Le avventure di Arcolago

di Emilia Zep
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La masca ***
Capitolo 2: *** La voce misteriosa ***
Capitolo 3: *** Zefi ***
Capitolo 4: *** Arcolago ***
Capitolo 5: *** Uruk ***
Capitolo 6: *** Eriol ***



Capitolo 1
*** La masca ***


Se a Pietro e Giulio avessero raccontato quello che sarebbe successo quell’estate, certamente non ci avrebbero creduto. E allora figuriamoci se l’avrebbero fatto i grandi! Li avrebbero guardati con condiscendenza dicendo “I bambini! Quanta fantasia!”
Per questo, i due fratelli, dopo gli eventi inimmaginabili di quelle vacanze in montagna si erano ripromessi solennemente di non rivelare a nessuno l’accaduto.
Prima però avevano nascosto in un posto sicuro la pentola di rame che gli aveva dato Eriol, quando li aveva salutati al confine di Arcolago.
Tutto era cominciato all’inizio dell’estate. E anche se a Pietro e Giulio sembravano passati secoli, si trattava  in realtà appena di qualche mese.
Stavano facendo una passeggiata con il nonno, su per il sentiero.
Tutti e due avevano sempre amato le camminate in montagna. Per questo ogni volta che partivano per Ponte Chianale erano felici come pasque. Il nonno li portava sempre a fare bellissime escursioni e gli faceva scoprire sentieri, ruscelli, laghi nascosti.
Quel giorno, lungo la via, il nonno si era fermato a chiacchierare con un turista francese molto simpatico e i due bambini erano rimasti a giocare nell’erba poco più in là.
Ecco che qualcosa attirò l’attenzione di Giulio.
“Ehi Giulio, dove vai?”
Pietro era il fratello maggiore e cercava di essere il più responsabile “Se ci allontaniamo troppo il nonno si preoccuperà”
Ma Giulio passetto dopo passetto era uscito dal sentiero e indicava con il ditino una bambina, poco più in là, nella radura, che sembrava tutta intenta ad agitare un legnetto per aria.
“Ma quella è Micaela!” Pensò Pietro.
Micaela era una bambina del posto che abitava non lontano da loro. A Pietro non era molto simpatica perché ogni volta che la invitava a giocare rispondeva con aria grave che non aveva tempo e doveva fare i compiti. Secondo Pietro si dava un sacco di arie solo perché aveva un paio d’anni più di lui! E non ci credeva per niente che avesse davvero tutti quei compiti da fare.
E infatti, invece di essere a casa a studiare, ecco che se ne stava lì ad agitare quel legnetto per aria, mormorando parole incomprensibili tra sé e sé.
Era davvero strana, pensò Pietro: magra magra, con un enorme massa scura di capelli ricci e la faccia piena di lentiggini.  Indossava sempre dei calzettoni a strisce tutti colorati e, soprattutto, aveva un occhio grigio e l’altro verde.
Era tutta concentrata e sembrava sforzarsi moltissimo.
“Dai… dai… ti prego” diceva di tanto in tanto.
Pietro e Giulio si guardarono perplessi, a tutti e due scappava da ridere.
Ma quando Pietro tornò a girarsi verso la bambina non poté credere ai suoi occhi.
“Oddio Giulio, dammi un pizzicotto!”
Ma anche il fratello guardava davanti a sé con la bocca spalancata.
Perché per qualche secondo al posto di Micaela era comparso un pipistrello.
Sì sì, proprio un pipistrello.
Ora, non dovete pensare che questo prodigio fosse durato più di tanto. Si trattò davvero di qualche secondo. Ma a Pietro e Giulio sembrò un tempo infinito.
Non dovete nemmeno pensare che questo pipistrello fosse il più bello della sua specie. Anzi, era un po’ rachitico, con un ala più piccola dell’altra e non volava poi nemmeno troppo bene.
Ma bisogna capire che Pietro e Giulio non avevano mai visto – né mai avrebbero immaginato di vedere –una bambina come loro trasformarsi in pipistrello.
Il volatile non fece in tempo a godersi i suoi quattro o cinque secondi di gloria che con un piccolo pop! tornò ad essere Micaela e piombò sul terreno con un tonfo sonoro.
“Oh no! Oh no!” Si lamentò la bambina stizzita “Non ce la farò mai! Mai!”
Micaela era così buffa che questa volta Giulio non riuscì a fare a meno di farsi sfuggire una risatina.
La bambina si voltò di scatto e li vide. “E voi due?”, sembrava molto seccata, “Che ci fate qui?”
“Perché, non si può?” Ribatté Pietro “Il bosco mica è tuo!”
Micaela scosse la testa “Avete visto tutto, vero?”
I due bambini annuirono.
“Ecco, lo sapevo! Adesso mi tocca farvi un incantesimo per cancellarvi la memoria!”
Giulio spalancò la bocca ancora di più.
“Un incantesimo?” Ripeté Pietro “Quindi è tutto vero. Quella di prima era una magia?”
“Oh sì!” Rispose Micaela con aria d’importanza.
“E come mai sai fare le magie?”
“Perché sono una masca”
“Una cosa?”
“Una masca.”
“E che cos’è una masca?”
“Una masca è una specie di maga. Vengono chiamate così le maghe e le streghe di queste parti. Nella mia famiglia siamo masche da generazioni. Anche mia mamma lo è e pure mia nonna.”
“Oh” Pietro e Giulio non riuscivano a credere alle proprie orecchie, “E quel legnetto è la tua bacchetta magica?”
“Sì. Mi sto allenando per un esame molto importante.” Spiegò Micaela “Se a settembre verrò promossa, prenderò il Libro del Comando, che è un libro in cui sono scritti tutti i sortilegi principali della nostra tradizione. Solo quando si riceve il Libro del Comando si diventa una masca a tutti gli effetti.”
“E’ per questo che stai sempre a studiare?”
“Sì, è un esame molto difficile. Bisogna fare una pozione magica complicatissima e poi anche essere in grado di trasformarsi in un animale. Io ho scelto il pipistrello.”
“E vai in una scuola di magia come quella di Harry Potter?”
“Oh sì! Anche meglio di quella di Harry Potter! Si chiama Ca d’le Masc. Altro che Hogwarts!”
Pietro e Giulio la guardarono ammirati.
“Adesso però devo proprio cancellarvi la memoria. E’ vietatissimo farsi vedere dalla gente normale mentre si fanno incantesimi. Potrei passare dei guai.”  
Micaela sollevò la bacchetta, un po’ titubante.
“Aspetta aspetta!” La fermò Pietro
“Eh lo so” Sospirò Micaela comprensiva “Dopo essere venuti a conoscenza di simili prodigi non li si vorrebbe dimenticare.”
“No, non è quello” Spiegò Pietro un po’ imbarazzato “Ma sai prima, quel pipistrello… non era così convincente.”
La bambina parve delusa “Era tanto brutto?”
Né Pietro né Giulio volevano essere maleducati “No… no… carinissimo! Però… aveva un’ala strana , non è durato molto e sei anche caduta…”
“Lo so” ammise Micaela a malincuore.
“Questo incantesimo di memoria è molto difficile?” 
“Molto.”
“E lo hai mai fatto prima?”
“No. E’ la prima volta.”
Pietro e Giulio indietreggiarono intimoriti.
Micaela abbassò la bacchetta “Non vi fidate, vero?”
I bambini non risposero
Micaela si lasciò cadere sull’erba e scoppiò a piangere “Lo so, lo so, sono un disastro! Mi bocceranno, non prenderò mai il Libro del Comando e non diventerò mai una vera masca!”
I due fratelli non sapevano cosa fare. Giulio si avvicinò alla bambina e le accarezzò i capelli.
“Dai, non dire così.” Provò a consolarla Pietro “Non deve essere facile trasformarsi in pipistrelli.”
Micaela raddoppiò i singhiozzi “E’ difficilissimo! Sono mesi che mi alleno ma niente! Più mi sforzo e più non mi riesce. E la maestra Clerionessa mi odia, mi boccerà di sicuro.  E no, Ca d’le masc non è per niente come la scuola di Harry Potter. Le aule sono strette e in laboratorio non ci sono mai abbastanza calderoni per tutti! E io rimango sempre senza.”
“E perché sempre tu?”
“Perché Evelina, Marco e gli altri della loro banda mi fanno mille dispetti. E se arrivo prima di loro e non gli lascio la postazione me la fanno pagare. E quando vedranno il mio pipistrello con l’ala atrofica rideranno tutti. Non voglio nemmeno pensarci!”
Giulio le fece un’altra carezza.
“E con voi non so come fare! Di sicuro vi cancellerò i ricordi sbagliati. Non vi ricorderete più come vi chiamate e neppure quando è il vostro compleanno! ”
“Oh no!”
“Ma se qualcuno scopre che mi avete vista fare una magia mi espelleranno!”
“Ma noi non lo diremo a nessuno!” Promise Pietro.
Giulio annuì “Nessuno”.
Micaela lì guardò.  Se avesse combinato qualche pasticcio nella memoria dei suoi nuovi amici non se lo sarebbe mai perdonato.
“E va bene” acconsentì “E’ un giuramento solenne però. Non dovete dirlo ad anima viva. Mai. Per nessun motivo al mondo.”
I due fratelli giurarono.
“Per nessun motivo al mondo” ripeterono.
In quella, arrivò il nonno trafelato “Pietro, Giulio ma dove eravate finiti!”
“Signor Martino” disse Micaela “Non li sgridi. Li ho trattenuti io”
Il nonno vedendo che Micaela era un po’ più grande dei suoi nipoti, parve tranquillizzarsi “Va bene ma la prossima volta dovete chiedere il permesso. Non voglio più perdervi di vista.”
I due bambini salutarono la loro nuova amica e lei si portò il dito davanti alla bocca come per ricordare loro di mantenere il segreto.

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Capitolo 2
*** La voce misteriosa ***


Stavano ancora scendendo a valle quando Giulio tirò Pietro per la manica. Pareva aver sentito qualcosa arrivare dal ruscello.  Pietro si fece tutt’orecchi.
Impastata al rumore dell’acqua che sgorgava, risuonava una voce di ragazza.
“Pietroooo! Giulioooo!”
Sembrava chiamare proprio loro! I due fratelli si guardarono sorpresi.
“Pietroooo… Giulioooo… ” sentirono ancora.
Si affacciarono verso il ruscello ma non videro proprio nessuno.
“Nonno, hai sentito anche tu?”
“Che cosa, tesoro?”
“Qualcuno, dal ruscello. Una ragazza. Forse è caduta!”
 
Il nonno si sporse anche lui a guardare.
“Io non vedo niente.” Li tranquillizzò “Sarà il rumore dell’acqua sui ciottoli”
I due bambini si strinsero nelle spalle e insieme al nonno proseguirono verso casa.
Ma ecco che proprio quando erano quasi arrivati, una folata di vento nell’erba trasportò ancora la stessa voce “Pietrooo… Giuliooo…sono Moltinaaa…”
“Nonno, hai sentito adesso?”
“Ma cosa bambini? Si sta solo alzando il vento. Speriamo che domani non piova.”
Giulio e Pietro si guardarono sospettosi. Che quella Micaela gli avesse fatto qualche incantesimo?
E adesso chi era quella Moltina?
Un fantasma?
Dopo quello che avevano visto quel pomeriggio, potevano aspettarsi proprio di tutto.
Quella notte, come aveva previsto il nonno, il vento si era alzato e soffiava fortissimo. Le persiane sbattevano e le foglie degli alberi frusciavano che parevano una furia.
Giulio corse a infilarsi nel letto del fratello.
“Dai, hai sentito il nonno. E’ solo il vento!” protestò Pietro. Ma in fondo anche lui era ben contento di stringersi forte a Giulio mentre infuriava tutto quel rumore.
“Giuliooo… Pietroooo… sono Moltinaaa….”
I due bambini si alzarono di scatto.
“Siete la mia unica speranzaaa…”
Sembrava la voce del vento ma le parole si distinguevano bene.
Non potevano esserselo immaginato, né Pietro né Giulio avevano dubbi.
“Dite a Zefi che sono vivaaa…   e che ho bisogno di aiuto per Uruuuk.…
Siete la mia unica speranzaaa.
Zefiii… cercate Zefiiii”
 
Giulio e Pietro, chiamando a raccolta tutto il loro coraggio, si avvicinarono alla finestra per sbirciare se di fuori non ci fosse davvero qualcuno.
Ma niente. Della misteriosa Moltina nessuna traccia.
 
Il giorno dopo Pietro e Giulio chiesero al nonno il permesso di andare a giocare da Micaela.
“Ma che bello che avete conosciuto una nuova amica!” commentò il nonno una volta che li ebbe accompagnati “mi raccomando, fate i bravi. Passo a riprendervi prima di cena.”
 

Quando Micaela andò ad aprire indossava una felpa che le stava tre volte. E come se non bastasse aveva sulle spalle una sciarpona che pareva più grande di lei.
“Be’, cosa c’è da guardare?”
A Pietro veniva da ridere “Sembri Giulio quando si mette la mia felpa di Spider Man!”
Anche Giulio rise. Gli piaceva moltissimo giocare a indossare le maglie grandi di suo fratello e fare finta di avere braccia lunghissime.
“Ma non hai caldo?”
Micaela alzò gli occhi al cielo “Incidente di percorso” spiegò secca. Sollevò la felpa e mostrò ai due fratelli le alette di pipistrello che le erano spuntate sulla schiena. “E’ da ore che non riesco a farle andare via!”
Pietro e Giulio fecero tanto d’occhi.
“E puoi volarci con quelle?”
“Macché, sono troppo piccole. E ce n’è sempre una atrofica, guardate qua. E poi dovrei diventare un VERO pipistrello. Non una bambina- pispistrello! Non ce la farò mai. Mi bocceranno.” Scosse la testa “Ma voi invece? Cosa dovevate dirmi?”
“Non hai idea. Sentiamo le voci.”
Micaela li portò nella sua camera e ascoltò attentamente tutto il loro racconto.
“Moltina… Moltina…” ripetè poi tra sé “No, non mi dice nulla. Forse è un fantasma rimasto intrappolato nel mondo dei vivi?”
Pietro e Giulio scossero la testa.
“Ha detto che è viva! Anzi ha detto ‘dite a Zefi che sono viva!’”
Micaela parve illuminarsi “Zefi, avete detto? Io lo conosco uno Zefi! Abita qui nel bosco. Vi ci porto.”

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Capitolo 3
*** Zefi ***


Era già da un’ora che camminavano e la strada era tutta in salita. Pietro e Giulio avevano il fiatone e cominciavano a essere un po’ preoccupati: se il nonno avesse saputo che si erano allontanati tanto! E per giunta senza nessun adulto con loro.
 “E’ ancora molto lontano?”
“Be’, Zefi… lo vedrete, è un tipo solitario, vive isolato. Gli piace starsene per i fatti suoi.”
Finalmente Micaela si fermò in una radura “Eccoci qui!” disse.
Pietro e Giulio si guardarono attorno perplessi: non sembrava esserci proprio nulla di abitato nei paraggi.
Ma Micaela, come fosse la cosa più ovvia del mondo, si accovacciò di fronte a una fenditura che si apriva ai piedi di una parete di roccia “Signor Zefi! Signor Zefi!” chiamò “E’ in casa? La disturbo?”
Pietro non poteva crederci. Quella fessura era piccolissima, avrebbe fatto fatica a passarci persino Giulio. Come poteva abitarci qualcuno?
“Signor Zefi?” Continuò a chiamare Micaela. “Speriamo ci sia…”
Ecco che, da dentro la grotta, si sentì un borbottio “Sì sì! Ho sentito! Un momento, un momento! Quanta fretta!”
E dall’entrata della caverna sbucò fuori l’essere più strano che Pietro e Giulio avessero mai visto!
Non era più alto di cinquanta centimetri, aveva piedi di capra e orecchie a punta. E indossava abiti bizzarri, dai colori sgargianti.
“Oh… Micaela, sei tu! Cosa c’è di così urgente?” disse seccato, poi alzò lo sguardo verso Giulio e Pietro “E voi chi siete?”
I due bambini rimasero in silenzio, sempre più sbalorditi.
“Su, cosa c’è?” Incalzò Zefi “Siete muti? O non avete mai visto un sarvanot?”
Pietro e Giulio mormorano stupiti: “Un sarvanot?”
“Si ragazzi cari, un sarvanot. Non sono un folletto e nemmeno un goblin, come piace tanto dire a voi ragazzini di oggi perché lo avete letto sulle carte di quei giochi che fate voi… magic o come si chiama! Generalizzazioni insopportabili, come fossimo tutti la stessa pappa. No, noi siamo sarvanot. Abitiamo queste montagne da migliaia di anni, dovreste saperlo.”
“Non si offenda signor Zefi” Intervenne Micaela “Pietro e Giulio non sono, come dire… del nostro ambiente.”
Zefi fece un gesto infastidito “Ambiente, non ambiente, un tempo tutti conoscevano i sarvanot! Ah i giovani d’oggi, non sanno nulla di quello che è importante.”
“Eh già...” disse Micaela con un sorriso di circostanza “Come sono cambiati tempi!”
“Cambiatissimi! Peggevolevolissimevolmente cambiati!”
I tre bambini si guardarono sforzandosi di restare seri.
“Be’, signor Zefi.” Si fece avanti Micaela “Siamo qui perché abbiamo bisogno del suo aiuto. Cerchiamo notizie di una certa Moltina. Forse lei sa dirci qualcosa?”
Zefi si irrigidì di colpo “Come avete detto?”
“Moltina.” Ripeté piano Micaela “Conosce per caso qualcuno che si chiama così?”
“Per tutti i laghi ghiacciati!” Mormorò il sarvanot tra sé “Erano secoli che non sentivo quel nome.”
“Ci ha detto di venire a cercarla!” Saltò su Pietro.
Zefi spalancò gli occhi esterrefatto “Chi?”
“Moltina.”
“Se questo è uno scherzo, non è divertente.” Sbottò “E’ chiaro che non sapete di cosa parlate.”
“Ma quindi la conosce?”
“Oh no! Non conosco nessuna Moltina che possa mai avervi mandato qui! Nessunissimissimamente nessuna. E adesso se volete scusarmi…” e fece per rientrare dentro la grotta.
“Dice che ha bisogno d’aiuto per Uruk! ” sputò fuori Pietro, tutto d’un fiato.
Zefi si voltò di colpo.
“Cosa ne sai tu di Uruk?”
“Ha detto anche di farle sapere che è viva.”
Zefi guardò Giulio e Pietro negli occhi “Questo è impossibile. Moltina morì molti moltissimi anni fa. E io c’ero al suo funerale.  Non so chi vi abbia detto queste cose ma nulla di tutto ciò ha senso.”
“Ma ce lo ha detto lei!” protestarono i due fratelli.
“O almeno, crediamo.” Precisò Pietro titubante “Sa, abbiamo sentito una voce. Nel ruscello… nelle rocce…”
“… nel vento.” Proseguì Zefi rubandogli le parole di bocca.
“Si nel vento! C’era un ventaccio l’altra notte.”
“Che mi venga un colpo!” Mormorò Zefi.
“Ma allora la conosce?” Chiese Micaela.
Il sarvanot sospirò e fece segno di seguirlo in casa.
I tre dovettero accovacciarsi per infilarsi nell’apertura della caverna.
Una volta passata l’entrata Giulio, Pietro e Micaela fecero per rialzarsi.
“Attenti alla testa!”
Il soffitto era molto basso ma la grotta era completamente arredata, con tanto di tappeti, graziosi mobiletti in legno e tendine a fiori.
“Bè, cosa fate li impalati! Accomodatevi, vi preparo un tè!”
I tre bambini obbedirono e si sedettero in silenzio al tavolo mentre il sarvanot armeggiava ai fornelli.
“Ecco qua! Ho delle ottime radici nere! Un po’ di muschio… licheni…”
Pietro e Giulio gli lanciarono uno sguardo diffidente.
“Mi raccomando, fategli i complimenti” Sussurrò Micaela “I sarvanot possono essere molto permalosi quando si tratta del loro tè”.
Zefi li raggiunse con tre tazze fumanti.
Quando Giulio bevve il primo sorso per poco non lo sputò tutto fuori.
“Cosa c’è? Non vi piace?” Chiese Zefi inquisitorio.
Micaela si sforzò di mandare giù “No no, è ottimo, signor Zefi!”
“Amarognolo al punto giusto” Fece eco Pietro.
Zefi poggiò la sua tazza sul tavolo e si arrampicò sullo sgabello “Be’” disse poi “Deve essere uno scherzo, non c’è altra spiegazione. Sarà stato qualcuno dei ragazzi. Sapete, noi sarvanot abbiamo il vizio di farci i dispetti a vicenda, ci divertiamo moltissimo!
Sarà stata la Mirna, vedrete. Oppure Rubella che è bravissima a fare le voci. Vi avrà fatto credere di essere Moltina e voi ci siete cascati come pere cotte.” Fece una pausa “Però nessuno di loro è abbastanza vecchio da ricordarsi di Arcolago.” Fu costretto ad ammettere.
“Arcolago?”
“Avete detto di aver sentito la voce nel ruscello e poi nel vento, giusto?”
“Sì, proprio così, signor Zefi.”
“E’ in questo modo che comunicavano con noi da Arcolago. Nessuno a parte me può ricordarselo, nel Mondo di Qua.” Il sarvanot alzò la testa “Non c’è dubbio. Chiunque sia davvero chi vi ha chiamato, il messaggio arriva proprio da lì. Da Arcolago”
“Arcolago” mormorò Micaela “Non è il luogo di quella vecchia leggenda? Quel mondo che stava oltre il fondo del lago ghiacciato?”
“Non è una leggenda!” sbottò il sarvanot “E’ tutto vero. Un tempo non si faceva che andare e venire dal Mondo di Qua ad Arcolago. Masche, spiritelli, sarvanot lo frequentavamo di continuo. Eravamo il tramite fra i due mondi.”
“Signor Zefi ma è impossibile! Lo sanno tutti che è solo una vecchia storia. Anche la maestra Clerionessa dice che è un mito del paradiso perduto e che…”
“Clerionessa non sa niente di niente!”
“E allora perché questo posto non c’è più? Se è tanto bello come si dice, perché nessuno ci va?”
“Eh perché perché perché… quante domande signorina! Non volevate sapere della vostra Moltina?”
“Sì certo”
Anche Giulio e Pietro annuirono.
“E allora prima devo parlarvi di Arcolago. Perché è da lì che viene Moltina, l’ultima erede del regno di Uruk.”
I tre bambini trattennero il respiro.
Zefi prese un sorso di tè bollente “Arcolago era davvero un mondo bellissimo” sospirò “Era sempre in fiore, un‘eterna primavera.  E che profumo nell’aria! 
Non si faceva che festeggiare. Oh non sapete com’erano festaioli gli abitanti di Arcolago. Ogni occasione era buona per cantare e danzare, avevano un ricorrenza per tutto! Noi del Mondo di Qua li prendevamo in giro.
Ma avevano ragione di stare allegri. Tutti i popoli vivevano in armonia e non avevano mai conosciuto la guerra.
Erano divisi in sette regni ma pareva ce ne fosse uno solo tanto era forte la fratellanza e l’amicizia fra tutti gli abitanti.
Uno di questi regni si chiamava Uruk ed era retto da una stirpe di regine illuminate e pacifiche. Le masche erano le loro consigliere e noi sarvanot eravamo sempre i benvenuti.
C’era un fermento ad Uruk! Da tutto Arcolago accorreva gente di continuo: maghi, scienziati, poeti, cantori. Era il centro nevralgico di tutti i sette regni!
Fino a che non arrivarono i Kurr.”
 “I Kurr?”
“Oh sì. Un giorno arrivò a Uruk una carovana di cavalieri eleganti e splendenti. Venivano da molto lontano, dalle terre oltre il deserto, e portavano con sé ogni genere di tesori. Erano armati di daga e per la prima volta ad Uruk si videro armi.
Dicevano di chiamarsi Kurr e cercavano una nuova terra per insediarsi.
Perché avessero lasciato le loro, visto che erano così ricche, era per tutti un mistero.
Il loro re, Orkosh propose alla regina un’alleanza. Chiese la sua mano e in cambio offrì ad Uruk tutto  l’incredibile tesoro dei Kurr.”
“E la regina accettò?”
“Eh sì. Accettò. Il re Orkosh era giovane e bello, usava parole di miele, aveva ricoperto la sua gente di ricchezze. E poi in fondo ad Uruk c’era sempre stato posto per tutti.
In più la regina aveva una figlioletta ancora piccola a cui desiderava moltissimo dare un padre.
E per un po’ infatti tutto sembrò andare per il meglio. Orkosh pareva amare la principessina come se fosse sua  e i sudditi si godevano le ricchezze del tesoro dei Kurr.
Dopo qualche tempo però Orkosh cominciò a lamentarsi con la regina. “Non è giusto” diceva “Che Uruk debba rimanere dentro ai suoi confini. E’ il più ricco e il più prosperoso dei sette regni e anche il più popoloso.”
Orkosh cominciò a mettere questa pulce anche nelle orecchie dei sudditi. Ogni volta che poteva parlava in pubblico e la storia era sempre la stessa: Uruk aveva bisogno di spazio e grandezza, produceva più ricchezze di tutti gli altri regni messi insieme ed era evidente che il suo fosse il popolo eletto.
Pian piano mise su un esercito e convinse la regina a dichiarare guerra al regno vicino. E poi ad un altro e ad un altro ancora. Trovava sempre una scusa che faceva apparire la cosa urgente e necessaria. Inevitabile.
L’ esercito di Uruk sembrava invincibile, ogni territorio che occupava era costretto a sottomettersi.
A guidare la sua invincibile armata era la giovane principessa che ormai era cresciuta e grazie agli insegnamenti del suo patrigno era diventata una guerriera provetta.
Era bella e coraggiosa, le sue frecce erano micidiali. La sua sola presenza terrorizzava il nemico.
Ma lei, proprio come le sue antenate, aveva una natura riflessiva e pacifica. Odiava usare violenza sugli altri.
Eh, quanto ha sofferto la nostra Moltina.”
 
“Moltina?” mormorò Pietro
“E’ lei!”
“Oh sì. E’ proprio di lei che parliamo. Detestava combattere, ogni volta pregava il patrigno di risparmiarla.
Ma lui nulla.
L’esercito senza di lei era perduto, le diceva. Se non fosse scesa sul campo di battaglia sarebbe stata la rovina.
Ed era vero.
Bastava che Moltina comparisse sul campo con la sua armatura bianca che ad ogni guerriero si scaldava il cuore. Chi non aveva coraggio lo ritrovava, chi era scettico si accendeva di speranza.
Così Uruk divenne un impero potente e grandissimo.
“Vi prego, patrigno” Supplicava ogni volta Moltina “Ora però fermiamoci”
Ma per Orkosh non era mai abbastanza.
Fino a che un giorno qualcosa andò storto.
L’esercito aveva preparato un attacco a sorpresa nella valle di Prato Alto: i guerrieri sarebbero scesi nel cuore della notte dalle montagne e avrebbero stretto il nemico, impreparato, da tutti i lati.
A condurre l’avanguardia, come sempre, era Moltina che però quando giunse sui monti trovò i guerrieri di Parto Alto ad attenderla.
Il nemico sapeva tutto. Qualcuno aveva tradito.
La divisione di Moltina fu accerchiata e la principessa cadde.
Solo allora Orkosh si fermò.
La regina non riuscì mai perdonarsi di aver perso sua figlia.  Si ammalò di tristezza e non ci fu guaritore che fu in grado di curarla.
Una volta perdute sia la sovrana che la sua erede, il regno passò nelle mani di Orkosh.
Si dice che in quei giorni la vecchia masca che sedeva al consiglio della regina ebbe una visione su chi aveva tradito la principessa e fece una profezia sul futuro del regno.
Nessuno seppe con certezza cosa disse. Ad ascoltarla c’erano solo il re e qualcuno tra i consiglieri.
Ricordo solo che Orkosh annunciò al popolo che le parole che aveva udito gli confermavano quanto sospettava: era in atto un complotto di masche, masconi, spiriti e sarvanot contro la corona.
Eravamo noi ad aver tradito Moltina, disse.
Non passò molto tempo che iniziò una caccia feroce a tutti coloro che avevano poteri magici.
Chi di noi riuscì a fuggire passò oltre i confini del lago e fece ritorno per sempre al Mondo di Qua, ma non tutti ce la facemmo.
La mia dolce Drusilla per esempio non fece in tempo.”
Zefi emise un sospiro e tirò su col naso “Da allora” riprese “Nessuno di noi tornò mai più ad Arcolago e col tempo il passaggio tra i due mondi venne del tutto dimenticato.
Ad oggi credo di essere l’unico superstite di quella grande fuga, ancora qui su questi monti.”
Fece una pausa e poggiò la tazza sul tavolo “Eh, ne è passato di tempo. Seicentotrentacinque anni.”
Pietro e Giulio fecero un balzo sugli sgabelli “Seicentotrantacinque? Ma quanti anni ha?”
“Oh Be’” Zefi alzò le spalle “Settecentocinquantotto ottobre prossimo. Portati bene spero!”
“Benissimo! Altroché” fecero Giulio e Pietro.
“Ma signor Zefi” si fece avanti Micaela, ancora tutta presa dal racconto “Secondo lei era vero che c’era un complotto del mondo magico contro la corona?”
“Falso! Falsissimo!”
“E allora perché il re si accanì contro di voi?”
Il sarvanot prese un respiro “E’ un grande mistero. So solo che tutti non aspettavano altro che un colpevole per consolarsi della perdita della principessa. E Orkosh divenne presto l’eroe del popolo.”
“E lei crede che Moltina potrebbe davvero essere viva?” saltò su Pietro
Zefi sbuffò e con un balzo scese dallo sgabello “Non mi spiego! Non mi spiego!” Si agitava in su e in giù per la stanza “Seicentotrentacinque anni, capite? Non è uno scherzo” Si fermò di colpo “Be’ c’è solo un modo per scoprirlo.”
I tre bambini si guardarono l’un l’altro “Non vorrà dire…”
“Ebbene sì. Tornare ad Arcolalago!”
“Ma se la sente? Dopo tutto quello che è successo?”
“Oh quante chiacchiere! Forza, mettetevi le felpe che c’è da camminare.”
 
Zefi e i tre bambini si misero in marcia.
Cammina cammina arrivarono in una valle stretta e scura e si fermarono di fronte a una fessura nella roccia ancora più piccola di quella che portava a casa di Zefi.
Il sarvanot si inoltrò e gli altri tre lo seguirono in silenzio. Si rialzarono in piedi in una caverna rischiarata da un buco nella volta. L’attraversarono e si infilarono nel passaggio che s’intravvedeva al fondo. Il camminamento era buio e man mano che avanzavano si faceva sempre più stretto, finché divenne un cunicolo in cui dovevano procedere in ginocchio.
Ecco che d’improvviso l’oscurità si fece meno profonda e, via via che proseguivano, una luce giallastra illuminava il passaggio, ora più ampio e comodo. Alla fine entrarono in un’altra caverna. Era grande e dal soffitto, altissimo, pendevano lunghi pinnacoli che sembravano fatti di pietra bianca.
Il buio era rischiarato da una fiammella bluastra che fluttuava nell’aria. “Un fuoco fatuo” mormorò Micaela “Non ne avevo mai visto uno.”
Zefi annuì “Appare sempre quando il passaggio è aperto.” Poi indicò con la mano verso il centro della caverna “Eccolo.”
Illuminato dalla luce magica si intravedeva il lago ghiacciato.
“Bisogna saltarci dentro?” Chiese Micaela.
I due fratelli al pensiero dello strato di ghiaccio ebbero un brivido.
Zefi li guardò “Adesso!”
Pietro e Giulio videro il sarvanot e Micaela tuffarsi. Allora anche loro si tapparono il naso, fecero un salto e sprofondarono nell’acqua ghiacciata.
 

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Capitolo 4
*** Arcolago ***


“Ci siete? Ehi!”
Era la voce di Micaela.
Pietro e Giulio si stropicciarono gli occhi. Erano sdraiati sulla riva, fuori dal lago. Attorno a loro pareti di roccia e una volta ancora più alta della grotta di prima. Qui il buio era meno fitto. Su un lato della caverna infatti, una grande apertura si affacciava direttamente all’esterno, facendo filtrare la luce del sole.
“Dove siamo?”
Zefi, in piedi, si rigirava lentamente sul posto “Proprio come la ricordavo” momorò “Benvenuti ad Arcolago!”
“Quindi questo è il lago dall’altra parte?” chiesero Giulio e Pietro “Tipo un mondo sottosopra?”
“Proprio così.” Rispose Zefi “E questa è la Grotta Gemella.”
“Oh”
“Be’ ma questa Moltina dov’è?” Obiettò Micaela guardandosi attorno con aria critica “Non mi sembra buona educazione non venire nemmeno ad accoglierci.”
“Signora Moltina!” Chiamò Pietro
“Moltina!” Ripeté Giulio.
Tutti e quattro si mossero a perlustrare la grotta.
Ecco che a Pietro parve di udire un rumore “Avete sentito?” chiese “Sembrava un respiro. No, anzi, qualcuno che tira su col naso, come quando hai il raffreddore!”
Tutti restarono in silenzio. Si voltarono a destra, poi a sinistra, ma nulla: pareva non esserci anima viva.
Poi Pietro vide Giulio che indicava col dito verso l’alto. Alzò lo sguardo e proprio sopra la loro testa, appiccicato alla volta della grotta, a metri e metri di altezza, c’era un ragazzo che li fissava.
“Eeeeetciù!” Il ragazzo starnutì. Poi con un balzo elegante si staccò dal soffitto e, come nulla fosse, atterrò sul pavimento.
“Oh scusate, non ne potevo più. Deve essere allergia!” disse.
I tre bambini lo guardarono ammirati “Ma come hai fatto?”
“Ah quello?” chiese il ragazzo indicando la volta “Sì, è una cosa che so fare. E’ una lunga storia. Comunque piacere, Peter. Peter Benjamin Parker. P come Particella, E come elettrone…”
“Peter Parker?” Esclamarono i tre bambini in coro “Ma tu sei Spider Man?”
“Spider Chi?” chiese Zefi.
Peter sembrava spiazzato “Come fate a saperlo? In teoria è un segreto. Non ho nemmeno il costume.”
Pietro era fuori di sé dalla gioia. Davanti a lui c’era Spider Man, il suo super eroe preferito. E non era un film e nemmeno un fumetto, era proprio lui in carne ed ossa “Come facciamo a saperlo? Sei famosissimo! Tutti ti conoscono!”
Peter sembrò arrossire “Be’ sapevo che Spider Man cominciava a farsi notare nel Queens. Ma nessuno sa che sono io. O meglio, nessuno dovrebbe saperlo. E’ un’identità segreta, sapete quelle cose da super eroi. Non posso dirlo neppure a Mary Jane. Voi non conoscete Mary Jane ma…”
“Sì sì’ la tua vicina di casa di cui sei segretamente innamorato” tagliò corto Micaela.
Peter diventò rosso come un peperone.
“Ma come lo sai?”
“Ho visto il film.”
“Quale film?”
 “Comunque ti ama anche lei e non gliene importa niente di quel bullo di Flash Thomson.”
“Mah…” Peter sembrava sempre più confuso “Conosci anche Flash? Qui è tutto molto strano…”. Si soffermò a guardarli tutti e quattro e solo allora parve notare Zefi. “E lui cos’è?”
“Lui” rispose Zefi piccato “Si chiama Zefi ed è un sarvanot”
“Un sarva…che?”
“Una creatura delle montagne.” Spiegò Micaela
“Ah tipo un goblin!”
“No, non tipo un goblin!” intervenne seccato Zefi “Tipo un sarvanot! Per tutte le valli innevate, dove andremo a finire!”
Peter alzò le spalle “Qui ogni cosa è davvero molto strana.”
“Io invece sono Pietro!” Disse Pietro che non stava nella pelle di presentarsi al suo mito “E lui è mio fratello Giulio! Ci fai vedere come sparaflesci la ragnatela?”
“O come cammini sui muri?”
“Perché non ti metti il costume rosso e blu?”
Peter al sentire i nomi dei due bambini pareva colpito “Pietro… Giulio!” Ripeté poi tra sé “E lei allora deve  essere Micaela!”
“Sì, lei è Micaela!” risposero Pietro e Giulio, tutti fieri di poter dare la risposta giusta.
“Come fai a conoscerci?”
“Non vi conosco!” esclamò Peter “Ma è per voi che sono qui!”
“Per noi?” Pietro e Giulio erano sempre più emozionati. Non solo stavano chiacchierando con Spider Man in persona ma lui aveva appena detto di essere lì per loro!
“In che senso, per noi?” Indagò Micaela che da quanto aveva letto nei fumetti si era fatta l’idea che l’intervento di un super eroe non fosse mai motivato da nulla di rassicurante “Ci sta inseguendo un mostro terribile? Un esercito di supercattivi? Il mondo sta per esplodere?”
Peter fece un’espressione imbarazzata “A dire il vero non ne ho idea.” ammise “Mi è stato solo chiesto se ero disposto a proteggervi”
“Ecco! Lo sapevo!” Sbuffò Micaela
“Ti è stato chiesto da chi?” Saltò su Zefi
“Be’ ecco, questo è un po’ imbarazzante… non so chi sia. Se il signor Stark sapesse che ho accettato una missione da una sconosciuta di cui ho sentito solo la voce, per altro attraverso l’acqua del rubinetto…”
“Il signor Stark!” Esclamò Pietro eccitatissimo “Vuoi dire Iron Man?”
“Sì, lui è un po’ come un padre per me…”
“Hai detto ‘attraverso l’acqua del rubinetto’?” chiese Zefi.
“Sì, lo so che sembra assurdo.” Spiegò Peter
“Non così tanto” Commentò il sarvanot “Vai avanti”
“Be’, avevo appena finito di cenare e zia May mi aveva chiesto di lavare i piatti. Ero lì che sciacquavo il detersivo e, come impastata al suono dell’acqua, ho sentito una voce di donna. Ecco, da quello che ha detto sembrava conoscere bene la mia attività professionale. Diceva che le serviva aiuto per proteggere tre bambini e che vedeva in me la figura più adatta. Là per là mi sono sentito lusingato. Poi ho pensato alle parole di mio zio Ben. Sapete, una volta mi disse “Da grandi poteri…”
 “… derivano grandi responsabilità.” Proseguì Micaela
“Proprio così!” Esclamò Peter colpito “Sono state le sue esatte parole.”
Micaela si strinse nelle spalle.
“Dite che è una frase scontata? Io però da allora ci penso spesso. E così, pur non sapendo chi fosse quella donna, ho pensato che se da qualche parte c’erano tre bambini in pericolo non potevo tirarmi indietro. E così ho detto ‘Sissignora, ci sto!’. E qui arriva la parte più strana. Credevo che mi desse delle istruzioni, che so, un appuntamento segreto nel cuore della notte. E invece non ho fatto in tempo a pronunciare quelle parole che mi sono ritrovato qui. Come teletrasportato, smaterializzato. E’ davvero inspiegabile!”
“Quindi è così che sei arrivato ad Arcolago.” Commentò Zefi.
 “Arcolago?” Chiese Peter entusiasta “E’ così che si chiama questo posto? Dev’essere una specie di dimensione spazio temporale parallela. Potrebbe essere la prova che il multiverso esiste! Come dice la teoria della relatività…”
“E quando sei arrivato “chiese Micaela “Hai trovato qualcuno?”
Peter sospirò “Non sono certo. Ma appena ho aperto gli occhi mi è parso di intravedere una donna che mi teneva le mani. Ma è stato un attimo. Poi ho sbattuto le palpebre e non c’era più. Forse ero in una specie di dormiveglia e mi sono confuso. Ho visto qualcosa muoversi verso l’uscita ma credo fosse un animale, uno scoiattolo forse. Non ho visto bene. Poi sono arrivate quegli automi di ferraglia a cavallo e mi sono appeso al soffitto.”
“Automi di ferraglia?”
“Sì, sembravano guardie o qualcosa del genere. Ma non erano umani, erano tutti fatti di roba di ferro. Sono entrati qui dentro, non so cosa cercassero. Per fortuna non hanno mai guardato in alto e non  mi hanno visto!”
Zefi mormorò tra sé “Guardie di ferraglia a cavallo. Questa è una novità.” Poi si rivolse di nuovo a Peter “Ma quella donna che hai visto? Com’era fatta?”
Peter cercò di mettere a fuoco “ Giovane, capelli rossi. Anzi no fulvi, quel rosso scuro. Aveva una treccia molto lunga. Uno sguardo fiero, direi.”
“La descrizione esatta di Moltina!” Sbottò Zefi.
“Moltina?”
“Lascia stare, ti spiegheremo durante il tragitto” Fece Zefi con un gesto impaziente.
“Il tragitto per dove?”
“Usciamo di qui.” Annunciò il sarvanot “Andiamo a Uruk!”
 

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Capitolo 5
*** Uruk ***


Una volta fuori dalla grotta furono investiti da una raffica di vento gelido. Pietro e Giulio strizzarono gli occhi per riabituarsi alla luce. Davanti a loro distese e distese di ghiaccio.
“Ma non avevi detto che qui era un’eterna primavera?”
“Già…” Zefi guardava spaesato davanti a sé “Lo era. Non mi spiego.”
Giulio batteva i denti per il freddo.
“Aspetta” disse Micaela “Ti dò la mia felpa, tanto io ne ho un’altra sotto”. Fece per togliersela e nel farlo si intravidero le alette da pipistrello.
Peter la guardò incuriosito “Ma allora anche tu…? A te come è successo, ti ha morso un pipistrello?”
“No no” disse Micaela aiutando Giulio a infilarsi la felpa “Non è come sembra. E’ solo un incantesimo andato male.”
“Un incantesimo?”
“Sì, sono una masca. E’ così che chiamano le streghe da dove vengo io.”
Peter scoppiò a ridere “Ma dai! Oltre ai goblin dal nome strano ora anche le streghe. Va bene tutto ma mi sembra un po’ troppo.”
“Certo, invece sparare ragnatele dai polsi e scalare i grattacieli è estremamente più credibile!” Ribatté Micaela “Per non parlare del ritrovarsi catapultati in un mondo magico.”
“Cosa c’entra. Io sono stato morso da un ragno radioattivo durante un esperimento, c’è una spiegazione scientifica!”
Micaela lo guardò con un sorrisetto “Ma certo, non fa una piega. In un film della Marvel!”
“E questo non è un mondo magico, è una dimensione parallela tra le infinite del multiverso.”
“Ovviamente.”
 “La magia invece non esiste. Forse hai dei poteri a cui non sai dare un nome. Magari sei una super eroina anche tu, dovrei presentarti al signor Stark!”
Micaela sospirò “Guarda già è tanto se passo l’esame di quarta elementare. Lascerei perdere il signor Stark.”
Nel frattempo Giulio si era infilato la felpa gigante di Micaela e se ne andava in giro tutto contento, agitando le sue braccia lunghissime.
Erano in cammino, al seguito di Zefi che più andava avanti più appariva disorientato “Ma non è possibile” diceva guardando incredulo le distese deserte di ghiacci “Qui c’erano campi di tulipani!” “Qui era pieno di villaggi! Non avete idea. Lì c’era una taverna dove facevano le frittelle ai mirtilli più buone del regno!”
“Ma sei sicuro che sia la strada giusta?”
“Sicurissimamentevolmente sicuro! Manca poco a Uruk. La città era piena di palazzi, di monumenti e di strade asfaltate. Non potrà certo essere scomparsa.”
Ma più si avvicinavano al luogo in cui Zefi ricordava sorgesse Uruk meno avevano la sensazione di andare verso un centro abitato.
Ecco che da lontano si intravide un arco di marmo. E ancora più distante, sullo sfondo, cominciavano a distinguersi i profili di guglie, palazzi, costruzioni. “Guardate!” Gridò Zefi “E’ lì! E’ Uruk!”. Ma via via che si facevano più vicini l’arco, le costruzioni e i palazzi assumevano un aspetto sempre più sbreccolato e cadente, come di rovine lasciate lì alle intemperie da secoli.
“Non è possibile.” Mormorò Zefi “Deve essere successo qualcosa.”
Ma più di tanto non poté avvicinarsi perché d’un tratto si trovarono la strada sbarrata da un filo spinato, fitto e altissimo, da cui pendeva un cartello mezzo arrugginito “Zona tossica. Non proseguire!”
Pietro seguì il recinto con lo sguardo e di cartelli ne vide altri tre “Attenzione” “Pericolo!” “Area contaminata”.
“Giulio, non ti avvicinare!” gridò al fratello che si era messo a correre dietro a qualcosa.
“Cosa sta inseguendo?” chiese Peter a Pietro “Oh guarda! E’ un altro scoiattolo. O è una marmotta?” ma né Peter né Pietro riuscirono a capirlo perché Giulio e la sua preda erano appena scomparsi dietro alla curva del recinto spinato.
Zefi e Micaela erano tutti presi dal cercare di guardare attraverso le maglie della recinzione e non si erano accorti di nulla.
Peter e Pietro non fecero in tempo a correre appresso a Giulio quando, da oltre la curva, videro spuntare un ragazzo con i ricci e la barbetta che si trascinava dietro una fucinetta a carbone.
“E’ vostro questo bambino?” chiese indicando, con un cenno del capo, Giulio che lo seguiva a pochi passi di distanza.
“Sì, è mio fratello.” disse Pietro.
Micaela e Zefi si voltarono.
“Non dovreste stare qui.” Disse il ragazzo con i ricci e la barbetta “E’ pericoloso.”
“Cosa è successo a Uruk?” chiese Zefi.
Il ragazzo notò il sarvanot e si fermò davanti a lui “Ma tu pensa…” sorrise tra sé “orecchie a punta, piedi di capra” mormorò scrutandolo da capo a piedi “Io non so chi tu sia ma eviterei di farmi vedere in giro dagli sferraglianti nella tua condizione.”
“Gli sferraglianti?” chiese Zefi.
“Sì, le guardie del re.”
“Lo dicevo io che erano guardie!” Intervenne Peter “Quella specie di automi a cavallo.”
“Sono cavalieri meccanici.” Spiegò il ragazzo “E’ la polizia speciale di Orkosh.”
“Orkosh è ancora re?” Chiese Zefi stupito.
“Non sarà quellOrkosh!” Eclamò Micaela.
“Il solo e l’unico!” disse il ragazzo “Il sovrano supremo dall’alba dei tempi.”
“Non proprio dall’alba dei tempi” lo corresse Zefi in automatico.
“Sì, lo so,” sorrise il ragazzo “Ma qui da noi il tempo si conta dal suo insediamento. Quindi tecnicamente sì, è re dall’alba dei tempi.”
Zefi sembrava confuso “Ma come può essere ancora vivo? Un umano non vive più di cento anni.”
Il ragazzo alzò le spalle “C’è chi dice che sia immortale. Ma c’è anche chi sostiene che invece possa essere ucciso. Sono teorie. E voi cosa fate qui?”
Zefi sospirò guardandosi attorno “Cercavamo Uruk.”
“Be’ questa era l’antica Uruk.” Spiegò il ragazzo “Qui è stato tutto abbandonato. L’aria è contaminata, non dovremmo sostare troppo.  La città è stata rifondata al di là della valle, bisogna scavalcare. Su, mettetevi la strada sotto le scarpe e seguitemi, io sto andando proprio lì, al mercato sul ghiaccio.”
“Ma perché è stata abbandonata?”
Il ragazzo li guardò perplesso “Venite da molto lontano, vero?”
I bambini, Zefi e Peter si lanciarono occhiate l’un l’altro come a chiedersi cosa fosse opportuno rispondere.
Il ragazzo scrollò le spalle “Non importa.” Disse “Non dovete spiegarmi niente. Qui abbiamo tutti qualche segreto. Venite su, vi porto in città.” Poi si ricordò di Zefi “Bisogna fare qualcosa per te”. Gettò un occhiata alla fucinetta ambulante: appesi insieme agli attrezzi da lavoro e a qualche padella c’erano un berretto e due scarponcini di pelo da bambino.
 “Questi erano per i più piccoli” sospirò tra sé mentre li prendeva dal gancio “Ma non importa, tornerò a portargliene degli altri.”
“I più piccoli?” chiesero Pietro e Giulio “Chi sono? I tuoi bambini? O hai dei fratelli più giovani?”
Ma il ragazzo non rispose “Ecco,” disse poi a Zefi “Non dovrebbero starti troppo grandi” e gli raccomandò di coprire bene le orecchie a punta e i piedi caprini “Così non darai troppo nell’occhio quando arriveremo in città”
Pietro osservò il sarvanot tutto imbacuccato. Tra lui e Giulio con la felpa gigante non si sapeva chi era più buffo “Potremmo dire a tutti che sei il nostro terzo fratellino” propose.
“Sì, be’…” commentò Micaela titubante e poi, togliendosi la sciarpa e mettendola addosso a Zefi “Ecco,” disse “forse se non fa vedere troppo la faccia…”
“E se non parla mai.” aggiunse Peter.
“Resta comunque un bambino basso.” Fu costretta ad ammettere Micaela.
“Potrei tenerlo in braccio” propose Peter e fece per prenderlo.
“Oh basta!” Si divincolò Zefi “Non sono mica un bambolotto. E poi c’è ancora molta strada da fare e per ora non mi pare che ci sia anima viva! Potrò pure camminare con le mie gambe!”
Il ragazzo con i ricci e la barbetta sorrise “L’avevo sentito dire che erano permalosi!” ridacchiò “Forza su, andiamo. Prima che faccia buio.” Poi si tirò dietro la sua fucinetta a carbone e, proprio come gli piaceva dire, si mise la strada sotto le scarpe e partì.

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Capitolo 6
*** Eriol ***


Il ragazzo, raccontò ai suoi nuovi amici durante il cammino, si chiamava Eriol ed era un magnino, uno stagnino ambulante. Girava tutte le valli con la sua fucinetta a carbone e stagnava pentole, calderoni, padelle. Alle volte accomodava qualche grondaia oppure vendeva i piccoli oggetti di stagno che costruiva da sé: caffettiere, mestoli, posate.
“E cosa ci facevi lassù alle rovine?” chiese Pietro “Non c’è anima viva.”
“Forse qualcuno c’è” rispose Eriol vago.
“E chi?”
 “Be’ comunque” proseguì Eriol senza rispondere “Questo monte è quasi completamente deserto. I primi villaggi si incontrano andando più giù e via via che si scavalca e ci si avvicina a Nuova Uruk ce ne sono sempre di più.
Non tantissimi, in ogni caso. Ormai vivere fuori da Nuova Uruk è diventato molto difficile.
Il fuoco indaco arriva a fatica nei villaggi e con queste temperature gela tutto.”
“Cos’è il fuoco indaco?” chiese Peter
“E’ quello che riscalda e alimenta Nuova Uruk. Vedrete. E’ un fuoco potentissimo. Si chiama così perché ha un colore violetto. Ormai è l’unica cosa che rende la vita possibile: le case e i tunnel sono riscaldati dal fuoco indaco, le serre per coltivare, gli aeromobili. Per non parlare delle armi.”
“Le armi?”
“Eh sì. Le frecce al fuoco indaco sono molto potenti. E’ così che Nuova Uruk è diventata l’impero più grande di tutto Arcolago. Ormai arriva alle pendici del deserto.”
“Incredibile!” Esclamò Peter “E dove si trova questo fuoco indaco?”
“Nei diamanti indaco. Sono diamanti incandescenti, le viscere di queste montagne ne erano piene, un tempo, ma a furia di estrarli sono quasi completamente esauriti. Per questo qui è gelato tutto e non cresce più nulla.
Si dice che una volta i diamanti indaco mitigassero il clima e la temperatura fosse sempre dolce. Non c’era ghiaccio ma prati fioriti, alberi, uccelli. Nessuno ormai può averne memoria ma si racconta che fosse così.”
“Certo che era così!” Si animò Zefi “Era un’eterna primavera!”
Eriol parve colpito “Tu l’hai visto?”
Zefi annuì “Non so cosa sia successo dopo. Non si conosceva l’esistenza di questi diamanti all’epoca.”
“E’ per questo che il monte è stato abbandonato” Spiegò Eriol “Era il più ricco di fuoco indaco. Alla periferia dell’Antica Uruk c’erano le cave da cui si estraevano i diamanti. Man mano che il diamante è finito gli equilibri del suolo si sono alterati. Tutto è diventato una distesa deserta di ghiaccio e dalle cave hanno cominciato a venire fuori spore tossiche. Per questo la città è stata recintata e in un paio di secoli si è ridotta in rovina.
I sapienti del consiglio del re avevano avvertito da tempo del pericolo ma si continuò ad estrarre come nulla fosse. Eravamo in guerra per espandere i confini e serviva il fuoco per le armi. Il re diceva che avremmo conquistato nuove catene montuose e avremmo avuto molti più giacimenti. Per l’antica Uruk però non si fece in tempo.
Molti dicono che anche Nuova Uruk abbia il tempo contato. Ormai il ghiaccio è ovunque. Ma più si estrae e più c’è bisogno di fuoco indaco per poter vivere.”
“Orkosh va fermato!” Esclamò Zefi.
“Lo pensiamo in molti” mormorò Eriol “Ma non dire mai nulla del genere quando saremo in città. Gli sferraglianti possono imprigionarti per molto meno.”
“Ma invece” chiese Zefi dopo un momento di esitazione “Cosa sai di Moltina?”
“La principessa?” chiese Eriol “La figlia dell’ultima delle antiche regine?”
Zefi annuì.
“Quello che sanno tutti.” Rispose Eriol “Che era una grande guerriera. Che fu tradita e uccisa nella battaglia di Prato Alto. Sono secoli che Uruk si vendica di Moltina. Ogni nuova conquista viene fatta in suo nome, dovreste sentire i discorsi del re! Ogni anno si commemora il tradimento di Prato Alto e nella piazza principale di Nuova Uruk, lo vedrete, c’è una statua di Moltina trafitta da una freccia. Tuttavia…”
“Tuttavia?” lo incalzò Zefi
“Nulla, queste sono sciocchezze.”
“Ti prego vai avanti.”
“Circolano delle leggende, delle storie.”
“Che storie?”
“C’è chi crede che Moltina non sia mai morta davvero. E che un giorno tornerà a rivendicare il trono.”
“Chi dice questo?”
Eriol alzò le spalle “Dissidenti, nostalgici, gente che trova speranza in un antico passato che non tornerà più.”
“Ma se non è morta che fine ha fatto?”
“Su questo punto le versioni sono discordanti. C’è chi dice che in realtà sia fuggita perché non era d’accordo con i piani di conquista del patrigno. Chi dice che il tradimento fu inscenato dalla stessa Moltina che passò con il nemico per resistere all’impero.
Insomma, storie improbabili.”
Zefi lo guardò pensoso “Da chi le hai sentite?”
“Girano nei sotterranei di Nuova Uruk. Tra chi vorrebbe opporsi al regno di Orkosh c’è chi ha riesumato il culto delle antiche regine. Quello che accomuna tutte le loro storie è che Moltina si ribella sempre ai piani di Orkosh.
E anche questo non è troppo credibile, no? Per quel che se ne sa, Moltina era il suo braccio destro.
Ma chi ama sperare nel suo ritorno ha bisogno di riabilitarla con queste leggende.”
Zefi lo guardò con una strana espressione “E tu cosa pensi?”
“Penso che inventarsi un’eroina che torna a salvarci dal passato non serva granché a cambiare le cose. E se la principessa fosse d’accordo o meno con Orkosh non mi pare più molto importante.”
Zefi sospirò “Moltina, sai, era molto giovane. “
Eriol lo guardò incuriosito “L’hai conosciuta?”
Zefi annuì “Non amava eseguire gli ordini del patrigno. Ma se si sia mai ribellata non lo so.”
“Quindi tu eri qui a quei tempi? Non sai cosa accadde dopo?”
Zefi pareva confuso “Fino all’altro ieri non avevo dubbi! Io c’ero al funerale di Moltina.”
“E allora puoi confermare che è morta davvero. L’avrai vista.”
“Be’ no.” Ammise Zefi “Moltina fu trafitta da una freccia e cadde in una scarpata. Si fece il funerale ma senza il suo corpo.”
Eriol rimase in silenzio “Interessante.” Mormorò.
“Sai, qui si dicono cose tremende su voi sarvanot” riprese poi “Si dice che viviate nelle tenebre e portiate distruzione e caos. Che la notte abbiate l’abitudine di uscire tutti insieme in orde infernali, infestare i villaggi e rapire i bambini e che al mattino le madri ritrovino nella culla i propri piccoli trasformati in mostri orrendi.”
Zefi lo guardò con un sorrisetto “suona terribile in effetti”
I due scoppiarono a ridere.
“E tu perché non hai paura?” chiese Zefi
“Be’… le masche rimaste raccontano storie diverse su di voi.”
“Masche? Ma allora ci sono ancora delle masche qui?” Chiese Micaela che aveva seguito la conversazione in silenzio.
“Qualcuna. Sì.” Rispose Eriol “Da secoli vivono in clandestinità. Si tramandano segretamente i loro saperi di madre in figlia. Per loro è stato più facile nascondersi, all’apparenza sembrano donne comuni.”
“E tu ne conosci qualcuna?” chiese Micaela
“Be’ sai, le masche hanno un gran trafficare con calderoni e pentoloni, ci tengono alla manutenzione. E, non per vantarmi, ma si dice che la mia stagnatura abbia la tenuta migliore della valle.”
“Quindi stagni i calderoni per le masche di qui?”
Eriol alzò le spalle “Può darsi. O forse no. Sai che chi incontra una masca ha il dovere di consegnarla subito agli sferraglianti? Altrimenti si finisce in prigione.”
Micaela sentì un brivido attraversarle la schiena e raggiungerle le alette di pipistrello. Zefi non era l’unico che doveva stare attento, se qualcuno avesse visto le sue ali l’avrebbero scoperta subito. Per un attimo si chiese se potessero davvero fidarsi di Eriol.
“Anche delle masche si dicono cose brutte?”
“Qui la gente ne ha molta paura.”
“E tu no?”
“Be’, mio nonno diceva che le masche sono come tutte le altre persone. A volte buone a volte cattive. La gente ne ha paura perché è invidiosa dei loro poteri, perché deve sempre mettersi a fare la gara.
Ma se le conosci capisci che sono proprio come tutti gli altri. Anche lui, diceva, all’inizio ne aveva il terrore ma poi ne aveva conosciuta una e aveva cambiato idea.”
E così Eriol raccontò che suo nonno, in punto di morte, gli aveva confessato che in gioventù aveva amato una masca.
Anche lui faceva il magnino, il ramaio, e girava di paese in paese con un carretto e una mula.
Una mattina era andato nella mangiatoia e aveva trovato la mula con la criniera tutta intrecciata di treccine finissime, talmente sottili che sembrava le avesse fatte il diavolo.  Trovò le treccine un giorno, le trovò il giorno dopo. Al terzo giorno, spaventatissimo andò a chiamare il vicino. “Queste le ha fatte una masca “ gli disse il vicino “Solo una masca  riesce a fare treccine così sottili in una sola notte. Di sicuro vuole farti qualche maleficio, devi liberartene subito.  Fai così” gli disse “Domani notte vai nella mangiatoia e nasconditi. Aspetta i dodici rintocchi della mezzanotte e al dodicesimo rintocco vedrai che comparirà davanti a te un gatto. Prendi subito in mano la coda del gatto e vedrai che, come per magia, apparirà una donna e nella tua mano, al posto della coda del gatto, avrai i suoi capelli. Quando lei ti chiederà “Cos’hai in mano?” mi raccomando, non dire ‘capelli’ o sarai suo schiavo per sempre. Devi rispondere “Ferro e acciaio” e allora lei avrà perso e non potrà fare più niente.  Così la prenderai per i capelli e la porterai subito agli sferraglianti, alle guardie, come dice la legge.”
E così la notte dopo il nonno di Eriol si nascose nella mangiatoia e aspettò i dodici rintocchi della mezzanotte. Proprio come gli aveva detto il vicino, comparve il gatto. Lui lo prese per la coda ed ecco che in mano si ritrovò i capelli rossi di Roselyn.  Roselyn bellissima con le lentiggini, gli occhi verdi.
Tante volte era stato a casa sua a farle dei lavori, le aveva stagnato pentole e padelle, le aveva costruito mestoli di rame. E insieme avevano riso e scherzato.
“Ma Roselyn” le disse “Sei una masca? Sembri così brava, così bella, perché mi vuoi fare del male?”
“Ma io non ti voglio fare del male “Gli disse lei “Se avessi voluto farti un maleficio ti avrei fatto qualcosa di brutto. E invece ho solo intrecciato la criniera alla mula. E l’ho fatto perché ho un peso sul cuore. Ti penso tutti i giorni, a tutte le ore. Mi giro e mi rigiro nel letto, non mangio, non bevo non dormo. Perché io ti amo.
E adesso tu puoi scegliere. Tu hai vinto. Se vuoi mi prendi per i capelli e mi consegni alle guardie, come dice la legge. Oppure mi lasci i capelli, mi lasci libera e io ti amo, e noi ci amiamo oggi, domani, fino alla fine dei nostri giorni.”
“E mio nonno” disse Eriol “fece proprio così: le lasciò i capelli e l’amò. Quella notte, quella dopo e quella dopo ancora.  Fino alla fine dei loro giorni si sarebbero amati. Ma una sera Roselyn andò da lui e gli disse che non sarebbe più tornata. Gli sferraglianti la stavano cercando e non voleva metterlo in mezzo.
Lui provò a protestare, le disse che non avrebbe mai potuto lasciarla ma Roselyn fu irremovibile. “Non è questo il tuo destino” gli disse “Troverai una brava ragazza, avrai dei figli, dei nipoti e vivrai a lungo. Prima di andare però devi farmi una promessa. Ti affido una cosa di grande valore, si tramanda nella mia famiglia da generazioni, tienila nascosta. Se riuscirò a tornare la riprenderò ma se non dovessi più vedermi consegnala ai tuoi ai figli e ai figli dei tuoi figli.
Mio nonno e Roselyn non si rividerò più. E così lui in punto di morte mi raccontò questa storia, consegnandomi l’eredità: la fucinetta a carbone e il dono di Roselyn.”
 “E che cos’era?” Chiesero Pietro e Giulio curiosissimi.
Eriol sorrise “Ecco! Questo è buffo! Era una pergamena”
“E cosa c’era scritto?”
“Nulla. Era completamente bianca.” Eriol scoppiò a ridere. “Nessuno in famiglia è riuscito a darsi una spiegazione. Forse questa Roselyn aveva un gran senso dell’umorismo. O forse non è mai esistita ed è solo uno degli scherzi di mio nonno. Vai a sapere. Però ho sempre pensato che fosse una bella storia da raccontare e da allora non ho più creduto a quello che si dice sulle masche.”
Eriol si fermò e guardò davanti a se “Ecco” disse “Siamo arrivati.”
I tre bambini, Zefi e Peter alzarono lo sguardo. Di fronte a loro, in lontananza, una città illuminata di violetto si ergeva scintillante sulla pendice del monte: palazzi altissimi e splendenti attraversati da ponti dalle forme arizigogolate e nel cielo, tutto intorno alla città, aeromobili in volo con le vele spiegate.
“Nuova Uruk” mormorò Zefi.

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