniva da sotto di loro. Una crepa si aprì vicino a lei e Thorin, per tutta la lunghezza della grotta, e la sabbia che ricopriva il pavimento cominciò a caderci dentro.
«Svegliatevi.» disse Thorin mettendosi in piedi di scatto. «Svegliatevi!»
Nel momento in cui i nani cominciarono a riprendere conoscenza le pietre sotto di loro si inclinarono, facendoli precipitare urlanti in un grande scivolo di pietra. Finirono uno sull’altro in una gabbia all’interno di un’ampia grotta illuminata da diverse torce, e si ritrovarono nuovamente sul bordo di un precipizio, con Bombur in cima a schiacciarli per bene. Non fecero in tempo a capire dove erano finiti che una moltitudine di goblin - piccoli, agili e disgustosi esseri dalla pelle grigiastra imparentati con gli orchi - arrivò correndo e prese a spintonarli, trascinarli, morderli e quant’altro attraverso un gran numero di ponticelli di legno e impalcature che creavano un passaggio sospeso nel vuoto che attraversava quell’enorme caverna umida e illuminata dalle torce. Li condussero fino a una vera e propria città brulicante all’interno della montagna, una città che Lumbar conosceva bene.
«Oh, maledizione!» sibilò attirando l’attenzione di Thorin. «Mai che ce ne vada bene una.»
«Sai dove siamo?» le chiese bisbigliando mentre i goblin continuavano a strattonarli verso un’impalcatura abbastanza grande al centro della città.
«Sì, e non mi piace per niente.» disse lei confermando i suoi dubbi. Avrebbero fatto fatica ad uscire da quel posto. «Qualunque cosa accada, tieni segreta la tua identità.» aggiunse sorprendendolo.
Quegli esseri schifosi li raggrupparono davanti a quello che sembrava un trono su cui sedeva un grosso e grasso goblin, molto più grande degli altri, che aveva una cicatrice sul volto flaccido, in testa portava una corona di ossa e in mano teneva uno scettro con un teschio. Quegli esserini ammucchiarono le loro spade e asce a pochi passi di distanza e gli lasciarono spazio.
Il re dei goblin scese dal suo trono con un tonfo. «Chi è stato così sfrontato da entrare armato nel mio regno?» chiese osservandoli dall’alto della sua statura. «Spie? Ladri? Assassini?»
«Nani, vostra Malevolenza.» rispose un goblin. «E una donna.»
«Nani?» chiese sconcertato il re ignorando la seconda parte, probabilmente ritenendola poco importante.
A Lumbar andava più che bene. Più tempo la ignorava, meglio era per tutti.
«Trovati nel portico anteriore.» aggiunse lo stesso goblin.
«Ah, non statevene lì impalati!» ruggì il loro re. «Perquisiteli!» i goblin si misero subito all’opera, tastando ogni centimetro dei loro corpi e portando loro via ogni lama nascosta, ammucchiandole poi insieme alle altre. «Ogni fessura. Ogni crepa.» continuava il re dei goblin. Uno di loro appiattì persino l’apparecchio che usava Oin per sentire.
Una volta terminata la perquisizione il re chiese. «Che cosa ci fate da queste parti?»
Lumbar aveva fatto capire chiaramente a Thorin di mentire ed erano riusciti a passare la parola anche agli altri, facendo così in modo che nessuno di loro rispondesse al Grande Goblin.
L’essere si spazientì. «Parlate!»
Nessuno di loro emise un fiato.
«Molto bene.» disse, alla fine, il re dei goblin. «Se non vorranno parlare, saremo costretti a farli strillare!» esclamò facendo gioire tutti i suoi sudditi, che osservavano la scena da alcune impalcature rialzate sparse nella città. «Portate qui il maciullatore. Portate qui lo spezzaossa.» a ogni frase un coro di giubilo si alzava dai goblin. «Cominciate con i più giovani.» concluse indicando Ori, che era davanti a lui.
Thorin stava per farsi avanti ma Lumbar gli poggiò una mano sulla spalla con un sospiro, facendolo voltare. Non avrebbe mai permesso che quegli esseri facessero del male a lui o agli altri, anche a costo che quell’essere la vedesse.
Con ancora la mano sulla spalla di Thorin, gli sussurrò nuovamente le parole “qualunque cosa accada” toccandosi la tempia con la mano libera; gli strinse la spalla per un secondo poi si fece avanti, passando in mezzo ai suoi compagni e attirando l’attenzione del re dei goblin.
«Aspetta.» disse.
Fu sufficiente quella parola a far gelare la caverna. Il re dei goblin, ora, la osservava attentamente, come se le stesse prendendo le misure. Non ci mise molto a capire chi fosse, dopotutto conosceva bene quella voce.
«Tu?» disse incredulo. «Dovresti essere morta!» sbraitò contrariato.
«Ti sembro morta?» chiese lei, fingendosi tranquilla.
Doveva mantenere la calma e guadagnare tempo. Non aveva abbastanza energie per l’incantesimo che li avrebbe tirati fuori da quella situazione ma aveva lanciato un messaggio mentale a Gandalf dicendogli di sbrigarsi e fortunatamente lo stregone era abbastanza vicino da permetterle quella strategia.
«Come osi venire qui?» chiese il re dei Goblin disgustato e, allo stesso tempo, irritato dalla sua calma. «Come osi dopo tutto quello che hai fatto?»
«Ma come?» disse lei fintamente sorpresa. «Non mi ringrazi? Dopotutto ti ho reso più bello.» disse riferendosi alla cicatrice che gli deturpava il volto.
Era stata lei a fargliela qualche anno prima della morte di Thrain, dopo uno sfortunato incontro in quella stessa grotta che sperava avrebbe evitato di ripetere.
«Tu, ragazzina, hai tentato di uccidermi!» sibilò lui arrabbiato.
Lei alzò le spalle noncurante, ignorando con una smorfia l’appellativo che aveva usato. Era più vecchia di lui, accidenti.
«Tu no?» domandò annoiata. «La cosa è stata reciproca, se non ricordo male. E io non ricordo mai male.»
Il re dei goblin cominciò ad agitarsi. Quella donna lo stava mettendo in ridicolo davanti alla sua gente, non poteva lasciar passare un simile affronto.
«Che cosa ci fai con una banda di nani, Lumbar?» le chiese mellifluo cercando di farla parlare. Non aveva mai capito chi fosse in realtà, e questo era un bene.
Lei alzò nuovamente le spalle. «Una scampagnata. Sono simpatici, sai?»
La sua ironia pungente stava tenendo l’attenzione dei goblin solo su di lei ed era quello che voleva. Finchè non se la fossero presa con i nani potevano fare quello che volevano. Nessuno avrebbe toccato i suoi compagni.
«Tu…» ringhiò il Grande Goblin al limite della pazienza. «Prendetela.» ordinò ai suoi, che si avvicinarono al gruppo tentando di immobilizzarla e avvicinarla al loro capo.
I nani cercarono di impedirlo ma lei non si oppose anzi, si voltò nella loro direzione, gli fece l'occhiolino sorridendo rassicurante e lasciò che i goblin la immobilizzassero per le braccia e la facessero avanzare.
Il re dei goblin era un essere particolarmente alto, oltre che particolarmente brutto. Torreggiava su di lei mentre la studiava con quei suoi piccoli occhi maligni. Lei non cedeva di un millimetro, per niente intimorita da lui. Anzi, aveva un sorrisetto sfrontato sulle labbra.
«Potresti allontanarti un po’?» chiese con tono innocente e una smorfia disgustata sul volto. «Sai, il tuo odore non è dei migliori. Se proprio devo morire non vorrei farlo soffocata.»
Il re dei goblin sbattè furioso lo scettro sul legno della piattaforma, quella ragazza lo aveva stancato, e si rivolse a suoi sottoposti.
«Frustatela!» ringhiò. «Voglio sentire le sue urla.»
I nani cominciarono a gridare tentando di ribellarsi, ma non potevano fare niente. Thorin era combattuto: non sapeva se fare quello che Lumbar gli aveva detto o intromettersi e impedire che la ferissero. Non fece in tempo a decidersi che nella caverna calò nuovamente il silenzio. Osservò la scena, cercando di capire cosa fosse successo, e solo quando rivolse la sua attenzione sulla ragazza si accorse che i goblin le avevano tolto il cappuccio,  abbassato la camicia e allentato il corsetto per liberarle la schiena.
Fu in quel momento che capì cosa li avesse paralizzati: lunghi e lisci capelli neri e bianchi facevano mostra di sè, quasi illuminando lo spazio intorno a lei; il nero sembrava assorbire tutta la luce mentre il bianco, seppur in quantità minore, l’opposto. Le ciocche di quella inusuale chioma incorniciavano un paio di orecchie a punta riconducibili agli elfi. Tuttavia non era quello ciò che aveva paralizzato tutti e, stranamente, non paralizzò nemmeno lui, che accantonò la cosa deciso a parlarne in un altro momento. Si concentrò invece sull’oggetto dell’attenzione dei presenti, la schiena: aveva delle grosse e lunghe cicatrici che la percorrevano completamente, sparendo sotto i vestiti; erano dei segni irregolari e il nano non riusciva a capire come potesse esserseli procurati. Si poteva notare anche quello che sembrava il segno di un morso, o almeno una parte. Si chiese, con una certa macabra curiosità, dove fosse finita l’altra fila di denti. Ancora non lo sapeva ma fu proprio quel mezzo morso ad aver paralizzato i loro nemici.
Lumbar voltò la testa di lato, osservando prima i suoi compagni, poi il Grande Goblin.
«Beh? Cosa c’è?» chiese innocente.
Sapeva cosa avevano visto, ma il peggio era nascosto ai loro occhi da un incantesimo.
«Come ti sei fatta quella cicatrice?» chiese inorridito il re dei goblin.
«Quale delle tante?» ribattè lei fingendo di non capire.
«Quella sulla spina dorsale!» ruggì lui, facendo un paio di passi indietro orripilato e riferendosi al segno di denti, l’unica cicatrice che aveva proprio su quella fila di ossa.
Lei si strinse nelle spalle.
«Mi annoiavo.» mentì.
Non avrebbe mai detto la verità. Non lì. Non così. E sicuramente non a lui.
Il re dei goblin cominciò a borbottare tra sè, camminando avanti e indietro a passi pesanti. «Non è possibile.» lo sentivano dire. «Lei è morta. Non può essere sopravvissuta. Lui l’ha uccisa.» e continuava ignorandoli.
«Lei chi?» chiese Lumbar, nonostante sapesse bene a chi si riferisse.
Il Grande Goblin smise di fare avanti e indietro e si zittì, squadrandola. «Uccidetela.» disse alla fine. «Non voglio correre rischi.»
La ragazza non fece una piega, mentre i goblin esultavano e i nani ricominciavano a lottare per liberarsi.
«Aspetta!» tuonò la voce di Thorin, facendola irrigidire.
Si voltò verso di lui pregandolo con lo sguardo di non intervenire, ma il nano si fece largo tra i suoi compagni fino ad arrivare davanti al re dei goblin. Era calato nuovamente il silenzio nella caverna.
«Bene bene bene.» disse il Grande Goblin, mentre il nano sosteneva il suo sguardo senza sforzo. «Guarda chi c’è. Thorin, figlio di Thrain, figlio di Thror. Re sotto la Montagna.» simulò un inchino, sbeffeggiandolo. «Oh, ma mi dimenticavo: non ce l’hai una Montagna, e non sei un re. Il che fa di te un nessuno, in realtà.» concluse facendo sghignazzare i suoi sudditi.
«Non hai idea di quanto ti sbagli.» mormorò Lumbar, ancora voltata di schiena ma che li osservava con la testa girata di lato, facendosi udire perfettamente. «Lui è molto più re adesso di quanto tu non sarai mai.» nonostante la sua voce fosse appena un sussurro sembrava lo avesse urlato e i goblin smisero di sghignazzare osservando la reazione del loro re.
I nani, invece si erano rizzati ancora di più e guardavano Thorin con orgoglio, come per confermare le sue parole. Il re dei goblin spostava lo sguardo silenziosamente da Lumbar a Thorin, studiandoli. Nessuno dei due muoveva un muscolo e continuavano a fissarlo con la stessa espressione fiera e determinata.
«Sei davvero lei!» esclamò alla fine il Grande Goblin continuando a spostare lo sguardo da uno all’altra senza sosta, sempre più sorpreso. «Girano tante storie su di te. Su di voi.» disse disgustato e, allo stesso tempo, con un sorrisetto. «Nessuno sa quale sia la verità. Si pensava fosse morta con te. Non credevo ti avrei mai vista, e certamente non con lui.» continuò riferito a Thorin e confondendo il nano, che non capiva cosa mai potesse legarli. La ragazza sapeva che il re dei goblin avrebbe capito chi fosse con quelle parole, ma non se ne curò fino a quando non sentì le successive. «Conosco qualcuno che pagherebbe un bel prezzo per le vostre teste. Solo la testa.» rise, sprezzante. «Nient’altro attaccato.»
Lumbar gelò.
Se prima non era sicura di cosa fosse successo dopo il loro ultimo incontro, ora lo sapeva: erano entrambi sopravvissuti.
«Forse, voi due, sapete di chi sto parlando.» continuò il re rimettendosi dritto mentre i goblin ridevano. «Lumbar dovrebbe. Un vecchio nemico vostro. Un orco pallido a cavallo di un bianco mannaro.»
Lo sguardo di Thorin si riempì  di puro odio. «Azog il Profanatore è stato distrutto.» disse con una furia cieca, ma controllata. «Trucidato in battaglia molto tempo fa.»
«Così credi che i suoi giorni da profanatore siano finiti, vero?» chiese il re dei goblin ridendo. «Lei sa che non è così.» indicò Lumbar che non aveva più detto una parola, poi si rivolse a uno dei suoi. «Invia un messaggio all’Orco Pallido. Digli che ho trovato il suo premio.» quel piccolo schifoso si allontanò su una carrucola ridendo.
La ragazza aveva notato altre ciocche dei suoi capelli diventare nere e uno strano ma familiare malessere l’aveva fatta estraniare dal contesto. Le girava nuovamente la testa, ma si concentrò. C’era qualcosa, nella profondità delle gallerie di quella caverna, di oscuro e potente. Qualcosa di molto familiare.
Nessuno fece molto caso al suo essere assente, troppo concentrati sul Grande Goblin che si era messo a cantare un’orribile canzone in attesa dell’arrivo dell’orco pallido. «Con le ossa distrutte, i colli strizzati, voi pesti e sbattuti sarete impiccati!» gridava mentre dei goblin si avvicinavano con un grande macchinario per le torture. «Quaggiù morirete, nell’oscurità, mai lascerete la nostra città.»
Il terribile canto venne interrotto dal grido terrorizzato di un goblin che aveva estratto la lama di Thorin, e che fece cadere a terra spaventato.
«Conosco quella spada!» disse il re dei goblin saltando sul suo scranno dalla paura. «È la Fendiorchi!» urlò spaventato mentre i goblin si accanivano sui membri della compagnia con bastonate e botte. «Il coltello. La lama che ha tagliato mille colli. Squarciateli! Picchiateli! Uccideteli! Uccideteli tutti!» gridò ai suoi seguaci. «Tagliategli la testa!»
I nani cercavano di difendersi ma i goblin erano troppi. Lumbar, inoltre, era ancora persa in quell’oscurità e i goblin si accanirono contro di lei notando che non reagiva. Un’immensa luce bianca, però, la riportò al presente, allontanando allo stesso tempo i goblin.
Gandalf era finalmente arrivato.
«Imbracciate le armi.» disse ai suoi compagni mentre si riprendevano. «Combattete. Combattete!»
E loro lo fecero. Con un grido si rialzarono e iniziarono a destreggiarsi in mezzo ai goblin.
«Brandisce la Battinemici!» la voce terrorizzata e lamentosa del Grande Goblin superò la confusione. «Il Martello splendente come il sole.»
I nani si passarono le armi e cominciarono a combattere davvero, coprendosi a vicenda. Anche Lumbar aveva ripreso spada, arco, faretra e pugnali e si dava da fare per liberarsi di quanti più goblin possibili.
Con un fendente Thorin fece cadere il re degli goblin dalla piattaforma, mentre Lumbar si avvicinava a Gandalf e gli faceva un cenno con la testa per confermare la direzione che dovevano prendere per uscire da lì il prima possibile.
«Seguitemi.» disse lo Stregone ai nani. «Svelti!» poi si voltò e cominciò a correre.
Gli altri gli andarono dietro, tallonati a loro volta dai goblin che li stavano raggiungendo. Avevano tutta la città alle calcagna.
«Palo!» gridò Dwalin a un certo punto.
Tagliò delle corde e prese una trave di legno, usandola come ariete di sfondamento. Altri nani lo aiutarono e liberarono una passatoia mentre i goblin cadevano nel vuoto: ogni volta che un gruppo di quegli esseri si avvicinava, Dwalin spostava il palo da un lato o dall'altro, quelli venivano spinti nel nulla e loro ne approfittavano per avanzare. Allo stesso tempo un gruppo guidato da Gandalf procedeva su una passatoia sopra le loro teste e lo stregone si faceva spazio a colpi di spada e bastone, imitato dagli altri. Si riunirono al momento di attraversare un lungo e stretto ponticello sospeso nel vuoto, con lo stregone in testa. Una volta dall’altra parte vennero un po’ divisi, ma ognuno di loro si dava da fare per riunirsi con i compagni.
«Tagliamo le corde!» sentirono dire a Thorin.
Lumbar era già pronta dall'altra parte dell'impalcatura che il nano voleva far crollare, così gli fece un cenno e procedettero all'operazione nello stesso momento. L'intelaiatura precipitò sui goblin che tentavano di superare lo strapiombo che li divideva lanciandosi con delle funi e li trascinò nel vuoto. Altri goblin cominciarono a lanciare delle frecce contro Kili, così il ragazzo prese una scala e la usò per imprigionare le loro teste nei buchi tra un piolo e l'altro. Poi li spinse fino a una voragine del pavimento e utilizzò la scala come ponte per ricompattarsi con il gruppo, seguito da alcuni nani. Gandalf era in testa, Thorin dietro di lui e tutti gli altri a seguire. Si muovevano veloci attraverso le impalcature di quella mostruosa città e abbattevano ogni goblin che osava avvicinarsi.
«Via via via!» gridò lo stregone mentre camminavano su un altro ponticello.
Tuttavia questo era senza via d’uscita a causa di una parte considerevole che aveva ceduto. Lumbar, allora, tagliò le funi che reggevano il loro pezzo del ponticello alla base.
«Attenzione!» disse per metterli in guardia.
Il ponticello ai avvicinò all'altra sponda e alcuni di loro riuscirono a saltare giù. Purtroppo il ponticello tornò indietro e dei goblin riuscirono a salire costringendo gli altri a riprendere il combattimento. Fortunatamente al secondo tentativo scesero tutti e tagliarono le corde rimaste. Le assi del ponte caddero insieme ai goblin e loro guadagnarono qualche secondo, riprendendo la corsa inseguiti come non mai. I goblin spuntavano da ogni parte e a un certo punto Gandalf staccò un enorme masso e lo usò per liberare la strada, schiacciando diversi goblin sul sentiero davanti a loro. Continuarono a correre senza fermarsi, fino a quando il re dei goblin non spuntò al centro di un ponte che stavano attraversando, bloccando loro la strada.
«Pensavi di potermi sfuggire.» disse a Gandalf tentando di colpirlo con il suo scettro.
Il Grigio schivò, mentre gli altri si voltarono per tenere d’occhio i goblin che li avevano circondati.
«Che intendi fare, ora, Stregone?» lo provocò il Grande Goblin.
Mentre i suoi compagni si difendevano dai goblin, Gandalf affrontò il re: lo colpì a un occhio con il bastone facendolo indietreggiare e lamentare, poi gli tagliò la pancia con un fendente della spada e il re dei goblin si inginocchiò.
«Sarò sconfitto.» osservò.
Gandalf gli tagliò la gola.
Il peso del suo corpo distrusse il ponte, e la compagnia precipitò in uno dei tanti baratri di quelle caverne. Si tennero stretti a vicenda e al legno del ponte per non cadere, molti di loro urlando, e distrussero altre intelaiature nella scivolata verso il fondo. A un certo punto la gola si restrinse fino a far rallentare quel che restava dell'impalcatura, che si schiantò al suolo senza produrre ulteriori danni sul gruppo.
«Beh, poteva andare peggio.» disse Bofur, che si beccò un pezzo di legno in testa da parte di Lumbar. «Che ho detto?» chiese sconcertato.
La ragazza non fece in tempo a rispondere che il corpo del Grande Goblin atterrò su di loro, schiacciandoli sotto le proteste e le imprecazioni dei nani.
«Vorrai scherzare?» disse Dwalin mentre cercava di liberarsi dalle macerie.
«Mai dire che potrebbe andare peggio!» disse Lumbar, distesa ancora immobile sulla schiena. «Perchè andrà sicuramente peggio.»
«Abbiamo notato.» mormorò Kili, tentando di riprendersi.
«Colpa di Bofur.» finì candidamente la ragazza voltandosi su un fianco prima di cominciare a tossire. La sua mano si sporcò di rosso.
«Gandalf!» l’urlo di Kili li mise in allarme.
I goblin stavano arrivando. A migliaia.
«Sono troppi, non possiamo combatterli.» disse Dwalin sorreggendo Nori.
«Una sola cosa ci salverà.» disse Lumbar pulendosi dal sangue che aveva appena tossito e rimettendosi in piedi a fatica. «La luce del giorno.»
«Muovetevi!» li spronò Gandalf aiutando gli ultimi ad alzarsi mentre la ragazza faceva strada.
Lumbar li condusse attraverso dei cunicoli. Sentiva l'aria pura avvicinarsi. Erano a pochi metri dall'uscita, con Gandalf che li incitava, quando un mancamento più forte dei precedenti la fece quasi scontrare contro una parete della montagna, a causa dell'improvvisa oscurità che le calò sugli occhi. La respinse con decisione, affidandosi agli altri sensi per condurre fuori i suoi compagni. Riusciva, infatti, a sentire il profumo degli alberi e della notte.

 

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Capitolo 6
*** 5. Dalla padella nella brace ***






5. Dalla padella nella brace
 
Finalmente sbucarono all’aria aperta, e nello stesso momento a Lumbar tornò la vista, ma continuarono a correre per un bel po’ prima di fermarsi. Nonostante fosse giorno volevano mettere più spazio possibile tra loro e i goblin. Gandalf nel frattempo li contava e finì quando la ragazza decise di fermarsi, seguita dai compagni, in un piccolo spiazzo.
«Dov’è Bilbo, eh?» chiese lo stregone mentre gli altri riprendevano fiato.
Lumbar era seduta a gambe incrociate sopra una roccia piatta e aveva chiuso gli occhi nel tentativo di riprendere il pieno controllo del suo corpo, che le stava dando troppi problemi avvertendola allo stesso tempo che la situazione stava per peggiorare, e non gli rispose lasciando quel compito agli altri. Lei doveva concentrarsi e capire cosa non andasse. Tanto sapeva che lo hobbit era vicino.
«Dov’è il nostro hobbit?» chiese ancora il Grigio facendo qualche passo verso il centro dello spiazzo e guardandosi attorno in attesa di una risposta. «Dov’è il nostro hobbit?» urlò adirato.
I nani cominciarono a guardarsi attorno, confusi.
«Accidenti al mezzuomo! Ora si è perso?»
«Credevo che fosse con Dori!»
«Non incolpare me!»
«Dove l’avete visto l’ultima volta?» li interruppe Gandalf.
«Mi sa che è sgattaiolato via quando ci hanno catturati.» disse Nori dopo aver riflettuto un istante.
«Che è successo esattamente? Dimmelo!» la voce di Gandalf passava da bassa ad alta da quanto era arrabbiato.
«Te lo dico io che è successo.» si fece avanti Thorin. «Mastro Baggins ha visto la sua occasione e l’ha colta!» alzò la voce. «Pensava solo al suo soffice letto e al suo caldo focolare da quando ha messo piede fuori dalla porta. Non rivedremo mai più il nostro hobbit. È ormai lontano.» concluse facendo spuntare un sorriso sul volto di Lumbar.
«Ti sbagli.» bisbigliò infatti la ragazza attirando la loro attenzione. Sentiva i loro occhi puntati su di sè nonostante avesse ancora le palpebre abbassate.
«Che mi venga un colpo!» esclamò Dwalin osservandola per la prima, come tutti gli altri, che commentavano tra loro la nuova scoperta.
La ragazza non aveva ancora rimesso il cappuccio, quindi il suo volto armonioso e sporco di sangue era in bella vista, così come le orecchie a punta tipiche degli elfi e i capelli inusuali.
Thorin rimase semplicemente in silenzio a fissarla, senza sapere cosa pensare. Ammise con se stesso di aver pensato più volte alla possibilità che fosse un’elfa da quando l’aveva vista interagire con Elrond, ma non aveva detto nulla agli altri perché era solo un’ipotesi. Inoltre qualcosa, dentro di lui, gli sussurrava che non era importante, che lei era diversa da tutti gli elfi che conosceva.
«Non tentare la sorte.» bisbigliò nuovamente lei con un sorrisetto.
«No, invece.» sentirono provenire dalle loro spalle i nani e lo stregone.
Si voltarono in quella direzione e poterono vedere lo hobbit davanti a loro.
Gandalf sospirò, visibilmente sollevato.
«Bilbo Baggins, non sono mai stato così felice di vedere qualcuno in vita mia!» disse avvicinandosi al mezzuomo.
«Bilbo! Ti davamo per scomparso!» dichiarò Kili.
«Ma come hai fatto a superare i goblin?» chiese Fili.
«Già… come?» ribadì Dwalin.
Lumbar perse il sorriso sentendo l’oscurità attorno al piccolo hobbit. La stessa oscurità che aveva avvertito nella città dei goblin e l’aveva fatta stare male. La stessa oscurità che aveva affrontato diversi anni prima. Capì in quel momento cosa fosse successo al piccolo hobbit. Anche Gandalf dovette intuire qualcosa perchè si intromise.
«Beh, ma che importanza ha? È tornato.» cercò di sviare.
«Ha importanza.» disse Thorin. «Voglio saperlo. Come mai sei tornato?» chiese allo hobbit. Davvero non riusciva a capire.
Dopo qualche secondo di silenzio il mezzuomo spiegò. «So che dubiti di me. Lo so, lo so, l’hai sempre fatto.» gli disse. «E hai ragione, penso spesso a casa Baggins.» ammise tranquillo. «Mi mancano i miei libri. E la mia poltrona, il mio giardino. Vedi quello è il mio posto, è casa mia.» sospirò. «Perciò sono tornato, perchè… voi non ce l’avete, una casa. Vi è stata portata via. E voglio aiutarvi a riprendervela, se posso.» concluse stupendo Scudodiquercia, che lo ringraziò con lo sguardo. Aveva commosso i nani, un’impresa davvero difficile, che lo ringraziarono in silenzio.
Lumbar aprì gli occhi di scatto fissando il vuoto. «Abbiamo un problema.»
Tutti si voltarono verso di lei. Doveva aver sentito qualcosa, ma prima che potessero chiedere delucidazioni un ululato li raggiunse, mentre la ragazza si rialzava.
«Siamo finiti dalla padella…» cominciò Thorin.
«Nella brace.» concluse lei.
«Scappate!» ordinò Gandalf lanciandole un’occhiata preoccupata. Doveva aver notato le sue condizioni. «Scappate!»
Si precipitarono a valle senza guardarsi indietro, consapevoli della presenza degli orchi che si stavano avvicinando, preceduti dai mannari. Nel frattempo il sole calava all’orizzonte. I mannari cominciarono ad attaccarli, ma fortunatamente riuscirono a tenerli a bada senza troppe difficoltà; almeno fino a quando non si ritrovarono nuovamente sul ciglio di un burrone. Era un vero e proprio strapiombo, troppo alto per pensare di buttarsi e sopravvivere.
«Salite sugli alberi!» disse Lumbar dopo aver rallentato i mannari.
«Tutti.» le diede man forte Gandalf. «Forza!»
«Svelti!» li incitò Thorin.
Altri ululati li raggiunsero, facendo loro capire quanto fossero vicini.
«Arrivano!» gridò, infatti, Thorin aiutando i suoi compagni a salire.
Lumbar aveva cominciato a scagliare le sue frecce per uccidere i mannari, in modo da guadagnare più tempo per gli altri. Erano quasi tutti saliti, mancava solo lo hobbit a parte lei, ma i mannari che si stavano avvicinando erano troppi. Così si rimise l’arco sulla schiena e corse verso gli alberi su cui si era rifugiata la compagnia, prese Bilbo e lo sollevò in modo che potesse arrampicarsi sul ramo più vicino, poi lei saltò direttamente su uno dei rami dell’albero accanto e cominciò a salire per raggiungere i compagni.
Nell’esatto momento in cui atterrò sul primo ramo i mannari arrivarono. Gandalf era già in cima a un albero che guardava giù, ma lei continuò a salire finchè non fu soddisfatta dell’altezza a cui si trovava. Solo in quel momento si accorse di essere accanto a Thorin, ma nessuno dei due disse niente limitandosi a riportare l’attenzione su ciò che accadeva sotto di loro. La ragazza percepì qualcosa di strano nell’aria, ma si rilassò leggermente quando vide una farfalla arancione svolazzare davanti a lei; le fece un cenno e quella volò via dando a Lumbar la conferma di ciò che sospettava.
I mannari cercavano di arrivare ai rami più bassi degli su cui si erano messi in salvo, saltando, ma non era un buon metodo. A un certo punto smisero e si voltarono verso un masso sui cui si era fermato un bianco mannaro cavalcato da un orco pallido senza un braccio e ricoperto di cicatrici. Sia Thorin che Lumbar si irrigidirono.
«Azog!» disse il nano, incredulo.
L’orco annusò l’aria. «Nuzdigid? Nuzdi gast: ganzilig-i unarug obod nauzdanish, Torin undag Train-ob. (Lo senti? L’odore del terrore: ricordo come tuo padre ne era impregnato, Thorin figlio di Thrain.)»
«No, non può essere.» sibilò il nano.
La ragazza riusciva a sentire l’odio e la rabbia crescere dentro di lui.
«Kod! Toragid biriz. Worori-da. (Lui! Portatelo a me. Uccidete gli altri.)» disse alzando la sua mazza e facendo partire all’attacco i mannari, che corsero verso gli alberi e cominciarono a saltare verso di loro nel tentativo di azzannarli.
«Accidenti, gli sei mancato, eh?» tentò di sdrammatizzare Lumbar.
Il nano le lanciò un’occhiata penetrante. «Hai capito cos’ha detto?»
Lei annuì mentre entrambi si tenevano al tronco per evitare di cadere. «Niente di piacevole. E siamo fortunati che non mi ha ancora notata.»
«Perchè?» chiese lui.
«Sho gad adol! (Abbeveratevi del loro sangue!)» disse Azog facendola rabbrividire.
«Sempre più carino, sì.» continuò a sdrammatizzare lei ignorando la domanda del nano, mentre i mannari si agganciavano con le fauci ai rami e tentavano di arrampicarsi con tutti i loro mezzi.
A un certo punto uno degli alberi cominciò a sbilanciarsi sempre di più verso quello vicino e i nani furono costretti a saltare sull’altro per non cadere in mezzo ai mannari. Questo scatenò una reazione a catena che costrinse tutti su un solo albero, quello ancorato con le radici sul bordo del precipizio. Azog doveva essere fiero dei suoi cagnolini, pensò la ragazza tossendo. Quando allontanò la mano la ritrovò coperta di sangue e si affrettò a pulirla sulla corteccia.
«Stai bene?» le chiese Thorin, di nuovo accanto a lei.
Lumbar annuì; non aveva le forze per parlare, era rimasta senza respiro, e doveva concentrare le energie che le restavano per evocare un semplice incantesimo. Prese una pigna dal ramo e la incendiò, poi la tirò in testa a un mannaro dando completamente fuoco alla sua pelliccia. Quello cominciò a correre a caso in preda al dolore e bruciò fino alla morte sotto lo sguardo sconcertato di tutti.
Gandalf, capendo al volo il piano della ragazza, fece lo stesso ed entrambi cominciarono a passare pigne infuocate agli altri. Loro le lanciarono tra i mannari, facendoli fuggire spaventati e aumentando il fastidio di Azog. Gli alberi più vicini avevano preso fuoco, alimentando le fiamme e tenendo lontani i mannari. Azog ruggì furioso e i nani gioirono fino a quando il loro albero cominciò a tremare e a inclinarsi sempre di più verso il burrone, finendo per ritrovarsi parallelo al terreno e sospeso nel vuoto tramite le radici, che non avrebbero retto ancora per molto.
Lumbar si ritrovò appesa per le gambe e riuscì in fretta a rimettersi dritta, rimanendo in equilibrio sui rami. Tentò poi di aiutare i nani a fare lo stesso. Gandalf pensò a Dori, che si aggrappò al suo bastone con Ori appeso a un suo piede. La ragazza era passata su altri rami per raggiungere Fili e cercare di riportarlo più o meno al sicuro e non riuscì a impedire a Thorin di affrontare Azog. Si scambiò uno sguardo preoccupato con Gandalf: pensavano entrambi che non ce l’avrebbe fatta, era troppo provato.
Thorin corse incontro all’orco pallido, pronto a colpirlo con la spada. Il bianco mannaro saltò all’ultimo secondo e lo colpì al volto. Thorin cadde di schiena. A Lumbar venne un conato, ma lo trattenne. Distolse lo sguardo da quella scena, si voltò e tentò di afferrare Fili per un braccio, in modo da metterlo in salvo e aiutare Thorin, ma non riusciva ad arrivare al ragazzo. Thorin si rialzò e l’orco lo colpì al volto con la mazza con una violenza inaudita. Thorin cadde di nuovo. Il mannaro prese il corpo di Thorin tra le fauci e lo stritolò, distruggendo il suo famoso scudo di quercia.
Bilbo si alzò in piedi sul tronco e Dwalin tentò di fare lo stesso per raggiungere il suo re, ma il ramo cedette. Se Lumbar non fosse scattata in suo aiuto non sarebbe riuscito a salvarsi. La ragazza, infatti, era riuscita a issare Fili e si era precipitata da Dwalin con velocità elfica, prendendolo per una mano e tirandolo quel tanto che bastava perchè riuscisse ad aggrapparsi. Lui la guardò con le lacrime agli occhi.
«Aiutalo.» la pregò.
Lei annuì.
Aveva messo in salvo i suoi compagni e qualcuno stava arrivando in loro soccorso. Era il momento di occuparsi di Thorin.
In quel momento Thorin colpì il muso del mannaro con la spada e l’animale lo scaraventò sulla roccia, dove lui rimase immobile.
«Biriz torag khobdudol! (Portami la sua testa!)» disse Azog a un orco.
Quello scese dal suo mannaro e si avvicinò con passo lento al nano semicosciente. Thorin non riusciva a rialzarsi.
Bilbo estrasse la sua spada, rilucente di azzurro, dal fodero e Lumbar lo affiancò con l’arco in mano. Erano entrambi determinati a salvarlo. L’orco arrivò fino a Thorin e gli appoggiò la sua lama sulla gola, pronto a infliggergli il colpo di grazia. Il nano cercò di prendere la spada alla cieca. Fu mentre l’orco alzava la spada per menare il fendente decisivo che una freccia lo colpì alla spalla sinistra e lo hobbit lo investì con tutto il suo peso, allontanandolo da Thorin e cominciando a infilzarlo. Lumbar si avvicinò di corsa al nano e si inginocchiò accanto a lui, osservando le sue condizioni disastrose.
«Riposati.» gli disse, accarezzandogli delicatamente la testa. «Nessuno ti toccherà più.» non fu nemmeno sicura che l’avesse sentita, aveva perso i sensi troppo in fretta.
La ragazza si rialzò, pronta a fronteggiare i nemici, e si voltò verso Azog.
«Avrei preferito non rivederti mai più.» gli disse seria mentre lo hobbit la affiancava dopo aver ucciso l’orco.
«Tu…» ringhiò l’orco pallido indicandola con la mazza, gli occhi maligni che sprizzavano scintille di puro odio. «Io ti ho uccisa.»
Lei alzò le spalle indifferente. «Che vuoi farci. Anche tu sei duro a morire.»
Lui ringhiò di nuovo. «Uccideteli.»
Gli orchi cominciarono ad avanzare verso di loro e Lumbar incoccò una freccia, pronta a scagliarla al momento giusto. Nell’esatto istante in cui un grido si levò alle sue spalle lei scoccò la freccia e infilzò un mannaro dritto in un occhio, uccidendolo all’istante.
I nani sopraggiunsero dalla sua destra e attaccarono, rinnovati di spirito dal gesto dei loro due compagni. Bilbo li imitò. Lumbar rimase vicina a Thorin, decisa a proteggerlo a qualunque costo. Scagliò frecce su ogni nemico e aiutò i nani in difficoltà.
Un improvviso dolore la trapassò al fianco, seguito da un altro alla coscia. Le fu sufficiente abbassare lo sguardo un secondo per capire: due frecce nere degli orchi l’avevano colpita, ma non se ne curò; aveva altro a cui pensare. Bilbo era alla mercè di Azog e non poteva permettere che lo uccidesse, così scagliò una freccia nel fianco del suo mannaro. Riuscì a distrarlo dal suo piccolo amico.
In quel momento arrivarono le aquile, gli aiuti che lei e Gandalf stavano aspettando. Quei maestosi uccelli si scagliarono contro gli orchi e i mannari, li sollevarono coi loro artigli e li fecero cadere da svariate altezze. Poi una di loro si abbassò fino a prendere Thorin e Lumbar la ringraziò con un cenno. Le altre aquile fecero lo stesso con i suoi compagni, e li fecero cadere sulle loro schiene.
Azog urlò di rabbia e frustrazione tenendo gli occhi fissi su Lumbar, ma la ragazza era troppo impegnata a osservarsi intorno per assicurarsi che nessuno rimanesse indietro per accorgersene. Quando anche Gandalf fu al sicuro su un’aquila, Lumbar si mise l’arco sulla schiena, corse verso il precipizio e si buttò. Atterrò sulla schiena dell’aquila di Thorin come da programma e, insieme, si allontanarono dagli orchi, diretti verso est.
Lumbar fece una carezza al manto dell’aquila, si tolse distrattamente le due frecce dal corpo e le lasciò cadere nel vuoto. Si sporse di lato per vedere in che condizioni versasse Thorin e si rese conto che erano più gravi di quanto si aspettasse: non aveva ancora ripreso conoscenza. Non poteva aiutarlo finchè non fossero atterrati, così si mise comoda e attese, tentando di rassicurare con lo sguardo gli altri suoi compagni e pregando i Valar di fare in tempo.
Volarono per ore, in silenzio; era mattino inoltrato quando le aquile cominciarono a scendere di quota e atterrarono su un picco. La sua aquila fu la prima e depositò delicatamente Thorin a terra; lei scese con un salto e si inginocchiò accanto a lui per guarirlo. Sperava solo di avere abbastanza energie per fare quell’incantesimo. Mentre gli altri la raggiungevano, appoggiò le mani sul petto del nano, chiuse gli occhi e si concentrò. Poi inspirò profondamente l’aria, trattenne il respiro per qualche secondo prima di lasciarla uscire, e fece fluire energia e potere nel corpo di Thorin. Quando riaprì gli occhi Gandalf era accanto a lei che controllava le condizioni del nano.
«Hai usato quell’incantesimo.» disse leggermente contrariato alla ragazza. «Avrei potuto guarirlo io, lo sai.»
«E tu sai che era troppo grave. Questo era il metodo più sicuro per riuscirci.» rispose pacatamente lei.
«Ma non sei abbastanza in forze.» ribattè lui.
«Ha funzionato. Il resto non conta.» chiuse il discorso la ragazza mentre il nano apriva gli occhi e li puntava in quelli di lei.
Lumbar gli sorrise, poi si spostò lasciando il posto agli altri. Si mise in piedi a fatica e si avvicinò al ciglio del picco, punto in cui la aspettava l’aquila. Le fece un lieve inchino, poi appoggiò la fronte alla sua chiudendo gli occhi. Era un modo per ringraziarle. Le avevano dato il nome Thoronil nella Seconda Era, e significava Stella delle Aquile. Era una specie di punto di riferimento per loro, come loro lo erano per lei: significava che ci sarebbero sempre state l’una per le altre e viceversa, ma lei non mancava mai di ringraziarle per il loro aiuto.
Si concentrò nuovamente sui suoi compagni, rimanendo vicina all’aquila. Era passata solo una manciata di secondi, quindi non si era persa gran che.
«Ti sei quasi fatto uccidere.» stava dicendo Thorin con tono arrabbiato allo hobbit, sotto gli sguardi sorpresi degli altri. «Non ti avevo detto che saresti stato un peso?» continuò avvicinandosi a lui. «Che non saresti sopravvissuto alle Terre Selvagge? Che non c’è posto per te tra noi?» Lumbar aveva un sorrisetto divertito sulle labbra, ma non disse niente godendosi le espressioni scioccate dei nani e quella triste di Bilbo. «Non mi sono mai sbagliato tanto in vita mia.» concluse abbracciandolo. Quando si staccò riprese. »Scusa se ho dubitato di te.»
«No.» lo fermò lo hobbit. «Anch’io avrei dubitato di me. Non sono un eroe, nè un guerriero. Neanche uno scassinatore.» aggiunse guardando Gandalf e facendolo ridere.
«Io non ho mai dubitato di te.» disse Lumbar facendoli voltare.
«È vero.» confermò Thorin. «Mi ha sempre detto che ti saresti rivelato migliore di ciò che pensavamo.»
«Ah, la nostra amica ha sempre avuto un’ottima percezione della vera essenza delle persone.» disse Gandalf.
«Nemmeno tu hai mai dubitato di lui.» gli fece notare la ragazza.
Gandalf si toccò la barba, pensieroso.
«Anche questo è vero.» ammise con un sorriso.
L’aquila diede a Lumbar un buffetto sulla testa con il becco facendola sorridere, poi volò via insieme alle sue compagne.
«Solo con te sono così amichevoli.» osservò Gandalf mentre la ragazza le guardava svanire all’orizzonte. «Tra me e loro c’è rispetto reciproco e collaborazione, ma niente di più.»
«Davvero?» chiese lo hobbit.
«Oh sì, mio caro Bilbo. Le hanno dato un nome tanto tempo fa. Un nome che significa Stella delle Aquile.»
«È un grande onore.» commentò Thorin, che ne aveva sentito parlare.
«Ed è uno dei pochi titoli con un onere abbastanza leggero.» si inserì la ragazza. «Mi basta essere loro amica per rispettarlo, e non devo nemmeno sforzarmi.» concluse guardando il nano.
Poi si voltò e ammirò il panorama davanti a lei. Thorin lo notò solo in quel momento, prima era nascosto dall’aquila. Affiancò con calma la ragazza, quasi non credendo ai suoi occhi.
«È quello che penso che sia?» chiese lo hobbit quasi balbettando e facendo voltare anche gli altri.
In lontananza, al di là della foresta, si stagliava un picco solitario.
«Erebor…» confermò Gandalf. «La Montagna Solitaria. L’ultimo dei Grandi Regni dei nani della Terra di Mezzo.»
«Casa nostra.» disse Thorin nell’esatto momento in cui Lumbar mormorava “casa”. Finalmente, pensarono entrambi.
Un leggero fischiettare attirò la loro attenzione, facendogli spostare lo sguardo sopra le loro teste, dove notarono un uccellino volare verso la Montagna.
«Un corvo.» disse Oin, indicandolo. »Gli uccelli stanno tornando alla Montagna.»
«Quello, mio caro Oin, è un tordo.» lo corresse Gandalf sorridendo.
«Lo prenderemo come un segno.» disse Thorin. «Un buon auspicio.» finì voltandosi verso Lumbar che in quel momento fece lo stesso.
Sorrisero.
«Hai ragione.» affermò Bilbo accanto a loro. «Credo proprio che il peggio sia passato.»
In quel momento le forze abbandonarono definitivamente il corpo di Lumbar, facendola entrare in uno stato semi cosciente. Sarebbe caduta a terra se non fosse stato per Thorin che la prese al volo.
«Lumbar!»
I suoi occhi preoccupati furono l’ultima cosa che vide prima di chiudere gli occhi e perdere definitivamente conoscenza.
Alla faccia del buon auspicio, pensò mentre le tenebre calavano sulla sua mente.

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Capitolo 7
*** Atto Secondo: La Desolazione Di Smaug ***


Atto Secondo: La Desolazione Di Smaug





 
«Perchè?» le chiese.
«Devi essere più preciso, Legolas. Sono tanti i perchè a cui vuoi una risposta.» gli fece notare lei, tranquilla.
La maschera di freddezza per un momento cadde e lei potè notare la tristezza che si portava appresso, poi lui si ricompose e lei potè leggere la verità soltanto nei suoi occhi, che non erano mai riusciti a nasconderle niente.
«Perchè sei qui? Perchè sei tornata?» domandò, infine.
[...]
«Sarà davvero felice di vederti.» commentò sarcastico, facendo chiaramente intendere a tutti quanto, in realtà, fosse vero il contrario.


 


 
«Perchè non me l'hai detto?» urlò sbattendo le mani sulla porta della cella, la sua voce che rimbombava attraverso le prigioni. «Avevo tutto il diritto di sapere!»
«Era la mia vita, Thorin! E mi è stata portata via!» la ragazza voltò la testa di scatto verso di lui, per mostrargli la sua espressione, tutto il dolore che aveva patito in quei decenni. «Era l'unica casa che io abbia mai conosciuto che è bruciata, quel giorno. Le uniche persone che io abbia mai, davvero, chiamato famiglia. I primi che mi hanno accolto senza aspettative, senza volere nulla in cambio.»


 
 


«Io avrei un’idea…» mormorò. «E non vi piacerà per niente.» ammise, rivolta ai nani e guardando solo Thorin che la incoraggiava a parlare. «Ma credo sia l’unica possibilità che abbiamo.» concluse.
«Perchè dici che non ci piacerà?» chiese Dwalin, guardingo.
Lei sospirò. «Perchè è decisamente peggio del pesce.»
«Ma certo!» esclamò Bard facendoli voltare. «Sei un genio. Nessuno li vedrebbe entrare da lì.»
«Perchè nessuno penserebbe mai a una cosa del genere.» gli fece notare lei. «Mi fa schifo anche solo averla pensata.»

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Capitolo 8
*** 6. Strani alloggi ***






6. Strani alloggi
 
Ci vollero diverse ore prima che la ragazza si risvegliasse. Avevano stabilito che potevano permettersi una pausa, grazie alla grande distanza che avevano percorso con le aquile, quindi decisero di fermarsi proprio sul picco perchè era un punto facilmente difendibile in caso di attacco.
Dopo che Lumbar perse i sensi, Thorin la distese per terra, tenendole la testa appoggiata sulle sue gambe mentre Gandalf iniziava a esaminarla con la magia. Alla fine lo stregone stabilì che qualcosa le stava risucchiando le poche energie che le erano rimaste, ma non sapeva dire cosa e avrebbero dovuto aspettare che lei si svegliasse per scoprirlo. Sembrava che il suo corpo rigettasse la sua magia curativa e lui non riusciva a spiegarsi il perchè.
Durante l’attesa un gruppo di nani andò a caccia e a raccogliere della legna per il fuoco mentre un altro rimase di guardia e montò un piccolo campo per passare lì la notte. Thorin si fece anche spiegare con esattezza cosa fosse successo mentre combatteva contro Azog e cosa si era perso. Scoprì, così, che la ragazza che teneva ancora poggiata sulle sue gambe aveva salvato suo nipote e il suo migliore amico, prima di salvare lui, e venne anche a conoscenza della strana conversazione avvenuta tra lei e il Profanatore. Quando chiesero spiegazioni a Gandalf, lo stregone disse che avrebbero dovuto rivolgersi alla ragazza perchè erano cose che riguardavano il suo passato ed era lei a doverne parlare.
Quando Lumbar si svegliò i nani stavano cucinando la cena discutendo tranquillamente della conversazione avvenuta tra lei e il re dei goblin. Rimase con gli occhi chiusi in ascolto, tentando di riprendere il controllo del suo corpo. Sentiva di essere stesa sulla roccia tranne la testa, che sembrava fosse appoggiata su qualcosa di più morbido.
«... Insomma, se è davvero lei, perchè non ce l’ha detto?» stava dicendo Kili. «È una cosa bella, dopotutto, nonostante sia un’elfa.»
«Non proprio…» mormorò lei facendo prendere un colpo alla compagnia.
Aprì piano gli occhi ritrovandosi a fissare due penetrati iridi azzurre. In quel momento capì dov’era poggiata la sua testa: sulle gambe di Thorin. Un lampo passò nel suo sguardo, ma lo nascose, così come il disagio; non era il momento di pensare a certe cose.
«Come ti senti?» le chiese il nano osservandola.
«Appesantita.» rispose lei. «Non sono sicura di riuscire a muovere il mio corpo. Da quanto ho perso i sensi?»
«Circa mezza giornata. Non sappiamo perchè tu sia così debole.»
Gandalf le si sedette accanto.
«C’è qualcosa che non so?» le chiese calmo. «Riguardo la tua salute.»
Lei lo osservò in silenzio tentando di fare ordine nella sua mente. Le era difficile persino pensare. Aveva iniziato a sentirsi male nella caverna dei goblin, anzi molto prima ma lì aveva cominciato a peggiorare, poi si erano scontrati con Azog e infine aveva curato Thorin.
«Cosa vuoi dire?» chiese quasi bisbigliando.
«La mia magia curativa non funziona. Il tuo corpo la sta rigettando.» spiegò lo stregone. «Non può essere l’incantesimo che hai fatto a Thorin per guarirlo, nonostante per te sia stato pericoloso, perchè le ferite sarebbero comunque dovute migliorare. Invece non è successo niente. Quindi: che cosa è successo che hai accantonato per non farci preoccupare?» chiese diretto.
La ragazza ci pensò su un attimo, poi venne scossa da un terribile dolore al fianco sinistro e alla coscia destra, tanto che sussultò spaventando il nano su cui era distesa, e all’improvviso ricordò.
«Che succede?» chiese Thorin allarmando tutti.
«Odio quelle maledette frecce.» sibilò trattenendo il dolore.
«Quali frecce?» chiese Dwalin avvicinandosi.
«Quelle che mi hanno lanciato gli orchi.» rispose lei chiudendo gli occhi e riprendendo fiato. Più si agitava, più il veleno circolava in fretta. «Ero troppo concentrata a proteggere Thorin e a impedire che vi uccidessero prima dell’arrivo delle aquile e mi hanno colpita al fianco sinistro e alla coscia destra. Lì per lì me ne sono accorta a malapena, le ho tolte mentre eravamo in volo. Poi volevo solo sincerarmi delle condizioni di Thorin e me ne sono dimenticata.» ammise, riuscendo ad alzare una mano con estrema fatica per indicare le zone ferite. «Tanto non possiamo fare niente comunque, al momento. Guarirò, mi ci vorrà solo qualche giorno in più per tornare in piena forma. Domani dovrei già essere in grado di camminare senza problemi.»
«Fammi controllare.» disse Gandalf esaminando le due ferite. «Sei stata colpita dalle frecce nere, Lumbar. Sono avvelenate.»
Lei sorrise triste. «Lo so. E tu sai che, grazie alla metà che odio, il veleno non mi ucciderà.» gli ricordò. «Almeno adesso sappiamo perchè la tua magia non ha funzionato: con il veleno in circolo posso guarire solo senza l’aiuto della magia. Avrei potuto prepararmi un infuso per velocizzare il processo di guarigione, ma non ho gli ingredienti.» una fitta la colse alla sprovvista, facendola irrigidire.
«Potresti sbagliare. Eri troppo debole quando sei stata colpita dalle frecce nere. Il veleno potrebbe ucciderti.» la corresse lo stregone.
Lei scosse la testa.
«Azog mi ha uccisa, Gandalf. L’unico sbaglio riguarda la mia presenza qui.» disse noncurante della presenza di Thorin e degli altri.
«Mia cara…» cominciò lo stregone, ma lei voltò la testa puntando lo sguardo sulla vallata.
Sospirò e Thorin potè sentire la tristezza della ragazza raggiungerlo come se fosse sua. Forse, in parte, lo era.
Quando la cena fu pronta Lumbar riusciva a muoversi, anche se lentamente. Thorin la aiutò a sedersi, poi Bombur le porse una ciotola e mangiarono. Chiacchierarono poco, quella sera, troppo stanchi a causa delle giornate appena trascorse, così stabilirono i turni di guardia e si addormentarono. Dopo qualche ora Lumbar si svegliò, aveva di nuovo sognato il passato. Si alzò, riuscendo finalmente a ricoprirsi la schiena ma decidendo di lasciare indietro il cappuccio, e si avvicinò a Dwalin senza fare rumore, sedendoglisi accanto sul bordo della roccia; guardavano entrambi nel vuoto.
«Sei stanco.» disse lei dopo un po’. «Vai a dormire, resto io qui.» propose.
«Sei quasi morta oggi. Dovresti essere tu a riposarti.» ribattè il nano.
«Non riuscirei a chiudere occhio, adesso.» ammise sincera la ragazza. «E poi anche tu hai rischiato di morire, stavi per fare un bel volo.»
«Se vuoi che ti ringrazi…» cominciò il nano.
«Valar!» alzò gli occhi al cielo lei. «No. Che le persone mi ringrazino non è mai stato importante, per me. Anche tu hai bisogno di riposare, tutto qui.»
«Tutto qui?» chiese scettico Dwalin.
«Tutto qui.» confermò la ragazza.
«Sei sicura?» chiese il nano guardandola di sottecchi. «Non voglio che ti senta male di nuovo, per questo.»
Lei annuì. «Sarei comunque rimasta sveglia, almeno così uno dei due può dormire.»
«D’accordo. Se hai bisogno chiamami.» cedette lui alzandosi. «Senti… non mi piace che tu sia un elfo. Ma… ti ringrazio… per aver salvato Thorin.» poi andò a stendersi vicino al fratello e nel giro di dieci minuti si addormentò.
Lumbar non si aspettava un commento del genere, conoscendo l’orgoglio e la testardaggine dei nani, ma lo accettò per quello che era: la dimostrazione che il migliore amico di Thorin, quindi anche gli altri nani, era passato sopra a quella che credeva essere la sua razza, da loro tanto odiata. Se solo avesse saputo che essere metà elfo non era la parte peggiore, per lei…
Rimase a vegliare sul loro sonno per tutta la notte, lasciando dormire i nani che ne avevano decisamente bisogno. Quello che non sapeva era che Thorin aveva fatto il suo stesso sogno, svegliandosi nello stesso istante, ed era rimasto sveglio tutta la notte con lei. Fu anche il primo, quindi, che la sentì cantare. A Est, verso la Montagna, stava spuntando il sole, e alla ragazza aveva fatto ricordare il sogno di quella notte e le fiamme del passato. La sua voce era uscita senza che se ne rendesse conto.

 
Oh, misty eye of the mountain below
Keep careful watch of my brothers' souls
And should the sky be filled with fire and smoke
Keep watching over Durin's sons

 
La sua voce, bassa e dolce, riempiva l’aria mentre con la mente ritornava a quei momenti e li riviveva come se fosse stata lì in quell’istante.

 
If this is to end in fire
Then we should all burn together
Watch the flames climb high into the night

 
Thorin riconobbe la canzone dopo poche parole. Sapeva quando era stata scritta e perchè, ma si chiese perchè Lumbar l’avesse canticchiata per tutto il tempo nell’ultima parte del loro viaggio e perchè sembrava che stesse vivendo le parole in prima persona.

 
Calling out for the rope
Stand by and we will
Watch the flames burn on and on
The mountain side, hey
 

Gandalf si svegliò in quel momento. Nè Thorin nè Lumbar se ne accorsero; lei troppo impegnata a cantare il suo dolore, lui troppo preso a osservarla e ad ascoltarla. Lo stregone rivolse la sua attenzione alla ragazza rimanendo in silenzio. Sapeva che prima o poi sarebbe successo. Lei doveva sfogarsi, in un modo o nell’altro.

 
And if we should die tonight
Then we should all die together
Raise a glass of wine for the last time
 

Fili, Kili e Bilbo aprirono gli occhi osservandosi intorno e chiedendosi da dove arrivasse quella voce. Ci misero un po’ ad accorgersene, ma quando videro la ragazza girata di spalle si scambiarono un’occhiata e si concentrarono silenziosi su di lei.

 
Calling out for the rope
Prepare as we will
Watch the flames burn on and on
The mountain side
Desolation comes upon the sky
 

Dwalin e Balin furono i successivi a risvegliarsi. Il maggiore aveva riconosciuto la melodia anche nel sonno: aveva sognato il giorno in cui era stata scritta e la prima persona che l’aveva cantata. Una lacrima gli scivolò sulla guancia sotto lo sguardo attento del fratello e un triste sorriso gli spuntò sulle labbra. Cominciava a capire cosa stava succedendo a tutti loro, cosa significavano quei sogni che condividevano.

 
Now I see fire
Inside the mountain
And I see fire
Burning the trees
And I see fire
Hollowing souls
And I see fire
Blood in the breeze
And I hope that you remember me
 

Lumbar, senza accorgersene, cominciò a creare con le mani delle immagini di fuoco delle scene che stava rivivendo, lo sguardo perso sul sole e in posti lontani. Era totalmente immersa nei ricordi e non si accorse di star svegliando i suoi compagni.

 
Oh, should my people fall
Then surely I'll do the same
Confined in mountain halls
We got too close to the flame
 

Dori, Nori e Gloin si svegliarono insieme e il terzo diede un colpo silenzioso al fratello, Oin, per svegliare anche lui. Ascoltarono rapiti e concentrati la voce della ragazza riempire il silenzio dell’alba, e la videro circondata dall’alone di luce del sole nascente.
 

 
Calling out for the rope
Hold fast and we will
Watch the flames burn on and on
The mountain side
Desolation comes upon the sky
 

Bofur e Bombur furono i successivi, il secondo ancora un po’ intontito dal sonno. Si osservarono attorno e quando videro i loro compagni guardare un punto preciso, si concentrarono anche loro in quella direzione. Fu in quel momento che capirono cosa stava accadendo: la ragazza, cantando, stava ricordando la furia di Smaug, la distruzione di Dale e la cacciata dei nani da Erebor. Si misero in ascolto anche loro.
 

 
Now I see fire
Inside the mountain
And I see fire
Burning the trees
And I see fire
Hollowing souls
And I see fire
Blood in the breeze
And I hope that you remember me
 

Ori e Bifur furono gli ultimi della compagnia ad aprire gli occhi, ma a nessuno importò: erano troppo concentrati ad ascoltare. Anche loro lo fecero e così la compagnia al completo si ritrovò in balia della voce della ragazza senza che lei se ne accorgesse.
 
 
And if the night is burning
I will cover my eyes
For if the dark returns
Then my brothers will die
And as the sky is falling down
It crashed into this lonely town
And with that shadow upon the ground
I hear my people screaming out
 

I nani e lo hobbit vennero rapiti dal trasporto e dal dolore che sentivano permeare quella canzone. Solo Gandalf sapeva la verità su di lei e Balin, ora, cominciava a capirla. I due furono particolarmente rattristati da ciò: lo stregone sapeva come si sentiva la ragazza e il nano, adesso, poteva facilmente intuirlo. Avevano tutti le lacrime agli occhi.
 

 
Now I see fire
Inside the mountains
I see fire
Burning the trees
I see fire
Hollowing souls
I see fire
Blood in the breeze
I see fire
Oh you know I saw a city burning out (fire)
And I see fire
Feel the heat upon my skin, yeah (fire)
And I see fire (fire)
And I see fire burn on and on the mountain side
 

Sembrava che il vento leggero, che le muoveva dolcemente quei capelli così particolari, e le foglie degli alberi partecipassero alla canzone, rendendola ancora più magica.
Quando Lumbar si zittì, le fiamme tra le sue mani si spensero e le immagini scomparvero. Lei si asciugò una lacrima traditrice che le era scivolata su una guancia, poi decise di alzarsi e svegliare gli altri. Era abbastanza in forze per riprendere il cammino.
Quando si voltò, però, trovò l’intera compagnia a fissarla con le lacrime agli occhi. Quelli di Thorin, in particolare, riflettevano il suo stesso dolore, la sua stessa anima e la fecero bloccare sul posto. Non pensava li avrebbe svegliati altrimenti non avrebbe mai cantato, non voleva che la sentissero. Purtroppo, ormai, era tardi; così mascherò il disagio, il dolore e la paura e si avvicinò al fuoco, ravvivandolo e cominciando poi a preparare la colazione, come se niente fosse successo.
Quello sembrò il segnale per sbloccare anche gli altri, che si erano paralizzati quando lei si era voltata trovandoli svegli. Cominciarono tutti a darsi da fare, raccattando le proprie cose o aiutando lei con la colazione; Thorin si avvicinò a Gandalf in silenzio, senza riuscire a emettere un solo fiato ma tenendo lo sguardo puntato sulla figura della ragazza che ora si muoveva tranquilla in mezzo a loro senza cappuccio. Lo stregone sospirò, consapevole di cosa passasse per la testa del nano e di quali domande affollassero la sua mente, oltre al turbamento.
«Devi parlarne con lei.» lo anticipò.
Il nano sospirò a sua volta.
«Lo so.» disse semplicemente.
Ma in cuor suo non era sicuro che l’avrebbe fatto. Voleva delle spiegazioni, certo, ma l’espressione di Lumbar, quando si era voltata, era identica alla sua. Sembravano provare le stesse emozioni e questo lo aveva toccato più di quanto volesse ammettere. Quello sguardo che diceva “ho perso tutto, sto finendo in frantumi, ma sono ancora qui” lo aveva scosso nel profondo, richiamando dei ricordi confusi e avvolti nella nebbia che non riusciva a mettere a fuoco, ma che gli facevano sentire delle sensazioni mai provate prima.
Gli altri nani, anche se non con la stessa intensità, provavano lo stesso. Da quando l’avevano sentita cantare sembrava a tutti di conoscerla da anni e non riuscivano a spiegarsene il motivo. Balin, l’unico che stava riuscendo a mettere insieme i pezzi, passava lo sguardo da Thorin a Lumbar tentando di decifrare cosa nascondesse la ragazza, in modo da sciogliere finalmente la matassa di ricordi sconclusionati che avevano cominciato a farsi vivi in lui e negli altri. In ogni caso, avevano accettato piuttosto facilmente la sua natura elfica, stupendo per primi loro stessi.
 

 
****
 

Dopo essersi rifocillati scesero dal picco e cominciarono a camminare verso Est, rimettendosi in marcia e attraversando quella vallata circondata da montagne. Stavano passando in una parte fitta del bosco, riparata su un fianco dalle montagne, quando Lumbar si appoggiò a un tronco. Gli altri si fermarono subito; non l’avevano persa d’occhio nemmeno un istante, consapevoli della sua precaria salute, e le si avvicinarono in un secondo.
«Stai bene?» le chiese Thorin tentando di studiare la sua espressione.
Non riusciva a vederla in volto, infatti, a causa del cappuccio che si era rimessa prima di partire.
Lei annuì in silenzio. Qualcosa non andava, ma non in lei, così chiuse gli occhi e si concentrò. Spinse al massimo i suoi sensi e non ci volle molto perchè capisse cosa l’aveva disorientata. Si irrigidì.
«Cos’hai sentito?» chiese Gandalf, che aveva già capito le intenzioni della ragazza.
«Gli orchi.» disse lei facendo gelare i nani. «Hanno cavalcato tutta la notte per raggiungerci. Azog è davvero arrabbiato.»
Decisero di mandare Bilbo in avanscoperta e nel frattempo si riposarono un po’. Lumbar si sedette sulle radici di un albero, appoggiando la schiena al tronco. Un brivido le percorse il braccio destro e lei aprì e chiuse la mano più volte per controllare come andasse la sua sensibilità. Aveva mentito sulla sua salute, lo sapeva; e probabilmente lo sapevano anche gli altri, ma fortunatamente non avevano capito quanto fosse grave in realtà. Era percorsa da continue fitte che la facevano tremare costantemente e il suo corpo era in fiamme e perennemente teso. Per non parlare della vista che si offuscava nei momenti più inopportuni o della perdita di sensibilità agli arti che andava e veniva.
Non potevano farci niente, per questo non gliene aveva parlato. Aveva notato come si stessero preoccupando, come la tenessero costantemente d’occhio, e non voleva peggiorare le cose. Aveva un giuramento da mantenere e non si sarebbe mai tirata indietro. A qualunque costo.
Dopo una decina di minuti sentì lo hobbit ritornare e volse la testa nella sua direzione, attirando l’attenzione del resto della compagnia.
«Quanto è vicino il branco?» chiese Thorin al mezzuomo.
«Troppo vicino.» rispose quello fermandosi in mezzo a loro per riprendere fiato. «Un paio di leghe, non di più. Ma questa non è la parte peggiore.»
«I mannari ci hanno fiutato?» ipotizzò Dwalin.
«Non ancora.» negò lo hobbit. «Ma lo faranno. Abbiamo un altro problema.»
«Ti hanno visto?» domandò Gandalf. «Ti hanno visto?»
«No, non è questo.» negò di nuovo.
«Mhmm. Che vi avevo detto? Silenzioso come un topo.» disse Gandalf ai nani e facendoli borbottare. «Ha la stoffa dello scassinatore.»
«Volete darmi ascolto?» stava dicendo lo hobbit, mentre i nani parlavano fra loro. «Volete darmi ascolto?» scandì a voce più alta facendoli zittire. «Sto cercando di dirvi che c’è qualcos’altro là fuori.» disse indicando il punto da cui era venuto.
«Quale forma ha assunto?» la voce di Lumbar, resa ancora più bassa dal dolore che stava sopportando, superò il silenzio che era calato. «Quella di un orso?»
«S...» lo hobbit si bloccò fissandola sorpreso. «Sì, ma più grosso. Molto più grosso.»
La ragazza aprì gli occhi e guardò nella direzione in cui doveva trovarsi l’orso, poi osservò Gandalf che già la fissava. Il tutto sotto gli sguardi confusi dei nani.
«Voi sapevate di questa bestia?» chiese Bofur. «Io dico di fare dietrofront.»
«Ed essere travolti da un branco di orchi?» concluse Thorin.
I nani cominciarono a discutere su cosa era meglio fare, mentre Gandalf e Lumbar ebbero un discorso silenzioso. Alla fine lei annuì, confermando quello che lo stregone già sospettava.
«C’è una casa.» disse il Grigio riportando il silenzio. «Non è lontana da qui, dove noi potremmo… trovare rifugio.»
«Di chi è la casa?» chiese Thorin per niente convinto. «Amico o nemico?»
«Nessuno dei due.» rispose Lumbar anticipando lo stregone.
«Lui ci aiuterà o… ci ucciderà.» completò Gandalf. «Anche se sono più propenso per la prima ipotesi.»
«E come mai?» chiese ancora Thorin, poco convinto.
Gandalf lanciò un’occhiata eloquente alla ragazza e il nano capì: Lumbar era in buoni rapporti anche con lui.
«Che scelta abbiamo?» domandò agli altri.
La risposta era ovvia.
«Nessuna.» confermò lo stregone dopo aver sentito un forte barrito.
Dwalin si avvicinò alla ragazza e le allungò una mano per aiutarla ad alzarsi. Poi si rimisero velocemente in marcia, seguendo Gandalf attraverso la boscaglia e diretti verso la casa. Corsero senza guardarsi indietro, superando il crinale e arrivando a una pianura ricoperta da macchie di fiori di lavanda. Continuarono a correre, incitati da Gandalf. Lumbar riusciva a sentire i mannari avvicinarsi sempre di più. Superarono la pianura e si infilarono in un’altra macchia di alberi, sempre correndo e schivando radici e rocce per non cadere. Stavano andando in discesa e continuarono anche quando un altro potente barrito li raggiunse.
«Per di qua! Svelti!» li incoraggiò lo stregone continuando a correre a valle, Lumbar chiudeva la fila, arrancando a fatica a causa del veleno degli orchi. «Alla casa! Svelti!» urlò ancora Gandalf quando la intravidero a poche centinaia di metri di distanza.
Bombur era talmente terrorizzato da riuscire a superare i suoi compagni sgomenti. L’orso si stava avvicinando pericolosamente quando arrivarono al muro che circondava la casa e lo superarono. I nani si schiantarono sulla grande porta di legno tentando di aprirla con scarsi risultati e l’orso sbucò fuori dalla boscaglia proprio in quel momento, diretto verso di loro a tutta velocità.
«Aprite la porta!» urlò Gandalf preoccupato.
«Presto!» li spronò Thorin.
«Il catenaccio.» disse Lumbar al nano al suo fianco mentre il suo viso perdeva colore. Si era affaticata troppo e ora le sue energie stavano nuovamente sparendo.
Thorin seguì il suo sguardo e quando vide di cosa parlava si fece largo in mezzo ai suoi compagni per sollevarlo e aprire così la porta, permettendo a tutti di entrare. Mentre chiudevano la porta l’orso infilò il muso tra i battenti e i nani continuarono a spingere sul legno per chiuderli definitivamente e bloccarlo fuori. Quando ci riuscirono tirarono un sospiro di sollievo.
«Quello cos’è?» chiese Ori voltandosi verso Gandalf e Lumbar.
“Il nostro anfitrione.» disse lo stregone sorprendendo i nani e lo hobbit che si girarono verso di lui, in attesa di spiegazioni.
Gandalf si volse a guardare la ragazza che alzò gli occhi al cielo e cominciò a spiegare. «Il suo nome è Beorn, ed è un mutatore di pelle. A volte è un enorme orso nero.» continuò camminando e facendo un gesto verso il portone da cui erano entrati. «Altre volte è un omone grande e forte. L’orso è imprevedibile.» si volse verso i compagni. «Ma con l’uomo ci si può ragionare.»
«Tu hai ragionato con l’orso prima che con l’uomo.» le ricordò bonariamente lo stregone.
«Chissà perchè non mi sorprende.» commentò Thorin mentre i nani si sparpagliavano per la stanza.
«Tuttavia…» aggiunse la ragazza facendoli voltare. «Non è che faccia salti di gioia per i nani.» concluse con tono pensieroso.
«Bene!» disse Gandalf togliendosi il cappello. «Ora mettetevi a dormire, tutti voi. Starete più al sicuro qui, stanotte.» poi si volse verso Lumbar, leggermente preoccupato, e mormorò. «Lo spero.» facendola sorridere.
Si misero comodi sulla paglia della stalla, vicino alle mucche, e si lasciarono andare al sonno, troppo stanchi per protestare. Lumbar chiuse gli occhi, supina, ma si concentrò sui rumori della foresta: riusciva a sentire Beorn controllare il perimetro della casa ancora in forma di orso e, poco distante, la presenza degli orchi. Si concentrò su di loro, volendo capire cosa stessero dicendo: volevano attaccarli nel sonno per ucciderli, ma non agirono a causa di Beorn. In quel momento Bolg, il figlio di Azog, arrivò in groppa a un mannaro comunicando al padre che si stavano radunando a Dol Guldur ed era richiesta la sua presenza dal loro padrone. Lei li ascoltò allontanarsi in groppa ai mannari poi venne distratta dai movimenti di Bilbo, evidentemente ancora sveglio, che si era tirato a sedere poco distante da lei. Lumbar sentì nuovamente la morsa del male farsi più pressante e capì che lo hobbit teneva in mano l’anello e lo stava studiando. Non riuscì a dirgli niente perchè venne risucchiata in una visione.
 

Si ritrovò a Dol Guldur, vicino ad Azog che camminava verso la fine di una passatoia di pietra al centro della fortezza. La ragazza si guardò intorno rabbrividendo: riusciva a sentire la sua presenza e quel posto brulicava di orchi. Una grande ombra nera che galleggiava nell’aria si avvicinò all’orco sibilando, ma rimanendo comunque sospesa nel vuoto. Sembrava nebbia, o una nuvola, ma era molto diversa. Era il male puro. Riusciva a sentirne la pressione nonostante non fosse davvero lì con loro.
«Cresciamo di numero.» lo sentì pronunciare nella lingua nera ad Azog. Lei si pietrificò. Non poteva essere lui. Rimase a distanza e in ascolto, immobile. «Cresciamo in potenza. Tu guiderai i miei eserciti.»
«Che facciamo con Scudodiquercia?» chiese l’orco avanzando.
L’ombra si mosse attorno a loro, facendoli voltare con il corpo per poterla seguire.
«La guerra è in arrivo.» sibilò maligna fermandosi al lato opposto.
«Mi hai promesso la sua testa!» alzò la voce l’orco.
Questo non piacque all’ombra che, repentina, si mosse attraversandolo. «La morte arriverà per tutti.» poi scomparve nel nulla facendo respirare velocemente Azog.
«Dobbiamo interrompere la caccia?» chiese piano un orco dietro di lui.
Azog si voltò contrariato verso di lui.
«Bolg!» chiamò. Il figlio arrivò subito e si fermò davanti a lui. «Ho un compito per te. Hai ancora sete di sangue nanico?» chiese.
Il figlio ringhiò di piacere e Lumbar tornò presente a se stessa.
 

Respirò affannosamente, tentando di riprendersi da quell’orrore, e si alzò dirigendosi verso il camino in cui scoppiettava tranquillo il fuoco prima di accovacciarglisi accanto. Si srotolò la benda attorno al braccio, analizzando il morso del mannaro di settimane prima e osservando che stava guarendo bene nonostante le sue condizioni, poi si ribendò. Bilbo neanche la notò, era ancora troppo concentrato sull’anello. Lumbar rimase lì anche quando la porta si aprì e Beorn entrò, coperto solo da un paio di pantaloni; Bilbo invece fece finta di dormire, per poi addormentarsi davvero.
Il mutatore di pelle respirava affannosamente per riprendersi dalla corsa e dalla trasformazione e, intanto, analizzava l’ambiente. Poi si diresse verso di lei, sedendosi al grande tavolo che aveva alle sue spalle. Lumbar continuò a osservare le fiamme e Beorn calmò il suo respiro. Nessuno dei due disse niente, fino a quando la ragazza tossì, sporcandosi nuovamente la mano di sangue che, ovviamente, pulì sui pantaloni.
«Chi hai curato?» chiese Beorn con la sua voce grave.
«Qualcuno che ne aveva bisogno.» rispose solamente lei.
«E lo hai curato nonostante le tue pessime condizioni.» osservò l’uomo. «Doveva essere davvero in pericolo di vita.»
Il silenzio della ragazza confermò le sue parole.
«Lui lo sa?» le chiese. «Sa cos’hai fatto? Cos’ha comportato, per te, salvarlo?»
«No.» mormorò lei dopo qualche secondo, una mano poggiata su un punto preciso del suo corpo, speculare a quello in cui Thorin era stato ferito più gravemente. Lo sentiva formicolare da quando lo aveva curato. «E non deve saperlo. L’orgoglio gli imporrebbe in tutti i modi di impedirmi di rifarlo.»
«Ma tu lo rifaresti comunque.» finì lui.
Beorn sospirò stanco. Conosceva quella ragazza da molto tempo; sapeva la sua storia, quella vera, e la capiva. Erano amici da molti anni e lei aveva fatto molto per lui.
«Cosa ti serve?» le chiese.
«Il miele.»
«Ti hanno colpito le frecce nere.» comprese lui. Per una qualche strana ragione il miele delle sue api, così particolari, era in grado di alleviare a Lumbar il dolore del veleno degli orchi e la aiutava a riprendersi più in fretta, se trattato in un certo modo. «Domani ne avrai in abbondanza. Dormi adesso.»
«Non ci riesco.» rispose lei. «Ho avuto una visione.»
«Niente di buono.» capì lui.
Rimasero qualche minuto in silenzio, osservando il fuoco.
«Ti ho sentita.» disse Beorn facendola voltare confusa verso di lui. «La canzone. Eri lontana, ma ti ho sentita.» spiegò comprendendo cosa la agitava oltre alla visione. «Cerca di riposare. Veglierò io su di te, adesso.»
Lei annuì, gli occhi leggermente lucidi e pieni di gratitudine, e si stese lì dov’era, accanto al calore del fuoco.
Si addormentò in pochi minuti.
 

 
****
 

Quando si svegliò la mattina dopo, nel camino erano rimaste solo le braci di un fuoco estinto da poco e capì che doveva essere relativamente presto. Aveva una coperta sul corpo e pensò che dovesse avergliela messa l’uomo durante la notte. L’odore di quella stoffa le penetrò le narici, riportandola a un periodo lontano e particolare, in cui aveva attraversato un lungo momento buio che poi si era trasformato in uno dei periodi più tranquilli della sua vita. Sorrise prima di alzarsi e avvicinarsi allo stregone che, in piedi, osservava i nani ancora addormentati. Doveva essere sveglio da un po’, constatò guardandolo, ma non aveva svegliato nessuno di loro preferendo farli dormire e recuperare le forze.
«Come hai dormito, mia cara?» le chiese rompendo il silenzio dopo aver aspirato dalla lunga pipa.
Lei alzò le spalle.
«Prima o dopo la nuova visione?» chiese indifferente.
Dopotutto era una routine consolidata, ormai, quella che le impediva di avere un sonno tranquillo.
«Capisco.» concluse lo stregone, creando dei cerchi con il fumo.
E lei sapeva che capiva davvero, perchè conosceva i suoi tormenti, e lo ringraziò silenziosamente per non aver aggiunto altro.
Aspettarono in silenzio il risveglio degli altri osservando il sole alzarsi nel cielo, entrambi persi in cupi pensieri. Sapevano cosa li aspettava, lei meglio di lui, ed entrambi temevano il futuro, cercando un modo per evitare il peggio.
Man mano che i nani aprivano gli occhi, li raggiungevano in quella che era la cucina e si mettevano a parlare tra di loro per mettersi d’accordo su cosa avrebbero fatto adesso; Beorn, infatti, era fuori in giardino che tagliava la legna e i nani non sapevano come comportarsi. L’ultimo a svegliarsi fu lo hobbit e quando li raggiunse Lumbar prese in mano la situazione. Uscì tranquillamente dalla porta attirando l’attenzione dei nani che smisero di discutere e la osservarono con gli occhi spalancati mentre lo stregone sorrideva di nascosto: non sapevano del legame della ragazza con l’uomo ma l’avrebbero scoperto presto.
Lumbar si avvicinò a Beorn, che continuò a tagliare la legna, e si fermò al suo fianco osservando i cavalli dell’uomo che pascolavano tranquilli sul prato.
«Sono svegli.» disse facendolo fermare. «Non li avrei mai portati qui, se avessi potuto evitarlo. So quanto non ti piacciano i nani.» aggiunse.
«È lui, vero?» chiese l’uomo appoggiando l’ascia sul terreno e osservandola. «Il Nano.»
La ragazza annuì, non avendo il coraggio di dirlo ad alta voce. Era un discorso doloroso per lei, lo sapevano entrambi, e all’uomo bastò quel cenno per acconsentire alla sua silenziosa richiesta di aiuto ed entrare.
Gandalf aveva fatto accomodare gli altri attorno al tavolo della cucina, quello davanti al fuoco, e, quando i due li raggiunsero, li osservarono cercando di capire cosa li legasse. Alcuni erano rimasti in piedi e lei si appoggiò alla stessa colonna squadrata di Thorin, anche se dal lato che dava verso il camino, cioè quello accanto al suo.
Beorn distribuì dei boccali in silenzio e poi versò loro del latte.
«Così tu sei quello che chiamano Scudodiquercia.» disse lanciando un’occhiata a Thorin che lo osservò di rimando con le braccia incrociate. «Dimmi, perchè Azog il Profanatore ti sta dando la caccia?»
«Tu sai di Azog?» chiese il nano voltandosi verso di lui. «Come mai?»
«La mia gente è stata la prima a vivere sulle montagne. Prima che gli orchi scendessero dal Nord. Il Profanatore ha ucciso quasi tutta la mia famiglia, ma alcuni li ha resi schiavi.» rivelò l’uomo. Lumbar vide gli occhi dei nani soffermarsi sulle catene spezzate che gli cingevano i polsi, ma non dissero niente lasciandolo continuare. «Non per lavorare, capisci? Ma per sport. Ingabbiare mutatori di pelle e torturarli pareva lo divertisse molto.» continuò camminando attorno a loro e versando altro latte nei boccali. «Fu Lumbar a liberarmi. Quando credevo sarei morto così.»
L’attenzione si spostò sulla ragazza che teneva lo sguardo fisso sul fuoco, perso in quei dolorosi ricordi, tormentato.
«Avrei potuto fare di più.» disse contrariata con sè stessa. «Se fossi arrivata prima…”
«Non sarebbe cambiato niente.» la fermò lui. Sapeva quanto quel pensiero la torturasse, ma non poteva incolparsi per ciò che era successo alla sua gente. Azog li avrebbe uccisi comunque. «Tu mi hai salvato, non solo quando mi hai liberato ma anche dopo, quando mi sei stata vicina aiutandomi a riprendermi e a rifarmi una vita.»
«Ci sono altri come te?» chiese lo hobbit curioso.
«Una volta ce n’erano molti.» rispose Beorn brusco, voltandosi verso il fuoco mentre Lumbar sospirava.
«E… e ora?» continuò Bilbo, ingenuamente.
Beorn si voltò lentamente verso di lui.
«Ora ce n’è solo uno.» disse tetro. «Girano voci di un’altra persona capace di mutare pelle, in cosa nessuno lo sa con certezza. Si pensa che non abbia limiti di scelta.» aggiunse lanciando una veloce occhiata alla ragazza. «Ma nessuno l’ha mai vista.»
Lumbar abbassò lo sguardo sulle sue braccia incrociate. Certo che non l’avevano vista, l’unica volta in cui scoprì di poterlo fare decise di non trasformarsi. Anche Gandalf aveva uno sguardo strano: conosceva le voci e conosceva quella persona, ma non era sicuro che fosse vero.
Beorn appoggiò la caraffa con il latte sul ripiano vicino al camino e si volse di nuovo verso il tavolo. «Dovete raggiungere la montagna prima degli ultimi giorni di autunno.»
«Prima che il dì di Durin arrivi, sì.» confermò Gandalf mentre il mutapelle si sedeva.
«Non avete molto tempo.» notò Beorn.
«Perciò dobbiamo attraversare Bosco Atro.» disse Gandalf.
Lumbar si mosse a disagio attirando l’attenzione di Thorin. Quella foresta non era sicura.
«Un’oscurità grava su quella foresta.» disse Beorn come a confermare i suoi pensieri. «Cose malvagie strisciano sotto quegli alberi. Io non mi ci avventurerei se non per grande necessità.» concluse osservando la ragazza.
Gandalf seguì il suo sguardo e capì. «La visione?»
Lei annuì, ma non scese nei particolari. «Li ho visti, Gandalf. Il bosco non è sicuro.»
«Prenderemo la strada elfica.» il grigio annuì come a confermare le sue stesse parole con Thorin che cambiava posizione infastidito. «Quella strada è ancora sicura.»
«Sicura?» disse Beorn, scettico. «Gli elfi silvani di Bosco Atro non sono come i loro parenti.» disse contrariato facendo un leggero cenno verso Lumbar, mentre Thorin dava loro le spalle. «Sono meno saggi e più pericolosi. Dubito che anche lei potrebbe passare incolume se li incontrasse.»
«Ha ragione.» disse Lumbar tentando di far ragionare Gandalf e fermando l’allontanarsi di Thorin. «Thranduil non è Elrond e il mio rapporto con lui non è così buono, anzi non lo è per niente.» gli ricordò. «Ma non ha importanza.»
«Che vuoi dire?» chiese Thorin voltandosi a osservarla.
Lei ricambiò lo sguardo.
«Quelle terre brulicano di orchi.» rivelò sorprendendolo. «E il loro numero è in aumento.»
«E voi siete a piedi.» aggiunse Beorn. «Non raggiungerete mai la foresta da vivi. Neanche se Lumbar fosse nel pieno delle forze.» concluse facendole alzare gli occhi al cielo per l’ultima frase, che aveva spostato nuovamente l’attenzione su di lei.
«Guarirò, non preoccupatevi.» disse quando notarono il suo pallore.
«Tieni.» Beorn le porse un boccale con dentro un intruglio che lei bevve tutto d’un fiato. Le era mancato quel dolce sapore.
«Quando l’hai preparato?» gli chiese restituendogli il boccale.
«Mentre dormivi.» rispose osservandola riprendere un colorito normale.
Lei si scoprì la ferita al fianco osservando come, grazie al miele trattato con l’Athelas, il suo corpo si stesse liberando velocemente del veleno sotto gli occhi sorpresi dei presenti; anche Gandalf lo era, che finalmente poteva osservare quella misteriosa miscela di cui lei gli aveva parlato in passato.
«Incredibile.» disse Thorin avvicinandosi a lei per osservare la magia. «Com’è possibile?» chiese incredulo.
«Il mio corpo è diverso da quello degli altri. Sono un elfo solo per metà, e l’altra… beh, diciamo solo che è peggio di quanto crediate e difficilmente la indovinerete.» spiegò la ragazza. «Grazie a questa caratteristica il veleno degli orchi non mi uccide, ma è capace di indebolirmi per giorni, soprattutto se sono già ferita. Il miele delle api di Beorn, mescolato in un certo modo con l’Athelas, mi permette di guarire molto più rapidamente. Anche se non sappiamo perchè.»
«È straordinario.» disse lo hobbit.
«Dipende dai punti di vista.» mormorò la ragazza prima di nascondere nuovamente la ferita. Si riferiva alla parte di sè che teneva nascosta. Conosceva la sua natura elfica, che caratterizzava metà del suo essere; ma l’altra, quella più oscura, era un’incognita che aveva paura ad affrontare e preferiva non farne cenno più del necessario.
«Non mi piacciono i nani.» sviò Beorn riprendendo a camminare per la stanza. »Sono avidi, e ciechi. Ciechi verso la vita di coloro che ritengono più miseri di loro. Ma non volterei mai le spalle a un’amica. E poi... gli orchi li odio di più.» concluse fermandosi davanti a Lumbar ma osservando Thorin con uno sguardo pieno d’odio. «Che cosa ti serve?» le chiese.
Lumbar sorrise; aveva sperato in un suo aiuto e lui non l’aveva delusa. Gli spiegò velocemente di cosa avessero bisogno: provviste, un cavallo e quattordici pony e lui iniziò a preparare il tutto. Quando i nani le fecero notare che non aveva incluso una cavalcatura per lei, non se ne preoccupò. Uscì in giardino ed emise lo stesso particolare fischio che le avevano già sentito fare una volta. Erenie arrivò nel giro di qualche minuto, come se li avesse seguiti a distanza. Lei le accarezzò il collo, sussurrandole in elfico il percorso che avrebbero fatto, poi si prepararono a partire. Dopo pranzo i nani montarono sui pony e Lumbar, Gandalf e Beorn parlarono in disparte per qualche minuto.
«Lascerete i miei pony prima di entrare nella foresta.» disse loro il mutapelle.
«Oh, hai la mia parola.» acconsentì tranquillo lo stregone, mentre anche la ragazza annuiva osservandosi attorno, d'accordo con loro.
Dei corvi si alzarono dagli alberi attirando la loro attenzione.
«Siamo sorvegliati.» notò Gandalf.
«Sì.» confermò Lumbar continuando a osservare la foresta. «Gli orchi non si arrendono. Ci daranno la caccia finchè non ci vedranno distrutti.»
«Perchè ora?» chiese Gandalf. «Perchè il Profanatore striscia fuori dalla sua tana?»
«C’è un’alleanza tra gli orchi di Moria e il negromante a Dol Guldur.» rivelò il mutapelle.
«Sei sicuro di questo?» domandò Gandalf, preoccupato.
«Branchi sono stati visti riunirsi lì.» spiegò Beorn. «Ogni giorno di più, sempre di più.»
«E cosa sai di questo stregone?» chiese Gandalf, mentre i nani si muovevano irrequieti e li osservavano, pronti a partire. «Quello che chiamano “il Negromante”?»
«So che non è quello che sembra.» rispose Beorn osservando la ragazza che si era portata una mano alla fronte. «Creature malvagie sono attirate dal suo potere.» continuò. «Azog gli rende omaggio.»
«Ha ragione.» disse Lumbar. «È lui a dare ordini ad Azog. L’ho visto.»
«Perchè non l’hai detto prima?» domandò contrariato lo stregone.
«Facendo preoccupare ancora di più gli altri?» chiese di rimando lei. «Hanno già abbastanza problemi, te ne avrei parlato durante il viaggio verso Bosco Atro.»
Prima che lo stregone potesse ribattere la voce di Thorin li raggiunse.
«Gandalf.» chiamò facendoli voltare verso di lui. «Perdiamo tempo.» fece notare loro.
Gandalf cominciò a camminare verso i cavalli ma la voce di Beorn lo fece fermare. «C’è dell’altro.» Lumbar osservò il mutapelle. L’espressione che aveva non le piaceva per niente. «Recentemente si è sparsa la voce che i morti sono stati visti deambulare vicino alle colline alte di Rhudaur.»
Lumbar sbiancò mentre Gandalf si avvicinò nuovamente a loro.
«I morti?» chiese pensando di non aver sentito bene.
«È vero?» domandò il mutapelle. «Ci sono tombe su quelle montagne?»
«Sì, ci sono tombe lassù.» confermò Lumbar con un filo di voce.
«Io ricordo un tempo in cui un grande male governava queste terre. Un male potente abbastanza da resuscitare i morti. Se quel nemico è tornato nella Terra di Mezzo, gradirei che voi me lo diceste.» affermò Beorn.
«Saruman il Bianco dice che non è possibile.» ammise Gandalf. «Il nemico è stato distrutto e non farà mai ritorno.»
Lumbar sbuffò contrariata, ma non disse niente. Era ovvio che Saruman non le avrebbe mai dato ragione.
«E Gandalf il Grigio che dice?» domandò Beorn lanciandole un’occhiata.
Sapeva già cosa pensava lei.
Gandalf scosse la testa in silenzio, non sapendo cosa rispondere, mentre altri corvi passavano sopra le loro teste gracchiando.
«Andate, ora.» disse Beorn. «Finchè avete luce.» i due si diressero alle loro cavalcature e montarono, mentre un ululato attirava la loro attenzione. «Chi vi dà la caccia non è tanto lontano.» scambiò uno sguardo d’intesa con Lumbar prima che lei si voltasse e seguisse i suoi compagni.
Appena lasciarono le alte siepi a est delle terre cintate di Beorn, volsero a nord e poi piegarono a nord-est. Seguendo i suoi consigli e le indicazioni della ragazza non si diressero più verso la strada principale che portava alla foresta passando a sud del suo territorio. Se avessero passato il valico prescelto in origine, il sentiero li avrebbe condotti a un rivo che scendeva dalle montagne per affluire nel Grande Fiume diverse miglia a sud della Carroccia, il picco in cui li avevano lasciati le aquile. In quel punto c'era un guado profondo che avrebbero potuto passare se avessero avuto ancora i pony, e sull'altra riva una pista portava ai margini del bosco e all'inizio della vecchia strada della foresta. Ma Beorn e Lumbar li avevano avvertiti che ora quella via veniva spesso usata dagli orchi, e del resto la strada, come avevano sentito dire, era ricoperta di erbacce e caduta in disuso all'estremità orientale, e portava a luoghi invalicabili dove da lungo tempo si erano persi i sentieri. Lo sbocco orientale, comunque, era sempre stato molto a sud rispetto alla Montagna Solitaria, cosicché quando fossero arrivati dall'altra parte della foresta avrebbero dovuto percorrere un lungo e difficile cammino verso nord. Da questa parte della foresta, invece, a nord della Carroccia, il margine di Bosco Atro si avvicinava alle sponde del Grande Fiume, e benché anche le Montagne non fossero da quella parte molto distanti, Beorn e Lumbar li consigliarono di dirigersi li; infatti, a un certo punto, raggiungibile a cavallo in pochi giorni, si apriva la strada elfica che, attraverso Bosco Atro, portava quasi direttamente ai piedi della Montagna Solitaria. Strada che Gandalf voleva usare a tutti i costi.
Cavalcarono in silenzio, galoppando dovunque il terreno fosse erboso e soffice, con le montagne scure alla loro sinistra, e in lontananza la linea del fiume coi suoi alberi che si avvicinava sempre di più. Il sole si era appena volto a occidente, quando erano partiti, e fino a sera indugiò dorato sulla campagna attorno a loro. Era difficile pensare agli orchi che li inseguivano alle spalle, e quando ebbero messo molte miglia tra sé e la casa di Beorn i nani cominciarono a parlare e a cantare di nuovo, e a dimenticare lo scuro sentiero della foresta che si estendeva davanti a loro. Lumbar rimase silenziosa tutto il tempo e loro non la coinvolsero, pensando a ciò che era successo sul picco ma imponendosi di non porre domande e di sedare la loro curiosità.
A tarda sera, quando scese il crepuscolo e le vette delle montagne fiammeggiarono torve e minacciose nella luce del tramonto, si accamparono e misero delle sentinelle e la maggior parte di loro dormì male facendo sogni in cui risuonavano gli ululati dei lupi che davano loro la caccia e le grida degli orchi. Lumbar si offrì per rimanere sveglia tutta la notte, consapevole che non avrebbe dormito, in modo da far riposare almeno un po’ gli altri. Loro protestarono, impedendoglielo, ma non potevano sapere che, una volta risvegliatasi da un ricordo del passato, rimase sveglia a vegliare su di loro. Così come lei non poteva sapere che i nani che avevano vissuto ad Erebor stavano rivivendo, nei loro sogni, gli stessi ricordi che aveva visto lei. Oltre agli incubi sugli orchi, ovviamente.
Al mattino seguente l'alba fu di nuovo vivida e bella. Intorno a loro si era alzata una nebbiolina quasi autunnale e l'aria era fresca e pungente; presto però il sole si levò rosso, a oriente, e le nebbie svanirono, e mentre le ombre erano ancora lunghe, essi ripresero il cammino. Cavalcarono così per altri due giorni, e per tutto il tempo non videro nulla tranne erba, fiori, uccelli, alberi sparsi qua e là, e di tanto in tanto branchi di cervi rossicci che brucavano o, a mezzogiorno, sedevano all'ombra.
La terza sera Thorin le si avvicinò durante il suo turno di guardia. Lumbar stava giocando con il fuoco, controllandolo tra le sue mani e creando delle immagini, e lui le si sedette accanto in silenzio fissando le fiamme tra i suoi palmi.
«Dovrai parlarne, prima o poi.» le disse dopo qualche minuto, tenendo lo sguardo sul gioco di immagini.
«Non è necessario» mormorò lei in risposta, continuando a modificare quelle scene di fuoco sovrappensiero, lasciandole fluire dalla sua mente senza filtri.
«Perché pensi di non averne bisogno?» le domandò retorico, mentre un sorriso triste faceva capolino sulle sue labbra, un sorriso che non raggiungeva gli occhi. «Quel bisogno che tenti in tutti i modi di nascondere, noi l'abbiamo sentito.» le disse, tranquillo. «Sei stata tu a farcelo sentire. Ma ognuno di noi ha preferito tacere perché sembri covare un dolore troppo grande da esternare, e un dolore del genere fa paura.»
«Allora perchè tu vuoi sapere?» domandò lei in un sussurro e senza guardarlo, le mani che ancora controllavano il fuoco. «Perché vuoi chiedere? Parlare?»
«Perché tenerti tutto dentro è più spaventoso che esternare.«
«E tu?» lo spiazzò di rimando lei dopo un lungo silenzio. «Hai mai esternato il tuo dolore a parole? Hai mai espresso a qualcuno come ti sentivi senza usare la forza del tuo sguardo?»
Thorin spostò l'attenzione su di lei, osservandola. Sembrava persa nei ricordi che impedivano costantemente a chiunque di raggiungerla, ma lui sapeva che stava aspettando una risposta.
«No.» ammise sincero continuando a guardarla.
«E allora perché, proprio tu, mi chiedi di parlare?» domandò ancora lei, non capendo le sue intenzioni.
«Perché proprio io capisco quanto in realtà il silenzio faccia male» rispose il nano osservando ogni sua reazione.
Un angolo delle labbra della ragazza si curvò leggermente verso l'alto, prima di tornare al punto di partenza.
«Ma non fai niente per cambiare le cose.» constatò. «Quindi non puoi chiedermi di farlo io.»
«Vorrei solo capirti.» le disse dopo un po’, con lo sguardo fisso sulle immagini fiammeggianti.
«Non hai bisogno che io parli, per capirmi. Ci riesci benissimo così.» rivelò lei senza guardarlo. «Sono ricordi.» aggiunse riferendosi alle immagini. «Ricordi dolorosi. Ricordi che mi tormentano.»
«Sono ricordi felici.» osservò il nano.
Non riusciva a vedere i volti in modo chiaro ma era evidente che si trattasse di scene quotidiane di lei insieme ad altre persone. Per di più gli sembravano familiari, ma non sapeva spiegarsi il perchè. Una dolce malinconia lo invase senza motivo.
«Proprio per questo sono dolorosi. Sono i più belli che ho. E quelli che fanno più male.» spiegò al nano.
«Perchè li ricrei, allora?» le domandò. «Perchè ti torturi?»
Un lieve sorriso fece capolino sulle labbra della ragazza; era un sorriso dolce e triste che fece sentire al nano ancora più malinconia. «Perchè continuo a sognarli. Non mi danno tregua, e non so il perchè. Sono passati così tanti anni da quel periodo che avevano smesso di perseguitarmi in questo modo. Avevano smesso di farmi pensare incessantemente a quello che non ho più. E ora sono tornati, così come il mio tormento.»
Thorin analizzò le sue parole, osservando quelle immagini, e comprese. «Parli dell’uomo dell’incantesimo. Quello che non si ricorda di te.» Lumbar non disse niente, ma non serviva. La risposta era piuttosto ovvia. «Avevi davvero smesso di pensarci?» il nano era curioso. Da come gliene aveva parlato a casa dello hobbit non sembrava.
«Non puoi dimenticare l’unico amore che tu abbia mai avuto.» affermò, infatti, la ragazza. «Ma puoi imparare a convivere con la sua assenza, nonostante questo ti laceri in due e ti faccia sentire totalmente perso e senza più voglia di andare avanti. A volte ho pensato che sarebbe stato meglio se avessi dimenticato anch’io.» rivelò al nano, sorprendendolo. «Ma poi queste immagini mi tornavano in mente e mi rendevo conto che, se avessi dimenticato, non sarebbe sparito solo il dolore ma anche i ricordi e non potevo accettarlo. Come ho detto, sono i più belli che ho e per quanto facciano male non posso dimenticare quanto bene mi abbiano fatto quei momenti, nè quanto me ne abbia fatto lui. Mi ha salvato la vita in tutti i modi possibili. E se lo dimenticassi gli mancherei di rispetto, ed è una cosa che lui non merita.»
Thorin sentì una grande tenerezza pervaderlo mentre lei rivelava più cose di sè in quei pochi minuti che in tutto il viaggio. Si sentì lusingato dalla fiducia che gli dimostrava aprendosi in quel modo e pensò che quell’uomo doveva essere stato davvero fortunato ad averla conosciuta, nonostante ora non si ricordasse niente. Per un attimo si sentì geloso dell’amore incondizionato che Lumbar provava per quello sconosciuto, ma fu un attimo così fugace che potè fare finta che non fosse mai esistito.
Non dissero più una parola, ormai non ce n’era bisogno, e rimasero a fare la guardia per tutta la notte, uno accanto all’altra, osservando quelle immagini di un passato felice fino all’alba.
Il quarto giorno, appena fece luce, poterono vedere la foresta farsi più vicina, quasi stesse per venire loro incontro o li aspettasse come un muro nero e minaccioso dinanzi a loro. Il terreno cominciò a salire e su di loro iniziò a calare il silenzio. Gli uccelli cantavano di meno, e non si vedeva più nessun cervo; erano spariti perfino i conigli selvatici. Verso il pomeriggio avevano raggiunto le prime propaggini di Bosco Atro, e si riposarono quasi sotto i grossi rami sporgenti degli alberi più esterni. Avevano tronchi grossi e nodosi, rami contorti, foglie scure e lunghe. L'edera cresceva su di essi e strisciava al suolo.
Lumbar scese da Erenie e si diresse verso la foresta, appoggiando una mano sul tronco di un albero. Riusciva a sentire il male penetrare sempre più a fondo e il dolore degli alberi davanti a lei. In quel momento comprese che la traversata della foresta sarebbe stata particolarmente difficile, per lei: sentiva già il suo malessere farsi spazio all’altezza del petto e appesantirla, ma si sforzò di non farlo notare agli altri. Si spostò sul sentiero e Gandalf la seguì.
«La porta degli elfi.» disse lo stregone osservando le due colonne ai lati e l’altare di pietra qualche passo più avanti. «Qui c’è il nostro sentiero attraverso Bosco Atro.» spiegò voltandosi verso i nani e lo hobbit ancora in sella ai pony.
«Nessun segno degli orchi.» osservò Dwalin smontando. «La fortuna è dalla nostra parte.»
«Ringrazia Beorn per questo.» rispose Lumbar, ancora intenta a osservare la foresta.
«Perchè?» chiese il nano.
Lei si limitò a voltare la testa verso destra: sopra una sporgenza di roccia la forma d’orso di Beorn li osservava silenziosa.
«Liberate i pony.» concluse lo stregone rivolto ai nani, sorpresi di scoprire che l’uomo li aveva seguiti per tutto il tempo senza che se ne accorgessero. «Che tornino dal loro padrone.»
I nani smontarono e fecero come richiesto, mentre Lumbar si avvicinava a Erenie e le sussurrava un ringraziamento. Sapeva che la Mearas avrebbe seguito i pony fino all’abitazione di Beorn per assicurarsi che arrivassero sani e salvi, poi avrebbe ripreso il suo viaggio.
«Questa foresta…» sentì dire dallo hobbit. «... sembra malata. Come se una malattia l’avesse colpita.» non aveva idea di quanto avesse ragione. Bilbo si avvicinò agli alberi. «Non c’è modo di aggirarla?»
«No.» rispose Gandalf. «A meno che non andiamo duecento miglia a nord, o il doppio di quella distanza a sud.» concluse tornando a osservare la foresta.
Lumbar superò in silenzio lo stregone e l’altare, scendendo quei pochi gradini che immettevano il sentiero nella foresta, attirata da qualcosa. Gandalf la osservò in attesa di capire cosa non andasse, mentre i nani si caricavano di armi e provviste. Un sibilo si agitava nella zona della mente che Lumbar teneva chiusa, un richiamo che non le piaceva nemmeno un po’, che aveva già sentito e accantonato in passato. Continuò ad avanzare lentamente tra gli alberi, osservandosi intorno sotto lo sguardo vigile di Gandalf. Si avvicinò a una statua elfica ricoperta di rampicanti mentre la voce di Galadriel si faceva strada nella sua mente e in quella dello stregone che, come loro, percepiva il male farsi più oscuro.
Qualcosa si muove nell’ombra, non visto, celato al nostro sguardo. Ogni giorno cresce in potenza. Attenti al Negromante, non è quello che sembra.
Lumbar temeva già quella realtà, prima ancora che la dama elfica pronunciasse le stesse parole che aveva rivolto loro Beorn, ma nell’esatto momento in cui la sua mano si mosse verso i rampicanti per scostarli dalla statua comprese di aver sempre avuto ragione: c’era un segno sulla pietra della statua, un segno tracciato con il sangue. Era un occhio, il simbolo di Sauron. In quell’istante, appena i suoi occhi lo videro, l’occhio di fuoco apparve nella sua mente facendole fare diversi passi indietro.
«Mithrandir…» mormorò appena mentre lo stregone le si avvicinava velocemente, allarmato dalle parole di Galadriel e dal suo scatto.
L’espressione della ragazza era imperturbabile, così si voltò verso la statua e vide ciò che lei aveva visto, rimanendo di sasso.
Se il nostro nemico è tornato dobbiamo saperlo. Andate alle tombe sulle montagne.
«Io rimarrò con i nani.» si oppose la ragazza facendo voltare lo stregone nella sua direzione. Era sorpreso e confuso, Lumbar non si era mai rifiutata di seguire una richiesta di Galadriel. «Sono la loro unica speranza di non finire uccisi dagli elfi in caso li incontrassero.» spiegò lei sotto lo sguardo attento del Grigio e della dama elfica nelle lor menti. «E poi lo sappiamo già.» concluse abbassandosi il cappuccio e rivelando i suoi capelli.
Aveva avvertito il loro cambiamento nell’esatto momento in cui aveva visto l’occhio, e sapeva che ora erano ancora più neri dei giorni precedenti.
Lo stregone annuì, mentre la presenza di Galadriel scompariva dalle loro menti. «E così sia.» poi si voltò verso i nani. «Non il mio cavallo, mi occorre.» disse impedendo loro di liberare l’animale mentre si avvicinavano.
Erenie e i pony si allontanarono.
«Cosa?» chiese Nori mentre si voltavano tutti verso di loro, confusi.
«Non vorrai lasciarci?» chiese lo hobbit incredulo.
«Non lo farei se non fosse necessario.» disse lo stregone sotto lo sguardo sbalordito dei nani, e contrariato di Thorin, e fermandosi accanto al mezzuomo. «Sei cambiato, Bilbo Baggins.» proferì osservandolo. «Non sei lo stesso hobbit che ha lasciato la Contea.»
«Stavo per dirtelo…» enunciò Bilbo ricambiando lo sguardo, seppur a disagio. «Io… ho trovato una cosa nelle gallerie degli orchi.»
«Trovato cosa?» passò qualche secondo prima che lo hobbit rispondesse, secondi in cui Lumbar sentì nuovamente quel sibilo penetrante mentre li osservava poco distante. «Che cosa hai trovato?» ripetè Gandalf,  confuso, percependo anche lui qualcosa di strano.
«Il mio coraggio.» rispose alla fine lo hobbit mentre cominciava a piovere.
«Bene, questo è un bene.» disse Gandalf raddrizzandosi. «Ti servirà.» si avvicinò al cavallo passando in mezzo ai nani. «Vi aspetterò allo spiazzo prima delle pendici di Erebor. Tenete la mappa e la chiave al sicuro.» continuò fermandosi davanti a Thorin e Lumbar, che lo aveva affiancato. «Non entrate in quella montagna senza di me, eh.» il nano annuì.
«Mi terrò informata.» disse, invece, la ragazza riferendosi al viaggio dello stregone.
«Se cambia qualcosa avvertimi.» le chiese lui prima di montare a cavallo. «Questo non è il vecchio Bosco Fronzuto.» disse loro. «Lumbar lo sa meglio di chiunque altro. C’è un ruscello, nel bosco, che contiene un oscuro incantesimo. Non toccate quell’acqua.» si raccomandò. «Attraversatelo sul ponte di pietra. La stessa aria della foresta è pesante, crea illusioni. Tenterà di entrarvi nella mente e sviarvi dalla strada.»
«Sviarci dalla strada?» chiese lo hobbit non capendo. «Che cosa vuol dire?»
«Dovete restare sul sentiero.» continuò lo stregone ignorando la domanda. «Non lasciatelo. Se lo fate non lo ritroverete mai più.»
«Nemmeno Lumbar?» domandò di nuovo il mezzuomo facendo voltare tutti verso la ragazza, che si era rimessa il cappuccio e si era avvicinata all’ingresso del bosco, osservandolo.
Sembrava avesse la testa da un’altra parte.
«Non lo so.» mormorò lei in risposta, sorprendendo lo stregone. Era titubante. «C’è qualcosa di particolarmente oscuro all’opera qui. Ne sento il potere nonostante ne siamo ancora fuori.» ammise. «Non so dirvi in che condizioni sarò una volta all’interno. Potrei anche sentirmi male.» era fin troppo rigida, se ne accorsero tutti, ma non dissero niente limitandosi a scambiarsi degli sguardi preoccupati.
Gandalf capì che era più grave di quanto pensasse.
«Qualunque cosa accada restate sul sentiero.» concluse partendo al galoppo e allontanandosi.
«Coraggio.» disse Thorin facendosi largo tra i suoi compagni e avvicinandosi alla ragazza, rimasta in prossimità del sentiero. «Dobbiamo raggiungere la Montagna prima che il sole cali sul dì di Durin. C’è solo una possibilità di trovare la porta.» concluse scambiando uno sguardo con Lumbar prima di varcare insieme a lei il confine di Bosco Atro, seguiti dal resto della compagnia.

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Capitolo 9
*** 7. Mosche e ragni ***






7. Mosche e ragni
 
Camminavano in fila indiana. L'inizio del sentiero era indicato da una specie di arcata che portava in un tunnel tetro fatto di due grandi alberi che si intrecciavano, troppo vecchi ormai, e strangolati dall'edera e coperti di musco, per poter reggere più di poche foglie annerite. Il sentiero era stretto e serpeggiava in mezzo ai tronchi. Ben presto la luce all'ingresso fu come un piccolo foro luminoso molto lontano, e il silenzio era così profondo che pareva che i loro passi risuonassero sordi sul terreno, mentre tutti gli alberi si piegavano sopra di loro per ascoltare.
Quando gli occhi si furono assuefatti alla penombra, poterono vedere per un certo tratto ai due lati del sentiero attraverso una specie di chiarore verde scuro. Di tanto in tanto un esile raggio di sole, che aveva la fortuna di infiltrarsi dove le foglie erano più rade, su in alto, e la fortuna ancora più grande di non venire imprigionato dai grossi rami aggrovigliati e dai virgulti opachi al di sotto, stilettava giù sottile e vivido davanti a loro. Ma questo accadeva di rado, e presto cessò del tutto.
C'erano degli scoiattoli neri nel bosco. Grazie alla sua vista da elfo, Lumbar riusciva a cogliere le loro velocissime apparizioni mentre frullavano via dal sentiero e correvano a nascondersi dietro i tronchi degli alberi. C'erano anche degli strani rumori, grugniti, calpestii, tramestii frettolosi nel sottobosco e tra le foglie che senza fine giacevano ammucchiate e fitte sul suolo della foresta; ma da che cosa fossero prodotti quei rumori, nemmeno lei riusciva a vederlo. Le cose più brutte che videro furono le ragnatele: ragnatele scure e spesse, dai fili straordinariamente robusti, spesso tese da un albero all'altro, o aggrovigliate sui rami più bassi ai lati del sentiero. Nessuna era tesa proprio attraverso il sentiero, ma era impossibile dire se esso fosse sgombro per magia o per qualche altra ragione.
Thorin guidava il gruppo, mentre lei si era tenuta in fondo, in modo da poter tenere d’occhio i dintorni senza doversi preoccupare del sentiero. Le bastava seguire i nani, infatti, e questo le permetteva di osservarsi intorno in modo da prevenire un eventuale attacco.
Non ci volle molto perché cominciassero a odiare la foresta con tutto il cuore, così come avevano odiato i tunnel degli orchi, tanto più che questa non sembrava offrire maggiori speranze di una qualche fine. Ma dovevano continuare ad andare avanti, anche dopo che si sentirono male per il desiderio di vedere il sole e il cielo, e anelarono alla carezza del vento sul viso. Sotto il tetto della foresta non un fremito nell'aria, che era eternamente immobile, scura e afosa. Lo sentivano perfino i nani, che pure erano abituati a vivere nei tunnel, e talvolta restavano molto a lungo senza la luce del sole; ma Lumbar, complice il malessere che la stava stritolando dall’interno, sentiva che stava lentamente soffocando. Tuttavia non si lamentò mai.
Peggiori erano, però, le notti. Calava allora un buio nero come la pece, ma proprio come la pece; così nero che non si poteva vedere niente di niente. Lumbar era l’unica, ovviamente, che ci riusciva. Dormivano tutti insieme, stretti l'uno all'altro, e facevano la guardia a turno; e Lumbar, quando toccava a lei, vedeva nell'oscurità attorno a loro dei luccichii, e talvolta un paio d'occhi gialli, o rossi o verdi che la fissavano a breve distanza, poi lentamente svanivano, e lentamente tornavano a scintillare in qualche altro posto. E talvolta brillavano, rivolti in giù, proprio dai rami che la sovrastavano; e questa era la cosa più terribile.
Sapeva che fossero i ragni, ma non fece mai niente che potesse allarmarli. Sperava si tenessero lontani il più a lungo possibile, e che si limitassero a osservarli da quella distanza. Ora come ora, infatti, non era sicura che sarebbe riuscita ad affrontarli: il male di quella foresta stava diventando pian piano sempre più soffocante; più si addentravano tra gli alberi, più lei sentiva le forze abbandonarla e il suo corpo indebolirsi.
A volte dovevano fermarsi ed esaminare il terreno per rischiare di non perdere il sentiero a causa delle foglie che lo ricoprivano. Spesso era Dwalin a ritrovare la via, picchiando con il manico della sua ascia a terra.
Tutto questo andò avanti per un periodo che pareva non finire mai; e avevano sempre fame, perché erano molto cauti con le provviste. Anche così, col passare dei giorni, e la foresta che sembrava sempre identica, cominciarono a stare in ansia. Il cibo non sarebbe durato per sempre, ed era anzi già paurosamente diminuito. Cercarono di tirare agli scoiattoli, e persero molte frecce prima di riuscire a portarne uno giù sul sentiero. Ma quando lo arrostirono, risultò orrendo al palato, e smisero di cacciarli.
Avevano anche sete, perché nessuno aveva troppa acqua, e per tutto quel tempo non avevano visto né una fonte né un ruscello.
Si trovavano in questo stato quando un giorno trovarono il loro sentiero interrotto da un corso d'acqua. Scorreva veloce e turbinoso, ma non era molto largo; era nero, o tale appariva nella penombra. I resti di un ponte di pietra erano ben visibili davanti a loro. Era esattamente quello che stavano cercando, il ponte di cui aveva parlato Gandalf e che Lumbar ricordava di aver visto, in passato.
«Trovato il ponte.» affermò Kili.
Si fermarono tutti sulla riva, scoraggiati dall’enorme buco che non erano in grado di attraversare. Una consistente parte del ponte, infatti, era crollata bloccando loro il passaggio.
«Potremmo attraversarlo a nuoto.» disse Bofur.
«Non hai sentito cos’ha detto Gandalf?» domandò Thorin. «Una magia oscura sovrasta questa foresta. Le acque di questo ruscello sono incantate.»
«Non mi sembra tanto incantevole.» commentò Bofur osservando l’acqua.
«Ti consiglio comunque di non toccarlo.» lo mise in guardia Lumbar, facendoli voltare nella sua direzione.
Era appoggiata a un albero e si teneva una mano all’altezza del petto. Sembrava stesse faticando a respirare.
«Ti senti bene?» domandò lo hobbit avvicinandosi.
«Sì, non preoccuparti.» rispose lei tentando di riprendere il controllo. «La foresta mi fa un brutto effetto, ma non è niente di grave.»
«Questa è solo la conferma che dobbiamo trovare un altro modo per passare.» commentò Thorin osservando la ragazza.
I nani cominciarono a guardarsi intorno cercando di farsi venire in mente un’idea.
«Questi rampicanti sono resistenti.» Kili attirò la loro attenzione, indicando diversi rampicanti che collegavano le due rive e preparandosi ad arrampicarcisi sopra.
«Kili.» lo fermò Thorin. «Mandiamo prima i più leggeri.»
I nani si voltarono verso Bilbo, che spalancò gli occhi, ma prima che potessero dire qualcosa Lumbar si rimise in piedi e avanzò verso il giovane nano.
Thorin la bloccò, prendendola delicatamente per un braccio. «Sei sicura?»
Lei sorrise. «Sono in assoluto la più leggera, qui.» gli fece notare, tranquilla.
«Ma sei anche quella che sta peggio.» aggiunse lui stringendo la presa, deciso a non farla andare per prima.
Lei tolse senza sforzo il braccio dalla presa del nano e appoggiò la mano sulla sua spalla.
«Sono anche quella che rischia di meno in caso dovesse cadere in acqua. Non preoccuparti.» aggiunse vedendo il suo sguardo. «Andrà bene. Bilbo sarà il prossimo.»
Alla fine, Thorin acconsentì e lei si avvicinò alla riva. Mise un piede su un rampicante e si aggrappò a un altro per issarsi, poi cominciò ad avanzare sotto lo sguardo attento dei compagni. Il rampicante dondolava, pericolante, ma lei aveva un buon equilibrio e non aveva fretta; così, con calma, continuò a mettere un passo davanti all’altro. Arrivò in fondo alla prima radice dopo un paio di metri e saltò leggera sulla seconda, che dondolò appena sotto il suo peso. A differenza della prima era estremamente sottile e ricurva e dovette saltare di nuovo per arrivare alla terza. Stava per fare un passo quando un capogiro la prese alla sprovvista e si trovò costretta a reggersi per non cadere, con la radice che cominciava a oscillare sotto di lei. Chiuse gli occhi per far passare più in fretta il malessere e respirò a fondo più volte. Gli altri la chiamarono preoccupati; l’avevano vista vacillare e si domandavano come stesse.
«Sto bene.» disse lei, dopo qualche minuto. «Bilbo puoi cominciare ad attraversare, io sono arrivata.»
Dopo un paio di passi, infatti, si ritrovò sull’altra sponda e si voltò a osservare l’attraversamento del mezzuomo.
Non ci mise molto ad arrivarle accanto, nonostante si fosse fermato a metà tra la seconda e la terza radice. Aveva il fiatone quando la raggiunse ed entrambi capirono che qualcosa non andava, fu sufficiente scambiarsi uno sguardo.
«C’è qualcosa che non quadra.» disse Lumbar.
«Non quadra affatto.» confermò Bilbo, mettendosi a sedere di scatto. «State dove siete.» urlò ai nani, cercando di avvertirli, ma loro avevano già cominciato la traversata. Tutti insieme. Ed ora erano ammassati sulle radici. «Oh.»
Bilbo si diede qualche schiaffetto sulle guance per scacciare il sonno che l’aveva pervaso, mentre Lumbar osservava i nani. Aveva un brutto presentimento. Ovviamente ci aveva visto giusto, infatti non passò nemmeno un minuto che Bombur cedette alla magia di quel posto e cadde a sedere addormentato sulla radice.
Thorin fu il primo ad arrivare e, dopo aver scambiato uno sguardo con la ragazza per assicurarsi che stesse davvero bene, si voltò verso i compagni.
Un rumore fece voltare Lumbar alla sua sinistra e, dopo poco, anche il nano e lo hobbit seguirono il suo esempio. Stava arrivando qualcosa. Un maestoso cervo bianco apparve a poca distanza da loro e si fermò a osservarli. Thorin mise mano all’arco, con calma per non farsi sentire dal cervo. Lumbar gli mise una mano sulla spalla, fermandolo.
«Che stai facendo?» mormorò lo hobbit dopo averlo notato.
Thorin, lì per lì, non fece niente; poi scattò e lanciò una freccia verso il cervo, mancandolo e facendolo scappare.
«Non avresti dovuto.» disse piano Lumbar, togliendo la mano dalla spalla del nano.
«Porta sfortuna.» aggiunse lo hobbit.
«Non credo nella fortuna.» rispose Thorin. «Noi ci creiamo la fortuna.»
Lei non disse niente, perchè la pensava come lui e non era quello il motivo per cui credeva che non dovesse cacciare il cervo, ma aveva altro a cui pensare. Si voltò verso il resto della compagnia proprio nel momento in cui Bombur scivolò di lato finendo in acqua, ancora addormentato. I nani si affrettarono a ripescarlo, stando ben attenti a non toccare l’acqua, e lo distesero sulla riva pensando al da farsi. Bombur, infatti, non dava cenno di volersi svegliare e Lumbar spiegò loro che era parte dell’incantesimo di Bosco Atro.
Decisero di creare una lettiga e ripresero il viaggio, trasportando il nano quattro per volta mentre gli altri si dividevano i loro zaini. In pochi giorni arrivarono al punto di non avere praticamente più nulla da mangiare o da bere. Inoltre non riuscivano a vedere niente di commestibile che crescesse nel bosco, solo funghi velenosi ed erbe dalle foglie anemiche e dall'odore sgradevole.
Dopo circa quattro giorni di marcia dal rivo incantato arrivarono in un posto dove gli alberi erano per lo più faggi. All'inizio furono propensi a rallegrarsi del cambiamento, poiché qui non c'era sottobosco e l'ombra non era tanto fonda, ma Lumbar sapeva che non voleva dire necessariamente qualcosa. Ai lati del sentiero filtrava una tenue luce verdastra. Ma la luce mostrava loro soltanto infinite linee di tronchi grigi e diritti come le colonne di qualche vasta sala al crepuscolo. C'era un alito d'aria e un rumore di vento, ma aveva un suono triste; poche foglie vennero giù frusciando a ricordare che fuori stava arrivando l'autunno. I loro passi calpestavano le foglie morte di altri innumerevoli autunni che il vento aveva accumulato sui bordi del sentiero, strappandole al tappeto rosso cupo della foresta.
Bombur dormiva sempre, e loro diventavano sempre più stanchi. Quando Lumbar barcollò, in preda a un altro giramento di testa, decisero di fermarsi qualche minuto a riprendere fiato e lei ne approfittò per sedersi su una radice sporgente e chiudere gli occhi, in modo da tentare di ripulire il suo corpo dal male di quel luogo. Purtroppo, così facendo, si estraniò in modo eccessivo dalla realtà e non si accorse che i suoi compagni erano in preda alle allucinazioni e si stavano allontanando dal sentiero. Solo quando Bilbo la scosse per un braccio riaprì gli occhi e si accorse del pericolo. Raggiunsero subito il gruppo, consapevoli entrambi che avrebbero perso il sentiero, ma non potevano separarsi dai nani. Dopotutto lei era l’unica che sarebbe potuta riuscire a orientarsi e, di conseguenza, uscire dalla foresta. Forse.
Quando si resero conto di essersi persi, i nani cominciarono a discutere in preda alle allucinazioni e Bilbo e Lumbar decisero di arrampicarsi su un albero per vedere il sole e capire dove fosse l’Est, in modo da poter riprendere il viaggio nella giusta direzione. Lei sperava di riuscire anche a schiarirsi la mente con l’aria pulita al di sopra degli alberi. Mise in guardia Thorin, che riportò il silenzio tra i compagni, e fece notare loro che erano osservati. Sentiva la presenza dei ragni tutta intorno a loro e glielo fece capire, in modo che stessero all’erta in loro assenza. Successivamente diede una spinta allo hobbit per issarlo sui rami più bassi, poi lo raggiunse e cominciarono ad arrampicarsi sotto lo sguardo dei nani.
I due si fecero strada attraverso l'intrico dei rami ricevendo diversi colpi negli occhi; furono insudiciati e sporcati di verde dalla vecchia scorza dei rami più grossi; più di una volta scivolarono e si afferrarono appena in tempo, talvolta a un ramo, talvolta alla mano dell’altro; e finalmente dopo un’aspra lotta in un punto difficile dove pareva che non ci fossero affatto dei rami adatti allo scopo, arrivarono quasi in cima. Lumbar riusciva a sentire un odore fresco, pulito, e sapeva che erano vicini alla superficie.
Alla fine le loro teste sbucarono fuori dal tetto di foglie. I loro occhi furono quasi accecati dalla luce. Udirono i nani gridare qualcosa da molto più in giù, ma non potevano rispondere, solo trattenere il fiato e sbattere gli occhi. Nemmeno Lumbar riusciva a sentirli con chiarezza. Il sole brillava radioso e passò parecchio tempo prima che potessero sopportarne la luce. Quando poterono, videro tutt'intorno a loro un mare di verde cupo, increspato qua e là dalla brezza; e dappertutto c'erano centinaia di farfalle.
Bilbo rise ed entrambi respirarono a fondo, riempiendosi di aria pulita e godendosi la brezza fresca. Poi si guardarono intorno, analizzando la situazione, e si accorsero di essere a buon punto dell’attraversamento: riuscivano a vedere, infatti, un lago, un fiume ed Erebor e Lumbar spiegò allo hobbit che il lago era chiamato Lago Lungo e arrivava alle pendici della Montagna.
Provarono a comunicarlo agli altri ma non ricevettero risposta, e degli inquietanti scricchiolii misero Lumbar in allerta, che fece segno a Bilbo di rimanere in silenzio. Dopo qualche secondo si ripeterono e anche lo hobbit li sentì. Di comune accordo decisero di tornare giù per capire cosa stesse succedendo, nonostante la ragazza lo sospettasse già. Avevano appena cominciato a scendere quando Bilbo inciampò in una ragnatela e cadde senza che Lumbar riuscisse ad afferrarlo. La ragazza tentò di raggiungerlo il più in fretta possibile, ma fece solo in tempo a vedere un ragno rinchiuderlo in un bozzolo mentre si lamentava. La ragazza si nascose dietro un ramo e osservò la situazione, cercando un modo per liberarlo.
Quando il ragno si mosse, insieme alla sua preda, lo seguì silenziosamente fino ad arrivare a una specie di gigantesco nido in cui altri ragni stavano appendendo diversi bozzoli alle ragnatele. Capì subito che fossero i nani. Mentre Lumbar si osservava intorno tentando di creare un piano, Bilbo si liberò e uccise il ragno che lo stava trascinando verso il nido, facendolo precipitare a terra, poi si nascose dietro un albero poco distante dal punto in cui era lei. Facendo attenzione lo raggiunse, subito dopo che un ragno gli passò vicino, e gli tappò la bocca per non farlo urlare, prendendolo di sorpresa. Quando lui la vide si calmò, rilassandosi. Elaborarono in fretta una strategia: uno dei due avrebbe distratto i ragni e l’altro avrebbe liberato i nani. Bilbo si offrì di fare da diversivo, alludendo al fatto che lei fosse molto più svelta e agile di lui quindi avrebbe potuto liberare i nani più in fretta per poi aiutarlo. Aveva una mano in tasca e lei capì cosa voleva fare; anche se riluttante, accettò facendogli capire chiaramente che sapeva dell’anello e che avrebbero dovuto parlarne, in futuro. Bilbo, sorpreso, stava per chiederle come, ma si fermò sapendo che non era il momento adatto. Si infilò l’anello e anche lui, come la ragazza, potè capire cosa stessero dicendo i ragni. Parlavano di ucciderli, mangiarli finchè erano ancora freschi. Alcuni dicevano di iniettare loro altro veleno perchè alcuni scalciavano, altri volevano “fare festa”, altri ancora volevano mangiarli vivi.
Lumbar riusciva a percepire Bilbo come se non indossasse l’anello, nonostante non lo vedesse sapeva esattamente dove fosse. Lo hobbit si avvicinò un po’ ai ragni e lanciò lontano un ramo, attirando l’attenzione dei ragni in quella direzione, che partirono per andare a controllare. In quel momento lei fece un cenno con la testa ed entrambi scattarono verso i nani. Un ragno, l’ultimo rimasto al nido, stava per anticipare lo spuntino ma Bilbo gli si avvicinò da dietro, lo colpì con la sua spada e gli fece lasciare la presa sul nano per girarsi e difendersi. Bilbo continuò ad attaccarlo fino a quando non lo infilzò in mezzo agli occhi mentre il ragno si lamentava, dicendo che la lama “pungolava”, prima di precipitare.
Bilbo osservò la sua spada decidendo di chiamarla Pungolo, mentre Lumbar usciva fuori dal suo nascondiglio e cominciava a far precipitare a terra i bozzoli dei nani che, grazie alla moltitudine di ragnatele sotto di loro, riuscivano a non schiantarsi dolorosamente al suolo. Bilbo si mise subito a darle una mano e, piuttosto velocemente, riuscirono a finire in fretta. Sotto di loro i nani, nel frattempo, si erano ripresi e si stavano liberando tra le proteste generali, cominciando a chiamare i loro nomi quando non li videro.
«Siamo quassù!» urlò Bilbo.
In quel momento un ragno comparve davanti a lui da sotto il ramo, facendolo cadere di schiena sotto di lui, ma lo hobbit riuscì a infilzarlo abbastanza facilmente, uccidendolo. Purtroppo il ragno lo aveva avvolto tra le sue zampe, e Bilbo precipitò al suolo insieme alla carcassa.
Sentendo gli altri ragni tornare, Lumbar avvertì i nani e si affrettò a raggiungerli saltando da un ramo all’altro mentre loro correvano verso Bilbo. Non fecero in tempo a raggiungerlo, però, che i ragni li attaccarono e cominciarono a combatterli. Uno di quegli esseri atterrò su Bombur, che si dibattè a terra inerme, quando Lumbar arrivò su di lui e lo uccise mentre altri nani gli tiravano le zampe.
«Felice di vedere che siete tornati in voi.» disse la ragazza saltando giù dalla carcassa.
Non attese una risposta e ricominciò a combattere, muovendosi agile tra i nani e uccidendo tutti i ragni che le passavano accanto. Aiutava chi era messo peggio, come Kili che era stato preso alle spalle; poi passava al nano e al ragno successivo, con una grazia e una leggerezza che lasciava sorpresi e ammaliati i suoi compagni. Sembrava quasi che danzasse. Dopo averli uccisi tutti ripresero a correre verso lo hobbit.
«Dai, non vi fermate.» disse Dwalin, incoraggiandoli.
«Controllate!» continuò Thorin guardandosi attorno con la spada sguainata.
Lumbar rimase in silenzio muovendosi veloce e attenta sui rami come solo lei sapeva fare. Non era tranquilla, sentiva altri ragni avvicinarsi a loro, e non solo. Vide un ragno atterrare poco distante da Thorin e si accorse di qualcos’altro in arrivo. O meglio, qualcun altro. Prima che il nano potesse uccidere il ragno, infatti, un elfo dai lunghi e lisci capelli biondi li raggiunse e lo fece al posto suo, puntando poi il suo arco su Thorin, seguito da molti altri elfi con i capelli rossi che circondarono la compagnia tenendola sotto tiro. Non si accorsero di lei, così rimase in disparte osservando come si sarebbero comportati gli elfi silvani. Non sembravano amichevoli, esattamente come si era aspettata.
«Non credere che non ti uccida, nano.» disse il biondo a Thorin, con sguardo gelido. «Lo farei con piacere.»
Nel silenzio che era appena calato sentirono qualcuno lamentarsi poco distante. Lumbar si voltò subito in quella direzione.
«Kili!» urlò Fili preoccupato.
Il fratello, infatti, era rimasto indietro e nessuno di loro se n’era accorto. Kili, ora, era minacciato da un ragno che lo trascinava per un piede, mentre altri due si avvicinavano. Lumbar non si mosse. Aveva visto un’elfa avvicinarsi al nano e aspettò. La giovane, infatti, lo raggiunse, uccise i primi due ragni e lo liberò dal terzo, poi ne uccise un quarto che l’aveva avvicinata alle spalle e lanciò un pugnale all’ultimo, che stava per attaccare Kili. Appurato che il nano stava bene, Lumbar si concentrò nuovamente sul gruppo.
«Perquisiteli.» ordinò il biondo mentre un’elfa ripeteva nella lingua elfica.
Alcuni di loro si fecero largo tra i nani facendo come gli era stato detto e togliendo le armi ai suoi compagni. Fili, in particolare, ne aveva molte più degli altri nascoste tra i vestiti.
«Ehi! Ridammelo! È una cosa privata!» si lamentò Gloin con il biondo che gli aveva preso un portadisegni, al cui interno c’erano le immagini della sua famiglia.
«Chi è questo?» domandò l’elfo, ignorandolo. «Tuo fratello?»
«Quella è mia moglie!» disse indignato il nano.
«E cos’è quest’orrida creatura?» domandò ancora, disgustato. «Un orco mutante?»
«Quello è il mio piccolino, Gimli!»
Il biondo alzò un sopracciglio, scettico, poi si volse verso l’elfa che aveva salvato Kili. «I ragni sono morti?» le chiese in elfico.
«Sì, ma ne arriveranno altri.» rispose lei nella stessa lingua. «Stanno diventando più audaci.» aggiunse quando lui la osservò poco convinto.
Un elfo porse al biondo la spada di Thorin e lui la studiò attentamente. «Questa è un’antica lama elfica.» osservò sorpreso sotto lo sguardo attento di Thorin. «Forgiata dai miei parenti.» si rivolse a Thorin. «Dove l’hai presa questa?»
«Quella mi è stata data.» rispose il nano a voce bassa, con la rabbia che ribolliva.
Il biondo lo guardò, scettico, e gli puntò la lama alla gola. «Non solo un ladro, ma anche un bugiardo.»
Lumbar decise di raggiungerli prima che le cose peggiorassero. Saltò dal ramo su cui si trovava e atterrò leggiadramente tra i due, dando le spalle al nano.
«Salve Legolas.» disse mentre gli elfi attorno a lei puntavano gli archi nella sua direzione. «Fossi in voi non lo farei.» aggiunse riferita a loro. «Dubito che riuscireste a colpirmi.»
Legolas fece loro segno di non scoccare le frecce, e loro ritornarono a puntare gli archi verso i nani.
«Chi sei?» domandò il biondo.
«Ma come?» disse lei. «Non mi riconosci?» chiese abbassandosi il cappuccio e provocando diversi mormorii fra gli elfi.
«Tu…» Legolas sembrava sorpreso. «Sei…»
«Qui, sì.» confermò la ragazza. «Mi faccio chiamare Lumbar, ora, ma penso che tu lo sappia.» concluse mentre l’elfo lanciava un’occhiata a Thorin, ancora fermo dietro di lei.
«Perchè?» le chiese.
«Devi essere più preciso, Legolas. Sono tanti i perchè a cui vuoi una risposta.» gli fece notare lei, tranquilla.
La maschera di freddezza per un momento cadde e lei potè notare la tristezza che si portava appresso, poi lui si ricompose e lei potè leggere la verità soltanto nei suoi occhi che non erano mai riusciti a nasconderle niente.
«Perchè sei qui? Perchè sei tornata?» domandò, infine.
«Perchè dovevo, nonostante non volessi. Sappiamo entrambi cosa pensa tuo padre.» disse lei sincera. «Ma ho una promessa da mantenere e, nonostante tutto, sia lui che io rispettiamo un codice nei confronti dell’altro. Per quanto ci è possibile.»
Legolas annuì.
«Sarà davvero felice di vederti.» commentò sarcastico, facendo chiaramente intendere a tutti quanto, in realtà, fosse vero il contrario.
Poi diede l’ordine di mettersi in marcia. Li avrebbero portati al palazzo. Nessuno degli elfi si avvicinò alla ragazza per disarmarla e lei non accennò a dare segni di volerli attaccare; si rimise solamente il cappuccio, poi li seguì accanto a Thorin.
«Bilbo sta bene.» gli bisbigliò mentre gli altri elfi spintonavano i nani, dicendo loro di muoversi, e approfittandone per non farsi sentire.
Il nano la guardò sorpreso, poi le fece un cenno per dirle che aveva capito. Lei sapeva, infatti, che il mezzuomo li stava seguendo di nascosto.
«Perchè non ti hanno tolto le armi?» le domandò mentre camminavano.
Legolas, davanti a loro, ascoltava la conversazione mentre Tauriel, l’elfa dai capelli rossi che aveva aiutato Kili, teneva d’occhio la foresta.
«Per il mio legame particolare con il loro re.» rispose lei. Di fronte alla sua faccia confusa si trovò costretta a spiegare. «Vi avevo detto che il mio rapporto con lui non è dei migliori.» il nano annuì. «Non sono in molti a sapere il motivo, anzi probabilmente lo sanno solo Gandalf, Elrond e Beorn. Galadriel sospetta sicuramente più di quanto io le abbia mai detto, ma la cosa non mi sorprende, e a Saruman dubito che importi. Lo sapeva anche lui ovviamente, ma come puoi immaginare non se lo ricorda.» Legolas si irrigidì leggermente, capendo chi fosse quel “lui” ma non disse niente. Lumbar sospirò prima di riprendere. Era un argomento piuttosto spinoso, quello. «Thranduil mi incolpa di qualcosa di cui mi incolpo anch’io, nonostante tutti gli altri mi abbiano sempre detto che la colpa non è mai stata mia.»
«Che cosa?» domandò cauto il nano. Si era accorto del suo tono di voce e non gli piaceva neanche un po’.
«La morte di mia madre. Pensiamo entrambi che sia colpa mia.» rivelò lei, nonostante sapesse che il biondo stesse ascoltando. Legolas quasi si fermò. «Lui la conosceva prima che nascessi. Si amavano, ma lei venne rapita e non si videro mai più. Thranduil è stato fortunato a trovare la madre di Legolas. A pochi elfi capita di trovare l’amore due volte e io non l’ho mai visto così felice come quando lei era viva. Io nacqui che mia madre era ancora prigioniera, non sono figlia di Thranduil.» aggiunse vedendo il volto sconvolto del nano. «Sai che sono un’elfa solo per metà. Sono nata prigioniera e lei è morta per farmi scappare. Ho visto che la pugnalavano con il suo stesso pugnale. Non ho nemmeno potuto recuperare il suo corpo.» Thorin e Legolas ascoltavano in silenzio quel terribile racconto. Il nano non osava interromperla per paura che si chiudesse nuovamente in sè stessa. «Mentre mi cresceva mi aveva parlato tanto di Thranduil, così l’ho cercato, dopo essere scappata. Quando lui seppe quello che era successo, però, impazzì. Mi diede la colpa della sua morte e continua a farlo anche ora, nonostante siano passati migliaia di anni. Non ce l’ho con lui per questo, so che ha ragione. Se non avessi provato a scappare, dopotutto, lei forse non sarebbe morta. Non gliene ho mai fatto una colpa. Inoltre sono quasi la sua copia, fisicamente, e questo gli provoca solo un dolore in più. Ma non farà mai niente contro di me per rispetto nei suoi confronti.» concluse. «Non gli ho mai detto dei racconti che lo riguardavano. Quando lo incontrai gli dissi solamente che sapevo che si conoscevano.»
«Perchè?» osò chiedere il nano.
«Era già a pezzi così. Non volevo infierire ancora.» rispose semplicemente la ragazza.
Legolas, davanti a loro, riflettè su ciò che aveva sentito. Comprese, per la prima volta, cosa accomunava suo padre e quella ragazza che gli aveva insegnato così tante cose quando era piccolo e che era stata per lui un punto di riferimento, quasi una sorella, prima che sparisse.
Non era stata molto chiara nei dettagli, ma aveva capito benissimo quanto la perdita della madre ancora la facesse soffrire. Si sorprese a comprenderla; dopotutto anche lui aveva perso la madre e sapeva cosa significava. A differenza di lei, però, aveva avuto molte altre persone a prendersi cura di lui. Lumbar se l’era cavata da sola, e per questo la ammirò.
A un certo punto arrivarono a un ponte che, dopo avere attraversato il fiume, conduceva ai portali del re. Al di sotto, l'acqua scorreva scura, veloce e violenta; e all'estremità opposta c'erano dei portoni davanti all'imboccatura di una grossa caverna che si apriva nel fianco di un erto pendio coperto di alberi. I grandi faggi scendevano giù fino a immergere le radici nell'acqua.
«Chiudete il cancello.» disse Legolas entrando per ultimo.
Bilbo riuscì a seguirli appena in tempo.
All'interno i cunicoli erano illuminati dalla luce rossa delle torce, e i tunnel giravano, si incrociavano, ed echeggiavano. Non erano come quelli delle città degli orchi; erano più piccoli, non si inoltravano troppo sottoterra, ed erano ben aerati. Infatti non c’era nessuna puzza strana, ma un intenso profumo di bosco.
Thorin e Lumbar vennero separati dagli altri: mentre il resto della compagnia veniva portato nelle celle, loro furono scortati da un’altra parte. Lumbar comprese subito che li stavano portando da Thranduil.
In una grande sala dai pilastri scolpiti nella viva roccia il re degli Elfi sedeva su un trono di legno intagliato. Sulla testa aveva una corona di bacche e di foglie rosse, poiché l'autunno era di nuovo alle porte. In mano aveva uno scettro di quercia intagliata. Fu proprio davanti a lui che li portarono, confermando i pensieri della ragazza.
«Qualcuno immaginerebbe che una nobile impresa sia imminente.» disse Thranduil camminando avanti e indietro vicino al nano. «Un’impresa per riavere una terra natia e annientare un drago.» concluse guardando Thorin e ignorando Lumbar. Lei non se ne stupì. «Personalmente sospetto un motivo molto più prosaico. Tentativo di furto, o qualcosa di quel genere.» insinuò fermandosi accanto a Thorin e scrutandolo dall’alto in basso.
Il nano non fece una piega, rimanendo fiero nella sua compostezza. Lumbar osservava in silenzio qualche passo più in là.
Thranduil si abbassò per osservarlo in volto più da vicino. «Hai trovato una via per entrare.» commentò attirando il suo sguardo. «Cerchi quello che farebbe convergere sopra di te il diritto di regnare.» proseguì camminando all’indietro verso il suo trono. «Il gioiello del Re. L’Arkengemma.» Thorin scambiò uno sguardo con la ragazza, ma nessuno dei due disse niente e Thranduil continuò. «È prezioso per te oltre ogni misura, lo capisco questo. Ci sono gemme nella Montagna che anch’io desidero.»
Lumbar trattenne il fiato, capendo come sarebbe proseguita la conversazione e lanciando uno sguardo allarmato a Thorin, che ascoltava in silenzio il re degli elfi. Prevedeva guai in arrivo. Sapeva cosa pensava il nano di lui.
«Gemme bianche, di pura luce stellare.» continuò Thranduil descrivendo le gemme. «Io ti offro il mio aiuto.» disse alla fine abbassando leggermente la testa e facendo sorridere leggermente Thorin.
Non ci sarebbe stato niente di male se lei non avesse saputo cosa si celava in realtà sotto i gesti di entrambi. Thranduil voleva approfittarsi di Thorin per riprendersi le gemme celando il tutto dietro una falsa proposta d’aiuto; Thorin, d’altro canto, non si faceva ingannare così facilmente, soprattutto da lui, e quel sorriso era, in realtà, un ghigno mal celato.
«Ti ascolto.» disse, però, il nano. E Lumbar comprese che voleva vedere fin dove Thranduil si sarebbe spinto con la sua proposta, prima di respingerla.
«Ti lascerò andare.» disse Thranduil. «Solamente se restituisci quello che è mio.» disse, infatti, confermando i pensieri di entrambi.
Thorin lanciò un’occhiata a Lumbar, che già lo stava guardando impassibile; poi cominciò a passeggiare per la sala. «Favore per favore.» commentò.
«Hai la mia parola.» ribadì Thranduil. «Da un re a un altro.»
Thorin si fermò.
Lumbar trattenne il respiro.
Pessima scelta di parole Thranduil. Sembrava, quasi, che volesse farlo arrabbiare.
«Io non mi fiderei…» cominciò a dire il nano alzando la voce e continuando a dare le spalle all’elfo. «...che Thranduil, il Grande Re, onori la sua parola. Dovesse la fine dei giorni incombere su di noi.» si voltò verso di lui. «Tu sei privo di ogni onore!» urlò sotto il suo sguardo immobile e avanzò fermandosi a pochi passi di distanza da lui. «Ho visto come tratti i tuoi amici. Siamo venuti da te una volta. Affamati, senza dimora, a cercare il tuo aiuto. Ma tu ci hai voltato le spalle. Tu ti sei allontanato dalla sofferenza del mio popolo!» continuò infuriato. «E dall’inferno che ci ha distrutti.» Lumbar sospirò.
Il secondo passo falso di quella conversazione era appena stato fatto.
Thranduil scattò in avanti, fermandosi a una distanza davvero minima dal volto del nano. «Tu non parlarmi del fuoco del drago!» si inalberò. «Conosco la sua rabbia e la sua rovina.» sibilò mentre faceva svanire dal suo volto l’incantesimo che celava il suo vero aspetto: la parte sinistra era interamente senza pelle, con la carne viva in bella vista e l’occhio era bianco, cieco. «Io ho affrontato i serpenti del Nord!» gli disse allontanandosi e facendo scomparire nuovamente la ferita, raddrizzandosi. «Misi in guardia tuo nonno su ciò che la sua avidità avrebbe raccolto. Anche lei lo fece.» aggiunse indicando Lumbar che non aveva ancora emesso un fiato, sorprendendolo. «Ma lui non ci ascoltò. E fu lei a pagare il prezzo più alto.» continuò facendolo voltare verso la ragazza mentre il re degli elfi saliva i gradini del trono.
Lumbar tenne lo sguardo fisso su Thranduil, impassibile. Lui ricambiò lo sguardo. Lei alzò un sopracciglio.
«Sì, ricordo.» rispose l’elfo alla sua silenziosa domanda. «So cosa ti ha fatto il drago. Conosco le cicatrici che porti. Quelle fisiche… e le altre.»
Thorin spostò lo sguardo da uno all’altra non capendo. Cosa voleva dire Thranduil con quelle parole? Lumbar era presente quando Smaug attaccò Erebor? Com’era possibile? Lo avrebbe saputo se così fosse stato.
Thranduil si rivolse nuovamente a Thorin. «Ci sono molte verità che non sai di lei.» insinuò facendo irrigidire la ragazza. «Tu sei proprio come tuo nonno.» fece un cenno alle guardie che lo presero per le braccia, trascinandolo indietro mentre lui opponeva resistenza. «Resta qui, se vuoi, e marcisci. Cento anni sono un mero battito di palpebre nella vita di un elfo. Io sono paziente, posso attendere.» concluse mentre i soldati cercavano di portarlo via. «Voglio parlare con lei.» aggiunse fermandoli dall’avvicinarsi a Lumbar.
Thorin si dibattè in tutti i modi, impedendo loro di scortarlo nella sua cella. Non senza di lei. Fece un gran baccano, ma stava riuscendo nel suo intento. Si ribellava per non lasciarla da sola con Thranduil. Non si fidava di quell’elfo e qualcosa, dopo quello che aveva detto e la reazione di lei, lo portava a credere che la loro discussione non sarebbe stata piacevole. In più rifletteva sulle ultime parole che lui gli aveva rivolto. Di quali verità parlava l’elfo?
Fu in quel momento che Lumbar spostò lo sguardo su di lui, incrociando i suoi occhi. Non disse niente, non ce ne fu bisogno. Sembrava che lo stesse pregando. Thorin si acquietò sotto quello sguardo così intenso e penetrante e, dopo che lei gli fece un piccolo cenno con la testa, lasciò che lo portassero via.
Lei riportò l’attenzione sul re degli elfi, che non aveva smesso di osservarla da quando aveva congedato il nano. Rimasero immobili a studiarsi per un tempo sconosciuto, ma che parve molto più lungo di quanto non fosse in realtà.
Fu Thranduil a spezzare il silenzio. «Lui non lo sa.»
«Cosa?» domandò lei.
Thranduil la indicò in silenzio.
«Sa dell’incantesimo.» gli disse.
«Ma non sa che l’uomo è lui.» commentò l’elfo.
Lei distolse lo sguardo. No che non lo sapeva. Non sarebbe mai riuscita a dirgli che la persona che amava e per cui aveva sacrificato tutto era lui. Non poteva sconvolgerlo in quel modo. Si era rifatto una vita sui Monti Azzurri, si era preso cura della sua gente come avrebbe dovuto fare, e aveva visto nascere e crescere i suoi nipoti. Non sarebbe mai potuta andare da lui e sconvolgere l’equilibrio che aveva trovato a fatica dopo tutto ciò che aveva perso.
«Perchè non gliel’hai detto?» domandò Thranduil, curioso. «Quando ti sei accorta di essere ancora viva saresti potuta tornare da lui, ma non l’hai fatto.» lei lo osservò con gli occhi lucidi e l’elfo comprese quel peso che si portava dietro da decenni. «L’hai fatto.» disse sgranando gli occhi. Lei annuì. «Ma perchè non sei rimasta?»
Un sorriso amaro si fece largo sul volto della ragazza. «Cominciare un qualunque tipo di rapporto con una bugia sarebbe stato sbagliato.» spiegò all’elfo che la osservava attento. «Sarebbe stato come basarsi sul niente. Creare qualcosa che non sarebbe mai stato vero. Inoltre io avevo la memoria piena di ricordi che comprendevano entrambi e sapevo che non sarebbe durata in quel modo. Prima o poi avrei detto o fatto qualcosa che gli avrebbe fatto capire che gli stavo mentendo da sempre, per quanto ricordava, e mi avrebbe odiata. Mi odierebbe anche ora, se sapesse la verità.»
«Ma io ricordo.» le fece notare lui. «E non dovrei, perchè il tuo incantesimo aveva tolto la memoria a tutti coloro che sapevano di voi.»
«Non so come sia possibile.» ammise Lumbar. «Non dovresti, infatti. So che loro stanno facendo dei sogni, su ciò che successe realmente in quegli anni, ma non ho idea del perchè. Se avessi potuto, avrei sciolto l’incantesimo parecchio tempo fa.»
«Questo significa che stanno ricordando. Così come è capitato a me, a Legolas e agli altri elfi.» commentò Thranduil. «Anche se non sai come. Perchè sei al suo fianco? Thorin non sa chi eri per lui, nè chi sei stata per la sua gente. Quindi perchè ti sottoponi a una tortura del genere?» domandò assottigliando gli occhi. Era una tortura immane quella a cui si stava sottoponendo la ragazza.
«Quando scappammo da Erebor gli promisi che l’avrei aiutato a riprendersela, un giorno. Come lo promisi a suo padre e a suo nonno. Mantenere quella promessa era la cosa giusta.» rispose semplicemente la ragazza.
Lo sguardo di Thranduil si assottigliò ancora di più, riempiendosi di rabbia. «Giusto…» mormorò con un baluginio negli occhi di ghiaccio. «Ora hai deciso di fare la cosa giusta. Ma allora decidesti diversamente.» commentò gelido.
Lei strinse i pugni e abbassò lo sguardo. Sapeva a cosa si riferiva il re, dopotutto era il motivo per cui la odiava.  
«L’hai lasciata lì.» Continuò Thranduil. «Hai lasciato che la uccidessero.»
«Non credere che non lo sappia.» mormorò lei rilassando le mani e sedendosi sui gradini che portavano al trono, stanca. «Non puoi odiarmi più di quanto mi odi io» aggiunse senza guardarlo, gli occhi fissi sul pavimento. «Sapeva che sarebbe morta lì.» rivelò all’elfo, sorprendendolo. «L’aveva visto. Aveva il dono della preveggenza, e tu lo sai. Non fu lei a dirmelo.» lo anticipò. «Lo vidi dopo la guerra, quando mi urlasti addosso il tuo odio per averla persa.»
«L’hai… visto?» domandò piano lui, non capendo.
Lei annuì. «Ho ereditato il dono, se così si può chiamare. Ma riesco a vedere anche episodi del passato, a volte. Mentre ascoltavo le tue parole, mentre sentivo il tuo dolore che si sommava al mio, ho visto il momento in cui lei vide la sua morte: è stato molti mesi prima che mi facesse scappare. In quel momento decise che non sarei dovuta rimanere con lei, cominciò a ideare un piano per farmi fuggire.»
Thranduil si sedette accanto a lei, non smettendo di osservarla nemmeno un attimo. «Per questo sei sbiancata in quel modo, quel giorno. Non per le mie parole.» commentò ricordando la scena.
Lumbar annuì nuovamente. «Avevo appena scoperto che lei era ancora più forte di quanto avessi mai pensato. E per me era la persona più forte che avessi mai conosciuto. Ha sopportato il peso di aver visto la sua morte, in silenzio, per tutto quel tempo, solo per tentare di dare a me una possibilità di vivere. Nonostante avrebbe dovuto odiarmi per ciò che sono.» strinse le mani tra di loro facendo sbiancare le nocche e sospirò. «Mi aveva parlato di te, sai?» rivelò, infine.
«Cosa?» mormorò sorpreso il re.
Lei sorrise leggermente. Era un sorriso triste che rispecchiava come si sentiva in quel momento. «Mi ha parlato di te da quando sono nata. Mi raccontava sempre come vi eravate conosciuti, come passavate il tempo, cosa pensava di te. Erano i momenti più belli delle nostre giornate. Mi diceva che un giorno ti avrei conosciuto anch’io, e io non vedevo l’ora che quel momento arrivasse. Volevo conoscere quel grande elfo di cui aveva così tanta stima, volevo conoscere l’elfo che aveva conquistato il suo cuore con un solo sguardo gelido, causato da una freccia che lei stessa gli aveva lanciato.»
Quella frase fece sorridere Thranduil, memore che era proprio così che si erano conosciuti: lui stava passando nel campo di addestramento e lei lanciò una freccia verso di lui, sfiorandogli il viso e centrando il bersaglio. L’elfo si era voltato verso di lei, fermo, e l’aveva fulminata con lo sguardo, ma la giovane non si scompose minimamente.
«Disse che la prossima volta avrei dovuto fare attenzione a dove camminavo.» commentò sorprendendo Lumbar, che non l’aveva mai sentito parlare di lei con quella dolce e malinconica tranquillità che caratterizzava la sua voce in quel momento. «Non fece una piega quando vide il modo in cui la guardavo, era così fiera. Mi osservava come se non fossi il suo principe, ma una persona qualunque. Un po’ come te.» aggiunse.
Lei scosse la testa. «Ti sbagli. Io non ti guardo in quel modo. Io ti guardo come si guarda qualcuno che ami, ma che sai di aver deluso profondamente. Ti guardo come avrei guardato l’elfo di cui mi parlava sempre lei. Perchè nonostante tutto, nonostante il tuo comportamento sia molto diverso da quello dei suoi racconti, tu sei sempre lui. E già allora, senza conoscerti, io ti amavo. Lei aveva fatto sì che ti amassi.»
«Tu…»
«Non come vi amavate voi, no.» lo anticipò. «Lo sai anche tu che il mio cuore appartiene a qualcun altro. Ma ti amavo come se fossimo sempre stati una famiglia, e ammetto che quando poi ti ho conosciuto mi sono sentita ancora peggio di quanto già non stessi. È stato davvero devastante accettare il tuo rifiuto. E confesso che non l’ho mai davvero accettato del tutto perchè non volevo credere che l’elfo di cui lei mi aveva parlato, lo stesso elfo che mi aveva detto di amare, non fosse quello che pensava lei. Lo consideravo un insulto alla sua persona. Poi ho capito che il tuo comportamento era solo un modo di reagire al dolore, e non ho potuto fare altro che perdonarti. Dopotutto non stavi facendo altro che dire quello che pensavo anch’io: che la sua morte era colpa mia.» Lumbar alzò le spalle. «Come potevo odiarti per questo? Non potevo, semplicemente. Così ho accettato il tuo odio, e ho cercato di essere come lei perchè era la persona migliore che conoscessi.» fece una smorfia. «Non credo di aver fatto un bel lavoro.» commentò amaramente. «Lei era una persona migliore di quanto potrò mai esserlo io.»
Per qualche minuto regnò il silenzio, poi Thranduil parlò. «Perchè non mi hai mai detto queste cose?»
Lumbar scosse la testa, tenendo gli occhi fissi sulle sue mani come aveva fatto per tutto il tempo. «Stavi già abbastanza male, senza aggiungere anche il resto. Non volevo aggravarti di un ulteriore peso. Eri già a pezzi.»
«Avresti dovuto dirmelo.» protestò lui. «Le cose sarebbero andate in modo diverso.»
Lumbar scosse lentamente la testa. «Non è vero, e lo sai anche tu. Eri troppo addolorato per la sua perdita per vedere altro. E lo capisco, meglio di quanto tu possa immaginare. Anche se te l’avessi detto, mi avresti comunque vista come la causa della sua morte. E, sinceramente, io mi vedevo e mi vedo nello stesso modo. Quindi sappiamo entrambi che non sarebbe cambiato niente.»
«Perchè me lo stai dicendo ora?» domandò confuso il re.
Lei sospirò, poi abbassò una mano per tirare fuori Helevorn dallo stivale. «Perchè durante il viaggio, prima di arrivare a Gran Burrone, ho trovato questo.» disse mostrandoglielo. «E sappiamo tutti e due cosa significa. Anche se farai di tutto per negare l’evidenza.»
Thranduil prese delicatamente il pugnale dalla sua mano e lo osservò in ogni particolare. Era stato lui a regalarlo alla madre di Lumbar poco prima che venisse rapita, e conosceva la sua storia. Come sapeva che era scomparso da secoli.
«Sta tornando.» disse la ragazza, confermando i suoi timori.
Lui già lo sospettava, ma non aveva mai voluto pensare che potesse essere vero. Era un’idea agghiacciante che riusciva a malapena a concepire nella sua mente. Figurarsi se poteva accettarla.
«Ne sei sicura?» domandò, non volendoci ancora credere.
Lei si tolse il cappuccio, mostrando al re il colore sempre più scuro dei suoi capelli.
«Sì.» confermò.
Thranduil si rigirò il pugnale tra le mani, osservandolo. «Non scenderò in guerra senza prove.» disse, infine.
«Lo so.» rispose lei.
«Devo proteggere il mio popolo.» aggiunse, come a giustificarsi.
Lei annuì senza ribattere. «Lo so.»
Lui le restituì Helevorn, che sparì in fretta nello stivale, poi la osservò. Teneva ancora lo sguardo basso, come se avesse timore di osservarlo. Thranduil sospirò, prima di fare una cosa che nessuno dei due credeva avrebbe mai fatto: le appoggiò, delicato, un braccio sulla schiena, attorno alle spalle, stringendo leggermente.
«Ti faccio male?» domandò, memore delle sue cicatrici.
Lei alzò lo sguardo sorpreso sul suo viso, osservando la parte menomata nascosta dall’incantesimo.
«Niente che non siamo abituati a sopportare.» rispose.
Gli occhi del re si addolcirono, ed entrambi si resero conto che l’odio era appena stato messo da parte, lasciando posto a quell’amore che lei aveva nascosto e che lui si era rifiutato di provare.
Lumbar appoggiò la testa sulla spalla di Thranduil e rimasero in silenzio per un po’, risanando ferite mai del tutto rimarginate.
«Le assomigli più di quanto credi.» mormorò il re dopo un tempo indefinito.
«Non ne sono così sicura.» commentò lei.
«Siete morte entrambe per proteggere coloro che amavate.» spiegò lui. «Sarebbe orgogliosa della persona che sei.»
«Lo sarebbe anche di te.»
Il silenzio calò nuovamente su di loro, fino a quando Thranduil non lo spezzò di nuovo. «Dovresti dirglielo.» lei aggrottò le sopracciglia. «A Thorin.» Lumbar staccò la testa dalla sua spalla per guardarlo negli occhi, non sapendo se essere più sorpresa per il modo tranquillo con cui aveva pronunciato il suo nome – privo di qualsivoglia astio o disprezzo – o per il significato intrinseco di quelle poche parole. «Dovresti dirgli la verità.» concluse l’elfo facendola sbiancare.
«Cosa? No!» protestò lei con fin troppa veemenza. «Non posso cambiare quello che è stato, gli farei solo più male che bene.»
«Come hai fatto con me?» domandò lui alzando un sopracciglio.
«Sono due cose diverse.»
«No, non lo sono.» le fece notare pacatamente. «Hai nascosto a me le parole di tua madre per non farmi soffrire, e nascondi a lui la verità per lo stesso motivo. Ma lui non è come me. Voi avete un rapporto diverso dal nostro, così come era diverso prima.» lei lo osservò confusa. «Thorin ti ama…»
«Una volta.» lo bloccò lei. «Ora non più. Non si ricorda nemmeno di avermi amato.»
«Lui ti ama ancora.» osservò il re. Davanti al suo sguardo scettico continuò. «Forse non si ricorda di averti amata in passato, ma si è comunque innamorato di te. Di nuovo. Come tu non hai mai smesso di amare lui. Merita di sapere la verità, e tu meriti di dirgliela.»
«E come pensi la prenderà? Non devo ricordarti, credo, che i nani, lui in particolare, sono le creature più orgogliose della Terra di Mezzo.»
A dispetto di quanto Lumbar si aspettasse, Thranduil sorrise.
«C’è solo una cosa più importante dell’orgoglio, per lui: tu. Ti guarda come se fossi la gemma più preziosa del suo tesoro, la più importante, l’unica. Ti guarda come io guardavo tua madre e come guardavo la madre di Legolas.» disse mentre un lampo di dolore passava nei suoi occhi. «Credimi, non c’è niente a cui Thorin tenga di più.»
Lumbar osservò il volto del re, studiandolo attentamente.
«Quando hai sposato la madre di Legolas ho visto il meraviglioso elfo di cui avevo tanto sentito parlare, e sono stata felice.» commentò. «Non ero triste, o arrabbiata, perchè credevo avessi dimenticato mia madre.» scosse la testa dando enfasi al suo pensiero. «Sapevo che non ci saresti mai riuscito. Ma ero anche consapevole che lei avrebbe voluto che tu fossi felice, e in quel momento tu lo eri. Quando è nato Legolas, poi, ho visto la tua gioia aumentare e il mio cuore si è scaldato. Per questo sono rimasta nei dintorni.» spiegò rivelandogli il motivo per cui aveva vissuto tra gli elfi silvani per tutti quegli anni nonostante i loro dissapori. «Volevo conoscere l’elfo che amava mia madre, oltre all’elfo che mi odiava. E non sarò mai grata abbastanza a Legolas e sua madre per avermi permesso di vederlo, anche se da lontano.» sospirò, abbassando lo sguardo. «Ho provato a salvarla, quando combattemmo i draghi del Nord. Non volevo che tu provassi ancora quell’immenso dolore, e non volevo che Legolas conoscesse il significato di perdere un genitore. Non ci sono riuscita.» le ultime parole erano state un sussurro appena accennato, ma Thranduil le aveva sentite. «Sono bruciata con lei ma non l’ho salvata.»
Thranduil non ci mise molto a comprendere il vero significato di quelle parole. Lei era con la moglie quando venne attaccata dal fuoco dei draghi e aveva tentato di assorbire le fiamme per salvarla. Ci era riuscita solo in parte, finendo per venire bruciata anche lei e non riuscendo a salvare l’elfa. Ecco perchè, quel giorno, aveva visto le fiamme comportarsi in modo strano mentre tentava di avvicinarsi alla moglie: Lumbar stava provando a tenerle lontane nel tentativo di guadagnare tempo per farlo arrivare; ma lui era stato colpito al volto e non era riuscito a raggiungerle. Quella ragazza aveva molte più cicatrici di quanto si aspettasse.
Sospirò stringendola un po’ più forte. «Non è stata colpa tua. Non potevi fare niente più di ciò che hai fatto. Hai sicuramente provato anche a curarla, vero?» lei annuì in silenzio. «Ma eri troppo stanca e debilitata e sei riuscita solo ad alleviarle il dolore. Quando l’ho raggiunta non riusciva a muoversi, quasi non poteva parlare a causa del corpo carbonizzato, ma i suoi occhi esprimevano tutto quello che non riusciva a dire. Non c’era dolore al loro interno, solo tanto amore. Quindi grazie.»
«Perchè mi ringrazi? Lei è morta comunque.» disse lei. «Non l’ho salvata, non ho fatto niente.»
«Sbagli. Hai fatto molto più di quanto credi. Dandole sollievo, rimuovendo il dolore, le hai donato una morte serena e la possibilità di dirmi addio. Non tutti sono così fortunati.» dopo qualche momento di silenzio, in cui lei rifletteva sulle sue parole, cambiò discorso. «Suppongo tu voglia rimanere con loro.» commentò riferendosi ai nani e liberandola dal suo abbraccio.
Lei annuì. «Sono la mia famiglia.»
«Lo so.» Thranduil si alzò e lei fece lo stesso. «Sono ancora della mia idea.»
«Thorin non cambierà mai opinione. È troppo ferito per il tuo rifiuto di anni fa.» ammise lei.
«Sapevo di non poter fare niente, perchè tu non eri riuscita a combattere il drago. Se anche tu avevi fallito, nessuno sarebbe riuscito a sconfiggerlo.»
«L’avevo immaginato.» confessò lei. «Però avresti potuto aiutarci dopo.» lui abbassò lo sguardo, colpevole, ma non disse niente. «Non preoccuparti.» aggiunse lei attirando la sua attenzione. «Non userò le mie armi per farci uscire.»
«Temo che rimarrete rinchiusi a lungo, allora.» commentò lui.
«No, io non credo.» rispose mentre un lampo birichino le illuminava gli occhi.
Thranduil non chiese spiegazioni, nonostante la curiosità. «Legolas.» chiamò.
Il figlio entrò nella sala e si fermò a qualche passo di distanza da loro, osservandoli. Aveva ascoltato tutto, e loro lo sapevano. «Padre.»
«Portala nelle segrete.» ordinò continuando ad osservare la ragazza. «Mettila con gli altri.»
Il giovane annuì e le fece cenno di andare, incamminandosi dietro di lei. Poco prima di uscire dalla sala Thranduil la richiamò, facendola voltare.
«Sì?» gli chiese.
«Anche questa è la tua famiglia.» le disse, sorprendendola, prima di voltarsi e uscire da un’altra porta.
 

 
****

 
Legolas la condusse in silenzio attraverso i corridoi del palazzo, fino ad arrivare alle celle in cui erano rinchiusi i nani. Ne aprì una un po’ in disparte, di fronte a quella di Thorin, e la fece entrare, richiudendo la porta dietro le sue spalle. Lumbar credeva se ne sarebbe andato, ma così non fu. Sembrava indeciso su qualcosa, ma non ne era sicura perchè ancora gli voltava la schiena. Lei voleva solo che se ne andasse in modo da permetterle di pensare in silenzio: era stata una conversazione fin troppo pesante, quella con Thranduil, seppur molto più tranquilla di quanto si aspettasse.
«È vero?» domandò, infine, l’elfo attirando l’attenzione dei nani. «Quello che hai detto a mio padre?»
Lumbar sollevò il cappuccio, nascondendo nuovamente i capelli. «Ogni parola.» disse sedendosi a gambe incrociate sul pavimento della cella, dandogli ancora le spalle.
«Di cosa avete parlato?» chiese Thorin osservandola dalla sua cella. Non gli piaceva lo stato in cui era.
«Del passato.» mormorò.
Legolas strinse le sbarre della porta con le mani. «Hai cercato di salvare mia madre.» lei non disse niente e lui continuò. «Ti sei messa tra lei e il fuoco dei draghi, e non me l’hai mai detto!»
«Non sarebbe cambiato niente, è comunque morta.» rispose la ragazza con voce piatta, senza guardarlo.
«E nonostante questo ti sei comunque messa in mezzo tra i nani e Smaug, dopo tutto quello che i draghi ti avevano fatto.» commentò facendo irrigidire i nani della compagnia, che ora si scambiavano sguardi increduli e confusi attendendo una spiegazione. Solo Balin sembrava consapevole di cosa stessero parlando. «Perchè?»
Lumbar chiuse gli occhi, sapendo cosa passasse per la testa dei nani e temendo ciò che sarebbe seguito alla sua risposta. Si strinse le braccia al petto, nel silenzio che, ora, avvolgeva le segrete, poi parlò.
«Non potevo restare ferma a guardare mentre Smaug mi portava via l’unico posto che abbia mai chiamato casa. Non potevo stare ferma mentre uccideva le persone che amavo.» la sua voce era a malapena un sussurro, un tremolio nel silenzio, ma tutti l’avevano sentita e stavano tentando di metabolizzare le sue parole. «E lo rifarei.»
«Sei morta per loro.» le fece notare Legolas. «E neanche se lo ricordano.»
«Ma lo sanno, ora.» rispose gelidamente la ragazza, facendogli notare che erano tutti in ascolto. «Ed era l’unica cosa che non volevo.» si volse verso di lui, gli occhi tristi che lo paralizzarono. «Persino Thranduil non era d’accordo con la mia decisione di tenere il segreto, ma l’ha sempre rispettata. E tu lo sai, hai ascoltato tutto prima.» disse facendogli capire che avevano sempre saputo della sua presenza. «Non avevi nessun diritto di rivelarglielo. Non spettava a te.»
«Glielo avresti mai detto.» ribattè l’elfo. «Avresti mai rivelato loro la verità?»
«Un giorno, quando tutta questa storia fosse finita, lo avrei fatto. Avevano già abbastanza preoccupazioni senza aggiungere anche questo. Non volevo dargli altro a cui pensare che non fosse la missione di riprendersi la loro casa, ma tu dovevi fare per forza di testa tua.» Lumbar scosse la testa. «Sei testardo come i tuoi genitori.»
Non era un insulto, lo sapevano entrambi, e Legolas rilassò le spalle che aveva tenuto rigide per tutta la conversazione. Liberò le mani dalla stretta che aveva sulle sbarre della cella e fece un passo indietro.
«E tu sei la persona più forte e coraggiosa che conosco.» disse prima di voltarsi e andarsene, lasciandola in balìa di dodici nani pieni di domande, e un nano ormai consapevole della verità.
Lumbar sapeva perchè Legolas l’aveva fatto: voleva che lei fosse felice con l’uomo che amava, nonostante questo fosse un nano. Avendo ascoltato la conversazione tra lei e il padre, aveva compreso diverse cose sulla storia della ragazza e aveva voluto darle quella possibilità che, sapeva, lei si sarebbe sempre negata. La conosceva, dopotutto: Lumbar avrebbe sempre messo gli altri al primo posto, lo aveva sempre fatto.
Lumbar si volse verso la parete, passandosi una mano sul volto e aspettando la reazione da parte dei nani che sapeva sarebbe arrivata.
Tuttavia nessuno di loro riusciva a pronunciare una parola, ancora troppo sconvolti da ciò che avevano appena sentito.







 

****

 

N.d.A.

Ho modificato i fatti relativi alla morte della moglie di Thranduil per comodità della trama, e chiedo scusa per questo. Non è l'unica cosa diversa ma, probabilmente, è la più diversa. Non è un errore, quindi, è un cambiamento voluto.
Inoltre, piccolo spoiler, nel prossimo capitolo scopriremo finalmente quanti anni ha Lumbar. So che qualcuno era impaziente di saperlo e posso dire che questa domanda avrà finalmente una risposta.

A presto, Josy

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Capitolo 10
*** 8. La botte piena, la guardia ubriaca ***






8. La botte piena, la guardia ubriaca
 
Dopo diversi giorni di silenzio, in cui i nani cominciarono a perdere le speranze di riuscire a scappare, fu Balin, con sua sorpresa, a spezzare quella pesante quiete che si era creata da quando Legolas era andato via.
«Penso sia arrivato il momento di raccontare la verità, mia cara ragazza.» non c’era accusa nelle sue parole, nè rabbia, solo comprensione, e fu in quel momento che Lumbar capì che il vecchio nano sapeva.
«Da quanto?» gli domandò in un sussurro, dopo giorni di mutismo e immobilità. «Da quanto lo sai?»
Balin sospirò. «Dal primo momento in cui ti ho vista, temo.» disse, stupendola ancora. «Non ero sicuro, all’inizio, ma i sogni che continuavamo a fare, notte dopo notte, mi hanno dato abbastanza indizi per capire. E la tua canzone…»
«È stata la conferma finale. L’ultimo pezzo della storia.» concluse lei.
«Non ricordo tutto, ma ricordo molto. Ricordo quando sei arrivata, la tua amicizia con Thror, il tuo legame con Thrain e la nascita di Thorin. Ricordo come l’hai guardato quando Thrain te l’ha messo in braccio la prima volta, e ricordo quando lui ha cominciato a guardarti nello stesso modo. Ricordo le vostre litigate.» continuò sorridendo leggermente. «Così tremende che tu facevi tremare l’intera montagna, e ricordo quei momenti spensierati in cui vi rincorrevate felici facendo ridere chiunque vi vedesse. Ricordo le tue canzoni, che arrivavano in ogni angolo della montagna. E ricordo quel giorno, il giorno in cui tutto è finito.» rivelò facendole venire gli occhi lucidi. «Sono così addolorato per ciò che hai dovuto fare. Tu ci hai salvati, più di una volta. Non potrò mai ringraziarti abbastanza, per questo. Hai fatto in modo che avessimo un futuro e la possibilità di tornare.»
«Di che state parlando?» domandò Thorin passando lo sguardo da uno all’altra attraverso le sbarre.
«Del nostro passato.» mormorò Lumbar senza voltarsi. Era rimasta nella stessa posizione per tutto il tempo, senza bere nè mangiare e limitandosi ad ascoltare i movimenti dello hobbit all’interno del palazzo, in attesa che trovasse un modo per liberare i nani. «Del passato che non ricordi perchè te l’ho tolto, così come l’ho tolto a tutti gli altri in modo che poteste andare avanti.»
«Cosa?» chiese Thorin.
«Cos’hai fatto, tu?» sibilò Dwalin incredulo e sconvolto.
«Tranquillo fratello.» lo calmò Balin. «Non aveva scelta. Credeva che sarebbe morta, lo credevamo tutti, e sapeva che era l’unico modo per darci una possibilità di sopravvivere. Non arrabbiarti con lei per ciò che ha fatto; è la persona che ha sofferto di più, fra tutti.»
Nessuno disse niente, mentre i nani elaboravano le nuove informazioni.
«Sono io, vero?» chiese a un certo punto Thorin alzandosi in piedi e guardandola attraverso le sbarre. «Quel lui di cui parli. L’uomo per cui hai dato tutto, anche la vita.»
Lei annuì senza guardarlo, non ne aveva il coraggio.
«Perchè non me l’hai detto?» urlò sbattendo le mani sulla porta della cella, la sua voce che rimbombava attraverso le prigioni. «Avevo tutto il diritto di sapere! Sono i miei ricordi, il mio passato!»
Lumbar si irrigidì, mentre i mormorii dei nani svanivano a causa dello scoppio d’ira del loro capo.
«I tuoi ricordi? Il tuo passato?» sibilò, mentre attorno a loro un gelo prepotente, di quelli che entrano nelle ossa e paralizzano, si faceva strada inglobandoli. «Era la mia vita, Thorin! E mi è stata portata via!» la ragazza voltò la testa di scatto verso di lui per guardarlo in faccia, per mostrargli la sua espressione e tutto il dolore che aveva patito in quei decenni. «Era l’unica casa che io abbia mai conosciuto che è bruciata, quel giorno. Le uniche persone che io abbia mai, davvero, chiamato famiglia. I primi che mi hanno accolto senza aspettative, senza volere nulla in cambio.» prese fiato, ormai incapace di fermarsi. «Ero presente all’incoronazione di tuo nonno. Ho cresciuto tuo padre, insegnandogli a combattere e preparandolo a essere un buon re. Io ti ho visto nascere, Thorin Scudodiquercia.» gli svelò schietta, senza mezzi termini. «Ho aiutato tua madre a partorire sia te che i tuoi fratelli. Appena ti ho visto ho capito chi saresti diventato per i nani. E quando ti ho avuto tra le braccia, con i tuoi occhi che mi studiavano in tutta la loro intensità, ho capito chi saresti diventato per me. Sono stata una zia, una sorella, un’amica per te. Così come lo sono stata per Frerin, Dis, Dwalin e molti altri, con la mia esperienza e conoscenza del mondo. Non mi sono mai spinta oltre, in nessun modo, adeguandomi ai tuoi comportamenti, a ciò di cui avevi bisogno. Sei stato tu a cambiare, senza che me ne accorgessi. In realtà non mi aspettavo che succedesse. Sapevo cosa saresti diventato tu per me ma non il contrario, quindi non avrei mai creduto che potessi vedermi in un modo diverso da come mi avevi sempre vista. È stato Dwalin ad aprirmi gli occhi.» il nano in questione esclamò sorpreso, ma lei lo ignorò. «Il nostro migliore amico aveva visto lungo: si era accorto da tempo di come ti guardavo, ma non aveva mai detto niente rispettando il mio silenzio. E così è stato fino a quando non hai cominciato a guardarmi nello stesso modo, mentre io ero troppo cieca per capirlo, troppo impegnata a rispettare i limiti che mi ero imposta. Venne a parlarmi, ricordo ogni parola di quel giorno, e mi convinse a lasciarmi andare, a permetterci di innamorarci, senza sapere che ti amavo dal giorno in cui eri nato.» Thorin la osservava sconvolto, senza sapere cosa pensare, figuriamoci cosa dire. «Quindi non venirmi a dire che erano i tuoi ricordi e il tuo passato, perchè erano i nostri. Gli anni che ho trascorso a Erebor sono stati i più felici della mia vita. Gli unici felici. E per una persona come me, che ha visto la Terra di Mezzo cambiare e combattere per la propria libertà, la creazione degli Orchi e i Valar affrontare Morgoth, puoi ben immaginare che centottantuno anni sono ben poca cosa a confronto con il tempo passato dagli Anni degli Alberi.» concluse con gli occhi lampeggianti e lasciandoli totalmente senza parole.
«Scusa, quand’è che sei nata?» domandò Kili dopo un po’, rompendo il silenzio. «Negli Anni di cosa?»
«Gli Anni degli Alberi, ragazzo.» rispose Balin per lei, troppo impegnata a fissare Thorin che, a sua volta, non le toglieva gli occhi di dosso. «Gli Anni degli Alberi furono un periodo antecedente alla Prima Era, successivi agli Anni delle Lampade e seguiti dalla prima Era e dagli Anni del Sole, in cui ci troviamo ora. Lumbar è una delle persone più antiche della Terra di Mezzo.» spiegò.
«Accidenti se sei vecchia!» esclamò il ragazzo, spezzando così la tensione e facendo ridacchiare alcuni nani. «Certo che li porti bene i tuoi anni. Quanti sarebbero…?» domandò titubante cercando di fare il conto.
«Undicimiladuecentottantaquattro.» rispose lei tranquilla. «Senza contare i circa cinquecento degli Anni degli Alberi, che hanno una lunghezza diversa ed è complicato calcolarli. Sono più o meno gli stessi di Thranduil, forse una trentina in meno. Ormai non li conto più.» ammise alzando le spalle, ma senza distogliere lo sguardo da Thorin.
«Questo non è importante adesso.» disse Thorin facendo tornare il silenzio. «Non hai comunque spiegato perchè mi hai tolto la memoria. Perchè mi hai portato via la nostra storia?» le chiese quasi ringhiando.
«Azog.» rispose soltanto.
Sentendo quel nome Thorin si paralizzò. Lumbar vide chiaramente come cercava di capire a cosa si riferisse, fino a quando un lampo si accese nei suoi occhi.
«La Battaglia di Azanulbizar.» disse infatti. «Tu eri lì, ed è lì che lui ti ha uccisa.» Lumbar non disse niente, ma una lacrima traditrice scivolò sulla sua guancia confermando l’intuizione del nano. «Ma perchè cancellarmi la memoria?» domandò ancora, incapace di comprendere cosa l’avesse spinta a un atto così estremo. Si era seduto vicino alle sbarre, rilassando i muscoli irrigiditi e appoggiando la fronte al metallo, continuando a osservarla. «Perchè togliermi il tuo ricordo?»
«Perchè ti avrebbe ucciso.» sussurrò lei in risposta. «Non hai visto le condizioni in cui versavi. Dopo la morte di Thror e di Frerin eri a pezzi. Dovevi sostenere tuo padre, ma con la mia morte ti saresti lasciato andare per la disperazione. Ho fatto l’unica scelta possibile: ho cancellato la mia presenza nella tua vita, in modo che non ti lasciassi morire. Volevo che tu vivessi anche per me, ma sapevo che non ci saresti riuscito. Fosti tu a dirmelo, e vedendoti così devastato, quel giorno, compresi che purtroppo avevi ragione.» la disperazione che entrambi avevano provato in quel momento traspariva da ogni parola che la ragazza pronunciava, atterrendo il nano e i suoi compagni. Lumbar abbassò lo sguardo, incapace di osservarlo mentre raccontava la parte peggiore. «Non mi ero sacrificata, salvandoti, perchè tu ti lasciassi morire dal dolore della mia perdita. Non l’avrei mai permesso. Tu dovevi vivere per entrambi, e dovevi guidare il tuo popolo alla salvezza. Così raccolsi le mie ultime energie e recitai l’incantesimo. È stata la cosa più difficile che abbia mai fatto.» confessò. «Morire, in confronto, è stato facile. Vedere che ti rendevi conto di cosa stavo facendo, che ti accorgevi che i ricordi cominciavano a svanire, e sentire che mi pregavi di fermarmi, di non farlo, di non toglierti la nostra storia... la tua disperazione... è stato devastante. Non so chi dei due abbia pianto di più. Risvegliarmi e capire che non ero morta è stato il colpo di grazia.» strinse le mani tra loro, sbiancandone le nocche dalla forza che usò. «Venni a cercarti. Volevo sapere come stessi, ovviamente. Ancora non sapevo quanto tempo fosse passato, lo scoprii viaggiando. E sempre viaggiando seppi dove vi eravate stabiliti. Quando ti trovai, molto tempo dopo, sembravi così tranquillo. Sentivo che il dolore della perdita era ancora presente, ma sentivo anche che lo stavi accettando. Ti stavi rifacendo una vita, così come tutti gli altri, e non me la sono sentita di stravolgerla con un racconto che non potevo dimostrare. Non avevo il diritto di portarti via quella parvenza di serenità che avevi, così me ne andai. Tornai alla nascita di Fili e Kili, come ero stata presente alla tua volevo esserlo anche alla loro, e tornai anche altre volte, non rivelando mai chi fossi davvero. Ero la giovane vagabonda che ogni tanto passava a raccontare storie, quella che attirava sempre l’attenzione dei bambini che volevano sapere le avventure della Terra di Mezzo, e che non si fermava mai più di qualche giorno.»
«Aspetta, parli della Settimana delle Storie?» la interruppe Fili. «Quella che tutti, dai neonati ai ragazzi più grandi, persino gli adulti, aspettavano con impazienza?»
Lei scosse la testa. «Ancora mi chiedo perchè abbiate dato un nome alle mie visite.» commentò con un lieve sorriso in volto.
«Perchè non avremmo dovuto?» ribattè Fili. «Venivi una volta all’anno, sempre nello stesso periodo e sempre per lo stesso tempo. È ovvio che le abbiamo dato un nome. Adoravamo quelle storie. Ora capisco perchè portavi sempre il cappuccio e non parlavi mai di te.»
«Perchè non hai spezzato l’incantesimo?» domandò Thorin, zittendo il nipote.
«Idiota.» borbottò Dwalin nel silenzio che si era creato.
Lumbar osservò Thorin in silenzio, attraverso le grate delle loro celle, e dette mentalmente ragione a Dwalin.
«Questa domanda potevi risparmiartela.» disse, infatti, al nano. «Credi davvero che non ci abbia provato?» gli domandò bloccando le sue proteste sul nascere.
Thorin confermò a se stesso di essere un idiota, dando ragione a entrambi. Era ovvio che ci avesse provato, chiunque l’avrebbe fatto. 
«Perchè non ci sei riuscita?» chiese, infine.
Lei alzò le spalle. «Temo di aver fatto il lavoro troppo bene, dovevo essere davvero disperata.» il nano alzò un sopracciglio e lei spiegò meglio. «È il miglior incantesimo che abbia mai lanciato. Particolarmente complesso e meravigliosamente riuscito. Disgraziatamente.»
«Ma ora stiamo ricordando.» si intromise Balin. «I sogni sono tutti ricordi, e gli elfi sanno la vostra storia. Anche gli orchi e i goblin.» aggiunse, ripensando alle conversazioni avute con il Grande Goblin e Azog. «Perchè?»
Lei sospirò, scuotendo la testa. «Ho una teoria, ma non è nient’altro che questo. La verità è che non lo so, non dovreste ricordare.»
«Quale teoria?» domandò Dwalin, impaziente.
«Non so quando il processo è iniziato.» premise lei. «Ma ricordo quasi perfettamente cosa dissi durante l’incantesimo. Probabilmente state ricordando perchè Thorin si sta avvicinando a quella che lui riconosce come Casa, il luogo a cui appartiene.» spiegò semplificando le cose in modo che capissero. «Credo di aver inserito una specie di condizione affinchè l’incantesimo svanisse, non ne sono sicura. Ero un po’ morta, sapete, e stavo dicendo addio alla mia ragione di vita.» non si preoccupò di nascondere cosa provasse per Thorin, ormai era chiaro a tutti quindi non si trattenne, ignorando volutamente l’espressione nel nano in questione.
 

 
****

 
Passarono un altro paio di giorni tranquilli prima che le cose cambiassero. Erano trascorse circa due settimane da quando erano stati imprigionati e Lumbar sapeva che Bilbo aveva escogitato qualcosa.
L’elfa Tauriel stava facendo il suo solito giro di perlustrazione come ogni giorno, passando davanti alle celle dei nani e salutando Lumbar con un cenno, quando si fermò. Lumbar non poteva vederla, ma riusciva tranquillamente a sentire cosa diceva.
«La pietra che hai in mano.» disse a un nano. «Che cos’è?»
Dopo qualche secondo di silenzio il nano rispose. «È un talismano.» il nano era Kili. «Un potente incantesimo l’avvolge. Se qualcuno oltre ai nani leggesse queste rune… sarebbe eternamente dannato!» concluse facendo sorridere Lumbar per la scemenza che aveva appena detto.
Tauriel fece appena un paio di passi, prima di venire fermata dalla voce di Kili. «O no! Dipende se credi in quel tipo di cose, è solo un ricordo.» esclamò, infatti, confermando il pensiero di Lumbar che fosse uno scherzo e facendo tornare indietro l’elfa. «È una pietra runica.» disse sincero, con la voce malinconica. «Me l’ha data mia madre perchè ricordassi la mia promessa.»
«Quale promessa?» domandò curiosa Tauriel.
«Che sarei tornato da lei.» rispose il nano come se fosse ovvio. «Si preoccupa.» sospirò. «Mi ritiene spericolato.» spiegò ridendo leggermente.
«E lo sei?» chiese Tauriel.
Non sai quanto, pensò Lumbar senza dire niente. Non voleva intromettersi tra i due.
«Nah.» disse Kili nello stesso momento, mentre lanciava in aria la pietra.
Al posto che prenderla al volo, però, gli cadde e sarebbe precipitata nel vuoto se Tauriel non l’avesse fermata con il piede. L’elfa la prese e la studiò, osservandola attentamente, mentre le voci degli elfi in festa li raggiungevano dalla parte alta del palazzo.
«Sembra che stiate facendo una gran festa lassù.» mormorò, infatti il nano.
«È Meleth en Gilith, la Festa della Luce Stellare.» spiegò l’elfa. «Tutta la luce è sacra per gli Eldar, ma gli elfi silvani adorano la luce delle stelle.»
«L’ho sempre trovata una luce fredda.» disse il nano. «Remota, e molto lontana.»
«Essa è memoria.» ribattè l’elfa avvicinandosi alla sua cella. «Preziosa e pura. Come la tua promessa.» concluse restituendo la pietra al proprietario. «Sono andata lì, qualche volta.» riprese poi. «Oltre le foreste, di notte. Ho visto il mondo cadere via, e la luce bianca dell’eternità riempire l’aria.»
«Ho visto una luna di fuoco, una volta.» disse il nano. «Si era levata sul passo vicino a Duillond. Enorme, rossa e dorata era, riempiva il cielo. Scortavamo alcuni mercanti da Ered Luin; loro scambiavano lavori in argento con pellicce. Prendemmo il verdecammino a sud, tenendo la montagna a sinistra. E poi è apparsa, un’enorme luna di fuoco illuminava il sentiero. Magari potessi mostrarti le caverne sotto quelle montagne…»
Lumbar e Tauriel non erano le uniche ad ascoltare: Legolas, infatti, era immobile su una sporgenza, nascosto agli occhi dell’elfa, e osservava la scena con un cipiglio sul volto. Bilbo, invece, sembrava essere diversi piani più in basso. O almeno così pensava, basandosi su ciò che aveva sentito fino a quel momento.
Passò qualche altro minuto prima che Tauriel si allontanasse e solo in quel momento Legolas si avvicinò alla cella di Lumbar, osservandola.
«Mi dispiace.» gli disse lei ricambiando lo sguardo.
«Per cosa?» domandò lui, non capendo.
Lumbar fece un cenno nella direzione di Kili, provocando una smorfia sul volto dell’elfo.
«Non voglio parlarne.» commentò.
«Perchè sei qui?» domandò allora, assecondandolo.
«Mio padre vuole sapere se ti va di unirti a noi per i festeggiamenti.» spiegò, prendendola alla sprovvista. «Non me l’aspettavo.» ammise.
«Nemmeno io.» Lumbar sospirò, passandosi una mano sul volto stanco e ripensando all’ultima volta che aveva partecipato al Meleth en Gilith. «Per quanto mi piacerebbe esserci, per quanto mi manchino queste tradizioni, non ho intenzione di allontanarmi da loro.» disse indicando con un cenno i nani. «E sappiamo entrambi che non sono invitati.»
Legolas annuì.
«Ringrazia tuo padre da parte mia, per favore, e digli che apprezzo il suo invito. Ascolterò i vostri canti da qui, così come riesco a sentire la luce delle stelle nonostante non possa vederle.»
«Certo.» acconsentì lui. «Se ti serve qualcosa fammi chiamare.» disse prima di voltarsi e incamminarsi verso i festeggiamenti.
«Legolas.» lo chiamò lei facendolo fermare sui gradini.
Lui voltò la testa per osservarla, in silenzio.
«Non avercela con lei.» continuò la ragazza, mentre un lampo passava negli occhi del biondo. «Non si sceglie di chi innamorarsi.»
Legolas non rispose, limitandosi a voltarsi e allontanarsi in totale silenzio, mentre Lumbar sospirava piano appoggiandosi con la schiena alla parete della sua cella. Non voleva che il suo amico soffrisse, ma in quella situazione sapeva che sarebbe successo. E le dispiaceva.
 

 
****

 
«Scommetto che il sole sta sorgendo.» pronunciò Bofur con sconforto dopo diverse ore di silenzio, facendosi sentire da tutti. «Dev’essere quasi l’alba.»
«Non raggiungeremo mai la Montagna, non è vero?» rincarò Ori.
«Io non dubiterei troppo.» mormorò Lumbar con un sorriso in volto, mentre si alzava in piedi e si sporgeva verso l’esterno attraverso le grate, attirando la loro attenzione.
«Non chiusi qui dentro di certo.» esclamò piano Bilbo apparendo davanti alla sua cella e a quella di Thorin con le chiavi delle prigioni in mano, riportando un po’ di speranza tra i nani.
«Finalmente.» esclamò la ragazza. «Ti ho sentito andare su e giù per il palazzo tutto il tempo, aspettando che trovassi un modo per farli uscire.»
«Cosa?» esclamò Thorin, osservandola.
Lo hobbit lo ignorò. «Non potevi farli uscire tu?» domandò osservando le sue armi ancora appese alla cintura.
«Avevo fiducia nelle tue capacità. E poi ho promesso a Thranduil che non li avrei fatti evadere. Dovresti saperlo, ci hai ascoltati.» gli fece notare.
«Cosa?» domandò nuovamente Thorin facendo alzare gli occhi al cielo alla ragazza.
«Bilbo è rimasto nelle vicinanze della sala del trono, dopo che ti hanno portato via.» spiegò al nano sotto l’attenzione completa dei membri della compagnia, che si erano tutti alzati impazienti di uscire da lì. «Ha ascoltato quello che il re degli elfi e io ci siamo detti, come Legolas. E poi ha ascoltato anche le nostre conversazioni, dopo che il biondino ha vuotato il sacco. Non è stato sempre qui, tornava ogni tanto a controllarci.»
I nani cominciarono a esultare, mentre lo hobbit apriva la porta della cella di Thorin.
«Shhhh!» li zittirono Lumbar e Bilbo. «Ci sono le guardie nelle vicinanze.»
Poi lo hobbit passò alla cella di Lumbar, che lo fece fare nonostante avrebbe potuto liberarsi da sola, e si diresse verso gli altri lasciando la ragazza e il nano l’uno di fronte all’altra. In completo silenzio.
Non sapevano come agire; attorno a loro una coltre di disagio li aveva avvolti, soffocandoli. Lumbar non aveva idea di come comportarsi, ora che Thorin sapeva la verità e il nano, dal canto suo, non sapeva più cosa pensare. Aveva riflettuto molto da quando aveva saputo come stavano le cose, ma non era arrivato a capo di niente. Aveva compreso che i sogni che stava facendo in quel periodo erano la vera versione del suo passato, quella che lei gli aveva in parte raccontato, e si ritrovava molto in quei ricordi, come se il suo corpo accettasse quella realtà facilmente. Ma la sua mente, purtroppo, non la smetteva un attimo di ragionare, portandolo ad analizzare ogni singola cosa, anche la più piccola, nel tentativo di sbrogliare quella matassa ingarbugliata che era diventata. E doveva ammettere che non ci riusciva; più passava il tempo, più non riusciva a capire perchè lei avesse fatto tutto quello, nonostante glielo avesse spiegato. Era arrabbiato nei suoi confronti, molto, e sconvolto; ma c’era anche qualcos’altro che premeva per uscire, confondendolo ancora di più perchè non riusciva a capire cosa fosse. Se solo fosse stato in grado di ricordare chiaramente come Balin era sicuro che avrebbe avuto tutto più chiaro, sarebbe stato tutto più semplice; ma sapeva che, per riuscirci, sarebbe dovuto tornare a Casa, così si ritrovò più determinato che mai a riprendersi la Montagna, la sua patria, in modo da riuscire a spezzare definitivamente quell’incantesimo maledetto. Nel frattempo avrebbe cercato di capire come comportarsi con la ragazza, consapevole che tutto fosse cambiato.
«Non di là, quaggiù. Seguitemi.» esclamò Bilbo attirando la loro attenzione e interrompendo quell’eterno scambio di sguardi.
Lo hobbit li stava conducendo giù per una scala, nelle profondità del palazzo, e Lumbar comprese in fretta quale fosse il suo piano. Strisciarono fin nelle cantine più basse. Passarono davanti a una porta attraverso la quale poterono vedere il capoguardia e il maggiordomo, Galion, beatamente intenti a russare con un bel sorriso dipinto sul volto. Il vino di Dorwinion fa dormire e sognare cose belle, ricordò Lumbar. Il giorno dopo ci sarebbe stata un’espressione diversa sul volto del capoguardia.
«Non ci credo, siamo nelle cantine!» protestò Kili.
«Dovevi portarci fuori, non ancora più all’interno!» continuò Bofur, facendo attenzione a non svegliare i due elfi.
«So quello che faccio.» rispose lo hobbit, mostrando poi loro dove andare.
Lumbar gli fece l’occhiolino quando lo raggiunse poi, però, si irrigidì e il mezzuomo lo notò.
«Entrate tutti nei barili.» disse loro Bilbo, indicando dei grossi barili accatastati in modo ordinato accanto a loro. «Presto!»
I nani cominciarono a protestare.
«Sei impazzito?!» chiese Dwalin, avvicinandosi. «Ci troveranno.»
«No no, non è così, te l’assicuro.» gli disse, prima di rivolgersi a tutti. «Vi prego! Vi prego! Dovete fidarvi di me.»
I nani cominciarono a parlottare tra loro, perdendo tempo prezioso mentre Lumbar e Thorin stavano in disparte, lei con gli occhi chiusi e le orecchie elfiche ben tese, lui ad osservarla per capire cosa ci fosse che non andasse.
«Falli entrare in quei barili.» mormorò la ragazza al nano accanto a lei. «Adesso.»
«Che succede?» domandò lui mentre Bilbo spostava la sua attenzione su di loro.
«Hanno trovato le celle vuote.» rispose riaprendo gli occhi e puntandoli in quelli di ghiaccio del nano.
«Fate come dice!» ordinò allora agli altri, facendo procedere il piano dello hobbit.
«Funzionerà.» li tranquillizzò la ragazza mentre aiutava i nani a sparire all’interno dei barili.
Una volta che furono tutti nascosti, Bofur sporse fuori la testa per osservare Bilbo e Lumbar, ancora in piedi.
«Adesso che facciamo?» domandò facendo uscire le teste degli altri, in attesa di una risposta.
Lumbar e Bilbo si scambiarono uno sguardo mentre il mezzuomo appoggiava le mani su una leva accanto a lui, poi tornarono a guardare i nani.
«Trattenete il fiato.» disse la ragazza.
Nello stesso momento Bilbo spinse la leva, aprendo una botola sotto i barili e facendoli, così, precipitare nel fiume che scorreva sotto il palazzo e che li avrebbe portati sulle rive del lago. Le botti, con i nani urlanti al loro interno, rotolarono all’interno del fiume, mentre la botola si richiudeva sopra di loro separandoli dagli altri due. Lumbar si irrigidì sentendo Tauriel, alcuni piani più su, chiedere dove fosse Galion che, in quel momento, si stava svegliando a pochi passi da loro facendo agitare lo hobbit. La ragazza, mantenendo il sangue freddo, lo prese per un braccio camminando sulla botola fin quando il loro peso non la fece aprire di nuovo, facendoli finire a loro volta nel fiume mentre salutava Tauriel, che la osservava dalla botola, con un sorriso. Siamo scappati appena in tempo, pensò mentre la botola si chiudeva, separandoli definitivamente. I nani si erano aggrappati a delle sporgenze per aspettarli, e Lumbar aiutò Bilbo ad afferrare uno dei barili, mentre Thorin si complimentava con lui per il piano e le faceva spazio nel suo.
«L’hai davvero salutata?» domandò il mezzuomo, incredulo.
Lumbar si strinse nelle spalle mentre un sorrisetto si faceva spazio sul suo volto. «È gentile, non volevo si sentisse responsabile per la nostra fuga.»
«Oppure volevi prenderla in giro con un silenzioso “ciao ciao, ci vediamo”?» ribattè, facendola ridere.
Si lasciarono trasportare dalla corrente verso valle, affrontando le cascate e le rapide del fiume cercando di non affogare. Lumbar si voltò verso la grotta da cui erano usciti e vide Legolas osservarli, insieme a Galion. Il sorriso che le era rimasto sul volto scomparve.
«Oh oh.» mormorò attirando l’attenzione di Thorin, dietro di lei, che la teneva stretta a sè.
«Che succede?»
In quel momento il suono di un corno si sparse nell’aria e sentirono altre voci di elfi qualche decina di metri più avanti.
«Chiudono il cancello, ecco che succede.» disse lei cercando di sollevarsi e uscire dal barile.
«Cosa stai facendo?» domandò il nano cercando di fermarla.
«Rimedio al problema.» disse lei, ovvia, mentre qualcosa attirava la sua attenzione. «Anche perchè non è l’unico problema che abbiamo.» commentò impallidendo e dandosi lo slancio necessario per saltare e atterrare sul ponte sopra di loro prima che la botte venisse bloccata dalle grate chiuse del cancello, seguita dalle altre.
Gli elfi sulla chiusa avevano imbracciato le armi rivolgendole contro di lei. La ragazza li ignorò e prese l’arco dalle sue spalle, incoccò una freccia e mirò verso uno di loro. Per qualche secondo nessuno si mosse, in quella strana impasse. Poi l’elfo a cui Lumbar stava mirando venne colpito alle spalle da una freccia, cadde nel fiume e lasciò il posto a un orco, che venne prontamente ucciso dalla freccia già incoccata della ragazza. Subito gli elfi rivolsero le loro armi contro il loro nuovo nemico, ma gli orchi erano troppi e li avevano colti di sorpresa.
Lumbar venne accerchiata in fretta e non riuscì ad avvicinarsi alla leva che avrebbe aperto il cancello, permettendo agli altri di continuare. Sentiva le voci preoccupate dei nani chiamarla, metterla in guardia, ma era troppo concentrata nel cercare di liberarsi di quegli esseri per farci davvero caso.
«Uccideteli tutti.» sentì dire da un orco che riconobbe come Bolg, il figlio di Azog.
«Andiamo sotto il ponte!» urlava Thorin, nel tentativo di far riparare i suoi compagni mentre si difendevano come potevano. «Presto!»
Lumbar tentò di arrivare alla leva e aprirla ma era troppo in difficoltà, gli orchi erano ovunque e lei cercava in tutti i modi di tenerli lontani dai nani. A un certo punto qualcosa attirò la sua attenzione dall’angolo del suo campo visivo: dava le spalle al ponte, la testa voltata di lato nel tentativo di respingere l’attacco di un orco che aveva provato a prenderla di sorpresa con la mazza ferrata, ma riuscì comunque a vedere Kili arrampicarsi su per il ponte e dirigersi verso la leva, mentre affrontava degli orchi con una spada lanciatagli da Dwalin. Era bravo, si difendeva bene, ed era sempre più vicino alla leva.
Nel momento in cui Lumbar uccise l’orco con cui era impegnata, si guardò intorno e vide Bolg prendere l’arco e puntarlo contro Kili, una freccia nera incoccata, proprio mentre il ragazzo stava per abbassare la leva.
«NO!» gridò saltando verso il ragazzo e facendo voltare gli altri nella sua direzione.
Ma Bolg aveva già scoccato la freccia, e lei potè soltanto prendere al volo il nano quando venne colpito alla coscia destra.
«Kili!» urlò suo fratello, ma lei non ci fece caso e sostenne il giovane mentre Tauriel colpì un orco sopra di loro e lo uccise.
Le due si osservarono, poi Tauriel le fece un cenno con la testa e riprese a combattere mentre Legolas spuntava fuori dagli alberi e li raggiungeva.
Lumbar si rivolse a Kili, ancora concentrato sull’elfa. «Capisco che Tauriel sia bellissima e che ti piaccia, ma ti pare il momento di contemplarla come un babbeo che non ha niente di meglio da fare? Tua madre ha ragione: sei davvero spericolato.» domandò ironica facendolo arrossire prima di continuare, più seria. «Appoggiati a me con tutto il tuo peso e alzati. Sto assorbendo il tuo dolore, ma dovrò curarti e non posso farlo qui. Dobbiamo aprire quel cancello e allontanarvi il prima possibile da questo posto.» poi avvolse una mano attorno alla freccia. «Farà male.» disse, sincera. «Ma se non la tolgo subito avrai troppo veleno in circolo per sopravvivere.»
Il ragazzo annuì osservandola e, quando lei tirò via la freccia dalla sua carne, un grido strozzato lasciò le sue labbra. Poi entrambi si rimisero in piedi e il nano si rese conto che era vero: Lumbar stava assorbendo il suo dolore e lui riusciva a sopportare meglio la ferita, per quanto bruciasse infiammandogli il corpo.
Si aggrapparono entrambi alla leva e tirarono, aprendo finalmente i cancelli della chiusa e permettendo ai loro compagni di scorrere via insieme al fiume. Alcuni di loro si erano aggrappati al ponte, in attesa che li raggiungessero e Lumbar aiutò Kili a calarsi nuovamente nel suo barile.
«Sbrigati ragazza!» le urlò Dwalin, ma lei era già corsa oltre il ponte, verso valle, all’inseguimento di Bolg e degli orchi che, a loro volta, inseguivano la compagnia di Thorin; così anche gli ultimi nani si lasciarono trascinare dalle correnti, finendo per raggiungere il resto del gruppo.
Gli orchi li attaccavano ogni volta che le correnti li avvicinavano troppo alle sponde del fiume e tentavano in tutti i modi di colpirli con le loro frecce nere, ma i nani erano attenti e riuscivano a difendersi nonostante l’assurda situazione in cui si trovavano. Lumbar, d’altra parte, era messa meglio e rincorreva e uccideva ogni orco che vedeva, saltando da una roccia all’altra, da una sponda all’altra, arrampicandosi sugli alberi e correndo sui loro rami per colpirli dall’alto, e più orchi uccideva più si avvicinava ai suoi compagni, che riusciva anche a tenere d’occhio. Era una vera macchina da guerra. Veloce, agile e letale, si era accorta di Legolas, Tauriel e gli altri elfi che li stavano raggiungendo, ma non se ne curava; l’unica sua preoccupazione era portare al sicuro i suoi compagni e prendersi cura della ferita di Kili. Agli elfi ci avrebbe pensato in un secondo momento.
I nani si passavano le armi, aiutandosi a vicenda, e ogni tanto osservavano Lumbar, che procedeva parallelamente a loro sulle sponde del fiume. A volte se la ritrovavano persino a volare sopra le loro teste per passare da una parte all’altra; ma tra le rapide e i continui attacchi degli orchi non potevano distrarsi troppo a lungo.
I nani tagliarono, uno dopo l’altro, un tronco che fungeva da ponte tra le due sponde, attraversando il fiume, pieno di orchi; li fecero cadere tra le correnti e Lumbar ne approfittò per uccidere i pochi ancora vivi che li avevano osservati passare. Poi cambiò nuovamente sponda per riprendere la caccia. O l’inseguimento.
Aveva appena ucciso un orco quando un tonfo alle sue spalle la fece girare di scatto: Bombur stava rotolando, ancora dentro il suo barile, verso di lei e senza controllo. La ragazza spalancò gli occhi e fece l’unica cosa che le venne in mente: saltò sul barile e proseguì la discesa verso valle tenendosi in equilibrio su di esso mentre rotolava e saltava da una riva all’altra travolgendo ogni orco che trovava sul suo cammino, sotto lo sguardo incredulo dei nani e dello hobbit. Quando, poi, Bombur si schiantò su una parete di roccia, semi-devastando il suo barile, la ragazza lo aiutò a rimettersi in piedi e lo voltò verso il fiume. Lui, dato che riusciva a vedere grazie a un buco all’altezza degli occhi, cominciò a combattere contro gli orchi con due asce che aveva fatto fuoriuscire dal barile assieme alle braccia. Combatteva come se niente fosse, usando il barile come armatura e girando su se stesso, finchè non distrusse totalmente l’oggetto e corse verso il fiume, saltando dentro un altro barile vuoto e lanciando le asce a Dwalin, che le prese al volo mentre la ragazza passava sopra di lui dopo essersi assicurata che Bombur fosse al sicuro e atterrava sull’altra sponda, riprendendo a combattere come se niente fosse.
Legolas li aveva raggiunti ed era saltato in mezzo al fiume, usando le teste dei nani come appoggio per i piedi, per colpire più orchi possibile con le sue frecce; poi era tornato su una sponda, aveva combattuto qualche altro orco e aveva di nuovo utilizzato le teste dei nani, stavolta come passaggio per andare sulla riva opposta.
Lumbar lo vide combattere contro diversi orchi e saltò sul barile di Thorin, tenendosi in bilico sui bordi di legno per non calpestarlo come aveva fatto l’elfo.
«Permetti, tesoro?» domandò al nano, che si affrettò a tenerla per le caviglie per impedirle di cadere nel fiume.
Thorin la osservò con un sopracciglio alzato, non capendo cosa volesse fare, ma lei non lo degnò di uno sguardo, troppo concentrata a rinfoderare la spada e a puntare l’arco contro l’elfo, per poi lanciare una freccia che si conficcò nella testa di un orco che stava per colpirlo alle spalle e ucciderlo.
Quando vide che Legolas aveva ucciso quello con cui era impegnato e si era voltato a guardarli, Lumbar si rimise l’arco a tracolla e gli fece un cenno con la testa, poi si infilò all’interno del barile ritrovandosi il volto serio e velatamente preoccupato di Thorin davanti agli occhi. Gli orchi, infatti, erano stati tutti uccisi, e in ogni caso li avevano distanziati abbastanza, così come gli elfi. Potevano tirare, momentaneamente, un sospiro di sollievo.
Thorin le accarezzò delicato una guancia, toccandola appena, nel punto in cui un orco le aveva procurato un taglio, e Lumbar gli sorrise dolcemente appoggiando completamente il volto sul suo palmo. Stava bene, stavano bene entrambi, e quando quella consapevolezza colpì il nano Lumbar lo vide rilassare le spalle, prima di venire attirata contro di lui, che la strinse in un travolgente abbraccio. Era sporca di sangue suo e degli orchi da capo a piedi, ma non le importava: aspettava quel momento da centoquarantadue anni, e voleva goderselo il più possibile. Ricambiò la stretta, appoggiando la testa nell’incavo del suo collo, respirando il suo odore che sapeva di casa, e si rilassò, consapevole che quell’attimo di quiete non sarebbe durato a lungo. Sapeva che il nano era turbato e aveva delle domande, molte domande, e sapeva che meritava delle risposte che solo lei avrebbe potuto dargli; ma sapeva anche che prima si sarebbe dovuta occupare della ferita del nipote, o il veleno lo avrebbe ucciso. Decise, comunque, di tranquillizzarlo almeno un po’.
«Tutto quello che ho fatto, dal mio sacrificio all’incantesimo al non essermi mostrata dopo, l’ho fatto per te.» gli disse all’orecchio. «Perchè ti amo. E rifarei tutto di nuovo se volesse dire saperti vivo e al sicuro. Anche a costo della mia felicità.» ammise tranquilla, in pace con sè stessa per quella verità.
Lui non rispose, limitandosi a stringerla più forte consapevole di quanto fosse sincera. Riusciva a ricordarla, infatti, ricordava il loro passato. Non tutto, purtroppo, ma abbastanza da riconoscerla e da riconoscere i sentimenti che avevano ripreso a bruciare dentro di lui la prima volta che l’aveva rivista, allora inconsapevole che non si fossero mai davvero spenti. La sua mente aveva dimenticato, certo, ma il suo corpo, chissà come, non aveva mai smesso di ricordarla. E lui si era innamorato di lei senza avere idea di chi fosse, senza sapere che la amava già da due secoli.
Rimasero così, abbracciati, mentre il fiume li portava sempre più a valle insieme ai loro compagni, che avevano assistito alla scena in silenzio, ma felici. Finalmente il loro re aveva qualcuno al suo fianco, e loro avevano ritrovato un membro importante della loro famiglia. Non potevano che gioirne.
A un certo punto, Lumbar si irrigidì nella stretta del nano, preoccupandolo. Ebbe appena il tempo di mormorargli la parola “visione”, tranquillizzandolo solo in parte, prima che la sua mente la catapultasse in un altro luogo.

 
Gandalf era arrivato alle Colline di Rhudaur. Riusciva a vederlo mentre si inerpicava sulle rocce con passo sostenuto, complice la gravità della situazione, dirigendosi verso la tomba nascosta nelle profondità della pietra. Lo stregone salì a fatica i gradini usurati, e in parte distrutti, dal tempo e osservò l’ingresso prima di oltrepassarlo: il pesante cancello di metallo nero era stato divelto e ripiegato verso l’esterno, come se qualcuno, dall’interno, lo avesse sfondato per uscire. Per poco lo stregone non cadde nelle profondità della montagna, quando scivolò lungo il corridoio in discesa subito al di là del cancello; fortunatamente riuscì a non perdere l’equilibrio e a non precipitare. Accese la pietra sul suo bastone, portando un po’ di luce in quella caverna oscura, e osservò davanti a sè: dall’altra parte del baratro, piantato nella roccia, un altro cancello divelto faceva mostra di sè nelle stesse condizioni del primo. Non significava niente di buono, lo sapevano entrambi.
Gandalf percorse, rasente al muro, una stretta passatoia in pietra e si infilò nel passaggio ancora più oscuro del precedente, oltre il secondo cancello. Andò sempre più in profondità nella montagna. Alla fine di uno stretto e corto corridoio, la tomba di solida roccia in cui il re degli Stregoni di Angmar era stato rinchiuso si mostrava al Grigio non più intatta, ma spezzata, con il coperchio divelto e ridotto in pezzi, dal cui interno volò fuori un pipistrello che lo fece spostare di scatto.
Fu in quel momento che entrambi si accorsero di Radagast, arrivato silenziosamente dietro di lui.
«Ah, sei tu.» sospirò il Grigio.
«Perchè sono qui, Gandalf?» domandò, tranquillo, il Bruno mentre faceva appollaiare degli uccellini nel nido sotto il suo cappello.
«Fidati di me, Radagast.
» rispose Gandalf. «Non ti avrei convocato qui senza un buon motivo.»
Radagast si rimise il cappello, nascondendo nido e uccelli, e osservò l’amico. «Questo non è un bel posto per incontrarsi.» commentò.
«No, non lo è.» la sua voce grave mostrava quanto fosse spiacevole quella situazione. E non solo, mostrava tutta la sua preoccupazione, che normalmente lui teneva celata.
«Sono incantesimi oscuri, Gandalf.» commentò Radagast osservando le scritte incise nella pietra sopra il cancello più interno. «Antichi. E pieni di odio. Chi è sepolto qui?»
«Se aveva un nome è da molto tempo che è andato perduto.» rispose Gandalf. «Solo Lumbar, forse, se lo ricorda; ma dubito che lo direbbe mai. Sarebbe stato conosciuto solo come Servo del Male.» spiegò affiancandolo sul baratro e facendo luce verso il basso, mostrando le fila di tombe sotto di loro, tutte con i cancelli scardinati come quelli che avevano passato. «Uno dei tanti.» concluse mentre la sua voce rimbombava attraverso la roccia. «Uno dei Nove.»
I due stregoni uscirono in fretta e in silenzio da quel posto maledetto, e solo quando furono all’esterno Radagast pose la domanda che lo stava tormentando.
«Perchè ora, Gandalf? Non capisco.»
«I Nazgul sono stati convocati a Dol Guldur.» rispose il Grigio.
«Ma non può essere il Negromante.» considerò Radagast. «Uno stregone umano non potrebbe evocare un tale male.» gli fece notare, mentre si allontanavano dalle Colline di Rhudaur.
«Chi ha detto che era umano?» chiese con voce grave Gandalf, fermandosi sotto un albero morto e facendo voltare Radagast terrorizzato. «I Nove rispondono a un solo padrone.» continuò osservando l’orizzonte. «Siamo stati ciechi, Radagast. E nella nostra cecità il Nemico è tornato. Sta convocando i suoi servi.» si voltò verso l’altro stregone. «Azog il Profanatore non è un comune cacciatore, è un comandante. Un comandante di legioni. Il nemico si prepara per la guerra.» Radagast lo osservava senza parole, troppo spaventato per commentare. «Comincerà nell’Est.» continuò Gandalf. «La sua mente è fissata su quella Montagna!» si incamminò a passo svelto, superando l’altro.
«Ma dove vai?» domandò il Bruno.
«A raggiungere gli altri.» rispose senza fermarsi.
«Gandalf.» lo richiamò il Bruno, facendolo voltare.
«Io ho iniziato il tutto. Non posso abbandonarli.» lo rimbeccò. «Sono in grave pericolo. E Lumbar lo sapeva.»
«Se quello che dici è vero, è il mondo ad essere in grave pericolo.» gli fece notare Radagast con la tranquillità che lo caratterizzava. «Il potere in quella fortezza potrà solo aumentare.» Continuò.
«Tu vuoi che metta i miei amici da parte.» mormorò Gandalf. «Vuoi che metta Lumbar da parte.»
«Proprio perchè Lumbar è con loro, so che puoi farlo. La conosciamo abbastanza da sapere che probabilmente sta avendo una visione di noi proprio adesso.» gli fece notare il Bruno.
 

In quel momento la visione sfumò e tornò presente a se stessa. 
I nani, dopo essersi assicurati di aver distanziato gli orchi, stavano tentando di raggiungere la sponda rocciosa del fiume; impresa decisamente più semplice del previsto grazie al fatto che avevano perso la corrente.
Dopo aver mandato una muta richiesta a Galadriel, Lumbar accantonò la visione appena avuta, relegandola nell’angolo della sua mente con su scritto ‘ci penso più tardi’, e aiutò Thorin a far arrivare il loro barile a riva.
Una volta con i piedi ben piantati sulla roccia, anche se bagnata dalla testa ai piedi, si diresse subito verso Kili, che aveva fatto in tempo a muovere qualche passo all’asciutto prima di cadere in ginocchio gemendo di dolore a causa della ferita alla coscia.
«Sto bene, non è niente.» commentò rivolto a Bofur, che lo stava osservando preoccupato, mentre si tamponava il sangue.
«In piedi.» disse Thorin passando loro accanto.
«Kili è ferito. Bisogna fasciargli la gamba.» commentò Fili dopo aver raggiunto il fratello.
Thorin si voltò a osservare i quattro: Lumbar era inginocchiata davanti al ragazzo e studiava la ferita mentre cercava di fermare il sangue, Fili era al fianco del fratello e li osservava preoccupato, come Bofur appostato di fronte ai due e accanto alla ragazza.
«Abbiamo un branco di orchi alle calcagna, continuiamo a muoverci.» ricordò loro.
«Verso dove?» chiese Balin.
«La Montagna.» rispose Bilbo. «Ci siamo quasi.»
«Un lago si trova tra noi e quella Montagna.» gli fece notare l’anziano. «Non c’è modo di attraversarlo.»
«Ci gireremo intorno.» disse, allora, Bilbo.
«Gli orchi ci piomberanno addosso, sicuro come la luce del sole.» commentò Dwalin, positivo come al solito. «Non abbiamo armi per difenderci, a parte Lumbar. Ma lei non può proteggerci tutti.»
La ragazza non disse niente, nonostante le occhiate che le stavano lanciando, troppo presa a cercare di guarire la gamba di Kili; o, per lo meno, cercava di alleviargli il dolore come aveva fatto prima.
«Fasciategli la gamba, presto.» disse Thorin, impaziente, passando nuovamente accanto ai quattro. «Avete due minuti.»
«Non basteranno.» mormorò Lumbar attirando la loro attenzione.
«Che intendi?» domandò Thorin avvicinandosi.
«Lumbar…» protestò debolmente Kili, ma lei lo zittì con lo sguardo.
«È una ferita grave, anche se non sembra. Fasciarla non basterà. Devo prima tentare di guarirla, o anche solo migliorarla fermando la fuoriuscita di sangue.»
«Cerca di fare in fretta.» acconsentì lanciandole uno sguardo preoccupato. Per quanta fretta avesse, non voleva perdere uno dei suoi nipoti.
 

 
****
 

Dopo una decina di minuti, spesa nel più completo silenzio, Lumbar era riuscita a rallentare l’emorragia quanto bastava per poter fasciare la gamba di Kili; anche se non aveva potuto assorbire tutto il veleno che aveva nel corpo, era riuscita comunque a rallentarlo, dandogli così più tempo in modo che riuscissero a trovare ciò che le serviva per curarlo più facilmente. Non aveva detto a nessuno del veleno, Kili non voleva che lo sapesse nemmeno il fratello.
Stava avvolgendo la benda attorno alla coscia quando un movimento attirò la sua attenzione, ma continuò imperterrita nel suo lavoro affiancata da Fili.
Un’ ombra si stagliò vicino a loro, facendo voltare chi le dava la schiena. Un uomo dai capelli scuri lunghi fino alle spalle imbracciava un arco, puntando una freccia contro Ori. Dwalin si mise tra i due impugnando minaccioso un bastone contro di lui che, di rimando, gli scagliò la freccia contro incastrandola nel legno tra le sue mani. Poi l’uomo si volse verso Kili che, contrariando la ragazza, si era alzato con una pietra nella mano destra pronta a lanciargliela addosso. L’estraneo scagliò una seconda freccia nella sua direzione, colpendo la pietra e dimostrando di avere un’ottima mira, poi ne incoccò una terza.
«Fatelo di nuovo…» disse tenendo tutti sotto tiro. «…e siete morti.»
Balin fece qualche passo avanti, lentamente, attirando la sua attenzione e quella della sua freccia, che si ritrovò puntata contro. Aveva, furbamente, alzato le mani come a mostrare di non avere cattive intenzioni.
«Eh, scusami ma… sei di Pontelagolungo se non vado errato.» commentò rallentando il passo. «Quella… quella tua chiatta… ehm… non sarebbe possibile noleggiarla, per caso?»
L’arciere abbassò l’arco e i nani si rilassarono. Lumbar si era rimessa il cappuccio, durante il piccolo diverbio, e nessuno ci aveva fatto caso più di tanto, nemmeno l’arciere che non l’aveva neanche notata. La ragazza costrinse Kili a sedersi di nuovo, poi finì di avvolgergli la benda attorno alla gamba e si raccomandò di non sforzarla, nè di sforzarsi in generale o avrebbe fatto circolare più velocemente il veleno nel suo sangue, diminuendo il tempo a loro disposizione.
Nel frattempo i nani e lo hobbit avevano seguito l’umano verso un pontile e la chiatta che aveva visto Balin. I due li raggiunsero in fretta per non perdersi niente.
«Cosa ti fa pensare che vi aiuterò?» domandò l’arciere caricando i barili con cui erano scesi lungo il fiume.
«Quegli stivali hanno visto giorni migliori.» notò Balin, continuando la trattativa che aveva avviato. «Come quel cappotto. Ah! No, sospetto che tu abbia delle bocche da sfamare, eh… quanti bambini?»
L’arciere si fermò prima di caricare sulla chiatta l’ennesimo barile e si voltò a guardarlo. «Un maschio e due femmine.» rispose  prima di riprendere a fare il suo lavoro.
«E tua moglie immagino che sia una bellezza.» continuò il nano.
L’uomo lasciò il barile accanto agli altri sulla chiatta, ma non si voltò.
«Che tatto, Balin. Complimenti.» commentò piano Lumbar, facendosi sentire solo dai nani.
Il sorriso che il vecchio nano aveva sul volto si affievolì fino a scomparire del tutto, quando l’arciere confermò quello che aveva implicitamente fatto intuire lei.
«Sì.”», infatti, l’uomo senza voltarsi, con il dolore intriso nella voce. «Lo era.»
«Mi dispiace, non intendevo…» cominciò il vecchio nano osservando l’espressione dell’arciere.
«Ah, avanti basta. Bando alle ciance.» si lamentò Dwalin.
«Perchè tanta fretta?» domandò l’uomo, insospettito.
«Perchè ti interessa?» ribattè il nano.
«Ah, vorrei sapere chi siete.» rispose l’arciere scendendo dalla chiatta e fermandosi davanti a Balin. «E che cosa ci fate in queste terre.»
«Siamo dei semplici mercanti delle Montagne Blu.» li giustificò il nano. «In viaggio per vedere i nostri parenti sui Colli Ferrosi.»
L’uomo alzò un sopracciglio, scettico. «Semplici mercanti? Tu dici?» caricò un altro barile.
«Ci occorrono cibo, provviste, armi.» intervenne Thorin. «Puoi aiutarci?»
L’uomo lo osservò un attimo, prima di poggiare la mano sul bordo dell’ultimo barile che aveva caricato.
«Lei mi sembra ben armata.» commentò indicando Lumbar. Non l’aveva vista in volto, ma il vestiario che portava non nascondeva il suo essere una donna, inoltre le sue armi erano in bella vista. Alcune. L’uomo prese un respiro profondo e impedì loro di ribattere. «So da dove sono arrivati questi barili.» gli disse.
«Perciò?» chiese Thorin lanciando uno sguardo a Lumbar.
«Non so che affari avevate con gli elfi, ma non credi sia finita bene.» commentò in risposta l’uomo osservandolo. «Si entra a Pontelagolungo solo con il permesso del governatore.» continuò cominciando a slegare la cima di ormeggio. «Tutte le sue ricchezze vengono dagli scambi col Reame Boscoso. Ti metterebbe ai ferri prima di rischiare l’ira di Re Thranduil.» spiegò loro lanciando la cima addosso a Balin.
«Offrigli di più.» bisbigliò Thorin a Balin, che lo osservava in cerca di un consiglio su cosa fare.
«Scommetto che ci sono altri modi per entrare non visti.» ribattè allora il vecchio nano all’uomo.
«Certo.» rispose lui appoggiando arco e faretra sulla chiatta. «Ma per quello vi ci vorrebbe un contrabbandiere.» concluse cominciando ad armeggiare con la seconda cima.
«Per il quale pagheremmo il doppio.» commentò Balin che l’aveva affiancato dal molo.
L’uomo si raddrizzò, osservandolo attentamente, poi fece lo stesso con i compagni. In quel momento Lumbar si irrigidì e i nani lo notarono subito.
«Cosa c’è?» le chiese Thorin attirando l’attenzione dell’uomo su loro due.
«Dobbiamo andare. Adesso.» rispose lei, con l’attenzione rivolta a ciò che sentivano le sue orecchie: gli orchi, infatti, si avvicinavano sempre di più; non ci avrebbero messo molto a raggiungerli.
«Tu…» mormorò confuso l’arciere spostando nuovamente l’attenzione su di sè. «La tua voce…»
Lumbar avanzò, sotto lo sguardo confuso dell’uomo, e quello ancora più confuso dei nani e dello hobbit, e si tolse il cappuccio mostrando il suo volto all’arciere.
«Sì.» confermò mesta. «È da un po’ che non ci vediamo.»
Gli occhi dell’uomo si sgranarono dalla sorpresa. Che ci faceva lei lì? Aveva detto che non sarebbe tornata, o che sarebbero passato molti anni. Credeva sarebbe stata via parecchio più tempo e, invece, se la ritrovava lì dopo nemmeno un decennio. Non capiva cosa le avesse fatto cambiare idea.
«Dopo le domande.» lo anticipò lei. «Ti spiego più tardi.» si rivolse ai nani. «E a voi spiegherò come lo conosco. Ma ora non abbiamo tempo.»
A quel punto l’arciere annuì e li fece accomodare sulla chiatta, slegando poi l’ultimo ormeggio e partendo verso Pontelagolungo.

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Capitolo 11
*** 9. Un'accoglienza calorosa ***






9. Un'accoglienza calorosa
 
Stava calando la sera, mentre la chiatta si faceva largo attraverso le placide acque del lago; a bordo il silenzio governava ogni angolo. L’umano guidava con maestria in mezzo ai piccoli blocchi di ghiaccio che galleggiavano sulla superficie dell’acqua, mentre i nani e lo hobbit osservavano il paesaggio ricoperto di nebbia, a causa della quale non riuscivano a scorgere niente più che un paio di metri d’acqua. Lumbar sostava a prua, lo sguardo fisso davanti a sè ma la mente persa in ricordi lontani. Da quando erano partiti non aveva ancora dato spiegazioni, piombambo in quel mutismo perso che spesso la coglieva, e nessuno aveva avuto il coraggio di porgerle alcuna domanda.
«Attenzione!» esclamò a un certo punto Bofur, aggrappandosi a una cima, quando delle enormi rocce apparvero attraverso la nebbia che li circondava. Erano rovine.
«Che stai cercando di fare? Affogarci?» domandò Thorin all’uomo.
«Sono nato e cresciuto in queste acque, mastro nano.» rispose lui continuando a governare la barca attraverso le rovine. «Se volessi affogarvi, non lo farei qui.» concluse con una sincerità disarmante.
«E basta con questo sfrontato uomo di lago.» si lagnò nuovamente Dwalin. «Gettiamolo dalla barca e facciamola finita.»
«Bard. Il suo nome è Bard.» lo corresse Bilbo, scocciato.
«Come lo sai» chiese Bofur, curioso.
«Ah… gliel’ho chiesto.» rispose semplicemente lo hobbit.
«Non mi interessa come si chiama. Quello non mi piace.» continuò imperterrito Dwalin.
«Non ci deve piacere per forza.» gli fece notare il fratello mentre contava le monete che avrebbero dato all’uomo come compenso. «Dobbiamo soltanto pagarlo. Su, forza ragazzi. Svuotate le tasche.»
«Come sappiamo che non ci tradirà?» domandò Dwalin a Thorin mentre gli altri tiravano fuori il denaro.
«Non lo sappiamo.» rispose Thorin.
«C’è solo un piccolo problema.» li bloccò Balin. «Ci mancano dieci monete.»
Thorin incrociò le braccia. «Gloin.» disse posando lo sguardo su di lui. «Avanti. Dacci quello che hai.»
«Non guardate me.» protestò il rosso, di rimando. «Io sono stato dissanguato da quest’avventura. Che ho ottenuto dal mio investimento?» continuò mentre gli altri nani si alzavano e osservavano incantati a prua, oltre Lumbar. «Nient’altro che miseria e dolore e…» si bloccò e seguì lo sguardo dei compagni. «Per la mia barba!» tirò fuori un sacchettino con delle monete e lo passò a Balin. «Prendi. Prendi tutto quanto.» disse commosso dalla vista della Montagna che era spuntata attraverso la nebbia, così vicina.
«Mancano ancora tre monete.» disse Balin dopo averle contate.
Lumbar mise una mano in uno dei sacchetti appesi alla cintura e tirò fuori le tre monete mancanti, che porse al nano senza distogliere lo sguardo da davanti a sè. Gli altri la osservarono senza parole: non si aspettavano che pagasse anche lei, ma accettarono le monete in silenzio.
In quel momento Bilbo si schiarì la voce, facendo notare ai nani che Bard si stava avvicinando a loro.
«Il denaro, presto, datemelo.» disse risoluto.
«Ti pagheremo quando avremo le nostre provviste, non prima.» rispose Thorin.
«Se apprezzate la libertà farete come vi dico.» ribattè l’uomo.
«Ci sono guardie più avanti.» Lumbar attirò la loro attenzione davanti a sè dove, attraverso la nebbia, si poteva intravedere Pontelagolungo. Questo li convinse a fare come gli era stato detto, mentre Lumbar si rimetteva il cappuccio.
Bard fece rientrare i nani dentro i barili e lasciò Lumbar fuori, dopotutto l’avevano già vista in città anni prima quindi non si sarebbero preoccupati di lei, e attraccò al molo dei pescatori poco fuori Pontelagolungo.
«Aspetta qui.» le disse.
Lumbar sapeva cosa volesse fare l’arciere, così annuì e rimase in attesa, osservandolo scendere dalla chiatta e andare a parlare con un pescatore.
“Sh. Che sta facendo?» domandò a un certo punto Dwalin, infastidito, zittendo i bisbigli dei compagni.
«Parla con qualcuno.» rispose Bilbo prima di lei, probabilmente spiando attraverso un buco del suo barile.
«E che succede?» chiese un altro nano.
«Sta… puntando il dito verso di noi.» concluse lo hobbit, agitandosi.
Effettivamente era ciò che Bard stava facendo in quel momento, ma non per quello che stavano sicuramente pensando i nani. Lei salutò il pescatore con un cenno della mano e i due si scambiarono qualche altra parola.
«Ora si stringono la mano.» riprese a dire Bilbo, osservando i due uomini.
«Cosa?» bisbigliò Thorin.
«Che canaglia.» commentò Dwalin. «Ci ha belli che traditi.»
«Zitti e fermi.» li riprese Lumbar perfettamente calma. «E smettetela con queste paranoie. Lui non è il tipo che tradisce. E se fa un patto lo rispetta, non si rimangia mai la parola.»
«Tu come lo sai?» le chiese Thorin con uno strano tono.
«Lo conosco.» rispose semplicemente lei. «Ora zitti.» ripetè bloccando sul nascere altre domande da parte del nano.
Osservò con un malcelato sorriso i barili venire riempiti di pesce, sommergendo e nascondendo i nani e lo hobbit allo stesso tempo. Bard tornò a bordo e ripresero il viaggio, con i nani che facevano versi disgustati e Lumbar che alzava, di riflesso, gli occhi al cielo.
A un certo punto Bard diede un calcio a un barile.
«Silenzio.» bisbigliò zittendoli. Erano arrivati ai cancelli della città. «Siamo alla barriera per il pedaggio.»
Lumbar nascose l’arco e la faretra in modo che non li vedessero, facendo lo stesso con la spada che portava al fianco. I pugnali erano già nascosti negli stivali, quindi non se ne preoccupò.
Pontelagolungo si mostrava, ora, per ciò che era, senza la nebbia a mascherarla: un agglomerato di case di legno costruite su enormi palafitte, all’interno del lago, con ponticelli e pontili a collegare le varie piattaforme di legno. C’erano addirittura delle piazze, anche se poche e decisamente più piccole di quanto sembrasse.
Percorsero qualche altro metro sull’acqua, avvicinandosi al cancello, quando una voce li fece fermare. «Alt. Ispezione merci.» un uomo prese una lanterna e si fece avanti dal pontile. «Documenti per favore.» l’arciere fermò la chiatta accanto a lui. «Ah, sei tu Bard.» commentò quando lo riconobbe.
«Giorno Percy.» rispose lui.
«Niente da dichiarare?» domandò il guardiolo.
«Niente.» confermò Bard avvicinandosi all’uomo. «Se non che sono intirizzito e stanco. E ho voglia di casa.» aggiunse porgendogli i documenti.
«Io uguale a te.» commentò Percy rientrando nel suo gabbiotto per controllare e timbrare i documenti. «Ecco fatto.» disse porgendogli il foglio. «Tutto in ordine.»
«Non così in fretta.» si intromise un uomo vestito di nero e dall’aspetto viscido, prendendo il permesso. «Consegna di barili vuoti dal Reame Boscoso.» Bard lanciò un’occhiata a Lumbar. «Solo che...» continuò l’uomo avanzando. «…non sono vuoti.» disse facendo cadere il foglio alle sue spalle. «Non è vero, Bard?» domandò retorico. «Se mi rammento bene tu hai la licenza di chiattaiolo, non di pescatore.» concluse fermandosi a una spanna da lui.
«Non sono affari tuoi.» rispose Bard.
«Sbagliato.» disse il viscido. «Sono affari del Governatore, pertanto sono affari miei.» concluse.
«Oh, avanti Alfrid, abbi cuore. La gente deve mangiare.» protestò Bard.
«Questo pesce è illegale.» concluse Alfrid tornando sul molo. «Svuotate i barili fuori dalla barca.» ordinò ai soldati che si era portato dietro.
«Avete sentito? Nel canale.» disse il capo delle guardie di Pontelagolungo. «Forza. Sbrigatevi.» continuò mentre quattro soldati salivano sulla chiatta e si avvicinavano ai barili.
«La gente di questa città fa fatica. I tempi sono duri.» riprese Bard lanciando a Lumbar un’occhiata più preoccupata della precedente. «Il cibo scarseggia.»
«Non è un problema mio.» commentò piatto e insensibile Alfrid.
A quel punto Lumbar si fece avanti, attirando l’attenzione degli uomini. «Ma quando la gente sentirà che il Governatore ributta i pesci nel lago…» disse. «…quando inizierà la rivolta…» continuò facendo paura ad Alfrid. «…sarà un problema tuo allora.»
Alfrid spalancò gli occhi. «Fermi!» disse dopo qualche secondo di riflessione, fulminandola con lo sguardo e bloccando i soldati che avevano cominciato a svuotare alcuni barili.
I soldati rimisero i barili a posto e  scesero dalla chiatta.
«Sempre il campione del popolo eh, Bard?» riprese mellifluo Alfrid. «Il protettore della gente comune. Avrai anche il loro favore come chiattaiolo ma non durerà.» poi si rivolse a Lumbar. «E tu chi saresti per metterti in mezzo agli affari del Governatore?» domandò sgarbato, come suo solito.
Lei sorrise da sotto il cappuccio. «Lumbar.» Alfrid impallidì. «E dubito che Bard perderà il favore del popolo. Mi ricordo di te, sai? Anche se allora non eri nella posizione in cui sei adesso e mendicavi per un po’ di cibo.» gli rammentò facendolo diventare ancora più bianco. “Ricorderai, spero, che è mia abitudine portare cibo quando vengo a fare una visita.» lui osservò il pesce, poi annuì. «Allora non ci sono problemi.» concluse facendogli cenno di andarsene.
Lumbar, infatti, ogni volta che passava da Pontelagolungo, sapendo le condizioni in cui viveva la gente, si premurava di procurare loro del cibo in più; era un modo per aiutarli a sopravvivere, e le dispiaceva non poter contribuire in maggior misura.
Bard, al suo fianco, sospirò mentre Alfrid passava accanto a Percy.
«Alza la chiusa!» ordinò il guardiolo con un sorriso in volto. «È un piacere rivederla, milady.» la salutò.
Lei gli sorrise apertamente, tanto che si notò nonostante il cappuccio. «Sempre troppo gentile, Percy.» commentò mentre Bard faceva avanzare lentamente la chiatta.
«Il Governatore ti tiene sott’occhio.» disse Alfrid minacciando Bard, dopo essere tornato indietro di qualche passo. «Farai bene a ricordartelo. Noi sappiamo dove vivi.»
Lumbar e Bard si scambiarono uno sguardo. «È una piccola città, Alfrid. Tutti sanno dove vivono tutti.» chiuse la conversazione l’arciere mentre passavano sotto il cancello.
 

 
****

 
Mentre il sole sorgeva sulla città, e il popolo si svegliava, serpeggiarono attraverso i canali e attraccarono la chiatta a una banchina isolata e quasi completamente deserta. Si assicurarono di non essere osservati e Bard ribaltò un barile sulla chiatta, spargendo il pesce sul ponte e facendo uscire un Oin tossente.
Lumbar si limitò a dare qualche colpetto sul barile di Thorin e, nello stesso istante in cui Bard stava per rovesciare il secondo, la testa di Dwalin spuntò in mezzo al pesce.
«Non t’azzardare a toccarmi.» disse contrariato da quella situazione mentre si liberava, seguito dagli altri nani e dallo hobbit.
Un uomo li stava osservando, confuso e Bard gli diede una moneta mentre la ragazza si assicurava che i nani e Bilbo stessero tutti bene. «Tu non li hai visti, non sono mai stati qui.»
«Il pesce puoi averlo gratis.» aggiunse Lumbar mentre i nani scendevano dalla chiatta.
L’uomo annuì e i due si diressero verso gli altri, che li aspettavano dietro a una casa. Bard li superò a passo spedito, lanciandole un’occhiata: sapevano entrambi, infatti, che Alfrid non avrebbe lasciato perdere facilmente e avrebbe cercato di infastidirlo, quindi dovevano stare ancora più attenti.
«Statemi vicino.» si raccomandò, superandoli e immettendosi nel via vai di persone mattutino tipico di quella città. «Seguitemi.»
«Cos’è questo posto?» domandò Bilbo da dietro l’angolo della casa mentre Lumbar, Thorin e Dwalin gli passavano accanto.
«Questo, mastro Baggins, è il mondo degli uomini.» rispose Thorin seguendo Bard.
«E neanche il più sfarzoso.» aggiunse Lumbar andandogli dietro, il resto della compagnia subito dopo di loro, pensando a Rohan, a Gondor, o anche solo all’antica città di Dale prima che venisse distrutta da Smaug. Pontelagolungo non era niente in confronto alla bellezza della vecchia città degli uomini.
«Testa bassa e muovetevi.» aggiunse Bard, riprendendo le sue raccomandazioni. «Fate presto.»
Li stava facendo passare davanti a lui, assicurandosi che nessuno rimanesse indietro, quando una guardia li vide da poco lontano.
«Alt!» urlò facendoli bloccare sul posto. «Ehi!»
«Forza, muoviamoci.» li spronò Thorin a bassa voce.
«In nome del Governatore, vi ho detto “Alt!”.» continuò a urlare il soldato, cominciando ad avvicinarsi e attirando altre guardie.
I nani e lo hobbit si infilarono in mezzo al mercato, mentre Bard cercava di capire cosa stesse succedendo. Lumbar osservava, in attesa del momento giusto per intervenire, se fosse stato necessario.
«Alt!» continuava a urlare il soldato. «Fermatevi!»
I nani, ovviamente, non lo ascoltarono, e proseguirono la loro fuga attraverso le bancarelle, finendo in una stradina; dall’altra parte, però, apparve un altro soldato.
«Voi!» gridò loro contro.
Nello stesso istante Thorin frenò la sua corsa, facendo frenare addosso a lui anche gli altri.
«Indietro!» ordinò ai suoi compagni.
«Venite qua!» urlò loro il soldato.
Sopraggiunse la prima guardia, alle loro spalle, che venne messa fuori gioco da Ori: il ragazzo gli diede uno spazzolone per pulire i pavimenti in faccia, facendolo cadere su Gloin che, accovacciato per terra, gli fece perdere l’equilibrio. Il secondo soldato, invece, venne fatto sbattere, grazie a uno sgambetto, su un palo con la testa, mentre Bard sopraggiungeva, e venne colpito da Balin ai gioielli di famiglia con un bastone e da Thorin in testa, facendolo svenire. Una terza guardia fu stesa da Fili e Kili che, mentre correva, la fecero inciampare in una corda che tenevano tesa a pochi centimetri da terra, facendola poi svenire con una padellata in testa.
La gente li osservava sorpresa, ma silenziosa, e tornò alle proprie faccende appena nella piazza apparve il capo delle guardie seguito da un manipolo di soldati.
«Che succede qui?» domandò burbero. «Rimanete dove siete. Nessuno se ne va.» ordinò.
Lumbar fece un gesto ai nani per farli stare in silenzio e nascosti, poi si mise accanto a Bard, al riparo da una colonna di legno di una casa.
Il capo delle guardie cominciò a camminare in giro per il mercato, guardandosi intorno nel silenzio generale, quando Bard e Lumbar gli si avvicinarono.
«Braga!» lo salutò Bard. «Sauri.» aggiunse riferito al secondo.
«Tu…» disse Braga studiandolo attentamente. «Che combini, Bard?»
L’arciere lo guardò con un’espressione innocente. «Io? Niente. Non faccio niente.» disse mentre una ragazza faceva cadere volontariamente, e discretamente, un vaso di fiori dalla sua bancarella, colpendo in testa una guardia che si stava svegliando. Purtroppo il suono aveva messo in allarme Braga.
«Già…» disse, infatti, superandolo con una spallata.
Quando, però, arrivò nella zona della bancarella non trovò niente: la ragazza e la sua vicina avevano coperto le guardie svenute, in modo che i soldati non le vedessero.
«Ehi Braga.» lo chiamò Bard mostrandogli una specie di veste da notte bianca e indecente. «A tua moglie starebbe benissimo.» disse disinvolto.
Braga fece qualche passo in avanti. «Che ne sai tu di mia moglie?»
Bard lasciò cadere una parte della veste, tenendola con una sola mano, e lo osservò con quella finta faccia da innocente e Lumbar, accanto a lui e poggiata a una trave, dovette trattenere le risa.
«La conosco bene, come gli altri uomini di qui.» continuò la recita Bard fingendo naturalezza e ingenuità.
Braga gli strappò la veste e la sbattè sulla bancarella, lo sguardo infuriato dopo aver capito a cosa si riferisse, e passò loro accanto senza dire una parola, andandosene seguito dai suoi uomini. Bard sospirò di sollievo e Lumbar non riuscì più a trattenere le risate. L’uomo si voltò a guardarla confuso, mentre la sua risata cristallina riempiva l’aria intorno a loro.
«Era da tanto che non ti vedevo usare quel faccino.» spiegò lei cercando di riprendersi. «Anni proprio. Hai ancora la stessa lingua lunga di quando eri solo un ragazzino.» concluse sorridendo.
Lui ricambiò il sorriso, poi entrambi tornarono seri e fecero cenno ai nani di seguirli in fretta. Si incamminarono attraverso case e stradine poco trafficate, fino a quando un ragazzino non venne loro incontro.
«Pà!» esclamò fermandosi davanti a loro. Era preoccupato. «La nostra casa è sorvegliata.»
Thorin si fermò accanto a Lumbar, preso in contropiede da quella notizia. La ragazza e Bard si osservarono, cercando una soluzione al problema, quando a lei venne un’illuminazione.
«Io avrei un’idea…» mormorò. «E non vi piacerà per niente.» ammise, rivolta ai nani e guardando solo Thorin che la incoraggiava a parlare. «Ma credo sia l’unica possibilità che abbiamo.» concluse.
«Perchè dici che non ci piacerà?» chiese Dwalin, guardingo.
Lei sospirò. «Perchè è decisamente peggio del pesce.»
«Ma certo!» esclamò Bard facendoli voltare. «Sei un genio. Nessuno li vedrebbe entrare da lì.»
«Perchè nessuno penserebbe mai a una cosa del genere.» gli fece notare lei. «Mi fa schifo anche solo averla pensata.»
«Se pensi che sia l’unico modo, io ti credo.» le disse Thorin prendendole la mano, come a infonderle la forza di rivelare loro il suo piano.
«Thorin…» lei non sapeva come dirlo. «È veramente disgustoso, come piano. Non so se sia una buona idea…»
«Avanti.» intervenne Dwalin. «Sputa il rospo.»
E lei lo fece.
Tra borbottii schifati, lamenti infastiditi e le sue continue scuse, misero in atto ciò che la ragazza aveva pensato: farli passare dalle acque di scarico ed entrare in casa dal gabinetto. Come aveva detto lei, era un piano disgustoso. E come aveva detto Bard, era geniale.
L’uomo, il ragazzo e Lumbar non ebbero bisogno di quello stratagemma: i primi due vivevano lì e della terza tutti sapevano la presenza, quindi non sarebbe stato strano vederla entrare in casa loro.
Dopo aver lasciato i nani nel punto nascosto da cui sarebbero giunti all’abitazione di Bard i tre si diressero, tranquilli e in silenzio, a casa dei due uomini. Si fermarono per prendere qualcosa da mangiare da una bancarella, giusto per fare scena, e ripresero a camminare. Salite le scale Bain, il ragazzo, aprì la porta ed entrò, mentre Lumbar faceva un cenno a Bard indicandogli due uomini che pescavano su una barca sotto di loro. Bard prese una mela dalla borsa che aveva in mano e lei fischiò, attirando l’attenzione di uno dei due uomini.
«Dì al Governatore che per oggi ho finito.» gli disse Bard lanciandogli la mela, poi entrambi entrarono in casa.
«Pà!» una bella bambina di una decina d’anni gli corse incontro per abbracciarlo. «Dove sei stato?»
«Padre! Eccoti qua. Ero preoccupata.» una ragazza di circa quindici anni fece lo stesso.
Lui ricambiò l’abbraccio di entrambe, poi passò alla grande la borsa e guardò fuori dalla finestra.
«Bain, falli entrare.» disse al figlio, che si mosse per eseguire.
Dopo qualche secondo i nani salirono le scale che dal gabinetto portavano alla cucina e al resto della casa.
«Perchè i nani escono dal nostro gabinetto?» chiese la ragazza.
«Ci porteranno fortuna?» domandò la piccola, con innocenza.
«Temo che sia colpa mia, Sigrid.» rispose Lumbar, facendole voltare di scatto. «Ho chiesto aiuto a tuo padre.»
Quando la riconobbe, la maggiore sgranò gli occhi. «Lumbar? Sei davvero tu?» mormorò incredula.
«Sei diventata una ragazza bellissima.» rispose lei, facendo venire gli occhi lucidi alla giovane.
Sigrid corse ad abbracciarla, non la vedeva da anni. Lumbar ricambiò osservando Bain da sopra la spalla dell’altra e che, nel frattempo, le aveva raggiunte insieme ai nani e allo hobbit.
«Ciao Bain, scusa se non ti ho salutato prima.» gli disse. «È davvero bello rivederti.»
«Non preoccuparti.» rispose lui. «Stai bene? Non ti vediamo da tanto.»
Lei annuì.
«Scusa, ma tu chi sei?» domandò la piccola Tilda, innocentemente, osservandola.
Lumbar ricambiò lo sguardo, tranquilla, dopo aver sciolto l’abbraccio con Sigrid. «Una vecchia amica di tuo padre e dei tuoi fratelli. Quando ci siamo conosciute eri molto piccola, quindi è normale che non ti ricordi di me.»
«Sei quella che ha provato ad aiutare la mamma, vero?» domandò la piccola prendendola in contropiede e facendo calare il gelo nella stanza.
Tilda era davvero sveglia, per la sua età. Anche perchè nessuno le aveva mai detto chi fosse la donna che li aveva aiutati quando la madre era morta.
«Tilda!» la richiamò il padre.
Lo sguardo di Lumbar si adombrò, ma fece comunque un gesto con la mano per tranquillizzarlo. Stavano ancora entrambi male, per ciò che le era successo, ma non potevano prendersela con la bambina.
I nani non le toglievano gli occhi di dosso, ancora più curiosi di scoprire cosa la legasse a quegli umani e le dinamiche del loro rapporto.
«Sì, piccola.» rispose alla fine Lumbar, abbassandosi al livello di Tilda. «Era mia amica, certo che ho provato ad aiutarla. Mi dispiace di non aver potuto fare niente per fartela conoscere.»
Tilda scosse il capo. «Non importa.» disse. «Io ho il mio papà. E Sigrid. E Bain. Parlano spesso della mamma, ed è come se anche lei fosse qui.»
Lumbar le accarezzò una guancia con la punta delle dita. «Tu le assomigli molto, aveva la tua stessa dolcezza. Devi esserne fiera.»
La piccola annuì, poi lei volse lo sguardo verso i suoi compagni e scoppiò a ridere: erano bagnati dalla testa ai piedi, ricoperti di acqua sporca e liquami puzzolenti.
«Non una parola.» ringhiò Dwalin in risposta alla sua reazione.
Lei sollevò le mani in segno di resa poi si rivolse a Bard, alzandosi in piedi. «Hai qualcosa di asciutto da far loro indossare?»
L’arciere annuì e si defilò dalla stanza insieme alle sue figlie. Tornarono con dei vestiti asciutti e delle coperte che distribuirono ai nani che, nel frattempo, cercavano di scaldarsi con il calore del fuoco nel camino o come potevano.
Thorin guardava fuori da una finestra, solo, e Lumbar gli si avvicinò senza dire una parola. Sembrava perso in dei ricordi. Lei si fermò alle sue spalle, nemmeno sicura che lui si fosse accorto della sua presenza, e cominciò a pettinargli delicatamente i capelli bagnati con le dita, rispettando il suo silenzio.
Fu lui a romperlo, dopo qualche minuto.
«Ricordo quando ero io a farlo a te.» le disse, sorprendendola. «Ricordo quanto mi piaceva.»
Lei sospirò, continuando a far passare le mani tra le ciocche scure dei suoi capelli. «Cos’altro ricordi?» mormorò, quasi impaurita dalla sua risposta.
Sapere che lui ricordava le faceva sentire una speranza persa da tempo. Le faceva vedere una luce in mezzo a quell’oscurità in cui viveva da quando lo aveva lasciato andare. E allo stesso tempo le faceva aumentare la paura che fosse solo un’illusione e che il suo incantesimo non si sarebbe mai spezzato.
Lui non si voltò, ma si fece più vicino alla ragazza ritrovando quel calore familiare che, nonostante l’incantesimo, non aveva mai davvero dimenticato.
«Ricordo la prima volta in cui vidi il tuo sorriso. Ero solo un bambino, all’epoca, e avevo fatto uno scherzo a mio fratello facendo arrabbiare mio padre. Sosteneva che non mi stessi comportando come un bravo principe, ma tu sorridesti e scuotesti la testa; dicesti che mi stavo comportando come ogni bambino dovrebbe fare e che facevo bene, perchè per essere un bravo principe avevo tempo. Già allora quel sorriso era la cosa più bella che avessi mai visto.» si zittì per qualche secondo, poi riprese. «Ricordo le tue lezioni, e la tua intransigenza quando insegnavi, così come la solarità che ti caratterizzava anche in quei momenti. Ricordo la tua amicizia con mio padre e con mio nonno. Ricordo come il popolo ti amasse nonostante tu non fossi una nana. Ricordo quando mi sono reso conto di amarti e sono andato da Dwalin per sapere come comportarmi, perchè tu sembravi disinteressata e io non riuscivo a ignorare quello che sentivo. E ricordo quando ho cominciato a corteggiarti, nonostante tu non lo vedessi.» sospirò. «Ricordo la nostra prima litigata, quando ci siamo urlati contro di amarci e poi ci siamo abbracciati dopo esserci ignorati per settimane. E ricordo il nostro primo bacio durante la caccia nel bosco, dopo che eri rimasta ferita. Ricordo la nostra radura.» la mano di lei tremò, in mezzo ai suoi capelli. “Ricordo i nostri bagni al chiaro di luna, di nascosto da tutti. E ricordo le nostre chiacchierate, in ogni momento della giornata, su qualunque argomento volessimo. Ricordo molte cose, ma non ricordo l’attacco di Smaug... nè la tua morte.» concluse con un sospiro sconfortato.
Per quanto avesse ricordato, infatti, il non sapere come fossero andate veramente le cose quei giorni gli dava fastidio. E il fatto che Balin ci riuscisse, invece, lo irritava più di quanto volesse ammettere. Gli lasciava una strana sensazione nel petto che non riusciva a scacciare. Era come se sapesse che fosse successo qualcosa di importante che doveva assolutamente ricordare. A ogni costo.
Lumbar smise di accarezzargli i capelli e lui voltò la testa per osservarla. Aveva gli occhi lucidi. Contro tutto quello che pensava, lui aveva cominciato a ricordare davvero, non era un’illusione, e lei non poteva che esserne grata e felice. E non le importava che non ricordasse cosa fosse successo il giorno in cui arrivò Smaug. Non le importava dover mantenere ancora quel segreto, rimasto in sospeso tanto a lungo. E non era sicura di volere che lui ricordasse il momento in cui era morta e gli aveva fatto dimenticare di loro. Non voleva che provasse ancora quelle emozioni devastanti. Così si limitò ad avvolgergli le braccia attorno alle spalle, finendo con le mani sul suo petto che lui strinse tra le sue.
Lei gli diede un bacio sulla tempia. «Ricordi già tanto, Thorin.» mormorò con le labbra sulla sua pelle, mentre una lacrima le scivolava sulla guancia. «Ricordi molto più di quanto io abbia mai sperato. E non potrei che esserne felice.»
Lui rimarcò la stretta sulle sue mani e voltò nuovamente la testa verso la finestra, mentre lei appoggiò la sua su quella del nano. Si godettero quel momento di serenità e nostalgia in silenzio, pregando che durasse il più a lungo possibile.
Purtroppo, qualcosa all’esterno attirò lo sguardo del nano, che si sporse verso il vetro leggermente aperto per vedere meglio.
«Una lancia del vento nanica.» sussurrò incredulo rompendo la loro piccola e fragile bolla.
Lumbar seguì il suo sguardo e annuì.
«Sembri uno che ha visto un fantasma.» disse Bilbo attirando la loro attenzione.
Lo hobbit, infatti, si era avvicinato a loro senza che se ne accorgessero, e ora li osservava tenendo in mano una tazza fumante.
«È così.» confermò Balin, affiancandolo. «L’ultima volta che abbiamo visto una tale arma una città andava a fuoco. Fu il giorno in cui arrivò il drago.» Lumbar strinse, senza accorgersene, la presa su Thorin. «Il giorno in cui Smaug distrusse Dale, Girion, il Signore della città, radunò i suoi arcieri per colpire la bestia. Ma la pelle del drago è dura, più dell’armatura più resistente.» continuò il vecchio nano sotto lo sguardo attento di Bilbo. «Solo una freccia nera partita da una lancia del vento poteva trafiggerne la pelle. E poche di quelle frecce furono realizzate. La scorta si andava riducendo quando Girion tentò l’ultima resistenza.»
«Se la mira degli uomini fosse andata a segno.» mormorò Thorin. «Molte cose sarebbero cambiate.»
«Parli come se ci fossi stato.» osservò Bard dietro di loro facendoli voltare.
«Tutti i nani conoscono il racconto.» ribattè lui, nascondendogli chi fosse.
«Allora saprai che Girion colpì il drago.» intervenne Bain. «Gli allentò una squama sotto l’ala destra. Ancora un colpo e avrebbe ucciso la bestia.»
Dwalin rise sommessamente, le braccia incrociate. «Quella è una favola, giovanotto. Niente di più.»
«La lancia del vento è stata recuperata dalle macerie di Dale dopo che fu distrutta da Smaug. È l’unica sopravvissuta.» intervenne Lumbar attirando i loro sguardi.
«Tu come lo sai?» domandò Bard.
«Io c’ero.»
«Che cosa?» chiese Bain incredulo.
«Ho molti più anni di quelli che dimostro.» minimizzò lei. «Ero qui quando è successo. Ho visto la devastazione. E ho aiutato come ho potuto.» concluse distogliendo lo sguardo e puntandolo fuori dalla finestra, liberando allo stesso tempo Thorin dalla sua stretta. Sembrava che all’improvviso non avesse più energie e tutti la osservavano in attesa che continuasse. «Tu non c’eri Bain, e non puoi capire. Quello che dici su Girion può essere vero come può non esserlo, ma non ha importanza. Smaug è sopravvissuto e ha portato la morte con sè, incurante delle vite che toglieva. Quel giorno, mentre succedeva, nessuno si preoccupava di verificare se Girion avesse davvero allentato una squama del drago. Erano tutti troppo impegnati a cercare di sopravvivere, o di salvare qualcuno. Fermarsi e pensare non era un’opzione.» sospirò. «E quando, alla fine, il drago si è ritirato all’interno della Montagna, e la polvere e la cenere si sono posate, sono cominciati i pianti disperati di chi aveva perso tutto e solo dopo abbiamo cominciato a fare la conta dei morti, a cercare di capire chi fosse sopravvissuto, a curare i feriti. Ci vollero mesi perchè alcuni avessero il coraggio di avvicinarsi alla città distrutta, troppo vicina all’entrata della Montagna e loro ancora troppo sconvolti dall’accaduto. Ancora oggi serpeggia il terrore, tra la vostra gente, se si parla di Smaug.»
Raramente la ragazza parlava di esperienze passate, ma quando lo faceva riusciva a catturare completamente l’attenzione degli ascoltatori, tenendoli con il fiato sospeso per tutta la durata del racconto.
«Tu chi hai perso?» chiese Bain dopo che il silenzio aveva invaso la casa.
Lei sorrise tristemente, con quel sorriso che faceva venire alle persone voglia di piangere, ma non si voltò. «Meglio che tu non lo sappia.»
Thorin si scostò lentamente da lei, ignorando il freddo che lo aveva pervaso quando lei aveva sciolto l’abbraccio, e andò verso Bard fermandoglisi di fronte. Non voleva vederla in quello stato, così prese la situazione in mano.
«Hai preso il nostro denaro.» disse all’uomo. «Dove sono le armi?»
Bard lo osservò per qualche secondo in silenzio, passando lo sguardo da lui a Lumbar. «Aspetta qui.» disse prima di uscire.
Appena se ne andò, Kili e Fili si avvicinarono a Lumbar, Thorin e Balin per parlare dell’impresa.
«Domani comincia l’ultimo giorno d’autunno.» cominciò Scudodiquercia.
«E il Dì di Durin comincia dopodomani.» continuò Balin. «Dobbiamo raggiungere la Montagna prima di allora.»
«E se non ci riusciamo?» domandò Kili. «Se falliamo a trovare la porta prima di quel momento, allora…»
«L’impresa sarà stata inutile.» concluse Fili.
Lumbar sospirò pensierosa e Thorin lo notò.
«A cosa pensi?» le chiese.
Lei si passò una mano sulla fronte.
«Ricordo una porta secondaria.» rivelò ai nani. «La trovai per caso girovagando per i corridoi della Montagna ma non l’ho mai usata, quindi non saprei dirvi il suo aspetto all’esterno. Sicuramente si mimetizzerà con la Montagna, comunque.»
«Ricordi dove fosse?» domandò Kili concitato e con un barlume di speranza nello sguardo.
«Non… non ne sono sicura…» la ragazza sospirò ancora, cercando di ricordare.
Thorin le pose una mano sul braccio, facendola voltare nella sua direzione. A dispetto di quanto la ragazza si aspettava, nello sguardo del nano c’era solo una calma sicura, tranquilla. Nessun dubbio o incertezza, nè aspettativa o urgenza. Lui sapeva che lei era in grado di ricordare, e cercava di trasmetterle la stessa sicurezza che sentiva dentro di sè. Lei lo ringraziò in silenzio e lui dovette capirlo perchè strinse leggermente la presa sul suo braccio.
Lumbar chiuse gli occhi e si immerse nei meandri della sua mente, scartando i ricordi in quel momento inutili e concentrandosi su quelli importanti, cercando quell’informazione così vitale per loro. Ripercorse la passeggiata che aveva fatto quel giorno di tanti anni prima e, quando arrivò alla porta, spalancò gli occhi.
Thorin comprese subito che ci era riuscita e le sorrise, orgoglioso di lei. Lumbar ricambiò, poi raccontò loro per filo e per segno quello che aveva ricordato, la posizione della porta all’interno della Montagna, e ipotizzarono insieme dove potesse trovarsi all’esterno.
In quel momento tornò Bard con un lungo involto bagnato tra le mani che appoggiò sul tavolo. Lo aprì, con i nani tutt’intorno al tavolo, e mostrò loro delle armi rudimentali, fatte con strumenti di fortuna. I nani le presero e le studiarono, visibilmente insoddisfatti.
«Cos’è questo?» domandò Thorin con in mano una specie di arpione infilato su un bastone.
«Una gaffa.» rispose Bard. «Fatta da un vecchio arpione.»
«E questo?» chiese Kili studiando da più angolazioni un vecchio martello, probabilmente da fabbro.
«Mazzapicchio, lo chiamiamo. Forgiato dal martello di un fabbro.» Bard inspirò, osservando i loro volti scontenti. «Pesanti da maneggiare, lo ammetto. Ma per difendere la vostra vita vi saranno più utili di niente.»
«Ti abbiamo pagato per delle armi.» protestò Gloin. «Spade e asce forgiate in ferro.
«È uno scherzo!» Bofur lanciò la sua “arma” sul tavolo.
«Già.»
«Di migliori ne troverete solo nell’armeria della città.» ribattè Bard, schietto, mentre tutti i nani seguivano l’esempio di Bofur. «Tutte le armi forgiate in ferro sono lì sotto chiave.»
Thorin e Dwalin si scambiarono uno sguardo complice e Lumbar, che non aveva tolto l’attenzione da Scudodiquercia nemmeno per un secondo, comprese con estrema facilità cos’avevano in mente di fare quei due.
«Thorin.» intervenne Balin prima che potesse proporre loro il piano. «Prendiamo quello che ci viene offerto e andiamo. Mi sono arrangiato con meno. E anche tu.»
Sentendo il nome del capo della compagnia, Bard aveva lanciato a Lumbar un’occhiata penetrante, ma era rimasto in silenzio. La ragazza vide chiaramente i suoi pensieri mescolarsi, in cerca di una spiegazione sul perchè quel nome gli fosse così familiare.
«Io dico di andarcene ora.» continuò il vecchio nano.
«Non andrete da nessuna parte.» ribattè Bard facendo voltare Thorin verso di lui.
«Che cosa hai detto?» domandò Dwalin facendo un passo verso di lui.
«Spie sorvegliano questa casa.» spiegò loro l’uomo. «E forse ogni molo e banchina della città. Attenderete il calare della notte.» concluse facendo sedere Bofur.
«Ha ragione.» disse Lumbar dal suo posto vicino alla finestra che non aveva ancora lasciato. «Li sento parlottare anche ora, qui sotto. Non se ne andranno tanto presto, perciò la mossa migliore da fare è aspettare.» terminò lanciando uno sguardo significativo a Thorin.
Lui la ignorò, comunicando silenziosamente con Dwalin al suo fianco, e lei scosse la testa contrariata osservando Kili mettersi seduto con difficoltà. Quel ragazzo aveva sempre più veleno in circolo, e lei non avrebbe aiutato quei nani testardi a peggiorare le sue condizioni. Voleva curarlo, non ucciderlo.
Quando, poco dopo, sentì Bard dire a Bain di non farli andare via decise di seguirlo. L’uomo scese le scale di corsa e si diresse velocemente a una bottega. Lei si tenne a distanza senza mai perderlo di vista.
«Salve Bard, che cosa ti serve?» gli chiese il proprietario quando lo vide.
«C’era un arazzo!» disse lui concitato, mentre cercava tra un mucchio di stoffe. «Uno vecchio! Dov’è finito?»
«Di quale arazzo stai parlando?» domandò l’altro non capendo.
«Di questo.» rispose Bard sollevando un involto e aprendolo su un tavolo vicino. Era un antico arazzo blu, con le nappe dorate.
«Erano nani ti dico.» sentirono entrambi a pochi passi da loro. Una donna stava parlando con un pescatore. «Spuntati fuori dal nulla. Barbe folte, occhi feroci. Mai visto niente di uguale.»
«Che ci fanno i nani da queste parti?» domandò il pescatore al suo compagno.
«È la profezia.» spiegò un anziano seduto poco distante.
«La profezia?»
«La profezia della gente di Durin.» continuò il vecchio.
Lumbar ascoltava la conversazione ma teneva d’occhio anche Bard che, in quel momento, stava percorrendo le immagini dell’arazzo sul quale, si accorse lei con sorpresa, era ricamato l’albero genealogico della stirpe di Durin. Quando lo vide fermarsi comprese che era arrivata al punto in cui era scritto il nome di Thorin.
«La profezia.» bisbigliò, infatti, cominciando a capire perchè si trovassero realmente lì.
Bard fece un paio di passi indietro, sconvolto, e si passò una mano sul mento cercando di riordinare i pensieri.
«La profezia.» ripetè tentando di ricordarla.
«La leggenda si avvererà.» disse un uomo sulla strada alla sua vicina. Il popolo, infatti, con il passaparola, stava continuando a parlarne.
«Immensi saloni di tesori.» sentirono entrambi dire da un’altra donna poco distante.
«Può mai essere vero?» il passaparola continuava e la speranza del popolo cresceva mentre Bard, sedutosi su uno sgabello, rifletteva ascoltando le parole della gente. Lumbar teneva d’occhio la situazione poco distante, aspettando la successiva mossa dell’uomo. «Il Signore Delle Argentee Fonti è tornato?»
E fu lì che Bard ebbe l’illuminazione, Lumbar lo vide chiaramente nel lampo che passò nei suoi occhi. «Il Signore Delle Argentee Fonti.» ripetè piano, collegando i pezzi. «Il Re Delle Rocce Scavate.» continuò riportando lo sguardo sull’arazzo. «Il re che sta sotto il monte riavrà le cose a lui strappate.» corse fuori dalla bottega e lei lo seguì.
Entrambi ripensavano al resto della profezia: E la campana suonerà di allegrezza quando il Re della Montagna tornerà; ma tutto si disferà con tristezza, e il lago brillerà e brucerà.
Bard fece di corsa le scale di casa sua, aprendo la porta di scatto.
«Pà.» lo chiamò Bain, agitato, appena lo vide. «Ho cercato di fermarli, ho cercato…»
«Da quanto se ne sono andati?» domandò Bard interrompendolo.
Lumbar lo raggiunse in quel momento, mascherando la sua agitazione.
Appena la videro, Bard la attaccò. «Tu lo sapevi? Sapevi chi fosse?» poi ripensò al suo racconto di poco prima e comprese. «Certo che lo sapevi. Perchè non me l’hai detto?»
Lei alzò le spalle.
«È una situazione complicata.» rispose. «Molto più di quanto pensi o immagini.» prima che lui potesse ribattere, continuò. «Sono successe tante cose il giorno in cui arrivò Smaug, alcune delle quali sono state dimenticate dall’intera Terra di Mezzo.»
«Che cosa?» domandò Bard. «Ma di che stai parlando?»
«Sarebbe successo, prima o poi.» continuò lei ignorandolo. «Lui era l’unico che poteva farlo. E con i tempi che corrono, e ciò che si scatenerà tra troppi pochi anni, era inevitabile. Non puoi impedirlo, nessuno può. Nonostante ciò che questo comporta. E, credimi, io lo so.»
«Chi sei, in realtà?» le domandò temendo la risposta. Giravano voci, da qualche mese, ma non pensava che fossero vere.
Lei sospirò. «Sono la stessa ragazza che hai conosciuto da bambino. La persona a cui, probabilmente, stai pensando è morta tanto tempo fa. Nessuno pronuncia più il suo nome da allora nonostante tutti, chissà come e perchè, stiano cominciando a parlare di lei.»
Non riuscendo a capire del tutto le sue parole, Bard cambiò argomento. «Sai dove sono andati?»
«Lo sai anche tu.» disse lei. Ci volle poco perchè l’uomo capisse e sgranasse gli occhi dalla sorpresa. Lei annuì. «Gli avevo detto di non farlo, ma i nani sono testardi e non ascoltano nessuno.»
«Li scopriranno.» il commento dell’arciere sembrava quasi una domanda.
«È probabile.» concordò lei senza, tuttavia, dire che Kili era ferito. «Ci penserò quando accadrà.»
«Cosa?»
«Ricorda il penultimo verso della profezia.» disse soltanto.
Lui riflettè qualche secondo, poi comprese. «Stai dicendo che avrà l’appoggio della città.» lei annuì. «Non se potrò impedirlo.» rispose all’assenso di lei. «Non permetterò che distruggano la città.» concluse ripensando all’ultimo verso.
Poi si catapultò fuori da casa sua, proprio nell’esatto momento in cui brusio e confusione si facevano strada nel silenzio della notte. Lei lo seguì in fretta, capendo al volo la situazione: avevano scoperto i nani nell’armeria e ora, probabilmente, li stavano portando dal Governatore, passando in mezzo alla folla curiosa.
«...Io garantirei il ritorno di quei giorni.» stava dicendo Thorin davanti al popolo e al Governatore quando li raggiunsero facendosi strada tra la folla. «Riaccenderei le grandi fornaci dei nani, e farei fluire benessere e ricchezza, di nuovo, dalle sale di Erebor!» concluse facendo esultare il popolo di Pontelagolungo.
«Morte!» gridò Bard facendosi avanti e riportando il silenzio.
Thorin si voltò, infastidito, e Lumbar seguì Bard, sempre con il cappuccio a coprirla. Il nano si accigliò, quando la vide in compagnia dell’uomo, ma lei gli fece un gesto con la mano e lui non disse niente.
«Ecco che cosa ci porterai.» continuò Bard fermandoglisi di fronte. «Fuoco di drago e rovina. Se risveglierai quella bestia, distruggerà tutti noi.»
«Potete dare ascolto a questo oppositore, ma io vi prometto una cosa: se riusciremo, tutti condivideranno le ricchezze della Montagna.» disse Thorin al popolo. «Avrete abbastanza oro da ricostruire Esgaroth per dieci volte almeno!»
Il popolo esultò, felice, ma Alfrid pose un freno alla gioia. «Perchè dovremmo crederti sulla parola, eh? Noi non sappiamo niente di te. Chi può garantire per la tua onestà?»
Nel silenzio che era calato nella piazza si fece avanti la vocetta dello hobbit. «Io. Garantirò per lui.» Thorin si voltò a guardarlo, così come gli altri. «Ho viaggiato a lungo con… questi nani affrontando gravi pericoli, e se Thorin Scudodiquercia dà la sua parola, la manterrà.»
Thorin gli sorrideva, grato.
«Mi dispiace deluderti, ma tu non sei nessuno.» ribattè Alfrid. «Non ti conosciamo, esattamente come lui.»
Lumbar sospirò, poi si fece avanti, affiancando Bard.
«Ma conoscete me.» disse spiazzandolo. «Mi conoscete come Lumbar.» si portò le mani al cappuccio mentre i nani la guardavano increduli. Non credevano a quello che stavano vedendo. «Ma tempo fa ero nota con un altro nome. Un nome che, di recente, è spuntato fuori spesso.» la ragazza si abbassò il cappuccio, mostrando a tutti il suo volto e i suoi capelli, neri per la maggior parte ma con ancora delle ciocche bianche. «Morwen.» concluse.
Ci volle un po’ perchè la gente collegasse quello che aveva appena sentito con le storie che da qualche mese giravano sulla proprietaria di quel nome, ma quando capirono esclamazioni di sorpresa arrivarono da tutte le parti.
«Se non vado errato...» la voce di Alfrid sovrastò di nuovo le altre, riportando il silenzio. «...la ragazza in questione è morta diversi anni fa. Come fai a dire di essere tu?»
Lumbar lo osservò tranquilla. «Gli anni sono centoquarantadue, Alfrid.» lo corresse. «E sì, sono morta, ma la morte mi ha rimandata indietro. Azog non è stato molto felice quando l’ha scoperto, sai?» aggiunse. «Ha provato a uccidermi due volte, tre se contiamo quella più recente, e non ci è riuscito. Era davvero arrabbiato quando mi ha vista con Thorin.»
«E cosa mi dici del fatto che nessuno, fino a qualche mese fa, si ricordasse di te?» domandò lui, non volendo lasciar perdere.
«Colpa mia. Ho lanciato un incantesimo.» ammise lei fingendo noncuranza, mentre un lampo di dolore passava nei suoi occhi e in quelli di Thorin.
«Un incantesimo sbagliato?» chiede Bard, non capendo.
Lei si voltò verso di lui. «In realtà è perfettamente riuscito.» rivelò sorprendendolo. «Mi è venuto così bene che quando ho scoperto di essere ancora viva non sono riuscita a scioglierlo.»
«Per questo hai cambiato nome.» comprese l’arciere.
«A grandi linee.» confermò lei prima di rivolgersi nuovamente al popolo. «Io garantisco per Thorin.»
Quando la gente cominciò a esultare ancora, Bard li bloccò lanciando, al contempo, un’occhiataccia alla ragazza. «Tutti voi. Ascoltatemi! Avete dimenticato quello che è successo a Dale?» chiese riportando il silenzio. «Dimenticato quelli che sono morti nella tempesta di fuoco?» la gente cominciò a parlottare. «E per quale motivo? La cieca ambizione di un re della Montagna, così preso dall’avidità da non riuscire a vedere oltre il proprio desiderio!»
Lumbar gli mise una mano sul braccio, zittendolo, mentre intorno a loro il popolo commentava. Thorin aveva fatto qualche passo verso l’uomo ma lo sguardo di Lumbar lo fermò.
«Via.» intervenne il Governatore. «Non dobbiamo, nessuno di noi, essere troppo frettolosi a dare la colpa. Non dimentichiamo che è stato Girion, signore di Dale, tuo antenato...» continuò indicando Bard. «...che fallì nell’uccidere la bestia.» concluse deridendolo, mentre Thorin lo osservava sgomento.
«È vero, signore.» aggiunse Alfrid. «Tutti conosciamo la storia. Freccia dopo freccia ha scoccato, ognuna ha mancato il bersaglio.»
«Tu lo sapevi?» domandò Thorin a Lumbar.
Lei annuì. «Ho recuperato io la Lancia del Vento che hai visto, e l’ho data a Girion.»
«Perchè?» chiese.
«Sapevo che un giorno sarebbe servita.»
Thorin sgranò gli occhi, comprendendo il significato intrinseco di quella frase. Anche Bard dovette capirlo, perchè si irrigidì nella presa della ragazza prima di liberarsi e fronteggiare il nano.
«Non hai alcun diritto.» gli mormorò con voce abbastanza alta da farsi sentire da tutti. «Alcun diritto a entrare in quella Montagna.»
«Io sono l’unico ad averlo.» ribattè il nano, giustamente, prima di voltarsi verso il Governatore. «Mi rivolgo al Governatore degli uomini del Lago: vuoi vedere la Profezia realizzata?» domandò salendo alcuni gradini delle scale del palazzo. «Vuoi condividere la grande ricchezza del nostro popolo?» la folla attendeva in silenzio la sua decisione. «Cosa rispondi?»
«E io dico a te… Benvenuto!» esclamò facendo esultare gli uomini del Lago. «Benvenuto! Tre volte benvenuto, re sotto la Montagna.»
Dopo aver rimandato a casa il popolo, il Governatore condusse la compagnia di Thorin dentro il suo palazzo, offrendo loro viveri e tutto ciò che gli occorreva per partire verso la Montagna la mattina dopo.
Una volta aver preparato l’occorrente il governatore mise a loro disposizione delle camere per farli riposare qualche ora e i nani ne approfittarono, non sapendo cosa li aspettava il giorno seguente e quando avrebbero potuto dormire di nuovo.
Lumbar non riusciva a prendere sonno, così uscì dal palazzo e cominciò a camminare per la città, osservandosi intorno pensierosa.
«Non dovresti prepararti per la missione suicida?» domandò qualcuno alla sua destra facendola voltare.
«E tu non dovresti essere con i tuoi figli a dormire?» chiese di rimando all’arciere.
L’uomo sospirò, appoggiandosi al parapetto che costeggiava quel tratto di strada.
«Non ci riesco.» ammise. «Sono preoccupato.»
Lumbar lo affiancò. «Anch’io.»
Restarono in silenzio a osservare l’acqua per un po’.
«Perchè lo fai?» domandò Bard. «Perchè lo aiuti?» la ragazza sospirò. «Non è solo per quello che vi lega, vero?» comprese l’uomo. «C’è qualcos’altro.»
«Conosci le storie che girano su di me. Quello che si dice sui miei capelli.» l’uomo annuì. «Sono vere. I miei capelli mostrano davvero l’equilibrio tra il bene e il male nella Terra di Mezzo.» spiegò lei.
«Stai dicendo che l’equilibrio è stato spezzato? Che il male sta tornando?» domandò Bard, scettico.
Lei annuì. «Da un po’ lo sento diventare più forte. Vuole la Montagna, vuole Smaug. E io non posso permettere che li abbia.» chiarì. «Se li avesse, saremmo tutti morti prima del prossimo anno.»
«Come lo sai?» le domandò l’uomo.
«L’ho visto.» davanti al suo sguardo confuso aggiunse. «Ho delle visioni, a volte, sul futuro o sul passato. Ho visto cosa succederà se il Male avrà quella Montagna e il suo attuale abitante. Morte.»
«E se invece non riuscisse ad averla?» domandò Bard. «Cosa ne sarà di noi se i nani reclameranno la loro terra?»
Lumbar sospirò. «Non posso dirti quello che vuoi sentire.» ammise. «Ci saranno delle perdite. Tante.» Bard si irrigidì, stringendo la presa sulla balaustra. «Ma se non lo facessero morireste tutti.» Lumbar si voltò a guardarlo. «Dovrai essere forte e guidarli quando verrà il momento.»
«Cosa?» esclamò lui, voltandosi di scatto verso la ragazza. «Io non sono un capo.»
«Sì, invece. Sei come il tuo antenato, hai lo stesso spirito. Sei l’unico che potrà prendersi cura di loro quando il drago arriverà. Io cercherò di aiutarti, ma dovrai essere pronto. E dovrai fidarti di me.»
«Io mi fido di te.» disse lui.
«Spero che sarà così anche domani.» commentò la ragazza. Poi gli strinse leggermente la spalla e si voltò. «Vai a dormire. Dovrai essere riposato, domani.»
Quando Lumbar tornò al palazzo del Governatore trovò Thorin con le braccia incrociate appoggiato alla parete accanto alla porta della camera che le era stata assegnata. Non disse una parola, semplicemente aspettò che lei aprisse la porta e gli facesse cenno di entrare prima di seguirla e di chiudersi la porta alle spalle.
Si osservarono in silenzio, studiandosi.
«Sei preoccupata.»
«Sei teso.»
Dissero insieme, prima di sorridersi. Il nano si avvicinò alla ragazza e le appoggiò una mano sulla guancia. Lei mise la sua su quella di Thorin e approfondì il contatto, prima di spostarla lievemente per lasciare sul palmo un bacio fugace. Lui la strinse a sè, comprendendo l’angoscia che la attanagliava senza bisogno di parlare. Rimasero così per parecchi minuti, nel silenzio della notte, prima di dirigersi senza una parola verso il letto e stendersi sotto le coperte abbracciati. Non avevano bisogno di altro per sentirsi meglio. Per quella notte era sufficiente.
 

 
****

 
All’alba del giorno seguente, la compagnia era pronta a partire. Si diressero verso la banchina in cui li aspettava la barca che avrebbero usato per attraversare il Lago, mentre attorno a loro la folla li osservava. Era presente tutta la città.
«Lo sapete che siamo a corto di uno?» disse Bilbo a Thorin dietro lui e Lumbar, che non si erano separati dalla notte precedente. «Dov’è Bofur?»
«Se non è qui lo lasciamo indietro.» rispose Thorin mentre si facevano largo tra la gente.
«Sì, per trovare la porta prima del calare del sole non possiamo rischiare ulteriori ritardi.» osservò Balin.
I nani cominciarono a salire a bordo, ma Thorin bloccò Kili prima che raggiungesse i compagni.
«Tu no. Dobbiamo andare veloci, ci rallenteresti.» disse mentre caricava le armi.
Kili lo osservò confuso, il volto pallido e malato. «Ma di che parli, io vengo con voi.»
«Non ora.» disse Thorin.
Kili passò lo sguardo da lui a Lumbar, che osservava in silenzio.
«Gliel’hai detto?» chiese infastidito.
«No.» rispose lei, secca. «Ma tuo zio non è cieco. Dovresti saperlo.»
Kili abbassò lo sguardo, mortificato, poi lo rialzò puntandolo deciso sullo zio. «Io ci sarò quando quella porta sarà aperta. Quando scorgeremo le sale dei nostri padri, Thorin.»
L’altro gli mise una mano sulla spalla. «Kili… resta qui. Riposa. Ci raggiungi quando guarisci» gli sorrise nascondendo la sua preoccupazione.
«Io resto con il ragazzo.» disse Oin scendendo dalla barca. «Il mio dovere è stare con i feriti.»
«Zio.» esclamò Fili attirando l’attenzione di Thorin. «Siamo cresciuti con le storie della Montagna. Storie che tu ci hai raccontato. Non gli puoi togliere questo.»
«Fili…» protestò il fratello.
«Lo porterò in braccio, se devo.» continuò lui.
«Un giorno diventerai re e capirai.» mormorò Thorin. «Non possiamo rischiare la riuscita di questa impresa per un solo nano. Neanche se è un parente.»
Fili osservò il fratello scuotere la testa, poi prese la sua decisione e scese dalla barca.
Thorin lo bloccò per un braccio. «Fili non essere sciocco. Il tuo posto è nella compagnia.»
«Il mio posto è con mio fratello.» ribattè il ragazzo prima di liberarsi dalla sua presa e raggiungere Kili.
Lumbar appoggiò una mano sulla spalla del nano, facendolo voltare verso di lei. Thorin sospirò leggermente e la presa di lei divenne più salda. Un lampo di dispiacere passò nei suoi occhi e il nano comprese quello che gli stava per dire prima ancora che lo facesse.
«Nemmeno tu verrai, non è così?» la anticipò, sorprendendo i nani che si voltarono a guardarli.
«Ho fatto un sogno.» disse lei. «Servirò di più qui.»
Thorin sospirò di nuovo, poi annuì rilassando le spalle e comprendendo che non lo avrebbe mai lasciato se non fosse stato necessario. Portò la sua mano sulla nuca di Lumbar e la avvicinò in modo da appoggiare la sua fronte su quella di lei. La guardò negli occhi, trasmettendole tutto quello che sentiva mentre la mano di Lumbar si spostava dalla sua spalla alla guancia, facendogli una lieve carezza.
«Torna da me.» le disse serio. «Non azzardarti a sparire.»
Lei sorrise. «E tu non dimenticarti di me.»
Il nano le lasciò un bacio sulla fronte, poi si allontanò e salì sulla barca mentre lei affiancava Fili, Kili e Oin sulla banchina.
Intorno a loro la folla esultò e, dopo un breve discorso del Governatore, Thorin e la compagnia partirono salutati dal popolo festeggiante. Thorin teneva lo sguardo fisso su Lumbar, che ricambiava ferma con le mani poggiate sulle spalle dei due giovani nani.
«Ti raggiungeremo presto.» gli sillabò con le labbra facendolo sorridere.
In quel momento Bofur li affiancò fissando la barca sparire oltre una casa.
«No!» disse frustrato prima di accorgersi della loro presenza. «Anche voi avete perso la barca?»
Nessuno rispose, troppo impegnati a soccorrere Kili che si sentì male all’improvviso.

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Capitolo 12
*** 10. Acqua e fuoco ***






10. Acqua e fuoco
 
«Kili… Kili!» esclamò Fili sostenendolo, mentre Oin gli ascoltava il battito e Lumbar lo analizzava con la magia.
«È il veleno.» spiegò la ragazza agli altri. «Si sta diffondendo troppo in fretta.»
«Quale veleno?» domandò Oin.
«Quello degli Orchi. Devo curarlo subito o non ce la farà. Andiamo.» disse prima di dirigersi verso l’unico posto in cui sapeva avrebbero ricevuto un aiuto.
Quando l’uomo aprì la porta, dopo che lei ebbe bussato, scosse la testa. «No!» esclamò facendole alzare gli occhi. «Ho chiuso con i nani.» continuò osservando Bofur e Fili che sostenevano Kili con Oin dietro di loro. «Andate via.» cominciò a chiudere la porta ma lei lo bloccò mentre i nani protestavano.
«No no no no.» disse Bofur, disperato. «Per favore. Nessuno ci darà una mano. Kili sta male.» continuò mostrandogli le condizioni del ragazzo. «Sta molto male.»
Bard spostò lo sguardo su Lumbar, indeciso.
«Non voglio che muoia, ma ho bisogno di un posto tranquillo per curarlo.» confermò la ragazza.
Lui cedette, facendoli entrare e i nani stesero Kili su un letto.
«Quanto è grave?» chiese Bard alla ragazza mentre lei lo analizzava con la magia.
«Abbastanza.» rispose. «Ha il veleno degli Orchi in circolo da troppo tempo e non ha voluto informare gli altri. Ho cercato di aiutarlo il più possibile, da quando è stato colpito, ma non è stato sufficiente. Testardo di un Durin.» borbottò.
«Dovresti esserci abituata, zia.» mormorò Kili facendola voltare di scatto verso di lui, che non si aspettava riuscisse a parlare.
«Alla testardaggine dei nani?» domandò retorica. «Fa concorrenza con quella degli elfi.» appoggiò una mano sulla sua fronte, assorbendo un po’ del suo dolore, e aggrottò le sopracciglia. «Mi hai chiamata “zia”?»
«Non posso?» chiese lui, debolmente. «Sei la compagna di Thorin, no? Quindi sei nostra zia.»
«Non ha tutti i torti.» osservò Fili.
Lumbar sospirò, distogliendo lo sguardo dagli occhi di Kili, così simili a quelli di Thorin. «Non è così semplice.» ammise. «Ora conosce il nostro passato, ma non siamo… voglio dire…» era in difficoltà. «Non ne abbiamo parlato apertamente. Di noi.» concluse prima di chiedere a Bard di procurarle dell’acqua e una pezza. «Oh, no. Non adesso.» mormorò prima di venire risucchiata in una visione.
 

«Dol Guldur. Il colle della stregoneria.» disse Gandalf spuntando da un gruppo di alberi morti.
«Sembra completamente abbandonata.» osservò Radagast poco dietro di lui.
«E tale deve apparire.» spiegò il Grigio osservando le rovine della fortezza davanti a loro. «C’è un sortilegio di occultamento su questo posto. Il che vuol dire che il nostro nemico non è ancora pronto a rivelarsi. Non ha ripreso le forze appieno.» comprese prima di rivolgersi al Bruno. «Radagast, devi portare questo messaggio a Lady Galadriel e dille che dobbiamo forzargli la mano.»
«Che vuoi dire?» gli chiese l’altro affiancandolo per osservarlo.
«Io vado da solo.» spiegò Gandalf all’amico appoggiandogli, poi, una mano sulla spalla. «A nessun costo devi venirmi dietro.»
Radagast si voltò spaventato verso Dol Guldur poi di nuovo verso Gandalf, prima di incamminarsi.
«Ho la tua parola?» gli domandò Gandalf mentre si davano le spalle.
«Sì sì sì sì sì sì sì.» disse infastidito il Bruno prima di lasciarlo solo.
Gandalf scese i pochi gradini di pietra davanti a lui e si incamminò sul ponte che lo avrebbe condotto all’interno della fortezza.
«Aspetta Gandalf!» lo richiamò Radagast facendolo sospirare. «E se fosse una trappola?»
«Voltati. E non tornare indietro.» disse girandosi a guardarlo. «È senza dubbio una trappola.» concluse estraendo la sua spada e riprendendo a camminare mentre Radagast lo lasciava definitivamente solo.
Avanzò deciso dentro la fortezza, inconsapevole, come Lumbar, di chi avrebbe trovato all’interno.
Lo stregone si muoveva, cauto, attraverso le varie stanze; si osservava intorno cercando di cogliere il più piccolo segnale di pericolo o di stregoneria. Fino a quel momento, niente. Lumbar era inquieta e sentiva che lo fosse anche Gandalf.
Lo stregone continuò a inoltrarsi all’interno e lei venne sbalzata fuori.
 

Successe talmente in fretta che fu costretta a fare un passo indietro, disorientata. Attorno a lei i nani, Bard e i suoi figli la chiamavano ripetutamente, preoccupati.
«Sto bene.» riuscì a dire mentre metteva a fuoco la stanza. «Sto bene, è passata.»
«Cos’è successo?» domandò Bard.
«Una visione.» rispose Lumbar passandosi una mano sul volto mentre un brivido freddo le percorreva la schiena. Aveva la sensazione che presto si sarebbe trovata nuovamente in quel posto, e che non le sarebbe piaciuto ciò che avrebbe visto. «Gandalf sta bene, ma è ancora impegnato. Non potrà raggiungere gli altri allo spiazzo. Dovranno proseguire da soli.» spiegò a grandi linee ricordando ai nani cos’aveva detto loro lo stregone prima che si separassero.
«E come mai?» chiese Fili.
«Deve controllare una cosa di vitale importanza. Al momento è in un posto molto pericoloso… un posto che non mi piace per niente.» un altro brivido la percorse e gli altri se ne accorsero.
«Cosa succede?» domandò Bofur osservandola attentamente.
«Temo per il futuro.» ammise. «Ma spero tanto di sbagliarmi. Valar, fate sì che io mi sbagli.» pregò prima di riconcentrarsi su Kili.
Nel frattempo le ore passavano e il sole si avvicinava all’orizzonte.
«Oh, maledizione!» Lumbar ebbe il tempo di riappoggiare la pezza bagnata sulla fronte  di Kili, dopo aver assorbito altro suo dolore, prima di venire assorbita da una seconda visione e riportata a Dol Guldur.
 

Gandalf stava ancora camminando attraverso le vecchie sale della fortezza e la sensazione opprimente che Lumbar aveva sentito la volta prima si era accentuata. Stava per accadere qualcosa di grosso.
«Il male che è nascosto qui… io comando che venga fuori! Io comando che riveli se stesso.» pronunciò Gandalf sbattendo subito dopo il suo bastone a terra e spargendo un’ondata di luce bianca che passò su ogni singola roccia, anche il più piccolo sasso, della fortezza.
Gandalf si guardò intorno, in attesa di capire se fosse cambiato qualcosa dopo che aveva cercato di distruggere l’incantesimo di occultamento. Stava funzionando. Lumbar riusciva a percepire l’incantesimo sollevarsi. Anche il Grigio se ne accorse, e riprese a camminare nella fortezza pronunciando formule magiche per spezzare del tutto l’illusione.
Scese diverse scale arrivando in una zona piena di gabbie e si osservò attorno.
Qualcosa di non ben identificato gli piombò addosso da sopra mandandolo a terra e cercò di attaccarlo. Quando Gandalf riuscì a bloccarlo, dopo diversi minuti e un volo da parte dell’altro giù per qualche piano, e a osservarlo in volto, sgranò gli occhi. Lumbar sentì i suoi inumidirsi.
«Thrain?» mormorò lo stregone. «Figlio di Thror? Mio vecchio amico.» Lumbar si portò una mano alla bocca, sconvolta, mentre le lacrime le scendevano sul volto.
«Gandalf?» disse di rimando il nano, riconoscendolo e non credendo ai suoi occhi. «Una vita. Sono qui da una vita.»
«Mi dispiace tanto averti dato per morto.» Gandalf scosse la testa, scusandosi.
«Avevo un figlio…» mormorò il nano cercando di ricordare. «Thorin. E poi c’era lei… lei era qui con me.»
«E lui lo rivedrai di sicuro, amico mio. Li rivedrai entrambi. Vieni, dobbiamo andare.» Gandalf lo aiutò ad alzarsi e lo condusse attraverso la fortezza. Lumbar non riusciva a togliergli gli occhi di dosso.
«Gli orchi avevano preso Moria.» ricordò Thrain mentre camminavano. «Guerra. Eravamo in guerra. Io ero circondato.» si fermò, facendo bloccare lo stregone dietro di lui. Aveva lo sguardo perso nel passato. «Il profanatore. Azog, il profanatore era arrivato.»
Con un tremendo dubbio Gandalf alzò lentamente la mano del nano, rivelando l’indice tagliato.
«Lo hanno preso.» confermò Thrain.
«L’ultimo dei sette.» l’ultimo anello dei nani era in mano ad Azog e al suo signore. Gandalf si lanciò uno sguardo intorno. «Forza, andiamocene da qui.» riprese a camminare a passo sostenuto.
«Non c’è via d’uscita.» esclamò Thrain facendolo voltare. «Ti fermeranno. I serpenti ti fermeranno!» indicava il muro, ma Gandalf gli mostrò che era solo un’illusione.
«Che cosa ti hanno fatto?» gli chiese avvicinandoglisi di nuovo.
«Non gliel’ho mai detto.» rispose il nano. «Hanno tentato di obbligarmi ma…» scosse la testa. «Non ho mai detto una parola. Le avete tenute al sicuro, Gandalf? La mappa e la chiave?» gli chiese abbassando la voce.
«Le abbiamo date a Thorin. Sarai fiero di lui, si è assunto l’impresa di riprendersi Erebor.» rispose lo stregone stringendogli una spalla.
«Erebor?» Thrain fece qualche passo indietro, sconvolto.
«Recupererà l’Arkengemma e i sette eserciti dei nani risponderanno a un nuovo re.» continuò Gandalf mentre Thrain si faceva sempre più indietro e sconvolto.
«No. No. Thorin non deve avvicinarsi a Erebor. Nessuno deve entrare in quella Montagna!»
E Lumbar venne nuovamente sbalzata fuori dalla visione.
 

Quando rimise a fuoco la stanza a Pontelagolungo aveva ancora la mano sulla pezza appoggiata sulla fronte di Kili, che la stava guardando preoccupato. Si portò l’altra al volto accorgendosi di aver pianto anche lì. Ripensando a ciò che aveva appena visto altre lacrime sgorgarono fuori dai suoi occhi senza controllo.
«Che succede, zia?» bisbigliò Kili.
«Hai detto Thrain. Poi hai iniziato a piangere e noi non riuscivamo a riportarti indietro.» continuò Fili posizionato sul fianco opposto del fratello e di fronte a lei.
La ragazza aprì la bocca ma la richiuse, non sapendo cosa dire. Stava cercando di elaborare quello che aveva appena visto e, allo stesso tempo, di capire perchè il suo vecchio amico avesse detto che Thorin non doveva entrare nella Montagna.
Non trovando una soluzione decise di tentare una cosa che non aveva mai fatto prima: indurre una visione.
In quel momento spuntò la luna, illuminando debolmente la stanza con i suoi raggi insieme alle candele che i figli di Bard avevano acceso. Un brivido attraversò il corpo di Lumbar, portandola a voltarsi verso la Montagna.
«L’hanno aperta.» mormorò. «Hanno aperto la porta della Montagna.»
«Come lo sai?» le chiese Bard.
«Davvero, zia?» domandò Fili mentre un sorriso gli illuminava il volto preoccupato. «Ce l’hanno fatta?»
Lei annuì al, ormai, nipote acquisito e rispose a Bard. «L’ho sentito nell’esatto momento in cui Thorin ha girato la chiave nella serratura e ha spinto la porta, aprendo il passaggio. È stato come un brivido.»
Kili si agitò sul letto, in preda ai tremori dovuti dal veleno.
«Non potete fare proprio niente?» chiese Fili, mentre i tre nani si adoperavano intorno al ragazzo.
«Servono erbe.» disse Oin. «Qualcosa per fargli calare la febbre.»
Bard andò in cucina, appoggiando sul tavolo tutte le erbe che aveva. «Io ho erba morella, matricale...»
«Non servono a nulla!» esclamò Oin.
«Non hai qualche foglia di re?» domandò Lumbar facendolo voltare.
La ragazza non si era mossa dalla posizione in cui era prima della visione, sempre con una mano poggiata sul volto di Kili per assorbire una parte del suo malessere e dargli un po’ di sollievo. Con la mente, però, era altrove, impegnata a cercare di dare un senso a ciò che aveva detto Thrain e a pensare cosa fare in proposito. Stava tentando in tutti i modi di indurre una visione volontaria.
«No, è un’erbaccia.» commentò Bard. «La diamo ai maiali.»
«Con quell’erbaccia potrei curarlo.» disse semplicemente la ragazza portando il silenzio nella stanza.
«Maiali? Erbaccia…» borbottò Bofur. «Bene.» annuì prima di voltarsi verso Kili. Lo indicò. «Non ti muovere.» poi corse fuori, probabilmente in cerca della foglia di re.
«Ci siamo.» mormorò Lumbar quando si rese conto di essere riuscita nel suo intento. «Torno tra poco.» e venne risucchiata nella terza visione della giornata.
 

«Lui li sta aspettando!» Thrain si muoveva a passo svelto nei corridoi di Dol Guldur mentre spiegava a Gandalf, ancora piuttosto confuso per ciò che il nano aveva detto. «Loro sono alleati. Il drago e l’Unico. Presto.» lo incitò. «Facciamo presto!»
Vennero attaccati da Azog, che spinse a terra Gandalf, e dai suoi, che bloccarono loro la fuga. Azog rise e cominciò a passeggiare avanti e indietro, senza fretta.
«Sei arrivato troppo tardi, stregone!» affermò nella lingua degli orchi. «È fatta!»
Prima che potesse colpirlo Gandalf gli puntò contro il suo bastone, impedendogli di avanzare con la magia, e si rialzò in piedi. «Dov’è il tuo padrone?» Azog provò ad avvicinarsi ancora, ma venne respinto di nuovo. «Dov’è?»
«Lui è ovunque…» rispose Azog. «Noi siamo una legione!»
Gandalf osservò in basso, oltre il vuoto che separava i piani, e vide una moltitudine di orchi e mannari pronti alla guerra. Si riconcentrò su Azog, digrignando i denti.
«È finita.» continuò Azog prima di attaccarlo.
Gandalf lo anticipò sprigionando un’intensa luce bianca dalla punta del suo bastone, poi corse via trascinandosi dietro Thrain, mentre Azog dava ordine che li inseguissero.
Quando pensarono di avercela fatta, di averli seminati abbastanza da riuscire a scappare, un fumo nero apparve davanti a loro. Un fumo che Lumbar aveva già visto.
«Non c’è luce, stregone...» disse l’ombra nella lingua nera.
«È qui.» bisbigliò Thrain aggrappato alla veste di Gandalf.
«... che possa sconfiggere le tenebre.»
«Dì a Thorin…» continuò il nano mentre lo stregone alzava il suo bastone. «...che io l’ho amato. Lo farai? Ti prego. Dirai a mio figlio che io l’ho amato? E dirai a lei che non è stata colpa sua? Non deve incolparsi per avermi creduto morto. Lui l’ha ingannata. Devi impedirle che lo faccia!» a Lumbar vennero le lacrime agli occhi mentre non resistette alla tentazione di inginocchiarsi davanti a lui e appoggiargli le mani sulle guance.
«Glielo dirai tu stesso!» urlò Gandalf.
«È troppo tardi.» commentò il nano. «Amica mia…» aggiunse, come se sentisse la presenza della ragazza accanto a sè, prima di essere catturato da alcuni tentacoli d’ombra e trascinato urlante nell’oscurità.
Gandalf creò una bolla di luce bianca che lo circondava, tentando di proteggersi dall’ombra, ma quella era talmente forte che riuscì a ridurla fino a farla scomparire e a far indietreggiare lo stregone.
Quando l’ombra si avventò su di lui per la seconda volta, Gandalf riuscì a ricreare la bolla attorno a sè, ma cominciava ad essere stanco e dopo poco l’ombra riuscì a distruggere di nuovo la bolla.
Fu in quel momento che i tentacoli oscuri si condensarono davanti allo stregone, prendendo le sembianze di un occhio con la pupilla di fuoco. Pupilla che assunse sembianze umane e cominciò a muoversi verso di lui, mentre il potere oscuro polverizzava il bastone dello stregone e lo sbatteva a terra.
Gandalf venne sollevato e sbattuto contro il muro, dove rimase bloccato a qualche metro d’altezza, mentre attorno a lui la parete crollava, distrutta dal potere oscuro che l’aveva travolta. Lo stregone non riusciva a distogliere l’attenzione dalla figura di fuoco che aveva davanti, incredulo.
Lumbar, dal canto suo, era paralizzata dal terrore. Aveva appena visto morire il suo migliore amico dopo averlo ritrovato. Ed era stato ucciso dall’allievo dell’essere che, in un lontano passato, aveva distrutto la sua vita in molti modi. Quando aveva aiutato a combatterlo, quattrocento anni prima, ed era stato sconfitto lei sapeva che un giorno sarebbe ritornato, e temeva quel momento. E ora che lui le era davanti, anche se in una visione, lei non sapeva cosa fare. Il passato la bloccava come aveva sempre fatto.
L’occhio d’ombra divenne di fuoco e l’essere divenne nero, come la pupilla che rappresentava.
«Sauron…» mormorò a fatica Gandalf, ancora schiacciato dal suo potere.
Lumbar venne sospinta fuori dalla visione.
 

«No!» gridò tornando alla realtà e facendo sobbalzare i suoi compagni.
«Cos’è successo, zia?» chiese Fili, guardandola preoccupato mentre aiutava Oin con il fratello.
La ragazza era pallida, sbiancata in volto dopo aver visto la morte del suo amico, e aveva ripreso a piangere senza accorgersene. Passò lo sguardo da un nano all’altro fermandosi su quello di Kili, che la osservava preoccupato come gli altri nonostante le sue gravi condizioni.
«Niente.» asserì asciugandosi il volto, nonostante le loro espressioni scettiche. «Non ha importanza adesso. Occupiamoci di te.» concluse rivolta al ragazzo e riprendendo ad assorbire il suo dolore e a rallentare il veleno.
 

 
****

 
«Oh oh.» mormorò Lumbar attirando immediatamente l’attenzione degli altri quattro.
«Cosa? Che succede?» chiese Bard vedendola sbiancare.
«Kili è peggiorato?» rincarò Fili.
«No, è stabile per ora. Se continuo in questo modo, almeno.» ripose tranquillizzando il giovane.
«Qualcosa mi dice che quel “oh oh” era più grave.» commentò Bard.
«Potenzialmente.» ammise lei. «Ma tra questo e la visione, è senz’altro peggio la seconda. E di molto.»
«Cos’è successo? E cos’hai visto?» domandò Bard avvicinandosi alla ragazza.
Lei tenne lo sguardo fisso su Kili, che era riuscita a far addormentare donandogli un po’ di sollievo. «Smaug è sveglio.» asserì d’un fiato.
Bard impallidì. «E cosa sarebbe così terribile da essere peggio di Smaug?»
«Sauron.»
Il silenzio cadde nella stanza, rotto solo dai respiri faticosi del giovane nano.
«Non dire sciocchezze.» commentò Oin. «Sauron è stato sconfitto secoli fa.»
«Lo so. Ero lì quando è accaduto.» ricordò lei al nano. «Ma sapevo che sarebbe tornato, prima o poi, e misi in guardia gli elfi e gli stregoni. Saruman non volle credermi, al tempo, ma penso che ora lo farà.»
«Come fai ad essere sicura che sia lui?» le chiese Bard.
«Riconosco l’allievo del mio nemico. Colui che ha preso il suo posto. Non potrei confonderlo con nessun altro. E Gandalf è con lui, adesso.»
«Che cosa?!» domandò Fili.
«Abbassa la voce.» lo redarguì lei indicandogli il fratello.
«Gandalf è con lui?» ripetè il ragazzo, bisbigliando.
Lumbar annuì. «Doveva controllare Dol Guldur e lo ha trovato lì. Ha scoperto che quell’essere e Smaug sono alleati, motivo per cui comincio ad avere dubbi su alcune cose.» spiegò omettendo la presenza e la morte di Thrain. «In questo momento sta cercando di resistere al suo potere, ma non so quanto resisterà senza aiuto.»
«E non puoi aiutarlo tu?» domandò Bard non capendo perchè non si fosse ancora mossa.
«Se tolgo la mano dalla fronte di Kili, il ragazzo morirà nel giro di qualche minuto.» spiegò all’uomo. «Ho inviato un messaggio, spero che arrivi in tempo e che lei riesca ad aiutare Gandalf.»
«Lei chi?» chiese l’arciere.
Lumbar sorrise. «Un’amica.»

 
****
 

Un terremoto scosse la città. Proveniva dalla Montagna.
Kili si era svegliato e, tra un lamento e l’altro, stava cercando di restare immobile per facilitare il lavoro ai compagni.
I nani e gli umani si guardarono intorno preoccupati, ma Lumbar continuò il suo lavoro come se niente fosse. Sapeva già cosa l’aveva causato, come sapeva di non poter fare niente in quel momento.
«Pà!» esclamò Sigrid dalla cucina mentre Fili e Oin continuavano ad affaccendarsi attorno a Kili.
«Viene dalla Montagna.» continuò Bain guardando fuori dalla finestra.
Fili si avvicinò a Bard. «Dovresti andartene. Prendi i tuoi figli e vattene via.»
«E andare dove?» chiese con un filo di voce lui. «Non c’è un posto dove andare.»
«Stiamo per morire, pà?» domandò Tilda.
«No, tesoro.» rispose l’uomo.
«Il drago ci ucciderà.» disse la piccola.
«Bard.» lo chiamò Lumbar facendolo voltare verso di lei. «È il momento di tirare fuori il lascito della tua famiglia.» affermò guardandolo dritto negli occhi.
«Ora capisco come abbiamo fatto ad averla.» commentò lui comprendendo finalmente le storie che gli venivano raccontate quando era bambino e allungando una mano sopra di sè, staccando una grande freccia nera dal muro. «Non se lo uccido io prima.» rispose infine alla figlia.
«Ti raggiungerò appena possibile» disse Lumbar attirando nuovamente la sua attenzione. «Ti servirà il mio aiuto.» spiegò rammentando i sogni che aveva fatto su quel giorno e comprendendo cosa sarebbe stato necessario che facesse per salvare quella gente.
Lui annuì, poi uscì diretto verso la lancia del vento, seguito da Bain. Sigrid e Tilda si guardarono un secondo, poi tornarono in cucina mentre Fili riprendeva a prendersi cura del fratello insieme ai compagni.
«Come credi che stia Gandalf?» chiese il giovane nano a Lumbar.
«Penso che lo scopriremo presto.» rispose prima di venire risucchiata in una visione per la quarta volta.
 

La prima cosa che vide fu Gandalf ferito e imprigionato in una minuscola gabbia sospesa nel vuoto. Almeno era vivo, osservò la ragazza sospirando di sollievo.
Sotto lo stregone, a qualche piano di differenza, l’esercito di orchi stava marciando fuori da Dol Guldur, probabilmente diretto verso la Montagna. Erano un mare infinito.
«Spero che tu stia guardando, amica mia…» mormorò Gandalf prima che lei fosse riportata alla realtà.

 
Appena rimise a fuoco la stanza sospirò.
«È vivo.» disse tranquillizzando i nani e i figli di Bard.
Bain era tornato poco prima, dicendo loro che lui e il padre si erano divisi e che non sapeva dove fosse.
Qualcosa attirò la sua attenzione facendole spostare lo sguardo verso la finestra.
«Cosa c’è?» chiese Fili.
«Non lo so…» mormorò lei chiudendo gli occhi per concentrarsi sui suoni. Qualcosa si muoveva sui tetti delle case… ma non riusciva a capire cosa. «Bofur sta tornando.» si rese conto con un sospiro di sollievo riaprendo gli occhi.
Lumbar non sarebbe durata a lungo, assorbire il veleno e il dolore di Kili la stava prosciugando in fretta e sapeva che le sue energie le sarebbero servite. Doveva sperare che il nano arrivasse prima che lei cedesse e che il ragazzo morisse.
Un rumore fuori dalla casa attirò la loro attenzione e Sigrid uscì per controllare.
«Pà?» chiamò. «Sei tu, pà?»
Dei suoni li raggiunsero dal tetto facendogli alzare lo sguardo, mentre la figlia dell’arciere si voltava per rientrare. Un tonfo dietro di lei la fece girare di scatto, ritrovandosi davanti un orco. La giovane gridò e tentò di chiudere la porta con tutte le sue forze, preoccupando gli altri. Un altro orco entrò dalla porta sul retro e Oin gli lanciò in faccia la ciotola di ceramica che aveva in mano per distrarlo, mentre un terzo sfondava il tetto e il primo riusciva a spalancare la porta e a far indietreggiare Sigrid, che continuava a urlare terrorizzata.
Fili attaccò l’orco mentre Bain disse a Tilda di nascondersi sotto il tavolo insieme alla sorella. Un quarto orco fece un buco nel tetto, atterrando a un metro da Tilda, che prontamente gli lanciò contro un piatto e lo colpì al volto. Subito dopo Sigrid la trascinò sotto il tavolo e Bain spinse la panca contro l’orco, lanciandogliela poi in testa.
Altri due orchi sfondarono il tetto e Lumbar non seppe più cosa fare: rimanere accanto a Kili tentando di mantenerlo in vita o aiutare gli altri contro gli orchi rischiando che il giovane nano morisse?
Fortunatamente non dovette prendere quella decisione: sentì una freccia sibilare poco distante dalla casa e riconobbe dei passi leggeri e veloci che si stavano avvicinando. Si voltò verso la porta principale, da cui stava per entrare l’ennesimo orco che venne ucciso con una freccia da Tauriel. L’elfa estrasse la sua spada e si fece largo all’interno della casa, cominciando a uccidere ogni orco che aveva davanti con la leggiadria tipica della sua specie.
Legolas balzò all’interno della casa da uno dei buchi del tetto e, dopo essersi guardato intorno velocemente, cominciò anche lui a combattere gli orchi.
Quando uno di quegli esseri si diresse verso Kili e Lumbar, agitando il ragazzo, lei estrasse Galvorn, il suo pugnale, e lo uccise senza battere ciglio, una mano ancora sulla fronte del ragazzo per non interrompere il contatto che le permetteva di tenerlo in vita. Rimise il pugnale nello stivale e fece distendere nuovamente Kili, rassicurandolo con lo sguardo. Poi osservò Legolas e Tauriel uccidere gli altri orchi, rendendosi conto che il biondo era migliorato dall’ultima volta che lo aveva allenato.
Un orco scappò all’esterno ma Legolas riuscì a ucciderlo. Purtroppo quello aveva già comunicato a Bolg che Thorin non era più a Pontelagolungo e, ora, gli orchi si stavano dirigendo verso la Montagna, abbandonando la città.
Il silenzio era tornato all’interno della casa, così come la calma, mentre i nani e i figli di Bard si osservavano intorno.
«Li avete uccisi tutti.» commentò Bain, incredulo mentre si rimetteva in piedi.
«Ce ne sono altri.» disse Lumbar mentre Legolas le passava accanto.
«Stai bene?» le chiese l’elfo osservandola. «Sembri distrutta.»
Lei annuì.
«È Kili.» spiegò all’amico. «Non so quanto resisterà senza la foglia di re. Lo sto tenendo in vita ma non è sufficiente.»
«Ti stai consumando per un nano.» la criticò contrariato. «Devi smetterla.»
«Sai che non posso.» osservò lei.
«Non resterò a guardare mentre ti distruggi per lui.» decise l’elfo. «Tauriel.» chiamò prima di camminare verso la porta. «Vieni.»
Kili cominciò a lamentarsi e Lumbar si concentrò su di lui, seguita da Oin, mentre Tauriel e Legolas osservavano silenziosi: lei preoccupata, lui indifferente.
«Sta cedendo.» mormorò Lumbar intensificando gli incantesimi. «Non mollare, nipote.» disse beccandosi un’occhiata stupita da Fili. «Non ti azzardare a mollare.»
«Tauriel.» la richiamò Legolas prima di lasciare definitivamente quella casa.
L’elfa lo seguì, ma si bloccò sulla porta quando un altro gemito di dolore di Kili la raggiunse, facendola voltare. Legolas, intanto, inseguiva gli orchi e li uccideva appena passava loro accanto. Tauriel era combattuta, passava lo sguardo da Kili a Legolas, che si allontanava sempre più, quando un rumore di passi attirò la sua attenzione e quella di Lumbar. Bofur era tornato. Finalmente.
«Athelas.» disse l’elfa, incredula, prendendola al nano. «Athelas…»
«È il momento di scegliere, Tauriel.» commentò Lumbar comprendendo la sua lotta interiore. «Non lasciare che siano gli altri a decidere per te. Non c’è niente di male in ciò che provi.»
«Che stai facendo?» chiese Bofur, non comprendendo il motivo per cui l’elfa gli avesse preso l’Athelas.
«Io sto per salvarlo.» affermò lei.
«Allora ti conviene sbrigarti.» commentò Lumbar. «I miei incantesimi non sono più sufficienti.» un brivido le percorse il corpo, facendola preoccupare per un attimo: era un brivido interno, che riguardava Thorin. Quando, però, l’elfa la raggiunse si concentrò solo su Kili.
Lo spostarono sul tavolo mentre Tauriel lavava l’Athelas, poi i nani lo immobilizzarono come poterono nonostante lui continuasse a muoversi.
«Non puoi addormentarlo di nuovo?» domandò Fili a Lumbar.
Lei scosse la testa. «Se lo addormentassi adesso, non ci sarebbe garanzia del suo risveglio.» osservò la sua mano diventare luminosa e la strinse a pugno per farla ritornare normale. Sperò che nessuno degli altri l’avesse notato.
«Tenetelo giù.» ordinò Tauriel affiancandola e posizionandosi davanti alla ferita. La osservò per un istante, prima di posare lo sguardo sulla ragazza.
«Sì, lo so. Perchè credi che non l’abbia lasciato un secondo?» confermò lei. Kili doveva essere morto da giorni, lo sapevano entrambe, ma lei l’aveva tenuto in vita con tutto quello che aveva. «Tu usa l’Athelas, io penso al resto.» la istruì.
«Ma tu…» protestò l’elfa indicando la mano dell’altra. Doveva aver visto cos’era successo.
«Fallo.» la bloccò sotto gli sguardi confusi degli altri.
Tauriel si riconcentrò sulla ferita, nonostante non fosse d’accordo con lei. Pronunciò diverse parole elfiche con l’Athelas triturata tra le mani, poi mise l’erba sulla ferita facendo urlare il ragazzo. Lumbar, d’altro canto, prese a sussurrare ininterrottamente una cantilena dietro l’altra con una mano poggiata sul suo petto all’altezza del cuore e l’altra vicino alla ferita: stava assorbendo direttamente il veleno dal corpo del ragazzo; se non l’avesse fatto, mentre l’altra lo curava, sarebbe sicuramente morto. Doveva salvarlo, non le importavano le conseguenze. Sigrid e Tilda si unirono ai nani nel tentativo di tenere fermo Kili, mentre Lumbar e Tauriel continuavano a pronunciare parole che gli altri non potevano capire.
Dopo qualche minuto Kili cominciò a calmarsi, sorprendendo i nani che passavano lo sguardo dall’elfa alla loro amica non credendo ai loro occhi. Le due continuarono imperterrite e Kili, smise del tutto di agitarsi, voltando poi il volto per osservare l’elfa che ricambiò lo sguardo, pur continuando a curarlo. Nonostante la gravità della situazione Lumbar non potè fare a meno di sorridere: era felice che i sentimenti di entrambi fossero ricambiati.
Una volta terminato il processo le due si rilassarono.
«Riposati.» disse Tauriel a Lumbar attirando l’attenzione dei nani e dei figli di Bard. «Hai rischiato troppo. Devi riposare.» commentò indicandole la mano che aveva ripreso a brillare e spostando su di essa l’attenzione di tutti. «Penso io a bendarlo.»
Lumbar sbuffò, stringendo la mano a pugno un paio di volte e facendola ritornare normale, poi si sedette vicino a Kili, decisa a tenerlo d’occhio fino a quando non avesse ripreso un po’ le forze.
«Tauriel…» mormorò Kili una volta che lei ebbe finito di bendargli la ferita. Lumbar distolse lo sguardo, puntandolo fuori dalla finestra, per dare loro una parvenza di intimità.
L’elfa si voltò verso il nano. «Sta fermo.» gli disse dolce, con un piccolo sorriso sulle labbra. Lumbar poteva sentire che fosse felice che si sentisse meglio anche senza guardarla.
«Tu non puoi essere lei.» riprese il giovane nano. «Lei è molto lontana… lei… lei è molto molto lontana da me. Lei cammina nella luce delle stelle in un altro mondo. È stato un sogno e basta.» disse in preda alla febbre.
Lumbar vide con la coda dell’occhio le dita delle loro mani intrecciarsi e il giovane osservarle.
«Credi che avrebbe potuto amarmi?» continuò guardando l’elfa.
Lei lo osservò di rimando, ma un terremoto più forte del precedente le impedì di rispondere.
Lumbar, che già osservava la Montagna, capì subito cosa fosse successo e si voltò velocemente verso gli altri.
«È Smaug.» affermò mentre nani e umani si guardavano intorno preoccupati. «Sta venendo qui, pronto a bruciare tutto.» si alzò nonostante la debolezza che sentiva. «Dovete andarvene. Nessuno di voi può affrontarlo.»
«E tu che farai, zia?» domandò Fili mentre si avvicinava al fratello per aiutarlo a mettersi in piedi. Si leggeva chiaramente la preoccupazione sui loro volti, così come su quelli degli altri.
Lei sospirò, prima di rimettersi il cappuccio. «Ho un conto in sospeso da chiudere con quel lucertolone.»
«Non puoi combatterlo.» la fermò Tauriel. «Non nelle tue condizioni. Sei senza forze e con il veleno degli orchi in circolo.»
«Il veleno non mi ucciderà.» la tranquillizzò lei. «Inoltre, se non lo affronto morirete tutti. E non solo voi.» aggiunse mettendo fine al discorso. «È il momento di scoprire se ciò che ho visto centosettantuno anni fa è davvero possibile.»
«Non c’è tempo.» disse Tauriel dopo essere uscita e aver visto il drago sopra la città. «Dobbiamo andarcene.»
«Fallo alzare.» aggiunse Bofur a Fili, riferito al fratello. «Forza forza, andiamo.»
«Coraggio fratello.»
Kili si spostò infastidito dalla sua presa. «Sto bene. Posso camminare.»
«Non sforzarti.» lo redarguì Lumbar. «Altrimenti perderai le poche forze che ti sono tornate. E io non posso passartene altre: mi serve tutto ciò che mi è rimasto per fare quello che ho in mente.»
«Il più in fretta possibile.» ribadì l’elfa passando i cappotti alle figlie di Bard.
«Noi non ce ne andremo.» protestò Bain. «Non senza nostro padre.»
«Se restate le tue sorelle moriranno.» spiegò Tauriel con voce calma. «È questo che tuo padre vorrebbe?»
«Inoltre mi servirà il suo aiuto per abbattere quella lucertola troppo cresciuta.» dichiarò Lumbar facendolo voltare verso di lei. «Qualcuno dovrà pur lanciare quella freccia. E no.» anticipò il ragazzo. «Tu non puoi farlo. Devi prenderti cura delle tue sorelle.»
Una volta pronti salirono tutti sulla barca ormeggiata sotto la casa e la fecero scivolare sull’acqua mentre, intorno a loro, la gente nel panico tentava di allontanarsi dalla città, con Smaug che passava sulle loro teste a bassa quota facendo salire il terrore.
Un brivido gelido percorse la schiena di Lumbar facendole alzare immediatamente lo sguardo: Smaug stava scendendo in picchiata sulla città, e lei comprese subito che stava per attaccare. Cosa che fece appena fu abbastanza vicino: sputò fiamme incandescenti su ogni centimetro della città che si ritrovò davanti, illuminando la notte come se fosse giorno.
Ovunque si sentivano le urla di dolore delle persone bruciate dal fuoco del drago, e di terrore per ciò che sapeva sarebbe successo ancora.
Smaug colpì una seconda volta, poco dietro la loro barca, e poi una terza, distruggendo case e pontili come se fossero fatti di carta. L'aria si riempì di fumo e odore di carne e legno bruciati.
Quando arrivarono nel corso principale si scontrarono con la barca del governatore, che l’uomo aveva riempito d’oro al posto delle persone, a parte quelle necessarie per governarla. Lasciarono loro il passaggio, disgustati, mentre si tenevano per non finire nelle gelide acque del lago.
Smaug continuò a sorvolare la città bruciando tutto ciò che vedeva, mentre la campana suonava l’allarme senza sosta e la gente di Pontelagolungo tentava di scappare lontano dalle fiamme.
Erano appena passati sotto una casa quando videro nuove fiamme colpire a pochi passi da loro. Lumbar e Tauriel si scambiarono uno sguardo. L’elfa cercava di mascherare come si sentiva, mentre l’altra non perdeva di vista il drago, pronta a intervenire con la magia nel caso il fuoco avesse rischiato di colpirli. Nel frattempo cercava Bard; non poteva attuare il suo piano senza l’arciere.
Quando lo vide sulla torre campanaria a lanciare comuni frecce verso il drago, non riuscì a credere ai suoi occhi.
«Per tutti i Valar!» esclamò facendo voltare gli altri nella direzione del suo sguardo.
«Pà.» disse incredulo Bain accanto a lei.
«Pà!» gridò Tilda senza, però, riuscire a farsi sentire a causa del fragore delle fiamme e delle grida della gente.
Osservarono Bard lanciare un’altra freccia contro il drago senza mandarla a segno. Le scaglie che lo ricoprivano, infatti, erano troppo dure per essere scalfite da normali frecce. Ecco perchè avevano creato le Lance del Vento e le loro Frecce Nere.
«L’ha colpito!» esclamò Kili. «Ha colpito il drago!»
«No.» mormorò Tauriel.
«L’ha fatto!» ripetè Kili. «Ha colpito il bersaglio, l’ho visto.»
«Le sue frecce non penetrano la sua pelle.» spiegò Lumbar.
«Temo che nulla potrà farlo.» aggiunse Tauriel, perdendo la speranza.
Lumbar lanciò un’occhiata a Bain, consapevole che il ragazzo aveva nascosto la Freccia Nera che Bard gli aveva affidato, e il ragazzo capì subito cosa voleva. Si alzò, si appese a un gancio sotto cui passavano in quel momento e atterrò sul pontile poco distante, facendo preoccupare non poco gli altri che cominciarono a chiamarlo a gran voce.
«Ci penso io. So cosa sta per fare.» disse Lumbar prima di saltare fuori dalla barca e corrergli dietro.
Smaug proseguiva la sua carneficina, spargendo nell’aria l’odore di morte e di carne bruciata e quando passò pericolosamente vicino alla torre campanaria, Bain e Lumbar raggiunsero Bard, dopo una piccola deviazione.
«Papà!» lo chiamò il figlio spuntando dalla botola.
«Bain! Che cosa fai?» esclamò sorpreso l’arciere. «Dovevi andare via! Perchè non sei andato via?»
«Sono qui in tuo aiuto.» spiegò il figlio.
«No!» protestò l’uomo. «Nulla può fermarlo adesso.» concluse voltandosi verso il drago.
«Sbagliato.» affermò Lumbar da sotto il ragazzo.
«Questa forse sì.» confermò Bain alzando la Freccia Nera per mostrarla al padre.
«Quella insieme a una Lancia del Vento e al mio aiuto.» continuò Lumbar.
Bard sorrise. «Bain torna indietro.» disse, poi al figlio. «Vattene via da qui. Ora.»
«Attenti!» gridò Lumbar vedendo il drago planare veloce verso di loro.
Non fecero in tempo a spostarsi che Smaug aveva divelto il tetto della torre, portandosi via la campana.
«Bain!» gridò Bard non vedendo più il figlio.
«Qui!» lo chiamò Lumbar mentre tirava su il ragazzo, che aveva rischiato di precipitare giù dalla torre finendo tra le fiamme sotto di loro.
Assicuratosi che il figlio stesse bene, Bard prese la Freccia dalle sue mani e si voltò verso la zona della città in cui il drago era appena atterrato. Lumbar lo affiancò.
«Chi siete voi, che osate mettervi contro di me?» domandò Smaug facendo risuonare la sua voce oltre le fiamme.
Nessuno dei due rispose e Bard sollevò il suo arco per scagliare la freccia, scoprendo che era a pezzi.
«Questo sì che è un peccato.» osservò sarcastico il drago, facendo un passo nella loro direzione. «Che cosa farete, ora?» chiese avanzando lentamente verso di loro. »Ormai siete abbandonati. Nessun aiuto arriverà.»
«Sto per fare una cosa che vi sconvolgerà.» mormorò Lumbar ai due umani senza farsi sentire dal drago. «Vi darà il tempo di raggiungere la Lancia del Vento, da cui potrete scoccare la Freccia. Cercherò di mostrarvi il punto in cui Girion lo colpì. Sì, Bain.» aggiunse vedendo la sorpresa sul volto del ragazzo. «Gli ha tolto veramente una scaglia. Vedete di non colpire me, però. Per favore.»
«Quello è tuo figlio?» domandò il drago vedendo Bain. «Non potete salvarlo dalle fiamme. Lui brucerà!» affermò avvicinandosi sempre di più, calpestando le case al suo passaggio.
«Lo colpirò da qui.» asserì Bard facendola voltare.
«Cosa?»
L’uomo aveva piantato i resti dell’arco in due pali di legno, creando una rudimentale balestra gigante, e stava usando il figlio come appoggio per la Freccia.
Lumbar sbuffò. «Vedi comunque di non colpirmi.» poi si tuffò nel vuoto facendo urlare l’uomo dalla sorpresa.
Lo ignorò, concentrando tutte le sue energie nell’unica cosa che aveva in mente: mutare come continuava vedere nei suoi sogni. Funzionò. Fu straziante, in ogni significato del termine. Sentì le sue membra strapparsi, le sue ossa sfaldarsi e crescere, così come il suo corpo che cercava di assecondare quella magia che mai aveva provato. Fu una delle cose più dolorose che provò in tutta la sua vita, ma quando la sofferenza scemò, dopo un tempo che le parve infinito, non aveva più l’aspetto da elfa che la caratterizzava fino a qualche momento prima. Adesso aveva le dimensioni di Smaug, che si era fermato incredulo davanti a lei per studiarla, e gli assomigliava in tutto. Tranne che per il colore delle scaglie che rispecchiava quello dei suoi capelli, creando un insieme di nero e bianco che la faceva risaltare ancora di più a causa delle fiamme che li circondavano.
Lumbar si erse in tutta la sua nuova grandezza, ignorando l’assenza di energie che l’aveva colpita dopo la mutazione, e parandosi davanti ai due umani per fare loro da scudo momentaneo mentre la osservavano sorpresi. Aveva ragione a dire che li avrebbe sconvolti. E non erano gli unici: attorno a loro la gente aveva urlato sbalordita, a causa dell’inattesa apparizione di un secondo lucertolone.
«Chi sei tu?» chiese Smaug scrutandola e cercando di capire a quale razza appartenesse dal suo odore.
«Non lo sai?» domandò di rimando lei, non muovendosi dalla sua posizione e nascondendo sia al drago che agli umani quanto si sentiva debole.
«Dovrei saperlo?» chiese di nuovo il drago. «Non ho mai sentito parlare di un mutatore di pelle capace di diventare un drago.»
«Ma mi hai comunque già vista.» disse Lumbar. «Anche se non in questa forma.»
Il drago la studiò per diversi secondi, in silenzio. Percorse ogni singolo centimetro del suo nuovo corpo, fermandosi sul colore delle sue scaglie, poi un lampo passò nei suoi occhi. Doveva aver capito.
«Tu…» disse. «Sei quella che mi ha impedito di sterminarli tutti la prima volta. La donna che, con la sua magia, salvò quegli indegni nani e quei poveri sciocchi umani.»
«Beccata.» ammise candidamente Lumbar, mentre le sue labbra di drago si deformavano in quello che doveva essere un sorriso, ma che appariva più come un ghigno. «E ti impedirò di farlo anche oggi.» affermò.
State pronti. disse nella mente di Bard.
L’uomo non si scompose, dopo averla vista diventare un drago il fatto che potesse parlargli nella mente lo trovava quasi scontato, e si preparò a lanciare la freccia nel punto che lei gli avrebbe indicato.
«Ne dubito. Tu sei un drago da qualche minuto. Io, invece, lo sono da qualche millennio.» rispose Smaug preparandosi a colpirla con le sue fiamme.
Lumbar fu più veloce e gli lanciò contro una piccola palla di fuoco bianco, colpendolo al muso e distraendolo. Subito dopo ne lanciò un’altra all’altezza del cuore, proprio dove si trovava la scaglia mancante, e si spostò per permettere a Bard di lanciare la Freccia.
Adesso! gridò nella mente dell’uomo.
Lui non perse tempo e lasciò partire la freccia. Quella volò a gran velocità verso Smaug, che nel frattempo aveva cominciato a correre contro di loro nel tentativo di azzannarli.
La Freccia lo colpì nel punto prestabilito, ma lo slancio del drago costrinse Lumbar a mettersi davanti alla sua traiettoria per impedirgli di uccidere i due umani, ma facendo comunque cadere distrutta la torre.
Lumbar sentì Bard e Bain urlare e tentò di creare una bolla protettiva attorno a loro, come aveva fatto per i nani sulle Montagne Nebbiose. Sperò di esserci riuscita nonostante le poche forze che aveva.
Lei e Smaug rotolarono avvinghiati in mezzo alle case in fiamme, distruggendole, mentre tentavano di mordersi a vicenda per mettere fine a quello scontro. Smaug riuscì a spiccare il volo e lei, dopo un attimo di smarrimento dovuto alla mancanza di energie, fu in grado di seguirlo in cielo. Lo vide tentare di sputare fuoco contro di lei, mentre si lamentava e ruggiva a causa della ferita inflittagli dalla Freccia, ma Lumbar fu più veloce. Con una potente fiammata bianca e nera lo spedì in mezzo alla città bruciante, facendolo atterrare sul corso d’acqua principale, dove affondò morto.
Lumbar si tenne sospesa a mezz’aria, assicurandosi che non risalisse dalle profondità del lago e che fosse morto davvero. Poi si concentrò e, nelle ore successive, assorbì le fiamme che stavano devastando Pontelagolungo. Le ci volle tutta la notte, per riuscirci, e terminò quando ormai il sole era sorto. Aveva ignorato lo scintillio che aveva cominciato a scaturire dalle sue squame per ore, indice che stava rischiando troppo sforzandosi in quel modo, continuando imperterrita la sua opera per soffocare le fiamme del drago.
“Non ora non ora non ora.” mormorò quando si accorse che una visione la stava per colpire. Era ancora a mezz’aria, in forma di drago, e se fosse caduta preda di una visione in quel momento sarebbe probabilmente morta. Così concentrò quelle pochissime energie che le rimanevano per soffocare la visione e volare silenziosamente verso la zona in cui gli abitanti di Pontelagolungo si stavano radunando.
Aveva appena individuato Bard e Bain che abbracciavano Tilda e Sigrid mentre la gente di Pontelagolungo acclamava l’arciere, quando un mancamento le fece perdere quota spaventando gli umani sotto di lei.
«Fate spazio!» gridò Bard facendo in modo che si spostassero per permetterle di atterrare.
Prima che riuscisse a toccare terra, però, mutò tornando alle sue sembianze e cadde come un burattino a cui hanno tagliato i fili. Bard accorse subito in suo aiuto, voltandola su un fianco per notare che respirava ancora, nonostante sembrasse priva di conoscenza. Il suo corpo continuava a brillare, anche se debolmente e Bard non riusciva a distogliere lo sguardo da quello strano fenomeno.
«Ho osato troppo.» mormorò Lumbar, spaventandolo.
«Cosa?» domandò l’uomo, non capendo cosa intendesse.
«È per questo che brillo. Ho osato troppo.» spiegò.
«Hai rischiato di…» comprese lui.
«Non ha importanza. Ho fatto ciò che dovevo. E ha funzionato, a quanto pare.» si rese conto mentre si rimetteva in piedi aiutata dall’arciere.
«Aspetta… quando ti sei buttata non sapevi se il tuo piano avrebbe funzionato?» domandò incredulo Bard, mentre la gente di Pontelagolungo li osservava.
«Non esattamente.» ammise lei. «Sapevo di poterlo fare, teoricamente. Ma era la prima volta che ci provavo.» spiegò. «Non capita tutti i giorni di avere un motivo per tentare di mutare in un drago.» gli fece notare. «E vedo che la bolla protettiva ha funzionato: tu e Bain non vi siete schiantati quando la torre è crollata. Non ero sicura di esserci riuscita, ero un po’ impegnata con quel lucertolone.»
«Ci hai salvato la vita.» affermò Bard. «Grazie.»
«Figurati.» si voltò in cerca di Fili, Kili, Bofur e Oin, ma non li vide. «Dove sono i nani?»
«Sono andati via.» rispose Tilda.
«Verso la Montagna?» le domandò Lumbar.
La piccola annuì. «Hanno detto che erano sicuri li avresti raggiunti una volta tornata normale.»
«Capisco. Grazie per avermelo detto Tilda.»
«Tu hai protetto papà e Bain.» disse in risposta lei, facendola sorridere.
«L’ho fatto perchè era la cosa giusta, non per avere qualcosa in cambio.» replicò tranquilla. «Salvare una vita, due in questo caso, è sempre giusto.»
«Ne hai salvate più di due.» intervenne Bain. «Se non ci avessi aiutati saremmo morti tutti.»
La gente cominciò a dargli ragione, acclamando Lumbar, ma Bard riportò l’ordine.
«L’inverno è alle porte.» disse. «Dobbiamo pensare a noi. Ai malati. Agli indifesi. Chi può stare in piedi badi ai feriti. E chi ha ancora le forze mi segua. Dobbiamo salvare quello che possiamo.»
«E dopo?» chiese una donna. «Che faremo dopo?»
«Troveremo riparo.» rispose sincero l’arciere prima di dirigersi verso ciò che restava della città.
Lumbar lo affiancò. «Io devo andare alla Montagna. Devo assicurarmi che gli altri stiano bene e devo controllare la ferita di Kili.» spiegò all’uomo. «Quel ragazzo è testardo, ma se non riposa rischia di aggravare di nuovo le sue condizioni. E io non ho abbastanza energie per guarirlo, ora. Riesco a malapena a stare in piedi.»
«E come pensi di raggiungerli?» le chiese.
«Mi basta un pezzo di legno che galleggia e un palo da usare come remo, non preoccuparti.»
Lui la osservò per qualche istante poi annuì, concorde. «Va bene.»
Lei gli sorrise. «Ci vedremo prima di quanto immagini.» asserì. «Prenditi cura della tua gente.» poi si voltò e corse verso la riva del lago.
Individuò ciò che le serviva, una tavola di legno che galleggiava poco lontano e una trave spezzata, e si preparò a partire. Quando si girò un’ultima volta verso la riva vide Legolas e Tauriel che la osservavano, lei con lo sguardo triste e lui preoccupato.
«Fate attenzione.» disse loro.
Entrambi annuirono, poi Lumbar si voltò e si diede la spinta per cominciare la traversata.

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Capitolo 13
*** 11. Le nuvole si addensano... ***


Ci volle meno di quanto aveva pensato e, una volta giunta dall'altra parte, si mise in cammino a passo sostenuto raggiungendo i nani mentre costeggiavano Dale. Fortunatamente aveva smesso di brillare poco prima di arrivare a riva, nonostante le sue energie scemassero sempre di più.

"Potevate aspettarmi." affermò facendoli voltare di scatto.

"Lumbar!" esclamarono andando a salutarla.

"Eravamo sicuri che ci avresti raggiunto, zia." disse Kili.

"Certo che l'avrei fatto." confermò lei studiando il volto del ragazzo. "Tu sei ancora convalescente e, testardo come sei, so di doverti costringere al riposo per farti guarire."

"Mi conosci bene." osservò il giovane.

"Sei testardo come tuo zio. Dev'essere una caratteristica di famiglia esserlo più degli altri." riflettè la ragazza.

"Qualcosa mi dice che tu sia come noi, zia." si intromise Fili facendo un sorrisetto.

"Non dire sciocchezze, nipote." rispose lei con lo stesso sorrisetto. "Io sono peggio." affermò facendolo ridere. "Andiamo adesso. Sicuramente ci stanno aspettando."

Si rimisero in cammino, arrivando alle porte di Erebor, da cui era uscito Smaug, dopo qualche ora. Il drago aveva creato un gigantesco buco, lasciando macerie tutt'intorno e i cinque membri della compagnia corsero dentro per assicurarsi che gli altri fossero ancora vivi.

"C'è nessuno?" gridò Bofur una volta superate le porte di pietra. "Bombur? Bifur!" l'eco espandeva la sua voce nel silenzio. "Qualcuno!" continuò inoltrandosi un po' all'interno del salone d'ingresso.

Lumbar li condusse nelle profondità della Montagna, attraverso corridoi e scale che ricordava perfettamente nonostante gli anni passati.

"Aspettate!" gridò qualcuno poco distante da loro. "Aspettate!"

"È Bilbo." comprese Oin mentre Lumbar si era già voltata verso dove proveniva la voce del mezzuomo.

"È vivo." disse Fili.

Lumbar lo vide correre verso di loro, agitato. "Fermi! Fermi. Fermi." concluse bisbigliando e fermandosi davanti a loro. "Dovete andarvene." affermò stupendoli mentre una brutta sensazione faceva rabbrividire la ragazza. "Noi tutti dobbiamo andarcene."

"Ma siamo appena arrivati!" protestò Bofur.

"Ho tentato di parlargli ma non ascolta." continuò Bilbo confondendo ancora di più i nani.

Lumbar, d'altro canto, aveva capito subito e il suo volto si faceva pian piano sempre più bianco, mentre il suo sguardo si spegneva.

"Che... vuoi dire, ragazzo?" chiese Oin.

"Thorin." disse Lumbar, stupendoli.

"Sì." confermò Bilbo. "Thorin è laggiù da giorni. Non dorme, mangia a stento. Non è in sè. Affatto. È questo... è questo posto. Credo sia affetto da una malattia."

"Malattia?" domandò Fili.

"Che tipo di malattia?" chiese Kili, agitato.

Fili corse giù per le scale, ignorando i richiami di Bilbo, e tutti gli andarono dietro. Lumbar diventava sempre più pallida con il trascorrere dei minuti. Scesero parecchie scale, inoltrandosi nelle profondità della montagna, fino ad arrivare alle immense sale del tesoro. Si fermarono su una piccola altura a osservarle nella loro interezza: ovunque posassero lo sguardo giganteschi cumuli di monete d'oro, gioielli e pietre preziose facevano mostra di sè, illuminando l'oscurità della Montagna. Sembravano non avere fine.

Dei lenti passi poco distanti attirarono la loro attenzione.

"Oro." disse a bassa voce qualcuno che riconobbero come Thorin. "Oro oltre ogni misura." continuò senza dare segno di averli notati e guardandosi intorno. "Oltre ogni afflizione. E dispiacere." alzò lo sguardo su di loro.

Era uno sguardo cupo come i giovani nani non l'avevamo mai visto, molto diverso dallo sguardo che aveva normalmente. Era uno sguardo che Lumbar aveva già notato una volta, tanti anni prima, in un vecchio amico che aveva perso il senno. La ragazza divenne ancora più pallida di quanto fosse prima e barcollò leggermente, ma i nani non lo notarono: erano troppo concentrati sul cambiamento del loro capo. Nemmeno lui ci fece caso, e questo comportamento non fu altro che una conferma di quello che già lei temeva.

"Ammirate." disse loro Thorin, scandendo ogni parola. " Il grande tesoro di Thror." lanciò a Fili quello che sembrava un rubino grande quanto una mela. "Benvenuti, figli di mia sorella, qui nel Regno di Erebor." concluse con un ghigno.

Dopo qualche istante di tentennamento, Bilbo li condusse nella sala in cui erano gli altri, lasciando Thorin nelle sale del tesoro.

"Balin!" esclamò Bofur quando li raggiunsero, facendoli voltare.

I nani si abbracciarono ripetutamente, felici di essere vivi e di essere scampati al drago. Lumbar si tenne in disparte, troppo sconvolta e preoccupata a causa di ciò che aveva visto e senza le energie sufficienti per festeggiare. Dovette appoggiarsi alla parete alle sue spalle per non cadere, cominciava a faticare a stare in piedi, e rimase a osservare i nani raccontarsi reciprocamente quello che era successo dopo che si erano separati.

Dopo poco Thorin li richiamò, ordinando loro di cercare l'Archengemma e dicendo che nessuno avrebbe riposato fino a quando non l'avessero trovata.

Lui osservava le ricerche dall'alto, insieme a Bilbo e Lumbar, che continuava a sentirsi sempre più debole. Fu in quel momento che venne colta di sorpresa da una visione.

 

Gandalf era ancora prigioniero in quella gabbia sospesa e mormorava debolmente un incantesimo. Lumbar riusciva a sentire la voce di Radagast fare lo stesso, ovunque lo stregone Bruno si trovasse.

Un orco si avvicinò a Gandalf, prendendo la sua gabbia e sbattendola a terra, incurante dello stregone al suo interno. "Gli incantesimi non ti salveranno, vecchio." affermò nella sua lingua, aprendo poi la porta della gabbia e tirandolo fuori malamente. "Hai una cosa che il mio Padrone vuole." continuò sollevandolo e sbattendolo forte a terra. "Dov'è? Uno dei tre Anelli Elfici." Lumbar, preoccupata, sperò che non glielo prendesse. Lui non sarebbe mai dovuto entrarne in possesso.

Gandalf prese una catena da terra e la usò come frusta, colpendolo al volto. L'orco sputò del sangue senza emettere un lamento, come se non fosse successo niente, e lo sollevò di peso. Lo girò e gli prese la mano sinistra, mettendo in mostra un vistoso anello d'argento di fattura magica con un rubino.

"L'Anello di Fuoco." disse L'orco. "Dove sono gli altri?" chiese senza ricevere risposta.

Lumbar sentì la sua presenza prima ancora di vederla e si voltò nella sua direzione con un leggero sorriso. Ora c'era una possibilità che il suo amico si salvasse. La vide avanzare attraverso le rovine, pur rimanendo al fianco dello stregone. Gandalf, intanto, venne trascinato verso un blocco di pietra su cui l'orco costrinse la sua mano sinistra. L'essere era pronto a tagliarla via per impossessarsi dell'Anello. Aveva appena alzato la lama, pronto a sferrare il colpo, quando si accorse della presenza di Galadriel dietro di loro che avanzava lentamente. L'orco si voltò a osservarla con sguardo assassino.

"Io vengo per Mithrandir." affermò la Dama elfica. "E me ne andò con lui."

L'orco spostò Gandalf con una spinta, facendolo rotolare sul pavimento, e si voltò per fronteggiare Galadriel. Lei non fece una piega.

"Se proverai a fermarmi." gli disse avanzando lentamente. "Io ti distruggerò."

L'orco ringhiò, poi si slanciò verso di lei con la spada alzata. Galadriel mosse il braccio dal basso verso l'alto, facendo uscire una forte luce bianca dal palmo della mano che disintegrò l'orco.

La dama elfica si diresse verso lo stregone, incosciente, e lo sollevò, camminando poi nella fortezza diretta all'uscita.

"Tre anelli ai re degli elfi sotto il cielo che risplende. Sette ai principi dei nani nelle loro rocche di pietra." si sentì rimbombare tra le solitarie mura di Dol Guldur, portando Galadriel a fermarsi. L'elfa era impaurita da quella voce, Lumbar poteva vederlo chiaramente.

"Nove agli uomini mortali che la morte attende." concluse Galadriel mentre attorno a lei apparvero i nove spettri corrotti dei re mortali, che si erano schierati dalla parte di Sauron. Gli stessi Nove di cui Gandalf aveva esplorato le tombe in precedenza.

Gli Spettri circondarono Galadriel, costringendola a poggiare a terra Gandalf per decidere come uscire da quella situazione. Si accovacciò mettendo la testa dello stregone sulle sue gambe.

"Non puoi combattere l'ombra." disse l'essere espandendo la voce in tutta la fortezza. "Perfino ora ti affievolisci. Una luce da sola nel buio."

Lumbar sorrise a quell'affermazione. Galadriel alzò lo sguardo. "Io non solo sola." disse.

Il leggero suono di passi tranquilli e misurati alla sinistra dell'elfa si espansero nel silenzio che li circondava, rivelando l'avanzata di re Elrond. L'elfo si fermò e sguainò la sua spada, osservando i Nove, per poi puntare lo sguardo su Saruman che li aveva raggiunti da un altro sentiero. Erano entrambi nel cerchio dei Nove, ai loro fianchi.

"Necessiti di assistenza, mia Signora?" domandò Saruman rivolgendosi a Galadriel.

Due Spettri gli si misero davanti per impedirgli di avvicinarsi. Lui li osservò mentre Elrond avanzava.

"Saresti dovuto restare morto." disse l'elfo al capo dei Nove, cominciando a combattere con lui. Saruman fece lo stesso e, ben presto, entrambi si ritrovarono a spostarsi nello spazio di quella piazza, girando attorno a Galadriel e allo stregone mentre cercavano di liberarsi degli Spettri.

Galadriel si concentrò su Gandalf. "Mithrandir." lo chiamò preoccupata accarezzandogli il volto. "Ritorna."

Lumbar si sentiva impotente mentre osservava lo stregone Bianco e l'elfo combattere contro gli Spettri, ma non sapeva come avrebbe potuto intervenire, e nemmeno se poteva farlo. Il giorno prima era riuscita, per la prima volta, a indurre una visione e a respingerne un'altra, ma da lì ad agire all'interno di una di esse ne passava di acqua sotto i ponti. Non sapeva nemmeno se fosse effettivamente possibile. In ogni caso essere così impotente la stava distruggendo.

Galadriel baciò sulla fronte Mithrandir, come a confortarlo, e lui riprese a respirare facendo fare un sospiro di sollievo sia all'elfa che a Lumbar. Gandalf aprì gli occhi, agitato, e si rivolse a Galadriel. "È qui... è..." disse a fatica.

"Sì." rispose lei. "L'oscurità è tornata."

Elrond e Saruman continuavano a combattere i Nove, proteggendoli e incuranti della stanchezza, quando Radagast, in sella alla sua slitta trainata da conigli, li raggiunse.

"Forza!" li incitava.

Il Bruno fermò la slitta accanto a Galadriel e Gandalf.

"Gandalf! Salta su!" esclamò all'amico avvicinandosi a Galadriel.

"È debole." spiegò lei, a fatica. "Non può restare qui. Gli sta prosciugando la vita."

Il bruno salì nuovamente sulla sua slitta, pronto a portare via il suo amico come richiesto dall'elfa.

"Va, presto." lo incitò lei, prima che la sua mano venisse presa da Gandalf. Il grigio non voleva lasciarla.

"Vieni con me, mia Signora." le disse.

Lei per un attimo sorrise, poi un immenso dolore passò sul suo volto e tolse la mano dalla presa dello stregone, mentre sul volto di lui si faceva strada la consapevolezza.

Galadriel si voltò verso Radagast, rilasciando il suo potere e diventando bianca e brillante come una stella. "Va!" gli ordinò prima di tornare normale e accasciarsi al suolo. Radagast si allontanò di corsa, portando via Gandalf, mentre Elrond e Saruman continuarono a combattere. Quando, finalmente, i due riuscirono ad allontanare i Nove, Elrond si avvicinò a Galadriel per controllare le sue condizioni, ma appena si fu accovacciato accanto a lei un rumore alle sue spalle attirò la sua attenzione e quella dello stregone bianco: una colonna di pietra era esplosa in mille pezzi con un suono stridulo in sottofondo, dando vita all'occhio di fuoco di Sauron.

"È iniziato." sibilò con la sua voce spettrale mentre Elrond e Saruman alzavano le armi nella posizione di difesa. "L'Est cadrà. E così sorgerà il regno di Angmar. Il tempo degli elfi è finito. L'età degli orchi è arrivata." aveva richiamato i Nove che ora si stagliavano in fila davanti a loro, minacciosi.

Prima che Elrond o Saruman potessero fare qualcosa, Galadriel si alzò in piedi, il corpo luminescente, ma di una luce oscura, così come la sua veste, e allungò una mano aperta davanti a sè sprigionando un potente fascio di luce verso gli stregoni, facendoli sparire.

"Tu non hai alcun potere qui." disse l'elfa con una voce ultraterrena, mentre il fuoco dell'occhio spariva lasciando solo la sagoma umana dell'essere. "Servo di Mordor." Sauron tentò di opporsi, cercando di riaccendere le fiamme. "La tua luce non è abbastanza forte per opporsi a me. E neanche la loro. Per questo cadranno." sibilò.

"Ma la sua lo è." rispose Galadriel continuando a cercare di distruggerlo. "E ti fermerà, come ha già fatto."

"Ma lei non è qui, adesso. Come pensi che potrà salvarvi?" le domandò minaccioso riaccendendo le fiamme dell'occhio e facendo fare un passo indietro a Galadriel.

Lumbar appoggiò una mano sulla spalla dell'elfa, pregando i Valar che riuscisse ad aiutarla, e le passò il suo potere permettendole di ritornare stabile e di continuare. "Sono qui." sussurrò.

"Sbagli." affermò Galadriel al suo avversario. "Lei è qui, adesso." Elrond e Saruman la guardarono sorpresi e gli sembrò, per un attimo, di vedere la sagoma di Lumbar accanto a quella dell'elfa. "Tu sei senza nome. Senza volto. Senza forma." a ogni parola le pietre intorno a loro crollavano a causa dello scontro tra poteri. "Ritorna nel vuoto da cui tu sei venuto!" concluse spedendolo lontano, nelle profondità di Mordor.

L'attimo dopo la luce dell'elfa scomparve ed Elrond dovette sostenerla per non farla cadere al suolo priva di forze.

"Siamo stati ingannati." comprese vedendo la direzione che aveva preso l'essere, mentre Galadriel tremava tra le sue braccia.

"Lo spirito di Sauron ha resistito." disse voltando il volto verso Saruman. "Lei aveva cercato di avvertirci."

"Ed è stato bandito." concluse il Bianco.

"Fuggirà verso Est." continuò Galadriel.

"Gondor deve essere avvertita." asserì Elrond alzandosi, pronto a partire. "Devono mettere guardie sulle mura di Mordor."

"No." lo fermò lui. "Bada a Lady Galadriel." quando Elrond si era alzato l'elfa si era aggrappata alla sua mano, troppo stanca per reggersi anche solo a sedere. "Ha consumato molto del suo potere. Le sue forze vengono meno. Portala a Lothlorien."

"Mio Signore Saruman..." tentò Elrond. "Occorre dargli la caccia e distruggerlo. Una volta per tutte."

"Senza l'Anello del Potere Sauron non potrà più usare il dominio sulla Terra di Mezzo." ribattè Saruman.

Galadriel si accasciò sulla gamba di Elrond, ormai senza forze. Lumbar le mise una mano sul braccio, passandole altra energia.

L'elfa la sentì. "Grazie, amica mia." disse piano facendola sorridere. Lumbar era felice di essere riuscita ad aiutarla, anche se poco.

"Andate, ora." disse Saruman. "Lasciate Sauron a me."

 

La visione sfumò, ma Lumbar venne catapultata in un'altra senza riprendere conoscenza.

 

Davanti a lei Gandalf e Radagast erano appena arrivati alla dimora dello stregone bruno.

"Mi serve quel cavallo." asserì il Grigio scendendo in fretta dalla slitta e indicando un cavallo poco distante.

"Cosa? Gandalf dove vai?" protestò il Bruno seguendolo.

"Ad avvertire Erebor." il Grigio si voltò a guardarlo. "Non sanno cosa sta per arrivare. Le ho viste con i miei occhi: schiere su schiere di orchi di Moria." continuò sorprendendo il Bruno. "Convoca i nostri amici, uccelli e Bestia. La battaglia per la Montagna sta per iniziare." poi si voltò avvicinandosi al cavallo.

"Apetta!" lo richiamò Radagast. "Prendi questo." aggiunse porgendogli il suo bastone. "Se quello che dici è vero ne avrai più bisogno di me. Non temere, sono sicuro che lei lo sappia. Li allerterà."

Gandalf gli strinse una mano. "Grazie." poi si voltò e riprese il cammino.

"Ti devo avvertire! Può... fare cilecca qualche volta... devi soltanto... giostrare con la sommità." gli gridò Radagast facendo sospirare Lumbar con un lieve sorriso sul volto. "Ma immagino te la caverai." concluse a voce bassa.

Lumbar venne riportata alla realtà.

 

Sospirò pesantemente, riaprendo gli occhi e ritrovandosi stesa per terra. Accanto a lei Bilbo la osservava preoccupato, mentre Thorin non aveva distolto lo sguardo dal tesoro.

Lo hobbit sospirò, sollevato. "Meno male, stai bene." le disse mentre la aiutava a mettersi seduta. "Ci hai fatto preoccupare."

Lei lanciò un'occhiata al nano prima di riconcentrarsi su Bilbo. "Non si direbbe." mormorò a voce quasi inudibile.

Lo hobbit sospirò prima di alzarsi e correre verso la fine della balaustra. "Si è svegliata! Sta bene!" gridò facendole alzare un sopracciglio.

La confusione della ragazza venne spazzata via quando sentì le esclamazioni sollevate degli altri membri della Compagnia, sparsi nella sala.

Bilbo tornò da lei. "Come ti senti?"

"Meglio di altri." ammise lei ripensando alle visioni.

Gandalf sembrava stare bene, ma Galadriel aveva rischiato molto. Se lei non fosse riuscita ad aiutarla, e ancora non sapeva come aveva fatto, probabilmente non sarebbe sopravvissuta. E con lei sarebbero morti anche Elrond e Saruman. Sospirò sollevata sapendo che stavano bene, poi riconcentrò l'attenzione sul giovane amico davanti a lei.

"Cos'è successo?" gli chiese.

Lo hobbit lanciò uno sguardo preoccupato a Thorin, che non l'aveva guardata neanche un attimo, poi lo riportò su di lei con un sospiro sconsolato. "Sei andata in trance, come succede quando hai una visione, ma più passava il tempo più diventavi pallida. A un certo punto sei crollata a terra e hai cominciato a brillare, facendomi preoccupare, e ho chiamato gli altri." sospirò di nuovo. "Thorin li ha costretti a continuare la ricerca dell'Arkengemma, impedendogli di venire qui. Oin mi ha chiesto di descrivergli i sintomi e poi mi ha spiegato che ti era già successo a Pontelagolungo ma non sapeva perchè. Eravamo tutti preoccupati."

Lei non disse niente, piuttosto scettica riguardo l'ultima frase e lui lo comprese. "T-Thorin ha..." tentò di dire in difesa del nano, ma lei scosse la testa bloccandolo.

"So benissimo perchè fa così." disse. "Non preoccuparti, non è colpa tua. Non è colpa di nessuno di voi." concluse abbassando lo sguardo sulla giacca dello hobbit, lì dove sapeva essere nascosta l'Arkengemma.

Aveva percepito la sua presenza in quella tasca nell'esatto momento in cui l'aveva avuta davanti, ma non aveva detto niente perchè preoccupata per il suo amato. Ora la sua preoccupazione era cresciuta. Lo hobbit sgranò gli occhi quando si rese conto che lei sapeva dove fosse la Gemma, ma lei scosse il capo facendogli capire che non avrebbe rivelato niente. Lo hobbit sospirò sollevato, ma anche più preoccupato di prima notando l'ombra che era calata sul volto della sua amica.

Lumbar sapeva, ormai, cosa doveva fare e, per quanto non le piacesse, sapeva anche che era l'unica possibilità che aveva di salvare tutti. Soprattutto sapendo che Gandalf li stava raggiungendo per avvertirli sugli orchi. Le cose si stavano aggravando sempre di più, riusciva a sentirlo nei capelli che diventavano sempre più neri col trascorrere dei minuti.

 

****

 

"È qui in queste sale." disse Thorin osservando il trono. "Lo so."

"Abbiamo cercato e cercato." rispose Dwalin dietro di lui, affiancato da Balin. Bilbo e Lumbar erano poco distanti da Thorin, alla sua destra.

"Non abbastanza!" lo bloccò Thorin.

"Thorin tutti vorremmo vedere la Gemma al suo posto." gli disse Dwalin.

"Eppure non è stata ancora trovata!" osservò l'altro alzando la voce e facendo sospirare la ragazza.

"Dubiti della lealtà di... qualcuno qui?" chiese Balin dopo un attimo di incertezza, facendolo voltare verso di lui.

Bilbo evitò di guardarlo mentre Thorin scendeva un paio di gradini e gli si fermava accanto.

"L'Archengemma..." continuò Balin. "... è per diritto del nostro popolo."

"È il gioiello del re." disse Thorin lentamente, con voce grave. "Non sono io il re?" urlò facendo cadere il silenzio.

Bilbo lo guardava di sottecchi, mentre Dwalin e Balin non sapevano cosa fare e lanciavano sguardi bisognosi d'aiuto a Lumbar che, però, non distolse mai la sua attenzione da Thorin, vogliosa di capire fin dove si fosse spinta la malattia. Sperava ci fosse ancora una speranza e, se l'avesse vista, avrebbe agito.

Thorin si voltò a guardare il trono, prima di rivolgersi nuovamente ai suoi compagni. "Sappiate questo: se qualcuno dovesse trovarlo e me lo nascondesse io mi vendicherei." concluse avviandosi fuori e passando accanto alla ragazza senza degnarla di uno sguardo. Lei nascose il dolore che la sua indifferenza le provocava, consapevole che fosse la malattia a farlo agire così, e sospirò prima di uscire dalla sala del trono sotto lo sguardo preoccupato degli altri tre. Si rifugiò in una sala piena di libri e pergamene, impolverata e piena di ragnatele, e si appoggiò a una parete. Chiuse gli occhi e riflettè, cercando una scappatoia in quella situazione.

Quando Balin la trovò, diverse ore dopo, stava giocando con qualcosa appeso al collo, ancora con gli occhi chiusi. Quelli del nano erano lucidi di lacrime.

"È quello che penso?" le chiese avvicinandosi per studiare meglio l'oggetto.

Lei aprì gli occhi di scatto; era talmente immersa nei suoi pensieri che non l'aveva sentito arrivare, nè si era accorta di quello che stavano facendo le sue mani. Guardò interrogativa il nano, infatti, non capendo a cosa si riferisse e lui le indicò l'oggetto con un particolare luccichio negli occhi.

Lei sbiancò, comprendendo che ormai non aveva senso nasconderlo. Lui l'aveva visto. Sospirò prima di sfilarsi il cordino dal collo e gli mostrò l'oggetto: era un anello d'argento, visibilmente di fattura nanica e molto pregiato.

Balin lo riconobbe subito. "Sapevo te l'avrebbe chiesto, prima o poi." affermò.

Lei scosse la testa. "È stato prima. Lui neanche se lo ricorda."

"Perchè non ce l'avete detto?" le domandò dolcemente il nano.

Un triste sorriso spuntò sulle labbra della ragazza. "Me lo chiese quel giorno, dopo che gli feci un giuramento." si asciugò una lacrima che, traditrice, le percorreva una guancia. "Non ebbi nemmeno il tempo di dargli una risposta perchè arrivò Smaug e dovemmo correre a mettere in salvo la vostra gente. Dopo non ne abbiamo più parlato, è passato in secondo piano."

"E tu l'hai tenuto appeso al collo per tutti questi anni." terminò Balin.

Lei annuì. "Non avrei mai potuto indossarlo." spiegò. "Non senza che lui lo sapesse. Ma non potevo neanche buttarlo via."

"E ora il suo comportamento nei tuoi confronti ti fa soffrire." disse il nano, riferito all'ignorarla di Thorin, mentre calde lacrime si facevano spazio sul suo volto, tradendo lo stato d'animo che aveva nascosto fino a quel momento.

Lei non infierì, consapevole che si sentissero in due modi molto simili. "Sappiamo entrambi perchè fa così." disse solamente.

Il nano si infilò tra due scaffali impolverati tentando, invano, di asciugarsi le lacrime, quando qualcosa attirò l'attenzione della ragazza facendola voltare verso la porta. Balin seguì il suo sguardo e notarono entrambi il giovane hobbit fare qualche passo avanti titubante. Era visibilmente a disagio, non avendo mai visto Balin piangere.

"La malattia del drago." asserì il nano rispondendo a Lumbar e attirando l'attenzione di Bilbo, che avanzò. "Io l'ho già vista. E anche lei. Quello sguardo... il terribile bisogno... è un amore spietato e geloso, Bilbo. Ha portato suo nonno alla pazzia."

"Balin... se-se Thorin... avesse l'Archengemma..." cominciò lo hobbit con uno strano sguardo che Lumbar non faticò a interpretare. "O se... se venisse trovata... sarebbe di aiuto?" domandò, infine.

"Quella pietra incorona tutto. È la sommità di questa grande ricchezza, conferendo potere a colui che la possiede." spiegò lentamente il vecchio nano. "Arresterebbe la sua pazzia?"

"No." lo anticipò Lumbar, facendoli voltare. "La peggiorerebbe."

"Forse è meglio che rimanga smarrita." concluse il nano guardando il mezzuomo di sottecchi. Anche lui aveva capito dove fosse la pietra.

 

****

 

Lumbar stava passeggiando silenziosamente, e lentamente a causa delle poche forze che la sostenevano, tra i corridoi della fortezza, rimembrando il tempo passato tra quelle mura, quando la voce di Thorin attirò la sua attenzione. Si avvicinò di soppiatto a un incrocio e osservò il nano avvicinarsi allo hobbit. Decise di ascoltare la loro conversazione senza farsi vedere, e si appoggiò al muro per sostenersi, consapevole che, a causa dei troppi sforzi che aveva compiuto nei giorni precedenti, le sue energie ci avrebbero messo molto tempo a tornare come prima.

"L'ho raccolta nel giardino di Beorn." disse Bilbo, riferendosi alla ghianda che aveva in mano.

"E l'hai portata fino a qui..." commentò Thorin con un'espressione che la ragazza non vedeva da un po'. Sembrava fiero e, allo stesso tempo, sorpreso dalla forza dello hobbit. Aveva un nosochè di dolce.

"La pianterò nel mio giardino." spiegò il mezzuomo. "A casa Baggins."

Thorin sorrise, sorprendendo Lumbar. Da quanto non faceva un vero sorriso? Troppo.

"Un misero premio da riportare nella Contea." osservò.

"Beh... un giorno crescerà." disse Bilbo. "E ogni volta che lo guarderò ricorderò. Ricorderò quello che è successo, il brutto, il bello. E la fortuna che ho avuto a tornare a casa."

Thorin sorrise ancora. Lumbar non poteva esserne certa ma le sembrava che avesse gli occhi lucidi, e questo le fece pensare che non era ancora troppo tardi.

"Thorin..." disse Bilbo.

Prima che potesse continuare, Dwalin lo interruppe.

"Thorin." chiamò. "I sopravvissuti di Pontelagolungo stanno confluendo a Dale." lo avvertì avvicinandosi ai due, mentre Scudodiquercia perdeva il sorriso, trasformando il suo volto in quell'espressione rabbiosa e tormentata a cui stavano facendo l'abitudine. "Sono centinaia."

"Raduna tutti alla porta." ordinò prima di dirgercisi lui stesso. "Alla porta! Subito!"

Mise tutti i nani al lavoro, facendo loro ammucchiare pietre e rocce davanti allo squarcio lasciato dal drago quando era uscito, in modo da chiudere l'apertura. Li fece lavorare incessantemente fino a che non fu soddisfatto, ergendo un muro immenso e lasciando solo una piccola apertura, grande quanto un pugno, all'altezza del suo volto, in modo da parlare con le persone dall'altra parte. Prepararono anche delle scale per raggiungere la cima del muro in caso di necessità.

A Lumbar Thorin non disse niente per tutti il tempo, continuando a ignorarla come aveva sempre fatto da quando lei lo aveva raggiunto all'interno della Montagna.

Kili aveva provato a opporsi, facendogli notare che gli uomini avevano perso tutto a causa di Smaug, ma lui era stato irremovibile e un silenzioso gesto negativo della ragazza fece capire al giovane nano che quello non era il momento giusto per affrontare lo zio.

 

****

 

All'alba l'apertura era stata chiusa, Thorin era tornato nelle sale del tesoro insieme ad alcuni nani e Lumbar venne risucchiata in una visione.

 

Vide Gandalf cavalcare a tutta velocità verso la Montagna con un'espressione preoccupata in volto, ma non ebbe modo di vedere altro che la scena sfumò e si ritrovò a Dale.

 

Davanti a lei, Bard passava tra le gente per aiutare e assicurarsi che tutti resistessero, e lei ringraziò silenziosamente che al comando ci fosse lui. In quel modo sapeva che gli umani avevano una speranza. Poi lo vide avvicinarsi ad Alfrid, che si alzò in piedi quando lo salutò.

"Che notizie dal turno di notte?" gli chiese uscendo dal palazzo in cui si erano rifugiati per la notte.

"Tutto tranquillo, signore. Niente da riportare." dichiarò Alfrid. "Non mi sfugge mai niente."

Ma Lumbar stava osservando fuori dal palazzo, piacevolmente sorpresa. Bard sembrava sinceramente confuso.

"A parte un'armata di elfi, a quanto sembra." affermò, rispondendo al commento di Alfrid.

Davanti a loro, infatti, diverse centinaia di elfi in armatura dorata si misero sull'attenti mentre il popolo di Pontelagolungo usciva sorpreso.

Bard scese i gradini del palazzo, avvicinandosi alla prima fila di elfi, e loro si spostarono all'unisono per creargli un varco in modo che passasse, richiudendolo poi alle sue spalle. L'arciere continuò a camminare tra i soldati elfici, fino a quando degli zoccoli non attirarono la sua attenzione. Un maestoso cervo su cui sedeva Thranduil, seguito da alcuni cavalieri si dirigeva verso di lui. I soldati, che fino a quel momento davano le spalle al re, si voltarono in sincrono verso di lui.

"Mio Signore Thranduil." disse Bard, mentre il re gli si fermava davanti. "Non pensavamo di vederti qui."

Sinceramente neanche Lumbar pensava che sarebbe uscito dalla foresta. Qualcosa non le tornava, ma aveva la sensazione che Thranduil avrebbe scoperto presto le sue carte.

"Ho saputo che vi occorre aiuto." rispose il re voltandosi verso la strada da cui era venuto.

Dei carri pieni di cibo vennero avanti, guidati da alcuni elfi, stupendo nuovamente Bard e la sua gente.

Cominciarono a distribuire cibo e bevande tra gli uomini mentre Bard si avvicinò al re per ringraziarlo.

"Ci avete salvati." disse. "Non so come ringraziarvi."

"La tua gratitudine è mal riposta." rispose Thranduil, confermando il pensiero della ragazza. "Non sono venuto nel tuo interesse. Sono venuto a rivendicare una cosa che è mia." concluse spiegandogli brevemente di cosa si trattava.

Poi si allontanò e diede ordine ai suoi elfi di marciare verso la Montagna.

"Apetta!" lo chiamò Bard, seguendolo. "Ti prego, aspetta." una volta raggiunto, riprese. "Entreresti in guerra per una manciata di gemme?" decisamente non capiva.

"Ai cimeli del mio popolo non si rinuncia con leggerezza." rispose il re senza scomporsi.

"Siamo alleati in questo." ribattè Bard. "Anche la mia gente ha dei diritti sulle ricchezze di quelle montagne." spiegò mentre gli elfi continuavano a marciare davanti a loro. "Fammi parlare con Thorin." disse facendo voltare la testa del re nella sua direzione.

"Vuoi provare a ragionare con un nano?" chiese, retorico e scettico.

"Per evitare la guerra?" domandò di rimando l'uomo. "Sì." affermò. "E sono sicuro che Lumbar sarà dalla mia parte."

Un lampo passò negli occhi del re, ma si contenne e Bard, pur notandolo, non commentò.

"È viva?" chiese semplicemente l'elfo, stupendo la ragazza.

"Sì." rispose l'uomo. "È solo merito suo se non siamo morti tutti a causa di Smaug. Ha mutato la sua pelle in quella di un drago e mi ha mostrato dove lanciare la Freccia Nera in modo che lo uccidessi, poi ha assorbito le sue fiamme per tutta la notte, permettendoci di scappare e salvarci. A un certo punto ha cominciato a brillare." aggiunse facendo irrigidire leggermente il re. "Ma non si è fermata fino a quando le fiamme non sono sparite. Poi ci ha raggiunto e si è ritrasformata prima di toccare il suolo. Ha detto che il brillio era causato dal troppo sforzo."

Thranduil non commentò, ma Lumbar poteva vedere i suoi pensieri vorticare furiosamente.

"Dov'è adesso?" chiese.

"È partita per raggiungere la montagna poco dopo aver ripreso le sue sembianze. A quest'ora sarà sicuramente con Thorin."

L'elfo annuì, pensieroso, e la visione sfumò.

 

Quando Lumbar si riprese era appoggiata con la schiena al muro che avevano innalzato i nani e la Compagnia al completo, sparsa un po' ovunque nell'enorme ingresso pieno di macerie, aspettava il ritorno di Thorin dalle sale del tesoro per avere indicazioni su cosa fare.

Il nano arrivò a grandi passi dopo qualche minuto e si diresse spedito verso il muro.

"Venite." disse semplicemente, facendo si che gli altri lo seguissero.

Salirono le scale, armati, fino ad arrivare in cima al muro e osservarono l'esterno uno accanto all'altro. Lumbar rimase leggermente dietro Thorin con il cappuccio sollevato e un leggero sorriso sul volto: non voleva mostrare a nessuno che, con il passare del tempo, i suo capelli stavano diventando sempre più neri. Gli altri si sarebbero preoccupati, ma c'era una sola spiegazione: Thorin e il suo cambiamento che, con il passare delle ore, diventava sempre più pericoloso e irreversibile. Se fossero arrivati al punto di non ritorno sarebbero stati tutti spacciati. I suoi capelli lo sapevano meglio di chiunque altro. Inoltre lei sapeva esattamente cosa si sarebbero trovati di fronte.

Davanti a loro infatti, perfettamente visibili, videro gli elfi di Thranduil appostati su ogni centimetro di mura che dava sulla montagna, mentre un rumore di zoccoli si avvicinava sempre di più. Da una svolta sulla strada che collegava la città degli uomini alla Montagna, videro avvicinarsi un uomo a cavallo che Lumbar identificò subito come Bard. Si fermò davanti al muro, anche se a distanza di sicurezza, e li osservò dal basso verso l'alto.

"Salute Thorin, figlio di Thrain." disse a voce abbastanza alta da farsi sentire da loro. "Lieti di trovarti vivo oltre ogni speranza."

"Perchè venite alle porte del Re sotto la Montagna armati per la guerra?" domandò Thorin senza ricambiare il saluto.

"Perchè il Re sotto la Montagna si rinchiude dentro, come un rapinatore nel suo covo?" ribattè Bard.

"Forse perchè mi aspetto di essere rapinato." rispose Thorin a tono, riferendosi alla presenza dei soldati elfici.

"Mio Signore." disse, allora, Bard tentando di spiegare. "Non siamo venuti per rapinarti, ma per cercare un equo accomodamento. Non vuoi parlare con me?"

Thorin rimase in silenzio per qualche secondo, riflettendo e spostando lo sguardo da lui a Lumbar, in piedi alle sue spalle. Aveva notato, infatti, lo scambio di cenni avvenuto tra i due quando aveva detto di aspettarsi una rapina ma, pur provandoci, non l'aveva capito e questo lo infastidiva. Si chiese quando aveva smesso di leggere gli sguardi e i movimenti della ragazza, ma non trovò risposta. Lei, d'altra parte, sapeva che lui li aveva visti, ma non se n'era preoccupata: aveva solo cercato di mettere in guardia l'uomo facendogli capire silenziosamente che tirava una brutta aria.

Thorin fece cenno a Bard di avanzare, poi si voltò e scese le scale avvicinandosi all'apertura nel muro, dopo aver mandato un corvo messaggero senza dire una parola. La ragazza gli lanciò un'occhiata contrariata, che prontamente ignorò; lei aveva già capito. Il resto della Compagnia lo seguì subito, tutti ugualmente curiosi di sapere cosa si sarebbero detti lui e l'arciere. Lumbar rimase, ancora una volta, in disparte pur appoggiandosi con la schiena al muro poco distante dall'apertura. A braccia incrociate si preparò ad ascoltare il loro scambio, sicura più che mai che non sarebbe stato piacevole. Per nessuno.

Bard, nel frattempo, era sceso da cavallo e si era avvicinato dall'altro lato. Lumbar pregò che non la mettesse in mezzo. In quel momento sarebbe stata più uno svantaggio che un aiuto.

"Ti ascolto." disse Thorin, di profilo rispetto all'apertura nel muro, con tono basso.

"A nome del popolo di Pontelagolungo io chiedo che tu onori la tua promessa." disse Bard facendolo voltare lentamente. "Una parte del tesoro in modo che possa ricostruirsi una vita."

Thorin scosse la testa, come Lumbar si aspettava. "Io non tratterò con alcun uomo." rispose calmo. "Finchè un'armata sosta davanti alla mia porta."

"Quell'armata attaccherà questa Montagna se non arriviamo a un accomodamento." gli fece notare l'arciere.

"Le tue minacce non mi scalfiscono." la voce di Thorin si abbassava a ogni frase che pronunciava, mentre la sua espressione si faceva via via più indifferente mentre si voltava verso Lumbar senza, tuttavia, guardarla.

Al contrario, Bard era sempre più preoccupato. Lumbar poteva sentirlo anche senza vederlo.

"Ma la tua coscienza?" gli chiese. "Non ti dice che la nostra causa è giusta? Il mio popolo ti ha offerto aiuto." continuò facendo irrigidire la ragazza che non distoglieva l'attenzione dal nano. Lei sapeva, infatti, che reazione avrebbe avuto Thorin alla fina di quel discorso. "E in cambio hai portato sopra di noi solo rovina e morte."

"Quando, Pontelagolungo, è venuta in nostro aiuto prima della promessa di un ricco premio?" domandò Thorin arrabbiato, la sua voce più alta delle volte precedenti.

"Un patto è stato stretto!" gli ricordò Bard, arrabbiato anche lui.

"Un patto! Quale scelta avevamo se non barattare il nostro privilegio con coperte e cibo?" protestò il nano. "Riscattare il nostro futuro in cambio della nostra libertà? Tu lo chiami un equo scambio." continuò rimoderando il tono. "Dimmi, Bard l'Ammazzadrago, perchè dovrei onorare tali termini?"

"Perchè tu ci hai dato la tua parola." rispose l'arciere in un sussurro comprendendo, forse, solo in quel momento quanto fosse grave la situazione. "Questo non significa niente?"

Quella frase sembrò far riflettere Thorin, che cominciò a spostare lo sguardo da una parte all'altra senza soffermarsi da nessuna parte. Tuttavia aveva ancora l'accortezza di ignorare completamente Lumbar e questo le fece capire che nemmeno fare leva su quello che era sempre stato uno dei suoi segni distintivi, l'onore, avrebbe cambiato le cose. Forse era già troppo tardi, e questo pensiero la sconfortò.

Dopo quelli che parvero attimi interminabili, Thorin si spostò dall'apertura, celando la sua figura a Bard, e si appoggiò di schiena al muro osservando i membri della compagnia. Se per un attimo era tornata l'espressione di sempre nei suoi occhi, ora si leggeva la stessa dura freddezza che lo caratterizzava in quei giorni, la stessa vena spietata.

I nani e lo hobbit, tutti in fila compatta davanti a lui, lo osservavano preoccupati e in attesa di una sua decisione. Non osavano nemmeno muoversi.

"Vattene!" urlò, infine, verso Bard. "Prima che volino le frecce!"

L'uomo sbattè una mano sul muro per la frustrazione, poi ritornò dal cavallo e si allontanò mentre la Compagnia, tornata in fretta in cima alle mura, lo osservava in silenzio.

"Che stai facendo?" chiese Bilbo, incredulo, osservando Thorin e facendo voltare alcuni nani verso di lui. Lumbar gli fece un cenno negativo con il capo, ma lui continuò. "Tu... non puoi entrare in guerra."

"Questo non ti concerne." disse Thorin senza guardarlo, gli occhi ancora rivolti su Dale.

"Scusa, ma nel caso non l'avessi notato c'è un'armata di elfi là fuori." ribattè il mezzuomo. "Per non parlare di varie centinaia di pescatori arrabbiati." concluse mentre il resto della compagnia si voltava interamente verso di lui, tranne Thorin. "S-siamo, in effetti, meno numerosi."

Thorin si voltò con un sorrisetto soddisfatto mentre Lumbar sospirava.

"Non per molto, ancora." rivelò il nano, stupendolo.

"Che vuol dire?" chiese, non capendo.

"Vuol dire, mastro Baggins." rispose Thorin avvicinandoglisi. "Che non devi mai sottovalutare i nani." poi si rivolse al il resto della compagnia. "Abbiamo rivendicato Erebor. Ora la difendiamo." il suo era un evidente ordine e nessuno dei nani ebbe il coraggio di dire niente.

Thorin lanciò uno sguardo gelido e penetrante a Lumbar, il primo in assoluto ma lei avrebbe quasi preferito che non lo facesse, poi si voltò e scese le scale nel silenzio che era calato.

Lumbar aveva i brividi.

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Capitolo 14
*** 12. Un ladro nella notte ***


Bilbo si voltò ad osservare Lumbar, in cerca di una spiegazione, ma la ragazza era troppo presa a seguire l'avvicinamento di Bard a Dale, dove l'aspettava Thranduil, grazie alla sua vista elfica.

Balin la osservava preoccupato con una mano chiusa a pugno davanti alla bocca. Era preoccupato, si vedeva chiaramente, e come il resto dei suoi compagni non sapeva più cosa fare con Thorin, nè come aiutarlo. Sperava che la ragazza avesse un'idea, anche talmente stupida che avrebbe potuto funzionare. A lui bastava che pensasse a qualcosa, perchè se non fosse riuscita lei ad aiutare Thorin non ci sarebbe riuscito nessun altro. E questo lo sapevano tutti.

Lumbar osservò Bard fermare il cavallo davanti al cervo di Thranduil, che lo aspettava all'ingresso della città, e li vide scambiarsi qualche parola. Non ebbe bisogno di sentire cosa stessero dicendo per comprendere: notava perfettamente la rabbia e la frustrazione di Bard nella sua postura, nonostante fosse sicura si stesse riferendo al re degli elfi con la massima cortesia, e allo stesso tempo vedeva in Thranduil la solita compostezza e la stessa rigidità di sempre nonostante, a un certo punto, qualcosa gli fece cambiare espressione portandolo a cercarla con lo sguardo. Ci mise davvero poco a comprenderne il motivo: Bard doveva avergli detto quello che lei gli aveva fatto capire con quel cenno silenzioso, e lui l'aveva subito cercata per confermarlo. La trovò subito e dovette leggere qualcosa nei suoi occhi che confermò i suoi sospetti, perchè lo vide sospirare prima di rivolgersi nuovamente all'uomo davanti a lui che, nel frattempo, cercava di capire cosa avesse attirato la sua attenzione.

I nani attorno a lei, d'altra parte, erano stati richiamati all'ordine da Thorin che li aveva mandati a far crollare il ponte che collegava il sentiero che portava a Dale con l'ingresso della Montagna protetto da un fossato, isolandoli così da uomini ed elfi. Avevano distrutto una delle statue dei re dei nani per riuscirci e lei pensò che fosse davvero un peccato. Thrain avrebbe disapprovato completamente, e anche il vecchio Thorin.

Lumbar vide Thranduil estrarre la spada prima di voltarsi, e comprese che avrebbero attaccato all'alba. Vide anche Bard osservare nella sua direzione, ma non era certa che l'avesse vista, prima di seguire il re degli elfi per preparare i soldati e gli uomini di Pontelagolungo alla battaglia che sarebbe avvenuta. Lei sapeva che l'arciere non si sarebbe tirato indietro e che avrebbe guidato la sua gente e ne era segretamente felice. Sperava che, grazie a lui, molte vite venissero salvate.

Sospirò prima di rientrare per cercare Kili. Aveva bisogno di parlargli.

Lo trovò dopo un'ora, Dwalin l'aveva indirizzata verso l'armeria spiegandole che stavano andando tutti là per attrezzarsi e lei si diresse subito in quella direzione. Il giovane stava prendendo una cotta di maglia per indossarla quando lei lo chiamò facendolo voltare.

"Voglio controllarti." disse facendolo sbuffare.

"Zia..." tentò di protestare.

"Non ci provare." lo anticipò lei, alzando una mano nella sua direzione. "O ti fai controllare, o ti rinchiudo da qualche parte. A te la scelta, nipote." concluse incrociando le braccia e alzando un sopracciglio in segno di sfida.

Lui sgranò gli occhi, ma cedette senza fare storie. Sapeva, dopotutto, che lo avrebbe fatto davvero.

Si spostarono su un lato dell'armeria e lei controllò attentamente la ferita alla coscia: era completamente guarita, e questo la rincuorò. Poi lo controllò con la magia per essere sicura che non avesse più nemmeno l'ombra di una goccia del veleno degli orchi e, osservando che sembrava essere in perfetta forma, sospirò.

"Che cosa c'è?" le chiese Kili, improvvisamente preoccupato.

"Niente." rispose lei. "Non c'è proprio niente."

"Ed è un bene...?" domandò lui non capendo perchè non lo guardasse.

"Decisamente sì." ammise lei posando, finalmente, gli occhi nei suoi.

Fu in quel momento che il ragazzo si accorse che erano lucidi. "Cosa...?"

Lei scosse la testa, fermandolo. "Non preoccuparti, sto bene. Sono solo felice che tu ti sia ripreso." ammise pur nascondendo, in parte, la verità. "Vedi di non farmi mai più una cosa del genere." lo redarguì.

"Tranquilla, non ci tengo a ripetere l'esperienza." rispose lui sorridendo. Vedendo che lei rimaneva seria, però, aggiunse gentilmente. "C'è qualcos'altro, vero?"

Non voleva forzarla, ma era evidente che qualcosa la turbasse da giorni e tutti sapevano cosa: Thorin. Quello che non sapevano, però, era cosa le passasse per la testa e i suoi silenzi li stavano facendo preoccupare e impazzire contemporaneamente. Pur involontariamente, infatti, tutti i membri della Compagnia avevano messo nelle sue mani il compito di salvare Thorin da sè stesso, ma non avevano idea di cosa avrebbe fatto, nè di quanto le sarebbe costato farlo.

D'altra parte Lumbar aveva una responsabilità molto più ingombrante di quanto i nani e lo hobbit sapessero: nel tentativo di salvare Thorin, infatti, era compresa anche la speranza di riuscire a impedire un massacro e, di conseguenza, l'annientamento della Terra di Mezzo per mano dei seguaci di Sauron. Se, come speravano tutti, Scudodiquercia fosse tornato in sè avrebbe evitato di muovere guerra contro gli elfi e gli umani, permettendo loro, così, di fare fronte comune contro gli orchi di Dol Guldur che si stavano avvicinando per coglierli di sorpresa.

La ragazza, effettivamente, non ne aveva ancora parlato con nessuno perchè sapeva che, per come stavano le cose in quel momento, Thorin non avrebbe nemmeno voluto sentirla parlare. Motivo per cui pregava i Valar che Gandalf arrivasse prima dell'alba seguente, in modo che parlasse con Thranduil e Bard e li informasse della catastrofe che stava per abbattersi su di loro. Lei, nel frattempo, avrebbe cercato di far riprendere il suo amato, nonostante il piano che avesse in mente era un rischio davvero grosso e l'ultima carta che aveva da giocare. Tuttavia non poteva fare altro, purtroppo, e lo sapeva. Ma questo non lo rendeva più semplice da mettere in atto, anzi. Sapere che, forse, presto si sarebbero trovati sui fronti opposti della battaglia la demoralizzava sempre di più. Per quanto volesse non poteva tirarsi indietro, dato che era l'unica in grado di mettere in atto quel piano, ma dentro di sè sentiva come se lo stesse abbandonando. Come se li stesse abbandonando tutti.

Questo pensiero, sommato a tutto il resto, la stava torturando lentamente e, pur non avendone parlato con gli altri per non farli preoccupare, loro si erano comunque accorti che qualcosa non andava. All'inizio avevano pensato si trattasse dell'assenza di energie causatale dallo scontro con Smaug, motivo per cui era stata mortalmente pallida e debole per giorni, ma quando l'avevano vista riprendersi, seppur lentamente, senza che quell'aura di malessere se ne andasse avevano compreso che qualcosa la turbava profondamente. Avevano pensato a Thorin, ovviamente, e al suo comportamento verso di lei, ma non giustificava la sua postura sempre tesa e l'attenzione perennemente rivolta all'esterno, in qualche modo, come se aspettasse un segno da parte di qualcuno. Tuttavia nessuno aveva mai osato chiederle qualcosa. Almeno fino a quel momento.

Kili la osservava con il volto leggermente piegato di lato e lo sguardo dolce, ma allo stesso tempo preoccupato, che caratterizzava sempre gli occhi di Thorin quando, tanto tempo prima, lei aveva una visione di fronte a lui o sognava le battaglie del suo passato, svegliando entrambi a causa degli incubi. Erano identici, e lei si sentì sprofondare ancora di più nel baratro della paura e della disperazione. Tuttavia non disse niente, preferendo non far preoccupare ulteriormente quel giovane ragazzo.

"Ha ragione." affermò la voce di Dwalin alle sue spalle, facendola voltare. "Sono giorni che stai così." continuò indicandola.

Il resto della Compagnia, tranne ovviamente Thorin, si era avvicinato ai due senza farsi notare. Erano tutti desiderosi di mettere fine a quella storia e sapere una volta per tutte cosa stava succedendo, perchè era più che evidente che lei sapesse qualcosa che non gli stava dicendo.

Lumbar li osservò tutti, uno a uno, prima di aprire bocca senza, però, riuscire a dire niente.

"Cosa ci stai nascondendo?" le chiese Bofur. "È qualcosa di brutto, vero?" aggiunse vedendo la sua espressione.

Balin le appoggiò una mano sulla spalla, stringendo appena, e la guardò con occhi gentili. "Puoi parlarne con noi, bambina. Lo sai."

A quell'appellativo Lumbar sorrise leggermente, anche se fu un sorriso triste. Sapevano entrambi che, dopotutto, il vero bambino tra loro era lui, ma esattamente come negli anni passati lei non se ne lamentò, accettando di buon grado quella dimostrazione di affetto del vecchio nano.

Alla fine, Lumbar sospirò. "Quell'aiuto ci servirà, ma non per ciò che pensate voi." ammise riferendosi alla frase che aveva detto Thorin a Bilbo sulle mura e rivelando, infine, una parte di ciò che la angustiava da troppe ore.

Loro la osservavano perplessi e, ovviamente, confusi non aspettandosi una frase del genere.

"Di cosa diavolo stai parlando?" fu Dwalin a porre la fatidica domanda, quella che avrebbe svelato una parte di quella verità che lei, ormai, non poteva più nascondere.

Distolse lo sguardo dal suo, puntandolo in un punto imprecisato alle sue spalle e disse la notizia tutta d'un fiato, per evitare di ripensarci e scappare. "Un'armata di orchi sta marciando sulla Montagna. Se non ci alleiamo con gli elfi, nonostante l'aiuto, non li sconfiggeremo mai." riportò lo sguardo sui nani, concentrandosi su Dwalin in modo le leggesse la sincerità sul suo volto, gli occhi più lucidi di prima. "Morirete tutti. E io non so se sarò in grado di impedirlo."

Poi, senza aggiungere altro o aspettare una loro reazione, se ne andò dall'armeria nel silenzio che era calato dopo la sua rivelazione, cominciando a camminare senza meta nei corridoi del palazzo e lasciando, finalmente, scivolare le lacrime giù dai suoi occhi, libere dal controllo con cui le aveva impedito di cadere fino a quel momento. Si impose, comunque, di non singhiozzare, per evitare che qualcuno potesse sentirla, e si mise una mano sulla bocca mentre avanzava a passo spedito nelle profondità della Montagna ammettendo con se stessa, infine, che probabilmente non sarebbe riuscita a salvare Thorin e che l'avrebbe perso di nuovo.

Prima di svoltare l'ennesimo angolo sentì il suo cuore frantumarsi per l'ennesima volta.

 

****

 

Non seppe dopo quanto tempo smise di camminare, ma si stupì quando si accorse dov'era arrivata: le sue vecchie stanze, quelle che usava quando Thror le aveva offerto di restare, rendendola ufficialmente parte della famiglia.

Appoggiò, titubante, la mano sulla maniglia impolverata mentre, con un certo sforzo, impediva a una visione di sopraffarla e, dopo un momento di esitazione, la aprì rivelando l'anticamera nelle stesse condizioni del resto della Fortezza, seppur perfettamente e inaspettatamente conservata: non c'era niente di rotto o devastato dal passaggio del drago o del suo fuoco. Era, semplicemente, ricoperta di polvere e ragnatele che collegavano i vari mobili e suppellettili.

Ricordava perfettamente quanto, al tempo, avesse dovuto pregare Thror perchè le desse una camera il più semplice possibile, ma lui era stato talmente irremovibile nel sostenere che lei fosse una sua ospite speciale e che le spettasse la camera degna di un re come lui che, alla fine, aveva dovuto minacciarlo che se ne sarebbe andata in quell'istante se non avessero trovato un compromesso. E così avevano fatto: lei aveva accettato di avere le sue stanze nell'ala riservata ai reali, come voleva Thror, e lui accettò di renderle il meno sfarzose possibili.

Alla fine aveva fatto creare per lei un'anticamera, un bagno, e una camera da letto che rispettavano quasi perfettamente le semplici esigenze della ragazza riuscendo a soddisfare allo stesso tempo i suoi desideri di farle avere le stanze degne di un re: nell'anticamera, che lei aveva chiesto fosse il più piccola possibile, aveva dato ordine che venissero costruite una scrivania e una libreria in legno pregiato, che poi lui stesso si premurò di colmare di libri e manoscritti su tutta la Terra di Mezzo, facendo decorare le pareti con decorazioni, bassorilievi e dipinti che creavano uno spettacolo davvero sorprendente: davano l'idea di essere all'interno di una radura nel bel mezzo della foresta. Inoltre quella libreria era talmente ben fornita che, nel corso degli anni, lei aveva aggiunto davvero poche cose.

Nel bagno Thror si era lasciato più andare, lo aveva ammesso lui stesso, rendendone una parte decisamente più sfarzosa: una bellissima vasca scavata nel pavimento, infatti, faceva mostra di sè appena si entrava, catturando completamente l'attenzione; ma la cosa più sorprendente era il pavimento della stessa: in fondo alla vasca, infatti, erano state perfettamente incastonate centinaia di pietre preziose dei colori più svariati. Era un lavoro fatto con talmente tanta cura nei dettagli che le pietre erano state tutte levigate in modo da evitare che lei si ferisse accidentalmente; quel lavoro era stato fatto con una maestria tale che aveva reso il pavimento, terribilmente prezioso, della vasca perfettamente liscio e compatto. L'effetto che faceva, poi, con l'acqua e le candele accese era magico. Non c'erano altre parole per descrivere la moltitudine di riflessi colorati che ricoprivano ogni cosa in quei momenti. All'inizio era scettica, pensando che Thror avesse davvero esagerato, ma dopo averla usata per la prima volta si era straordinariamente complimentata con lui: il nano aveva dato sfogo al suo sfarzo, come aveva sempre voluto fare con lei, con una raffinatezza che non si era aspettata, e questo l'aveva stupita non poco.

La camera da letto, alla fine, era stata la stanza più sobria delle tre; se nell'anticamera si poteva notare il perfetto equilibrio fra le preferenze di entrambi, mentre nel bagno la supremazia dei gusti del re, nella camera da letto Thror aveva voluto rispettare il più possibile le richieste semplici della sua amica, seppur a modo suo: l'armadio finemente intagliato nel legno chiaro faceva da contrasto al camino in pietra scura incassato nella parete della Montagna stessa, così come le morbide poltrone rivestite che aveva fatto posizionare lì di fronte. Anche la testiera del letto era stata scolpita nella pietra, ed era un vero capolavoro: avevano creato, nella sua semplicità, la riproduzione delle radici e del tronco di un albero secolare, arrivando fino ai rami e alle fronde da cui partivano delle leggerissime tende di stoffa pregiata che si andavano a intrecciare alle colonnine di legno scuro del baldacchino posizionate ai piedi del letto. Il pavimento, ovviamente in pietra, era stato ricoperto da un morbido tappeto dai colori caldi finemente ricamato e sul soffitto Thror aveva fatto riprodurre il cielo stellato per renderle più facile il sonno, consapevole che, per le persone con il sangue elfico, era più difficile stare sotto terra.

Lumbar aveva ripercorso ogni angolo di quelle stanze, incurante della polvere e delle ragnatele, rimembrando i tempi passati tra quelle mura. Quando era arrivata in camera aveva notato subito il baule chiuso ai piedi del letto e, dopo un attimo di esitazione, si era avvicinata e l'aveva aperto riportando alla luce il suo contenuto. Rimase a osservarlo in silenzio per quelle che le sembrarono ore, fino a quando un movimento accanto a lei attirò la sua attenzione. Tuttavia non si voltò. Rimase con lo sguardo fisso sul contenuto del baule.

"Ti cerchiamo da ore." disse lo hobbit entrando nella stanza e guardandosi intorno. "Di chi era questa camera?" chiese osservando ogni dettaglio.

"Mia." rispose lei senza cambiare posizione.

"Davvero?" domandò lui, sorpreso. Lei annuì. "È molto bella." continuò il mezzuomo fermandosi accanto a lei e studiando il contenuto del baule. Il suo sguardo divenne stupito. "Quella è..."

"Sì." lo anticipò lei sollevando una fine cotta di maglia come quella che stava indossando lui e portandola all'altezza del suo viso. "Mithril. Thorin l'aveva fatta commissionare per me quando si è reso conto di amarmi. Un'intera armatura. Non ho avuto il tempo di metterla, quel giorno, ed è rimasta qui a prendere polvere." distese la cotta di maglia sul letto, facendo poi lo stesso con la corazza, i gambali, gli schinieri e il resto dell'armatura.

Bilbo la rimirò nella sua interezza, constatando che rimanendo chiusa nel baule per tutti quegli anni di polvere non ne aveva preso neanche in po' ed era splendente come doveva essere un tempo. Era magnifica, non c'erano altre parole per descriverla.

"Ha... ha un nome?" le chiese continuando a osservare quell'opera d'arte.

"Belthil."

Bilbo si voltò verso di lei, gli occhi che esprimevano tutta la sua confusione. "Ma è un nome elfico."

Lumbar annuì. "Fu Thorin a sceglierlo. Disse che la mia natura doveva essere rispettata e che sapeva cosa significa quel nome. Era il motivo per cui l'aveva scelto."

"E cosa significa?" chiese lo hobbit, curioso.

"Radianza Divina."

Il mezzuomo annuì pensieroso. "Ha ragione, è appropriato." tornò a osservare l'armatura. "Scommetto che quando la indossi sembri proprio così."

Lei sorrise debolmente. "Thorin sosteneva di sì." sospirò. "Penso sia arrivato il momento di indossarla di nuovo. So già che mi servirà. Non per gli elfi, ma per quello che verrà."

"Ti serve una mano?"

Lei scosse la testa, cominciando con la cotta di maglia. "Vorrei che mi dicessi cosa ti turba, in realtà."

"Cosa?" chiese lo hobbit.

"Non avrai pensato di riuscire a nascondermi il tuo stato d'animo quando sei arrivato? Ho visto subito l'ombra nei tuoi occhi. Su, dunque, raccontami cos'è successo."

Dopo un lungo sospiro lo hobbit le raccontò cos'era successo qualche ora prima nell'armeria, quando Thorin gli aveva donato la cotta di Mithril, spiegandole nel dettaglio come lui avesse dubitato degli altri nani e di come aveva parlato, poi, del tesoro e degli uomini di Pontelagolungo.

"Sembrava Smaug." concluse con il tormento ben evidente negli occhi.

Lumbar sospirò, consapevole che le cose stessero peggiorando piuttosto in fretta, ma cercò di rassicurarlo. "Ho un piano per farlo ritornare in sè. Sto per metterlo in atto." disse, guardandolo, dopo aver allacciato l'ultimo pezzo dell'armatura. "Spero solo che funzioni." sussurrò mentre rimetteva arco e faretra sulla schiena, i pugnali negli stivali e la spada appesa al fianco.

Poi uscì seguita dallo hobbit, diretti entrambi alle mura che davano su Dale dove, sicuramente, li aspettavano i loro compagni.

 

****

 

Una visione la colse all'improvviso mentre camminavano attraverso i corridoi della fortezza, e questa volta non ebbe modo di ignorarla. Venne risucchiata al suo interno con estrema velocità.

 

Gli uomini di Pontelagolungo si stavano preparando alla guerra quando la voce di Gandalf che gridava loro di farlo passare li fece spostare, permettendo al suo cavallo di proseguire la corsa attraverso Dale. Si fermò ai piedi della piazza e scese dal cavallo, guardandosi intorno alla ricerca di Bard e Thranduil.

"Ehi!" lo richiamò Alfrid uscendo da un palazzo. "Tu! Cappello a punta?!" continuò riuscendo, infine, ad attirare la sua attenzione. "Sì, tu." riprese scendendo i gradini della piazza e avvicinandoglisi. "Non vogliamo mendicanti, barboni, nè vagabondi da queste parti." Gandalf gli andò incontro, uno sguardo infuriato sul volto. Non aveva tempo per queste sciocchezze. "Abbiamo già problemi senza quelli come te." concluse Alfrid. "Fuori, sciò." gli fece cenno con una mano di andarsene. "Sul tuo cavallo."

"Chi comanda qui?" chiese Gandalf con voce grave quando l'altro si fermò davanti a lui.

"Chi lo chiede?" domandò Bard sopraggiungendo.

Dopo essersi velocemente presentati, Bard lo condusse a una tenda in cui si era stabilito Thranduil.

"Accantonate i vostri irrisori rancori contro i nani." esordì lo stregone. "La guerra è in arrivo! Le fogne di Dol Guldur sono state svuotate!" Bard spostò lo sguardo preoccupato sul re degli elfi che, dal canto suo, aveva un'espressione esasperata e rilassata allo stesso tempo. "Correte tutti un pericolo mortale!" continuò lo stregone riottenendo la loro attenzione.

Bard avanzò di qualche passo. "Ma di che stai parlando?"

"Vedo che non sai nulla degli stregoni." disse Thranduil, alzandosi dal suo scranno e anticipando Mithrandir. "Sono come i tuoni d'inverno con un vento tempestoso." continuò versandosi una coppa di vino. "Rimbombano da distante, ingigantendo l'allarme. Ma talvolta una tempesta è solo una tempesta."

"Non questa volta." lo rimbeccò Gandalf, infastidito dal commento dell'elfo. "Armate di orchi sono in movimento. Questi sono combattenti, sono preparati alla guerra. Il nostro nemico ha raccolto tutta la sua forza."

"Perchè mostra le sue carte ora?" domandò, scettico e poco incline a credergli, Thranduil.

"Perchè lo abbiamo obbligato. Quando la Compagnia di Thorin Scudodiquercia è partita per reclamare la loro terra natia, i nani non sarebbero mai dovuti arrivare a Erebor." spiegò loro uscendo dalla tenda. "Azog, Il Profanatore, fu mandato a ucciderli. Il suo padrone vuole il controllo della Montagna. Non solo per il tesoro all'interno, ma per dove è situata, per la sua posizione strategica." continuò fermandosi rivolto verso l'ingresso della Montagna con gli altri due dietro di lui. "Quella è la porta per reclamare le terre di Angmar, al Nord. Se quel regno malvagio dovesse risorgere..." scosse la testa prima di voltarsi verso Thranduil. "Gran Burrone, Lorien, la Contea, perfino Gondor stessa cadrebbero."

"Queste armate di cui parli, Mithrandir, dove sono?" chiese Thranduil, ancora restio a credere alle sue parole.

Questa era una domanda a cui lo stregone non sapeva dare una risposta.

 

La visione sfumò e ridivenne chiara in un secondo, mostrando a Lumbar un panorama completamente diverso.

 

Legolas e Tauriel erano nascosti vicino a un gigantesco cancello semiaperto incassato in una montagna che lei riconobbe subito: Gundabad, un antico regno appartenuto prima ai nani e poi agli orchi. Erano l'accesso al regno di Angmar.

"Se dobbiamo entrare..." stava dicendo Tauriel in elfico. "... dobbiamo muoverci ora."

Un gran numero di pipistrelli la fece zittire e i due elfi li osservarono volare in cielo diventando sempre più numerosi.

"Stanno sciamando." osservò lei, sorpresa.

Lo sguardo di Legolas era preoccupato, così come lo era Lumbar.

"Quei pipistrelli sono allevati per un solo scopo." disse Legolas attirando l'attenzione della compagna.

"Per quale scopo?"

"La guerra." rispose mentre nella sua mente si faceva, pian piano, chiarezza.

Un orco a cavallo di un mannaro spuntò in cima a una rupe non troppo distante da loro. Era Bolg, il figlio di Azog, lo stesso orco che non erano riusciti a uccidere a Pontelagolungo. E forse li aveva visti. Bolg emise un ordine di avanzata nella sua lingua e i corni degli orchi risuonarono dall'interno di Gundabad.

Dalla loro posizione sopraelevata, Legolas e Tauriel videro benissimo le legioni di orchi lasciare la Fortezza e marciare verso la Montagna lasciando completamente sguarnita Gundabad. I pipistrelli li sorvolavano come un manto nero mosso dal vento.

Lumbar sgranò gli occhi. Quello era un incubo.

"Dobbiamo avvertire gli altri." disse Tauriel preparandosi a muoversi.

"Forse è troppo tardi." rispose Legolas prima di alzarsi e cominciare a scendere dalla rupe su cui erano nascosti. "Andiamo."

La visione si interruppe riportando Lumbar alla realtà.

 

Bilbo la stava osservando preoccupato mentre lei cercava di riprendere a respirare normalmente. Non si era minimamente accorta di essere rimasta in apnea per quasi tutto il tempo. L'oscurità si faceva sempre più pressante, lo sentiva, ma quello che aveva appena visto rendeva il tutto molto più grave di quanto avesse percepito fino a quel momento. Sentiva la luce scemare troppo in fretta e si rese conto che, forse, non sarebbe riuscita a farla tornare.

Nonostante lo sguardo insistente del mezzuomo, Lumbar non disse una parola su ciò che aveva visto, ma si rimise dritta riprendendo il controllo.

"Credo di avere un compito per te." gli disse riprendendo a camminare attraverso i corridoi. "Ma prima devo verificare una cosa."

Non ci volle molto a raggiungere il resto della Compagnia, disperso un po' ovunque nelle vicinanze delle mura, e a controllare quello a cui pensava la ragazza. Una volta appurato che avesse ragione, salì in cima alle mura seguita dallo hobbit mentre gli spiegava cosa voleva che facesse. Lui annuiva, concorde con lei, ammettendo che ci aveva già pensato. Era calata la notte, ma se ne resero conto solo in quel momento, quando arrivarono in cima alle mura.

"Quanto tempo sono stata preda della visione?" chiese a Bilbo mentre lo aiutava a fissare una corda.

"Parecchio, ma non credevo fosse così tardi." rispose lui mentre lei gli faceva cenno di tacere con una mano.

Bofur stava facendo la guardia e li aveva visti, così lo hobbit si mise davanti alla corda per tentare di nasconderla. Lumbar sapeva che non sarebbe servito: il nano l'aveva già notata.

"Dovreste stare dentro." disse loro osservando l'esterno. "Lontano dal vento."

Bilbo fece una paio di passi avanti, lanciando un'occhiata alla ragazza ferma alle sue spalle. "A-avevo... bisogno di un po' d'aria. C'è ancora puzza di drago. E Lumbar ha pensato di farmi compagnia, sai... non tira una bella aria, dentro, per lei." concluse riferendosi al trattamento che le riservava Thorin in quel periodo.

Bofur si voltò verso di loro facendo una strana espressione. Lumbar comprese subito cos'aveva pensato: credeva che Bilbo se ne volesse andare e che lei lo stesse aiutando.

"Gli elfi hanno piazzato i loro arcieri in posizione." disse il nano, camminando lentamente verso di loro prima di fermarsi a qualche metro di distanza.

"Ah." assentì lo hobbit voltandosi, a sua volta, verso Dale.

"Entro domani sera ci sarà la fine della battaglia." continuò Bofur. "Dubito che vivremo per vederla." mormorò facendosi comunque sentire dai due.

Lumbar sospirò avvicinandosi al bordo delle mura e appoggiandoci le braccia sopra, lo sguardo perso su Dale. "Non se continua in questo modo." ammise sorprendendoli.

"Questi sono... giorni oscuri." disse Bilbo.

"Giorni oscuri davvero." osservò Bofur.

"Oh, voi non avete idea di quanto." disse Lumbar.

Sapendo che probabilmente aveva ragione, gli altri due non commentarono.

Bofur si voltò verso di loro e riprese ad avvicinarsi. "Nessuno potrebbe biasimare chi volesse trovarsi altrove." Bilbo si volse verso di lui, sorpreso, mentre il nano guardava la luna per un momento prima di riconcentrarsi su di lui. "Sarà quasi mezzanotte. Bombur ha il prossimo turno di guardia. Ci vorrà un po' per svegliarlo." continuò avvicinandosi alle scale.

"Lascialo dormire." disse Lumbar facendolo voltare. "E dormi anche tu. Avrete bisogno di tutte le energie di cui disponete, domani. Resto io a fare la guardia."

"Sei sicura?" le chiese il nano. "Anche tu hai bisogno di riposare. Non ti sei ancora ripresa del tutto dallo scontro con Smaug." osservò.

Lei annuì. "Non riuscirei comunque a chiudere occhio, non preoccuparti. Dillo anche agli altri."

Il nano annuì poi cominciò a scendere le scale. "Sai, ti sta bene quell'armatura." le disse senza voltarsi e facendola sorridere.

"Ah, Bofur?" lo richiamò lo hobbit. "Ci vediamo domattina." gli disse dopo che si fu voltato una seconda volta.

"Addio Bilbo." rispose, l'altro, sorridendo prima di sparire giù per le scale.

Lumbar e Bilbo attesero qualche secondo prima di tornare alla corda per assicurarsi che fosse legata bene. Poi la lanciarono dall'altra parte delle mura e il mezzuomo si preparò a scendere.

Lumbar gli mise entrambe le mani sulle spalle. "Fai attenzione. E ricorda cosa ti ho detto. Io ti aspetto qui."

Lui annuì poi cominciò la discesa sotto lo sguardo attento della ragazza. Quando lo vide correre verso Dale si indusse una visione per osservare come sarebbe andato il colloquio. Aveva informato il mezzuomo su questo punto, rassicurandolo quando aveva protestato. Fortunatamente funzionò e lei venne risucchiata come al solito.

 

Quando fu arrivato a Dale, Bilbo si intrufolò tra gli uomini senza farsi notare, grazie alla silenziosità della sua razza, e si incamminò verso la tenda di Thranduil sempre attento a non farsi scoprire.

 

La visione la portò, poi, all'interno della tenda.

 

"Da quando il mio consiglio conta così poco?" stava chiedendo Gandalf, arrabbiato, a un re degli elfi comodamente seduto sul suo trono. "Cosa credi che io cerchi di fare?"

"Credo che tu cerchi di salvare i tuoi amici nani." rispose tranquillamente Thranduil. "E io ammiro la tua lealtà verso di loro, ma questo non mi dissuade dal mio percorso." Gandalf fumava la pipa dandogli le spalle e lui si alzò. "Tu hai dato inizio alla cosa, Mithrandir. Mi perdonerai se la finisco io." concluse uscendo dalla tenda mentre il Grigio lo osservava. "Gli arcieri sono in posizione?" domandò a Galion.

"Sì, mio signore."

"Dà l'ordine. Se qualcosa si muove su quella Montagna uccidetela."

"Anche se si tratta di lei?" domandò Gandalf, incredulo, fermando Galion prima che se ne andasse e in attesa di una risposta da parte del suo re.

Non serviva specificare di chi parlasse, lo sapevano tutti. Dopotutto, l'unica lei presente nella Montagna e che aveva un rapporto particolare con Thranduil era Lumbar.

Il re sospirò prima di rispondere. "No. Dubito che sia d'accordo con Thorin su quello che sta facendo, inoltre ucciderla sarebbe controproducente. Conoscendola, sono sicuro che abbia in mente qualcosa."

Galion annuì e si allontanò per dare l'ordine agli arcieri.

"I nani hanno esaurito il tempo." disse Thranduil.

Gandalf, non accettando la cosa, uscì dalla tenda e si diresse verso Bard.

"Tu." lo chiamò sbrigativo. "Arciere." Bard si voltò verso di lui. "Sei d'accordo su questa cosa?" gli domandò. "L'oro è così importante, per te?" Lumbar ascoltava le parole di Gandalf, ma vide con la coda dell'occhio Bilbo avvicinarsi di soppiatto e sospirò sollevata.

"Non si arriverà a questo." disse in risposta Bard, che non aveva mai voluto la guerra. "È una battaglia che non possono vincere." gli fece notare.

"Ma questo non li fermerà." affermò Bilbo uscendo allo scoperto e facendo girare entrambi verso di lui. "Pensate che i nani si arrenderanno? No, combatteranno fino alla morte per difendere ciò che è loro."

"Bilbo Baggins." disse Gandalf non celando la sua sorpresa. Lo hobbit sorrise, poi tutti e tre si diressero da Thranduil, in modo che Bilbo potesse raccontare loro le novità.

"Se non vado errato, costui è il mezzuomo che ha rubato le chiavi delle mie segrete sotto il naso delle mie guardie." disse il re degli elfi, sedendosi sul suo trono, dopo che Bilbo gli venne presentato.

Bilbo non fece una piega, pur sentendosi leggermente colpevole. "... Sì." quasi bisbigliò alla fine. "Mi dispiace." ammise a voce più alta sotto lo sguardo attento di Thranduil e di Bard, che invece lo osservava con un sorrisetto. "Sono venuto a darvi questo." aggiunse, poi, appoggiando su un tavolino al centro della tenda un piccolo involto che aprì rivelando l'Archengemma. Era indiscutibile che fosse lei; persino Bard, che non l'aveva mai vista, la riconobbe: era piccola, lavorata in modo da renderla perfettamente liscia e dalla forma ovale, ma risplendeva di una luce inconfondibile. Era la prima volta che Lumbar la vedeva dall'attacco di Smaug di quasi duecento anni prima, ed era esattamente come allora: meravigliosa.

Thranduil si alzò dal suo scranno, evidentemente sorpreso, e si avvicinò alla Gemma. "Il Cuore della Montagna." disse mentre Gandalf muoveva qualche passo, entrambi senza distogliere l'attenzione dalla Pietra.

"E vale il riscatto di un re." concluse Bard avvicinandosi.

Bilbo annuì.

"Come mai è tuo diritto donarlo?" gli chiese l'arciere.

"È la mia quattordicesima parte del tesoro." rispose lo hobbit.

"Ma voi siete quindici." osservò Bard.

"Sì, ma Lumbar non ha voluto niente. L'ha detto subito, quando sono venuti a casa mia."

"Mhm." disse semplicemente Gandalf, senza dare una vera opinione.

"Perchè questo gesto?" chiese di nuovo l'arciere. "Non ci devi alcuna lealtà."

"Non lo sto facendo per voi." lo anticipò prima che potesse finire. Bard lo guardò con ammirazione e lui continuò. "So che i nani possono essere ostinati. E capoccioni. E difficili. Sono sospettosi e riservati. Hanno le maniere peggiori che si possano immaginare." continuò facendo sorridere Gandalf. "Ma sono anche coraggiosi. E gentili. E leali fin troppo. Mi sono affezionato a loro e vorrei salvarli, se posso. Inoltre vorrei aiutare un'amica che sta soffrendo davvero molto questa situazione, anche se lo nasconde." concluse passando la sguardo su tutti e tre. Bard abbassò il suo. "Thorin tiene a questa pietra più che a ogni altra." riprese indicando la Gemma. "In cambio della sua restituzione io credo che vi darà quello che vi spetta. Non ci sarà alcun bisogno di guerra."

Gandalf spostò lo sguardo su Thranduil, così come Bard. Sapevano entrambi, infatti, che la decisione finale sarebbe dipesa da lui. L'espressione del re degli elfi era impassibile e i tre temettero il peggio.

"Cosa ne pensa lei?" chiese, infine, stupendo Gandalf.

Lo stregone, infatti, non si aspettava che fosse lo stesso Thranduil a chiedere di lei, nonostante il riferimento di Bilbo. Si chiese cosa fosse successo tra i due quando la Compagnia aveva attraversato Bosco Atro.

Bilbo sorrise triste e lui lo notò subito.

"Dimmi, mezzuomo, cos'è successo." la richiesta sembrava più un ordine, ma lo hobbit non se ne preoccupò.

"È stata lei a dirmi di portarvi la Gemma." rivelò sotto lo sguardo particolarmente attento dell'elfo, che non si perdeva una sua espressione. "Ha detto che aveva un piano per far tornare in sè Thorin, ma..."

"Cosa? Cos'ha Thorin?" lo fermò Bard, non capendo.

"L'hai visto." rispose Bilbo. "È cambiato. Non è più lui."

"La malattia del Drago." disse Thranduil.

Bilbo annuì e riprese. "Non è più lui. Dovreste vederlo, non degna Lumbar nemmeno di uno sguardo, è come se per lui non ci fosse nemmeno." Gandalf sospirò, lo sguardo che si adombrava, ma Bilbo continuò. "Lei ha detto che sta peggiorando in fretta, e io le credo. Ha detto di avere un piano, sì, ma non ha spiegato a nessuno in cosa consiste e temo sia qualcosa di pericoloso." ammise pur sapendo che probabilmente lei lo stava guardando. "Sono preoccupato per lei. Dopo lo scontro con Smaug non ha ancora ripreso del tutto le forze, e adesso si è assunta l'incarico di fare la guardia per il resto della notte in modo che gli altri potessero riposare e, allo stesso tempo, aspettare me. Ha anche detto che avrebbe cercato di indursi una visione per osservare questo colloquio, quindi forse ci sta guardando." aggiunse.

"Da quando può indurre volontariamente una visione?" gli chiese Gandalf, sorpreso e preoccupato.

Bilbo lo osservò, confuso.

"Dalla notte dello scontro con Smaug." rispose Bard al suo posto, ritrovandosi l'attenzione su di sè. "Quando erano a casa mia che cercavano di salvare Kili ha respinto una visione, e prima ne aveva indotta un'altra. Non so cosa riguardasse quella che ha scacciato, ma l'altra credo fosse su di te. Quando è riemersa era pallida, visibilmente sconvolta e stava piangendo. Penso ti riguardasse, Gandalf, in qualche modo."
Lo stregone sospirò, comprendendo subito cos'avesse visto la ragazza in quella visione. "Thrain." mormorò.

"Cosa?" chiese Thranduil sperando, in cuor suo, di aver sentito male.

"Ha visto Thrain."

"Il padre di Thorin?" domandò Bilbo. "Ma non era morto?"

"Non fino a qualche giorno fa." ammise lo stregone. "La nostra amica è stata ingannata, così come noi tutti, sulla morte di Thrain. Ha creduto di vederlo morire e, a causa delle sue condizioni in quel momento, non ha potuto spezzare l'illusione. Quando sono andato a Dol Guldur l'ho trovato e ho cercato di portarlo via. Ma Lui è stato più veloce." sospirò di nuovo, ripensando a quel momento. "Thrain è stato ucciso davanti ai miei occhi prima che venissi catturato, e penso che lei abbia visto proprio quel momento."

"Ha avuto molte altre visioni, dopo." disse Bilbo ripensando al periodo che avevano passato insieme nella Montagna. "Una particolarmente intensa."

"Quanto intensa?" domandò lo stregone.

"Beh, all'inizio è andata in trance come succede quando ha una visione, ma più passava il tempo più diventava pallida. A un certo punto è crollata a terra e ha cominciato a brillare, facendomi preoccupare. Ho chiamato gli altri nani, ma Thorin non ha permesso loro di smettere di cercare la Gemma, così ho descritto a Oin cosa stava succedendo e lui ha detto che le era già successo mentre erano a Pontelagolungo." concluse spostando l'attenzione su Bard, in cerca di una conferma.

Lui annuì. "Mentre affrontavamo Smaug a un certo punto ha cominciato a brillare, ma non so dopo quanto ha smesso. Quando è partita per raggiungere la Montagna brillava ancora. Ha detto che aveva osato troppo, ma di non preoccuparmi perchè sarebbe passato."

"Non so cos'abbia visto in quella visione, ma credo fosse qualcosa di grosso." aggiunse lo hobbit. "Le sue energie diminuivano come se stesse cercando di aiutare qualcuno."

Gandalf annuì, grave. "E lo ha fatto. Ci ha salvati tutti." disse solamente. "Cosa ti ha detto prima che venissi qui?"

"Che forse il suo piano non avrebbe funzionato." ammise. "E che ha visto quello che hai visto tu. Tutto quanto, ha aggiunto." lo stregone annuì e lo hobbit continuò. "Ha detto di aver visto Legolas." Thranduil puntò lo sguardo su di lui, preoccupato per il figlio. "Lumbar ha detto che sta bene, ma che sta tornando con delle pessime notizie. Non mi ha detto cosa riguardassero, ma non l'ho mai vista così preoccupata. Quando Bard è andato via, dopo aver parlato con Thorin ci ha detto una cosa..." riflettè ricordando. "Una cosa che mi ha spaventato." ammise mentre gli occhi si rabbuiavano.

"Che cosa?" domandò Bard.

Bilbo aprì la bocca ma non ne uscì alcun suono, così la richiuse, prese un respiro profondo e cominciò il discorso dal largo. "Ieri eravamo tutti nell'armeria tranne Thorin, i nani si stavano preparando ma lei voleva controllare Kili. Dopo aver detto che era completamente guarito dal veleno degli orchi ci ha raccontato di aver visto l'armata di orchi di Dol Guldur diretta qui." sospirò pesantemente, arrivando al nocciolo del discorso. "Ha detto che, se i nani non si alleano con gli elfi moriremo tutti. Sono state proprio queste le sue parole: 'Morirete tutti. E io non so se sarò in grado di impedirlo.'" spostò gli occhi su Thranduil, che si era leggermente irrigidito sentendo quelle parole. "Aveva uno sguardo, in quel momento." scosse la testa. "Mi ha fatto paura. Era terrorizzata. Deve aver visto o percepito qualcosa che le ha ridotto drasticamente le speranze. E più il tempo passa più quelle speranze si assottigliano. E se le sue svanissero, svanirebbero anche quelle dell'intera Compagnia. Tutti i nani sperano che lei riesca a riportare indietro Thorin, ma lei non sembra convinta di poterci riuscire. Credo che, se non ci riuscirà, moriremo tutti davvero. E lei resterà sola a guardare il mondo bruciare."

Lumbar si sorprese di quanto avesse capito il piccolo hobbit di ciò che stava accadendo e di come si sentisse lei a riguardo. Si ripromise di stringerlo in un forte abbraccio e di ringraziarlo una volta che fosse tornato.

Dopo quella conversazione, comunque, Thranduil acconsentì al piano di usare l'Archengemma come merce di scambio e Bilbo e Gandalf uscirono.

"Riposa stanotte." disse lo stregone al mezzuomo. "Devi partire domani."

Bilbo lo guardò. "Come?"

"Allontanati da qui il più possibile." disse il Grigio.

"Io-Io non me ne vado." protestò lo hobbit.

"Mhm?"

"Mi hai scelto come quattordicesimo uomo, non voglio lasciare la compagnia ora." continuò Bilbo.

"Non c'è alcuna compagnia." rispose lo stregone facendo fermare il mezzuomo. "Almeno non più. E chissà cosa farà Thorin quando saprà del tuo operato."

"Io-io non ho paura di Thorin." affermò lo hobbit, facendolo voltare.

"Beh, dovresti averne." lo mise in guardia. "Non sottovalutare la malvagità dell'oro. Oro su cui un serpente ha ruminato a lungo. La malattia del drago si infiltra nel cuore di chiunque si avvicina alla Montagna. Quasi chiunque." si corresse osservandolo e pensando a Lumbar. Poi spostò l'attenzione su Alfrid. "Ehi tu." lo chiamò, facendolo voltare. "Trova un letto a questo hobbit. E riempigli la pancia con del cibo caldo." aggiunse spostando lo sguardo sul mezzuomo. "Se l'è guadagnato." quando Alfrid gli passò accanto, per seguire Bilbo che si era incamminato, Gandalf lo fermò. "Ehi, tienilo d'occhio. E se cercasse di andarsene, avvertimi."

Alfrid si limitò a raggiungere lo hobbit, senza rispondergli, e la visione sfumò.

 

Lumbar rimase sulle mura per tutta la notte, ignorando la stanchezza e ripensando più e più volte a ciò che avrebbe fatto di lì a poco. Quando arrivò l'alba, e il sole fece capolino illuminando la montagna, sospirò. Il momento si avvicinava sempre di più e lei sentiva un forte peso schiacciarla. Se fosse la preoccupazione, l'ansia, o la paura non sapeva dirlo. Probabilmente erano tutte e tre.

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Capitolo 15
*** 13. E scoppia il temporale ***


Bilbo era tornato appena in tempo. Lumbar, infatti, fu costretta a svegliare i nani perchè fuori c'era del movimento. Gli elfi si erano schierati nello spiazzo antistante l'ingresso della fortezza.

Thorin salì subito le scale, quando sentì la novità, e gli altri gli andarono dietro, allineandosi poi ai suoi fianchi una volta in cima alle mura.

Thranduil e Bard, l'elfo in sella al cervo e l'uomo al cavallo, avanzavano con passo tranquillo attraverso i soldati elfici e li superarono continuando ad avvicinarsi alle mura. Thorin, allora, prese un arco e scagliò una freccia nella loro direzione, che colpì il suolo congelato a qualche centimetro dal cervo e Thranduil lo fermò, seguito da Bard.

"La prossima ve la conficco negli occhi." disse Thorin puntando una freccia incoccata nella loro direzione, mentre i nani attorno a lui esultavano. Thranduil sorrideva e Lumbar sbuffò.

La ragazza era rimasta in disparte, come il giorno prima, ma era ben visibile dal basso e il re degli elfi la osservò un istante prima di puntare gli occhi su Thorin. Tuttavia gli fu sufficiente per capire che qualcosa non andava. Lumbar aveva il cappuccio calato ed era molto più rigida del solito. Qualcosa la tormentava, ma l'elfo non seppe dire se fosse per gli orchi che Gandalf sosteneva di aver visto marciare verso la Montagna, per come Thorin si stava comportando o per qualcos'altro. In ogni caso non poteva pensarci in quel momento.

Il suo sorriso scomparve, mentre i nani continuavano a esultare, e fece un lento cenno con la testo. Subito tutti i suoi arcieri incoccarono all'unisono una freccia e la puntarono nella loro direzione, facendo abbassare e zittire i nani. Solo Thorin e Lumbar rimasero fermi nelle loro posizioni.

I due re si sfidavano con lo sguardo e Thranduil alzò una mano per dare ordine ai suoi elfi di fermarsi. Quelli abbassarono gli archi e riposero le frecce. Thorin non si mosse.

"Siamo venuti a dirvi che il pagamento del vostro debito è stato offerto e accettato." disse Thranduil.

"Quale pagamento?" chiese Thorin continuando a puntargli contro la freccia. "Io non vi ho dato nulla. Non avete nulla." concluse non credendo a una sola parola.

Thranduil si voltò verso Bard con un sorrisetto in volto e l'uomo tirò fuori dalla sua casacca la Gemma, mostrandola poi a Thorin. "Abbiamo questa."

Thorin abbassò l'arco fissando l'Archengemma, incredulo che fosse nelle loro mani.

"Hanno l'Archengemma." disse Kili, incredulo quanto lo zio. "Ladri. Come avete ottenuto il cimelio della nostra casata? Quella pietra appartiene al re!" urlò.

Thorin, invece, li osservava in silenzio, ma Lumbar poteva vedere la furia cieca e oscura dentro di lui.

"E il re può averla." disse Bard lanciandola in alto e riprendendola al volo, incurante dei loro sguardi. "Con la nostra benevolenza." poi la rimise al sicuro all'interno della sua casacca e un lampo passò negli occhi di Thorin. "Ma prima deve onorare la sua parola." concluse scandendo bene la frase.

Thorin scosse la testa e si rivolse ai suoi compagni. "Ci considerano stupidi. È un'astuzia." disse loro facendoli voltare verso di lui. "Una lurida menzogna. L'Archengemma è in questa montagna!" urlò, infine. "È un trucco!"

"N-No-Non è un trucco." ammise Bilbo, facendogli sgranare gli occhi dalla sorpresa. "La Gemma è vera." confermò lo hobbit avvicinandosi a Thorin, mentre gli altri nani lo facevano passare, confusi sul motivo per cui l'avesse consegnata al nemico. "Gliel'ho data io." aggiunse confermando il loro sospetto e facendo voltare Thorin verso di lui.

Lumbar, fino a quel momento rimasta tesa appoggiata alle mura vicino a Bilbo, si raddrizzò pronta a intervenire se fosse stato necessario. Lo sguardo di Thorin non faceva presagire nulla di buono. Thranduil era immobile e imperscrutabile, mentre Bard era visibilmente preoccupato e passava lo sguardo dal re degli elfi a Lumbar a Thorin.

"Tu..." disse solamente il nano.

"Era la mia quattordicesima parte." continuò lo hobbit cercando di ignorare i nani alle sue spalle.

"Tu mi deruberesti?" domandò debolmente Thorin, ignorando la sua affermazione.

"Derubarti? No. No, sarò uno scassinatore ma mi piace pensare di essere onesto." rispose Bilbo. Thorin fece un passo verso di lui e Lumbar si preparò ad agire. "Sono disposto a lasciare che sia la mia unica pretesa." continuò il mezzuomo, apparentemente incurante delle conseguenze.

"La tua unica pretesa..." ripetè Thorin con uno strano sorriso sul volto. "La tua pretesa." ritornò serio. "Non hai alcuna pretesa su di me, miserabile mezza tacca!" concluse urlando e avvicinandosi a lui dopo aver buttato a terra l'arco.

Bilbo si spaventò, ma riprese il controllo dopo qualche secondo. "Avevo intenzione di dartela." rivelò. "Molte volte volevo farlo, ma..."

"Ma cosa, ladro?" chiese Thorin fermandosi.

"Tu sei cambiato, Thorin." gli disse apertamente. "Il nano che ho conosciuto a casa Baggins non si sarebbe mai rimangiato la parola! Non avrebbe mai trattato la donna che ama con totale indifferenza!" continuò. "Non avrebbe mai dubitato della lealtà dei suoi familiari!"

"Tu non venirmi a parlare di lealtà." sibilò il nano avvicinandosi di un altro passo e ignorando totalmente la frase su Lumbar. "Gettatelo giù dal bastione!" ordinò sconvolgendo i nani, che si mossero a disagio.

Di sotto, nessuno muoveva un muscolo. Persino Thranduil era in attesa.

Vedendo che nessuno faceva niente, Thorin strattonò Fili per un braccio, arrabbiato. "Non mi avete sentito?" il ragazzo si liberò, tornando vicino al fratello. "Lo faccio da solo." affermò avvicinandosi a grandi passi a Bilbo. Lo prese con forza per le spalle, mentre lui tentava di liberarsi, e lo sporse all'esterno delle mura, imprecando in Khuzdul, mentre i nani protestavano e Fili cercava di fermarlo. "E maledetto lo stregone che ti ha inserito in questa compagnia!" sbraitò.

"Se non ti piace il mio scassinatore ti prego di non danneggiarlo!" urlò Gandalf, dal basso, passando attraverso le file di elfi. "Restituiscilo a me."

Fu in quel momento che tutti si accorsero di Lumbar e si fermarono. Erano immobili, con gli occhi sgranati e increduli a ciò che vedevano: Thorin teneva Bilbo fermo per la giacca e lo hobbit sporgeva con la testa, le spalle e parte del busto al di fuori delle mura e teneva le mani immobili, spaventato, e la concentrazione di entrambi era spostata su Lumbar. Ma quello che li stupì davvero fu proprio la ragazza. Erano tutti convinti, infatti, che avrebbe impedito al nano di buttare giù dal bastione lo hobbit, ma non si aspettavano una mossa del genere: Lumbar si era mossa talmente veloce che non l'avevano vista ed era arrivata alle spalle di Thorin puntandogli Galvorn alla gola. Nessuno se lo sarebbe mai aspettato. Nè Thranduil, nè Gandalf, nè Bilbo o i nani. Tantomeno Thorin, nonostante non l'avesse degnata di uno sguardo da quando lei aveva raggiunto la Montagna.

Scudodiquercia era fermamente convinto che lei l'avrebbe sempre appoggiato quindi, quando sentì il metallo del pugnale sfiorargli la gola e la voce di lei nell'orecchio che diceva 'Fermo.', non potè fare altro che obbedire.

Bilbo tremava, gli occhi spalancati che passavano da lui a lei, ma non disse una parola. Nessuno riuscì a muoversi per diversi secondi.

Gandalf fu il primo a riprendersi e si avvicinò a Bard e a Thranduil cercando di ignorare la sua amica. "Non stai facendo davvero una splendida figura come Re Sotto la Montagna, dico bene Thorin figlio di Thrain?" il nano sgranò gli occhi.

"Lascialo." disse Lumbar dietro di lui senza spostare il pugnale.

Sorprendentemente Thorin lo fece e Bofur aiutò lo hobbit a rimettersi in piedi e avvicinarsi alla corda per farlo scendere.

"Vai." gli sussurrò.

"Mai più farò accordi con gli stregoni!" urlò Scudodiquercia a Gandalf, stando attento al pugnale. "O i vermi della Contea!"

"E dimmi, Thorin." sussurrò Lumbar al suo orecchio, perfettamente udibile anche da Gandalf. "Sono maledetta anch'io?"

"Tu più di tutto gli altri." ringhiò lui in risposta.

Lei sospirò, ma non disse altro, spostando l'attenzione su Bilbo. Lo hobbit lanciò la corda e si preparò a scendere. Prima, però, si fermò sul bastione, voltandosi preoccupato verso Lumbar. Lei ricambiò subito lo sguardo, stando attenta a non lasciare la presa su Thorin e a non ferirlo allo stesso tempo. Il mezzuomo e la ragazza si guardarono insistentemente per lunghi istanti, entrambi preoccupati per l'altro, e lei sentì il nano irrigidirsi nella sua presa. Aveva sicuramente notato il loro scambio, ma Lumbar non se ne curò. Voleva solo rassicurare il mezzuomo che sarebbe andato tutto bene, anche se non ci credeva più nemmeno lei.

Quando Lumbar gli fece un cenno positivo con la testa, Bilbo cominciò a scendere e lei lo seguì con lo sguardo fino a quando le fu possibile, poi aspettò semplicemente che si avvicinasse a Gandalf in modo da essere sicura che stesse bene.

Nel frattempo tutti aspettavano una sua mossa, Thranduil e Gandalf per primi.

Quando lo hobbit raggiunse lo stregone si voltò verso di lei e annuì con la testa, in risposta alla sua muta richiesta, e lei si rilassò leggermente. Ora Bilbo era al sicuro.

"Da quanto mi tradisci con lui?" mormorò gelido Thorin alla ragazza, facendo irrigidire i nani.

Lei fece una smorfia, anche se lui non potè vederla perchè costretto a darle le spalle.

"Ora che non puoi più ignorarmi ti inventi queste assurdità? Sul serio?" ribattè incurante di chi potesse sentirla.

"Ti preoccupi parecchio per quel mezzuomo." osservò gelido, lui. "Mi viene naturale pensare che vi siate avvicinati." insinuò.

"Io mi preoccupo sempre per i miei amici." lo freddò lei, impedendogli proseguire in quella direzione. " E sicuramente non li ignoro."

Lui accolse la frecciatina in silenzio, poi ammise. "Non me l'aspettavo."

"Cosa?" chiese lei, pur sapendo già la risposta.

"Che tu, fra tutti, mi avresti tradito."

Lumbar scosse la testa. "Io non ti ho tradito, Thorin. Non l'ho fatto in passato, non lo sto facendo adesso e non lo farò in futuro."

"Bugiarda!" ringhiò alzando la voce e voltandosi di scatto nella sua presa. Galvorn gli graffiò la gola, ma non se ne curò. Voleva guardarla negli occhi e niente gli avrebbe impedito di farlo. "Hai permesso che lui rubasse la Gemma, lo so! Tu mi hai tradito!" fu in quel momento che si accorse degli occhi lucidi di lei e del braccio che tremava leggermente, nonostante la presa sul pugnale fosse perfettamente ferma. Questo lo sconcertò. Non ricordava di aver mai visto tanto dolore nei suoi occhi. "Mi avevi fatto una promessa!" continuò comunque.

"E la sto mantenendo." affermò lei, anticipandolo. "Tu te la ricordi la promessa? Ricordi il giuramento che feci?" lo zittì.

Thorin non rispose, mentre i nani si guardavano cercando di capire di cosa parlassero, ma nessuno lo sapeva. Nemmeno Gandalf e Thranduil sapevano niente e questo li inquietò.

Lei scosse la testa. "Volevi tanto ricordare i nostri momenti, Thorin." gli disse. "E ne hai ricordati molti. Ma non i più importanti." sotto lo sguardo attento del nano abbassò il pugnale, rimettendolo nello stivale ed estrasse da sotto la cotta di maglia un cordino da cui tirò fuori un anello. Glielo mostrò e il nano rimase incredulo a quella vista, così come i loro compagni che cominciarono a mormorare tra di loro su quell'oggetto. "Ti ricordi quando mi hai dato questo?" gli chiese. "È stato il momento più bello di tutta la mia vita, capitato nel giorno più brutto." Balin sospirò, comprendendo, in parte, di cosa stesse parlando.

Thorin sfiorò appena l'anello, con mano tremante. L'aveva riconosciuto al primo sguardo: era l'anello con cui suo nonno aveva chiesto a sua nonna di sposarlo. L'aveva creato apposta per lei, che poi l'aveva passato a suo padre. Suo padre aveva chiesto la mano a sua madre con lo stesso anello e lei lo aveva dato a lui dicendogli di donarlo alla donna che avrebbe scelto. Thorin sapeva quale fosse l'unico motivo per cui potesse essere in mano a Lumbar, ma ancora non ci credeva.

"Ti ho davvero chiesto...?" domandò in un sussurro.

"Sì." affermò lei e per un istante lo sguardo di Thorin si schiarì. Quando lei riprese a parlare, però, si adombrò in fretta. "Ma non ti ho mai dato una risposta."

"Cosa?" disse, sgomento.

"Appena mi hai posto la domanda è arrivato Smaug." spiegò al nano e al resto dei presenti, facendo sospirare Thranduil sotto di loro. "Siamo corsi subito ad aiutare la tua gente e la mia risposta è passata in secondo piano." sospirò. "Penso sia arrivato il momento che tu la sappia."

"Cosa... cos'avresti detto?" le chiese lui, improvvisamente insicuro.

"Ti avrei detto sì allora, come ti avrei detto sì quando sono morta davanti alle Miniere di Moria e ti ho cancellato la memoria." rispose. Il suo sguardo si adombrò e continuò prima che i nani attorno a loro potessero esultare. "Ma, per quanto vorrei dirti di sì anche adesso, sono costretta a dire no."

"Che cosa?!" esclamò Kili non riuscendo a trattenersi.

"Ma zia...!" aggiunse Fili.

Persino Bard, Thranduil, Gandalf e Bilbo furono sorpresi, ma Lumbar non distolse l'attenzione da Thorin, che cercava di decifrare il suo comportamento.

"Perchè?" le chiese solamente, riportando il silenzio.

Lei sorrise e fu un sorriso talmente pieno di amore e talmente triste allo stesso tempo che al nano vennero gli occhi lucidi.

"Me l'hai chiesto tu." rispose. "Proprio quel giorno, prima ancora di farmi la proposta."

"Cosa?" sussurrò lui, incredulo.

"Quando mi dicesti di amarmi la prima volta e mi regalasti l'armatura, ti promisi che non ti avrei mai lasciato, questo lo ricordi. Quel giorno, però, tu mi facesti giurare una cosa prima di chiedermi di sposarti. Io sto rispettando quel giuramento. Devi ricordare, Thorin. Non posso essere io a raccontartelo, perchè in questo momento non mi crederesti. Ripensa a quel periodo, alle tue preoccupazioni più grandi e ai nostri momenti insieme. Ripensa agli ultimi giorni prima dell'arrivo di Smaug." aveva cominciato a tremare visibilmente, se ne accorse anche Bard nonostante la distanza e la sua vista umana, e le lacrime si facevano spazio sul suo volto senza sosta, scivolando poi sul collo e cadendo sulla sua armatura. "Fare quel giuramento è stata la cosa più difficile della mia vita e rispettarlo adesso è devastante." scosse lentamente la testa. "Ma non ho scelta. Se voglio la tua felicità non ho altra scelta che rispettare la tua volontà e lasciarti, esattamente come mi hai chiesto. Non hai la minima idea di quanto sia doloroso rispettare la tua decisione." continuò poggiando l'anello sul palmo della mano di Thorin prima di chiuderglielo a pugno. "Ma devo farlo. Perchè ti amo. Nello stesso identico modo in cui ti amavo quel giorno. Nello stesso modo in cui ti amavo quando ti ho lasciato andare per permetterti di vivere quando credevo che sarei morta."

Gli si avvicinò per lasciargli un lungo e dolce bacio sulla fronte, subito sotto la corona che indossava, mentre le sue lacrime finivano sul freddo metallo e sulla pelle del nano che, però, non si spostò. Quello sembrava tanto un addio e il suo cuore non voleva accettarlo, così come non voleva accettarlo il cuore di lei.

Quando si separò da Thorin, Lumbar fece qualche passo indietro, avvicinandosi al parapetto delle mura. "Pensa e chiediti cosa vuoi davvero. Devi ricordare, Thorin. Devi ricordare, o mi avrai persa per sempre. E non lo sopporterei." e, dopo avergli lanciato un lungo sguardo, saltò al di là delle mura, lasciandosi cadere nel vuoto.

Thorin corse avanti cercando di afferrarla, ma non ci riuscì e i nani attorno a lui fecero lo stesso emettendo urla ed esclamazioni di panico.

Lo stesso avveniva di sotto: Bard aveva esclamato sorpreso, a quel gesto, mentre Bilbo aveva urlato. Gandalf era avanzato, preoccupato, mentre Thranduil non aveva dato nessun segno evidente di preoccupazione. Peccato, però, che internamente stesse maledicendo Lumbar in tutti i modi che conosceva. Con sua enorme sorpresa il cervo si diresse verso il punto in cui lei sarebbe caduta e lui, pur non comprendendone il motivo, non lo fermo.

Tutti, nessuno escluso, non poterono fare altro che osservarla cadere e atterrare in piedi come se niente fosse, con il busto piegato un po' in avanti per mantenere l'equilibrio. Non le si era nemmeno tolto il cappuccio. Tuttavia, quando si raddrizzò, barcollò all'indietro, ma la testa del cervo la sostenne da dietro impedendole di cadere. Era arrivato al momento giusto e Thranduil ne rimase sinceramente sorpreso: il suo cervo aveva quella familiarità solo con lui e con la moglie. Comprese subito che quella ragazza non meritava il suo odio, non più.

Lumbar si voltò verso di loro e accarezzò il muso del cervo ringraziandolo, poi alzò lo sguardo verso Thranduil. Il re rabbrividì: non aveva mai visto gli occhi della ragazza così spenti. La aiutò a salire dietro di lui, poi fece voltare il cervo e tornò vicino a Bard.

Nessuno si era mosso da quando lei era atterrata, e non le toglievano gli occhi di dosso. Lumbar, d'altro canto, si teneva stretta al corpo di Thranduil e allo stesso tempo cercava di smettere di tremare. Senza successo.

"Stai bene?" le chiese lo hobbit. Lei non rispose. "Lumbar?" la chiamò.

Thranduil si volse verso di lei e la ragazza si irrigidì capendo subito cos'avrebbe fatto. Il re degli elfi, infatti, con un gesto fluido e fulmineo le tolse il cappuccio rivelando i suoi capelli interamente neri tranne che per quattro piccole ciocche ai lati del volto. Fu evidente a tutti coloro che sapevano quanto fosse grave la situazione.

"Avresti dovuto dirmelo." disse Thranduil facendole fare una smorfia.

Tuttavia lei non rispose, nè ricambiò lo sguardo di qualcuno. Era ancora troppo sconvolta emotivamente per ciò che aveva appena fatto al suo amato. Sapeva che lui l'avrebbe interpretato come l'ennesimo tradimento e non aveva il coraggio di guardarlo.

Con suo grande sollievo, Bard prese in mano la situazione.

"Abbiamo risolto?" domandò a Thorin che non aveva distolto l'attenzione dalla ragazza nemmeno per un istante. "La restituzione dell'Archengemma per ciò che è stato promesso."

Thorin spostò lo sguardo verso Est, alla sua sinistra, come in attesa di qualcosa, poi lo riportò sui nani.

Cominciò a camminare sui bastioni. "Perchè dovrei ricomprare quello che è mio di diritto?"

Lumbar sentiva la confusione dentro di lui anche a quella distanza e senza guardarlo. Le affermazioni di Bilbo prima e il suo comportamento poi lo avevano destabilizzato più di quanto volesse ammettere. Soprattutto le parole che lei gli aveva rivolto.

"Tieni la pietra." disse Thranduil a Bard. "Vendila. Ecthelion di Gondor pagherà una bella somma per quella."

"VI AMMAZZO!" gridò Thorin sotto lo sguardo sconcertato dei nani. "LO GIURO! VI AMMAZZO TUTTI!"

"Il tuo giuramento non vale niente!" lo zittì Thranduil mentre Thorin continuava a muoversi avanti e indietro sui bastioni. Lumbar strinse la presa sul busto dell'elfo. "Ho sentito abbastanza." disse lui prendendo le redini del cervo e facendo un cenno ai suoi elfi che incoccarono le frecce puntandole sui nani.

"Thorin." lo chiamò Gandalf, avanzando. "Deponi le armi. Apri queste porte. Questo tesoro comporterà la tua morte." concluse fermandosi.

"Thorin." lo chiamò Balin, facendolo voltare. "Non possiamo vincere questa battaglia."

Thorin abbassò lo sguardo, riflettendo.

"Dacci la tua risposta." lo incalzò Bard. "Avrai pace, o guerra?"

Lumbar sentì qualcosa arrivare da Est e voltò il volto in quella direzione. Seguì l'avvicinarsi di un grosso corvo che andò ad appoggiarsi sulla pietra dei bastioni davanti a Thorin.

"Guerra." mormorò lei mentre il nano osservava l'uccello, sorprendendo l'uomo, Gandalf e l'elfo. Poi si riconcentrò sul colle che guardava a Est, proprio nel momento in cui Thorin parlava.

"Avrò guerra." disse prima di voltarsi anche lui nella stessa direzione.

La stessa cosa fece Gandalf, seguito poi dagli altri. Sotto i loro occhi si allinearono una moltitudine di nani pronti alla battaglia, arrivati dai Colli Ferrosi e comandati da Dain Piediferro, cugino di Thorin, in sella a un cinghiale.

Subito Thranduil fece spostare i suoi elfi, che si schierarono verso i nuovi arrivati mentre i nani della compagnia esultavano. Mentre gli elfi prendevano posizione, Thorin rimase fermo a guardare e Dain si fece avanti in sella al suo cinghiale. Lumbar rimase in sella al cervo di Thranduil mentre il re degli elfi si spostava, seguito da Bard.

"Ehi Thorin!" gridò Dain alzando il suo martello in segno di saluto.

I nani della Compagnia fecero lo stesso.

Dain avanzò fino a fermarsi a poca distanza dalle truppe elfiche e ai pochi uomini di Bard.

"Buongiorno!" esclamò a voce alta e sembrando piuttosto divertito. "Come andiamo tutti?" si trovava su una piccola sporgenza di roccia e li guardava dall'alto. "Ho una piccola proposta, se non vi dispiace concedermi qualche momento del vostro tempo."

Sembrava affabile, ma Lumbar conosceva il suo vero carattere e non si fece incantare. Strinse leggermente le braccia attorno al corpo di Thranduil, prima di lasciarlo e scivolare piano giù dal cervo cercando di non farsi notare. Fortunatamente era coperta dall'elfo.

"Potreste considerare..." continuò Dain. "... Di andarvene in malora?!" gridò, infine, spaventando gli uomini, che indietreggiarono. Gli elfi, invece, si misero in posizione di attacco, pronti ad agire a un cenno del loro re. "Tutti voi!" continuò Dain. "Ora ora!"

"Non reagite!" urlò Bard ai suoi uomini mentre Dain sospirava.

Gandalf si fece avanti nello spazio che gli uomini aveva creato.

"Oh, avanti, Lord Dain." disse attirando la sua attenzione.

"Gandalf il Grigio." lo riconobbe il nano. Mithrandir chinò leggermente la testa in segno di rispetto e il nano riprese. "Di a questa marmaglia di andarsene o annaffierò il terreno con il loro sangue".

Gandalf avanzò verso di lui tentando di farlo ragionare. "Non c'è bisogno di una guerra tra nani, uomini ed elfi. Una legione di orchi giace sulla montagna." si fermò poco sotto la roccia dove stava Dain. "Ritira la tua armata."

"Non mi ritirerò davanti a un elfo qualsiasi." disse Dain, testardo quanto il cugino. "Tantomeno a questo indifferente folletto dei boschi!" continuò indicando Thranduil con il suo martello. "Non desidera altro che sfortuna per il mio popolo. Se sceglie di mettersi fra me e i miei familiari... gli spacco quella testolina in due!" gridò facendo sogghignare il re degli elfi. "Vediamo se dopo ghigna ancora!" i nani della Compagnia esultarono e Dain fece girare il suo cinghiale, pronto a raggiungere i suoi soldati e dare inizio alla battaglia.

Lumbar strinse una mano attorno alla gamba di Thranduil, facendogli cenno di stare fermo, poi intervenne prima che Dain si allontanasse.

"Aspetta!"

Fu sufficiente una sola parola per far fermare il nano e farlo voltare verso di lei. Lumbar, intanto, stava avanzando tra gli elfi, sotto lo sguardo attento di Thranduil. Quando arrivò vicino a Gandalf si fermò. Dain era tornato sulla roccia e la stava studiando attentamente.

"Tu...?" disse sorpreso, indicandola con il martello. "Tu eri morta!"

Lei annuì. "Due volte."

"Che scherzo è questo?!" domandò infuriato. "Quale oscura magia avete messo in atto per far capitolare Thorin?"

Lumbar scosse la testa. "Nessuna magia, amico mio. Che tu ci creda o no, Thranduil conosce bene la sofferenza del cuore e non userebbe mai uno stratagemma simile contro qualcuno. Sono davvero io, e sono davvero viva. Ho passato gli ultimi mesi proprio con Thorin e la Compagnia, quindi puoi chiederlo a loro."

Dain si volse incredulo verso la Montagna, come a cercare il dissenso da parte dei nani della Compagnia ma ricevette solo il silenzio a confermare le parole della ragazza.

"Com'è possibile?" le chiese abbassando il martello.

"Lunga storia." minimizzò lei. "E per quanto io voglia raccontartela non ho abbastanza tempo per farlo."

Dain assottigliò lo sguardo. "Se sei davvero tu, perchè non sei con Thorin? Gli avevi promesso che non lo avresti mai lasciato. E cos'è successo ai tuoi capelli?"

"Lo sanno proprio tutti, eh." commentò Gandalf appoggiato al suo bastone, lanciandole un'occhiata.

Lumbar alzò le spalle. "Che vuoi farci. Lui era presente, è giustificato." poi si rivolse al nano. "Vero, ma è stato lui a chiedermelo, tanto tempo fa." spiegò. "Ci sono cose che non sai, Dain, e che Thorin deve ricordare. Mi ha fatto giurare che lo avrei lasciato se fosse successa una determinata cosa." scosse la testa, contrariata. "Io non volevo farlo, ma è stato lui a chiedermelo e, alla fine, ho giurato. Poco dopo Smaug ha attaccato Erebor."

"E tu sei rimasta." osservò il nano.

Lumbar fece una smorfia. "Certo che sono rimasta, non lo avrei mai lasciato solo contro il drago. Il giuramento, poi, si riferiva a un'altra situazione. Per fortuna." aggiunse.

"E questa situazione è successa adesso?"

"Sinceramente speravo non succedesse mai, ma sì." confermò.

"Quindi tu l'hai lasciato perchè te l'ha chiesto lui?" domandò ancora il nano. "Perchè lo ami e rispetti le sue decisioni?"

"Certo che lo amo, Dain! Che domande fai?" chiese Lumbar, non capendo dove il nano volesse arrivare.

Lui annuì, poi le fece una domanda che non si aspettava, cogliendola totalmente impreparata. "Dov'è l'anello?"

Lumbar si paralizzò, sorpresa, e studiò l'espressione del nano davanti a lei. Poi capì.

"Tu lo sapevi." constatò rilassandosi. "Sapevi che me l'avrebbe chiesto."

Non era una domanda, ma Dain rispose lo stesso. "Me ne ha parlato l'ultima volta che vi ho fatto visita. Mi ha chiesto come vi vedevo come coppia e poi ha ammesso di voler chiedere la tua mano. Ero davvero felice per voi quando l'ho saputo. Gli chiesi di informarmi subito della tua risposta, ma non mi arrivò mai alcun messaggio."

Lumbar sospirò. "Perchè la mia risposta è passata in secondo piano rispetto all'arrivo di Smaug e a ciò che è successo dopo. Non ne abbiamo più parlato, fino a oggi."

"Nemmeno quando sei morta?" le chiese, stranito.

Lumbar scosse la testa. "In quel momento eravamo entrambi troppo sconvolti per pensare a una cosa del genere. Io stavo morendo e cercavo di lanciare l'incantesimo che vi ha fatto dimenticare di me, mentre lui continuava a chiedermi di non farlo. Eravamo troppo disperati per pensare ad altro." ammise.

"E i tuoi capelli?" domandò Dain, indicandoli. "Me li ricordavo molto più bianchi." osservò.

"Davvero non ti ricordi come funzionano?" Dain ci pensò un attimo, poi scosse la testa. Sentiva, dentro di sè, che fossero un dettaglio importante ma non ne ricordava il motivo. "Più i miei capelli diventano neri, più il Male si sta facendo spazio nella Terra di Mezzo." spiegò lei. "Sono così neri a causa di quello che sta succedendo qui." continuò indicando il luogo in cui si trovavano. "E non solo, ma non è questo che mi preoccupa, al momento."

"Ah no?"

"Ti dirò quello che ho detto ai nani di Erebor: se non vi alleate con gli elfi, gli orchi vi uccideranno tutti, e io non sono certa di poterlo impedire."

Dain rimase in silenzio qualche secondo, prima di scoppiare a ridere rumorosamente.

"Noi allearci con il folletto dei boschi?!" domandò incredulo, cercando di ricomporsi. "La morte deve averti fatto male, mia cara. Come puoi pensare che sia possibile una cosa del genere?"

"Credo che sia una scelta migliore della morte stessa, Dain." osservò lei, senza scomporsi minimamente.

"È chiaro che l'amnesia deve aver colpito anche te. Noi distruggeremo sia gli orchi che i folletti." le ringhiò contro. "Non ti uccido solo per il legame che ti lega a Thorin, ma non aspettarti un trattamento di favore." concluse puntandole contro il suo martello.

"Io attaccherò solo gli orchi." ribattè lei. "Mi auguro che tu farai lo stesso."

Dain non aspettò nemmeno che lei finisse di parlare, si voltò e fece correre il cinghiale verso i suoi soldati mentre i nani di Erebor esultavano.

Lumbar si voltò verso Gandalf e sospirò. "Ci ho provato."

Una ciocca dei suoi capelli divenne nera sotto gli occhi dello stregone e lei barcollò leggermente. Fu costretta ad appoggiarsi al suo bastone per qualche secondo.

"Mia cara..." mormorò Gandalf, preoccupato.

Lumbar scosse la testa e si rimise dritta. "Sto bene. Non è niente." poi si voltò verso Thranduil che aveva osservato l'intero scambio.

"Che avanzino." affermò il re degli elfi. "Vediamo fin dove arrivano."

"Credi che mi importi un cane morto delle tue minacce, principessa dalle orecchie appuntite?" gridò Dain mentre raggiungeva il suo schieramento. "Sentito, ragazzi?" si rivolse ai suoi soldati. "Ci siamo. Diamo a questi bastardi una bella batosta!"

Thranduil si avvicinò a Bard mentre una parte dei suoi soldati avanzavano. "Fai ritirare i tuoi uomini. Ci penso io a Piediferro e la sua marmaglia." poi raggiunse Lumbar e la fece salire dietro di lui. "Fai attenzione. Non sei nel pieno delle forze."

"Ti stai preoccupando, Thranduil?" gli chiese lei con un sorrisetto.

"Non farti strane illusioni. Tua madre vorrebbe che stessi attenta." ribattè lui.

Lumbar strinse leggermente la presa attorno ai fianchi dell'elfo per ringraziarlo, poi si voltò verso Bard e gli fece un cenno con la testa. "State in guardia. Gli orchi arriveranno presto."

L'uomo annuì e tenne fermi i suoi uomini. Dain era appena arrivato alle sue truppe.

"Dentro le capre!" urlò facendo avanzare dei nani in sella a enormi montoni corazzati.

Thranduil diede ordine a suoi arcieri di mirare e loro si mossero all'unisono puntando le frecce verso i nani.

"Thranduil!" gridò Gandalf. "Questa è una pazzia!"

"Ha ragione." mormorò Lumbar. "E tu lo sai."

Lui fece finta di non averli sentiti e diede ordine di scoccare. Le frecce compirono un'alta parabola prima di finire distrutte da una mossa difensiva dei nani composta da grosse frecce provviste di mulinelli che spezzarono le altre come se niente fosse. La compagnia di Erebor esultò e le frecce dei nani andarono a segno, sbalzando via e colpendo molti soldati elfici sotto lo sguardo sorpreso e infuriato di Thranduil.

"Ehi! Che ve ne pare? Le Rotanti Piroettanti!" si vantò Dain. "Ah ah, brutti babbei."

Lumbar sentì un'altra ciocca dei suoi capelli diventare scura e un altro capogiro coglierla alla sprovvista. Riuscì a tenersi aggrappata all'elfo e a non cadere mentre lui dava ordine di lanciare altre frecce che vennero prontamente distrutte dalle Rotanti di Dain.

I nani in sella alle capre si avvicinavano sempre di più e gli elfi cambiarono formazione, pronti allo scontro diretto. Lumbar pronunciò un incantesimo con la mente e creò delle barriere invisibili attorno a ogni singolo soldato di entrambi gli schieramenti, ma l'impatto tra le due parti causò comunque delle vittime sia tra gli elfi che tra i nani, e non era nemmeno iniziata la vera battaglia.

I nani di Erebor si erano fatti silenziosi mentre osservavano dall'alto delle loro mura quell'immotivata carneficina, chiedendo a se stessi se ne valesse davvero la pena. Nessuno di loro aveva il coraggio di dire niente.

Lumbar tentava in tutti i modi di diminuire le perdite lanciando incantesimi protettivi su tutti. Non le importava della faida tra nani ed elfi, personalmente la trovava ridicola, voleva solo che fossero pronti per quando sarebbero arrivati gli orchi. Lei sapeva che il loro attacco era imminente. Sentiva la terra tremare e presto se ne sarebbero accorti anche gli altri.

Decise di agire per anticipare il nemico, in qualche modo. Si alzò in piedi sulla groppa del cervo ed emise una forte luce bianca che fece fermare il combattimento. Nani, uomini ed elfi si voltarono verso di lei per capire cosa stesse succedendo, ma la sua attenzione era concentrata su un punto poco lontano dove, all'apparenza, non c'era niente. Impugnò l'arco e lo tese in quella direzione, rimanendo in attesa. La terra iniziò a tremare, mettendo tutti in allarme.

Gandalf fu il primo a seguire lo sguardo di Lumbar. e ben presto li imitarono tutti. Dei ringhi mostruosi arrivavano da sotto terra, allarmandoli.

"I Mangiaterra." disse Lumbar, sorprendendo entrambi gli schieramenti.

In quell'esatto momento un gigantesco verme con una dentatura circolare e terribilmente affilata spuntò fuori ruggendo dal terreno davanti a loro, imitato subito da altri due.

"Ah, per favore!" si lamentò Dain mentre altri Mangiaterra fuoriuscivano dal terreno macinando pietre e rocce grazie alla loro dentatura.

Quando si ritirarono sotto terra lasciarono aperte enormi buche nel terreno dove erano passati, permettendo così agli orchi di risalire in superficie. Ecco come avevano fatto a passare inosservati, comprese Lumbar: avevano usato i Mangiaterra per creare delle gallerie sotterranee che gli permettessero di muoversi liberamente senza essere visti.

"Fate avanzare le mie armate!" sentirono gridare dall'alto di Collecorvo, una rupe rocciosa situata sotto il fianco meridionale della Montagna.

"Azog." ringhiò Lumbar mentre i corni degli orchi suonavano dando ordine di uscire dalle gallerie e di attaccare. La ragazza si voltò verso Dain. "Te l'avevo detto."

Lui le lanciò un'occhiata, senza rispondere, poi diede ordine ai suoi nani di prepararsi ad affrontare il nuovo nemico. "Le orde dell'inferno sono su di noi!" i nani si posizionarono subito davanti con gli scudi alzati, pronti all'impatto, mentre gli elfi si ricompattavano, pronti ad attaccare. "Combattere fino alla morte!"

Una parte dei nani di Dain corse all'attacco, mentre gli altri si prepararono a ricevere gli orchi che si muovevano velocemente verso di loro come una fiumana infinita e compatta.

Lumbar si voltò verso la Montagna, per osservare la reazione di Thorin e dei nani della Compagnia, e vide che c'era fermento sulle mura. Comprese subito che i nani volevano uscire dalla fortezza e combattere con loro, ma qualcosa li stava frenando. Thorin. Lo capì dai loro sguardi rivolti verso di lui e dalla sua espressione gelida. La stava osservando intensamente, con il tormento e la rabbia negli occhi. Era stato facile, per lui, individuarla a causa della sua posizione sopraelevata rispetto al resto dei due eserciti: infatti Lumbar era ancora in piedi sul cervo di Thranduil, ma non se ne preoccupò. Era troppo impegnata a studiare il volto di Thorin per farci caso, notando come non fosse cambiato niente in lui. La malattia stava ancora vincendo e lei non poteva fare più niente per aiutarlo. Stava a lui, adesso. Doveva salvarsi da solo. Lo vide voltarsi e sparire giù per le scale che conducevano all'interno della Fortezza mentre gli altri nani si giravano a osservare la battaglia che si stava svolgendo nello spiazzo.

"Gli elfi..." sentì dire da Bilbo, non troppo distante da lei insieme a Gandalf. "Non combatteranno."

Quell'affermazione la fece voltare verso quella testa vuota del re degli elfi proprio mentre Gandalf lo chiamava.

"Thranduil!" gli gridò mentre l'elfo si voltava verso gli orchi per osservare. "Questa è una pazzia!"

I nani corsi in avanti, nel frattempo, avevano formato un lungo e compatto muro di scudi e lance, pronti all'imminente impatto con l'esercito degli orchi.

Lumbar tirò una sberla in testa a Thranduil, cosa particolarmente facile nella posizione rialzata in cui si trovava in quel momento.

L'elfo si voltò stizzito verso di lei. "Cosa credi di fare?" le domandò con il suo solito tono glaciale.

"Sei un re." ribattè lei con lo stesso tono. "Comportati come tale." e non come un bambino capriccioso, aggiunsero i suoi occhi implacabili. Si era stancata delle loro bambinate. Era ora che crescessero e si comportassero come gli adulti e i sovrani che erano. Non poteva sempre rimediare lei ai loro errori.

Lui dovette capire il messaggio sottinteso perchè fece un piccolo cenno a Galion. Fu, però, sufficiente a far sorridere Lumbar e a far sparire una parte del peso che si portava appresso. Quel piccolo cenno, infatti, stava a significare un semplice ordine: attaccate gli orchi, non i nani.

E fu esattamente quello che successe: proprio mentre gli orchi stavano per colpire il muro di lance e scudi nanico, molti elfi lo scavalcarono lanciandosi sugli orchi e attaccandoli. Si muovevano con l'agilità tipica della loro razza e questo permetteva loro di uccidere molti avversari senza troppi movimenti o fatica. Dopo poco anche il muro dei nani intervenne nello scontro cominciando a combattere, infilzando gli orchi con le loro lance e affiancando gli elfi.

Sotto lo sguardo incredulo di Bard e dei suoi uomini, Dain diede ordine di attaccare anche al resto del suo esercito e si lanciò nella mischia in sella al suo cinghiale, colpendo a destra e a manca ogni orco che capitasse a tiro del suo martello, lasciando una scia di cadaveri puzzolenti dietro di sè. Nel frattempo, la parte dell'esercito elfico rimasta indietro stava avanzando per prendere parte alla battaglia.

Un corno orchesco attirò l'attenzione di Lumbar, che si guardò intorno per capire cos'avesse voluto richiamare Azog. Diversi Troll delle Nevi, molto simili per forma e dimensione ai Troll di Montagna, si facevano largo tra le schiere di soldati falciando qualsiasi cosa si muovesse intorno a loro. E alcuni venivano nella loro direzione.

Thranduil fece muovere il cervo avanti e indietro, nel retro del suo schieramento, per dare ordine ai suoi arcieri di mirare a quelle bestie, che fortunatamente non erano troppo complicate da abbattere dato che non indossavano corazze o armature. Lumbar, intanto, rimaneva in equilibrio sul dorso dell'animale e lanciava frecce verso i nemici, abbattendone anche più di uno con un colpo. Allo stesso tempo, però, manteneva attivi gli scudi protettivi che aveva alzato in precedenza su ogni singolo soldato elfico e nanico di quella battaglia. Se Thranduil l'avesse saputo l'avrebbe sicuramente infilzata dicendole che stava sprecando troppe energie, ma non se ne preoccupò; avrebbe fatto qualsiasi cosa per ridurre al minimo le vittime di quella carneficina.

Un altro corno degli orchi venne suonato e i Troll delle Nevi ancora vivi corsero verso le macchine da guerra dei nani, che stavano falciando e uccidendo diversi orchi, per ribaltarle e distruggerle, uccidendo anche i nani che le guidavano.

Qualcosa si mosse, all'interno di Lumbar, e una pessima sensazione la colse all'improvviso.

"No..." mormorò nel panico, voltandosi verso Dale.

In quello stesso istante la voce di Azog risuonò nell'aria, seguita dal corno degli orchi. "Attaccate la città!"

"Bard!" gridò Lumbar sopra le urla della battaglia. Quando l'uomo si voltò verso di lei, gli indicò la città. "Dale! Corri!" poi sospirò e, dopo aver chiuso gli occhi, estese la protezione magica anche al suo gruppo.

Lui annuì, poi si rivolse ai suoi uomini. "Tutti voi! Ritirarsi a Dale! Subito!"

Diversi Troll, insieme a una moltitudine di orchi stava avanzando verso la città per abbattere le mura.

"In città! Bilbo! Da questa parte!" Gandalf e lo hobbit corsero dietro a Bard, diretti verso Dale, e Lumbar sperò che il mezzuomo non si facesse ammazzare.

Nel frattempo anche il resto dell'esercito degli elfi, insieme a Thranduil e Lumbar, era entrato definitivamente in battaglia. Il cervo si muoveva veloce in mezzo agli orchi, nonostante i due corpi che trasportava, e colpiva con le sue possenti corna qualsiasi essere che si avvicinasse troppo, mentre Thranduil e Lumbar uccidevano orchi con le loro spade, coprendosi le spalle a vicenda e completandosi nei movimenti.

Un forte boato attirò la loro attenzione, facendoli voltare verso la città: avevano iniziato l'attacco alle mura; infatti, grazie alla forza e alla stazza dei Troll, gli orchi stavano bombardando Dale con enormi pietre, in modo da aprire una breccia e sciamare in città.

Lumbar pregò i Valar che Bard arrivasse in tempo per proteggere la sua gente, poi dovette riconcentrarsi su quello che succedeva nelle sue vicinanze perchè stava per essere colpita dalla mazza di un orco che le era arrivato alle spalle. Fortunatamente, con un agile movimento del polso fece scontrare la lama della sua spada con la mazza, bloccandola e facendo indietreggiare l'orco prima di decapitarlo. Poi passò all'avversario successivo, dopo aver lanciato un veloce e preoccupato sguardo alla Montagna.

Quando sbirciò velocemente nella direzione della città, in un momento in cui stranamente non era attaccata da nessuno, vide che gli orchi si erano aperti un varco e sperò che all'interno le condizioni fossero migliori delle loro. Ne dubitava, così chiuse gli occhi e si concentrò sugli scudi individuali che aveva eretto, creandone altri attorno al popolo di Pontelagolungo che si trovava dentro Dale.

 

****

 

Sembravano passate ore ma Lumbar continuava a combattere nonostante la puzza di fumo, sangue e morte che le riempiva le narici. Per non parlare della stanchezza dovuta al mantenimento degli scudi magici che non aveva ancora abbassato.

Era ancora insieme a Thranduil, con cui si era trovata tremendamente a suo agio nel combattere, ma non perdeva di vista Dain, che ogni tanto passava loro accanto in sella al suo cinghiale sbatacchiando orchi ovunque con il suo martello, e Dale in lontananza, dove erano scoppiati degli incendi.

Ovunque si voltasse infuriava la battaglia. Elfi, uomini e nani combattevano contro gli orchi e i Troll ma, per quanto tentassero, non riuscivano a sopraffarli. Quegli esseri sembravano infiniti e Azog si godeva lo spettacolo dall'alto di Collecorvo, al sicuro.

Le urla degli uomini e delle donne di Dale la raggiungevano fino al campo e Lumbar pregò che i figli di Bard stessero bene, mentre continuava a tranciare arti e teste agli orchi senza fermarsi. Pregò anche in un miracolo, ma non era sicura che sarebbe successo.

"Andiamo in città." disse a Thranduil.

"Cosa?" domandò lui.

"Andiamo in città." ripetè lei staccando un braccio a un orco che stava per attaccare l'elfo. "Dobbiamo aiutare gli umani o non sopravviveremo mai."

Lui annuì e diede ordine al cervo di correre verso il ponte che collegava Dale allo spiazzo. Sarebbero entrati da lì. Si fecero largo tra gli orchi a colpi di spada e corna del cervo, grazie alle quali riuscirono ad attraversare il ponte in pochi secondi. Appena entrati in città, però, il cervo venne colpito da alcune frecce degli orchi e cadde con un lamento, facendo rotolare Thranduil e Lumbar sulla pietra. I due si rialzarono subito, pronti ad affrontare gli orchi che li aveva circondati. Quando quelli si avvicinarono troppo, i due cominciarono a ucciderli con una fluidità sorprendente, in perfetta sintonia tra loro, mentre un manipolo di soldati elfici entrava in città grazie al passaggio che avevano aperto e affiancava gli umani nel combattimento per le vie di Dale.

La battaglia si stava mettendo male, Lumbar lo sapeva. Avevano appena abbattuto il cinghiale di Dain e il nano aveva continuato a combattere più infuriato di prima, nonostante la stanchezza che stava cominciando a coglierlo.

"Dov'è Thorin?" lo sentì gridare Lumbar dall'altra parte del campo di battaglia. "C'è bisogno di lui, dov'è?"

Ma Thorin non poteva sentirlo, rintanato dentro la Montagna come un topolino spaventato. E Lumbar temeva che non ne sarebbe mai uscito.

"Che su queste terre scorra il sangue!" ordinava, intanto, Azog dalla rupe. "Massacrateli tutti."

Lumbar continuava a combattere, ma sentiva ogni elfo, nano e umano che cadeva per mano degli orchi. Quando morivano, infatti, gli scudi che lei aveva eretto svanivano, motivo per cui la ragazza riusciva a percepire ogni perdita. Erano così tante. Sentiva che il peggio non era ancora arrivato, ma non sapeva se avrebbero resistito tanto da vederlo.

Fu in quel momento che una visione la colse impreparata e lei non riuscì a fermarla e a non farsi risucchiare. L'unica cosa che fu in grado di fare fu emettere una potente luce che disintegrò tutti gli orchi nell'arco di qualche metro, permettendo così a Thranduil di voltarsi verso di lei prima che la sua mente fosse portata altrove. Sperò che lui capisse.

 

Dwalin avanzava a passo spedito verso il trono, su cui sedeva Thorin. Lumbar se ne stupì: il Dono non le aveva mai mostrato cosa avveniva dentro la Montagna. Che stesse succedendo qualcosa di significativo?

"Da quando abbandoniamo il nostro popolo?" gli domandò salendo i gradini che li dividevano e fermandosi a un passo da lui. "Thorin. Stanno morendo, là fuori." continuò con le lacrime agli occhi. Lumbar comprese che, nonostante gli ordini di Thorin, lui e gli altri erano rimasti a guardare impotenti dalla cima delle mura, nascosti alla vista.

Lo sguardo di Thorin era quello di un folle.

"Ci sono sale su sale dentro questa montagna." disse senza dare cenno di averlo sentito. "Posti che possiamo fortificare. Rinforzare. Rendere sicuri. Sì." continuò alzandosi in piedi. "Sì, è questo il da farsi." lo guardò. "Dobbiamo spostare l'oro più sottoterra. Per salvarlo." concluse dandogli le spalle e andando verso il retro del trono.

"Non mi hai sentito?" lo richiamò Dwalin. "Dain è circondato." Thorin si volse verso di lui. "Sarà un massacro, Thorin."

"Molti muoiono in guerra." asserì lui. "La vita vale poco. Ma un tesoro come questo non può essere valutato in vite perdute. Lui vale Tutto il sangue che possiamo spendere."

"Mpf." Dwalin era sconcertato e disgustato allo stesso tempo, nonostante non lo desse a vedere. "Siedi qui in queste vaste sale, una corona sulla tua testa e sei meno re ora di quanto tu non lo sia mai stato." affermò con gli occhi lucidi.

"Non devi parlarmi come se io fossi un modesto signore dei nani." mormorò Thorin allontanandosi lentamente da lui. "Come se io fossi ancora..." si portò una mano alla fronte. "Thorin Scudodiquercia." in un movimento totalmente inaspettato sguainò la spada e fendette l'aria tra loro. "Io sono il tuo re!" gridò.

"Tu sei sempre stato il mio re." rispose Dwalin, fermandolo. "E una volta questo lo sapevi." scosse la testa, addolorato. "Non puoi vedere che cosa sei diventato."

"Và." disse Thorin, la spada di nuovo nel fodero. "Vattene. Prima che io ti uccida." concluse in un sussurro fissandolo dritto negli occhi.

Dwalin sospirò di scatto, sorpreso più che mai da quelle parole. Non poteva credere che l'avrebbe fatto sul serio, ma il suo sguardo si faceva più gelido ogni secondo che passava. Così si voltò e scese i gradini, allontanandosi da lui.

Quando scese l'ultimo, però, si fermò e si voltò nuovamente verso di lui. "Sai, Thorin, ora so di quale giuramento parlava." non ci fu bisogno che specificasse a chi si riferiva, lo sapevano entrambi. "E posso dire che ha fatto bene." sospirò. "Sei uguale a tuo nonno." poi lo lasciò solo sperando che quella frase lo aiutasse a ricordare ciò che lui aveva appena compreso.

 

Lumbar si riprese di soprassalto, ritrovandosi nascosta alla vista da alcune macerie di un palazzo crollato. Doveva essere stato Thranduil a depositarla in quella specie di nicchia quando si era accorto che era preda di una visione. In quel modo sarebbe stata riparata dagli attacchi degli orchi e lui avrebbe potuto continuare a combattere. Sospirò sollevata che l'elfo avesse capito, poi venne nuovamente risucchiata in un'altra visione.

 

Thorin camminava lentamente nell'ingresso della Fortezza, lì dove i nani avevano affrontato Smaug ricoprendolo d'oro e sperando di ucciderlo prima che riversasse la sua furia su Pontelagolungo. Il pavimento, infatti, era ricoperto d'oro ormai freddo, così come la parte bassa delle grosse colonne che percorrevano i lati della sala.

Sentiva i suoi pensieri rimbombare nel vuoto, come se qualcuno gli stesse sussurrando nell'orecchio spezzoni di frasi che gli erano state dette.

"Tu siedi qui.. con una corona... sulla tua testa..." erano come un'eco che si infiltrava nei luoghi più oscuri della mente del nano. Lumbar sperò che raggiungessero la sua anima.

"Un tesoro come questo... non sono io il re?!" la voce dei suoi pensieri si sovrapponeva alle altre, mescolandosi tra loro, e lei lo vedeva camminare come se non stesse avendo nessun conflitto interiore.

Fino a quando qualcosa nel pavimento non attirò la sua attenzione facendolo fermare. Fissarono entrambi la distesa d'oro che ricopriva la gelida pietra e un pensiero sinistro fece breccia nel silenzio che avevano lasciato le voci.

"Io non mi distaccherò... da una sola moneta..." Thorin si voltò lentamente, come se stesse seguendo la voce dei suoi pensieri. "Un modesto signore dei nani... Scudodiquercia..."

Altri sussurri si aggiunsero in fretta. "Una malattia portò tuo nonno alla pazzia..."

"Scudodiquercia..."

"Thorin, figlio di Thrain..."

Lumbar vide la sua espressione cambiare, il muro gelido che la malattia aveva eretto stava cominciando a creparsi, ma lei ancora non osava sperare che sarebbe crollato.

"Figlio di Thror..."

"Stanno morendo, là fuori..."

"Riconquistare Erebor..."

"Dain è circondato..."

"Riprenditi la tua terra natia..."

"Tu sei cambiato, Thorin..."

"Io non sono come mio nonno..."

"Questo... tesoro vale veramente più del tuo onore?... vale più della donna che ami?"

"Pensa... chiediti cosa vuoi davvero." persino la voce di Lumbar, con sua grande sorpresa, si fece sentire. "Devi ricordare, Thorin... devi ricordare... mi avrai persa per sempre... non lo sopporterei."

Un barlume di consapevolezza si fece spazio sul volto del nano quando, Lumbar lo comprese in fretta, ricordò davvero cosa successe quel giorno, in ogni dettaglio.

"Io non sono come mio nonno..."

Uno strano silenzio calò, mentre una forte luce appariva alle spalle del nano facendolo voltare spaventato.

La lunga e squamosa coda di un drago serpeggiava sotto i suoi piedi, seguito dal sibilo della sua lingua serpentesca, e l'oro sembrò sollevarsi per inghiottirlo.

"Questo tesoro comporterà la tua morte..."

Thorin cadde in ginocchio, sopraffatto da quella visione spaventosa e tentando di uscirne. Si vedeva precipitare in fondo alla buca dorata e non riuscire più a risalirne, per poi venire schiacciato dal prezioso, ma non così importante, metallo.

"Va bene... Ti giuro che se mai dovessi diventare come tuo nonno... ti lascerò... non importa quando sarà... nè quello che sentirò... e non tornerò da te finchè non sarai tu stesso a cercarmi... spero solo che non mi perderai..." le parole del giuramento che Lumbar aveva fatto risuonarono nel silenzio. Tutto si fermò.

Thorin si rimise in piedi lentamente, senza emettere un fiato. Prese la sua corona e la lanciò a terra. Una lacrima a solcargli il volto e una mano stretta a pugno.

La visione sfumò.

 

Lumbar aprì gli occhi di scatto, incredula verso ciò a cui aveva appena assistito. Thorin ce l'aveva fatta... era riuscito a liberarsi della malattia del drago, ne era certa. Ora non doveva fare altro che aspettare che la raggiungesse nonostante la battaglia. Sapeva, infatti, che sarebbe corso fuori a combattere e affiancare Dain e, nel frattempo, cercare lei. Dopotutto, era il giuramento che lui le aveva fatto in risposta al suo: una volta liberato dall'influsso della malattia sarebbe corso da lei, non importava la situazione in cui si trovavano. Lei sarebbe stata il suo primo pensiero.

Si rialzò in fretta e riprese a combattere, affinando tutti i suoi sensi per individuare Gandalf, Thranduil, Bard e Dain della notizia. Cercava di farsi spazio nelle vie della città mentre con veloci e abili fendenti uccideva ogni orco che incrociava sul suo cammino o che, semplicemente, era a tiro della sua lama. Quella visione sembrava averle ridonato tutte le energie che aveva perso fino a quel momento. Era una macchina da guerra sotto cui gli orchi perivano uno dopo l'altro. Si spostò sulle mura della città per avere una visuale dall'alto e individuare prima i suoi compagni.

"Ritirarsi!" sentì urlare da Dain. "Ritirarsi! Sulla Montagna!"

Si voltò nella sua direzione e vide che il nano si trovava ancora nello spiazzo antistante l'ingresso a Erebor e stava esortando i nani a indietreggiare verso le mura. Uccise un orco che stava per attaccarla alle spalle, ma non distolse l'attenzione dallo spettacolo davanti a sè.

Nello spiazzo, adesso, gli orchi si erano ricompattati e stavano schiacciando ciò che restava dell'esercito dei Colli Ferrosi verso le mura della Montagna.

"Ora arriva la loro fine." si vantò Azog dalla sua postazione sicura in cima a Collecorvo. "Prepararsi all'assalto finale!"

Un corno degli orchi risuonò per l'ennesima volta nell'aria, espandendo il nuovo ordine di Azog in ogni angolo della battaglia. Gli orchi si prepararono ad attaccare. Lumbar si preparò a correre. Sapeva che in città stavano ancora combattendo, ma aveva un solo obiettivo in quel momento: farsi trovare da Thorin. E dargli una sonora sberla. Sapeva che Thranduil, Gandalf e Bard sarebbero stati in grado di occuparsi di Dale.

Scese dalle mura con un salto e si diresse verso le porte da cui era arrivata insieme a Thranduil continuando a mietere orchi come se fossero erba e lei un giardiniere.

Ne falciò uno, impedendogli di colpire Gandalf e sorrise allo stregone. Uno sorriso vero che lui non vedeva da molti anni.

"Cosa succede, mia cara?" le chiese approfittando di un attimo di tregua per riprendere fiato.

"Thorin." rispose, sempre con quel sorriso a illuminarle il volto. "Ce l'ha fatta."

Gli occhi dello stregone brillarono. "Davvero?" lei annuì. "Vai. Lo dirò io agli altri." compre subito lui. Sapeva che il posto della ragazza era accanto al nano e non le avrebbe mai impedito di raggiungerlo.

"Grazie." disse, lei, prima di voltarsi e andarsene. Uccise un altro orco e si voltò di nuovo verso lo stregone. "Legolas e Tauriel non dovrebbero tardare molto. Quando li ho visti sapevo che avrebbero portato pessime notizie. Spero sia cambiato qualcosa. State attenti."

Lui annuì e Lumbar riprese a correre verso le porte di Dale e, più oltre, il suo amato. Si accovacciò accanto al cervo, quando gli arrivò accanto, lì dove era caduto a causa delle frecce degli orchi, perchè si accorse che il suo scudo era ancora attivo, anche se più debole, e comprese che, grazie ad esso, non era morto nonostante fosse ferito. Lanciò uno sguardo a Erebor, poi sollevò il cervo e lo spostò dietro ad alcune macerie, in modo che gli orchi non infierissero su di lui. Gli diede un po' di sollievo con la sua magia e gli promise che sarebbe tornata a fine battaglia per guarirlo. Avrebbe sicuramente rivisto il suo signore. Dopo un'ultima carezza si rialzò e cominciò a correre verso i due eserciti schierati dall'altra parte del campo.

Gli orchi avanzarono e i nani indietreggiarono, finchè gli fu possibile. Poi si prepararono a combattere.

"Non ancora! Aspetta, aspetta." Lumbar sentiva Azog dare ordini sopra la sua testa, ma non degnò la zona in cui si trovava di uno sguardo. Probabilmente l'aveva vista correre verso i suoi sottoposti e voleva vedere cos'avrebbe fatto. Quando lei ebbe attraversato metà del campo diede l'ordine. "Attaccare ora!"

Il corno degli orchi risuonò nuovamente nell'aria, dando il via all'ultima avanzata degli orchi che avrebbe permesso loro di buttarsi sui nani.

In risposta un corno dei nani venne suonato dall'alto delle mura della Montagna, soprendendo tutti tranne Lumbar e facendo fermare gli orchi.

Una gigantesca campana d'oro si abbatté sul muro di pietra che i nani della Compagnia avevano innalzato, distruggendolo e sprigionando un forte suono nell'aria.

Quando fumo e polvere si abbassarono, dopo qualche secondo, Thorin e i nani di Erebor uscirono correndo dalla Montagna, armati e pronti ad attaccare gli orchi increduli.

I nani dei Colli Ferrosi gli aprirono un varco, facendoli passare davanti al loro schieramento.

"Per il re!" gridò Dain alzando il martello mentre Thorin lo superava, diretto sugli orchi. "Per il re!"

L'esercito dei Colli Ferrosi urlò in risposta e seguì l'esempio della Compagnia, correndo incontro al nemico con rinnovato vigore.

Lumbar li aveva quasi raggiunti da dietro quando Thorin sferrò il primo colpo dando il via all'ennesima carneficina di quella giornata. Gli orchi furono loro addosso nel giro di un battito di ciglia, ma i nani si erano radunati e li affrontavano compatti.

Un Troll delle Nevi con degli arti di metallo al posto di braccia e gambe stava mietendo parecchie vittime naniche grazie alle due grandi palle di ferro attaccate tramite catene ai monconi delle sue braccia e Lumbar rimise la spada nel fodero per prendere l'arco. Era ancora abbastanza lontana da non doversi preoccupare di attacchi improvvisi.

Aveva appena puntato una freccia alla sua testa quando vide Bofur arrampicarsi su per una sua spalla e inclinò il capo, curiosa di sapere cos'avesse in mente il nano. Fu presto detto: uccise l'orco che guidava il Troll da una postazione dietro il suo collo, come se fosse un cavallo, e prese il suo posto impugnando le catene che fungevano da redini e cercando di governare quella bestia. Dopo qualche tentativo ci riuscì e cominciò a uccidere diversi orchi, così Lumbar si rimise l'arco in spalla e riprese a correre in quella direzione. Quando si immise nella battaglia, cominciò a uccidere gli orchi con Galvorn, il suo pugnale, e una freccia usata come tale. Non voleva usare il pugnale di sua madre ma sapeva che sarebbe stata più abile così che con la spada. Abbatteva gli orchi con movimenti così fulminei che non riuscivano quasi a notarla e si faceva sempre più spazio verso quel nano cavalca-Troll che si ritrovava come amico.

Quando affiancò il bestione puzzolente si arrampicò su per un braccio e raggiunse Bofur, impegnato nel governare il Troll.

"Mi dai un passaggio?" gli domandò con un sorriso mentre lanciava la freccia in fronte a un orco, uccidendolo.

Il nano per poco non cadde. Gli era arrivata alle spalle senza che se ne accorgesse, tanta era la sua concentrazione nel guidare quella bestia.

"Lumbar!" esclamò ridendo e facendo in modo che il Troll facesse una frittata di orchi con un colpo del braccio sinistro. "Thorin ti sta cercando!"

"Lo so." rispose lei guardandosi intorno alla ricerca di Scudodiquercia.

"È ritornato in sè!" esclamò ancora il nano.

"Lo so." ripetè lei, continuando a spostare lo sguardo sul campo di battaglia.

"Il tuo piano ha funzionato davvero!"

"Lo so!" lo bloccò lei. Non le sembrava il momento giusto per le chiacchiere, quello. "L'ho visto." spiegò comunque, in breve, per accontentarlo. "Ed era il suo piano, non il mio. Sai dov'è?" chiese infine.

"Penso sia laggiù." le disse indicando una zona alle loro spalle. "Voglio dire: era là l'ultima volta che l'ho visto ma potrebbe essersi spostato."

Lumbar trovò subito chi stava cercando e annuì in risposta al nano. "Schiaccia qualche orco anche per me." gli disse estraendo un'altra freccia e impugnandola come Galvorn. "Io devo tirare una sberla a una persona." e saltò giù dal Troll in corsa, atterrando su un orco che trafisse prima che potesse toccare il suolo.

Poi cominciò a correre verso Thorin e lo sentì urlare verso il cugino.

"Dain!" lo chiamò abbattendo un orco che stava per attaccarlo alle spalle.

"Thorin! Resisti!" rispose l'altro colpendo un orco e saltandogli sulla schiena. "Arrivo! Sì!"

Lumbar fu veloce e raggiunse Thorin alle spalle in una manciata di secondi, proprio nel momento in cui Dain atterrava davanti al nano e abbatteva un altro orco. Erano così impegnati che non si accorsero di lei, così fece finta di niente e riprese a combattere come se niente fosse mai successo. Rimase comunque a portata d'orecchio e non li perse di vista un solo istante.

"Ehi, cugino!" esclamò Dain in un attimo di pace, voltandosi verso Thorin. "Perchè ci hai messo tanto?" i due si avvicinarono e si abbracciarono, incuranti della battaglia intorno a loro.

Sciolsero l'abbraccio e Thorin si guardò intorno. "Dov'è lei?"

Dain scosse la testa. "Non lo so. Quando gli orchi si sono diretti verso la città lei ha mandato gli umani a difenderla, poi li ha raggiunti insieme al folletto. Non l'ho più vista da allora."

Mentre uccideva l'ennesimo orco della giornata, Lumbar vide un' espressione preoccupata farsi spazio sul volto di Thorin.

"Devo trovarla." disse al cugino. "Gliel'ho giurato."

"Vedrai che starà bene. Ti sei scelto una donna che non muore, cugino."

"Non ha importanza." ribattè Thorin. "Lei ha rispettato il suo giuramento. Io rispetterò il mio. Non importa se stiamo combattendo, nè se dovrò attraversare l'intero campo di battaglia per raggiungerla. Io. Devo. Trovarla." scandì.

In quel momento una freccia passò in mezzo ai due, facendoli immobilizzare dalla sorpresa, e trafisse un orco che si era avvicinato troppo.

I nani si voltarono di scatto verso la direzione da cui era arrivata, scoprendo Lumbar a pochi passi di distanza con un pugnale in mano che li osservava di rimando. Uccise un orco che stava per colpirla da dietro senza nemmeno voltarsi, lo sguardo fisso in quello di Thorin.

"Credo che lei ti abbia preceduto." commentò Dain sogghignando.

Thorin non ribattè, troppo concentrato a scrutare ogni minimo particolare della sua donna in cerca di ferite più o meno gravi. Tutto ciò che vide, però, fu sangue nero appartenente agli orchi sparso sulla sua armatura, quasi a ricoprirla interamente nascondendo la lucentezza del Mithril. Sospirò sollevato e tornò con gli occhi in quelli di lei che non si erano mossi dai suoi nemmeno un istante, troppo felici di trovarli limpidi e caldi com'erano sempre stati.

Lumbar avanzò verso di lui, con passo lento ma deciso e gli si fermò davanti annullando la distanza che li divideva. In un gesto veloce la sua mano libera si scontrò con la guancia del nano.

"Ehi!" esclamò sorpreso Dain facendo un passo avanti, ma venne fermato da un gesto di Thorin.

Scudodiquercia non distolse gli occhi dai quelli di Lumbar e, sotto lo stupore del cugino, le sorrise. Un sorriso caldo e pieno di amore.

"Brava." le disse mentre le accarezzava piano una guancia sporca di sangue di orco. "Hai mantenuto il giuramento. Fino in fondo."

Lumbar sospirò. "Anche tu." appoggiò la fronte a quella del nano e chiuse gli occhi, felice di poterlo sentire di nuovo così vicino.

"Mi dispiace di averci messo tanto." mormorò il nano spostando la mano sulla nuca della ragazza.

"È stata una tortura." commentò lei.

"Ora lo so." rispose lui. "E non ti permetterò più di allontanarti." continuò lasciando cadere la spada a terra e mostrandole un oggetto che teneva sul palmo. "Se tu vuoi."

Lumbar aprì piano gli occhi e li fissò sull'anello. "Me lo stai chiedendo davvero? Adesso?" domandò mentre un sorriso si faceva lentamente spazio sul suo volto senza che riuscisse a fermarlo. "Siamo nel bel mezzo della battaglia."

"Ma almeno Dain avrà la sua risposta." scherzò lui riferendosi al messaggio che avrebbe dovuto inviare al cugino.

"E non solo lui..." gli ricordò. "Non ti ho mai risposto."

"In realtà l'hai fatto." ribattè Thorin con un leggero sorriso. "Proprio oggi."

"Quello non conta, altrimenti dovresti accontentarti del 'no' e della restituzione dell'anello."

"Ha ragione." confermò Dain.

Thorin sbuffò. "Non mi riferivo a quello."

"Lo sappiamo, cugino. Ma vogliamo entrambi che glielo richiedi come si deve. E vedi di farlo in fretta, abbiamo una battaglia da vincere qui." brontolò Dain.

Thorin sospirò lanciandogli un'occhiataccia. "Sempre impiccione, tu, eh?" poi si concentrò sulla ragazza. "Morwen..." le bastò sentire il suo vecchio nome pronunciato da lui per avere gli occhi lucidi. "Sai che ti amo. Il fatto che sono qui, adesso, lo dimostra. Finalmente ricordo quel giorno in cui ti chiesi di sposarmi la prima volta e credo ancora in ogni singola parola che ti ho detto." cominciò. "Ma il giorno più brutto della mia vita è stato quando mi hai cancellato la memoria, perchè non avevo più nemmeno i ricordi di noi a cui aggrapparmi." lei stava per intervenire ma la fermò. "So perchè l'hai fatto, ricordo tutto, e so quanto ti è costato. Ma mi hai costretto a vivere per decenni senza di te e sono sopravvissuto solo perchè l'avevi deciso tu. Non farmi mai più vivere una cosa del genere. Non farmi mai più vivere senza di te. Non lo sopporterei."

Lei annuì e Thorin fece scivolare l'anello nell'anulare della sua mano sinistra.

"Nemmeno io, Thorin." rispose in un sussurro prima che lui la baciasse dolcemente e passionalmente allo stesso tempo, nuovamente incurante della battaglia che infervorava intorno a loro.

I due si strinsero in un abbraccio, affondando entrambi il volto nei capelli dell'altro e inspirandone il profumo. Erano a Casa, finalmente.

"Sei tu Casa mia." le sussurrò Thorin all'orecchio. "E lo sarai per sempre." poi la strinse più forte con la paura che li sparisse di nuovo.

"Va bene, piccioncini!" li richiamò Dain spezzando la bolla in cui si erano rintanati. "Congratulazioni a tutti e due, eccetera eccetera, ma avremo tempo di festeggiare più tardi. Se sopravviveremo. Vi ricordo che qui stiamo ancora combattendo!" continuò imperterrito. ""Ce ne sono troppe di queste canaglie, Thorin. Spero che tu abbia un piano."

"Sì." disse Thorin. "Eliminare il loro capo." spiegò guardando il picco su cui stazionava Azog dall'inizio della battaglia.

"Azog." disse Dain mentre Thorin, dopo aver ripreso la spada, si avvicinava a una capra per salirle in groppa.

Lumbar gli si parò davanti a braccia incrociate. "Non penserai davvero che ti lascerò farlo senza di me?" gli domandò retorica.

"Assolutamente no, Mia Signora." ammise lui. "Non penso che ce la farei senza di te." salì in groppa alla capra e le porse una mano che lei usò per issarsi dietro di lui. "Io l'ammazzo quel pezzo di lerciume." affermò, poi, in direzione del cugino.

"Thorin..." lo richiamò Dain. "Tu non lo puoi fare. Sei il nostro re."

"Per questo devo farlo." rispose lui.

"E come pretendi di aprirti un varco da solo fino a Collecorvo?" gli domandò indicando la rupe.

"Non è solo." intervenne Lumbar rinfoderando le armi e creando della nebbia luminescente che le usciva dalle mani. "Credo sia arrivato il momento di usare la mia magia contro gli orchi."

Un carro trainato da sei capre li affiancò.

"Era da tanto che non lo facevo." affermò Balin da sopra, insieme a Kili, Fili e Dwalin.

"A Collecorvo!" gridò Thorin facendo partire al galoppo la capra, con Lumbar che si reggeva dietro di lui.

"Reggetevi ragazzi!" esclamò Balin andandogli dietro.

"Ah, siete dei pazzi bastardi!" commentò Dain spostandosi prima di venire tranciato dagli spuntoni delle ruote del carro. "Mi piace!"

Correvano verso un'armata compatta di orchi che gli veniva incontro. Sembravano un muro invalicabile, ma loro erano preparati.

"Sei pronta?" chiese Thorin a Lumbar.

Lei si alzò in piedi alle sue spalle e lui le avvolse un braccio attorno alle gambe per sicurezza, nonostante sapesse che fosse perfettamente in grado di stare in equilibrio su una capra in movimento.

"Adesso, sì." confermò lei mentre dalle sua mani fuoriusciva nuovamente la nebbia luminescente.

"Poi mi devi spiegare come ti è venuta in mente una cosa del genere." affermò il nano indicandole le mani con un cenno della testa.

"Una visione." rispose lei ripensando a quando aveva visto la nebbia oscura del Negromante. Era stato tremendo, ma le aveva fornito un modo per manifestare la sua magia e uccidere gli orchi. E lo avrebbe utilizzato. Fortunatamente la sua nebbia era bianca, a significare che non stava utilizzando nessuna magia nera.

Gli altri nani, dietro di loro, si prepararono all'attacco.

Thorin lanciò la capra dritta sugli orchi con un grido e il colpo venne attutito dai poteri di Lumbar che aprì un varco tra i nemici polverizzandone diversi prima che potessero attaccarli. Gli altri li seguirono subito dopo. Infondo non dovevano affrontarli, ma superarli e arrivare ad Azog. Era questa la loro missione. Avrebbero ucciso quelli che li intralciavano, ma non avrebbero perso tempo inutilmente. Volevano porre fine a quella guerra il più in fretta possibile, e l'avrebbero fatto.

I nani fendevano gli orchi con le spade e con il carro, seguendo il loro capo e la sua compagna, e riuscivano ad avanzare velocemente grazie alla magia della ragazza.

Ad Azog non stava bene e diede ordine ai Troll delle Nevi di attaccarli.

"Attenzione!" gridò Kili quando videro i Troll andare verso di loro.

Lumbar si voltò, pronta a intervenire se fosse stato necessario ma non ce ne fu bisogno. Balin diresse il carro verso una pietra, facendogli fare un salto sopra le teste dei Troll e decapitandoli tutti uno dopo l'altro grazie agli spuntoni delle ruote.

"Occhi davanti, ragazzi!" ricordò il vecchio nano quando vide arrivare un altro Troll, facendo sì che gli altri lo notassero. Riuscì a schivarlo per un soffio.

Lumbar li perse di vista quando finirono su un torrente ghiacciato, coperto dal terreno rialzato.

"Bofur!" gridò attirando l'attenzione del nano cavalca-Troll. Gli indicò la direzione in cui erano spariti e lui annuì.

"Ci penso io!" urlò prima di dirigere il Troll in quella direzione.

Lumbar si concentrò sugli orchi che sbarravano la strada a lei e Thorin e il nano strinse la presa sulle sue gambe.

"Staranno bene." le disse nel tentativo di rassicurarla. "Sono forti."

"Lo so." affermò lei rilasciando una scarica di nebbia luminosa che si abbattè sugli orchi bruciandoli e respingendoli.

Quando finalmente giunsero dall'altra parte, corsero verso un ponte e videro arrivare alla loro destra Dwalin, Kili e Fili in sella a tre capre che percorrevano il fiume.

Lumbar sentì Thorin irrigidirsi e gli strinse una spalla in segno di conforto.

"Balin sta bene." gli disse, riuscendo a sentire il suo scudo perfettamente attivo. "È rimasto indietro, ma sta bene."

Lui sospirò, poi si rivolse agli altri che li avevano raggiunti da sotto in quel momento. "Avanti!" indicò loro Collecorvo. "Avanti!"

La loro capra superò il ponte e le altre tre risalirono l'argine, ricompattandosi e proseguendo in salita sulle rocce della rupe. In quella zona gli orchi erano molti di meno e Thorin li uccise tutti impedendo a Lumbar di usare la sua magia. Non voleva che lei si sforzasse troppo, ma non sapeva quanto quel limite lo avesse superato da un pezzo. Tuttavia non gli disse niente e lo assecondò, assicurandosi di proteggerlo comunque con lo scudo insieme agli altri.

Scalarono Collecorvo in fretta, le capre erano addestrate apposta per percorrere certi sentieri, e arrivarono alla torre di guardia nanica molto prima di quanto Lumbar pensasse. Ad aspettarli diversi orchi, la neve e una torre ormai in rovina dipinta di bianco.

Affrontarono gli orchi che tentarono di fermarli, addentrandosi ancora di più all'interno. Si arrampicarono ancora, passando sopra il fiume congelato che separava le due zone di Collecorvo, formando una cascata su più livelli poco distante da loro, e uccidendo altri orchi.

Lasciarono le capre, nel mentre, e continuarono l'avanzata e il combattimento a piedi, affrontando i nemici insieme e proteggendosi a vicenda.

Una visione si fece strada nella mente di Lumbar e lei la combattè come riuscì mentre cercava di non finire affettata dagli orchi.

"Ragazzi, c'è un problema!" gridò tentando di farsi sentire sopra il rumore del metallo e della battaglia.

"E quale sarebbe?" gridò Kili in risposta mentre Thorin le lanciava un'occhiata preoccupata.

Lumbar fece un salto all'indietro, finendo tra Fili e Dwalin e lasciò fuoriuscire una luce bianca dal suo corpo che disintegrò gli orchi vicino a loro, poi sospirò mentre gli altri riprendevano fiato, grati di quell'attimo di pace.

"Una visione." affermò lei, rispondendo a Kili.

"Adesso?" domandò Thorin, preoccupato. Non era il momento giusto per avere una visione.

"Non riesci a scacciarla?" chiese Fili.

"Ci sto provando, ma non sono sicura di riuscirci." ammise lei portandosi una mano alla testa e massaggiandola nel tentativo di far diminuire il dolore. "Sembra maledettamente importante."

"Va bene." disse Thorin. "Accoglila. Ti proteggiamo noi."

"Thorin..." protestò lei.

Lui le mise una mano sulla guancia e la accarezzò. "Non preoccuparti. Non ho nessuna intenzione di perderti." la rassicurò. "E prima la accogli, prima tornerai in te."

Lumbar appoggiò la mano su quella del nano e sospirò prima di annuire. "Va bene." acconsentì prima di lasciare che la visione la risucchiasse.

 

"Gandalf!" questa voce, lei, la conosceva.

Lumbar si guardò intorno rendendosi conto di trovarsi a Dale.

"Legolas." disse lo stregone avvicinandosi all'elfo a cavallo, seguito da Bilbo. "Legolas Verdefoglia. Lumbar mi aveva detto che stavi arrivando."

L'elfo scese dal cavallo e gli si avvicinò concitato, Tauriel fece lo stesso. "C'è una seconda armata."

"Cosa?" disse Gandalf incredulo e preoccupato.

"Bolg guida una forza di orchi di Gundabad. Sono quasi su di noi."

"Gundabad? Era il loro piano fin dall'inizio." comprese Gandalf mentre Lumbar sospirava. "Azog impegna le nostre forze poi Bolg sopraggiunge dal Nord."

"Dal Nord?" chiese Bilbo, isterico girando su se stesso in ogni direzione. "Dov'è il Nord, esattamente?"

Lumbar impallidì.

"Collecorvo." disse Gandalf voltandosi preoccupato verso la rupe.

"Collecorvo?" chiese Bilbo avvicinandoglisi. "Ma c'è Thorin, lassù. E Fili e Kili, sono tutti lassù. Anche Lumbar!"

Fece appena in tempo a sentire il suo nome, prima di venire catapultata indietro.

 

E per fortuna. Il suo braccio si mosse da solo e, con la magia, uccise l'orco che stava per infilzarla. Poi sospirò e si guardò intorno mentre estraeva Galvorn dallo stivale. Avrebbe usato lama e magia insieme, adesso.

Una mano la fece voltare di scatto e Thorin le si mise davanti terrorizzato. La strinse in un abbraccio mentre lei si rendeva conto che anche gli ultimi orchi erano stati uccisi.

"Credevo che ti avrebbe uccisa." sussurrò. "Non sarei arrivato in tempo."

Lei ricambiò subito la stretta, lasciandogli un bacio sulla testa. "Sto bene. La mia magia mi ha protetta." affermò. Poi si staccò e lo osservò, scura in volto.

"Cosa c'è?" le chiese. "Cos'hai visto?"

Lumbar sospirò. Se gliel'avesse detto si sarebbe preoccupato ancora di più e si sarebbe distratto. Così come gli altri. Decise di minimizzare.

"Niente di cui possiamo occuparci al momento." rispose. Bolg era un problema, e bello grosso anche, ma sperava che a Gandalf e gli altri venisse in mente qualcosa. Loro dovevano pensare ad Azog. "Legolas e Tauriel sono tornati, se ne occuperanno loro." affermò attirando lo sguardo di Kili.

Il ragazzo fece un passo verso di lei. "Ma stanno bene?" chiese senza riuscire a fermarsi e ignorando gli sguardi di Thorin e Dwalin. Fili lo aveva accettato.

"Sì, stanno tutti bene. Erano con Gandalf e Bilbo a Dale e sono ancora tutti vivi." lo tranquillizzò. "Ora pensiamo ad Azog."

Il giovane annuì e si guardarono intorno, fermando poi gli occhi sulla cima di Collecorvo dove avevano visto Azog dare gli ordini per tutta la durata della battaglia. Era deserto. La rocca in cima a Collecorvo, avvolta nella nebbia, era immersa nel silenzio più assoluto.

"Lui dov'è?" chiese Kili. "Sembra vuota." continuò riferendosi alla precedente postazione del loro nemico. "Per me Azog è fuggito."

"No, non credo." ribattè Thorin continuando a studiare la rocca davanti a loro, nel tentativo di scorgere l'orco pallido.

"Azog non è il tipo che scappa davanti a noi due." continuò Lumbar. "Farà di tutto per ucciderci."

Thorin si voltò verso i nipoti. "Fili." disse. "Prendi tuo fratello. Perlustrate le torri." ordinò. "Restate nascosti. Non fatevi vedere. Se avvistate qualcosa tornate a fare rapporto. Non agite! Sono stato chiaro?" i due annuirono mentre Dwalin si avvicinava dopo aver perlustrato la zona.

"Abbiamo compagnia." li mise in guardia voltandosi indietro, verso molte creature che si stavano avvicinando puntando soprattutto la ragazza. "Goblin mercenari. Non più di un centinaio."

Lumbar sospirò. "Devono proprio odiarmi." disse riavvicinandosi ai nani. "Mai una volta che siano felici di vedermi." si lamentò, sarcastica, mentre prendeva posizione.

"Non puoi certo biasimarli, zia." osservò Kili. "Ogni volta che li hai incontrati le cose, per loro, sono andate male."

"Non credere che per me sia stato sempre un piacere vederli, nipote." affermò lei, di rimando. "Avrei evitato ogni singola volta."

"Ci occuperemo noi di loro." disse Thorin. "Andate. Andate!" li incoraggiò.

I due giovani nani superarono il fiume ghiacciato e corsero verso le torri, mentre Lumbar, Thorin e Dwalin sguainarono le armi, pronti a combattere.

I goblin gli corsero incontro, lanciandosi loro addosso, e li attaccarono. I tre cominciarono a combatterli e ucciderli, tenendoli impegnati in modo che non inseguissero Fili e Kili.

Una visione si fece largo nella mente di Lumbar mentre uccideva un goblin e lei sbuffò.

"Valar! Ora no." tentò in tutti i modi di respingerla e, alla fine, successe una cosa strana:vide ciò che doveva vedere riuscendo a rimanere cosciente e attiva nel suo corpo.

Si accorse di riuscire a combattere mentre, in una parte della sua mente, la visione era in atto. Quella sì che era una novità, avrebbe dovuto parlarne con Gandalf finita quella battaglia.

 

Thranduil si muoveva lentamente in una piazza di Dale, circondato da morte e desolazione e osservando la moltitudine di corpi sparsi attorno a sè. La neve cadeva fioca dal cielo, imbiancando i caduti e il sangue che spiccava sul bianco candido. Il re degli elfi aveva il volto sporco di sangue non suo.

 

Attorno a lei, invece, i goblin erano parecchio insistenti e si accalcavano su di lei e sui due nani al suo fianco nel tentativo di sopraffarli e ucciderli. Loro, però, non si davano per vinti e continuavano a ucciderli.

 

Galion raggiunse il suo signore, fermandosi a pochi passi da lui quando lo vide immobile e con lo sguardo perso.

"Richiama la tua compagnia." ordinò Thranduil senza guardarlo, gli occhi ancora fissi sull'orrore davanti a lui.

Galion suonò il corno elfico spandendo l'ordine del re.

"Mio Signore." lo stregone li raggiunse da una via laterale. "Invia questa forza a Collecorvo. I nani stanno per essere sopraffatti." gli spiegò mentre gli elfi sopravvissuti si radunavano dietro il loro re. "Thorin dev'essere avvertito."

"Avvertilo tu, se vuoi." rispose Thranduil. "Ho speso sufficiente sangue elfico in difesa di questa maledetta terra." cominciò a camminare lontano dalla piazza, i suoi sudditi al seguito. "Ora non più."

"Thranduil..." mormorò lo stregone.

 

Lumbar scosse la testa mentre tagliava la gola a un goblin con il pugnale. Con la mano libera creava una piccola nebbia luminosa e la spediva addosso a un altro, polverizzandolo.

Dwalin e Thorin, a pochi passi di distanza da lei, si difendevano bene dai continui attacchi di quegli esseri.

 

"Vado io."

Bilbo, al limitare della piazza, aveva un'espressione seria e uno sguardo risoluto sul volto. Fissava Gandalf convinto.

"Non essere ridicolo." gli disse lo stregone avvicinandosi. "Non ce la farai mai."

"Perchè no?" gli chiese Bilbo.

"Perchè ti vedranno arrivare, e ti uccideranno." rispose Gandalf, sicuro.

"Non lo faranno." dissentì lo hobbit, tranquillo.

"Ah..." Gandalf non era convinto nemmeno un po'.

Bilbo scosse la testa. "Non mi vedranno."

"È fuori questione. Non lo permetterò." si oppose lo stregone.

"Non ti sto chiedendo il permesso, Gandalf." disse lo hobbit prima di voltarsi e sparire dietro un palazzo.

 

Lumbar sospirò schivando un goblin e uccidendone un altro subito dopo. Sapeva come il mezzuomo sarebbe arrivato fino a loro e non era sicura che usare così spesso l'anello sarebbe stato sicuro. Dubitava, però, che quell'hobbit si sarebbe tirato indietro. Era testardo quasi quanto un nano e coraggioso come loro. Li avrebbe raggiunti a qualunque costo.

 

Thranduil uccise un orco che stava per attaccarlo di fronte e si trovò il passo sbarrato da Tauriel. Si fermò, pochi passi a dividerli, e gli altri elfi fecero lo stesso.

"Non andrai oltre." gli disse nella lingua degli elfi. "Non volterai le spalle." continuò nella lingua comune. "Non questa volta."

 

Lumbar ne fu sorpresa. Non erano molti a rivolgersi a Thranduil in quel modo. Anzi, in realtà solo lei lo faceva e ammirò il coraggio dell'elfa mentre uccideva un goblin che stava per attaccare Dwalin alle spalle. Lui la ringraziò con un cenno e staccò la testa al goblin con cui stava combattendo.

 

"Togliti di mezzo." disse Thranduil mal celando la sua rabbia.

"I nani saranno massacrati." protestò lei con gli occhi lucidi.

"Sì, moriranno." confermò il re, indifferente. "Oggi. Domani. Tra un anno." continuò avvicinandosi a lei lentamente. "Tra cento anni da ora. Che differenza fa?" si fermò a un passo di distanza da lei. "Sono mortali."

 

Scuotendo la testa per le parole che aveva appena pronunciato l'elfo, Lumbar tranciò le gambe a un goblin e poi lo uccise, passando subito a quello successivo che le si era buttato addosso di lato. La sua lama le aveva mancato il volto per un soffio.

 

Tauriel estrasse una freccia e la incoccò, puntandola verso il suo re. Nello sguardo di Thranduil passò un'espressione sorpresa, questo proprio non se l'aspettava.

"Tu credi che la tua vita valga più della loro?" gli domandò mentre lui riprendeva il controllo. "Quando in essa non c'è amore. Sì, non c'è amore in te." scandì lentamente per ribadire il concetto e facendolo visibilmente arrabbiare.

Con un colpo deciso della sua spada, rimasta sguainata e puntata a terra per tutto il tempo, Thranduil tagliò a metà il legno dell'arco di Tauriel con un gesto e le puntò la spada al petto.

"Che ne sai, tu, dell'amore?" le chiese. "Niente. Quello che provi per quel nano non è reale." continuò sconvolgendola. "Tu credi che sia amore? Sei pronta a morire per quello?"

 

Lumbar credeva di sì e, dallo sguardo che aveva visto più volte negli occhi dell'elfa era sicura che lo pensasse anche lei. Tuttavia non poteva intervenire da dove si trovava in quel momento. Era leggermente impegnata a cercare di uccidere così tanti goblin che sembravano non finire mai. Sperò che qualcuno intervenisse per impedire a quel re cretino di uccidere Tauriel in un impeto di rabbia omicida.

 

Una spada si interpose tra loro facendo abbassare la lama del re. Tauriel sospirò sollevata.

 

Lumbar sospirò di sollievo e, nel mentre, uccise l'ennesimo goblin che aveva attentato alla sua vita.

 

"Se le fai del male..." disse Legolas in elfico abbassando la sua spada mentre Thranduil voltava la testa verso di lui. "Dovrai uccidermi."

Thranduil non disse niente, limitandosi a osservarlo prima di abbassare lo sguardo e comprendendo che il figlio avesse scelto lei.

Legolas si voltò verso Tauriel e la affiancò. "Vengo con te."

Tauriel si voltò ed entrambi si allontanarono.

 

Lumbar aveva visto lo sguardo del re e quello del figlio, erano entrambi addolorati, ma era un'altra delle cose da mettere in quella parte della mente con su scritto 'da ricordare più tardi' perchè, al momento, era impegnata con quei dannati goblin e non poteva parlare con loro.

Prese una freccia e la lanciò verso uno di quegli esseri, colpendolo alla schiena e permettendo a Thorin di difendersi dall'attacco di un altro senza preoccuparsi di lui.

Una volta ucciso anche l'ultimo goblin, Lumbar e i due nani si osservarono attentamente intorno in cerca dell'Orco Pallido o di Fili e Kili.

"Stai brillando." disse Thorin.

"Cosa?" chiese Lumbar spostando lo sguardo su di lui.

Il nano le indicò un braccio, che aveva cominciato a risplendere dalla punta delle dita fino alla spalla come la sua nebbia magica. Ogni secondo che passava la luminescenza si espandeva in modo evidente a causa dell'energia che continuava a spendere per mantenere gli scudi attivi. Per non parlare di quella che aveva usato per la nebbia.

"Oh, non farci caso." lo rassicurò. "Passerà."

Lui non sembrò molto convinto ma lasciò stare.

"Dov'è quel fetido orco?" chiese Dwalin mentre riprendevano a studiare l'ambiente.

Un movimento dietro di loro fece voltare Lumbar. Bilbo apparve dal nulla davanti a lei con un lamento e anche i due nani si voltarono verso di lui.

"Thorin." disse.

"Bilbo." rispose sorpreso, lui. Non si aspettava che li raggiungesse.

"Dovete andarvene." li mise in guardia il mezzuomo, agitato. "Subito. Azog ha un'altra armata che attacca dal Nord. Questa torre di vedetta sarà circondata, non ci sarà scampo."

"Siamo così vicini." protestò Dwalin avvicinandosi a Thorin. "Quella feccia d'orco è lì dentro. Io dico di andare avanti."

"No." lo fermò Thorin. "È quello che vuole. Vuole attirarci dentro." disse puntando lo sguardo sulle torri in cui erano spariti i suoi nipoti. "Questa è una trappola."

A Lumbar venne da vomitare quando si rese conto che avrebbe potuto impedire che ci cascassero. Andò nel panico quando capì di aver messo in pericolo Fili e Kili, oltre che Dwalin, Thorin e sè stessa. Quei due ragazzi erano così giovani.

Afferrò un braccio di Thorin e chiuse gli occhi, concentrandosi solo sui suoni nel tentativo di capire cosa stava succedendo all'interno in modo, poi, di essere in grado di intervenire per tirarli fuori. Si accorse di non riuscire a sentire niente, qualcosa le occultava i rumori, una potente magia oscura.

"Non sento niente." mormorò nel panico stringendo la presa sul braccio di Thorin. "Niente di niente." riaprì gli occhi di scatto puntandoli in quelli del nano, il terrore ben visibile al loro interno.

"Lu-Lumbar..." balbettò Bilbo, accorgendosi del suo stato solo in quel momento. "Tu-Tu stai brillando." osservò. "Questo vuol dire..."

"Non è importante, adesso." lo fermò lei. "Dobbiamo pensare ai ragazzi. So che sono vivi ma non riesco a sentirli." ammise preoccupata.

Thorin si voltò verso Dwalin. "Trova Fili e Kili." gli disse. "Falli tornare."

"Thorin." lo chiamò lui, dopo aver fatto un passo. "Ma sei sicuro?"

"Fallo." confermò con una mano sulla sua spalla, prima di spostare l'attenzione sulle torri. "Vivremo per combattere un altro giorno."

Si era appena voltato insieme a Bilbo, entrambi pronti ad allontanarsi, quando la mano di Lumbar raggiunse la sua e lo fece fermare. Lui le lanciò uno sguardo e capì, voltandosi completamente verso di lei.

"Sento qualcosa." confermò attirando anche l'attenzione dello hobbit e di Dwalin.

Il suo sguardo era fisso sulle rovine al di là del fiume ghiacciato, nel tentativo di vedere oltre la nebbia senza successo. Era troppo fitta. Si concentrò di nuovo sui rumori e gli altri seguirono la direzione del suo sguardo.

Il suono di un tamburo li fece irrigidire tutti. Du subito seguito da altri tamburi e la luce di alcune fiaccole si fece visibile attraverso la nebbia.

Lumbar divenne pallida quando vide all'ultimo piano, quello scoperto e che dava proprio verso di loro, Azog trascinare Fili per il retro dell'armatura. Dietro, a qualche passo di distanza, una manciata di orchi faceva da scorta al loro capo. Si mosse in automatico verso di loro, seguita da Thorin appena li ebbe riconosciuti attraverso la nebbia.

"Prima muore questo." disse Azog alzando il giovane nano con un braccio e tenendolo sospeso nel vuoto. "Poi il fratello." Thorin afferrò Lumbar per un braccio costringendola a fermarsi. "Poi la tua donna." Thorin spostò la mano lungo il braccio della ragazza fino ad afferrare la sua e la strinse mentre lei ricambiava la stretta, entrambi senza distogliere lo sguardo da Azog. "Poi tu, Scudodiquercia."

Bilbo li affiancò, seguito da Dwalin, mentre Azog avvicinava Fili a sè. Il ragazzo era terrorizzato e restava immobile nella presa dell'Orco Pallido, che lo costringeva in aria e l'aveva rivolto verso di loro.

"Tu morirai per ultimo." continuò Azog.

"Andate." riuscì a dire loro Fili.

Lumbar aveva le lacrime agli occhi per ciò che sarebbe successo. Strinse la presa sulla mano di Thorin mentre lui scuoteva leggermente la testa in senso di diniego. Non lo avrebbero mai abbandonato lì, nelle mani di quell'essere. Non lo avrebbero mai lasciato da solo.

"Scappate!" gridò Fili prima di venire trafitto alla schiena dalla spada con la lama biforcuta presente sul moncone del braccio sinistro di Azog, quello che Lumbar gli aveva tranciato tempo prima.

Il ragazzo cominciò a rantolare a causa del dolore e Thorin stritolò la mano di Lumbar, facendo uno scatto prima di fermarsi. La luminescenza di lei era aumentata e Lumbar era diventata rigida. Il nano non osò distogliere gli occhi dal nipote, ma si chiese cosa stesse facendo. Ebbe subito una risposta.

"Grazie... zia..." rantolò il ragazzo, sollevato, spostando lo sguardo su di lei prima che la sua testa gli crollasse sul petto priva di vita.

Lumbar era riuscita ad assorbire il suo dolore a distanza, senza un contatto fisico. Sapeva che non era in grado di salvarlo, non nelle condizioni in cui versava in quel momento. Aveva fatto l'unica cosa di cui era capace: gli aveva alleviato il dolore, donandogli una morte priva di sofferenza fisica. Thorin l'aveva compreso e l'aveva ringraziata con una stretta, mentre Dwalin distoglieva lo sguardo e Bilbo rimaneva immobile, troppo sconcertato e sotto shock per avere una qualsiasi reazione.

"Qui finisce la tua discendenza!" affermò Azog estraendo la lama dal corpo di Fili prima di lasciarlo cadere al suolo, diversi metri più in basso, come se non fosse nient'altro che spazzatura.

Thorin riprese a respirare solo in quel momento, scoprendo insieme a Lumbar di aver trattenuto il respiro per tutto il tempo.

Azog li osservava con uno sguardo carico di odio e rabbia dalla cima della torre, ritto in piedi verso di loro, un'espressione di sfida sul volto.

Lumbar venne attirata da qualcosa poco sotto di lui e spostò lì la sua attenzione. Quando si rese conto che quell'ombra era Kili era già troppo tardi.

Il ragazzo uscì allo scoperto e cominciò a salire dei gradini di pietra per raggiungere Azog mentre lui si voltava e ripercorreva i passi da cui era arrivato, sparendo nella nebbia insieme ai suoi.

"No!" gridò lei inseguendolo nel tentativo di riuscire a fermarlo.

Thorin le andò subito dietro.

"Kili!" chiamò il nipote, ma lui non lo ascoltò e continuò a inseguire Azog.

"Thorin!" disse Dwalin tentando di fermarlo, ma lui lo ignorò e seguì Lumbar al di là del fiume ghiacciato. "Thorin. No!" anche lui li seguì. Bilbo fece lo stesso.

Lumbar arrivò alle torri per prima e cominciò a salire le scale che l'avrebbero condotta al piano in cui era sparito Azog. Dietro di lei Thorin la seguiva impaziente e preoccupato per il nipote. La luminescenza della ragazza, che si faceva via via più appariscente, rischiarava la visuale attorno a loro permettendogli di vedere più chiaramente attraverso la nebbia ogni minuto che passava.

Quando arrivò in cima un grido la fece voltare. Azog era saltato in mezzo ai due puntando alla sua schiena con una specie di grosso martello, ma Thorin si era frapposto tra loro parando il colpo e indietreggiando per schivarne un altro. Finì contro una pietra ghiacciata alle sue spalle, così rotolò a sinistra, evitando l'ennesimo colpo, e venne subito affiancato da Lumbar, pronti entrambi a combattere nuovamente contro l'Orco Pallido.

Azog sferrò un fendente con il martello, che Lumbar parò con il pugnale allontanando da loro il braccio con l'arma. Azog usò il moncone con la spada per attaccarli di nuovo, stavolta dalla parte opposta, ma Thorin era pronto e lo respinse. Si abbassarono entrambi per evitare di venire colpiti da un fendente orizzontale dell'Orco Pallido con il martello e finirono separati da lui. Thorin lo colpì all'addome e Lumbar perse il suo posto con un salto tentando un affondo alla testa di Azog. L'Orco Pallido parò il colpo e lei dovette allontanarsi con una capriola mentre Thorin la difendeva da una mazzata e veniva scaraventato giù da un dislivello roccioso, finendo su un piccolo spiazzo a strapiombo. Azog lo seguì, ma prima che potesse attaccare Lumbar lo anticipò saltando in mezzo ai due e parando il colpo con il martello che avrebbe colpito Thorin, ancora in ginocchio. Il nano si alzò e tentò un affondo, facendo allontanare l'orco e cominciando una serie di scambi tra i tre. Nel mentre, la pelle di Lumbar brillava sempre di più e Thorin le lanciava qualche occhiata preoccupata rischiando di distrarsi. Fortunatamente la ragazza sopperiva il rischio proteggendo il compagno, ma lui doveva concentrarsi su Azog, non su di lei.

Continuarono a combattere, spostandosi attraverso le rovine, anche quando i pipistrelli di Gundabad li sorvolarono, diretti verso la battaglia. Lumbar mandò un messaggio mentale in cerca di aiuto e pregò che accogliessero la sua richiesta. Vide di sfuggita Legolas appeso a un pipistrello che passava sopra le loro teste, prima di venire attaccata da altri orchi. Tauriel doveva essere poco lontano e si assicurò che anche lei e l'elfo avessero uno scudo invisibile attivo come tutti gli altri, poi si concentrò sui nuovi arrivati. Thorin era riuscito ad allontanare momentaneamente Azog, quindi potevano affrontarli. Dovevano essere del gruppo di Bolg. Thorin uccise il primo con un paio di fendenti e lei si occupò di quello alle sue spalle, impedendogli di colpire il nano. Affrontarono numerosi orchi mentre Azog rimaneva in disparte tentando di sfiancarli. O, forse, sperando che fossero gli altri orchi a ucciderli. A forza di muoversi sulle torri avevano risalito diverse scale, nonostante il ghiaccio e le zone distrutte, ma Lumbar non ci aveva fatto molto caso. FIno a quando Azog non arrivò, superando l'orco che stavano combattendo, e colpì Thorin con una mazzata, lanciandolo sulla distesa di ghiaccio alle loro spalle. Lumbar uccise l'orco che la teneva impegnata e ignorò Azog, correndo dal nano.

"Uccideteli!" ordinò l'Orco Pallido agli altri orchi.

Thorin uccise il primo mentre si rimetteva in piedi e Lumbar lo affiancò, pronta a combattere per difendere entrambi.

"Finiteli!" ordinò, ancora, Azog rimanendo indietro.

Altri orchi si fecero avanti sul fiume ghiacciato ma caddero morti, colpiti da alcune frecce. Lumbar si voltò subito indietro e vide Legolas in piedi sulla cima di una torretta in rovina alle loro spalle che mirava agli orchi con il suo arco e sorrise, poi tornò a concentrarsi sui nemici davanti a sè.

Thorin si lasciò scivolare sul ghiaccio e colpì un orco all'inguine prima di finirlo. Legolas si occupò di uccidere un orco che stava per colpirlo e Lumbar pensò ai due successivi, che fermò con un affondo del pugnale e un colpo di magia. La ragazza barcollò un secondo quando percepì lo scudo di Tauriel assorbire un colpo particolarmente forte, e pregò che stesse bene. Cercò di ignorare ciò che le comunicava lo scudo dell'elfa, come aveva cercato di fare per tutta la durata della battaglia, e uccise un orco subito dopo che Thorin scartò un suo attacco. Legolas uccise quello dietro di lui con una freccia. Lumbar percepì lo scudo di Kili assorbire diversi colpi e si preoccupò. Decise di passargli più energia, rinforzandolo e pregando che bastasse ad aiutare il giovane dato che non poteva fare di più. La sua pelle brillò più intensamente, attirando l'attenzione di Thorin e accecando l'orco davanti a lei, permettendole così di finirlo. Grazie allo scudo, sentì chiaramente il momento in cui Kili venne trafitto, come se quella colpita fosse lei. Sgranò gli occhi dalla sorpresa, bloccando il braccio che stava per colpire l'ennesimo nemico. Thorin dovette ucciderlo al suo posto, prima di voltarsi verso di lei preoccupato.

"No..." sussurrò Lumbar mentre una lacrima le scendeva lungo la guancia. "Non anche tu..."

Thorin la prese per le braccia, tentando di richiamare la sua attenzione senza successo. Lumbar aveva chiuso gli occhi e cercava di guarire Kili nonostante la distanza. Non poteva lasciar morire anche lui.

Legolas aveva notato che qualcosa non andava e aveva velocizzato i suoi movimenti per dare modo a Thorin di farla tornare in sè. Doveva proteggere entrambi fino a quel momento.

"Ti prego... ti prego..." sussurrò Lumbar assorbendo il dolore del colpo subito e la ferita di Kili. "Resisti..." la luce della sua pelle cominciò a pulsare, simbolo evidente di quanto si stesse sforzando, ma sentiva che la ferita non si stava rimarginando come avrebbe dovuto e comprese che la lama che l'aveva colpito era ancora nel suo corpo e le impediva di guarirlo.

Non si arrese, continuando l'incantesimo, ma riaprì gli occhi per puntarli in quelli del suo amato, che ancora la stringeva preoccupato. Lui doveva sapere.

"Thorin..." sussurrò disperata. "Non riesco a guarirlo..." le lacrime avevano cominciato a scendere incessanti dai suoi occhi, noncuranti del gelo, e percorrevano le sue guance lasciando scie umide e ben visibili. "Kili..." non riuscì nemmeno a completare la frase, ma il nano comprese benissimo cosa volesse dire.

"No..." mormorò stringendo la presa sulle sue braccia. "No." la supplicò. "Ti prego..."

Lei scosse la testa senza smettere di piangere mentre, intorno a loro, gli orchi cadevano vittime delle frecce di Legolas. "Non funziona... non si rimargina... sto usando tutta la magia che ho..." accennò uno sguardo alle sue braccia, per fargli intendere a cosa fosse dovuta la luminescenza. "Non sono abbastanza forte, Thorin..."

Cominciò a uscirle del sangue dalla bocca a causa della parte di ferita che aveva assorbito, ma si fermò solo quando sentì lo scudo svanire. In quell'istante la luce emessa dalla sua pelle smise di pulsare, ma divenne più splendente che mai. Una ciocca dei suoi capelli divenne nera, lasciandone solo una bianca.

Thorin comprese immediatamente che il nipote era morto e una lacrima gli percorse una guancia mentre alzava una mano per asciugare quella della sua amata. La preoccupazione per le condizioni della ragazza era più che evidente nel suo sguardo.

"Mi dispiace..." bisbigliò lei affondando il viso nella mano del nano. "Non sono riuscita a fare niente più di ciò che ho fatto per Fili."

"Non è stata colpa tua." tentò di tranquillizzarla lui, con la voce che tremava.

Fu in quel momento che Lumbar tornò totalmente presente e si rese conto degli orchi, vivi e morti, attorno a loro.

Parò in tempo un fendente che li avrebbe colpiti entrambi e uccise l'orco che l'aveva fatto. Notò con la coda dell'occhio che la torretta su cui era Legolas fino a quel momento non c'era più ma non se ne preoccupò, lo scudo dell'elfo era nella norma, e corse in aiuto di Thorin che era stato fatto scivolare sul fiume ghiacciato fino al punto in cui era la cascata. Sotto di loro, su ciò che restava della torretta, Legolas e Bolg combattevano. Thorin schivò un colpo dell'orco che lo aveva seguito e Lumbar approfittò della sua distrazione per passargli sotto, stendersi accanto al nano e pugnalarlo al collo scaraventandolo di sotto con l'aiuto del compagno. Il cadavere dell'orco sfondò le pietre della torretta, creando un buco, e precipitò nel vuoto facendo cadere Bolg all'interno della costruzione e allontanandolo da Legolas.

Un altro orco si avvicinò a Lumbar e Thorin, entrambi ancora a terra e impegnati a impedire a Thorin di precipitare dalla cascata. Lumbar era voltata di spalle e non fece caso a cosa accadeva dietro di lei. Il nano non fece in tempo ad avvertirla che Orcrist, la spada di Legolas, volò accanto alla testa della ragazza e trafisse l'orco prima che potesse abbassare le braccia e colpirla con la sua arma, salvandoli entrambi. Lumbar sorresse Thorin mentre il corpo dell'orco cadeva accanto a loro nel vuoto e il nano riuscì ad afferrare la spada, che prese il posto i quella che aveva perso. Intanto Bolg aveva nuovamente raggiunto Legolas e i due avevano ripreso a combattere.

"Credo sia stato lui a uccidere Kili." mormorò Lumbar osservando il combattimento. "Penso che Tauriel lo abbia affrontato. Per questo Legolas è così arrabbiato."

"Spero che lo uccida." commentò Thorin con l'odio nello sguardo.

"Oh, lo farà." lo rassicurò lei con ancora gli occhi fissi su Legolas e le sue lame elfiche. Lumbar era sicura che il principe avrebbe ucciso Bolg a qualunque costo.

I due distolsero lo sguardo dal combattimento sotto di loro e si rimisero in piedi, dando le spalle alla cascata. Thorin osservò Orcrist attentamente, portando la lama all'altezza dei suoi occhi e studiandola. Lumbar estrasse la sua dal fodero e strinse la presa sul pugnale. Azog li aspettava ritto in mezzo al fiume e li osservava, in attesa che si facessero avanti. Nella mano in cui prima teneva il martello ora era stretta una catena alla cui estremità era presente una pietra grande quanto le loro teste messe insieme.

Lumbar e Thorin avanzarono lentamente verso di lui mentre un corno degli orchi risuonava nell'aria annunciando l'arrivo dell'armata di Gundabad. Alle spalle di Azog, infatti, poterono vedere un'infinità di orchi avanzare verso di loro con le lance abbassate, pronti a combattere. L'Orco Pallido aveva un ghigno derisorio sul volto e Lumbar volle toglierglielo appena lo vide.

Azog attaccò. Con un ringhio sollevò la catena e la fece roteare verso di loro, che si abbassarono per schivare la pietra e indietreggiarono per allontanarsi dalla portata dell'arma. Azog avanzava a ogni giro della catena per impedire loro di sfuggirgli. Loro si abbassarono di nuovo, schivando tutti i suoi colpi, e approfittarono di un suo sbilanciamento in avanti per separarsi a suoi lati. Thorin lo colpì nella parte bassa della schiena e Azog fece ruotare velocemente il braccio con la catena verso il basso lanciando davanti a lui la pietra. Thorin la schivò e quella crepò il ghiaccio sotto di loro. Lumbar menò un fendente alla spalla dell'Orco Pallido e quello si voltò tentando di colpirla con la lama fissata al suo moncone. Lumbar indietreggiò per schivarla e Azog affondò una seconda volta verso di lei. La sua lama si scontrò con quella del pugnale della ragazza e lei usò la spada per impedirgli di attaccarla con la catena. Poi usò un piede per fargli lo sgambetto e allontanarsi, raggiungendo Thorin.

Azog usò ancora la catena e loro si abbassarono per impedire alla pietra di colpirli, poi dovettero separarsi di nuovo quando l'Orco Pallido menò un fendente con la catena e la pietra si scontrò di nuovo con il ghiaccio creando altre crepe. Azog colpì per la terza volta il fiume congelato, aumentando la ragnatela sulla sua superficie, e si mosse in circolo assieme a Thorin e Lumbar, cercando di colpire prima uno e poi l'altra e aumentando sempre di più la fragilità del ghiaccio. Dopo l'ennesimo colpo andato a vuoto il ghiaccio sotto di loro si spezzò, lasciandoli sopra una lastra in movimento. Azog e Thorin facevano più fatica di Lumbar a stare in equilibrio e lei ne approfittò per riavvicinarsi al nano e aiutarlo a rimettersi in piedi. Per Thorin ed Azog cominciava ad essere difficile guardarla a causa della luce che emetteva, ma cercarono di ignorare la cosa, anche se per motivi diversi. Il nano voleva proteggerla, l'orco voleva ucciderla.

Azog tentò nuovamente di colpirli con la pietra, ma a causa del ghiaccio girò su se stesso. Thorin, però, scivolò all'indietro e quasi cadde dentro l'acqua. Lumbar lo afferrò in tempo per un braccio, ma non si accorse del nuovo attacco di Azog che li fece cadere entrambi sulla lastra. Thorin rotolò su di lei, spostando entrambi dal punto in cui erano ed evitando un nuovo attacco di Azog. E rotolarono di nuovo quando Azog ci riprovò. Lo fecero più volte, aspettando il momento giusto per attaccare. Momento che arrivò per Thorin, in quel momento sopra Lumbar dopo l'ennesima schivata, quando Azog impiegò un attimo di troppo a ritirare il braccio. Il nano si alzò e usò lo slancio per colpirlo al ventre, facendolo piegare in avanti. Azog si slanciò all'indietro cercando di colpirlo con la pietra ma Thorin arretrò di un passo e venne mancato. La pietra rimase incastrata nel ghiaccio e Azog non riuscì a sbloccarla, così provò ad avanzare per colpire Thorin, ma il nano si abbassò e Azog dovette arretrare di nuovo per non perdere l'equilibrio a causa dell'instabilità della lastra.

Fu in quel momento che uno stridio alle spalle di Thorin attirò la loro attenzione. Le aquile apparvero attraverso la nebbia illuminate dal sole nascente e volarono verso la battaglia per aiutare i nani, gli elfi e gli uomini. Radagast cavalcava il loro capo.

Lumbar, Thorin e Azog li osservarono avvicinarsi all'esercito di orchi di Gundabad e attaccarlo, spezzandone le lance, prima di rialzarsi. Da un'altra aquila qualcuno si buttò e Lumbar comprese subito che si trattasse di Beorn. Il mutapelle assunse le sembianze di orso prima di toccare terra e finire in mezzo agli orchi. Creò subito un cerchio di morti attorno a sè e continuò ad affrontarli.

Lumbar sorrise. "Sono venuti... mi hanno sentita."

Azog si voltò verso di lei. "Tu..." ringhiò facendo un passo nella sua direzione.

Lumbar fu più veloce e saltò affiancando Thorin che, nel frattempo, aveva lasciato cadere Orcrist. Il nano sollevò la pietra con entrambe le braccia e la lanciò all'Orco Pallido che la prese al volo, mentre Lumbar rinfoderava la sua spada mantenendo il pugnale stretto in una mano. Poi Thorin e Lumbar arretrarono simultaneamente di un passo, come leggendosi nella mente, e si spostarono dalla lastra mobile al ghiaccio fermo. Il peso sbilanciato fece inclinare la lastra e Azog lasciò cadere la pietra nel tentativo di riprendere l'equilibrio. Fu un errore: la pietra scivolò nell'acqua, tirandosi dietro la catena e lui stesso, che non riuscì ad aggrapparsi a niente e sparì sotto il ghiaccio con un lamento e un urlo soffocato. La lastra ritornò al suo posto. Le aquile uccidevano i pipistrelli e Beorn sbaragliava gli orchi aiutando i nani. I loro stridii li raggiunsero nel silenzio che li aveva colti.

Thorin si abbassò per riprendere Orcrist e sia lui che Lumbar osservarono il corpo di Azog scivolare sotto di loro con le braccia allargate e gli occhi aperti. Thorin si rimise in piedi ed entrambi si mossero per seguirlo, senza perderlo di vista. Non si fidavano. Dopo una decina di passi gli occhi dell'Orco Pallido si chiusero. Lumbar ebbe un mancamento e barcollò di lato, attirando l'attenzione del nano che la sostenne con la mano libera dalla spada. Ora il sangue le colava anche dal naso, non solo dalla bocca.

"Stai bene?" le domandò Thorin.

Lei annuì, troppo debole per parlare ma volendolo tranquillizzare. Lui non le credette.

"Adesso ti porto via." le disse.

E fu in quel momento che accadde. Azog trafisse un piede di Thorin attraverso il ghiaccio, facendolo urlare, e ruppe la lastra balzando fuori dal fiume e facendoli cadere all'indietro. Erano finiti distesi sulla schiena e abbracciati, con Azog che torreggiava sopra di loro. Azog tentò di colpirli con la sua lama ma Lumbar riuscì a difenderli con il pugnale. Era così debole che il suo braccio tremava. Azog riuscì a farle perdere la presa su Galvorn, che scivolò lontano da lei e menò un fendente su Thorin dall'alto. Il nano riuscì a bloccarlo mettendo la sua spada di traverso e facendola scontrare con il punto in cui la lama di Azog si divideva in due, riuscendo a impedirgli di avanzare. Stava usando entrambe le braccia ma Lumbar vide che non ce l'avrebbe fatta, così aggiunse anche le sue posizionando le mani vicino a quelle di Thorin.

"No..." protestò lui. "Allontanati." sapeva quanto lei fosse debole, e lo sapeva anche Azog che, dall'alto, sogghignava convinto di avere la vittoria in pugno.

"Io non ti lascio." si oppose lei nonostante la sua presa sulla spada diventasse sempre più debole.

Non si sarebbe mai allontanata lasciandolo solo contro Azog, anche se questo significava morire con lui. Thorin lo capì e, con un certo sforzo, liberò una mano dalla presa sulla spada e la spinse via, allontanandola da lui e dall'Orco Pallido. Lumbar fu talmente sorpresa che non riuscì ad opporsi e scivolò sul ghiaccio senza poter fare niente, finendo per sbattere la schiena contro le rocce dell'argine. Fu talmente doloroso che per qualche secondo non vide più niente. Quando rimise a fuoco la scena davanti a sè vide Thorin togliere la spada e lasciare che la lama di Azog lo trafiggesse.

Urlò. Neanche se ne accorse, ma urlò con tutto il fiato che le era rimasto. Fu un urlo straziante che sentirono anche dal campo di battaglia e dalla città di Dale. Insieme all'urlo e alla disperazione rilasciò una luce immensa che si espanse e travolse ogni angolo della battaglia, disintegrando tutti gli orchi ancora in vita tranne Azog.

Lumbar cercò di alzarsi più velocemente che poteva, ma si rese conto che qualcosa non andava perchè il corpo non rispondeva ai suoi comandi. Così strisciò nella loro direzione mentre osservava Thorin trafiggere il cuore di Azog con Orcrist approfittando del fatto che si fosse avvicinato a lui quando l'aveva colpito. Si fece forza sulle braccia quando vide Thorin costringere Azog a terra e posizionarcisi sopra prima di spingere la lama di Orcrist talmente in profondità da trapassare il ghiaccio sotto di loro. Il corpo di Azog si rilassò in un unico secondo, troppo debole per provare a ribellarsi e la sua testa prima sollevata raggiunse il ghiaccio, confermando la sua morte definitiva.

Thorin cadde su un fianco, lamentandosi per le ferite, e Lumbar riuscì finalmente a raggiungerlo. Si rimisero in piedi a fatica, barcollando e aiutandosi a vicenda, e si avvicinarono alla cascata richiamati dallo stridio delle aquile.

Quando furono a un passo dallo strapiombo caddero insieme, entrambi troppo stanchi e feriti per stare in piedi.

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Capitolo 16
*** 14. Il viaggio di ritorno ***


Thorin finì disteso sulla schiena e Lumbar lo osservò subito, preoccupata.

"No no no." disse debolmente poggiando una mano sulla sua guancia e voltandogli il volto verso di lei. "Non puoi andartene adesso. Non ora che è finita."

"Morwen... Mia Stella..." la chiamò lui con voce lieve facendola scoppiare in lacrime.

Da quanto tempo non la chiamava in quel modo, lui che conosceva il suo vero nome. Lo stesso nome che, dopo la morte di sua madre, aveva cambiato in Morwen.

"Mia adorata Stella..." continuò appoggiando la mano sopra quella di lei. "Avevi... avevi detto che mi avresti sposato. Temo che non ce ne sarà il tempo. Mi... mi dispiace... avrei tanto voluto il piacere di poter essere chiamato tuo marito... anche solo per un secondo..." tossì a causa della ferita inflittagli dall'Orco Pallido.

"No!" protestò lei togliendo la mano dalla sua guancia e portandola sulla ferita insieme all'altra. "Non ho potuto fare niente per Fili e Kili, ma non lascerò morire anche te."

Ignorò la debolezza e attinse a quel filo di magia che riusciva a sentire ancora dentro di sè. Cominciò a curarlo con un incantesimo, continuando anche quando le mani di Thorin raggiunsero le sue e tentarono di spostarle per impedirle di continuare.

Anche quando il nano la richiamò lei lo ignorò e proseguì l'incantesimo di trasferimento e guarigione, accogliendo in sè la ferita e rimarginando quella di lui. Il bagliore che emetteva, leggermente più flebile dopo la luce che aveva rilasciato senza accorgersene, aveva ripreso a pulsare e Thorin era preoccupato per lei.

"Smettila Thorin!" protestò lei. "Perchè vuoi fermarmi?" gli domandò ignorando il sangue che aveva cominciato a uscirle anche dagli occhi e dalle orecchie. Le sue braccia avevano ripreso a tremare, ma lei non accennava a darsi per vinta.

"Perchè non voglio che tu muoia." riuscì a rispondere lui, seppur a fatica. "Non per me. Non di nuovo."

Lumbar puntò gli occhi in quelli di lui, osservandolo attraverso le lacrime mentre le sue mani continuavano ad assorbire la ferita. "Non posso perderti, Thorin. Non di nuovo." scosse la testa. "Non lo sopporterei."

Lui alzò debolmente un braccio e le accarezzò la guancia, sporcandola di sangue.

"E io non sopporterei di averti uccisa." le disse.

Qualcuno corse verso di loro e affiancò la ragazza, attirando l'attenzione del nano.

"Bilbo..." disse, riconoscendolo.

"Non muoverti." lo redarguì il mezzuomo osservando la ferita. Era preoccupato. "Non muoverti, sta fermo!"

"Sei qui, sono contento." continuò Thorin.

"Ssh." lo fermò lo hobbit. "Ssh ssh ssh."

"Voglio separarmi da te in amicizia..." riprese il nano. "E vorrei chiederti un favore..."

"Non andrai da nessuna parte, Thorin." si oppose Bilbo. "Tu vivrai."

"Rimangio le mie parole... e le mie azioni alla Porta..." una fitta gli tolse il fiato per un secondo. Lumbar faticava persino a togliergli il dolore per quanto era debole. "Hai fatto quello che un vero amico avrebbe fatto... perdonami." prese fiato con difficoltà. "Ero troppo cieco per vedere... mi dispiace tanto... di averti messo in un tale pericolo." quasi soffocò e Lumbar cominciò a mormorare una litania in elfico, talmente veloce che gli altri due non riuscivano a distinguerne le parole.

"No no. Sono contento di aver condiviso i tuoi pericoli, Thorin." disse lo hobbit stringendogli una mano. "Dal primo all'ultimo. È molto più di quanto meriti un Baggins qualsiasi."

Thorin sorrise. "Vorrei che facessi una cosa per me... se vuoi..."

"Qualunque cosa." accettò lo hobbit.

Thorin spostò lo sguardo su Lumbar che non osava alzare il suo e continuava a cercare di salvarlo.

"Vorrei...vorrei che ci sposassi."

Lumbar puntò i suoi occhi in quelli del nano, sconvolta.

"Adesso?" chiese il mezzuomo.

Lumbar studiò attentamente l'espressione di Thorin, ma vedendo la convinzione nel suo sguardo e l'attesa di una sua risposta, confermò per entrambi. "Sì." spostò lo sguardo su quello del mezzuomo. "Puoi farlo?"

"Io-io certo!" acconsentì. "Ma non so come funzionano i matrimoni dei nani." ammise.

Lumbar e Thorin sorrisero dolcemente all'imbarazzo del loro amico.

"Non preoccuparti." lo rassicurò lei. "Sono esattamente come tutto gli altri matrimoni, con una piccola aggiunta: l'uomo dona alla donna un fermatrecce della sua famiglia, come simbolo della sua nuova casata di appartenenza." spiegò continuando l'incantesimo. "Tradizione vuole che il nano lo forgi apposta per lei. Mentre la donna ricambia con uno dei fermagli che indossa sempre, ma deve avere un significato importante."

"Il tuo l'ho forgiato tanto tempo fa." ammise Thorin. "Poco prima di chiederti di sposarmi la prima volta... lo porto con me da allora... anche quando dimenticai di noi non l'ho mai tolto..." allungò lentamente le mani fino a una treccina laterale nascosta dai capelli e chiusa con un bellissimo fermaglio d'oro con il simbolo della casa di Durin circondato da piccolissime stelle create con il mithril e che risplendevano di bianco in contrasto con il giallo dell'altro metallo. Era curato fin nel più piccolo dettaglio ed era talmente fine da rispecchiare perfettamente la ragazza. Era l'oggetto più bello che avesse mai visto. Più bello persino dell'Archengemma.

"È meraviglioso." disse lei non riuscendo a distogliere l'attenzione da quel piccolo oggetto.

"Ed è tuo." completò Thorin liberandolo dai capelli. "Vorrei vedertelo indosso come simbolo che sei mia moglie... anche se per poco..." glielo porse su un palmo e lei annuì lentamente.

"Poco è sufficiente. È comunque un sogno che si avvera."

"Due sogni... il tuo... e il mio..." la corresse lui con un leggero sorriso sul volto e gli occhi che esprimevano tutto il suo amore per lei. Portò l'attenzione su Bilbo per un secondo, facendogli un leggero cenno con la testa, poi riportò lo sguardo sulla sua amata. Le prese una ciocca di capelli al lato del viso e la suddivise in tre ciocche più piccole. Poi cominciò a intrecciarle con la maestria dovuta ad anni di pratica. In pochi minuti, nonostante le mani gli tremassero a causa della debolezza derivatagli dalle ferite, Thorin completò la treccina e la chiuse con il fermaglio che aveva forgiato per lei.

"Con questa treccia ti scelgo come mia sposa e ti accolgo nella mia stirpe."

Dopo un attimo di esitazione, lei fermò l'incantesimo di guarigione e cominciò a intrecciare i capelli del nano dove prima era situata la treccina, bloccandoli poi con l'unico fermaglio in suo possesso, un semplice oggettino in oro ricamato con delle foglie. Anche quello fu un dono che Thorin le fece in passato.

"Con questa treccia ti scelgo come mio sposo e accetto di entrare a far parte della tua stirpe." rispose alle parole del nano.

Entrambi voltarono la testa verso Bilbo, in attesa.

"Vi-vi dichiaro marito e moglie." balbettò, ancora sorpreso ma con un piccolo sorriso.

Lei avvicinò il volto a quello di Thorin e lo baciò dolcemente, con la paura di fargli più male di quanto ne stesse già patendo nonostante continuasse ad assorbire il suo dolore. Lui appoggiò una mano sulla sua guancia, premendo più intensamente le labbra su quelle di lei. Poi si staccarono e si guardarono con un sorriso, le fronti che si sfioravano e le mani intrecciate.

"Moglie..." sussurrò Thorin studiando attentamente il volto della sua donna, gli occhi che brillavano dalla gioia.

"Marito..." rispose lei facendo lo stesso.

Thorin tossì rompendo la bolla in cui erano finiti e riportando Lumbar alla realtà. Il suo sorriso scomparve e lei sciolse la loro presa, riportando le mani sulla ferita e riprendendo a mormorare incantesimi nel tentativo di guarirlo.

"No..." mormorò lui. "Ti prego... basta... Morwen..." tentò di prenderle le mani ma lei lo scacciò.

"Non posso lasciarti andare." gli disse mentre le lacrime riprendevano a scenderle lungo le guance. "Non ci riesco."

Lui scosse la testa. "Non sei tu... che lasci andare me... sono io... che lascio andare te..." prese fiato a fatica. "Anche se il nostro sogno si è appena realizzato... voglio che tu viva... e per farlo devi... devi smettere..." riuscì a stringere le mani della ragazza tra le sue e si accorse che stavano tremando. Tentò di sorriderle. "Io andrò nelle Aule e aspetterò il tuo arrivo... ma devi promettermi che... mi raggiungerai il... il più tardi possibile... devi vivere per entrambi..." voltò leggermente la testa verso Bilbo. "Addio... mastro Scassinatore... torna ai tuoi libri... e alla tua poltrona... pianta i tuoi alberi... guardali crescere..." il suo respiro divenne affannoso. "Se più persone... considerassero la casa prima dell'oro... il mondo... sarebbe un posto più felice..." gemette.

"No! No no no." Bilbo si avvicinò angosciato al volto del nano. "Thorin..." bisbigliò.

Lui riuscì a voltarsi verso sua moglie e punto il suo sguardo in quello di lei. Voleva che fosse la sua ultima immagine di quel mondo.

"Tu... devi... amare ancora..." le disse in un sussurro appena percettibile. "Promettimelo..." Lei fu talmente turbata e confusa da quella richiesta che rimase a fissarlo in silenzio. Il nano strinse debolmente la presa sulle sue mani mentre una lacrima gli rigava la guancia. "Voglio... voglio che tu sia felice... e per esserlo devi... devi amare di nuovo... quindi promettimi... lo farai."

Lei scosse la testa. "Non puoi chiedermi una cosa del genere. Non posso essere felice senza di te." anche il resto del suo corpo aveva cominciato a tremare e la sua pelle aveva ripreso a brillare più intensamente e velocemente.

"Non subito... ma... un giorno... il tuo cuore sarà pronto... ad amare e ad essere amato... di nuovo... non impedirglielo..." sussurrò il nano, in risposta. "Non lasciare che... il mio ricordo... ti impedisca di amare... non lo sopporterei..." tossì più volte. "Promettimi che... che quando sarai pronta... ti lascerai andare a un nuovo amore... promettimelo..." abbandonò la testa al suolo, troppo stanco per tenerla alzata, ma rimase con gli occhi fissi nei suoi. "Non voglio che... ti isoli nel tuo dolore... per sempre..."

"Thorin non osare..." bisbigliò lo hobbit accanto a loro, pregando che resistesse.

Lumbar abbassò lo sguardo, ma il nano la richiamò a sè con una leggerissima stretta alle sue mani.

"Promettilo..."

Lei annuì, in lacrime, con la disperazione sul volto. "Te lo giuro." mormorò. "Spero di averti donato una morte serena, per quanto non voluta."

"La più bella che... potessi desiderare..." rispose lui guardandola con dolcezza infinita. "Ho protetto la donna che amo... non potrei esserne più felice..." sospirò.

Lumbar vide i suoi occhi diventare opachi, la luce che li aveva sempre caratterizzati spegnersi e lo scudo svanire. Appoggiò la testa sulle loro mani unite e pianse, mentre anche l'ultima ciocca dei suoi capelli diventava nera.

Bilbo, accanto a lei, non si diede per vinto. "No, Thorin... tieni duro, Thorin... tieni duro. Vedi? Le aquile..." le indicò. "Le aquile... le aquile sono qui." quando non ricevette risposta si arrese e cominciò a piangere.

Dopo qualche minuto si allontanò per lasciarli da soli sedendosi su alcuni gradini vicino all'argine del fiume, da cui poteva osservarli tranquillamente.

Lumbar non diede segno di averlo sentito spostarsi, così come rimase immobile all'arrivo di Gandalf, che si sedette vicino allo hobbit, e dei nani della Compagnia che, invece, si avvicinarono a lei e al corpo di Thorin e si inginocchiarono rivolti verso di lui, in segno di saluto. Il sole si era alzato abbastanza da illuminare oltre la Montagna e raggiungere loro, facendo risplendere il ghiaccio e rendendo quel segno di rispetto quasi divino.

"Si è distratto." mormorò, infine, rimanendo con la fronte appoggiata alle loro mani intrecciate e il volto coperto, la sua voce a malapena un sussurro che, però, raggiunse perfettamente lo hobbit e lo stregone. "Gli scudi mi avevano prosciugato le energie e ho barcollato. Lui si è distratto e Azog gli ha trafitto un piede attraverso il ghiaccio, prima di romperlo e saltare fuori." un respiro tremolante le uscì dalle labbra mentre faceva una pausa, incapace di continuare. Attorno a lei i nani la osservavano in silenzio. "Ho parato il primo colpo, ma ho perso la presa sul pugnale e Thorin ha usato Orcrist per proteggerci dal secondo affondo. Quando ho tentato di aiutarlo mi ha spinta via. Se Thorin non l'avesse fatto..." si mise una mano sul volto. "È stata colpa mia." sussurrò.

"Di quali scudi stai parlando?" domandò Dwalin, confuso. Non riusciva a capire a cosa si riferisse.

Gandalf, invece, lo intuì subito. "Quelli che ha eretto intorno a noi per impedire che ci ammazzassimo a vicenda prima dell'arrivo degli orchi." rispose al posto della ragazza. "Li ha tenuti attivi per tutto il tempo, attorno a ogni elfo, uomo e nano presente fra Erebor e Dale." sospirò. "Questo spiega molte cose."

"Ed è una cosa possibile?" chiese Bofur.

"Per una persona comune no." ammise Gandalf. "Ma la nostra amica è tutt'altro che comune."

"Ma non è stato comunque sufficiente." sussurrò lei. "Fili e Kili sono morti. Lui è morto. Non l'ho salvato." aveva gli occhi lucidi, come la maggior parte dei presenti, e non aveva il coraggio di alzare il viso dal corpo di Thorin. "Mi aveva detto che non mi avrebbe più permesso di lasciarlo." alzò una mano, che continuava a brillare insieme al resto del suo corpo, e la poggiò sulla guancia del nano in una lenta carezza, ancora senza guardarlo. "Ed è stato lui a lasciare me. E io non sono stata in grado di impedirglielo. Non sono stata abbastanza forte. L'ho lasciato andare..." le lacrime cominciarono a sgorgare senza sosta dai suoi occhi, lasciando solchi puliti sulle sue guance lì dove si portavano via il sangue del suo amato mescolato con quello degli orchi.

"Mia cara..." mormorò Balin appoggiandole una mano sulla spalla in un tentativo di conforto. Lei nemmeno si era accorta che si era avvicinato. "Non potevi fare niente."

"Avrei dovuto fare di più." si riproverò.

"Più di quello che hai fatto?" le domandò Dwalin, scettico. "Ne dubito. Scommetto che non hai smesso di provare a curarlo nemmeno per un secondo. E guarda come sei ridotta." osservò, indicandola.

Bilbo annuì, ma non riuscì a dire una parola, ancora troppo sconvolto.

"Ha ragione." commentò Gandalf. "Sei viva per miracolo, mia cara. Non puoi incolparti per non essere riuscita a salvarlo."

Lei alzò la testa dal corpo di Thorin e la voltò verso Gandalf, puntando lo sguardo nel suo. "Si è sacrificato per me!" lo gelò. "Centro che mi incolpo."

Uno strano silenzio era calato intorno a lei, un silenzio sorpreso. Lumbar spostò l'attenzione su Bilbo, che la osservava anche lui senza sapere a cosa fosse dovuta quella reazione. Così percorse con lo sguardo ogni nano della Compagnia e li vide tutti osservarla con espressioni scioccate e sconvolte. Non riusciva davvero a comprenderne il motivo. Riportò l'attenzione su Balin quando il vecchio nano allungò una mano verso il suo volto.

"Ragazza..." disse prendendo delicatamente con le dita una lunga treccia chiusa con un fermaglio nanico. "Siete..."

"Oh." rispose semplicemente lei, senza riuscire a dire altro. Spostò gli occhi da quelli di Balin, a disagio, ma finì per puntarli in quelli di Dwalin, il che fu peggio. "Sono riuscita a chiamarlo marito... almeno una volta." rivelò confermando i loro pensieri. "Era così felice..."

Si portò una mano alla bocca, incapace di dire altro, e scoppiò in un pianto disperato. Balin la accolse tra le sue braccia, avvolgendole il busto e stringendola forte mentre lei appoggiava la testa sulla sua spalla in preda a singhiozzi devastanti.

Gli altri nani stavano ancora metabolizzando le sue parole, ma dopo qualche attimo la circondarono tutti, aggiungendosi all'abbraccio.

Quando si fu calmata i nani indietreggiarono per darle spazio e lei si staccò da Balin, pur mantenendo le mani strette alle sue.

"Dovevate vederlo... i suoi occhi splendevano..." mormorò.

"È vero." confermò lo hobbit attirando i loro sguardi.

"Tu c'eri?" chiese Gloin.

Lui annuì. "Sono arrivato poco dopo la morte di Azog e gli sono rimasto accanto tutto il tempo."

"Non avrei potuto chiedere officiante migliore." ammise Lumbar.

"Hai assistito al loro scambio?" domandò Dwalin.

Bilbo annuì una seconda volta. "Thorin mi ha chiesto di farlo. Ha-ha detto di volerla chiamare moglie almeno una volta prima di andarsene. Che era il suo sogno." sospirò. "Ho voluto fare in modo che si avverasse."

I nani lo osservarono con gratitudine.

"Era anche il mio." mormorò Lumbar. "Non voglio che altri lo sappiano."

"Che cosa?!" Dwalin quasi urlò dalla sorpresa quando la sentì. "Perchè diavolo non vuoi dire che vi siete sposati? Devono saperlo tutti." protestò mentre gli altri nani borbottavano lamenti, dandogli ragione.

Lei scosse la testa. "No, invece." prima che lui potesse nuovamente ribattere, continuò. "Se anche lo dicessi non cambierebbe niente. Lui è morto." la sua voce tremò quando lo disse ad alta voce. Era la prima volta. "E io non voglio il suo trono, non l'ho mai voluto. Avevo accettato che sarebbe potuto succedere solo perchè faceva parte di lui, di ciò che era. Thorin sapeva che non volevo diventare regina, ma sapeva anche che non l'avrei mai lasciato solo e che avrei accettato quell'incarico se fosse stato lui a chiedermi di farlo. Gli sarei rimasta accanto. Ma adesso lui non c'è più e io non ho intenzione di appropriarmi di un trono che non mi appartiene. Non è mai stato mio e non lo diventerà adesso. Andrà a Dain, che sarà un buon re, e la stirpe di Durin continuerà, com'è giusto che sia. Io non posso farmi carico di un peso del genere senza di lui."

"Ma perchè non dirlo?" chiese ancora Dwalin, non capendo. "Perchè nasconderlo?"

"Perchè Dain sarebbe il primo a spingerla ad accettare la corona che il matrimonio le ha concesso di diritto." spiegò Balin, comprendendo i pensieri della ragazza. "E come lui molti altri. Vuole solo impedirlo."

 

****

 

I funerali furono organizzati in tempi record. Nani, elfi e umani collaborarono per ripulire il campo e la città dai cadaveri degli orchi, mentre i loro caduti venivano preparati per le cerimonie funebri. Anche Beorn e le aquile li aiutarono.

Dopo appena qualche giorno venne dato l'ultimo saluto a Thorin, Fili e Kili, i cui corpi erano stati recuperati lo stesso giorno in cui finì la battaglia.

Lumbar si era chiusa nella Fortezza, in quelle che una volta erano le sue stanze, e non ne era quasi più uscita finchè non la chiamarono per il funerale. Le avevano detto che Legolas era partito poco dopo la battaglia e che Thranduil voleva vederla, così come Dain, ma lei non si sentiva pronta così era rimasta chiusa nelle sue stanze, rifiutandosi di parlare con qualcuno. Era scappata all'esterno solo un paio di volte, di nascosto, ma era tornata prima che qualcuno lo notasse. Per il resto del tempo si era limitata a ripercorrere con la mente ogni ricordo che condivideva con Thorin, ricreando le immagini davanti a sè con le fiamme. Fino a quando bussarono per avvertirla che erano pronti.

Non mangiava e non dormiva dalla sua morte, i nani erano preoccupati, ma vederla in piedi, anche se non in forma, li tranquillizzò. Aveva smesso di brillare solo poche ore prima, e questo significava che si stava riprendendo. Anche se più lentamente del previsto.

Camminarono in silenzio per i corridoi di Erebor, ognuno perso nei propri pensieri. Quando passarono vicino alle mura sentirono i corni degli uomini suonare a lutto e Lumbar vide Bard e il suo popolo appostati sulle mura di Dale e rivolti verso di loro. Stavano rendendo omaggio anche loro.

Percorsero molti altri corridoi, fino a quando arrivarono nella sala in cui avrebbero seppellito Thorin e i suoi nipoti, una cripta interamente scavata nella roccia e illuminata da migliaia di candele. Una lunga scalinata permetteva di raggiungere il punto più basso, dove si trovavano le tombe in cui sarebbero stati deposti e davanti alle quali sostavano Dain, incoronato, e tutto il popolo dei Colli Ferrosi. Anche Gandalf, Radagast e Beorn erano lì.

"Abbiamo rispettato il tuo silenzio." disse Balin a Lumbar facendole cenno di fermarsi, seguito dagli altri. "Ma Dain l'ha capito quando ha visto il tuo fermaglio chiudere una treccia di Thorin. Gli abbiamo fatto giurare di mantenere il segreto, come abbiamo fatto noi, e lui ha accettato." la tranquillizzò. "Mi sembrava corretto che tu lo sapessi."

Lei annuì e lo ringraziò con lo sguardo. Bilbo si fece avanti e le porse un fagottino di stoffa scura.

"Ho visto Bard, prima." spiegò. "Mi ha chiesto di darti questa. Ha detto che è giusto che stia con Thorin e il suo popolo. Ha pensato che potevi restituirgliela tu."

Lumbar aprì lentamente l'involto scoprendo l'Archengemma al suo interno. La Pietra brillò nella semi oscurità della cripta, illuminando la ragazza di migliaia di bagliori colorati che si riflessero sui suoi capelli ancora completamente neri. Da quando Thorin era morto non erano più cambiati.

"Una volta Thorin mi disse una cosa..." mormorò a fatica, a causa del silenzio che aveva mantenuto fino a quel momento, senza distogliere lo sguardo dalla Gemma. "Disse che amava l'Archengemma perchè aveva la stessa luce dei miei occhi. Gli ricordava me."

"Sono parole molto belle." osservò il mezzuomo.

Lei annuì. "Sapeva essere veramente romantico, a volte."

Spostò lo sguardo dall Gemma ai nani, studiando i loro sguardi e rendendosi conto che la osservavano con dolcezza e malinconia insieme. Sospirò prima di annuire e riprendere a camminare insieme a loro verso le tombe. Dovevano porgere l'ultimo saluto, tutti gli altri lo aveva già fatto.

Uno a uno i nani passarono tra i corpi, appoggiati su altari di pietra, dei loro compagni. Thorin era al centro, Fili alla sua sinistra e Kili a destra ed erano circondati da candele che rendevano l'atmosfera più calma e, allo stesso tempo, solenne. Bilbo si fermò vicino a Thorin, non riuscendo a proseguire, e rimase lì per un po' mentre i nani gli passavano accanto.

Lumbar si avvicinò a Kili, gli fece una carezza sulla testa e gli lasciò un bacio sulla fronte, poi fece lo stesso con Fili. Quando si avvicinò a Thorin Bilbo si allontanò, lasciandola sola con lui, e raggiunse gli altri, posizionati uno accanto all'altro davanti al popolo dei Colli Ferrosi. Vicino agli altari era rimasta solo lei e tutti la osservavano, in attesa che si accomiatasse. Lei non se ne curò. Riaprì l'involto e prese l'Archengemma, sistemandola tra le mani di Thorin. Poi si abbassò sul suo volto e gli diede un lungo e leggero bacio sulle labbra.

"Ti amo." gli sussurrò prima di allontanarsi e raggiungere il centro della fila dei nani, lì dove le avevano lasciato un posto, tra Balin e Gloin e si voltarono tutti verso la folla.

"Il re è morto!" disse Gandalf con voce solenne.

"Lunga vita al re!" gridò Balin alzando la spada verso Dain, subito seguito dagli altri nani della Compagnia che ripeterono quelle parole.

Il popolo dei Colli Ferrosi si aggiunse al coro mentre Dain, da quel momento il nuovo re di Erebor, chinava la testa in segno di rispetto con gli occhi fissi su Lumbar. Lei emise un flebile bagliore bianco, che si espanse e raggiunse il nano circondandolo prima di svanire. Aveva appena ricevuto la sua benedizione: gli augurava un regno lungo e felice.

 

****

 

Lumbar e Bilbo stavano camminando tranquillamente verso la Porta insieme a Balin. Il funerale e la cerimonia di incoronazione erano finite e uno di loro stava per ripartire, come simboleggiava lo zaino che lo hobbit aveva sulla schiena. Gandalf lo aspettava con un cavallo e un pony.

"Deve essere una gran festa stasera." disse Balin. "Canzoni saranno cantate. Racconti saranno raccontati." si fermarono subito dopo le mura. "E Thorin Scudodiquercia... lui... passerà alla leggenda." continuò a fatica distogliendo lo sguardo lucido. Era una ferita troppo fresca per tutti.

"So che è così che dovete onorarlo." disse Bilbo mentre allungava una mano per stringere quella dell'amica. "Ma per me non lo è mai stato." scosse la testa con un sorriso. "Lui era... per me lui... lui era..." Balin sorrise vedendolo in cerca delle parole giuste senza successo. "Beh, credo che me ne andrò in silenzio." concluse. "Puoi dire agli altri che li saluto?"

"Glielo puoi dire tu stesso." rispose Balin facendolo voltare.

Dietro di loro i nani della Compagnia li osservavano dalla Porta, uno accanto all'altro. Bilbo sorrise prima di avvicinarsi.

"Ah, se qualcuno di voi passasse da casa Baggins... ah... il tè è alle quattro." concluse semplicemente facendo venire gli occhi lucidi ai nani. "Ce n'è in abbondanza. Siete sempre i benvenuti."

Loro chinarono il busto, come avevano fatto quando l'avevano conosciuto, e sorrisero.

Bilbo stava per voltarsi, quando si fermò."Non disturbatevi a bussare." aggiunse facendoli ridere. Si voltò verso Lumbar e sospirò. "Vale anche per te, sai?" lei distolse lo sguardo. "Che cosa c'è?" le chiese.

"Stavo pensando a una cosa." rispose lei continuando a non guardarlo.

"Che cosa?"

"Credo sia arrivato il momento di riprendere il mio vecchio nome, quello con cui mi hanno conosciuta Thorin e Gandalf." spiegò.

"I-intendi Morwen?" disse Bilbo, sorpreso.

"Sei sicura?" chiese Balin. "Significherebbe riportare alla luce molti periodi che volevi dimenticare."

Lei annuì. "Non ho la minima intenzione di rinnegare il mio passato con Thorin. Tantomeno il mio passato con voi." puntò lo sguardo in quello del vecchio nano. "Siete la mia famiglia, Balin."

"Ma non puoi restare." comprese lui con sguardo triste.

"Non sono pronta." si scusò. "Non posso vivere qui senza di lui." ammise.

"Lo so. Ma sarai sempre la benvenuta qui." le ricordò. "Dain vorrebbe che tornassi."

"Un giorno lo farò." lo rassicurò. "E quando avverrà vorrò vedervi tutti." il vecchio nano annuì e lei si allontanò insieme a Bilbo, raggiungendo Gandalf che li aspettava poco lontano. "Vorrei accompagnarti alla Contea." disse allo hobbit mentre saliva sul pony. "Ma devo fermarmi in un paio di posti prima."

"Vuoi un passaggio fino alla tua prima meta?" chiese Gandalf indicando con un cenno Dale.

Lo stregone sapeva cos'avesse in mente. Dopotutto era stato lui ad aiutarla, qualche giorno prima. Lei annuì e salì sul cavallo dietro di lui, che diresse l'animale verso la città seguito dal mezzuomo.

Una volta raggiunta, Lumbar scese mentre loro proseguirono il viaggio, con la promessa che li avrebbe ripresi e avrebbero percorso insieme l'ultima parte del viaggio.

La ragazza si diresse verso la casa in cui si era stabilito Bard insieme ai suoi figli e bussò un paio di volte. Quando la porta si aprì Bard la accolse con un sorriso sul volto, anche se triste.

"Grazie." gli disse. "Per la Gemma."

Lui la fece entrare. "Era la cosa giusta." minimizzò. "Come ti senti?"

"Lo sai."

"Sì, lo so." confermò lui con sguardo triste, ripensando a quando aveva perso la moglie. "Dove andrai?" aveva capito, infatti, che non sarebbe rimasta.

"Accompagno Bilbo a casa poi... non lo so." ammise. "La mia Casa era lui. Non ho un altro posto a cui tornare."

"Ci sarà sempre un posto qui, per te." le disse l'arciere. "Non farti problemi a tornare quando vuoi."

Lei annuì. "Hai fatto quello che ti avevo chiesto?" gli chiese, cambiando totalmente argomento.

Lui sorrise. "Sì, vieni con me."

Uscirono di casa e la condusse attraverso le vie in ricostruzione della città fino a che non raggiunsero una stalla situata in disparte. Quando entrarono, riparato da occhi indiscreti il cervo di Thranduil li osservava steso a terra. Sembrava tranquillo.

"Ancora mi chiedo come tu abbia fatto." le disse l'arciere osservando l'animale. "Era quasi morto quando l'hai trovato."

"Lo scudo." disse solamente, ricordandogli quel particolare che Gandalf gli aveva spiegato quando aveva chiesto il suo aiuto dopo la battaglia. "Lo ha protetto abbastanza da farlo sopravvivere. Le erbe curative e la magia che ho usato i giorni scorsi hanno fatto il resto." spiegò.

"E ora è pronto a tornare a casa." osservò l'uomo. "Sembra completamente guarito."

"Lo è." confermò lei avvicinandosi al cervo e accarezzandogli il muso. Gli sussurrò qualche parola in elfico e quello si alzò, ergendosi in tutta la sua magnificenza.

"Thranduil è partito due giorni fa." le disse Bard. "Dovrebbe essere arrivato ieri."

Lei annuì e lo ringraziò prima di condurre il cervo all'esterno e salirci in groppa.

"Salutami i tuoi figli." disse all'uomo prima di voltare l'animale e incamminarsi verso Bosco Atro.

 

****

 

Dopo circa un giorno di viaggio lei e il cervo videro apparire, tra gli alberi, i cancelli del regno di Thranduil. L'animale avanzò a passo lento e le guardie li fecero passare, sorprese di vedere che il cervo del loro signore era ancora vivo.

Quando raggiunsero la piazza principale del palazzo sotterraneo, Thranduil era già lì ad aspettare. Probabilmente qualcuno lo aveva avvertito.

Il cervo si fermò di fronte a lui e Morwen scese posizionandosi accanto a lui. Thranduil passava lo sguardo dall'animale alla ragazza, studiando entrambi da cima a fondo. Dopo qualche minuto si avvicinò al cervo e lo accarezzò, prima di porre un'unica domanda.

"Come?" la sua voce risuonò ferma, come sempre, ma Morwen riuscì a cogliere la gratitudine che celava.

"Scudi invisibili." rispose.

"Quelli che hai eretto attorno a ognuno di noi." ricordò il re.

Lei annuì. "Ne ho creato uno anche attorno a lui."

"Perchè?" le chiese.

Morwen alzò le spalle. "Sapevo quanto fosse importante per te. Gli ho voluto dare la stessa protezione che avevo dato a te."

Thranduil sospirò e fece cenno ad alcuni elfi di portare via il cervo, prima di voltarsi e dirle di seguirlo. Si incamminarono all'interno del palazzo, fino ad arrivare a un meraviglioso giardino con la statua di una bellissima elfa al centro. Era la madre di Legolas.

Thranduil si accomodò su una panca in pietra di fronte alla statua e le fece segno di sedersi accanto a lui.

"Quanto resterai?" le chiese.

"Il tempo che Erenie arrivi qui. Ho promesso a Bilbo che lo avrei raggiunto e riaccompagnato a casa." rispose lei.

"Capisco." disse l'elfo. "Vorrei chiederti un favore." aggiunse dopo qualche secondo di silenzio.

"Quale?" domandò lei, osservandolo.

Thranduil sospirò. "Legolas è partito, dubito che tornerà presto." cominciò. "Vorrei che tu lo rintracciassi e lo accompagnassi nel suo viaggio, ovunque esso lo porterà."

"Ha accettato che Tauriel avesse scelto Kili e ha capito che non poteva rimanere a vivere qui a causa di ciò." comprese lei. "Conosco la sensazione."

"Proprio perchè la conosci ti chiedo di stargli accanto." le disse il re. "So quanto stai soffrendo in questo momento e non voglio che diventi come me." rivelò. "Non voglio che ti chiudi in te stessa come ho fatto io, e non voglio che capiti anche a Legolas. Voglio che mio figlio sia felice."

"E pensi che io possa aiutarlo?" chiese, scettica, lei. "Ma mi hai vista? Non dormo e non mangio da giorni, per non parlare dei miei capelli." gli fece notare. "Sono totalmente neri e devo capire il perchè."

"Io credo di saperlo." la sorprese lui. "Abbiamo sempre pensato che cambiassero colore a seconda di quanto fossero forti le forze del Bene e quelle del Male presenti su questa terra." spiegò. "Ma credo che sia più complicato di così. Io credo che i tuoi capelli siano diventati neri, senza più cambiare, perchè tu hai perso la speranza e la voglia di vivere quando è morto Thorin. Credo che il loro colore rispecchi più ciò che credi tu di ciò che corrisponde al potere della Terra di Mezzo. Non dico che non si basi anche su quello." aggiunse. "Penso che riguardi entrambi."

Morwen ci pensò qualche secondo, poi annuì sospirando. "Probabilmente hai ragione." ammise. "Quando credi che cambierà?"

"Probabilmente quando ricomincerai a vivere." osservò l'elfo.

"Tu l'hai fatto?"

"No." confessò. "Non davvero."

"Non è tardi. Puoi sempre ricominciare, se vuoi." gli disse lei.

"Il punto è volerlo." le fece presente.

Morwen sospirò. "Lo so."

Rimasero in silenzio per ore, a bearsi della pace di quel magnifico giardino, fino a quando un giovane elfo non li informò che Erenie era arrivata. Allora i due si alzarono e si diressero nuovamente verso la piazza.

"Ti serve qualcosa?" chiese Thranduil.

"Sono a posto, grazie." rispose lei.

"Aspetta." la fermò lui facendola voltare. "Vorrei farti un dono, per ciò che hai fatto per il mio popolo." le disse estraendo da una tasca del suo abito un finissimo filo d'argento al cui centro era incastonata una meravigliosa gemma bianca della grandezza di un'unghia, modellata a forma di goccia e che sembrava risplendere di luce propria.

Lui gliela posizionò sulla fronte, facendole passare il filo attorno alla testa e intrecciandoglielo con i capelli come faceva quando indossava la sua corona da battaglia, in modo che non scivolasse via. Quando la gemma toccò la fronte di Morwen. poco sopra i suoi occhi, si illuminò per un secondo insieme alla sua pelle, prima che ritornassero entrambe normali.

"Una gemma di Lasgalen..." mormorò lei, sorpresa. "Perchè...?"

"È giusto così." rispose lui, impedendole di terminare la domanda. Morwen lo osservava confusa. "Tu hai protetto il mio popolo." spiegò. "Hai protetto tutti i popoli. E a un prezzo davvero alto. Loro sarebbero d'accordo." concluse riferendosi alla moglie e alla madre di Morwen. "Inoltre credo che queste gemme siano legate a te, in qualche modo."

"Cosa vuoi dire?"

"Non ne sono sicuro..." ammise lui. "Ma la gemma si è illuminata quando ti ha toccata, come se ti avesse riconosciuta. La tua pelle ha fatto lo stesso. Non so cosa significhi, ma credo sia importante capirne il motivo."

Lei annuì. "Cercherò di trovare una risposta."

Raggiunsero Erenie un minuto dopo. La cavalla li aspettava tranquilla, godendosi le carezze di un elfo che le faceva compagnia, ma quando Morwen le si avvicinò la salutò con un buffetto sulla fronte. La ragazza sorrise e le accarezzò il collo in risposta. Poi le salì in groppa e si voltò verso Thranduil.

"Farò quello che mi hai chiesto." gli disse. "E grazie."

"Sarai sempre la benvenuta, qui." rispose il re, prima di salutarla.

 

****

 

Circa a metà inverno, giunse a casa di Beorn, dove trovò Gandalf e Bilbo ad aspettarla. Decisero di fermarsi lì per un po' e il periodo natalizio fu caldo e allegro.

Grazie alla grande diminuzione di orchi e mannari, Beorn divenne un grande capo in quelle regioni e governò gli uomini della contrada selvaggia tra le montagne e il bosco; e si dice che per molte generazioni gli uomini della sua stirpe ebbero il potere di assumere l'aspetto di orso, e alcuni furono uomini aspri e cattivi, ma per la maggior parte somigliarono a Beorn nel cuore, seppur furono inferiori a lui per statura e forza. Ai loro tempi gli ultimi orchi furono cacciati via dalle Montagne Nebbiose, e una nuova pace scese al confine delle Terre Selvagge.

Venne la primavera, una bella primavera mite e splendente di sole, prima che Morwen, Bilbo e Gandalf se ne andassero finalmente da casa di Beorn. Alla fine risalirono la lunga strada delle Montagne e raggiunsero il passo dove gli orchi li avevano catturati la prima volta. Ma vi giunsero di mattina, e guardando indietro videro un sole bianco brillare sopra le terre che si stendevano davanti a loro. Al di là, si vedeva Bosco Atro, azzurro nella distanza, e verde cupo, anche in primavera, nella parte a loro più vicina.

Lontano lontano, appena visibile a occhio nudo, la Montagna Solitaria: sulla sua vetta più alta la neve, non ancora disciolta, brillava pallida.

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Capitolo 17
*** 15. Epilogo. L'ultima tappa ***


Era il primo maggio quando i tre arrivarono finalmente sull'orlo della valle di Granburrone, dove c'era l'Ultima (o la Prima) Casa Accogliente. Era di nuovo sera, i cavalli erano stanchi, specialmente quello di Bilbo, e tutti sentivano il bisogno di riposare.

Quando arrivarono alla casa di Elrond fu dato loro un caldo benvenuto, e quella sera molte avide orecchie vollero ascoltare il racconto delle loro avventure. Fu Gandalf a parlare, per Morwen la ferita era troppo fresca, mentre Bilbo era piombato in uno stato di taciturna sonnolenza: egli conosceva la maggior parte della storia, perché vi aveva partecipato e ne aveva raccontato un bel po' allo stregone sulla via del ritorno o a casa di Beorn; ma di tanto in tanto apriva un occhio e ascoltava, quando si arrivava a una parte della storia che egli ancora non conosceva.

Fu così che apprese dove era andato Gandalf, ascoltando per caso quando questi lo raccontava a Elrond, e si ricordò degli accenni che aveva fatto Morwen nella parte finale della loro avventura. A quanto pareva, Gandalf si era recato a Dol Guldur, dove vi aveva trovato il padre di Thorin. ed era stato catturato dal Negromante; venne poi liberato da Galadriel, Saruman e lo stesso Elrond, che lo avevano raggiunto ed erano riusciti a snidare il Negromante dalla sua oscura tana a sud di Bosco Atro, rimandandolo nel suo vecchio reame. Scoprì così, per quale motivo la sua amica si era illuminata durante la visione che aveva avuto poco dopo essere arrivata alla Montagna: chissà come, stava passando energia a Galadriel, permettendole così di non soccombere al Negromante.

A quanto pare, la dama elfica si era ripresa perfettamente e Morwen ne fu sollevata. Non avrebbe sopportato un'altra brutta notizia.

Ripartirono dopo una settimana e, mentre lasciavano la valle, il cielo si oscurò a ovest davanti a loro, e il vento e la pioggia si levarono loro incontro. Morwen lasciò quella terra con la promessa di ritornarci a breve che le aveva strappato Elrond. L'elfo, infatti, sembrava desideroso di presentarle qualcuno, e le aveva chiesto di fermarsi a Granburrone per un po' dopo aver riportato a casa il suo amico.

Arrivarono al fiume che segnava l'estremo limite del confine delle Terre Selvagge, e al guado sotto la riva scoscesa. L'acqua era rigonfia sia per lo scioglimento delle nevi all'approssimarsi dell'estate, sia per la pioggia continua; ma con qualche difficoltà essi attraversarono e senza por tempo in mezzo, perché calava la sera, affrontarono l'ultima tappa del loro viaggio.

Tutto era più o meno come prima tranne che il gruppo era meno numeroso, e più silenzioso; inoltre questa volta non c'erano Troll. A ogni punto della strada Morwen ripercorreva nella sua mente eventi e parole di un anno prima - ma le sembrava piuttosto che fossero passati dieci anni - così che, ovviamente, notò rapidamente il punto in cui i Troll avevano preso i pony per mangiarli, ed essi avevano deviato a causa della brutta avventura con Maso, Berto e Guglielmo.

La loro andatura si fece più lenta, perché per lo più andarono a piedi, desiderosi di godersi il bel tempo. Ma la contrada era verde, e c'era tanta erba sulla quale lo hobbit gironzolava tutto contento facendo sorridere i suoi compagni di viaggio. Morwen lo vide asciugarsi il volto con un fazzoletto di seta rosso che si era fatto prestare da Elrond, perché ormai giugno aveva recato l'estate, e il tempo era di nuovo caldo e luminoso e a forza di correre aveva sudato.

Poiché tutte le cose hanno una fine, venne finalmente il giorno in cui giunsero in vista della regione dove Bilbo era nato e cresciuto, dove la forma della terra e degli alberi gli era nota quanto le proprie mani e piedi.

"I confini della Contea." affermò Gandalf, fermandosi. "E qui ti devo lasciare." aggiunse rivolto al mezzuomo.

Bilbo si voltò a guardarlo dispiaciuto. "È un peccato." gli si avvicinò, osservandolo dal basso. "Mi piace parecchio avere uno stregone intorno." continuò sorridendo. "Pare che porti fortuna."

"Non penserai davvero, no, che tutte le tue avventure e fughe fossero governate da pura fortuna?" gli chiese lo stregone con uno strano sguardo. "Gli anelli magici non vanno usati con leggerezza, Bilbo." aggiunse mentre lo hobbit spostava lo sguardo su Morwen, rimasta accanto allo stregone.

"Non guardare me, non ho detto una parola." si schermì.

"Non prendermi per uno sciocco." riprese lo stregone. "So che ne hai trovato uno nelle gallerie degli orchi, e ti ho tenuto d'occhio da quel momento."

Bilbo aveva un'espressione sorpresa sul volto, ma non era infastidito.

"Beh, grazie al cielo." rispose sotto lo sguardo severo di Gandalf, prima di porgergli la mano. "Addio Gandalf."

Lui la strinse. "Addio."

Lasciarono la presa e lo hobbit si incamminò verso la Contea. Dopo qualche passo si voltò e fissò lo sguardo su Gandalf che, invece, si stava riavvicinando al suo cavallo.

"Non... non devi preoccuparti di quell'anello." gli disse, facendolo voltare. "Mi è caduto dalla tasca in battaglia. L'ho perso!"

Morwen sospirò.

"Sei una bravissima persona, signor Baggins." disse Gandalf. "E sono molto affezionato a te. Ma sei solo un piccolo individuo in un vasto mondo, dopotutto." dopo un istante Bolbo si voltò e riprese a camminare verso casa. Gandalf si rivolse a Morwen. "Cosa farai? Accetterai la richiesta di Elrond?"

Lei sospirò. "Non ho niente di meglio da fare. Poi sono curiosa." ammise tranquilla accanto a lui osservando Erenie allontanarsi. "Fai attenzione." gli disse prima di lasciargli un bacio sulla guancia e incamminarsi dietro il mezzuomo con il cappuccio sollevato.

"Ricorda, mia cara." la richiamò lo stregone. "Di vivere."

Lei sorrise, un sorriso triste, e lo salutò con la mano prima di proseguire.

Quando raggiunse casa Baggins, insieme al proprietario, trovò un discreto gruppo di hobbit fermi davanti alla porta che comprava all'asta gli oggetti del suo amico. Accanto all'ingresso un hobbit, probabilmente un notaio, era posizionato dietro un leggio al quale era appeso un cartello con su scritto: vendita all'asta effetti e patrimonio del defunto signor Bilbo Baggins.

"Fermi!" gridò Bilbo interrompendo l'asta. "Fermi! C'è stato un errore." si fece avanti in mezzo alla folla.

"Tu chi sei?" gli chiese una hobbit con il volto arcigno.

"Come io chi sono? Sai benissimo chi sono Lobelia Sackville-Baggins!" esclamò fermandosi davanti a lei e guardandola male. "Questa è casa mia! E questi sono i miei cucchiai." aggiunse prendendoli dalle sue mani. "E grazie infinite. Permesso." si fece spazio tra la gente.

"È del tutto irregolare." si lamentò il notaio. "Sono passati tredici mesi dalla scomparsa. Se sei effettivamente Bilbo Baggins, e non deceduto, puoi provarlo?" gli domandò.

"Come?" chiese Bilbo, scioccato.

"Beh, qualcosa di ufficiale con sopra il tuo nome basterebbe."

"E va bene." si arrese lui appoggiando i cucchiaini su un mobiletto che avevano portato fuori. "Certo." salì i pochi gradini che lo avrebbero avvicinato al notaio mentre si frugava nelle tasche alla ricerca di qualcosa.

"Cerchi questo?" domandò Morwen apparendo accanto a lui e porgendogli il contratto che aveva firmato quando era entrato nella Compagnia.

Gli hobbit gridarono spaventati cominciando a parlottare fra loro, sorpresi di vedere una donna della Gente Alta.

"Dove l'hai trovato?" le chiese lui, ignorando i commenti degli hobbit intorno a loro e prendendo il contratto.

"Sul sentiero un minuto fa. Deve esserti uscito dalla tasca quando ti sei incamminato qui, tutto infervorato a causa di questa farsa." spiegò indicando il notaio e gli altri hobbit.

"Grazie." le disse prima di porgere il contratto al notaio, che cominciò a studiarlo attentamente. "Ecco." indicò un punto a fine contratto. "La mia firma."

"Sì... beh... beh, sembra tutto in ordine." osservò il notaio. "Sì, sembra che non ci sia dubbio." continuò mentre Bilbo riprendeva a salire i gradini che lo avrebbero condotto in casa sua, seguito da Morwen. "Chi è questa persona a cui hai promesso i tuoi servigi?" domandò facendoli fermare. "Thorin Scudodiquercia?"

Bilbo osservò Morwen per un attimo, che aveva un leggero e triste sorriso sulle labbra, prima di voltarsi con lo stesso sguardo di lei verso il notaio. "Era mio amico." poi aprì la porta davanti a lui ed entrò nell'ingresso, ormai vuoto e desolato a causa dei mobili e suppellettili che avevano già venduto.

Morwen stava per seguirlo quando il notaio la chiamò. "E lei chi è?"

"Un'amica." rispose, senza voltarsi, prima di seguire Bilbo, mentre gli altri hobbit se ne tornavano a casa loro.

****

Morwen rimase con lui per qualche settimana, aiutandolo a riappropriarsi di ciò che gli avevano portato via e a rimettere a posto la sua bella casa. Gli fece compagnia e lui la aiutò a superare quei momenti difficili che la coglievano fin troppo spesso. Grazie al mezzuomo ricominciò a mangiare regolarmente, e non sì e no tre volte la settimana. Riusciva persino a dormire qualche ora di fila senza svegliarsi in preda agli incubi, e lo ringraziò per questo.

Tuttavia sapeva di non poter restare con lui. Non era casa sua, quella. Così una mattina, dopo averlo salutato calorosamente e avergli promesso di tornare a trovarlo, Morwen si rimise in viaggio, diretta nuovamente verso la Valle di Imladris.

Non aveva fretta, perciò le ci volle diverso tempo per percorrere la distanza che separava Granburrone e la Contea, ma non se ne preoccupò. Aiutava le persone che incontrava, se avevano bisogno, e ascoltava le storie che passavano di bocca in bocca, spandendosi per la Terra di Mezzo. Scoprì, così, che ciò che era successo alla Montagna si era già sparso in lungo e in largo, riportando alla luce la sua vecchia identità e le storie del suo passato. Lo scontro con l'armata di Azog venne chiamato la Battaglia dei Cinque Eserciti e, durante il suo viaggio attraverso le Terre Selvagge, potè sentire innumerevoli storie raccontate su quell'esperienza, alcune delle quali erano davvero inverosimili.

Quando raggiunse la casa di Elrond l'elfo la accolse a braccia aperte, visibilmente felice di averla rivista così presto. Normalmente, infatti, passavano anni tra una sua visita e quella successiva, ma il re non le aveva mai fatto pesare quella scelta.

Il giorno che arrivò le disse che sarebbe potuta rimanere per tutto il tempo che avrebbe voluto, in modo da trovare un po' di pace in quella valle, poi la portò in un giardino, dove un ragazzino di circa dieci anni si stava allenando con la spada assistito da Lindir, e rimasero in disparte a guardarli.

Morwen osservò il giovane umano con curiosità, senza interrompere lo scambio di scherma. Era un ragazzino quasi pelle e ossa, abbastanza alto per la sua età e con lunghi capelli scuri sfumati d'argento che gli arrivavano quasi alle spalle. Era agile nei movimenti e imparava in fretta, adattandosi alle mosse del suo avversario.

Quando l'incontro terminò Elrond avanzò palesando la loro presenza e subito i due chinarono la testa verso di lui in segno di rispetto, salutandolo.

"Morwen, mia cara." le disse il re facendole segno di affiancarlo. "Vorrei presentarti una persona." appoggiò una mano sulla spalla del giovane ragazzo. "Lui è Aragorn, ma noi lo chiamiamo..."

"Estel!" lo interruppe lei quando incontrò gli espressivi occhi grigi del ragazzino.

"Voi..." mormorò sorpreso lui, di rimando. "Io vi ho sognata!"

"Lo so." rispose lei sotto lo sguardo attento del re e di Lindir, entrambi stupiti da questa svolta. "Ti ho sognato anch'io." rivelò ripensando a ciò che aveva visto. "Vorrei che mi dessi del tu, se ti va." gli sorrise.

Il giovane tentennò per qualche secondo, poi annuì. Fece un passo esitante verso di lei.

"Chi sei?" le chiese con adorabile innocenza, mentre la studiava con gli stessi occhi grigi che appartenevano al suo antenato.

Lei gli sorrise. Fu un sorriso caldo, vero, che non pensava di riuscire di nuovo a fare dopo così poco tempo dalla scomparsa del suo amato. Comprese subito che quel giovane sarebbe diventato importante per lei. Molto più di quanto quel sogno le avesse lasciato intendere.

"Morwen." rispose.

Il ragazzino ricambiò il sorriso con lo stesso calore.

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