Les astres à travers son âme – a Shay Cormac’s story

di giuliacaesar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Lowlands away, lowlands away me ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Good morning ladies ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Off to sea once more ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - Dangerous waters ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 - Prelude to a storm ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 - Blood red roses ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 - The maid of Amsterdam ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 - Round the corner Sally ***



Capitolo 1
*** Prologo - Lowlands away, lowlands away me ***


••• 

Questa storia è dedicata a Gabriella, la mia migliore amica, insieme fin da piccole. 

La dedico a te, che mi hai fatto scoprire questo mondo e che so me ne farai scoprire altri. 

La dedico a quel pranzo di luglio, quando fresca di patente ti ho trascinato al Mc Drive solo per poter guidare e poi tu di rimando mi hai raccontato per filo e per segno tutta la lore della saga di Desmond. 

Quando sono tornata a casa avevo il cervello fritto, cosa che solo tu riesci a fare con la tua parlatina inesauribile, ma da cui è difficile staccarsi per la passione che ci metti nel raccontare le cose che ti piacciono. 

Ti si illuminano gli occhi di una luce accecante. 

••• 

 

20 dicembre 1751, Parigi 

Claudette stava aspettando la suo Mentore da ormai un’ora. Di fronte al suo ufficio, in un palazzo nell’isola di Notre Dame, batteva impaziente il piede sul tappeto antico a terra sbuffando in continuazione. Mireille l’aveva convocata quel giorno per discutere di una questione importante a quanto pare, ma un tale ritardo le faceva sospettare la natura di quell’incontro. 

Le era sembrata così seria il giorno prima, quando l’aveva praticamente placcata di fronte a Notre Dame, mentre stava tornando a casa da un addestramento in uno dei rifugi sparsi per la città della Confraternita. Aveva passato tutta la giornata ad allenare le nuove reclute, ancora inesperte dei metodi degli Assassini, cercando di insegnare loro come si utilizzasse la lama celata e la sua storia dietro. Quel giorno però si era beccata due uomini più grandi di lei, che non la ascoltavano e facevano di tutto tranne che cercare di imparare qualcosa, quindi aveva dovuto passare alle maniere forti. 

Dopo la pausa, che lei stessa aveva richiesto per non ucciderli seduta stante, invece di andare da loro a comunicare l’inizio della lezione semplicemente a parole, si disse che sarebbe stato un metodo didattico appropriato calarsi dall’alto e atterrarli entrambi in un colpo solo. E magari far loro battere la testa abbastanza forte per far capire che lei non era lì per scherzare. La Confraternita francese era una delle principali in Europa, quindi avrebbe potuto avere di meglio da fare oltre a stare dietro a due bambinoni capricciosi. Il risultato ottenuto la soddisfò in quanto i due finalmente smisero di guardarle le gambe, fasciate in un paio di pantaloni, e iniziarono a guardarla in faccia per seguire la lezione. Appresero più in un’ora di tempo che in tutta la mattinata. 

Era stata una giornata pesante, l’unica cosa che voleva fare era rintanarsi a casa sua nel suo letto fino al giorno successivo senza vedere nessuno, eppure il destino aveva progetti diversi per lei. Mireille, Mentore della Confraternita, l’aveva raggiunta di fronte a Notre Dame. Silenziosa come un gatto, l’aveva acciuffata da dietro un vicolo, spaventandola a morte. Aveva sentito le sue ossa gelarsi di puro terrore, prima che il suo corpo si muovesse in automatico attivando la lama celata e quasi pugnalando nello stomaco l’altra donna. 

«Mer… credi! Mireille, sei tu! Ma volete farmi venire un infarto? Ho capito di stare antipatica a metà degli Assassini, ma addirittura uccidermi mi sembra esagerato.» imprecò quando si rese conto di chi aveva di fronte. 

A Mireille scappò una risatina, mentre si tirava giù il cappuccio, scoprendo il volto contornato da piccole rughe di espressione intorno agli occhi, tipiche delle persone a cui piace ridere. 

«Claudette, volevo vedere se anche voi applicavate le lezioni che impartite ai vostri studenti. Cosa avete detto a suoi allievi? “Sempre in guardia e attenti ai punti ciechi”?». 

Claudette arrossì e balbettò qualche scusa, che fu stroncata di nuovo dalla sua Mentore. 

«State tranquilla, non preoccupatevi. Avrei fatto anch’io la stessa cosa con quei due. Con gli uomini è sempre così, bisogna usare il pugno di ferro» la rassicurò con un sorriso. 

La ragazza di rimando si rilassò. Mireille era la prima Mentore donna della sua Confraternita, facendo rodere il fegato a molti dei loro colleghi, quindi comprendeva la difficoltà di Claudette nel farsi rispettare, essendo l’unica Assassina di tutta Parigi, nonché della sua famiglia. Ricca famiglia nobile, i Dubois servivano la causa della Confraternita da generazioni fornendo nuove reclute. Così si ritrovò tra le file degli Assassini, seppur con la disapprovazione di suo padre, ma rendendo sua madre orgogliosa. Da quando aveva 17 anni, dopo anni di allenamenti sfiancanti e tagli sulle mani per cercare di padroneggiare la lama celata al meglio, era ufficialmente entrata a far parte della Confraternita francese, sotto la protezione di Mireille Gaultier, la sua Mentore, nonché membro del Consiglio. 

Mireille riprese il discorso sorprendendola. 

«Comunque, Claudette, sono qui per chiedervi di presentarvi domani nel mio ufficio alle 16. Devo parlarvi di una questione importante.». 

Due paia di occhi azzurro cielo si posarono su di lei severamente, non ammettendo repliche. Mireille era una persona semplice, molto alla mano, ma spesso doveva nascondere il suo lato più ilare dietro una maschera di ferro, di solito di fronte agli altri Assassini uomini, che non poche volte dimenticavano chi era a capo del Consiglio in quel momento. Con Claudette, abituata anche lei agli sguardi di sufficienza, non era mai stato necessario, però quelle rare volte in cui capitava capiva che la faccenda doveva essere molto seria. Lei annuì reggendo lo sguardo glaciale della sua Mentore. 

Subito dopo la maschera di ferro si sciolse in un sorriso materno, fiero della ragazza che aveva di fronte. Sarebbe stata di certo all’altezza della missione. Se persino Chevalier aveva richiesto personalmente la sua presenza tessendone le lodi in maniera smielata, allora voleva dire che Claudette era più che capace. Era sprecata ad addestrare zotici a Parigi, aveva abbastanza coraggio e determinazione per partire per un nuovo viaggio. 

«Benissimo! Ci vediamo domani allora, mia cara. Au revoir.». 

«Au revoir, Mentor!» salutò la ragazza osservando la donna uscire dal vicolo e dirigersi verso la tenuta della Confraternita. 

E quindi, arriviamo a una fredda giornata di fine dicembre 1751, Claudette era più di un’ora che era stravaccata su un divanetto della biblioteca in una posa che avrebbe scandalizzato sua madre se l’avesse vista. Una gamba a penzoloni su un bracciolo, l’altra distesa di fronte a sé, mentre la testa era gettata all’indietro in segno di disperazione.  L’opera di Voltaire, di cui non ricordava nemmeno il titolo, era aperta sul suo grembo in attesa di essere letta. La noia era tale che avrebbe preferito allenarsi al freddo e al gelo con gli zucconi dell’altro giorno, piuttosto che stare a congelarsi le sottane in biblioteca. Almeno tirando pugni ai suoi allievi poteva riscaldarsi un po’. 

Le scappò un verso esasperato e molto poco elegante per “una signorina del suo retaggio” (molte delle cose che faceva non erano adattate a una donna, secondo suo padre), quando la lancetta dell’orologio segnò le 17:15 e Mireille non comparve magicamente dalla porta. Alzò la testa, intenzionata a riprendere la lettura, ma le parole si aggrovigliavano tra di loro, si spargevano per la pagina, facevano di tutto per non farsi leggere. Claudette chiuse il libro con uno scatto, il rumore rimbombò per la biblioteca come lo scoppio di una bomba.  

Durante l’addestramento da Assassina, Mireille per insegnarle ad essere paziente era solita darle appuntamento a un orario per poi presentarsi ore dopo. Una volta l’aveva fatta attendere quattro ore fuori dai Jardin du Luxembourg sotto la pioggia a congelarsi persino l’anima. 

Così decise di alzarsi e girovagare per l’enorme biblioteca in cerca di… qualcosa, qualsiasi cosa che potesse intrattenerla un minimo. Si diresse al piano superiore che circondava il perimetro della biblioteca per andare a osservare la teca degli oggetti preziosi collezionati dalla Confraternita: lame celate di famosi Assassini, vecchi manoscritti antichi, opere d’arte e spade pregiate dietro cui sbavava anche solo posandoci sopra gli occhi castani. 

Un bigliettino posto di fronte a un paio di lame celate antichissime, di quelle che ancora avevano la lama posta sul davanti recitava: «486 a.C., Medio Oriente. Furono utilizzate da un Assassino della nostra Confraternita, allora chiamata “Gli Occulti”, per uccidere il re persiano Dario. È ignota l’identità del possessore.». Le lame erano molto più grandi di quelle che utilizzava lei, decisamente più sottili e ben nascoste tra le pieghe delle sue maniche, e riportavano una decorazione geometrica sul davanti, facendole spacciare per un bracciale di ferro. Fremeva dalla voglia di provare a vedere se il meccanismo di attivazione funzionasse ancora o se erano ancora taglienti come un tempo, nonostante le macchie di ruggine e terra che la sporcavano. 

Fu quasi beccata ad aprire la teca, quando sentì la porta sbattere. Si fiondò rischiando di cadere dalla balaustra nell’impeto di vedere se finalmente Mireille fosse arrivata e infatti, al solito, la sua pazienza era stata ripagata vedendo la donna sorriderle sornione dal piano inferiore, gli abiti gocciolanti di pioggia. 

«Vi ho fatto aspettare tanto, Claudette?» le disse dirigendosi verso il suo ufficio. 

La ragazza rispose con una risata isterica, calandosi dalla balaustra, troppo eccitata per prendere le scale. 

«Oh, non preoccupatevi sono stata qui solo un’ora e mezza! Mi avete fatto di certo attendere più, Mentore.» scherzò di rimando la ragazza, seguendo a ruota la donna all’interno del suo ufficio. Mireille non rispose subito andando ad accendere il caminetto a lato della stanza, dall’altra parte rispetto alla finestra su cui battevano ferocemente le gocce di pioggia. L’ufficio, situato nella villa di famiglia di Mireille, era sempre lo stesso da generazioni: il soffitto alto a cassettoni era decorato con il simbolo della casata nobile, tutti i mobili, come la scrivania e le sedie erano in legno chiaro riscaldando l’ambiente, mentre le grandi finestre poste sul lato sinistro della stanza erano coperte da spesse tende blu scuro. 

Mireille fece un gesto con la mano ad invitare la sua ex apprendista di fianco a lei vicino al fuoco. Anche se impercettibilmente la donna stava tremando dal freddo, che in quel periodo invadeva le strade di Parigi in una bufera di pioggia e neve. I capelli color del grano erano bagnati nonostante il caratteristico cappuccio della divisa, tutti aggrovigliati tra di loro nello chignon basso e frettoloso che si era fatta. I capelli le gocciolavano sul viso dalla carnagione molto chiara e delicata, portando le labbra sottili e rosee a fare qualche smorfia di fastidio. Tremava per il freddo nonostante l’abito invernale imbottito di lana così tanto che Claudette ebbe un improvviso moto di voler abbracciare la sua Mentore per riscaldarla. Per lei era stata una guida all’interno di quel mondo fatto solo di uomini burberi e violenti, un modello da seguire anche quando le critiche e gli insulti sembravano non finire mai. 

Lo sguardo glaciale, di un azzurro che si trova solo nel ghiaccio più freddo, era piantato sui carboni ardenti, alla ricerca di un minimo di calore. A Claudette parve di vedere un’ombra di dubbio nello sguardo di Mireille, che ancora non aveva parlato, limitandosi a guardare il fuoco. Poco dopo però le labbra, contornate da piccole rughe, si mossero iniziando a parlare. 

«Mi devi scusare, Claudette, ma questa volta sono arrivata in ritardo non per impartirvi qualche lezione. Mi sono recata Montmatre per un incontro con degli Assassini della Confraternita italiana, stanno eseguendo delle ricerche su un nobile della città che a quanto pare è legato alla causa dei Templari in Italia. L'incontro è durato più del previsto. Conoscete gli italiani, sono dei gran chiacchieroni!». 

All’ultima frase finalmente tornò a guardare Claudette. Era più alta di lei, più allenata e flessuosa, come lo era ai suoi tempi quando era ancora attiva sul campo. I lisci capelli color biondo scuro erano lasciati sciolti sulle spalle, sfiorando di poco le scapole. Nonostante non avesse missioni da fare, era ancora vestita con la cappa viola scuro della sua famiglia, il cappuccio a punta tirato indietro. La pelle chiara e delicata delle guance era arrosata, forse per il freddo perenne che invadeva la biblioteca in quei mesi gelidi dell’anno. Infatti, le mani dalle lunghe dita affusolate della ragazza, piene di cicatrici e calli per i duri allenamenti, erano protratte verso il fuoco per ricercarne il calore. 

Gli occhi castani la osservavano in trepidante attesa e adoranti, la stessa espressione che aveva da piccola quando ancora la addestrava, sotto lo sguardo disapprovante del padre. Claude Dubois era uno dei suoi migliori Assassini, ma era ancora molto indietro su certe credenze, come quella secondo cui una donna non era adatta alla vita di violenza e sangue di un Assassino. Ogni volta arrossiva come un ragazzino quando gli rammentava brutalmente che la loro Confraternita era nata grazie ad Aya di Siwa, una donna appunto. Era con quei discorsi che ora si ritrovava di fronte la giovane forte e sicura di sé che aveva davanti. Chissà forse un giorno avrebbe ceduto a Claudette il posto di Mentore, giusto solo per fare un torto a tutti quei scimmioni che avevano sempre dubitato di loro. 

«Sul serio, Mireille, c’est bon. Avevo capito che avevate da fare.» le rispose con un sorriso la ragazza. 

Quando le era arrivata la lettera di Louis-Joseph Gaultier, Chevalier de La Vérendrye, che quasi pretendeva la presenza di Claudette nelle Colonie britanniche, perché “gli apprendisti di questo buco ghiacciato dimenticato da Dio sono così pessimi da poter fare solo da mangime agli squali” colorita con altri insulti nei confronti dei suoi studenti e tessuta di lodi per la sua adepta, si era sentita inizialmente un po’ smarrita. Prima di tutto perché il suo caro cugino, quel vecchio trombone lamentoso, molto raramente trovava qualcosa di suo gusto, quindi inizialmente aveva pensato che fosse una trappola dei Templari per eliminare la sua migliore Assassina. Il sigillo sulla lettera però era autentico e gli insulti erano così fantasiosi da poter venire da nessun altro se non dal suo lontano parente canadese. Anche se provava una scintilla di paura in fondo al suo cuore a mandare la sua giovanissima Claudette in mezzo ai ghiacci inesplorati del Nord America, sapeva che poteva essere l’occasione per la ragazza per finalmente sbocciare. 

Andare nel Nuovo Mondo a esplorare terre ignote e conoscere persone di culture diverse era un’opportunità che non poteva sottrarre alla sua pupilla. Sarebbe stato come tarparle le ali ancor prima che imparasse ad usarle. 

«Vi spiacerebbe prendere delle sedie? Dobbiamo fare una lunga discussione.» infine le disse rivolgendole un triste sorriso. Le sarebbe mancata lontana da Parigi, in mezzo alle terre selvagge e ghiacciate del Nord. 

Claudette si affrettò a portare le sedie, eccitata e agitata per quello che la sua Mentor aveva da dirle. Sentiva un brivido di ansia incastrato alla base della nuca e che scendeva lungo la spina dorsale, come se fosse stata colpita da una palla di neve. Era da molti mesi che non le veniva affidata una missione, non vedeva l’ora di entrare di nuovo in azione per il bene della Confraternita. Era così agitata da non riuscire a stare seduta composta sulla sedia, cambiando posizione in continuazione. Mireille dopo essersi seduta notò con una risatina il crescente nervosismo della sua accolita. Sembrava ieri che stava ancora imparando a usare le lame celate, rifiutandosi di piangere quando si feriva i palmi delle mani con le armi. Ed eccola lì, a fianco a lei, inconscia del nuovo viaggio che le stava davanti. 

«Credo voi siate stata abbastanza paziente oggi, Claudette. L'altro ieri è arrivata una lettera da un mio lontano cugino, vi ricordate di Louis-Joseph Gaultier?». 

Claudette impiegò qualche secondo per collegare il nome a un volto, aggrottando le ciglia e inclinando la testa verso destra, come un gatto curioso. Aveva già sentito quel nome, non era la prima volta che la sua Mentor ne faceva parola, ma dovette andare indietro di due anni per associare quel nome a un viso scavato e dall’aria burbera. Louis-Joseph, meglio conosciuto con il titolo di Chevalier, di certo non è un uomo che passa inosservato, non tanto per il suo aspetto quanto per le parole e gli insulti celati che si porta dietro. Di quell’uomo che aveva visto per l’ultima volta due anni prima, quando era venuto a far visita alla lontana cugina, Mireille per l’appunto, ricordava solo la perenne espressione di fastidio che portava sul viso, come se gli avessero appena sbeccato il ponte della nave. Il fatto che avesse una corrispondenza con Mireille non le sembrava strano, ma cosa c’entrava con lei? 

«Oui, me lo ricordo. È quello che si lamentava per tutto il tempo di quanto fossero rammolliti i parigini rispetto ai suoi parenti canadesi? Lo ripeteva in continuazione come un pappagallo.». 

«Sì, è lui! È cresciuto in mezzo ai ghiacci del Canada, quindi appena mette piede a Parigi riesce sempre a trovare l’ago nel pagliaio che non funziona.». 

Alzò gli occhi al cielo. Le veniva mal di testa al solo pensare alle centinaia di lamentele che si era dovuta sorbire circa la gestione della Confraternita da parte del Consiglio. Non lo faceva con cattiveria, anzi era stato uno dei pochi a sostenere la sua ascesa come Mentore, ma “proprio perché conosco di cosa sei capace che ti dico che questo posto è davvero una maison close*! Puoi fare grandi cose, Mireille, eppure hai solo intaccato la punta dell’iceberg.”. 

«Alors? Cosa diceva la lettera?». 

Mireille sorrise all’insistenza della ragazza, diventata impaziente dopo aver atteso a lungo questa conversazione. Se la conosceva bene, scommetteva che Claudette avesse passato tutta la notte a interrogarsi su cosa fosse la questione di cui dovevano parlare. 

«Alors, mia cara, sapete che lui è impegnato nelle Colonie Britanniche con la Confraternita coloniale, giusto?». 

Se possibile, gli occhi di Claudette si aprirono ancora di più. Sembrava quasi di vedere le rotelline del suo cervello in movimento che cercano di captare tutte le informazioni possibili. Anche nei suoi 23 anni, Claudette dentro sarebbe comunque rimasta la bambina curiosa ed entusiasta per le nuove avventure che era tanti anni fa. Annuì con la testa così velocemente da far volare da tutte le parti i lunghi capelli biondo scuro, protraendosi verso Mireille come se le stesse raccontando la favola della buona notte. 

«Ecco, Louis-Joseph sta... - doveva trovare un modo carino per dirle che si stava lamentando come suo solito delle nuove reclute - ...diciamo, sta riscontrando delle difficoltà all’interno della nuova Confraternita. Quindi, di comune accorto con Achille Davenport, attuale Mentore, richiede personalmente la vostra presenza e il vostro aiuto nelle Colonie.». 

Claudette ci impiegò qualche secondo a elaborare tutte quelle informazioni. Soprattutto doveva anche solo processare il fatto che Louis-Joseph Gaultier, campione numero uno di lamentele, un uomo che aveva visto criticare persino la maniera in cui erano state posizionate le pietre per strada, avesse richiesto la sua presenza in Nord America. Doveva essere una trappola dei Templari, non se lo spiegava altrimenti. 

Poi pensò al Nuovo Mondo, alle terre inesplorate e selvagge, alle popolazioni che lo abitavano, dai perduti Maya ai famosi Pelle Rossa, di cui aveva solo le storie dei mercanti che passavano per Parigi. Si immaginava foreste e boschi a perdita d’occhio, un mare di verde sconfinato di cui non si vedeva la fine, con alberi così fitti e alti da oscurare il cielo stesso. Vedeva animali mai visti, di ogni specie diversa. Aveva sentito parlare di balene con corni lunghi quasi quanto un uomo, orche immense, capidogli grandi quanto galeoni, cervi e alci dalle corna maestose possenti come dieci uomini. Aveva letto in biblioteca centinaia di libri che parlavano masse di ghiaccio così grandi da essere vere e proprie isole, di inverni perenni dove la neve non si scioglieva nemmeno d’estate. Aveva visto immagini di distese e distese di bianco candito, quasi sentendo la neve scricchiolare sotto gli scarponi, i fiocchi impigliati nei capelli. 

Per lei tutto quello era così lontano, terre così selvagge e inesplorate da essere uscite fuori da un’opera di fantasia. Appartenevano a mondi, a tempi così lontani dalla sua mondana Parigi con le strade lastricate in pietra e i monumenti antichi e moderni a mescolarsi in una sinfonia stranamente perfetta. Camminare per le strade della sua città era come vivere in epoche diverse, si passava dal Medioevo attraversando l’isola di Notre Dame per poi vivere il Rinascimento nelle sale del Louvre e infine arrivare ai suoi tempi con Hôtel national des Invalides completato poco meno di cinquant’anni prima. Parigi era in continuo movimento, sempre con qualcosa di nuovo nelle teste dei parigini che la abitavano, era un cuore pulsante che non smetteva mai di battere. 

L'America invece era un vecchio orso in letargo, in attesa di risvegliarsi con la primavera. Non vi erano Chiese gotiche, che svettavano verso il cielo, quasi toccandolo, o edifici così massici da sembrare essere lì da secoli, invece che da pochi anni. L'America era sconosciuta con le sue centinaia di lingue e volti diversi, le mille storie e leggende da raccontare, i milioni di segreti e terre da scoprire. In America non significavano nulla i titoli nobiliari o quanto fosse prestigiosa la tua famiglia, arrivare lì voleva dire arrivare in un mondo totalmente nuovo dove poter riscrivere il proprio destino. 

Era questo quello che lei vedeva in quel momento: un foglio bianco, immacolato come la neve che raffreddava quelle terre, su cui poter scrivere di nuovo la sua storia. Non sarebbe più stata la figlia di una nobile casata francese, non avrebbe più avuto alle spalle i bisbigli contrariati della sua famiglia, non si sarebbe più sentita il topolino che viene schiacciato sotto gli scarponi degli altri. Era arrivato il momento per lei di riprendere in mano il testo su cui avevano già messo per iscritto la sua storia e stracciarlo, ridurlo in cenere per scrivere qualcos’altro. Cosa non lo sapeva, ma non vedeva l’ora di mettersi di fronte al calamaio e finalmente decidere lei la trama della sua vita. 

Con voce eccitata, ma ferma disse una sola frase: «Quando si parte?». 

Mireille sorrise alla sua accolita, conscia di essere stata una sciocca a sperare di riuscire a tenere incatenata a Parigi la sua aquila più bella. Era ora di lasciare che spiccasse il volo. 

*** 

Dall'altra parte dell’oceano, un ragazzo stava avanzando nella neve a fatica. Gli arrivava fino al ginocchio e farne solo uno sembrava farne cento, ma mai in vita sua si sarebbe stancato di quel bianco immenso e del rumore delle onde si infrangono sulla battigia, del silenzio quasi profetico che sembrava pervadere quella terra, rendendola al di fuori del tempo. Un brivido gli percorse la schiena a causa del vento forte che arrivava dal mare. Da quella altezza poteva godersi lo spettacolo del blu cobalto che ricopriva i freddi oceani del nord, puntellato da qualche macchia bianca di iceberg e piccoli ghiacciai. Respirò a pieni polmoni l’aria fredda e pungente di quelle terre immense, ormai diventate da anni la sua casa, anche se portava sempre con sé la caotica e movimentata New York a riscaldargli il cuore. 

Per un momento si chiese cosa stesse accadendo dall’altra parte di quel mare immenso. Non credeva nella fortuna, lui se la creava da solo, però per un solo istante si chiese cosa avesse per lui in serbo il destino. Di rimando una ragazza parigina era sulla prua di una nave francese, diretta verso gli stessi ghiacci scintillanti che in quel momento Shay Patrick Cormac si stava godendo.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - Good morning ladies ***


31 dicembre 1751 

Monsieur Davenport, 

Le sto mandando una delle mie più capaci Assassine, la mia allieva più cara. Non fatevi ingannare dalle apparenze, potrà sembrare una bambolina delicata, ma è la più dedita al Credo tra i miei seguaci. Purtroppo Parigi è troppo caotica, troppo indaffarata per farla splendere come dovrebbe e io non riesco a farla emergere come merita, quindi la affido a Lei, Achille. La metta alla prova, frère, le dia la possibilità di sfruttare a pieno il suo potenziale. Per troppo tempo ha preso la polvere qui a Parigi, le farà bene l’aria fresca delle Colonie. 

Non ti dirò di prenderti cura di lei, perché non ne bisogno. 

Cordiali saluti, 

Mireille Gaultier. 

P.S. perdona mio cugino per questa sua iniziativa. Non voleva mancarti di rispetto, ma allo stesso tempo sa che qui la mia Claudette sia sprecata. 

 

*** 

 

L'aria era frizzante quella mattina, le solleticava il naso giocosamente, mentre sulla prua della nave si godeva le ultime ore di quel lungo viaggio. Il sole stava ancora finendo di sorgere, tingendo di rosa e azzurro pastello il cielo, prima scuro, facendolo pian piano confondere col mare immenso che aveva di fronte. Non avendo mai lasciato la Francia, non aveva mai sentito l’odore del mare, se non tramite le conchiglie che tenevano in biblioteca, e non si sarebbe stancata affatto di quel profumo delicato. Il sapore salato sulla lingua, la freschezza che le invadeva il corpo, l’aria gelida che le si infilava tra i capelli e i vestiti, provocandole brividi ovunque. Da quella distanza, dopo settimane di puro e immacolato azzurro, quasi senza vedere la differenza tra cielo e mare, si riusciva finalmente a vedere una striscia di terra, che man mano si avvicinava. 

 

«Vede quella terra lì, mademoiselle? Quella è Rockport, dove Achille ha costruito la sua tenuta, dovremo arrivare entro questo pomeriggio.» aveva detto il capitano Martin, Assassino della Confraternita belga, che era diretto a Boston e che si era prestato per fare una deviazione per accompagnarla. A bordo della Reine du soleil, erano salpati il primo gennaio 1752 viaggiando per l’Atlantico per quasi tre mesi su un brigantino piccolo e rapido, così da raggiungere la tenuta Davenport in poco tempo. Quella mattina avevano ricevuto una piacevole sorpresa: una sottile striscia di terra cresceva ogni momento di più, avvicinando il loro arrivo. Aveva sentito dire che si era destinati a vedere per la prima volta l’America, che non era un momento casuale. Ti era impresso negli occhi quell’istante. Giurava di aver sentito veramente di essere destinata a quello*. Non aveva neanche messo piede sul suolo americano e già sapeva di amare quella terra come se fosse la sua Parigi, con le chiese impennate verso l’alto e i viottoli invasi dagli artisti. 

I marinai quel giorno erano di buon umore, non avevano smesso di cantare da quando si era svegliata. Di solito c’era sempre lo stesso schema in quasi tutte le canzoni: uno o due facevano la voce principale e gli altri li seguivano a ruota, chi più o meno peggio. Quella mattina avevano scelto una canzone piena di note alte e movimentate, come a volersi esortare a vicenda. In due intonavano il verso con voce potente, poi il resto dell’equipaggio incorporava con versi di incitamento e gioia. 

We are outward bound for Kingston town 
With a heave-o, haul! 
And we'll heave the old wheel round and round 
Good morning ladies all! 

Essere svegliati con una canzone simile dava tutt’altro sapore alla giornata, rendendo più sopportabile il sole cocente del mezzogiorno o le onde mostruose che sapevano coglierli di sera. Avevano incontrato molte tempeste nei loro viaggi, eppure i marinai non avevano mai smesso di cantare neanche di fronte alla pioggia scrosciante o ai fulmini accecanti. 

And when we get to Kingston town 
With a heave-o, haul! 
Oh, 'tis there we'll drink and sorrow drown 
Good morning ladies all! 

Alzò lo sguardo verso il cielo, chiudendo leggermente gli occhi per non accecarsi. Sebbene ci fosse un sole splendente e il cielo fosse cosparso solo da poche pigre nuvole, un piccolo filo di freddo riusciva ad insinuarsi tra i suoi vestiti scuotendola di brividi dalla testa ai piedi, ma non riusciva a scollarsi dalla prua per ritornare in sottocoperta. Era così bello starsene appollaiata sulla punta del bompresso a godersi il sole dopo giorni di nuvoloni grigi. Voleva stare all’aria frizzantina di quella mattina di marzo, quando la primavera iniziava a risvegliarsi lentamente stiracchiandosi in modo pigro e assonnato. I suoi occhi erano incollati sull’orizzonte, dove la piccola striscia di terra diventava sempre più dettagliata e precisa. 

Svettavano le montagne in lontananza, che quasi sembravano russare nel loro letargo e con le loro punte candide. Scendendo lungo i pendii, man mano il bianco sfumava in un timido verde scuro, che si sgomitava per farsi spazio in tutta quella neve, poi all’improvviso dava il via libera all’azzurro sotto suoi piedi a penzoloni, il protagonista indiscusso in quel paesaggio. Il mare e il cielo erano un tutt’uno, rendendoli difficili da dividere, l’uno la continuazione dell’altro. Per una volta avrebbe voluto aver seguito con costanza le lezioni di arte che suo padre la costringeva a seguire, era un tale peccato che quel paradiso fosse così effimero. Quel paesaggio era in costante mutamento, in una continua crescita, era un tale spreco non poterla imprimere su carta, come si faceva con i libri. 

«Mademoiselle?». 

Claudette si girò quando una voce timida e con un marcato accento britannico la chiamò alle spalle. C'era un marinaio, con la camicia bianca sudata e un paio di pantaloni consunti, che si stava stropicciando per il nervoso tra le mani callose un cappellino. Dopo essersi umettato le labbra, tentò ancora di parlarle. 

«Le petit déjeuner, eeeeh... è pronto? The... nell’ufficio del ... capitaine?». 

La ragazza si lasciò sfuggire un sorriso caloroso. Sapeva che i marinai non erano al settimo cielo di averla a bordo, per tutte quelle stupide credenze che una donna in viaggio su una nave portasse solo sventure, ma nonostante ciò avevano cercato di essere cordiali con lei intrecciandosi la lingua pur di spiaccicare qualche parola in francese. 

«Merci!». 

Si tirò in piedi sul bompresso attraversandolo elegante come una ballerina e atterrando senza il minimo rumore sulla prua. Sorrise al marinaio, che di rimando arrossì fino alla punta delle orecchie e balbettò qualche parola inglese per poi ritornare a legare una cima per far passare l’imbarazzo. Raggiunse con piedi veloci la cabina del capitano, tentata di fermarsi vicino al timone per chiedere al quartier mastro di provare a tenerlo in mano, anche giusto per vedere cosa si poteva osservare da quella prospettiva, ma ci ripensò visto che le era stato negato con un’occhiataccia l’ultima volta. 

Il capitano l’aspettava sulla sua scrivania sommersa di carte nautiche e mappe geografiche. Nelle lunghe ore di viaggio si era fatta spiegare per filo e per segno ogni cosa dal come orientarsi sia di giorno sia di notte, alle rotte commerciali che attraversavano quelle acque per finire con lezioni di nodi marinareschi. Aveva approfittato di quelle infinite giornate di mare per affinare il suo inglese, per perfezionare il suo accento e le sue conoscenze. Sorrise a Daniel Martin, nella sua tenuta grigio-azzurra, che le parlò muovendo i suoi folti e comici baffi biondi. 

«Vi siete goduta l’aria mattutina, mademoiselle?». 

«Oh, oui! È davvero una bellissima giornata, non vedo l’ora di arrivare a Rockport.». 

«Vi capisco benissimo, Claudette. La prima volta che si va in America fa sempre questo effetto. È una terra magica e selvaggia, molto diversa dall’Europa. Non mi stupisco che francesi e inglesi se la stiano litigando.». 

Claudette, dopo essersi seduta, afferrò la tazza di tè fumante portandosela alle labbra. Sul ponte della nave sferzava un velo gelido, che gonfiava le vele facendoli andare più veloci, ma si congelava di freddo, sebbene l’inverno fosse quasi finito. Il vapore caldo del tè le riscaldò il viso facendola tornare per un momento nella biblioteca della Confraternita di fronte al camino a leggere. Il sapore leggermente agrumato e amarognolo del tè, mischiato a una goccia di miele, era decisamente il modo migliore per affrontare quelle terre ghiacciate e scintillanti. 

«Tra quanto dovremmo arrivare, capitaine?». 

Daniel lanciò un’occhiata alle cartine nautiche lisciandosi i baffi senza accorgersene prima di rispondere. 

«Se il vento continua ancora a soffiare così, potremmo arrivare addirittura dopo pranzo, ma è meglio non fare previsioni, mademoiselle. L'oceano ha orecchi e gli piace fare gli scherzi!». 

Sorrise guardandolo da oltre il bordo della tazza, che teneva ancora in mano per scaldarsi. Il capitano Martin era stata un’ottima compagnia in quei mesi di viaggio, un po’ le sarebbe dispiaciuto andarsene e anche il resto dell’equipaggio, nonostante le credenze superstiziose, avevano sempre avuto un occhio di riguardo per lei. 

Finirono di fare colazione, bevendo il tè caldo e mangiucchiando qualche biscotto appena uscito dalle cucine. Claudette riempì di domande il capitano osservando le mappe sulla scrivania, indicando luoghi a lei sconosciuti con il dito e con gli occhi scintillanti di una bambina curiosa. Daniel fu ben contento di rispondere, mettendo in mostra tutti i suoi anni da marinaio che aveva viaggiato in lungo e in largo. Le aveva raccontato dei Caraibi, delle miriadi di isole che circondano le Giamaica, terra divisa tra spagnoli, inglesi e pirati. Le parlò di quando era ancora un mozzo quasi trent’anni prima, quando appena arrivato a L’Avana si era imbarcato su un brigantino pirata chiamato Jackdaw. Il famoso Edward Kenway, era stato il suo capitano finché non si era ritirato a Londra. 

Le aveva descritto un mare totalmente diverso da quello che stavano attraversando: dalle sfumature calde, con isole dorate che lo decoravano, il sole cocente e splendente sulla testa, l’aria calda e umida, carica di avventure. Quasi riusciva a sentire l’odore fumante dei cannoni che sparano durante gli scontri navali, il rumore scricchiolante e terrificante del legno che viene scheggiato, le urla dei pirati che si gridano ordini a vicenda. Aveva sentito così tante storie sul capitano Kenway, il pirata dal cuore pieno di polvere da sparo che mette al servizio degli Assassini la sua nave e sé stesso dopo anni di scorribande per i mari scintillanti della Giamaica e di Cuba. Anche del suo primo quartiermastro, Adéwalé, si parlava molto: era considerato l’incarnazione degli ideali della Confraternita dopo essersi alleato con i Maroon e aver liberato centinaia di schiavi dalle grinfie degli europei. 

Dopo la piacevole chiacchierata con il capitano, si congedò con una meta ben precisa. Si avvicinò all’albero maestro, su cui era posizionato un meccanismo di carrucole per poter facilitare la salita verso le vele. Lo azionò con un calcio e la sorpresa di tutti, arrivando sul secondo pennone in poco tempo, ma lei puntava un’altra vetta. Si arrampicò aggrappandosi con le mani e i piedi alle corde e ai legni sporgenti, fino ad arrivare vicino alla punta dell’albero, dove la vista era mozzafiato. 

Il sole luccicava sul mare splendente, che rifletteva i raggi inondando di luce tutto lo spettacolo di fronte a sé. Da quell’altezza le montagne sembravano ancora più vicine, erano come una vecchia tartaruga che con passi lenti si avvicina a loro. Avanzò più in alto di qualche metro per appollaiarsi in una posizione decisamente scomoda e pericolosa sulla punta dell’albero maestro, facendo di sicuro preoccupare i marinai e il quartiermastro, mentre il capitano Martin si faceva qualche grossa risata. 

Era arrivata. 

*** 

Il ramo su cui stava camminando Shay, con passi felpati e accovacciato, scricchiolò sotto i suoi piedi. Immediatamente si fermò indietreggiando, quando notò il suo bersaglio alzare di scatto la testa e guardare nella sua direzione. Non lo vide, grazie alle fronde degli alberi che lo coprivano da qualsiasi vista. L'altro si spostò comunque un po’ più avanti, lasciandosi fresche impronte dietro sulla neve, così Shay lo seguì stando attento a dove mettesse i piedi. Se si faceva beccare, sarebbero stati guai grossi. Quando sentì il ramo iniziare a cedere sotto di sé si spinse in avanti contro il tronco dell’albero successivo, afferrandolo di striscio e tirandosi sopra. Per fortuna il suo obiettivo era a qualche metro da lui, non era ancora stato visto. 

Per una manciata di minuti rimase immobile, abbarbicato tra i rami principali che si diradavano dal tronco, pensando a cosa fare. Poteva salire ancora più in alto, ma avrebbe perso tempo e l’altro se ne sarebbe andato via. Oppure poteva procedere verso l’albero successivo, ma il ramo non sembrava tanto stabile. Il bersaglio si mosse ancora di qualche passo attirato da un altro rumore della foresta, quindi si mosse d’istinto in avanti scoprendo che, sì, il ramo teneva, però dovette aggrapparsi al tronco come uno scoiattolo per il movimento altalenante del legno oppure sarebbe caduto di sotto in un cumulo di neve. L'altro non si era ancora accorto di nulla, per cui si mosse più vicino spostandosi ancora. 

L'aria era immobile. I fiocchi di neve cadevano volteggiando di fronte ai suoi occhi, impigliandosi nei suoi capelli, il vento gelato e leggero gli soffiava in faccia tingendogli sempre di più il naso di rosso, che avvertiva sempre più forte l’odore penetrante degli agi di pino e quello dolciastro della linfa degli alberi. La foresta tratteneva il respiro mentre lui puntava gli occhi sul suo bersaglio, pensando a mente lucida e fredda. Non aveva un fucile con sé, avrebbe fatto troppo rumore, attirato troppa attenzione, gli bastavano le lame celate nelle maniche e tutto sarebbe filato liscio come l’acqua sul ponte di una nave. 

Fu una questione di pochissimi secondi: nel silenzio in cui erano immersi lui e la sua preda ci fu il fruscio delle sue lame celate che si attivavano, questa si voltò di scatto verso di lui che fu l’ultima cosa che vide quando calò sul suo bersaglio. Un balzo, un gesto fulmineo del braccio e la grossa cerva adulta che stava ormai inseguendo da quasi un’ora cadde morta ai suoi piedi con spruzzi di sangue rosso accecante sulla neve fresca e immacolata. Shay aveva il fiatone per l’adrenalina che ancora gli correva per il corpo, rendendolo euforico di essere finalmente riuscito ad abbattere la sua preda. 

Aveva la cena per quella sera! 

Si era appena chinato per caricarsi l’animale in spalla, quando un tonfo e dei passi felpati traditi dallo scricchiolio della neve lo avvertirono della presenza di uno dei suoi maestri. Kesegowaase sembrava molto soddisfatto della lezione. 

«Bravo, Shay! Vedo che sei migliorato molto migliorato col passo leggero. Adesso vediamo di portare la cerva alla tenuta.». 

Poi aiutò Shay a caricare la carcassa sulle spalle, quasi facendolo stendere a terra. Sentì l’aria venirgli spremuta via a forza dai polmoni lasciandolo senza fiato per qualche infinito secondo, dove l’unica cosa che riusciva a fare era osservare la neve fredda che gli sfiorava il naso già rosso per il vento gelido. Allargò le gambe, afferrò con una presa più salda la cerva che gli gravava sulle spalle e con un unico colpo di reni si tirò su in piedi, quasi cadendo all’indietro se non ci fosse stato Kesegowaase ad afferrarlo. L'Achigo rise alla vista della goffaggine dell’allievo, che vedeva tremare per lo sforzo sotto l’animale. 

«E non ridere, voglio vedere te con questo affare sulla schiena!». 

L'altro gli rispose con una piccola palla di neve sul naso. 

«Non è un “affare”, è un animale, una creatura della natura per cui devi portare rispetto se oggi hai ancora un pasto caldo sotto il naso. Faremo a turni. Forza, inizia a camminare.». 

La tenuta distava solo venti minuti, anche se ci avevano impiegato quasi un’ora ad arrivarci fermandosi a ogni passo. Con la neve e una cerva sulle spalle, Shay aveva come l’impressione che ci avrebbe messo decisamente di più. Alzò lo sguardo verso la casa che svettava in cima alla collina. Era anche in salita, merda. Una nuvoletta di vapore gli sfuggì dalle labbra, prima di fare il primo passo con la sensazione di essere Atlante che sorregge il cielo stesso. Quando riuscì a trovare il ritmo giusto, fu colto da un’onda di entusiasmo che lo fece andare avanti senza fermarsi. 

I polmoni gli bruciavano, respiravano aria congelata e rilasciavano nuvolette di vapore di fronte a sé, mentre i suoi piedi scricchiolavano a ogni passo nella neve. Era un peccato rovinare con le sue impronte quel bianco immacolato. Alternava lo sguardo tra la foresta di fronte a sé e le sue gambe stando attento a non inciampare. Era pomeriggio, forse le 16, e la luce del sole risplendeva tra i fiocchi di neve che calavano lievi, danzando nell’aria. Piccoli sprazzi di cielo azzurro facevano capolino tra una nuvola e l’altra, forse avrebbe smesso di nevicare e sarebbe finalmente arrivato il sole primaverile che da mesi ricercavano. Non che l’inverno a Rockport non fosse magico, anzi sembrava di essere in una delle fiabe che sua zia gli raccontava da piccolo prima di andare a dormire. La primavera però aveva un sapore di diverso, di rinascita. Sapeva di novità. 

Arrivarono alla tenuta prima del previsto, Shay e Kesegowaase si erano fatti scambio a metà strada. La schiena del ragazzo newyorkese aveva schioccato dal sollievo di essersi tolta quel peso morto. Aveva continuato a camminare nella neve con passo ritmico senza mai fermarsi finché con le gambe tremanti e infreddolite non era arrivato di fronte alla facciata rossa della tenuta del suo Mentore. A differenza di quando era partito per la battuta di caccia con Kesegowaase, c’era molta agitazione in giro. Di solito, Rockport era un posto tranquillo, immerso nelle foreste innevate del Massachussetts, a poche miglia da Boston, quindi di solito vigeva la calma e la tranquillità in quel luogo bagnato dal freddo Oceano Atlantico. 

«È successo qualcosa?» chiese Shay quando vide primo che gli passò di fronte con una cassa all’apparenza molto pesante in mano. Il poveretto cercò di guardarlo in faccia, ma tra la neve scivolosa per tutti i passi affrettati che vi erano passati sopra e il baule, quasi cadde a terra. Shay fu pronto ad afferrarlo per un braccio e stabilizzarlo sui suoi piedi, poi lo incalzò a rispondere. 

«È arrivata una nave.». 

«Una nave? È già arrivato Adéwalé?». 

«No, Adéwalé dovrebbe arrivare tra qualche giorno. Ouch! Senti, Shay perché non chiedi a Liam? Non ci sto capendo nulla, Achille continua a litigare con Chevalier per questa stramaledettissima nave!». 

Detto ciò, girò i tacchi scivolando e si diresse verso il magazzino con passo incerto. Shay corrugò le sopracciglia e lanciò uno sguardo a Kesegowaase che, stoico, era stato ad ascoltare la conversazione senza battere ciglio, la schiena perfettamente dritta nonostante la cerva che sorreggeva. Il nativo d’America sembrava accigliato e molto confuso, tanto quanto Shay che ricercava nel suo sguardo una qualche risposta. 

«Oltre alla Experto Crede, non stavamo aspettando altre navi, ragazzo. Non ho idea di chi sia, magari è successo qualcosa in Europa o dalle altre Confraternite.». 

«E perché mai Chevalier e Achille dovrebbero litigare al riguardo?». 

Kesegowaase per quanto incredibilmente possibile alzò le spalle, facendo sobbalzare in modo inquietante la cerva che li stava fissando con occhio spento e macabro. Osservando la povera bestia, non aveva un granché voglia di cenare quella sera, forse giusto un brodino caldo per non congelarsi anche l’anima. Reprimendo un verso di disgusto, riprese a parlare. 

«Allora, io direi che tu sistemi questa... creatura, io vado a vedere cosa succede! Ci vediamo a cena, Kesegowaase.». 

Finì la frase che stava ancora correndo all’indietro, mentre l’altro contrariato cercava di raggiungerlo invano. L'Achigo poteva pure essere una vera e propria forza della natura, ma contro un cervo morto sulle spalle e il ghiaccio ai piedi neanche lui poteva molto, quindi si arrese e si diresse verso le cucine. Shay ridacchiò per averla scampata un’altra volta e si mise a correre verso il porto, d’altra parte della tenuta. Appena superata la casa coloniale il mare gli si aprì davanti ruggendogli tra i capelli. Finalmente aveva anche smesso di nevicare, quindi il sole splendeva in tutta la sua gloria riflettendosi sulla neve appena scesa. Attraccate al porto c’erano quattro navi, la sua Morrigan, L’Aquila del suo Mentore, la Gerfault, il vascello di Chevalier, e un brigantino belga su cui svettava la scritta Reine du soleil. C'era un via vai continuo tra la banchina e la casa, tutti erano indaffarati a portare casse contenenti chissà cosa. Su una vide che c’era scritto “Vin et liqueurs”. La lingua dell’alcool era universale, quindi persino un ignorante come lui capì che si trattava di qualcosa di molto gradito dai suoi fratelli Assassini. Ciò che però non capiva era perché Achille non ci stesse mettendo il suo stesso entusiasmo nel ricevere tutto quel ben di Dio e che anzi stesse litigando con Chevalier, in mezzo Hope e Liam che li guardavano sconvolti. 

Chevalier era normale che litigasse con chiunque, persino con gli alberi a momenti. Con Shay volavano più insulti che saluti la mattina presto. Le uniche persone in tutta la Confraternita coloniale che sembravano non essere oggetti della sua ira, erano Achille e Hope, il primo perché letteralmente il suo capo e la seconda non si sapeva di preciso. L'Assassina incuteva un po’ a tutti un certo timore reverenziale, persino all’orso brontolone canadese. 

Da quella distanza non riusciva a comprendere una sola parola, sentiva solo le urla tuonanti di Achille, arrabbiato come non lo aveva mai visto, e le risposte piccate e scocciate di Chevalier, che, mentre il Mentore si sbracciava come un naufrago e camminava in tondo, se ne stava impalato nella neve inamovibile e con le braccia incrociate sul petto. Poco dietro di lui una figura incappucciata cercava di intervenire, ma Chevalier la zittiva repentinamente, ma senza cattiveria nella voce. 

Che spettacolino! Sarebbe un peccato perderselo. 

Come una vecchia pettegola, Shay si diresse a grandi passi presso il gruppetto, raggiungendo Liam e Hope da dietro, muti spettatori del siparietto tra Achille e Chevalier. Ebbe anche modo di poter finalmente vedere la figura alle spalle dell’esploratore che si torceva le mani in preda all’ansia e muoveva i piedi per riscaldarsi. Quelle scarpe non erano affatto adatte alla neve, infatti l’estraneo continuava a spostare il peso da una gamba all’altra con l’eleganza di una funambola che cammina su un filo sottile. Si fermò alla destra di Liam, che con le braccia incrociate spostava gli occhi da una parte all’altra in silenzio, mentre Hope alla sinistra di Shay cercava di inserirsi nel discorso per calmare gli animi, ma le risposte dei due erano così fulminee e avvelenate da non poter intervenire, lasciandosi sfuggire commentini a mezza voce su quanto fossero primedonne gli uomini. 

«Dovevi avvisarmi! Joseph, riconosco che stai facendo un grande servizio alla Confraternita, ma questo non ti da il diritto di fare ciò che ti pare!». 

«Achille! Andiamo, non fare storie! Non ho fatto nulla di male, abbiamo una recluta in più.». 

«Non è quello il punto! Non devi fare le cose alle mie spalle! Che figura ci faccio con gli altri Mentori al di là dell’Oceano? Di uno che non sa tenere a bada i suoi Assassini!». 

«Tu non devi tenere a bada nessuno, tantomeno me! E poi, Mireille è mia cugina e le ho detto che eri d’accordo, quindi non ci hai fatto una brutta figura, ami». 

Tutti trattennero il fiato, perché quando Chevalier iniziava a usare diminutivi allora bisognava scappare se si voleva sfuggire alla tempesta di insulti in arrivo. Achille però era una montagna inamovibile e caricò la dose. 

«Ah! Hai addirittura mentito! A un membro del Consiglio francese per giunta! A MIREILLE, che, ti devo ricordare, ha mandato lei stessa John qui a fondare la nuova Confraternita! Ma io dico, ti si è gettato in mare il cervello? Hai mentito al capo di una delle nostre più importanti Confraternite! E per giunta, le hai tolto anche un membro con l’inganno!». 

«Con l’inganno! Ma ti senti quando parli? Ma quale inganno, tu stesso hai detto che volevi più reclute ed eccotene una! Non abbiamo nemmeno bisogno di addestrarla, è da ben sei anni un’Assassina a tutti gli effetti e anche più competente di tutti gli idioti che abbiamo ora. Ti ho fatto un favore, Mentor! E poi non ho mentito a mia cugina, d’altronde tu sei d’accordo nell’accoglierla, no? Ho solo velocizzato i tempi. Su, Achille, ami, non farne un dramma!». 

L'attenzione di tutti ricadde sulla figura incappucciata che scattò sull’attenti quando venne interpellata. Si trattava di una ragazza, guardando i lunghi capelli caramellati che uscivano dal cappuccio. Fece un passo avanti, leggera come i fiocchi di neve che prima volteggiavano sul naso di Shay, poi si abbassò il berretto che le copriva il volto. Sul volto pallido della ragazza vi si leggeva un grande disagio e imbarazzo, nonostante gli occhi brillassero di calda determinazione. Aveva le labbra di un rosso intenso preoccupante, quasi tenente al viola, e il naso e le guance bordeaux per il freddo. Tremava, i vestiti inadatti a quelle basse temperature, ma restò ferma dov’era, sicura di sé e delle sue parole, velate da un accento francese. 

«Monsieur Davenport, mi spiace crearvi un tale disturbo. Se lo ritenete necessario, ritornerò in Francia senza fare storie.». 

Chevalier stava per rispondere, ma fu zittito da un’occhiataccia che non ammetteva repliche dalla ragazza, sorprendendo tutti persino Achille che non rispose subito, quasi si fosse dimenticato la presenza della nuova arrivata. Hope colse l’occasione per intromettersi. 

«La nostra ospite sta congelando, che ne dite di parlare di fronte al camino invece che qui fuori?». 

Tutti annuirono silenziosamente. Achille fu il primo a dirigersi a grandi passi verso la sua tenuta, forse per grattarsi il cervello per trovare una soluzione a tutto quel pasticcio. Fu seguito a ruota da Hope, Liam e Shay, lasciando da soli Chevalier e la nuova ragazza, che parlottavano tra loro in francese. L'Assassina sembrava piuttosto seccata mentre sommergeva di parole l’altro, senza dargli tempo di rispondere, lasciandolo interdetto e facendogli abbassare la testa. 

Già mi piace questa. Deve avere un bel caratterino per poter mettere in riga quel musone di Chevalier. 

«Non ci pensare nemmeno.». 

La voce di Liam sembrò provvidenziale in quel momento. Si voltò verso il suo più vecchio amico con un sorrisetto sulle labbra. 

«Pensare a cosa?». 

«Non fare il finto tonto con me, Shay. Non è il caso, anche perché se ne andrà presto.». 

«E come fai a saperlo, Principe Reggente degli Assassini?» lo canzonò divertito, rischiando di finire con la faccia nella neve quando Liam tentò di acciuffarlo. Finì per sbattere contro Hope che lo rispinse indietro infastidita. 

«A volte sei proprio un bambino, Shay! E Liam, non fare previsioni affrettate. Chevalier aveva ragione, Achille stava cercando altre reclute e lei è già addestrata e con un’esperienza alle spalle. Ci risparmierebbe risorse e fatica.». 

Per il resto del tragitto restarono in silenzio, gli unici rumori erano il fruscio del mare e la neve che scricchiolava ai loro piedi. Una volta raggiunta la tenuta si diressero tutti nel salotto, dove svettava il camino. Achille era già lì davanti ad attizzare le fiamme per riscaldare l’ambiente, lo sguardo cupo e concentrato sul fuoco, pensieroso. 

«Perché siamo qui? Non dovrebbe essere una conversazione tra Chevalier, Achille e la francesina?». 

Si beccò un’occhiataccia da Liam che sollevò un sopracciglio con aria di sufficienza mentre si posizionava di fianco al camino. 

«Ma stai zitto, che sei un pettegolo. Sei peggio delle vecchiette che si mettono di fronte alla Chiesa dopo il sermone del pastore. Ti manca solo lo scialle sulla testa e sei una perfetta nonna di New York.». 

Shay ridacchiò in risposta, spalmandosi su una poltroncina. Sentiva i muscoli rilassarsi uno dopo l’altro e le ossa sgranchirsi dopo ore passate in mezzo alla neve a congelare. La voce gracchiante di Chevalier però quel giorno non voleva dargli pace. 

«Shay! Ma dove sono finite le tue maniere, razza di animale! Lascia il posto alla signorina Dubois.». 

Shay non si voltò nemmeno, indicando l’altra poltrona proprio vicino alla sua. 

«Ma se ci sono due poltrone!». 

«E io dove mi siedo? Per aria? Sugli scaffali?». 

Non aveva voglia di rogne in quel momento, già più tardi avrebbe dovuto affrontare un imbronciato Kesegowaase, non poteva inimicarsi tutti gli Assassini in un giorno solo! Quindi balzò in piedi con le sue rotule che protestavano, voltandosi verso la ragazza invitandola con un gesto esageratamente elegante a sedersi sulla poltrona. Lei lo guardò per la prima volta in faccia, con un paio di gentili occhi castano chiaro coperti dai capelli biondi. Con un cenno del capo e un “merci” sussurrato dalle labbra fredde si sedette al suo posto, stringendosi nei suoi vestiti. Osservandola più da vicino era la più minuta di tutti quanti, persino di Hope, ma riconosceva il passo leggero e sicuro di un Assassino con grande esperienza e le mani che teneva intrecciate di fronte a sé erano segnate da molte cicatrici sbiadite, soprattutto sui palmi. Si muoveva con una grazia fuori dal comune, come se fosse una ballerina sempre in scena. 

Achille per la prima volta si rivolse alla ragazza. 

«Ho chiesto di preparare del tè, signorina. Dovrebbe arrivare tra poco.». 

L'altra annuì senza fiatare, allungando le mani verso il fuoco per riscaldarsi. Anche le nocche e le punta delle dita erano arrossate, però non tremavano nonostante il freddo, segno di una mano ferma e precisa. Dopo qualche secondo di silenzio, prese parola. Rovistando nelle tasche, tirò fuori una lettera con un sigillo. 

«Monsieur Davenport, questa lettera è da parte della mia Mentor. Ha detto di leggerla prima ancora di parlare con me. Non ho idea di cosa le passasse per la testa.» disse scuotendo la testa sconsolata. Achille prese la lettera e rimase in silenzio giusto il tempo di leggerla, poi sospirò. Si rivolse alla nuova arrivata e fece una domanda. 

«Come vi chiamate?». 

«Claudette Dubois.». 

«Da quanto tempo siete nella Confraternita?». 

«Da quando ho 17 anni, monsieur. Sono sei anni che seguo il Credo.». 

Shay fece un piccolo calcolo e gli si accese una candela in testa quando si accorse di una cosa. 

È più grande di me! Ha 23 anni questa? No dai, non ci credo, ne avrà sedici su! 

Si tenne per sé le sue osservazioni, anche perché Liam gli aveva lanciato una delle sue occhiatacce da “Stai zitto o ti zittisco io”. Achille invece si passò distrattamente una mano sugli occhi, stanco di tutte quelle urla. Quando Chevalier aprì bocca, il Mentore alzò di scatto la mano per ammutolirlo. 

«Sto parlando con Claudette, non con te, Joseph. Quante missioni vi hanno affidato e avete portato a termine?». 

Claudette fece un’espressione confusa, le sottili sopracciglia si incresparono leggermente e arricciò il naso come un riccio infastidito. 

«Non vi fidate della mia Mentor? La stessa che ha mandato John de la Tour a fondare questa Confraternita? Perché mi state facendo questo interrogatorio? Sarò diretta, monsieur, comprendo che vi siate infastidito all’iniziativa di Chevalier, ma mettere in dubbio le parole della mia Mentor non mi sembra un comportamento adeguato. Invece di stare a fare domande inutili, mettetemi alla prova, vedete con i suoi occhi se sono capace di rientrare tra le sue fila.». 

La stanza calò nel silenzio, con solo il suono dei tizzoni scoppiettanti in sottofondo. La voce di Claudette non aveva tremato, a testa alta aveva guardato Achille negli occhi con autorevolezza. Sebbene fosse la più bassa tra tutti, all’improvviso sembrava un gigante. Shay spezzò la tensione con una risata e si avvicinò alla ragazza per piantarle una manata sulle spalle. Non si mosse neanche di un centimetro. 

«Hai le palle! Andiamo, Achille, è qui da qualche ora e già ti ha zittito. Mettiamola alla prova, vediamo come se la cava qui in mezzo alla neve. Forza, dalle la possibilità di dimostrarci di cosa è capace.». 

Claudette sollevò lo sguardo su di lui. Quel ragazzo era decisamente strano, dalla punta della scarpa sporca di terra e neve al suo ridicolo pizzetto ghiacciato. Sentiva un fuoco di fastidio crescere in lei a quella confidenza non richiesta e dovette sforzarsi di non schiaffeggiargli la mano per rimetterlo a al suo posto. Ci pensò Chevalier a intervenire. 

«Lei non ha bisogno di dimostrare un bel niente! Garantisco io che è una delle più capaci Assassine di Europa e di certo è molto più capace di te, Shay! E metti giù quelle mani, disgraziato, prima che ti rompa una per una quelle dita sudicie!». 

Shay sollevò subito le mani in segno di scusa, lanciando un sorrisetto divertito a Claudette. Aspetta un attimo, era un occhiolino quello? Prima che la ragazza avesse il tempo per indignarsi, Achille riportò la calma. 

«D’accordo, ho capito! Claudette, non oserei mai dire nulla in contrario su Mireille, era una carissima amica di John e ne ha sempre parlato molto bene, quindi mi fido della sua parola. Voglio comunque vedere con i miei occhi di cosa siete capace. Per cui, vi do ufficialmente il benvenuto alla Confraternita delle Colonie Britanniche in Nord America, Claudette.». 

Gli occhi della ragazza brillarono alla luce del fuoco di felicità alle parole del Mentore. Sembravano risplendere di una luce tutta loro, mentre con parole emozionate rispose. 

«Oui, monsieur Davenport! Anche io sono molto felice di essere arrivata qui.». 

Achille sorrise, poi lanciò un’occhiata gelida a Chevalier che già si stava alzando in cerca di una bottiglia di vino sta stappare per l’occasione. 

«Che sia però l’ultima volta di una sbandata tua, Joseph. La prossima volta voglio che ti consulti con me PRIMA di mandare la lettera a chissà quale altro tuo parente.». 

Chevalier agitò la mano per nulla a disagio a quella elegante minaccia, trovando finalmente la bottiglia e stappandola, versando il vino nei bicchieri. 

«Oui, oui, non brontolare adesso, Achille! Alla fine ti ho solo fatto un favore!». 

Achille alzò gli occhi al cielo mentre Chevalier gli ficcava in mano a forza un bicchiere. Quando tutti ebbero la loro porzione, sollevarono i calici per brindare. Shay era particolarmente allegro, quindi si sporse verso Claudette mentre questa si portava il bicchiere alle labbra. Le sussurrò all’orecchio freddo con il fiato caldo, alleggerito da un lontano e piacevole sentore di alcool. 

«Benvenuta a bordo, Claudette.». 

 

*questa è una citazione al libro “Novecento” di Baricco. Non potevo non inserire questo pezzo! 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 - Off to sea once more ***


Marzo 1752, Rockport 

Mireille, 

Sono arrivata da qualche giorno a Rockport alla Confraternita coloniale e posso dire che abbiamo iniziato col botto! La litigata tra Achille Davenport e suo cugino mi ha fatto sudare freddo per tutto il tempo, anche letteralmente! A Parigi si ghiaccia d’inverno, ma niente è comparabile al gelo che ho sperimentato qui. A cena mi facevano male i muscoli per quanto avessi tremato! 

Sta arrivando la primavera, però, e la neve si sta pian piano sciogliendo, per fortuna sono arrivata giusto in tempo per godermi questi paesaggi meravigliosi! Non riesco a riportare su carta in maniera fedele la bellezza di questo posto e del viaggio che ho affrontato, mi spiace dovrete rivangare nella vostra memoria queste sensazioni. 

La vita qui è molto più tranquilla che a Parigi, ma c’è sempre qualcosa da fare! Che sia il camino da pulire, sistemare la banchina delle navi, rispondere a qualche intermittenza, tenere a bada qualche ragazzino dalle mani lunghe. Tutto sommato, però, non mi posso lamentare: Achille e Hope si sono rivelati una piacevole compagnia, vostro cugino Joseph è sempre imbronciato, ma vederlo battibeccare con quel cascamorto di Shay è sempre molto divertente, poi ci sono Liam e Kesegowaase, i più tranquilli di tutti. 

Non vi tedio ancora a lungo, Mentor, so che sarete piena di lavoro da svolgere, ma ricordatevi ogni tanto di questa vostra allieva lontana! 

Un abbraccio a tutti, 

Claudette Dubois. 

*** 

L'impronta della cinquina che gli aveva tirato Claudette in faccia gli rimase stampata sulla guancia come un monito a tutti per due giorni. Non aveva per niente visto arrivare quello schiaffo fulmineo e preciso, che lo aveva colpito senza che lui avesse la possibilità di spostarsi in tempo, era stato come essere colpiti da una frusta. In realtà non gli aveva fatto tanto male, ma il suo orgoglio ne era decisamente tornato indietro ferito. L’unico che sembrava essersi accorto dell’accaduto era Liam che quasi si era strozzato con il vino alla scena e che, appena usciti dal salotto, aveva commentato con un “Te lo sei meritato”. Shay dovette resistere dal tirargli un pugno nello stomaco solo perché c’era Kesegowaase alla porta, braccia incrociate e gambe divaricate, che lo stava guardando furioso. Il quarto d’ora successivo era nella lista dei momenti più terrificanti della sua vita. 

Nelle due settimane successive non aveva nevicato, al massimo era passata qualche nuvola gonfia d’acqua che aveva fatto piovere e poi se n’era andata, sciogliendo definitivamente la neve. A Shay un po’ dispiaceva, tutto quel candido bianco a perdita d’occhio interrotto solo dall’azzurro del cielo e del mare, per molti era uno spettacolo monotono, noioso, ma lui abituato al caos di New York e ai suoi mille suoni e rumori, quei paesaggi gli rinfrescavano l’anima. La neve aveva lasciato posto alla terra brulla, ancora un po’ umida e rasa, ma pian piano anche l’erba stava ricrescendo. Gli alberi sembravano stiracchiarsi per bene alla luce del sole di primavera, con piccolissimi boccioli verdi. Gli animali erano più attivi, alcuni avevano visto un orso aggirarsi nei pressi di una grotta, dove probabilmente vi aveva passato l’inverno. Finalmente, qualche timido scoiattolo aveva ripreso a correre lungo i tronchi e i rami degli alberi ancora spogli. 

Anche la tenuta sembrava risvegliarsi, sempre più persone passavano il tempo fuori all’aria fresca e frizzantina di marzo. Fuori dalla casa c’era un pigro via vai di persone, tra chi usciva a raccogliere la legna o a tagliarla, chi andava a caccia, chi ad addestrarsi, chi semplicemente al porto a godersi l’aria salmastra del mare o chi si faceva una passeggiata nei boschi. Ed era quello che Shay stava facendo, o meglio avrebbe voluto fare se non fosse stato ancora alle prese con l’ennesimo allenamento. Abbarbicato come un gufo sul trespolo di una montagna, guardava sotto di sé annoiato i due che doveva “uccidere” senza farsi accorgere. Perché Hope continuava ad insistere su quelle lezioni? Va bene, aveva la grazia di un vascello spagnolo in un fiume, ma, accidenti, era anni che svolgeva quel lavoro, non aveva bisogno di ripetizioni! 

“Shay, non si finisce mai l’addestramento, si può sempre imparare qualcosa.” 

La vocina fastidiosa della donna gli sibilò nella testa fastidiosamente, facendogli strofinare l’orecchio sulla spalla. Da quella posizione non riusciva a vedere il mare, la vista bloccata dall’imponente casa di Achille, ma poteva sentire il vento leggero che gli si infilava nel cappuccio della divisa e nei vestiti scuotendolo piacevolmente. Gli piaceva il freddo, lo svegliava, lo rendeva lucido e concentrato su quello che doveva fare, quindi rizzò la testa e si alitò sui guanti strofinando le mani. Prima finiva quell’esercizio banale, prima sarebbe potuto scappare via a combinare qualche altro danno. Si scrocchiò le dita, il rumore era simile a dei legnetti che venivano spezzati, per cui l’uomo che aveva sotto di sé si fermò e si girò nella sua direzione. Shay fu veloce a balzare su un altro albero, più frondoso di quello su cui si trovava, riempiendosi di aghi di pino. Gli finì uno in bocca e lo sputacchiò fuori infastidito, in equilibrio precario, incastrato tra il tronco e il ramo. Sentiva anche la consistenza appiccicosa e maleodorante della linfa sul braccio. Bene, non se ne sarebbe mai andata via dal cappotto! 

Mi sono stufato! 

Decise di accelerare finalmente i tempi e concludere quell’esercizio fastidioso. Aspettò giusto il tempo per l’uomo di girarsi dall’altra parte e calò dall’albero, nascondendosi tra i cespugli. L'altro continuò il suo giro e Shay lo seguì di soppiatto chinato per non farsi vedere. All'ultimo però cambiò idea: aveva passato mezz’ora appollaiato sugli alberi a spaccarsi la schiena, quindi già conosceva il percorso, che avrebbe portato il suo bersaglio a passare vicino al mucchio di foglie poco più avanti. Con passi leggeri e veloci, si affrettò a sorpassarlo uscendo anche fuori dai cespugli col rischio di essere beccato e di dover far rincominciare da capo tutto quanto. Disperato, una volta vicino al mucchio, ci si lanciò dentro riempiendosi di foglie, alcune gli erano finite negli stivali pizzicandogli i piedi. Prese un grosso respiro per evitare di grattarsi come un cane con le pulci e attese, le orecchie rizzate a captare qualsiasi movimento esterno. Sentiva il fruscio degli alberi, l’aria che passava tra gli aghi di pino, gli scoiattoli nelle loro tane che pian piano si svegliavano oppure delle lepri che saltavano, ma i più importanti di tutti erano i passi, quasi infastiditi, del suo bersaglio. Anche se al buio, quasi riusciva a vedere tutto questo, come una specie di sesto senso. 

I passi si fecero più forti, trattenne il fiato inconsciamente attendendo che si avvicinasse abbastanza per poterlo afferrare. Quasi riusciva a vedere l’uomo camminare distrattamente, guardandosi in giro per cercare di vederlo annoiato, desiderando fare altro, ma invece era bloccato lì per l’ennesimo capriccio di Hope. Sembrava completamente ignaro della situazione, il naso ancora alzato verso l’alto, convinto che Shay fosse ancora abbarbicato tra gli alberi. Era ancora a un paio di metri, bastavano pochissimi passi perché Shay potesse acciuffarlo e mettere fine alle sofferenze di entrambi. 

Un passo. 

Due. 

Tre. 

Quattro. 

Cinque. 

Shay si sporse in avanti, le mani leggermente protese per prendere l’uomo e trascinarlo con sé nel fogliame, ma tutto a un tratto sentì qualcuno acciuffarlo per il cappuccio e strattonarlo all’indietro facendolo ruzzolare fuori dal suo nascondiglio. Fu accecato dalla luce improvvisa, come un ago che gli veniva infilzato in un occhio, e si portò le mani al volto per proteggersi. L'unica cosa che riusciva a vedere erano le fronde degli alberi che si agitavano pigramente mosse dal vento e un’ombra di qualcuno che si stava sporgendo verso di lui. 

«Bonne journée, Shay! Vi ho trovato.». 

Solo a una persona poteva appartenere quel fastidioso accento francese che faceva sembrare ogni parola una scatarrata di un marinaio col raffreddore. Aprì gli occhi e distese le braccia, sdraiato per terra come una stella marina, la parte inferiore del corpo ancora nascosta dalle foglie, che nella foga di quel gesto erano state sparse in giro. Ecco, non era stato risparmiato neanche il suo nascondiglio. Guardava rassegnato la ragazza che lo osservava di rimando dall’alto con la testa leggermente inclinata e le mani dietro alla schiena, il sorriso stampato sul volto era quasi fastidioso, ma gli occhi castani, così limpidi e splendenti, non riuscivano a farlo arrabbiare sul serio. Quello che invece lo faceva arrabbiare sul serio era la risata di Liam pochi metri da loro, anche lui arrampicato su un albero ad osservare la scena, quasi cadendo per le scossa delle risa. Insieme a lui si erano uniti anche gli altri due che dovevano supervisionarlo. Decise di ignorarli il tempo necessario per la ragazza di andarsene, poi li avrebbe fatti pagare. 

«Howya, Claudette?» gli sfuggì con un sospiro. 

La ragazza rise, ma Shay non vi diede per nulla peso, perché gli aveva sporto una mano per aiutarlo ad alzarsi. Lui, senza neanche pensarci, la afferrò subito lasciandosi tirare in piedi anche se l’altra era quasi la metà di lui. Forse era un’esagerazione, Claudette era quasi alta quanto lui, mancavano pochissimi centimetri, ma quanto a stazza... be’, Shay con i suoi anni in mare si era irrobustito molto, aveva le spalle larghe e poteva ammettere di essere ben piazzato. Claudette invece aveva le spalle piccole, la vita stretta e le gambe sottili da ballerina, ma di certo un po’ di forza l’aveva nelle braccia, visto la spinta con cui lo aveva fatto alzare. Nel mentre anche Liam si era deciso a scendere tra una risata e l’altra, atterrando con la grazia di un vaso che si schianta per terra, beccandosi un’occhiataccia da Claudette. 

«Liam, sembravate un elefante che scende da un albero! La prossima volta concentriamoci sui nostri errori e non su quelli degli altri, che ne dite?». 

Il ragazzo, un metro e novanta per un metro e mezzo, arrossì di fronte alla frase piccata della ragazza, che gli sfiorava appena il naso. Dopo aver ripreso Liam, si rivolse anche a Shay, cogliendolo in fragrante mentre faceva una pernacchia molto matura all’altro ragazzo. 

«Anche voi avete la vostra dose di errori, monsieur Cormàc.». 

Negli ultimi giorni Shay si era reso conto che Claudette storpiava alcuni nomi, tra cui il suo allungando la vocale finale come se fosse accentata. Achille era diventato Achillas, poi aspirava troppo l’acca del nome di Hope, alitando in giro, infine ci aveva impiegato diversi giorni anche solo a capire quale fosse il nome di Kesegowaase. Si era dovuto trattenere dal dirle che c’erano nomi dei nativi americani ben peggiori di quello del loro Assassino, come Ratonhnhaké:ton o Takanhaké:ton, per non far saltare le ruote del suo cervellino. A parte quello, però, aveva notato che si stava impegnando a migliorare l’accento e la pronuncia dei loro nomi, tranne il suo. Lui era e sarebbe sempre stato monsieur Cormàc e sinceramente? Non se ne lamentava, così aveva sempre un buon motivo per stuzzicarla. Vedere come reagiva era sempre la parte più divertente della giornata! 

«Cormac, Claudette! COR- MAC, senza accenti francesi strani dei vostri.». 

La ragazza gonfiò le guance indispettita e si appoggiò si pugni sui fianchi, cercando di incutere timore, ma con l’espressione che Shay trovava adorabile non riusciva a prenderla sul serio. Claudette lasciò cadere la questione, rassegnata al fatto che Shay avrebbe sempre trovato qualcosa con cui punzecchiarla per attirare la sua attenzione. Ma non glielo avrebbe concesso! 

«Comunque, monsieur COR-MAC, - imitò il modo esasperato con cui Shay poco prima l’aveva presa in giro – siete stato piuttosto bravo finché non avete perso la pazienza. Un occhio più attento di quello di Travis e Frank vi avrebbe notato appena sceso dall’albero. E anche un orecchio più esperto avrebbe sentito il casino che avete fatto spostandovi tra i cespugli. Per non parlare della grazia da alce che avete impiegato per infilarvi nel mucchio di foglie. Bella strategia, ma voi peccate di tecnica.». 

A fine discorso, dopo aver lanciato un’occhiataccia agli altri due uomini che avevano svolto distrattamente il loro lavoro, incrociò le braccia al petto, guardandolo come fa una maestra con l’alunno cattivo. Shay non si fece intimorire dal suo sopracciglio alzato e la scimmiottò incrociando anche lui le braccia, con fare di sfida. Gli occhi di Claudette si assottigliarono ancora di più, tant’è che Liam si allontanò di qualche passo. 

«Ah, sì? E “l’occhio attento e l’orecchio esperto” sarebbero i vostri?». 

«Di certo, monsieur Cormàc, non appartengono a voi». 

 Shay scoppiò a ridere e si abbassò quel poco per avere gli occhi alla stessa altezza della donna. Lei assottigliò ancora di più gli occhi, imbufalita. 

«Facciamo una cosa, invertiamo i ruoli: voi vi nascondete e devete tentare di prendermi, mentre io vi devo cercare.». 

«Mi state proponendo di giocare a nascondino, monsieur?». 

Claudette inclinò la testa e batté le ciglia fingendosi innocente. La ragazza non aveva capito che più lei gli dava corda, più lui avrebbe tirato. 

«Avete paura di perdere in un gioco per bambini, mademoiselle?». 

Claudette sentì un fuoco di rabbia accendersi nel suo petto e riempirle la testa di fumo, perché si ritrovò a rispondere senza realmente pensare, sibilando tra i denti qualche parola in francese. 

«On verra, bouffon.». 

Poi si voltò per dirigersi verso un albero. Shay volendo rigirare per bene il coltello nella piaga, o spada a questo punto, le urlò dietro: «Allora io mi giro e inizio a contare! Va bene fino a 10?». Sorrise soddisfatto quando ricevette un “Va te faire foutre!” come risposta, poi chiuse gli occhi e contò. Una volta aperti sembrava che Claudette non fosse mai stata lì, mentre Frank e Travis si erano volatilizzati, lasciando solo Liam che lo guardava scuotendo la testa. 

«Cosa?» chiese allargando le braccia. Liam sospirò prima di camminare per uscire dall’area di addestramento. 

«Sei un idiota, Shay.». 

«Oh, andiamo, sto solo giocando con la francesina!». 

L’amico gli lanciò un’occhiata di disapprovazione. 

«E allora dovresti pensare quando vuoi fare questi giochetti. Non ti auguro nemmeno buona fortuna, non te la meriti.». 

«Io non ho bisogno che me la auguri, Liam! La fortuna me la creo!». 

Liam non commentò scuotendo la testa, mentre se ne andava a passo lento e svogliato. 

«Ricordati solo che dopo essere stato fatto a fette da Claudette, devi ricomporti per la lezione al poligono!». 

Shay portò indietro la testa frustrato. Perché lo trattavano ancora come un bambino? 

«Ma se sono più bravi di te, tra un po’!». 

«Appunto, “tra un po’”, mica lo sei per davvero!». 

Con questo il suo migliore amico sparì dalla sua visuale, lasciandolo solo in mezzo alla radura. Il sole splendeva sopra gli alberi, che lasciavano passare pochi fasci di luce luminosa, sebbene facesse ancora un po’ freddo. Regnava il silenzio, gli unici rumori erano i rami che venivano spostati con pigrizia da una parte a all’altra e le zampette delle lepri che correvano in giro, insieme agli scoiattoli appena svegli. 

Sebbene adorasse quei boschi, a volte trovava inquietante quel perenne silenzio che li avvolgeva, come una nebbia. Per lui l’ideale era il mare con i canti sguaiati dei marinai, gli ordini del capitano, il fruscio delle onde sullo scafo della nave, i gabbiani che stridono: una sinfonia di suoni e rumori totalmente diversi che si amalgamano alla perfezione tra loro. Di notte poi, il mare dava il meglio di sé con una distesa infinita di stelle da guidarti lungo la rotta, a indicarti la via. 

Si scosse quando sentì un tonfo vicino a lui: era solo una lepre che aveva fatto un balzo, spaventata dalla sua presenza. Decise che aveva dato fin troppo tempo alla ragazza, quindi si infilò le mani in tasca e iniziò a camminare in giro col naso puntato in alto cercando di captare qualche movimento tra i rami, ma non notò nulla degno di nota, quindi tirò dritto incurante. Se la stava prendendo con molta calma, fermandosi di tanto in tanto per guardarsi attorno o per anche solo per far scricchiolare qualche osso, era pur sempre stato appeso a un albero per mezz’ora. 

Fece un giro della piccola radura. 

Poi due. 

Poi tre. 

Passarono 10 minuti. 

20 minuti. 

30 minuti. 

Al quarantesimo minuto e a metà del quarto girò già era stufo. Sentiva le gambe così deboli che tremavano e le braccia di piombo, sempre più a peso morto sulle sue spalle. La schiena gli stava facendo vedere le stelle anche di giorno, quindi non era una buona cosa. Esasperato parlò a voce alta rivolgendosi agli alberi. Si sentiva un pazzo. 

«Andiamo, Claudette, avete vinto! D'accordo sono una frana!». 

Al posto della ragazza, fu un picchio a rispondergli battendo il becco appuntito contro il tronco di un albero. Fece un verso esasperato e continuò la litania, come un bambino lamentoso. 

«Forza, dai! È da tre quarti d’ora che siamo qui.». 

Spuntò una lepre da un cespuglio di fronte a lui, si passò le zampette sul muso che alzò nella sua direzione, come a volerlo canzonare, poi corse via. Shay abbassò la testa abbattuto. Non ce la faceva più! 

«Dai, Claudette! Basta con questi giochetti!». 

Gli rispose ancora il silenzio tombale che invadeva quella parte di bosco. Sembrava che anche gli alberi ridessero alle sue spalle! Spazientito, si diresse a grandi passi verso un tronco pronto a scuoterlo pur di far finire quella pagliacciata, iniziata da lui tra l’altro. Vi ci salì sopra imprecando a denti stretti, maledicendo tutte le persone che gli capitavano a tiro. Era così preso dalle sue lamentale da non accorgersi che Claudette era a pochi metri da lui, sentì solo qualcosa piombargli addosso facendolo cadere di schiena sul terreno umidiccio e pieno di foglie. Il rumore di una lama che scattava era riconoscibile a chiunque avesse mai avuto a che fare con un Assassino e d’istinto cercò di sollevare le sue braccia, ma erano bloccate lungo i fianchi. L'unica cosa che poté fare era cercare di appiattirsi il più possibile contro il terreno e pregare che Claudette fosse abbastanza brava e magnanima da un trafiggergli la gola. 

A lui la caduta parve durare delle ore, ma per Claudette furono pochi secondi: spingendosi più forte che poté con le gambe, si era lanciata contro il ragazzo mentre questo aveva il piede sollevato per salire sull’albero afferrandolo per le spalle e facendolo sbattere per terra. Gli si era praticamente seduta sul petto mozzandogli il respiro con il suo peso e la botta alla schiena e bloccatogli le braccia, avendo il tempo necessario per estrarre la lama dalla manica per puntargliela alla gola. Shay sentiva il freddo metallo sfiorargli appena il pomo d’Adamo mentre cercava di riprendere fiato, ma gli risultava difficile visto che la ragazza non gli permetteva di espandere completamente i polmoni. Cercò di alzare le braccia in segno di resa. 

«Ok, ho capito. Siete voi quella con “l’occhio attento e l’orecchio esperto”!». 

Claudette chinò leggermente il capo in avanti, facendogli premere la lama contro la giugulare, abbastanza per spaventarlo, ma non per ferirlo.  

«E anche la pazienza necessaria, a quanto vedo.». 

Non si mosse però dalla sua posizione, facendo agitare Shay come un’anguilla. 

«Per quanto mi piaccia questa posizione, non riesco a respirare. Quindi se non vuoi essere cacciata per non aver rispettato le Leggi, ti conviene spostarti.». 

«Se non vuoi che vada a dire a Joseph di far affondare quella barchetta che vi ostini a chiamare nave, vi conviene ampliare quello che avete detto prima.». 

Glielo aveva ringhiato in faccia, con i loro nasi che appena si sfioravano. Se fosse stato un altro contesto, magari una camera da letto, ne sarebbe stato lusingato, ma la lama puntata alla gola non gli suggeriva intenti romantici. Dovette sforzarsi di non deglutire per non ferirsi. Gli occhi di Claudette erano socchiusi, lucidi e pieni di rabbia, ma poteva vedere una strana smorfia sulle sue labbra, come se si stesse contenendo. 

Stava per piangere? Era lui quello dalla parte della lama, non lei! Poi comprese. 

Ha ragione Liam, sono un idiota! 

Rilassò completamente la testa contro il terreno soffice, arrendendosi, poi si ritrovò a sussurrarle poche parole. 

«Mi dispiace.». 

Claudette sentì la rabbia nel suo petto agitarsi, spintonare per uscire, ma fu sostituita da una nube carica di tristezza. Strinse ancora di più le labbra per soffocare un singhiozzo. In quel momento non c’era Shay, con gli enormi occhi castani da cerbiatto, i corti capelli scuri e quel ridicolo pizzetto che si ostinava a tenere. Vedeva suo padre, che le aveva sempre remato contro, ricordandole quanto fosse inadeguata per quel ruolo. C'erano gli allievi che aveva cercato di addestrare, ma che si erano sempre rifiutati di ascoltarla. Vedeva tutti quelli che le avevano puntato il dito contro ridendo di lei e delle sue capacità. 

Per la prima volta in vita sua gli tremarono le mani, non capiva nemmeno se dalla rabbia o dallo sforzo di contenersi dal piangere di fronte a Shay. Sapeva che era solo un idiota, uno che cercava di attirare la sua attenzione con i dispetti, come fanno i bambini, ma per lei era l’ennesimo stronzo che metteva in dubbio le sue capacità senza neanche permetterle di dimostrargli il contrario. Era stata una bambinata quella del ragazzo, dettata dalla pigrizia e dalla noia, lo sapeva, ma era satura di quei commenti vuoti, pieni solo di pregiudizio. Sperava che l’America fosse il vento della primavera che portava solo novità e cambiamento, ma presto si era dovuta svegliare alla verità dei fatti: seppur distando miglia e miglia dalla Francia, sarebbe sempre e solo rimasta una donna che tenta di fare l’uomo. 

«Claudette...». 

La voce di Shay era un sussurro caldo contro l’aria ancora gelida che li circondava. Lo guardò negli occhi, mascherando la sua amarezza con la rabbia. 

«Mi dispiace per essere stato l’ennesimo pezzo di merda che ti ha fatto sentire inadeguata, non era mia intenzione.». 

Sentì le lacrime spingere sempre di più per uscire e un singhiozzo bloccato in gola. Allontanò di scatto la lama dalla gola di Shay, alzandosi subito in piedi per riprendersi. Diede le spalle al ragazzo abbracciandosi il busto per darsi una calmata. Prendeva respiri profondi per impedirsi di piangere di fronte a lui e controllarsi, per non essere subito etichettata come “troppo emotiva e debole”. Udì il fruscio delle foglie dietro di sé, segno che Shay si era tirato su, ora però guardava totalmente inerme le piccole spalle di Claudette tremare nel tentativo di contenersi. Doveva andarsene e lasciarla da sola? Provare ad avvicinarsi e confortarla? Non ne era per niente bravo, ma anche lui avrebbe voluto qualcuno affianco quando suo padre era morto, lasciandolo solo nella grande New York. Non avendo la minima idea di quello che stesse facendo, si avvicinò alla ragazza e le poso una mano al centro della schiena, muovendo leggermente il palmo per riscaldarla e farle sapere che lui era lì, nonostante tutti i dispetti e le incomprensioni. 

«Mi dispiace anche per tutti gli stronzi che hai dovuto sopportare nella tua vita. Prenditi il tempo che ti serve. Se hai bisogno... io... be’, fai un fischio.». 

Dopo un’ultima carezza col pollice se ne andò, dirigendosi verso il poligono di tiro e senza girarsi mai a vedere come stesse Claudette. La rispettava come donna e Assassina molto più esperta di lui, non l’avrebbe trattata come una bambina. 

Il gesto di Shay aveva sciolto definitivamente quel blocco di ghiaccio di rabbia e tristezza che tentata di spingere giù lungo la gola, facendola piangere. Non era amareggiata, era solo un piccolo sfogo, un modo per dare aria finalmente a quelle emozioni che si ostinava a far stagnare dentro di sé. Fu un pianto silenzioso, condito solo da piccoli singhiozzi. Una volta che ebbe dato aria tutto quello che sentiva dentro, si asciugò gli occhi e seguì i passi di Shay, poco più avanti a lei. Fece una corsetta per potergli picchiettare l’indice sulla spalla. L’altro sorpreso si girò verso di lei e si ritrovò con la mano tesa verso di lui. 

«Abbiamo iniziato col piede sbagliato. Voi avete giudicato male me e io ho giudicato male voi. Rincominciamo, vi va?». 

Aveva ancora gli occhi lucidi, gli zigomi e le palpebre arrossate per lo stregamento delle mani, tirava ancora su il naso a tratti. Nonostante le foglie infilate nei capelli, gli aghi di pino incastrati tra gli abiti e le macchie di resina sui pantaloni, non riusciva a non pensare a quanto fosse luminosa in quel momento. Le afferrò la mano, stringendola con forza senza aver paura di farle male. 

«Shay Patrick Cormac, Assassino della Confraternita coloniale.».  

«Claudette Dubois, Assassina della Confraternita francese.» 

La ragazza le rivolse il primo sorriso sincero da quando era arrivata, non uno di quegli sguardi infuocati e sdegnati. A lui sembrò risplendere più delle stelle di notte. 

*** 

Quando Shay e Claudette arrivarono al poligono di tiro, Liam non c’era, quindi si diressero alla tenuta, un centinaio di metri più avanti. C'era agitazione in giro, molti si affacciavano dalle mura dipinte di rosso della casa per osservare la banchina. I due si scambiarono uno sguardo confuso, decidendo di vedere cosa stesse succedendo. Era dall’arrivo di Claudette che non c’era un tale marasma in giro, anzi forse anche peggio, tutti bisbigliavano tra loro indicando una nave attraccata al piccolo porto, un brigantino francese. 

Dio, ti prego, non un’altra sbandata di Chevalier! Non potrei reggere un’altra scenata simile da Achille. 

Quando superarono la folla però si resero conto che era appena arrivato un ospite, un uomo afroamericano stava parlando con Achille. Lunghe e vecchie cicatrici gli segnavano le guance, partendo da poco sotto l’occhio fino ad arrivare a metà guancia, gli abiti erano inconfondibilmente quelli di un Assassino, guardando il cappuccio che gli pendeva dalle spalle, ma erano anche quelli di un pirata. Dalle rughe sul suo volto si poteva intuire che poteva essere più vecchio di Achille, le mani callose invece raccontavano di viaggi infiniti per i mari. 

Si diressero da Liam, vicino alla legna da tagliare, con l’accetta in mano che ascoltava distrattamente la conversazione. Claudette fu la prima a esplicitare i dubbi di entrambi. 

«Chi è l'ospite?». 

«Adéwalé, uno schiavo che ha liberato sé stesso e centinaia d’altri nelle Indie Occidentali. Lui è l’incarnazione vivente del Credo.». 

«Oh, oui, avevo già sentito parlare di lui.». 

Anche Shay si intromise nel discorso, da bravo pettegolo. 

«È successo qualcosa? Achille sembra preoccupato.». 

Liam sospirò incrociando le braccia al petto, prima di parlare. 

«A quanto pare c’è stato un maremoto ad Haiti. È normale per quella zona, ma ha spazzato via qualsiasi cosa, sono in pochi ad essere sopravvissuti.». 

Shay rabbrividì, conosceva fin troppo bene la sensazione di terrore che ti congela con la cima in mano vedendo un’onda sovrastarti talmente tanto da oscurare il cielo stesso. Anche se all’epoca aveva solo sedici anni, erano ancora marchiate nella sua memoria le immagini del mare in tempesta che gli aveva strappato il padre. Non augurava a nessuno quella fine. 

«La nave mi chiama, Achille! La gente di Haiti farà buon uso dei tuoi doni. Spero che ritroverai ciò che hai perso.» sentirono Adéwalé dire in lontananza. 

Le parole scivolarono sulla lingua di Claudette senza lei se ne rendesse conto. 

«Perso?». 

I due uomini si voltarono verso di lei, sorpresi di trovarla lì. Achille le rivolse un sorriso prima di risponderle. 

«I Templari hanno rubato due manufatti preziosi. Un manoscritto antico e la scatola che permette di capirne il senso.». 

Anche Adéwalé le rivolse la parola, con sua grande sorpresa: «Ho seguito i Templari fino a queste coste, ma d’ora in poi tocca a te, amico mio.». I due uomini si strinsero le mani, prima che il capitano raggiungesse la propria nave. 

Il cuore di Claudette iniziò a battere con forza nel suo petto, mentre un’idea prendeva forma nella sua testa. 

«ACHILLAS!». 

Il Mentore si fermò a metà strada per la casa, voltandosi verso di lei. Claudette prese un grosso respiro per mettere le parole una di fianco all’altra con un senso logico. Le tremavano le mani dall’emozione. 

«Vorrei andare io alla ricerca dei manufatti!». 

«Ne siete certa? Non è un incarico così semplice, avrei preferito farvi fare qualcos’altro di più piccolo, magari a Boston-». 

Fu interrotto da Liam, che si fece avanti affiancandosi alla ragazza, seguito anche da Shay. 

«Mentore, credo che Claudette sia più che adatta a questa missione. Sarebbe sprecata a fare commissioni a Boston.». 

Shay ci mise del suo. 

«Andiamo, Achille! Hai visto come ha fatto il culo a Kesegowaase l’altro giorno. Me le ha appena suonate di santa ragione.». 

Claudette arrossì vedendo i due uomini sostenerla così fieramente. Non le era mai capitato. 

Achille osservò i tre ragazzi, che, testardi come cervi, sembravano inamovibili. Se avesse rimandato la questione, lo avrebbero tartassato per giorni. Fece scorrere lo sguardo tra gli Assassini che aveva davanti: Liam, come sempre, era il più affabile e responsabile tra tutti, Shay prendeva tutto alla leggera con un sorriso stampato in volto, mentre Claudette lo guardava con due occhi che sembravano bruciare. Un po’ gli ricordò il sé stesso di tanti anni prima, quando era stato mandato lì da Ah Tabai, il Mentore della Confraternita caraibica. In ricordo di quel ragazzino, non poteva ignorare quella fiamma. 

«Va bene, ma a patto che vengano anche Shay e Liam. Non è un compito facile, neanche per gli Assassini più esperti come avete visto. Se persino Adéwalé si è fatto sfuggire i Templari, allora dobbiamo stare molto attenti.». 

Poi si rigirò, diretto verso la sua casa, mentre udiva dietro di sé le urla esultanti dei tre ragazzi. 

Forse, per una volta sarebbe andato tutto bene. 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 - Dangerous waters ***


Aprile 1752, Percé 

Chère Mireille, 

oggi vi scrivo da un posto insolito! È un piccolo villaggio di pescatori sperduto tra i ghiacci del Nord Atlantico. A differenza di Rockport, nelle vicinanze di Boston, qui il ghiaccio e la neve sembrano farla da padroni, neanche a primavera inoltrata sembrano voler cedere. Un vero e proprio inverno perenne. Meno male che vostro cugino Joseph è stato così gentile da regalarmi un cappotto rivestito di pelliccia! Qui il vento è così gelido da congelarti direttamente il sangue. In questo momento stanno addirittura scongelando la chiglia della Morrigan, la nave di Shay. 

A proposito, sono così contenta di dirvelo, Mentor! Monsieur Davenport ha affidato a me e a Shay un compito importantissimo: ritrovare un manufatto e una scatola rubata dai Templari. Con noi c’è anche Liam, che però è qui “ad affidarci delle missioni e a coprirci le spalle”, è il suo modo carino per dirci che Achille non si fida ancora di noi, ma si ricrederà, glielo farò vedere io! 

Ci stiamo per dirigere ancora più a nord, ad Anticosti. Dicono che il viaggio sarà ancora più pericoloso, ma io sono fiduciosa. Con le nuove modifiche, niente potrà fermare la Morrigan e il suo equipaggio. 

Vi farò avere mie notizie presto, ma fatevi sentire anche voi ogni tanto, Mentor! 

Bisous à tous, 

Claudette. 

*** 

«Allora, - Shay affiancò Liam di fianco alla Morrigan pronta a salpare da Rockport. - dove andiamo?». 

«Ovunque ci conducano i Templari.». 

A Shay scappò una risata. In tanti anni in cui conosceva Liam mai lo aveva visto gettarsi a capofitto in una cosa senza prima passare ore e ore a rimuginarsi sopra, tanto meno una missione importante come quella. 

«Liam, non è proprio da te partire senza un piano.». 

«Con o senza piano, scegliamo noi dove combattere. E noi, noi siamo più forti sul mare.». 

«Liam, avete ragione. Salpiamo, allora.» rispose Claudette al posto suo, comparsa dietro di loro senza che se ne accorgessero. Avrebbe dovuto mettere un sonaglio al collo di quella ragazza o alle caviglie, se continuava così finiva per farlo morire d’infarto.  

«E da quando, milady, date ordini?». 

Claudette assottigliò lo sguardo in avvertimento. Se voleva ripetere la scenetta di qualche giorno prima, lo avrebbe accontentato più che volentieri, ma non sarebbe stata tanto magnanima. L'avrebbe buttato nell’acqua ghiacciata senza neanche pensarci due volte. Shay si rese subito conto di star dando aria alla bocca inutilmente, quindi si corresse. 

«Da quando date ordini in acqua, milady?». 

Claudette e Liam si scambiarono uno sguardo preoccupato prima di rivolgerlo al capitano. Già gli si era riempito il cervello di sale? La ragazza voleva comunque vedere fino a dove si sarebbe spinto Shay con le sue cavolate, quindi lo incalzò. 

«Pardon?». 

«Nel senso, siamo in due a capo di questa missione, diamoci dei territori! La terraferma è vostra, mentre dalla banchina in poi è tutta area di mia competenza.». 

A Claudette venne da ridere, stava di nuovo facendo l’idiota. 

«Perché dalla banchina? Non è ancora considerabile mare la banchina, sarebbe piuttosto più corretto da quando la nave salpa, non credete, monsieur Cormàc?». 

«No! Perché è il capitano che decide quando si salpa e si può salpare solo dalla banchina, quindi è territorio mio, compris?». 

Claudette decise di arrendersi, alzando le mani in alto in segno di sconfitta. Poi passò in mezzo ai due uomini dirigendosi verso la nave a grandi passi. A malapena si riusciva a sentire i piedi toccare la banchina, sembrava camminare a pochi centimetri dal legno. 

«Allora, capitaine, date l’ordine di salpare.». 

Shay ci mise qualche secondo a riprendersi dal profumo di lavanda che lo aveva avvolto quando Claudette gli era passata vicino. Liam gli tirò una gomitata nello stomaco prima che la ragazza si girasse verso di lui cogliendolo in fragrante a guardarla imbambolato. 

«Certo! Si salpa, ciurma!» urlò verso il suo equipaggio, ma quando udì una risatina da parte della ragazza si corresse immediatamente. 

«E non perché me l’ha detto lei! L'ho deciso io!». 

Lanciò uno sguardo a Liam che lo osservava con un sopracciglio alzato in un’espressione molto dubbiosa, poi il suo quartiermastro decise che non era il caso di rigirare il coltello nella piaga e se ne andò scuotendo la testa sconsolato senza commentare ulteriormente. Shay si grattò la nuca, ancora impalato sulla banchina con le orecchie a fuoco. Sarebbe stato un lunghissimo viaggio, dovevano prima vedersi con Chevalier a Port La Joye, nel profondo nord, a quasi un mese di viaggio. Da quanto sapevano, doveva avere delle conoscenze in giro che avrebbero potuti aiutarli. 

Osservò la Morrigan, il brigantino che aveva rubato da appena un paio di mesi alla marina britannica. Andava fiero di quella nave, la sua prima nave che governava come capitano. Gli era capitato di essere al timone in passato, ma esserlo di una nave tutta sua aveva un sapore diverso. Il mare sembrava più selvaggio ai suoi piedi e l’odore della salsedine ancora più pungente. 

«Capitain Cormàc, la nave è pronta a salpare, mancate solo voi!». 

La voce di Claudette era leggera come il vento di quella mattina. Sorrise nel vedere la donna sporgersi dalla balaustra, con una mano posata sul bordo della nave e l’altra aperta verso di lui, un chiaro invito ad afferrarla. Lo osservava con un sorriso entusiasta sulle labbra rosse per il freddo, sembrava risplendere di luce propria. Afferrò la mano che la ragazza gli porgeva lasciandosi trascinare a bordo della nave. Era ora che l’avventura iniziasse. 

*** 

Viaggiare verso nord era stato differente in tutti gli aspetti rispetto al precedente viaggio di Claudette verso il “lontano ovest”. La prima cosa era il freddo: chilometri e chilometri di puro vento ghiacciato che soffia inesorabile, senza curarsi di star spingendo nella direzione giusta la loro nave. E non solo l’aria era fredda, ma anche il mare! Così gelido da formare strati di ghiaccio scintillante sullo scafo della Morrigan, appesantendola e facendola andare più lenta. Persino il ponte, se si dimenticavano di spargere il sale, si ricopriva di una sadica e sottile superficie di ghiaccio invisibile che faceva scivolare tutti quanti. L’episodio più tragicomico era stato quello di un ragazzino alle prime armi, che era scivolato all’indietro cadendo dalla nave e finendo in acqua. Il terrore che aveva sentito nel cuore era stato ben peggiore del freddo all’esterno. Il poveretto era tornato a bordo a fatica aiutato da una cima con le labbra blu e tutto tremante. 

Nonostante questi piccoli inconvenienti, non poteva dire che non fosse stato un viaggio meraviglioso, addirittura più bello del precedente. Il mare in questa parte così selvaggia e sperduta del mondo era di un blu cobalto intenso, puntellato qui e lì di piccoli iceberg da cui Shay si premurava di stare alla larga. 

«Vedete, - le aveva spiegato Shay una volta - gli iceberg sono dei veri bastardi.». 

Claudette aveva sollevato un sopracciglio a quell’affermazione, ma non lo aveva interrotto. Voleva vedere fino a che punto si sarebbe spinto. 

«In realtà quella che vedete spuntare in superficie è solo la punta, una minuscola parte. Sott’acqua invece posso essere grandi quanto isole! E voi ci potreste star passando sopra senza accorgervene e poi TAC!». 

Claudette sussultò spaventata dal verso improvviso del ragazzo, a cui rifilò uno schiaffetto sul braccio prima che riprendesse a parlare. 

«Vi ritrovate un bel buco nello scafo e crepate dal freddo.». 

«E come si fa a capire di star navigando sopra un iceberg?» chiese curiosa. 

Shay sorrise continuando a guardare di fronte a sé. Erano al timone, lui che guidava la nave e lei seduta sulla balaustra che divideva il ponte dalla poppa. Potevano passare ore e ore lì da soli a chiacchierare di tutto e di niente. Lui cercava di insegnarle i rudimenti della navigazione, parlando qualche volta delle sue avventure in mare e della sua vita a New York, mentre lei gli raccontava della Francia e della sua Parigi, che in fondo al suo cuore le mancavano tanto. Alla fine, Shay non era male come compagnia. 

«Oh, non si può capirlo, finché non ci si blocca in mezzo al mare.» rispose alzando le spalle. 

A volte invece passavano qualche istante in un piacevole silenzio, ognuno perso nei suoi pensieri. In quei momenti le capitava di guardare il ragazzo affianco a lei. Le spalle larghe e le mani callose che raccontavano anni e anni di viaggi, i capelli castani scossi dal vento freddo, che gli arrossava anche le guance e gli tingeva le labbra di un rosso intenso. Doveva ammetterlo, Shay era decisamente un bell’uomo. Non si era affatto stupita delle scorribande in monasteri portoghesi, come aveva raccontato a Liam. O meglio, l’intenzione era quella di parlarne solo con Liam, ma dal tono della voce e dal petto gonfio, come quello di un pavone, sembrava stesse decantando le proprie avventure libertine a tutta la sua ciurma. Non ne fu per niente impressionata, nei salottini dei nobili parigini aveva sentito storie più ardite! 

Più andavano a nord, più i monti si tingevano con la neve e più il mare era costellato di ghiacci. Il vento freddo gonfiava le vele della Morrigan che scivolava sulle onde a velocità sostenuta, mentre tutti a bordo erano indaffarati tra cime da annodare, cannoni da bordata da sistemare, lo scafo che ormai andava scongelato più volte alla settimana e anche i pasti che man mano diventavano più scadenti. Avevano raccolto abbastanza cibo per poter viaggiare per tre settimane, il tempo per raggiungere Port La Joye, ma dopo il terzo pranzo di fila a base di patate persino la pazienza dello stoico Liam aveva iniziato a vacillare. 

Tutto sommato il viaggio era piacevole. Se non era con Shay o Liam a chiacchierare, era di certo ad arrampicarsi sugli alberi della nave o appollaiata sul bompresso, il naso sempre rivolto verso nord e gli occhi sempre aperti per cercare di catturare maggior dettagli possibili di quella meraviglia. Non sapeva che anche qualcun altro si godeva lo spettacolo, che però non comprendeva affatto cieli sconfinati e acque così profonde da sembrare nere. 

Per Shay il vero spettacolo era un altro, vedere Claudette che si arrampicava come uno ragnetto in giro per la Morrigan gli riscaldava il cuore di una strana sensazione, come se avesse un piccolo fiammifero in centro al petto. Si perdeva a osservarla dal basso mentre lei era seduta sul pennone dell’albero maestro a volte portandosi un libro oppure aiutando i marinai ad annodare le cime nei posti più scomodi ed elevati. Non lo faceva apposta, sul serio! Lui prendeva il timone in mano, guardava di fronte a sé per vedere dove andare, poi all’improvviso compariva una testolina bionda nel suo campo visivo e... rischiava di finire contro una scogliera o un iceberg, perché si perdeva a osservarla leggere sul ponte della nave o mentre si godeva l’aria fresca. 

Ovviamente Liam, quasi sempre piantato al suo fianco durante quel lungo viaggio, non si risparmiava in battutine e frecciatine quando erano da soli. Shay faceva il possibile per ignorarlo, stringendo tra le dita il legno del timone fino a quasi spezzarlo, ma a volte gli scappavano dalle labbra insulti marinareschi molto poco carini. Avere un amico che ti conosce come le proprie tasche è una lama a doppio taglio: sa aiutarti nei momenti difficili tanto quanto sa percularti per le cavolate come quella. 

«Quindi, fammi capire bene. Riesci a intrufolarti in un monastero pieno zeppo di suore portoghesi infuocate, ma non a corteggiare Claudette con qualche battutina sconcia delle tue? Sei strano forte, dude.». 

Shay, nonostante stesse tremando dal freddo, sentì le orecchie prendere fuoco. Liam non era quasi mai dispettoso o fastidioso, era ligio al suo dovere in ogni secondo della giornata. A volte Shay si chiedeva se non fosse già nato col cappuccio degli assassini già in testa. E forse anche con un palo in culo. Comunque, però nei rari momenti in cui si divertiva a stuzzicarlo, sapeva farlo fin troppo bene. 

«Non mi sembra tipa da battutine sconce! Mi butterebbe fuori dalla mia stessa nave e si autoproclamerebbe capitano. Tu e il resto degli imbecilli la seguireste senza neanche gettare la cima in mare per aiutarmi.». 

«Allora dovresti provare con una cenetta.» condì la frase con una gomitata nel costato di Shay. 

«Oh sì! Con un piatto di zuppa di patate, seguite da gateau di patate, con contorno di patate arrosto e pane di patate e infine, per concludere in bellezza, crostata di, ma pensa un po’? PATATE!». 

Il capitano scosse la testa alzando gli occhi al cielo. 

«Si vede che non ci sai fare con le donne.». 

«Almeno non me ne sto metà giornata a guardarla come un maniaco. O un cane scodinzolante.». 

Shay sbuffò spazientito. 

«E poi il pettegolo sarei io.». 

Passarono i giorni, tra chiacchierate pigre al timone della nave e piccole occhiate furtive. La Morrigan approdò a Port La Joye ai primi di aprile, giusto in tempo per incontrare Chevalier, che sembrava star trafficando aragoste. L'esploratore li accolse calorosamente, soprattutto Shay. 

«Ah! Ecco il venditore di cavoli. Bonjour Claudette, spero che questa bagnarola sudicia sia migliore di quanto sembri.». 

Shay, offeso più per l’insulto alla sua nave che per l’appellativo, aprì la bocca per ribattere piccato, ma la mano di Claudette sul suo braccio fu capace di paralizzargli la lingua. Era davvero messo così male? 

«Bonjour Joseph, il viaggio è andato molto bene. La Morrigan è una nave spettacolare. - a questa affermazione Shay dovette impedirsi di gongolare come un idiota. - Abbiamo novità sui manoscritti?». 

«Sì, abbiamo un indizio su quel manoscritto.». 

Shay non resistette più e dovette commentare: «Mi stupirebbe sapessi leggerlo.». 

Chevalier, che fin ora si era rivolto a Claudette con gentilezza ed educazione, si voltò verso Shay guardandolo come se fosse cacca di gabbiano sul ponte del suo vascello. 

«Nessuno ci riesce, imbecille. Ecco perché i Templari ci stanno mettendo tanto, ma un alleato li ha spiati per conto nostro.». 

«Un pirata?» chiese Claudette. 

Chevalier le rispose iniziando a dirigersi a grandi passi verso la Morrigan. 

«Una spia amica dei pirati. Sarà un bel banco di prova per quella latrina che Shay chiama nave.». 

Joseph insisté che, prima di affrontare il viaggio per Anticosti, la Morrigan avesse bisogno di un restauro. Continuava a criticare lo scafo troppo fragile e i cannoni talmente scadenti “da non poter abbattere neanche una zattera”. Claudette pensava che sarebbero andati in qualche porto specializzato in questo genere di cose o di affidarsi a qualche armaiolo, mai avrebbe pensato di ritrovarsi nel bel mezzo di un attacco a una goletta inglese. 

Lo scoppio dei cannoni era assordante, erano come i tuoni di un temporale burrascoso, mentre l’odore della polvere da sparo era così intensa da bruciarle il naso e da farle sentire addirittura il sapore di ferro sulla lingua. Le urla dei marinai si univano allo scroscio dell’acqua che colpiva lo scafo e al terrificante suono del legno che si spaccava. Si era aggrappata con tutta la forza che aveva nelle mani alla balaustra davanti al timone, con Shay affianco a lei che urlava ordini e se la rideva con Liam vicino altrettanto entusiasta. Da Chevalier volavano solo insulti, indistintamente se verso Shay, il suo equipaggio o la nave nemica. 

«Posso fare una domanda? Perché stiamo facendo questa cosa?». 

«Stiamo alleggerendo le tasche di re Giorgio!» rispose Shay manovrando il timone con mano esperta. La ragazza rimase qualche secondo imbambolata a osservargli le braccia che si gonfiavano nel far virare la nave a destra e sinistra con una bravura innata. Lo scoppio di un cannone vicino al suo orecchio la risvegliò dal suo stato di trance, anche perché fu quasi sbalzata via quando la goletta rispose al fuoco. La nave tremò sotto i suoi piedi, facendola gridare dalla sorpresa. Fu presa appena in tempo da Liam, che la afferrò prima che cadesse di faccia sul ponte della nave. 

«Recuperiamo anche materiali per la riparazione della Morrigan, così l’armaiolo ci farà uno sconto se gli portiamo direttamente le materie prime. E poi ci dovrebbero essere tabacco e alcool sufficienti da ricevere un bel gruzzoletto.» le urlò nell’orecchio il quartiermastro. 

Claudette emise un versetto esasperato all’ennesima esplosione, non era per nulla pronta a tutta quella confusione e a tutto quel trambusto. Non che la morte la spaventasse, ci aveva a che fare da anni, ma lei era abituata ad essere silenziosa e sfuggevole, non rumorosa e ingombrante come una nave. 

«Non preoccupatevi, Claudette, avremo bisogno anche del vostro aiuto!» urlò Shay con tutto il fiato che aveva in gola per sovrastare il cigolante rumore della nave che virava pericolosamente a destra. Si era aggrappata al braccio di Liam con una mano, quasi piantandogli le unghia nella carne, e alla balaustra con l’altra, riempiendosi il palmo di schegge. 

«Che cosa intendete?» chiese preoccupata, sgranando gli occhi. 

Shay urlò un altro ordine, condito di insulti coloriti, prima di risponderle: «Questa è solo la parte divertente, Claudette! Quando la nave sarà neutralizzata, dovremo pensare anche all’equipaggio.». 

Claudette decise di rimanere zitta, anche perché Shay aveva rincominciato a urlare ordini con voce potente per sovrastare il rumore dei cannoni e degli scoppi. Sbirciò oltre la balaustra per vedere come se la stesse cavando la goletta e si ritrovò a non invidiare per nulla l’equipaggio inglese. 

Le vele erano strappate e piene di buchi, i pennoni erano spezzati in più punti, tant’è che uno penzolava pericolosamente verso terra, lo scafo era scheggiato e bucherellato. I marinai inglesi nelle loro vesti rosse sembravano delle formiche che si affaccendavano correndo da una parte all’altra della piccola nave per riparare il salvabile e rispondere agli attacchi della Morrigan, che, anche se mal assortita, era in netto vantaggio. Ci fu un momento di immobile silenzio, mentre entrambe le navi ricaricavano i propri cannoni, con l’unico rumore il mormorio indaffarato dei marinai e le onde impazienti che sbattevano contro la chiglia. 

L’equipaggio di Shay fu il più veloce a ricaricare e, dopo il comando del suo capitano, bombardò per l’ultima volta la goletta che si bloccò in mezzo al mare, ormai distrutta. L'albero di mezzana e del trinchetto si erano spaccati perfettamente a metà con uno schiocco netto, precipitando in mare e portando con sé parte del ponte. L'equipaggio della Morrigan esultò, correndo ad afferrare gli arpioni per attraccare la nave nemica e continuare col saccheggio. 

«Che succede adesso?» chiese Claudette incerta, anche se aveva una mezza idea di quello che sarebbe capitato. 

Shay affidò il timone a Chevalier, le si avvicinò e la prese per una spalla trascinandola con sé verso il bordo della nave sbeccato. Presa alla sprovvista, fu colta da una strana agitazione che scalpitò nel suo cervello, il punto in cui la stava toccando Shay bruciava come un ferro rovente e sentiva improvvisamente caldo. Il fiato affannato del ragazzo contro il suo orecchio le fece scorrere un brivido in tutto il corpo. Tutto quell’alternarsi tra caldo e freddo le faceva girare la testa. 

«Ci sono ben... - si perse a contare i puntini rossi che si sbracciavano da una parte all’altra della nave. - 15 persone, io direi che se ne facciamo fuori almeno la metà e il capitano, la nave è nostra! Questa parte dovrebbe piacervi di più, eh?». 

Girò la testa per guardare il ragazzo che si era messo dietro di lei, con il mento che le sfiorava appena la spalla ed entrambe le grandi calde mani sulla sua schiena. Il sole brillava sopra di loro facendo illuminare gli occhi castani del ragazzo di una luce eccitata, che contagiò anche lei. Il sorriso di Shay era una delle cose più belle che avesse mai visto, con quelle labbra così invitanti poi... 

Scosse la testa, quando lo sentì ridacchiare avendola colta in fragrante. Lei per ripicca si svincolò da lui, agitandosi come un’anguilla e spostandosi, a malincuore, di qualche passo. Shay poi salì sulla balaustra, in equilibrio perfetto, e afferrò una cima, si girò verso di lei porgendole una mano. 

«Allora? Mica penserete di far fuori quelle persone con lo sguardo, mademoiselle.». 

Claudette fece scorrere gli occhi dal sorriso smagliante di Shay, poi alla goletta che grazie agli arpioni si stava avvicinando sempre di più alla loro nave e infine al mare sotto di loro. Le onde per via della piccola battaglia navale erano agitate e turbolente, per non menzionare il fatto che finire schiacciata tra due navi non era una cosa invitante. Sollevò uno sguardo scettico sul ragazzo che ancora la aspettava con la mano tesa. Shay agitò ancora la mano e le indicò con la testa la goletta, sempre più vicina. 

Si fece coraggio e gli afferrò la mano per salire sulla balaustra. Fu travolta da un’incredibile forza che la fece sbilanciare in avanti verso il mare, ma fu una questione di pochi secondi, come una funambola su una corda, si rizzò subito in equilibrio perfetto, lanciando uno sguardo dubbioso a Shay, che teneva ancora in mano la cima. 

«Quindi?». 

Shay si fece ancora vicino, accostando il viso al suo, gli occhi fissi sulla goletta. Indicò la nave con un cenno del capo e parlò accanto all’orecchio, come se non volesse essere sentito dagli altri. Un fastidioso brivido la scosse quando il fiato caldo del ragazzo le solleticò il padiglione auricolare. 

«Quando siete pronta lei, milady.».  

Poi le passò la cima in mano, in attesa che lei saltasse a bordo dell’altra nave. Claudette non si fece intimidire dalle onde tumultuose o dai preoccupanti cigolii del legno e strinse tra le dita la corda. Shay era una presenza calda e rassicurante alle sue spalle, si sentiva al sicuro stranamente con lui affianco, quindi attese che la goletta si avvicinasse, poi, imitando il resto dell’equipaggio della Morrigan, saltò in avanti, saldamente aggrappata alla cima. 

Fu la sensazione più incredibile che mai provò in vita sua, persino migliore della prima volta che era riuscita ad eseguire un salto della fede perfetto. Rimanevano l’eccitante brivido di paura che ti intorpidisce le gambe e l’adrenalina che ti urla in corpo, ma c’era qualcosa che rendeva quel balzo ancora più inebriante, qualcosa che le faceva ruggire ancora di più il sangue nelle vene. Quando saltava da un edificio, vedeva la città ai suoi piedi, così immensa e infinita, costellata di piccoli mattoncini, come la tastiera di un pianoforte, rimpicciolirsi sempre di più, mentre le persone, da quell’altezza simili a bamboline, si ingrandivano. Tutto il mondo si capovolgeva e si ricomponeva nel giro di pochi secondi, quando si ritrovava nella paglia, che le pungeva il viso, a guardare il cielo. 

Saltare a bordo di un’altra nave, accompagnata dagli incitamenti dei propri compagni era tutta un’altra storia. Non c’era la solenne concentrazione e il freddo calcolo che precede un balzo, non c’è proprio il tempo materiale per fermarsi a pensare se lanciarsi o continuare a correre tra i tetti di Parigi. Bisognava saltare d’impulso, all’improvviso, pregando di atterrare su un’asse di legno abbastanza solida e non su un buco. Il paesaggio poi, invece di deformarsi, le scorreva di fronte agli occhi, come le pagine di un libro che viene sfogliato, ma tutto sembrava rallentare e velocizzarsi allo stesso tempo: il mare che ruggiva e si dimenava ai suoi piedi, gli uccelli che stridevano e volavano sopra la sua testa, le montagne, invece, erano silenti spettatrici degli avvenimenti. Il vento le sibilava nelle orecchie minaccioso e freddo, mentre i suoi piedi si staccavano dal legno della Morrigan per vagare nell’aria, dandole una strana sensazione di vuoto nello stomaco. Un grido le si impigliò tra la gola e le labbra, mentre tutto scorreva di fronte ai suoi occhi. 

La goletta si fece più vicina e, quando fu certa di essere esattamente sopra la nave, mollò la cima. La sensazione di cadere fu la più eccitante e terrorizzante della sua vita. Non era come avere un carretto di fieno fisso, immobile in mezzo alla strada, assolutamente no. La nave continuava a ondeggiare a ritmo dell’impetuoso mare e ogni asse di legno era abbastanza scheggiata da farci passare una persona intera. Quella briciola di incertezza che le pizzicava il cervello rendeva tutto così elettrizzante. 

Atterrò sulla goletta inosservata, nessuno si era accorta di lei. La nave era un inferno: c’erano due nette fazioni, gli inglesi, tutti ingolfati nelle loro giubbe rosse, e i marinai di Shay, vestiti con pantaloni e camicie di fortuna, che si urlavano e si scontravano a vicenda. Il metallo strideva in maniera acuta nella decina di duelli che avvenivano contemporaneamente e chi non era impegnato in uno scontro con le lame era addossato alla balaustra della nave col fucile in mano a sparare all’equipaggio rimasto a bordo della Morrigan. Guardando quello spettacolo le sembrava tutto così paurosamente affascinante. 

Un tonfo accanto a lei precedette le parole di Shay. 

«Non ve la cavate male con i salti, milady.». 

Lo guardò con un sorrisino sulle labbra, che Shay avrebbe passato le ore a guardare. 

«Voi invece sembrate un pianoforte che cade dalla cima di un edificio, milord.». 

Le spalle del ragazzo vennero scosse da una grossa risata, poi ritornò serio avvicinandosi di nuovo a lei. Per il clangore delle spade e gli scoppi dei fucili, misti alle grida, si dovette di nuovo chinare per parlarle all’orecchio, il pizzetto le pungeva dolcemente la guancia come una leggera carezza, scuotendola da capo a piedi.  

«Prima di tutto ci occupiamo del capitano. - indicò un uomo con una veste blu che agitava la spada in concomitanza alle sue urla. - Il resto dell’equipaggio si occupa delle giubbe rosse.». 

Lei annuì, saggiando le lame nascoste nelle maniche. Shay fu il primo a lanciarsi nella mischia, caricando come un toro verso la poppa della nave. Il ponte sembrava essere in preda a una specie di strana e macabra danza, ognuno si muoveva a un ritmo e con passi propri, urlando insulti e volteggiando le armi. Shay però sembrava incurante di tutto ciò, mentre avanzava menando colpi a destra e a manca quanto bastavano per poter passare. Non si voltava indietro né a controllare come stesse lei, che sguisciava tra un duello e l’altro evitando il più possibile gli scontri, né a vedere cosa stesse succedendo. 

E infatti, non vide neanche un ufficiale alzarsi in piedi di scatto, dopo che Shay lo aveva atterrato con una spallata, e corrergli dietro con la spada in pugno. Vide l’uomo poi bloccarsi e chinarsi, alla ricerca di una pistola nella giubba di un suo compagno. Nella realtà passò a malapena un secondo, ma nella testa di Claudette fu come se si fosse mosso tutto al rallentatore: l’uomo, impiastricciato di sangue, schegge di legno e polvere da sparo, si rizzava in piedi con la pistola puntata alla schiena di Shay, occupato in uno scontro con un energumeno che era il doppio di lui, mentre lei arrivò dietro l’ufficiale, che nella foga non si era accorto della presenza alle sue spalle. 

Ormai era un gesto naturale per lei, come aprire una porta. Posò la mano destra sulla spalla dell’uomo, afferrandolo saldamente per tenerlo fermo, mentre con la sinistra lo pugnalava nei reni con la lama nascosta nella manica. L’ufficiale ebbe appena il tempo di esalare un ultimo respiro prima di cadere tramortito a terra, lasciandosi sfuggire tra le dita la pistola che fu acciuffata in tempo da Claudette. La donna poi sparò due colpi dritti in fronte all’uomo che stava sovrastando Shay, in grande difficoltà visto che tentava di rispondere ai colpi di ascia con un pugnale. Il ragazzo si voltò verso di lei sorpreso, il volto schizzato di sangue e le urlò un ringraziamento che si perse in mezzo alle grida. Si tolse di dosso l’aggressore, che gli era caduto a peso morto addosso, poi fece un cenno a Claudette di continuare a seguirlo. 

Ormai avevano superato l’albero maestro, erano a metà strada per la poppa, dove il capitano continuava a volteggiare con la spada in mano. Claudette si lasciò sfuggire un verso di stizza all’irrequietudine del ragazzo, e dopo essersi infilata la pistola nei pantaloni riprese a seguirlo coprendogli le spalle. Tramortiva uno che tentava di acciuffare Shay da dietro, gettava in mare con una spallata un altro che voleva sparargli, pugnalava un altro ancora che, disperato, cercava di colpirlo alla nuca con una bottiglia di rum. Tra una spada che le sfiorava pericolosamente il naso e l’odore bruciante delle pistole, riuscirono ad arrivare alle scale che conducevano al timone, dove si era rifugiato il capitano. 

L’uomo aveva cercato in tutti i modi di crearsi una barriera attorno, posizionando i suoi soldati più grossi di fronte all’unico accesso per la poppa. Shay, impulsivo e in preda all’adrenalina, si tuffò a testa bassa in mezzo agli uomini, pugnale e spada in mano, cercando di farsi strada. Claudette non sarebbe mai riuscita ad affrontare in uno scontro diretto le giubbe rosse, quindi pensò velocemente a un modo per aggirare il problema. Quando non si riesce ad abbattere un muro, ci si arrampica, così era cresciuta e fu quello che fece. Si gettò oltre la balaustra delle scale e raggiunse le porte della cabina del capitano su cui si arrampicò per raggiungere il timone. L’uomo era affacciato lanciando ordini dalla poppa verso i suoi soldati, si accorse di lei quando fu troppo tardi. 

Lo scatto della lama non fu udito da nessuno, neanche da Claudette stessa mentre, reggendosi con una mano alla balaustra, pugnalava il capitano allo stomaco e se lo lanciava alle spalle facendolo stramazzare sul ponte della nave, dietro di lei. Non fece neanche caso al sangue che le aveva impregnato la manica e i guanti, arrivando alle dita, quando si voltò per guardare in basso verso l’uomo morto ai suoi piedi. Sulla nave cadde finalmente il silenzio, interrotto solo dal clangore delle armi che cadevano al suolo in segno di resa degli inglesi, poi Shay lanciò un urlo vittorioso guardando lei con la meraviglia negli occhi. Claudette si lasciò cadere atterrando con passi leggero sul ponte della nave, di fronte alla cabina, e col respiro pesante. 

Mentre riprendeva il fiato e sentiva lentamente l’adrenalina scendere, facendole pesare gli arti dalle spalle, Shay urlò qualche ordine al suo equipaggio che si affrettò a saccheggiare la stiva della nave, carica di metallo e legno. Il fiato caldo e affannato del ragazzo le fece arrossire le guance, mentre l’altro incurante di qualsiasi buona educazione le avvolgeva un braccio attorno alle spalle tirandosela contro. Sentì il viso prenderle fuoco dall’imbarazzo sentendolo così vicino, poteva addirittura sentirgli il cuore ruggirgli nel petto, poco sotto la sua guancia rossa, ma comunque non intendeva spostarsi. La risata fu abbastanza forte da scuotere entrambi. 

«Sei stata incredibile!». 

Se possibile sentì ancora di più le guance prenderle letteralmente fuoco al complimento, non era abituata a quel genere di comportamento, se poi era anche unito al corpo caldo e saldo su cui era schiacciata. Forse era il caso di riprendere in mano un po’ di dignità, quindi si scollò di dosso a malincuore il ragazzo, rispondendo piccata. 

«Oh, grazie, vorrei poter dire la stessa cosa di te se non avessi passato metà del tempo a pararti il sedere!». 

Shay la guardò ancora col sorriso sulle labbra e gli occhi scintillanti, la osservava meravigliato. Evidentemente era in vena di contatto fisico, perché le afferrò di nuovo le spalle stringendosela affianco. Claudette dovette reprimere un versetto di sorpresa e imbarazzo. 

«Ma sono io a ringraziare il mio angelo custode! Sul serio, senza di te, non sarei arrivato intero all’albero maestro.». 

Shay si era fatto serio all’improvviso, le aveva rivolto quelle parole con gli occhi fissi nei suoi, tenendosela ancora ancorata al corpo. I capelli castani del ragazzo erano un nido disordinato, Claudette dovette reprimere l’istinto di togliergli quel fastidioso ciuffo che le impediva di guardargli bene gli occhi. Sentiva il cuore rincominciare a correre nel suo petto, mentre un piacevole formicolio le invadeva il corpo ancora attaccato a quello caldo del ragazzo. Quasi si sciolse contro di lui mentre rispondeva con un sussurrato “Il n'y a pas de quoi”. 

La bolla scoppiò con la voce provvidenziale e gracchiante di Chevalier. 

«OHI, DISGRAZIATO, TE LE TAGLIO QUELLE MANI. STACCATI DA LEI, PORCO!». 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 - Prelude to a storm ***


Luglio 1752, Due curve 

Cher Charles Dorian, 

Dalla ultima lettera di Mireille sono venuta a conoscenza del fatto che finalmente sei un Assassino fatto e finito, félicitations, mon ami! Anche se rimarrai sempre il mio primissimo novice. 

Io mi trovo a River Valley, che, come dice il nome, è una valle che viene attraversata dal fiume Saint Lawrence. È molto diverso dall’immenso mare ghiacciato del Nord per il quale mi è capitato di solcare negli ultimi mesi. L'aria è sì frizzantina e fredda, ma è rigenerante, non ti riduce a un mucchietto di ossa tremante. Invece che dai terrificanti ghiacciai, siamo circondati da pacifiche montagne e colline, ognuna di una sfumatura diversa di verde. C'è anche molta più gente qui, sorgono piccoli villaggi e minuscole città su ogni sponda del fiume. E dovresti vedere come sono cordiali le persone! Siamo capitati in una delle cittadine della Nuova Francia, la nostra colonia qui nella Valle dell’Ohio. La gente era così accogliente, ci hanno riempito di formaggi e di salami. Shay non era particolarmente contento, dice che il Roquefort gli ha impestato tutta la stiva, che dilettante! Non era neanche così tanto puzzolente, si vede che non è mai stato in Francia. In confronto a quelli che arrivano direttamente da Roquefort-sur-Soulzon a Parigi sembravano un mazzo di rose profumate. 

Stiamo per partire alla ricerca di un nuovo bersaglio, sperando di riuscire a trovare un altro tassello di questo complicato puzzle. Mi sto trovando molto bene con questa Confraternita e Shay dice che, se continuò ad esercitarmi, saprò fare i nodi come un vero marinaio. Infine, non ti nego che il capitano è davvero... interessante! Ti dico solo questo, novice. Continua a mandarmi le tue lettere, appena tornerò a Rockport le leggerò tutte. 

Bises à tout le monde, 

Claudette Dubois. 

*** 

«Signori, ho buone notizie. Su questa stessa nave ho intravisto il manoscritto che cercate. Era redatto in una lingua incomprensibile e piena di disegni. Piante e animali degni di un vero oppiomane.». 

Claudette rivolse lo sguardo a Le Chausser, la loro spia. Era un afroamericano di alta statura, ma con le spalle non molto larghe e dalle gambe flessuose. Erano arrivati ad Anticosti dopo tre settimane di viaggio nel gelido mare del Nord Atlantico, incontrando qui e lì qualche iceberg solitario o navi inglesi. La maggior parte erano state lasciate in pace dalla foga di Shay, altre avevano avuto la sfortuna di incontrare la Morrigan quando il capitano era in vena di fare un po’ di casino. La scusa era sempre la stessa, ovvero “alleggerire le tasche di re Giorgio”. 

«Non c’erano delle carte? Nessuna mappa, Le Chausseur?» disse Chevalier un po’ preoccupato. Erano solo all’inizio della loro ricerca, ma già i fili sembravano difficili da sbrogliare. La matassa si faceva sempre più intricata e disordinata man mano che procedevano con le indagini. 

«No. Forse è necessario qualche codice, ma né io né gli inglesi lo conosciamo.». 

«Dov’è il manoscritto ora?» intervenne Shay sempre rivolgendosi a Le Chasseur. Era stato zitto fino a quel momento, osservando le carte che aveva portato loro la spia. Sebbene fosse fisicamente lì con loro sembrava distante con lo sguardo, si mangiucchiava l’interno della guancia mentre rifletteva su qualcosa, perso nei propri pensieri. 

Claudette si avvicinò meglio al tavolo al centro della stanza per osservare meglio i progetti rubati alla marina inglese, alleata dei Templari. Riportavano il numero esatto delle loro navi, le rotte commerciali, le terre a cui erano interessati e le armi di cui disponevano. Di certo, erano informazioni utili, ma non sapeva come potevano sfruttarle per quello che stavano cercando. 

«L’uomo che l’aveva agiva per conto di un certo Washington.» rispose Le Chausser. 

A Claudette parve molto familiare quel nome. Anche a Parigi ne aveva sentito parlare qualche volta, forse pronunciato da Mirelle o da un Maestro Assassino del Consiglio. Si rivolse a Liam, che se ne stava a braccia conserte ad ascoltare attentamente la conversazione. 

«Conosco quel nome. È un importante Templare, non è vero?». 

«Già, Lawrence Washington aveva grandi ambizioni e i Templari l’hanno aiutato. Shay, Claudette andiamo a cercarlo. Ti siamo debitori, Le Chasseur.». 

L'uomo rivolse loro un cenno del capo, man mano che se ne andavano. 

«Quindi? Ora che ce ne facciamo di questa informazione? Sappiamo che il manoscritto è mano a qualcuno che lavora per Washington, un Templare, ma non possiamo fiondarci su di lui senza prima confrontarci con Achille.» disse Claudette chiudendo per bene la giaccia che indossava. Erano ancora più a nord di prima, costanti brividini di freddo continuavano a scuoterle il corpo senza mai fermarsi. Rispetto a quando avevano lasciato Percé quasi tre settimane prima, il ghiaccio sembrava aver invaso ancora di più quelle terre. Erano a primavera inoltrata, ma erano pochi i piccoli sprazzi di terra verdeggiante. Vi erano alcuni luoghi dove il ghiaccio era così spesso e radicato, che non si riusciva nemmeno a vedere il terreno. 

«Allora ci dirigeremo a Due Curve, Achille ha detto che ci avrebbe aspettato lì per eventuali aggiornamenti.» rispose Shay sgranchendosi le ossa, che scricchiolarono come piccoli pezzettini di ghiaccio che si rompevano. 

Claudette annuì distrattamente guardandosi attorno, Anticosti aveva di certo visto periodi migliori. Era a tutti gli effetti un fortino, affacciato sul mare in un punto strategico per poter controllare tutte le navi che sarebbero passate in quella zona. La prima cosa che si notava da lontano erano le torri, tre su quattro completamente distrutte, forse durante una guerra che nessuno ormai ricorda più. Una volta varcato il portone, anch’esso in rovina, l’interno sembrava un campo di fortuna e non una base fissa degli Assassini. Sorgeva qualche tenda, sparsa per i cortili, mentre un solo edificio era agibile, ovvero quello dal quale erano appena usciti. 

Si diressero alla banchina, dove li attendeva la Morrigan paziente, mentre l’equipaggio era indaffarato tra piccole riparazioni e rifornimento di viveri. Claudette si strinse ancora di più nella sua pelliccia di volpe, quando un vento graffiante e gelido soffiò dal mare facendola tremare ancora di più. Quei paesaggi erano mozzafiato, con le loro mille sfumature di blu, dal celeste del cielo limpido al cobalto più scuro delle onde e tutto il freddo contribuiva a fascino selvaggio di quelle terre, ma allo stesso tempo le faceva mancare i salottini caldi della nobiltà francese a cui suo padre si premurava di portarla. Non sopportava metà della gente oziosa che incontrava, però almeno non si congelava l’anima. 

«Voi partite per Due Curve, io rimango qui per un po’, ho altre cose da fare in zona. - disse Chevalier guardandoli a braccia incrociate. - Cosa intendete fare da ora in poi?». 

«Quello che ha detto Shay: ci dirigeremo a Due Curve per incontrare Achille, sarà lui a decidere qual è il prossimo bersaglio.» rispose prontamente Liam. 

Claudette annuì col naso immerso nella pelliccia, impossibilitata a parlare. Se avesse tirato fuori la bocca dal colletto della giacca, sarebbe morta assiderata. Notò Shay con la coda dell’occhio osservarla ridacchiando del modo in cui si era conciata: si era infilata in un soprabito foderato all’interno di pelliccia candida, anche nel cappuccio che le calava sugli occhi, facendole sbattere di continuo le lunghe ciglia chiare per il fastidio. I capelli biondi erano lasciati sciolti e insieme al pelo creavano un intreccio disordinato di fronte al suo viso, nascondendole i tratti. Bocca e naso erano immersi nel colletto, dal quale si potevano scorgere solo due guance rosse. 

Shay la trovava teneramente buffa, imbacuccata in quel modo, e, nonostante i tre chili di pelliccia, tremava come un gattino bagnato. Dovette resistere dal circondarle le spalle con un braccio per tirarsela contro. Lo aveva fatto una volta mentre erano in viaggio, stavano parlando vicino al timone della nave. Lei continuava a tremare, ma nonostante ciò lo aveva scaraventato di sotto, sul ponte, quando si era permesso di toccarla. Si reputava un ragazzo abbastanza sveglio, quindi aveva imparato la lezione: mai coglierla di sorpresa. 

Claudette notò il suo sguardo divertito e gli lanciò un’occhiataccia contrariata tra i capelli e il pelo che le erano finiti sul viso. Shay non si spaventò nemmeno, anzi aveva la voglia irrefrenabile di spostare dagli occhi tutto quel disastro che aveva in faccia. 

«Shay, Claudette ci avete sentito?». 

La ragazza si voltò verso Liam, che guardava entrambi accigliato. Quei due sarebbero stati la sua morte, ne era certo. Claudette iniziò a balbettare qualche parola. 

«N-no, Liam-m, no-non ti ho se-sentito, scusami-mi.». 

L'Assassino non volle infierire, anche perché l’altra sembrava abbastanza provata da tutto quel freddo. Si trovavano molto a nord, non tutti erano abituati o riuscivano a resistere a quelle temperature basse, quindi per non allungare ulteriormente quella tortura si affrettò a ripetere quello che aveva concordato con Chevalier. 

«Ho detto che partiremo tra dieci minuti, la nave è pronta per salpare.». 

Claudette annuì vigorosamente senza commentare, mentre Shay si girava verso la nave per vedere che cosa stesse facendo l’equipaggio insieme a Liam, che gridava ordini e direttive. Chevalier le si avvicinò per un ultimo saluto. 

«Qui ci dividiamo, madomoiselle. Vi auguro un buon viaggio, anche se la nave e il capitano lasciano a desiderare. Ho fiducia però nel quartiermastro, almeno lui ha un po’ di sale in zucca.». 

La ragazza cercò di sorridere, ma finì per fare una smorfia strana, aveva le labbra congelate e secche e sentiva la pelle spaccarsi ogni volta che muoveva un muscolo facciale. Non vedeva l’ora di rintanarsi nella cabina del capitano per accendersi un bel fuoco, magari chiedendo anche al cuoco di prepararle un tè veloce. 

Quando Joseph aveva scoperto che Claudette dormiva con il resto dell’equipaggio sottocoperta, aveva dato di matto, arrivando quasi al punto di buttare Shay giù dal ponte per poi affogarlo per bene investendolo con la nave. Parole pronunciate proprio da Louis-Joseph Gaultier, Chevalier de La Vérendrye in persona, mica mie, caro lettore. 

La situazione era degenerata quando Shay aveva proposto di condividere la cabina con la sua ospite: Claudette era arrossita al solo pensiero e aveva iniziato a balbettare, Liam lo aveva guardato sconvolto come se gli fossero spuntati un paio di baffi in fronte, infine Chevalier aveva per davvero tentato di buttarlo in mare. Con l’aiuto di metà dell’equipaggio erano riusciti a staccare l’avventuriero dal collo di Shay e a trovare un compromesso, ovvero che la ragazza avrebbe alloggiato nella stanza del capitano, mentre l'altro se ne sarebbe stato sottocoperta. Carte nautiche e altri oggetti per la navigazione sarebbero rimaste nel suo ufficio, quindi non gli era totalmente precluso entrarci, ma Chevalier stava piantato di fronte alle porte come un cane da guardia, quando la sera Claudette andava a dormire. 

L'uomo le posò le mani sulle spalle, muovendole un po’ come per riscaldarla. Non le dava fastidio, anzi le attenzioni che le riservava, completamente diverse dalle urla e dai commenti piccati che invece rivolgeva a Shay, un po’ la commuovevano. Si erano conosciuti solo un paio di anni prima, quando era venuto a Parigi per degli affari di famiglia. Mireille lo aveva portato in giro per fargli vedere la città, i suoi edifici eterni, le sue chiese imponenti, quando a un tratto nel bel mezzo del mercato un ladruncolo aveva cercato di derubarlo. Per Claudette era stato un gesto meccanico acciuffarlo per la collottola della camicia appena prima che scappasse e inchiodarlo per terra senza problemi. Chevalier ne era rimasto così sorpreso che non aveva smesso per le successive due settimane di lodare le sue qualità, insistendo di portarsela dietro in America per rifocillare le linee della Confraternita coloniale, da poco nata. 

Nei suoi gesti non vi era alcuna malizia o secondi fini, la trattava con affetto esattamente come trattava i suoi figli e lei non poteva che esserne più onorata. 

«Mi raccomando, tenete d’occhio quell’imbecille lì.» disse infine Chevalier indicando con un cenno della testa Shay che stava aiutando qualcuno a caricare l’ultima cassa in stiva. Quando si tirò su, li vide che lo stavano guardando e li salutò con un cenno della mano e un sorriso smagliante sulle labbra. Claudette credette di prendere fuoco in quel momento, mentre Chevalier gli rivolse un gesto volgare. 

«Non preoccupatevi, è innocuo.» lo rassicurò. 

Joseph la guardò scettico. 

«Sì, innocuo, certo. Innocuo come un lupo travestito da pecora, te lo dico io. Attenta, che appena me ne vado, quello riparte alla carica.». 

Claudette gli tirò un colpetto al costato indispettita, mentre l’uomo se la rideva. L'attenzione di entrambi fu catturata da Liam che annunciava la partenza della nave. La ragazza rivolse un ultimo tirato sorriso a Chevalier prima di girarsi e correre a bordo della Morrigan, per poi rintanarsi nella cabina del capitano ad accendersi un fuoco. All'inizio lo aveva guardato un po’ scettica, insomma mettere un camino in una nave fatta di legno non le sembrava una grande idea, ma Shay le aveva detto che non c’era alcun pericolo se fatto nella maniera corretta. Lei si era limitata a non fare ulteriori domande, affidandosi per una volta al capitano. 

Accese il fuoco con mani tremanti senza neanche togliersi la giaccia, piazzandocisi davanti come una statua, sospirando al sollievo del calore sulle dita. Si tolse i guanti a fatica, ritrovandosi davanti le mani di una vecchia con la pelle arrossata e secca. Passò oltre al triste spettacolo per posizionare i palmi vicino al fuoco e far tornare un po’ di sangue in circolazione, quando all’improvviso sentì qualcuno bussare alla sua porta. Si girò appena rispondendo con un “oui?” tremolante. Udì la voce di Shay, giocosa e impertinente alle sue spalle. 

«Madame, ti ho portato la merenda.» disse arrotondando ogni erre e strascicando le vocali finali, per imitare un forzatissimo accento francese. Le spalle di Claudette furono scosse da una risatina leggera, girandosi verso di lui. Si era anche abbassata il cappuccio, quindi i capelli erano un tale disastro, tutti elettrostatici e sparati in direzioni diverse. La ragazza cercò di sistemarseli con le dita, ma finì per peggiorare ancora di più il suo stato, facendoli alzare ancora più in alto. Con le guance rosa e le labbra di un rosso intenso sembrava riscaldare tutto l’ambiente. O forse erano le guance di Shay che stavano andando a fuoco. Anche infreddolita, tremante e con un nido di aquile in testa le sembrava bellissima. 

«Io non parlo in quel modo, Shay! E poi da quando siamo passati al tu? Dovreste darmi del voi. Vengo da una nobile famiglia io!». 

Claudette si finse altezzosa, ma non resse la lungo quella scomoda posizione, tornando accucciata davanti al fuoco. Mai le erano importati i titoli della sua famiglia e di certo non avrebbe iniziato quel giorno. 

«Perdonatemi, Your Majesty! Permettetemi di farmi scusare con dell’ottimo tè!». 

Shay versò il tè portando la teiera in alto mentre versava l’infuso e cimentandosi in un profondo inchino. Finì per fare un disastro, ovviamente. Non si era accorto di aver messo nella tazzina troppo tè, che strabordò e finì sul piattino e sul vassoio inzuppando anche il dolcetto che aveva portato. Al forte e coraggioso capitano della Morrigan scappò un urletto virile mentre tentava di riparare al danno fatto, bruciandosi le dita congelate con l’acqua bollente cercando di asciugare tutto quanto. Claudette si morse le labbra per trattenersi da una risata sguaiata e decisamente troppo poco elegante e si affrettò a dare una mano al ragazzo in difficoltà. 

Dopo che ebbero riparato al danno si sedettero finalmente con il camino alle spalle, le carte nautiche aperte di fronte a loro. Claudette bevve un lungo e rigenerante sorso di tè che sembrò pian piano riscaldarla dall’interno, anche Shay la imitò venendo investito da quel piacevole calore. 

Claudette osservò le carte sparse di fronte a lei con curiosità. Shay già sapeva che era arrivato uno dei suoi momenti preferiti, quello dove la ragazza lo avrebbe sommerso di domande sul mondo della navigazione, della topografia e delle mappe, anzi proprio per quello era venuto lì. Voleva vederle le stelle nei suoi occhi che si illuminavano quando scopriva qualcosa di nuovo, voleva il rossore sulle sue guance quando lo ascoltava attentamente, e, santo cielo, voleva dannatamente tanto quell’adorabile cipiglio buffo che aveva in viso quando non capiva qualcosa. Le si formava una leggera ruga in mezzo alle sopracciglia sottili e portava in avanti quelle labbra così apparentemente morbide come il broncio di una bambina. 

«Non mi hai parlato di River Valley in queste settimane, Shay.» gli disse Claudette rivolgendogli uno sguardo. 

Shay posò il tè sul tavolo, poi si mise a frugare tra le mille mappe e carte che sovrastavano il suo tavolo, finché non trovò una cartina decente. La mise di fronte a loro aperta, mostrando alla ragazza la prossima tappa. River Valley era un posto singolare, con i sui monti immensi e le sue valli vaste, tutte percorse dallo stesso medesimo fiume, che serpeggiava tra le campagne e si attorcigliava su sé stesso formando isole mastodontiche. Ci era già stato diverse volte, la sensazione è totalmente diversa da quella che si ha navigando in mezzo all’oceano, così imprevedibile e tumultuoso da sembrare una bestia indomata. Navigare in un fiume invece era più tranquillo e sereno, non c’erano improvvise tempeste talmente forti da strappare le vele, ma il vento a volte poteva essere un altro tenace avversario. 

«Perché io sono una fonte continua di sorprese, cara mia!» le disse con un occhiolino. Claudette sbuffò leggermente divertita nella sua tazza, in quelle settimane si era abituata a quelle frasette da quattro soldi, che Shay spacciava per corteggiamento. Doveva impegnarsi di più il ragazzo. Posò anche lei la tazza e prese un biscotto, mezzo imbevuto del tè che aveva appena assaggiato, aspettando che il capitano iniziasse la sua prossima lezione. 

«Allora, come vedi River Valley è attraversata da un gigantesco fiume, il quale letto, per fortuna, è abbastanza grande e profondo da permettere alle navi di attraversarlo-» fu interrotto da una domanda di Claudette che si sporse in avanti tracciando con dito il percorso azzurro sulla vecchia cartina. 

«Sul serio? Come fai a far muovere questo bestione in un fiume?». 

Shay ridacchiò prima di rispondere. Adorava il suo entusiasmo. 

«Non è molto difficile in realtà, la cosa che principalmente cambia sono le manovre, che con gli spazi più piccoli possono essere più difficoltose, ma niente di così impossibile se sei bravo a timonare. E poi non tutte le navi riescono a entrare, ad esempio un vascello avrebbe molti ostacoli a navigare per quelle acque, è almeno tre o quattro volte la Morrigan.». 

Si girò a guardarla, mentre lei era ancora concentrata sulla cartina cercando di captare ogni singolo dettaglio. Aveva appoggiato i gomiti al tavolo e si era presa le guance tra le mani, con il labbro inferiore leggermente più proteso in avanti rispetto a quello superiore. Le si avvicinò posando gli avambracci sul legno, le loro spalle che si sfioravano appena. Avrebbe passato così giornate intere. 

«Quindi? Qual è il percorso?» chiese alzando lo sguardo dalle mappe per rivolgerlo a lui. 

«Ci dirigeremo verso est – con le dita guantate tracciò il percorso che avrebbero fatto. - per raggiungere la foce del Saint Lawrence, il fiume che attraversa tutta River Valley. Ci vorranno un paio di settimane per raggiungere Albany, è una città che si affaccia sullo sbocco sul mare, che ci sarà utile per i rifornimenti.». 

Fece una pausa per cercare nella cartina la destinazione dopo la loro prima tappa, ma Claudette si perse a osservarlo per quei pochi secondi. Aveva anche lui le guance rosa e le labbra screpolate, mentre qualche fiocco di neve, ormai sciolto, gli si era impigliato nei capelli e nei baffi, che a volte trovava ridicoli e a volte si chiedeva se le avessero fatto il solletico se lo avesse baciato. Sgranò gli occhi a quel pensiero indecente, nascondendo il suo imbarazzo nel tè ancora bollente, mentre Shay sembrava incurante di quello che ronzava nella testa della ragazza. 

La situazione andava avanti da quando erano partiti da Rockport, ogni volta che Shay era distratto a fare qualcosa lei coglieva l’occasione per perdersi nelle sue fantasticherie. Si immaginava di tuffare le mani in quei capelli castani sempre disordinati e costellati di neve, voleva tracciargli con le dita il profilo del volto, col naso dritto e le labbra provocanti, sia a parole sia alla sola vista. In più, si era resa conto di essere stata completamente fregata, perché se Shay si fosse rivelato il vero stronzo che credeva all’inizio, allora si sarebbe messa l’anima in pace e avrebbe classificato quelle sensazioni come mera attrazione, ma no! Ovviamente, Shay, non solo era bello e aveva il fascino del marinaio avventuriero, doveva anche essere simpatico, aperto, divertente e gentile con lei. Mai le aveva riservato uno sguardo sprezzante o anche solo volgare, come il resto degli uomini che aveva incontrato, mai si era permesso di farle battute sconce e allusive e, soprattutto, mai l’aveva trattata come una bambina incapace. 

Con lui si sentiva una donna adulta, non la faceva sentire scema o inferiore perché non aveva la più pallida idea di come si facesse un nodo gassa d’amante o non sapeva come ci si orientasse di giorno in mezzo al mare. Era sempre stato paziente con lei, insegnandole tutto ciò che voleva imparare senza mai partire prevenuto. 

«Ah, ecco Due Curve! Dopo Albany, torneremo leggermente indietro, giusto un paio di leghe, per seguire l’altro tratto del fiume, che come vedi qui poi si dirama in tre direzioni, a nord, a nord-est e a est. Noi prenderemo la seconda, seguendo il corso del fiume fino a qui.». 

Fu riscossa dai suoi pensieri e puntò gli occhi su dove stava indicando Shay col dito. Era la punta di un piccolo angolo di un’isola molto più grande, sul quale però non c’era assegnato alcun nome, quindi corrugò le sopracciglia confusa. 

«Ma qui non c’è scritto nulla.». 

«Già, perché agli occhi degli inglese Due Curve non esiste, è solo uno spiazzo di terra inutilizzabile.». 

Claudette lo guardò perplessa con la testa leggermente inclinata. Shay seguì la scia dei capelli biondi, un po’ umidi, che cadevano in onde morbide fino al tavolo, poi si sforzò di guardarla in viso per continuare quella piacevole chiacchierata. 

«È un avamposto degli Assassini, lo usiamo come punto d’appoggio.». 

 La donna annuì osservando la cartina usurata di fronte a sé. Il fiume Saint Lawrence sembrava un serpente che cercava di arrotolarsi su sé stesso per mordersi la coda, creando isole, promontori e piccole rientranze. Dai colori che aveva imparato a leggere capì che vi erano per lo più alti monti e dolci colline, con pochi sprazzi di pianura intorno ai letti del fiume. 

«Spero almeno che faccia un po’ più caldo rispetto a qui.» disse pensierosa. 

«Non saranno le Bahamas, ma le temperature sono molto più sopportabili, tranquilla.» la rassicurò Shay poggiandole una mano sulla spalla muovendola appena. 

Claudette non si scostò, anche se si era leggermente irrigidita più per la sorpresa di quel gesto, che per fastidio. Inconsciamente quasi si appoggiò a quella mano forte e calda che le accarezzava la spalla coperta con il pollice in piccoli e gentili cerchi. Si voltò verso il capitano sorridendogli per non sapeva quale motivo, ma si sentiva al sicuro lì, coccolata. Anche Shay rispose al suo sguardo sollevando gli angoli delle labbra, gli occhi riflettevano la luce rossa e calda del fuoco, attirandola verso di lui. 

«SHAY! TI VOGLIONO AL TIMONE!». 

Tutti e due saltarono sulle loro sedie alla voce potente di Liam, che spalancò la porta della cabina trascinando con sé tutto il freddo del Nord. Li colse in flagrante a pochi centimetri di distanza mentre si guardavano languidamente negli occhi, come due lontre innamorate. Non era la prima volta che vedeva quella scena smielosa e, purtroppo, era sicuro che non sarebbe stata l’ultima, ma lui che cosa ci poteva fare? Liam aveva notato che Shay si era dileguato da quando erano salpati, anzi era quasi corso giù in stiva a ordinare al cuoco di fare del tè. Poi si era chiesto confuso da quando Shay bevesse tè, la risposta era arrivata quando lo aveva visto spuntare di nuovo sul ponte con un vassoio in mano che si dirigeva verso la cabina. La stessa cabina dove poco prima Claudette si era rifugiata come un animale spaventato. 

Fucking simp aveva pensato, ma lo aveva lasciato fare. Se avesse osato allungare troppo le mani, c’era Claudette a metterlo al suo posto. O almeno lo sperava. Quando aveva visto la francese completamente assorta nell’osservare quel cavernicolo del suo migliore amico, si era ricreduto. 

Shay si girò verso di lui inviperito. 

«Che cosa c’è?» sibilò a detti stretti, visibilmente irritato nell’essere stato interrotto nel suo momento di contemplazione di Claudette. A Liam non poteva fregare di meno che li avesse interrotti, c’erano dei compiti da svolgere e di certo non avrebbero aspettato che quei due smettessero di fare i piccioncini. La ragazza di contro si era allontanata di un passo e aveva fatto finta di nascondere il suo rossore bevendo una tazza di tè. 

«L’equipaggio ha bisogno di te, vai al timone.». 

«Non puoi farlo tu? Sei il quartiermastro!». 

«Claudette, tappati le orecchie. - Gli faceva comunque un po’ senso dire cose scurrili di fronte a una donna. - Mi si stanno congelando le palle a stare lì fuori a dare direttive al cazzo di vento. Tu conosci la rotta per River Valley meglio di me, oltre ad essere il capitano di questa fottutissima nave, quindi alza quel culo pesante e vai al cazzo di timone, stronzo.». 

La ragazza lo fissava sconvolta per il suo linguaggio e anche un po’ spaventata. Liam, nonostante fosse ricoperto di neve e ghiaccio e tremasse come una foglia, sembrava una grossa orca arrabbiata. Quando vide Shay aprire bocca per replicare, fu tempestiva nell’avvicinarsi a lui per calmarlo posandogli accidentalmente la mano sul dorso della sua. 

«Shay, tranquillo, continueremo questa sera. Vai dall’equipaggio e fai riposare un po’ Liam.». 

Il capitano non sembrava comunque molto contento, ma accontentò lo stesso la ragazza alzandosi dal tavolo e dirigendosi verso la porta. Tirò una spallata a Liam minacciandolo sotto voce di abbandonarlo su un’isola deserta, mentre si chiudeva l’uscio dietro la schiena. Rimasero solo Liam e Claudette da soli a guardarsi imbarazzati, il quartiermastro ancora bloccato all’ingresso, mentre l’altra era ancora ancorata di fronte al camino. Gli fece un sorriso di circostanza. 

«Vuoi del tè caldo?». 

Liam sospirò annuendo, aveva consumato le energie urlando contro il suo migliore amico. Si sedette alla sedia precedentemente occupata da Shay, con la tazzina di tè già pronta davanti a sé. Avrebbe preferito del whisky, ma aveva imparato ad accontentarsi. Con le dita troppo grandi per poter prendere la delicata tazza di ceramica in mano iniziò a sorseggiare piano il liquido caldo, beandosi del calore che sentiva crescere nella pancia. Anche Claudette aveva ripreso a bere, con lo sguardo puntato sulle cartine, ma non gli sfuggì il rossore sulle sue guance. 

Liam sarebbe stato stupido a non ammetterlo: Claudette era davvero una bella donna, oltre ad essere molto sveglia e capace. E proprio perché ne ammirava le qualità che si lasciò sfuggire un commento. 

«Tra tutti, proprio Shay Patrick Cormac. Perché?» chiese fingendosi esasperato. In realtà, si divertiva tantissimo a punzecchiarla. 

Claudette si strozzò con il tè, ma si impose di non sputarlo sulla scrivania, ricoperta di carte preziose, quindi si voltò di lato tossendo. 

«Mêle-toi de tes oignons, fouineur!*» gli rispose tra un respiro e un altro. Liam non riuscì a resistere e scoppiò a ridere. 

*** 

A Due Curve, tre settimane dopo, avevano incontrato Achille, Hope e Kesegowase, che confermarono loro il fatto che i Templari stavano facendo girare ovunque il manoscritto e la scatola in cerca di qualcuno che li decifrasse. Inoltre assecondarono i loro sospetti: Lawrence Washington era il loro prossima bersaglio. Avrebbero dovuto indagare su un pacco che di certo gli sarebbe stato recapitato dal suo maggiordomo, ormai certi di cosa si trattasse. 

«Lawrence Washington è un uomo d’affari, un negriero e un capo Templare. Abbiamo perso le sue tracce un anno fa. Di recente ho saputo che era alle Barbados, ma non ho mai avuto conferme. Ora...». 

«Ora pensi che abbia qualcosa a che fare con il furto dei manufatti, dico bene?». 

Claudette era in poppa, vicino al timone, con Liam e Shay ascoltando distrattamente la loro conversazione. Erano circondati da un banco di nebbia, una lama a doppio taglio per quello che stavano facendo. Stavano seguendo una nave inglese, che li avrebbe condotti a Washington e di certo sarebbero rimasti inosservati, ma cercare una fregata in mezzo a tutte quelle nubi era difficoltoso. Inforcò il cannocchiale guardando nella direzione di una bandiera che sventolava fieramente la Union Jack. Bene, erano ancora dietro alla nave. 

«Io non lo escluderei. Haiti non è lontana dalle Barbados e il suo ritorno alle colonie coincide. Non possiamo permettere che i Templari controllino le colonie. Comunque vada, Lawrence Washington deve morire.» riprese il discorso Liam risoluto. 

Non seppe perché quelle parole le rimbombarono nella testa come una campana. Non era la prima volta che riceveva un ordine simile, ma il tono secco e quasi indifferente di Liam le aveva dato fastidio. Era vero, dovevano fermare i Templari e spesso la morte era l’unico mezzo, però le faceva ribrezzo che alcuni Assassini considerassero le loro vite alla stregua di mosche fastidiose. Shay non commentò, eppure non le passò inosservato il modo in cui aveva stretto il timone tra le dita, come a volersi trattenere dal rispondere. Pensò fosse un caso e riprese a seguire la fregata con il cannocchiale. 

«Shay, c’è un blocco navale, che facciamo?» chiese preoccupata. La Morrigan non sarebbe mai riuscita a passare, anche se si fossero spacciati per un banale peschereccio. 

«Tranquilla, seguirò la nave a piedi. Voi due portate la Morrigan a Mont Vernon, è lì che sono diretti.» disse il capitano lasciando il timone al suo quartiermastro e dirigendosi verso il bompresso. 

Claudette rimase sconvolta da quell’affermazione. Mollò il cannocchiale al primo marinaio che le capitò sotto tiro e lo seguì preoccupata. 

«Da solo? Ma sei impazzito?!» gli urlò dietro. Lui si girò verso di lei, mentre si tirava sul bordo della nave, una cima in mano per saltare a terra. 

«Sì e tu rimarrai qui... se lo vorrai.». 

La donna lo guardò sbalordita, già pronta a uno scontro di male parole con Shay. Evidentemente aveva sottovalutato quel ragazzo. 

«No, io vengo con te! Devo ricordarti chi ti copre le spalle durante i tuoi attacchi improvvisati ai mercantili inglesi?» gli disse con le mani sui fianchi. 

Shay non poteva trovarla più bella di così, con quel broncio divertito sulle labbra rosa e il tramonto che le illuminava gli occhi castani. 

«Allora mi segua, madame!» le urlò mentre si lanciava a terra aggrappato alla cima. 

Poco dopo di lui atterrò anche la ragazza, leggera come un batuffolo di lana che rotola sul pavimento. Corsero dietro la nave, che pigra navigava per le acque del Saint Lawrence, trasportando quello che stavano cercando ormai da mesi. Corsero in totale silenzio in mezzo ai cespugli e agli alberi, finché non arrivarono a destinazione e sotto di loro non si aprì una cittadina. Nella foga del pedinamento, Shay non aveva visto che il sentiero parallelo al corso dell’acqua, finiva in uno strapiombo su un piccolissimo villaggio. Claudette fu pronta ad acciuffarlo per il cappotto, mentre questo rischiava di cadere proprio di fronte al naso di una guardia sotto di loro. La fregata approdò alla banchina, distante da loro un centinaio di metri. 

Mont Vernon non era diverso dai posti che avevano visto lungo il loro viaggio nella River Valley. A destra vi era un molo con qualche pescatore che ritornava a casa dopo la sua giornata al largo, mentre sulla sinistra vi erano poche case. Un sentiero di ciottoli, cosparso di giubbe rosse e persone vestite a festa, si incamminava di fronte a loro fino ad arrivare ai cancelli di quella che doveva essere una grande villa dalla quale provenivano brusii di risate e musica in lontananza. Claudette si soffermò qualche secondo a osservare le guardie sotto di lei e il loro giro di ronda: ce n’era una fissa che dava loro le spalle, mentre un’altra qualche metro più in là faceva sotto e sopra tra il suo compagno e la battigia. Sporgendosi per vedere il molo, notò che in realtà non era molto protetto, magari potevano passare dietro la casa affacciata sulla banchina per nascondersi alle guardie e raggiungere la nave indisturbati. A volte si stupiva dell'idiozia degli inglesi. 

«Shay, caliamo di sotto e ci nascondiamo. Poi...». 

«Non c’è bisogno che mi spieghi. Tu vai, io ti seguo.». 

Non ebbe nemmeno il tempo di guardarlo confusa, che già si era calato il cappuccio bianco sul volto e si era buttato di sotto nascondendosi dietro al carretto a cui una guardia era appoggiata pigramente. Claudette si affacciò dal piccolo dirupo con gli occhi sgranati quasi lanciando fulmini e gesticolando infuriata per mostrargli tutta la sua irritazione. Di risposta Shay le mandò un bacio volante, invitandola a scendere. Lei respirò a fondo per controllare il rossore alle guance e l’istinto omicida che le faceva prudere le mani, poi si calò di sotto anche lei raggiungendo il ragazzo. 

La giubba rossa se ne stava quasi seduta sul carretto, sbadigliando di tanto in tanto guardandosi svogliato attorno, mentre l’altra, decisamente più sveglia e attiva, faceva sotto e sopra. Claudette aspettò che l’altra guardia fosse abbastanza lontana per non farsi vedere, poi si alzò di scatto come un felino e acciuffò da dietro l'uomo vicino a loro, che si stava anche per addormentare. Gli coprì la bocca con una mano e gli avvolse il collo con il braccio quel giusto per stordirlo, poi lo gettò nel carro e si lanciò verso il cespuglio a qualche metro da loro, nascondendovici. Shay la seguì senza fiatare e aspettò insieme a lei che l’altra guardia passasse di fronte a loro indisturbata, poi si fiondarono verso il molo passando dietro che le case che si affacciavano al fiume. 

Percorsero la banchina velocemente fino ad arrivare alla nave. Claudette sbirciò oltre il bordo per vedere se ci fosse qualcuno, ma la nave c’erano solo due guardie, una al timone e l’altra sul ponte. Fece cenno a Shay di aspettarla, poi salì a bordo direttamente dalla poppa e si avvicinò di soppiatto e con passo leggero al timone. La giubba rossa era quasi completamente addormentata, quindi fu facile per lei acciuffarlo da dietro e stordirlo, poi lo fece sdraiare per terra cercando di nasconderlo alla vista dell’altra guardia, che era ancora ignara di tutto. 

Shay la raggiunse, poi insieme si diressero verso il ponte della nave, vicino all’entrata della stiva, dove vi erano delle casse. Lì dovevano per forza trovarsi i manufatti o almeno uno di essi. L'adrenalina le urlava nelle vene così tanto che sentiva le mani sudare, ma ben presto si dovettero scontrare con la dura realtà. Quando sollevarono il coperchio non si ritrovarono di fronte né un manoscritto né una scatola, ma un fucile. 

Claudette si lasciò sfuggire un’imprecazione a labbra strette, mentre era già pronta a chiudere la cassa per andarsene, ma Shay fu veloce ad afferrare il fucile per guardarlo meglio. Dentro inoltre c’erano anche dei piccoli dardi, con la punta sottile e il buffo piumaggio che li caratterizzava. 

«Shay, metti giù quel coso, dobbiamo trovare lo stesso Washington!». 

«Aspetta, magari è qualco-». 

«Ehi! Cosa ci fate voi due qui?». 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 - Blood red roses ***


Agosto 1752, Albany 

Mireille, 

Dagli avvenimenti a Mont Vernon, solo ora riesco a scriverti. Non riesco a smettere di ripensare a Lawrence Washington e alle sue ultime parole. Noi Assassini abbiamo questa strana convinzione, o forse sarebbe meglio dire superbia, di considerarci al di sopra della morte stessa. Ci illudiamo di renderci insensibili al suo tocco o alla sua vista, quando in realtà non è così. Siamo mortali tanto quanto le persone che uccidiamo, solo che nella maggior parte dei casi ci ritroviamo dalla parte del manico, non della lama. Fortuna è la nostra, nient’altro. 

Mentor, non so perché questa missione mi sia rimasta particolarmente impressa. Forse per la nostra fuga roccambolesca, forse per le condizioni in cui Washington versava oppure... è inutile che mi riempia di domande: ormai è fatta. Rimuginarci sopra non laverà via il sangue di Lawrence dalle nostre mani né lo riporterà in vita. 

L'unico dubbio che mi permetto di avere riguarda il fratello minore, George. Lawrence aveva una corrispondenza attiva con il Gran Maestro del Rito Britannico, Reginald Birch, ed era un membro attivo all’interno dell’Ordine. Non vorrei che i Templari sfruttassero il dolore per la perdita del fratello per portare dalla loro parte George. Tuttavia, mi rendo conto che è inevitabile, perché succede sempre così: una fazione uccide un membro dell’altra, creando inconsciamente abbastanza astio nelle persone care di quella persona da portarle a unirsi a una causa. Succedeva nel quindicesimo secolo con Ezio Auditore da Firenze, non vedo perché non dovrebbe succedere anche ai tempi nostri. 

Questa lettera non vuole solo essere uno sfogo, ma anche una richiesta di aiuto. Non so a chi altro chiedere se non a voi, Mentor. Vorrei che teneste d’occhio sir Reginald Birch, per quanto vi è possibile. So che ha un castello in Francia, a Troyes, dove si reca spesso. Riferitemi qualsiasi cosa degna di nota, anche sul quel suo aguzzino preferito, Haytham Kenway. Sappiamo fin troppo bene che si lascia dietro una striscia di sangue ovunque vada, quindi prestate attenzione. Non è un uomo da prendere sotto gamba. 

Grazie mille in anticipo e salutatemi tutti, 

Claudette Dubois. 

 

*** 

 

Non si erano accorti che la giubba rossa si era voltata notandoli in piedi nel bel mezzo del ponte della nave e si era avvicinata. Per la sorpresa saltarono tutti e due in aria, Claudette era già pronta con le lame celate, ma Shay attivò per sbaglio il fucile, che diversamente dagli altri non scoppiò, emise un piccolissimo sibilo mentre sparava e la guardia di fronte a loro crollò a terra addormentata. 

Rimasero tutti e due sorpresi, decidendo in silenzio che avrebbero accettato quel gentile regalo della marina inglese. Shay richiuse la cassa posizionandosi il fucile ad aria compressa sulla schiena, mentre Claudette scendeva dalla nave e si nascondeva nel cespuglio più vicino, raggiunta dal ragazzo poco dopo. 

«Allora, che facciamo adesso?». 

Claudette si guardò attorno, mordicchiandosi le labbra per sfogare l’adrenalina che le urlava nelle orecchie di mettersi a correre. In quel momento doveva evitare il più possibile di farsi vedere dalle guardie. Vide di fronte a lei uno sciame di persone seguire il piccolo sentiero che conduceva a una grande villa, dove di certo quella volta avrebbero trovato il loro bersaglio. 

«Ci nascondiamo nella massa e raggiungiamo la villa. Troviamo Washington, lo uccidiamo e poi scappiamo via.». 

«E le giubbe rosse?». 

Maledizione, c’era una vedetta su una delle case che era proprio in mezzo tra il sentiero affollato e dove si trovavano loro. Non potevano passare dal retro perché c’erano altre guardie, né potevano azzardarsi di farsi vedere camminando sopra i tetti. 

«Spara un altro dardo alla guardia, così si addormenta e noi corriamo.». 

Shay annuì senza replicare, imbracciò il fucile e sparò un colpo silenzioso alla guardia, che, invece di crollare addormentata, fu travolta da un’energia incredibile e si voltò per sparare ai suoi compagni di sotto. Altre giubbe rosse si affrettarono a raggiungere il pazzo che continuava a colpire chiunque gli capitasse a tiro, ma a Claudette non importava, il diversivo era perfetto. Scattò fuori dal cespuglio per raggiungere la massa di persone che saliva verso la festa in una nuvola di profumi, chiacchiere e risate. Shay e Claudette riuscirono a passare inosservati fino ai cancelli della villa, poi si staccarono dalla massa per raggiungere la parte alta di una collina che si affacciava al giardino per osservare la disposizione delle guardie. 

Non ce n’erano molte, quindi si calarono dalle mura per nascondersi tra i cespugli e raggiungere un piccolo terrazzo nel quale erano radunati quattro uomini: un afroamericano con un paio di improbabili occhiali dalle lenti aranciate, due uomini con quell’orrenda parrucca bianca e coi boccoli e l’ultimo era seduto, respirando a fatica e tutto ingobbito verso il tavolo. D'istinto, fermò la loro avanzata e si mise ad ascoltare. 

«Signor Smith, state per intraprendere il viaggio?» l’uomo seduto si rivolse con voce fiacca a un ometto alla sua destra, basso e tarchiato. 

«Sì, signor Washington. Tornerò con le risposte.». 

Il cuore prese a martellarle nelle orecchie a quel nome, poi sentì un improvviso gelo ghiacciale le ossa. Quell'uomo malato e rachitico era il loro bersaglio? Era svaccato sulla sedia, come se gli costassero grandi energie anche solo stare seduto, e si rivolgeva ai suoi sottoposti con voce rauca, malata. Lanciò uno sguardo a Shay, nei cui occhi lesse lo stesso sgomento. Era un Templare, certo, e andava fermato, ma la morte era davvero così necessaria? 

Il bersaglio poi guardò di fronte a sé rivolgendosi all’altro uomo con la parrucca, più slanciato rispetto all’altro. 

«Signor Wardrop, siete coinvolto anche voi dal manoscritto?». 

«Signorsì, ne scopriremo il senso.». 

«E allora vi prego di andare.». 

Appena i tre uomini se ne andarono, Washington fu scosso da un grosso colpo di tosse che lo fece piegare in due, attirando l’attenzione di alcune giubbe rosse, che gli facevano da scorta. Dopo aver bevuto un lungo sorso di vino, si alzò per parlare con i suoi ospiti barcollando. Claudette strinse i denti a quella scena raccapricciante, non le piace per nulla l’idea di uccidere un uomo con già un piede nella tomba. 

«Washington non riesce nemmeno a reggersi in piedi. Sarà meglio che Liam abbia ragione, perché stiamo per uccidere un moribondo.». 

Le parole di Shay furono come un’ascia che cala dall’alto spaccando in due il tronco. La verità faceva male e aveva un sapore amaro in bocca. 

«Stai zitto ed esegui gli ordini.» lo rabbonì con voce fredda alzandosi per avvicinarsi al suo bersaglio. Neanche a lei andava bene, non le andava per nulla bene, ma era stato dato loro un ordine e quello avrebbe fatto senza fiatare. Si fidava, anzi doveva fidarsi di Achille per prima se voleva che poi il Mentore ricambiasse. 

La villa, oltre ad avere un immenso giardino ricco di piante e fiori, aveva anche un piccolo chiostro, dove vi erano radunate tutte le persone in festa tra musica e buon cibo. Washington passava tra gli ospiti cercando di restare dritto sulla schiena, ma ci riusciva per pochi secondi, e conversava con poche e cortesi parole, seguito da tre giubbe rosse che gli facevano da scorta. Claudette analizzò per bene lo spiazzo: c’erano vedette con fucili in mano sopra il tetto dell’edificio e ognuna delle quattro uscite aveva una coppia di guardie, mentre le persone erano sparse in giro a gruppetti di otto o dieci persone, tutte concentrate a parlottare tra loro godendosi il vino. 

Washington faceva il giro del cortile, passando da un gruppetto all’altro, quindi l’arma da utilizzare era solo una, la pazienza. Attese che il bersaglio facesse il suo giro con passo zoppo e, quando arrivò al penultimo gruppetto, mise in atto il suo piano. Disse a Shay di nascondere il fucile nella giacca, mentre lei tramortiva la guardia di fronte all’entrata più vicina, poi entrò nella festa di soppiatto camuffandosi con il ragazzo nell’ultimo gruppo dal quale sarebbe passato il loro bersaglio. Passarono inosservati perché gli ospiti chiacchieravano tra di loro annebbiati dall’alcool e dal cibo, ignari del caos che presto sarebbe esploso. 

Agli occhi di Claudette passò tutto al rallentatore: Washington che si avvicinava a loro, Shay che estraeva la lama celata e lo pugnalava in pieno petto, mentre lei stordiva le guardie. Tutto intorno a loro esplose in una cacofonia di urla spaventate, piatti e bicchieri rotti e ordini lanciati a piena voce. Shay era impiegato a strappare di bocca le ultime confessioni di Washington, mentre lei era occupata a tenere a bada le guardie che tentavano di avvicinarsi. 

«E poi... attirandovi qui, ho dato tempo ai miei di fuggire. Grazie per aver abbreviato la mia fine.». 

Le parole di quell’uomo ormai morto furono un pugnale congelato nel suo petto. Era un diversivo, anzi una trappola per loro. Il terreno tremò sotto i loro piedi, quando sentirono dei boati provenire dal fiume. Shay si tirò subito in piedi, cercando di scorgere la Morrigan tra gli alberi che coprivano loro la vista dell’acqua e sbiancò quando vide delle navi inglesi circondare la Morrigan. 

«Cos’è, un mortaio, quello? Ehi, così non vale!». 

A Claudette non passò nemmeno per la testa di chiedere cosa fosse un mortaio, di certo non lanciavano striscioni colorati e coriandoli, quindi iniziò a correre per raggiungere la nave il prima possibile, seguita da Shay dietro di lei. Spintonò degli ospiti che correvano in giro in preda al panico, atterrò le guardie che cercarono di fermarli fino ad arrivare a degli scogli che si estendevano dalla terra ferma per inoltrarsi nel mare. Mai lodò così tanto l’astuzia di Liam, che invece di attraccare al molo, aveva posizionato la nave alla fine della scogliera. A loro due bastava solo correre dritto e sarebbero arrivato alla poppa della Morrigan in pochissimo, proprio dietro il timone. 

Claudette si lanciò di nuovo a correre a perdifiato, con Shay che iniziava a urlare ordini all’equipaggio. Tutto intorno a loro era una cacofonia di grida, scoppi, cigolii inquietanti delle navi che venivano colpiti dai cannoni della Morrigan che tentava di difendersi. Una volta raggiunta la nave Shay prese il comando del timone e incitò la ciurma a spiegare tutte le vele per fuggire via. Claudette si aggrappò al corrimano delle scale, incapace di fare nulla se non tremare dalla testa ai piedi, mentre tutti i suoi sensi venivano sconvolti dai colpi di cannone e dai terrificanti mortai. La nave venne sbalzata in avanti dal vento, per una volta dalla loro parte, fuggendo lontano da Mont Vernon. Per la ragazza fu infinito il tempo che impiegarono a far perdere le loro tracce, sballottata tra il rinculo dei loro cannoni e i colpi di mortaio facevano tremare tutta la nave. 

Quando tutto si fu calmato si girò ansante verso Shay, rosso in viso per aver urlato ininterrottamente per quasi un’ora. Per la prima volta da quando lo conosceva lo vide serio, stringeva tra le dita il timone frustrato, però nel momento in cui la guardò parve scomparire ogni traccia di dubbio dai suoi occhi. 

Non avevano ancora la scatola, né tanto meno il manoscritto. 

Avevano appena ucciso un uomo che era già prossimo alla morte. 

Claudette non poteva immaginare che una punta di ghiaccio si fosse formata nel cuore di Shay, la prima di tante. 

*** 

«Mi sembri deluso.». 

Oh no, non sono deluso. Sono arrabbiato. 

Questo Shay però a Liam non poteva dirlo. Colmo com’era di Credo e fedeltà per la Confraternita, mai sarebbe stato in grado di capirlo. Non che lui non credesse nella causa e non fosse fedele, per l’amor del Cielo no! Era che a volte qualche filo di dubbio gli pizzicava l’orecchio, facendolo infastidire. Strinse tra le dita il timone mentre finalmente la Morrigan navigava in acque tranquille. 

Gli scontri in mare aperto permettono qualsiasi tipo di manovra, ma cercare di scappare da una fregata inglese che tenta di affondarti in un fiume era tutta un’altra faccenda. Non riusciva a posizionare la Morrigan nel modo in cui voleva lui, perché altrimenti sarebbe andato a sbattere contro le scogliere o peggio, si sarebbe incagliato da qualche parte e sarebbe diventato un bersaglio fin troppo comodo per i suoi avversari. Quindi aveva optato per la semplice e comoda fuga, destreggiandosi nel labirinto che era River Valley. Non si era nemmeno curato di dove stessero andando, scappando alla cieca, ma al momento non era preoccupato. L'indomani mattina avrebbero capito dov’erano. 

«Hai visto anche tu come era ridotto, sarebbe comunque morto entro un mese. E altri due Templari sono fuggiti: stanno cercando il manoscritto e la scatola.» disse Shay, stanco. 

«Ma avevano i manufatti.». 

Cazzo, ma mi lasci in pace? Non possiamo parlarne domani? 

Shay aveva la testa che girava. Dopo l’adrenalina dell’assassinio e della fuga, si era ritrovato il corpo pesante come marmo, lento come se stesse attraversando della gelatina. Davanti ai suoi occhi continuavano a comparire macchiette nere e grigie, facendogli battere le palpebre per scacciarle. Come avrebbe voluto ritirarsi a dormire, persino in quella minuscola brandina sottocoperta. 

Teneva a Liam come a un fratello, ma a volte il suo comportamento fin troppo responsabile e petulante lo portava a un forte desiderio di volerlo gettare giù dalla nave. Dopo che il mondo si capovolse improvvisamente e si raddrizzò di colpo, Shay rispose un po’ confuso. 

«Non lo so... forse... non ne sono certo.». 

«Allora hai fatto la cosa giusta per la Confraternita. Cercheremo dopo gli oggetti. Su col morale, Shay: abbiamo messo i bastoni tra le ruote ai Templari.». 

Ma quanto deve piacerti il suono della tua voce per parlare così tanto? 

Shay non era in vena di chiacchiere, tanto meno con Liam, sempre col chiodo fisso sulla Confraternita e sulle loro missioni. Non si era mai chiesto se quello che facevano era giusto? Mai si era domandato se uccidere un uomo moribondo davvero significava ostacolare i Templari? Non riusciva a togliersi dalla testa l’immagine di Washington che si trascinava tra gli invitati zoppicando, con l’andatura di un uomo che avrebbe dovuto avere il doppio della sua età. 

Grazie per aver abbreviato la mia fine. 

Da quando erano usciti dallo scontro, solo quello sentiva rimbombargli nella testa, come un monito. Strinse i denti, mentre un moto di nervosismo lo scuoteva da capo a piedi. Non sapeva nemmeno lui per cosa fosse irritato o con chi fosse incazzato. Con Liam che continuava a blaterare frasi patriotiche? Con Achille e il suo ordine? Con sé stesso per averlo eseguito senza neanche fermarsi a riflettere se non quando aveva già la lama celata insanguinata? 

Da quando si era unito agli Assassini, in realtà anche prima, il sangue non gli faceva così tanto effetto, ma quello che ora sentiva impregnargli la manica e insozzargli la lama sembrava più pesante rispetto agli altri. Gli faceva venire i brividi il contatto con la sua pelle, tant’è che sentiva il bisogno di strofinarsi l’avambraccio fino a far sparire ogni singola goccia. 

Sentì una mano calda posarsi sulla sua, ancorata al timone come se ne valesse della sua stessa vita. Come se si fosse aggrappato a quello per evitare di affogare. E un po’ si sentiva un naufrago in mezzo a quei pensieri soffocanti. Non ebbe neanche bisogno di girarsi, sapeva già chi fosse. 

«Ma da quel che diceva Washington, non mi sembravano troppo preoccupato dalla perdita.» disse Claudette. 

«È ciò che voleva farti credere.» rispose Liam facendo alzare gli occhi al cielo a Shay. 

Che risposta di merda. 

Era notte, era come se avessero lanciato una secchiata di bianco su un quadro interamente blu, quasi nero. Senza neanche accorgersene aveva già individuato la stella polare, calcolando che si stavano dirigendo verso nord. Se il vento continuava a soffiare in loro favore, forse il giorno dopo sarebbero stati nei pressi di Black Ridge. 

«Liam, io e Shay siamo molto stanchi. Potresti prendere tu il controllo della nave?». 

Liam annuì senza rispondere, mentre Shay veniva pian piano strascinato via dal timone. Si sentiva una bambola di pezza, con le braccia pesanti e molli ai fianchi. Le sentiva doloranti, dopo aver passato non sapeva quanto tempo a girare il timone, mentre la nave veniva scossa dai cannoni e dai mortai, il tutto urlando a squarciagola ordini al suo equipaggio e insulti a quei bastardi degli inglesi. Si fece condurre docilmente da Claudette fino alla cabina del capitano, senza fare storie, e si sedette al tavolo obbediente, mentre la ragazza iniziava a trafficare con il camino. 

Aveva la testa finalmente vuota, nessuna voce di morti che gli sussurravano le loro ultime parole come una litania, non la voce fastidiosa di Liam che si congratulava con lui per aver ucciso un uomo, non c’erano nemmeno più il fruscio delle onde. Si strofinò il viso con le mani, che lasciò lì a coprirgli gli occhi, con i gomiti appoggiati alla scrivania, sempre sommersa di carte e strumenti per la navigazione. Da quando Claudette dormiva lì, c’erano anche un paio di libri. 

Ancora con gli occhi chiusi, udì un rumore metallico, come di padelle che cozzavano tra loro, ma nient’altro, neanche Claudette aveva emesso un solo suono da quando si erano allontanati dal timone. Non si era nemmeno curato di assicurarsi che stesse bene e non lo avrebbe di certo fatto ora, che si sentiva stanco come non gli era mai capitato. Le braccia erano insensibili, pesanti come zavorre attaccate alle sue spalle, si sentiva le gambe tremanti e deboli, mentre la testa pulsava senza dargli tregua. 

Rimasero in silenzio ancora per qualche minuto, mentre da fuori giungevano le voci dei marinai che iniziavano a sistemare la nave per quel che riuscivano a vedere con quel buio. Quando si tolse le mani dal viso, piccole macchiette nere gli danzarono di fronte per qualche istante, mentre sentiva vicino a sé il gorgoglio dell’acqua che veniva versata in tazzine di ceramica. Gli arrivò al naso un odore dolce e delicato, che gli ricordava i fiori di campo che invadevano le periferie di New York, dove si potevano ancora scorgere i prati che circondavano le fattorie. Si girò verso Claudette quando questa si sedette accanto a lui con un sospiro. Gli porse la sua tazza di qualsiasi cosa ci avesse infilato, guadagnandosi uno sguardo scettico e un sopracciglio sospettoso arcuato. 

«È solo camomilla, Shay. ». 

Il ragazzo sbuffò, afferrando il delicato manico della tazzina, troppo piccolo e sottile per le sue dita callose e rudi. 

«Sinceramente, avrei preferito una bottiglia di whiskey in questo momento.». 

Si portò alle labbra la bevanda attento a non scottarsi, mentre Claudette chiuse solo le mani a coppa attorno alla tazza, in cerca di calore. Si sentiva ancora scombussolata dallo scontro, dagli scossoni e dai tremori della nave mentre veniva bombardata. Aveva le mani rosse e infreddolite per l’essersi aggrappata a qualsiasi cosa pur di non venire sbalzata fuori dalla nave. Cime, balaustre, alberi, persino un gradino quando una cannonata più potente delle altre le aveva fatto tremare così tanto le gambe che avevano ceduto. Sentiva la testa che girava e doveva sforzarsi di tenere gli occhi aperti, sebbene avrebbe solo voluto stendersi e dormire per due giorni. 

Prima però doveva parlare con Shay, le era sembrato così strano. Aveva ascoltato la conversazione con Liam e non aveva potuto non notare la smorfia di fastidio sulla bocca del ragazzo. Alla fine, era intervenuta perché aveva paura che lo colpisse. Ora però non sapeva che fare, aveva preparato una camomilla veloce come faceva Mirelle quando la vedeva giù di morale, ma cos’altro? Si strinse le spalle, osservando Shay, che aveva ancora la tazzina a mezz’aria e che guardava di fronte a sé assorto. Aveva una macchia di sangue sulla guancia, a quel dettaglio sentì le ossa gelarsi. Le mani erano tornate fredde, nemmeno il calore dell’acqua calda riusciva a scongelarla. 

Non era il primo assassinio a cui assisteva, non sarebbe stato nemmeno l’ultimo. Era... uno dei tanti, una insignificante goccia di sangue nella scia che si sarebbe portata dietro lungo il cammino di brutale giustizia che aveva scelto. 

Ciò però non significava che qualcosa non l’avesse scossa e non era l’unica in quella situazione, anche Shay sembrava esserne sconvolto. 

Quasi saltò in aria quando il ragazzo affianco a lei posò con un rumore secco la tazzina sul tavolo e si tolse i guanti macchiati di sangue con stizza, un gesto nervoso delle dita che quasi fecero volare via l’indumento per la fretta e la forza impressi in quel gesto. Si abbassò le maniche del cappotto per sganciare le cinghie che tenevano le lame celate attaccate agli avambracci, il rosso vivo che le macchiava sembrava risplendere. Shay poi si alzò e si diresse verso la sua toeletta, senza dire una parola o chiederle alcun permesso, versò dell’acqua nella bacinella che usava per lavarsi e iniziò a strofinarsi le mani col sapone. 

Claudette era rimasta in silenzio tutto il tempo, interdetta e indecisa su cosa fare. L’espressione di Shay mentre si muoveva meccanicamente non trapelava nulla, ma il modo rigido e frettoloso con cui si muoveva, le mani che tremavano comunicavano altro. Era agitato, confuso forse, arrabbiato credeva. Non aveva il lusso di conoscerlo così bene da riuscire a leggere subito i suoi comportamenti, magari era il caso di chiamare Liam... 

Ripensando però al breve scambio che i due avevano avuto, l’espressione apatica di Shay, ma dal modo in cui stringeva tra le mani il timone, come se stesse cercando di reprimersi, forse non era una grande idea. Si morse le labbra, mentre Shay immergeva per la terza volta le mani nel catino e riprendeva a strofinarle con il sapone creando schiuma su schiuma. Passava la saponetta su ogni centimetro di pelle, lungo tutte le falangi, tra le dita, sul palmo, il dorso fino ad arrivare al gomito poi strofinava tutto con forza, quasi rabbia. Dallo specchio poteva vedere le sopracciglia aggrottate, le labbra strette in una linea sottile e dura, le guance scavate, perché se le stava mordendo per impedirsi di urlare. 

Claudette deglutì, poi imitò anche lei il ragazzo. Si sfilò i guanti tirando ogni dito, li mise piegati di fronte a sé, poi passò a slacciarsi le cinghie che tenevano ferma la lama sul suo braccio. Al contrario di Shay, le sue erano immacolate. Si arrotolò le maniche, mentre si alzava e si avvicinava al ragazzo, incredula di quello che stava facendo. Nel frattempo, Shay aveva di nuovo immerso le mani, ormai pulite, riprendendo a sfregarle con la saponetta. 

Mignolo, anulare, medio, indice, pollice, dorso, unghie, in mezzo alle dita, dorso, palmo, polso, avambraccio, mignolo, anulare, medio, indice, pollice, dorso, unghie, in mezzo alle dita, dorso, palmo, polso, avambraccio, mignolo, anulare, medio, indice, pollice, dorso, unghie, in mezzo alle dita, dorso, palmo, polso, avambraccio- 

La prima cosa che sentì fu la mano tiepida di Claudette posarsi sulla sua schiena, esattamente al centro della sua spina dorsale, poco sotto le scapole. La sentì muovere delicatamente il pollice, come a riscaldarlo, poi gli tolse la saponetta tra le mani e la mise da parte. Shay non aveva il coraggio di alzare lo sguardo, di guardarla in faccia, altrimenti sarebbe crollato. Si sentiva sulla cima di un precipizio, solo che alla fine non ci sarebbe stato alcun atterraggio sicuro, solo fredda e ghiacciata acqua. Si limitò a fissarsi le mani inorridito, come aveva fatto per il resto del tempo. Le sentiva sporche, sudicie, viscide, mai si era sentito così. 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 - The maid of Amsterdam ***


Dicembre 1752, Boston 

Chère sœur, 

Félicitations per il tuo matrimonio, Estelle! Mi spiace molto non essere potuta venire, mi sarebbe piaciuto incontrare tuo marito, ma dalle tue lettere e da quelle di mamma sembra essere un uomo affascinante e che di certo saprà prendersi cura di te. 

Ferma quella penna! So già come mi stai per chiedere, petite commère, o meglio di chi... inoltre sento il bisogno di parlarne con qualcuno! Con Shay va tutto a gonfie vele, per usare una immagine calzante. Lui è così diverso dalla prima impressione che mi ero fatta, certo continua a fare il bambino quando si tratta di attirare la mia attenzione con le sue solite battutine oppure gli piace tormentare Liam con i suoi sproloqui, ma è così gentile, divertente, premuroso, disponibile! Non è come gli altri uomini che ho incontrato, che, sebbene abbiano sempre avuto buone intenzioni, mi hanno sempre fatto sentire inferiore o che mi hanno trattato come una bambola di vetro. Anche quando lo riempio di domande, non mi guarda mai dall’alto verso il basso, ma mi sorride e mi spiega le cose così come le vede lui, senza cercare di semplificarmi le cose. Ascolta ciò che ho da dire e mi contraddice esattamente come se stesse parlando con Liam, non cerca di indorarmi la pillola o di darmi a prescindere ragione. Per la prima volta in vita mia, è lui che quasi mi spintona in prima linea, non perché sia un fifone, ma perché sa che io so fare le cose e che posso farle meglio di lui. Non mi tratta come una bambina, finalmente ho qualcuno affianco che mi tratta come una donna, come un’Assassina esperta e non l’ennesima novellina che va lasciata indietro. 

Non so cosa io provi per Shay, se semplice amicizia, gratitudine o qualcosa di più profondo, ma è la cosa più bella che abbia e che mi porterò per sempre nel cuore. 

Questa è decisamente la lettera più lunga che ti abbia mai scritto! Smetto di tediarti e ti lascio al tuo amato marito e alla vostra luna di miele. Spero di avere dei nipotini quando tornerò a farvi visita a Parigi! 

Bises à tout le monde, 

La tua cara sorella Claudette. 

 

*** 

 

Grazie per aver abbreviato la mia fine. 

Nella testa di Shay era una macabra ninna nanna che continuava a ripetersi senza mai smettere, senza mai dargli pace. E ogni volta che ripartiva sentiva sempre più il bisogno di lavarsi le mani, di passare il sapone su ogni centimetro di pelle a contatto col sangue di Washington anche se ormai non ne rimaneva più traccia, di scartavetrarsi la pelle fino a farla arrossire pur di non udire più quella voce roca e tremolante, piena di sangue. Deglutì e gli tremarono le mani, mentre il Templare continuava a perseguitarlo come un fantasma, reprimendo l’istinto di scrollarsi di dosso la donna e lo sguardo dolce e comprensivo che di certo aveva in quel momento per rincominciare a lavarsi ancora e ancora, finché la voce non avrebbe finalmente smesso di parlare. 

Tutto tacque, finalmente, quando Claudette gli prese le mani delicatamente, come se stesse reggendo un fiore. Rimase fermo a guardare le mani della donna, più sottili ed eleganti rispetto alle sue, ruvide e piene di calli. Con la destra, che prima gli aveva posato sulla schiena, gli reggeva le mani stringendole appena in una morsa ferma e sicura, ma gentile, mentre con la sinistra rovistava in un cassetto alla ricerca di un panno. Una volta trovato, prese a tamponargli le mani con delicatezza seguendo lo stesso percorso che aveva seguito lui poco prima. 

Mignolo, anulare, medio, indice, pollice, dorso, unghie, in mezzo alle dita, dorso, palmo, polso, avambraccio. 

Claudette non disse una parola e Shay non aveva il coraggio di dare voce ai suoi pensieri. Chiunque lo avrebbe preso per pazzo, lo avrebbe denunciato ad Achille puntandogli il dito contro. Non resistette a lungo a capire cosa invece stesse pensando la ragazza di fronte a sé e così alzò lo sguardo. Claudette era concentrata in quello che stava facendo, le palpebre erano socchiuse e le labbra rilassate, niente comunicava disprezzo o pietà. Aveva la fronte leggermente aggrottata, come se si stesse svolgendo una tempesta nella sua testa. Lo sguardo di Shay scivolò sulle sopracciglia, sottili e leggermente increspate, scese lungo il naso dritto fino all’arco di Cupido delle sue labbra. Notò che sporgeva leggermente il labbro inferiore, in un piccolo broncio che riscaldò Shay meglio di un camino. 

Claudette era consapevole degli occhi di lui su di lei e in altre occasioni lo avrebbe considerato un oltraggio. Se fosse stata in Francia, se fosse ancora costretta a indossare gli abiti stretti e scomodi della nobildonna, lo avrebbe ripreso indignata. Non lo fece però. Si limitò a continuare ad asciugare le mani di Shay con il panno, godendosi la sensazione delle sue dita che gli accarezzavano la pelle. Una bambinata ecco cos’era. Gli stava solo toccando le mani e sentiva i polpastrelli formicolare. Lo riteneva un gesto intimo, forse troppo per come si conoscevano, ma non lo sentiva fuori luogo e nemmeno Shay a quanto pare. 

Dopo essersi assicurata che le mani fossero asciutte e ben pulite, immerse una piccola porzione del panno nella bacinella. Alzò finalmente lo sguardo, ma senza riuscire a guardarlo negli occhi, posati sulla piccola macchietta rossa vicina sulla guancia, che strofinò delicatamente per lavarla via. Il contatto tra le loro mani non si ruppe mai, tant’è che Shay si ritrovò a stringere la mano destra di Claudette tra le sue quasi inglobandola del tutto. Abbassò lo sguardo perdendosi ad analizzare le dita sottili e affusolate della ragazza, così poco adatte all’omicidio e al sangue. Le girò la mano con il palmo verso l’altro accarezzandolo con il pollice e perdendosi ad osservare le piccolissime cicatrici cosparse su di esso come stelle. Tracciò con le dita le linee, seguendole con l’indice, chiedendosi se davvero fossero in grado di prevedere il futuro come gli aveva detto una sciamana a New York e, se davvero fosse così, cosa stessero dicendo. 

Vide anche dei piccoli calli sulla punta delle dita e nella sua testa tornò a galla una domanda che avrebbe voluto fargli tempo addietro. 

«Suoni qualche strumento?» disse alzando lo sguardo su di lei. 

Claudette aveva finito e stava posando il panno sulla toeletta, si girò verso di lui sorpresa. Non si aspettava questa domanda. 

«Sì, ho preso lezioni di violino. Perché me lo chiedi?». 

Shay sollevò la mano di Claudette con una delicatezza che non gli apparteneva e indico i calli sulle dita, come un bambino curioso. 

«Non hai le mani di un Assassino, ma quelle di un musicista.». 

Claudette alzò le sopracciglia sorpresa. Sentì anche un punteruolo infilzarsi nel suo petto, si umettò le labbra prima di parlare di nuovo. 

«E che mani avrebbe un Assassino?». 

Shay prese un grosso respiro, un groppo alla gola, che sembrava come se tutta l’aria che respirava si tramutasse in un sasso. Riportò lo sguardo alle loro mani, alle quali aveva aggiunto anche quella sinistra, che aveva girato osservandone il palmo liscio, sempre con gli stessi calli e le stesse cicatrici. Si perse a percorrere con le dita tutte e cinque le falangi come se stesse accarezzando delle piume. 

«Shay?». 

Non alzò lo sguardo, si limitò a rispondere senza guardarla. 

«Rosse. Le mani di un Assassino sono rosse come il sangue degli innocenti dal quale ci impegniamo a tenere le lame lontane. Come anche quello dei moribondi dei quali non ci curiamo di uccidere senza alcun rimorso. E anche sporche, sono sporche le mani... le mie mani.». 

Claudette rimase sorpresa, increspando le sopracciglia. Se solo sapesse quanto si sbagliava quel ragazzo, fin troppo buono per quel mondo. Strinse le labbra indecisa se raccontargli una cosa, un avvenimento che l’aveva lasciata sconvolta e delusa come lo era anche lui in quel momento. Al solo ricordo il cuore prese a correrle nel petto, sentiva le tempie invase da un calore di vergogna e rabbia che la stordirono per qualche secondo. Non aveva mai parlato dei suoi dubbi con nessuno, mai. A Parigi non erano accettate le critiche, i pareri degli Assassini, tutto quello che bisognava fare era eseguire gli ordini senza mai permettersi di alzare la testa. “Zitta ed esegui” questo le avevano sempre ripetuto i Maestri Assassini. 

Strinse la mani di Shay per farsi coraggio, aggrappandosi a lui per non farsi travolgere da una tempesta di emozioni incontrollabili. 

«Avevo 18 anni, ero entrata da poco nella Confraternita. Mi affidarono un compito: intrufolarmi in una festa, trovare un politico che ci stava ostacolando e ucciderlo. Non era nulla che non avessi già fatto e, anche se ero da sola, mi era già capitato di svolgere missioni in solitaria, era tutto nella norma. Arriva il giorno della festa, dopo aver passato una settimana a fare ricerche su quest’uomo, alleato dei Templari, un senzapalle che non aveva il coraggio di unirsi a loro definitivamente. Scopro, tra le altre cose, che era un padre di famiglia, aveva un figlio e una figlia per l’esattezza, ma la cosa non mi toccò minimamente. Non mi ero documentata molto sulla sua vita privata, sarebbe stata una perdita di tempo. 

«Arriva il giorno della festa e io non ho neanche bisogno di intrufolarmi, anche la mia famiglia era stata invitata, perché era stata fatta per celebrare il matrimonio di una importante casata. Mi ritrovai a tavolo con lui e il figlio, un giovanotto di 13 anni. Avevo deciso che avrei aspettato la fine della festa per uccidere, avrei attirato troppa attenzione assassinandolo nel bel mezzo dei festeggiamenti, così mi ritrovai a conversare con lui. Non ho mai incontrato una persona talmente deliziosa, acuta e intelligente come quell’uomo. Attento ai bisogni dei francesi, anche se con mezzi opinabili lui metteva al primo posto le esigenze altrui e non il proprio successo. Parlammo molto dalla situazione politica in Europa con la guerra di successione austriaca da poco iniziata alla famiglia, persino di letteratura. Il figlio partecipava, guardando il padre con occhi pieni di ammirazione. Si vedeva che era anche un buon padre. Eppure lo feci. 

«Dopo esserci salutati, io lo pedinai di soppiatto. Era da solo in giardino a fumarsi un sigaro e a sorseggiare il vino, era di spalle rispetto a dove stavo io. Quando... – si bloccò come se le avessero risucchiato il respiro dalle labbra con violenza, sentì il pollice di Shay accarezzarle il palmo con delicatezza. – Dicevo, quando ho deciso di agire, ho cercato di rendere la sua morte il più indolore possibile: un colpo alla testa e stramazzò ai miei piedi. Dovetti reprimere un conato di vomito alla vista del sangue e al suo odore, era una cosa che non mi era mai capitata. Corsi via immediatamente, vergognandomi di ogni mia singola azione, però per poco non incrociai il figlio dell’uomo... L’urlo che fece quando vide il padre mi tormenta tutt’oggi.». 

Shay aveva ascoltato tutto con interesse e un piccolo fuoco che gli cresceva nel petto lentamente, diventando sempre più intenso a ogni parola. Rimase zitto anche quando riprese a parlare. 

«Platone diceva: “Il capolavoro dell’ingiustizia è di sembrare giusto senza esserlo”. La Confraternita è fatta da persone, uomini e donne che sbagliano, che compiono ingiustizie, è vero, ma non per questo agiscono in questo modo di proposito, con cattiveria. Io so per certo che sia Liam sia Achille fossero in buona fede, Shay. E anche Mireille quando mi ha fatto assassinare Pierre de la Serre. Tieni a mente che qualsiasi gesto, buono o cattivo, giusto o ingiusto, è fatto per un bene superiore, che riguarda tutti, me e te compresi.». 

Shay sollevò lo sguardo, vedendo che anche lei lo stava osservando. Non si sentiva giudicato o deriso, compreso semmai. Lo aveva stupito quella confessione, la voce di Claudette aveva tremato durante tutto il racconto e le mani si erano serrate sulle sue, come se fossero una corda a cui aggrapparsi. Il discorso che aveva fatto lo aveva tranquillizzato, aveva cancellato dalla sua testa la voce di Washington con un panno bagnato, esattamente come era aveva fatto alle sue mani. Improvvisamente sentiva il bisogno di alleggerire l’atmosfera. 

«Chi è Platone?». 

Claudette lo guardò sgranando gli occhi. Era serio? 

«In che senso?». 

«Nel senso più letterale: chi è Platone? Era un Assassino anche lui?». 

La ragazza scoppiò a ridere, tra tutte le domande non si aspettava quella. Shay increspò le sopracciglia. 

«Oh, andiamo così mi fai sentire stupido!». 

Claudette smise immediatamente di ridere e agitò una mano per sottolineare il suo dispiacere. 

«Oh, no! Assolutamente no, non era mia intenzione! Solo che non me lo aspettavo. Platone è un filosofo greco, uno dei miei preferiti.». 

«Ah, non solo musicista, ma anche secchiona!» 

Claudette emise una risatina leggera tirando un colpetto al braccio di Shay, anche lui sorridente per la sua stessa battuta. Su di loro ritornò il silenzio, interrotto solo dallo scoppiettio del fuoco e dal fruscio delle onde che faceva dondolare mollemente la nave, come una pigra sedia a dondolo. Nell’aria aleggiava ancora l’odore pungente e pulito del sapone, che tentava di mescolarsi con quello delicato e fiorito della camomilla, ma senza riuscirci coprendo tutto quando con un profumo pungente e persistente. La luce era fioca, veniva solo dal camino e dalle poche candele che c’erano nella stanza che illuminavano quel giusto perché lui potesse osservare Claudette e le loro mani ancora intrecciate tra loro. 

La donna aveva riabbassato lo sguardo, questa volta ispezionando lei stessa le mani callose dell’uomo. Erano più grandi delle sue, ruvide e c’erano dei calli alla base delle dita, nel punto esatto dove si tengono le corde quando bisogna tirarle. Erano arrossate, la pelle era scorticata per averle strofinate con così tanta foga e per così tanto tempo. Quasi senza pensarci, si girò verso la toelette e ne aprì un cassetto, tirando fuori una delle poche creme che si era portata dietro. Ne prese un punta con l’unghia e la mise sul dorso della mano destra di Shay, iniziando a spargerla e massaggiandola per farla assorbire. Aveva un forte odore di lavanda. 

«Cos’è?» chiese Shay sospettoso, eppure non si mosse. Sentiva la mano scivolosa, quasi burrosa, non era una bella sensazione, ma più Claudette massaggiava e la portava anche sul palmo e lungo le dita, più si asciugava. 

«Banale crema per le mani.» rispose con nonchalance continuando a fare quello che stava facendo senza curarsi dello sguardo confuso di Shay. 

«E serve per?». 

Claudette sbuffò e non gli rispose subito, girandosi di nuovo verso la toelette per prendere un’altra punta di crema e continuando il suo lavoro sulla mano sinistra. Shay si osservò l’altra mano portandosela vicino al viso curioso. La sentiva un po’ strana, era un po’ lucida e pastosa come se l’avesse immersa in un barattolo di burro, d’altro canto non percepiva più quel prurito fastidioso alle nocche attutendolo a un leggero stiramento di pelle. 

«Usando tutto quel sapone ti sei scorticato per bene le mani. Ora, se non vuoi che ti diventino di carta pesta, accetta questo piccolo aiuto e taci.». 

«Ma è una sensazione stranissima.». 

«Ma che dici!». 

«Non sto scherzando, è come se mi avessi cosparso le mani di grasso di balena!». 

Claudette alzò gli occhi al cielo. 

«Uomini! Poi siamo noi donne quelle tragiche!» borbottò. 

Shay sorrise nonostante la frecciatina, continuò a osservare Claudette che spargeva la crema burrosa sulla sua mano ammorbidendola con gesti decisi e gentili delle dita. Era rilassante, però. Si era sempre curato poco delle sue mani, nonostante fossero la parte più importante per lui: issare le bandiere, fare nodi, gettare le reti in mani e poi riprenderle, timonare la nave, destreggiarsi con le spade, sparare con la pistola. Mai come in quel momento, si era reso conto di quanto fossero fondamentali e di come poco se ne curasse. 

Claudette invece le trattava come se fossero un qualcosa di prezioso, come se valessero qualcosa anche per lei. O forse la questione era molto più complicata di come il suo cervello, stanco morto, riuscisse a processare in quel momento. In quella situazione di pura calma e tranquillità, gli era piombata addosso una stanchezza e una sonnolenza che sembravano macigni sulle sue palpebre. E forse il massaggio rilassante che continuava a fargli Claudette non aiutava, aveva iniziato a fare cerchi con i pollici sul palmo della sua mani sinistra, concentratissima sul suo lavoro, quasi incurante di Shay. Quando portava i pollici verso il centro, gli scappava un piccolo solletico che gli risaliva lungo il braccio strappandogli un sospiro soddisfatto. 

La testa era leggera, pregna solo del profumo invadente della lavanda, che sembrava seguire Claudette ovunque, non si accorse nemmeno di aver avvicinato la mano destra al viso della donna di fronte a sé. Le accarezzò la mascella delicatamente con il pollice, aveva la pelle fredda, nonostante fossero al chiuso già da un po’. Claudette alzò subito lo sguardo su di lui, gli occhi castani sorpresi di quel gesto, ma non si allontanò, anzi inclinò la testa venendogli incontro, tant’è che arrivò a circondarle la guancia con tutto il palmo della mano. La sensazione era simile a quando cadi nell’acqua ghiacciata e per qualche secondo ti si mozza dolorosamente il respiro nei polmoni, che sembrano due blocchi di ghiaccio nel petto. In situazioni simili l’unica cosa da fare è spingersi con le gambe verso l’alto per tornare in superficie, mentre in quel momento l’unica cosa che riuscì a fare fu avvicinare il viso a quello di Claudette, rosso e con ancora gli occhi spalancati a guardarlo incredula. 

Ci volle una gran forza di volontà per fermarsi a pochissimi centimetri dalle labbra di lei, rosse ancora per il freddo e tremolanti per l’emozione, era come se avesse nuotato come un pazzo verso l’alto e dovesse restare ancora in acqua a pochi centimetri dalla superficie. L’aria era lì, gli bastava solo un movimento della testa, ma rimase comunque fermo ad aspettare, con ogni secondo che diventava fuoco nei suoi polmoni congelati. Non voleva spaventarla o imporsi su di lei, se avesse voluto schiaffeggiarlo avrebbe potuto farlo. Claudette però sembrava nella sua stessa situazione, sul pelo dell’acqua indecisa se rimmergersi o se prendere quella boccata d’aria che le mancava e che le stava consumato il fiato. 

Aveva il cuore che le correva come un forsennato in giro per il corpo, in preda al puro panico, mentre il cervello era un cavallo imbizzarrito che aveva smesso di ragionare. Claudette semplicemente non sapeva cosa fare, perché lei non era come le persone normali. Per lei, per la società in cui era cresciuta un bacio equivaleva a una proposta di matrimonio, a una condanna a stare con la stessa persona per sempre finché morte non vi avrebbe separate. Ne conosceva di casi di donne beccate anche solo da sole con un uomo e costrette a sposarlo senza neanche avere la possibilità di ribattere, era una pena senza processo. E lo sapeva, lo sapeva benissimo, che era solo uno stupido bacio in una striminzita cabina di una nave a migliaia di chilometri da suo padre che probabilmente avrebbe colto la palla al balzo per sistemarla, ma era sempre presente quella costante paura del giudizio altrui che si aspetta qualcosa da te e che ti impone tutti una serie di “dovresti essere” e “dovresti fare”, scomodi come un corsetto troppo stretto. 

Shay aggrottò le sopracciglia, non capendo cosa passasse per la testa della donna. Avvicinò il naso, attento a non baciarla per sbaglio, a quello di Claudette, strofinandolo delicatamente in un invito silenzioso e tenero. Il cuore improvvisamente fermò la sua corsa sfrenata nel suo petto a quel gesto così gentile e si sciolse in una sensazione calorosa che le riscaldò il corpo. La necessità di prendere quella boccata d’aria era sempre più insistente, i polmoni bruciavano e la testa iniziava a farsi sempre più leggera e distante. Raccolse tutto il suo coraggio per prendere in mano tutte le sue insicurezze e le sue paura, inculcatele nella testa come semi velenosi, e li gettò giù dalla nave. 

Chiuse gli occhi e alzò la testa dal pelo dell’acqua, respirando a pieni polmoni l’odore salmastro della pelle di Shay, che era come ossigeno per lei in quel momento. L’iniziale scontro tra le loro labbra fu impacciato e frettoloso, con i denti che cozzarono tra di loro per la foga messa da Claudette, ma a Shay non importava più di tanto, gli scappò un sorriso soddisfatto e intenerito dall’agitazione di lei. Era congelata sul posto dall’ansia e dalla paura, protendeva le labbra e stringeva gli occhi come se avesse di fronte un mostro pauroso. Shay lasciò correre i primi momenti, il tempo che il respiro di Claudette si regolarizzasse e smettesse di artigliargli la camicia come se stesse per annegare. Si staccò pochissimo, di appena qualche millimetro per riprendere l’aria, e il tempo necessario perché Claudette aprisse gli occhi confusi. 

Le sorrise alzando un angolo della bocca, poi si avvicinò di nuovo a lei baciandola con trasporto, mentre le accarezzava la guancia per tranquillizzarla. Claudette rimase immobile per qualche secondo, si sciolse contro di lui nel giro di qualche istante poggiandogli le mani sulle spalle e avvicinandosi di un passo. Shay non riusciva a capire come potesse avere le labbra così morbide e tenere, come i petali della lavanda che la seguivano ovunque e che gli stava impregnando la testa dal momento stesso in cui si era avvicinato a lei. Quando sentì Claudette iniziare a rilassarsi, si lasciò andare pure lui sconnettendo completamente il cervello per immergersi nei brividi che continuavano a corrergli lungo la schiena, così si permise di poggiarle una mano sul fianco, stringendolo appena per avvicinarsi ancora di più. 

Claudette emise uno squittio di sorpresa, ma non osò staccarsi. Mon Dieu, fosse stato per lei avrebbe fermato il tempo in quell’istante, a quelle inaspettate labbra soffici con i baffetti che le pizzicavano leggermente l’arco di Cupido come se gli stessero facendo un dispetto, le mani calde di Shay che la accarezzavano teneramente e le spalle forti a cui si stava aggrappando per non cadere sulle sue gambe tremolanti. Avrebbe voluto non aver bisogno di aria, perché quando si staccarono sentì una sensazione di gelo percuoterla da capo a piedi, aprì gli occhi per guardare Shay in faccia, che la osservava ancora con gli occhi socchiusi focalizzati sulle sue labbra, ancora più rosse di prima. 

Fece scorrere la mano dalla guancia di Claudette fino al suo fianco, facendola irrigidire per quel contatto così intimo. Le strinse piano la vita per attirarla di nuovo contro di sé e riprendere a baciarla, assuefatto dal sapore dolce di quelle labbra soffici e dal profumo pulito della lavanda che lo perseguitava da mesi. Nonostante fosse stato un po’ rude nei modi, cercò di rimediare con baci lenti e profondi, senza strafare troppo, interrotti qui e lì da piccoli schiocchi, che facevano rabbrividire Claudette. 

Anche lei fece muovere le mani, facendole scorrere verso la mascella sulla quale si fermarono per accarezzarla piano con i pollici. Le sembrava di avere una bolla al posto del cuore, che cresceva, cresceva, cresceva. Più Shay la baciava, le accarezzava la vita con le dita, le sorrideva quando le scappava uno squittio sorpreso, più si gonfiava la bolla e aveva caldo alla testa. Si sciolse completamente contro di lui, che le circondò i fianchi con un braccio continuando a fare piccoli cerchi con le dita sulla sua pelle, purtroppo ancora ricoperta dalla camicetta che portava. Claudette infilò le dita tra i capelli di Shay, strappandogli finalmente un verso di approvazione, così non si fermò massaggiandogli delicatamente lo scalpo. Il ragazzo sembrò apprezzare perché la attirò ancora di più contro di sé facendo schiacciare i loro petti in una morsa quasi dolorosa, ma dalla quale nessuno dei due voleva sottrarsi. 

Shay non capì più nulla, l’unica cosa su cui era concentrato erano quelle labbra soffici e profumate e il corpo così morbido di Claudette, che gli stava facendo vedere le stelle. Se poi si aggiungevano quelle manine tremanti che continuavano ad accarezzargli i capelli, hell... In mezzo a quei baci un po’ impacciati e dolci sentiva il bisogno di qualcosa di più, voleva testare fino a dove Claudette gli avrebbe permesso di spingersi. Cercò di spostarsi lentamente, portando con sé anche la ragazza con più delicatezza possibile, e la portò con le spalle contro la toeletta. Fece un passo avanti, quello che bastava per farla premere contro il mobile, poi all’improvviso, non è che potesse usare molta gentilezza in un gesto simile, la sollevò dai fianchi per farla sedere sopra e farla smettere di tendersi sulle punte per baciarlo. Così erano perfettamente alla stessa altezza. 

Sentì Claudette irrigidirsi e fermarsi per un secondo, Shay però non le diede il tempo di elaborare del tutto quello che era successo riprendendo il bacio, che divenne più profondo, umido. Le posò di nuovo le mani sulla vita, così piccola che quasi riusciva a circondarla con entrambe le mani, disegnando forme immaginarie per tranquillizzarla. Sembrò funzionare, perché emise un respiro tremante e lo attirò a sé ancora, ma questa volta con più sicurezza, più fermezza nelle mani, che gli avevano afferrato il viso con una tale gentilezza da fargli battere il cuore come un adolescente alla prima cotta. 

Solo che Shay non aveva più sedici anni e c’erano un paio di ginocchia fastidiose che gli impedivano di gustarsi la meravigliosa sensazione di avere quel corpo flessuoso contro il suo. Fece scendere le mani dalla vita giù, oltrepassando i fianchi stretti e percorrendo con i polpastrelli le cosce morbide e fasciate dai pantaloni, fino ad arrivare alle ginocchia. Le fermò lì per qualche istante, notando come Claudette si stesse agitando ancora tra le sue braccia, quindi prese a fare cerchi con i pollici cercando di rassicurarla e non farla spaventare, ma non sembrò assortire alcun effetto, perché si staccò da lui. Shay avrebbe tanto voluto rincorrerla e non smettere mai di baciarla. 

«Shay-». 

Le si bloccò l’aria in gola quando alzando lo sguardo si trovò il viso dell’uomo così vicino. I suoi occhi erano completamente concentrati a osservarla, come se non volesse perdersi alcun particolare, anche se poi finiva sempre per far cadere lo sguardo sulle sue labbra, che sentiva pizzicare ed erano stranamente umide. Shay l’inclinò di più la testa quando vi passò sopra la lingua in un gesto nervoso e impacciato per scacciare l’ansia che le era saltata addosso. Si schiarì la gola per poter riprendere la facoltà di parlare, attirando l’attenzione del ragazzo, che sembrò risvegliarsi da un sogno fin troppo reale. Si scostò da lei per darle più spazio e tolse anche le mani dalle sue ginocchia, infilandosele invece tra i capelli per scuoterseli e scaricare l’adrenalina in qualche modo. 

«Claudette- io- ah- fuck!». 

La ragazza si prese il labbra inferiore tra i denti, torturandoselo. Si sentiva una bambina impacciata che aveva fatto la guastafeste. 

«No, senti Shay, sono io che-». 

«Non ci pensare nemmeno! Ho esagerato io, scusami.». 

Claudette era incredula, lo guardava con occhi spalancati e sorpresi. 

«Quoi?». 

Shay si allontanò di un altro passo, dando la possibilità a Claudette di rimettersi in piedi e riprendere un po’ aria. La ragazza si premette una mano sul petto, il cuore non sembrava dare segni di voler rallentare, ma ciò che la faceva agitare ancora di più era ciò che aveva detto Shay. Anche lui prese un bel respiro prima di parlare. 

«Ho detto che mi dispiace se ho esagerato.». 

«Esagerato?». 

«Sì, insomma, mi sembri piuttosto scossa, non volevo metterti a disagio.». 

«A disagio?». 

«Claudette, ti senti bene? Continui a ripetere quello che dico.». 

Mai in vita sua aveva sentito un uomo scusarsi. Tanto meno con lei. Questo fatto la stava sconvolgendo più del bacio. 

OH MERDE, IL BACIO! 

Si premette una mano sulle labbra, mentre nella testa gli rimbombava la voce sprezzante del padre, che la minacciava di non creare scandali all’interno della Confraternita. 

Claudette, giuro sulla Corona di Francia, che se esce fuori anche un solo, misero pettegolezzo o mi fai fare la figura del padre con la figlia puttana ti rinchiudo in un convento o ti faccio sposare l’uomo più sprezzante di tutta Parigi, così sono certo di non vederti fare la baldracca in giro! 

Nella sua testa c’erano due voci che continuavano a urlarsi contro, una che le ricordava che si trattava di un semplice bacio, niente di così tanto scandaloso, aveva sentito di peggio, ma l’altra... l’altra era suo padre che le ricordava il suo posto, che cercava di mozzarle il fiato in un corsetto troppo piccolo e scomodo per lei. Mentre nella sua testa infuriava questa battaglia, Shay la osservava preoccupato. Cazzo, perché doveva sempre incasinare tutto? Per una volta non poteva tenerselo nei pantaloni? 

Teoricamente ce l’ho ancora nei pantaloni... SHAY, CONCENTRATI! FA’ QUALCOSA! 

Non era bravo a confortare le persone. A farle divertire? Sì, si riteneva abbastanza divertente. A intimorirle? Beh, era alto e largo se non ci riusciva, si sarebbe preoccupato. A farle innervosire? Cazzo, sì, soprattutto Chevalier. Confortarle però, no, assolutamente non ne era capace. Si sentiva come se gli avessero lanciato in mano un neonato piangente e lui non sapesse come farlo smettere. Non poteva però andarsene e lasciare Claudette in quello stato, con lo sguardo sbarrato e il fiato corto. In quei mesi insieme si era reso conto di alcune cose strane, si comportava come se pensasse che gli altri, cioè tutti, si aspettassero qualcosa da lei. Erano brevi momenti, quasi non si notavano perché li si poteva notare di sfuggita, ma lui se ne era accorto dalle pose rigide della ragazza, dalle labbra strette e morsicchiate, dalle mani che si torturavano. 

Claudette era quella brava a confortare le persone, a farle sentire bene, come aveva fatto prima con lui. L’illuminazione gli schiaffeggiò il cervello con una sberla. Forse valeva la pena tentare! 

Si fece di nuovo avanti, lasciando comunque dello spazio attorno a Claudette, che ancora sembrava non essersi ripresa dal suo stato di panico. Quando fu abbastanza vicino, allungò la mano per afferrare con più gentilezza possibile le braccia, che tirò verso di sé piano piano, poi fece scorrere le dita verso le mani della ragazza afferrandole in una stretta decisa e delicata. Le accarezzò i dorsi con i pollici facendo ampi cerchi per tranquillizzarla. Lei alzò gli occhi su di lui, così grandi e maestosi, che dovette reprimere la voglia di tornare a baciarla. Le sorrise invece, cercando di infonderle più sicurezza possibile, non sapeva cos’altro fare d’altronde. 

«Claudette, ci siamo solo tu e io qui. E comunque nessuno si aspetta niente da te.». 

Lei avrebbe voluto piangere dal sollievo, ma si costrinse a deglutire e a prendere un bel respiro prima di parlare. Shay continuava a cercare di farle la stessa cosa che aveva fatto lei poco prima, muovendo a caso le dita sulle sue mani, disegnando cerchi e forme che erano tutt’altro che rilassanti, anzi le stava facendo anche un po’ di solletico. Le scappò una risatina, senza neanche azzardarsi a staccare la mani da quelle di lui. 

«Come fai?». 

«A farti questo bellissimo massaggio alle mani?». 

Claudette rise ancora e a Shay parve simile al suono dell’acqua di un ruscello che scorre. 

«A capire cosa mi passa per la testa.». 

Lui fece scattare le sopracciglia verso l’altro, sorpreso. 

«Non lo so, chiamalo istinto.». 

Lei gli sorrise, un sorriso che parve illuminare tutta la cabina. Claudette fece un altro passo avanti, incastrando tra i loro corpi le loro mani intrecciate, che strinse per darsi un po’ di coraggio. 

«Grazie per quello che hai detto. A volte è difficile ricordarsi di non avere sempre gli occhi della gente addosso.». 

«Non ci provare nemmeno, non sei tu quella che deve ringraziare, ma io.». 

La ragazza inclinò la testa, un ciuffo di capelli scivolò lungo il suo viso finendole negli occhi. Shay non resistette e lo afferrò tra le dita attorcigliandoselo attorno all’indice, assorto nei suoi pensieri. Si concentrò su quello quando prese di nuovo la parola. 

«Sai, non è la prima volta che mi capita di dubitare della Confraternita e dei suoi modi di fare... “Trattenere la lama dalla carne degli innocenti” e uccidiamo chiunque si pari di fronte a noi, in qualsiasi situazione e luogo. Non ti sembra contraddittorio? A me certe cose lasciano con l’amaro in bocca e non posso neanche permettermi di parlare, perché insomma lo conosci Liam! Pieno di credo e patriottismo, non parla e non pensa ad altro! Tengo a lui come a un fratello, ma quando parte con quei discorsi del cazzo sul fatto che abbiamo rallentato i piani dei Templari oppure che prima o poi ci tornerà utile mi fa davvero venire la nausea. Quindi ogni volta sto zitto, piego la testa e lo lascio blaterare. 

«E poi c’è Achille. – abbassò lo sguardo continuando a giocherellare con le dita di Claudette, mentre questa pazientemente lo ascoltava. – Non lo ringrazierò mai abbastanza, perché mi ha salvato la vita dandomi un materasso su cui dormire, un piatto su cui mangiare, uno scopo per cui vivere, ma non so... Quando mi fermo, mi guardo attorno e vedo solo cadaveri e sangue vicino a me, io mi chiedo se... se davvero ne vale la pena. Se davvero sono i Templari a fare del male al mondo e non... noi.». 

Shay strinse le labbra. Ecco, lo aveva detto e ora sarebbe stato giustiziato dalla Confraternita per tradimento o chissà quale crimine. Aveva sempre avuto paura a dire quelle parole, perché era convinto che, finché fossero rimaste nella sua testa, non sarebbero state reali. Rimase sorpreso quando Claudette gli circondò la guancia con la mano, accarezzandola piano col pollice. Iniziavano a piacergli quei piccoli gesti. 

«Non lo so. Sinceramente non ne ho proprio idea se ne vale la pena. Bisognerebbe avere la capacità di guardare nel futuro per capirlo e purtroppo nessuno dei due ha questa capacità, quindi non potremmo saperlo mai. Ciò che però mi rincuora è che sto facendo del mio meglio perché accada, perché in un futuro l’umanità sia libera di fare le scelte che vuole, giuste o sbagliate che siano. Non so se tutta la gente che ha dovuto perdere la vita per mano mia o della Confraternita fosse un sacrificio necessario per il futuro, ma io scelgo di credere e di avere fiducia nelle nostre guide. Ed è anche giusto che ci siano dubbi e che ci siano domande, perché un credo che non si evolve e non si rinnova rimane stagnante riempiendosi di schifezze, diventando un dogma che nessuno può toccare. 

«Shay, io ti capisco. E fidati quando ti dico che in Francia è anche peggio. Ho avuto missioni dove non sapevo nemmeno perché andavo a spiare un certo politico o assassinavo un altro mercante. Chi fa domande o cerca di fare di testa propria non è visto di buon occhio e si rischia davvero l’esilio, se non la morte, quando si osa alzare la testa. La maggiore parte delle volte mi sentivo una pedina in una enorme partita a scacchi che non avrei mai potuto comprendere. Per cui, sì, Shay, ti capisco e devi stare tranquillo, perché io sono certa che quello che abbiamo fatto porterà i suoi frutti. Magari saranno mele e non pere, pesche e non arance, e forse non arriveranno questo mese, ma la prossima stagione, ma io credo in quello che facciamo.». 

Shay sentiva il cuore più leggero. Era da tempo che sentiva il bisogno di dire quelle parole, di dare aria a quei dubbi rinchiusi nella sua mente da qualche mese ormai. Era grato di aver incontrato Claudette, che era riuscito a capirlo anche se si conoscevano da qualche mese. Era riuscita ad andare oltre alla sua pellaccia da marinaio impertinente, trovando l’uomo tormentato e pieno di dubbi che cercava di nascondere nella profondità della sua anima. Nessuno era mai riuscito a malapena a sfiorarlo, lei con i suoi modi di fare un po’ strani e impacciati era riuscita a toccarlo. 

Si strusciò contro la mano di Claudette come un gatto bisognoso di coccole. O un cane molto ruffiano. Strofinò il naso contro il suo palmo, strappandole una risatina, prima di riprendere a parlare 

«Grazie.». 

«Ma di cosa?» rise lei. 

Lui le lanciò un’occhiataccia contrariata. 

«Di non  avermi giudicato. Di esserti preoccupata per me. Di esserti presa cura di me. Non lo do per scontato.». 

Claudette gli sorrise, uno dei quei suoi sorrisi che lo riscaldano dentro, anche quando sono nel bel mezzo di una tempesta di neve. Si alzò sulle punte per premergli un veloce e timido bacio sulle labbra. 

«E neanche io do per scontato la tua gratitudine.». 

Shay si perse a osservarla. Aveva gli occhi un po’ rossi, forse per la stanchezza, e un sorriso assonato in volto. Eppure la sua mano era così calda contro la sua guancia, che non aveva per nulla voglia di staccarsi, ma dovette farlo oppure Claudette gli sarebbe crollata addosso. 

«Direi che è ora di andare per me.». 

Claudette increspò le sopracciglia sottili confusa. 

«Perché? Che ore sono?». 

Granò gli occhi quando li posò sull’orologio appeso al muro vicino al letto. Era mezzanotte passata! 

«Mon dieu! È già così tardi?». 

«Già! Senza contare che non ho la più pallida idea di dove siamo, fino a domani mattina non so quanto ci impiegheremo a tornare a Rockport. Se siamo abbastanza fortunati abbiamo solo sorpassato di qualche miglio Black Ridge.». 

Shay si stiracchiò portando in alto le braccia, mentre Claudette si affrettava a mettere a posto la scrivania. Si diresse di nuovo verso di lei, indaffarata com’era non si accorse che si stava avvicinando quindi emise un delizioso squittio sorpreso quando Shay premette le labbra sulla sua tempia in un tenero bacio. Credette che il cuore le stesse per saltare fuori dal petto a quel gesto. 

«Sweet dreams, Claudette.». 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 - Round the corner Sally ***


Dicembre 1752, Boston

Mireille, 
È passato esattamente qualche mese dalla morte di Lawrence Washington e noi siamo sempre allo stesso punto, cioè a quello di partenza. È un buco nell'acqua dopo l'altro, i Templari sembrano scivolarci tra le mani come sabbia del deserto. Dire che è frustrante è poco! So che bisogna portare pazienza in queste cose, me lo avete insegnato più che bene, ma a volte è davvero difficile reprimere la rabbia. Appena arriviamo, quei dannati bastardi se ne sono appena andati come i topi di fogna che sono senza lasciarsi dietro niente, se non pochi e miseri indizi. 

Una delusione dopo l'altra, che non ha fatto altro che innervosire Achille sempre di più. Se non ci fosse Abigail, sua moglie, a calmarlo ogni volta non saprei di cosa sarebbe capace quell'uomo! Non che sia violento, per carità no! È che spesso può essere avventato e talmente testardo che neanche un bue può smuoverlo. Solo Abigail o il piccolo Connor riescono a fargli cambiare idea. 

Quindi nel frattempo ci siamo voluti concentrare anche su altro, vista la situazione qui nella Nuova Francia e le tensioni con la Gran Bretagna. Kesegowaase dice che i soldati francesi stanno aizzando gli Abenachi a depredare i convogli e gli accampamenti inglesi nei pressi del Saint Lawrence. Ti prego, se hai notizie dalle alte cariche lì in Francia, fammi sapere al più presto, perché qui ci sono tutti i presupposti per una guerra. Anche se dalle lettere che mi mandate voi e Charles, anche lì in Europa la situazione non sembra essere migliorata dai tempi della guerra di successione.

Nel frattempo noi continueremo le nostre ricerche. 
Meilleures salutations
Claudette Dubois

***

Boston era totalmente diversa da qualsiasi città Claudette avesse mai visto in vita sua. Non era esattamente caotica come Parigi, ma neanche calma e placida come le colonie in Nuova Francia. Non era nuova di zecca come magari lo era Halifax, ma in un certo modo era abbastanza vissuta da poter narrare qualche storia. Anche Boston  sapeva pulsare al ritmo della camminata affaccendata dei suoi cittadini, senza risultare al contempo ingarbugliata in una movimentata routine.

Erano arrivati in pieno giorno, anche perché da Rockport ci voleva appena una giornata di nave, se non poche ore. Dopo la disastrosa notte a Mont Vernon si erano ritrovati a Black Ridge, un minuscolo agglomerato di case distante appena 10 leghe da dove erano stati. La Morrigan non aveva subito subito grandi danni, se non qualche grattatina allo scafo dalle scogliere che Shay non era riuscito ad evitare durante la loro spericolata fuga. Ciò gli era costato 170 sterline di carpentiere a Saint Nicolas, il paesupolo più vicino che avesse una cantiere navale, ma sarebbe potuto andare decisamente peggio. Si sarebbe potuto danneggiare un albero o un pennone con un colpo di mortaio, a quel punto sarebbe stato scuoiato di ogni sua singola moneta.

Dopo essersi presi qualche giorno di pausa, giusto il tempo di mettere insieme le idee, erano subito partiti alla volta di Rockport, dove fecero rapporto ad Achille. Il Mentore non sembrò affatto soddisfatto dell'operato, neanche quando Shay aveva provato a smorzare l'atmosfera mostrando tutto contento il suo nuovo fucile ad aria compressa. Alla fine però aveva riconosciuto che neanche lui sarebbe riuscito a sfuggire dalla trappola dei Templari. 

Subito avevano cercato di identificare gli uomini con cui Shay e Claudette avevano visto dialogare Lawrence prima della sua dipartita: Jack Weeks, Samuel Smith e James Wardop. Secondo le informazioni che aveva passato loro Le Chausser, erano i tre cagnolini preferiti dell'uomo. Del primo avevano poco o nulla tra le mani, quindi decisero di concentrarsi sugli altri due, che Claudette ricordava per le ridicole parrucche bianche che alcuni ricconi si ostinavano a indossare. Anche in Francia andavano di moda, non ne aveva mai capito il motivo, soprattutto quando sua madre la obbligava a indossarle per andare a qualche ricevimento o ballo. Erano estremamente scomode!

Di Wardrop si erano viste le ultime tracce alla sua residenza a Boston, quindi avevano deciso di andarci per cercare di indagare più a fondo, mentre Chevalier e Hope si sarebbero concentrati su Smith, che sembrava essere evaporato nel nulla.

A Claudette aveva fatto po' specie vedere Boston la prima volta, soprattutto dopo essere appena tornati da zone tranquille come River Valley e Rockport, posti ancora avvolti dalla natura. Dal promontorio vicino alla villa di Achille si riusciva a scorgere una piccola briciola della Mass Bay, la baia del Massachusetts su cui si affacciava anche il porto di Boston. Da lontano a Claudette non era mai parso nulla di spettacolare quel minuscolo agglomerato di barche e navi mercantili, ma da quando l'aveva scorta a bordo della Morrigan mentre approdavano si era dovuta ricredere.

L'impressione che aveva avuto appena poggiato il piede sul molo era di un grande e indaffarato formicaio: marinai che scaricavano stive o che spostavano merci, pescatori che partivano per la pesca e che tornavano carichi di pesce, mercanti urlanti che gridavano al vento le loro prelibatezze, il tutto scandito dal passo ritmato delle giubbe rosse che passavano da una parte all'altra del porto. Aveva persino visto donne di ogni tipo tirarsi le maniche fin sopra i gomiti e iniziare a sventrare i pesci appena pescati, pronti per essere venduti al miglior cliente. Uno spettacolo che si sarebbe risparmiata volentieri.

Anche le strade di Boston le erano sembrate le gallerie e i cunicoli che le formiche creavano per poter passare. Quelle principali erano grandi, larghe e spaziose, potevano persino passarci due carrozze affianco. Si poteva vedere qualsiasi cosa passare per quelle strade, dai cavalli che sbuffavano trainando i carri, agli strilloni che urlavano al vento le più recenti notizie provenienti dalle provincie del Quèbec e di Montréal, fino ai bambini che sgattaiolavano tra le gambe degli adulti indaffarati.

E tra le strade più grandi sbucavano quelle più piccole, quasi dei cunicoli tra i grandi edifici in mattoni rossi. Collegavano tra loro le vie principali, rendendo la città una immensa ragnatela piena di vita e movimento. In questo un po' le aveva ricordato Parigi, seppure gli edifici fossero totalmente diversi: tutti squadrati, scopiazzati l'uno dall'altro, in uno stile che non richiamava alcuna epoca in particolare. Claudette lo sentiva, quasi la respirava, la modernità che lasciava l'estetica per dare spazio alla praticità e alla comodità.

Niente guglie per le chiese, solo campanili alti abbastanza per raggiungere le orecchie del quartiere circostante con le sue campane. Non c'erano ricche decorazioni sulle facciate dei palazzi, solo poche lettere che riportavano la funzione dell'edificio. Oppure mancano i pesanti monumenti a testimonianza di grandi eventi politici e storici. Nonostante ciò, malgrado mancassero tutti gli arzigogoli, di cui però Parigi era ricca, Boston non valeva di certo di meno.

In un certo senso avvertiva quella aria politicamente impegnata che ultimamente stava invadendo le strade dei parigini e non notava così tanta differenza dai bostoniani in questo. Entrambi sembravano sempre indaffarati, ma sempre con un orecchio proteso verso l'esterno, come a voler captare più notizie possibili. L'atmosfera era carica di tensione per i parigini, che si vedevano sempre più abbandonati da una monarchia e una aristocrazia pigra e oziosa, e per i coloni, che si vedevano una guerra a poche miglia da loro e che sentivano gli scarponi delle odiose giubbe rosse marciare sulle strade da loro costruite come se fossero i padroni di casa.

Ormai Claudette si era rassegnata, prima o poi la ricca e fragile bolla dentro la quale la nobiltà e Luigi XV si erano rifugiati sarebbe scoppiata senza poterne prevedere le conseguenze. Pensava di poter trovare un clima differente nelle Colonie, vista la intraprendenza dei suoi abitanti, ma non aveva considerato il giogo a cui erano sottoposti dalle mani inglesi. Sebbene le differenze evidenti, Bostone Parigi non erano tanto lontani: erano cannoni pronti a esplodere in faccia ai loro stessi padroni nel momento più inaspettato. Bisognava solo attendere.

Tutto quel vorticare di voci sbrigative e suoni cadenzati la fece sentire un po' a casa, mentre lei, Liam e Shay percorrevano le strade di Boston alla ricerca della locanda più vicina. I due uomini di certo non si risparmiarono commenti sulla città, sul suo caotico movimento di carri e persone, decantando invece la magnificenza di New York, altra città che sbarcava sul mare, a qualche miglia a sud. Quasi rischiarono di incappare in una rissa quando un gruppo di marinai bostoniani li sentirono deridere a gran voce la loro città. Ci volle tutta la diplomazia che Claudette aveva in corpo per trascinare i due grossi yankees e non abbandonarli al loro rissoso destino.

«Mon Dieu! Siete peggio dei francesi che ce l'hanno a morte con l'Inghilterra!» borbottò mentre li trascinava nel vicolo più vicino.

«Tutti ce l'hanno con gli inglesi, Claudette. Solo quei mangia-crauti dei Prussiani sembrano tollerarli!» le rispose Liam, Shay si limitò ad annuire per sottolineare la sua posizione.

«E da quando sei un esperto di politica europea? Gli inglesi sono insopportabili, certo, ma voi due che continuate a borbottare come vecchiette inacidite fate loro concorrenza. Ora, svelti a cercare informazioni. Prima arriviamo a Wardrop, prima avremo la scatola o il manoscritto.».

Non si voltò nemmeno a controllare che i due ragazzi la stessero seguendo, mentre si dirigeva a grandi passi alla taverna più vicina. Doveva ammettere che all'inizio il modo in cui la Confraternita era solita raccogliere informazioni un po' l'aveva spiazzata: le taverne o le locande nel suo immaginario erano un luogo relegato alle sbevazzate e al tempo libero. A Parigi ci si affidava alla buona e sempre utile Corte dei Miracoli*, appena fuori le sponde dell'isola di Notre Dame. Anche se aveva sentito vociferare per le gallerie del covo degli Assassini che forse si voleva aprire anche un café, come base all'esterno delle catacombe parigine, ma era ancora in via di sviluppo quando lei era partita.

Si trovavano nella parte sud del distretto centrale, tra il porto e un grosso forte inglese, costruito forse per controllare le entrate delle navi in porto. Effettivamente le giubbe rosse, o aragoste, come aveva imparato a chiamarle dai coloni, stonavano tremendamente con i loro fucili e i passi cadenzati in mezzo a tutta quella strada affaccendata e frettolosa. Aveva notato gli sguardi della gente ogni volta che passava un plotone: alcuni erano ansiosi, come se si aspettassero un'esplosione da un momento all'altro, altri invece con le ciglia aggrottate e la bocca storta mal celavano uno scontento non indifferente. Non li biasimava, però, neanche lei aveva una grande stima degli inglesi e dell'impero sanguinario su cui la loro nazione si reggeva in piedi.

Avevano continuato a proseguire indisturbati (e senza disturbare nessun altro bostoniano già infastidito dalla presenza degli inglesi) verso sud, seguendo le indicazioni dei passanti. Erano giunti di fronte alle porte un po' anonime di un pub, con l'insegna ciondolante e sbilenca. Drunken Seagull così era stata chiamata dal proprietario, probabilmente anche abbastanza alticcio nel momento della scelta. Sebbene fosse pomeriggio, il luogo era abbastanza scuro, i vetri giallognoli, che non venivano lavati da chissà quando, non lasciavano entrare abbastanza luce, inondando l'ambiente di un malaticcio color ocra. Nonostante ciò, il clima che si respirava era molto tranquillo, complice il fatto che non fosse ancora il tramonto, quindi i marinai, la principale clientela, era ancora a lavorare al porto, a un centinaio di metri da lì.

Si divisero in due: Liam e Claudette si diressero al gruppetto di uomini, probabilmente soldati in un momento di pausa, e Shay andò a grandi passi e sorriso in volto verso una combriccola di contadini probabilmente irlandesi, come suggerivano i boccali di birra chiara che invadevano il tavolo, nonostante fossero appena passate le sedici. Liam aveva insistito ad accompagnare Claudette, non tanto per cavalleria, quanto per evitare che qualche ubriacone allungasse troppo le mani. La donna si era morsa la lingua per non ribattere che era in grado a tenere a bada un manipolo di flaccidi rammolliti, ma poi aveva lasciato correre, perché il quartiermastro sarebbe stato inamovibile. Shay aveva ragione: la testardaggine di Liam poteva essere un stretto vantaggio a volte.

«Wardrop? Mai sentito.»

«Josh, ma che diamine stai dicendo! È quello col barbone che dorme sotto il municipio!»

«Bram, per la barba di Thatch, ma che cazzo stai blaterando! Wardrop è il riccone che ha il villone appena fuori Boston!»

«Il villone?»

«Bram, vatti a far otturare quelle orecchie, quel villone del cazzo che si affaccia sulla baia alle porte della città.»

«Quello del tirchio bastardo?»

«Aye»

«Ne sei sicuro?»

«Aye, cazzo, coglione.»

«Adam!»

«Che cazzo vuoi?»

«Ti ricordi di Wardrop?»

«Quel mercante tirchio con quel cazzo di colosso alle porte della città?»

«Ah, quindi è veramente lui.»

«Per le sottane di Santa Barbara, Josh, sei proprio uno zuccone!»

«Zuccone a chi, razza di de-»

«Signori, possiamo ritornare alla nostra domanda, poi potrete insultarvi quanto volete, ora concentratevi su Wardrop.»

«Ah sì, il tirchio. Dicevo, ha un villone del cazzo che si affaccia sulla baia appena fuori città. Fidatevi di me, non potrete non vederlo quel coso enorme.».

Shay fu altrettanto proficuo per fortuna: gli alticci irlandesi, che avevano offerto qualche boccale anche al loro connazionale, gli avevano riferito che Wardrop era approdato qualche giorno prima al porto e che, tutto trafelato, era partito in gran carriera per la sua residenza fuori città. Avevano poi continuato a sbiascicare le loro vicende tra i campi, alla periferia della città, ridacchiando quando qualcuno riportava in auge una creatura leggendaria, insistendo di averla vista per davvero.

Visioni ancestrali a parte, Shay sosteneva che il suo gruppetto mal assortito potesse essere un'ottima fonte, anche perché, chiedendo anche al proprietario della locanda, anche lui confermò la cosa: la moglie del panettiere all'angolo della strada non aveva fatto altro che lamentarsi del fatto che Wardrop si fosse preso tutta la loro scorta di pane nel giro di pochissimi minuti, prima di partire con armi e bagagli alla volta della sua residenza.

«Come se avesse il diavolo che lo stesse inseguendo! Aveva il pepe al culo quel giorno!» concluse il locandiere, mentre annotava sul libro contabile la loro prenotazione di due stanze.

Dopo aver cenato velocemente, perché tra irlandesi sfatti e soldati sordi si era già fatto il tramonto, decisero che avrebbero fatto una breve incursione al famoso "villone".

«Wardrop era di fretta quando è arrivato e se n'è andato portandosi grandi quantità di cibo, come si stesse preparando per qualcosa.» rifletté Claudette mentre seguivano il profilo del porto diretti verso sud, dove la città apriva le sue porte sulla Frontiera.

«Le cose sono due: o ha intenzione di partire o si vuole barricare dentro casa.» le rispose Shay, le mani delle tasche e il volto rivolto al cielo. Man mano che camminavano iniziava a scorgere qualche piccolo brillante che spuntava timido nell'arancione del tramonto, che man mano si stava facendo sempre più scuro. Sarebbero arrivati  a destinazione a notte inoltrata, calcolò.

Anche di notte la città rimaneva movimentata, il caos delle strade, mentre il blu scuro sovrastava sempre di più il mare, si spostò verso le locande e gli edifici. Il porto si faceva silenzioso con il passaggio dei minuti, invece dalle taverne e dai pub sbucavano risa e urla concitate, interrotte dal clangore dei boccali di birra che si scontravano. L'unica cosa che non sembrava riposare mai era il martellante rumore degli stivali inglesi sulle pietre.

Con unica compagnia pochi uccelli notturni, raggiunsero le porte della città, anche se avevano già scorto dal porto il fantomatico "villone". Stonava tremendamente con gli edifici in legno della periferia di Boston e con la palizzata che separava la città dalla frontiera, rendendo quasi comica la scena. Un edificio dalle dimensioni esagerate, come se fosse stato scagliato lì da qualche dio, si ergeva poco fuori i campi coltivati, concentrando tutta l'attenzione su di sé. Delle luci soffuse provenivano dai piani superiori, confermando loro che qualcuno effettivamente c'era.

Si diressero furtivamente ai cancelli che delimitavano la proprietà, fin troppo grande anche per i gusti di Claudette. Cosa ci dovesse mai fare con tutti quegli ettari di terreno non lo sapeva, l'unica cosa certa era che non li sorvegliava come aveva visto fare ad altri magnati americani, disposti a piantarti una pallottola in fronte se mettevi anche solo un alluce sul loro terreno. Infatti arrivarono indisturbati al cancello che divideva la proprietà principale dai campi coltivati.

«Allora, Claudette rimani qu- ehi! Ma che fai?» Liam aveva solo abbozzato il suo piano, che se lo era visto stracciare davanti agli occhi quando la donna, arrampicandosi sulla ringhiera del cancello, era saltata agilmente dall'altra parte. Non li degnò di alcuna spiegazione, corse subito ad arrampicarsi sui muri esterni della villa, aggrappandosi alle grondaie e alle finestre fino ad arrivare all'ultimo piano, dove proveniva un leggero bagliore.

Per i primi interminabili secondi il silenzio li avvolse come una coperta pesante, gravando sulle loro spalle sempre di più. Poi un grido e uno sparo li scossero dall'immobilità facendoli scapicollare alla volta della villa. Una volta raggiunta Claudette, la videro alle prese con uno scontro con tre soldati inglesi, uno già privo di sensi vicino alla porta della stanza, che sembrava essere una biblioteca.

La donna era illesa, con la spada sguainata rivolta verso i loro avversari, che impugnavano il moschetto con una certa arroganza negli occhi. In tre, finalmente in vantaggio, riuscirono ad atterrarne due e a legare come un salame il terzo.

«Dov'è Wardrop?» chiese Liam a braccia incrociate di fronte all'uomo inchiodato alla sedia.

«Con tua madre» rispose quello, non prima di aver sputato a terra. Liam tuttavia rimase posato e tranquillo, limitandosi a pulire la scarpa sulla giubba di uno dei suoi commilitoni, steso a terra svenuto.

«Bene, dopo averti informato del fatto che mia madre è morta e quindi, a meno che non è una metafora per dire che è andato all'altro mondo, ora mi dici dov'è Wardrop» ritentò il ragazzo. Claudette si stupì del candore con cui lo disse, come se stesse parlando del maltempo al mercato.

«Fottiti».

Liam sospirò e si grattò il capo pelato con un verso stanco.

«Sei un mercenario, perché lo difendi?»

«Perché lui mi ha pagato per stare zitto, tu no quindi, grandissimo figlio di putta-»

L'uomo si dimenticò subito di come voleva continuare la frase che si ritrovò sbattuto a terra nel giro di pochi secondi. Dopo lo stordimento iniziale dovuto alla botta, si ritrovò l'orecchio scacciato da stivale che premeva sul lato destro del viso con forza. Sentì anche il bruciante freddo di una lama puntata alla sua gola, proprio sulla giugulare che pulsava al ritmo dei suoi battiti.

«Mi sono rotta il cazzo di stare appresso a voi inglesi di merda, quindi o mi dici dov'è Wardrop o ti faccio sputare io stessa la maledetta risposta a suon di pugni. Però non ho voglia di sporcarmi la giacca, sarebbe un gran peccato, non trovi?».

Quella voce non apparteneva a Claudette. Non era la ridarella che le scappava quando trovava qualcosa buffo, non aveva l'entusiasmo che anticipava una cascata di domande e neanche la dolce fermezza che c'era dietro un rimprovero. Era nuda e fredda pietra che strisciava su un'altra, stridendo in maniera agghiacciante. Shay li sentì proprio i brividi fastidiosi che risalivano pizzicando la schiena. E forse li sentì anche il loro amico inglese, perché esitò prima di provare a rispondere.

«Fuck yo-»

Si interruppe bruscamente quando sentì la lama perforagli la coscia in profondità. Un fiotto di sangue gli scese lungo il fianco su cui era sdraiato confondendosi con i colori della sua divisa. Non perse altro tempo.

«IN EUROPA.»

«Mi sembra vaga come risposta, che ne pensi, aragosta?».

L'uomo sentì la lama rigirare appena nel muscolo, causandogli una fitta di dolore per tutto il corpo. Si mise a strillare più forte.

«TI GIURO CHE NON LO SO. TI GIURO CHE NON LO SO».

«Prova a concentrarti, vedi che secondo me te lo sai».

A Shay si accapponò la pelle quando vide la mano della donna premere più in profondità la lama celata. Lui e Liam non avevano una grande visuale, potevano solo restare fermi a guardare la schiena dell'altra, china sull'uomo, con la chioma bionda che ne copriva il viso, e una pozza di sangue scuro che si allargava ai suoi piedi. Era una scena che gli fece accapponare la pelle e, quando tentò di fare un passo avanti per far smetter quel teatrino, Claudette con la velocità di un fulmine gli aveva lanciato un'occhiata che lo invitava minacciosamente a non fiatare. Così lui fece.

«Ah... ehm... sul serio, non ricordo! Ah... LONDRA. LE NAVI CHE PARTONO DA BOSTON DI SOLITO FANNO ROTTA SU LONDRA!».

«Cosa ci deve fare a Londra?».

L'uomo iniziò a tremare e a balbettare.

«Non lo so... sono solo un mercenario io! Però l'ho sentito borbottare di un certo Buck. Nono, Birch! Reginald Birch!».

«Si prévisible» sussurrò la donna lasciando stare finalmente l'ostaggio, che ormai aveva preso a piagnucolare dal dolore.

«Prévisible? Cosa è prévisible?» gli chiese Shay, mentre la donna liberava l'uomo, che si strinse subito la gamba al petto.

«Il fatto che Wardrop sia subito corso come un cagnolino fedele da Birch, il Maestro Templare Britannico con la scatola! Dove altro avrebbe potuto trovare informazioni?» gracchiò Claudette oltrepassando i due Assassini per dirigersi fuori dalla villa.

«E perché proprio Birch?» chiese Shay a nessuno in particolare.

Claudette emise un verso esasperato e quasi urlò quando gli rispose.

«Perché quel fils de pute è ossessionato dai Precursori e sa qualsiasi cosa su di loro. Perché di certo aiuterà Wardrop a codificare la scatola. O forse perché ha la mamma troia!».

«Jeez, quante parolacce in una sola frase, signorinella! Una volta a Boston dovremo lavarvi la bocca col sapone!» le disse Shay cercando di smorzare l'atmosfera. Ci riuscì, perché Claudette sbuffò prima di spiegarsi meglio.

«Birch è un grande intellettuale e ricercatore, oltre ad essere una mente fredda e geniale. È ossessionato dai siti dei Precursori, lui e quel suo galoppino, Haytham Kenway, sono sempre sulle tracce di qualche reperto che ci hanno lasciato gli Isu».

«Aspetta, "Kenway" come quel Kenway? Il pirata? Ma non era un Assassino?» chiese Shay.

Liam gli rispose brevemente.

«Edward Kenway è morto molto tempo fa, credo che Haytham fosse piccolo. Non si sa molto di lui, tranne che da qualche anno a questa parte parteggia per Templari che lo sguinzagliano dovunque ci sia bisogno di fare qualche lavoro sporco.»

«Tipo simpatico»

Erano usciti dalla proprietà di Wardrop e per un po' nessuno aveva fiatato, forse per riordinare le idee, finché non erano giunti ai confini della città e avevano ripreso la strada per il porto. Nessuno praticamente fiatò per tutto il tragitto di ritorno, un tacito accordo per poter mettere insieme i pezzi di quella missione che stava andando allo scatafascio. Claudette sentiva la schiena come se fosse fatta di bollicine che scoppiavano senza sosta, il nervosismo le pervadeva il corpo simile a una malattia di cui si vedevano palesemente i sintomi: camminava spedita di fronte a Liam e a Shay e, quando si fermava per pochi secondi aspettandoli, saltelllava sul posto, non riusciva a far star ferme le mani, attivando e disattivando le lame celate in un tic ossessivo. Si guardava attorno come se prima o poi Wardrop gli cadesse dall'alto come un miracolo.

Shay invece non sembrava particolarmente sconvolto da quella novità, era abituato a non trovare subito una risposta. Se mai esistesse. Lui voleva solo tornare alla locanda per bersi un bel boccale di birra ristoratore prima di andare a dormire. Eppure un po' preoccupato lo era, guardando il comportamento a tratti isterico e nevrotico di Claudette si chiedeva in continuazione cosa si aspettasse di preciso da questa loro avventura bostoniana. Ciò che la navigazione gli aveva insegnato era essere paziente, perché prima o poi il vento lo avrebbe condotto a destinazione. Facendolo passare per tempeste e navi pirata, ma prima o poi sarebbe arrivato a destinazione, bastava saper aspettare.

Liam, sorprese Shay questa cosa, invece era relativamente tranquillo. Si mangiucchiava un po' le labbra, ma era molto più sereno di Claudette, che sembrava pronta a saltare al collo di chiunque le avrebbe rivolto la parola. Una volta arrivati, la donna si fiondò nella locanda, come se stesse scappando da un orso incarognito, e quando i due uomini entrarono la videro sedersi a un tavolo piuttosto isolato, lontano da una banda di marinai scozzesi che si stava prodigando in un canto marinaresco.

«Whiskey is the life of man! Whiskey, Johnny!».

«Mi piacerebbe moltissimo del whiskey, ma opterò per un boccale di birra rossa. Il più grande che avete. Tanto paga Shay.» borbottò Claudette alla cameriera, tutta trafelata per la serata lavorativa.

«Anche noi due boccali di birra.» ripose Shay, volutamente omettendo di commentare l'ultima uscita di Claudette. Perché tanto era vero, chi ci metteva i soldi di solito era lui.

Un altro lungo momento di silenzio sconfortante corse tra di loro per pochissimi minuti, con Claudette che aveva le mani affondate nel viso. Avvertiva il pizzicore che sale dalle gambe quando si camminava tanto, partendo dai polpacci martoriati e che seguiva i muscoli fino alle cosce doloranti. Dalla vita in giù quasi tremava dalla stanchezza, mentre la testa si faceva sempre più distante, invasa dalle paranoie e dalle paure. E ora che cosa avrebbero dovuto fare?

Il tonfo del boccale di vetro che toccava il tavolo ridestò tutti quanti dall'atmosfera pesante in cui erano inevitabilmente caduti. Shay sgranò persino gli occhi che non si era reso conto di aver chiuso. Afferrò la birra, mentre lanciava un'occhiata a Claudette, che sembrava devastata da quella giornata. Le diede un colpetto alla gamba con ginocchio per attirare la sua attenzione, lei gli rispose in silenzio con un triste sorriso, come a dire che stava bene. Negli ultimi mesi le cose tra loro andavano così, con piccoli gesti silenziosi e carichi di parole, minuscole accortezze e attenzioni nei confronti dell'altro, senza aver bisogno di esprimersi. Un colpetto con la punta del piede, una pacca sulla spalla e leggere carezze erano diventato il loro codice per poter parlare tra di loro senza emettere un suono. E poi c'erano i baci la sera tardi, quando tutti dormono e rimangono solo loro due svegli a parlare la notte intera.

Liam si schiarì la gola per far smettere i due suoi compagni di guardarsi negli occhi languidamente come due foche rimbambite.

«Facciamo un quadro della situazione?».

Claudette prima prese un lungo sorso di birra rossissima, sperando che l'alcool facesse effetto e le facesse dimenticare tutto quanto. Non funzionò, purtroppo.

«Quelle situation merdique! Su Smith non abbiamo alcuna novità da parte degli altri, mentre Wardrop è arrivato poco tempo fa qui ed è partito immediatamente per l'Inghilterra, pronto a sbavare ai piedi di putain de Templier di Reginald Birch. Weeks non si trova da nessuna parte. Non abbiamo né la scatola né il manufatto, non sappiamo nulla su come funzionino, non sappiamo come rintracciare nessuno, siamo in un cazzo di vicolo cieco!».

Claudette gettò le mani in aria, rovesciando qualche goccia di birra sul tavolo per sottolineare il suo scontento e frustrazione. Shay abbassò il proprio boccale dalle labbra e fischiò.

«Jaysus, Mary, and Joseph! Che botta di positività!».

Claudette gli ringhiò contro come un gatto infastidito, ma Liam si intromise prima che la donna saltasse al collo dell'uomo.

«Quello che intende dire Shay – e qui gli lanciò uno sguardo ammonitore - è che non c'è bisogno di disperarsi tanto, siamo ancora all'inizio.»

«"Ancora all'inizio"? Liam, forse hai preso un abbaglio, ma sono mesi che stiamo al collo dei Templari e che cerchiamo quei maledetti Frutti dell'Eden. È quasi un anno che sono qui e non abbiamo fatto ancora un singolo passo avanti!» scoppiò la donna, sbattendo il vetro sul tavolo.

Era esasperata, era stanca, ma più di tutto era delusa da sé stessa. E frustrata, arrabbiata, perché lei doveva essere la novità nella Confraternita, il suo ruolo era quello di portare una ventata di aria fresca. L'unica cosa che si sentiva di aver portato era solo un gran caos il giorno del suo arrivo e una cascata di disastri e delusioni.

«Claudette, non siamo nella "piccola" città di Parigi, la Confraternita copre un territorio che va dal Québec fino alla Louisiana e non siamo molti, è normale che ci impieghiamo più tempo a fare le nostre ricerche. E quante volte dovrò ricordartelo? Nessuno si aspetta nulla da te, non sei sola a sorreggere il peso di questa ricerca!» sbottò spazientito Shay.

Comprendeva più di chiunque altro le angosce di Claudette e tutte le sue paure. Gli aveva raccontato delle aspettative che si sentiva gravare sulle spalle, eppure più di una volta aveva tentato di convincerla del contrario, ma quel giorno era davvero saturo di quei discorsi, forse un po' per la stanchezza che pian piano con l'alcol stava invadendo anche il suo corpo, forse anche perché provava un po' di rabbia. Rabbia per Claudette che continuava a dare adito a voci lontane miglia e miglia da lì, rabbia verso sé stesso perché sentiva di non star facendo abbastanza né per la Confraternita né per la donna affianco a lui.

Claudette aveva sollevato gli occhi sgranati verso di lui, sorpresa dal fatto che avesse alzato la voce con lei. Cercò in qualche modo di addolcire lo sguardo per farle capire che le dispiaceva, che non voleva urlarle contro quando Liam, provvidenziale come sempre, finì il suo boccale di birra e si alzò scrocchiandosi la schiena con un verso soddisfatto.

«E' inutile che ci urliamo contro come tre ubriachi, dormiamoci sopra e domani vediamo di mettere su un piano. G'night, fellows!».

Detto ciò, tirò una pacca sulla spalla di Shay con un eloquente sguardo: "Te la sei voluta accollare? Ora ne paghi le conseguenze". Liam lo chiamava il "bello di essere scapolo". Non che lui e Claudette fossero fidanzati o lui stesse cercando di corteggiarla (un po' forse sì, doveva ammetterlo), ma tra loro c'era questo implicito accordo di prendersi cura l'una dell'altra. E ora toccava a lui ripagare il debito in sospeso che aveva da quella buia e fredda sera del luglio 1742.

 

 

*Con l'espressione corte dei miracoli ci si riferiva a un'area di una città dove si riunivano in gruppi organizzati mendicanti ed emarginati sociali. Nell'immaginario letterario il fenomeno è temporalmente collocato nel Medioevo, ma è storicamente identificabile intorno al XVII secolo (letteralmente definizione scopiazzata da Santa Wikipedia).

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