Les lissen, la gaillarde, de klaproos

di Soe Mame
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** De klaproos ***
Capitolo 2: *** La gaillarde / Les lissen ***



Capitolo 1
*** De klaproos ***


Tutti i personaggi appartengono ai rispettivi proprietari. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

Les lissen, la gaillarde, de klaproos



Mio caro Lovitje,
Spero tu stia bene.


Manon morse la punta della penna d'oca. Alzò lo sguardo, fuori dalla finestra. Una tempesta aveva scosso l'Europa e laggiù in Italia qualcosa ribolliva come lava. Per quanto lei stessa fosse stata travolta, era difficile parlare con altre persone travolte - Non tutti reagivano allo stesso modo. Tornò al foglio.

È trascorso molto tempo dalla tua ultima lettera. È strano pensare a quante cose siano cambiate in cinquant'anni.

Alzò di nuovo lo sguardo. L'ultima lettera che le aveva inviato Lovino era lì accanto, ormai ingiallita, e recava la data del Millesettecentottantotto. Un umano l'avrebbe considerata un pezzo da collezione. La prese con la mano libera, la girò e rigirò. L'aveva conservata bene. La posò di nuovo sullo scrittoio.

Non so se lo sai, ma sono diventata indipendente. Solo per un anno, ma sono stata pienamente, assolutamente e ufficialmente indipendente!

Che poi nessuno l'avesse riconosciuta era un dettaglio. Era stata un'avventura durata appena dodici mesi ma, per qualche motivo, era marchiata a fuoco nella sua mente.


«È bello che monsieur Autriche ci abbia dato così tanta libertà...» Belgio mise le braccia conserte. «Ma questo non significa che può intromettersi a suo gradimento in modo sì spiacevole! Questi suoi continui tentativi di trasformarci in una succursale del suo impero sono a dir poco disdicevoli!»
«Siamo già una succursale del suo impero.» Lussemburgo alzò appena le sopracciglia. «Nonché della Confederazione.»
«Sai cosa intendo dire.» Manon sventolò una mano, a scacciare le sue parole. «Vuole che tutto sia austriaco, vuole mettere bocca nei nostri affari interni e, con la scusa del togliere potere alla Chiesa, vuole minare la nostra cultura!» Strinse un pugno. «Ecco perché faremo sentire la nostra voce!»
«Fammi sapere come va a finire.»

«Beh, a quanto pare, sono diventata indipendente. È stata una cosa rapida. Abelletje ci ha messo ottant'anni.» Annuì. «È stata proprio un'ottima idea ribellarsi mentre monsieur Autriche è in guerra. Monsieur France è stato di grande ispirazione e-»
«Fräulein Belgien!»
«Meneer Oostenrijk! Cosa ci fate qui? E quando siete arrivato?»
«In realtà sono qui da ieri, ci ho messo un po' a riprendermi.»
«Bene, questo risponde alla seconda domanda, ma-»
«Permettetemi di interrompervi, Fräulein, perché mi accingo a rispondere alla vostra prima domanda. Ebbene, sono venuto qui per chiedervi gentilmente di arrendervi.»
«Oh, no! La mia indipendenza è già finita?»
«Temo di sì, Fräulein.»
«M-Ma monsieur Pruisen?»
«Här Preisen se n'è andato da un po', Schwëster.»
«L-Lucilin! Anche tu qui? Pensavo fossi con monsieur Pruisen! Meneer Engeland non può mettere bocca anche su-»
«Fräulein Belgien...»
«Oh, perdonatemi, monsieur Autriche! Siate così gentile da darmi un po' di tempo per pensare alla vostra offerta.»
«Fräulein Belgien, vi siete ribellata al vostro padrone e gli state chiedendo di aspettare?»
«Certamente.»
«D'accordo.»



L'indipendenza più breve della Storia si era consumata lì, a Bruxelles, nel Millesettecentottantanove. Non che monsieur Autriche fosse rimasto il suo Capo troppo a lungo.

Non pensavo di rivedere monsieur France in quelle circostanze. Non pensavo non mi sarebbe piaciuto.

Guardò il foglio. Inspirò. Non avrebbe mai inviato quella lettera, così come non aveva inviato tutte quelle che aveva scritto in quei cinquant'anni.

Sono stata così felice quando meneer Oostenrijk ha deciso di cedere la mia casa ad Abelletje. Mi dispiace, però, ci sia andata di mezzo la casa di tuo fratello.

No, decisamente, non l'avrebbe inviata. Però non l'avrebbe bruciata come tutte quelle che aveva scritto quando viveva con monsieur France.

Sai, Lovitje,

Fissò le parole.

sono stata felice anche quando ho cambiato nome in États-Belgiques-Unis. Che mi chiamassero così o Verenigde Belgische Staten, era comunque un nome che mi piaceva. Zuidelijke Nederlanden non è un brutto nome, ma

Le dita si strinsero sulla penna.

Nederland è mio fratello. E io non sono Abel.

Forse, in effetti, avrebbe potuto bruciare anche quella lettera.

— De klaproos —



Nonostante fosse presente nei suoi ricordi fin da quando aveva memoria, Abel era sempre riuscito a risultarle imprevedibile. Volontariamente o meno, era un altro discorso.
Sapeva benissimo non fosse una nazione fatta per obbedire. Però sapeva anche che rimanere da soli, lassù, sarebbe stato un suicidio - Francia, Sacro Romano Impero, Danimarca e Novergia, Inghilterra, Spagna. Chi sarebbe stato il primo ad aggredirlo, una volta rimasto solo? Lui non poteva chiederle di assistirlo in un obiettivo tanto sconsiderato. Se era scesa in battaglia contro di lui, era stato solo per farlo ragionare, per riportarlo alla realtà - Per ricordargli che, nonostante tutto, là a Madrid era al sicuro.
Era stato grazie a quel pensiero che era riuscita a rimanere sul campo di battaglia. Sapeva di star facendo la cosa giusta. Sapeva di star facendo tutto quello per poterlo salvare. Era suo fratello, gli voleva bene, l'avrebbe affrontato a costo di fargli del male, se questo avesse potuto salvarlo.
Però non aveva salvato Abel. E i Paesi Bassi erano diventati un impero in continua espansione, ogni decennio sempre di più. I Paesi Bassi erano così forti del loro nome e della loro cultura da poterla esportare, così forti da poter fronteggiare imperi che contavano ben più territori, vittorie e anni.
Lui non aveva avuto bisogno di qualcuno che lo salvasse. Non c'era mai stato bisogno di salvarlo, in primo luogo. Tutto ciò che lei aveva fatto, tutto ciò che aveva visto, ciò che l'aveva mossa fino a quel momento, tutto si basava su qualcosa che non esisteva. E lei ci si era lanciata a capofitto, con decisione, sicura come non era mai stata.
Era felice per suo fratello. Lo era davvero. Ma i suoi successi le ricordavano quanto si fosse sbagliata. Se si era sbagliata su una cosa di cui era tanto convinta, cosa le garantiva che non sarebbe successo di nuovo? Cosa le garantiva che il prossimo obiettivo a cui avrebbe dedicato anima e corpo non si sarebbe rivelato inutile ed evitabile?
Non poteva permettersi di pensare a cose del genere. Non poteva permettersi di pensare ai motivi che avevano spinto Abel a ribellarsi - e che lo avevano portato alla vittoria e al successo. Lei non era Abel. Non poteva permettersi di chiamare suo fratello minore "Lucilin" piuttosto che "Luciano", non poteva permettersi di farsi chiamare "Manon" piuttosto che "Marita", perché lei non era Abel, non era forte come lui - E lui non sarebbe venuto a salvarla. Lei non aveva bisogno di qualcuno che la salvasse. Non c'era mai stato bisogno di salvarla, in primo luogo. Era al sicuro, là a Madrid. Lei, suo fratello minore, i loro popoli - Se avesse continuato ad essere Marita, sarebbero stati al sicuro.
Era stata tanto felice di reincontrare Abel, una volta divenuta Paesi Bassi austriaci. Potevano incontrarsi liberamente, sul confine - A volte si andavano a trovare a casa, quando non c'era nessuno a spiarli. Insomma, meneer Oostenrijk non avrebbe approvato. Era bello essere di nuovo insieme, lei e i suoi fratelli, di poter essere chiamata "Manon", senza dover tenere conto di nessuno. Erano trascorsi tantissimi anni, erano cambiate tantissime cose, ma la felicità di rivedere la propria famiglia riunita aveva quasi cancellato ogni pensiero negativo. Quando poi meneer Oostenrijk aveva ufficialmente consegnato la sua casa ad Abel, era stata certa di poter definire quello il giorno più bello della sua vita.
Ma era successo di nuovo. Non brutale come la prima volta, ma non era stato piacevole rendersene conto. Eppure se l'era sempre ripetuto. Lei non era Paesi Bassi.

*



«Come sta oggi il mijn lieve broer
«Cosa c'è, Manonnetje?»
Manon lo raggiunse in due saltelli, lasciò cadere la valigetta a terra e lasciò cadere se stessa sulle sue gambe. «Sai, stavo pensando...»
«Non camminerò mai più.»
«Oh, per favore, non sei così deboluccio!» Gli diede una pacca sulla spalla e lasciò andare la schiena contro uno dei braccioli della poltrona. «Dicevo. Stavo pensando che forse si possono fare un po' di cambiamenti~»
Abel inarcò un sopracciglio, un lampo di sospetto negli occhi. «Che tipo di cambiamenti?»
«No, nessuna ristrutturazione.»
Era quasi comico vederlo trattenere un sospiro di sollievo tanto platealmente.
«Ma tipo...» Portò le braccia dietro la testa, a mo' di cuscino. «Non pensi che l'uguglianza sia una cosa buona e giusta?»
«È negli interessi del nostro re.»
«Eh, sì, appunto...» Sorrise, in uno sfarfallio di ciglia. «Però, sai, mi sembra che il tuo re olandese, che parla olandese e che vive in una città olandese faccia, come dire...» Finse di pensarci, in una pausa calcolata. «Un po' di favoritismi agli olandesi, ecco.»
«E questo ti arreca danno perché...?»
Sentì il sorriso incrinarsi. Se faceva una domanda del genere, con una genuina confusione del genere, la situazione era peggiore del previsto. «È che, sai, Abelletje...» Alzò la schiena, portò le mani sul sedile. «Non ti ricordi che metà del mio popolo parla francese?»
«Oh, giusto.» Abel annuì appena. «Sono comunque una netta minoranza, nel nostro paese.»
Manon serrò le labbra, ancora piegate in un sorriso. «Sssssì, mijn geachte broer, indubbiamente, se consideri te, me e Lucitje, la parte francofona è in netta minoranza ma-»
«Cosa mi stai chiedendo?»
Una cosa che amava moltissimo di suo fratello era che, durante le negoziazioni, andava dritto al punto. Dato che non voleva sembrare troppo aggressiva, Manon fece un piccolo broncio. «Riconoscere la mia metà francofona. Permetterle di parlare ufficialmente la propria lingua. E distribuire più equamente i ruoli nelle cariche più alte.»
«Non lo sono già?»
«Gli ufficiali sono praticamente tutti olandesi, e i soldati praticamente tutti belgi. Siamo più della metà del regno ma abbiamo solo la metà dei seggi.»
«Noi paghiamo più imposte.»
«Non puoi risolvere tutto-» No, quella era frase inutile. «E poi, i ministri belgi sono qualcosa come un quarto del totale.»
«Se vi ostinate ad andare contro la Costituzione solo in virtù del vostro credo religioso, non posso prendervi in considerazione.»
Quello era un tasto dolente. Gli puntò un dito contro il petto. «E non puoi pretendere di trasformarci tutti in protestanti. In olandesi protestanti, per la precisione.» Portò le mani alle ginocchia. «Non riesco a capire, Abelletje. Il tuo re mi sembra giusto e illuminato, eppure sembra cerchi di soffocarci.»
«Forse è solo una tua impressione.»
Manon sospirò. Non che pensasse di convincere Abel, ma sperava almeno di fargli venire il dubbio che forsemagaritipo ci fossero dei problemi. Scese dalle sue gambe, scattò in piedi e battè le mani.
«Non mia. Mia e del mio popolo, semmai!»
Prima che l'altro potesse dire qualsiasi cosa, Manon recuperò la valigetta, la aprì e ne estrasse un plico di fogli. Lo porse a suo fratello.
«Ho viaggiato per la mia casa.» spiegò, mentre Abel prendeva i fogli. «Ho parlato con tutti i portavoce e raccolto le loro proteste. Per assicurarmi che fossero idee condivise dal popolo, ho lanciato delle petizioni e raccolto firme.» Portò le mani dietro la schiena e si dondolò sui piedi. Abel studiava i fogli. Sembrava quasi incredulo, e Belgio lo trovò stranamente soddisfacente. «In molti erano entusiasti di quest'idea. Mi hanno aiutata un sacco di persone. Per questo ci ho messo abbastanza poco.»
Abel riemerse dai fogli, e la guardò quasi per accettarsi che fosse lei. «E quanto ci hai messo, a raccogliere tutto ciò?»
«Contando anche la parte organizzativa e la fase riassuntiva, tre anni.» Gli indicò il primo foglio. «Ho anche stilato un indice. I reclami sono divisi in quattro sezioni maggiori: economica, politica, religiosa e culturale. Ciascuna è suddivisa in diverse sezioni minori, e tutte contengono il punto di vista sia dei movimenti più moderati che di quelli più estremi.» Sorrise. «Sarei molto felice se, dopo averlo letto, lo consegnassi al tuo re~»
Paesi Bassi si lasciò andare contro la poltrona. Posò i fogli sulle gambe e, dopo qualche secondo, si sporse a prendere la pipa dal tavolino. Dopo un paio di sbuffi di fumo, fissò lo sguardo su di lei. «Chi è che ti ha insegnato a mettere la parte economica per prima?»
«Chissà~» Fermò i piedi. «Per qualsiasi delucidazione o informazione aggiuntiva, sai dove trovarmi, broer
«E se invece» Un altro sbuffo di fumo. «venissi con me dal re, così da non sprecare tempo prezioso, zus
Manon coprì il sorriso con una mano. Era certa apparisse troppo soddisfatto. «Ne sarei onorata, broer

*



Era così facile, eppure non aveva sentito di troppe altre nazioni che l'avevano fatto: presentare i propri reclami in modo ordinato e con spiegazioni dettagliate del perché ritenessero che una determinata legge o un certo modo di fare necessitassero di un cambiamento. Il re aveva letto ciò che lei aveva scritto, ne aveva discusso con i suoi ministri, e i cambiamenti c'erano stati. Non immediati, non senza errori, ma erano state modifiche civili, corrette, senza che nessuno si facesse troppo male - Senza dover avere paura che non ci fosse modo di tornare indietro.
«Chissà perché non fanno tutti così.» Manon alzò lo sguardo al cielo. C'erano solo un paio di nuvole bianche. «Perché si deve sempre ricorrere alla violenza? Perché non si può discutere civilmente?»
Chilometri al di sotto delle nuvole, una manciata di centimetri sopra il suo naso, un'altra nuvola chiara attraversò il cielo.
«Perché è raro ci sia qualcuno disposto ad ascoltare.» La voce di suo fratello si era fatta più bassa. «Dovresti saperlo.»
Manon non abbandonò il suo sorriso. Nascose le mani sotto le maniche ampie del vestito. Fosse mai che iniziassero a tremare.

*



Lei non era Abel. Quindi non c'era nessun motivo per cui dovesse pensarla come lui. La situazione in cui si trovava era perfetta: lì a Bruxelles era al sicuro - Era a casa sua, suo fratello maggiore vegliava su di lei e sul loro fratello minore. O meglio, Prussia vegliava su suo fratello minore - Insomma, Paesi Bassi si prendeva cura di loro e si assicurava che nessuno potesse far loro del male. Se lei e il suo popolo avevano delle rimostranze, le ascoltava e ne rendeva partecipe il suo re. Perché avrebbe dovuto rinunciare a tutto quello? Abel l'aveva fatto, ma ciò non significava che lei necessitasse di fare altrettanto.
E poi, in quel caso, la situazione era diversa. Si stava parlando di Spagna. Era comprensibile essere in disaccordo con Spagna. Lei stessa, a volte, era in disaccordo con Spagna. Lei stessa, a volte, non apprezzava stare in presenza di Spagna.
Belgio fece una piroetta davanti allo specchio. Ci aveva messo un'ora a piegare i capelli in boccoli perfetti ed era soddisfatta del risultato. Sorrise al suo riflesso.
«Su, smettila di pensare a queste cose!» Agitò un dito contro la sé nello specchio. «Il tuo popolo può vantare una delle nazioni più carine e adorabili e diplomatiche che esistano, e tu ti incupisci così? Manon mia, sei davvero-»
La Manon nello specchio era impallidita. I suoi occhi sembravano quasi neri.
Il suo popolo. Non di Abel.
Il re di Abel. Non il suo.
Perché aveva continuato a ripeterselo, se non capiva neppure le sue stesse parole?
Lei non era Paesi Bassi.

*



«Abelletje.»
«Mh?»
Manon alzò lo sguardo dalla tazza di cioccolata. Abel era sulla poltrona, con la pipa.
«Cosa diresti se ti dicessi che voglio essere indipendente?»
Paesi Bassi portò la pipa alla bocca. Quando la scostò, lo sbuffo di fumo si artigliò alla finestra aperta. «Lo sei già stata. E sei durata un anno.» Inutile negare la realtà. «Ti è andata bene. Pensa se Frankrijk non fosse stato impegnato. Saresti diventata sua in mezza giornata.»
«Infatti meneer Frankrijk è arrivato pochi anni dopo, quando non ero indipendente.»
La pipa tornò alla bocca.
«Quindi, dato che il mio stato di indipendenza non influisce in alcun modo sulla possibilità che la mia casa venga invasa o che venga usata come campo di battaglia...»
Lo sbuffo di fumo parve più grande del solito. Forse aveva aspirato di più.
«E dato che tu per primo sei stato un grande promotore dell'individualità dei popoli e del loro diritto ad essere indipendenti secondo la propria natura e cultura...»
La pipa tornò alla bocca. Abel la scostò un istante dopo, lo sguardo sorpreso. Doveva essere finito il tabacco.
«Mi chiedevo se non fosse possibile, per me, chiederti di riconoscermi come nazione indipendente.»
«Ma perché quest'idea ora, così, a caso?»
Il fatto che non le avesse detto di sì non faceva presagire cose positive. Il fatto che non le avesse detto esplicitamente di no, tuttavia, offriva la meravigliosa possibilità di continuare a parlargli.
«Ti ho sempre ammirato molto, Abelletje.» Era vero, ma era anche un nient'affatto sottile complimento per adularlo. La verità sapeva essere uno strumento davvero potente! «Forse la tua influenza su di me è stata più forte di quanto io stessa pensassi.»
Abel sospirò. Era quasi strano non vedere sbuffi di fumo - La finestra aperta aveva già fatto diradare i precedenti. Paesi Bassi si alzò e la raggiunse al tavolo, ma non si sedette. Posò la mano a pochi centimetri dal piattino della sua tazza.
«Fatico a capire» esordì, piano: «come tu possa dire cose simili quando il tuo popolo è spaccato a metà. Noi abbiamo una cultura comune, una lingua comune.» Si abbassò appena, ma sempre alto rimase. «Non ti sembra assurdo parlarmi di unità del popolo quando il tuo è così diverso?»
«È proprio questo il punto!» Manon posò la tazza sul piattino. «Culture diverse, lingue diverse, eppure si sentono tutti parte della stessa nazione!» Si portò una mano al cuore. Il sorriso era più spontaneo che mai. «Non è meraviglioso, essere diversi e sentirsi uniti?»
Gli occhi di Abel erano incastonati nei suoi. Non era convinto, lo sapeva benissimo, ma non era neanche troppo dubbioso. Lo vide distogliere lo sguardo un istante, la mano sul tavolo andò tra i capelli, un gesto fatto puramente per prendere tempo. Si rialzò, e tornò ancora più alto.
«Se me lo dici tu mi fido, ma» Tornò a guardarla. «perché? Perché le Vlaanderen non vogliono venire da me e la Wallonië non brama di unirsi a Frankrijk?»
Ora, in effetti c'erano alcuni esponenti della Vallonia che avrebbero voluto unirsi alla Francia, e lei stessa, qualora si fosse scoperto che un meteorite fosse in picchiata sulla Terra e che solo sposando Francia avrebbe salvato il pianeta, si sarebbe immolata ma non era necessario che suo fratello lo sapesse. Anche se sarebbe stato senz'altro un caso scientifico interessante e dalla bizzarra consequenzialità causa-effetto.
«Mh...» Manon si portò un dito alle labbra. Non doveva pensarci davvero, ma faceva scena. Sorrise. «Cosa vuoi che ti dica? È così!»
Paesi Bassi non sembrava troppo convinto. La mano tornò al tavolo, le dita tamburellavano la superficie di legno. «Sai che non sarebbe scontato che io venga in tuo soccorso, in caso fossi in pericolo, vero?»
Belgio annuì. «Non l'hai fatto, quando meneer Oostenrijk è tornato.»
«Non ti chiederò perdono, per questo.»
«Lo so.» Continuava a sorridere, ma aveva abbassato lo sguardo. Tornò alla tazza. «Siamo nazioni, non umani.» Bevve un sorso. La cioccolata si era raffreddata, ma era buona lo stesso. «Però, sai...» Si pulì la bocca con il tovagliolo. «Non sei l'unica nazione a cui posso chiedere aiuto.»
«Non puoi sperare di sopravvivere solo chiedendo aiuto.» Le dita si fermarono. «Non ci sarà sempre qualcuno disposto ad aiutarti.»
«L'ho già ampiamente sperimentato, mijn lieve broer. E sai benissimo che non intendevo questo.» Tornò a guardarlo. Nonostante tutto, sembrava preoccupato. «Ma chiedere aiuto non è una cosa sbagliata. Se si facesse più affidamento sugli altri, sono certa ci sarebbe meno bisogno di chiedere aiuto in primo luogo.»
Un altro sospiro. Doveva proprio aver finito il tabacco, se non era già corso a riempire la pipa. «Dimmi un'ultima cosa.»
«Sì?»
«Non ti è bastato tutto quello che ti ho dato?» Una nota, minuscola, quasi impercettibile, strana da sentire, di esitazione. «Ho accolto le tue petizioni. Avete libertà di stampa, di parola e persino di opposizione. Hai chiesto, e sei stata esaudita. Dov'è il problema?»
Non avrebbe voluto sentirla, ma sapeva sarebbe successo. Era ovvio, comprensibile. «Niente che rientri nella tua sfera di possibilità, purtroppo.» Non era bello doverlo ammettere. Quasi se ne dispiaceva, in un modo irrazionale. «Sono felice tu mi abbia ascoltata. Davvero. Per favore, considerala la mia ultima richiesta, broer.» La voce era uscita più bassa, ma ferma. «Lasciami essere una nazione.»
Paesi Bassi si scostò dal tavolo. Raggiunse la credenza, aprì un'anta e prese altro tabacco. Riempì la pipa e andò alla finestra. Non rispose.
Il tabacco c'era ancora, allora. Manon finì la cioccolata. Abel non le aveva risposto - né le avrebbe risposto - ma non aveva voluto soffocarla in una nube grigia.

*



Manon si torse le dita. Avevano ragione, ma non poteva neppure dar torto all'altra parte.
«Possiamo trovare una soluzione.» esordì, piano. Diversi occhi umani si puntarono su di lei come una pioggia di spilli. «È vero.» Separò le mani, aprì appena le braccia. «I macchinari hanno sostituito molte persone. E-» si affrettò a dire: «è ingiusto che queste persone siano state licenziate.» Un mormorio di assenso si diffuse tra la piccola folla. «Dall'altro lato, la velocità delle macchine e il loro non dover essere stipendiate sono senza dubbio elementi che farebbero gola a chiunque.»
«Come se ne avessero bisogno!»
«Tolgono il lavoro alla gente onesta e aumentano il prezzo del cibo!»
«Vogliono affamarci!»
«Strozzini, ecco cosa sono!»
«Possiamo trovare un punto d'incontro.» Belgio alzò la voce. Il brusio si era fatto chiacchiericcio. «Il mondo cambia. Credetemi, so cosa significa vedere stravolta la propria esistenza.» Per quanto il vociare fosse tornato sussurro, nessuno la contestò. «Le macchine non sono infallibili.» Non che fosse esperta dei nuovi macchinari, ma una cosa di cui era certa era che niente fosse infallibile. «So che hanno bisogno di manutenzione. E sorveglianza. Non sappiamo di cos'altro possano aver bisogno, e potremmo inventare nuovi lavori!»
«E così diventeremmo servi delle macchine?»
«Perché dovremmo inventare nuovi lavori, se già ci sono?»
«Nuovi lavori che poi saranno rubati dalle macchine? No, grazie!»
«Dovremmo distruggerle, ecco cosa!»
«Per favore,» Qualcosa di pesante le premeva sul petto, il respiro usciva a fatica. Qualcosa non andava. «rimaniamo calmi. Non servirà a niente urlarci contro!»
«Mademoiselle Belgique, andate da vostro fratello e cercate di fargli cambiare idea!»
Manon scosse la testa. «Temo di non poterlo fare.» Era come se le stessero premendo una mano contro la bocca. «Le macchine sono preferibili a-»
«Dame België, non possiamo più continuare così!»
«Lo so!» Una fitta al petto. La mano trasalì, ma si costrinse a non muoverla. Doveva continuare a guardarli negli occhi, tutti quanti, uno per uno. «Dobbiamo trovare una soluzione che possa venire accettata. Le petizioni hanno avuto successo, la volta scorsa.» Stava iniziando ad ansimare, e questo era male. «Possiamo riprovarci. Raccoglierò le vostre lamentele e insieme studieremo-» La voce non uscì. Chiuse la bocca. Gli occhi iniziarono a bruciare.
«Mademoiselle Belgique!»
«Dame België!»
Lo sapeva che le macchine stavano venendo distrutte. Lo sapeva che c'erano sommosse ovunque. Ma c'era qualcosa che non andava - C'era qualcos'altro che non andava.
«Scioperare e distribuire volantini è stato un ottimo primo passo.» Sforzò la voce. Uscì un sussurro flebile, soffocato, patetico. «Sono fiera di voi. Di tutti voi!» Li abbracciò con lo sguardo. Le orecchie iniziarono a fischiare. «Vi prego...» Così forte da fare male. «So che siete arrabbiati, ma...» Le mani sobbalzarono. «Se proprio dovete sfogare la vostra rabbia, se secondo voi tutto questo è inutile...» I denti tremarono. Li serrò. Inspirò. «Solo gli oggetti. Colpite solo gli oggetti. Non fate del male alle persone, vi prego.» Non voleva più vedere campi di battaglia, non voleva più vivere ciò che aveva visto, non voleva più realizzare di non poter tornare indietro. «Dov'è...» La vista si stava offuscando. «... il re di broer
«Al Théâtre de la Monnaie, mademoiselle, ma-»
«Hanno riautorizzato La Muta di Portici, non ricordate?»
«Dame België, cosa vi sta succedendo?»
Voci ovattate. Una nebbia che bruciava gli occhi. Una pugnalata al centro del petto. «Non così...» Il fischio nelle orecchie le avrebbe ridotto la testa in poltiglia. «Non così, vi prego...» Le mani non bastarono a tenere lontano il fischio. «Possiamo parlare...»
"Non voglio vedere..."
«Cosa sta succedendo?»
"Non voglio vedere..."
«Oddio, quello è un incendio?»
"Non voglio vedere..."
«Cosa sono questi tamburi?»
"Non voglio vedere..."
«Stanno sparando!»
La nebbia cadde. Non potè non vedere. Il fischio nelle orecchie fu schiacciato da un suono che le spaccò la gola.

*



«Mi piacciono i colori del Brabant.» Manon approvò la proposta. Posò il viso sulle mani fasciate. «Sì, potremmo adottare quelli. Così nessuno penserà che vogliamo essere annessi a monsieur France
Anche gli altri accolsero la proposta con un mormorio di assenso. Lucilin le scoccò un'occhiata preoccupata. Si sarebbe proprio dovuto concentrare di più sulla riunione e meno su di lei.
«E poi, mi sembra giusto onorare il luogo da cui tutto è partito!» Belgio allargò il suo sorriso - Per quanto il taglio sulla guancia ancora tirasse un po'. «Oh!» Indicò il disegno. «Magari magari magari possiamo farla come il Tricolore francese~?» Fece scivolare le mani da sotto il viso e le mise dritte davanti a sé. «Cioè, in verticale?»
«È un'ottima idea!»
«È anche opposta rispetto alla bandiera olandese!»
«Mh-mh!» Belgio annuì. Era per quello che l'aveva proposto.
«Per ora teniamola così!»
«Sì, questi colori vanno benissimo!»
«Nel caso li cambiamo un po' di posto, ma sempre così rimarranno!»
«Scelgo come miei colori il rosso, il giallo e il nero.» Rimirò il disegno, ora ruotato. «Tre colori diversissimi, ma con lo stesso spazio sulla bandiera.» Battè le mani. «Spero possa portarci buona fortuna.»
Al suo fianco, Lussemburgo sospirò. Finalmente guardava il disegno. «Sì, Schwëster. Lo spero davvero.»

*



Mijn geachte broer,
Non posso nasconderti il mio dispiacere, il mio stupore e il mio sdegno per tutto ciò che è successo.


Come si era arrivati a quel punto, nel giro di pochi mesi?

Avevo una buona opinione del tuo re, ma il trattamento che ci è stato riservato ieri mi ha molto turbata. Non credevo che i nostri popoli fossero in rapporti tanto amari.

Faceva merenda insieme a suo fratello, fino a pochi mesi prima. Ora il re di suo fratello le parlava quasi con disprezzo, la folla che si era raccolta fuori dal palazzo dell'Aia l'aveva inquietata come poche cose l'avevano turbata nella sua vita centenaria. Sembrava che qualcuno avesse tolto un sassolino minuscolo, salvo accorgersi di aver scatenato una frana.

Non credevo che una semplice bandiera potesse offenderlo al punto da minacciare di invadere la mia casa con il suo esercito.

Ovvio non fossero state tre strisce ad averlo spinto a prendere una decisione simile. Forse stava solo aspettando il momento giusto per fare qualcosa che avrebbe voluto fare da tempo - Da quando aveva deciso di essere stanco di ascoltarli.

Ti ripeto ciò che ho già detto al tuo re. Non cambierò la mia bandiera. Non riprenderò la tua. Perché io non sono te, Abel.

Un rumore. Alzò gli occhi di scatto. Dovevano essere già arrivati. Si alzò e andò alla finestra. Bruxelles era costellata di barricate improvvisate. Dovevano essere rimasti tutti svegli, in attesa, o incapaci di prendere sonno. Lentamente, senza staccare gli occhi dalla linea dell'orizzonte, Manon si abbassò a prendere il moschetto.
Però...
Però gli uomini a cavallo erano molti, molti di meno di quanti ne avesse previsti. Individuò il re. Al suo fianco, una figura imponente.
Manon sentì le labbra tirare. Forse era merito della delegazione notturna. Forse il re aveva semplicemente cambiato idea. O forse qualcun altro aveva interceduto per lei, per il suo popolo, con il proprio re.

Voglio pensare che Belgique e Nederland possano avere bandiere diverse, lingue diverse e nomi diversi e continuare a volersi bene. Posso pensarlo, broer?

*



Manon si passò il dorso della mano sul viso. Non un'idea geniale cercare di togliere del fango con una mano sporca di fango. Sbuffò. Aveva il terrore di vedere in che stato fossero i suoi capelli. Forse sarebbe dovuta rimanere con le altre donne e attaccare dall'alto. Scosse la testa. Finché dal cielo fossero piovuti solo mobili, non avrebbero aperto il fuoco contro le finestre. Sospirò. Avere un'esperienza quasi centenaria delle armi da fuoco aveva i suoi risvolti negativi. Tipo il doverle usare.
Si fermò. C'era una nazione, alle sue spalle, e di certo non era Lucilin. Si voltò.
«Manon.»
«Salut, broer.» Sorrise. Ma era certa che il sorriso non fosse arrivato agli occhi. «Se riesci a riconoscermi, vuol dire che non sono così malridotta.»
«Come se dovessi faticare, per riconoscerti.» Paesi Bassi si avvicinò. Belgio non si mosse. «Ce ne stiamo andando.»
Sentì il sorriso farsi più ampio. «L'avevo capito dal silenzio.» E la voce farsi più gelida. «Mi deludi, mijn geachte broer. È questo l'esercito che ha sconfitto imperi e conquistato colonie? Sono bastati dei vasi da notte per mettervi in fuga?»
«Il tuo popolo sa come essere deciso. E i vasi da notte fanno male, sai?» Era nel suo stesso, discutibile stato. Avrebbe osato dire un po' meglio, dato che notava più colori di quanti se ne vedesse addosso lei stessa. La quantità di fango era più o meno la stessa, però - Ed era ragionevolmente sicura fosse fango, sia perché era in possesso di un naso funzionante, sia perché aveva abbastanza fiducia in suo fratello da pensare che non le si sarebbe presentato di fronte dopo un tragico incontro con un vaso da notte con sorpresa.
Serrò le labbra, a soffocare una risata al pensiero. Avrebbe voluto ridacchiare, in realtà. Era una cosa stupida e infantile, ma avrebbe voluto farlo.
Però, l'aveva detto, suo fratello era nel suo stesso, discutibile stato. Nonostante l'oscurità della notte, poteva individuare lividi violacei e tagli rossastri anche troppo simili ai suoi. Non erano tutti opera di armi, ovviamente. Era quasi assurdo pensare che, in quel momento, anche il popolo di suo fratello stesse risentendo di tutto quello che stava succedendo.
Belgio sospirò. Se anche avesse riso, non avrebbe contagiato gli occhi o il cuore. «Con tutto il rispetto, broer...» Però il suo sorriso era rimasto, immutato, gelido. «Se sei venuto solo ad informarmi della tua partenza, devo gentilmente chiederti di andartene. Al momento, non gradisco la tua presenza.»
«Non te la imporrò oltre.» Paesi Bassi non distolse lo sguardo. Era nel suo stesso stato, l'aveva detto e ridetto. E non lo era solo a livello fisico. Capì che avrebbe voluto sorridere, ma che non ci riusciva. «È strano.»
Belgio piegò appena la testa di lato, un invito a proseguire.
«I ruoli si sono invertiti.» Capì anche che, in realtà, suo fratello avrebbe voluto imporgliela, la sua presenza, ma non con il ruolo che ricopriva in quel momento. Non parlava piano, né esitava, ma capì che stava scegliendo quali parole usare, e che non stava avendo troppo successo. «Ora sono io ad introdurmi di nascosto nel tuo campo per poterti parlare.»
Già. Che ironia poco piacevole. Belgio riportò la testa dritta. «Però una cosa è rimasta.»
Paesi Bassi le scoccò uno sguardo interrogativo.
Belgio si portò una mano al petto. Continuò a sorridere. «Odio i campi di battaglia. Odio combattere con le armi. Odio che tu mi costringa a vedere cose del genere.»
L'espressione di suo fratello si indurì. «È stato il tuo popolo a-»
«Cosa? Invadermi da sola? Guardare i miei stessi delegati come insetti fastidiosi? O non riuscire a chiudere occhio perché il mio stesso re potrebbe spuntare da un momento all'altro sotto la mia casa soltanto perché ho osato fargli delle domande a cui prima ha sempre accettato di rispondere?» I denti erano troppo stretti. Non sentiva più il sorriso. «Guarda, broer. Guarda cosa sta facendo, il tuo re. Sta facendo esattamente ciò che tu rinfacciavi a qualcun altro.»
Un lampo freddo in quegli occhi chiari. «Non osare paragonare il mio re a-»
«Non vuole più ascoltare!»
Abel tacque. Manon fece un passo avanti. «E tu, broer? Tu ti sei stancato di ascoltare le continue lamentele della tua petite soeur? Ti sei stancato di rimediare ai problemi che ti faccio presenti? Se ti sei così stancato, perché non mi lasci andare e basta?»
«E perché dobbiamo dividerci?»
Manon trasalì. La voce di suo fratello era più alta. «Siamo di nuovo insieme, dopo tutti questi anni. Dopo tutto quello che ci ha fatto passare lui
Non disse niente. Lei non provava gli stessi sentimenti di suo fratello, nei confronti di quella persona. Non poteva dargli ragione, ma non poteva neppure dargli torto. I ruoli si erano invertiti, ma era certa che il risultato sarebbe stato lo stesso.
«E c'è anche Lucilin. Siamo noi tre, ognuno con la propria casa, il proprio nome, la propria...» La squadrò. «Le proprie lingue. Ho fatto tutto ciò che era in mio potere, per farti stare bene.» Non stava capendo. O forse stava capendo, e la cosa non gli piaceva. «Sei libera, come non lo sei mai stata. Perché hai deciso di arrivare a questo?» Aprì un braccio. Barricate. Fumo scuro che si alzava verso il cielo. Porte sbarrate. Finestre rotte. Non li vedeva, ma dovevano esserci svariati proiettili, nel fango.
Oppure, ancora peggio, stava rivedendo qualcosa che pensava non avrebbe mai più rivisto, ed era stata lei a costringerlo a riviverlo, in un ruolo che non pensava avrebbe mai ricoperto.
Non voleva si arrivasse a questo. Non voleva che qualcuno - tantomeno loro - soffrisse. Ecco perché voleva parlare. Ecco perché era felice che suo fratello la ascoltasse.
"Perché ho deciso di arrivare a questo, broer?"
Gli occhi pizzicarono. Scosse la testa. «Belgique non ha deciso un bel niente.» Serrò i pugni. «Belgique vuole una tazza di cioccolata calda. E un bel vestito, magari rosso, perché il rosso le sta bene. Di quelli dell'ultima moda di Paris. E vuole lavarsi i capelli, e farsi i boccoli, e mettersi un bonnet. E vuole passeggiare per la sua casa, e vedere tutti felici. E vuole farlo insieme ai suoi fratelli.» La gola era riarsa. «Però... Belgique vuole essere Belgique. Vuole poter avere la possibilità di risolvere da sola i propri problemi. Vuole non doverli delegare a qualcun altro, e dipendere dalla sua decisione. Vuole anche avere l'occasione di crearseli da sola, i problemi, sai?» Le labbra si piegarono di nuovo. Stavolta non dovette forzarle. «Te l'ho detto, Abelletje. België non è Nederland. E temo questa sia una cosa che non potrà mai cambiare.»
Lo sguardo di Paesi Bassi rimase su di lei. Nessuna voce spezzò quel silenzio. Alla fine, Abel sospirò. Portò una mano alla tasca, salvo afferrare il nulla. Ovvio non avesse la pipa con sé.
«Quanto ti sta costando, tutto questo?»
Manon soffocò una risata. «Broer, non puoi pensare sempre a-»
«Hai capito cosa intendo.» La sua voce era un blocco di granito.
Manon lasciò andare la risata. Non rispose. Ringraziò il buio della notte.

Mijn lieve broer,
C'erano tante cose che non volevo vedere. A quanto pare, però, è giunto il momento che io le veda. Che si tratti di un campo di battaglia o del mio riflesso nello specchio, ho capito di non poter più scappare. Avrei davvero voluto capirlo in modo meno brutale. Ora non posso far altro che affrontarli, e dall'altro lato della barricata ci sei di nuovo tu.
Forse anche questo sarà un obiettivo effimero. Però c'è il mio popolo ad accompagnarmi. E io mi fido di tutti loro. Se loro condividono il mio obiettivo, se anche si rivelasse effimero, non rimpiangerò un solo istante di averlo perseguito.
Spero di rivederti presto, Abelletje.
Tua Manon, Belgique, België


*



Manon guardò la pila di lettere davanti a sé. Forse quelle le avrebbe inviate, in futuro. Oppure le avrebbe consegnate a mano ai diretti interessati - Ma poteva giurare di averle scritte il quattro Ottobre Milleottocentotrenta!
Ce n'era una per Romano, ovviamente, e una per Monaco. Una per l'adorabile Liechtenstein, una per Cechia. Ce n'erano anche per Ungheria, Ucraina e Bielorussia, ma quelle erano le lettere che di certo non avrebbe inviato.
Erzsébet le aveva fatto sapere che meneer Oostenrijk era assolutamente contro gli ultimi eventi avvenuti a casa sua. Poco dopo, era arrivata anche una lettera da parte dello stesso monsieur Autriche. Manon ridacchiò al ricordo. Ovvio che lui non sarebbe stato d'accordo con una cosa del genere.
Anche Kateryna le aveva inviato una lettera con largo anticipo. Si complimentava con lei, con la sua solita, materna gentilezza, ma l'aveva avvertita che suo fratello non l'avrebbe mai riconosciuta e che, anzi, le sarebbe stato ostile. Così era stato.

Infine, molto più diretto, Lucilin l'aveva abbracciata forte e, una volta vicino, le aveva sussurrato una cosa inquietante, per quanto scontata.
«Här Preisen ritiene che ci siano già stati abbastanza cambiamenti indesiderati, in Europa. Non credo rimarrà a guardare.»
Le era sfuggito un sorriso più simile ad uno sbuffo. «E dire che era così entusiasta, qualche decennio fa!»
«Qualche decennio fa le cose stavano diversamente. Aveva ancora un fratello.»
Manon aveva annuito. Da quando Sacro Romano Impero era morto, il signor Prussia era diventato molto più aggressivo. Il fatto che Lussemburgo fosse un suo possedimento, ora ufficialmente minacciato dal suo nuovo stato, e il fatto che Sacro Romano Impero fosse morto lì, a casa sua, doveva rendergli Belgio poco simpatica sia come nazione che come persona.
«Suppongo tu non possa farci nulla.»
«Non ho il minimo potere su Här Preisen.» Lucilin l'aveva detto con voce piatta e sguardo a mezz'asta. «Non sono neanche del tutto sicuro abbia realizzato la presenza di una nazione nella roccaforte che gli piace tanto.»
«Uhm...» Belgio aveva roteato gli occhi ed evitato il suo sguardo.

C'erano altre due nazioni a cui avrebbe voluto inviare la lettera. Una era una nazione che non vedeva da tanto tempo, e che forse non sarebbe neppure stata troppo felice di ricevere un simile fiume di parole.
Manon sapeva che Antonio era ancora vivo. In che stato, invece, non lo sapeva. Se la sua ora fosse vicina, neppure. Le era giunta voce che le colonie americane stavano ottenendo l'indipendenza, fargli avere la sua lettera sarebbe potuto essere solo l'ennesimo cambiamento o uno schiaffo a mano aperta.
Non odiava Spagna, nonostante tutto. C'erano così tante persone che lo odiavano che aveva iniziato a pensare non fosse normale non provare alcun sentimento negativo nei suoi confronti. Ci aveva provato. Si era sforzata. Aveva anche cercato di scindere Antonio e Spagna nella sua mente, nel tentativo di riversare tutte le sue emozioni negative su di uno piuttosto che su un altro. Ma non aveva funzionato. Non funzionava così, con le nazioni. Antonio e Spagna erano la stessa persona, così come Manon, Belgique e België.
Era anormale, contro natura non odiare qualcuno. Pur chiamandola "Dame" o "Mademoiselle", pur rivolgendolesi nel modo più formale che conoscessero, c'erano state delle persone che le avevano detto di smetterla di sorridere, di smetterla di "cercare di essere buona", di cercare di voler parlare anche se avrebbe potuto centrare un nemico a metri di distanza senza alcuno sforzo.
Però non si sarebbe costretta ad odiare qualcuno. Se mai avesse odiato qualcuno, l'avrebbe odiato perché un'emozione non è controllabile, né lo sarebbe mai stata. Che continuassero a darle della stupida o dell'inquietante. Le emozioni non funzionavano così, ed era certa che questo valesse anche per gli esseri umani. Era sicura che Lovino sarebbe stato d'accordo con lei.
La seconda nazione... Prese la lettera in cima alla pila. Sorrise. Piuttosto che inviare la lettera, aveva direttamente invitato quella persona. Non ci avrebbe messo molto ad arrivare, ed era sicura di poter conquistare il suo appoggio. Avrebbe solo dovuto distoglierlo dal più ovvio dei pensieri.

Sono lieta di annunciare che oggi, Quattro Ottobre Milleottocentotrenta,
io, Belgique, België, proclamo la mia indipendenza.


Accanto alla pila di lettere, una serie di foglietti più piccoli, scritti con meno eleganza e più di getto.

SPERO STAVOLTA SIA LA VOLTA BUONA AUGURAMI BUONA FORTUNA ٩(ↀؤↀ)۶

.

Note:
* Il titolo significa «Gli iris, la gaillardia, il papavero», rispettivamente in metà francese metà olandese, francese e olandese. (Almeno, l'idea è questa, se poi la grammatica è troppo fantasiosa, plz ditemelo-)
Si tratta dei fiori simboli (non) ufficiali di Bruxelles, della Vallonia e delle Fiandre, le tre regioni in cui è diviso il Belgio. [0]
* Salvo un paio di eccezioni, Manon parla in olandese con Abel e, poi, in francese con Francis. Il motivo per cui ho messo parole/frasi in olandese/francese anche quando lo sta effettivamente parlando è che fa scena. (!)
* «zus», «schwëster»: "Sorella", in olandese e in lussemburghese
«meneer», «här»: "Signore", in olandese e in lussemburghese
«mijn lieve broer»: "Mio caro fratello" (informale)
«mijn geachte broer»: "Mio caro fratello" (formale, letteralmente "geachte" vuol dire "stimato")
(Almeno, questo è ciò che dicono ricerche online. Non so niente né di olandese né di lussemburghese, quindi avvisatemi se ho scritto boiate!)
* «Scelgo come miei colori il rosso, il giallo e il nero.»: Tratto dalla Costituzione belga: "La nazione belga adotta il rosso, il giallo e il nero come suoi colori".
* Forse si sarà capito, ma lo dico lo stesso, "Kateryna" è Ucraina.
Note storiche:
* Fare una nota sulla Storia dell'indipendenza del Belgio implicherebbe scrivere altri sette capitoli, quindi facciamo che vi lascio i link: [Storia del Belgio], [Paesi Bassi del Sud], [Rivoluzione belga], [Trattato dei XVIII articoli], [Campagna dei dieci giorni], [Assedio di Anversa (1832)], [Trattato dei XXIV articoli].
* Il 1789 è famoso per essere la data dell'inizio della rivoluzione francese. Nel frattempo, ad Ottobre, in Belgio scoppiava la "Rivoluzione del Brabante", così chiamata perché si originò dalla regione del Brabante (ora divisa tra Paesi Bassi e Belgio).
L'Austria cercò di soffocare la rivolta, ma era pressata da svariati altri problemi - Oltre alla questione di Maria Antonietta, era in guerra con l'Impero Ottomano dall'anno prima (Guerra austro-turca), proprio in quei giorni era impegnata in un assedio (Assedio di Belgrado) e aveva la Prussia pronta a fare scherzoni.
Approfittando di tutto ciò, l'11 Gennaio 1790 i rivoluzionari del Brabante proclamarono gli Stati Belgi Uniti - Sì, si erano ispirati agli Stati Uniti d'America sia per il nome che per la Costituzione. Si potrebbe pensare che i problemi sarebbero potuti nascere dal fatto che le due fazioni principali, essenzialmente rivoluzionari e moderati, fossero prossimi alla guerra civile, ma l'Austria si riprese e il nuovo imperatore - Il precedente era defunto, perché l'Austria non aveva già abbastanza a cui pensare - si premurò di dedicarsi alla province in rivolta - Proponendo un'amnistia a chi si fosse arreso, e gli stessi belgi non avevano granché voglia di opporsi - e il 2 Dicembre 1790 gli Stati Belgi Uniti tornarono Paesi Bassi austriaci.
(In tutto questo, gli Stati Belgi Uniti si erano detti che forse avrebbero potuto trovare alleati, ché non erano certissimi che l'Austria sarebbe stata impegnata per sempre. L'Olanda non si mostrò interessata, al contrario della Prussia, che voleva tanto fare gli scherzoni di cui sopra, ma l'Inghilterra le disse PLZ NO e quindi ritirò quel manipolo di truppe di supporto che aveva mandato. La Francia, ovviamente, era molto impegnata.
Ironico notare come, quarant'anni dopo, sarà la Prussia ad opporsi all'indipendenza del Belgio e l'Inghilterra a sostenerla.)
La storia degli Stati Belgi Uniti durò poco, ma pare servì a far nascere nelle menti del popolo l'idea di un Belgio libero. [1, 2, 3, 4, 5]
* Quando venne il momento di risistemare l'Europa dopo il passaggio di Napoleone, le grandi potenze dell'epoca giocarono a monopoli per bilanciare i territori. Così, dato che l'Austria riteneva i Paesi Bassi austriaci (Belgio e Lussemburgo) troppo lontani da casa, cedette il Belgio ai Paesi Bassi E Basta, in cambio del Lombardo-Veneto (Questo il riferimento al fatto che "ci è andata di mezzo la casa del fratello di Lovino"). I Paesi Bassi, di contro, avevano dovuto cedere Ceylon (Sri Lanka) e Colonia del Capo (il Sudafrica) all'Inghilterra, perché sennò pareva brutto. Infine, dato che i Paesi Bassi avevano dovuto cedere alla Prussia dei territori tedeschi, il re ottenne anche il Lussemburgo a titolo personale.
* Guglielmo I, re dei Paesi Bassi e Granduca di Lussemburgo, è stato un sovrano che ci ha provato tantissimo ad essere illuminato, ma non aveva considerato che rendere tutto olandese e protestante in un regno metà francese e cattolico non fosse un'ottima idea.
* Un fatto particolare degli eventi che portarono all'indipendenza del Belgio fu "l'unione delle opposizioni": ovviamente, c'erano millemila correnti di pensiero, ma i rappresentanti decisero di raccogliere tutte le loro rimostranze in un'unica lista, per poi ricorrere anche alle petizioni e alla possibilità di poter usufruire della libertà di stampa.
(Non sono proprio sicurissimissima che per "petizioni" si intenda la versione ottocentesca di change.org con interviste alla popolazione, MA vabbè, qui è così perché sì. (!))
Sembra che a questa unità vada il merito della rapidità della rivoluzione belga e della velocità con cui fu scritta la nuova Costituzione. [0]
* «La muta di Portici» è un'opera lirica in francese che parla della rivolta di Masaniello, napoletano che nel 1647 si ribellò al governatore spagnolo.
Stranamente, quest'opera ebbe un grande impatto sul desiderio di indipendenza dei belgi. Dato che il governo era riuscito a fare 2+2, ne aveva proibito la rappresentazione per un certo periodo (ben un mese), salvo poi cambiare idea; il 25 Agosto quest'opera andò in scena a Bruxelles, con un francese ad interpretare il protagonista. Ironicamente, lo spettacolo era in onore del compleanno di Guglielmo I. Non finì bene. [1, 2]
* Nonostante il Lussemburgo sia parte del Benelux, in realtà è di cultura germanica e la stessa lingua lussemburghese prende dal tedesco. Per tutta una serie di motivi, si ritrovò la Prussia a fargli da guardia, e con la Prussia e la Germania ebbe anche importanti legami commerciali. Purtroppo non ho trovato nessuna informazione circa l'opinione dei lussemburghesi sulla Prussia, quindi sono andata un po' in stile Liechtenstein e Svizzera-
Ottenne l'indipendenza dai Paesi Bassi nel 1839 e dalla Confederazione germanica nel 1867. Perché teoricamente era parte della Confederazione germanica ma, causa Beautiful di parentele, il suo sovrano era il sovrano dei Paesi Bassi. [1, 2, 3, 4]
* Le guerre napoleoniche portarono la Spagna al collasso, tanto da renderle impossibile il mantenimento della quasi totalità delle colonie americane.
* In Italia, l'Ottocento è stato un secolo di tumulti. I primi moti rivoluzionari che portarono poi al Risorgimento iniziarono nel 1820.
Caso ha voluto che, proprio nel 1831, anche in Italia nacque (e in due mesi morì) un gruppo di province pseudoindipendenti, con il nome di Province Unite Italiane. Comprendeva i ducati di Parma e Modena, e avevano cercato di distaccarsi dallo Stato Pontificio. [1, 2, 3]


Ciao! ☆
Qualche giorno fa è capitato che, per Motivi, Amykettah1 si mettesse a studiare elementi della cultura belga, forte anche dei racconti di Amykettah2 in Erasmus in quel di Gand. Dato che è da Quel Dì che mi sarebbe piaciuto scrivere qualcosa su Belgio, mi sono seduta e, per ragioni non ben esplorate, sono finita a leggere della sua indipendenza dai Paesi Bassi e il risultato è questARGH-

Gli eventi sono trattati molto alla larga, tutto è molto riassunto, come già detto è più una sequenza disorganica di pseudoflash che altro - E sono due capitoli solo perché sono grafomane, l'idea era una oneshot, piccola, calma e tranquilla- *Ma Soe deve imparare che, quando scrive storiche, NON DEVE FARE SPIEGONI STORICI O SEGUIRE PEDISSEQUAMENTE TAPPA PER TAPPA* Le parti più pesanti sono volutamente solo accennate: non voglio mancare di rispetto, e spero di non averlo fatto, a nessuna delle popolazioni delle nazioni coinvolte.

È la prima volta che muovo Belgio come personaggio principale e Paesi Bassi (Da quando ho scoperto che l'Olanda è una regione non riesco più a dire "Olanda" per indicare il paese) come personaggio secondario con abbastanza screentime, quindi non so se siano usciti bene - Soprattutto perché di solito appaiono poco, io non sono mai stata né in Belgio né nei Paesi Bassi, e le mie conoscenze sui due Paesi derivano tutte da fonti esterne.

Insomma, è tutto molto sperimentale, e avrei potuto scrivere del Tomorrowland, della Bloemencorso o di una sera che Nederlando fa provare alla sorellina la space cake, e invece no. ( ・◇・)

Non ho altro da aggiungere, se non che spero sia uscito qualcosa di almeno decente. Fatemi sapere se ci sono errori di qualsiasi tipo! ( ;°Д°)

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Capitolo 2
*** La gaillarde / Les lissen ***


— La gaillarde —



«Mademoiselle Belgique.» L'immancabile baciamano non si fece aspettare.
«Monsieur Francis.» Belgio ridacchiò. «Cosa sono queste formalità? Vi ho già chiesto di chiamarmi Manon.»
«È stato molto tempo fa, mademoiselle.» Francis impiegò un secondo in più a lasciarle la mano. «Temevo aveste cambiato idea.»
«Non potrei mai, monsieur Francis. Sapete che siete sempre il benvenuto a casa mia, quando non pianificate di sottrarmela!»
Francis incassò il colpo con invidiabile stoicità. Chissà in quanti gliel'avevano rinfacciato, in quegli anni. E poi, era bene mettere subito le cose in chiaro. Era più cristallino dei calici sul tavolo che Francia bramava molto di più di ciò che affermava.
«Dunque siete infine diventata indipendente. I miei auguri.»
«Vi ringrazio.» Si sedette al tavolo, e gli diede cenno di accomodarsi. «Avrei voluto fare una grande festa e invitare più nazioni, ma...» Sospirò, fece un piccolo broncio. «Temo non possano venire.»
«Sono certo che Jacqueline avrebbe accettato il vostro invito.» Francia si sedette di fronte a lei. «E Gilbert non avrebbe potuto impedire al vostro fratellino di venire. Fa ancora ufficialmente parte del vostro territorio.»
Manon versò il vino nei calici. La conseguenza dell'ordine di non essere disturbata da nessuno, neppure dai camerieri, era il dover fare tutto da sola.
«Oh, Cielo. Temo abbiate scoperto il mio piano.»
Francis sbattè le palpebre un paio di volte. Forse non si aspettava una risposta simile. «Siete piacevolmente esplicita, mademoiselle
«Vorrei chiedervi una cortesia.» Bevve un sorso di vino. Si era fatta consigliare il miglior vino francese in circolazione - E che nessuno dicesse non fosse un'ospite perfetta!
«Certamente. Dite pure.»
Era stata diretta e lui aveva apprezzato - Non che nutrisse dubbi al riguardo -, quindi tanto valeva continuare ad esserlo. «Vorrei esservi vicina, monsieur Francis. Vorrei il vostro sostegno, in questa situazione e, se mi sarà concesso, in molte altre. Allo stesso modo, voi avrete tutto il mio appoggio, se mi sarà possibile.» Alzò lo sguardo sul suo ospite, senza abbassare il bicchiere. «Ma vorrei anche chiedervi di separare queste mie richieste da tutto il resto. Non è mio desiderio farmi proteggere in cambio del tempo trascorso con voi. Vorrei potervi vedere come amico alla pari.»
Per quanto la verità fosse sotto gli occhi tutti, alle persone - e alle nazioni - piaceva parlare, soprattutto per infangare gli altri. Lovino ci era già passato, e ci stava passando tutt'ora. Nel suo caso, si trattava addirittura del suo rapporto con un oppositore. Non osava immaginare cosa si sarebbe detto di lei e del suo popolo se si fossero diffuse voci del genere riguardo una nazione che tutti sapevano piacerle. Con una punta di amarezza, realizzò che il disprezzo che si sarebbe riversato su di lei sarebbe stato venato di scontatezza, e non di ironia come nel caso di Lovino. Le altre dame erano al fianco dei propri mariti o fratelli, era ovvio che lei avrebbe dovuto cercarsi un gentiluomo che la aiutasse - Poco importava la concreta proporzione di una nazione femmina ogni venti, se non trenta, maschi, non erano quelle matematiche le relazioni che interessavano.
Dato che le persone - e le nazioni - erano incapaci di tacere, avrebbe almeno dovuto cercare di arginare le dicerie il più possibile.
«È comprensibile, mademoiselle.» Francia era rimasto ad ascoltarla in silenzio. «E accetto volentieri la vostra richiesta. Anche se...» Stava studiando il vino. Forse lui ci capiva qualcosa di temperatura, gradazione e tutti quei termini che lei non si era mai data la pena di imparare. «Sappiate che sono la persona più sicura con cui intrattenere rapporti di entrambe le tipologie. Nessuno penserà mai che vi siate venduta, se sono coinvolto io.» Tornò a guardare lei. Fece un gran sorriso. «In caso contrario, più di tre quarti dell'Europa sarebbe nei guai!»
Manon quasi si strozzò col vino. Pessima idea berlo mentre l'altro stava parlando - Ma le sembrava buona educazione, così, impegnare mani e viso a fare qualcosa invece di fissarlo, e invece era stata prossima alla morte. Che fine misera, per una nazione indipendente da un paio di giorni!
«Mademoiselle?»
«SONO VIVA!» Alzò il calice al soffitto. Per qualche motivo, sentiva un leggero mal di tes- Un attimo, Abel le spacciava sempre la birra, non era abituata al vino, era così scontato pensare l'avrebbe retto? «Quindi, monsieur Francis!» Abbattè il calice sul tavolo, ma non lo spezzò, perché era una brava signorina. Si sarebbe voluta sporgere verso il suo ospite, ma il vestito che lei indossava quel giorno aveva una scollatura ampia e un gesto del genere avrebbe dovuto rimandarlo a dopo gli accordi. Posò il viso sulle mani e sorrise. «Posso contare sul vostro appoggio alla mia nazione, monsieur France
L'altro stava cercando di non ridere - Tentativo abbastanza fallito, ma Manon apprezzò. «Il mio governo è molto interessato agli sviluppi della nostra nuova, bellissima vicina.» Scelta di parole pericolosissima. Belgio non abbandonò il suo sorriso. «Se mi sarà data l'occasione, sarò ben lieto di aiutarvi, mademoiselle.» Manon non disse nulla, né cambiò espressione. Sapeva che c'era un "ma", e non si fece attendere. «Per quanto io non abbia potuto fare a meno di notare che la forza d'animo del vostro esercito è quasi pari alla sua inesperienza, e ciò desta in me grande preoccupazione per il vostro futuro. Non posso tacervi che una maggiore vicinanza tra noi potrebbe offrirvi un aiuto molto più immediato e garantito.»
Ah, quant'erano prevedibili gli imperi! «Non mi sono sottratta al dominio di Nederland per passare a quello di France.» Alzò entrambi gli indici. «Siamo metà olandesi e metà francesi, ma né il mijn lieve broer né voi potete averci. Prendere o lasciare, monsieur
Francia sorrideva. Forse erano i resti della risata soffocata di poco prima. O forse no. «Ho già accettato la vostra proposta, mademoiselle. Non mi tirerò indietro, non di fronte ad una richiesta tanto gentile!»
Questo sarebbe stato tutto da vedere. Senza distogliere lo sguardo da quegli occhi azzurri, Belgio alzò il calice e lo piegò appena verso Francia. «Brindiamo alla nostra amicizia, allora, monsieur France
L'altro calice andò a tintinnare contro il suo. «Alla nostra amicizia, mademoiselle Belgique
Manon, Manon. Perché il tuo caro vicino di casa è così bramoso di espandere la propria? Dovresti proprio insegnargli a stare al suo posto.

*



«Non riconoscerò Fräulein Belgien come una nazione indipendente. Se Herr Niederlande si oppone, allora che rimanga al suo posto. Abbiamo deciso una spartizione precisa dei territori, e non ci saranno ulteriori cambiamenti per-»
«Scusate, so che avevo promesso truppe in aiuto di Niderlandy, ma Poloniya si è ribellato, quindi temo che per il momento non potrò dedicarmi a voi. Poka poka!»
«Was? Braginskij, dove stai andando?»
«Gilbert, per favore, siamo nel mezzo di una riunione important-»
«Oh, senti, damerino, io non ho intenzione di buttarmi in una guerra se non ho Braginskij a pararmi il culo, arrangiati!»
«Gilbert! Preußen! Vieni subito qui- Non puoi abbandonare l'aul- Oh, accidenti!»
«Quiiiindi, monsieur Autriche?»
«Quindi, con tutto il rispetto che posso darvi, Fräulein Belgien, gestitevela tra di voi!»



Non aveva ben chiaro come si fosse arrivati a quello, ma tant'era. Non avere due o tre imperi alleati con suo fratello era un dono divino - E ancora ringraziava il Cielo che nessuno degli amici di Abel avesse deciso di correre in suo aiuto. Perché, con tutti i sentimenti buoni e puri che provava per il signor Francis, dubitava seriamente che sarebbe riuscito a vincere contro una coalizione formata da Paesi Bassi, Prussia, Russia, Austria che probabilmente si sarebbe portato dietro l'intera Confederazione germanica, e Danimarca. Così, a sentore. Era poi sorto un altro dubbio...


«Se facessimo salire al trono un parente del re d'Olanda sarebbe un buon modo per riportare i rapporti in acque calme!»
«Indubbiamente, ma sarebbe anche un buon modo per farci manovrare e tornare al punto di partenza.»
«Monsieur Francis, di solito siete molto prono a proporre vostri nobili come regnanti stranieri, perché mai oggi tacete?»
«Mia dolcissima mademoiselle, non vorrei mai intromettermi in modo così pesante nei vostri affari!»
«Temete che il resto d'Europa vi salti alla gola e pensate sia positivo ci sia una dogana con noi, vero?»
«M-Mademoiselle!»
«Ehi, guardate, quello è un principe anglo-tedesco!»
«Sarebbe del tutto disinteressato ai vantaggi olandesi e sarebbe senz'altro benvenuto dalla popolazione lussemburghese. Rapiamolo!»
«Sì, dai, prendiamo quello!»
«Cosa state facendo? Chi siete? Aiuto, mi stanno rapendo!»
«Gentile monsieur, sarebbe interessato ad essere re del Belgique?»
«Oddio, no, non di nuovo! Ho già rifiutato la Greece, non voglio altri-»
«Maaaaa monsieur~ Siamo un paese meraviglioso, in via di sviluppo, abbiamo la cioccolata, la birra, i gatti e le industrie!»
«Mi avete convinto, signora. Ma sappiate che non voglio guai. Sbrigatevela da soli, con il Luxembourg. E sappiate che non so né l'olandese né il francese!»
«Siete in parte inglese, è comprensibile repelliate il francese. Ma non sarà un problema, monsieur, sono certa vi troverete benissimo~ A proposito, come vi chiamate?»
«Leopoldo Giorgio Cristiano Federico di Sassonia-Coburgo-Gotha.»
«Facciamo Leopoldo I.»
«Aspettate, in che lingua stiamo parlando?»



Aveva quasi tutto ciò che avrebbe potuto desiderare: una bella casa, un fratello minore adorabile, un fratello maggiore premuroso, un vicino di casa amabile, un popolo che la adorava, un re disposto ad imparare, la cioccolata, la birra e i gatti.
Certo, suo fratello maggiore premuroso era ancora ben intenzionato a strapparle la nomea di nazione indipendente e c'era il serio rischio che suo fratello minore adorabile non rimanesse con lei ma finisse con il suddetto fratello maggiore premuroso o con un prussiano guerrafondaio - Tuttavia, dubitava seriamente che al fratello minore adorabile sarebbe dispiaciuta una qualsiasi di queste opzioni.
C'era poi il suo vicino di casa amabile, che lei trovava molto amabile e di compagnia piacevolissima - Era davvero un problema il suo palese cercare di prendersi parte di casa sua, a dir poco disdicevole!
«Non posso nascondervi niente, Manon.»
«Non prendetela come un'offesa, ma persino la più stolta delle nazioni sarebbe in grado di capire cosa vi passa per la testa.»
«Sono così prevedibile?»
«Molto più, Francis.» Manon strinse il braccio che le aveva porto. «La vostra fama vi precede.»
«Sacrebleu!»
Non era minimamente intimorito, o turbato. Passeggiavano per il giardino sottobraccio, da bravi gentildama e gentiluomo, e nessuno avrebbe potuto pensare stessero disquisendo del rischio che il gentiluomo svaligiasse la casa della gentildama con la gentildama presente.
«Non voglio mentirvi, mademoiselle.» Oh, non lo faceva. Si limitava solo ad omettere dettagli fondamentali. «È solo che ritengo che ridurre la grandezza della vostra casa possa renderla molto meno appetibile agli occhi esterni. Ne va anche del mio interesse. Sarei piuttosto triste nell'avere un nemico sopra casa mia.»
Manon sbattè le palpebre. «Francis, voi avete un nemico sopra casa vostra.»
«Non appellatevi a simili quisquilie, Manon!» Accellerò il passo. Inghilterra era sempre un ottimo argomento per spezzare la compostezza di Francia - Compostezza che, in verità, mostrava solo con lei e pochi altri. C'era da dire che, se si fosse comportato in modo inappropriato, avrebbe rispolverato il suo moschetto.
«Ad ogni modo,» riprese la parola Manon: «trovo alquanto comico che la vostra preoccupazione nei miei confronti vada casualmente a beneficiare i confini della vostra casa.»
«L'ho detto, mademoiselle. Ne va anche del mio interesse.»
«FRANCIS!»
Manon si voltò di scatto, e sentì Francis fare altrettanto. Qualcuno correva a velocità inaudita nella loro direzione. Quando lo riconobbe, Belgio sbattè le palpebre, confusa.
«L'abbiamo forse evocato?»
«Oh, Dieu...» La faccia di chi aveva appena ingoiato un limone intero, senza neppure sbucciarlo.
Inghilterra si fermò a pochi passi da loro, visibilmente prossimo alla morte. Riprese fiato, si sistemò capelli - con scarso successo - e vestiti - con ben più successo - e le fece un rapido inchino.
«Miss Belgium, i miei complimenti per la vostra indipendenza.»
«Ehm, grazie, monsieur Angleterre
«Angleterre.» La voce di Francia quasi coprì la sua. Inghilterra lo incenerì con un'occhiataccia. «Illumini la giornata come una tempesta di fulmini. A cos'è dovuto il dispiacere?»
Uno scintillio sinistro negli occhi di Inghilterra. «Sai, France, qualcuno mi ha detto che un certo impero psicopatico sta ronzando attorno ad una nazione appena diventata indipendente, che sfortuna ha voluto simpatizzasse per lui.»
«Mademoiselle Belgique mi ha invitato. Posso forse dire lo stesso di te?»
«Sono qui in visita.» Tornò a rivolgerlesi, il tono più pacato. Era quasi comico sentire un simile cambio di toni, da parte di entrambi. «Mi permettete di rimanere, miss
«Sì, per oggi.» Meglio specificare. Sempre meglio specificare. Diede un colpetto al braccio del suo accompagnatore. «Non litigate, messieurs. È una bella giornata.» Sorrise ad entrambi. «E non vogliamo nessuno schioccare di moschetto, vero?»
«No, mademoiselle.» «No, miss
Inghilterra diede un leggero colpo di tosse, a riprendere la parola. «Sono qui per assicurarmi che costui» Gli puntò gli occhi contro. «non faccia passi falsi. Nessuno vuole che la France si espanda. Non di nuovo.»
Nonostante tutto, a giudicare dall'espressione di Francia, quell'argomento doveva ancora colpirlo, in un qualche modo.
«Angleterre, il paladino delle nazioni che hanno appena conquistato l'indipendenza. Che sviluppo interessante!»
Inghilterra assottigliò lo sguardo. Manon iniziava a capire perché nessuno volesse trovarsi tra quei due, se non seduti in poltrona e con una ciotola di patate fritte. Ah, che voglia di patate fritte...
«Non siamo qui a rievocare il passato. Siamo qui per la salvaguardia della signorina.»
«Assolutamente, Angleterre.» Francis sentì il bisogno di controllare di avere ancora tutte le dita attaccate alla mano libera. «La stiamo salvaguardando da un perfido impero che nessuno vuole si espanda una seconda volta, giusto?»
«France.»
«Allora sentiamo, santa paladina delle nazioni indipendenti.» Francia tornò a guardare Inghilterra. Belgio s'impose di tacere. Aveva già visto quello sguardo, più di una volta, ed era una delle poche cose che non le piacevano. «Alla Wallonie e a Bruxelles piace la mia casa, e a me piacciono loro. Non ho alcun interesse né nel caro Luxembourg né nelle Flandre. E Gilbert si arrabbierebbe molto se mettessimo bocca sui suoi territori.»
"Veramente Luxembourg gli appartiene solo per metà."
«Quindi cosa diresti se ti proponessi di proteggere la signorina insieme, io nella Wallonie e tu nelle Flandre?»
Oh, erano questi, dunque, i dettagli del piano di monsieur Francis! Che sorpresa scoprire che l'avrebbe voluta spartire nientepopodimeno che con Inghilterra!
Lo sguardo di Inghilterra vacillò. O meglio, parve quasi che Francia gli avesse appena tirato uno schiaffo inaspettato, tanto i suoi occhi erano sgranati e la sua espressione sorpresa.
Vide Inghilterra irrigidirsi, i pugni stringersi. «You fucking bastard.» Era interessante da guardare. Manon si coprì la bocca con una mano, a nascondere le tracce della risata trattenuta. Possibile che il signor Inghilterra fosse ancora più prono di monsieur France a cadere nella tentazione di ottenere nuovi territori?
«Monsieur France.» Belgio lo chiamò, con fare dolce, forse simile ad un miagolio. «Non tentate così monsieur Angleterre.» Gli occhi di Inghilterra divennero due sfere perfette. «Soprattutto, non fatelo con la mia casa.» Prese la mano del suo accompagnatore, e catturò il suo sguardo. «Vi ho già spiegato che non ho intenzione di cederla a nessuno, Francis. Non fatemi arrabbiare con voi, ne soffrirei enormemente.» Serrò la presa, conficcò le unghie nella sua pelle, non distolse lo sguardo. «Sono grata a voi e a monsieur Angleterre per le vostre cortesi premure. In particolar modo,» Si voltò verso Inghilterra. Era pietrificato. «ora che il mio nuovo re è per metà della vostra terra, mi fa molto piacere sapervi dalla mia parte. La fama dei vostri innumerevoli successi vi precede.»
Forse Inghilterra avrebbe voluto sorridere, ma quello era palesemente un ghigno. «Vi ringrazio, miss. Non sapete che piacere enorme mi dà poter conversare con una nazione civile.»
Manon annuì. Aveva appena avuto un'idea. «Ora, se volete scusarci...» Chinò appena il capo. «Potete riposare nella mia umile dimora, se vi aggrada. Monsieur Francis ed io dobbiamo andare da una certa parte.»
Sentì lo sguardo di Francia su di sé. Lo ricambiò. Era certa che il suo sorriso fosse troppo simile a quello di Inghilterra. «Voglio portarvi in una città molto graziosa. Sono sicura sarà una visita che dissiperà ogni ombra sul nostro legame, monsieur France

*



«Non so se lo sapete, Manon...» Dire che Francis fosse a disagio era un eufemismo. Non fosse stato in sua compagnia, sarebbe scappato così veloce da far supporre fosse evaporato. «Ma sono già stato qui.»
«Sì, Waterlô è una città piccola ma molto carina, è ovvio che attiri turisti!» Indicò la collina piramidale davanti a sé. «Andiamo lassù, Francis! C'è una vista meravigliosa!»
«Quella...» Francia alzò le sopracciglia. «Non era così, qualche anno fa.»
«Si chiama Collina del Leone.» Manon tirò appena il braccio stretto nel suo. Sfogò il sorriso nella sua disinteressata descrizione. «L'ha fatta erigere il re di Abelletje. È dove il principe è stato disarcionato da cavallo.»
«Capisco...»
«Abbiamo deciso che, collina a parte,» proseguì Manon: «questo luogo sarebbe dovuto rimanere immutato nel tempo!»
«È così impresso a fuoco nelle vostre menti?»
«Assolutamente, monsieur. Come anche nella vostra, oserei dire.»
Belgio poteva affermare di non aver detto una sola bugia: magari non stava conducendo il suo ospite in visita dentro la città, ma non poteva negarle che quei quaranta metri di salita a piedi offrissero un panorama meraviglioso che mai avrebbe potuto avere stando in basso! Nondimeno, era un ottimo esercizio per tenersi in forma.
«Ammiro molto la vostra forza.»
Manon sbattè le palpebre, confusa. «Vi ringrazio, ma perché mi dite questo?»
Francis indicò qualcosa ai suoi piedi. Belgio intuì, e ridacchiò.
«Vi è mai capitato di andare in combattimento con calzature simili, mademoiselle
«Non sia mai! Si rovinerebbero!»
Doveva ammetterlo, piani di spartizione a parte, il signor Francia si stava comportando bene. Non era scappato, non aveva accampato scuse, non l'aveva lanciata nella stratosfera nella speranza che atterrasse chissà dove ma molto lontano da lui - Almeno, le dicerie di certe nazioni le garantivano non fosse una cosa poi tanto improbabile, da parte sua - e stava solo cercando di stemperare l'atmosfera. Era un po' diverso da come lo ricordava - O forse, per il momento, ne aveva avuto abbastanza di sentirsi al di sopra degli altri e voleva provare l'ebbrezza di essere loro pari? Chissà.
«Questa statua...»
«Sìììì, lo sooo~» Belgio trotterellò dalla statua che dava il nome alla collina. Almeno, alla base. Il leone era un paio di metri più in alto. Si voltò verso Francia. «Somiglia al leone di Venise. Ma!» Alzò un dito. Aveva ripetuto quella lezioncina svariate volte. «È in realtà il Leo Belgicus, la mappa dei nostri territori, il simbolo del coraggio, il coraggio che il grande Rome ha attribuito ai nostri avi!» Sì, insomma, in realtà nel Leo Belgicus erano compresi anche i Paesi Bassi, ma non era necessario stare a guardare simili sottigliezze. La cosa importante era quello sguardo in quegli occhi azzurri. Belgio toccò il piedistallo della statua, si volse verso il leone in un gesto tanto casuale quanto studiato. Il signor Francia aveva bisogno del suo tempo, lassù.
"Per quel che vale," Trattenne un sospiro. "una piccola vendetta per il fratello di Lovino."
Francis rimase in silenzio per qualche minuto. Manon non seppe dire quanto tempo passò. Quando distolse lo sguardo dalla statua, Belgio si rivolse alla cittadina sotto di loro. Non voleva mettere pressione a Francia. Per quello, bastava l'intero luogo in cui l'aveva portato.
«Posso darvi la mia opinione, mademoiselle?» Finalmente, Francia parlò. Belgio gli rivolse un gran sorriso d'incoraggiamento. «Il panorama è senza dubbio incantevole,» disse Francia: «e una costruzione simile salta subito all'occhio. È interessante.»
Belgio non cambiò espressione. Sperò solo che il suo sguardo non mostrasse troppo palesemente ciò che stava pensando.
«Tuttavia, temo di trovare questo luogo molto sgradevole.»
Manon si coprì la bocca con una mano. «Sospettavo, Francis.» Riportò la mano sull'altra. «Ma non ho mai detto che questo posto vi sarebbe piaciuto~»
Francis scosse la testa. Non la stava guardando. «No, non l'avete detto. Ma avevo i miei fondati dubbi.»
«Davvero?»
«Mi chiedo...» L'aveva ignorata. Era quasi divertente. «Quanti altri monumenti siano stati eretti in ricordo della mia sconfitta.»
«Non so dirvelo.» Belgio dondolò sui piedi. «Quante nazioni avete invaso, monsieur
Finalmente, Francia tornò a guardarla. Lo sguardo cupo di chi avrebbe voluto ribattere, ma non sapeva come farlo senza dare ragione all'altro. «State diventando famosa, mademoiselle
Una frase che non c'entrava niente, uscita dal nulla, e che non rispondeva a niente. Belgio si indicò. «Io?»
«Voi.» Francis scoccò uno sguardo alla statua del leone, sopra di loro. «Voi che cercate il dialogo. Che sperate bastino le parole per risolvere qualsiasi disputa.»
Davvero stava diventando famosa per quel motivo? Chi l'aveva detto a chi? Come si era diffusa, quella voce? Erano stati i suoi fratelli? Belgio annuì da sola. Non aveva nessun problema ad immaginare Lucilin e Abel dirlo casualmente a quelle bocche larghe di Prussia e Danimarca. Da lì, sarebbe stata questione di incontrarsi in una birreria per farla diventare un'informazione di dominio pubblico.
«È questo il modo in cui volete parlare?» La voce di Francia la scosse dai suoi pensieri. Francis aveva fatto un cenno alla statua.
Manon sorrise. «Mi sembra che stiamo parlando, monsieur
«Questa città» disse Francia: «è un moschetto puntato alla tempia. Ciò che vi manca è solo premere il grilletto.»
«Oh, no.» Belgio scosse la testa. «Ciò che mi manca è il moschetto.» Portò le mani dietro la schiena. «State facendo tutto da solo, Francis. I pensieri che avete in questo momento sono soltanto vostri. Se vi sentite minacciato, non è davvero per causa mia.»
Francia non rispose. Rimase a guardarla - a studiarla. Alla fine, parlò. «Voi pensate davvero di risolvere tutto parlando.»
«Voglio pensare di poterlo fare. Sì.»
«In effetti, le minacce implicite rientrano pur sempre nel parlare.»
«Quelle» Scoccò uno sguardo al leone che li fissava. «mi servono solo per farmi ascoltare.»
«Cambia qualcosa?»
Manon lo guardò negli occhi. «Nei giorni scorsi, voi mi avete ascoltata solo per metà. Avevo bisogno di qualcosa che potesse far sì che voi mi ascoltaste sul serio. Ora, finalmente, mi state ascoltando.»
Un'occhiata fosca. «Ovvio.»
Belgio ridacchiò. «No, non è ovvio.» Posò una mano sulla sua. Era rigida, ma non si sottrasse al suo tocco. «Perché chi ascolta è disposto ad accogliere le richieste.»
«Non necessariamente.»
«No, non necessariamente. Però, lo sapete...» Sorrise. «Non si può avere un dialogo se una delle due parti non sta ascoltando, no?»

*



Belgio studiò la proposta di Inghilterra. Non era una brutta idea. Non era affatto una brutta idea.
«Sono dell'opinione» disse Inghilterra, seduto al suo fianco. «che una soluzione del genere sia in linea con il vostro pensiero, miss
«Sì.» Manon annuì, a rafforzare l'affermazione. «Mi piace. Non credo nessuno avrà niente da ridire.»
Neutralità perpetua.
Come già era stato per Svizzera, il signor Inghilterra le stava proponendo un accordo che solo un impero non avrebbe accettato: nessuno l'avrebbe attaccata, a patto che lei non attaccasse nessuno.
Il motivo di tale proposta era cristallino, ed era la nazione appollaiata sulla sedia del signor Inghilterra come una cornacchia azzurra.
«In questo modo,» continuava a spiegare il signor Inghilterra, ignorando troppo palesemente l'altro. «non dovrete affrettarvi ad addestrare il vostro esercito, né a rifornirvi di armi. Sarete liberi di fare ciò che volete, nel vostro spazio, senza che nessuno possa alzare un dito su di voi.» Alzò un poco la voce, nell'ultima frase.
Francia si aggrappò allo schienale. Il suo ghigno faceva presagire un'idea che avrebbe provocato una reazione esplosiva da parte di Inghilterra. Belgio non potè non dirsi curiosa.
Francis non la fece attendere oltre. «Stavo pensando, mademoiselle...»
«Dovreste smetterla di dar retta a certa gente, miss.» Il signor Inghilterra si ostinava a fingere di non avere altre direzioni in cui rivolgere lo sguardo. Non che questo infastidisse Francia in un qualche modo - anzi.
«Il vostro nuovo re non ha forse bisogno di una nobile dama, al suo fianco?»
«For God's sake, don't you dare-»
«Avevate interesse per il figlio di Louis-Philippe come re, se non ricordo male...»
«France.»
«Che ne dite di sua sorella, la buona Louise Marie?»
«FRANCE.»
«Oh!» Belgio giunse le mani in un piccolo applauso, le guance si scaldarono appena. Una principessa francese nata nel sud dell'Italia. Una proposta a dir poco stupenda. «Sono certa che il mio popolo ne sarebbe felice, monsieur France
La fronte di Inghilterra impattò sul tavolo.

*



Ci sarebbe voluto un po', prima che il suo stato di nazione perpetuamente neutrale diventasse ufficiale. Non ci sarebbe voluto troppissimo, ma neanche pochissimo.
Ecco perché il re di suo fratello tornò a farsi sentire proprio in quel momento.
«Come sarebbe a dire "non sono pronti"?» Lucilin sgranò gli occhi.
«Beh, sai...» Manon distolse lo sguardo. «È che pensavamo di aver sistemato tutto, sai, con quella cosa della neutralità, con l'indipendenza, con l'avere monsieur France e monsieur Angleterre dalla nostra parte, con il fatto che abbiamo dovuto cederti- In effetti, cosa ci fai, qui?»
«Ma tu hai una vaga idea di quello che sta succedendo?»
«Ffffforse, ma qualcosa mi dice che è peggio di quanto io pensi, vero?»
Gli occhi di Lussemburgo erano prossimi dal partire verso nuovi orizzonti. «Quelli sono veterani di Waterloo! Hanno buttato giù Här Frankräich al culmine della sua potenza, in passato, cosa pensi faranno al tuo esercito?»
Ma Dio avrebbe anche potuto incenerirla sul posto, piuttosto che farle scoprire di aver peccato di arroganza e punirla in quel modo! Voleva solo farla pagare un pochino-ino al signor Francia, le sembrava assolutamente legittimo, perché ora si ritrovava i veterani olandesi di Waterloo sotto casa?
Belgio serrò i pugni. Non era il momento di piangersi addosso. «Chiamerò aiuto.»
Lo sguardo di Lucilin vacillò. «Ti fidi?»
«Non dovrei?»
«Me l'hai detto tu. Bramano terre, e continueranno a bramarne anche se dicono il contrario.» Mise le braccia conserte, l'espressione dura. «Davvero pensi useranno le loro risorse per venire ad aiutare qualcuno che in futuro non potrà mai ricambiare il favore?»
Manon lo guardò negli occhi. «Non lo so.» Sorrise. «Però possiamo provare, no?»


La casa di monsieur Francia era in vista. Belgio non aspettò neppure che la carrozza si fermasse. Aprì la porta e saltò giù, in uno svolazzare della gonna. Ne raccolse i lembi e corse verso la casa. Allungò la mano.
La porta si spalancò. Francis era sulla soglia, appoggiato con un gomito alla cornice, in armatura, il moschetto a tracolla, lo sguardo affascinante e la voce suadente.
«Mademoiselle.»
«Monsieur?» Belgio sbattè le palpebre, la mano ancora a mezz'aria. «Ero venuta per-»
«A vostro fratello non piace l'idea di essere stato sconfitto da voi.»
«Credo sia più il suo re, in tutta onestà.»
«Non dite altro, mademoiselle.» Francia scattò sull'attenti. «Andiamo!»
«Prego?»
L'armata francese spuntò da non si sa dove, già armata, già in marcia. Senza soluzione di continuità, Francia era a cavallo. Ammirevole, dato che un secondo prima era sulla soglia - E aveva persino chiuso la porta!
Le tese una mano. «Venite, mademoiselle, lasciate che vi aiuti!»
«Vi ringrazio, monsieur, ma...» Indicò dietro di sé. «Credo prenderò la carrozza.»
Nonostante l'aria solenne, la voce di Francis tradì il suo dubbio. «Sarà un viaggio lungo, prima di raggiungere la vostra casa, volete stare da sola nell'abitacolo?»
Belgio guardò prima il suo cavallo, poi quelli della carrozza. Sarebbe stato un viaggio lungo. Già. E quelli della carrozza ne avevano appena fatto uno. Mh. «Promemoria. Quando tutto questo sarà finito, voglio trovare un modo per muoversi più rapidamente, e senza usare troppo queste povere bestiole.»
«Mademoiselle?»
«Sì, monsieur!» Sorrise. «Andate pure avanti, io vi raggiungo!»
In realtà, se fosse dovuta essere completamente onesta, ma proprio onesta come non era mai stata onesta - per quanto lei, di solito, fosse onesta -, non le sarebbe dispiaciuto - affatto - accettare il passaggio. Tuttavia, quella non era la situazione adatta. Avrebbe potuto accettarlo un'altra volta - Sperava davvero potesse esserci un'altra volta, ma in tutt'altra situazione.
«Ah!» Francia parve ricordarsi di qualcosa. «A tal proposito...»
«Ditemi pure.»
«Posso chiedervi di rimanere nelle retrovie?»
... Quella era la richiesta più assurda che le fosse mai stata fatta. «Prego?»
«Ecco, come dire...» Francis sventolò una mano, evitò il suo sguardo. «Rimanete al sicuro, voi e il vostro popolo. Lasciate fare a noi, d'accordo~?»
Belgio lo guardò con occhi a mezz'asta. «Monsieur France... Temete così tanto che il mio popolo possa ricordare al vostro cosa si prova ad essere in mezzo ad una rivoluzione?»
«Con tutta l'onestà che porto nel mio cuore alla vostra soave visione?»
Belgio annuì.
«Oui, mademoiselle.»

*



Inghilterra spostò le mani a destra. «Quindi Netherlands vi ha attaccato prima che diveniste ufficialmente neutrale.» Belgio annuì.
Inghilterrà spostò le mani a sinistra. «Quindi France ha risposto subito, con una celerità a dir poco sorprendente.» Belgio annuì di nuovo.
«Quindi rischiamo che tutto questo» Inghilterra spostò le mani al centro. «scateni un effetto domino sull'intera Europa?»
«Spero vivamente di no, monsieur
Gli occhi di Inghilterra bruciavano. «Oh, no. Non succederà. Ve lo garantisco, miss
Manon non poteva dire di conoscere il signor Inghilterra. Ovvio lo conoscesse di vista, ma la maggior parte dei racconti su di lui provenivano dal signor Francis e da Antonio - E, come dire, non erano proprio quanto di più lusinghiero avesse sentito. Mettendo insieme le loro parole e le conseguenze concrete dell'operato del signor Inghilterra, si era fatta una certa idea su di lui, e quell'idea non corrispondeva neppure lontanamente a quella di un pacificatore dell'Europa tutta.
Le nazioni cambiavano. L'aveva visto con i suoi stessi occhi - In positivo, in negativo, in un oscillare continuo tra ciò che si sarebbe potuto definire benevolo e ciò che si sarebbe potuto definire crudele, se non folle.
Si azzardò a parlare, e sperò che il signor Inghilterra non equivocasse le sue parole. «Vi confesso» esordì, cauta: «che sono molto sorpresa del vostro comportamento, monsieur
Il signor Inghilterra non si arrabbiò. Si limitò a rivolgerle un'occhiata incuriosita. Una buona risposta, soprattutto se considerava le parole di Francis a proposito del suo carattere irascibile.
«È solo che» Accennò ad un sorriso, ad intendere che stava parlando con tutte le migliori intenzioni. «è strano vedere un impero così grande prodigarsi per la pace.»
Sì, suonava male. Per quanto fosse la verità. L'espressione del signor Inghilterra si fece neutra. Quello sguardo incuriosito parve spegnersi.
«Vero.»
Manon sbattè le palpebre. Per un istante, credette di aver sentito male.
«Ma quello che è successo in questi anni» Mise le braccia conserte. «mi basta per i prossimi cento.»
Un unico impero che sottometteva quasi l'intera Europa. Quasi l'intera Europa unita contro un unico impero. Un impero grande, potente e antico che moriva come un umano. Le colonie che proclamavano la loro indipendenza.
Quelle battaglie non erano ancora finite, nelle menti di chi vi aveva preso parte.
«Capisco.» Manon intrecciò le dita. «Vi ringrazio per il vostro aiuto, monsieur Angleterre
La reazione del signor Inghilterra fu strana. Era palesemente combattuto. Alla fine, sospirò. «Ma con tutte le lingue che ci sono...»
Era un borbottio, ma Manon lo sentì benissimo. Soffocò una risata nel bicchiere di birra.

*



Mia cara Manonnetje,
Voglio provare a scrivermi da sola. Ho scritto così tante lettere agli altri, chissà cosa si prova a scrivere a se stessi?
Vorrei tanto poter parlare con Lucilin, ma mi ha fatto sapere che non si sarebbe intromesso. Lo capisco.
Monsieur Francis e monsieur Angleterre, invece, si sono ampiamente intromessi. Strano a dirsi, ne sono felice. Ne sono davvero felice.
Oh, certo che monsieur Francis aveva più di un motivo per partire all'attacco di coloro che l'avevano umiliato a Waterloo, ma sono felice comunque. Dopo la nostra gita, non ha più parlato di niente di strano. E sì, vederlo insieme a monsieur Angleterre è a dir poco divertente! (Se non sei coinvolto sul serio in una loro disputa territoriale, ovviamente.)
Sai, Manonnetje, la sua richiesta di rimanere nelle retrovie ha portato a risultati inaspettati: dato che non avevamo niente da fare, io e altri ufficiali ci siamo messi a migliorare l'addestramento delle reclute, e abbiamo ideato nuove modalità di allenamento. Non pensavo sarebbe potuta succedere una cosa simile ma, beh, a quanto pare!
Ah, visto che l'armata di monsieur Francis ha sbaragliato quella di Abel, suppongo che il Signore non fosse troppo arrabbiato con me per una mia possibile arroganza. Magari si è trattato solo di un caso, ma gli ho chiesto scusa lo stesso. Non si sa mai.
In questi giorni, sto vedendo monsieur Angleterre più di quanto avrei mai pensato di vederlo. Insomma, sai che la nostra vicinanza con monsieur Francis avrebbe dovuto comportare il suo sempiterno e scontato odio, ma devo ammettere che è in realtà una persona molto piacevole! Esaurita, prossima al tracollo emotivo, che parla una lingua incomprensibile, ma comunque molto piacevole! Non fa altro che fare avanti e indietro tra Bruxelles e la Haye, per controllare la situazione quaggiù e "fare delle richieste" al re lassù. Data la sua buona volontà, ricambio il favore facendogli trovare qualcosa di buono di mangiare - Monsieur Francis dice che per lui deve essere sempre un'emozione nuova, quindi tanto vale provare! Mi pare abbia ragione, e mi pare anche che monsieur Angleterre apprezzi in particolar modo le patate fritte.
Ora scusa, mi è venuta voglia di patate fritte. Ciao!
Tua, Manon


*



Cara me,
Voglio segnarmi queste date.
10 giorni. Il tempo che mio fratello ha rifiutato di lasciarmi andare, e il tempo che ci ha messo monsieur France a farlo andare via.
24 giorni. Il tempo che mio fratello ha rifiutato di andarsene, e il tempo che ci abbiamo messo io, monsieur France e monsieur Angleterre a farlo arrendere.
7 anni. Il tempo che il re di mio fratello si è rifiutato di accettare ciò che tutti gli altri avevano già accettato.
1838. Domani rivedrò Abel. Sono sette anni che non lo vedo. So che non è niente, so che non sono ottant'anni, so che non sono più di cent'anni, ma mi sembra di non essere mai stata separata così a lungo da lui.
Ci incontriamo a casa di monsieur Angleterre. Spero davvero vada tutto bene. Voglio solo che vada tutto bene.
Tua, te



— Les lissen —



Esisteva una teoria secondo cui il fumo bianco fosse frutto di una combustione controllata, mentre il fumo nero qualcosa che emergeva dagli incendi accidentali. Manon non sapeva se fosse vero, ma doveva ammettere di aver visto fumo bianco alzarsi dai cumuli di foglie rastrellati da terra e fumo nero da dove non avrebbe voluto.
Esisteva, poi, un'altra categoria di fumo. Era grigio, a volte sembrava quasi tendere all'azzurrino, a volte le faceva pensare di avere problemi alla vista, dato che si mostrava palesemente bianco. Manon aveva visto spesso quel fumo e, nonostante non avesse il più fragrante odore di rose o di cioccolato, non le dispiaceva averlo intorno.
Fece un cenno al sovrano e ai ministri e si allontanò da loro. Non che esistesse un'unica persona nel mondo che fumasse la pipa ma lì, a Londra, quel giorno, era abbastanza certa che ci fosse una certa nazione, fuori dall'edificio.
Non fu difficile individuare suo fratello. A parte la nube, intendeva. Manon si avvicinò. Sentiva il sorriso sulle labbra, spontaneo, ma sentiva anche le dita stritolarsi, nascoste dal manicotto di pelliccia.
Abel l'aveva notata, ovviamente. Ma rimase appoggiato al muro, lo sguardo al cielo grigio. Forse le aveva dato un'occhiata veloce, giusto per accertarsi fosse lei e non Inghilterra deciso a fare l'ennesima, lunghissima negoziazione ma, se così fosse stato, Manon non se n'era accorta.
«Quanto tempo!» Ovvio avrebbe dovuto parlare lei, per prima. «Mi sembrano passati secoli, e invece sono solo setti anni! Non so dire se il tempo voli o se mi sembri eterno, perché mi sembra sia passato tantissimo dall'ultima volta che ci siamo visti, o che siamo stati insieme a Lucitje!» Che poi dicesse cose intelligenti era un altro discorso. Voleva solo riempire il silenzio, e il meteo non sarebbe stato un grande argomento - Insomma... Erano a Londra. Non era una città famosa per la varietà dei suoi climi, ecco.
«Sei felice, ora?»
Dubitava Abel avesse ascoltato una sola delle sue parole, ma almeno l'aveva portato a parlare. Poteva dire di aver raggiunto il suo obiettivo. «Sì!» Annuì, a rafforzare la sua risposta. «Hai visto? Sono una nazione libera e indipendente, e siamo ancora insieme!» Gli si avvicinò, quasi a sfiorargli il braccio. Avrebbe voluto tirare fuori una mano dal manicotto, ma non era certa fosse il momento migliore. Se non altro, suo fratello non si era scansato. Era un buon segno.
«Una buona strategia, quella di rimanere neutrale.» Finalmente, Abel si voltò a guardarla. La sua espressione la stupì. Non era arrabbiato, non era amareggiato. Sembrava solo esausto. «Ti si addice.»
Manon non trattenne una risata leggera. Stavolta, tirò fuori la mano e la posò sul braccio dell'altro. Lui non si scostò. Tuttavia, già l'aver accettato un contatto fisico con lei era una gran vittoria - Non che di solito la rifiutasse, anzi, ma un conto erano Abel e Manon, un conto erano Paesi Bassi il capo e Belgio la nazione in rivolta.
«Abelletje.»
«Mh?»
«Sei felice, ora?»
«No.»
Belgio trasalì. Non sapeva che risposta si aspettasse, ma poteva dire con abbastanza certezza non fosse quella. Un po' sciocco, a pensarci. Perché Paesi Bassi sarebbe dovuto essere felice della sua indipendenza? E perché un pensiero del genere le aveva appesantito il cuore? Le dita si ritrassero appena, ma il palmo rimase sulla stoffa. Forse avrebbe dovuto rimettere la mano nel manicotto, perché il clima inglese sapeva essere alquanto rigido.
«Però,»
Manon si fece attenta.
«se tu stai bene così, me lo farò andare bene anch'io.»
Un altro sbuffo di fumo. Le dita tornarono a distendersi. Forse non faceva poi così freddo. «Dimmi una cosa.»
«Mh?»
Non era che scoppiasse dall'ansia di ricevere una risposta a quel suo dubbio, ma aveva capito anni prima che scappare era inutile. Non era la prima volta che affrontava suo fratello e, ormai, neppure la seconda. Se non altro, in quel ritaglio di muro non c'erano moschetti.
«Chi è che ha impiegato setti anni, a riconoscermi? Tu o il tuo re?»
Quel silenzio fu già una risposta. Ma non si sarebbe abbattuta. Voleva ascoltare cosa voleva dirle suo fratello. Le conclusioni erano ovvie, ma non sarebbe saltata subito a farcirle di dettagli nati dalla sua mente.
«Willelm era confuso.» Abel era tornato a guardare il cielo. O forse stava guardando i riccioli di fumo bianco. A guardarli, in effetti, erano piuttosto ipnotici. «Lo capivo. Quando pensi di aver esaudito tutti i desideri di una persona, non ti aspetti che la persona ti si ribelli.»
La mano andò ad accarezzare il braccio. Non era esattamente come diceva, in verità. Ma non l'avrebbe interrotto.
«Il nostro è un regno illuminato. Siamo ricchi, acculturati e civili. Se ci sono problemi, ne discutiamo e cerchiamo di risolverli. Non siamo pazzi che invocano Dio mentre calpestano strade insanguinate.»
Non potè impedire ad un brivido di scuoterla.
«E allora perché siamo arrivati alla stessa situazione?»
Quel treno di pensieri era inquietante. Non le piaceva. Non era giusto. Fece scivolare la mano, ad avvolgergli il braccio con il proprio. Approfittò di quella pausa. «Non era la stessa situazione. Lo sai anche tu.» Abel non la guardò. «Però, da parte mia, volevo esattamente ciò che desideravi tu.» Poteva quasi indovinare delle figure, nel fumo. Non figure troppo precise, ma magari, con un po' di fantasia... «Forse la situazione è stata la stessa. Però, si è svolta in modo diverso.» Strinse la presa. «Non tutti sono Spanje.» Lo sbuffo di fumo che seguì fu accompagnato da un verso irritato. Quanto era ancora impresso nella sua mente? «Anche meneer Engeland si è ritrovato nella tua stessa situazione.»
La pipa si fermò a mezz'aria. Manon tornò a guardare suo fratello. Se l'era scordato o non aveva ricollegato? «Non so come meneer Engeland gestisse le cose con Amerika. Magari è stato pessimo, magari è stato il Capo peggiore che il mondo abbia mai conosciuto, non lo so. Però,» Sospirò. «credo tutti sappiano quanto gli voglia bene, e quanto ciò che è successo l'abbia scosso.» Lasciò cadere la testa sulla spalla di suo fratello - O almeno, nei paraggi, ché alla spalla ci sarebbe arrivata solo se si fosse arrampicata su una sedia. «Anche se la situazione è uguale, le persone sono diverse. Noi volevamo essere indipendenti. Volevamo essere noi, belgi, con la nostra casa e le nostre culture. Avrei voluto che le cose andassero diversamente? Ovvio. Te l'ho detto. Non avrei mai voluto rivivere il campo di battaglia.» Rialzò lo sguardo. Stavolta, incontrò quello di suo fratello. Forse lo stava allucinando, ma le pareva quasi stupito. Gli sorrise. Sapeva non fosse un sorriso gioioso, ma non sarebbe potuto esserlo, non dopo aver rievocato un simile ricordo. «Ma ora siamo qui. Stiamo per firmare la tua accettazione della mia indipendenza. Alla fine, hai accettato di riconoscermi.» Portò anche l'altra mano ad avvolgergli il braccio. «Ci avete messo sette anni, meneer Nederland, ma alla fine avete scelto di essere qui. Con me. E non barricato nel vostro palazzo, ad odiarmi per aver osato chiedere ciò che avevate chiesto anche voi.»
Forse il tabacco era finito - O qualunque cosa ci fosse in quella pipa. Abel era tornato a guardare il cielo, o forse quel che rimaneva degli sbuffi di fumo. A ben vedere, le nuvole nel cielo erano più scure di prima. E, a ben sentire, l'aria era carica di umidità. Forse era il caso di rientrare - In effetti, che ore erano? Un tuffo al cuore. Avevano iniziato senza di loro? L'importantissima firma del trattato che avrebbe portato suo fratello a riconoscerla come indipendente era mica iniziata senza i diretti interessati...?
«Suppongo...» Abel parlò di nuovo. Manon tornò a guardarlo. «Sia ciò che succede a chi ha deciso di regnare su altre nazioni.»
«Non necessariamente. Ma credo sia molto probabile.» Sorrise. Stavolta, sentì le labbra curvarsi in modo più spontaneo. «È quel problema che ogni persona è un'entità diversa.»
«Per quanto i discorsi metafisici non mi dispiacciano...» Lo sguardo che le scoccò era quasi divertito. «Non voglio farne con te. Se arrivassimo al momento religioso, non andremmo più d'accordo.»
«Broooeeeer~» Manon gonfiò le guance. Il broncio non durò a lungo, e presto tornò un sorriso. «Su, andiamo, o inizieranno senza di noi!»
«E quindi?»
«Come "e quindi?"!? Ma non ti preoccupa-»
«Ho chiesto a Willelm di lasciarmi la parte della trattativa.»
Manon si congelò sul posto. Sì, avrebbero dovuto discutere gli ultimi dettagli ma... Suo fratello che parlava di "trattative". Suo fratello che voleva fare le trattative in prima persona. Spalancò gli occhi.
«Broer...»
«Mh?»
Oh, no. Ecco perché sembrava così divertito. Ecco a cosa aveva pensato. Manon si schiaffò le mani sulla faccia - E una arrivò con tutta la pelliccia del manicotto. Sentì la mandibola sganciarsi e cadere a terra.
"Neuken!"


«... L'evacuazione totale della regione del Limburg e la rinuncia al Luxemburg orientale-»
"I nostri confini si stanno assottigliando ancora..."
«E un pedaggio per la navigazione sullo Schelde-»
"Un pedaggio per navigare sul fiume di casa nostra?!"
«Dato poi il vostro stato di nazione indipendente, considerata la vostra provenienza come territorio del Koninkrijk der Nederlanden,»
No, no, quella era la parte più brutta, Manon lo sapeva, Manon lo sapeva che-
«sarà vostra premura sobbarcarvi metà del debito pubblico, pari a ottomilaquattrocento milioni di fiorini.»
"OTTOMILAQUATTROCENTOMILIONI"
«C-Credo sia un p-po' troppo...» La voce uscì in un rantolo soffocato. Le mani erano incollate al viso. Supponeva che la mandibola non fosse caduta davvero, ma forse era fissata alla mascella per qualche sconosciuta proprietà collante dell'umidità. «C-Ci fai pure pagare un pedaggio sul fiume, non hai piet-» No, quella era una frase troppo scontata, se detta a suo fratello. Quante volte l'aveva sentita, in effetti? Doveva esserne del tutto immune.
«Tuttavia,» Ah! Aveva cambiato idea! O forse era il suo piano fin dall'inizio e voleva solo spaventarla? Ah, suo fratello era davvero- «data la vostra buona volontà nell'evacuazione di Limburg e Luxemburg, il vostro non avanzare ulteriori richieste, il vostro stato di neutralità e il pedaggio fluviale,» A sentirlo così, non sembrava esattamente un trattato che pendeva a favore della sua casa, in tutta onestà- «Possiamo accordarvi una riduzione a cinquemilaquattrocento milioni di fiorini.»
Manon era una statua di ghiaccio. O di roccia. O di qualsiasi materiale duro e freddo esistesse al mondo.
«Perfetto!» Il signor Inghilterra, tra di loro, annuì con un gran sorriso. «Mi sembra un'ottima proposta! Non potevate chiedere di meglio, miss Belgium!» Non fossero stati durante una trattativa ufficiale e non fosse stato che lei era una graziosa signorina, si sarebbe sporto a darle una pacca sulle spalle.
Ma perché il signor Inghilterra non capiva che lei era diventata una statua? Una statua, immobile, bloccata per sempre nell'istante in cui la sua anima aveva violentemente abbandonato le sue spoglie terrene per arrivare nell'alto dei Cieli.
I suoi ministri, il suo re, tutti firmarono. Poi toccò a lei. Poco importava fosse una statua, avrebbe dovuto firmare.
«Broer...» Lo guardò, ed era certa di avere gli occhi perfettamente sferici. «Sono appena diventata indipendente e ho il debito pubblico di un impero coloniale...»
«È la prima cosa che si impara quando si diventa indipendenti, zus.» Fece un cenno al foglio davanti a lei. «Le tasse vanno pagate.»
Con la pioggia che batteva contro i vetri, il signor Inghilterra fin troppo felice di non dover più correre da Bruxelles all'Aia e viceversa, la morte nel cuore e suo fratello che era troppo suo fratello, Manon prese la penna d'oca e firmò. Quando rialzò lo sguardo, aveva il sospetto di avere i capelli dritti come il suo interlocutore. «Tu risolvi tutto con il denaro, broer...»
«Tu vuoi risolvere parlando, io voglio risolvere con il denaro.» Era troppo soddisfatto. «Spero che davanti a noi ci sia un meraviglioso futuro fatto di dialoghi civili e solidi scambi commerciali.»
Manon annuì, la testa prossima a staccarsi, il sorriso fossilizzato che premeva contro le guance. "Anch'io ti voglio tanto bene, broer."

*



Cara me,
Scusa se non ti ho più scritto. In realtà, non ho più scritto, in generale. Non so perché ma, ultimamente, non ho tutta questa gran voglia di scrivere lettere. Deve essere perché incontro spesso le persone a cui vorrei inviare lettere, quindi devo cominciare a considerarle un po' inutili!
Non che per te sia un problema, suppongo, dato che sai benissimo ciò che succede e che vorrei dirti~
Quindi, ho deciso di scrivere a qualcun altro. Qualcuno a cui, a ben pensarci, non ho mai scritto. Mi ci vorrà un po' per distribuire più di sei milioni di lettere (Tranquilla, lo farò a rate No aspetta non voglio parlare di rate farò con comodo!), ma voglio farlo di persona! Il mio popolo mi è sempre stato vicino e voglio ringraziarli tutti! Dici che sono eccessiva?
Ora devo andare. Non so quando ti riscriverò, ho un sacco di cose da fare! (E credo, onestamente, che se la mia idea di scrivere a tutti andrà in porto, non vorrò più vedere lettere per un paio di secoli. Spero inventino sistemi di comunicazioni più rapidi e che mettano meno a rischio la salute delle mani.)
Tua, te, Manon, Belgique, België
P.S.: Forse devo trovare una firma più breve.


*



«E quindi, alla fine, Abel ti ha riconosciuta come indipendente.»
«Già...»
A sua memoria, lei e Lucilin non avevano mai fatto un picnic. Era una cosa carina, ed era ancora meglio farlo da nazione indipendente.
«So che ti ha chiesto un bel po' di denaro...»
Manon serrò le labbra. «Sai com'è broer
Lucilin annuì. «Così, giusto per dire...»
«Sì?»
Lussemburgo sembrava presissimo dal fatto che la sua mano avesse cinque dita. «Qualora per voi fosse troppo e aveste bisogno di un prestito...»
Le labbra di Belgio rimasero una linea piatta. "Farmi prestare soldi da Lucitje, che è sotto il dominio di Abelletje, per pagare qualcosa che mi ha dato Abelletje...?" «Nnnno, grazie,» Alzò le mani, buttò lì un sorriso di scuse. «non pianifichiamo di chiedere nessun prestito.»
«Capisco.» Lucilin stava prendendo troppo da Abel. Troppo. «Se però dovesse servirvi, sappi che posso fare un piano di rateizzazione agevolato per la mia Schwëster, con interessi minimi.»
«Ahah, grazie~» Interessi?! Stava pensando agli interessi?! «Ah, a proposito!» Doveva sviare un po' il discorso, ché la questione denaro si faceva pericolosissima, in presenza dei suoi fratelli - Entrambi i suoi fratelli. «Nessun rancore per averti ridotto i confini, vero?»
Lucilin le scoccò un'occhiata indecifrabile. Mise le mani dietro la testa, a mo' di cuscino, e si lasciò andare contro l'albero. «No, nessun rancore.» Beh, almeno non ce l'aveva a morte con lei. Non sarebbe venuto al picnic, altrimenti! «Suppongo che i francofoni saranno più felici con te. E noialtri ce ne stiamo nella nostra nazione più menomata e presto semi-indipendente.» Una visione molto positiva e filosofica. Belgio gli porse una ciotola di patate fritte, in segno di pace. Lussemburgo le accettò.
«Sai,» Lucilin riprese la parola. «pensavo avresti fatto una gran festa con le tue amiche, ora che sei indipendente.»
«Infatti l'idea è quella.» Belgio versò la birra. Ne aveva bisogno, dopo tutto il vino che si era scolata quei giorni. «È che ci vuole un po', ad organizzare tutto. Alcune di loro sono sempre così impegnate!»
«Avvisami quando la fai, così mi chiudo nella fortezza.»
«Oh, suvvia!» Manon mise il broncio. «Non siamo così rumorose!»
Un'altra occhiata indecifrabile. Non erano così rumorose... No?
«Se non altro,» Un sospiro divertito. «hai festeggiato con il tuo vicino.»
«Sì! È molto più facile organizzare qualcosa con il tuo vicino di casa: è uno solo, è vicino, è molto più pratico!»
«Per questo è rimasto più del dovuto?»
«Eh, sai, poi pare brutto farlo tornare a casa con il buio...»
«Per tre giorni?»
«Ohibò, come vola, il tempo!»
Lucilin scosse la testa, ma non c'era nessuna accusa. Manon gliene fu grata.
«Cosa hai intenzione di fare, ora?»
Una domanda di circostanza, ma non troppo. Belgio stessa ci aveva pensato - Dopo essersi ripresa dall'ultimo incontro con suo fratello e dopo aver dovutamente festeggiato con il suo vicino di casa.
Portò le ginocchia al petto e le avvolse con le braccia. «L'essere una nazione neutrale è bello, in fondo. Puoi concentrarti su di te.» Alzò gli occhi al cielo. Era una bella giornata, nonostante qualche nuvola di troppo. «Voglio assicurarmi che stiano tutti bene. Brussel, Wallonië, Flandre... L'ultima volta che sono stata indipendente, c'è stato il rischio di una guerra civile.» Posò il mento sulle ginocchia. «Voglio prima assicurarmi che tutti stiano bene. Che nessuno si senta non ascoltato. Non voglio rivedere i campi di battaglia. Soprattutto a casa mia. Soprattutto con la mia gente.» Chiuse gli occhi.
Alla fine, quel desiderio non era stato poi così effimero. Non era stato come afferrare una figura di fumo bianco. Era indipendente, ed era ancora in buoni rapporti con i suoi fratelli. Poteva osare inseguire un altro sogno, vero?
Riaprì gli occhi. Si alzò.
«Ho un sacco di idee, sai?» Portò le mani ai fianchi, un sorriso grande come tutta la faccia. «Voglio che i privilegi di noi nazioni possano estendersi anche gli umani!»
Lucilin piegò appena la testa. «Tipo?»
«Vorrei che anche le altre dame fossero trattate alla pari dei gentiluomini. Vorrei che non esistesse alcuna differenza tra un rappresentate gentiluomo e una rappresentate dama!» Pensieri che erano sempre stati in fondo alla sua mente, ogni volta che si guardava intorno e vedeva come le reazioni differivano, quando si trattava di una nazione o di una persona. Aveva visto donne travestirsi da uomo per intrufolarsi nelle milizie, nello stesso momento in cui lei, seppur in pantaloni, veniva chiamata a guidare e addestrare soldati. Sapeva di donne che non venivano ammesse in certe riunioni ufficiali, là dove lei sfilava con i suoi abiti più belli, circondata da uomini.
«E vorrei che tutti possano amarsi, senza distinzioni di sesso!» Era vissuta per secoli a contatto con qualcuno che sapeva di dover condannare all'Inferno chi avesse amato qualcuno del proprio sesso, per poi accettare senza batter ciglio il matrimonio con un altro uomo, e innamorarsi a sua volta di una nazione del proprio sesso. Era assurdo che situazioni uguali avessero giudizi diversi. Era assurdo che ciò che provava Spagna per Romano dovesse essere immondo quando ciò che il signor Austria provava per Ungheria era considerato giusto. Erano entrambi fedifraghi, ma uno veniva accettato, l'altro maltollerato - ed era "maltollerato" e non "condannato" solo perché erano delle nazioni. Non era giusto. Non era giusto che le cose fossero così diverse, per le dame umane, per le emozioni umane.
«E poi...» Trasse un respiro profondo. «Vorrei che anche gli altri imparassero a parlare e ad ascoltare.»
Lucilin continuava a guardarla, un po' confuso. Manon gli sorrise. «So che è assurdo, ma» Aveva già deciso di inseguire sogni che sembravano effimeri, no? «vorrei creare un luogo dove tutte le nazioni possano parlare sullo stesso piano, ed essere ascoltate allo stesso modo. Un luogo in cui, se ci sono problemi, se ne possa discutere pacificamente, e trovare insieme una soluzione.»
«Più che assurdo...» Lussemburgo sospirò. «Mi sembra utopico. Mi ci vedresti, piccola e sulla difensiva com'è casa mia, sullo stesso piano di Frankräich o Preisen?»
«Tu, io, broer!» Aprì le braccia. «France, Pruisen, e Italië, tutte e due, tutti quanti!» Le piaceva quel pensiero. «Chiunque volesse unirsi, sarebbe il benvenuto! Se qualcuno accettasse, significherebbe che saprebbe che la sua parola avrebbe lo stesso valore di quella degli altri!» Rise. «È il primo passo per ascoltare, in fondo.»
Lucilin scosse la testa. Sorrideva, però. «La neutralità ti dà alla testa. Non succederà mai.»
Manon si portò una mano alle labbra. «Sbaglieremmo un sacco di volte. Lo so. Siamo tutti delle persone bizzarre, in fondo. Però...» La mano andò a ravviare i boccoli. «Possiamo provare, no?»

.

Note:
* Coordinate storiche a caso per capire meglio i riferimenti: il primo impero francese (la Francia napoleonica) ebbe fine nel 1814, 16 anni prima l'inizio di questa two-shot; il Sacro Romano Impero si dissolse nel 1806, 24 anni prima; l'America divenne indipendente nel 1783, 47 anni prima.
* "Jacqueline" è il nome che ho scelto per Monaco.
* Leopoldo Giorgio Cristiano Federico di Sassonia-Coburgo-Gotha, per ovvi motivi noto solo come Leopoldo, era un principe anglo-tedesco che si stava facendo i fatti suoi e che si vide proporre il ruolo di re prima della Grecia poi del Belgio. Rifiutò il primo ruolo in quanto diversamente stabile a livello politico ed esitò a prendere il secondo ma, alla fine, ci si trovò bene e divenne Leopoldo I del Belgio.
* Mi sono presa un paio di libertà poetiche (???): storicamente, il Belgio e l'Inghilterra erano già in contatto prima che Leopoldo I divenisse re, così come era da prima dell'elezione che circolavano dicerie sulla possibile spartizione del Belgio tra Francia e Inghilterra. Allo stesso modo, Leopoldo I venne ufficialmente eletto dopo aver "sistemato la faccenda con il Lussemburgo", con il Trattato dei XVIII articoli, firmato a Londra.
Da questo si può intuire ancora più facilmente quanto la scelta di un re anglo-tedesco servisse sì per tentare di riconquistare il Lussemburgo, ma soprattutto per placcare qualsiasi mira francese - "Peccato" che, sì, Leopoldo I sposò nientepopodimeno che la figlia del re di Francia, Luisa Maria d'Orléans, perché il di lei padre (Luigi Filippo I) pare fosse piuttosto popolare tra i belgi.
* La celeberrima Waterloo è in Belgio. Come spiegato, nel luogo dove avvenne la celebre battaglia, ora sorge una collina piramidale chiamata "Collina del leone". [1, 2, 3]
* Manon accenna al Leone di Venezia e ad una "piccola vendetta" per Feliciano perché la Repubblica di Venezia cadde per mano dell'esercito napoleonico, nel 1797 - Quindi, oltre a tutta la faccenda di Waterloo, Francia si ritrova davanti (e sopra) pure un simbolo simile a quello di Venezia.
* La prima ferrovia a vapore pubblica dell'Europa continentale fu inaugurata nel 1835, in Belgio. La tratta era Bruxelles-Malines/Mechelen, e fu anche la prima ferrovia del Belgio. [0]
* «Neuken!»: «Cazzo!» (Almeno, l'idea è quella-)
* Un'altra "libertà poetica (?)" è che, ovviamente, il Belgio sapeva benissimo che si sarebbe dovuto accollare metà/un quarto del debito pubblico dei Paesi Bassi.
La scena della riunione, in realtà, è la fusione di diversi trattati, che hanno spaziato da una soluzione favorevole per il Belgio ad una... diciamo che alla fine hanno tutti più o meno ottenuto ciò che volevano, ecco. (!)
* Come detto nelle note dello scorso capitolo, il Granducato di Lussemburgo divenne indipendente dai Paesi Bassi nel 1839 - L'anno successivo all'ultima scena. Nel fare ciò, il Lussemburgo dovette cedere al Belgio la sua parte francofona, creando l'attuale provincia omonima (Sì, in Belgio c'è una provincia chiamata Lussemburgo, che confina con il Lussemburgo, perché prima era parte del Lussemburgo.) e raggiungendo i confini che ha tutt'ora.
Dato che non è successo a sorpresa da un giorno all'altro, considerate che, nell'ultima scena, sono già stati presi gli accordi per il Lussemburgo, anche se non sono ancora del tutto entrati in vigore. [0]
* Nel 2003, il Belgio fu il secondo paese a legalizzare i matrimoni omosessuali. (Il primo fu, ohibò, i Paesi Bassi, nel 2001.)
* Nel 1951, Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi, Francia, Germania Ovest e Italia firmarono il Trattato di Parigi, che portò alla libera circolazione del carbone e dell'acciaio. Da esso, nacque la Comunità europea del carbone e dell'acciaio, che digievolvette varie volte fino a divenire, nel 1992, l'Unione europea. La sua sede centrale era a Lussemburgo (la città).
La Commissione europea, il Consiglio dell'Unione europea e il Parlamento europeo si trovano ora invece a Bruxelles, che per tale motivo viene considerata la capitale dell'Unione europea. [1, 2]


E così si conclude questa oneshot da due capitoli! (...?)

Tutta questa sequela di flashfic storia si basa su un mio headcanon su Belgio: dato che è il paese che ospita la "capitale" dell'Unione Europea e il cui motto è "L'unione fa la forza", l'ho sempre pensata sì vivace, infantile e con la voce a unbelpo' di decibel, ma anche molto diplomatica e sicura delle sue capacità di, uhm, convincimento - Difatti, quando è tra Francia e Inghilterra, si nota quanto sia preoccupatissima. O forse è perché si è sorbita Spagna per cento e passa anni, e ora nessuna nazione può turbarla più di tanto. (?) -, in cerca del dialogo e certa che si possa andare tutti d'accordo. O qualcosa del genere. (?)

Spero il risultato sia soddisfacente (E spero siano chiare anche le sottovicende di Francia/Inghilterra/Paesi Bassi/nazione random in quel periodo storico-) e non sembri affrettato - Soprattutto perché ho fuso, mescolato e sorvolato millemila eventi diversi, ché l'indipendenza belga è stata breve ma intensa.

Grazie a tutti coloro che hanno letto! ⊂((・▽・))⊃

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