Amore all'Overtime

di Snow_tulip
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 32 ***
Capitolo 34: *** Capitolo 33 ***
Capitolo 35: *** Capitolo 34 ***
Capitolo 36: *** Capitolo 35 ***
Capitolo 37: *** Capitolo 36 ***
Capitolo 38: *** Capitolo 37 ***
Capitolo 39: *** Capitolo 38 ***
Capitolo 40: *** Capitolo 39 ***
Capitolo 41: *** Capitolo 40 ***
Capitolo 42: *** Capitolo 41 ***
Capitolo 43: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Mi torturo le dita fissando il telefono. Non so perché mi sia proposta come stagista dell’ufficio stampa della Vulnus, né perché abbia assecondato la mia folle idea.

O meglio, un motivo c’è: sono sempre stata una super tifosa della Vulnus e per me poterci lavorare sarebbe un sogno.

Entro oggi mi sarebbe dovuta arrivare una risposta, quindi da stamattina non stacco gli occhi dal telefono. Mi sto illudendo? No, sto pregando tutte le divinità del pianeta che possa accadere l’impossibile.

So di non avere molte chance, perché sto ancora frequentando l’università. Chi mi assumerebbe senza neanche una laurea?

Il telefono vibra, ma è un messaggio. Lo sblocco per leggere che Alice, una delle mie coinquiline, è passata a comprare il detersivo dei piatti che stava finendo.

Sbuffo: non era esattamente la notizia che attendevo.

«Tesoro, ancora nulla?» La voce di Arianna mi sorprende, facendomi trasalire. È appena apparsa sulla soglia della cucina e mi guarda compassionevole. «Se non ti chiamano, cambi squadra!»

Sorrido, nervosa. Lei e Alice sanno quanto ci tenga, non parlo di altro da giorni.

Arianna si avvicina alle credenze ed estrae il bollitore. Lo riempie con l’acqua del rubinetto e lo accosta alla macchinetta del caffè. Per fortuna ci sono le cialde, perché nessuna di noi è brava a farlo.

«Ele, vuoi una tisana rilassante?»

Annuisco, più per inerzia che per convinzione. Non sono mai stata una persona da tisana, ma Arianna sta solo cercando di aiutarmi. E lo apprezzo: lei e Alice sono due perle rare sotto questo aspetto.

Inspiro ed espiro profondamente, tornando a guardare lo schermo bloccato del telefono.

Tutto tace per alcuni minuti, salvo il suono del bollitore che gorgoglia e quello delle tazze che Arianna sta disponendo sul tavolo di fronte a me.

La porta di casa si apre, ma non devo voltarmi per sapere che Alice sta per inciampare – come sempre – nel portaombrelli.

«’Sto cazzo de coso, ‘tacci sua!»

Arianna a stento trattiene una risata, scoprendo gli incisivi da coniglietto. «Ali, vuoi una tisana anche tu?»

«Sì, corretta!» Alice entra in cucina e si infila nel poco spazio tra Arianna e la credenza per mettere a posto il detersivo sotto il lavello. «Non ti hanno ancora assunta?»

Mi scuoto appena, sentendomi chiamata in causa. «Non è detto che lo facciano.»

«Senti, zì, sei preparata. È un lavoro nuovo ma, cazzo, tutti lavori lo sono all’inizio… Non possono pretendere che tu sia già superesperta!»

«Se cercassero qualcuno di superesperto, sarei fregata.»

Alice non può replicare, perché il fischio del bollitore ci avverte che l’acqua al suo interno è bella calda e pronta da versare nelle tre tazze.

Arianna tira fuori il barattolo dello zucchero e Alice tre cucchiaini, mentre io mi limito a guardarle, incapace di fare qualsiasi cosa. Me ne sto seduta come un’ameba ad aspettare che dalla Vulnus mi facciano sapere qualcosa. Qualsiasi cosa.

Anche un “Grazie, ma di una laureanda in Lettere ce ne facciamo ben poco!”, purché sia qualcosa. Persino un rifiuto sarebbe meglio del silenzio.

«Sei sicura che ti abbiano detto proprio entro oggi?» Arianna apre la bustina blu di una tisana, e la immerge nella mia tazza.

«Sì, entro mercoledì devono trovare qualcuno perché domenica c’è la prima partita di Supercoppa.»

Alice mi sorride. «Incrociamo tutte le dita per te.»

 

Alla fine dell’allenamento, il coach Colucci ci guarda negli occhi a uno a uno. Andrea Fabbriani tenta l’ennesimo tiro da tre, poi lascia che il pallone rotoli sul parquet fino a toccare il muro e lo va a raccogliere.

Mi tolgo il sudore sulla fronte con un asciugamano, seduto su una delle panche al fianco di Léo Leroux, che sta fissando “il Fabbro” come ipnotizzato. Starà cercando di capire perché quella palla finisce sempre dentro il canestro.

Darei anche io quello che non ho per tirare da tre con le sue percentuali.

Andrea è tornato la scorsa estate dall’NBA, dove ha giocato con i più grandi del pianeta. È tornato alla Vulnus, squadra della sua città, a fine carriera. Ma finché tira in quel modo, nessuno farà troppo caso all’età.

Leroux è arrivato pochi giorni fa, per rimpiazzare uno dei ragazzi che si è infortunato e che salterà quasi tutta la stagione.

Nikola Tomic mi fa un cenno, seduto sulla panca di fronte a noi, attaccata all’altra parete della palestra. Con la testa mi indica coach Colucci, che sta dicendo qualcosa a Filippo Longo per fargli abbandonare i suoi tiri da tre, poi entrambi si voltano verso di noi e l’allonatore ci fa cenno di alzarci in piedi e ci mettiamo a cerchio intorno a lui.

«Allora, ragazzi, l’hanno scorso abbiamo sfiorato la qualificazione in Eurolega e anche la possibilità di giocare la finale scudetto. Quest’anno dobbiamo arrivare in finale, quantomeno. E in Europa dobbiamo fare quello step in più, da Eurocup a Eurolega. Ci siamo capiti?»

«Sì!» urliamo in coro. Puntiamo le mani in alto verso il centro, e le uniamo in una presa stretta e solida. Poi la sciogliamo e ci diamo qualche pacca, qualcuna sulle spalle, qualcuna sul culo. Come sempre.

 

Il tavolo è sparso di briciole di biscotti, i filtri delle tisane sono comodamente adagiati dentro un bicchiere e Alice si sta cimentando in una divertente imitazione dell’insegnante di tedesco che aveva al liceo.

Vorrei averla conosciuta prima, così come vorrei aver conosciuto prima anche Arianna. Quando abbiamo iniziato l’università ci siamo ritrovate nello stesso corso, poi abbiamo trovato un modo per vivere insieme, approfittando delle ex coinquiline di Arianna che dopo essersi laureate hanno lasciato l’appartamento.

Senza di loro, le mie giornate non sarebbero la stessa cosa. Tre studentesse fuori sede originarie di Roma e dintorni: forse è per questo che con loro mi sento a casa.

Mi scaldo le dita attorno alla tazza, ancora calda. Non che oggi sia freddo, ma mi dà una sensazione positiva. Come di un abbraccio di consolazione se dalla Vulnus non dovessero più chiamarmi.

Il mio cellulare vibra sul tavolo: una telefonata. Da parte di un numero che non ho salvato in rubrica.

Lancio un’occhiata furtiva alle ragazze, che mi incoraggiano a rispondere. «Pronto?»

«Buonasera, sto parlando con Elena Corsi?» Una voce maschile replica dall’altra parte della linea.

«Sì, sono io.»

«Le telefono da parte della Vulnus. Le comunico che abbiamo scelto lei per il ruolo di stagista dell’ufficio stampa della squadra maschile.»

Sorrido, imbambolata. «Oh… grazie?»

Grazie? Ma che diavolo dico?

L’uomo – dalla voce credo proprio che si tratti di un uomo – ridacchia tra sé. «Le do appuntamento per domattina alle nove davanti alla sede della società. Si salvi il mio numero, è con me che lavorerà. Mi chiamo Salvatore Giglio. Se dovessero esserci dei problemi, mi contatti!»

«Va bene» dico in automatico, stordita dalla marea di parole che ha inanellato una dietro l’altra.

Il signor Giglio mi saluta e mi augura una buona serata.

Chiudo la telefonata, con un sorriso che va da un orecchio all’altro.

«Te l’avevo detto!» trilla Arianna, slanciandosi dalla sedia per abbracciarmi.

«Stasera pizza per festeggiare» le fa eco Alice. «Te lo meriti proprio!»


Spazio autrice
Questa è la mia prima storia, spero che vi piaccia! Ditemi cosa ne pensate, sono curiosissima!
Il rating rosso è a causa di alcune scene che ho inserito (molto in là nella storia), perché saranno scene un po' piccanti (anche se vi farò sudare un pochino per averle!)
A presto con il primo capitolo!
Snowtulip

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Arrivo davanti alla sede della Vulnus alle nove meno venti. Ero così nervosa all’idea di arrivare in ritardo che sono arrivata con un larghissimo anticipo. Oggi è una giornata grigia, ma dentro di me il sole splende raggiante come nelle più belle giornate di primavera. Sono emozionata, felice, nervosa e su di giri. Per fortuna non c’è quasi nessuno in questa via, se non sporadici impiegati d’ufficio, che camminano stretti nelle giacche di metà stagione verso altri uffici della zona.

Spero di fare una buona impressione a Salvatore Giglio, e che non mi veda come una ragazzina idiota che ha realizzato uno dei suoi sogni.

Una figura maschile si avvicina in lontananza, ma la riconosco subito. Non è una delle persone con cui ho fatto i ben tre colloqui che mi hanno portata qui, ma uno dei giocatori della Vulnus, più precisamente Filippo Longo.

Indossa solo un paio di jeans e una maglia a maniche corte, da cui però sbucano i bicipiti scolpiti come nel marmo. Ha gli occhi neri puntati su di me, e un sorriso che affiora sulle labbra, lasciando scoperta una trafila di denti bianchi. Non l’avevo mai visto da vicino, neanche nelle poche volte in cui ho avuto la possibilità di assistere a delle partite dal vivo. È ancora più bello di quanto non appaia da dietro lo schermo della televisione, o dalle foto di Instagram.

Mi tremano le gambe, non credevo che mi sarei mai emozionata tanto nel vedere uno dei giocatori della squadra. E come starò quando dovrò effettivamente lavorare con loro? O solo parlare con loro?

Forse devo solo superare il primo impatto, poi tutto sarà più naturale.

«Pippo, ciao!» lo saluta una voce alle mie spalle.

Mi volto, perché mi sembra la stessa voce con cui ho parlato al telefono ieri pomeriggio. Davanti a me mi ritrovo Salvatore Giglio, che era presente al mio terzo colloquio per il posto – anche se non ha spiccicato parola e ha fatto parlare tutto il tempo una collega.

Se mi aspettavo di trovarmi davanti un cinquantenne in giacca e cravatta, in ogni caso, devo ricredermi. Dimostra almeno dieci anni in meno e ha un aspetto giovanile, curato. È vestito in maniera informale, con una felpa e dei jeans, e porta uno zaino su una sola spalla. Raggiunge Longo, con cui scambia una stretta di mano.

Poi si accorge di me e mi fa cenno di avvicinarmi. «Elena, è in anticipo!»

«Temevo di fare tardi.» Mi stringo nelle spalle con un tremolio nella voce, le guance mi stanno sicuramente andando a fuoco.

Lui mi tende la mano e gliela stringo. È una presa solida ma non mi stritola le dita e anche io a mia volta, cerco di essere il più ferrea possibile. Mi viene da sorridere, perché mi viene in mente che Alice mi ha detto che stringere la mano con le dita molli fa pensare di essere delle persone che si fanno mettere facilmente i piedi in testa. Anzi, lei aveva utilizzato il termine “pippe”, per poi spiegarsi quando io e Arianna l’abbiamo guardata trattenendo una risata.

«Ti presento Filippo Longo. Lei è Elena Corsi, la nuova stagista dell’ufficio stampa.»

«Piacere.» Ha una bella stretta, potrebbe stritolarmi le dita, ma cerco di rimanere impassibile. «Sono di corsa, ci vediamo.»

Lo salutiamo, prima di seguirlo all’interno della sede. Lui sparisce subito dalla mia visuale, così mi soffermo un attimo a guardare il pianterreno degli uffici soffermandomi, senza sapere perché, sulla moquette grigia.

«Sono contento che alla fine abbiano deciso di assumere lei» commenta Giglio. «Tra i vari candidati è stata quella che mi ha colpito di più, nonostante fosse la meno qualificata.»

Voleva essere un complimento, ma il cuore mi sprofonda nel petto. La meno qualificata…

Lui si accorge delle sue parole. «Non si demoralizzi! Ha molto da imparare, ma sono certo che se la caverà!» Mi sorride, cercando di incoraggiarmi. «Allora, entro la fine della giornata le verrà dato un badge che le permetterà di accedere a tutti i luoghi della Vulnus, inclusa la palestra di allenamento, la sede e il Palavulnus.» Mostra il suo tesserino, che porta appeso al collo, a una ragazza all’ingresso, e lei lo fa passare attraverso i tornelli. «Lei è con me, è la nuova stagista dell’ufficio stampa.»

Supero anche io i tornelli e lo raggiungo. «Se ero la meno qualificata, perché sono stata scelta?» sussurro, sperando in una risposta soddisfacente.

Lui abbassa la testa per parlarne all’orecchio. «Preferisco parlarne a quattr’occhi.»

Sembrerebbe una frase un po’ ambigua, se lui non fosse così serio. Mi guida attraverso una serie di corridoi, questa volta rimanendo in silenzio. Mi fa entrare in uno studio semplice, con una scrivania, un computer e un telefono fisso. Sulla destra c’è un’altra scrivania, sgombra e più piccola. Immagino che questa qui sia la mia.

«Accosti la porta.»

Annuisco, sollevata. Che non mi abbia chiesto di chiuderla mi mette un po’ di più a mio agio. Non sembra che mi abbia assunta per approfittare di me. Per un momento, per un brevissimo momento, è stato quello che ho temuto.

Lui lascia il suo zaino sulla scrivania, vicino al telefono fisso, ma non prende posto alla scrivania: rimane in piedi davanti a me. «Il motivo per cui tra tutti ho preferito lei è stato il suo curriculum.»

«Ma è vuoto…» Questo è il mio primo lavoro, escluse saltuarie ripetizioni di latino; fino allo scorso anno erano i miei a pensare alle spese universitarie. Ma ora che sono fuoricorso ho deciso che deve essere una mia responsabilità. Fino ad oggi non ho mai lavorato. E non avendo neanche una laurea, il mio curriculum è ancora da riempire.

Ho alcune competenze, ma nessuna esperienza in nessun campo.

«Esattamente. Ma ha una buona padronanza dell’inglese, oltre che del francese, fondamentale per parlare con i nostri giocatori stranieri. Questo, però, è solo un requisito minimo.»

«Immagino che anche gli altri candidati avessero una buona conoscenza dell’inglese.» Che mi sembra più utile del francese, visto che i time-out ormai si fanno solo in inglese e che quindi tutti i giocatori devono parlarlo.

«Ma gli altri erano tutti laureati o laureandi in scienze della comunicazione o marketing. Lei no, e proprio per questo volevo lei: è stata molto intraprendente a proporsi, e volevo sapere per quale motivo l’ha fatto.»

Perché io sono una tifosa della Vulnus da quando sono nata.

Sorride, forse perché immagina come avrei ribattuto, visto che è stato uno degli argomenti che è venuto fuori durante il mio colloquio. «Proprio il fatto che lei sia una tifosa e che tiene alla squadra mi ha fatto propendere per spingere sul suo nome. Volevo qualcuno che fosse legato a questi colori e che non li vedesse come un’opportunità per la carriera. Per fortuna hanno tenuto conto della mia opinione quando hanno dovuto scegliere.»

«Mi ha assunta perché sarei stata fuori ruolo?»

«No, io ho voluto proprio lei perché le capacità possono essere apprese da chiunque. Il cuore da dare alla squadra no, quello lo hanno in pochi. E lei è stata scelta per il suo cuore.»

Arrossisco dall’imbarazzo. Sono stata scelta per il motivo per cui credevo che sarei stata scartata: non ho competenze.

«Be’… grazie?» esito, incerta, dondolandomi da una gamba all’altra.

«Ho creduto in lei, veda di non deludere le mie aspettative. Questa mattina ci occupiamo dei nostri compiti da qui a domenica, oggi pomeriggio andiamo insieme dalla squadra.» Si siede alla sua scrivania, non prima di aver preso una sedia e di averla messa accanto alla sua poltrona. «La avviso che passeremo poco tempo in questi uffici, molto del lavoro è da fare in campo, insieme alla squadra. Ora le mostro cosa c’è da fare sul sito della società. Va bene?»

Prendo posto al suo fianco. «Sissignore.»

«Niente “signore”, può chiamarmi Salvatore.»

Annuisco, messaggio ricevuto.

 

Nikola tira giù un bestemmione per aver sbagliato il quinto tiro libero consecutivo, attirandosi un’occhiataccia del coach, mentre io e Pippo scoppiamo a ridere.

«Quando hai la palla, attento alle penetrazioni di Longo e ai movimenti del Fabbro» mi consiglia il coach, alludendo ad Andrea Fabbriani. «Niko, lavora sui blocchi, dobbiamo creare lo spazio per andare al tiro. Lascia stare quei liberi, oggi non ti entrano.»

«L’importante è che entri altro» ridacchia Filippo a bassa voce. Poi quando Nikola gli passa accanto per iniziare l’azione da capo, aggiunge: «Dai, che stasera fai canestro con Sasha!».

«Prendetevi in giro quando abbiamo finito!» li rimbrotta Colucci. Per fortuna non ha sentito bene!

Per il resto dell’allenamento, nessuno dice più nulla che non abbia a che fare con il basket, poi ci andiamo a cambiare e ognuno se ne torna a casa.

Nel parcheggio, Filippo raggiunge subito la mia auto e, non appena sblocco le portiere, si siede al posto del passeggero. «Stamattina ho visto una ragazza con Salvatore. Me l’ha presentata e mi ha detto che è la nuova stagista dell’ufficio stampa.»

«Com’è?»

«Carina.»

Accendo il motore e parto. «Carina significa cesso.»

«No, è carina, ma l’ho vista per poco e… non ho guardato bene alcune cose.» Sorride sornione, e so cosa sta immaginando.

«Non le hai visto il culo, vero?» lo prendo in giro e lui si gratta la barba scura sotto il mento.

«No, ma avrei voluto… Ero di fretta, dovevo passare in sede a prendere della roba. In realtà potevano mandarmela loro per mail, ma ero curioso di vederla. Ieri ho sentito Salvatore che le dava appuntamento a oggi per lavoro.»

«Dovrebbero presentarla anche a tutta la squadra, credo. Con il ragazzo che c’era prima l’avevano fatto. Hai capito perché si è dimesso?»

«Si era innamorato di me, ma non era il mio tipo» scherza Pippo. «Ci è rimasto così male che è scappato in Messico!»

Rido più per fargli compagnia che per convinzione. Non escluderei che sia andata davvero così. «Non ha saputo resisterti neanche lui!»

Chissà com’è questa ragazza, sono proprio curioso… Da quando sono alla Vulnus ci sono sempre stati solo ragazzi a svolgere i lavori a contatto con la squadra. Sarà strano avere una ragazza con noi persino nei viaggi per le partite in trasferta… Spero che sia professionale e che non voglia approfittare della vicinanza a noi per altri motivi, anche se a Filippo non dispiacerebbe per niente.

 

Mi tremano le gambe. Non mi tremavano così tanto dal primo esame universitario. Spero di essere all’altezza e di fare una buona impressione alla squadra, anche se per loro, con tutta probabilità, sono soltanto quella che deve accompagnali alle interviste e contattarli per conto di Salvatore.

Lo seguo all’interno dell’impianto, tra i corridoi che portano alla palestra, alla sala attrezzi e agli spogliatoi. Arianna ha perso una buona mezz’ora a cercare uno per uno tutti i giocatori per scoprire se sono fidanzati, sposati o impegnati in qualsiasi relazione. Non ha risparmiato commenti, soprattutto quando ha visto Filippo Longo, che è effettivamente un “gran bel pezzo di ragazzo”. E anche single, come ha tenuto a precisare.

Sbuchiamo alla palestra, proprio mentre la squadra si sta allenando. La puzza di sudore si sentiva a mano a mano che ci avvicinavamo, quindi avrei dovuto immaginarlo. Però vederli con i miei occhi mentre si muovono con il solo suono dei palleggi sul pavimento è tutta un’altra cosa rispetto a quando li ho visti farlo al Palavulnus strapieno di tifosi..

Salvatore saluta l’allenatore, Ferdinando “Nando” Colucci, poi batte le mani, richiamando l’attenzione della squadra. «Ciao, ragazzi!»

Daniele Palanca passa il pallone tra le gambe di Jérémy Arnaud, Mike Cooper lo prende e schiaccia appendendosi al canestro. Sorrido, trattenendomi dall’esultare come se l’avessero fatto in una finale scudetto.

Dovrò faticare per contenere l’entusiasmo e l’emozione, perché se trovo esaltante una giocata in allenamento, non oso immaginare come mi sentirò durante le partite!

I ragazzi scambiano il cinque con Salvatore poi qualcuno di loro si accorge di me. Cerco Longo con lo sguardo, perché è l’unico a cui sono già stata presentata, ma sta sussurrando qualcosa a Daniele Palanca e non se ne accorge.

Salvatore mi incoraggia con uno sguardo ad avvicinarmi. «Ragazzi, lei è Elena Corsi. Elena, immagino che tu sappia chi sono loro.»

Annuisco. Ovviamente so chi è ognuno dei presenti, ho persino seguito il mercato per conoscere in anticipo i nuovi giocatori. Non mi aspettavo che mi sarebbe stato utile in questa occasione.

«Forse dovremmo stringerti la mano, ma siamo sudati come cammelli» commenta Filippo Longo, facendomi l’occhiolino.

«Sì, cioè, non fa niente, va bene lo stesso» farfuglio e rido per la battuta, cercando di essere spontanea. Non mi mette a disagio essere insieme a una ventina di uomini, tra squadra e staff tecnico, quanto il fatto che si tratta dei giocatori per cui domenica avrei fatto il tifo. E per il fatto che non avrei mai creduto di poter parlare con loro.

«Ci vediamo tra poco con Daniele e Nikola, ancora non mi hanno detto chi di voi ha l’intervista per il podcast in vista della prima partita di Supercoppa. Dovremmo registrarle entrambe, intanto.»

Daniele Palanca si passa una mano nel ciuffo riccio che gli ricade sulla fronte, scrutandomi con curiosità. Visto dal vivo, i suoi occhi chiari scintillano ancora di più di quanto non sembri in televisione. “Questo è un gran fregno”, ha detto Arianna.

Perché sto pensando a quello che mi ha detto Arianna?

«D’accordo. Pala e Niko, andate a cambiarvi.»

Nikola Tomic mi passa accanto con la mano aperta in modo che possa battere il cinque, mentre Palanca mi sorride soltanto, senza dire nulla.

«Li aspettiamo nella sala conferenze.» Salvatore saluta tutti con la mano e mi fa cenno di seguirlo fuori.

«Buon lavoro e benvenuta, Elena!» grida Colucci, mentre sono ancora sulla porta.

«Grazie, coach!» Mi giro solo per rivolgergli un sorriso di ringraziamento, poi inseguo il mio collega fino alla sala conferenze.

Lui si siede a uno dei posti in prima fila ed estrae dei fogli volanti dal suo zaino. «Allora, qui ho cinque domande a testa da fare a Nikola e Daniele. Vuole pensarci lei e farmi vedere come se la cava?»

Così, subito, senza neanche aver visto come si fa?

«Ehm…» Esito, facendo un passo verso di lui, che sventola quei fogli nella mia direzione. Mi stiro la mano sopra la maglia a fiori. «A loro andrà bene? Non è meglio farne uno a testa?»

«A loro deve andare bene tutto quello che dico io. Ma se ne facciamo uno a testa, loro potrebbero pensare che chi ha le domande fatte da lei valga di meno. Ma lei non vale meno di me, ha solo meno esperienza, come è normale che sia. Quindi, Elena, lei fa entrambe le interviste, mentre io supervisiono.»

Se un mese fa mi avessero detto che oggi avrei lavorato per la Vulnus e che avrei avuto modo di parlare con due giocatori della rosa, non ci avrei mai creduto.

Ancora non ci credo.

«Li prenda, almeno li legge prima che arrivino!» Sventola ancora i fogli, che afferro dalle sue mani.

«Oh, sì, giusto, mi scusi.» Scorro con lo sguardo le domande, un po’ delusa dalla banalità. Quali aspettative hanno per la stagione, come hanno lavorato durante la preparazione… «Sono le stesse per entrambi?»

«Sì, così possiamo mettere nel podcast quella che poi ci chiederanno dai piani alti. Ecco Aldo!»

Sulla soglia compare un uomo bassino che porta con sé una telecamera e un cavalletto. Salvatore fa le presentazioni, e così vengo a sapere che Aldo è uno dei cameramen che lavorano per il canale ufficiale della squadra. Subito dopo di lui ci raggiunge una donna, che scopro essere la microfonista Marzia.

Marzia sistema i microfoni sul tavolo della conferenza stampa, in modo che dall’inquadratura di Aldo non si possano vedere, mentre io torno a guardare i fogli con le domande.

«Che ha da sbuffare?» ride Salvatore

«Mi sentirei scema a fare la stessa domanda due volte, so che non sarei naturale.» Non lo preciso, ma spero che capisca che se devo fare una bella figura, come mi ha implicitamente augurato, devo sentirmi almeno a mio agio.

Lui non replica, si avvicina ad Aldo e gli fa: «Riesci ad allargare l’inquadratura in modo che ci stiano sia Tomic che Palanca?».

«Certo!»

Salvatore si rivolge di nuovo a me. «Allora faccia un’intervista doppia. Riesce a gestirla?»

Annuisco. Ho fatto delle interviste per il giornale del liceo, questa non sarà poi così diverso… Anche se il contesto non è proprio lo stesso. E anche se dal liceo sono passati alcuni anni.

Nell’ultimo colloquio che avevo fatto per essere selezionata mi era stato chiesto se avessi mai fatto delle interviste… ora capisco perché.

Qualcuno bussa alla porta aperta. Daniele Palanca sta ancora battendo con le nocche quando mi giro a guardarlo, mentre dietro di lui Nikola Tomic gli mette le mani sulle spalle e si slancia in avanti, sbucando come un fungo alto due metri.

Vicino a loro, con il mio metro e sessantasei sembro una nanerottola.

«Piccolo cambio di programma, Elena intervista entrambi insieme» li informa Salvatore.

«Ah, a proposito…» Tomic si avvicina e mi porge la mano. «Nikola, piacere.»

Palanca lo imita all’istante, e stringo la mano prima dell’uno e poi dell’altro. Prendo una sedia che sistemo fuori dall’inquadratura di Aldo e rileggo al volo le domande.

Via, si inizia.

Spazio autrice
Che ne dite di questo primo capitolo? Siamo ancora alle battute iniziali e all'introduzione dei nostri personaggi e del loro mondo, ma presto le cose inizieranno a farsi un pochino più interessanti!
Forse è ancora presto per chiederlo, ma chi state preferendo, Daniele o Elena? Fatemelo sapere, sono curiossissima!
Baci a tutti,
Snowtulip

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Tra due giorni abbiamo la prima partita ufficiale della stagione, non riesco a fare a meno di pensarci. L’anno scorso è stato un casino, puntavamo alla finale scudetto e invece ci siamo dovuti fermare ai quarti. Abbiamo il primo trofeo stagionale a portata di mano, giochiamo anche in casa… Non possiamo permetterci di sbagliare.

Accanto a Teodor Milinkovic sono migliorato parecchio, e tento alcune giocate che prima non avrei neanche immaginato.

«Stai bene, Pala?» Teo se ne sta a braccia incrociate sullo stipite della porta, e mi fissa mentre Alessio, il fisioterapista, mi massaggia le gambe dopo l’allenamento.

«Sono un po’ nervoso.» Guardo il soffitto, pensieroso.

«Tranquillo, siete forti, quest’anno andrà bene» mi rincuora Alessio.

Giro la testa verso Teo che annuisce, ma non capisco se è perché mi capisce o se per dare ragione al fisio. «È normale.»

Sospiro, senza ribattere. Lui è uno di quei giocatori guida, anche se parla poco: quando lo fa dice sempre cose sensate.

«Dai, Pala, abbiamo finito.» Alessio si sfila i guanti in lattice e io scendo dal lettino.

Appena passo davanti a Teo, lui mi saluta con una pacca sulla spalla prima di prendere il mio posto.

Mi ritrovo nel corridoio, dove ci sono Elena e Pippo che stanno chiacchierando, fermi in mezzo. Lei mi va a genio, è qui solo da pochi giorni ma si è integrata alla grande. Persino in un gruppo di soli maschi, di cui uno già vuole portarsela a letto.

Di sicuro è stato lui ad avvicinarla, ne sono certo. Filippo non è uno che perde tempo.

Mi lasciano passare sulla via degli spogliatoi, Elena non è neanche sconvolta di vedermi passare in mutande. È davvero professionale… o forse solo ammaliata dal mio amico, visto che non ha staccato gli occhi da lui.

Nello spogliatoio c’è ancora Nikola, che sta ripiegando i vestiti prima di metterli nello zaino. «Sasha» mi spiega, veloce. «Se non li piego mi ammazza.»

Ridacchio, prendendo i miei pantaloni. Li infilo come capita, prendo il mio zaino ed esco, mentre Niko è ancora alle prese con la maglietta di ricambio.

Elena e Pippo sono ancora lì, adesso stanno ridendo insieme. Sicuramente lui avrà detto una scemenza delle sue.

«Elena!» Salvatore marcia verso di loro e agita il telefono. «Ottimo lavoro con l’intervista, è piaciuta!»

Lei sorride, arrossendo. «Grazie.»

La guardo meglio, mentre si gira verso Salvatore. Filippo non gliel’ha visto subito, ma ha un gran bel culo.

«Allora ci vediamo» la saluta Pippo, poi mi passa accanto e mi fa l’occhiolino. Ha già sondato il terreno per avere una possibilità con lei ed è andata bene, ne sono certo.

Infatti, mi arriva subito un suo messaggio: “è single”.

Scuoto la testa e mi avvicino a Elena e Salvatore. «Quindi l’intervista è andata bene?»

Lui annuisce. «Sì, siete stati tutti bravi, tu, Nikola e soprattutto Elena.» Ci saluta e si allontana nella direzione da cui è arrivato.

«Stai andando via?» mi chiede Elena.

Annuisco. «Ti serve un passaggio?»

«Più che un passaggio, direi un consiglio.»

Ci incamminiamo insieme verso l’uscita.

«Se posso, dimmi.»

«Ecco…» Intreccia le dita tra di loro, si stringe nella giacca di pelle, giocherella con le punte dei capelli. Il tutto in circa mezzo secondo.

Non la presso, perché immagino benissimo cosa sta pensando. E cosa deve chiedermi. «Quindi, ti do un passaggio?»

«Sì, forse è meglio…»

Arriviamo in silenzio alla mia macchina e ci sediamo dentro. Oggi Pippo ha preso la sua perché deve fare dei giri, quindi non torna con me.

«Dove ti porto?»

Mi dà il suo indirizzo, nella zona universitaria della città.

Faccio partire la macchina ed esco dal parcheggio. «Studi e lavori?»

«Sono fuoricorso, avrei già dovuto avere la triennale.»

«In cosa?»

«Lettere. Tu, invece?»

«Anche io studio… Giurisprudenza.»

Elena ride. «In città universitaria c’è una specie di faida tra le nostre facoltà!»

Sorrido, lo so. «Mi sa che è una cosa molto vecchia di tanti anni…»

La strada non è molto lunga, arriviamo presto da lei, che sembra essersi dimenticata del vero motivo per cui è qui con me. Accosto al marciapiede davanti al suo portone.

«Non ti ho più chiesto il consiglio… Ma… Filippo, Longo, ci sta provando con me?» Si morde il labbro, come se non avesse voluto dirlo davvero. «So che non dovrei chiedertelo, ma siete amici e ho pensato che, ecco, be’…» Ammutolisce, con le guance paonazze.

«Lui ti interessa?» le chiedo, anche se già so la risposta.

Abbassa lo sguardo, intrecciando le dita tra di loro. Di nuovo. Dev’essere un gesto che fa quando è nervosa. «Un po’ sì, ma non credo che sia il caso… Non volevo lavorare alla Vulnus per avere una storia con qualcuno di voi.»

«E perché?»

«Perché tifo Vulnus e quando ho saputo che c’era questa possibilità… Ho tentato la sorte.»

Le sorrido. «Nessuno pensa che tu lavori alla Vulnus per provarci con uno di noi. Però sì, Pippo ci sta provando con te.»

«Ah… bene» mormora. È ancora rossa come un peperone. «Puoi fare finta che non ti abbia detto niente?»

«Va bene, non gli dirò niente.»

«Pala, a nessuno, non solo a lui.»

Annuisco. «Certo, va bene.»

 

Salgo le scale con il cuore in gola e apro la porta di casa con le mani che mi tremano. Non so nemmeno io perché mi trovi in questo stato di agitazione. Nei pochissimi giorni in cui sono stata alla Vulnus mi sono trovata bene, non ho avuto problemi a rapportarmi con un gruppo di ragazzi, quasi tutti più grandi di me. Salvatore mi ha dato fiducia scegliendomi tra gli altri. E non voglio deludere la sua fiducia accettando le avances, seppur molto blande, di Filippo Longo.

Però mi ha stregata. Con quel suo sorriso, con il suo modo di parlarmi da pari e di scherzare anche su argomenti fuori dal basket… Sapevo che avrei dovuto lavorare anche con lui, che ho sempre considerato un bel ragazzo, ma questa situazione è del tutto nuova. Devo troncare qualsiasi cosa ancora prima che nasca, perché questo lavoro – perché la Vulnus – è più importante.

«Tesoro, tutto bene?» La voce di Arianna proviene dalla cucina, dove la raggiungo. Si sta preparando il solito tè di metà pomeriggio.

«Sì, tutto bene. Tu, invece?» Mi siedo al tavolo e mi levo la giacca, sistemandola sullo schienale della sedia.

«Ho dato un’occhiata alla Cronica per suddividere il lavoro… Ho preso anche Parini, perché quello sciroccato vuole tutta la parafrasi del Giorno. Mi sembra un botto di roba solo a guardarla.»

«Non è che ti sembra, è proprio un botto di roba.» Poggio i gomiti sul tavolo, e incastro la testa tra le mani.

«Sei sicura che vada tutto bene?»

Faccio cenno di no. «Mi sa che sto facendo una scemenza colossale.»

Arianna si versa l’acqua calda nella tazza posata sul lavello, poi ne prende un’altra che riempie. Infila un infuso profumato in entrambe e me ne porge una. «Dici a lavoro? Che è successo?»

«Hai presente Filippo Longo?»

«Ti piace, ve’?»

Afferro la tazza bollente e annuisco. «Sì, ma non era previsto. Non volevo prendermi una cotta per nessuno dei ragazzi. Non doveva succedere, ma lui si è avvicinato a me tantissimo in questi tre giorni… E ho chiesto a Palanca, che mi ha detto che ci sta davvero provando con me.»

Beve un sorso, poi fa un’espressione disgustata. «Mi sono dimenticata lo zucchero. Quindi pensi che per lui non sarebbe niente di serio?»

«Penso che non voglio incasinarmi le cose. Come farei a essere professionale se sono coinvolta emotivamente? Sia che lui fosse serio sia che non lo fosse… Da fuori potrebbe sembrare che mi sia proposta per lavorare lì solo per provarci con uno di loro. Poi, invece, è successo il contrario, e…»

Lei mi mette due cucchiaini di zucchero nella tazza e mi accarezza la guancia. «Ele, stai tranquilla. Non è successo niente, se hai tutti questi dubbi faresti bene a mettere le cose in chiaro con Filippo. In modo da non creare casini. Potrebbe capirti e non provarci più… oppure farti capire che ha delle belle intenzioni.»

«Belle intenzioni?»

«Ma l’hai visto, è un figo della madonna!» ride Arianna. «Potrebbe avere delle buone intenzioni, ma quello bono è lui!»

Sorrido anche io, perché mi sento meglio. «Non credo che gliene parlerò direttamente, ma potrei comportarmi in modo che lui capisca.»

«Magari dillo a quello che lo sa… magari ti dà una mano.»

Sospiro, combattuta. Ho quasi implorato Palanca di non dire niente a nessuno e ora che faccio, gli chiedo aiuto?

«Forse, non è detto.»

Arianna scrolla le spalle e riprende il foglio su cui ha appuntato tutte le cose da studiare per l’esame di Filologia con le varie scansioni per argomenti. Ha persino segnato la mole di lavoro per ogni punto!

Interpreto il gesto come finale della conversazione e mi porto la tazza ancora mezza piena in camera. Chiudo la porta e prendo il telefono, che prima avevo abbandonato sul letto.

C’è un messaggio, da un numero sconosciuto. “Non ne vuoi parlare, ma per qualsiasi cosa sono qui. Daniele (Salvatore mi ha dato il tuo numero).”

Sorrido. Si è firmato solo con il nome, ma so che è Pala.

Salvo il contatto in rubrica e gli telefono. Non so perché lo stia facendo, forse solo perché ho bisogno di essere rassicurata.

«Elena?»

«Ciao, Pala.»

«Tutto ok?»

No, per niente. Mi siedo sul bordo del letto e mi butto all’indietro con la schiena sulla coperta. «Non lo so.»

«Ti ho spaventata? Per la storia di Filippo, intendo

E dico l’unica cosa sensata che posso dire. «Sì. Mettiti nei miei panni, tu come ti sentiresti?»

«A disagio. Ma perché a me non piacciono i ragazzi

Scoppio a ridere, era una battuta sincera. E la apprezzo. «Dai, se fosse una ragazza?»

«Eh, boh

Mi porto una mano sulla fronte, fissando il soffitto. «Non mi aiuta.»

«Scusa. Non avrei dovuto dirtelo.»

«Ma lui è serio? Cioè, vuole solo provarci o…» Non termino la frase. Il fatto che questa sia una telefonata mi infonde una buona dose di coraggio, eppure non mi sento così coraggiosa.

«Non lo so. Pensa che tu sia carina, ma non gli ho chiesto che intenzioni ha con te

Il cuore mi salta un battito. «Avete parlato di me?»

«Sì, eri appena arrivata… Non immaginarti chissà quali discorsi

«Però l’avete fatto.»

«Tu avrai parlato di noi alle tue amiche, no? E noi abbiamo scambiato qualche opinione su di te, è normale!»

È normale, ha ragione. «E gli altri cosa ne pensano?»

«Teo dice che sembri una a posto

Sorrido, l’opinione di Milinkovic, per quanto non conti niente sul piano professionale, per me è importante su quello umano. «Ma Salvatore vi ha detto qualcosa?»

«Più che Salvatore, è stato Colucci a dirci di trattarti come se fossi un ragazzo, in modo da non farti pesare la differenza. Mi sa che Filippo non ha sentito bene…»

«Potresti capire che intenzioni ha?» Di punto in bianco, non so nemmeno io da dove mi sia venuto fuori. Lui non risponde subito, ma esala un profondo sospiro.

«Guarda, Elena…» Tace di nuovo, vorrei vederlo per capire a cosa è dovuta la sua reticenza. Quindi prima ha mentito, hanno parlato di me più di un semplice “è carina”! «Quando se ne è andato, dopo che stava parlando con te, mi ha mandato un messaggio in cui mi diceva che sei single

«Sarebbe stato diverso se avessi avuto un ragazzo?»

«Non te lo so dire… Vorrei aiutarti, ma non voglio che ti faccia un’idea sbagliata di lui e neanche che ti faccia troppi castelli in aria… Poi sarebbe complicato da gestire in entrambi i casi

«Hai ragione.» Dall’esterno si capirebbe che tra me e Filippo c’è qualcosa di non meglio definito, sia in positivo sia in negativo. «Lo stage dura fino a gennaio… poi potrei essere assunta. Pala, ci tengo a rimanere dove sono.»

«Se ti fa stare meglio, faccio due cose. Intanto dico al Fabbro di coinvolgerti in futuro, se ci dovessero essere delle cene di squadra, o situazioni in cui ci siamo tutti. Visto che è il capitano è giusto che lo faccia lui. E poi sento Pippo per capire che gli passa per la testa

«Grazie, Pala.»

«Figurati. Però non posso garantirti che quello che scoprirò potrebbe piacerti

«Sinceramente? Non lo so neanche io cosa vorrei che scoprissi.»

«D’accordo. Adesso chiamo il Fabbro, ti faccio sapere se va tutto bene

«Pala…»

«Non dico niente a nessuno. Stai più tranquilla così?»

«Sì.»

Ci salutiamo proprio mentre Alice apre la porta di casa inciampando sul portaombrelli e imprecando come al solito.

Mi sento sollevata al pensiero che Palanca si sia preoccupato per me. Non pensavo che avrei trovato un amico così presto, né che avrei potuto fare affidamento su di lui per mettere in ordine il groviglio che ho in testa. Perché mentre parlavamo ho cambiato idea almeno una decina di volte. Mi piace Longo? Sì, direi proprio di sì. Vorrei piacergli? Eh, certo che sì. Ma se lui volesse solo portarmi a letto? Ci rimarrei male, ma uno bello come lui potrebbe avere qualsiasi ragazza… quindi perché proprio me? Ha detto a Pala che sono carina, quindi forse gli piaccio… E se il suo intento fosse quello, potrei ricambiare l’interesse esclusivamente fisico. Non sono ancora coinvolta a livello emotivo, per ora provo solo una forte attrazione. Mi andrebbe bene andare a letto con una persona senza provare dei veri sentimenti? Ha l’aria di uno che ci sa fare, almeno avrei la soddisfazione di fare del buon sesso.

Riuscirei a tenere tutto questo separato dall’aspetto lavorativo? Non ne ho idea, ma potrei provare.

Di colpo, sono tranquilla. In ogni caso, non ho nulla da perdere.


Spazio autrice
Secondo voi l'interesse di Filippo è solo fisico o è davvero interessato a Elena?
E siamo sicuri che lei riesca a rimanere professionale avendo intorno questo gran ben di Dio? XD
Ditemi un po' la vostra!
Bacioni e buon week-end!
Snowtulip

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Il Palavulnus è strapieno, i tifosi stanno cantando da ben prima che iniziasse la partita contro Brindisi. E ora che abbiamo vinto stanno applaudendo la squadra. I ragazzi sono sul parquet, alcuni salutano gli avversari, altri sono vicino al pubblico più caldo, a ringraziarli per il supporto.

Richiamo Andrea Fabbriani, perché essendo l’MVP della partita deve fare l’intervista alla rete televisiva che trasmette la Supercoppa. Lui mi fa cenno per dire che ha capito e mi raggiunge.

«Siete stati grandi» gli dico, con un sorriso che nulla riuscirebbe a togliermi.

«Grazie, Elena!»

Ascolto l’intervista, in cui lui elogia i compagni di squadra perché siamo stati in vantaggio sin dal primo quarto. Dice che ci sono ancora elementi su cui lavorare perché questa è solo la prima partita e l’intervistatore sembra soddisfatto così, anche se le sue risposte sono state generiche.

Ritorna da me. «Abbiamo anche il canale della Vulnus?»

«Da quello non si scappa!»

Riconosco il cameraman Aldo e lo saluto prima che il Fabbro faccia l’intervista con i “nostri” giornalisti. Anche in questo caso, ripete le frasi fatte di poco fa. Rimango un po’ perplessa, perché da un giocatore come lui mi sarei aspettata che entrasse più nel dettaglio nel parlare della partita.

«Qualcosa non va?» mi chiede.

«Sei stato un po’ banale» ammetto, senza problemi. Da quella telefonata con Pala, il Fabbro è venuto spesso a parlare con me, mi sento a mio agio a dirgli quello che penso. Anche se lui è un campione di basket e io solo una stagista.

«È presto per essere meno banali. Una sola partita non ci dice quello che valiamo, anche se loro hanno giocato bene» mi spiega, prendendo la via degli spogliatoi. «Noi andiamo a cena fuori, vieni anche tu?»

Mi blocco sul posto, perché nei posti in tribuna dietro alla squadra c’erano Arianna e Alice. «Sono venuta con le mie amiche, ero d’accordo per stare con loro.»

«Possono venire anche loro, anzi… Sono le tue coinquiline?»

Annuisco, di sfuggita gliene ho accennato.

«Dove stanno?» Si guarda intorno e, appena gli indico la tribuna, cambia direzione e ci va a passo spedito.

Le ragazze sono scese ai posti più in basso, perché avevo detto loro che le avrei salutate una volta finito con il lavoro.

«Bella partita!» esclama Alice appena siamo abbastanza vicini. Per fortuna il grosso dei tifosi è già andato via, perché presto arriveranno quelli delle squadre che si affronteranno più tardi.

«Grazie!»

«Lui è Andrea, loro sono Arianna e Alice.»

Il Fabbro stringe le mani delle ragazze. «Stavo dicendo a Elena se vi va di venire a cena con la squadra. Che ne pensate?»

«Ma magari!» risponde subito Arianna, attirandosi una mia occhiataccia. Non vede l’ora di vedere da vicino almeno Palanca, che ha catalogato come “gran fregno”… per non parlare di Filippo. Dopo quanto le ho detto, è molto curiosa di conoscerlo, visto che sa quanto sono selettiva quando si tratta di ragazzi.

«Se non disturbiamo…» Alice tentenna. Da un lato non vuole che io sia messa in imbarazzo da Arianna, dall’altro non vuole che io rinunci a questa possibilità; e dall’altro ancora, sa che a me piange il cuore a dover scegliere quando vorrei sia stare insieme a loro, sia insieme ai ragazzi.

«Ci sono anche mogli, fidanzate e figli» spiega il Fabbro. «Visto che vivete con Elena, non disturbate per niente!»

«Allora va bene» accetta Alice, con un sorriso rincuorato.

Si avvicina una ragazza, che riconosco come Sara, la moglie del Fabbro, che gli lascia subito un bacio a fior di labbra. Ci siamo conosciute ieri mattina: ero andata a comprare dei libri per l’università e li ho incontrati tra le vie del centro. Mi rivolge un bel sorriso e mi saluta.

Lui le presenta le ragazze e dice loro di andare con Sara, perché ci vediamo con il resto della combriccola in un posto che loro conoscono perché ci vanno sempre.

Rientriamo nel corridoio verso gli spogliatoi, dove Salvatore ha qualcosa da dire al Fabbro, che però scuote la testa. «Stavo invitando le coinquiline di Elena a cena con noi!»

Il mio collega non replica, ma gli rifila una pacca sulla schiena e lo lascia andare a cambiarsi, prima di concentrarsi su di me. «Elena, sta bene?»

«Sì, sì.» Non mi preoccupa nemmeno il fatto che le ragazze entrino a contatto con la squadra, mi sento sospesa in uno stato di felicità che non saprei dire a parole. Sto vivendo un’esperienza che fino a poche settimane fa sarebbe stata impensabile. Qualsiasi cosa dovesse accadere, a me andrà bene comunque.

Incontro Nikola e Pala mentre vanno al pullman della squadra e mi unisco a loro lungo il tragitto. Niko sventola una delle sue scarpe sotto il naso di Palanca, ridendo per l’odore che emanano.

«Ele, vuoi annusare anche tu?» mi chiede ridendo.

«No, grazie!»

«Il mio naso non sarà più lo stesso» commenta Pala, disgustato, mentre Nikola continua a ridere.

L’italo-bosniaco mi fa l’occhiolino. «Ha detto il Fabbro che vengono anche le tue amiche.»

«Sì, ha insistit…»

«Vogliono annusare anche loro le mie scarpe?»

«Nessuno vuole annusare le tue cazzo di scarpe!» grida Filippo dietro di noi, mentre io e Pala scoppiamo a ridere. «Buttale in un cassonetto, fai una buona azione per tutti!»

Ci raggiunge, posando una mano sulla spalla di Daniele, che si fa indietro per lasciarlo passare. Gli rivolgo un’occhiata innocente, ma lui scrolla le spalle. Capisco benissimo che l’hanno concordato tra loro, perché ora Filippo è al mio fianco. Stando a quanto ha detto a Pala, gli piaccio davvero e, nonostante si comporti da provolone, ha un sincero interesse.

Quindi la sua vicinanza non mi dispiace affatto.

Nikola gli passa una delle sue scarpe sopra la mia testa, infilandogliela quasi nel naso.

«E dai, Niko!» esclamo, ridendo. Non tanto perché sta tormentando Filippo, quanto perché ho sentito anche io il profumino che emana…

«Tienila tu!» Filippo passa la scarpa a Daniele, che a sua volta la rifila a Jérémy Arnaud, che corre al pullman e sale dalle porte centrali.

Nikola lo insegue, rischiando di travolgere coach Colucci, mentre salgo dal lato dell’autista, seguita da Longo e Pala.

Mi vado a mettere in terza fila, in un posticino che ho trovato vuoto la prima volta e che ormai ho battezzato come mio. I ragazzi si scambiano un’occhiata, come a chiedersi chi è che può sedersi con me e chi invece deve andare dietro.

Per fortuna è tutto risolto da Jérémy, che chiama Filippo per farlo andare nei posti in fondo.

«Posso stare qui?» Pala mi sorride, complice. «Oppure preferisci Pippo?»

«Puoi stare, non mi dai fastidio» gli rispondo con gentilezza. «Ho tutta la cena per stare con lui.»

«Non gli hai più parlato di voi due?» sussurra, come se non volesse farsi sentire dagli altri. Pur volendo, sarebbe difficile ascoltarci, visto che stanno intonando qualche coro da stadio.

Coach Colucci è l’ultimo a salire sul pullman. Mormora qualcosa all’autista, ma immagino che sappia anche lui dove dobbiamo andare, poi va a prendere posto nei sedili alla nostra sinistra. Ci guarda con aria interrogativa senza dire nulla, prima di leggere qualcosa sul suo telefono.

«Non c’è niente di cui parlare. Lui mi piace, io gli piaccio. Non credo che sia una buona idea farmi avanti per prima, e preferisco prendermela con un po’ di comodo… Lo conosco appena!»

Ecco la verità: lo conosco appena. Per quanto mi piaccia e senta un’istintiva attrazione nei suoi confronti, lo conosco da troppo poco tempo per prendere la situazione sul serio.

Pochi giorni fa mi sembrava una catastrofe, ora invece attraverso la fase serena della mia infatuazione.

«Posso chiederti un favore?»

«Un altro?» ridacchia lui. «Non te ne sto facendo abbastanza?»

Lo colpisco un pugno debole sulla spalla.

«Quanta forza bruta, non mi starai facendo troppo male, vero?» Mi prende in giro, ma tanto sto ridendo anche io. «Dai, Elena, che favore?»

«Ci sono le mie coinquiline… Non so se con Filippo in giro riuscirei a stare più di tanto con loro…»

«Tranquilla, sicuramente Nikola smetterà di sparare scemenze e ci darà una mano. La sua ragazza è anche alla mano, quindi ci si troveranno bene. Se vuoi goderti qualche momento con Pippo… Tanto è questo che mi stai chiedendo, vero?»

Annuisco, imbarazzata. Chino la testa verso il finestrino, e guardo le vie scorrere intorno a noi. Qualcuno saluta il pullman della squadra esultando. E mi viene in mente solo ora che stiamo girando con il pullman non per andare in luoghi della società, bensì a cena. «Ma non è che qualcuno si mette a inseguirci?»

«No, no… In realtà prima giriamo a vuoto per un bel po’ prima di andare a cena. Così passa anche la voglia di seguirci» mi spiega, portandosi indietro il ciuffo riccio dalla fronte.

«Alcuni tifosi sono molto testardi… non è una garanzia.»

«Elena, stai tranquilla!» ride, e poi, sentendo i cori dei compagni di squadra, si mette a battere le mani a tempo.

Guardo fuori dal finestrino, con i colori del tramonto che si stanno spegnendo lungo la linea dell’orizzonte, e mi incanto a fissare il cielo. Mi trasmette serenità, sto iniziando a immaginare come potrebbe andare la cena… Non so se voglio rimanere davvero sola con Filippo, ma mi piacerebbe avere del tempo solo per parlare con lui. Ci sto bene, mi fa ridere e… Dio mio, quegli occhi mi guardano come se desiderassero solo me in tutto l’universo!

 

Quando arriviamo alla pizzeria, troviamo già mogli, fidanzate e bambini vari ad aspettarci. Cerco subito Sasha con lo sguardo, perché mentre eravamo sul pullman ho mandato un messaggio a Nikola per dirle di fare amicizia con le amiche di Elena. Per fortuna, su loro due si può sempre fare affidamento.

Infatti, sta parlando con due ragazze che non conosco e che, quindi, sono di sicuro le coinquiline di Elena. Me ne ha parlato, ma senza entrare troppo nel dettaglio. Le raggiungo insieme a lei, Niko e Pippo al tavolo, mentre gli altri si ricongiungono alle famiglie. La figlia più grande di Teo gli corre incontro per farsi prendere in braccio e lui se la carica sulle spalle portandola al suo posto, vicino ai bambini di Mike.

Mi siedo al posto libero vicino a Elena, perché Pippo ha deciso di mettersi di fronte a lei. Così può guardarla negli occhi, l’avrei fatto anche io al suo posto.

Sasha, a capotavola, ci presenta le altre due. Arianna, seduta alla sua destra, è una ragazza con i capelli ricci di un colore rosso scuro, anche se si vede un po’ di ricrescita castana. Si alza in piedi per stringere la mano a noi ragazzi, così vedo che è un po’ in carne e poco più bassa di Elena, vicina a lei.

Alice, l’altra ragazza, è esile, con uno sguardo furbo e il mento un po’ pronunciato. Mi ritrovo seduto di fronte a lei, mentre Arianna e Sasha riprendono a chiacchierare da dove si erano interrotte al nostro arrivo.

«Non ero mai stata a una partita» commenta Alice, posando il cellulare sul tavolo. «Ne ho guardata qualcuna con Elena in televisione, ma non è lo stesso.»

«Ti sei divertita?» le chiede Pippo, alla sua sinistra.

«Sì, sì.»

Iniziamo a chiacchierare della partita: Alice non è una grandissima appassionata, ma si è goduta la nostra vittoria contro Brindisi. In più, ha una sciarpa della Vulnus legata alla sedia, anche se immagino che gliel’abbia data Elena. Oppure no, perché al suo posto non darei la sciarpa della mia squadra del cuore in prestito.

Continuo a lanciare occhiate a Pippo, che non fa altro che guardare Elena incantato per tutta la serata. La cena trascorre bene, tanto che finiamo a parlare tutti insieme come se fossimo amici da una vita persino con Alice e Arianna, che ridono alle battute di Nikola – che ha deciso di condividere con loro la storia del dolcissimo profumo delle sue scarpe.

A un certo punto il Fabbro è venuto da noi per controllare se tutto stesse andando bene. Le ragazze sono state le più entusiaste nel rispondergli, il che mi ha fatto tirare un sospiro di sollievo: è stata una mia idea creare la tavolata con Sasha e Nikola. E per fortuna tutti si sono trovati a proprio agio.

Verso la fine della serata, Alice mi chiede di accompagnarla fuori per farle compagnia mentre fuma. Non fa troppo freddo, così posso rimanere a maniche corte, mentre lei si è portata una giacca di jeans.

«Sei stato gentile con Elena» dice, prima di accendersi una sigaretta. «Anche se a lei piace un altro.»

Mi guarda, con fare inquisitorio. Sono sicuro che non mi ha portato qui solo per compagnia: mi sembra troppo furba. E anche dalle sue parole si capisce.

«A me non piace Elena… cioè, non in quel senso» puntualizzo. «Come persona sì, mi ispira simpatia.»

Lei butta fuori una boccata, girandosi di lato per non mandarmi il fumo addosso. «Pensavi che ti avessi chiesto di farmi compagnia per provarci con te, vero?»

Sorrido. «Sì, l’ho pensato.»

«Elena mi ammazzerebbe se ci provassi con te» ammette lei, ridendo. «E poi, non sei il mio tipo… senza offesa»

«Nessuna offesa.»

«Menomale.» Aspira un altro paio di boccate, poi spegne la sigaretta contro il muro e la butta in un sacchetto che aveva in una delle tasche della giacca. «Non mi piace lasciare i mozziconi in giro» spiega, anticipando la mia domanda. «Tu che sei suo amico… Pippo è uno a posto, vero?»

Ha cambiato argomento in modo brusco, ma ho l’impressione che volesse parlarmi di questo sin dall’inizio. Annuisco. «Perché?»

Piega un angolo della bocca, in una smorfia strana. «Elena è un po’ ingenua… e credo che si sia innamorata troppo facilmente di lui. Non vorrei che poi dovesse rimanerci male.»

Inspiro, infilandomi le mani in tasca. «Diciamo che anche lui si innamora facilmente. Di sicuro gli piace Elena, però…»

«Però lei deve stare attenta, in pratica.»

«Eh, sì… ma mi sa che ha capito com’è la situazione.»

«Se un tuo amico fa una cazzata, glielo dici, vero?»

Faccio cenno di sì. Non ho nessun problema a dire le cose come stanno, figuriamoci a Pippo, con cui non ho filtri. «L’ho già messo in guardia, per Elena lo stage da noi è importante.»

«Senti, per quanto Elena possa tenerci, potrebbe davvero mandarlo all’aria senza rendersene conto. Io voglio che sia felice, quindi prova a darmi una mano e ferma quell’altro se ti accorgi che la sta solo prendendo in giro, va bene?»

Annuisco un’altra volta e lei mi fa cenno di rientrare. Quando siamo di nuovo dentro, Arianna lancia un’occhiata interrogativa ad Alice, che però finge di non averla vista, visto che ormai è il momento di andare via e gli altri stanno recuperando le varie giacche – e le borse per le ragazze.

Salutiamo gli altri, poi io e Pippo decidiamo per accompagnare Elena e le sue amiche a casa a piedi. A loro sta bene anche se è un bel tratto, ma è ancora presto – abbiamo giocato di pomeriggio! – e una passeggiata non sarà la fine del mondo. Sasha e Niko si uniscono a noi, così ci incamminiamo insieme.

Spazio autrice
Siamo ancora ai capitoli introduttivi, però già dal prossimo iniziano ad accadere "cose". Spero di non farvi attendere molto (vedo che state leggendo, grazie mille a tutti!).
Che ne pensate di Arianna e Alice che conoscono la squadra?
Vorreste annusare anche voi le scarpe di Niko? (O è meglio di no?)
Buonanotte a tutti,
Snowtulip.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Due giorni dopo, siamo di nuovo al Palavulnus per la partita successiva, contro Milano. Non sarà per niente facile, ma ho visto i ragazzi concentrati, mi sento fiduciosa. Consegno i fogli con il nostro roster alle varie emittenti, poi vado a sedermi dietro la panchina della Vulnus.

I ragazzi stanno finendo il riscaldamento proprio davanti ai miei occhi, così mi incanto per un po’ a guardarli. Pippo sta mettendo un canestro dietro l’altro dalla lunetta, e mi lancia un’occhiata appena si accorge che, tra tutti, sto osservando proprio lui. Prosegue come se niente fosse, però gli è spuntato un sorriso sulle labbra – e so di non essermelo immaginato.

L’altra sera lui e Pala, così come anche Sasha e Nikola, sono stati carini a riaccompagnarci a casa, ma una piccola – piccolissima! – parte di me avrebbe desiderato fermarsi un po’ con lui a chiacchierare al portone. Sarebbe stato complicato, perché c’erano anche gli altri… e va bene che sanno benissimo che tra noi c’è qualcosa, ma preferisco la discrezione. Persino ora che è diventato il segreto di Pulcinella.

La partita, però, non va bene. I ragazzi perdono con sette di punti di scarto, ma il Fabbro, Mike Cooper e Jérérmy Arnaud hanno dato una svegliata alla squadra nell’ultimo quarto, perché prima il divario era di parecchio più ampio. Soprattutto Andrea ci ha riportati a galla con le sue triple, quando eravamo sotto di venti punti.

Pala ha perso gli ultimi due minuti perché è arrivato a cinque falli, ma era rimasto in campo sebbene rischiasse di uscire, perché era quello che aveva costruito meglio il gioco. Persino Teodor Milinkovic ha passato una serataccia, con i suoi tiri finiti spesso fuori dal canestro; è la sua partita peggiore da quando è alla Vulnus.

Vado ad accompagnare il Fabbro a fare l’intervista per il nostro canale ufficiale, mentre Salvatore si occupa della conferenza stampa post-partita di coach Colucci.

Anche questa volta, Andrea tira fuori solo generiche parole di rito. “Dobbiamo lavorare”, “Milano è una squadra tosta, sapevamo che era difficile”, “I ragazzi si sono impegnati, possono capitare partite così, ma dobbiamo imparare a gestirle meglio dall’inizio”… Ma per stasera è un sollievo che non si sbilanci, perché tra i giocatori che non ne hanno imbroccata una c’è proprio Filippo.

Non è stato l’unico, ma ha perso troppi palloni regalandoli agli avversari, ha sbagliato diversi tiri che di solito mette dentro e ai liberi è andato sotto il 50%. Considerando che nelle ultime due stagioni aveva una media sopra all’80%, è stato un disastro.

Una volta finito con il Fabbro, raggiungo Arianna e Alice e dico loro di vederci fuori dal palazzetto entro una mezz’ora. Se i ragazzi mi invitano di nuovo a cena con loro, rispondo che non sono dell’umore… Anche se vedendo la faccia di Nikola alla fine dell’ultimo quarto, direi che non sarebbe dell’umore nemmeno lui. Il che è tutto dire.

Mi incammino nel tunnel degli spogliatoi, incrocio i colleghi di Milano a cui faccio i complimenti per la vittoria – bisogna essere sportivi, sono stati più bravi di noi – e mi avvicino agli spogliatoi, da cui devo passare per forza per uscire.

Mano a mano che arrivo, sento la voce di coach Colucci gridare sempre più forte, fino a quando non distinguo le sue parole. «Pala, se ti tengo in campo anche con quattro falli, devi stare attento, non fare pure il quinto!» Mi si stringe il cuore, perché mi sono affezionata ai ragazzi e mi dispiace che si prendano le sgridate… persino se sono meritate. «Mike, se stiamo in difficoltà, devi andare a dare supporto a Pala, anzi a prendere tu il suo fallo!» Continua la rassegna, elencando a ognuno cosa ha sbagliato, ma nessuno di loro prova a ribellarsi o a cercare delle scuse.

Sono consapevoli anche loro che per stasera non ne hanno.

Appoggio la schiena al muro. Vorrei sprofondare nel cemento e non essere qui, ma se me andassi mi sentirei una codarda. Non ho giocato io, ma mi sento comunque in colpa.

«Lì dentro è un brutto momento, vero?» Una voce maschile mi scuote dai pensieri: è Ennio Sellan, l’allenatore di Milano, che si è avvicinato al nostro spogliatoio. Immagino che vorrà dire qualcosa a Colucci, visto che fuori dal campo hanno un buon rapporto.

«Temo di sì» gli rispondo, con le guance che mi vanno a fuoco.

Ad aumentare l’imbarazzo c’è la porta che si spalanca davanti a noi, da cui sbuca proprio Nando Colucci, che guarda il collega e scuote la testa. Sembra sul punto di parlargli, ma poi nota anche me. «Hai sentito?»

Annuisco. «Sì, ma non fa niente. Abbiamo giocato male.»

Lui mi stringe la spalla, in un gesto quasi affettuoso. Mi rivolge un sorriso tirato, come a dirmi che questa situazione non è colpa mia. Mi dispiace per aver perso, sono anche io della Vulnus e do anche io il mio piccolo contributo. Anche se non è chissà quanto rilevante.

L’allenatore si allontana per i fatti suoi insieme a quello di Milano, proprio quando Pippo esce dallo spogliatoio, cambiato, con lo zaino in spalla e le scarpe in mano. «Ti serve un passaggio?»

«Torno con Arianna e Alice. Però volevo vedere come stavate…» esito, perché se fossi al suo posto mi sentirei a disagio. Ma tanto ha capito che ero fuori dalla porta mentre Colucci di fatto stava urlando. «Ecco, ho sentito il coach. E… be’, mi sento uno schifo per come è andata. Immagino anche voi.»

«Sì, un vero schifo, hai detto bene.» Si passa la mano libera tra i capelli mori, grattandosi dietro l’orecchio. «Volevo parlarti, se per te non è un problema. Lo so, eri d’accordo con Arianna e Alice… ma se a loro non dà problemi, e se non ne dà a te…»

Annuisco. Tiene gli occhi bassi, fatica a guardarmi, e non mi sento di dirgli di no. Anche io vorrei avere qualcuno vicino se avessi giocato male contro una squadra importante. Anzi, contro Milano che ha vinto il campionato lo scorso anno chiunque vorrebbe fare bene.

Mando un messaggio alle ragazze per informarle e insieme a Filippo mi dirigo verso il parcheggio dell’impianto. Saliamo sulla sua Audi e mi allaccio subito la cintura.

Lui posa le mani sul cruscotto, ma non parte. «Non avevo mai giocato così male» ammette, in un soffio. «E sto di merda, ci sto davvero di merda. Il coach punta tanto su me, Pala, Niko… e l’unico che oggi si salva è Daniele.»

In realtà non si è salvato neanche lui, almeno stando a sentire Colucci. Ma non glielo faccio notare.

«Può capitare una partita così. Fa male, anche se non posso capire cosa stai provando, da tifosa sto uno schifo anche io. Però queste partite servono per capire dove migliorare, come poter gestire una situazione simile quando ricapiterà.»

Mi guarda, assorto. «E se non ci riuscissi?»

«In quel caso ti meriteresti di stare male, perché significa che non hai imparato niente.»

Filippo annuisce, e mette in moto la macchina. «Ti va di venire da me e guardare un film?»

Esito. A essere sincera, mi va, eccome se mi va. Una piccola parte del mio cervello mi sta suggerendo che non è una buona idea, anche se il pensiero di stare da sola con lui, magari al buio, a guardare un film…

«Non è un po’ tardi?» gli chiedo, cercando di puntare alla razionalità.

«Ele, ho bisogno di staccare dalla partita. Solo per stasera, vorrei non pensarci più… Se ci penso, mi deprimo e so già che mi allenerò male tutta la settimana. E domenica c’è il campionato, posso rifarmi subito.»

«Non riesco a credere che ti deprimerai.»

Lui sorride, continuando a tenere gli occhi puntati sulla strada. «Non sono sempre allegro, anche se ci provo. Allora?»

«Va bene, dai.»

 

Sto andando a casa con Elena.

Rileggo il messaggio di Pippo mentre esco dal Palavulnus. Ci mancava solo questa, ora non posso neanche andare a dormire in pace perché altrimenti li disturberei…

Non posso tornare senza fare rumore e andare in camera mia?” gli scrivo.

Stiamo guardando I guardiani della Galassia, ci troveresti appena entri.

Bene, benissimo. Significa che per la notte dovrò arrangiarmi. Potrei chiedere a Niko se a lui e Sasha non dispiace ospitarmi… Oppure andare a cercare un albergo, ma è l’opzione che mi piace di meno.

«Daniele!» A un paio di metri di distanza da me ci sono Arianna e Alice. Le raggiungo.

«Mi dispiace per la partita» dice subito Alice.

«Anche a me.»

«Stai andando a casa?»

«Magari. Abito con Pippo e stasera da noi ci sono lui ed Elena…»

«Ah, sì, Elena ce l’ha detto» si inserisce Arianna. «Vuoi venire a cena da noi? Abbiamo anche un posto per dormire, se non vuoi disturbare i piccioncini.»

«Tranquillo, abbiamo un divano letto nel salone, non ti facciamo dormire nella camera di Elena!» precisa Alice, ridacchiando.

Accetto. Loro due sono simpatiche, e visto che per stanotte non ho un posto vero e proprio…

«Non possiamo prestarti un pigiama… sei troppo alto, non entreresti nei nostri!» continua Alice, pensando alla logistica.

«Posso dormire anche così come sto, non è un problema.» Potrei dormire anche sul loro divano senza che lo aprano e che ci mettano le lenzuola.

Andiamo a piedi fino al quartiere universitario dove vivono. Qualche tifoso ci incrocia per strada, alcuni mi dicono che abbiamo avuto sfiga, altri che andrà meglio la prossima partita.

Cazzo, la partita. Vorrei svegliarmi domattina e scoprire che si è trattato solo di un incubo. Un bruttissimo incubo.

Una volta a casa, Alice riempie una pentola con l’acqua, e inizia a tagliuzzare dei pomodorini per condimento. Arianna libera il tavolo della cucina da libri, quaderni e fogli di appunti.

«Che esame stai preparando?» le chiedo, aiutandola ad apparecchiare.

«Stiamo provando Filologia italiana. Il professore è un pazzo schizzato, ci ha dato una cronaca in romanesco del Trecento, di cui dobbiamo sapere tutta la parafrasi e tutta la storia dei manoscritti…»

«E non l’ha spiegata a lezione, immagino.»

«Macché spiegata! Per i frequentanti c’erano dei testi aggiuntivi di latino! In latino!» esclama Alice. «Si chiama Filologia italiana, non latina! È proprio uno di quelli a cui non va di fare un cazzo. Se uno frequenta le sue lezioni ha del materiale in più, se invece sta a casa deve inventarsi la traduzione dal romanesco medievale…»

«Più tutta la parafrasi e la storia dei manoscritti e delle prime stampe del Giorno di Parini» aggiunge Arianna, portando l’acqua in tavola. «Ho diviso lo studio in base alla roba da fare e mi sembra immenso, e loro due lavorano pure!»

L’altra sera Alice mi ha detto che fa la barista part-time, e ogni tanto dà ripetizioni a qualche ragazzo delle medie. Le ha girato Elena i contatti, perché prima era lei a darle… salvo poi trovare lavoro alla Vulnus.

«Tu quando hai il prossimo esame?» mi chiede Arianna.

«A dicembre ho uno scritto, ma lo vedo un po’ tosto, perché è un esame di economia politica che sto rimandando dal primo anno.»

«Se ti va, possiamo studiare insieme ogni tanto» propone Alice, facendo saltare i pomodori nella padella. «Magari andiamo in biblioteca, perché qui non ci concentreremmo granché.»

«Si può fare. Anche se tra Giurisprudenza e Lettere…» butto lì, con un sorriso. Sanno anche loro che gli studenti delle rispettive facoltà non si sopportano.

«Mi sa che tu sei l’eccezione che conferma la regola» ridacchia Arianna. «Senza offesa, ma i tuoi colleghi si credono troppo stocazzo.»

«Nessuna offesa, alcuni sono davvero così.»

Il mio telefono vibra sul tavolo, sblocco lo schermo per vedere chi è e scopro un messaggio di Clara. “L’ho visto con una, sai chi è?

Ci mancava solo questa pazza che non ha lasciato perdere Pippo. “No, non lo so. Tanto ti ha dimenticata.

E pensare che c’era stato un tempo in cui siamo stati amici… Presentarla a Filippo è stata una pessima idea. Davvero pessima, considerando quello che è successo dopo.

«Tutto ok?» mi chiede Arianna, mentre Alice butta giù la pasta.

«Sì, era solo un’amica.»

«Tu non sei fidanzato, vero?»

Alzo le spalle. «Non ho interesse a cercare una ragazza.»

«Così si fa!» concorda Alice. «Niente rotture di coglioni. Lascia perdere Arianna, lei vede dappertutto il romanticismo, pure quando non c’è!»

«Veramente io stavo pensando che stanotte Elena si fa una bella scopata e noi no!» ride lei.

Scoppio a ridere, perché l’ha detto con una naturalezza tipo quella di Pippo. Arianna è una persona molto diretta, senza preoccuparsi di sembrare volgare. Per questa sera non potevo trovare compagnia migliore di loro due: ci avevo visto giusto, sono due ragazze con cui mi trovo bene al punto da sentirmi come se fossi un loro amico da sempre.

«Ci metteranno un bel po’, perché Filippo mi ha detto che stanno guardando I guardiani della galassia e quel film dura almeno due ore!»

«Io sono Groot!» Arianna fa il verso del personaggio, scolando la pasta.

Da lì il discorso si sposta sugli Avengers, di cui loro sono fan, tanto da aver visto al cinema tutti gli ultimi film. Non pensavo che delle ragazze potessero appassionarsi ai supereroi… Io non guarderei una serie di film romantici nemmeno per rimorchiare!

 

Filippo mi porta il piatto con gli spaghetti mentre i Guardiani scappano dalla prigione, e si siede vicino a me. Sul tavolino in vetro davanti a noi ci sono poggiati tovaglioli e bicchieri con una brocca. Non sono abituata a mangiare sul divano, ma per una volta si può fare.

«Non pensavo che ti piacessero i film della Marvel» commenta lui.

«Sono piena di sorprese.» Mi piace questo modo di flirtare, di fargli credere che ci siano un sacco di cose di me che non conosce mentre, in realtà, sono un libro aperto. Mi mordo il labbro arrotolando gli spaghetti intorno alla forchetta.

«Lo spero.» Sorride, poi si concentra sul suo piatto. Sembra un’allusione maliziosa, ma mi diverte. D’altra parte, anche io ne ho appena fatta una.

Mangiamo in silenzio, ascoltando le battute del film che conosco quasi a memoria.

«Qual è la tua coppia preferita?» mi chiede lui a un tratto. «Non solo di loro, ma di tutti i vari film.»

«Boh, non ne ho idea… non ci avevo mai pensato.» Prendo il bicchiere davanti a me e lo riempio di acqua. «A me piacevano Banner e Natasha, ma poi me li hanno distrutti. In pratica la loro storia dura solo un film. Tu, invece, chi preferisci?»

«Quill e Gamora» mi risponde subito. «Voglio sapere se si ritroveranno, perché ci hanno messo due film a dirsi le cose come stavano…» Lascia la frase in sospeso e abbassa il volume della televisione.

«Non serviva che se lo dicessero… che a Quill piacesse Gamora si capisce da subito.»

«Ma Gamora è sfuggente. Lo cerca, sta insieme a lui, ma non fa capire mai se prova qualcosa per lui.»

«I sentimenti sono contorti, forse lei non è sicura.»

Filippo sospira, poi beve un bicchiere d’acqua in un solo sorso. Stiamo ancora parlando del film? Perché ho come l’impressione che ai personaggi potremmo sostituire i nostri nomi. «E allora perché sta sempre con lui, perché lo cerca?»

Mi fissa, serio, con quegli occhi scuri che sembrano potermi leggere dentro. Il cuore mi salta in gola e capisco che no, non stiamo più parlando del film. Io cerco la sua compagnia, cerco i suoi sguardi, l’ho fatto sin dal primo giorno in palestra, quando lui era l’unico a sapere già chi fossi.

«Forse perché sta bene insieme a lui ma teme che possa ferirsi per i suoi sentimenti.»

«Non dovrebbe. Far passare tempo a volte non è la scelta migliore.»

«Tu ti fideresti di una persona che conosci appena?»

I nostri visi si sono avvicinati parola dopo parola, potrei quasi specchiarmi nelle sue iridi nere. Siamo troppo vicini, ma non ho intenzione di tirarmi indietro…


Spazio autrice
E ora? Che succederà?
Lo vedrete al prossimo capitolo, fino ad allora terrò la bocca chiusa!
Snowtulip

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Apro il portone di casa senza far rumore. Per fortuna è domenica mattina, e non ho incontrato nessuno lungo il tragitto fino a qui, escluso il tassista che mi ha raccolta da Filippo.

Durante il tragitto ho mandato un messaggio ad Alice. Non ricordo se oggi è di turno al bar ma, visto che ancora non ha visualizzato e che il suo ultimo accesso risale all’una di notte, immagino di no.

Nella borsa le chiavi sono attorcigliate intorno alla sciarpa della Vulnus. Cazzo, la Vulnus… spero di non aver mandato all’aria tutto.

Mi stropiccio gli occhi con due dita. Non sarebbe dovuta andare così, sono stata una deficiente. Non voglio pensarci, non voglio parlarne con nessuno. E di sicuro Arianna vorrà sapere i dettagli… Spero che dorma fino a tardi.

Cerco di non fare troppo rumore uscendo dall’ascensore, ma il vecchio cancello di metallo sbatte con troppa veemenza alle mie spalle. Le avrò svegliate?

«Porca puttana» biascico, infilando la chiave nella serratura e facendola scattare.

Entro nel nostro salotto, e lancio un’occhiata al televisore spento, non so neanche perché.

Il divano letto è aperto e, sdraiato sotto una coperta, c’è Daniele Palanca, che mi guarda confuso con aria assonnata. Forse non ho svegliato le ragazze, ma lui sì.

«Che ci fai tu qui?» bisbiglio.

Lui si manda indietro il ciuffo di ricci sulla fronte. «Potrei farti la stessa domanda.»

«Io ci vivo qui!» continuo a mormorare, sperando che le mie coinquiline non si accorgano del mio rientro, in anticipo rispetto alle previsioni di chiunque.

«E io sono qui perché Alice e Arianna mi hanno invitato, visto che tu eri a casa mia.» Esce da sotto la coperta e si infila i calzini che aveva lasciato sul pavimento. Sta ancora indossando la tuta della Vulnus, non si è nemmeno cambiato…

«Cazzo, Pala, scusami.»

Lui sorride. «Non mi hanno mica mangiato. Tu stai bene?»

Scuoto la testa. «Ma non voglio parlarne. Cioè, non ora…»

Devo avere un’aria distrutta persino a guardarmi dall’esterno. Se ne è accorto lui che è ancora mezzo addormentato…

Si annoda i lacci delle scarpe. «Ti offrirei qualcosa, ma non so cosa avete da poterti offrire… Alice ha finito il gelato ieri sera.»

«Dammi un secondo e faccio il caffè.»

«Se mi dici dove stanno le cialde, ci penso io.»

Mi affaccio sulla cucina e gli indico la credenza giusta, poi mi fiondo in camera e butto la borsa sulla poltroncina. Cazzo, Daniele ha dormito qui e non è potuto tornare a casa sua… E dopo la partitaccia contro Milano magari avrebbe solo voluto isolarsi dal mondo…

Mi stropiccio il viso, tanto il trucco di ieri è andato a farsi benedire da diverse ore. Mi guardo allo specchio sulla parete, per fortuna non sembro un panda strafatto.

Lascio la giacca sul letto come capita e rimango con la maglia a maniche corte che indossavo ieri sera. Raggiungo Pala in cucina proprio mentre lui accende la macchinetta dopo averci infilato una delle cialde.

«Vuoi parlarmene o vuoi che sia Pippo a dirmi tutto?»

Mi siedo al tavolino. Non avevo pensato all’eventualità in cui lui potesse parlarne in giro… Mi sento ancora di più un’idiota, se possibile.

Però ha tenuto la voce bassa… di certo ha capito che non voglio che le ragazze ci ascoltino. È la spinta più forte a farmi parlare, perché tutto sommato so di dovermi sfogare con qualcuno, altrimenti finirei per implodere.

«Ecco… dopo la partita sono passata dagli spogliatoi per uscire.» Parto proprio dall’inizio, perché altrimenti non si spiegherebbe per quale accidente di motivo sia andata a infognarmi con le mie stesse mani. «E il coach stava urlando che avete fatto schifo. Ho sentito solo un pezzo, ma ci sono rimasta male per voi…»

«Abbiamo giocato male e non abbiamo avuto la testa per rimanere in partita» commenta Daniele, con una smorfia di rammarico. «Aveva ragione.»

«Mi dispiace» ammetto, guardandolo negli occhi, che lui sta puntando a sua volta nei miei. «E mi dispiaceva anche ieri sera, perché quando poi Filippo è uscito per andare via mi ha trovata lì. E mi sembrava a pezzi, cioè, di sicuro lo era perché mi ha proprio detto di sentirsi di merda…»

«Stavano di merda anche il Fabbro e Jérémy, che ci hanno quasi fatto sperare di poterla riprendere.» Riempie un bicchiere di vetro con il primo caffè e lo posa sul tavolo, poi inserisce la seconda cialda. «Pippo si butta parecchio giù quando non vinciamo, so come stava ieri.» Apre la credenza in cui ci sono le tazze – immagino che gliela avrà mostrata Arianna ieri sera – e ne mette un paio sul tavolo mentre io tiro fuori il latte dal frigo. «E quindi volevi tirarlo su di morale?»

«In realtà è stato lui a chiedermi di poter parlare… Avevo capito che stava a pezzi e non ho avuto il cuore di dirgli di no. Mi ha chiesto se volevo andare a casa con lui e guardare un film, e ho accettato, non mi sembrava niente di assurdo. Cioè, avrei dovuto immaginare che il film sarebbe stato solo un pretesto per stare con me… Ma anche mentre eravamo in macchina si stava ancora tormentando su come aveva giocato… Sarei stata una stronza se l’avessi lasciato da solo con il morale a terra…»

«Ele, che è successo?»

Prendo il barattolo con lo zucchero, senza rispondere. Inspiro ed espiro. Metto i miei due soliti cucchiaini nella tazza e mi offro di farlo anche a Pala, che mi mostra due dita per farmi capire che lo zucchera quanto me.

«Ero stata bene, negli ultimi giorni. Ero tranquilla, anche se sapevo di interessargli… vai a capire che mi succede nella testa…»

Anche il secondo caffè è pronto, così Pala posa anche quello sul tavolo accanto all’altro bicchiere. Non ho svuotato tutto il primo che ha preparato, in genere Arianna e Alice si smezzano quello che avanza dal mio latte macchiato.

Mi preparo il “cappuccino” in silenzio, sebbene senta gli occhi chiari di Daniele Palanca su di me.

«Mi ha baciata» mormoro. «E lì per lì non mi è dispiaciuto nemmeno, bacia veramente da Dio. Poi però mi sono ripartite le paranoie mentali, e mi sono chiesta che cazzo stessi facendo, se volevo davvero mandare all’aria il mio stage alla Vulnus, se non fossi diventata la stronza che si approfitta di lui perché in quel momento era fragile… E mi sono tirata indietro.» Abbasso lo sguardo sulla mia tazza, cercando di controllare alcune lacrime nervose che si fanno largo per uscire. Non voglio piangere, mi sentirei ancora più stupida di quanto mi ci senta già. E di quanto lo sia.

«Non ti ha mandata via, vero?»

«No, macché.» Deglutisco, con gli occhi lucidi. «Ha detto che capiva se non me la sentivo e mi ha lasciata dormire nel suo letto. Ah, lui ha dormito nel tuo…»

Alza le spalle, come a dirmi che non è rilevante.

«Stamattina mi sono svegliata presto e sono tornata qui in taxi. Non ho avuto il coraggio di chiedergli di riportarmi a casa, non avevo nemmeno la forza di vederlo senza sentirmi una stupida, dormiva ancora quando sono andata via. Sono stupida, vero?»

Finisce un sorso di cappuccino e scuote la testa, con le labbra macchiate. «No, perché? Avevi già parecchia ansia prima che succedesse tutto questo… E penso che Pippo l’abbia capito.»

«Ho sbagliato tutto.» Mi sfugge dalla bocca senza che riesca a frenarmi. Pala mi ispira fiducia, mi sento senza freno inibitore. E mi sento così male che vorrei che lui facesse discorsi un po’ più articolati per tirarmi su. Ha un tono di voce pacato, che forse è proprio quello che ho bisogno di sentire in un momento come questo.

«No, non hai sbagliato.» Beve un altro lungo sorso, mentre io mi sporgo verso il basso per prendere la confezione di biscotti da una delle credenze. In questo momento ho lo stomaco chiuso, ma forse lui ha fame. Infatti prende un paio di biscotti e ne addenta uno.

«Domani a lavoro… come faccio? Come faccio a guardarlo dopo che mi sono tirata indietro quando lui aveva proprio bisogno di distrarsi dalla partita?»

«Con distrarsi intendi scopare?»

Annuisco.

«Elena, se lui aveva soltanto bisogno di quello, significa che ti avrebbe usata. Quindi avresti fatto bene a tirarti indietro. Se lui invece non voleva scoparti e basta, ma stare con te, averti vicino gli avrà fatto bene. Il problema ce l’ha lui, non tu.»

«Senti, puoi… non è che potresti scrivergli? Almeno per sapere come sta…» Mi mordo il labbro, perché è un’idea del cavolo e sicuramente lo penserà anche lui.

Invece Pala si alza e va a prendere il suo telefono dall’altra stanza. Mi mostra il messaggio che ha scritto a Filippo, lasciando il cellulare sul tavolo tra noi due.

Elena è già tornata a casa sua, tutto ok?

Aspettiamo per alcuni minuti, in cui forse – forse – spero di non conoscere la risposta.

«Non voglio saperlo.»

Pala scuote la testa, trattenendo una risata. «Cambi idea una volta al secondo, non posso starti dietro se fai così!»

Sospiro. «Non c’entri tu… è solo che mi sentirei in colpa sia in un senso sia nell’altro.»

Mi porge la confezione di gocciole sottomarca che gli avevo passato prima, invitandomi a prendere un biscotto. Lo faccio, masticando lentamente. Mi sembra di avere un sasso sotto i denti, non li ricordavo così duri…

«Cerca di stare tranquilla.»

La fa facile, lui… non ha mica piantato una ragazza da urlo sul più bello!

Il suo telefono vibra, facendomi saltare il cuore in gola.

Sì, io sto bene. Elena mi sa che ha avuto una specie di attacco di panico, è andata nel pallone… non pensavo di farle questo effetto!

Daniele sorride per la battuta, ma io non ci trovo niente da ridere. «Stai calma, non si è offeso e non pensa che tu abbia qualche problema con lui.»

Compare un secondo messaggio: “Ma tu come fai a sapere che è tornata a casa?”.

Ieri ho cenato con le sue amiche e mi hanno fatto dormire da loro. Sul divano letto, non farti strane idee… Elena è tornata un quarto d’ora fa ed era sconvolta.”

Mi lascia sbirciare il loro scambio di messaggi, sicuramente sa che mi agiterei di più se non sapessi nulla. Mi siedo vicino a lui, così da poter leggere senza che debba girare lo schermo ogni volta.

Peccato, tu e Alice andate d’accordo.

Dice che non sono il suo tipo, mi dispiace rovinare le tue fantasie…

Ma te hai parlato con Elena?

No, no. Ha fatto colazione senza dire una parola. Dopo provo a parlare con Alice e Arianna per vedere se loro hanno capito che è successo.

Sta mentendo per salvarmi la faccia, gliene sono davvero grata.

«Elena, tranquilla, sta andando tutto bene.» Mi accarezza la schiena con calore, come farebbe un amico vedendomi in difficoltà.

Non è successo niente. L’ho baciata e lei mi ha respinto. Si è scusata perché non voleva farlo… però boh, mi è sembrato che stesse per piangere. Ha dormito nel mio letto e pensavo che stava ancora lì. Sono andato a controllare quando mi hai scritto.”

«Sei già a casa?» Alice mi guarda con gli occhi sbarrati dalla soglia della cucina. Cazzo… 

«Ieri sera è andata male» risponde Pala per me.

Grazie, ma non dovevi.

Alice si sporge per prendere quello che resta del caffè che non ho versato nel mio cappuccino e lo rovescia in una tazzina. «Come mai?»

«Non voglio parlarne.»

«D’accordo, non ne parlare. Però lo dici tu ad Arianna, era convinta che ti saresti goduta il dopo cena!» Sorride, prima di svuotare la tazzina in un solo sorso. Ci mancavano solo Arianna e i suoi film mentali sulla mia vita amorosa…

 

«Forse è meglio che vada a vedere come sta Pippo» commenta Pala, alzandosi dalla sedia. Lo seguo con lo sguardo mentre lascia la cucina, immagino che sia diretto verso il bagno, visto che si chiude una porta alle spalle.

«Ti sei tirata fuori tu o lui ha insistito troppo?» mi chiede subito Alice.

«La prima.»

«Bene.»

«Bene?»

«Sì, almeno Pippo non è uno stronzo. È una cosa buona.»

Annuisco, ha ragione. «Spero solo che non mi crei problemi a lavoro.»

Alice rovescia la confezione di biscotti, così che si riversino sul tavolo senza doverci infilare la mano dentro. «Svegliamo Arianna e ci mettiamo sotto con la Cronica? Tanto Daniele sta andando via… Così non ci pensi.»

«Sì, d’accordo.»

 

Il mio tiro dall’arco finisce sul ferro. Sbuffo, scocciato. Contro Milano ho avuto uno zero su cinque dal campo… In genere tiro poco perché quando lo faccio va dentro. E l’altra sera la mia percentuale al tiro è stata uno schifo… Jérémy mi passa un pallone e tento di nuovo. Canestro.

Bene, allora non ho dimenticato come si fa.

Prendo un altro pallone e palleggio sul parquet di allenamento, prima di lanciare un’occhiata ad Andrea.

«Fabbro!» Gli servo un assist e lui, con i piedi parecchio fuori dall’arco e un bel salto, mette dentro.

«Per liberargli il tiro, serve un blocco qui.» Il coach si mette sulla lunetta e chiama Jérémy. «Jemmy, mi devi fare questo lavoro, portando chi difende a raddoppiare su di te, perché se il Fabbro, Pala o Teo ti vedono libero, potrebbero servirti. Léo, tu vai lì.»

Léo Leroux, un gigante di due metri e venti, annuisce e si va a posizionare sotto il canestro. Non dico che il confronto con Teo è impietoso, perché anche lui è imponente… però Léo sembra un giaguaro che si tiene su due zampe!

«Pippo, tu mi vai a difendere qui» gli indica il punto in cui sono io, e lui esegue. «Allora, Jemmy, tu fai blocco, Léo, tu esci e fai passare la palla dal Fabbro a Pala…»

«No, coach, se il Fabbro è libero, tira» lo contraddice Teo, che sta giocando con Pippo, Mike, Ryan Hill e Marco Regis contro me, Andrea, Léo, Jérémy e Niko. Stiamo provando una situazione di gioco da secondo quarto, quando il quintetto di partenza è mischiato con i giocatori dalla panchina.

«Sennò la passa a te, tanto anche se stai fuori risolvi tutto!» scherza Niko, guardando Teo.

Il coach però gli lancia un’occhiata di fuoco e lui abbassa la testa, fingendo di non aver fiatato. Dopo la partita contro Milano, non vuole sentirci fare battute. 

Ci alleniamo ancora per qualche minuto, finché non siamo interrotti dall’arrivo di Salvatore ed Elena. Salvatore dice di dover fare un’intervista ai nostri due francesi che, a un cenno del coach, vanno subito a farsi la doccia e cambiarsi.

Filippo, appena li vede, si gira subito a dire qualcosa a Teo muovendo il pallone, quindi staranno parlando di cosa fare sul parquet. Mi volto per guardare Elena, che sta scambiando un paio di parole con Niko, e mi avvicino a loro due. Le sorrido, perché immagino il suo imbarazzo visto che Pippo l’ha palesemente ignorata.

«Stai bene?» le chiedo.

Lei allunga per un momento lo sguardo verso gli altri. «Sì, dai.» Si porta una ciocca dietro l’orecchio e si sistema gli occhiali scivolati sulla punta del naso. Se non avesse una cartellina in mano, si torturerebbe le mani intrecciando le dita tra loro, proprio come aveva fatto quella volta in macchina.

«Sei quasi pronta per sentire l’odore delle nostre scarpe, ormai ti stai abituando alla puzza di sudore» scherza ancora Niko, ma stavolta a bassa voce.

Elena ride, nervosa. «No, sto imparando a sopportarla, che è diverso!»

Mi viene lanciato un asciugamano, con cui mi asciugo il viso e le mani. Vorrei dirle qualcosa per tirarla su a proposito di Pippo, capisco chiaramente che è in difficoltà visto che lui è rimasto a parlare con Teo dall’altra parte della palestra. E mi sembra assurdo di essere l’unico a rendersi conto che qualcosa non va.

«Elena, vada a preparare la sala stampa per l’intervista» la richiama Salvatore, prima che io possa spiccicare un’altra parola. Lei ci saluta con un sorriso forzato, poi si volta e lascia la stanza, salutando il coach quando gli passa accanto, senza neanche voltarsi un’ultima volta verso Pippo.

Mi butto l’asciugamano sulla testa e lo raggiungo. «Ma sei scemo o cosa?» mormoro.

Teo ci guarda confuso, ma non ho tempo né voglia di stargli a spiegare la situazione. Ho solo voglia di prendere a schiaffi Pippo e di farlo svegliare.

«Mi ha piantato e se ne è andata, che dovrei fare?» Si gira e fa canestro con il pallone che teneva in mano, pacato. Starà anche centrando di controllarsi, ma mi sono accorto che è sulla difensiva. Sono l’unico che sta capendo tutto, qui dentro.

«Non ti ha piantato, non vuole fare cazzate. E, conoscendoti, tu gliene avresti fatta fare una bella grossa.»

Pippo si stropiccia gli occhi. «Mi sento in colpa anche io!»

Non ho il tempo di ribattere, perché il coach grida: «Ragazzi, per oggi abbiamo finito, potete andare».

Scambio un’occhiata veloce con Teo e con il Fabbro, che ha capito che dev’essere successo qualcosa, glielo si legge dalla faccia.

Mi giro per andare nello spogliatoio, ma il coach mi fissa con le braccia incrociate. «Pippo e Pala, restate un attimo.»

Niko gli passa alle spalle e mi fa un gesto per dire che ne parliamo più tardi e muove le labbra augurandomi buona fortuna. Se Colucci ci farà una sfuriata per via di Elena, ne avrò davvero bisogno. Anzi, Filippo ne avrà bisogno molto più di me.

Tutti gli altri, eccetto il Fabbro, se ne vanno e Salvatore chiude la porta. Siamo soltanto noi cinque, incluso lui.

«Che succede?» chiede Andrea. Se è rimasto, immagino che sia a causa del suo ruolo di capitano all’interno della squadra.

Il coach ci guarda con aria grave. «Elena.»

«Ah, Elena…» Pippo abbassa la testa, colpevole, grattandosi dietro la nuca.

Mi strofino la fronte con l’asciugamano. La stanno rendendo molto più grave di quella che è, non è successo nulla! Se io me la sono presa con Filippo è solo perché lui si è girato dall’altra parte nel momento in cui è entrata qui!

«Ragazzi, non siamo nati ieri» interviene Salvatore. «Lei è una bella ragazza, ha più o meno la vostra età… Siete molto in confidenza con lei e con le sue amiche… Ma lei è alla Vulnus per lavoro, non per altri motivi. È professionale e prende molto sul serio il suo incarico. Non vorrei che…»

«Lo sappiamo che per lei è importante» lo interrompo. È per questo che non voglio che Pippo le faccia fare qualche cazzata. E visto che lei a quanto pare prova dei sentimenti per lui, forse è meglio che l’altra sera sia andata come è andata.

«Ragazzi, l’ultima volta che una ragazza è stata vicina al gruppo squadra è successo un putiferio, ed è stato a causa vostra» ci ricorda il coach, con aria severa.

Cazzo, Clara. Perché doveva tirarla in ballo proprio ora? Che c’entra, adesso?

«Non è successo niente, né con Elena né con le sue amiche.» Magari riesco a tirare fuori Pippo dall’imbarazzo con cui si ritroverà tempo zero, se la conversazione non vira altrove. Lui, infatti, va a sedersi su una delle panche e si apre una bottiglietta d’acqua, che beve per intero in un solo sorso.

«Le state ronzando molto intorno, forse anche troppo … Visto che dopo la partita con Milano qualcuno ci è tornato a casa insieme.»

Clara ha fatto la spia al coach? Sarebbe troppo da stronza, persino per lei… «Non so chi ve l’abbia detto, ma non è successo niente.»

Filippo mi guarda inebetito, incapace di difendersi e di dire che per una volta il suo fascino ha potuto fallire. Non può mettere da parte il suo orgoglio per dire le cose come stanno?

«Non importa chi ce l’ha detto, ma fate attenzione. Pala, quest’anno sei anche vicecapitano.» Il coach alterna lo sguardo tra noi due, come se fossimo in un time-out all’ultimo secondo di partita. E come se dalle nostre azioni dipendesse il nostro destino.

«Ragazzi, io credo molto in Elena e nel lavoro che sta facendo qui.» Salvatore usa il tono più pacato che ha e gliene sono grato. «Non ho nessuna intenzione di sostituirla, quindi non so cosa è successo, ma scusatevi con lei e rimettete tutto a posto.»

«Non c’è niente da mettere a posto» si lamenta Pippo. Ha lasciato a me il compito di doverlo difendere e ora se ne esce così?

«Coach, noi non abbiamo fatto niente, così come non l’ha fatto Elena.» Mi dispiacerebbe se lei, dopo aver contato sul mio aiuto ed essersi fidata di me, si trovasse nei casini, così provo a spiegare senza scendere nei particolari. «Ci andiamo solo d’accordo, è normale instaurare un tipo di rapporto visto che, appunto, abbiamo più o meno la stessa età. E possiamo anche avere dei momenti no, giusto?»

Salvatore annuisce, comprensivo, ma Colucci non sembra così incline a credermi.

«Se ci sono dei momenti no, siate professionali e non lasciate che condizionino la squadra, intesi?»

Gli faccio cenno di sì, e i due se ne vanno, lasciandomi da solo con Filippo e il Fabbro, che è rimasto in silenzio per tutta la ramanzina.

«Mannaggia a te, Pippo!» sibilo non appena la porta sbatte dietro il coach. «C’è Clara dietro al fatto che il coach sapesse che tu ed Elena siete andati via insieme!»

Lui fa per alzarsi in piedi, ma poi rimane seduto dov’è, abbandonando quella faccia da rincoglionito che aveva poco fa. «Ma io che ne sapevo che quella era la nipote del presidente! Ha anche un cognome diverso! Era diventata amica tua, se voleva conoscermi poteva benissimo imbucarsi alle partite, no?»

«Sì, ma dopo la partita mi ha scritto che ti ha visto con una… ed era Elena! Se la mette nei guai per colpa tua, ti strangolo! Lei tiene alla Vulnus e a rimanere dove sta, non possiamo rischiare che la mandino via solo perché tu sei un deficiente!»

È la prima volta che gli rinfaccio le sue colpe e lui ne sembra colpito. Non so neanche perché mi sia preso così a cuore la causa di Elena, normalmente non me ne sarebbe fregato niente. Ma lei non c’entra nulla con quello che è successo con Clara, e sto iniziando a pensare che voglia “farla fuori” dalla Vulnus per avere ancora un’altra possibilità con Pippo. E per farlo dovrà avere la strada spianata senza altre ragazze di mezzo.

Se lo scorda. Non è giusto nei confronti di Elena.

«Come ti è sembrata?» mormora Pippo, intristito. «Sta tanto male?»

«Sta più male per il fatto che l’hai ignorata, non per come è andata sabato sera. Dovresti chiederle scusa per aver fatto finta che facesse parte dell’attrezzatura della palestra!»

«Devo chiederle scusa per tutt’altro» dice invece lui e con uno scatto si alza in piedi e corre fuori, lasciando me e il Fabbro da soli come due deficienti.

«Pala, mi hai chiesto di coinvolgerla nelle cose di squadra, è a causa sua?»

Scuoto la testa. «No, era perché avevo sentito Elena in difficoltà, ma sono ancora convinto che fosse la cosa giusta. Anche se è una ragazza, fa parte anche lei della Vulnus, e quindi è una di noi.»

«Lei non sa niente di quello che è successo con Clara, vero?» Andrea abbassa la voce, come se temesse che qualcuno stia origliando da dietro la porta. Visto che parliamo della nipote del presidente, potrebbe intrufolarsi ovunque e non mi stupirei se me la ritrovassi a girovagare nello spogliatoio aspettando che ci torni Pippo per saltargli addosso.

«Neanche lui sa tutta la verità» ammetto, abbassando lo sguardo. Non ne vado fiero, ma ho fatto del mio meglio per tenerla lontana. E spero solo di non aver fatto una cazzata. «Elena non deve sapere niente di tutta questa storia. Altrimenti si agiterebbe ancora di più… e già era bella agitata.»

Lui si incammina verso l’uscita, così lo seguo. «Ma tra lei e Pippo non è davvero successo niente?»

«No, anche se forse avrebbero voluto tutti e due.»

Spazio autrice
Perdonatemi per il capitolo un po' lungo, ma non volevo dividerlo, visto che le due scene rispecchiano da due punti di vista le conseduenze dal capitolo quattro! Allora, cosa ne pensate? Ha fatto bene Elena a tirarsi indietro? Quanto è orgoglioso Pippo su una scala che va da 1 a... Mister Orgoglio?
Vi aspettavate che fosse andata così, o la pensavate come Arianna?
Questo era l'ultimo capitolo che avevo già completamente pronto, per il prossimo dovrete aspettare qualche giorno (anche se spero di poter aggiornare più spesso!).
Baci a tutti, e buona settimana!
Snowtulip,

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Aldo ha già sistemato l’inquadratura, mentre Marzia è alle prese con i microfoni. Scorro le domande da fare a Jérémy e Léo, ma la mia testa è da tutt’altra parte.

Ho cercato di essere naturale il più possibile e di mascherare il mio disagio, ma che Pippo si sia girato appena mi ha vista mi ha ferita più di quanto avrei mai immaginato Mi fa sentire di essere in colpa, anche se non ne ho nessuna: mi sono comportata come ho creduto più giusto. Però ci tenevo a non buttare tutto all’aria…

Mi mordo il labbro. Sono cotta più di quanto abbia osato ammettere persino a me stessa. E se lui fa così dopo che io mi sono tirata semplicemente indietro, significa un’unica cosa: voleva solo portarmi a letto, non gli interessa nulla di me.

A essere onesta con me stessa, avevo il sospetto che fosse così, ma speravo che si sarebbe comportato come una persona sensata e che non me l’avrebbe fatto capire in questo modo. Anzi, speravo che un pochino di me gli importasse.

Prendo una sedia e la metto fuori dall’inquadratura, così come avevo fatto per l’intervista a Pala e Niko.

Dal corridoio arrivano dei passi, saranno i due francesi o Salvatore, che di sicuro dovrà assistere, così non ci bado troppo. Scorro con lo sguardo le domande da fare a Jérémy e Léo e sorrido, perché ho deciso di inserire il motivo per cui il coach chiama il primo “Jemmy”. Nikola mi ha raccontato che, poco dopo il suo arrivo, Colucci aveva letto male il suo nome su un foglio con il roster, mentre lo controllava durante un allenamento. I ragazzi, Jérémy incluso, ci si sono fatti una risata sopra e il soprannome è rimasto.

«Elena, posso parlarti?»

Sulla porta è appena apparso Daniele Palanca. Non dovrebbe essere lui a dovermi parlare, ma Filippo.

«Non in questo momento.» La Marzia – Aldo e Salvatore la chiamano entrambi con l’articolo e mi hanno attaccato questo vizio – ha già teso le orecchie per ascoltare. Non ho voglia che sappia i fatti miei. Che nessuno li sappia.

«Posso aspettare.» Si avvicina alle file davanti della sala stampa, si siede a un metro da me e incastra il borsone dell’allenamento tra i piedi. Emana un odore di bagnoschiuma al muschio, deve essersi lavato e cambiato.

«Gli altri si sono persi?» commento con un sorriso tirato, quasi nervoso.

«Salvatore li stava accompagnando qui» mi risponde Pala. Poggia i gomiti sulle ginocchia e si china in avanti, giocherellando con i capelli che puntano verso terra come delle molle.

Un istante dopo le voci dei tre arrivano da lontano, con il mio collega che li intrattiene con un francese fluente e dall’accento impeccabile. Anche io parlo francese, ma lui sembra che lo conosca dieci volte meglio di me!

«Allora, è Elena a fare l’intervista» dice superando la soglia spalancata, seguito da quei due colossi.

«Anche Pala?» ridacchia Jemmy.

Daniele alza la testa, con un sorriso smagliante. «No, io ascolto soltanto… Be’, se posso restare.»

Salvatore annuisce. «Se stai zitto e non interferisci, sì.»

Iniziamo l’intervista, con Léo che racconta un po’ del suo secondo anno in Italia, dopo la stagione scorsa a Trieste, mentre invece Jérémy parla della novità per lui del confrontarsi con il campionato italiano e del tipo di lavoro che deve fare in campo, diverso rispetto a quello al Bourg dove giocava prima.

Quando finiamo, sono molto soddisfatta del risultato: non solo perché ho condotto un’intera intervista in lingua, ma anche per la disponibilità dei ragazzi, che hanno risposto con sincerità alle mie domande.

«Posso accompagnarti a casa?» mi chiede Pala, alzandosi in piedi.

«Devo vedermi con Arianna in città universitaria» gli rispondo. «Dobbiamo studiare in biblioteca.»

Lui medita un istante. «Se passo a casa a prendere i miei libri, possiamo andare insieme.»

Mi accorgo che Salvatore ci sta ascoltando, così cerco di essere il più neutra possibile. «Va bene, per lei non credo che sia un problema.»

«Buono studio, ragazzi!» ci augura Aldo, smontando l’apparecchiatura.

Mi volto per salutare lui e Marzia e vedo il labiale di Salvatore dire “Stai attento a quello che fai” a Pala.

Mi mordo il labbro interno per trattenermi, sempre perché ci sono troppe orecchie intorno a noi. Che c’entra adesso Daniele se quello con cui ho avuto una mezza cosa è Filippo? E poi, perché Salvatore si è sentito in dovere di rivolgergli un avvertimento del genere? Non sono un oggetto, so badare a me stessa… Non ho bisogno che Salvatore o chi per lui si prenda la briga di proteggermi! Ma da chi? Da Pala, che ha la testa sulle spalle? O forse sa che c’è di mezzo Filippo? Lo precedo verso l’uscita, senza spiccicare parola finché non siamo in macchina.

«Che intendeva Salvatore?» gli chiedo appena mi siedo.

Lui allaccia la cintura. «In che senso?»

«Gli ho letto il labiale. A cosa devi stare attento?»

Sospira, accendendo il motore. «A quello che devo dirti. Vuoi parlarne ora o a pranzo? In caso, dovresti avvertire Arianna.»

«Dipende da quanto la questione è lunga.»

«Non è lunga.»

«Allora dimmi adesso.»

«D’accordo.» Spegne il motore, forse perché preferisce non parlare mentre guida. O forse perché vuole osservare la mia reazione. «Il coach e Salvatore hanno detto a me e Pippo di stare attenti a quello che facciamo con te, perché… Be’, penso che si siano accorti anche loro di Pippo, prima. E poi, non so come, ma sanno che tu e lui siete andati via insieme dopo la partita.»

«Non vogliono che ci siano casini tra me e lui?»

«Salvatore vuole che tu rimanga qui.» Si passa una mano tra i capelli, fissando un punto imprecisato del volante. «Gli vai a genio, stai facendo un buon lavoro… E se con Pippo dovesse finire male, ci sarebbe un problema di ambiente. Ho capito questo, non l’ha detto esplicitamente. Però, ecco, dispiacerebbe anche a noi se tu andassi via.»

Il discorso ha senso, ma avrebbe dovuto farlo a Filippo, non a Pala. «Ma allora perché dovresti essere tu a stare attento, e non lui?»

«Perché lui e il coach hanno buttato in mezzo anche me… Forse perché ho detto a Pippo che si è comportato come una merda.»

Sorrido. «Almeno qualcuno gliel’ha detto.»

«Dovevo dargli due schiaffi, forse così si sarebbe svegliato… Ma la verità è che lui deve scusarsi con te, e non posso obbligarlo io a farlo. Vorrei, eh, perché non è giusto nei tuoi confronti, però deve rendersi conto da solo di come può reagire un’altra persona ai suoi modi di fare.»

Mi mordo il labbro, pensierosa. Mi fa piacere che Daniele abbia preso le mie parti in questo modo: non sta difendendo una “fanciulla in difficoltà”, ma vuole dare una strigliata a un suo amico che non è stato irreprensibile, per usare un eufemismo. «Quindi cosa mi consigli di fare?»

«Al tuo posto non farei niente, perché se lui vuole comportarsi come un bambino che non ha avuto un giocattolo, il problema è suo. E lo dico anche se devo sopportarlo se si lamenta!» Abbozza una risata, guardandomi rilassato.

Ma io non lo sono. «Allora voleva solo portarmi a letto.» Non è una domanda, lo capisce benissimo anche Pala.

«Temo di sì. Mi dispiace, Elena, pensavo che stavolta fosse diverso…»

«D’accordo, mi trova desiderabile e non gli importa niente di me. Va bene.»

Non va bene per niente.

«Mi dispiace, davvero.» Distoglie lo sguardo da me, posandolo sul freno a mano, tra i nostri sedili. «So che a te piace… Non puoi girarci intorno, è così. E mi dispiace che a lui non sarebbe importato di farti soffrire.»

Qualcuno bussa sul finestrino dal mio lato. Mi volto, ed è Filippo, che mi guarda con aria colpevole. Mi guarda, ed è incantevole, con quegli occhi scuri che mi incendiano dentro, la bocca carnosa che mi fa desiderare di nuovo di averla sulla mia, e quei dannatissimi lineamenti perfetti che mi hanno fatta sciogliere come burro. «Posso parlarti?» La sua voce arriva attraverso il vetro, ma non sembra che stia urlando.

Apro la portiera, scazzata. «Cosa vuoi?»

Serra le labbra, forse dall’interno se le sta mordicchiando. «Scusa.»

«Scusa? Volevi solo portarmi a letto e te ne esci con uno “scusa”?»

Si gratta dietro la nuca. Sa che ho ragione, glielo leggo in faccia. Se non fossi una persona orgogliosa, mi avrebbe affossata. «Possiamo ricominciare da capo?»

«Vuoi fingere che ti importi di me?» Rimango sulla difensiva, non ho intenzione di cedere. Filippo è bello da mozzare il fiato, ma io sono ferita. E ho una mia dignità. E lui non ha nemmeno provato a negare che volesse soltanto portarmi a letto. E tutto questo mi infastidisce.

«Non sto fingendo, mi importa. Ho sbagliato tutto, ma mi importa di te.»

Inspiro, espiro. Devo prendere una decisione in pochi secondi, ma non sono ancora nelle condizioni mentali per farlo.

«Non lo so, vediamo.»

Lui apre la portiera dietro e si mette seduto. Pala mi lancia un’occhiata e io richiudo quella vicino a me. Gli sussurro un “Andiamo”, perché se vuole accompagnarmi lo stesso in città universitaria, per me non è un problema.

Annuisce e accende il motore, così come la radio.

«Dove stiamo andando?» chiede Filippo.

«Elena deve studiare… In teoria anche io, ma questa volta passo, anche se Arianna e Alice mi hanno detto che se voglio posso studiare con loro…» Mi lancia un’occhiata sottecchi, gliel’avranno proposto l’altra sera.

«Tu e Alice stareste davvero bene.»

«Sta’ zitto, Pippo.»

«Che ho detto di male?»

«Non hai il diritto di dire niente.»

Mi trattengo dal sorridere, ma mi diverte che Pala lo tratti come se fosse un bambino in punizione.

Prendo il telefono e apro la chat con Arianna. Di certo non le dispiacerà se viene anche lui, ma almeno la avverto. «Se vuoi venire lo stesso a studiare, a noi sta bene.»

«Andiamo in biblioteca?» Filippo si affaccia dai sedili posteriori.

«No, noi andiamo in biblioteca, tu è meglio se mi giri alla larga per un po’» ribatto, secca. Al diavolo l’educazione.

«Pippo, io devo davvero studiare… Se non passo economia, mio padre mi ammazza.» Pala prova a convincerlo. Ho l’impressione che Filippo non accetterebbe un’imposizione, nemmeno se sensata. E che io non voglia averlo intorno è il minimo.

«Non ti ammazzerà mai, sei il cocco di famiglia…» Lo guardo dallo specchietto retrovisore, si è di nuovo seduto composto, anche se con le braccia incrociate dietro la testa. «Però va bene, sento Niko.»

Non mi interessa sapere quello che fa, sembra che l’abbia detto più per me, visto che Daniele continua a guidare senza dire una parola.

Arriviamo a casa loro, Pala va a posare il borsone con il cambio dell’allenamento e a prendere i libri, mentre io lo aspetto in macchina. Gli ho proposto di aspettarlo giù, non riesco a pensare di rimanere con Filippo in uno spazio stretto come l’ascensore. O di tornare di nuovo a casa loro… Non dopo quello che è successo.

Il telefono mi vibra tra le mani poco dopo che i ragazzi mi hanno lasciata sola. È un messaggio di Arianna.

Viene solo lui o c’è anche Pippo?

Lascia stare Filippo, ci ho mezzo litigato.”

Perché? Non ti piaceva?

È uno stronzo… Pensavo che un pochino fosse serio, invece no.”

Ah, capito, poi mi dici meglio a voce. Intanto vi aspetto dal lato del vialone, così andiamo a pranzo.

Le mando un’emoticon per dirle che va bene, e poi rimango a fissare il portone, aspettando che Pala ritorni.

 

Spingo il tre sull’ascensore, con Pippo che si butta contro la parete specchio.

«Puoi farle cambiare idea, vero?» si lagna. Si lagna?

«Dopo quello che le hai fatto? Non ci penso proprio.» Lo guardo a braccia incrociate, con la stessa postura che aveva prima il coach. Non mi fa pena, non mi fa pena per niente.

«Dani, è importante…»

«No, per te è importante scopartela! Guarda che Elena non è come le altre! Lo capisci che è come se ti volessi portare a letto me o Niko, per le implicazioni che ci potrebbero essere?»

«E me lo dici ora?»

«Me ne sono accorto ora, va bene?»

Esco dall’ascensore, contrariato. È vero, me ne sono accorto ora. Così come mi sono accorto soltanto adesso che Elena è importante. E non sono ancora sicuro in quale senso per me sia importante. Ho preso le sue difese con Pippo, certo, ma l’ho fatto perché l’errore è stato mio. Io credevo che lui potesse essere serio, e invece non lo è stato. Gli brucia solo per aver fallito una conquista.

Lancio il borsone in camera, poi raccatto i libri che avevo lasciato sul tavolo e li infilo nello zaino appollaiato sulla sedia e me ne vado senza neanche salutarlo.

Pippo, però, mi ferma sulla soglia, prima che possa aprire la porta di casa. «Lo so. So che non avrei dovuto, ma Elena mi piace. Non solo perché è figa, ma proprio perché è interessante, e so che lei ora fa bene a odiarmi.»

«Ti sto odiando anche io… e io non sono Elena.» Lo puntualizzo con il tono più calmo che posso avere, perché devo ancora trattenere l’istinto di prenderlo a schiaffi. Dopo il casino con Clara, ci mancava che mi accollasse anche questo! «Non metterò di nuovo le cose a posto per te, devi essere tu a conquistarti la sua fiducia.»

«Come posso farlo se a malapena mi vuole parlare?»

«Senti, è normale, ha appena capito quali erano le tue intenzioni. Non devi ricominciare da zero, devi ripartire come se fossi in torto, perché lo sei. Tra qualche giorno forse ti parlerà di nuovo, ma ora puoi solo aspettare. Ce la fai a non fare cazzate fino all’ora di cena senza di me?»

Lui annuisce, con lo sguardo basso. Gli do una pacca come saluto e scendo da Elena.

Quando esco dal portone, però, la vedo con gli occhi fissi sul cruscotto e gli occhi lucidi. Entro in macchina, e noto che si sta contorcendo le dita. Lo fa sempre quando è nervosa, ormai ho imparato a capirlo.

«Elena…»

«Che ti ha detto?» Si morde il labbro, con la smorfia di chi sta cercando di non piangere.

Ora come gestisco una ragazza che conosco da poco che mi scoppia a piangere per colpa di Pippo? Una ragazza di cui ho appena scoperto che mi importa, tra l’altro!

«Mi ha chiesto se potevo farti cambiare idea, ma gli ho detto che deve pensarci da solo.» Infilo la chiave nel quadro, senza accenderlo. Lei sussulta, nascondendo un singhiozzo. «Sei sicura di voler andare a studiare?»

«No, ma non ho alternative. Ho ancora due esami, e vorrei finire il prima possibile.»

Esito, perché una lacrima le riga la guancia. Non mi sembra che sia nelle condizioni migliori per studiare. «Preferiresti un posto più tranquillo in cui andare? Non avete un esame da preparare a casa?»

«Forse è meglio andare a casa… almeno per oggi» commenta lei. «Chiamo Arianna.» Prende subito il telefono e se lo porta all’orecchio. «Ohi, Ari, senti, forse è meglio se studiamo a casa… Non mi sento di andare in biblioteca, poi ti spiego… Ok, chi arriva prima inizia a cucinare… Sì, Pala c’è lo stesso, poi ti dico… A dopo, allora.»

«Non sono un problema, vero?» le chiedo appena chiude la telefonata.

«Daniè, hai avuto l’idea migliore che potesse esserci. Preferisco starmene per conto mio in questo momento. E studiare a casa, per una volta, va benissimo.»

Annuisco e non dico più nulla fino a quando non parcheggio. Scendiamo insieme sul viale, e ci incamminiamo verso il portone, dove troviamo Arianna che sta frugando nella borsa. Estrae le chiavi proprio mentre la raggiungiamo, così saliamo insieme.

Lei ed Elena si scambiano alcune occhiate silenziose mentre siamo in ascensore, ma non le fa nessuna domanda. O almeno, non su Pippo.

«Facciamo filologia? Ho provato a dare un senso al capitolo che avevamo lasciato ieri, ma è quasi tutto di battaglia e non ci ho capito una mazza.»

«Pala, ti dà fastidio se parliamo?» Mi guarda attraverso lo specchio, preoccupata. Ma si ricorda che mi sono autoinvitato a studiare con loro?

«No, posso comunque sentire la musica con le cuffie.»

Arriviamo da loro e subito le ragazze iniziano a preparare il pranzo e la tavola. Arianna mette subito a scaldare l’acqua per la pasta ed Elena prende una tovaglia, mentre io lascio il mio zaino vicino al divano letto nel salone.

«Tesoro, tu mettiti seduta e calma, possiamo apparecchiare noi.» Arianna indica a Elena l’angolo con sedie e tavolo, anche se lei non mi sembra molto convinta. Così vado in cucina e mi metto subito a sistemare i piatti che Arianna mi passa prendendoli dalla lavastoviglie. «Quindi che è successo?»

«È uno stronzo, ecco che è successo» sbuffa Elena, tamburellando con le dita sul suo bicchiere. «E, a dire la verità, me lo sarei dovuta aspettare. Invece no, ci ho sperato, perché sono una deficiente.»

«Il deficiente è lui.» Poso una brocca colma fino all’orlo proprio davanti a lei. «Anzi, lo sono io, che speravo che stavolta per lui fosse diverso. E anche perché non ti ho detto da subito che lui è fatto così.»

«Ma va, ti ho detto io che non volevo sapere più niente. La cosa peggiore è che non oso immaginare che sarebbe successo se ci fossi davvero andata a letto.» Mi sorride, malinconica, e qualcosa mi artiglia lo stomaco. Cazzo, non avevo notato quanto fossero belli i suoi sorrisi…

Arianna si siede, in attesa che l’acqua inizi a bollire. «Quindi lui voleva solo scopare?»

«Eh già.» Elena si morde il labbro. «Me li scelgo uno peggio dell’altro…»

Mi suona un campanello di allarme. Se lei era così incerta a proposito di Pippo, è stato per qualcosa che le è successo in passato?

Avrei dovuto immaginare che ci fosse dell’altro dietro alla sua indecisione, e invece non mi è venuto in mente che potesse aver avuto altre delusioni. Magari addirittura peggiori.

Pranziamo velocemente, con Arianna che non torna più sull’argomento, ma che distrae Elena con l’esame che devono preparare e l’aggiorna su quello che lei ha fatto in mattinata. Rimango in silenzio per quasi tutto il tempo, perché mi sono accorto che lei non mi è indifferente.

Che mi piace, e pure parecchio.


Spazio autrice
Sono riuscita a finire il capitolo abbastanza in fretta, e vi dirò di più: il prossimo è già a un buon punto! Spero di non correre troppo con gli aggiornamenti, ma questa storia si sta praticamente scrivendo da sola!
Baci a tutti e, se non riuscissi ad aggiornare prima, buona Pasqua!
Snowtulip.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Da quel giorno è passato un mese, e siamo alla vigilia della prima trasferta di Eurocup dopo aver iniziato bene in campionato, con la sola sconfitta di Varese. Di un punto, tra l’altro.

Elena è con noi, anche se sull’aereo che ci porta in Germania è lontana da dove sono io. Di solito facciamo come ci pare con i posti, arrivando a scambiarceli tra di noi, ma non ho tutta questa voglia di starle vicino. Anche se, tra averla vicino e dover nascondere quello che provo, ed essere seduto al fianco di Pippo che non la smette di lamentarsi perché nota appena la sua presenza, preferirei senza dubbio la prima.

Negli ultimi tempi mi ha cercato parecchio, ma non credo che si sia accorta di nulla. In fin dei conti, le piace Pippo, e non posso fare niente perché cambi idea e pensi a me.

Rileggo la chat con mia sorella, che mi augura un buon viaggio. L’unica persona con cui ho avuto il coraggio di parlarne è stata lei. Certo, ho dovuto telefonarle di mattino presto, prima che Pippo si svegliasse, e ho dovuto sussurrare per tutto il tempo, ma almeno mi sono sfogato con qualcuno. E ne avevo bisogno, visto il casino sentimentale in cui mi sono cacciato.

Non avrei mai pensato di dirlo, ma vorrei che lei fosse qui e non a casa. Da quando sono alla Vulnus, non ho sentito tantissimo la mancanza di Ascoli, né tantomeno delle sue amiche chiacchierone che mi considerano un divo dietro cui sbavare. Però lei mi manca: è l’unica che mi riesce a dare una mano quando tutto va uno schifo, l’unica che mi ha consolato per quel cazzo di esame di economia politica…

«Posso mettermi qui?» Elena compare dal corridoio dell’aereo. «Il coach sta parlando con Mike… E non riesce ad abbassare la voce, mi distrae.»

«Non ce la fa, è più forte di lui.» La prendo a ridere. «Mettiti dove vuoi, tanto Niko e Marco sono chissà dove al posto di chissà chi. Preferisci il finestrino?»

«Sì, ma tanto è uguale, devo studiare.» Mi mostra un mattone con “Il Giorno” scritto a chiare lettere sulla copertina, dentro cui c’è una matita. Si siede al posto centrale, bloccandomi il passaggio se volessi alzarmi. Ma lo voglio davvero? No, per niente.

«Non avevi dei blocchi di fotocopie?» le chiedo, mentre abbassa il tavolino.

«Mi sono portata da fare solo la parafrasi, è più comodo per studiare in giro.» Apre il libro e riprende la lettura.

Capisco che è il momento di lasciarla in pace e metto un po’ di musica nelle cuffie. Mi servirebbero quelle enormi di Niko per riuscire a isolarmi e a non pensare che Elena è seduta accanto a me. Fisso fuori dal finestrino e mi lascio trasportare dalle note dei Two steps from hell. Sono il mio rito scaramantico dei viaggi in trasferta.

Ogni tanto lancio qualche occhiata a Elena, che è concentrata sullo studio. Quando mi è capitato di studiare insieme a lei e alle ragazze, mi sono stupito di quanta roba possa avere nel cervello: ricorda a memoria un sacco di poesie, riesce a fare le parafrasi senza incartarsi mai – mentre invece Arianna e Alice a volte faticavano a starle dietro – e sa sempre dove si trova quello che non tiene a mente, che sia nei suoi appunti o nei libri.

Mi ha colpito molto, perché vederla nel suo ambiente solito, cioè quello dello studio e dell’università, mi ha dato un’immagine diversa da quella della ragazza professionale che è alla Vulnus. L’ho vista stanca per le ore in biblioteca, con i capelli in disordine, e vestita in modo più trasandato rispetto a quando deve rapportarsi con la squadra. È stato come scoprire una sua sfumatura in più, perché la presenza “in campo” – per quanto lei non giochi – è una cosa, ma lì sta ricoprendo un ruolo: è lei, ma non è la stessa persona che è quando si trova in altri contesti.

Pippo si è lamentato di continuo in questo periodo, perché Elena l’ha escluso dalla sua vita: persino quando è di nuovo capitato di andare a cena fuori insieme alla squadra, ha preferito la compagnia di chiunque altro – persino quella del coach! – alla sua. Forse si sta prendendo più tempo di quello che lui avrebbe immaginato, ma a me dispiace poco: finché non riallacciano i rapporti passa più tempo con me. Non mi sento egoista, perché cerco di non farle capire che averla vicino mi crea tutta una serie di sensazioni che fatico a gestire. E non solo quelle fisiche, che per fortuna riesco a controllare.

Ma il pensiero che lei sia innamorata persa e in modo orgoglioso del mio migliore amico è un grosso problema, soprattutto visto quello che è e non è successo tra loro. E io sto in mezzo tra lui che mi chiede di farle cambiare idea ed Elena che vorrebbe recuperare quel rapporto ma non riesce a togliersi dalla testa che Pippo voleva solo scoparsela.

Sto fissando il cielo tutto uguale da qualche minuto, quando lei mi richiama colpendomi la spalla con la matita.

«Che c’è?» le chiedo. I suoi occhi brillano da dietro gli occhiali. Dio, non può sorridere solo con lo sguardo…

«Mi viene da ridere, ma se lo faccio da sola sembro una deficiente» sussurra. Mi fa una parafrasi veloce del pezzo che stava leggendo, in cui Parini prende per il culo il “giovin signore” e ci ritroviamo a ridere insieme. «Non riesco a leggere questa parte senza trovarla divertente ogni volta!»

«Ci credo!»

Ridacchiamo ancora, richiamando l’attenzione di Aldo e Salvatore dalla fila accanto. Elena si volta, perché ho abbassato lo sguardo appena ho incrociato quello del suo collega, e gli indica il libro con la punta della matita, senza dare altre spiegazioni.

«Ti hanno fatto altre storie?»

Scuoto la testa e lei si immerge di nuovo nella lettura. Rimaniamo in silenzio, ognuno per i fatti suoi, fino all’atterraggio, quando ci perdiamo di vista per recuperare i vari bagagli e per scendere dall’aereo. Sul pullman verso l’albergo mi ritrovo insieme a Niko, Marco, Jérémy e Pippo a cazzeggiare in fondo, intonando qualche coro che possa caricare anche gli altri, che presto si uniscono a noi, anche quelli che non sanno l’italiano.

A un certo punto, Elena si volta dai sedili davanti. Sorride, e batte le mani a tempo.

Però non sta guardando me, ma Pippo, che ride e canta insieme a Niko.

Mi sento male, ma quando arriviamo?

Il tragitto per fortuna è breve, ma Elena scende subito, perché non deve mettersi a recuperare la marea di cose che abbiamo noi, tra lo zaino che teniamo qui e la valigia nella “pancia” del pullman.

Andiamo in camera per sistemarci, prima della seduta di allenamento al palazzetto. Come al solito, mi ritrovo insieme a Pippo, che butta la roba a caso e fa per uscire dalla porta ancora aperta.

«Ce la faccio a parlare un attimo con Elena, secondo te?»

Scrollo le spalle. «Non sai nemmeno in che camera sta.»

«Ah, già… però prima mi ha guardato. Dani, mi ha guardato!»

Mi siedo sul letto, e gli sorrido più per compiacerlo che per vera felicità. «Magari ti vuole dare un’altra possibilità.»

Magari no.

Il Fabbro compare sulla soglia. «Raga, dobbiamo andare!»

«Neanche ho fatto la doccia!» si lamenta Pippo.

«Abbiamo un allenamento, non un appuntamento romantico!» lo prende in giro lui. Poi abbassa la voce e aggiunge: «Tanto lei rimane qui, quindi non devi sistemarti».

Dopo che siamo tornati in albergo – abbiamo fatto la doccia nello spogliatoio, per la gioia non solo di Pippo, ma di quella dei nasi di tutti – mi collego al wi-fi e trovo una carrellata di messaggi di Matilde, che mi chiede del viaggio, se sto bene, se ho avuto modo di parlare con Elena, se sto in camera con Filippo, se qui fa freddo…

Sorrido tra me e me, e le rispondo. “Il viaggio è andato bene, Elena è venuta a studiare vicino a me, ma siamo stati zitti per quasi tutto il tempo. Sì, sto in camera con Pippo, ma lui e lei prima, nel pullman, si sono guardati… forse gli dà un’altra possibilità. Fa un pochino freddo, ma non tantissimo.”

Chiedile se pensa di riprovarci con lui. Su, su, devo sapere!

«Che succede?» Pippo deve avermi visto mentre scrivevo rispondendo a raffica.

Blocco lo schermo del telefono, non voglio che sappia che con Mati parlo anche di lui. Visto che mi piace “la sua ragazza”, meglio che rimanga all’oscuro di tutto. «Mia sorella.»

«Come sta?»

«Come al solito.» Rimango sul vago, mentre scendiamo per andare a cena. Nella sala ristorante dell’albergo troviamo già Mike, Teo e il coach, mentre a un tavolo distanziato, Elena sta insieme agli altri “tecnici” che viaggiano insieme a noi: gli speaker del canale, Aldo, Marzia, Salvatore, il nostro autista…

Ci saluta con uno sguardo silenzioso, che non so interpretare. Non sono neanche sicuro che stesse salutando solo me o solo Pippo, o tutti e due… Nel dubbio vado a sedermi vicino a Teo, che ascolta Mike parlare del figlio più piccolo che sta imparando a camminare.

Durante la cena intercetto qualche scambio di occhiata tra Elena e Pippo che mi chiude lo stomaco. Riesco a mangiare a fatica, tanto che rimango a tavola più degli altri.

«Non preoccuparti per domani» commenta il coach. Starà pensando che sono nervoso per la partita… Magari fosse per quello!

Si alza e se ne va, lasciando soli me e Teo, che risponde a un messaggio. Sbircio di sottecchi il tavolo dove stava Elena, ma è vuoto.

«Ho capito che non c’entra Ulm» mormora Teo in italiano, con il suo accento slavo che gli dà un non-so-che di saggio. «Se c’entra una ragazza, so anche qual è.»

Rimango in silenzio, perché mi pesa essere stato beccato, mentre lui mi scruta assorto. Se Teo se n’è accorto, possono farlo anche tutti gli altri… e preferisco di no. «Ha occhi solo per Pippo, quindi devo aspettare che mi passi.»

«Forse, ma in questi giorni ha cercato sempre te e non lui.»

«Lui non aveva intenzioni serie e lei c’è rimasta male. Ma a piacersi, si piacciono parecchio.»

«Non sono mica sposati.»

«Ma è il mio migliore amico, non posso provarci con la ragazza che gli piace. Ammesso che a lei vada bene, perché non lo so.»

«Questo è un problema.» Ha le braccia incrociate al petto, con la mano che stringe il cellulare che sbuca da sotto il gomito. In faccia ha la stessa espressione impassibile di sempre, come se non gliene fregasse un cazzo di quello che ha intorno. Però è il suo modo di fare, e ho imparato a capire che lui recepisce benissimo tutto, e che gli importa di quello che succede.

«Teo, per favore, non dirlo a nessuno.»

Lui annuisce, come se fossi il coach che gli dice cosa fare alla ripresa del time-out. Anche in quel caso avrebbe la stessa faccia da paraculo serioso. «Non ho qualcuno a cui dirlo. È un problema, ma è un problema tuo.»

«Grazie, Teo.»

«Mangia, però. Ci servi.»

Sorrido. Non è di molte parole, ma dice sempre quelle giuste. Mi costringo a finire il secondo, mentre lui resta in silenzio a farmi compagnia, poi risalgo in camera.

 

I ragazzi si fermano ad applaudire il settore ospiti, alla fine della partita contro i tedeschi dell’Ulm. La nostra prima partita di Eurocup è andata molto meglio del previsto, con un magnifico 94-85 per noi, con Filippo che ha tenuto in mano l’ultimo possesso, lanciando un’occhiata al punto in cui ero seduta io. Ha fatto venticinque punti, con nove rimbalzi e tre assist, se ho memorizzato bene le statistiche.

È l’Mvp, il che significa che dovrà almeno fare l’intervista con l’emittente che trasmette l’Eurocup, e poi quella ai nostri canali ufficiali. E dovrò essere io quella che si occuperà di portarlo a fare queste due interviste.

«Allora?»

«Hai fatto una buona partita.» Lo lascio alla giornalista televisiva, consapevole di non avergli detto quello che si aspettava. Da quando siamo in Germania non facciamo altro che limitarci a scambi di sguardi, si aspettava almeno un complimento più entusiasta da parte mia. Che io, almeno per ora, non ho intenzione di elargirgli.

Appena ha finito, lo porto fino al posto in cui sono gli speaker del canale della Vulnus e lo ascolto a malapena, mentre risponde che lui è stato bravo ma tutta la squadra ha giocato bene. A catturare la mia attenzione è Pala, che sta ancora recuperando il suo asciugamano tra le sedie della panchina. Si ferma, come se ci stesse aspettando.

«Tutto ok?» sillaba.

Annuisco, perché ora non posso dirgli altro. Siamo troppo distanti, c’è Filippo di mezzo che ora ha terminato anche questa intervista, e non posso farmi sfuggire troppo. Un suo parere, però, lo vorrei. Perché io adesso sono anche disposta a dare una mezza possibilità al suo amico, ma non sono così sicura che sia la cosa giusta.

Alice mi ha detto che potrei tentare di ricucire il rapporto, visto che è passato un mese, ma che non devo starci male se poi lui si rivela lo stronzo di prima. Arianna, dal canto suo, pensa che dovrei almeno togliermi lo sfizio. L’unico punto di cui non ha tenuto conto è che sono coinvolta emotivamente. Non lo sono stata da subito, ma ora sì.

Raggiungiamo Pala all’ingresso del corridoio che porta agli spogliatoi, e rimaniamo tutti e tre in un silenzio che a me pare imbarazzato. Daniele si fionda negli spogliatoi appena li intravede da lontano, così rimaniamo io e Filippo da soli. Gli altri si staranno cambiando, e dovrebbe darsi una mossa anche lui, visto che appena finirà la conferenza stampa post-partita del coach dovremo salire sul pullman e tornare in aeroporto.

«Elena, mi dispiace» mormora, fermandosi. Mi guarda dall’alto, con quello sguardo pentito che non si toglie da settimane e a cui fatico a resistere. «Mi dispiace di averti ignorata, quel giorno. Perché sono serio, e vorrei che cambiassi idea, anche se non mi sono comportato come ti saresti meritata.»

Il cuore mi salta nel petto. Sa di essere nel torto, e più di chiedermi scusa non può. “Sono serio” è la frase che più mi rimbomba nella testa. Al diavolo tutto.

«Se dovessi comportarti da stronzo un’altra volta, mi perderai per sempre» sussurro. Almeno questo devo metterlo in chiaro.

«Me l’hai detto tu: se non capisco dove sbaglio non migliorerò mai. E questa volta ho capito.»

Sorrido. Parlavo del basket, non delle relazioni sentimentali…

Lui mi cinge i fianchi con le mani, sento l’odore del suo sudore, ma non importa. È un odore che mi piace. Con un brivido sulla schiena mi metto in punta di piedi. Se Salvatore ci vedesse ora, ci farebbe una ramanzina come poche, ma lui è in sala stampa, così come il coach. Per questo mi sento così coraggiosa. Mi avvinghio al suo collo e mi lascio baciare, con la sua lingua che cerca subito la mia, stringendomi sempre di più a sé. Sento il suo respiro, il suo fiato che si mescola al mio, e questa volta non ho quella sensazione di colpa che ho avuto in passato. E stavolta mi lascio trascinare dal suo bacio appassionato, lento, di chi vuole farmi intendere che questo è soltanto l’inizio.

Le sue mani mi accarezzano la schiena, una mi percorre la colonna vertebrale provocandomi una scarica di brividi che, se non fossi qui, mi avrebbero già fatta sciogliere; l’altra scende verso il basso e solo ora mi fermo e separo le mie labbra dalle sue, lasciandolo interdetto.

«Non è il momento» provo a spiegare in maniera blanda, anche se forse dovrei dirgli chiaramente che toccarmi il culo quando altre persone possono vederci mi mette in imbarazzo.

«Ma che sta succedendo?» Marco Regis è appena uscito dallo spogliatoio, e ci guarda a bocca aperta. Non ha esclamato a voce troppo alta, altrimenti sarei sprofondata.

Vicino a lui c’è Pala, che gli dà una gomitata. «Lunga storia, lascia perdere.»

Filippo mi fa l’occhiolino e corre a lavarsi e cambiarsi, senza dire altro. Ho il cuore in gola, non so neanche io come dovrei comportarmi adesso. Mi aggrappo alla borsa sulla spalla e mi torturo le dita.

«Tranquilla, non diremo niente a nessuno.» Daniele mi sorride, cercando di essere di aiuto. «Andiamo, tanto ora hai finito… giusto?»

Annuisco. «Sì, ho finito.» Per fortuna dobbiamo tornare al pullman e potrò rimanere per conto mio, mentre i ragazzi faranno gli scemi esaltandosi per la bella partita. Sono ancora stordita e mi sento le guance ancora bollenti. Devo darmi una calmata, altrimenti rischio di prendere fuoco con molto poco! Ed è stato un solo bacio, più lungo e più appassionato del precedente, ma alla fin fine solo un bacio…

«Quindi gli dai un’altra possibilità?» mi chiede Pala, appena lo raggiungo per camminare insieme. Marco rimane dietro di noi, affiancato da Niko e dalle sue solite e profumatissime scarpe. Perché non le mette in una sacca come fanno tutti gli altri?

«Sì, penso di sì. Sa che non può permettersi altri errori. E ci andremo molto piano, perché non ho intenzione di stare di nuovo a pezzi per lui.» Mi porto una ciocca di capelli dietro l’orecchio, e lo guardo. Tiene lo sguardo basso, mi sembra arrossito anche lui, o forse è solo per la doccia calda appena fatta.

«Vuoi tenerlo segreto? Se lo scopre Salvatore, non so come la prenderà…» Si gratta la barba corta sulla guancia, pensieroso.

«Anche il coach» aggiungo. «Però se ci comportiamo bene, siamo professionali e non diamo fastidio a nessuno, non possono dirci nulla.»

«Devi dirlo a Pippo, l’altra volta è stata colpa sua» ridacchia Pala. Posa la valigia dentro il pullman e si avvicina alla porta al centro da cui entra, immagino per andare ai posti in fondo. Vado a salire da quella davanti e invece di riprendere Parini per finire la Notte, scrivo ad Arianna e Alice.

E ora cosa pensi di fare?” mi chiede Alice.

Gli do una possibilità. Ma soltanto una” digito alla svelta, poi blocco il telefono quando il coach e Salvatore mi passano vicino. Hanno già finito? E Filippo dove sta?

«Ehi, Elena, posso?» Arriva dai posti in fondo, ma ha fatto in tempo per non far scoprire a Colucci che rischiava di essere in ritardo.

«Sì, certo.» Sblocco il telefono e chiudo subito la chat con le ragazze, in modo che non legga. «Dovresti stare dietro con gli altri.»

«Non stavolta.» Mi sorride, è di una bellezza fuori dal mondo. «Quando abbiamo perso contro Milano ci sei stata, è giusto che stia con te.»

«Non volevo approfittare del fatto che fossi fragile» mormoro. «Per questo sono andata via.» Non so perché l’abbia detto, non so da dove abbia tirato fuori il coraggio per parlare di quella sera. Però devo. «E quando mi hai baciata… Ecco, lo volevo, ma c’era qualcosa che non andava. Io, ecco… Non volevo lavorare alla Vulnus per provarci con uno dei giocatori. Da fuori potrebbe sembrare che il mio obiettivo fosse questo, ma non lo è, non lo era.»

Lui afferra la mia mano, stringendola tra le sue. Ha una presa calda, ma un altro brivido mi percorre. Se penso a dove mi stava toccando prima…

«Non mi aspettavo che mi avresti ignorata» continuo a parlare, perché lui mi ascolta attento. Con quegli occhi scuri che mi infondono calore. Dio, se solo non fossimo in trasferta… «Mi ha fatto male, anzi, malissimo. Mi hai fatto capire quello che volevi da me.»

«Elena, ho fatto una cazzata. All’inizio non pensavo che potessi piacermi così tanto…» Si morde il labbro. È un gesto nervoso, ma su di lui lo trovo tremendamente sensuale. «Ho sbagliato, so che ho sbagliato, e non voglio nemmeno cercare delle scuse. Quella sera volevo farlo con te, ma un po’ mi hai spaventato, sei entrata nel pallone… Non volevo farti quell’effetto.»

«E hai pensato che fosse una buona idea fare finta che non ci fossi appena mi hai rivista? Molto cavalleresco» commento stizzita, ma lui non si offende.

«Ho fatto una cazzata a trecentosessanta gradi, quando le cose le faccio male, le faccio veramente male.» La butta sullo scherzo, e mi strappa un mezzo sorriso. «Però voglio rimediare.» Con il pollice mi strofina il dorso della mano, in un gesto dolce. Si china verso di me, come per baciarmi di nuovo, ma mi scosto.

«Non è il caso.» Il coach e il vice ci stanno guardando, dalla fila vicina: glieli indico con il mento.

«D’accordo.» Sorride, scoprendo quella fila di denti bianchi così come aveva fatto la prima volta in cui ci siamo incontrati. «Appena siamo un po’ più tranquilli, però, riprendiamo.»

«Decido io quando riprendiamo.» Gli sorrido, perché ho capito che ora è tutto nelle mie mani e perché lui sa benissimo che non può permettersi altri passi falsi. «E andiamo con calma, va bene?»

«Va bene, Ele, va bene.» Sospira, rilassato, e si butta di schiena sul sedile. Tiene ancora la mia mano tra le sue.

Mi appoggio sulla sua spalla, lasciandomi cullare dall’andatura costante del pullman. Il sonno inizia a farsi sentire, forse dormirò un po’ in aereo.


Spazio autrice
Ve l'avevo detto che il capitolo era a buon punto u.u
Vi aspettavate che Elena desse di nuovo una possibilità a Filippo? (Anche se ormai è passato un mese...)
Fatemi sapere cosa pensate di questo capitolo!
A presto (spero!),
Snowtulip.

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Appena arriviamo a casa mi butto sul letto senza nemmeno cambiarmi. Ho così sonno che potrei dormire per tre giorni consecutivi.

Infatti, quando riapro gli occhi il sole dalle tapparelle mi arriva dritto in faccia, e sento il casino di stoviglie e pentole. Quel deficiente di Pippo si sarà messo ad armeggiare in cucina e non ha pensato al fatto che non mi ero ancora svegliato.

Mi metto seduto e mi strofino gli occhi. Che imbecille che sono, potevo almeno chiudere la porta della camera…

Le lancette della sveglia segnano l’una e dieci da due mesi: mi sono dimenticato di cambiare le batterie e poi la cosa ha perso importanza. Tanto mi sveglio sempre da solo prima del tempo.

Allungo una mano verso il comodino e prendo il cellulare: sono le undici passate. Sblocco lo schermo e scorro un messaggio di mio padre, una telefonata di mia madre – tanto volevano parlare della partita, ne sono certo – e un paio di papiri di Matilde, visto che dall’anteprima non si vede la fine del primo messaggio e che il secondo sembra altrettanto lungo. Le ho scritto al volo di Elena e Pippo mentre ero in aereo, tanto vicino avevo Niko che russava beatamente.

Esco da sotto le coperte e dalla camera, mi serve almeno una doccia prima di iniziare la giornata.

Ma appena metto piede nel salone – da cui devo passare per forza, perché comunica con tutte le stanze – mi si ghiaccia il sangue nelle vene. Elena è seduta al tavolo e sta mangiando una fetta di dolce al cioccolato… che Pippo deve aver fatto mentre dormivo. Si sente ancora l’odore.

Si pulisce la bocca dallo zucchero a velo con un tovagliolo di stoffa. «Ciao, Pala.»

Cazzo, no, non può essere davvero qui… Questa storia rischia di diventare un incubo.

«Ciao.» Ritorno indietro e dall’armadio prendo i vestiti puliti da indossare. Di norma sarei andato in giro nudo dopo la doccia, ma anche solo con l’asciugamano potrebbe notarsi del movimento in basso, visto che Elena ha una maglia con una bella scollatura che le risalta benissimo il davanzale. Porca puttana, non posso pensare a lei in questo modo.

Il suono dello scarico mi informa che Pippo ha finito di usare il bagno. Be’, per fortuna sono andato a recuperare il cambio, altrimenti sarei dovuto rimanere in compagnia di Elena molto più di quanto avrei potuto sopportare, sia fisicamente sia mentalmente.

È qui, sta facendo colazione con un dolce che ha fatto lui” scrivo a Matilde, senza leggere cosa mi aveva scritto. “Sto impazzendo.”

Risbuco di nuovo nel salone, proprio mentre Filippo si sta sedendo al fianco di Elena, pronto a tagliare una fetta anche per sé. Dio, quanto lo sto odiando.

«Buongiorno, principessa» mi prende in giro. «Dormito bene?»

«Benissimo!» Rido, perché è l’unico modo in cui riesco a reagire. «La prossima volta avvisa che ci sono ospiti, magari mi alzo prima… o vi lascio da soli!»

Che cazzo sto dicendo? Io non voglio lasciarli da soli! Chissà cosa possono fare mentre non ci sono… Ma rimanere qui con loro sarebbe una tortura!

«Non ti abbiamo svegliato, vero?» mi sorride Elena. Gli occhi le luccicano da dietro gli occhiali, le labbra carnose sono senza rossetto, e a colpo d’occhio non mi sembra neppure truccata. Non può essere bella anche così… e io chissà che faccia da rincoglionito ho, visto che mi sono appena alzato!

«No, no.» Abbasso la maniglia del bagno e mi ci chiudo subito dentro. Abbandono i vestiti puliti sulla lavatrice e mi siedo sulla tazza, con la testa tra le mani. Riprendo il cellulare, magari Matilde è sveglia. E infatti mi ha già risposto.

Inspira. Espira.”

Mati, non mi stai aiutando.”

Scemotto innamorato, io sono qui per te.”

Sospiro, alleggerendomi. Ha ragione. E già solo che ci sia qualcuno su cui scaricare le mie paturnie è molto meglio che doverle tenere tutte dentro.

Che stai facendo?” mi scrive ancora.

Devo fare la doccia, sto in bagno.”

Bene, ora fai la doccia ed esci da quella casa. Se ti fanno domande, di’ soltanto che vai a farti un giro per lasciarli da soli.”

Non voglio lasciarli da soli, non mentre sono a casa… E se stavolta scopassero davvero?

Dani, devi cambiare aria. Ti vedo da qui che ti si gonfia la faccia perché non riesci a respirare con loro vicino. E se scopano, non fa niente. Tanto se non lo fanno ora, potranno farlo un’altra volta. Concentrati su di te, non su di loro.”

Va bene. Mi infilo in doccia, ti rispondo dopo.”

A dopo, scemotto innamorato.”

Mi spoglio buttando la tuta sul pavimento e mi fiondo sotto il getto caldo dell’acqua, stando attento a non bagnare i capelli. Non ho voglia di stare ad asciugarli. Mi insapono e mi sciacquo velocemente, metto l’accappatoio e poi mi infilo nei vestiti puliti. Raccolgo quelli sporchi e li lascio nella cesta di quelli da lavare.

In salone, Elena e Pippo si stanno baciando seduti sul divano. Ci stanno riprovando da poco più di dodici ore e non riesco più a sopportare l’idea di vederla con lui… Ha ragione Matilde, devo proprio cambiare aria.

Non si accorgono nemmeno che sono uscito dal bagno, Pippo le sta infilando la lingua in gola aspettando che io me ne vada per poterle infilare altro da un’altra parte. O da più parti… Dio, basta pensarci.

Mati, sto impazzendo. Dove posso andare, secondo te?

Poso il telefono sul letto e mi chino per infilarmi e allacciarmi le scarpe.

Pensa a qualcuno con cui puoi sfogarti, qualcuno che non ne parlerebbe con Filippo.”

Teo. Teo l’altra sera lo sapeva ed è rimasto con me a parlarne. Ma non è il tipo a cui penso se devo sfogarmi, non per una cosa del genere.

Vado in palestra ad allenarmi. O magari becco qualcuno dello staff lì e lavoro a qualche movimento o a qualche lettura della partita.”

Va bene, Dani. Senti, mamma chiede perché non la richiami. Ti ho scritto prima, ma mi sa che non hai letto… fallo, perché è urgente.”

Ok, ok.”

Esco dalla camera e faccio per salutare quei due, ma non li vedo. «Ragazzi, io vado!» grido, sperando che mi sentano dalla camera di Pippo. Sono già andati in camera?

Invece, si tirano su dal divano su cui erano sdraiati, per fortuna ancora vestiti e ancora abbastanza in ordine. Prima me ne vado, e meglio è.

«Dove vai?» mi chiede lui.

«Non voglio rimanere qui mentre voi vi sbaciucchiate, siete poco di compagnia…» La butto sullo scherzo, perché cerco di non avere un’espressione schifata mentre Elena si alza in piedi e si sistema i capelli dietro le orecchie. Ha lasciato gli occhiali sul tavolo, o forse glieli ha tolti Pippo, visto che le aste sono aperte e rivolte all’insù… Non voglio saperlo.

«Pala, ma se vuoi rimanere a casa, andiamo via noi» dice lei, arrossendo. Cazzo, ci mancava solo che fosse gentile…

«No, tranquilla, vado a prendere un po’ di aria» rispondo, riprendendo le parole di Matilde. Acciuffo le chiavi di casa dal chiodino su cui sono appese, mi tasto la tasca sul sedere per sentire il portafoglio ed esco. Mentre aspetto l’ascensore riapro la chat con mia sorella e leggo i due papiri – che poi tanto papiri non sono – che mi ha scritto stamattina mentre dormivo.

Mamma si risposa (sì, con Stefano, prima che fai quella faccia-che-tu-sai) e vuole fare prima un pranzo di famiglia in cui ci sei anche tu. Le ho proposto di venire da te, possiamo andare in qualche agriturismo non molto fuori dalla città, ho fatto una piccola ricerca, in modo da trovare un posto che abbia anche un albergo non troppo lontano, così noi possiamo farci qualche giorno fuori senza rompere a te… ma poi mi sono ricordata che è novembre e che gli agriturismi sono chiusi.”

Cazzo, ha ragione, sarebbe stata la soluzione migliore… Momento. Mamma si risposa? Con… con quel tizio lì? Dio, quanto non lo sopporto.

Quanto non sopporto nessuno, ultimamente. E sì, sto facendo proprio l’espressione schifata che Mati si è immaginata.

E quindi niente, se non ti convocano in nazionale veniamo in città da te per due-tre giorni. In pratica siamo io, lei, Stefano, zio Giulio e zia Paola con Jacopo e Andrea, nonno e nonna. Non devi ospitarci tu, ovvio, ma almeno sei informato.”

Stefano è anche un nome di merda, ma contenta lei…

Quindi mi aveva telefonato per questo. Dopo la mazzata di Elena e Pippo mi ci manca solo dover mentire a mia madre e fingere che mi faccia piacere che sposi quel gran simpaticone. Questo giovedì fa schifo come un lunedì dopo una sconfitta di trenta punti in cui ho passato tutto il tempo in campo finché non ho speso i cinque falli. E in cui, a rigor di logica, sono uno dei colpevoli della sconfitta.

Avvio la chiamata appena sono per strada, per niente entusiasta.

«Dani, amore!» Mi risponde subito. Quando fa così so che vuole rabbonirmi, ormai ho imparato.

«Ciao, mamma. Scusami se non ti ho risposto, stavo dormendo.»

«Pensavo che fossi all’allenamento!»

«No, siamo tornati stanotte, ci alleniamo direttamente domani.» Le avrò detto un milione di volte che di ritorno dalle trasferte abbiamo sempre un giorno libero! Forse è così emozionata per questo bel matrimonio che non ci ha pensato… «Ho parlato con Mati, so già tutto.»

«Be’, tesoro, dipende se vai in nazionale, altrimenti non so quando potremo vederci…»

«Mamma, sto giocando bene, è molto probabile che mi chiamino.»

Lei sospira. Capisco che non vuole dirmi quello che pensa, perché ci rimarrei male se mi dicesse che non vuole che vada in nazionale. Una cena non può essere più importante di una convocazione! Ci possiamo vedere altri giorni, non deve per forza sperare che non venga chiamato!

«Fammi sapere quando hai qualche notizia certa, allora, così ci organizziamo per il viaggio

“Il viaggio”… saranno sì e no due ore di treno! O poco più di tre in auto!

Salgo in macchina. «Ma’, ora devo andare, ti chiamo appena so qualcosa.»

«D’accordo, amore. Buona giornata!»

Chiudo la telefonata e mi stropiccio gli occhi. Cazzo, la finestra delle nazionali è tra una decina di giorni, le convocazioni dovranno uscire tra oggi e domani, secondo la solita tempistica. Spero che mi chiami, spero che mi chiami, spero che mi chiami.

E spero che non chiami Pippo, poi mi toccherebbe sentire le sue videochiamate con Elena. E magari anche i suoi racconti osceni con tutte le posizioni in cui l’hanno fatto… Perché deve dirmi quello che fa con le ragazze ogni singola volta?

Metto in moto e vado dritto al centro di allenamento. Così mi concentro sulla partita contro Venezia e non penso a quei due.

 

«Non gli avrà dato fastidio, vero?» Mi aggiusto gli occhiali sul naso. Pala è appena andato via e mi è sembrato un po’ scocciato. E lo capirei, visto che l’ultima volta in cui sono stata qui lui non è neanche potuto tornare per mettersi a dormire…

«Ma no, Ele, non ti preoccupare.» Filippo si alza in piedi e si offre di tagliare un’altra fetta di dolce.

Scuoto la testa, perché non mi va, così lui posa il coltello e si avvicina di nuovo a me. Gli metto le braccia al collo e mi lascio stringere, con le sue mani che mi accarezzano la schiena, desiderose che questo contatto si faccia ancora più intenso e che gli strati sottili dei nostri vestiti vengano tolti. E io lo sento, sento benissimo che lui vuole spogliarmi, ma il mio orgoglio è più forte della voglia di lui.

Se mi vuole davvero, dovrà aspettare.

Lo bacio e lui subito insinua la sua lingua nella mia bocca, con una foga dolce che mi fa capire che a lui, per ora, va bene così, per quanto desideri anche altro da me. Porta entrambe le mani sul fondo della mia schiena e stavolta lo lascio fare, lo lascio stringere con passione tutto ciò che tocca di me. È una sensazione piacevole, perché non mi era mai capitato di sentirmi così tanto desiderata.

E ne avevo bisogno, neanche saprei dire quanto avevo bisogno di essere desiderata.

Infila una mano sotto la mia maglia, risalendo lungo la schiena e provocandomi brividi di piacere. Se non sto attenta rischio di cedere troppo, presto perché lui ci sa fare, Dio se ci sa fare. Prova a slacciarmi il reggiseno, ma lo fermo prima che possa iniziare a spogliarmi e lui interrompe il nostro bacio.

«Elena?»

«Ti ho detto che saremo andati con calma» gli ricordo. «Stai correndo.»

«Sto correndo?» Sgrana gli occhi, con un’aria da innocente che però non mi inganna: sa perfettamente quello che fa.

«Sì. Non mi sento pronta, ti farò capire io quando potrai andare avanti.»

Filippo non ribatte, ma annuisce. Ha capito.

Mi appoggio a lui, e continuo a sentirlo contro di me. Lo abbraccio e mi slancio sulle punte dei piedi per poter arrivare alle sue labbra carnose, quelle labbra che mi piacciono da impazzire, e che lui posa sulle mie dapprima in un bacio casto, poi approfondendolo di più. Mi afferra per il sedere e mi fa salire sul tavolo, e io gli cingo i fianchi con le gambe.

Non devo cedere, non devo cedere… Continuo a ripetermelo, ma sta diventando sempre più difficile.

Mi passa una mano tra i capelli, accarezzandomi il collo, e mi attira sempre di più a sé. Sta cercando di convincermi a dargli una possibilità, anche a letto. Ne sono certa.

Mi separo da lui, sciogliendo la magia di questo bacio interminabile. Mi sorride e, Dio, quanto vorrei non voler attendere…

Si china verso di me, per sussurrarmi all’orecchio. «Ci spostiamo in un’altra stanza?»

«Non se ne parla.» Gli sorrido anche io, di rimando. Non ho davvero intenzione di dargliela vinta, non così facilmente.

Mi muovo per scendere dal tavolo, e lui mi tiene subito, sperando che mantenga le mie gambe intorno al suo girovita. Be’, se lo scorda: è già eccitante così, non oso immaginare quanto mi infiammerei se gli dessi il controllo della situazione. 

Tocco il pavimento con i piedi e allontano le mie labbra dalle sue. Le guance mi stanno andando a fuoco. «Forse è meglio se usciamo anche noi.»

Filippo sgrana gli occhi. «Vuoi che qualcuno ci veda insieme? Se ci becca Salvatore, ci fa un mazzo tanto… E anche Colucci!»

«Ma no, senti Niko se è libero e ci vediamo con lui e Sasha da qualche parte» gli suggerisco. Niente mi vieta di frequentarmi con i ragazzi fuori dall’ambiente della Vulnus, soprattutto in contesti di amicizia!

«Sì, sento anche Marco, forse è meglio visto che anche lui è single. Però promettimi che riprendiamo il discorso» precisa, con un sorrisetto malizioso.

«Certo che lo riprendiamo, ma decido io quando.» Lo continuerò a puntualizzare all’infinito.

«Capisci? Ora devo aspettare fino a boh!» mormora Pippo, prima di tirare a canestro.

Sarà la cinquantesima volta che me lo dice da quando si è svegliato stamattina. Contando anche quelle di ieri potremmo arrivare al centinaio. Non ne posso più di lui che ripete che vuole andare a letto con Elena e che lei invece lo ferma sul più bello. Ma quante volte può essere successo in due giorni?

Prendo un pallone da Teo e lo mando a sbattere contro il tabellone. Ne prendo un altro, stavolta da Jérémy, e lo metto dentro. Ne afferro uno che mi viene porto da uno degli assistenti del coach e mi palleggio tra le gambe, poi mi sposto verso sinistra…

Poggio male il piede a terra e cado sulla caviglia.

No, cazzo.

Sbatto il pugno sul parquet del campo di allenamento, mentre qualcuno va a chiamare quelli dello staff medico.

Cazzo, ci mancava solo questa. Me lo sento che non è una cosa di due o tre giorni, me lo sento che non potrò rispondere alla convocazione della nazionale… E avevo anche detto a mia madre che non ci sarei stato!

«Pala, calmo.» Teo si è seduto accanto a me a gambe incrociate e con un pallone in braccio. Ha capito che qualcosa non va.

Mi massaggiano la caviglia e mi aiutano a rimettermi su. Pippo e Teo mi accompagnano in infermeria sostenendomi per le spalle, in modo che il piede non mi poggi a terra.

«Cazzo, ci mancava questa.» Mi mordo la lingua, perché quello che sto pensando non è dicibile.

«Dai, non dovrai chiamare tua madre, magari te la sei solo slogata.» Pippo sa dell’imminente matrimonio e prova a consolarmi, ma conosco il mio corpo e mi sta arrivando un segnale negativo.

«Temo di no.»

Infatti, il responso medico mi dà ragione: distorsione e quindici giorni di stop.

«Porco cazzo.» E trattengo tra i denti una serie di altre imprecazioni ben più colorite. Volevo andare in nazionale, volevo giocare contro la Danimarca e la Norvegia! Almeno non dovrò subire le telefonate tra Pippo ed Elena, ma se avessi dovuto scegliere tra loro due che si limonano ogni cinque secondi e il nuovo marito di mia madre… Per quanto sia insostenibile che Elena stia con lui, almeno avrei la soddisfazione di giocare in nazionale.

E invece no.

Scendo dal lettino dello studio medico, e vado in corridoio aiutandomi con una stampella. Intorno alla caviglia ho una fasciatura che me la blocca. Pippo sta spiegando a Teo cosa mi hanno detto, ma tacciono appena mi vedono.

Teo mi guarda, con la stessa espressione impassibile di sempre. «Salti solo una partita.»

«Ne salto tre.»

Non aggiunge altro, ma capisce anche lui che volevo proprio andarci, in nazionale. Almeno per distrarmi da Elena. L’unico dato positivo è che non ce l’avrò in giro per casa neanche per un minuto. Mi dirigo verso gli spogliatoi, mentre i ragazzi tornano ad allenarsi. Nel corridoio c’è proprio lei, che incrocia Pippo e gli sorride felice, ma non si lascia baciare quando lui si china per farlo.

Magra consolazione per me.

«Che ti sei fatto?» esclama, vedendomi zoppicare con la stampella.

«Lascialo stare, è un uomo distrutto!» scherza Pippo, prima di correre dietro a Teo verso la palestra.

Elena mi guarda impietosita. «Ce la fai per la nazionale?»

«No.» Ha colto subito qual è il problema, e mi fa ancora più male. Con Pippo ha solo un’attrazione fisica, con me sono sicuro che avrebbe anche un’intesa mentale. Se solo mi vedesse in quel modo…

«Vuoi aspettare Filippo e tornare con noi? Con quella caviglia non so se puoi guidare…» Lo dice con una tale gentilezza che non potrei dirle di no, neanche se quello che vorrei di più è starle lontano. Perché quello di cui ho bisogno fisicamente è di stare lontano da lei: averla vicino mi fa male, più di quanto avrei pensato subito dopo averla conosciuta.

«No, non ci posso guidare.» Entro nello spogliatoio con Elena che mi aspetta fuori, ma neanche mi premuro di chiudere la porta. Non avevo nemmeno iniziato a sudare, non ha senso che mi cambi o che mi lavi.

Sbatto il pugno chiuso sulla panca dello spogliatoio, con la rabbia che mi monta da dentro. Che ho fatto di male all’universo? Non dico di essere al posto di Pippo, ma almeno di giocare qualche minuto contro la Danimarca! Avrei potuto infortunarmi lì, dare la colpa a qualche cazzo di adesivo sul parquet, e invece no, mi sono fatto male da solo come un coglione!

E in tutto questo devo anche dire a mia madre che può venire qui il prossimo fine-settimana perché tanto non vado in nazionale. Fanculo tutto, fanculo tutti.

Prendo il telefono dallo zaino, via il dente, via il dolore. Però scorro la rubrica e invece che su “mamma”, clicco su “Matilde”. Non faccio partire la chiamata, perché Elena è sulla soglia, che mi guarda intristita.

«Daniele, stai bene?»

Scuoto la testa. Non mi chiama quasi mai per nome… «No, ma è complicato.»

«Non è per Venezia, vero?»

Cazzo, perché mi piace una ragazza intelligente?

«No.» Poso il cellulare accanto a me e poggio la testa tra le mani, con i gomiti sulle ginocchia. Come glielo spiego che la mia vita sta facendo schifo?

Lei entra e si avvicina, arrivando a sedersi al mio fianco. Forse ha spostato la roba di Niko, perché la sento tremendamente vicina. Mi solleva il viso da come stava, e mi abbraccia con dolcezza, senza chiedermi quale sia il vero motivo per cui mi senta a pezzi, senza giudicare la mia fragilità. Sto cercando di non scoppiare in lacrime per la situazione, perché se piangessi avrei perso il controllo… e con Elena attaccata a me non posso permettermelo.

Mi accarezza la schiena, con il mento poggiato sulla mia spalla. «Vedrai che si sistemerà tutto.»

«Non è così facile da risolvere.» Mi scosto da lei e prendo di nuovo il telefono. «Devo chiamare mia sorella.» Non so perché glielo stia dicendo, magari non le interessa nemmeno.

«Vuoi che me ne vada?»

No. «Forse è meglio se resti… almeno non devo dirti tutto.»

Clicco sulla cornetta verde e poco dopo sento il primo squillo.

«Dani?» risponde subito. Santa ragazza.

«Mati, mi sono fatto male in allenamento» le dico, senza preamboli. «Niente nazionale.»

«Cavolo… ma come hai fatto?»

«Eh… Ho appoggiato male il piede e mi sono storto la caviglia. Non è grave, ma purtroppo rimango bloccato qui. Quindi rischio addirittura di poter venire io ad Ascoli, senza che vi spostiate voi.»

«No, Dani, non se ne parla. Preferisco venire da te… sempre che tu possa ospitarmi. Non mi va di stare tutto il tempo con nonna e nonno a giocare alla famigliola felice, almeno potrei stare con te.»

«Sì, ma ospito solo te, gli altri no.»

«Tranquillo, non lo dico a mamma. Sei già tornato a casa?»

«No, sono nello spogliatoio.» Accanto a me c’è ancora lei, che ascolta in silenzio la conversazione. Anche se Matilde non è una di quelle persone che grida al telefono, qui si sente tutto alla perfezione. «Non sono solo, c’è anche Elena. Torno con lei e Pippo, così non devo guidare io e non sforzo sulla caviglia.»

«Menomale. Quindi a maggior ragione, non ti muovi da lì e veniamo noi. Non chiamare mamma, glielo dico io.»

«Grazie Mati.»

«Figurati, scemotto in… infortunato» si corregge appena in tempo perché Elena non scopra il nuovo soprannome che mi ha dato. Se mi chiama “scemotto innamorato” davanti a lei, potrei davvero avere un esaurimento nervoso.

La saluto e chiudiamo la chiamata.

«Devo chiamare il CT della nazionale» mormoro. Già che sono con il cellulare in mano, lo faccio subito. La telefonata con lui dura ancora di meno, perché mi dice solo che mi aspetta per la finestra di febbraio e mi augura di rimettermi in sesto. Non mi aspettavo niente di più, anche se la sua voce cavernosa era proprio quella giusta per un augurio del genere.

«Ti senti meglio?»

Sussulto. Non che me ne fossi dimenticato – come potrei dimenticarmi che è qui? – ma la domanda di Elena mi scuote. «Non lo so. Io…» La guardo, perché è un discorso difficile da affrontare e non sono bravo quanto lei con le parole. «Non ho un gran rapporto con mia madre… non mando giù il fatto che lei e papà si siano separati. Lei fa finta di niente, ma ci sto ancora male anche se sono passati anni. E ora si sposa con un altro e voleva fare una cena anche con me, come se volesse farlo sentire in famiglia. Lui non lo sopporto. E visto che la cena si poteva fare solo se non fossi andato in nazionale, visto che altrimenti gioco sempre e non posso dedicarle neanche una giornata… Mi sono infortunato nel momento sbagliato.»

Si aggiusta gli occhiali sul naso, e sospira. Nel sospirare, il petto le fa un salto in alto, sembra che me le stia sbattendo in faccia… Se non sapessi che non è così, mi sarei potuto quasi illudere.

«Mi dispiace, capisco la frustrazione.» Non dice altro, ma va bene. Mi bastano queste poche parole per sentirmi più tranquillo e, in parte, alleggerito.

«Quindi ora mi toccherà andare a quella cena» commento. «Cosa faresti al mio posto?»

Non so perché gliel’abbia chiesto, ma mi sembra naturale chiederle un parere. È proprio quello che aveva fatto con lei per Pippo.

«Io ci andrei. Per quanto possa farti sentire a disagio, è solo una cena…» Si pizzica un dito con le unghie. «Quanto può durare, due o tre ore? Alla fine non è granché e faresti felice tua madre. E poi, c’è tua sorella… Mi sembra che andiate d’accordo, quindi non saresti da solo.»

«Hai ragione.» Cristo, se ce l’ha. «Questo ridimensiona tutto.»

Sorride, come se quella rasserenata sia lei. «Cerco di farti vedere il lato positivo… Mi sembravi sul punto di scoppiare.»

Sì, di scoppiare a piangere. Ma non è il caso che lo sappia.

«Grazie, Elena.»

«Di nulla, Daniele.»

Spazio autrice
Povero Pala, mi dispiace tantissimo per lui... Riuscirà a tenersi tutto dentro senza farsi scoprire da Elena?
Per ora l'abbiamo vista pochissimo, ma cosa ve ne pare di Matilde? (Già nel prossimo capitolo ci sarà molto di più e v avverto: l'ho già scritto tutto, sto solo aspettando l'opinione della beta per sistemarlo!).
Baci a tutti e buon finesettimana!
Snowtulip.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Alice apre il tavolo “da ospiti” in mezzo al salone, così ci passo subito uno straccio per pulirlo, visto che sta sempre nello sgabuzzino a prendere polvere. Già che ci sono, do anche una spolverata alle gambe in modo che non si veda in che condizioni lo usiamo di solito.

In genere non sono nervosa quando abbiamo qualcuno a pranzo, ma Pala viene con la sorella che – stando agli orari ferroviari – dovrebbe essere arrivata in città da circa una mezz’ora. Daniele mi ha detto che lei rimane qualche giorno in più rispetto al resto dei parenti, che vengono solo per oggi per la cena e ripartono domani sera.

Visto che è la sorella del migliore amico del mio ragazzo, ci tengo a farle una buona impressione. La parte più irrazionale di me, però, spera che tra lei e Filippo non ci siano dei trascorsi, perché se fosse carina quanto il fratello, potrei sentirmi un pochino in difficoltà. Ma giusto un pochino.

Non ho avuto il coraggio di chiederlo a Pala, quindi non ne so proprio niente.

Suonano al citofono e Arianna si fionda ad aprire. «Eccoli!»

Asciugo il tavolo con un altro panno, mentre in tasca mi vibra il telefono. Di sicuro è Filippo, mi sta continuando a scrivere in ogni momento disponibile. Ora che siamo lontani, sento la sua assenza. Mi manca averlo intorno, mi mancano i suoi baci, le sue carezze, le sue mani…

Sono già arrivati?” mi ha scritto.

Proprio adesso.”

Salutameli. Mi manchi, quando torno recuperiamo tutto. Con gli interessi” puntualizza. Capisco benissimo cosa intende…

Deciderò io quanto recupereremo” replico, aggiungendo l’emoticon con gli occhiali da sole.

Intendevo che ti bacerò molto di più!” scherza lui.

Alice apre la porta di casa, poco prima che arrivino i nostri ospiti.

Vedremo se te lo lascerò fare!” digito in fretta e lascio il telefono da parte, perché Pala appare dal pianerottolo, accanto a una ragazza che è la sua versione femminile. Se non mi avesse detto che lui è nato a dicembre e lei a gennaio dello stesso anno, avrei creduto che fossero gemelli.

Matilde è slanciata e alta almeno quindici centimetri più di me, con gli stessi ricci castani del fratello, ma molto più lunghi, gli stessi occhioni chiari e il viso tondo. Se mi aspettavo di conoscere una bella ragazza… Be’, lo è. Indossa un paio di jeans semplici e un maglioncino nero, sotto un cappotto color camoscio che si sfila per lasciarlo in mano ad Arianna, che si offre di sistemare anche quello di lui nella sua camera, la più vicina alla porta di casa.

«Oggi beato tra le donne!» ride Alice, salutando Daniele con un bacio sulla guancia.

Sono la più lontana delle tre, così arriva da me per ultima. Mi sfiora appena per salutarmi, forse per non graffiarmi con la barba, ma arrossisce lievemente.

«Matilde, Elena. Elena, Matilde.» Ci presenta al volo, prima di andare in cucina per aiutare Alice ad apparecchiare. Ormai lui e Filippo sono di casa, mi fa piacere che si muova a suo agio e che si metta a preparare la tavola come se fosse lui a ospitarci.

«Quindi tu sei la famosa Elena!» esclama, con un sorriso. Sorride proprio come il fratello.

«Famosa… Non esageriamo!»

«Dani mi ha parlato molto di te e Filippo!»

«Di quanto non gli lasciano casa libera neanche per pisciare» si inserisce Alice, posando i piatti sulla tavola, che inizia subito a disporre in ordine.

Rido per la sua battuta, perché ha ragione: sto quasi sempre da loro e, quando non sto da loro, sono i ragazzi a essere ospiti da noi. Non ho ancora dato a Filippo la soddisfazione di dormire insieme, ma non posso negare che trascorra con lui praticamente tutto il tempo che abbiamo a disposizione.

Ci mettiamo a tavola, e iniziamo a mangiare le fettuccine con funghi e salsicce che ha preparato la nostra chef Arianna.

«Quindi com’è il futuro patrigno?» chiede Alice a Matilde. «Daniele non lo sopporta…»

Lei si porta una ciocca di boccoli dietro l’orecchio e finisce di mandare giù il boccone. «Non è così male… Non è il massimo della vita, ma non è un uomo così tremendo. Secondo me è bravo a letto, spiegherebbe molto.»

Pala per poco non manda di traverso l’acqua che stava bevendo. «Non farmi immaginare certe cose, dai!»

«Tu immagini troppo facilmente certe cose» lo stuzzica lei, divertita.

Lui arrossisce, ma cerca di mascherarlo abbassando la testa. «Ma piantala!»

«Se è bravo a letto, potrebbe essere un buon motivo» continua Arianna. «Persino un tipo noioso diventa interessante se ci sa fare…»

«Il tuo ultimo ragazzo era una palla, ma almeno dalla mia camera si sentiva che ci davate dentro» commenta Alice ridacchiando e suscitando l’ilarità anche di Matilde.

Gli unici seri rimaniamo io e Pala. Ultimamente mi mettono in difficoltà le loro allusioni sessuali, perché sanno benissimo che non sono ancora disposta ad andare a letto con Filippo, nonostante lui faccia di tutto per convincermi a cedere. E io so di essere ogni giorno più vicina a scoprire se a letto è davvero così bravo come lascia intendere.

«Potevi dircelo, facevamo più piano!» scherza Arianna, continuando a ridere con le altre due.

«Non avete un altro argomento?» Ora sto sorridendo anche io, ma mi sento comunque in imbarazzo.

«Sì, Filologia tra due settimane…» Alice alza gli occhi al cielo. «Finirò a vomitare versi del Giorno.»

Da lì attaccano a parlare dell’università, e scopro che Matilde studia Scienze della Comunicazione a Bologna. Pala parla pochissimo, ama poco anche l’argomento studio, nonostante si stia impegnando per dare l’esame di economia politica che, come mi ha detto lui, “lo sta facendo impazzire da quattro anni”.

Quando finiamo di sparecchiare, mi occupo della lavastoviglie, mentre gli altri rimangono nel salone a chiacchierare.

«Vuoi un po’ di compagnia?» Daniele accosta la porta. «Mi sono offerto di fare il caffè…»

Annuisco e lui inizia ad armeggiare con le cialde e le tazzine. Capisco che c’è qualcosa che non va, ma non riesco a capire cosa.

«Stai bene?»

«Sì, cioè, no, cioè… Qui con voi sto bene, ma stasera mi tocca quella cena.» Si manda indietro il ciuffo di ricci dalla fronte e incrocia le braccia, fissando la macchinetta. «Da una parte hai ragione tu, sono solo poche ore e sto con mia sorella, ma dall’altro… Guarda, non sai cosa darei per non doverci andare. Anche una caviglia!»

Sorrido per la battuta, ma capisco che è amareggiato. «Ti accompagnerei io, ma non so quanto sia il caso… Se ci vedesse qualcuno che ci conosce, potrebbe pensare che stia tradendo Filippo ed è meglio evitare.»

«Se ci fossi tu almeno mi daresti una calmata. Passerò almeno metà della cena a combattere con l’impulso di dare un pugno sul naso a Stefano.» Posa la tazzina piena sulla credenza, ne sistema una vuota e inserisce un’altra cialda, dopo aver tolto quella usata. Il tutto senza guardarmi mai. «Non lo sopporto e non mi piace l’idea di averlo in mezzo alle palle alle varie occasioni importanti. Scusami, sono troppo diretto… Ma mi sfogo ora per non farlo dopo.»

«Tranquillo, so che non ce l’hai con me.» Mi appoggio al tavolo della cucina e lo osservo da dietro mentre lui a sua volta fissa intensamente la macchinetta. «Non sono più riuscita a chiedertelo, ma… tu cosa ne pensi?»

Pala si volta, con le sopracciglia inarcate per la sorpresa. «Di che cosa?»

«Di me e Filippo… del fatto che voglio vedere se con lui può funzionare.» Mi gratto un braccio, nervosa, e lui fa lo stesso con la sua barba tagliata corta. «Insomma… ha ragione Alice, sto sempre dentro casa tua e non so se ti dà fastidio.»

«Ma no, Elena, non mi dai fastidio» mi sorride, posando le due tazzine già pronte sul tavolo dietro di me, così che devo scostarmi per impedire che si rovescino. «Non so neanche dirti se hai fatto bene, perché è una scelta tua. Cioè, dal tuo punto di vista capisco anche se non ci vuoi andare a letto, però mettiti nei miei panni, sono giorni che mi rompe il cazzo ogni secondo perché…» esita, imbarazzato, come se non potesse ripetermi le parole precise di Filippo. A volte sa essere grezzo più di Arianna e Alice messe insieme, posso immaginare.

«Perché gli si drizza così tanto che non riesce a controllarlo?» cantileno, come una frase che conosco a memoria.

Lui scoppia a ridere. «Non posso credere che te l’abbia detto!»

Rido anche io. «Non riesce a controllare neanche le sue parole… ma almeno ora è sincero. Ed è una cosa che apprezzo, anche se lo dice per spingermi a farlo.»

«Che cafone… pensavo che con te fosse meno esplicito.»

«Può anche essere meno esplicito, tanto me ne ero accorta da sola!»

Mette a preparare un altro caffè e si volta, arrossito. «Comunque, vedo che sei in difficoltà quando il discorso va a finire lì, come prima, quindi mi sa che lo vorresti anche tu… Secondo me dovresti provare a buttarti. Così potresti anche scoprire come si comporterà dopo. Non hai il dubbio di cosa potrebbe succedere?»

Mi mordo il labbro e mi pizzico le dita. «Ho più il dubbio che se continuo a rimandare, poi scopro che ne sarebbe valsa la pena molto prima.»

«Tanto lui ora è via per la nazionale, quindi puoi aspettare che ritorni…» La macchinetta riempie l’ultima tazzina e lui inizia a portarle nel salone, così lo aiuto e ne prendo altre due, lasciando l’ultima che lui viene a recuperare mentre io esco dalla cucina e sbuco davanti alle ragazze.

Matilde mi guarda con quegli occhioni verdi, resi ancora più magnetici da un ombretto delicato e dal mascara scuro che le infoltisce le ciglia. «Elena, ma hai detto a Daniele che è una buona idea se lo accompagni stasera?»

Cosa? «No, gli ho detto che lo accompagnerei, ma non è il caso. E poi, ci sei già tu con lui!»

Lei medita per qualche secondo, girando lo zucchero nel caffè. «Nostra madre dice sempre che non gli ha mai presentato nessuna delle persone che conosce qui. A parte Pippo, ovviamente.»

«Mati…» Pala la sta quasi rimproverando. Quasi, perché il suo tono non mi sembra affatto quello di un rimprovero. «Non ho intenzione di presentarle nessuno. Non oggi. Già sarà una serata di merda, non ti ci mettere anche tu!»

«Va bene, va bene.»

«E se…» Arianna posa la tazzina vuota sul tavolo. «E se venisse Alice? Così hai un’altra faccia amica lì con voi!»

«Mi sembra una grande idea!» esclama Matilde, entusiasta.

«Posso fare finta di essere la tua ragazza. Tranquillo, non mordo e non ti metto le mani da nessuna parte» precisa la diretta interessata, con serietà.

Lui ci sta riflettendo su. «Si potrebbe fare. Ho bisogno di stare calmo, perché rischio di incazzarmi alla prima cosa che mi dicono.»

«Dani, sei incazzato già ora e non li hai nemmeno visti!» lo prende in giro la sorella, facendo ridere tutti, incluso lui.

«Allora vada per Alice.» Annuisce, raschiando lo zucchero sul fondo della tazza con il cucchiaino.

 

Aspetto Alice con lo sguardo fisso verso l’alto, e di preciso verso la finestra della loro cucina che affaccia sulla via. Vorrei poter scorgere Elena, per poterla guardare senza sentirmi in colpa.

«Tranquillo, mi sembra una a posto.» Matilde, al posto del passeggero, mi batte una mano sulla spalla. Vuole rincuorarmi per la mia “finta fidanzata”, ma non è a lei che sto pensando.

«Ho detto a Elena di buttarsi con Pippo.»

Alice esce dal portone e ci saluta. Si è vestita elegante, con un tubino nero sotto il cappotto aperto che le fascia il corpo e una collana lunga che le arriva all’altezza dell’ombelico, mentre la scollatura prova a dare un po’ di pienezza al seno quasi piatto. Indossa degli stivali a metà gamba, e dei collant scuri che coprono la pelle chiarissima delle gambe. Non si è messa il rossetto, anche se in passato ne ha sempre sfoggiato uno più stravagante dell’altro, e ha usato un trucco leggero intorno agli occhi. Nell’insieme è molto più attraente di quanto non sia nella sua versione di tutti i giorni.

«Le hai detto di buttarsi?» La voce di mia sorella riprende le mie parole di poco fa, incredula.

«Sì, Mati, sì!» esclamo, mentre Alice apre la portiera e si siede.

Ci saluta al volo e partiamo.

«E lo farà? Secondo te ci andrà davvero?»

«Sì.» Cazzo, possibile che ne stiamo parlando davanti ad Alice?

«Dite Elena con Pippo?»

«Sì, Ali.»

Porco di quel

«Mati, potresti evitare?» le chiedo, con la voce che supera di poco il rombo della macchina.

«Oddio, ti sei accorto che ti piace Elena…»

Mi fermo a un semaforo e vedo Alice che si è appoggiata alla portiera e si tiene la testa con la mano. Mi guarda un po’ divertita e un po’ compassionevole.

«L’avevo capito ancora prima di te!» Si volta verso Matilde. «Tu lo sapevi?»

«Mi sta facendo una testa tanta da un mese!»

«Un mese? E non sei ancora impazzito?» Il tono di voce di Alice è serio. Ed è proprio per questo che mi viene da essere sincero.

«Impazzisco ogni volta che la vedo.»

«Cazzo, Daniele, dovevo evitare quel commento, prima… preferisci che non ne faccia più?»

Intende quello sul fatto che non mi lasciano casa libera neanche per andare al bagno in santa pace… «No, devi farli, altrimenti lei capirebbe che lo fai per me. È innamorata di Pippo, ma è abbastanza sveglia da accorgersi di cosa non va… E già ha capito troppo, per come la vedo io.»

«Se dovesse accorgersene, significherebbe che le importa di te» commenta Matilde.

«Le importa, ma non come vorrebbe lui» precisa Alice.

«Per favore, non fatemi stare peggio di come sto già.»

«Scusa.»

«Va bene, scemotto innamorato.»

Entro nel piazzale del ristorante, in cui ci sono già altre automobili parcheggiate, e individuo subito la macchina grigio sporco di Stefano. «Lui e mamma sono già qui…»

«Non siamo in ritardo, vero?»

Trovo un posto vuoto e mi ci infilo. «No, Alice, no.»

Le ragazze si slacciano le cinture e scendono, ma io rimango immobile dove sono. Non ce la faccio, non ce la faccio a fingere che vada tutto bene, che sia felice per mia madre e che Stefano non mi sia antipatico. Sto fingendo troppo negli ultimi tempi, ed è una fatica bestiale.

Alice mi apre la portiera. «Hai intenzione di restare lì tutto il tempo? Matilde è andata a chiamare tua madre, vuoi farti trovare così?»

«La mia vita è una merda.» Non so da dove mi venga, ma è quello che penso davvero.

«Non dire scemenze, su. Prima esci dalla macchina, prima iniziamo la cena e prima finirà tutto. Non andrà male, ci sono io e oggi ti faccio da angelo custode.»

La scruto dall’alto in basso, osservandone la figura nella sua interezza. Se Pippo fosse al mio posto si sarebbe goduto la serata, tanto più che Alice si è offerta di vestirsi elegante – se non pensassi a Elena avrei potuto farci ben più di un pensiero… – e di accompagnarmi come “finta fidanzata”.

«Sei bella stasera.»

Sorride, con due fossette che si creano agli angoli della bocca. «Grazie, ma te l’ho già detto: non sei il mio tipo.»

Scendo dalla macchina e mi rimetto il cappotto, prima di incamminarmi con lei verso l’ingresso. «Dovevo dirtelo, sarebbe stato maleducato non farlo.»

«Per stasera puoi dirmi quello che ti pare.» Sorride ancora, poi mi dà una spallata scherzosa. «Io devo solo controllare che tu non faccia cazzate.»

Le passo un braccio intorno alla vita, stringendola a me. «Mi sento meglio. Non sei Elena, ma forse è meglio così… Con lei sarebbe stato ancora più difficile.»

«Bravo ragazzo, questo è lo spirito giusto» commenta lei, sarcastica. «Continua a pensare a lei e ti innervosirai ancora di più.»

Dal ristorante si affaccia Matilde, che mi dà con lo sguardo un’ultima raccomandazione.

«Mi innervosisce di più pensare che la prossima volta in cui li lascerò soli, finiranno a letto» mormoro di rimando ad Alice.

«Avete anche un divano abbastanza comodo, non serve il letto…»

Matilde la sente e scoppia a ridere. Poi, però, si accorge che io non ho tutta questa voglia di ridere. «Scemotto innamorato, vedi di fare il bravo. Durerà pochissimo e lo facciamo per mamma. E con Alice vedrai che il tempo passerà più in fretta!»

Hanno instaurato sin da subito una grandissima complicità, mi fanno invidia. Quello più a disagio sono io, nonostante abbia un buon rapporto con entrambe.

Entriamo e raggiungiamo mia madre e Stefano, già seduti a una lunga tavolata insieme ai miei nonni. Gli zii e i cugini devono ancora arrivare. Mia madre si illumina non appena ci vede e si alza in piedi per venirci incontro. È splendida, con un bel vestito sul bordeaux e lunghi orecchini. Sorride sincera, e mi sento un verme perché avrei voluto evitare questa cena a qualsiasi costo.

Alice mi stringe la mano. «Sono qui.»

La guido fino al tavolo e la presento, e lei saluta con gentilezza tutti uno a uno.

«Dani, ma hai una ragazza così carina e non ne sapevamo niente?» commenta nonna.

Cazzo, ci mancavano questi commenti. Alice è carina, ma in confronto a Elena

«Ci frequentiamo da poco» spiega lei. «Non si sentiva così sicuro.»

Annuisco. Sì, va bene dire che ci frequentiamo da poco: anche se solo in vesti di amicizia, è la verità. Prendo posto tra lei e nonna, mentre Matilde si siede all’altro lato della mia “finta fidanzata”.

Subito iniziano a inondarla di domande sulla sua vita, a cui lei risponde con naturalezza, perfettamente a suo agio nella parte della brava ragazza da presentare ai parenti. Non mi sta mettendo in difficoltà, anzi: mi sta salvando dal dover dire a mia madre che non sono per niente felice all’idea di questo suo matrimonio, visto che è proprio lei la più interessata all’interrogatorio.

Anche Stefano la ascolta con attenzione. Bene, così non parla con me.

Arriva anche zio Giulio con zia Paola, e Jacopo e Andrea. I ragazzi si sono fatti più alti, anche se per me rimangono i bambini piccoli che sono arrivati quando io e Matilde eravamo già troppo grandi per giocare con loro.

Presento Alice anche a loro, e riparte la giostra che si era interrotta con il loro arrivo.

«Quindi come vi siete conosciuti?» le chiede zia Paola nella più classica delle domande, iniziando a sfogliare il menù.

«Tramite conoscenze comuni» sintetizza Alice, rimanendo sul vago. Avrebbe potuto dire di Elena, ma non l’ha fatto. L’ha evitata anche prima, come se sapesse che il solo citarla potrebbe diventare un problema.

Abbasso la carta del menù, tanto ho già deciso di prendere la margherita, così non sforzo il cervello a scegliere tra tutte le varie opzioni. Appena sollevo lo sguardo, però, mi accorgo che all’altro capo del ristorante c’è coach Colucci con la moglie e i due figli adolescenti.

Do un colpetto sulla gamba di Alice e mi chino verso di lei. «C’è il coach, che facciamo?» le sussurro all’orecchio.

Lei si schermisce con il menù. «Fai finta di niente, se lui si accorge di noi e viene qui lo salutiamo.»

«Ma tu sei qui per fare la mia ragazza!» Già mi hanno fatto storie per Elena, e non c’era assolutamente niente tra noi, ora che sto fingendo di stare con Alice mi romperanno il cazzo!

«È solo una cena, non siamo mica noi che ci sposiamo.» Cerca di calmarmi, ma non è così semplice.

Anche perché Stefano, con quella faccia da topo, ha già dato un paio di baci a mia madre guardandomi dritto negli occhi. Sa che mi dà fastidio e l’ha fatto proprio per questo.

Matilde si accorge che qualcosa non va e inizia a bisbigliare insieme ad Alice.

«Tutto bene?» Stefano le coglie di sorpresa, facendo trasalire mia sorella.

«Sì, sì» risponde lei, sbrigativa, mentre la “mia ragazza” ripone il telefono nella borsetta.

Il cellulare mi vibra sul tavolo per un messaggio. “Vai a salutarlo.” Elena. Cazzo, ma perché deve essere proprio lei a suggerirmi cosa fare? “Se lui vede Alice, gli dici che vi state frequentando ma che non sapete neanche voi come sta andando, così non ti dice niente. Tanto lei non lavora alla Vulnus, non corri nessun pericolo. È peggio se fingi di non averlo visto, perché si insospettirebbe.”

Mostro lo schermo ad Alice, che annuisce senza aggiungere una parola.

Richiamo l’attenzione di mia madre, che mi guarda incuriosita. «Dani, che succede?»

«C’è il coach, vado a salutarlo.» Mi alzo in piedi e lei mi sorride comprensiva. Capisco cosa ci trova quel verme di Stefano in lei, nonostante i quasi cinquant’anni è ancora una bella donna. Quel verme di Stefano, che si volta per vedere dov’è Colucci.

«Digli se vuole unirsi a noi, possiamo spostarci o far aggiungere un tavolo.»

Con il cazzo che glielo dico. È anche con la famiglia, vado da lui solo perché altrimenti rischierei di fare una figura di merda. «Magari non vuole disturbare.»

Non ascolto cosa risponde, anche se sento la sua voce in lontananza, perché in pochi passi sono dal coach, che si è accorto di me e mi ha salutato dal tavolo.

«Pala, non avevo notato che c’eri anche tu!» esclama.

«Alcuni parenti sono venuti in città e siamo venuti a cena qui…» gli spiego, stringendo le spalle. «Ho pensato di venirla a salutare, spero di non essere di disturbo.» Così ribalto la situazione e non devo invitarlo al tavolo. Bene, così Stefano non può rompere il cazzo.

Colucci allunga il collo. «Quella non è la coinquilina di Elena?»

Cazzo. «Sì.»

«Passa una buona serata, allora.» Mi liquida con uno sguardo simile a quello indiavolato di un time-out in cui siamo sotto di dieci punti all’ultimo minuto.

Saluto anche la moglie e i figli, e ritorno al mio posto.

«Preferivano rimanere in disparte e non ho insistito» mento subito a Stefano, che mi fissa da quando ho fatto retromarcia. Però prendo il telefono e scrivo a Elena. “Ha visto Alice e si è incazzato, anche se non mi ha detto niente.” Con una leggera gomitata, richiamo l’attenzione della mia compagna di serata e le mostro il messaggio.

Riparlane domani all’allenamento.”

E che gli dico?

La verità.”

Pessima idea.

Nonostante le tremende premesse, la serata scorre abbastanza bene e arrivo a fine serata senza aver avuto l’istinto di prendere Stefano a schiaffi. Non più del solito, almeno. Lui e quei dannati occhietti che mi fissano compiaciuti… Quanto lo odio.

Quando facciamo per uscire, Alice mi indica Colucci che è alla cassa in attesa di pagare, e mi suggerisce di andare insieme da lui.

«Ehm… coach?» lo chiama, visto che ci dà le spalle aspettando un qualsiasi cameriere.

Si volta, con un sopracciglio inarcato. Pessimo segnale, di solito lo fa quando ci sta per fare il culo a strisce per qualcosa che non ha funzionato in partita…

«Alice, buonasera.»

«Non voglio che ci siano fraintendimenti, quello che ha visto stasera non è vero.» Ha le spalle larghe e – anche se è un commento che non le piacerà affatto – ha anche le palle. Non è da tutti affrontare gli argomenti di petto con lui. Al suo posto io ne sarei terrorizzato.

«Non c’è molto da fraintendere» commenta lui, rigido. «Alla vostra età è normale.»

Lei trattiene una risata. «Noi non stiamo insieme» sussurra. «Per questa sera stiamo solo fingendo. So che avete fatto delle storie per Pippo ed Elena, ecco. Io non creerò problemi perché non ho nessun interesse ad avere una relazione con Daniele.»

Cazzo. Mi giro per controllare che il resto dei miei parenti stia ancora attorno al tavolo a recuperare cappotti e averi sparsi in giro. Devo avere un culo pazzesco stasera, perché non si sono ancora diretti all’uscita.

Il coach non ribatte subito, dev’esserci rimasto di sasso. Be’, anche io. «Apprezzo la sincerità. Pala, ci vediamo domani. Buonanotte a entrambi.»

Ci saluta con un sorriso cordiale – o, almeno, a me sembra cordiale – e tira fuori la carta di credito dal portafoglio per pagare finalmente il conto.

Usciamo dal ristorante e ci ritroviamo nel freddo pungente di novembre. Cammino a grandi falcate verso la macchina, ma non entro. Matilde è ancora dentro, starà salutando nostra madre nel calduccio del ristorante.

Alice si poggia contro la portiera e fa per prendere una sigaretta, ma mette subito via il pacchetto. «Ti dà fastidio se fumo?» mi chiede, appena sono abbastanza vicino a lei.

«In realtà n…» Non riesco a finire la frase, perché mi bacia. Prende l’iniziativa e ci mette anche la lingua e la lascio fare. Non è proprio la ragazza che speravo di baciare, ma mi aiuta ad allentare la tensione, soprattutto dopo aver parlato con il coach. Il coach!

«Cazzo, Alice.»

«Tua madre ci stava guardando, dovevo farlo… Sarebbe stato strano se non ci stessimo baciando, no?» Si aggiusta il cappotto come se niente fosse. «A Colucci puoi dire anche questo, se ci ha visti.»

Annuisco. «Per fortuna non sono il tuo tipo.»

«Fidati, non lo sei. Sono qui per aiutarti e questo faceva parte dell’aiuto.» Fa il giro della macchina, saluta mia madre e Stefano da lontano ed entra nell’abitacolo. Prendo posto anche io e lei mi dice, poco prima che ci raggiunga mia sorella: «Baci bene, secondo me Pippo non è così delicato».

«Non voglio pensare a lui.»

Lei sorride, complice, mentre Matilde entra in macchina e si mette la cintura. «Pensavo a Elena. Per quanto lui sia un bravo ragazzo, al di là di quell’episodio che sappiamo, con te starebbe meglio.»

«Lo penso anche io, ma non mi metto in mezzo tra il mio migliore amico e la sua ragazza. È un casino e non posso farci niente.»

«Daniele, quando ci innamoriamo non lo facciamo apposta.» Posa la mano sulla mia, sul volante. Se non mi avesse detto più volte che non ci vuole provare con me, avrei proprio l’impressione contraria. «Non puoi tenerti tutto dentro, rischi di impazzire.»

«Te l’ho già detto, sto impazzendo tutti i giorni.»

La riaccompagno a casa e, mentre Matilde sale davanti per mettersi al mio fianco, lancio un’occhiata alla finestra della loro cucina. Quella cucina in cui Elena mi ha chiesto consiglio e in cui io le ho detto di andare a letto con Pippo.

Merito di stare male, me la sono cercata.

Spazio autrice
Daniele sta veramente sotto un treno, ma almeno non ha preso a schiaffi nessuno ed è arrivato alla fine della serata!
Cosa vi è parso di Matilde? Vi è piaciuta?
Colucci farà un'altra ramanzina a Daniele o lo lascerà in pace?
La scrittura sta procedendo abbastanza spedita, e spero di continuare con questo ritmo di aggiornamento!
Baci a tutti,
Snowtulip

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Rimango a guardare Mike e i suoi tiri liberi, sotto l’occhio attento di uno dei vice del coach, che invece sta catechizzando Pala all’altro capo della palestra. Spero che si tratti esclusivamente di una situazione di gioco e non di altro… Considerando che l’ha visto con Alice, spero che non voglia fargli una ramanzina su ogni aspetto della sua vita privata. Già l’avevano fatto a causa mia e di Filippo, ci manca solo che lui e Salvatore lo spiino per controllarlo fuori dal parquet.

Pala palleggia sul pavimento, poi si avvicina all’arco e manda la palla verso Léo Leroux, che si aspettava una convocazione visto il buon inizio di campionato ma che invece è rimasto a casa. Léo riceve, palleggia spalle al canestro, poi si volta e salta per schiacciare.

«Ecco, bravi!» Bene, allora prima davvero il coach parlava di basket con Pala.

Léo scuote la testa, insoddisfatto e in disaccordo con Colucci, che va a parlare con lui dopo aver dato il via libera agli altri per andare a cambiarsi.

«Ma che succede?» mormoro a Daniele appena mi passa accanto.

«Non c’è Teo» mi risponde con lo sguardo basso, prima di lanciare il pallone che teneva in mano insieme agli altri, facendo canestro nel box metallico.

Lo affianco nel corridoio per gli spogliatoi. «E cosa cambia?»

«Che non gioco come lui» sussurra, e si fionda con due passi dietro la porta dietro cui si cambia la squadra maschile, lasciandomi da sola come una scema.

Ah, di questo stava parlando con Colucci?

Mi mordicchio il labbro, fissando la porta dietro cui è scomparso.

«Elena, stai bene?» Il coach mi sorprende alle spalle, insieme a Leroux, che mi supera per correre anche lui a farsi una doccia. Aveva ragione Niko, mi sto abituando all’odore di sudore, anche se con la palestra quasi deserta – abbiamo tanti giocatori fuori per le nazionali – è più facile da sopportare.

«Sì, sto bene.» Mi ha colta alla sprovvista, quasi sovrappensiero. «Mi preoccupo per Pala, tutto qui.»

«A proposito di questo, volevo parlarti a quattr’occhi.» Indica uno degli studi dove studia le tattiche insieme allo staff, ora vuoto, e lo precedo all’interno. Chiude la porta. «Posso sapere cosa state combinando?»

«Di che sta parlando?» Alice mi aveva detto di aver messo in chiaro le cose davanti a lui, perché se ne esce così?

«Elena, non giriamoci intorno.» Mi scruta con il sopracciglio alto: ho imparato che è un pessimo segno, se fossi uno dei ragazzi avrebbe già alzato la voce. Ma questo non è un time-out, non siamo in una partita e io, per quanto sia una dipendente della Vulnus, non lavoro per lui, bensì con lui.

«Davvero, coach, non capisco.» Trattengo l’impulso di pizzicarmi l’indice con le unghie, perché così come io ho imparato a conoscere i segnali di nervosismo di ognuno dei Vulnussini, anche lui potrebbe aver memorizzato i miei.

«Allora, facciamo che ti faccio delle domande ben precise e tu mi rispondi con sincerità.»

Annuisco. «Non sono brava a dire bugie.»

«Lo vedremo.» Mantiene circa un metro di distanza da me, poi si siede e mi fa cenno di prendere posto anche io al tavolo pieno di schemi disegnati con pennarelli diversi su fogli volanti. «Tu e Longo state insieme?»

Avvampo dall’imbarazzo, sono certa di essere arrossita dal collo fino alla punta delle orecchie. Per essere una domanda ben precisa, direi proprio che lo è. Io e Filippo stiamo insieme? «Più o meno.»

«Vi state frequentando, allora?»

«Sì.» Mi sento ancora in fiamme, ma persino un cieco si sarebbe accorto che tra noi c’è qualcosa che non sappiamo definire.

«E Pala? Con la tua coinquilina, intendo.»

«Pensavo che gliel’avessero già detto loro.»

Inarca ancora di più il sopracciglio sinistro. Accidenti. «Elena, rispondi.»

«No, non stanno insieme.»

«Allora perché si sono fatti vedere in pubblico insieme?» Picchetta con le dita sul tavolo, impaziente.

Possibile che Daniele non gli abbia detto niente? E poi, non era in pubblico, mi hanno detto che il ristorante quella sera era deserto e che non li ha riconosciuti nessuno!

«A lui serviva supporto per questioni personali. Non era il caso che andassi io, e Alice ha pensato che fosse la soluzione migliore.»

«Elena, non ci sono questioni personali.» Abbassa il sopracciglio, ma la voce rimane ferma e severa.

Mi mordo il labbro, incerta. «Sono fatti suoi, non credo di poterne parlare.»

Lui serra le labbra, cercando di mantenere il controllo. Gli costa fatica, è uno che si lascia andare con grande facilità. «Non rivelerò questa confidenza, puoi sentirti libera.»

«Coach, è che…» Mi guardo le mani, ho già intrecciato le dita tra di loro. Ho fallito nel tentativo di nascondere segni di debolezza. «La madre di Pala si risposa, e lui ci soffre. Non ha un bellissimo rapporto con il suo nuovo marito, così Alice si è offerta di supportarlo durante la cena, in modo che non si arrabbiasse a vuoto. Non voleva dare un dispiacere alla madre… Ma era già nervoso per non essere andato in nazionale e per essersi infortunato, quella sarebbe stata solo un’altra mazzata che da solo non riusciva a gestire. Mi aveva detto che ne avrebbe parlato con lei.»

«Quindi si tratta di questo.» Non è una domanda, stavolta.

«Era una questione personale» puntualizzo. «Se c’è qualcos’altro che lo rende nervoso, non so cosa sia.» Taccio, secondo me abbiamo finito qui: non ho niente da aggiungere.

«Prima cosa ti ha detto?» continua invece lui, senza distogliere lo sguardo dal mio.

«Pensa che Léo si sia scocciato perché lui non gioca come Teo. Ho dovuto interpretarlo, perché non me l’ha detto chiaro e tondo, ma credo che si tratti di questo.»

Colucci sospira profondamente. «Grazie per la sincerità.» Si alza e fa per uscire, però lo chiamo.

«Coach.» Mi mordo il labbro e mi metto in piedi anche io, mentre lui si volta a guardarmi, con le dita serrate attorno alla maniglia. «Pala sta passando un periodo complicato, almeno qui vorrei che fosse tranquillo.»

La sua espressione si addolcisce e mi sembra di rivedere quello stesso guizzo che aveva avuto con me dopo la sconfitta contro Milano. «Elena, non devi preoccuparti di questo. Teniamo tutti Pala in grande considerazione.»

«Lo dica a Léo, allora.» Mi mordo la lingua, consapevole di aver osato troppo nonostante il mio tono di voce pacato. «Per favore.»

«Ma certo.»

 

«E mentre ero lì ho pensato: Ora o provo a tirare, o perdo palla. Ho avuto un culo incredibile.» Pippo si ferma dal suo resoconto solo per bere una sorsata d’acqua. È tornato da due giorni e non riesco più a sopportare la sua voce: solo così mi rendo conto di quanto il silenzio fosse piacevole.

Soprattutto visto che non smette di raccontare le sue prodezze contro Danimarca e Norvegia, come se non sapesse che abbiamo visto entrambe le partite. Anzi, come se non gliene fregasse un cazzo del fatto che io ero a casa infortunato e che sono stato di merda per non aver potuto giocare!

«Sì, sì, lo sappiamo, bravissimo!» lo sfotte Niko tirandosi dietro Marco e Jérémy nelle risate.

Sono contento che siano tornati i ragazzi partiti per le nazionali, perché così posso starmene vicino a Teo, come adesso, senza essere costretto a prendere parte alle conversazioni con tutti quanti. Visto che lui è uno di quelli più silenziosi, che ascolta ma non interviene, mi sento molto più a mio agio al suo fianco nelle occasioni conviviali come questa.

«Non c’è fortuna, ma solo bravura» sentenzia il coach, infilzando le pennette con la forchetta.

Teo china il capo verso di me e si volta per non farsi sentire dagli altri. «Avresti giocato bene anche tu.»

Non ribatto, perché mi scoccia di non essere proprio partito. Che avrei giocato bene è probabile, ma non è questo che mi importa. Mi importa di più che il coach abbia fatto un complimento a Pippo, perché in fatto di complimenti è avaro con tutti. Tranne con Teo, perché Teo… be’, è un caso a parte. A lui neanche servono, fa delle magate che nessun mortale potrebbe immaginare.

Finiamo di pranzare, con Niko che continua a prendere in giro Pippo per qualsiasi stronzata – come l’insalata incastrata tra i denti – e almeno lui mi strappa qualche sorriso sincero. Mi sono seduto tra i seriosi, Teo, Mike, Léo, Ryan… mentre di solito ero con i casinisti, Pippo e Niko su tutti, ma anche Marco e Jemmy sono altrettanto scalmanati.

Nel gruppo di mezzo, tra gli altri, c’è il Fabbro che si è stupito della mia scelta di posto ma non ha commentato. So che probabilmente vorrà parlarmene a quattr’occhi, anche se l’ultima cosa che vorrei è che qualcun altro sappia. Nemmeno lui, perché se sul silenzio di Teo posso fare affidamento, è solo perché a malapena spiccica parola.

Mi basta la sensazione di panico al pensiero che Alice possa fare qualche allusione a Elena. E mi costa una fatica immane essere amico di Pippo, perché la cosa più sensata sarebbe allontanarmi da lui. Non voglio farlo: i sentimenti per Elena prima o poi andranno via, o a lui o a me, e allora potrà tornare tutto come qualche settimana fa.

Dopo il pranzo con la squadra, un’ora in cui il coach ci ha riempito la testa con gli schemi e un altro allenamento, rientro in auto con Filippo per tornare a casa.

Oggi abbiamo preso la sua macchina, siamo d’accordo: mi lascerà da Alice e Arianna per studiare e lui se ne andrà con Elena da qualche parte. Non voglio sapere dove, perché l’opzione più probabile è quella a cui sto cercando con tutto me stesso di non pensare.

«Secondo te quel locale le piacerà?» mi chiede. «Arianna mi ha detto che a Elena piace la musica jazz…»

«Dici quello dove siamo stati con Sasha e Niko?» Ho un bel ricordo di quella serata, mi ci avevano portato per non pensare alla seconda bocciatura a economia.

«Sì, quello. Così facciamo l’aperitivo lì. Non so se dopo vorrà cenare insieme o tornare a casa, ha un esame tra pochi giorni.»

Non sto nemmeno a precisare che l’esame è di Filologia italiana, perché già le ragazze mi faranno una testa tanta. Di sicuro sa anche lui la materia, e non voglio essere seccante e puntiglioso.

«Le ho detto di buttarsi, comunque» confesso, mentre i negozi scorrono accanto a me. Non mi starà guardando perché concentrato a guidare, così posso parlarne più liberamente. Non devo neanche precisare di cosa sto parlando, non ha altro in mente da settimane… «Mentre eri in nazionale mi ha chiesto un parere e le ho detto che secondo me era arrivato il momento.» In realtà vorrei che quel momento fosse insieme a me e non a lui, ma non lo specifico. «Quindi per questa sera potrebbe mettere da parte lo studio.»

«Cazzo, Dani! Perché non me l’hai detto prima?» esclama, con un sorriso che gli va da una parte all’altra del viso. Non capisco se è vera felicità o solo soddisfazione.

«Perché lei mi ha detto che tu sei stato abbastanza esplicito nel dirle che volevi fartela.» Quasi lo sputo fuori, ma riesco a mantenere lo stesso tono pacato di sempre. Non so come sia stato possibile.

«Lo trova divertente, altrimenti avrei smesso dopo la prima volta, non credi?»

«Sei stato volgare.»

«E lei mi sta facendo aspettare troppo. È uno scherzo quando le dico che me lo drizza, non puoi incazzarti tu se lei la prende a ridere!»

Elena la prende a ridere. Elena lo trova divertente… E io negli ultimi giorni devo esserle sembrato patetico, mi guarda come se fossi un cucciolo da accudire. Che situazione di merda.

«Se a lei sta bene, ok.» Poggio il gomito contro il finestrino chiuso e mi passo una mano tra i capelli, finendo a giocherellare con un riccio avvolto intorno all’indice. «Voglio solo che tu non faccia altre cazzate.»

«Non farò cazzate, questa potrebbe essere una storia seria.»

«L’avevi detto anche per Clara.» Lo punzecchio dove fa male, ma è giusto che si ricordi delle enormi stronzate a cui ho dovuto riparare io. «Non posso coprirti se dovessi mollare anche Elena, stavolta starei dalla sua parte.»

«Elena non è una stalker con manie di protagonismo. Non dovrai coprire proprio niente.»

«Bene.»

«Ma che hai, oggi? Ti rode perché non hai una ragazza da anni? Se proprio vuoi scopare anche tu, guarda che ti sto portando da Alice e Arianna!»

Scuoto la testa, con il ricciolo che si stacca dal dito. Non colgo nemmeno la provocazione. «No, non c’entra niente. Ho solo avuto Salvatore e il coach che mi stanno attaccati al culo come se quello da controllare fossi io. Magari mi rode per questo. E magari per l’esame, visto che è la terza volta che provo a passarlo.»

Non distoglie lo sguardo dalla strada solo perché sta guidando, ma sospira. «Scusa. Quando ce l’hai?»

«Giovedì, come Elena.»

«Merda, non posso farti supporto morale.»

«Mi sa che c’è l’allenamento e non puoi fare supporto neanche a lei… Io posso chiedere al coach di saltarlo, ma mi sa che tu non hai scampo.»

«Già.» Non aggiunge altro, perché accosta la macchina al marciapiede davanti a quel portone che ho imparato a conoscere molto bene.

Elena lo aspetta in piedi, stretta nel cappotto scuro e con l’ombrello in mano, mentre in spalla ha la tracolla di una borsa. Che strano vederla senza il solito zainetto… Ha indossato le lenti a contatto e sulle labbra ha un rossetto rosso scuro, che mi fa desiderare di baciarla, anche se so che l’unico a poterlo fare è Pippo. E che non la bacerà solo lì.

Cazzo, basta pensarci.

«Allora, buona serata» gli auguro, scendendo dalla macchina. Lascio aperta la portiera a Elena e recupero lo zaino con i libri dai sedili posteriori.

«Pala, buono studio» sussurra lei avvicinandosi, con un sorriso. Mi saluta con il solito “guancia a guancia”, che non è un bacio vero e proprio, visto che le sue labbra sono lontane dalla mia pelle.

«Buon quello che tu sai» le dico di rimando a bassa voce e faccio un ultimo cenno a Pippo.

Lei arrossisce, bellissima, con le guance che si infiammano solo per la mia vaga allusione. Chissà perché con me è così, mentre invece sopporta le battutacce esplicite di Pippo…

Citofono alle ragazze, e Arianna mi apre il portone mentre loro sfrecciano via diretti al locale.

 

«Ti piace?» Filippo mi sorride magnetico, sedendosi accanto a me sul divanetto attorno a un piccolo tavolo in ferro. Attorno a noi le luci sono soffuse, le casse posizionate strategicamente a diversi angoli trasmettono una musica jazz e l’aria profuma di gelsomino – per quanto credo che questo sia opera di un profumo per ambienti.

«Sì» gli rispondo, ammaliata dal fascino di un luogo così nascosto in una città che ormai pensavo di conoscere bene.

Al capo opposto della stanza rispetto a noi, un ragazzo scende dalla pedana del bancone diretto verso di noi per prendere l’ordinazione. Optiamo per alcuni stuzzichini e due bevande analcoliche dai nomi stravaganti.

Lui non beve alcol durante la giornata, si concede solo un bicchiere di vino a cena – e neanche tutte le sere. Avrei potuto lasciarmi tentare io dalla birra alla spina, ma ho preferito evitare: voglio essere del tutto lucida in vista di quello che sono disposta a fare più tardi. Non posso permettermi di perdere il controllo, considerando che non reggo granché l’alcol.

«Ho scelto bene, allora.» Sorride soddisfatto, accarezzandomi la schiena. Sale con precisione e scende facendo altrettanta attenzione ai punti che tocca, come se sapesse che sento il calore della sua mano anche sotto il vestito.

Gli sorrido, perché non so in quale altro modo potrei dirgli che sì, ha scelto proprio bene.

«Devo chiederti una cosa e so che non ti piacerà» mormora, serio.

Oh no, adesso mi chiederà perché lo sto facendo aspettare così tanto… «Chiedimi pure.»

Lui sospira, ancora con quell’aria stranamente grave. Sembra che stia parlando con il coach e non con me. «Perché hai chiesto a Daniele se era il momento di venire a letto con me?»

Siamo interrotti dall’arrivo del ragazzo di prima, che ci posa gli stuzzichini e le bevande sul tavolo. Non ho riesco a elaborare una risposta perché lui mi fissa con quello sguardo penetrante e attento, così opto per la verità.

«Volevo il suo parere. È la persona più vicina a te e sa meglio di me cosa ti passa per la testa… Ero già abbastanza decisa, volevo solo una conferma.» Assaggio un sorso di questo cocktail strano. Sa di fragola e menta. Leggermente fuori stagione, ma buono.

Filippo si illumina e sorride. «Mi hai fatto aspettare parecchio, sarei potuto impazzire!» Negli occhi ha quel barlume scanzonato di chi sta sparando una scemenza colossale e lo sa.

Mi fa sorridere, perché mi desidera davvero ed è una sensazione appagante. «Non saresti impazzito. Avresti potuto lasciarmi, no?»

Posa la mano sulla mia a mezz’aria, prima che possa prendere una delle tartine dal vassoio. «No, avresti pensato che sono proprio lo stronzo che credevi.»

«Ho incontrato abbastanza stronzi, ma non so mai riconoscerli.» Che cazzo ho appena detto?

Mi sfilo dalla sua presa debole e assaggio la tartina che avevo puntato da prima. So di essere arrossita su tutto il viso, ma spero che le luci basse del locale lo coprano.

Lui si china verso di me e mi lascia un bacio delicato sulla guancia, vicino all’orecchio. Non dice niente, limitandosi a sorridere. Fa per allungare una mano sulla mia gamba, ma poi la ritrae.

«Non avrei dovuto dirlo, lascia stare.» Niente, lingua e cervello non comunicano.

Inarca le sopracciglia, sorpreso. Non può guardarmi così, io mi sciolgo sotto i suoi sguardi… «Perché?»

Mi mordo la lingua. «Storia vecchia.»

«Le storie vecchie fanno sempre male.» Mangia in un boccone una delle tartine, masticando a bocca chiusa. Beve un altro sorso, mentre io mi sento in imbarazzo più di quanto sia stata il giorno in cui mi ha ignorata. Deve accorgersene, perché mi accarezza la schiena dolcemente. «C’entra con il motivo per cui studi qui e non a Roma? Lettere è di sicuro una facoltà che hanno anche lì…»

«Sì.» Come ha fatto a indovinare? Non credo che Alice e Arianna gliene abbiano parlato…

«Posso saperlo? Almeno potrei dimostrarti che io non sono davvero uno stronzo che ti fa cambiare città!» Mi sorride comprensivo, come se sapesse di aver toccato un tasto dolente, e fa sorridere anche me. Apprezzo questa sua capacità di riuscire a farmi sentire più leggera anche quando ciò di cui stiamo parlando non lo è.

«Potresti essere tu a dover cambiare città!» scherzo anche io, anche se con il cuore in gola. Cambiare città! Perché non ci ho pensato prima? «Tu, invece, perché non hai mai giocato a Napoli?»

«Eh… storia vecchia.» Prende il bicchiere e manda giù tutto in un unico sorso. «Sono andato a fare il provino da loro, avrò avuto dieci anni.» Si gratta dietro l’orecchio e abbassa lo sguardo. «Mi hanno detto che non tiravo abbastanza bene, che non riuscivo a legare il gioco di squadra e mi hanno detto che non avrei mai combinato granché con il basket.» Pronuncia ogni parola come se gli pesasse un macigno, nel tono non ha niente della sua solita leggerezza. Neanche di quella da momenti seri. «Mi sono allenato da solo per un anno nel cortile di casa, poi ho implorato mio padre di aiutarmi a trovare una squadra che credesse in me, volevo giocare a basket più di qualsiasi altra cosa. Per un anno sono stato nelle giovanili di Caserta, poi mi sono infortunato al ginocchio. Sembrava una cosa abbastanza grave, mi hanno sconsigliato di continuare a giocare. Non sapevo che la Vulnus mi stava tenendo d’occhio e che c’erano degli osservatori a quasi ogni partita. Quando hanno intuito che Caserta voleva scaricarmi, si sono fatti avanti e mi hanno fatto entrare nel loro settore giovanile. Sono stato insieme a tanti altri ragazzi, mi hanno aiutato a trasferirmi con le questioni burocratiche, tipo la scuola. Mi hanno seguito nel recupero post operazione e hanno aspettato che mi riprendessi del tutto prima di farmi giocare, per evitare ricadute. E così ho conosciuto Pala, ci avevano messo in camera insieme negli alloggi per i ragazzi, ed eravamo anche in squadra insieme.»

Tace, e mangia un paio di tartine aspettando una mia reazione.

«Non… non ne avevo idea.» È l’unica frase che mi viene in mente. Per quanto sia appassionata di basket e per quanto segua la Vulnus, non mi sono mai spinta a conoscere dettagli come questo sul passato dei giocatori.

«Ora non tornerei a Napoli, neanche a fine carriera.» Alza lo sguardo, incontrando il mio. Mi viene voglia di baciarlo e di abbracciarlo, non era così triste neanche dopo la partita contro Milano. «Era la squadra per cui tifavo… Non una grandissima squadra, ma era la mia. E mi ha scartato… Tanti mi hanno detto che è normale, che non dovevo prenderla sul personale, ma per me lo era! A un ragazzino di quell’età non bisogna dire certe cose, io ho reagito bene, ma se fossi stato un altro chissà che avrei fatto!»

Mi appoggio a lui, con la guancia sulla sua spalla, e lo bacio sul mento, dove gli sta spuntando un filo di barba scura. «Vorrei dirti che ti capisco, ma io ho fatto solo un tentativo per lavorare alla Vulnus… e non era il mio sogno di quando ero bambina.» Mi siedo dritta, e mi ritrovo a bere la mia bevanda alla fragola e menta sperando che sia alcolica. So che mi sta per chiedere quale fosse il mio sogno, e forse una spintarella data dall’alcol mi aiuterebbe. Non ne ho mai parlato con nessuno… Neanche con Arianna e Alice. «Avrei voluto giocare, ma mi sono girata il ginocchio durante un’ora di educazione fisica in cui la prof ci aveva lasciati giocare in cortile proprio a basket… Per una volta ci aveva fatto cambiare sport, invece della solita pallavolo.»

Filippo mi accarezza di nuovo la schiena. Lo sento più vicino di quanto non l’abbia mai sentito in passato. «Ti sei girata in che senso?»

«Crociato rotto. Sono stata per tutto l’anno scolastico con le stampelle, ero diventata quella che doveva prendere l’ascensore con le bidelle o con i professori per andare in classe.»

«Poi non hai più giocato a basket?» mi chiede.

«No.»

«Perché? Avevi ancora qualche strascico o… o altro?» sussurra. Deve aver capito quanto sia delicato per me quel ricordo.

Mi mordo le labbra e sotto il tavolo, in modo che Filippo non lo veda, mi pizzico la punta dell’indice con le unghie. «Ho avuto un blocco mentale. Ogni volta in cui toccavo un pallone da basket la mia testa rievocava il dolore, le lacrime, la frustrazione… E poi ho smesso di provarci. Non ho mai smesso di guardare le partite e di tifare la Vulnus, ma non penso che giocherò mai più. Mi fa troppo male.»

Mi solleva il mento con un dito e mi bacia. Fa scorrere ancora una volta le dita sulla mia schiena e lo sento più vicino di quanto sia mai stato. È bravo con le parole, ma ho l’impressione che questo sia il suo modo di comunicarmi che lui c’è, che è qui con me.

Mi accarezza la guancia. «Se a te avessero detto quello che hanno detto a me, avresti smesso di giocare…»

Gli sorrido. «Per fortuna siamo due persone diverse.»

Lui abbassa lo sguardo sul vassoio quasi vuoto e lo spinge verso di me, come invitandomi a prendere l’ultimo stuzzichino con i pomodori sott’olio. «Se mi avessero preso a Napoli, forse non sarei mai finito qui e non starei a questo tavolo insieme a te… Poteva andarci molto peggio!»

«Poteva andarci peggio sì» ripeto. Mangio l’ultimo stuzzichino e ci rimettiamo i cappotti per andare a pagare. «Dividiamo il conto?»

Filippo apre il portafoglio. «Sì, va bene.»

Spazio autrice
Vi aspettavate che il coach parlasse proprio con Elena di Daniele? O pensavate che ci sarebbe stato un confronto diretto Colucci-Pala?
E il passato di Filippo? Ero un po' esitante all'idea di inserirlo qui, ma a rileggerlo mi sembra giusto che si sia aperto con Elena (e che lei abbia fatto altrettanto), soprattutto in un momento che per lei sarà delicato (lo scoprirete nel prossimo capitolo).
Baci e buon finesettimana a tutti,
Snowtulip

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Saliamo in macchina per andare a casa, e mi sistemo la borsa in grembo.

«Sembra pienissima, che hai lì dentro?» mi chiede Filippo, accendendo il motore.

«Non è così piena, a ingombrare è il collirio per togliermi le lenti, non ho dei flaconcini più piccoli da portarmi dietro. Di solito…» esito, serrando le labbra. «Di solito non dormo fuori, quando le tolgo sono sempre a casa.»

Rimane in silenzio per un po’. «Sei sicura di volerlo davvero?»

Ha abbassato la voce. Sta parlando di quello che faremo una volta che saremo da lui, non più di quanto la mia borsa sia quella di Mary Poppins.

«Sì, solo che… ho paura che sia poco naturale.» Al riparo dalla sua visuale, riprendo a torturarmi la punta dell’indice e mi trattengo dall’impulso di mangiucchiarmi un’unghia. Ci ho messo una vita a smettere di mangiarle, non è il caso di ricominciare proprio ora!

«Ele, da quanto non hai un ragazzo?»

Sospiro. Era proprio lì che speravo che il discorso non finisse. Era quello che temevo mi chiedesse prima, mentre eravamo in quel locale. «Da un po’.»

«Come mai?»

È la domanda più innocente del mondo, ma a farmela è proprio lui. Mi mette in crisi, già prima gli ho fatto un velato accenno al problema… «Perché il mio ragazzo era uno stronzo. Non ho ancora capito perché stava con me. Cioè, poi mi sono innamorata altre volte e sono andata a letto con altri ragazzi, be’, solo con un altro, a dire la verità… E visto che quella volta non è andata bene, mi stanno venendo tutte le paranoie che finora ho messo nel mio cassetto mentale.»

Rimango in silenzio, aspettando che lui mi dica qualcosa. Qualunque cosa, perché adesso ho paura che questa serata possa finire peggio di quella volta in cui sono scappata via. Quando mi piace un ragazzo, succede sempre qualcosa che mi fa sprofondare, c’è sempre qualcosa che non va per il verso giusto. Visto quanto mi piace Filippo e visto quanto mi sto comportando in maniera stupida con lui, manderò tutto a rotoli. E se non lo farò io, ci penserà un elemento esterno che non posso controllare.

«Allora non forziamo le cose» dice lui. «Non pensare che a casa scoperemo, non pensare neanche a…» Accenna una risata, indicandosi in mezzo alle gambe. E sorrido anche io. «Se vuoi, puoi parlare di quello che ti preoccupa. Magari ti aiuta ad alleggerirti. O se non ti aiuta, parlami di tutt’altro.»

«Va bene.» Lo dico, ma poi rimango in silenzio. Mi si è formato un nodo in gola, non riesco neanche a pensare di proferire parola, non in questo momento. Gli ho rivelato troppe cose per una serata, come compensando due mesi in cui abbiamo parlato solo di stupidaggini.

Accosta la macchina a un semaforo, e mi guarda dritto negli occhi. Come se capisse. «Quello che ci siamo detti prima, al locale, era importante. Lo era per me, di sicuro anche per te… Per me è stato come se ti fossi spogliata pur rimanendo vestita. E mi sono sentito un po’ nudo anche io. Sto aspettando questo momento da un mese, e lo voglio, Elena, lo voglio davvero… Ma se dovessi avere di nuovo paura, se volessi tirarti indietro, allora fermami. Perché sei più importante della mia voglia di scopare. E fidati, quella è tanta.»

Mi viene da sorridere, ma lui è così serio che non lo faccio. Mi sporgo verso di lui per baciarlo, e lo colgo di sorpresa, visto che non risponde subito. Poi, però, mi accarezza la guancia, attirandomi a sé.

«Siamo intesi, allora?» mi chiede, con uno sguardo così intenso e serio che fatico a credere che sia lo stesso Filippo Longo scanzonato che si è avvicinato a me quel giorno davanti alla sede della Vulnus.

«Sì. Andiamo» sussurro, e lui fa ripartire la macchina.

 

Le ragazze mi lasciano sempre la porta accostata, così la richiudo come sono dentro anche se non ho idea di dove siano loro. Il bollitore di Arianna gorgoglia dalla cucina e la trovo lì insieme ad Alice e a tre tazze posate sulla credenza.

«Stiamo preparando il tè, così ci scaldiamo ed evitiamo di addormentarci sui libri» mi accoglie Alice, con un sorriso forzato.

«Tutto bene?» chiedo a entrambe. Arianna è rimasta stranamente in silenzio e mi ha solo guardato appena sono entrato nella stanza.

«Questo esame sta diventando un delirio, abbiamo scoperto poco fa che una ragazza è stata mandata via quasi a male parole dal professore all’appello di settembre…» Arianna si raccoglie i capelli in una coda bassa, facendo attenzione a non mandarli verso le tazze. «Sono un po’ preoccupata. Noi possiamo anche studiare e prepararci, ma se quello è matto, è matto.»

Il bollitore si spegne da solo, segnalandoci che l’acqua all’interno è bollente, così lascio le ragazze a occuparsi degli infusi e vado nel salone. Loro hanno occupato una buona metà del loro “tavolo da ospiti” con i loro appunti, quaderni e fotocopie varie, così mi metto all’angolo opposto e tiro fuori il libro di economia dallo zaino.

Alice mi porge una tazza. «Mi sa che è bello matto anche il tuo professore, per averti bocciato due volte. Insomma, tu sei uno intelligente e che si applica.»

«Già…» Non dico la verità, cioè che la prima bocciatura sono andato a cercarmela e che quando mi sono ripresentato l’anno scorso quello stronzo si ricordava ancora di me. Sarebbe troppo umiliante raccontare com’è andata, persino a loro che ormai sono due amiche.

Arianna si siede davanti a un mucchio di appunti evidenziati, che scosta per non rischiare di bagnarli con il tè «Daniè, c’hai ‘na faccia…»

Parla lei, che di solito è sempre allegra…

Non le rispondo, limitandomi ad assaggiare un sorso di tè bollente, che mi scotta le labbra. Alla mia destra c’è la copia del Giorno di Elena, dentro ci ha anche lasciato la sua matita. Mi ritorna in mente quella volta sull’aereo per la Germania, quando è venuta a sedersi accanto a me per studiare in pace… E adesso se lo fa, è solo perché Pippo sta cazzeggiando insieme agli altri e non la aiuta a concentrarsi. Sono proprio un idiota…

 «Mi sa che stanotte dovrò dormire da voi.» Non è proprio la cosa più sensata da dire, ma è la prima a cui penso. Sono così sconfortato che non mi preoccupo nemmeno di apparire tranquillo, tanto si sono accorte da solo che mi sento uno schifo.

«Elena ci ha già avvertite» commenta Alice, piegando le labbra all’ingiù. «Mi dispiace.»

Arianna non dice niente, ho l’impressione che ne abbiano parlato in mia assenza.

«Non ditelo a Elena, ha l’occasione di essere felice, non rovinatela per me.»

«Tesoro, ma guarda come stai…» Arianna toglie il filtro del tè dalla tazza, posandolo in un bicchiere. «Lei può essere felice, certo, ma tu si vede proprio che stai a pezzi. E me ne sono accorta io, se non se ne accorge Pippo che sta sempre con te è un miracolo!»

Non se ne accorgerebbe neanche se glielo dicessi a chiare lettere. «Pensa solo che sono nervoso e che dovrei scopare anche io.»

Alice picchietta con le dita sul tavolo. «Ragionamento da uomini, non mi stupisco.»

Abbasso lo sguardo, per non sentire quelli delle ragazze su di me. So che mi stanno guardando, al loro posto mi guarderei anche io. «Mi basterebbe che andasse per il verso giusto una cosa, una sola.»

Arianna sporta un plico di fotocopie. «Se vuoi sfogarti, noi siamo qui. E ti ascoltiamo, sicuramente è meglio che fare il centesimo ripasso di questo coso.»

Guardo Alice, che mi annuisce. Non lo diranno a Elena, mi fido di loro.

«La nazionale… non sono potuto andare, e Pippo continua a vantarsi di come ha giocato mentre io ero a casa. Ok, ha giocato bene, ma io sono comunque stato di merda e lui non se ne è neanche reso conto. Elena sta con lui, è innamorata di lui e non vede nessuno che non sia lui… E avendola intorno tutto il tempo è difficile persino respirare in pace, non so come farò senza impazzire. E non riesco neanche ad allenarmi bene, quindi chissà come giocherò le prossime partite… E se non gioco bene, finisco in panchina. E non voglio stare in panchina.»

«Non starai in panchina. Anche se non giochi bene, sei forte lo stesso. Nelle rotazioni Colucci ha bisogno anche di te. Anzi, soprattutto di te.» Alice mi fissa seria. Ha imparato in fretta i termini e i meccanismi del basket, un po’ grazie a Elena, un po’ perché ha chiesto spiegazioni a me per ciò che non capiva. E ora li sta usando per tirarmi su.

«Concordo» dice Arianna. «Non rubi l’occhio come chi fa venti o trenta punti, ma sei fondamentale anche tu.»

Sorrido. Mi ci voleva una piccola iniezione di fiducia, almeno su ciò che so fare meglio e che in questo periodo non mi riesce granché bene. «Grazie.»

«E per Elena, non ci pensare. È solo un periodo, passerà.»

 

Filippo mi guarda nel riflesso dell’ascensore. Non si è più tolto quell’espressione seria dal viso e il fatto che abbia preso in questo modo la mia insicurezza mi mette a mio agio. Ha capito quanto per me sia importante.

Ha quello sguardo penetrante che mi fa impazzire. Se non avessi paura di frantumarmi in mille pezzi, lo stringerei a me già qui dentro.

Mi accarezza la schiena e, attraverso il cappotto, riesco a percepire la sua dolcezza. Si china verso di me e mi lascia un bacio sulla guancia. «Vuoi toglierti subito le lenti?»

Annuisco. «Sì, è meglio. Preferisco essere miope ad avere per tutto il tempo il pensiero del “devo togliermi le lenti”.»

Sorride e mi bacia ancora sulla guancia, più alle labbra rispetto a prima. «Se vai nel pallone, stavolta non scappare, ma fermami.»

Il suo viso è a un millimetro dal mio, ancora chinato come se volesse darmi un altro bacio, ma l’ascensore si ferma e siamo costretti a interromperci.

Mentre lui prende le chiavi di casa e apre la porta, mi porto una ciocca dietro l’orecchio. Vuole che lo fermi se dovessi entrare nel panico… significa che gli importa. Non me l’avrebbe detto, altrimenti.

Lo precedo all’interno dell’appartamento e poso la borsa sul tavolo, prima di sfilarmi il cappotto, che lui appende subito. Mi siedo e prendo il flaconcino del collirio e gli occhiali, insieme allo specchietto.

«Questo toglie tutto il romanticismo» ridacchia Filippo, mentre mi tolgo le lenti – senza dover usare il collirio!

Vado a buttarle, sentendo il suo sguardo su di me. La cucina è separata dal salone solo per un arco, non c’è neanche una porta, e così lo vedo mentre mi fissa attento sulla soglia. O forse sta solo pensando a quale sia il modo migliore per riprendere il “discorso”.

Ritorno alla mia borsa e frugo all’interno per acciuffare gli occhiali, che indosso subito.

Filippo mi si avvicina e mi mette le mani sui fianchi. «Sembri ancora più intelligente, così.»

«Stai dicendo che sono stupida?» sorrido, portandogli le braccia al collo e lasciandomi stringere dalla sua presa. Sa anche lui che sto scherzando.

«Se fossi stupida, non lavoreresti alla Vulnus.» Mi bacia, con il respiro che si fonde nel mio, la lingua che cerca la mia. Fa salire le mani sulla mia schiena, attirandomi ancora di più a sé. E mi ritrovo con il bacino contro il suo, a desiderare che il contatto si faccia ancora più stretto. A desiderare che non ci siano più i vestiti a fare da barriera tra noi due.

E lo sento, sento benissimo che anche per lui è lo stesso.

«Ci spostiamo in camera?» sussurra, prima di baciarmi sulla guancia e di iniziare a scendere sul collo. Le sue mani si piantano sul mio fondoschiena con una presa dolce, e mi fa sedere sul tavolo.

Gli cingo i fianchi con le gambe, e Filippo si avvicina ancora di più a me – per quanto possibile, visto che siamo già stretti l’uno all’altra. Le sue dita risalgono sulla mia schiena, cercando la lampo del vestito, ma lo blocco.

«Non ora» rispondo al suo sguardo confuso.

Mi porta l’indice sotto il mento e mi bacia a fior di labbra. «Va bene.»

Scendo dal tavolo e lo conduco in camera mano nella mano, spegnendo le luci al mio passaggio. Al buio della sera, che entra dalle tapparelle insieme all’illuminazione dei lampioni del cortile del palazzo, distinguo i mobili e i loro contorni, così raggiungo il letto sfatto.

«Non sapevo che saremmo stati qui, altrimenti avrei rimesso in ordine.» La sua voce è un soffio nel mio orecchio, che mi procura un brivido di piacere. Riprende a baciarmi il collo, abbracciandomi da dietro, ma mi volto e lo guardo negli occhi, per quel che posso vedere. Attiro il suo volto al mio con una mano, come dicendogli che preferisco i baci sulle labbra.

Mi fa sedere sul letto, continuando a baciarmi, e allunga una mano per accarezzarmi la coscia coperta dai collant. Si siede al mio fianco, così mi metto a cavalcioni su di lui. Prova di nuovo ad abbassarmi la lampo del vestito e stavolta non lo fermo. E non lo fermo nemmeno quando mi sgancia il reggiseno facendomi rimanere mezza nuda davanti a lui.

«Devi spogliarti anche tu» gli sorrido, come se fosse un gioco. Mi sento leggera, mi sento bene.

«Fai pure.» Anche Filippo sorride, canzonatorio. Così gli sbottono piano piano la camicia, che lui lancia da qualche parte sul pavimento, e faccio scorrere le dita sugli addominali scolpiti. Li avevo già visti, avevo già sfiorato il suo corpo, ma solo attraverso i vestiti.

Lo bacio sulla guancia, mentre lui spinge il bacino verso di me, accarezzandomi il seno con entrambe le mani. Ha un tocco delicato e preciso, che mi fa desiderare ancora di più che quelle mani mi tocchino ovunque.

«Principessa, devi continuare, non mi spoglio da solo se non lo fai tu!» Continua a sorridere, come se gli piacesse la situazione che si è venuta a creare tra noi.

«Non chiamarmi “principessa”» sussurro, sfiorandogli il naso con il mio.

«Perché?» mormora lui, portando una mano sui miei collant e iniziando a sfilarmeli. Indugia un po’ troppo sul gluteo, ma lo palpeggia in modo tanto piacevole che non gli direi mai di sbrigarsi.

«Perché si può dire a chiunque, chissà a quante l’avrai detto… Ed è troppo sdolcinato per me.»

Mi lascia un altro bacio leggero sulle labbra, poi mi fa sdraiare sul letto. Solleva la gonna del vestito e continua ad abbassarmi i collant fino a quando non arriva alle scarpe con il tacco, semplici, che ancora non ho tolto. Si alza in piedi, poi si inginocchia davanti ai miei piedi, che non sfiorano terra neanche lontanamente.

«Non l’ho detto a nessun’altra, solo a te, perché Elena è un nome da principessa» mi sorride, aprendo il gancetto della scarpa. Me la sfila con la stessa delicatezza che avrebbe avuto il Granduca di Cenerentola se invece di infilarle la scarpetta al piede gliel’avesse dovuta prendere. Come se fosse di cristallo. Come se io fossi la ragazza che il destino gli ha destinato.

«No, non è da principessa.»

«Hai ragione, ha sposato un re, quindi è un nome da regina.» Passa all’altra scarpa e la sistema al fianco della prima davanti al comodino, prima di rialzarsi. Rimane immobile a guardarmi per un istante, poi si siede di nuovo sul letto e mi bacia il collo. «Mia madre ha deciso di chiamarmi così per il principe della Bella addormentata. E sei l’unica a saperlo… a parte Daniele, perché a lui lo ha detto proprio mia madre! Quindi posso chiamarti “principessa” quanto voglio.»

Scoppio a ridere, perché non mi aspettavo una confessione del genere. «Basta che lo fai solo quando siamo da soli. Dev’essere una cosa nostra.»

«Va bene, principessa


Spazio autrice
Per questa volta ho preferito censurare la parte finale, perché non sapevo se avrei dovuto alzare il rating da arancione a rosso e almeno per ora ho preferito di no.
Questo capitolo è stato abbastanza travagliato, ci ho messo tantissimo a scriverlo... E spero di non aver deluso le aspettative!
Vi sta piacendo come si sta sviluppando la storia tra Filippo ed Elena? Anche se in alcuni momenti ha avuto delle uscite da cavernicolo, non lui è un cattivo ragazzo (altrimenti non si sarebbe preoccupato per Elena no?).
Baci a tutti e buonanotte (o buongiorno se lo leggete domattina!),
Snowtulip.

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Lascio lo zaino accanto al tavolo e vado a farmi una doccia. Alice mi ha detto che potevo farla da loro, ma non credevo che fosse il caso, così sono tornato a casa.

Esco dal bagno mentre ancora regna il silenzio, così mi azzardo ad avvicinarmi alla camera di Pippo e mi affaccio – ha lasciato la porta spalancata.

Elena sta dormendo rivolta verso di me, e non verso lui. Ha la spalla nuda, quindi dev’esserlo anche sotto… I capelli sciolti le ricadono indietro, così posso vedere il suo viso e la sua espressione serena. Non riesco a vedere se è ancora truccata, ma non voglio saperlo. Sapere che si è fatta prendere da Pippo al punto da non struccarsi mi fa solo stare peggio.

Accosto la porta e vado nel salone per rimettermi a studiare. Per fortuna ho fatto colazione dalle ragazze, perché in questo momento non ho la forza nemmeno per pensare a mettere su la moka. Già solo il pensiero di dover riprendere i libri mi fa contorcere le budella e salire i conati, ma non ho molta scelta. È dal primo anno che sto lottando con questo esame, prima o poi dovrò passarlo.

Mordicchio la matita, nervoso. Non riesco a concentrarmi, continuo a pensare che loro due sono a letto, e che se non sanno che sono qui potrebbero rifare quello che hanno già fatto ieri sera mentre io posso sentire tutto.

Cazzo, no, basta.

«Ciao, Pala.» Elena è sbucata dalla camera, e indossa un vestito con uno scollo a cuore che fa risaltare quello che c’è sotto.

Perché la guardo sempre lì? Sto diventando peggio di Pippo!

Le gambe nude si muovono sensuali fino alla cucina e arrivano al frigorifero per prendere il latte. Dio, è troppo bella anche appena sveglia con i capelli spettinati lungo la schiena, così diversi da quando è alla Vulnus o in biblioteca a studiare, quando li tiene legati e in ordine il più possibile.

Si volta a prendere una tazza e si mette in punta di piedi, così riesco anche a vederle il culo, sembra così morbido e sodo allo stesso tempo… Non ce la posso fare, devo staccare gli occhi da lei.

Non ci riesco – e una piccola parte di me nemmeno vuole provarci. Non posso farmi avanti perché è la ragazza del mio migliore amico, ma perché non posso limitarmi a guardarla? Anche sapendo che tra noi non ci sarà mai niente, che male c’è a guardare una bella ragazza? Non le sto facendo nulla di male, no?

Cazzo, basta pensare.

Si versa il latte e mi raggiunge al tavolo. Mi siedo spingendo la sedia in modo da stare attaccato al libro di economia perché, anche se i jeans nascondono bene quello che mi sta succedendo là sotto, non sono sicuro che lei non se ne accorga. Farei davvero una figuraccia.

«Avevi ragione, ho fatto bene a buttarmi» mormora, come se temesse che lui possa sentirci. Beve un sorso di latte e le labbra le rimangono macchiate di bianco. Non può essere attraente anche così!

Vorrei dirle che no, non ha fatto bene, ma mi trattengo. «Come ti senti?»

«Leggera, come se mi fossi tolta un peso.»

Il suo peso è passato a me. Anche questo, però, evito di dirglielo.

«Non vi ho svegliati, vero?»

Scuote la testa e mi sorride, bellissima. «Ero già sveglia quando sei arrivato, ma non volevo fare colazione da sola. E non volevo neanche svegliare Filippo.»

«Dovevi farlo, ti avrebbe portato la colazione a letto!» ridacchio, ma dentro di me sto sprofondando. È più difficile di quanto pensassi riuscire a nascondere tutto.

«La colazione a letto si sarebbe trasformata in qualcos’altro… E non posso dargliela vinta tutte le volte.» Continua a sorridere con aria sognante, è talmente presa da Pippo che non immagina neanche alla lontana l’effetto che mi fa. «Ho l’impressione che se fosse per lui passeremmo tutto il tempo in camera. E non voglio assecondarlo troppo.»

«Vuoi avere la situazione sotto controllo?» le chiedo, per comprendere nel caso in cui Pippo venisse di nuovo a lagnarsi con me. Un altro aspetto che mi piace di lei è che le piace gestire tutto quello che le succede. Dalla prima cotta per lui, che all’epoca pensava fosse poca cosa, alla relazione – anche nel malaugurato caso in cui diventasse stabile.

«Diciamo che non posso permettere che ci sfugga di mano. Io riesco a mantenere un certo tono nei momenti in cui siamo insieme agli altri, ma se a lui venisse in mente di baciarmi dopo una partita, davanti a tutti…» Sospira e fissa un punto nel vuoto. Beve l’ultimo sorso e posa la tazza sul tavolo.

«Digli di stare attento.» In circostanze diverse, mi sarei offerto di parlare con lui, ma un pochino spero che lui commetta un passo falso. Però capisco anche come potrebbe sentirsi lei. «Il coach potrebbe non vederla molto bene.»

«Non la vede per niente bene, mi ha già fatto il terzo grado.»

«Mi dispiace.» Mi dispiace? Ma non è vero! Non mi dispiace per niente che il coach li tenga d’occhio! Voglio proprio vedere se, pressato, Pippo fa qualche stronzata delle sue!

«Mi ha chiesto anche di te.»

Come di me? Perché? Non se ne è accorto Pippo, ma il coach sì? Non ci credo che Teo gliel’abbia detto, deve averlo capito da solo! «Ti ha chiesto… cosa

«Sai, tu e Alice…» Si mordicchia il labbro, dove ci sono ancora alcune tracce del rossetto di ieri sera. Quelle labbra che non ho baciato io. «Pensava che anche voi foste insieme.»

Abbozzo un sorriso amaro. «Non mi crede nemmeno quando dico le cose come stanno.»

«Penso che ti creda, ma voleva anche la mia versione.» Picchietta con le dita sul tavolo e l’occhio mi cade sulle unghie ben curate, smaltate con lo stesso rosso scuro del rossetto. Non so se ha scelto quel colore per far capire le sue intenzioni a Pippo, ma quella tonalità le sta fin troppo bene – e in ogni parte del corpo.

«Far venire Alice è stata una pessima idea.»

Lei sorride e mi accarezza la guancia, con la mano a metà tra la pelle del mio viso e la barba. Ma cazzo, non può fare così… «Daniele, Alice era la persona migliore per aiutarti, soprattutto se doveva fare la tua finta fidanzata, visto che è lesbica.»

«Lei è cosa? Ma mi ha baciato!» Mi scosto dal suo tocco e mi porto le mani alle tempie. Non posso crederci, per questo era così tranquilla e disinvolta!

«Be’, è anche una brava attrice. E ha detto che baci bene e che non le è dispiaciuto.» Il suo tono è complice, ma Elena non può neanche immaginare che quella sera avrei voluto baciare lei e non la sua coinquilina.

«Cristo santo…» Questo spiega parecchie cose, a cominciare dal fatto che mi ha ripetuto più volte che non sono il suo tipo. Ecco perché non lo sono!

«Buongiorno, tu!» Pippo è appena uscito dalla sua stanza, completamente nudo.

«Cazzo, vatti a mettere qualcosa addosso!» esclamo, cercando di nascondere il disappunto. Doveva proprio mettersi in mostra così? Avevo capito lo stesso che hanno scopato, non serviva che facesse prendere aria alle palle!

«Tanto mi avete visto nudo tutti e due!» Sparisce di nuovo, e si fa rivedere solo con le mutande. Be’, meglio di niente.

«Ma non sei un bel vedere!» lo prendo in giro come avrei fatto in una situazione diversa, come se Elena non fosse qui.

Ma lei c’è e lo guarda fisso negli occhi con quell’espressione sognante. Cazzo, l’ha davvero stregata come si deve… perché non è successo a me? Perché non si è innamorata di me, ma di lui?

Prendo il telefono e mando un messaggio a Matilde, con il nostro codice dell’allarme rosso. Sto diventando matto, ho bisogno di sentire che ne pensa lei.

 

Mancano dieci secondi alla fine della partita di Eurocup contro il Valencia. Siamo 78-80 per loro e i nostri avversari hanno tra le mani l’ultima azione. Jemmy intercetta un passaggio e la passa a Teo, che con un lancio quasi rugbistico raggiunge Filippo nell’altra metà campo. Lui si guarda intorno e vede che il loro centro sta tornando in difesa, così lo aspetta e tira a canestro, subendo anche il fallo.

Adesso siamo pari e lui ha la possibilità di mandarci avanti e di farci vincere la partita. Mi sento il cuore in gola, il Palavulnus è in silenzio religioso dopo l’esplosione di gioia al pareggio.

Ed è tutto nelle sue mani.

Fa rimbalzare il pallone a terra, poi prende la mira.

Il tiro finisce sul ferro, ma Léo recupera palla e la passa a Teo, che a sua volta la rigira a Pala, che con un passaggio rasoterra la fa finire di nuovo a Filippo. Con una finta fa saltare il difensore avversario e schiaccia a canestro.

82-80 per noi sulla sirena.

Scoppia di nuovo il boato, i ragazzi esultano come se fosse la partita decisiva della stagione e si radunano insieme a chi stava in panchina in un abbraccio di gruppo. Poi vanno sotto il tifo più caldo del Palavulnus e applaudono tutti coloro che sono venuti qui in un pomeriggio di metà settimana per sostenerli contro una delle favorite per la vittoria finale.

Dall’emittente televisiva mi dicono che Filippo è l’Mvp del match e che devo portarlo da loro, così lo raggiungo mentre sta salutando gli avversari.

«Dopo festeggiamo?» mi chiede, con quel sorrisetto provocatorio.

Scuoto la testa. «Domani ho l’esame, non posso fare tardi.»

Non ha il tempo di replicare, perché lo lascio alla giornalista che lo deve intervistare e vado a fare i complimenti agli altri ragazzi. Teo mi fa l’occhiolino, Jérémy sorride imbambolato, e il Niko abbraccia chiunque gli capiti a tiro con sonore pacche, senza badare a quale parte del corpo colpisca, visto che prende in pieno il sedere di Marco, che si gira e gli scoppia a ridere in faccia.

«Bella partita!» dico a Pala, battendogli il cinque.

«Grazie.» Lui sorride, arrossato e accaldato per gli ultimi frenetici minuti. Poi abbassa la testa e sparisce nel corridoio verso gli spogliatoi, proprio quando qualcuno mi afferra i fianchi da dietro e mi bacia la guancia.

Mi volto, ma non mi serve per sapere che si tratta di Filippo. Mi bacia, ancor prima che possa rendermene conto, anche se mi separo subito dalle sue labbra.

«Non qui.»

Annuisce e mi precede verso gli spogliatoi, intenzionato a baciarmi di nuovo. Questa volta, però, lo fermo prima.

«Non è il momento» gli dico, seria. «Vai a cambiarti, ne riparliamo dopo.»

Appena rimango sola, esalo un profondo sospiro. Ci mancava solo che mi baciasse sul parquet, davanti a più di qualche telecamera… L’avranno inquadrato per forza, è stato il giocatore decisivo! Non volevo essere vista con lui, non in questo modo, non adesso che la nostra storia è ancora gli inizi…

Mi porto le mani alle tempie. Accidenti, mio padre a casa ha di sicuro guardato la partita, e se avesse visto anche questo? Spero proprio di no…

Salvatore per fortuna era già andato a preparare la sala stampa, quindi sono al riparo almeno da lui e dai suoi sguardi severi. Però non mi sento del tutto tranquilla.

Pala esce dallo spogliatoio, cambiato con zaino in spalla e sacca per le scarpe in mano. Mi rivolge uno sguardo silenzioso, poi si avvia verso l’uscita a passo rapido, tanto che devo rincorrerlo.

«Daniele» lo saluto, con il fiato corto.

«Ehi, Elena.» Si gratta la barba sulla guancia, inespressivo. «Ti accompagniamo noi, giusto?»

Annuisco. «Sì.»

Da un paio di giorni i nostri dialoghi si sono ridotti all’essenziale, e sono quasi sempre legati al fatto che lui e Filippo mi riportano a casa o alla tensione dei rispettivi esami… Ieri sera, a cena con noi, Alice e Arianna, avrà detto sì e no cinque frasi. E tutte su economia politica.

«Tutto bene?»

«Sì, sì. Alla fine Pippo ha fatto quello che non volevi…»

Intende quel bacio. «Già, dopo glielo dico.»

Si richiude nel suo silenzio pensieroso e, appena raggiungiamo la macchina nel parcheggio, ci si appoggia, prende il telefono e scrive un messaggio – o forse sta solo condividendo sui social le foto della partita e le storie in cui l’ha taggato la pagina ufficiale della Vulnus.

Rimaniamo così per qualche minuto, in cui avviso le ragazze che sto tornando a casa e che non mi devono aspettare sveglie, visto che domattina dobbiamo alzarci presto.

«Quanta vitalità!» Filippo è appena sbucato dall’ingresso del parcheggio insieme a Niko e Mike. «Su, abbiamo vinto! Che sono quelle facce?»

«Le facce pre-esame» gli rispondo come è più vicino. Lui apre il portabagagli e ci lascia le varie cose del cambio, così come fa anche Pala. Poi mi si avvicina e mi mette di nuovo le mani sui fianchi, chinandosi per sfiorare il viso con il mio.

«Ho fatto qualcosa che non va, vero?»

«Non dovevi baciarmi, c’erano le telecamere» sussurro, stretta tra lui e la portiera chiusa dell’auto. Il contatto con Filippo è sempre piacevole, persino ora che avrei il diritto di essere risentita. Ma il suo calore, le dita che scivolano sotto la maglia e vanno a toccare la mia pelle mi mandano il cervello in pappa. «Abbiamo rischiato troppo.»

Mi bacia la guancia. «Scusa, principessa

Se non fosse stato un mormorio a malapena percettibile, l’avrei piantato su due piedi e avrei chiesto un passaggio alla prima persona che fosse arrivata.

«Sei fortunato perché sai farti perdonare.»

«Vogliamo rimanere qui tutta la notte?» Pala batte le nocche contro il tetto della macchina, infastidito. Capisco benissimo che avere a che fare con due “innamorati che fanno le tortorelle” – come ci ha definiti Arianna – possa essere snervante… E lui ha anche il pensiero fisso di domani!

Faccio per aprire la portiera ai sedili posteriori, ma Daniele mi indica di andare davanti con un cenno del capo. Lo fa sempre, anche se io continuo a pensare che visto quanto è alto potrebbe essere di intralcio al suo amico quando guida.

Oppure ho il sospetto che loro siano d’accordo, perché Filippo non manca mai di posarmi una mano sulla coscia, persino quando è coperta dai pantaloni. Questa sera ho anche il cappotto lungo, che scosta per accarezzarmi quando siamo fermi a un semaforo.

Pala non dice una parola per tutto il tragitto, forse stanco per la partita e sovrappensiero. Questo esame di economia politica lo sta davvero facendo dannare, ormai è diventato il suo unico argomento di conversazione…

Quando mi lasciano al portone, Filippo mi trattiene per un lungo bacio appassionato, interrotto da Daniele che apre la portiera. Lascio un ultimo bacio a fior di labbra al mio ragazzo e saluto Pala con un sorriso, prima di salire a casa.

 

Spazio autrice
Eccoci anche a questo capitolo pieno di sofferenza per il nostro Daniele! Devo ammettere che calarmi nel suo pov questa volta è stato molto divertente (per quanto lui non sarebbe d'accordo...). Il suo silenzio ha un ottimo motivo (e noi sappiamo benissimo qual è!), anche se Elena è leggermente fuori strada...
E finalmente siamo quasi al giorno dell'esame, sia per lui sia per le ragazze! Lo passeranno? Lo scoprirete al prossimo capitolo!
Buon venerdì e buon finesettimana, già che ci siamo!
Baci a tutti,
Snowtulip.

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Esco dallo studio del professore e butto fuori tutta l’aria che per un’ora ho trattenuto nei polmoni. Non posso ancora crederci. L’ho passato.

Auguro buona fortuna ai ragazzi che stanno aspettando di entrare ed esco dalla facoltà, camminando spedito verso quella di Lettere. Alice mi ha dato le indicazioni precise per raggiungerle, così entro dall’ingresso principale, salgo due rampe di scale e arrivo al primo piano. Imbocco un corridoio e trovo lei e Arianna su una panchina di legno, in mezzo a un corridoio che pullula di studenti che vanno e vengono diretti in chissà quale aula.

«Elena?»

Alice indica con il mento uno studio chiuso. «Dentro. È entrata poco fa, quello stronzo se l’è presa con comodo a venire a fare gli esami.»

«Daniè, l’hai passato?»

Annuisco all’indirizzo di Arianna. «Stavolta sì.»

Mi sorridono entrambe, rincuorate, poi si rimettono a leggere gli schemi con appunti o altre cose dell’esame.

Mi siedo accanto ad Alice e prendo il telefono. Devo dirlo a Matilde, finalmente ce l’ho fatta. Mi sento sereno, mi sono tolto questo scoglio che mi trascinavo dietro da fin troppo tempo… Ed era anche ora che me ne liberassi. Ce l’ho fatta.

Grande, Dani! Allora questo finesettimana vengo da te, dobbiamo festeggiare alla grande!

Cazzo… Domenica è il mio compleanno. Con l’ansia di questo esame e lo stress che mi procurano Elena e Pippo non avevo tutta questa voglia di festeggiare. Aver passato economia, però, mi dà una bella spinta: non dovrò più vedere quel verme in tutta la mia vita. Solo per questo dovremmo aprire una bottiglia di spumante.

Ho la partita di pomeriggio, non so se poi i ragazzi mi costringeranno a festeggiare con loro.”

L’anno scorso Pippo e Niko avevano prenotato in un locale, dove siamo stati insieme alla squadra… Stavolta ho voglia di qualcosa in privato e con meno persone. Se non avessi gli allenamenti, me ne tornerei ad Ascoli e ci starei per un paio di giorni. O forse una gita fuori porta a Recanati… Io e Mati progettiamo di andarci da un sacco di tempo, è assurdo che non ci siamo mai stati.

Chiedo a Pippo se ti stanno facendo qualche sorpresa?

Sì, vai. Tanto ora si sta allenando e non ti risponde.”

Dani, ma Elena? Sei riuscito a parlarle?

Ci mancano solo lei e la speranza che se Elena sapesse di me lascerebbe idea su Pippo… Come no, molto probabile. Sono disilluso, non mi aspetto che metta da parte un belloccio come lui per me.

No, che devo dirle? Sono innamorato di te, ma tu stai con il mio migliore amico?

Sarebbe un inizio!

Sarebbe una cazzata!

«Che succede?» bisbiglia Alice, così le mostro lo schermo del telefono. Lei scuote la testa. «Stavolta hai ragione tu, non puoi dirle niente.»

La porta dello studio si apre davanti a noi, e ne esce Elena, pallidissima e con gli occhi lucidi. Le tremano le labbra, si sta trattenendo dal piangere. Si poggia sullo spazio libero alla mia destra per mettere libri e dispense nello zaino, con i capelli che le coprono il viso.

Il professore chiama Alice per l’esame e così lei va dentro.

«Che testa di cazzo» sussurra Elena. «Mi ha detto che non so fare la parafrasi solo perché ci ho messo un secondo di troppo a sbrogliare un pezzo intricato. Ero pronta, ho preparato questo esame per un anno!» Fa una smorfia che cerca di trattenere le lacrime, ma ci riesce male perché ha già entrambe le guance bagnate.

Mi alzo in piedi. Devo fare qualcosa, non posso vederla così. «Andiamo, ti prendo qualcosa.»

Salutiamo Arianna, che ha una faccia molto più preoccupata di prima. Se hanno bocciato Elena, rischia grosso anche lei. Le ho sentite ripetere in vista dell’esame, sapeva tutto…

Mi guida al piano superiore, dove ci sono le macchinette. Si siede vicino alla vetrata e, visto che non c’è fila, le prendo subito un tè e un Kinder Bueno – Alice mi ha detto che ne va matta.

Soffia sul tè, spargendo il fumo intorno, e gira il cucchiaino continuando a piangere. Non ce la faccio a vederla così, non per un esame…

Mi siedo vicino a lei, e le passo un braccio intorno alle spalle stringendola a me. Non posso baciarla, non posso esserle più vicino, ma forse sono la persona che può capirla meglio di tutte. «Un esame non indica quello che vali, non l’avrebbe indicato neanche se l’avessi passato.»

Scuote la testa e tira su con il naso. «N-non si tratta di questo. La b-borsa di studio m-mi avrebbe coperto qu-questo semestre s-se mi fossi laureata a marzo, m-ma quel b-bastardo non ha messo appelli a gennaio e c-così mi fa slittare t-tutto… T-tra una settimana ho l-letteratura inglese, ma su qu-quello sono tranquilla, i-il prof ha il trenta facile. P-però questo dovevo passarlo per forza, e-e i-invece…» Singhiozza, rischiando di rovesciare a terra il tè dal bicchiere. «N-non posso p-permettermi di fare t-tutto un anno fuori corso, n-non so se rimarrò alla Vulnus, e-e i s-soldi di questo stage n-non copriranno le spese fino alla p-prossima borsa di studio, che a qu-questo punto avrò tra d-due anni, visto che questa e-estate non la p-potrò chiedere e che p-poi prima che arrivino i s-soldi ci vorranno altri m-mesi…»

Mi guarda, da dietro le lenti degli occhiali. Sta ancora piangendo, non ha smesso per un solo secondo. Si ferma per bere un sorso di tè, e così le lacrime scendono ancora più abbondanti. Ed è bella, bellissima, e io mi sento un imbecille a pensarlo.

«Secondo me resterai, non vedo perché Salvatore non dovrebbe tenerti.» Le sorrido, spero di tirarla su, ma Elena non mi sta guardando.

Inspira ed espira, regolarizzando il respiro e smettendo di singhiozzare. «Daniele, dovrò tornare a Roma per fare la magistrale. Io non voglio tornare a Roma. Si sta mettendo male e rischio di non avere alternative. Non posso permettermi di rimanere qui senza borsa di studio.»

Una lacrima le finisce in bocca, tra quelle labbra che lei continua a stringere, nervosa. E mi viene un pensiero, un pensiero tremendo… ma è l’unica cosa che potrebbe farla stare meglio.

«Se ne parli con Pippo, potresti rimanere da noi. Senza preoccuparti dell’affitto o di altro…» Non sarebbe l’ideale per me, ma se il pensiero di tornare a Roma la fa stare così…

«No, non voglio l’elemosina da nessuno.»

«Non è elemosina, sei la sua ragazza.» Dirlo fa malissimo. È la sua ragazza.

«Preferisco trovare un lavoro per cui vengo pagata di più rispetto a uno stage, in modo da poter mettere da parte quanto basta per pagarmi almeno il prossimo anno…» Beve il tè, che nel frattempo si è raffreddato. «Ormai questo esame è come se l’avessi preparato, ho parecchi mesi per mettere da parte i soldi, visto che mi rimane solo da scrivere la tesi.»

Rimango in silenzio, perché non mi ascolterebbe. Sta ragionando più tra sé e sé che con me. Mi rendo conto solo così che la conosco appena. Sono innamorato perso e la conosco appena: non avevo idea del fatto che avesse problemi economici… In questo periodo non ne ha mai parlato, immagino che se ne vergogni.

Ora che ci faccio caso, Elena è molto attenta con i soldi, quando andiamo a cena fuori cerca sempre di non spendere troppo, scegliendo sempre i piatti più economici. È stata brava a nascondere che fosse per risparmiare, perché me ne sto accorgendo solo adesso.

«Oppure potrei prendermi un anno sabbatico dall’università e lavorare…» Sospira e si sposta una ciocca di capelli dal viso, portandosela dietro l’orecchio. Apre il Kinder Bueno e mi offre uno dei due pezzi.

«Ma se lo stage diventasse un lavoro, potresti mantenerti con quello?» le chiedo, aprendo l’incarto.

«Non lo so… credo di sì.»

«Dovresti parlarne con Salvatore, secondo me non vede l’ora di assumerti. Forse le ore di lavoro saranno di più, ma saresti anche pagata di più…»

«E posso preparare gli esami da non frequentante e farmi passare gli appunti dalle ragazze per quelli che abbiamo in comune.» Finisce di mangiare in silenzio, poi va a buttare in un cestino il bicchiere di plastica e dell’involucro del Kinder Bueno e ritorna da me. Si pizzica la pelle dell’indice con le unghie del pollice e del medio, si mordicchia il labbro e si mette a frugare nello zaino in cerca di non so cosa.

«Che succede?»

«Sto meglio.» La sua voce è un soffio, ma qui siamo soli e in più c’è anche una leggera eco. «Devo solo avvertire i miei.» Estrae il telefono, digita un messaggio e lo getta dentro alla rinfusa.

 

Sfogarmi con Pala mi ha fatto bene. La mia testa va per conto suo, ero certa di passare filologia, me la sto trascinando da un anno… Avevo bisogno di liberarmi e di parlare con qualcuno. E lui era la persona migliore per farlo.

Torniamo al piano di sotto da Alice e Arianna, con la prima che è uscita dallo studio e la seconda che è entrata. Daniele rimane accanto a me, cercando di passare inosservato anche se un gruppo di ragazze, che sta passando proprio ora nel corridoio, gli lancia occhiate ammirate, come se fosse una creatura misteriosa. Come se non avessero mai visto un ragazzo.

«Quel figlio di puttana» borbotta Alice, infilando i libri nella borsa. «Ah, Ele, ti ha messo diciassette, aveva un foglio con i voti davanti a me. È proprio una testa di cazzo.»

«Diciassette?» esclamo, sorpresa. Mi ha messo il minimo per evitare di promuovermi?

«Già… voleva proprio bocciarci: dopo che è entrata Arianna, è passata una tizia che mi ha detto che lui non considera fuori corso chi è appena andato fuori corso, come noi. Quindi nella sua mentalità da imbecille non dovevamo presentarci perché questo appello non è riservato a noi, anche se è per i fuori corso. Chissà quanti culi avrà leccato per essere di ruolo…» Prosegue con una serie di improperi che le scivolano di bocca senza controllo. E lei non vuole nemmeno controllarsi.

«Ho sbagliato a darlo oggi, dovevo farlo a settembre» mormoro. Mi sarebbe andato bene anche un diciotto… Meglio della bocciatura.

Daniele mi passa una mano sulla schiena. «Non potevi saperlo.»

«Ragazzi, io devo volare a lavoro. Arianna pensava che foste già andati via, quindi si è portata la roba dentro. Quindi, se dovete andare anche voi, non vi preoccupate. Vorrei lavorare al bar dell’università per sputargli nel caffè, a ‘sto mentecatto!» Alice ci saluta veloce e poi corre via.

Sospiro, e mi mordo il labbro. Sarebbe il caso di andare, non ha senso restare qui, non posso piombare nello studio di quell’essere e insultarlo – non servirebbe a niente e, per il puro valore catartico degli insulti, posso farlo anche fuori da qui. «Mi puoi accompagnare in sede o Colucci ti sta aspettando?»

Pala si gratta la barba sulla guancia. «No, ti accompagno.»

Scendiamo al piano terra e usciamo dalla facoltà mentre inizia a piovere. Apro l’ombrello, per fortuna ho uno di quelli grandi a cupola che usano i nonni come se fossero bastoni da passeggio e Daniele ci sta sotto senza che sia io a bagnarmi, così ci incamminiamo insieme.

«Se vuoi sfogarti in maniera un pochino più incazzata, io sto qui. Con quello che ha sparato Alice, viene voglia anche a me di dirgliene di tutti i colori!» Con la mano libera si gratta la barba, mentre con l’altra regge l’ombrello.

«Sì, ne avrei bisogno, però, senti, quello che ti ho detto prima, io…» Mi sono mostrata fragile e, per quanto anche in passato mi sia aperta con lui, è un aspetto riservato – quasi segreto – della mia vita, che non deve per nessuna ragione al mondo influenzare tutto il resto, inclusa la mia situazione sentimentale.

«Non vuoi che Pippo lo sappia, giusto?»

Sorrido. Uno dei motivi per cui lo apprezzo è perché intuisce le mie parole ancora prima che le pronunci. «Non avrei dovuto dirlo neanche a te… Per me è un discorso delicato.»

«Elena, guarda che avevo capito.»

Mi fermo e lo trattengo per un braccio. Mi faccio un po’ più vicina a lui, perché si sta scostando. «Sto prendendo l’acqua.»

«Cazzo, scusami.» Arrossisce, è così vicino che posso specchiarmi nei suoi occhi. Mette l’ombrello tra me e lui e sospira, prima di ricominciare a camminare, prendendomi alla sprovvista.

Perché è arrossito? Non è successo niente di grave!

«Non te l’ho chiesto, ma il tuo esame… com’è andato?»

«Ah, bene. L’ho fatto con uno degli assistenti e così non ho dovuto farlo con lui. Mi ha solo firmato il foglio senza neanche guardare chi fossi.» Sorride, rasserenato. Si passa una mano tra i ricci che gli ricadono sulla fronte, poi si tira su lo zaino sulla spalla. «Non hai idea di quanto volessi togliermelo dalle palle.»

«Almeno qualcuno oggi ha passato l’esame!» scherzo, cercando di alleggerirmi. Mi sento ancora un po’ scossa dal trattamento che il professore mi ha riservato. Mandarmi via per la parafrasi, che razza di idiota.

«Oh no…»  Pala ha lo sguardo puntato su una ragazza, anche lei ombrello munita, che si dirige a passo spedito verso di noi. «Passiamo di qua.»

Per un pelo non mi lascia sotto la pioggia scrosciante per cambiare strada, ma stavolta non si scusa.

«Chi è? Una tua ex?» Non riesco a pensare ad altro per questa reazione.

«No, era mia amica.» Sembra una mezza risposta, che cela altri sottintesi che ora non riesco a cogliere, intenta come sono a correre per seguire il suo passo più veloce del mio.

«Daniele!» Una voce femminile lo chiama, e lui si ferma di colpo.

Fa un’espressione stizzita e sospira, voltandosi. «Clara, che vuoi?»

Lei ci raggiunge, dal cappuccio tirato su sbucano lunghi capelli neri tenuti di lato. È vestita bene, riconosco dei pantaloni di buona fattura da sotto il cappotto firmato, con un trucco impeccabile sul viso. Ha tutta l’aria di essere una di Giurisprudenza. Si vestono come se fossero dei professori o degli avvocati di successo e poi denigrano la trasandatezza degli studenti di altre facoltà. Inclusa Lettere, verso cui le frecciatine sono sempre pesanti.

Infatti, mi squadra dall’alto in basso – e so di non essere chissà quale spettacolo dal suo punto di vista, con le scarpe schizzate di fango e pioggia, dei semplici jeans e un maglione anonimo che si intravede dal cappotto.

«Ma questa zoccoletta vi si sta ripassando tutti?»

Cosa?

Avvampo, e non so come faccia a tenermi ancora in piedi. Il cuore mi salta in gola, gli occhi si sono già inumiditi e la lingua mi si è annodata. Non riesco a ribattere, non riesco neanche a dire un “Ma tu chi cazzo sei?”, che sarebbe il minimo. Provo a parlare, ma le parole non mi escono di bocca, mi ritrovo senza la capacità di esprimermi.

«Non ti permettere.» La voce di Daniele non ha niente del tono confidenziale che ha con me, si è fatta guardinga, sull’attenti. Fredda. Mi preoccupa, perché è spaventato. «E sparisci.»

Lei incrocia le braccia, attorno alla presa dell’ombrello. «Te la sei già fatta o è solo roba di Pippo? Così, tanto per capire… State sempre insieme e non mi stupirei.»

«Non dire stronzate e sparisci.»

«Dani, ma io non posso sparire.» Fa un altro passo verso di noi – ora siamo faccia a faccia – e mi scannerizza con aria di sufficienza. Mi fa sentire a disagio e credo proprio che il suo scopo fosse quello. «Ci vediamo in giro. Anche con te, zoccoletta.» Alza i tacchi e se ne va, lasciandoci interdetti.

Pala si passa la mano libera sugli occhi, come se volesse dimenticare di averla vista.

E, sinceramente, vorrei dimenticarlo anche io. “Roba di Pippo”… Io non sono di nessuno!

«Daniele… chi cazzo era?» Scandisco ogni parola con lentezza. Non penso di essermi mai sentita più avvilita di così. E prima, nello studio di quel bastardo, mi ero già sentita trattata come un oggetto da poco; nulla al confronto, però.

«Una stronza.» La voce gli esce strozzata e capisco che i trascorsi con quella ragazza non devono essere stati rosei neanche per lui.

Ma l’insulto era diretto a me, e anche parecchio pesante.

Ricominciamo a camminare, in silenzio.

«Elena, ti spiego in macchina. Mi dispiace, non doveva chiamarti in quel modo…»

Non dico altro. Appena saremo da soli avrò una spiegazione, e per ora mi basta.


Spazio autrice
Almeno qualcuno doveva passare l'esame, no? Abbiamo avuto tutti quel docente simpatico che ci ha messo i bastoni tra le ruote... Ma vi aspettavate che per Elena ci fosse così tanto in ballo? Finora non ho mai trattato l'aspetto economico dal suo punto di vista, perché lei stessa evita di parlarne con gli altri (anche se Alice e Arianna sanno, non le piace parlarne neanche con loro...). Che dite, si risolverà tutto per il meglio?
Devo confessarvi che non vedevo l'ora di scrivere la seconda parte del capitolo e di confrontarmi con un personaggio poco carino come Clara. Siete già pronti a detestarla? Tanto Daniele la odia più di voi!
Vi ringrazio tantissimo per le letture, che negli ultimi giorni sono state tantissime, non mi aspettavo tutta questa partecipazione!
Baci a tutti e buonanotte (o buongiorno, se leggete domattina),
Snowtulip.

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Mi siedo in macchina e tiro un profondo sospiro. Ho passato gli ultimi secondi a pensare a come spiegare a Elena chi è Clara e perché ha osato chiamarla in quel modo. Mi sento in imbarazzo io, non immagino come stia lei.

Chiude l’ombrello e prende posto accanto a me. «Allora?»

«Stava con Pippo, li avevo presentati io.»

Posa l’ombrello al suo fianco appoggiandolo alla portiera e mette la cintura. Forse si aspetta che lo faccia anche io e che parta subito, ma non mi piace parlare di cose importanti mentre guido. «E solo perché stava con lui deve darmi della zoccola?»

«Non la sto scusando, ti sto dicendo chi è.» Mi mordo la lingua, non voglio parlarle in questo modo. «Dovevo dirtelo da prima, perché era stata lei a dire al coach e a Salvatore che tu e Pippo eravate insieme quella sera, dopo la partita contro Milano. Non ne ho la certezza, ma lei mi ha scritto per chiedermi chi fosse con lui.»

Con il gomito poggiato contro il finestrino, si strofina la punta delle dita sulla fronte, ragionando sulle mie parole. «Quindi è una stalker.»

«Non proprio… Non ha accettato l’idea che Pippo l’abbia lasciata e ha cercato in ogni modo di riavvicinarlo a lei. Sono dovuto intervenire io per fermarla e pensavo di esserci riuscito, perché era parecchio che non la sentivo. L’ho incrociata all’università alcune volte, ma a parte qualche occhiata non mi aveva detto nulla. Si è rifatta viva quando sei entrata nella vita di Pippo.»

Si volta e mi guarda, attraverso le lenti degli occhiali. «Allora perché ha fatto quella battuta? Su me e te… che significa?»

Non ne ho idea. «Non lo so, forse voleva solo insultarti. Non ho l’abitudine di andare a letto con le ragazze di Pippo.» E non lo farei mai, se non con la sola eccezione di Elena – ma questo è un altro discorso. «Visto quello che ti ha detto, voleva solo sminuirti.»

«Sai se tifa per la Vulnus?»

Oh, cazzo. Questa è la domanda sbagliata, non posso dirle la verità, o andrà in paranoia.

«Più o meno sì. Nella sua famiglia tutti la tifano e lei guarda le partite.»

«Quindi ieri può aver visto che Filippo mi ha baciata.»

«Elena, non credo che si tratti di questo… Lo tiene d’occhio e se vi ha visti insieme avrà fatto due più due.» Provo a rassicurarla, anche se non c’è niente di rassicurante.

«Eri davvero riuscito a tenerla lontana da lui?» mi chiede, in un soffio, come se non avesse voluto dirlo davvero.

«Sì, ma non è servito a granché.»

«Se c’è un modo per tenerla fuori dalle nostre vite, devo sapere qual è.»

Cazzo, no. No, non voglio parlarne

«Non funzionerà.» Non posso dirle quello che ho fatto, non voglio che mi veda come uno zerbino… o peggio, come quello che ripulisce i casini di Pippo.

La guardo, i suoi occhi sono lucidi e le labbra le tremano. Forse riesce a mantenere una specie di contegno, ma dentro chissà che sta provando. Tra la bocciatura – con quello che comporta per lei – e l’incontro ravvicinato del terzo tipo con Clara, non so cosa sia peggio.

«Non posso farlo di nuovo, Elena.» Quando dico il suo nome si illumina sempre, c’è una luce che le attraversa il viso, così cerco di farlo il più possibile. E stavolta voglio che capisca che non voglio pensare al mio passato.

«Daniele, ti prego. Non merito certe parole.» Una lacrima le scivola sul viso, finendo fino al mento, e chi sono io per non dirle la verità?

«Tu non meriti tante cose. A iniziare da questa.» Mi gratto sulla guancia, devo coprire il fatto di essere arrossito un’altra volta. Già temo che prima se ne sia accorta, non posso rischiare. «Siamo iscritti entrambi a Giurisprudenza e ci siamo conosciuti in facoltà, quando erano appena iniziati i corsi e dovevo farmi un’idea dell’andazzo, per capire se i professori avrebbero accettato il fatto che non avrei frequentato tutte le lezioni. Dovevo dare la precedenza agli allenamenti… Lei si è offerta di aiutarmi con gli appunti, e da lì abbiamo iniziato a parlare. Sembrava una persona normale. Poi è successo che l’ho presentata a Pippo e lui…» Mi interrompo, posando le mani sul volante.

«Fammi indovinare: sono andati a letto e l’ha scaricata.» Si passa la mano sulla guancia, asciugando una lacrima, ma il suo tono è fermo. Non posso dirle come è andata, ricomincerebbe a piangere, e io mi sentirei un verme per averle detto qualcosa che la fa soffrire.

«No. Cioè, sì, ci è andato a letto… Ma hanno fatto coppia fissa per un po’.» Non le posso dire che Pippo pensava di aver trovato la donna della sua vita, perché ora lo pensa anche di Elena… «Quando si sono lasciati, Clara non l’ha presa proprio benissimo… Ha iniziato a pedinarci: se eravamo con delle ragazze mi scriveva per sapere chi fossero e cose simili. Una volta ha pensato che Pippo e Matilde stessero insieme solo perché io ero salito a prendere le chiavi della macchina che mi ero scordato e li avevo lasciati al portone! Ho dovuto convincerla che in quel momento era con lui perché aspettava me, non si era neanche resa conto che era mia sorella!»

«Oddio…» Si porta le mani al viso, nascondendosi. Lei e Pippo sono stati da soli molto spesso, potrebbe averli visti e questa volta potrebbe aver tratto le conclusioni giuste. «E allora cosa hai fatto?»

Non posso più girarci intorno. Lo vorrei, ma non posso. E lei merita la verità, almeno da parte mia. «Ha a che fare con la prima volta in cui ho dato l’esame di economia. Qualche giorno prima Clara mi aveva di nuovo tormentato perché lui era con una ragazza a un locale… Le ho chiesto cosa volesse per lasciarci in pace, non ne potevo più, di lei e delle sue paranoie: mi sentivo spiato continuamente, avrei fatto qualunque cosa. E l’ho fatta.»

Mi fermo di nuovo, aspettando una sua reazione. Ma Elena è impassibile e mi ascolta con attenzione. Si pizzica la punta dell’indice, come fa spesso quando è tesa, e distoglie lo sguardo dal mio, quasi volendomi agevolare nel racconto. Si porta una ciocca di capelli dietro l’orecchio, così posso vedere almeno metà del suo viso. Almeno questo mi dà il coraggio di proseguire.

«Per chi era al primo anno, c’era la possibilità di fare l’esame scritto alla fine del corso. Ma quel professore è uno di quelli matti, un po’ come il vostro di filologia, e passare quell’esame è complicato, perché lui fa delle domande assurde. Avevamo avuto la testimonianza di studenti più grandi che l’avevano tentato anche quattro o cinque volte. E Clara voleva passarlo a ogni costo, così mi ha detto che mi avrebbe lasciato in pace solo se le avessi passato il compito. Ed è quello che ho fatto.»

Mi mordo la lingua, perché questa è solo la terza volta che lo racconto in assoluto, dopo averlo fatto con Matilde e con il Fabbro. Elena non fa domande, non si muove, non osa neanche lontanamente interrompermi – anche se è quello che vorrei. Dover portare avanti un monologo è ancora peggio del doverne solo parlare.

«L’aula era pienissima, così siamo riusciti a sederci vicini. Il professore ha iniziato a distribuire le fotocopie e abbiamo scoperto che avevamo compiti diversi. Non potevamo parlare, perché altrimenti ci avrebbe sentito… Così ho fatto l’unica cosa possibile: ho risposto sulle mie fotocopie alle domande di Clara, così lei poteva copiare restando in silenzio. Lei ha passato l’esame e ha smesso di rompere le palle.»

Elena si volta a guardarmi, con la stessa espressione compassionevole che aveva quando mi sono infortunato. Fa malissimo che mi guardi così, come se fossi l’agnello sacrificale che si è immolato di sua volontà.

«Daniele…» sussurra. Non posso sopportare quel tono, non posso sopportare che mi veda in quel modo per quello che ho fatto. «Quindi poi il professore ti ha bocciato ancora perché si ricordava di te?»

Annuisco, è andata proprio così. «Mi ha detto che se pensavo di copiare facendola franca solo perché sono un giocatore professionista, avevo sbagliato il fesso da fregare. Non ci è andato leggero, questa è la versione soft. Ho mandato giù tutto, sapevo di aver fatto la scelta migliore e se tornassi indietro la rifarei.»

«Mi dispiace.» Deglutisce, e poi apre la bocca come per parlare di nuovo, ma non lo fa.

Non dico niente neanche io, perché non sono dispiaciuto di essermi liberato di Clara. Sono incazzato perché lei è di nuovo tornata nelle nostre vite. E ho l’impressione che stavolta non se ne andrà tanto facilmente.

«Pippo non lo sa» le confesso, mettendomi la cintura. «E non dovrà mai saperlo. Lui sa solo che l’ho convinta e pensa che l’esame sia andato male perché quel professore è una merda.»

«Non vuoi che sappia che sei un ottimo amico?»

«Fidati, gli sto nascondendo troppe cose solo perché gli sono amico.» Non so perché l’ho detto, se mi chiede di cosa si tratta, muoio per la vergogna. Non deve sapere neanche lei quanto ne sia innamorato. E ora, a rafforzare il nostro legame, abbiamo dei segreti da tenere insieme.

Con Pippo non li ha, almeno a quanto ne so io.

«Per un momento ho pensato che volesse venire a letto anche con te» commenta. Le brillano gli occhi, nel dirlo. Se non fosse scoppiata in lacrime più di una volta, forse avrebbe persino riso.

Accendo il motore, distogliendo lo sguardo da lei. «Avrei preferito doverci andare a letto e non dover fare la figura del figlio di puttana che pensa di passarla liscia solo perché gioca alla Vulnus.»

«Però così avrebbe senso il fatto che abbia insinuato di noi due…»

«Davvero, Elena, sarebbe stato meglio se ci fossi andato.» Preferisco che non insista, e vorrei che lo capisse.

«Daniele, guarda che ti credo.» La sua voce è distesa, calma. Mi piace persino ascoltare il suono delle sue parole, non c’è niente di lei che non mi faccia impazzire. Posa una mano sulla mia, sul volante, spingendomi a guardarla. Il suo tocco sulla pelle è più di quanto possa sopportare, eppure è piacevole… Ed è il massimo che posso avere, data la situazione. «Sei davvero un buon amico, e lo dico anche per quanto riguarda me. Grazie per questa mattina… Insomma, grazie per tutto.»

Un ottimo amico… per lei vorrei essere ben altro.

«Non devi ringraziarmi.»

 

Scendo dalla macchina di Daniele, e lui mi saluta con sorriso accennato, prima di ripartire diretto all’allenamento. Spero che smetta di piovere quando sarà arrivato, o si prenderà l’acqua.

Chiudo l’ombrello ed entro nella sede della Vulnus. Avevo chiesto a Salvatore tutta la giornata libera, ma preferisco essere qui che altrove, da sola, a commiserarmi per la pessima scelta della data dell’esame. Avrei potuto darlo a settembre, per quello che mi ha chiesto sarei stata abbastanza pronta… Almeno per non prendere un diciassette che sa tanto di presa in giro.

E non avrei incontrato quella tizia, come si chiama? Clara?

Mi mancava solo essere braccata da un’ex gelosa e possessiva di Filippo…

Mostro il tesserino e mi immergo nella rete di corridoi con cui ormai ho familiarità. Spero che Salvatore mi dica che posso restare, che dia concretezza alle belle parole che spende ogni volta sul mio operato. Spero che i suoi non siano solo complimenti a vuoto.

Lo trovo intento al lavoro, impegnato a leggere qualcosa dal suo computer e dal telefono, alternando lo sguardo da uno schermo all’altro. Forse sono le statistiche in vista della partita di domenica contro Trento.

Busso alla porta aperta, almeno per segnalargli la mia presenza. Allunga il collo oltre il monitor e mi vede. «Elena, non le avevo dato la giornata libera?»

Annuisco. «Sì, però ho bisogno di parlarle. L’esame non è andato bene e mi crea dei problemi con la laurea, che slitta a giugno… I soldi della borsa di studio mi avrebbero coperto solo le spese fino a dicembre, poi sono coperta fino a marzo-aprile grazie allo stage, e visto che per il regolamento dell’università non posso chiederla al primo anno di magistrale se mi laureo in estate… Volevo chiederle se pensa di tenermi da gennaio in poi, altrimenti dovrò cercare un posto altrove.»

Ho parlato di corsa, prendendo fiato a malapena. Il regolamento delle borse di studio per questa università è a dir poco assurdo, ho cercato di essere il più chiara possibile. Ho bisogno di un lavoro, ne ho un disperato bisogno, non posso limitarmi allo stage.

Mi sento il cuore in gola e sono consapevole di essere arrossita, perché non mi piace parlare di soldi e ancor meno mi piace l’idea di implorare per un lavoro. Però ho bisogno di sapere, ho bisogno di avere delle certezze per sapere come muovermi.

Lui si alza in piedi, avvicinandosi a me, e mi posa una mano sulla spalla. «Certo che la tengo. Appena finisce lo stage, le faccio firmare direttamente il contratto da dipendente. Ci ho visto bene su di lei, e sono contento di averla con noi.»

Butto fuori tutta l’aria che i miei polmoni hanno trattenuto nell’ultimo minuto. Rimango qui, rimango alla Vulnus. Gli sorrido, riconoscente. «Grazie.»

«Prego. Ora può andare a casa a riposarsi. E mi dispiace per il suo esame.»

«A chi lo dice…» mormoro, poi lo saluto e ripercorro la via a ritroso fino all’uscita.

Sta ancora piovendo, di certo Pala se l’è presa tutta nel tragitto tra la macchina e il centro dove si allena la Vulnus. Scuoto la testa, pensandoci tra me e me. Gli ho anche proposto di prendere il mio ombrello, ma ha rifiutato… Visto che ora dovrò tornare a casa a piedi, gliene sono anche grata.

Tiro fuori il telefono dallo zaino e inizio a camminare. Ovviamente, i miei mi hanno chiesto se con le spese ce la faccio fino all’inizio della magistrale e si sono preoccupati quando non ho risposto subito nel gruppo della famiglia.

Sì, ho parlato con il mio superiore e mi assume” digito, continuando a camminare.

Arriva subito la replica di mio padre: “Bene, così mi fai avere i biglietti almeno per una partita… E se andiamo ai play-off anche per quelli!”.

Sorrido. Da quando gli ho detto che lavoro per la nostra squadra ha già fatto battute di questo tipo, ma purtroppo non è riuscito ad avere i giorni dal lavoro per venire qui, anche se mamma gli ha detto più volte che se proprio ci tiene può fare una toccata e fuga per una partita. E, per mia somma fortuna, non ha visto che ieri sera Filippo mi ha baciata sul parquet del Palavulnus.

L’importante è che non hai problemi” sentenzia invece mia madre, badando all’essenziale.

I problemi ci sono comunque, non è che spariscono così… Quella stronza di Clara potrebbe tornare nei miei incubi. Dio, vorrei togliermela dalla testa. Devo solo stare attenta quando vado in facoltà, in modo che se sto in giro per la facoltà non mi avvicini troppo a Giurisprudenza.

Non so se sarà sufficiente, ma intanto ridurrebbe la possibilità di incontrarla.

Il telefono mi vibra in mano. Filippo.

Daniele mi ha detto dell’esame, vuoi passare al centro di allenamento? Ho una sorpresa per te, ti farà stare meglio.

Guardo verso il fondo del viale, intravedo il centro sportivo accanto al Palavulnus e mi sfugge un sorriso dalle labbra. Vederlo mi aiuterebbe, ne sono certa.

Da quella sera sento che il nostro rapporto ha fatto un salto in avanti, non solo perché siamo andati a letto insieme. Ci siamo confessati alcuni stralci del nostro passato, ci siamo aperti l’un l’altra ed è stato toccante. In più, lui non è scappato da me dopo aver scoperto quanto sono fragile.

Raggiungo il centro ed entro, avvicinandomi a passi rapidi alla palestra.

Incrocio Marco che se ne sta andando e lui mi saluta al volo. «Pippo si sta facendo la doccia.»

Lo ringrazio e vado ad aspettarlo fuori dalla porta dello spogliatoio. Passa anche Niko, che si ferma a chiacchierare con me.

«L’esame?»

Scuoto la testa. «Male.»

«Mi dispiace.»

Dispiace a tutti, ma che altro dovrebbero dirmi?

Niko sorride, sornione. «Facciamo annusare le mie scarpe al professore?»

Scoppio a ridere. Non me l’aspettavo e ci voleva proprio una stupidaggine simile!

Dalla stanza esce anche Pala, che mi guarda confuso. Si è cambiato per allenarsi, immagino che lo faccia mentre gli altri vanno via in modo da non perdere l’allenamento. O forse oggi Colucci li ha divisi in due gruppi.

«Ci ho parlato, è andata bene» gli dico, evasiva. Tanto lui sa a chi e cosa mi riferisco.

Annuisce, senza aggiungere una parola, poi va in palestra. Ne risbuca subito con un pallone leggero, di quelli che si usano in spiaggia. «Ma chi è che ha portato questo?»

«Cazzo, Dani, mi hai smontato tutto!» esclama Filippo, appena uscito dallo spogliatoio. Si china verso di me e mi lascia un bacio a fior di labbra. «Vieni, dai.»

Mi prende per mano e mi conduce dove stanno anche Daniele e Teo, che sta provando i tiri dall’arco insieme a uno degli assistenti del coach che gli passa la palla. Filippo prende quel pallone da spiaggia e mi fa cenno di lasciare lo zaino e il cappotto sulle panche attaccate al muro.

Ho capito cosa ha in mente, ma non mi sento così sicura di assecondarlo.

Lui mi si avvicina, deve aver capito che qualcosa non va. «Ele, questo non è un pallone da basket. È un pallone normale. Volevo ridarti quello che il destino ti ha tolto… Giocare deve essere una cosa bella, non una paura.»

Ho gli occhi lucidi, da questa mattina sarà la quarta o quinta volta. Mi mordo l’interno della guancia, sperando di non ricominciare a piangere. Qui e ora non è proprio il caso.

Mi accarezza il viso, dolce, con il solito sguardo penetrante. «Facciamo così: ti do la palla in mano, ma tu tieni gli occhi chiusi e provi a tirare. Non importa se non fai canestro, importa che provi. Vuoi provare?»

Gli faccio un lieve cenno di assenso, così mi libero dello zaino e del cappotto. Mi sistemo sulla linea dei tre metri, con un pallone leggero dovrebbe essere più facile andare a canestro.

Chiudo gli occhi e sento altri passi, oltre quelli di Filippo. Forse il coach è arrivato per seguire Pala e Teo, ma non ne sono sicura, perché non ho sentito il suono della porta.

Le labbra di Filippo si posano sulla mia guancia, in un bacio delicato, come se volesse asciugare dove prima sono passate le mie lacrime. «Va tutto bene, ci sono io.» Mi prende le mani e me le fa posare attorno al pallone.

Piego le gambe e le braccia, caricando la spinta per il tiro, e lo lascio andare. Un suono tonfo mi avvisa che è finito sul muro o sul soffitto.

Apro gli occhi, e Filippo sta raccogliendo il pallone. Mi sorride. «Hai preso il tabellone.» Si avvicina ancora a me. «Come ti senti?»

«Non lo so. Però ho avuto la testa vuota, ed è già tanto.» Sospiro, sistemandomi i capelli dietro l’orecchio. Non mi si sono affacciati alla mente i fantasmi e i dolori del passato. «Non è la stessa cosa di giocare davvero, ma grazie.»

Mi solleva il mento con un dito. «Daniele mi ha detto di quella psicopatica e non immagino nemmeno come ti sei sentita… Volevo solo che tu stessi meglio.»

Lo abbraccio, d’istinto, e il pallone gli scivola dalle mani rimbalzando sul pavimento. «Sto meglio.»

Filippo mi stringe a sé, accarezzandomi la schiena con calore. Mi fa sentire che lui c’è, che è qui con me e che sta cercando di fare di tutto per me. E, visto come siamo partiti, questo piccolo gesto è molto più significativo di tanti altri.


Spazio autrice
Finalmente ecco svelata la storia dell'esame di Daniele. Vi immaginavate che fosse andata così? Oppure pensavate a un altro tipo di ricatto?
Ha fatto bene Pala a non dire niente a Filippo? Io non so se sarei mai riuscita a tenermi un segreto del genere...
Per fortuna c'è Salvatore che sistema tutto!
E Pippo? Sta riguadagnando qualche punto? Volevo infilare in un altro momento la scena in cui lui ed Elena "giocano" a basket, ma tutto sommato credo che stia bene anche qui (visto quello che succederà poi...).
Baci a tutti,
Snowtulip.

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


I ragazzi hanno organizzato una festa a sorpresa per Pala, subito dopo la vittoria contro Trento. Niente di troppo esagerato, tanto che sono andati tutti via prima della mezzanotte, ma lui ha alzato il gomito più di quanto avrebbe dovuto, così Matilde l’ha portato in camera mentre io e Sasha sistemiamo il salone.

Butto i piatti di plastica nel bustone che ci stiamo trascinando dietro per tutta la stanza, e lei si affaccia sul balcone per dire a Niko e Filippo di chiudere, visto che entrano spifferi freddi.

«Ti prego, convincili tu, chissà di che stanno parlando…» mormora, prima di entrare in bagno.

Annuisco più per inerzia, mi sento un po’ spossata anche io… Ho bevuto quel bicchiere di troppo che, unito allo spumante per il brindisi, mi sta facendo effetto. Sto invidiando Pala che già si trova a letto e pronto per riposare.

Filippo e Niko rientrano proprio mentre Matilde esce dalla camera del fratello.

«Come sta?» le chiedo.

«Più sbronzo di come l’abbia mai visto» commenta lei, stringendo le spalle.

Filippo prende una manciata di bicchieri e li svuota nel lavello, prima di infilarli nella lavastoviglie. «Non è da lui ubriacarsi, non capisco che gli è preso.»

È solo una considerazione, ma capisco che si aspetta qualche delucidazione in più da lei che, però, scuote la sua cascata di ricci. «Non capisco neanche io.»

Niko raccatta una bottiglia ancora aperta di vino e la mette in frigo, mentre la sorella di Pala mi dà una mano con i vari piatti e piattini lasciati in giro e Filippo recupera i bicchieri.

In tutto questo, non so come stia riuscendo a rimanere in piedi senza barcollare. Ho tolto i tacchi e sto camminando con le sole calze ai piedi, ma così ho paura di scivolare.

Appena abbiamo finito, Niko e Sasha – che nel frattempo si era unita a noi nelle pulizie – vanno via, e Matilde va a prepararsi per dormire. Dorme nel letto insieme a Daniele, fanno sempre così quando viene a trovarlo.

Filippo mi raggiunge mentre recupero le scarpe e mi tiene stretta a lui quando, nel rimettermi in piedi, barcollo rischiando di cadere. «Sei abbastanza lucida? Non voglio approfittarmi di te!»

Gli sorrido, inebetita. «Sto bene.» Sono leggermente più rilassata, ma questo sarebbe evidente a chiunque.

Mi passa una mano sulla schiena, dove il tessuto del vestito è aperto e coperto solo da un sottile strato di pizzo nero. Mi provoca dei brividi, una scarica di piacere che con lui non è mai abbastanza. Niente con lui è mai abbastanza.

«Sei sicura?» Ha la testa china, tanto che nel parlare mi soffia sulle labbra così che sento il suo alito mischiato al retrogusto di spumante. Ed è ancora più invitante di quanto avrei pensato in condizioni diverse.

Mi alzo sulle punte dei piedi e mi avvinghio al suo collo, lasciando cadere sul divano le scarpe che tenevo in mano. Lo bacio e lui risponde con trasporto, portandomi le mani sul sedere e stringendolo come se temesse che possa allontanarmi. Non ci penso proprio ad allontanarmi, non voglio separarmi da lui e dalla sua presa ferrea.

Ci sediamo sul divano, e lui mi inizia ad accarezzare le cosce, sollevando il vestito.

«Non mi piacciono le calze» sussurra al mio orecchio, prima di iniziare a baciarmi sul collo, con le sue mani che esplorano ogni centimetro della mia pelle con desiderio.

Ho il bacino contro il suo e sento benissimo che il suo corpo freme per liberarsi dei pantaloni. E anche io sto sperando che presto ci spostiamo in camera da letto. Con la mano gli sposto il viso dal collo e lo avvicino al mio. Senza pensarci un altro secondo, lo bacio e cerco la sua lingua, che lui muove subito insieme alla mia in una danza armoniosa, con la frenesia di chi vuole lasciarsi andare del tutto ma di chi spera che questo sia solo l’inizio.

Il suono di passi ci interrompe, e Pala appare dalla sua stanza. Ha lo sguardo stralunato e gli occhi gonfi. «Ma che state facendo?»

Mi alzo in piedi, abbassando il vestito sulle gambe.

«Dani, ti senti bene?» gli chiede invece Filippo.

Pala scuote la testa e poi si fionda in bagno, sbattendosi la porta alle spalle. Dà di stomaco e poi fa scorrere dell’acqua dal lavandino. Non lo vedo, ma lo sento distintamente.

Filippo lo raggiunge. «Potevi almeno vomitare nella doccia, se non arrivavi al water!»

Lui non replica, o se lo fa è solo con la mimica.

Matilde, in pigiama, sbuca dalla camera del fratello e si affaccia alla porta del bagno, poi la richiude e si avvicina alla cucina. «Gli preparo una camomilla, ne vuoi una anche tu?»

Annuisco. «Sì, forse è il caso.» Tanto ormai il mio momento erotico-romantico con Filippo è andato a farsi benedire. Forse una camomilla può aiutare a farmi passare l’effetto dell’alcol.

Daniele esce dal bagno, pallido, e viene a sedersi sul divano accanto a me, mentre il mio ragazzo richiude la porta sparendo dalla mia visuale. Si porta le mani al volto, nascondendosi.

La sorella ci porta due tazze colme fino all’orlo e ce le poggia sul tavolino di vetro. «Vado ad aiutare Pippo.»

Prendo la tazza e mi scaldo le dita intorno a essa. «Come ti senti?»

«Male.»

Gli accarezzo la schiena, mentre lui beve un sorso di camomilla bollente. Posa di nuovo la tazza e mi guarda, con un ricciolo che gli cade sulla fronte e che lui non ricaccia indietro come avrebbe fatto in qualsiasi altra situazione.

«Non ce la faccio a vederti con lui.» La sua voce è solo un soffio, ma è a pochi centimetri da me, non posso non sentirla.

Rimango immobile per un istante. Non so come interpretarlo, perché la spiegazione più ovvia è quella che non riesco ad accettare. Vorrebbe che stessi con lui? Vorrebbe essere lui al posto di Filippo?

Si volta e mi guarda, con lo sguardo velato da uno strato di lacrime che sta trattenendo a fatica. «Non avrei dovuto…» Si strofina gli occhi con le dita, chinando il capo. «Devi essere felice, non pensare a me.»

«Ma…» Non riesco a completare la frase, perché lui prende la tazza e se ne va in camera. Mi sta scoppiando la testa. Pala è innamorato di me? Si è ubriacato, stasera, per non pensare a me e Filippo? Da quanto sta così male? Come ho fatto a non accorgermene? Ed è il suo compleanno, accidenti!

Dio, è troppo tutto insieme.

Prendo la mia camomilla e vado a bussare alla sua stanza. Non aspetto che mi risponda per spingere la porta accostata. Daniele se ne sta seduto sul letto, con lenzuola e coperte scostate, e stringe tra le mani la sua tazza con il Guanto dell’Infinito, soffiandoci sopra.

Solleva la testa e il suo sguardo sofferente incrocia il mio. «Pensavo fossi Mati.»

Mi avvicino e mi siedo sulla coperta al suo fianco. «Sta ancora pulendo il bagno con Filippo.»

«Ho fatto un cazzo di casino…» Si porta la tazza alle labbra e beve un altro sorso. «Fai come se non avessi detto niente.»

Ma come posso ignorare che un mio amico sta male per causa mia? Come posso infischiarmene quando lui è ridotto a uno straccio?

«Da quant’è che stai così?»

«Da dopo Milano.» Mi risponde, sincero, e non penso che sia a causa della sbronza. Si sta liberando di un peso.

«Dovevi dirmelo, o almeno farmelo capire… Avrei tagliato il mio rapporto con Filippo ancora prima che nascesse.»

Scuote la testa. «Lui ti piaceva, e ti piace ancora, non volevo mettermi in mezzo. E anche a Pippo piaci, non posso fargli questo. Elena, ti prego, vai da lui e lascia stare me. Lo vedo che ti faccio pena, lasciami stare.»

«Daniele, non posso fare finta di niente, significherebbe che non mi importa di me, mentre non è così. Sei mio amico, sei stato importante per me sin dai primi giorni alla Vulnus. E non posso vederti in questo stato.»

Gli parlo anche io con sincerità, con le parole che mi escono di bocca ancora prima che possa pensarle. E lui lo sa, sa perfettamente che non posso ignorarlo. È un mio amico, ed è un buon amico. E gli voglio bene, anche se non nel modo in cui vorrebbe lui.

«Torno a casa, tu cerca di riposarti. Risolveremo anche questo casino, non ti preoccupare.» Cerco di infondergli un po’ di tranquillità, nonostante ne abbia bisogno anche io.

«Non si può risolvere» biascica Daniele, prima di finire la camomilla in un solo sorso.

 

Mi butto a peso morto sul letto, mentre mi arrivano le voci degli altri dal salone. Elena che dice a Pippo di riportarla a casa, Mati che le chiede se va tutto bene, nessuno che capisce e io che invece so tutto.

Sono un coglione, un grandissimo coglione. Dovevo stare zitto e invece no, ho sbagliato tutto. Adesso lei sa e vuole rimediare.

Non c’è un cazzo da rimediare, c’è solo da aspettare che mi passi.

Pippo si affaccia sulla soglia. «Porto Ele a casa, non sbrattare di nuovo.»

Gli faccio ciao ciao con la mano e lui se ne va. La porta di casa si richiude alle loro spalle. Elena non mi ha nemmeno salutato…

Matilde entra e si siede sul letto, vicino alle mie ginocchia. Mi accarezza il viso, come faceva nostra madre quando eravamo piccoli e ci svegliavamo da un incubo nel cuore della notte. Il mio incubo però è reale.

«Dani, che succede?»

«Succede che sono uno stupido, Elena ha capito tutto.»

Mi sposta una ciocca di capelli dalla fronte. «Gliel’hai detto?»

«Più o meno.»

«E lei?»

«Ha detto che non può fare finta di niente, che non può vedermi ridotto così… Che avrebbe dovuto dire?»

«Ecco perché aveva quella faccia, sembrava dispiaciuta.» Smette di accarezzarmi la guancia e si lega i capelli nella solita treccia per la notte. «Dovevi parlarne tempo fa.»

«No. Lei e Pippo erano già coinvolti tra loro, avrei solo fatto un casino. Anzi, ho fatto ora un gran casino.»

Mati va a spegnere la luce del salone, che illuminava un po’ anche qui, poi ritorna e si siede sul letto al mio fianco. Mi sistema la coperta addosso e si sdraia anche lei.

«Mi ha detto che sono suo amico e che le importa di me… Quando le ho detto come è andata con Clara, mi ha detto che per Pippo sono un ottimo amico… Sono un ottimo coglione, non un ottimo amico.»

«Dani, non dire scemenze. Elena ha ragione, sei un ottimo amico: hai cercato di fare di tutto perché loro fossero felici, più di così!»

Il cellulare vibra sul comodino e lo prendo. È un messaggio.

Scusami se non ti ho salutato, non volevo metterti in imbarazzo davanti a Filippo. Domani con calma ne riparliamo. Buonanotte, Daniele.” Elena.

Mostro lo schermo a Mati. «Vedi, tiene a te e vuole sistemare tutto.»

«Sistemare tutto non significa che lasci Pippo… come farebbe con la Vulnus? Lei ha bisogno di lavorare, e Salvatore vuole che rimanga, sarà solo un casino ancora più grande da gestire.»

«Non lo sappiamo. Ormai è andata così, non puoi rimuginarci troppo sopra.»

«Secondo te lo dirà a Pippo?»

«Dani, ma hai letto il messaggio? No che non glielo dirà. Dormi, domani devi essere sveglio e padrone di te stesso.»

 

Le luci di casa sono già spente, le ragazze sono andate via presto dalla festa perché domattina Alice fa la mattina al bar. Non dovrei disturbarla, ma stavolta mi perdonerà.

Busso alla sua camera ed entro senza aspettare una risposta, non voglio svegliare anche Arianna.

Alice è ancora sveglia, e legge qualcosa sul telefono con la lampadina accesa accanto a lei. «Che è successo?»

«Tu lo sapevi, vero? Di Daniele.»

Si tira su e si mette seduta, con il pigiama con gli unicorni che sbuca da sotto il piumone. «Sì. Mi ha implorato di non dirti niente, non potevo…»

«Filippo non lo sa.» Mi mordo il labbro, nervosa. Mi viene da piangere e non capisco perché. «E non voglio che lo sappia, perché andrebbe a rovinare la loro amicizia e io non voglio stare in mezzo a due amici.»

«Ele, non credo proprio che Pippo pensi che Daniele si sia comportato male con lui. Ti è stato vicino mentre voi non vi parlavate e non si è mai azzardato a provarci con te, è stato lui a dirti di scoparci… se non avesse voluto la vostra felicità credi che l’avrebbe fatto?»

«Mi sento uno schifo. Sta male per colpa mia e non posso farci niente.» Scoppio a piangere, perché ho paura di perderlo. È una persona preziosa e ogni suo comportamento me l’ha dimostrato. E io l’ho fatto stare di merda… prima non lo sapevo, ma adesso sì. «Io con Filippo sto bene, sto davvero bene, e mi sento in colpa perché lui sta in quel modo per colpa mia!»

Alice mi abbraccia, e mi ritrovo a singhiozzare sulla sua spalla. Lei mi accarezza amorevole, come se comprendesse tutto il turbinio che ho dentro.

«Come faccio a rimanere con lui se so che Daniele poi ci sta male? Non voglio neanche lasciarlo, lui mi piace e ne sono innamorata… Ma non voglio che nemmeno che lui stia così. Dovevi vederlo, era tremendamente triste… E gli ho detto che ne avremmo parlato domani con calma, ma cosa c’è da dire? Di cosa dovremmo parlare? Voglio che lui stia meglio, ma non posso fare niente!»

«Ele, troverai qualcosa da dirgli. Lui, comunque, sta solo aspettando che gli passi: è convinto che sia solo un periodo e che poi tornerà tutto alla normalità. E lo dirà anche a te domani, perché è quello che dice a me e Arianna da settimane!»

Da settimane? Arianna è riuscita a tenersi un segreto così grosso… per settimane? Non pensavo che ne sarebbe stata capace!

Alice scioglie il nostro abbraccio e mi scosta i capelli dal viso. «Digli di scriverti domani appena si sveglia, così venite al bar da me. Va bene?»

Annuisco, con le guance umide. Avevo bisogno di lasciarmi andare, di sfogarmi e di piangere. Lei ha difficoltà con chi scoppia a piangere in questo modo, ma per questa volta mi perdonerà, ne sono certa.

La lascio a letto e vado in camera. Mi alleggerisco del vestito e indosso il pigiama. Non ho troppa voglia di perdere tempo a struccarmi, ma il trucco mi è già sceso sul viso e così mi trascino in bagno e tiro fuori lo struccante.

Domani devo parlare con Daniele, devo fargli sapere che non mi ha persa, che può sempre contare su di me, nonostante… nonostante quello che prova. Gli scrivo di vederci domani al bar dove lavora Alice e aggiungo l’indirizzo, perché lui non è mai stato lì – almeno a quanto ne so. Visto quanto loro siano in confidenza, non mi stupirei se ci fosse andato senza dirmelo.

Va bene, facciamo per le dieci, prima non so se sono sveglio.”

Prima non sarò sveglia neanche io: tra una cosa e l’altra è l’una passata e non mi sento stanca; quindi ci metterò un po’ ad addormentarmi.

Mi vedo allo specchio, sfatta, con la coda legata in basso sulla nuca. Ripenso solo ora a come mi guardava quando è tornato a casa dopo che io e Filippo abbiamo fatto l’amore. A come mi sentissi bene, a come quel giorno mi sentissi bella nonostante il trucco sbavato della sera prima, i capelli in disordine e il vestito sgualcito addosso.

Mi guardava non con lo sguardo di un amico, me ne rendo conto solo ora. Mi guardava come se gli piacessi anche in quel modo. Mi sorrideva come uno “scemotto”, come lo chiama Matilde.

Ora capisco perché.


Spazio autrice
Avevo in mente questo capitolo da una marea di tempo, non vedevo l'ora di scriverlo e di farvelo leggere!
Allora, cosa ne pensate? Come si comporteranno adesso, tutti e due?
Baci a tutti e buonanotte,
Snowtulip.

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


Guardo il telefono, dove è ancora aperta la chat con Elena. Mi ha scritto che sta per arrivare, ci mette meno di cinque minuti da casa sua a qui. Sembra passata un’eternità da quando me l’ha scritto, eppure è stato solo un minuto fa.

Mi sono svegliato all’alba e non sono più riuscito ad addormentarmi. Ho continuato a rigirarmi nel letto finché Matilde non mi ha dato una gomitata sul fianco per fermarmi e mi sono alzato. Erano le sette e mezza, così ho fatto una prima colazione, almeno per riempire lo stomaco. La testa aveva smesso di girarmi e mi sentivo molto meglio rispetto a ieri sera.

Non riesco a pensare a cosa mi dirà, voglio solo che capisca che ho commesso un grosso errore: lei non doveva sapere cosa provo.

Elena entra nel bar e si accosta al bancone, dove Alice sta prendendo un paio di tazze. Mi vede e viene a sedersi al tavolo.

«Stai meglio?» sussurra, senza guardarmi. Si vergogna di quello che le ho detto, altrimenti mi guarderebbe. Certo, potrebbe essere che non mi guarda perché si sta togliendo il cappotto per sistemarlo sulla sedia, ma perché dovrei illudermi?

«Per la sbronza sto meglio, per il resto no.» Mi passo una mano sulla barba e mi torna in mente che lei mi ha sfiorato la stessa guancia ieri sera. «Elena, non avrei dovuto dirtelo, ho bevuto troppo…»

Lei mi sorride, compassionevole, con quello sguardo che non posso sopportare: mi scatena troppe sensazioni contrastanti. Si porta i capelli dietro l’orecchio e si morde il labbro abbassando la testa, forse pensa che non possa vederla, ma si sbaglia.

Noto ogni dettaglio di lei, a iniziare dal maglione rosso scuro così largo che nasconde quello che c’è sotto, come se non volesse suscitarmi reazioni fisiche. Come se sapesse l’effetto che mi fa e volesse evitarlo.

Non ha messo il rossetto, si è truccata solo quanto bastava per coprire il fatto che non ha dormito bene. A causa mia.

«Ormai l’hai detto e lo so.» Si morde ancora il labbro, non ha idea di quanto sia sensuale anche così. «Voglio solo non perderti, perché sei mio amico e tengo a te.»

Mi viene da sorridere, ma mi trattengo: mi sono innamorato di Elena partendo dal fatto che per me era importante, e lei sta facendo i miei stessi ragionamenti. Mi sta ripetendo le stesse parole che mi sono detto da solo.

Alice si avvicina a noi con un vassoio, da cui posa una tazza con il cappuccino per me e una con la cioccolata per la sua coinquilina. Mi ha disegnato un cuore con la polvere di cacao sopra la schiuma. Ci metto subito lo zucchero e lo giro, così si spezza proprio come il mio.

«Elena, anche io tengo a te… ma non come dovrei, non come devo. Mettiti nei miei panni, cosa faresti?»

«Non lo so.» Si porta la tazza alle labbra, che le rimangono sporche di cioccolata. Si lecca con la lingua, poi si passa un fazzoletto sulla bocca. È sexy anche così, non ce la faccio. «Non mi innamoro facilmente, non sono mai stata nei tuoi panni.»

Non si innamora facilmente… quindi non potrebbe innamorarsi di me. Non dopo questo.

«Scusami.» Beve di nuovo, un sorso che sembra non finire mai.

«Vorrei che rimanesse tutto come sta.» Lo preciso ancora una volta, spero che capisca.

«Dovrei fingere che tu non… che tu non sia innamorato di me?» Inspira ed espira, poi abbassa la mano sotto il tavolo. Si sta pizzicando l’indice, non devo neanche guardarla per saperlo.

Sentirlo dire da lei è ancora più strano di quanto avessi immaginato.

«Sì, Elena. Voglio che tu sia felice e visto che con Pippo lo sei, va bene. Mi passerà, non voglio che tu lo molli per me.»

Non è vero, è proprio quello che voglio.

«Ma, Daniele…»

«Pippo non lo merita, e nemmeno tu. Davvero, Elena… sei fai finta di niente, tutto rimane così com’è. Non mi perdi, puoi continuare a essere mia amica e io posso aspettare che quello che provo per te se ne vada.»

Si morde l’interno della guancia e avvampa dall’imbarazzo. «Non voglio che tu stia male, non per me e Filippo. Se lo ignoro, significa che non me ne importa niente, e non è vero.»

«So che in realtà non è così e a me basta.» Abbasso lo sguardo sul cappuccino, ancora non l’ho bevuto, limitandomi ancora a girarci dentro il cucchiaino. Visto l’impegno di Alice per prepararmelo, dovrei almeno assaggiarlo, sebbene non lo prenda mai caldo. La perdono, visto che è piena di gente al bancone e che era pienissima anche prima che arrivassi. Sta lavorando e non glielo farò pesare.

«Daniele… ma come puoi sopportarlo?» La voce di Elena mi richiama alla realtà. Allunga la mano verso la mia sul tavolo, e lascio che ce la posi sopra senza toglierla. Ha la pelle freddissima, ma non mi scosto. Anche se dovrei, perché basta questo semplice contatto a farmi impazzire.

«Lo sopporto da quasi due mesi, ormai mi sono abituato.»

Stringe la mano nella mia, passando le dita sotto il mio palmo. «E allora perché arrossisci ogni volta che parliamo?»

Cazzo. «Pensavo che non te ne fossi accorta…»

Mi sorride, con quell’aria triste e compassionevole. Le faccio pena.

Sfilo la mano dalla sua presa e la uso per portarmi la tazza alle labbra. Alice è stata brava, è buono e la schiuma del latte caldo si mischia bene con la polvere di cioccolato.

«Lo imputavo ad altro: il caldo, la fatica dell’allenamento… O l’imbarazzo, quando si è trattato di Clara. Non pensavo che si trattasse di me.» Beve un altro sorso.

«Elena, ti prego, devi fare finta di nulla. Se non vuoi farlo per me, fallo per te stessa e per Pippo.»

Posa la tazza, ormai mezza vuota, sul tavolo, tra noi due. «Intendevi questo, allora? Quando dicevi che gli nascondevi molte cose solo perché gli sei amico?»

Annuisco. «Si sentirebbe peggio di me se lo sapesse. E lui mi racconta tutto quello che fate, pensa se scoprisse cosa provo al pensiero…» … di voi due nudi a letto. «È il mio migliore amico, gli rovinerei la vita. E di vita rovinata basta la mia.»

«Daniele, ma io…»

«Elena, sono sentimenti: se ne andranno!»

Lei sorride, con gli occhi lucidi. Le trema il labbro inferiore, ma lo nasconde subito dietro alla tazza. «Volevo dire che ti voglio bene.» Una lacrima le riga la guancia, e io mi ritrovo a fissarla imbambolato come un idiota. «E che soprattutto tu meriti di essere felice. Hai sopportato me e Filippo dall’inizio, da ancora prima che ci fosse qualcosa tra noi. E mi dispiace di averti tormentato con lui.»

«Non mi hai tormentato.» Non è vero, ma non glielo dirò mai.

Bevo il cappuccino, ormai tiepido, e anche lei rimane in silenzio per un po’. Attorno a noi il bar si riempie e si svuota, ci sono alcune madri che hanno portati i figli a scuola, altrove coppie e gruppi di amici che parlano – così come potremmo essere io ed Elena se lei non stesse cercando di non piangere – e qualche anziano isolato che legge il giornale facendo colazione.

Questo bar è enorme.

Ripenso velocemente alle sue parole. «Hai detto che mi vuoi bene?»

«Sei mio amico, certo che ti voglio bene.» Mi sorride. «E questo non cambierà mai. Quando voglio bene a qualcuno è per sempre.»

Sorrido e abbasso la testa, grattandomi la guancia dal lato esposto a chiunque non sia Elena: sono arrossito di nuovo. Mi vorrà bene per sempre, anche solo questo è gratificante. Non so se amerà Pippo per altrettanto tempo.

 

«Vedi? Non mi puoi più parlare senza diventare un peperone!» Tengo la voce il più bassa possibile, non è il caso che qualcuno ci ascolti. Sono sollevata per avergli potuto dire quanto è importante per me, senza provare a spiegarglielo. Nel mio repertorio non ci sono altre parole che non siano quelle tre, per esprimerlo.

Daniele sorride ancora, e non cerca nemmeno di nascondersi. «Ti rendi conto di cosa mi hai detto?»

Certo che me ne rendo conto. «Questo non significa che tra me e te ci sarà qualcosa, ma… Quando i sentimenti “se ne saranno andati”, come dici tu, avrai ancora la mia amicizia. Non voglio illuderti, tra me e Filippo le cose vanno bene.»

«Non mi illudo, lo so già. Per questo volevo che continuassi a comportarti come se niente fosse.» Si passa una mano su quel ciuffo di ricci che gli ricade sulla fronte, e se lo porta indietro. «Fino ad allora resisterò.»

«Cercherò di non ferirti, spero che Filippo sia più delicato…» Mi pizzico la punta dell’indice per l’ennesima volta, se non mi graffio e perdo sangue è un miracolo. «Anche se lui a volte non lo è affatto.»

«“Non ferirmi”… Elena, io ci lavoro, con le ferite

Il nome latino della squadra: Vulnus, ferita.

Mi viene da sorridere, perché ora lui sembra sollevato e anche io mi sento più leggera. Già solo aver potuto chiarire come stanno le cose – per quanto non influenzabili da noi – per me è tanto. E lui è molto meno a disagio rispetto a quando l’ho visto appena entrata al bar.

«Da piccola mi sembrava un nome strano per una squadra» gli racconto. «E non capivo perché mio padre fosse così affezionato alla Vulnus se non era originario di qui. Poi mi ha spiegato che è nata alla fine della Seconda guerra mondiale, quando alcuni ragazzi partigiani si erano ritrovati qui dopo la guerra e avevano trovato un pallone. Invece di giocarci a calcio come avrebbe fatto chiunque, provarono a fare canestro nel vaso di una signora su un balcone e da lì scelsero di fondare una squadra di basket che ricordasse il passato e che fosse in grado di risanare le ferite causate dalla guerra, di riportare felicità, senza perdere di vista da dove tutto era nato. Forse è per questo che mi sono affezionata così tanto.»

Non mi ha interrotto, ascoltandomi con attenzione.

«Le mie ferite se ne andranno» commenta appena taccio, serio. «E quando saranno rimarginate, starò bene, non devi preoccuparti.»

Finisce il suo cappuccino e si pulisce la bocca con un tovagliolo di carta. Ora che abbiamo finito entrambi, mi fa cenno di andare, così indossiamo i cappotti e andiamo a pagare dal ragazzo in cassa. Salutiamo Alice, alla presa con un signore distinto che le ha attaccato il primo “pippone di giornata” – come lei definisce i lunghi racconti dei clienti – e ci rituffiamo nel freddo di questa mattinata di dicembre.

Il vento mi pizzica il naso, tanto che devo sistemarmi la sciarpa in modo che copra metà viso per non sentirlo.

«Elena, io ho detto a Pippo che dovevo accompagnarti a fargli il regalo di Natale, quindi ora si aspetta che gliene fai uno.» Pala mi affianca sul marciapiede, calcandosi bene il cappello sulla testa. Da una tasca prende la custodia degli occhiali da sole e li sistema sul naso.

«Ci manca solo questa…» sbuffo. «Spero che si accontenti di una cosa economica, perché devo risparmiare il più possibile.»

«Ma Salvatore ha detto che ti assume!»

«Non devo fare il regalo solo a lui! Neanche scendo a Roma, quest’anno, quindi dovrò sicuramente fare un regalo ai miei degno di essere chiamato tale!»

«“Degno di essere chiamato tale”… parli come un libro!» mi prende in giro, anche se arrossisce.

«Mi laureo in lettere! Chi dovrebbe parlare così, se non qualcuno come me?» la butto anche io sullo scherzo. Non mi offenderei mai per un commento del genere. Figuriamoci se viene da lui!

«Però potresti far venire i tuoi qui, per Natale. Così ti vedono e non devi impegnarti a fare chissà cosa per loro.»

Sì, potrei. C’è solo un problema… «Non so se sono pronta a dire loro di me e Filippo.»

«Ma tra voi non va tutto benissimo?» Avverto una certa stizza nella sua voce, come se gli desse fastidio che con lui continuo a sottolineare quanto stia bene con il mio ragazzo e poi dica di non essere pronta per un passo del genere. «Insomma, non credi che sia anche giusto che lo sappiano?» prova a rimediare, ma ormai me ne sono accorta.

«No.» Entriamo insieme in una profumeria e subito mi dirigo nell’angolo con i prodotti da uomo. Provo un paio di profumi – quelli che possono rientrare nel mio budget – sui bastoncini di prova, ma non mi convincono del tutto.

Daniele mi è accanto per tutta l’operazione, senza fiatare. Sono stata troppo dura nel rispondergli, ma non so quanto sia il caso di raccontargli il mio passato. Quel passato che a Filippo ho solo accennato, tra l’altro.

Allunga la mano per prendere un profumo che per me sarebbe troppo in alto. «A lui piace questo.»

Alzo la testa per guardare quanto costa. Non che mi piaccia, ma devo considerare il prezzo come parametro. Ottanta euro. «Non posso spenderci così tanto, neanche se a lui piace.»

«Quanto puoi spendere?»

«Non ottanta euro. Devo fare anche due stupidaggini ad Arianna e Alice, poi ai miei, a te…»

«Non mi devi niente!»

«D’accordo, allora non prendertela quando vedrai che Niko e Marco avranno un regalo e tu no!»

Daniele scoppia a ridere. «Marco? Sei seria?»

Rido anche io. «No, ma volevo vedere la tua reazione! A Salvatore dovrò prendere una sciocchezza, almeno a lui…»

«Elena, uno alla volta. Ora andiamo a pagare questo.» Si avvia da solo alla cassa e mi aspetta lì. Lo raggiungo e mi sussurra: «Se vuoi pagare tu, posso darti il resto quando siamo da soli».

Mi viene spontaneo da sorridergli. È stato delicato a pensarci, per un momento ho creduto che volesse pagare lui il mio regalo a Pippo. «Vediamo se riesco a risparmiare da quello per Salvatore o per gli altri.»

«Fai una tragedia per tutto, vedi che è semplice?»

Sorrido ancora. Mi partono sempre le paranoie ancora prima che sia necessario. E lui lo sa benissimo, visto che si è dovuto subire ben più di un mio sfogo. Se fosse il mio ragazzo, saprebbe calmarmi in una situazione simil… Se fosse il mio ragazzo?

Le guance mi vanno a fuoco, spero che lui non mi abbia vista. Pago e usciamo dalla profumeria, con Daniele che deve quasi corrermi dietro.

Ho pensato a lui come mio ipotetico ragazzo, ma che mi prende?

«Alice e Arianna scendono a Roma?» chiede. Non mi guarda, non ha visto che il mio viso era arrossito più del suo.

«Arianna sì, Alice non credo… Dipende se le danno i giorni, ma quel bar è sempre aperto quindi non penso. Perché?»

«Perché se i tuoi vengono a Roma, io e Pippo possiamo stare insieme a voi e Alice. In amicizia, Elena, non partire con la paura di chissà che cosa. Sicuramente viene anche Matilde, non so se la famiglia di Pippo sale da Napoli. Io non voglio vedere né mio padre né mia madre. Sarebbe un Natale diverso, ma comunque Natale… visto che non ne ho uno normale da anni.»

«Sarebbe bello.» Lo dico, prima ancora che riesca a pensare a cosa implicherebbe. Filippo riuscirebbe a stare buono per una mezza giornata senza far capire ai miei che stiamo insieme? Daniele gestirà il suo continuo arrossire? L’unica su cui so di poter fare affidamento in tutto questo è Alice!

«Sento anche Pippo e gli chiedo che ne pensa?»

Arriviamo alla sua macchina, non mi ero neanche accorta che mi stesse portando qui, mi sono limitata a seguirlo una volta uscita dal negozio. «Sì, potresti… almeno per capire se è disposto a non far capire ai miei di noi due.»

Daniele sblocca la portiera e si libera del cappotto per guidare, mentre io vado a mettermi al posto del passeggero, accanto a lui. Non ci metteremo molto a tornare a casa, anche se abbiamo camminato un po’ per arrivare qui.

«Posso chiederti perché non vuoi che i tuoi lo sappiano? Non perché mi voglia impicciare, ma… ho conosciuto genitori che impazzirebbero di gioia all’idea di vedere la figlia con un giocatore di basket professionista. E lui è anche nel giro della nazionale!»

«Ed è anche un bel ragazzo.» Sistemo la busta con il profumo tra le gambe, in modo che non prenda troppe botte con la macchina in moto. Come se questi parametri esterni fossero davvero rilevanti… «Non si tratta di questo, però. È una cosa mia.»

E non so quanto sia il caso di parlarne a lui.

Lui parte e non mi guarda più, come se si aspettasse che tenga per me il segreto. Però proprio il fatto che sia concentrato nella guida mi dà il coraggio per aprirmi.

«Conoscevano il mio ragazzo delle superiori. Ci siamo messi insieme al secondo anno e siamo durati fino a poco dopo la maturità. Mia madre era convinta che ci saremmo sposati, mia nonna gli aveva anche fatto la bomboniera quando lei e mio nonno hanno festeggiato le nozze d’oro… E poi ci siamo lasciati. Male.»

«Male per lui, perché si è perso una persona come te.»

«Andava a letto con la mia migliore amica.»

«Ah.»

«Adesso capisci, vero? Perché mi sono spaventata? Non volevo essere la stronza che fa rompere un’amicizia, perché so cosa si prova.»

«Elena, io e Pippo non smetteremo di essere amici. Non a causa tua.» La sua voce non cambia tono, mi sembra pienamente convinto che tutto andrà bene. Beato lui, vorrei avere la stessa serenità. Si ferma a un semaforo e mi sorride fiducioso. «Te lo prometto, non accadrà.»


Spazio autrice
Vi aspettavate che il loro incontro si sarebbe risolto così? O speravate che Elena si sbilanciasse di più verso Daniele?
Qui ho inserito due piccole cose che per me sono molto importanti: la prima è sul passato di Elena, che ero stata tentata di inserire nel capitolo in cui lei e Filippo si confidano... e invece poi è finita qui. La seconda è sull'origine della Vulnus, vi piace?
Baci a tutti e buonanotte,
Snowtulip.
Ps. vi piace il nuovo titolo?

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


Spengo il computer dell’ufficio con un sospiro di sollievo. Siamo arrivati alla Vigilia e da quel giorno tra me e Daniele è andato tutto bene. Anzi, mi sembra che adesso siamo ancora più amici di prima. Lui ogni tanto continua ad arrossire mentre parliamo, ma fingo di non notarlo per non farglielo pesare.

Siamo anche riusciti a organizzare il cenone a casa da me e Alice, con mia madre che ha preso possesso della nostra cucina mentre noi siamo al lavoro. Spero che non abbondi con i fritti, perché i ragazzi non possono esagerare in vista della partita di domani in casa contro Sassari.

Alla fine, i miei sono venuti qui, con il mio regalo di Natale che sono stati proprio biglietti per Vulnus-Sassari, così mio padre può finalmente vedere una partita senza dover aspettare le ferie. Hanno deciso di alloggiare in un bed and breakfast per non essere troppo invadenti con me e Alice. Mi sento più tranquilla, anche nel caso in cui Pippo volesse fermarsi a dormire da me, perché loro potrebbero andare via prima e io non dovrei dare delle spiegazioni.

Salvatore si stiracchia sulla poltrona, dal che capisco che anche lui per oggi ha finito. «Ho solo un incontro ai piani alti e poi vado da Davide. Per stasera prepara degli antipasti con i gamberi che sono la fine del mondo!»

«A proposito…» Mi allungo verso il mio zainetto, dentro c’è il pacchetto con il regalo per lui. Un bracciale di stoffa con alcune perline a forma di dado, ho visto che ne indossava uno simile e ho pensato che potesse piacergli. Inoltre, era economico e mi aiutava a compensare la spesa eccessiva per Filippo, quindi ne ho approfittato. Gli do la bustina e scoppio a ridere vedendo la sua espressione sorpresa.

«Elena, non doveva!»

«Lei ha creduto in me, questo non è niente al confronto.» Lui ha creduto in me, l’ha fatto sin dal primissimo giorno, quando nessuno sarebbe stato disposto a scommettere su di me per un ruolo alla Vulnus. Ha scelto proprio me tra altri candidati: e un regalo di Natale è il minimo che possa farlo per ripagarlo della sua fiducia.

Mi sorride e apre il regalo. «Questo merita almeno una cena da me e Davide!»

Prendo il cappotto e lo indosso, dopo aver sistemato la sciarpa sul viso. Anche se Filippo mi viene a prendere, fuori c’è un freddo pungente. «Va bene, basta che mi avvisiate e non prendo impegni!»

Lo saluto, afferro al volo il mio zainetto e mi fiondo all’uscita in un batter d’occhio, ricambiando gli auguri a chiunque incontri.

L’Audi nera di Filippo è proprio davanti alla sede, e lui se ne sta appoggiato alla portiera verso di me, leggendo un messaggio sul telefono. Mi accoglie con un bacio a fior di labbra, poi mi apre la portiera e mi fa entrare. Lui va a sedersi al suo posto e partiamo. Allunga subito la mano verso la mia coscia, e mi accarezza dolcemente.

Mi bacia sulla guancia. «A Salvatore è piaciuto il regalo?»

«Ha detto che deve invitarmi a cena!»

Cambia marcia e fa una manovra, poi riposa la mano dov’era prima, anche se piano piano risale lungo la stoffa dei jeans. So cosa ha in mente, e ho tutta l’intenzione di assecondarlo. «Pensavo che prima di andare da te, potremmo fermarci da me… Daniele e Matilde andavano da Alice al bar, quindi abbiamo un po’ di tempo.»

Scosto le sue dita, che nel frattempo erano in un punto troppo sensibile per me. «Mi sembra una buona idea, visto che dopo dovrai fare finta di essere solo mio amico.»

«Sarà molto difficile… Dovrò stare tutto il tempo con Alice, tanto so già che mi terrà d’occhio.»

«Fa bene, tu sei fin troppo espansivo!»

Parcheggia a pochi metri dalla nostra meta, scendiamo e non diciamo una parola finché non siamo in ascensore. Filippo mi scosta la sciarpa dalla guancia, dove mi lascia un altro bacio delicato, ma subito lo attiro a me e poso le mie labbra sulle sue, mentre le sue mani si insinuano sotto il cappotto, accarezzandomi attraverso il maglione.

«Per fortuna Salvatore è gay, altrimenti potrei ingelosirmi» sussurra, con le dita che salgono sulla mia schiena arrivando al reggiseno. Non so come fa, ma riesce a sganciarlo. Allenta il nostro abbraccio e mi guarda la scollatura.

«Se sei geloso, è un problema tuo» scherzo di rimando. Sa anche lui che non sono seria, tanto più che incollo il bacino al suo.

«Lì sotto qualcuno non vede l’ora di farti sua» ridacchia. Il rigonfiamento dei pantaloni preme contro di me, percepisco benissimo la sua voglia. Ne ho anche io di lui.

«E se anche io non vedessi l’ora?» sussurro.

L’ascensore si ferma, ma lui mi guarda come se non si fosse accorto che dobbiamo muoverci da qui. Tiene le mani incollate alla mia schiena e mi riempie di baci tra il collo e l’orecchio.

«Filippo…» Sciolgo l’abbraccio e lo conduco alla porta di casa, perché lui è in balìa di me. Potrebbe fare qualsiasi cosa se glielo chiedessi.

Appena siamo nel salone, mi tolgo subito il cappotto e lui fa lo stesso, buttandoli come capita sulle sedie e mi fiondo tra le sue braccia lasciandomi stringere. Con una mano mi accarezza la schiena, libera dal reggiseno intrappolato tra le spalle e il maglione, con l’altra mi afferra il sedere e mi attira di più a lui.

Porto il suo viso verso il mio e lo bacio, aprendo le labbra e sentendo il suo fiato nel mio. Mi prende in braccio e gli circondo la vita con le gambe, così arriviamo in camera. Mi posa sul letto e mi bacia di nuovo prima di sfilarmi la maglia, con il reggiseno che finisce sul pavimento.

«Principessa, dovresti vederti adesso.» Si toglie da solo la felpa e la maglia e rimaniamo entrambi a torso scoperto.

Gli sorrido, mentre lui si sdraia sopra di me. «Mi sono vista nuda allo specchio, non capisco cosa ci trovi di così speciale.»

In tutta risposta, si fionda sui miei seni, baciandoli e stuzzicandoli con le dita. Mi fa impazzire, mi piace ogni singola cosa che fa con il mio corpo, a partire dalla sua lingua sulla mia pelle che mi fa gemere e mi fa desiderare di più. Voglio di più.

Lo fermo e mi siedo, allungando le mani per sbottonargli i jeans.

«È parecchio dritto» scherza lui, scalciando via i pantaloni attorcigliati intorno alle caviglie.

Guardo il rigonfiamento delle mutande e rido, perché la sua volgarità non mi dà fastidio. Forse in condizioni diverse l’avrei detestata, ma Filippo ha un modo tutto suo di far sembrare un gioco anche le considerazioni sul sesso.

«Lo è quanto deve essere» gli rispondo di rimando, sedendomi sopra di lui.

Mi scosta i capelli dal collo e mi ricopre di baci, spingendo il bacino contro di me quasi volesse che mi spogli da sola. Gli sollevo il viso e gli faccio capire che tra tutti i baci che mi dà, preferisco quelli sulle labbra.

Unisce la lingua alla mia e mi mordicchia il labbro. Devo trattenermi dal gemere di piacere perché altrimenti il bacio si interromperebbe e tutto quello che voglio ora è rimanere incollata a lui. Voglio che Filippo non si allontani da me, voglio sentire il suo sapore, il suo odore e tutto è più nitido mentre mi bacia.

Abbassa la zip dei miei jeans e me li sfila, anche se poi con la mano indugia a lungo il mio sedere: gli piace toccarlo, gli piace stringerlo e a me piace da impazzire la sensazione che mi dà. Mi fa sdraiare sul letto e mi ritrovo con lui sopra di me, con le rispettive mutande a ricoprire le nostre intimità che fremono per incontrarsi.

«Cazzo, Elena, quanto me lo drizzi» sussurra all’orecchio. Adoro che quando parliamo a letto, le nostre parole siano ridotte a mormorii: rende il tutto ancora più speciale.

Dal salone, il mio telefono inizia a squillare. So che devo rispondere, perché la suoneria personalizzata indica che è una chiamata importante.

Filippo mi blocca sul posto, capendo che sto per alzarmi. «Puoi richiamare dopo.»

«Non posso. È Salvatore: se mi telefona significa che è urgente.»

 

Matilde richiude la porta di casa delle ragazze, mentre Alice offre di posare i nostri cappotti nella camera di Arianna.

La madre di Elena sbuca dalla cucina. Se non sapessi che non è la figlia, mi sarei spaventato, sono due gocce d’acqua, se non per la differenza di età rimarcata dalle rughe sulla fronte e intorno agli occhi. «Siete già a casa? Pensavo che arrivaste più tardi, ho mandato mio marito a prendere alcune cose.»

«Elena e Pippo ancora non sono arrivati?» le chiede Alice. Quando la donna scuote la testa, fa le presentazioni, così scopro che il suo nome è Lucia.

Matilde si mette a chiacchierare con lei e le dà una mano in cucina, così noi rimaniamo da soli con il tavolo per ospiti aperto e con la sola tovaglia sistemata.

«Come mai non sono a casa?» mormoro. «Pippo è andato a prenderla più di un’ora fa!»

Alice si mangia una pellicina. «Ne so quanto te. Provo a mandarle un messaggio.»

Non fa in tempo a prendere il telefono che la porta di casa si apre e appaiono Pippo ed Elena. Lei va a testa china in camera, senza salutare nessuno.

Faccio per seguirla, ma Filippo mi blocca. «È successo un casino, non so se ne vuole parlare.»

Tiene la voce bassa, forse non vuole che Lucia ci ascolti. «Che casino? Che le hai fatto, stavolta?»

«Ti giuro, non c’entro io!» Alza le mani, poi si toglie il cappotto e lo posa sul divano. «L’ha chiamata Salvatore. Dice che ha avuto… l’ordine, dall’alto, di non assumere Elena.»

Porco cazzo. No.

Alice si accosta a noi per ascoltare, e lui continua a bisbigliare. «Mi è preso un colpo, Elena è andata in paranoia, si è messa a piangere… Eravamo nudi a letto e si è messa a piangere a dirotto perché non vuole tornare a Roma e se non si inventa qualcosa entro marzo dovrà farlo per forza. E c’è rimasta di merda, perché Salvatore non è riuscito a impuntarsi e pensa che tutto quello che ha detto su di lei per mesi siano state solo cazzate.»

«Vi hanno rotto il cazzo perché non dovevate fare stronzate con lei e alla fine sono loro che non la tengono?» commenta Alice. «Che figli di puttana.»

«Vado a vedere come sta, aiutate Lucia con i preparativi.» Li lascio lì, non bado nemmeno se provano a trattenermi.

Forse Pippo sussurra qualcosa, ma non lo ascolto.

Non mi importa di niente, non mi importa se così lui rischia di scoprire quanto tenga alla sua ragazza. Ero stato io a dirle di rivolgersi a Salvatore, ero stato io a tranquillizzarla e ora… E ora sta uno schifo.

Non so cosa dirle, ma non posso lasciarla in preda alle sue paure.

Busso, senza aspettare una risposta prima di entrare e richiudermi la porta alle spalle. Elena è seduta sul suo letto, rivestito da una coperta rosso scuro – qualsiasi cosa per lei deve avere quel colore? – e tiene ancora lo sguardo in basso. È illuminata solo dalla lampada sul comodino. Si toglie gli occhiali e si asciuga una lacrima sulle ciglia inferiori.

«F-filippo, ti p-prego, lasciami s-stare.»

Mi siedo al suo fianco e le prendo la mano. «Non sono lui.»

Le trema il labbro, sta cercando di non piangere con pessimi risultati.

«Ehi, Elena, guardami. Risolveremo tutto.»

Volta la testa verso di me, con gli occhi gonfi e lucidi. Sbatte le palpebre e una lacrima le riga la guancia. «Tu lo sapevi e non me l’hai detto.»

«Come facevo a sapere che Salvatore…»

«No, Daniele. Tu sapevi di Clara. Filippo mi ha detto che è la nipote del presidente e pensa che sia stata lei a volermi fuori dai piedi.»

Cazzo. Avrei dovuto dirglielo, non doveva scoprirlo così. Non da Pippo.

«Salvatore mi ha detto che aveva una riunione ai piani alti prima di andare a casa. E mi sa che la riunione era solo per dirgli di me.» Si morde il labbro, e sfila la mano dalla mia presa.

«Troveremo una soluzione, te lo prometto.»

«Che soluzione? Ero felice. L’ultima settimana è stato il periodo più felice della mia vita. Non esiste soluzione per questo.» Si guarda intorno, come se volesse imprimere la stanza nella sua memoria. Ma io non ho occhi che per lei e per il suo viso umido di pianto. «Dovrò lasciare questo posto.»

Le accarezzo la schiena, e lei si posa a me. Mi mordo la lingua, sperando che il movimento del mio basso ventre si fermi il prima possibile: da come siamo messi, vedo benissimo il seno di Elena dalla scollatura del maglione. E Pippo prima ha detto che quando Salvatore le ha telefonato erano a letto… Non posso pensare a queste cose, devo risolvere il suo problema.

«La mia ex migliore amica studia Lettere alla Sapienza. Se torno a Roma, dovrò iscrivermi lì, perché ci sono degli ottimi professori per le materie che interessano a me. Ma non posso, non posso tornare e rivederla. Potranno passare anche mille anni, ma era la mia migliore amica e lui il mio ragazzo… I miei sarebbero felici di riavermi a casa, ma io non mi sentirei davvero felice. Non come lo sono stata qui, non senza Arianna e Alice, non senza te e Filippo.»

Non singhiozza, ma sta ancora piangendo. La stringo a me abbracciandola e lei si lascia abbracciare, esausta. Troppe emozioni, troppi pensieri, troppe angosce. Tutti insieme.

Ed è la Vigilia di Natale. Bel regalo di merda dalla propria squadra del cuore.

«Avevi ragione, Filippo mi ha proposto di venire a vivere da voi. Gli ho detto di no, ma non ho potuto spiegargli che era per te.»

Il mio cuore salta un battito. In tutti questi giorni non abbiamo più fatto nessun riferimento a ciò che provo per lei, tanto che mi ero convinto che se ne fosse dimenticata. E invece è solo stata brava a fare finta di niente, proprio come le avevo chiesto io.

«Se è l’unica soluzione, però…»

Mi vibra il telefono in tasca, ma lo ignoro.

«Non dirlo ai miei. L’ho chiesto anche a Filippo, voglio trovare un altro lavoro e informarli solo una volta che sarà tutto a posto.»

«Va bene, ti lascio da sola così ti cambi?»

Lei annuisce e così esco dalla stanza.

Nel salone Matilde e Pippo stanno apparecchiando mentre un uomo di mezza età, che dev’essere per forza il padre di Elena, fa qualche commento sulla stagione della Vulnus insieme al mio amico.

«Cooper l’ho visto molto bene l’altro giorno, quest’anno andiamo proprio alla grande! E poi Teo, ma lui è di un altro pianeta!»

«Teo è di un altro universo, non di un altro pianeta!» precisa Pippo, ridacchiando. Il clima è disteso, dal che capisco che nessuno ha parlato del licenziamento di Elena.

Alice sbuca dalla cucina e mi passa un vassoio con degli antipasti fritti. «Dani, sono baccalà, posali sul tavolo.»

«Agli ordini!» Prendo il vassoio e lo poso dove mi sta indicando Matilde. Poi prendo il telefono dalla tasca. Forse è meglio che controlli quel messaggio. Già dall’anteprima capisco di essermi rovinato non solo il Natale, ma tutti i giorni di festa fino a Ferragosto.

Se vuole rimanere dove sta, la zoccoletta deve lasciarlo.” Ci mancava solo Clara. Faccio sparire la notifica e per poco non lancio il telefono sulla tavola apparecchiata.

Trattengo l’impulso e mostro lo schermo ad Alice, che mi passa vicino con un altro vassoio.

«Che altro vuole, una fetta di culo?» bisbiglia lei, proprio mentre Elena esce dalla camera.

Non sembra più che abbia pianto, il trucco non si è sbavato e lei ha un’aria più tranquilla. Saluta il padre Carlo, poi scambia un cenno di assenso con Pippo e leggo dal suo labiale un “va tutto bene” a cui però credo poco.

«Devo fare una telefonata importante, dove posso andare?» chiedo ad Alice, che indica la sua camera con un cenno del capo.

 

Daniele sparisce con una velocità incredibile. Lo conosco abbastanza da sapere che vuole chiamare Salvatore o addirittura direttamente il presidente della Vulnus.

Filippo mi lancia un’occhiata preoccupata, poi lo segue.

«Quindi voi due siete amici?» chiede mia madre, affacciandosi dalla cucina. «O qualcos’altro?»

Cosa?

Avvampo dall’imbarazzo, ci mancava solo questa. Lei e papà non dovevano sapere di me e Filippo, ma non possono nemmeno pensare che stia con Daniele! E per fortuna lui non ha sentito, altrimenti il suo viso sarebbe addirittura più rosso del mio!

«No! Siamo solo amici… Doveva dirmi una cosa di lavoro, tutto qui.»

Che diavolo mi sto inventando? Che avrebbe dovuto dirmi per lavoro?

«Lucì, lasciala in pace.» Mio padre mi strizza l’occhio appena mia madre torna in cucina da Matilde. «Però se stai con Pala…» Lascia in sospeso la frase con un tono complice, come ha dirmi che ho fatto centro. «Gran bel giocatore.»

Alice sistema i bicchieri sulla tavola, fingendo di ignorare ogni parola pronunciata dai presenti, ma la conosco e so che sta immagazzinando tutto. Forse più tardi lo riferirà a Daniele, ma spero di no. Spero vivamente di no.

Lei mi guarda e non dice nulla. Eppure, dal suo sguardo so che sta riflettendo.

Scuoto la testa. Non dirgli niente.

Matilde porta a tavola due brocche piene d’acqua. «Però tu e Daniele sareste carini» mormora, in modo che senta solo io.

 

Ho già il cellulare in mano, quando la porta sbatte alle mie spalle. Pippo è appena entrato e mi guarda storto. «Si può sapere che ti passa per il cervello?»

Sbatto le mani sui fianchi. «Abbassa la voce! Vuoi rovinare il Natale a Elena?»

«Ma che cazzo fai, Dani? Vai a parlare da lei come se fossi il suo ragazzo!» Incrocia le braccia, cerca di rimanere calmo, ma gli ho fatto girare le palle. Almeno ora sta mormorando e dal salone non ci sentono.

«Che cazzo dici? Ho nascosto a Elena la verità su Clara, dovevo vedere come stava, no?»

«E vuoi telefonarle per farle cambiare idea?»

Scuoto la testa e gli mostro il messaggio. «Vuole separarvi. E io non lo voglio. Siete miei amici e non voglio che si metta in mezzo alle vostre vite. Non di nuovo, Pippo. Ho già dovuto sopportare tutte le volte che mi scriveva per sapere di te, non la voglio in mezzo ai coglioni di nuovo.»

«Non devi risolvere tutto tu! Ci sono anche io!» Si butta a sedere sul letto di Alice, e si porta le mani tra i capelli.

Sbuffo. «Hai delle idee, allora?»

«No.»

«Io invece sì.» Faccio partire la chiamata per Salvatore e mi siedo al fianco di Pippo in modo che possa ascoltare. Squilla un paio di volte, poi mi risponde.

«Pala, tutto ok?»

«No. Perché non assumi Elena?» Sono più diretto del solito, ma non me ne frega niente. Nulla sul pianeta è più importante di Elena, nemmeno l’educazione.

Lo sento sospirare. «Daniele, non è così semplice. Ho avuto una riu…»

«So già tutto. Perché non ti sei opposto? Perché non hai chiesto dei giorni per pensarci bene?»

Filippo mi strappa il telefono dalle mani. «Sai che significa doverla consolare perché era a pezzi? E quella psicopatica di Clara vuole che lei se ne vada o che lasci me! Elena tornerà a Roma se non ha un lavoro e io non voglio che se ne vada da me!»

«Ragazzi, sto contattando tutte le redazioni giornalistiche della città, pensate che me ne stia con le mani in mano?»

Pippo mi restituisce il cellulare. «Cazzo.»

«Dovresti scusarti.»

«Non c’è problema, so che è preoccupato per lei. So quanto vale Elena, per questo le sto cercando un nuovo lavoro

Mi sento più leggero. Salvatore è l’amico di cui tutti abbiamo bisogno nella vita. «Grazie, ora glielo diciamo. E scusaci per il disturbo.»

«Buona Vigilia, ragazzi.»

Ricambio l’augurio e chiudo il telefono. Pippo si sta tenendo la testa tra le mani e continua a scuoterla come un bambino che ha combinato qualche marachella.

«Non dovevo incazzarmi con lui» si lagna. Si lagna sempre quando fa stronzate.

«No, non dovevi. Ma vai a dire a Elena che deve stare tranquilla.»

Annuisce e si alza in piedi. Bel Natale di merda, l’ho spinto ad andare da lei per darle una buona notizia. Avrei dovuto farlo io.

Ritorno al salone, dove Elena e Pippo sono in disparte e lui le sta mormorando qualcosa. Si sistema una ciocca di capelli dietro l’orecchio e il viso le si illumina, è veramente bella. Troppo bella.

«Sto impazzendo» mormoro tra me e me.

Alice mi batte una pacca sulla schiena, non arrivando alla spalla.

«Chissà che le sta dicendo.» Vado in cucina, dove Lucia si destreggia ai fornelli. Ormai ha spento il fuoco sotto la padella dei fritti, ma rimangono quello della pasta e del condimento di pesce.

«Che succede?» Matilde mi sorprende alle spalle.

«Niente, poi ti spiego.» Devo trattenermi, non posso tirare fuori che Pippo è stato inutile, che non ha nemmeno pensato di chiamare Salvatore, né che gli è venuto in mente di trovare un’altra soluzione al problema della sua ragazza.

Neanche io ho fatto più di tanto, ma almeno ho pensato di telefonare al suo principale. E ho anche dovuto mandare quel deficiente del mio amico da Elena, perché lui sarebbe rimasto con quell’espressione da pesce lesso a fissare il vuoto.

E lei lo guarda con quegli occhioni innamorati… mentre quando guarda me sembra che guardi un cucciolo abbandonato.

Continuo a ripetermi che starò bene, che i miei sentimenti svaniranno, perché Elena e Pippo non si lasceranno tanto presto. Ma sto iniziando a non crederci più.


Spazio autrice
Era strano che Clara ancora non avesse fatto danni veri e propri, vero? E invece... Ma per fortuna ci pensa Salvatore!
Che ne pensate dell'inconveniente della madre di Elena che fraintende il suo rapporto con Daniele?
Ci sono moltissime cose da dire, quindi non faccio domande troppo specifiche per non farvi intuire qualcosa di troppo! Cosa ne pensate?
Baci a tutti,
Snowtulip.

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


Il Palavulnus è strapieno, come è normale per una partita nel giorno di Natale. I miei sono seduti dietro alla panchina della Vulnus, qualche fila un po’ indietro rispetto alle prime. Sono felici e spensierati, come due ragazzini a una gita fuori porta.

Dal mio posto li posso vedere così come loro possono vedere me.

La squadra entra sul parquet con un gioco di luci dei riflettori. Daniele guarda dritto verso di me, anche se batte il cinque ai compagni di squadra. Poi individua qualcuno tra gli spettatori e si rabbuia.

Seguo il suo sguardo e, accanto al presidente della Vulnus, nella prima fila opposta alle panchine, c’è Clara. Indossa un completo firmato, come se fosse a una sfilata invece che a una partita…

Deglutisco, e rimango immobile al mio posto. Per tutti i quaranta minuti di gioco non devo fare niente, ma la sua presenza mi inquieta.

Filippo passa a un metro da me e mi sorride, anche se dura solo un attimo. Mi rasserena, anche se non mi sento tranquilla, non come lo ero stata giorni fa. Lo stomaco mi va in subbuglio, mi sale la nausea.

«Non mi sento bene» mormoro a Salvatore, seduto al mio fianco. Mi alzo, di nascosto grazie al buio delle luci spente e del loro gioco all’ingresso della Vulnus. Nessuno può accorgersi di me. Mi infilo nel corridoio verso gli spogliatoi dopo che i nostri sono fuori, quando i riflettori non sono più puntati sull’ingresso.

Corro al bagno più vicino, quello dello spogliatoio, ma la sensazione di nausea svanisce così come è venuta.

«Ele, ti senti bene?» Matilde mi ha raggiunta. Non sapevo nemmeno che fosse al Palavulnus.

Scuoto la testa. «Non capisco che mi prende, mi è salita la nausea e pensavo di dover dare di stomaco. Però ora non la sento più.» Ho il cuore che va a mille, le lacrime che dal nulla spingono per uscire e il fiato corto.

Mi appoggio al muro, cercando di non cadere, sto perdendo il contatto con la realtà. Mi si abbassa la vista e chiudo gli occhi. Ho ancora il battito accelerato, e non accenna ad abbassarsi.

«Devi prendere aria, sei bianca come uno straccio.»

«Sì, io…» Apro gli occhi, ora ci vedo. Mi sembra di aver avuto un calo di pressione, ma qualcosa non va. «Matilde, non capisco.»

«Andiamo fuori, ti accompagno.»

Lei mi accarezza la schiena e mi sostiene finché non siamo nel parcheggio all’aperto. L’aria della sera è fredda, e noi siamo senza cappotti. Inizio a tremare, forse non è stata una buona idea.

Mi accascio su un gradino, Matilde si siede accanto a me e mi circonda con le braccia.

«Va tutto bene, Ele, va tutto bene. Inspira ed espira. Rientriamo presto, appena starai meglio.»

Seguo il suo consiglio, mi riempio i polmoni del profumo dei pini sottovento, e il freddo mi pervade dall’interno.

«Andiamo, sto gelando.»

Matilde mi accarezza il viso. Gli occhi verdi sono uguali a quelli del fratello, mi mettono a mio agio. «Stai meglio?»

Annuisco, mi alzo in piedi e rientro, con lei che mi segue. «Non capisco cosa mi sia successo.»

«Forse un attacco di panico, ma ora sembri più tranquilla.»

«Sì, io…» Mi porto le mani alle tempie. Un attacco di panico? «Ho visto una persona. Può essere stato per quello?»

«Clara… L’ho vista anche io.»

E lei come fa a sapere di Clara? Oh, no… Daniele le racconta tutto, le avrà detto di lei e Filippo, del loro esame… e anche del nostro incontro. E di sicuro allora sa anche dei suoi sentimenti per me.

Non so quanto sia un bene che mi stia accanto proprio lei. «Non pensi che sia un caso, vero?»

Non mi muovo di un passo, non riesco a pensare di tornare intorno al parquet, con tutta quella gente sugli spalti, con Clara – la nipote del presidente, che mi ha sbattuto fuori dalla Vulnus – lì in prima fila, pronta a saltare su Filippo appena la partita sarà finita.

Io non ho quella faccia tosta, non riuscirei a ripresentarmi davanti a lei e fingere di non sapere chi sia. O chi sia stata per il mio ragazzo.

«Non credo che sia un caso, già» concorda Matilde. «Sei sicura di stare meglio? Sembri ancora uno straccio.»

«Sì, ma non ce la faccio a tornare indietro, è…» Mi mordo il labbro, mi viene da piangere. «Ho sbagliato tutto, non avrei mai dovuto essere qui.»

Matilde mi stringe a sé, senza lasciarmi il tempo di reagire al suo abbraccio. «Ma no, non hai sbagliato niente. Se non fossi mai stata qui, non ci saremmo mai conosciute.»

In condizioni diverse avrei sorriso, ma mi rendo conto che io e lei non abbiamo questo legame stretto per cui avrebbe dovuto parlarmi così.

«Non avrei creato problemi, non ci sarebbe stato nessun casino con Clara, e Daniele…»

«Adesso sta’ tranquilla e non preoccuparti di questo. Hai il cellulare con te?»

Annuisco e lo prendo dalla tasca della giacca.

«Scrivi a Salvatore che ti sei sentita male, può aiutarti più di quanto possa fare io.»

Seguo il suo consiglio, poi rimaniamo per qualche minuto da sole, in silenzio. Sono a disagio, non so cosa poter dire per riempire il vuoto.

Le gambe iniziano a tremare da sole, anche se non ho più freddo e qui non ci sono spifferi. Guardo Matilde, preoccupata.

Distende le sopracciglia, prima aggrottate, e mi indica il pavimento. «Elena, siediti. Anche per terra, non importa.»

Salvatore risponde al messaggio chiedendomi dove sono.

Al parcheggio all’aperto.”

Dopo alcuni minuti, ci raggiunge con una bottiglietta d’acqua in mano e seguito da uno degli uomini dello staff medico della squadra, Alessio, che ha con sé una piccola valigetta. Matilde si alza in piedi e mi accingo a imitarla, quando Salvatore mi indica di stare giù.

«Che ti è successo?»

«Non lo so con sicurezza.» Rimango sul vago, nonostante l’ipotesi dell’attacco di panico mi sembri plausibile.

Alessio mi misura subito la pressione. «Il battito è alto, ma la pressione no.»

Salvatore mi porge la bottiglietta d’acqua. «Sta bene?»

«Fisicamente sì. Non hai più la nausea, giusto?» Alessio mi guarda incerto, e immagino che il mio collega gli abbia riferito il contenuto del mio messaggio.

«No, sto meglio…» Mi pizzico la punta dell’indice, mentre mi rimetto in piedi. «Ma mi sento un po’ stanca.»

I due uomini si guardano.

«Elena, potrebbe essere lo stress.» Salvatore si gratta la nuca, pensieroso. «Non voglio metterla in difficoltà: se non si sente bene, vada a casa.»

Qualcosa mi suggerisce che lui ha intuito il vero problema, e che mi sono sentita male per aver visto qualcuno di preciso. «Sì, forse dovrei, ma non posso… Ci sono i miei genitori a vedere la partita, dovrei almeno dire loro dove sono.»

Matilde mi posa una mano sulla spalla. «Ci penso, io. Chiama Alice, così ti viene a prendere.»

 

Mi tolgo la maglia del riscaldamento che ho usato durante l’intervallo lungo e la lascio sulle sedie, rimanendo con la canotta.

Filippo si appoggia ai cartelloni pubblicitari. «Elena non è al suo posto.»

«Forse è da qualche parte per Salvatore.» Mi sto concentrando sulle indicazioni del coach e ora non ho il tempo di pensare a…

Il mio sguardo è attratto da Matilde che si muove sugli spalti.

Che ci fa accanto ai Carlo e Lucia? Dice loro qualcosa e se ne va, salendo i gradini che la portano al suo posto. Mi giro per guardare il punto dove di solito siedono Elena e Salvatore, ma c’è soltanto lui.

Non posso permettermi di distrarmi, così ritorno sul parquet e alla fine della partita ho ben cinque punti e tre assist. Mi arriva la solita pacca di Niko per festeggiare ed esulto con i ragazzi, poi scopro che è Salvatore a portare Mike a fare le interviste, e non Elena. Non rimango insieme agli altri per ringraziare i tifosi, ma vado dai suoi genitori.

«Sapete se è successo qualcosa a Elena?» chiedo subito, mentre la madre indossa il cappotto.

Mi saluta con un sorriso. «Tua sorella ci ha detto che non si è sentita bene e che è andata a casa. Voleva rassicurarci, non era nulla di grave.»

Dopo passo da lei a vedere come sta.

Li lascio lì e vado a salutare i dirigenti a bordocampo. Accanto al presidente avevo già visto Clara, ma ora lei mi sorride beffarda e soddisfatta.

Stringo la mano al presidente, senza ricambiare il suo sorriso smagliante. Scuoto la testa all’indirizzo della nipote. «So che ci sei tu dietro a tutto questo.»

«La zoccoletta non regge la pressione? Di’ a Pippo di prendersene una più…» Inarca il sopracciglio, guardando qualcuno alle mie spalle.

«Una più…?» chiede proprio lui. Deve aver liquidato gli altri in un baleno. «Una più normale di te? Lo sono tutte.»

Clara sorride, con la stessa espressione di sempre. È sempre finta, non sorride mai davvero. «Una più donna, non una ragazzina che si spaventa solo a vedermi.»

«Magari il problema sei tu.» Filippo fa un passo avanti e stringe i pugni.

Lo blocco prima che faccia qualche stronzata. «Lasciamo stare, non attiriamo l’attenzione.»

Oppone resistenza, ma poi indietreggia, voltandosi per andare agli spogliatoi.

«Daniè, chilla m’ha rott’ o cazz.» Si asciuga il sudore sulla fronte e cammina a passo spedito verso lo spogliatoio. «Ha spaventato Elena? Che significa che ha spaventato Elena? Non voglio che le faccia niente, e chista strunz’ è convinta che sia andata via perché c’era lei?»

«Ho chiesto ai genitori, la madre mi ha detto che si è sentita male…» lo informo, proprio mentre arriviamo allo spogliatoio. «Però ha minimizzato. Comunque passiamo da lei prima di andare a casa.»

Faccio per entrare, ma lui mi sbarra la strada. «Daniè, grazie. Le avrei spaccato la faccia davanti a tutti… E stavolta il coach avrebbe fatto bene a farmi storie.»

Gli do una pacca. «Figurati.»

Mi faccio la doccia e mi cambio, riflettendo in silenzio sulle parole di Clara. Rispondo a malapena a Léo, che mi dice qualcosa sull’assist che gli ho fatto nel terzo quarto.

Esco dall’impianto insieme a Pippo, che cammina a passi rapidi verso l’auto.

Matilde ci accoglie appoggiata alla portiera. «Ragazzi! Ci avete messo una vita!»

«Scusaci, colpa mia. Stavo per spaccare la faccia a quella stronza della mia ex.» Filippo sblocca la macchina, poi si siede al posto del guidatore.

Cedo l’altro posto davanti a Mati e mi metto dietro. Prendo il telefono e scrivo a Elena, chiedendole come sta.

Sto. Né male né bene.”

Non poteva darmi una risposta normale? Devo sempre interpretare quello che dice!

Stiamo venendo da te, Pippo è preoccupato.”

Preferirei di no.”

Quindi sta male, ma che non vuole che lui la veda a pezzi. “Non posso fargli cambiare idea, stava per picchiare Clara.”

Molto utile. Non voglio vederlo, non ce la faccio.”

Perché no?

Perché sto iniziando a pensare che con lui ho fatto un’enorme stronzata. Dovevo andarci a letto quella sera e diventare solo una delle tante. Non reggo il peso di un’ex così ingombrante.”

Proprio per questo dovresti parlarci.”

Magari si lasciano… O forse mi sto illudendo. Io non ho ex ingombranti, ma purtroppo sono anch’io nel giro di conoscenze di Clara. E ne farei volentieri a meno.

Nel frattempo, Matilde sta raccontando a Pippo che Elena ha avuto un attacco di panico e pensa che sia stato a causa di Clara. Concordo con lei: è stato sicuramente per Clara.

Preferirei parlare con te.”

Devo rileggere il messaggio per assicurarmi di non essermelo sognato. È fragile ma non vuole vedere il suo ragazzo: vuole me.

Non posso fargli cambiare idea, parla con lui. Se poi avrai bisogno di me, io sono sempre qui.”

Va bene. Grazie, Pala.”


Spazio autrice
Clara non molla la presa e continua a darci fastidio... ma vi aspettavate questa reazione da parte di Elena?
Sinceramente questa scena non era in programma, ma poi ho pensato che il modo migliore per smuovere la storia e per far scattare qualcosa dentro di lei fosse proprio questo. Serviva un punto di cesura e questo secondo me era l'ideale (ma vedrete gli sviluppi nel prossimo capitolo!)
Baci a tutti e buonanotte,
Snowtulip.

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***


Mi tremano le gambe, così mi siedo sul letto mentre Alice mi porta una tazza di camomilla. Guardo i messaggi che mi sono scambiata con Daniele: mi preoccupano, perché non so quanto Filippo sia un bene per me in questo momento.

La mia coinquilina si mangiucchia un’unghia. «Se citofona, gli dico che ti sei addormentata?»

«No, vorrebbe almeno vedere come sto.» È testardo come pochi, di certo vorrà salire e controllare come mi sento. E assicurarsi che non gli abbia mentito.

Ad Alice ho mostrato quasi tutti i messaggi tra me e Pala, eccetto gli ultimi tre. So che non ne farebbe mai parola con anima viva, ma so altresì il sottotesto che lei vi leggerebbe: la mia presa di coscienza che avere lui vicino mi tranquillizza e che quindi forse – ma forse – potrei provare dei sentimenti per lui.

Eppure, quello che ho scritto era proprio ciò che sentivo. Daniele mi fa stare meglio, si impegna a trovare una soluzione, e non mi fa mai salire le paranoie. Per quanto anche Filippo in passato abbia tentato di aiutarmi – non posso dimenticare il suo tatto quando gli accennato al fatto che non avevo un ragazzo da un sacco di tempo – con lui ho sempre avuto più preoccupazioni che altro.

Ed è stato così sin dal primo giorno. Mi piaceva ed ero attratta da lui, ma mi sono subito fatta qualche problema.

E ho chiesto a Pala.

Sorrido imbambolata, ricordandomi quel pomeriggio in cui mi ha dato un passaggio a casa. Il primo di una lunga serie.

I miei pensieri sono interrotti da un messaggio di mia madre. Poco dopo la partita mi ha telefonato e le ho detto di aver avuto mal di stomaco “forse per qualcosa che ho mangiato”, e lei mi ha solo consigliato di mettermi al caldo sotto le coperte e di riposarmi.

Non so quanto ci riuscirò con Filippo che sta arrivando.

Alice resta con me, guardando dei video scemi su Instagram di gente che assaggia del cibo spazzatura, rimanendo seduta al mio fianco fino a quando non suona il citofono.

«Non lo mando via? Sicura?»

Annuisco. «Meglio che ci parli, così se ne andrà da solo.»

Si alza e va ad aprire il portone, poi rimane sulla soglia della mia camera. «Al tuo posto vorrei la mia ragazza vicino, però.»

Sollevo lo sguardo su di lei. «Lui mi fa agitare ancora di più. Non mi aiuta per niente averlo intorno, non dopo… quello che ho avuto

La teoria di Matilde dell’attacco di panico mi sembra quella più credibile, anche se non riesco a dirla ad alta voce.

Vedere Clara lì in prima fila, accanto all’uomo più importante della Vulnus, è stato un colpo al cuore. Come se volesse ricordarmi chi è lei e che io devo stare al mio posto. Che io non conto nulla e lei invece sì.

Eppure non ho fatto niente, ho solo avuto la colpa di innamorarmi di Filippo. Anzi, ho avuto la colpa di essere ricambiata da lui.

Il suono della porta di casa che si chiude mi indica che è qui. Mi mordicchio il labbro, nervosa: come accidenti gli dico quello che ho in mente?

«Come stai? Matilde mi ha detto di Clara…» Entra e si siede sul mio copriletto, senza togliersi il cappotto. Forse spera anche lui di andarsene presto. «L’ho vista a bordo campo, ma non avevo pensato che ti poteva aver detto qualcosa.»

«Non mi ha detto niente.»

Posa una mano sulla mia, attorno alla tazza ancora fumante. «E allora cosa è successo?»

Mi sento gli occhi umidi, ho un’improvvisa voglia di piangere piuttosto che affrontare il discorso. «Non mi sento tranquilla. Non con… lei in giro, non con lei che ha voce in capitolo nella mia vita. Mi spaventa e mi fa sentire impotente.»

«Rimango con te stanotte?»

Mi pizzico l’indice con le unghie. «No. Ho bisogno di stare da sola.»

Inarca le sopracciglia, con la bocca spalancata per la sorpresa. Lascia la presa sulla mia mano. «Non mi vuoi? Stai male e non mi vuoi con te?»

Mi mordo di nuovo il labbro e annuisco, abbassando lo sguardo. Che codarda, non riesco nemmeno a guardarlo in faccia.

«Elena, ma… perché?»

Mi sembra di essere tornati a quando non gli parlavo perché voleva solo scoparmi, il suo tono è quello di quei giorni. Ma stavolta l’ho ferito davvero: è lui che non voglio intorno, non il suo ego.

«Perché ho paura, Filippo, ne ho tanta… E tu non me la fai passare. Mi dispiace dirtelo così, ma ci sono arrivata adesso e non ho parole migliori. Scusami.»

Non riesco ad alzare il viso verso di lui, non ho il coraggio di dirgli che forse sono solo infatuata di lui, ma che non lo amo. Se lo amassi, gli avrei chiesto io per prima di venire da me.

«Vuoi un po’ di tempo per capire? Lo capisco, è successo tutto di fretta… Tra noi, intendo. E avrei dovuto dirti di quella pazza.»

«Sì, avresti dovuto.» No, avrebbe dovuto farlo Daniele.

«Quindi alla prima difficoltà ti allontani da me?» Il suo tono è deluso, non oso nemmeno immaginare come starei al suo posto. Ma devo pensare a me stessa e a cosa mi fa stare bene, soprattutto se ho avuto un attacco di panico come temo.

«Non è una difficoltà. È un problema. Clara non può sparire dalla tua vita finché sei alla Vulnus e questo mi crea ansia. Come la risolvo, secondo te?» Lo sfido, perché so che mi proporrà una soluzione assurda e con cui non sarò affatto d’accordo.

«Posso andare via dalla Vulnus, e insieme possiamo stare in un’altra città.»

Ecco, appunto.

«Un’altra città? Ho la mia vita qui, devo ancora laurearmi, voglio fare la magistrale qui, non posso prendermi un impegno grosso come andare a convivere in un’altra città. Stiamo insieme da poco più di un mese!»

«Ma io ti amo, non mi interessa!»

Rimango senza parole. Ha detto che mi ama. Finora nessuno dei due l’aveva mai fatto.

Una lacrima mi scende sulla guancia. «Io no, però. Non ti amo.»

Anche lui adesso ha gli occhi lucidi. «E quello che abbiamo passato insieme? Se non mi ami…»

«Guarda che mi piaci, e anche parecchio. E sono innamorata, ma “amare” è una parola grossa. E per me è difficile da dire.»

Spero che capisca, ma sento io per prima quanto le mie parole suonino strane. Non sembra la mia voce quella che le pronuncia.

«Ti dico che ti amo e tu mi rispondi così?»

Mi mordo il labbro, cercando di trattenere le altre lacrime. Potrei scoppiare a piangere da un momento all’altro.

«Ci provi almeno a venirmi incontro? A capire come mi sento? Che ho paura?»

«Paura di cosa? Di amarmi?»

«Sì, anche, non lo so!» Piango, non mi importa neanche più cercare di controllarmi. «Hai ragione, ho bisogno di tempo. La situazione mi sta precipitando addosso e non so gestirla.»

«Quanto tempo, Elena?»

«Non lo so.» Capisco la sua domanda, prima di trattarlo di nuovo come se fosse un amico l’ho fatto penare. E prima di andarci a letto è stato lo stesso.

«Va bene, ti lascio dormire. Domani scrivimi.»

Si alza dal letto e se ne va, con la porta di casa che sbatte alle sue spalle. Provo a calmare almeno le lacrime bevendo la camomilla. Alice ci ha messo il miele invece dello zucchero, il sapore è più dolce. Ma non colma il vuoto che sento dentro.

Prendo il telefono. Non è sensato e forse non è giusto nei confronti di nessuno, ma a parte lei posso parlare con una sola persona. Altrimenti sarà proprio Alice a dirgli tutto.

 

Fingo di ascoltare Matilde e le sue ipotesi su quello che stanno facendo quei due. Conoscendo Pippo, se la farebbe su due piedi senza neanche starci a pensare, convinto che con il sesso si risolva tutto, persino le ansie e le paure. La cosa peggiore è che sto anche immaginando lei che lo asseconda… Che brutta immagine.

Il telefono mi vibra nelle mani, dopo pochi minuti che lui ci ha lasciati in macchina. “Gli ho detto che ho bisogno di tempo.

Cosa?

Attorciglio un dito intorno a un ricciolo che mi spunta dal cappello di lana. Elena non sa che significa tradotto nel linguaggio di Pippo: dal suo punto di vista, l’ha scaricato.

Non ho bisogno di chiederle come l’ha presa lui, perché tra poco lo vedrò sbucare dal portone e lo saprò.

Come ti senti?

Male. Ho cercato di non piangere, ma non ci sono riuscita.”

Sei da sola o c’è Alice?

Da sola. È andata a dormire, domani attacca presto al bar. Per questo ho scritto a te.”

Mi vede solo come un amico, come lo è Alice. Ho un conflitto di interessi grosso come il talento di Teo a basket nel parlare con lei in questo momento. Però non posso lasciarla da sola a pezzi.

Ma che le dico?

Cancello tre messaggi diversi e trattengo l’impulso di scendere e andare da lei di nascosto da Pippo solo perché lui non lo merita. O meglio, forse se lo merita, ma io non lo farei mai a un amico.

Daniele, ho avuto una sensazione strana. Mi sentivo triste, però sentivo anche di fare la cosa giusta per me. So che lui tiene a me, ma per una volta devo mettermi al primo posto.

Fai bene. È stata una cosa strana, quella che ti è successa, è normale che tu debba pensare prima a te stessa, l’avrei fatto anche io.”

Ho paura di averlo ferito.”

E chissenefrega, se non lo capisce è un problema suo.”

Sarò stato troppo brusco? Non c’è un altro modo per dirle che a volte Pippo è di legno…

Eccolo, sbuca dal portone ed entra in macchina, sbattendo la portiera. Blocco subito lo schermo del telefono, mentre lui fa partire il motore senza dire una parola.

«Allora?» gli chiede Matilde. «Come sta?»

«Sta che mi ha lasciato» risponde lui scocciato. «Io le ho detto che la amo e lei mi ha detto che ha bisogno di tempo. Le ho detto di scrivermi domattina, ma non so se lo farà.»

«Sì, ma lei come stava? Come l’hai vista?» insiste Mati. Spero che tenga la lingua a freno, perché lei è molto diretta nel dire le cose come le pensa, e stavolta potrebbe combinare qualche danno.

Rimane in silenzio per un po’. «Stava piangendo.»

«Forse dovresti preoccuparti più di questo che del fatto che tu la ami. Lei sta male e non basta un “ti amo” a cambiare la situazione.»

«Le ho proposto di cambiare città, di ricominciare insieme da un’altra parte…»

«E non hai pensato alle conseguenze di una roba del genere su una ragazza che ha appena avuto un attacco di panico? Non sei tu al centro dell’attenzione, devi pensare anche a come reagiscono gli altri a quello che dici o che fai.»

Non ci va per niente leggera. So dove sta arrivando, in condizioni diverse le avrei anche dato man forte, ma sono coinvolto a livello emotivo e sentimentale. Non mi azzardo a dire niente, non voglio influenzare lui o Elena.

Non nel rapporto tra di loro, ecco.

«Ma che dovevo fare? L’unica soluzione per togliermi Clara di mezzo è andarmene da qui!»

«Non è questo, non hai ancora fatto il cambio di paradigma: devi mettere lei al centro, non te stesso! Non è uguale, perché tu pensi a lei in funzione di te, non a te in funzione di lei. E anche se siete carini, anche se vi scambiate sguardi innamorati, anche se davvero siete innamorati, questo non fa per niente bene a nessuno dei due.»

Eccolo lì: il cambio di paradigma. Sono anni che ne parla: comportarsi come hanno bisogno gli altri, non come ci pare e piace. Pensare alle conseguenze, cercare di essere al di sopra della situazione e di essere di aiuto.

Lei è così: mette al primo posto gli altri, poi sé stessa. E con il tempo ho cercato di essere come lei il più possibile, ho sempre ammirato il suo modo di fare.

Ma per Filippo non è semplice, è una persona diversa da noi, non riesce a guardare sé in ottica degli altri. È abituato a guardare gli altri in funzione di sé, come dice Mati.

E anche Elena gli interessava perché era bella, perché lo eccitava, non per altri motivi.

Io mi sono innamorato di lei scoprendola nel tempo. Ho instaurato con lei un vero rapporto, all’inizio nemmeno mi interessava più di tanto.

Non è giusto fare dei paragoni, ma è inevitabile. Al posto di Pippo mi sarei comportato in tutt’altra maniera.

«Stai dicendo che non metto Elena al centro? Ma se la tratto benissimo!» Parcheggia ed esce dall’Audi prima che Mati possa ribattere.

Lei si toglie la cintura e lo raggiunge sul marciapiede. «Sto dicendo proprio questo: che tu sei convinto di trattarla benissimo, ma che nella realtà dei fatti non è così. Non riesci a vederlo, perché per te va tutto a gonfie vele: hai una ragazza stupenda con cui ti togli lo sfizio circa una volta al giorno e non pensi ad altro. Non costruirai mai un rapporto serio se non riesci ad andare oltre.»

Lui non replica, perché sa che il ragionamento di Matilde ha senso. Non per niente è la voce della coscienza di entrambi: ormai ha imparato a conoscere anche Pippo, con le sue luci e le sue ombre.

«L’hai distrutto abbastanza, andiamo a dormire.» Li metto a tacere, perché per questa sera non voglio sentire una parola di più. Inoltre, non ho ancora letto l’ultimo messaggio di Elena, e non posso farlo con lui nei paraggi.

Lo apro più tardi, quando sono sotto le coperte. Da solo, perché quei due sono rimasti nel salone a chiarirsi dopo la discussione di poco fa.

Stavo pensando di lasciarlo. Ho chiesto a Salvatore di poter fare solo il lavoro di ufficio negli ultimi giorni alla Vulnus, così non devo incontrarlo.”

Il cuore mi salta in gola. Lo lascia?

Non vuoi rimanere da noi?” Immagino già la risposta, ma devo chiederglielo. Clara era stata molto chiara: se Elena l’avesse lasciato, sarebbe rimasta alla Vulnus.

Meglio di no. Era il motivo per cui non volevo una storia con lui: se ci fossimo lasciati sarebbe stato un casino. È finita che ci ho rimediato un casino e il cuore a pezzi.”

Quindi non ci vedremo più. È inevitabile: sono amico del suo ex e lei nemmeno lavorerà per la mia squadra. Capisco se vuole tagliare i ponti con tutta questa esperienza. Non mi stupirei se da domani iniziasse a tifare per Milano, per dirne una a caso.

Mi dispiace, Elena, avrei voluto avvertirti prima.”

Tu hai fatto tutto il possibile, non è colpa tua. Mi sarei innamorata lo stesso di lui.”

Mi dispiace comunque.”

Lo so, Daniele. Grazie per il supporto.”

Figurati.” Stavo per aggiungere un “a domani”, ma sarebbe stato fuori luogo. Non credo che domani ci incontreremo.

Le mando la buonanotte, ma lei non visualizza. Forse si è già messa a dormire.

Spazio autrice
Vi aspettavate che tra Elena e Filippo le cose prendessero questa piega? Purtroppo nei momenti difficili emergono le crepe e le differenze e ho cercato di evidenziarlo (lui è molto sognatore, lei invece mantiene i piedi per terra).
Come pensate che evolverà la situazione?
Vi leggo volentieri, ditemi cosa ne pensate!
Baci a tutti e buonanotte!
Snowtulip.

 

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***


Due settimane dopo

Il Fabbro vince a mani basse la nostra gara del tiro da tre, con tredici canestri su quindici. Io mi sono fermato a otto – che comunque è oltre il cinquanta percento, quindi se fosse in partita andrebbe bene, visto che sarebbero ventiquattro punti! – mentre Teo se l’è presa perché ne ha messi a segno “solo” dodici e ora fa il finto offeso sulla panca con Pippo e Mike.

Andrea mi si avvicina, mentre mi sistemo l’elastico che tiene indietro i capelli e palleggio un po’, prima di tirare di nuovo. Prendo il ferro e sbuffo.

«Ti sei sbilanciato troppo con la schiena» commenta lui. «E dovevi tenere più ferme le spalle.»

Uno degli assistenti del coach gli passa un pallone e il Fabbro mi mostra il posizionamento migliore. «Quando tiri da fermo devi essere nella postura corretta, soprattutto se non hai marcature davanti… come l’altra sera, hai sbagliato due tiri che per te sono facili.»

Annuisco, ero da solo e libero di tirare, ma una volta l’ho mandato sul ferro, e un’altra al tabellone. Jemmy mi passa la palla e controllo tutto il mio corpo nell’azione di tiro. E il pallone entra.

Il Fabbro mi dà una pacca, facendomi capire che sono stato bravo, mentre me ne arriva un’altra sul culo, sicuramente da Niko.

«Pala, se vinci una delle sfide da tre, ci offri una cena!» scherza infatti.

«A te non offro proprio niente!» rido di rimando.

Il coach ci interrompe battendo le mani, e richiamando così la nostra attenzione. Mi volto e scopro che è appena entrato Salvatore insieme a un ragazzo giovane, vestito con una camicia bianca e una giacca nera sopra i jeans. Dev’essere il tizio che ha preso il posto di Elena.

Ce lo presentano come Valerio e lui rimane per un po’ a guardare il nostro allenamento insieme a Salvatore, che commenta con il coach quello che vede. Ci informano che Teo deve fare un’intervista per il nostro canale e lui va a cambiarsi prima degli altri.

«Non fanno più le interviste due per volta?» mi chiede Niko.

«Quella era un’idea di Elena…» commenta Pippo, storcendo il naso.

Non so quanto sia possibile, ma penso che Salvatore non le farà più in segno di protesta, anche se ci siamo sempre divertiti in quelle occasioni. Elena è stata molto brava a rapportarsi con noi sin dall’inizio, nella primissima intervista a me e Niko.

«Come stai?» gli chiede lui, mentre il coach ci dà il “liberi tutti”.

Pippo si strofina l’asciugamano dell’allenamento sul viso. «Bah, non lo so. Da un lato bene, dall’altro mi sento una merda perché dovrei stare male.»

«Tu sei strano… se Sasha mi piantasse, starei sotto un treno.»

«Che ti devo dire? Pensavo di starci male anche io…»

Li ignoro e mi vado a infilare sotto la doccia.

Certo, lui pensava di starci male, anche con Clara lo pensava.

Non gli importava davvero di Elena, voleva solo farsela. Dovevo capirlo dal primo momento, lui fa sempre così. Non so perché abbia creduto che stavolta fosse diverso. Sono stato il primo a illuderla che potesse esserci qualcosa di serio.

L’unico che sta davvero male in tutto questo sono io.

Esco dalla doccia e mi cambio, poi vado a incuriosirmi su come sta andando l’intervista a Teo. Chissà com’è questo nuovo stagista, almeno torniamo un po’ alla normalità, dopo che c’è stata una ragazza in quel ruolo…

Mi avvicino alla sala dove facciamo le interviste e trovo Teo intento a discutere a bassa voce con Salvatore nel corridoio. Uno alto due metri e l’aria annoiata, l’altro più basso in giacca e cravatta e l’espressione di chi non vorrebbe trovarsi lì. Tacciono appena mi vedono arrivare.

«Che succede?»

«Quello non sa fare le domande!» Teo sbuffa, scrollando le spalle. «Mi sembra di parlare con una statua!»

Devo trattenere una risata, perché nonostante il tono scocciato, la sua faccia è la stessa inespressiva di sempre. Un esterno potrebbe pensare che non gliene freghi un cazzo e che si stia lamentando per chissà quale motivo. Ma lui è fatto così, non lascia trapelare le emozioni dal viso e le manifesta in altri modi.

Salvatore prova a farlo ragionare. «Senti, era il migliore tra i candidati… Puoi adattarti, per questa volta?»

«No, falla fare al Fabbro o a Pippo.» Teo se ne va, lanciandosi sulla spalla la maglia da allenamento. «Io non ci penso proprio.»

Scambio un’occhiata con Salvatore: è impallidito, è la prima volta che qualcuno della squadra ha un comportamento simile nei suoi confronti. Capisco se non sa come gestirlo, al suo posto non so cosa farei.

«Se non è un problema, posso fare io l’intervista» mi offro. Almeno gli risparmio il dover porre una pezza all’atteggiamento scontroso di Teo. «Ma che gli è preso?»

Si gratta la nuca, spalancando la porta. «Voleva che trattenessi Elena.»

 

Mi siedo al solito tavolo nel bar da Alice, mentre Arianna si sistema di fronte a me. È appena tornata da Roma e ha fatto in tempo solo a posare la valigia a casa prima di raggiungermi qui.

«Quindi il colloquio è andato bene?» mi chiede, inutilmente. Già le avevo dato un’anticipazione per messaggio.

«Inizio domani. Per ora vogliono solo che scriva la cronaca delle partite, per quanto riguarda la Vulnus. Quindi andrò e starò nella zona riservata alla stampa, ma molto lontana dai giocatori. E non mi fanno andare in trasferta perché è una redazione piccola e non se lo possono permettere, ma meglio di niente. Tanto avrei comunque guardato le partite in tivù.»

Calco bene il cappello di lana sulla fronte, ho freddo anche se siamo all’interno. Mi sembra un miracolo non avere bisogno dei guanti. Gennaio e febbraio sono due mesi tremendi per chi, come me, soffre di geloni.

«I tuoi come stanno?» Provo a sviare il discorso, ma so che Arianna mi farà il terzo grado per tutto quello che è successo mentre lei era giù.

«Bene, come sempre. Non erano contenti dell’esame di filologia, ma appena ho detto che ha bocciato anche te hanno smesso di rompere!»

Sorrido. I genitori di Arianna tendono a pungolarla un po’ troppo per quanto riguarda il rendimento universitario. E se avrei potuto capirlo all’inizio – visto che era rimasta indietro di alcuni esami – alla fine si è rimessa in pari con me e Alice, anche grazie al nostro aiuto.

D’altra parte, però, le pagano qualsiasi spesa, quindi hanno il diritto di pretendere di più da lei.

Mi tengono in grande considerazione perché la prima volta in cui sono stati in città e li ho conosciuti venivo da una sessione in cui avevo preso due trenta e un trenta e lode. Ho mantenuto una media alta, ma per loro sono una “dal trenta facile”. E se quello stronzo di filologia ha bocciato me, anche Arianna non aveva grandi possibilità di passare l’esame.

Nessuno le avrebbe avute con quel bastardo.

Da quel giorno la mia vita ha avuto un tracollo verticale verso il basso.

«Quindi, Pippo si è fatto più sentire?»

Ecco, mi richiama alla realtà.

«Ci ho fatto colazione il ventisei, ma giusto per dirgli che non era più il caso di continuare. Ari, io mi sono spaventata parecchio. Non per Clara, ma per la reazione fisica che ha avuto il mio corpo. Ero sicura di poter gestire lo stress… E invece no.»

Lei piega un angolo della bocca, in disaccordo. Fa capire ad Alice, sporta al bancone verso di noi, che deve prepararci due cioccolate e poi ritorna a concentrarsi su di me. «Tesoro, tu l’hai gestita molto meglio di quanto credi. Pensavo di trovarti a pezzi e invece stai bene!»

Ma io non sono sicura di stare bene.

«Lui non ci ha nemmeno provato.»

Arianna si tira su le maniche del maglione. «A fare cosa?»

«A trattenermi. Quando ci siamo rivisti era passivo, come se avesse già accettato l’idea di perdermi, e mi ha detto che se stare con lui mi faceva stare male fisicamente – come in effetti è stato – era meglio che ci lasciassimo. Vista la reazione che ha avuto la sera prima, mi aspettavo che mi volesse nella sua vita a qualsiasi costo… Mi ha addirittura proposto di andare a convivere!»

Mi guarda dispiaciuta, con il mento appoggiato sulle dita intrecciate e i gomiti sul tavolo. «Non potevi immaginartelo. Forse non vi volevate così bene.»

«Già…»

«E Daniele che dice?»

Daniele? Ci si mette anche lei, adesso?

Mi mordo il labbro, ma poi rispondo. «Dice che Filippo rompe, ma che gli sta passando. E che mi nomina sempre di meno…»

Si scompone dalla sua posa di ascoltatrice e mi interrompe con un gesto delle mani. Gli occhi le brillano, di sicuro non ho colto qualcosa. «Non intendevo questo. Si è fatto avanti con te? Si vede lontano un miglio che gli piaci, su!»

Mi strofino le tempie. Non bastavano Alice e Matilde, ora anche Arianna fa dei commenti su me e Pala insieme? Anzi, non bastava che i miei fraintendessero il nostro rapporto?

«Non credo che si farebbe mai avanti.»

«Ti rendi conto che piaci a due fregni pazzeschi, vero? E visto che ne hai lasciato uno, sei libera di pensare all’altro!»

«Sono migliori amici» le ricordo. Non mi metterei mai in mezzo a un’amicizia, per niente al mondo.

Alice ci porta le tazze. Posa la mia con dolcezza, poi guarda Arianna contrariata. «Che le hai detto?»

«Che al mio posto si sarebbe fiondata su Pala senza pensarci un secondo.» Infilo il cucchiaino in mezzo alla cioccolata, mischiando la panna. Quando ero stata qui con lui l’avevo presa senza. Dio, come era distrutto quel giorno

«Che c’è di male?» esclama Arianna. «Stiamo parlando di un gran pezzo di fregno che ha perso la testa per te. Pippo se ne farà una ragione.»

«Oppure…» Alice sorride, furba. «Puoi farti dire da Daniele quando gli è passata, così sai quando puoi iniziare a frequentare lui.»

Le mie guance avvampano dall’imbarazzo. «Non ci penso per niente!»

«La tua reazione indica tutto il contrario!» La nostra cara barista se ne ritorna dietro il bancone sculettando vistosamente, come a prendermi in giro.

Alzo gli occhi al soffitto, prima di dedicarmi anima e corpo alla cioccolata.

«Ripeto, Pippo se ne farà una ragione. Con lui non avevi la stessa intesa, sono sicura che sarete stupendi insieme!» Arianna non molla la presa. Vuole farmi ammettere che provo qualcosa per Pala, ma io non voglio cedere.

Un momento. Questo significa che davvero provo qualcosa per lui?



Spazio autrice
Che dite, Elena sta iniziando a ricambiare i sentimenti di Daniele? Arianna ovviamente ci tiene sempre a ricordarle che anche lui è un bel ragazzo (e che non lo è solo Filippo!) e lo fa con il suo solito tatto ;)
E invece avete qualche ipotesi su Teo e cosa gli prende? (No, niente film mentali su lui ed Elena, quelli se li fa solo Pala XD)
Baci e buonanotte a tutti!
Snowtulip.

 

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Capitolo 22
*** Capitolo 21 ***


Esco dallo spogliatoio con il telefono in mano, mentre Pippo si attarda insieme agli altri. Ho visto che c’è un messaggio di Elena, ma non potevo aprirlo davanti a lui. Sa che continuiamo a sentirci e ha detto che gli sta bene, visto che io e lei siamo rimasti amici… E io che vorrei ben altro.

Non faccio altro che aspettare il momento giusto, perché immagino che lei soffra per la loro relazione finita in quel modo, anche se dai messaggi sembra piuttosto tranquilla.

Ho appena iniziato al Gazzettino, oggi è stato il primo giorno. Ho conosciuto qualche collega, oltre al capo, e sto uscendo ora dalla redazione. Dovrò seguire le partite in casa, ma starò molto lontano da voi.”

Almeno le possibilità che lei e Pippo si parlino sono ridotte quasi allo zero. Forse si vedranno, ma nel casino del Palavulnus non ci farà caso nessuno. Anzi, ci farò caso soltanto io.

Però se deve occuparsi soltanto delle cronache della partita, c’è il rischio che la paghino poco. “Fai solo quello?

No, devo correggere le bozze degli articoli prima che li mandino online, per evitare che ci siano errori di grammatica o di battitura. In pratica mi mettono tutto in mano per farmi avere uno stipendio quasi decente.”

Sorrido, guardando lo schermo. Salvatore ha messo una buona parola perché le affidassero un incarico importante. Non gliene sarò mai grato abbastanza.

Poi domani ho un’intervista con uno dei giocatori, ma non so con chi.”

Neanche è arrivata e già le danno in mano un’intervista? La caricano di responsabilità, ma sono cose che sa gestire: le interviste sono il suo forte… Salvatore deve aver fatto in modo che la trattassero come se fosse una giornalista navigata, scommetto che dietro all’intervista c’è lui!

Però se non le dicono con chi è, potrebbe avere una brutta sorpresa. Di sicuro è questo che sta pensando.

Non è Pippo, altrimenti l’avrei saputo. E te l’avrei detto.”

Hai idea di chi potrebbe essere? Sono un po’ agitata… Non tanto per voi, ma perché è la prima volta che devo farlo per un giornale.”

Andrai alla grande, ne sono certo.”

Sei più fiducioso di me. Sono nervosa come il primo giorno alla Vulnus…

«Dani, che succede?»

Cazzo.

Pippo mi ha visto mentre sorridevo come un imbecille al telefono.

Scuoto la testa. «Niente di che, Elena ha trovato un lavoro» lo informo. Ogni volta che gli parlo di lei, sondo il terreno per capire se la sta dimenticando.

«Buon per lei. Sbrighiamoci ad andare, che io ho un… un impegno.»

«Hai un che cosa?» Non rifletto neanche un secondo, e alzo persino la voce. Ma il suo essere vago mi porta a una sola conclusione: un appuntamento.

Rotea gli occhi al cielo. «Non è come sembra, solo che c’è questa ragazza…»

Non rimango ad ascoltarlo: è proprio come sembra.

E so anche quando l’ha conosciuta: qualche sera fa, quando è uscito con Marco, Niko e Sasha. Non ho idea di dove siano andati, perché io ho preferito rimanere a casa a studiare per il prossimo esame. Ne ho anche approfittato per telefonare a Elena, ma solo perché lei si era giù di morale per un colloquio andato al di sotto delle sue aspettative.

«Dani, ascoltami!» Mi rincorre fino all’auto, dove entro sbattendo la portiera.

«Ci vai a piedi al tuo cazzo di appuntamento!» Mi siedo, metto la cintura e accendo il motore.

Fanculo, vado dalle ragazze. Se lui è libero di frequentare altre donne, io sono libero di vedere Elena.

Lui però è più veloce di me e si siede al mio fianco. «Ma che cazzo hai?»

«Ti sei lasciato da poco più di due settimane, hai frignato per tre giorni perché lei ti ha piantato e ora ti vedi con un’altra?» Non mi importa neanche più di controllarmi. «Lei mi chiede tutti i giorni come stai, e tu ti vedi con un’altra? Fai schifo, lo sai?»

«Che devo fare? Lei parla con te e non con me! Ci siamo lasciati e non voglio pregarla in ginocchio di tornare da me, visto che non mi vuole!»

«O forse sei tu che non la vuoi abbastanza!»

Pippo non replica e io mi concentro a guidare. Attraversiamo la città, sono tentato di andare spedito a parcheggiare da Elena e di lasciarlo lì. Non me ne frega niente se fa tardi al suo appuntamento, tanto è solo un’altra tipa da scoparsi.

«Forse non la volevo davvero» mormora, dopo un po’. «Mi faceva impazzire, ti ricordi quando non me la voleva dare perché chissà che credeva? Aveva ragione perché adesso, anche se per me rimane una figa pazzesca, non sono più attratto da lei. Se capitasse di andarci a letto, a me piacerebbe, ma non le correrei dietro di nuovo.»

Il suo tono è calmo, piatto, come se non gli avessi urlato contro.

«E io che le dico? Ha fatto di tutto per proteggersi ed è finita che l’hai usata…»

«Non l’ho usata, anche a lei piaceva!»

Cristo, perché ora devo immaginarli a letto?

«Hai giocato con i suoi sentimenti.»

«Ma se dici che sta meglio!»

Per poco non inchiodo a un semaforo. «Lei mi dice che sta meglio, ma non la vedo, quindi non so davvero come sta.»

«Vai a vedere come sta, allora!»

«Era quello che volevo fare!»

Supero un paio di incroci, mentre lui rimane in silenzio. Lo scarico a casa e poi vado dalle ragazze.

«Non capisco perché te la prendi così tanto… Non è la prima volta che ti va a genio una con cui mi lascio.»

Sospiro. Non posso dirgli la verità, quindi non gli rispondo.

«Dani, accosta.»

«Perché?»

«Perché se ti incazzi tanto per Elena, significa che a te piace.»

Cazzo.

Fermo l’auto al primo posto utile e spengo il motore. Lo guardo, temendo di vedere la rabbia sul suo viso.

Invece Pippo è solo sorpreso, con le sopracciglia inarcate e la mascella che quasi gli cade. «Ti piace Elena?»

Annuisco, non posso più nasconderglielo, anche se sto arrossendo. Forse è meglio che a questo punto lo sappia.

«E da quanto? Come… perché?»

«Da prima che vi metteste insieme.» Deglutisco. «Quando avevate discusso perché tu volevi solo scopartela. L’ho capito quel giorno. È stato un incubo, tu mi continuavi a chiedere quando ti avrebbe parlato di nuovo e lei mi parlava sempre di te, voleva capire se stava facendo la cosa giusta…»

«E tu non ci hai mai provato con lei.» Non è una domanda, ma una presa di coscienza. «Ti piaceva e non ci mai provato… perché era la mia ragazza. E le hai anche detto di venire a letto con me!»

Mi ritrovo ad annuire di nuovo: è la verità.

«Sono una merda, dovevo accorgermene!»

Trattengo una risata, che si trasforma in un semplice sbuffo, perché è sincero. A volte Pippo è come un bambino senza filtri. «Ho fatto di tutto perché non se ne accorgesse nessuno… L’ha capito solo Teo.»

«E lei… ti ricambia?»

«No. Mi tratta come un cucciolo abbandonato per strada.»

«Quindi lo sa.»

«Al mio compleanno ero ubriaco, non sono riuscito a trattenermi.»

«L’hai baciata?» Alza la voce, come se dovesse dimostrarmi di essere stato geloso di lei. Non lo era davvero nemmeno mentre stavano insieme, figuriamoci se lo è ora.

«No. Ma vi ho beccati mentre stavate per finire a scopare sul divano, e le ho detto che non ce la facevo a vederla con te. Con le ragazze sei uno stronzo e a lei piacevi parecchio… e non te la meritavi, una come lei.»

Sposto lo sguardo sulle mie braccia poggiate sopra il volante, con il fiato corto. Parlarne con lui è peggio di quando ho dovuto farlo con Elena.

Lui tace per qualche minuto, riflettendo. «Scusa. Dovevo accorgermene.»

«Non potevi accorgertene, eri convinto che fosse quella giusta.»

«Va’ da lei, io chiamo il taxi per tornare a casa.» Spalanca la portiera e scende sul marciapiede. Recupera lo zaino dai sedili posteriori, e mi fissa. Non può essere vero, non può volere che vada da lei… «Cazzo, ti vuoi muovere?»

«Ma siamo quasi arrivati!»

«Cazzo, Daniè, risalgo solo per pigliarti a schiaffi. Vai da Elena!»

 

Rileggo per la terza volta un’intervista che Jérémy Arnaud ha rilasciato cinque anni fa a un’emittente francese, quando giocava ancora in una selezione giovanile. Non so se dovrò intervistare lui o qualcun altro, ma devo essere pronta a qualsiasi cosa dovrò fare domani.

Da interna alla Vulnus era molto più semplice: Salvatore si occupava di scrivere le domande e da quelle facevo partire il dialogo con i giocatori. Invece stavolta dovrò essere io a gestire il tutto e non so minimamente chi dovrò intervistare domani.

Giovanni Crispi, il capo della redazione, è stato molto vago, come se non sapesse neanche lui chi ci aspetta domani. Il fatto ancora più curioso è che dovremo andare insieme non al centro di allenamento, dove di solito i ragazzi rilasciano le interviste per gli esterni, bensì alla sede della Vulnus.

«Tesoro, vuoi un tè caldo?» Arianna sbuca da dietro la porta, senza bussare.

Annuisco. Ci vorrebbe. Anzi, mi ci vorrebbe una bella cioccolata calda di quelle che prepara Alice al bar… Ma poi mi riempirei di brufoli, quindi è meglio non eccedere, già l’ho presa ieri.

Chiudo le interviste varie di Jemmy, e passo al giocatore successivo della mia lista mentale: Mike Cooper. Avendo una carriera più lunga del francese, le occasioni in cui ha parlato con la stampa sono molte di più: le sto spulciando tutte, perché voglio scoprire quali domande non sono mai state fatte ai ragazzi.

L’unica risorsa che ho l’originalità.

Il telefono vibra sul letto accanto a me, mentre Arianna inizia a smantellare la cucina per preparare il tè.

Filippo.

Non si è fatto più sentire, neanche per messaggio, e ora mi telefona? Che intenzioni ha?

Attacco senza neanche dargli una possibilità di spiegarsi: devo concentrarmi sul lavoro, domattina ho un impegno che non ho la minima idea di come affrontare.

Mi telefona di nuovo, e di nuovo clicco sulla cornetta rossa.

Capisco che è tutto inutile quando Arianna torna da me e mi porge il suo cellulare. «Lo so che non gli vuoi parlare, ma dice che è urgente.»

Lo prendo di malavoglia e aspetto che lei vada a occuparsi del bollitore prima di parlare. «Che vuoi?»

Lui trae un sospiro profondo. «Devo dirti due cose e non devi interrompermi: la prima è che stasera ho un appuntamento. Non ti piacerà saperlo, ma preferisco che tu lo sappia da me e non da chissà chi altro. La seconda è che so di Daniele e gli ho detto di venire da te. Sta malissimo per noi due, dispiace più a lui che a noi per come è andata e… e ho scoperto che a lui piaci. E penso che, senza volerlo, l’abbiamo fatto soffrire. Quando si è sbronzato al suo compleanno, era per colpa nostra. Non l’avevo mai visto in quello stato e a pensarci adesso… Mi sento una merda. Aveva ragione su di me, sapeva che ti avrei ferita. E lui si è comportato da buon amico con tutti e due… Non se lo merita, non da me e nemmeno da te

Lo ascolto, ma non dico niente. Credevo che se avesse scoperto i suoi sentimenti, avrebbe fatto una scenata di gelosia come poche. E invece dal suo tono non traspare gelosia, bensì dispiacere.

«Ele, ci sei?»

«Sì.»

«So che vi state sentendo, anche come amici, ma so anche che non lo ricambi. Dagli una possibilità, è una persona migliore di me.»

«Certo che è migliore di te, per questo ancora parlo con lui» ribatto, scocciata. Non ho chiaro neanche io cosa provo per Pala, se semplice amicizia o il desiderio di altro. «Non voglio parlarne con te, né di Daniele, né dei suoi sentimenti, né dei miei.»

«Intendevo dire… Se tra voi due dovesse esserci qualcosa, a me non darebbe fastidio. Quindi non farti problemi se dovessi scoprire di ricambiarlo. Tutto qui.»

«Ne terrò conto.»

«Grazie. Ti lascio in pace

È lui ad attaccare, senza aspettare una mia replica. Vado a restituire il telefono ad Arianna e mi porto la tazza di tè bollente in camera. La poso sul pavimento e mi siedo sul letto, mentre qualcuno citofona.

La mia amica è più rapida di me e si fionda a rispondere, poi mi guarda attraverso la porta lasciata aperta. «C’è un fregno assurdo che sta salendo. E non è qui per me!»

Scoppio a ridere. Mi aveva già fatto notare più volte quanto Pala sia un bel ragazzo e, anche se spesso avrei desiderato non sentire i suoi commenti imbarazzanti, ero d’accordo.

Il cuore mi salta in gola quando sento il suono dell’ascensore che si ferma al piano. Voglio vederlo? Direi di sì, non ci vediamo dalla partita con Sassari, a Natale. Ho visto qualche foto che ha messo la Vulnus, relativa ai prepartita e l’ho visto giocare in televisione, ma non è la stessa cosa che incontrarlo qui a casa. Anzi, nella mia camera.

Ed è assurdo pensare che l’ultima volta in cui siamo stati da soli eravamo proprio qui… A parlare del mio licenziamento.

«Posso?» Apre la porta di casa, che Arianna gli ha lasciato accostata. Se la richiude alle spalle senza sbatterla, poi incontra il mio sguardo e rimane bloccato sul posto. Viene dall’allenamento, sulla spalla ha lo zaino con il cambio… Ma sono i suoi occhi a catturarmi, chiari come sempre, con una strana aria colpevole. Li punta dritti nei miei, immobile, come se non sapesse come comportarsi.

Gli sorrido e gli faccio cenno di avvicinarsi. Poso la tazza di tè sul pavimento e scendo dal letto, per andargli incontro appena è nella stanza.

Istintivamente lo abbraccio, senza dire niente, e lui mi stringe a sé. Una morsa mi attanaglia le viscere, ma è una sensazione dolce, come se fossi proprio dove dovrei essere. Con chi dovrei essere.

«Ho parlato con Pippo. Non di te, ma di me… e gli ho detto quello che sai anche tu» mormora. Non vuole dirlo ad alta voce, pensa che io non lo ricambi… Mentre una stretta allo stomaco mi suggerisce tutto il contrario.

«Lo so, mi ha chiamata prima che arrivassi» gli dico, sciogliendo l’abbraccio.

Si incupisce e abbassa lo sguardo.

Lo riporto verso di me, sollevandogli il mento con un dito. I suoi occhi verdi splendono alla luce fioca della lampada da tavolo, che ho spostato sul letto. Il ciuffo gli ricade sulla fronte, con i soliti ricci che cadono come molle, visto che è chino verso di me.

«Non volevo il suo permesso, ma mi sono incazzato quando ho scoperto che stasera si vede con una. E mi sono incazzato parecchio, altrimenti non se ne sarebbe accorto.» Vede il letto dietro di me e il portatile acceso. «Ma… stavi lavorando? Ti disturbo?»

«Sì, sto lavorando, ma no: non mi disturbi.» Mi mordo il labbro, nervosa. Il mio primo istinto era stato quello di mettermi sulle punte dei piedi per dargli un bacio sulla guancia. Mi sono controllata perché l’avrei illuso, mentre non sono certa neanche io di quali siano i miei reali sentimenti.

Si toglie il cappotto e lo abbandona sulla sedia della scrivania. «Posso farti compagnia?»

«Certo.» Gli sorrido e mi siedo sul letto, recuperando la mia tazza di tè ancora caldo.

«Ad Arianna dispiacerà se le rubo una tisana?» mi chiede, ancora in piedi. Ho l’impressione che non osi sedersi qui con me per non sembrare troppo invadente. E invece è proprio quello che vorrei.

«Figurati, conoscendola te la preparerebbe lei!»

Lui abbozza un sorriso ed esce dalla stanza.

 

Quando finisco di prepararmi la tisana, ritorno in camera da Elena, che mi fa spazio sul suo copriletto rosso scuro. Sospetto che sia il suo colore preferito.

«Non ti do fastidio, sicura?»

«A lavoro c’è un collega che ha passato tutta la mattinata a mangiare biscotti con la bocca aperta. Lui mi dava fastidio.» Guarda lo schermo del computer, puntellandosi le labbra con il gommino di una matita. Tra le gambe incrociate tiene una tazza da cui ha già bevuto qualche sorso e che non è più fumante come la mia.

«Come ti sei trovata?»

«A parte il mangiatore seriale, bene.»

Mi siedo accanto a lei e scopro che sta leggendo un’intervista a Mike. «Ti prepari per domani?»

Annuisce, pizzicandosi l’indice con le unghie di pollice e medio. È nervosa. «Non so cosa aspettarmi e non voglio combinare un disastro già dal primo giorno.»

«Pensi sempre che vada tutto male…»

Serra le labbra, come se si stesse trattenendo dal dire qualcosa che non dovrebbe, senza guardarmi… mentre io non riesco a staccare gli occhi da lei.

Non riesco a non trovarla bella, con i capelli legati sulla nuca, e una ciocca che le ricade davanti, con gli occhiali incastrati sul naso e quelle dita che si muovono giocherellando con la matita. Concentrata a leggere, a scaldarsi con quello che rimane del suo tè, persino con il pigiama largo che non lascia intendere quanto possano essere attraenti le sue curve.

Non c’è niente che non mi piaccia di lei, del suo carattere che si prepara sempre al peggio, delle sue paure che la portano a essere così fragile… Eppure, è stata così forte, così coraggiosa, a proporsi per lavorare alla Vulnus.

«Secondo me andrai bene. Ti stai preoccupando troppo.»

Con un gesto secco chiude il portatile. «Daniele, io sto evitando il discorso.» Si volta verso di me e mi guarda, attraverso le lenti, con un’espressione indecifrabile. «So che non sei qui solo per farmi compagnia, però non mi costringi a parlare. Non di noi, almeno, mentre chiunque al tuo posto l’avrebbe fatto. Sei troppo gentile per forzarmi e sopporti anche che io faccia tutt’altro, ma non ce la posso fare. Sono preoccupata per domani, lo sono sempre quando non so cosa aspettarmi. Ma lo sono di più perché non so cosa ti dirò se vorrai affrontare la questione. È giusto che tu voglia affrontarla e io sono una codarda a scappare.»

Parla senza fermarsi, guardandomi fisso negli occhi, e potrei aver visto le guance andarle a fuoco, ma con la luce bassa della lampada non ne sono così sicuro.

«So che tu…» esito, perché lei mi sembra più agitata del solito. E non voglio mandarla in paranoia. «Insomma, che per te non è lo stesso. E lo accetto, perché ti sei appena lasciata con Pippo. Non pretendo che pensi già a me, avrei solo voluto che tu pensassi a me prima e non a lui… ma c’è tempo.»

«E se invece per me fosse lo stesso?»

Cosa?

Si sporge fuori dal letto per posare la sua tazza sul pavimento, poi prende la mia e la sistema a terra. Sono immobile, non riesco a reagire, ho paura di non aver sentito bene.

«Sei troppo un bravo ragazzo e a me va sempre a finire che piacciono gli stronzi» riprende il discorso, seria. Si pizzica ancora l’indice, sperando che io non la veda perché coperto dalla sua coscia, ma si sbaglia. «Però in questi giorni ci ho pensato un po’… Non volevo ammetterlo neanche a me stessa, perché poi finirebbe che aveva ragione Clara, no? Che prima mi porto a letto Filippo, poi te…»

«Guarda che nessuno pensa che tu voglia ripassarti tutta la Vulnus.»

Sorride, sa che sono sincero. «Farei una pessima figura, a prescindere da cosa pensiamo io e te.»

Annuisco, il suo ragionamento ha senso, anche se lei si preoccupa troppo del parere degli altri. Si preoccupa troppo a prescindere.

Abbassa lo sguardo e stavolta arrossisce davvero. Cazzo, non lo sto sognando! «Però con te sto bene.»

«Anche io.» Oso un po’ di più, e mi avvicino a lei, che sposta il computer chiuso in fondo al letto. Mi guarda di nuovo e lo vedo benissimo: il viso le sta andando a fuoco. E quel rossore le sta da Dio.

«E ho pensato che… Be’, che il tuo sentimento è più forte solo perché dura da molto di più e si è sedimentato con il tempo, ma posso fare del mio meglio, perché io…» Si interrompe e si slancia verso di me, posando le sue labbra sulle mie.

Sono carnose e baciarle è un piacere, proprio come immaginavo. Le sue mani mi accarezzano i capelli sulla nuca, e io la attiro a me, rispondendo al suo bacio. Apro la bocca per assaggiare il suo sapore, ha il retrogusto amaro del tè al limone, quello che ha appena bevuto. E mi piace da impazzire.

Le accarezzo la schiena, e finiamo sdraiati sul suo letto, lei sopra di me, con il suo corpo che preme sul mio, accendendo la mia eccitazione.

Non stacco le labbra dalle sue, non potrei mai. Ho aspettato questo momento per settimane e ora non voglio che finisca. La sua lingua cerca la mia, bacia bene, con quella delicatezza mista a passione che avrei tanto voluto che dedicasse a me sin dall’inizio.

Lei mi sfiora la barba sulla guancia con una mano, mi accarezza il collo, spinge il mio viso contro il suo, come se anche lei non desiderasse altro che me.

Sento il suo respiro, il battito del suo cuore, il suo seno contro il mio petto e i suoi fianchi sotto le mie mani. Le stringo il culo, quel culo che senza sfiorare prima di adesso mi sembrava esattamente com’è: morbido e sodo allo stesso tempo. Mi lascia fare, come se potessi prendere il suo corpo e farne quello che voglio, perché è quello che vuole anche lei.

E io non aspettavo altro da non so quanto.

Con una mano le accarezzo di nuovo la schiena e mi accorgo di una cosa: non ha il reggiseno.

Questo mi fa eccitare ancora di più e anche lei deve sentirlo, perché sorride, interrompendo il nostro bacio. Mi guarda, con lo stesso sorriso splendido che le ho visto fin troppe volte, ma mai rivolto a me. Mi guarda, e…

«Cazzo, quanto sei bella.»

«Nuda potrei essere meglio.» Muove gli occhi verso il basso e mi accorgo solo così che dal collo della maglia posso sbirciare le sue curve migliori. «E il tuo amico là sotto è d’accordo.»

Sorrido anche io. Non poteva non sentire la mia erezione, contenuta malissimo dai pantaloni della tuta. «Scusami, non sono sempre così.»

Mi sorride ancora, con un luccichio negli occhi che me la fa sembrare ancora più bella. «Guarda che a me va bene.»

Si china per baciarmi ancora, poi si scosta da me. Posa gli occhiali sul comodino e apre un cassetto, mentre io mi guardo in basso. La tuta non aiuta a nasconderlo, se ne sarebbe accorta anche solo guardandolo, senza sentirlo contro di lei.

Mi siedo, poggiandomi contro la testata del letto, e scopro che lei ha preso un preservativo.

«Filippo ne aveva lasciato qui qualcuno…» Si morde il labbro, pensierosa.

«Stai bene?»

Posa il preservativo sul comodino, accanto agli occhiali, poi si appoggia a me, sdraiandosi sul letto. «Mi sembra strana, tutta questa situazione. A te non dà fastidio pensare che sono stata con lui?»

«No.» La bacio sui capelli, e con una mano glieli sciolgo. Mi sistemo il suo elastico al polso, mentre lei mi spia con la coda dell’occhio. Ma non me lo impedisce. «Lui a letto è un fenomeno, almeno stando a quanto ho sentito… dalla mia stanza. Ha avuto una ragazza che gli urlava di continuare perché non aveva mai goduto così tanto!»

Ride, come se non le importasse. Come se non si trattasse del suo ex e di una delle tante tipe che si è scopato. «Quindi non ti dà fastidio?»

«So già che non sono come lui e che qualsiasi paragone non avrebbe senso. E no, non mi dà fastidio. Perché…» Tengo la frase in sospeso. Non è da me vantarmi ad alta voce, né paragonarmi a Pippo… ma Elena riconoscerà che ho ragione. «Fuori dal letto so di essere migliore di lui. Quindi anche se non scopo da Dio, spero che ti piacerà lo stesso solo perché sono io.»

Si mette seduta, e mi bacia sulla guancia. «Lascia decidere a me chi è meglio a letto.»

Qualcuno bussa. «Ragazzi, la cena è quasi pronta!» ci avverte la voce di Alice. Quando è arrivata? Non ho sentito la porta di casa che si apriva e chiudeva e, dalla sua espressione confusa, nemmeno Elena.

«Va bene, arriviamo!» grida di rimando. Poi mi fissa per un secondo. «Per quanto vorrei… stasera è meglio di no. Devo prepararmi per domani.»

«Ti do una mano, so tutto sui ragazzi.»

Sorride, inforcando gli occhiali. «Non voglio farti fare tardi, però… potresti rimanere a dormire.»

«Va bene, ora andiamo a mangiare, poi torniamo qui e ti aiuto con le ricerche. Dopo ci mettiamo a dormire, e niente sesso» riepilogo velocemente cosa ci aspetta in questa serata, ma lei incurva verso il basso gli angoli della bocca, dispiaciuta.

«Scusami, stava andando tutto bene, non volevo che…»

«Cazzo, Elena, non fa niente!» esclamo, ridendo. «Ho aspettato per mesi, non mi strappo i capelli se ora non puoi perché devi lavorare!»

La sua espressione cambia totalmente e si illumina. Rimane in silenzio, ma capisco benissimo che solo averglielo detto l’ha fatta stare bene.



Spazio autrice
Ho finito di scrivere questo capitolo due giorni fa e da allora continuo a pensare che sia il migliore di tutta la storia. Siete d'accordo con me? Quanto aspettavate questo momento?
E che ne pensate?
Buon venerdì e buon finesettimana a tutti,
Snowtulip.

 

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Capitolo 23
*** Capitolo 22 ***


Mi sveglio con un bacio sulla guancia. Ci metto qualche secondo a fare mente locale e a ricordarmi che ieri sera Daniele è rimasto a dormire da me. Ieri sera… Dio, che peso mi sono tolta.

È sdraiato su un fianco e mi guarda. I ricci sono in disordine, gli ricadono davanti al viso un po’ come capita. Gli accarezzo la guancia coperta dalla barba, di un colore a metà tra il rossastro e il castano, e lui mi sorride. Ho il sospetto che da bambino i suoi capelli fossero ramati, ma non gliel’ho mai chiesto.

«Ti accompagno in sede e ti vengo a prendere quando ho finito l’allenamento?»

Mi stiracchio e mi tiro su. «Forse è meglio andarci piano… Se mi vieni a prendere in sede è un po’ sospetto, visto che fino a poco fa lo faceva Pippo.»

Scuote la testa. «Ti fai troppe paranoie.»

«Lo so. Ma almeno per ora vorrei stare tranquilla, almeno pubblicamente.»

Daniele esce da sotto le coperte e recupera i pantaloni, piegati sulla sedia della scrivania. Ha dormito in mutande e con la maglia che indossava ieri, ma non è stato un imbarazzante né per me né per lui. Siamo andati a letto insieme senza fare ciò che di solito fanno due ragazzi a letto.

«Allora ti accompagno soltanto.»

Vado a farmi la doccia e dall’armadio tiro fuori una combinazione di vestiti abbastanza formale: dei lunghi pantaloni neri e un maglione bianco. Nel frattempo, Daniele prepara il caffè, braccato da Arianna che – lo sento dalla mia stanza – gli chiede come è andata stanotte e non crede per niente che non abbiamo fatto l’amore.

Entro in cucina mentre lui lo sta negando per la quinta o sesta volta.

«Ma figurati se…» si interrompe appena mi vede e sorride.

Da quando l’ho baciato non fa altro che sorridermi e anche io gli sorrido di continuo.

Mi porge la tazzina in cui mi ha preparato il caffè, che verso in parte nella mia tazza per il cappuccino, prima di dare quello che avanza ad Arianna, che lo prende molto più scuro del mio.

«Io non vi capisco mica! Dovreste davvero farvi una scopata come si deve!» ridacchia lei.

Scambio uno sguardo di intesa con Daniele, che però non commenta l’uscita della mia amica. Mando giù un paio di biscotti per completare la mia colazione, ma devo proprio forzarmi perché mi si è chiuso lo stomaco.

Mi porto i trucchi in bagno e mi lavo i denti, con la porta accostata. Finisco di sciacquarmi la bocca dal dentifricio e mi accingo a truccarmi.

«Elena, io sono pronto.» Daniele mi parla da dietro la porta accostata, forse pensa che non sia il caso di entrare.

Mi sporgo per aprirla e gli faccio cenno di entrare. «Non mi dai fastidio.»

«Non sapevo se ti stavi solo truccando o altro.» Si richiude la porta alle spalle, poi mi si avvicina e mi posa le mani sui fianchi, mentre io sto ancora brandendo lo spazzolino.

Lo infilo insieme a quelli di Arianna e Alice, poi gli porto le braccia al collo, stringendomi a lui. Ha una bella presa e sentire le sue dita su di me – nonostante i vestiti a fare da muro – mi dà una bella sensazione, una sensazione che con Filippo non provavo.

Si china e sfiora il naso con il mio, mentre le mie mani finiscono tra i suoi riccioli soffici e lo attirano a me. Ci baciamo, con la stessa foga dolce di ieri sera. La sua lingua cerca subito la mia, non mi lascia il tempo di prendere l’iniziativa e così mi ritrovo ad assaporare il suo alito del mattino mischiato al caffè appena preso, che cozza tantissimo con la menta del mio dentifricio.

Mi attira a sé, e il mio bacino struscia contro il suo. Potrà anche credere di non essere bravo quanto Filippo a letto, ma con i baci è davvero meraviglioso, molto più di lui. Mi fa desiderare di continuare in eterno, non staccherei mai le mie labbra dalle sue.

Non sposta le mani dai miei fianchi, eppure riesco a sentirlo ovunque; o forse è solo il ricordo di ieri, delle sue carezze dolci mentre ero sdraiata su di lui, che si mescola a questo momento.

«Avete finito di accoppiarvi, lì dentro?» Arianna bussa alla porta.

Daniele continua a baciarmi, anzi, mi mordicchia il labbro per impedirmi di rispondere. Così sono io a dover spezzare la nostra magia.

Ma appena la mia bocca si separa dalla sua, con una mano avvicina ancora il mio viso al suo, e mi lascia un bacio a stampo. E poi un altro. E un altro ancora.

Poi mi guarda senza dire niente, sorridendo, e mi bacia più intensamente, schiudendo subito le labbra e intrecciando la lingua alla mia. Lo sento premere contro di me, il cavallo dei suoi pantaloni è gonfio e sta contenendo a fatica quello che da sotto preme per uscire.

Se non dovessi andare al lavoro, mi lascerei trasportare in camera e mi ci chiuderei dentro per giorni insieme a lui. Se a letto è solo lontanamente come bacia, è il miglior amante del pianeta.

Si separa da me solo quando a interromperci è il mio telefono che vibra poggiato su uno dei mobiletti del bagno. Una telefonata dal capo, devo rispondere.

«Sì?»

«Buongiorno, le ricordo che ci vediamo davanti alla sede della Vulnus tra tre quarti d’ora, non faccia tardi!» La sua voce è squillante persino di primo mattino, al confronto io sembro ancora strafatta dal sonno.

E invece sono solo intontita dai baci di Daniele.

«Me lo ricordo, sarò puntuale.»

«Perfetto, a tra poco!»

Chiudo la telefonata sotto lo sguardo incuriosito di Pala, che mi accarezza il viso e mi lascia un bacio sulla guancia.

«Posso restare qui mentre finisci di prepararti?»

Annuisco e mi volto verso lo specchio, da cui vedo lui che si siede sul water chiuso per guardarmi nel riflesso. Apro il mio borsellino con i trucchi e so già che opterò per la solita combinazione di ombretti castani.

«Allenamento doppio?» gli chiedo.

«Sì, carichiamo un po’ di più, visto che non abbiamo l’Eurocup… Il coach ci vuole concentrati, visto che la settimana prossima abbiamo le Finals di Coppa Italia.»

«Quindi non potresti venirmi a prendere dopo l’intervista, se pranzi con i ragazzi.»

«Non ci avevo pensato… Ho solo voglia di vederti il prima possibile» ammette, arrossendo su tutto il viso.

Sorrido al suo riflesso. «Anche io.»

«Vedrò i ragazzi, capiranno che non sono tornato a casa visto che ho chiesto a Pippo di portarmi il cambio per l’allenamento… Cosa posso dirgli? Di ieri sera, di noi…» Abbassa la testa, giocherellando con i capelli che ricadono verso il pavimento come delle molle impazzite.

«Puoi dire la verità. Decidi tu come regolarti, non stiamo facendo niente di male… Ora non lavoro più alla Vulnus. E anche se prima stavo con Filippo, non importa, tanto per lui non è un problema.»

Annuisce, rialzando il capo. «La dirò un pezzo alla volta. Elena, posso chiederti un favore?»

Può chiedermi tutto quello che vuole. «Certo»

«Da amico ho scoperto tante cose di te che forse, nella situazione in cui siamo ora, non mi avresti mai detto.» Mi guarda serio, tanto che devo interrompermi dal riporre via il mascara per concentrarmi su di lui.

Mi volto e lui si alza in piedi, accostandosi a me. «Vorresti fingere di non saperle?»

Mi posa di nuovo le mani sui fianchi, ma stavolta è diverso dall’impeto di poco fa. Il suo tocco è pacato, non quello smanioso di un innamorato. «No, vorrei che continuassimo con la stessa sincerità. Se pensi una cosa, vorrei che me la dicessi. Se qualcosa non va, vorrei che non ti facessi nessun problema a dirmela. E per me sarà lo stesso, va bene?»

Gli sorrido e lo abbraccio. Lui mi accarezza la schiena con calore, ricordandomi così tutti gli sfoghi che gli ho rovesciato addosso, tutte le rivelazioni che gli ho fatto nel corso delle settimane. E a quanto tutto questo ci abbia uniti in tempi – per me – non sospetti.

«Va bene.»

 

Accosto al marciapiede, in una via in cui non ho mai visto passare anima viva. Per fortuna non siamo troppo distanti dalla sede e mi ricordavo di questo posto un po’ isolato. Non volevo separarmi da lei in una via affollata, dove avrei dovuto farlo in modo freddo. Non riesco a pensare di essere freddo con lei.

Elena mi saluta con un bacio sulla guancia. «Ci sentiamo più tardi, allora.»

Fa per scendere dall’auto, ma la trattengo. «Questa sera ti va di andare a cena fuori? Solo io e te.»

Sorride, ed è bellissima. Gli occhi brillano da dietro le lenti e sento che potrei impazzire, ma stavolta di felicità. È a me che sta sorridendo in questo modo splendido. «Sarebbe bello, ma ancora non me lo posso permettere.»

«Vorrei un primo appuntamento con te, poi per le altre volte possiamo non uscire, se a te pesa. Pago io, non mi importa. Oppure possiamo andare in un posto un po’ economico, così non dovrò spendere troppo… o possiamo dividere il conto.»

Sarò stato troppo impulsivo? Non so, ma ne vale la pena.

Richiude la portiera e si sporge verso di me per baciarmi a fior di labbra. «Vada per il posto economico e per dividere il conto. Fammi sapere a che ora vieni a prendermi.»

Annuisco e lei mi bacia ancora una volta, prima di scendere. Mi saluta e si incammina verso la sede della Vulnus. Abbiamo deciso di separarci in una via poco frequentata ma che non fosse distante, per evitare di mostrare che l’avevo accompagnata io. Se il suo capo fosse arrivato prima di lei, l’avrebbe vista scendere dalla mia auto e mi avrebbe riconosciuto.

Rimango a guardarla finché non supera l’angolo e si immette nel vialone dove c’è la sede della Vulnus. Penso che riconoscerei tra mille anche il suo modo di camminare, per quanto non abbia niente di speciale. Non ricordo una ragazza che mi abbia mai fatto questo effetto.

Rimetto in moto e percorro la breve strada che mi separa dal parcheggio del centro di allenamento. Mi sistemo tra la macchina di Léo e quella di Jemmy e corro nello spogliatoio, portandomi dietro la borsa con le cose di ieri.

Arrivo mentre alcuni dei ragazzi sono già lì e si stanno cambiando. Niko è pronto con la tenuta da allenamento e ride per qualcuna delle sue stupidaggini che mi sono perso. Pippo è a torso nudo, e sta raccontando del suo impegno di ieri sera.

«Ti ha costretto a dormire fuori?» commenta Marco, ridacchiando, appena mi vede. «Ieri si è visto con una con due bombe da urlo!»

«Non proprio… Avevo anche io da fare» gli rispondo, rimanendo sul vago. Guardo il mio posto, dove Pippo mi ha lasciato il cambio.

Appendo il giaccone e poso lo zaino per terra e scambio un cenno di intesa con lui, per ringraziarlo.

«Avevi un appuntamento anche tu?» indaga Niko.

Mi sfilo la felpa e la maglia per mettere quella di allenamento e sopra la mia canotta con il numero otto. «Una specie, non proprio un appuntamento.»

«Hai gli stessi vestiti di ieri!»

Cazzo sono tutti quanti stamattina, Sherlock Holmes?

«Sì, cioè… non ho dormito a casa.»

«Quindi è andata bene?» si intromette anche Jemmy.

«Sì, sì, benissimo.» Non possono continuare a parlare della squinzia di Pippo? Non ho ancora pensato a come dire loro di Elena!

Niko si alza in piedi e si posa davanti al tavolo al centro, proprio di fronte a me. «E com’è questa?»

«Meravigliosa» rispondo, senza riflettere. «Bellissima, intelligente…»

Scoppia a ridere. «Non ti ho chiesto il suo QI! Te l’ha sganciata?»

«No, ma è andata bene lo stesso, fidati.» Mi siedo per infilarmi le scarpe ai piedi. Non hanno idea di quanto ci siamo andati vicini… Guardo Pippo, che è già cambiato e in attesa, seduto sulla panca. Anche lui vuole saperne di più.

«Pala, le ragazze ti adorano, ma tu non sai proprio che farci» mi prende in giro Marco. «La prossima volta prenditi una bambola gonfiabile! Almeno sei sicuro di fartela!»

Gli altri ridono, ma non lo trovo divertente. «Non l’abbiamo fatto ieri, ma non è detto che in futuro non succeda.»

Pippo smette di ridacchiare e torna un po’ più serio. «Quindi sei sicuro che sia andata bene?»

«Ci rivediamo stasera.»

«Pala, non capisci un cazzo!» esclama Niko, incrociando le braccia. «Non puoi chiederle subito di uscire di nuovo, devi aspettare tre giorni!»

Sorrido. Un po’ perché sto pensando a che tortura sarebbe stata non vedere Elena per tre giorni, un po’ perché loro hanno visto troppe puntate di How I met you mother. Non ho bisogno dei loro consigli in stile Barney! «Non potevo aspettare tre giorni.»

«E lei ci sta? Sei sicuro che è intelligente?» mi sfotte Niko.

«Se non fosse intelligente, non mi piacerebbe.» Va bene prendere in giro me, ma non Elena. Chissà che facce faranno quando scopriranno che stanno parlando così di lei!

Il coach entra e si mette a scambiare un paio di parole con Léo, che non sta ascoltando i fatti nostri.

«Ti stai vedendo con una che te la fa vedere solo da lontano, attento che finisce male!» scherza Niko, sotto lo sguardo di Colucci che ora si sta concentrando su di noi.

Pippo scoppia a ridere, scuotendo la testa. Ha capito anche lui che appena dirò che si tratta di Elena capiranno di aver fatto una gran figura di merda.

«Aveva un impegno presto stamattina, non poteva fare tardi.» Rimango seduto al mio posto e scrivo un messaggio a Matilde, dicendole di cercare un posto in città che sia abbastanza romantico e che non sia troppo costoso per le finanze di Elena. Sono troppo incasinato per poterci pensare da me.

Scemotto! Non mi hai detto com’è andata!” risponde subito. Ieri le ho solo scritto che ero da lei e le ho chiesto di non scrivermi più perché le avrei raccontato più tardi tutto quanto.

Ti chiamo a pranzo e ti dico.

«Quindi è andata bene.» Pippo annuisce tra sé e sé. «Sono contento.»

«Non è andata bene, non se l’è fatta!» Niko continua a ridere, allargando le braccia. «Era solo una scusa, quella dell’impegno!»

«Certo, e infatti non ho dormito da lei, no no!» Rido anche io, ora mi sto davvero divertendo.

«Ci hai dormito insieme? E non ti sei buttato su di lei?»

«È stata più lei a buttarsi su di me…» Quando mi ha baciato è finita che ci siamo sdraiati sul suo letto, con Elena sopra di me.

«Ma che cazzo?» Marco sgrana gli occhi. «Sei sicuro che fosse figa?»

«Lo è, lo è» risponde Pippo per me e lo rimprovero con un’occhiata.

«Ah, quindi tu l’hai vista? Esiste davvero?» scherza Niko. «Non se l’è inventata?»

Il coach guarda l’orologio e ci esorta tutti ad andare in palestra, interrompendo il festival della presa in giro.

Mi affianco a Niko e Marco, tra gli ultimi del gruppo. Solo così faccio caso a chi manca e, cioè, a chi sta per fare l’intervista con Elena.

 

Aspetto per circa dieci minuti, alla fine sono arrivata con un buon anticipo rispetto a Crispi. Mi guardo intorno e solo dopo un po’ lo vedo venirmi incontro dal lato opposto della via.

«Lei dove ha parcheggiato? Era  tutto pieno e sono dovuto andare oltre il Palavulnus per trovare un posto libero!» esclama, appena è a portata di orecchio. «Altrimenti sarei arrivato prima!»

«Ho avuto un passaggio» gli rispondo. Durante il colloquio, gli ho detto di non essere automunita, gli sarà passato di mente.

«Bene, bene. Stiamo aspettando il suo ex superiore, dovrebbe uscire appena dentro è tutto pronto» continua a parlare, credo che sia uno a cui piace ascoltare la propria voce.

Ora che sono qui e che so di dover fare un’intervista a scatola chiusa, mi sento più nervosa e taciturna.

«Il nostro uomo misterioso ha chiesto proprio che ci fosse lei e non qualcun altro della redazione, quindi mi faccia fare bella figura» bisbiglia, quando Salvatore esce dall’ingresso e ci fa cenno di raggiungerlo all’interno.

Lo saluto con un bacio sulla guancia, che lui ricambia con un mezzo abbraccio e una carezza sulla schiena.

«Elena, la trovo bene.»

«Giglio, che grandissimo piacere!» Crispi lo travolge con la sua parlantina e attacca a parlare di cosa ci aspetta – anche se parla a vuoto, perché lui ne sa quanto me.

Riesco solo a rispondere con un sorriso a Salvatore, per fargli capire che sì, sto bene.

Seguo i due attraverso i corridoi dipinti di grigio chiaro della sede, fino a quando si fermano davanti a una sala in cui non ero mai entrata. Da fuori non c’è scritto se è un’aula riunioni o quale sia il suo utilizzo, ma da dentro provengono le voci di Aldo e Marzia, dal che capisco che è stato davvero Salvatore a organizzare l’intervista e che il resto del gruppo ha partecipato con piacere.

La donna mi accoglie sulla soglia e mi dà a malapena il tempo di posare il mio zaino a terra e di togliermi il cappotto, prima di sistemarmi addosso il microfono. Appena mi lascia libera, saluto anche il cameraman e noto che siamo arrivati noi prima dell’intervistato, chiunque egli sia.

«Elena, è pronta?» Il mio ex capo mi sorride affabile, prima di essere travolto un’altra volta dalla parlantina instancabile di Crispi.

«Quindi fate qui le interviste, di solito? C’è una bella luce, da noi nella redazione invece…»

Quanto accidenti parla quest’uomo di primo mattino?

Guardo il telefono, mi è arrivato un messaggio da parte di Matilde. Mi manda le foto di un locale e… di un menù? Che sta facendo?

Daniele mi ha chiesto di cercare un posto per voi per stasera. Mi puoi dire se per te i prezzi sono abbordabili o se ne devo cercare un altro? Questo mi sembra molto carino!

Così scopro che se trova un ristorante in cui cenare insieme è grazie alla sorella… Devo trattenermi per non scoppiare a ridere. Matilde aveva fatto un commento su di noi a Natale, di certo ora è felice di sapere che finalmente ci stiamo frequentando!

«Tutto bene?» mi chiede Marzia, complice, avendo notato il mio mezzo sorriso.

«Sì, era un’amica…» Rimango sul vago e apro le immagini. Sembra un bel posto, con luci soffuse e un ambiente confortevole. Do un’occhiata veloce ai prezzi del menù – che non ho idea di come abbia fatto a trovare – e le rispondo che vanno bene.

«Eccoti, ti aspettavamo!» La voce di Salvatore mi riscuote, così guardo chi è appena arrivato.

Teo Milinkovic, con la sua espressione impassibile di sempre.

Sorrido, stavolta senza trattenermi. Quando ieri sera ho continuato le ricerche, ho scoperto che non ha mai rilasciato un’intervista in Italia. Si è concesso poche volte ad alcune emittenti serbe, ma solo quando era in nazionale.

E ora è stato lui a chiedere che fossi io a intervistarlo.

Cosa mi aveva detto Daniele, una vita fa? Che secondo lui ero una a posto?

Teo si siede accanto a me, scuotendo la testa all’indirizzo di Marzia, che si stava avvicinando con il microfono da appuntargli sulla maglia. Si china, in modo che sia l’unica a sentirlo. «Hanno fatto uno schifo a mandarti via e so perché l’hanno fatto… Sei una brava persona e non è giusto. E quello nuovo non mi piace.»

«Purtroppo non potevo rimanere.»

In risposta, mi dà una pacca sulla spalla. È stato il discorso più lungo che gli ho sentito fare, sempre che si possa definire tale.

«L’intervista è in italiano o in inglese?» chiede Crispi, mettendosi davanti a noi. «Se è in inglese devo chiamare qualcuno che la trascriva in italiano nel video, non vorrei che altrimenti non la potessero sentire i nostri lettori che non lo conoscono benissim…» E riparte con quel piacere tutto edonistico nell’ascoltare la propria voce. Salvatore mi aveva avvertita del fatto che è uno che chiacchiera, ma per fortuna riesco ancora a sopportarlo. In redazione siamo in due locali diversi, non invidio chi lavora a stretto contatto con lui per tutto il giorno!

«In italiano» decide Teo, poi si rivolge di nuovo verso di me, mentre Marzia gli appunta il microfono sulla maglia. «Puoi farmi tutte le domande che vuoi, pronta?»

Annuisco. Sono pronta, la sua fiducia mi mette a mio agio.



Spazio autrice
Avrei dovuto pubblicare il capitolo questa mattina, ma purtroppo ho avuto un impegno che mi ha tenuto occupata fino ad ora (no, non lo stesso impegno di Pippo XD). Allora, che ne dite, è all'altezza delle aspettative?
Uso questo spazio per darvi un paio di annunci. Il primo è che anche se ora Elena e Daniele stanno insieme (più o meno, visto che non è ufficiale), siamo a circa metà storia, quindi ci sarà ancora molto da leggere.
Il secondo annuncio è che ho in mente di alzare il rating a rosso. Il motivo è che non ero sicura di voler scrivere la loro scena di sesso, che andrà più in profondità rispetto a quella tra Pippo ed Elena. O meglio, volevo scriverla, ma stavo pensando se avrebbe funzionato come racconto one shot separato dal resto... ma poi mi sono resa conto che su wattpad avevo già messo il tag per adulti, mentre qui avrei potuto semplicemente alzare il rating. Scusate se ho parlato un po' a ruota libera, ma era per condividere con voi il ragionamento! Fatemi sapere cosa ne pensate (anche in privato, se non volete scrivere una recensione), vi leggo con grandissimo piacere ogni volta!
Baci a tutti e buona lettura,
Snowtulip.

 

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Capitolo 24
*** Capitolo 23 ***


Esco dalla sede della Vulnus con il cuore ancora in gola. Sapevo che Teo non rilascia mai interviste perché – come mi ha detto Daniele ieri sera – odia dover parlare con i giornalisti. È un uomo di poche parole, e nelle interviste bisogna aprirsi un po’.

Però con me ha parlato, eccome se l’ha fatto, tanto che siamo stati lì dentro per più di un’ora e mezza, quasi due ore. Abbiamo molto materiale da passare a chi si occuperà del montaggio e questo mi rende orgogliosa.

Teo ha parlato a lungo, dell’inizio della sua carriera in Serbia, del precoce approdo in NBA, delle difficoltà incontrate lì e della decisione di tornare da questa parte del mondo, tra Russia e Spagna e Turchia prima di trovare una seconda casa qui alla Vulnus.

Mi ha raccontato anche del suo rapporto con i compagni di squadra, sia nelle esperienze all’estero sia di quelli qui. In particolar modo, temo di essere arrossita quando ha parlato di Daniele elogiando i suoi miglioramenti nel corso degli ultimi due anni.

Li ho notati anche io, ma io sono solo una tifosa discretamente competente, non il motore che fa girare tutta la squadra.

Salvatore ci ha salutato consigliando a Crispi di far sottotitolare l’intervista in inglese: con un po’ di fortuna, potrebbe essere ascoltata anche da chi non conosce l’italiano. E il mio capo ha attaccato a blaterare qualcosa ringraziandolo ancora una volta per l’ospitalità e per averci messo a disposizione i locali della Vulnus… Anche se tutta questa situazione si è creata solo perché c’ero di mezzo io.

Appena siamo fuori sulla via, mi sistemo meglio la sciarpa attorno al collo – tira un vento pazzesco. Ho lasciato indietro Crispi, per godermi qualche secondo di silenzio.

«Pensavo che non lavorassi più qui, zoccoletta.»

No, ti prego, no

Mi volto, perché ho riconosciuto la voce di Clara. Ci mancava solo lei, l’ultima volta che l’ho vista ho avuto un attacco di panico… E ora che le cose si stavano sistemando, arriva come un avvoltoio.

«Infatti non ci lavoro più.» Mi infilo i guanti con noncuranza, cercando di ignorare la sua presenza, ma lei si avvicina con un sorriso inquietante da film horror.

Ma Crispi dove sta? Dobbiamo andare in sede e lui perde tempo a ciarlare!

«Sarà meglio per te che non ti faccia più vedere, altrimenti ti rovino la vita.»

«Non me l’hai rovinata abbastanza?» Mi mordo la lingua subito dopo averlo detto. Che diavolo mi passa per la testa?

«Salutami Filippo, allora» ribatte lei, con quell’espressione di falsa cordialità stampata sul viso.

«Salutamelo tu, lo vedrai di sicuro prima di me.»

Clara inarca le sopracciglia, sorpresa. Non si aspettava nemmeno lei che l’avrei davvero lasciato. O almeno, spero che abbia capito che ci siamo lasciati, nonostante non sia stata esplicita.

La porta d’ingresso della sede si spalanca e ne esce Teo, che mi nota subito. «Ciao, Elena» mi saluta al volo, prima di incamminarsi verso il centro di allenamento.

«Ciao, Teo!» lo richiama Clara, forse offesa per non essere stata considerata.

Al che lui si gira e aggrotta le sopracciglia. «Non so chi sei. Buona giornata.»

Devo trattenermi dal ridere. Geniale. È stato dannatamente geniale. Se sa come sono andate le cose – anche se non ho la più pallida idea di chi possa averglielo raccontato – questa è una dimostrazione che, nel gioco delle parti, lui ha preso la mia. E Clara, nonostante la sua famiglia, per lui non conta un bel niente.

E se incontrarla di nuovo mi stava per mandare in crisi un’altra volta, avere un suo attestato di stima mi rincuora.

Crispi esce dalla sede e ci guarda con aria confusa. «Dobbiamo andare in sede, su!»

Annuisco. Non ci penso proprio a dirgli che stavo aspettando lui, né che se fosse dipeso da me saremmo già a metà strada, altrimenti chissà per quanto attacca a parlare!

«Hai già un nuovo lavoro?» chiede Clara. «A chi hai dovuto darla per averlo?»

La sua voce era alta, un po’ troppo considerando che siamo ancora vicine. Voleva farsi sentire, voleva attirare l’attenzione. Ma di chi? A piedi non c’è nessuno e passa solo qualche macchina!

Stavolta arrossisco dall’imbarazzo. «Ho fatto un colloquio per essere assunta, grazie a te ho dovuto farne parecchi.»

Ho una stretta allo stomaco che riconosco. Devo allontanarmi da qui, prima di sentirmi male di nuovo.

Crispi ci ascolta senza capire, eppure stavolta non dice una parola.

«Ha parcheggiato da quella parte?» gli chiedo sottovoce.

«Sì, certo, andiamo. Arrivederci, signorina…?» si rivolge a Clara.

«Sironi Mantovani» risponde lei, con uno dei suoi sorrisetti.

Stronza. Si è presentata con il doppio cognome solo per sbandierare il suo retaggio!

«Arrivederci, signorina Sironi Mantovani.» Crispi le porge la mano e, appena Clara gliela stringe, lui si esibisce in un baciamano penoso, guardandola con occhi incantati. Solo perché è la nipote del presidente della Vulnus… che leccaculo ridicolo.

Si ricorda che ci sono anche io e mi fa cenno di seguirlo lungo il viale.

«Non pensavo che fosse amica con i proprietari della Vulnus!» esclama, appena abbiamo messo un po’.

Secondo lui quello che ha detto Clara era da amica? Mi ha di nuovo dato della zoccola, e l’ha fatto davanti a lui!

«Non lo sono. La conosco di vista, tutto qui.» Affretto il passo, voglio mettere più distanza possibile tra me e lei. Mi sento ancora provata e mi manca il fiato.

Lui mi dice ancora qualcosa, ma non lo sento, è come se avessi le orecchie attappate. Intorno a me i colori si ingrigiscono e le forme perdono di consistenza. Sto per svenire.

Mi appoggio al muro, cercando di non cadere, e sono costretta a fermarmi. Sbatto le palpebre un paio di volte, questo è il momento meno adatto per sentirmi male. Devo riprendermi, non voglio mostrarmi fragile di fronte a una persona che conosco poco e di cui, visto il suo comportamento di poco fa, non credo di fidarmi.

«Tutto bene?» Crispi era andato avanti di dieci metri, probabilmente parlando da solo, senza rendersi conto che non ero al suo fianco.

«Sì, avevo un sasso in una scarpa» mento, ma non importa. Mi stacco dal muro e riesco a mettere un passo dietro l’altro fino ad arrivare a destinazione. Il tutto mentre lui non la smette di raccontare l’intervista a Teo, come se non si ricordasse che ero lì. Anzi, che sono stata io a intervistarlo!

Se in un primo momento mi sembrava simpatico, sebbene dai modi troppo espansivi ed egocentrici, ora inizio a trovarlo irritante.

Appena mi siedo in auto e lui fa ruggire con soddisfazione il motore del suo suv – come se si volesse vantare di avere un macchinone – prendo il telefono dallo zaino. Trovo un messaggio di Daniele, di pochi minuti fa.

Era Teo!

Sorrido. Mi ha scritto appena l’ha scoperto. Me lo immagino che torna indietro mentre la squadra va ad allenarsi solo per dirmelo. E io invece devo raccontargli tutt’altro…

Sì! Però… ho incontrato Clara.

 

Ha incontrato Clara?

Rileggo il messaggio di Elena, seduto sulla panca dello spogliatoio. Ci mancava solo quella pazza a rovinarci la giornata!

Mi ha scritto più di due ore fa, spero che ora sia in pausa pranzo e che possa rispondermi. E spero che lei stia bene.

Ti ha detto qualcosa?” le chiedo subito.

Che devo averla data a qualcuno per avere un nuovo lavoro…”

Sbuffo. Che cazzo vuole questa matta da lei? Che bruci tra le fiamme dell’inferno?

«Pala.» Non mi ero accorto che Teo fosse arrivato qui, finché non si è messo di fronte a me. Fa cenno a Pippo di fargli spazio per sedersi e lui, in tutta risposta, si toglie l’asciugamano rimanendo nudo, come a fargli capire che deve vestirsi e che non schioda da dove sta.

Indosso al volo la felpa e i pantaloni lunghi, e gli indico il corridoio con il mento. Gli altri sono ancora intenti a cambiarsi per pranzare insieme, fanno a malapena caso a noi.

«Hai parlato con Elena?» mi chiede a bassa voce, senza aspettare di essere lontano dallo spogliatoio.

Annuisco. «Perché?»

«Perché ho visto la nipote di Mantovani e ho fatto finta di non riconoscerla… Secondo me avrà in mente qualcosa, se scoprirà che lei mi ha fatto un’intervista. E che l’ha fatta in sede.»

Mi suona un campanello d’allarme nella testa. «Tu cosa sai?»

«So più di quello che credi tu. E di quello che sai tu. Il Fabbro mi ha raccontato alcune cose, anche su di te.»

Alzo gli occhi al cielo, infastidito. Il Fabbro gli ha detto del mio esame? Non poteva farsi i cazzi suoi?

«E Pippo mi ha detto di Elena e te. Pala, senti… vuoi bene a lei, si vede. Quindi devi fare l’unica cosa per tenerla al sicuro.»

«E cioè?» Farò tutto quello che posso, ma in questo momento il cervello è andato in vacanza.

Teo allunga il collo per guardare se qualcuno arriva alle mie spalle, poi si china verso di me. «Devi parlare con il presidente. Non assumerà di nuovo Elena, ma è meglio se lo fai.»

«Avrei dovuto dirglielo tempo fa, ora è tardi.»

«Non è mai tardi per la verità.»

Mi assesta una pacca sulla spalla e va a posare la sua roba nello spogliatoio, lasciandomi come un idiota nel mezzo del corridoio. Stanno succedendo troppe cose tutte insieme…

Inizio a capire Elena e le sue paranoie. Le telefono senza neanche starci a pensare troppo, non le ho ancora risposto all’ultimo messaggio.

«Daniele?»

Sospiro, sollevato. La sua voce non mi sembra preoccupata.

«Ehi, come stai?» La mia invece si addolcisce, non so nemmeno io da dove mi esca fuori tutto questo miele.

«Bella domanda, non lo so. Ho avuto di nuovo un cedimento, mentre ero con il capo… ma lui non si è accorto di niente. Sono in pausa pranzo e mi sto facendo un giro per prendere aria, ma tra poco dovrò rientrare. E non so se voglio. Dovevi vedere come faceva il cascamorto con lei appena gli ha detto il suo cognome… Mi sono sentita avvilita. Di nuovo. E quando mi ha detto quella cosa che ti ho scritto, era davanti a lui

Non la nomina, ma non serve per farmi capire che sta parlando di Clara.

«Ti vengo a prendere direttamente in redazione, appena finisco qui? Pippo può tornare a casa con Niko. O può tornare a casa a piedi.»

Lei scoppia a ridere, dall’altra parte della linea.

Dio, quanto è bella la sua risata

«No, no, ci vediamo stasera… Matilde ti ha fatto vedere il posto?» Avverto un’esitazione, spero che non l’abbia messa in imbarazzo, anche se non sarebbe da lei.

«Mi ha mandato dei messaggi, ma ancora non li ho aperti» ammetto, grattandomi la nuca. «Facciamo alle sette e mezza sotto casa tua?»

«Va bene. Non vedo l’ora

Sorrido come un deficiente mentre lei mi saluta e mi dà appuntamento a più tardi. Nonostante aver visto Clara l’abbia sicuramente fatta stare male, vuole lo stesso venire a cena con me. Non vuole sparire dal mondo, vuole stare con me.

«“Palascemo”, vieni a mangiare?» mi chiama Niko, sbucando dallo spogliatoio. «O stai parlando con la tipa immaginaria?»

Ridacchio, agitando il telefono. «Ci vediamo stasera, me l’ha appena confermato!»

Ora devo solo concentrarmi prima sull’allenamento e poi su come rendere meravigliosa la serata con Elena.



Spazio autrice
Arrivo in ritardo di un giorno, ma arrivo!
Cosa vi ha sconvolto di più, il ritorno di Clara o il capo di Elena che fa il cascamorto con lei?
E Teo? Vi sta piacendo? Per me è uno dei migliori, e qui lo dimostra benissimo!
Baci a tutti,
Snowtulip.

 

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Capitolo 25
*** Capitolo 24 ***


Appena entriamo nel locale, lei si guarda intorno per ammirare le candele sistemate ai tavoli e i led dalla luce soffusa sistemati alle pareti. E le piante di finta edera che risalgono attorno alle colonne, che vanno a ricreare un ambiente antico, come una villa romana di millenni fa, come suggerisce anche il tono rossastro dei muri. Lo trovo perfetto per Elena, Matilde ha scelto il posto giusto.

Non c’è nessuno, esclusi noi e i camerieri. La discrezione le farà sicuramente bene, ormai ho imparato a capire come si sente a seconda delle situazioni.

È avvolta dal cappotto lungo, da cui sbucano le gambe. E che gambe… La seguo fino al tavolo a cui ci conduce il cameriere, senza dire una parola finché non ringraziamo il ragazzo che ci lascia a contemplare i menù.

Abbiamo parlato di Clara mentre eravamo in auto e siamo rimasti d’accordo nel non pensarci fino a domani. Lei è serena, anche se ho l’impressione che stia cercando di fare del suo meglio per non farlo pesare a me.

Do un’occhiata a cosa prendere e decido presto. Non ho intenzione di perdere tempo a non guardare Elena. Se possibile, stasera mi sembra ancora più bella, anche se di diverso ha solo i capelli raccolti in una treccia e non ha gli occhiali, ma le lenti a contatto. Inoltre, indossa lo stesso vestito scuro che aveva la sera del mio compleanno. Quella sera… è passato un secolo.

Ha anche precisato che è il suo preferito, perché avrà immaginato che il mio pensiero sarebbe andato a lei e Pippo sul divano. In realtà mi sto concentrando per non guardarle la scollatura, perché se ieri sera ho dato una sbirciata a come è senza vestiti, oggi me le sta quasi sbattendo in faccia.

Ci credo che Pippo le stava per togliere quel vestito, è proprio quello che voglio fare anche io!

Devo mordermi la lingua per non pensarci. «Quindi, l’intervista con Teo?» le chiedo, per distrarmi da cosa vorrei fare con lei dopo cena. «Non mi hai detto come è andata.»

Solleva lo sguardo dal menù e mi sorride. Dio, è troppo bella quando sorride. «Mi ha raccontato una marea di cose, probabilmente è l’intervista più lunga che abbia mai rilasciato. Crispi è fuori di sé dalla gioia, anche se non ha capito che Teo ha fatto l’intervista proprio a noi perché c’ero io.»

Scherziamo e ridiamo per un po’ prendendo in giro il suo capo, che non ha la minima idea della fortuna che ha ad averla in redazione. Nel frattempo, ordiniamo e iniziamo a mangiare continuando a parlare. Ogni volta che Elena sorride si illumina tutto il suo viso, come se splendesse di luce propria. E stavolta sta sorridendo a me, è me che guarda con quell’aria sognante che le avevo visto per troppo tempo mentre era con Pippo.

Le dico dei ragazzi e che Niko pensa che abbia un appuntamento immaginario e le faccio anche un resoconto dettagliato di come mi hanno preso in giro stamattina. E lei ride, ed è bellissima.

«Non hai detto che ero io?»

«No, devi vedere anche tu le loro facce appena lo scopriranno!»

«Quindi non lo sa nessuno?» Si pulisce la bocca per bere.

Non le rispondo subito, perché rimango ipnotizzato a fissarle le labbra, quelle labbra che tra ieri sera e questa mattina ho solo assaggiato e che non vedo l’ora di baciare ancora. Vorrei essere il tovagliolo, anzi, vorrei essere il poco vino che si è versata solo per assaporare la sua lingua… Si dà un leggero colpo poco sopra la scollatura con la base del bicchiere, come a voler richiamare l’attenzione proprio lì.

Perché ieri non gliele ho nemmeno toccate? Sembrano morbidissime!

Per fortuna ci sono i pantaloni, anzi, per fortuna c’è il tavolo a coprire quello che mi si sta muovendo tra le gambe.

«Dicevi?» le chiedo, distratto.

«Non lo sa nessuno, alla Vulnus?» ripete lei, con un sorriso malizioso. Appoggia le labbra al vetro, e rimane a guardarmi. Non capisco se vuole davvero sentire la mia risposta o se mi sta solo provocando.

«Pippo, ma lo sa per forza… Sapeva che venivo da te e ho detto che era andata bene mentre c’era anche lui. E poi Teo.»

«Teo? Non mi sembra il tipo che bada alle questioni di cuore…» Posa il bicchiere e si sporge verso di me. Lo sta facendo apposta, posso guardarle benissimo quel davanzale come se ci fossi affacciato.

«Sì, lui… aveva capito cosa provavo per te. E mi sono ritrovato a confessare, perché tu…» Lascio in sospeso la frase, perché non so se voglio dirle davvero come stavo allora. Ma sotto il tavolo sento il suo piede strusciare contro il mio, con dolcezza, e mi dà il coraggio per continuare. «Stavi per dare un’altra possibilità a Pippo e io stavo a pezzi. Teo è stato l’unico ad accorgersene, il coach pensava che fossi nervoso per la partita con Ulm!»

Alzo lo sguardo verso di lei, nel parlare l’avevo abbassato sul piatto vuoto. Non sta sorridendo, ha l’aria seria. Ed è dannatamente bella anche così. E vorrei che non ci fosse questo tavolo per stringerla a me e baciarla.

«Sai che non importa più, vero?» mi chiede. Si volta e chiama il cameriere che ci ha servito la cena per chiedergli il conto, poi ritorna a concentrarsi su di me. «E non l’ho fatto apposta, non sapevo che stessi male…»

«Elena, non fa niente.» Uso il tono più pacato che ho, perché sembra l’inizio di uno dei suoi lunghi discorsi che non finiscono mai e da cui escono fuori diecimila paranoie. «Mi vergognavo solo a dirti che Teo lo sapeva da così tanto, tutto qui.»

Siamo interrotti dal cameriere, che ci porta il conto. Lo dividiamo, così come abbiamo deciso questa mattina e poi usciamo dal locale e ci incamminiamo verso la via dove ho parcheggiato.

Lei non si infila i guanti, come fa sempre, ma intreccia le dita alle mie. Vuole che sia io a scaldare le sue dita gelide. Normalmente mi avrebbe dato fastidio, ma sentire la sua pelle a contatto con la mia mi dà una sorta di benessere.

Mi sento bene insieme a lei.

«Comunque, complimenti» sussurra, proprio mentre raggiungiamo l’automobile.

«Perché?»

Si ferma davanti alla portiera del guidatore. Nonostante abbia freddo, il cappotto non è abbottonato e lei lo apre un po’ proprio mentre le sono davanti. E con tutto quel ben di Dio controllarsi è una fatica immane.

«Perché ho provato a stuzzicarti per tutta la cena e non hai ceduto.»

Non mi dà il tempo di reagire, perché mi attira a sé, infilandomi subito la lingua in bocca. Cazzo, non pensavo che fosse così eccitante.

Passo una mano sotto al suo cappotto, andando a tastarle la schiena, lasciata in parte nuda dal vestito e, coperto dal cappotto, le palpeggio il culo, spingendola contro di me. Deve sentire che la voglio. Altro che non cedere, la sbatterei sulla macchina… visto che lei mi stava davvero provocando e che non me lo stavo immaginando.

Trattiene un gemito e mi morde il labbro, accendendo ancora di più la mia eccitazione. Porto la mano libera dietro la sua nuca e le accarezzo il collo, avvolto dalla sciarpa. Rabbrividisce, non posso non accorgermene, e il freddo non c’entra proprio niente.

Se non fossimo in mezzo alla strada

Lei lascia che le stringa bene il culo e non mi ferma quando porto la mano addirittura sotto al vestito, alzandone la gonna. Per fortuna ha un cappotto che le arriva le ginocchia, altrimenti rischierei l’arresto… ma ne sarebbe valsa la pena.

Spingo il bacino contro il suo, ce l’ho così dritto che se mi allontanassi da lei, lo vedrebbero anche i passanti. Per fortuna non c’è nessuno che passi di qui.

Le lecco le labbra e le guardo gli occhi: sono lucidi di desiderio, forse lo vuole addirittura più di me.

«So controllarmi.» Le provoco un’altra scarica di brividi sussurrandole all’orecchio, tanto che lei si aggrappa a me portandomi le braccia al collo.

«Anche io, ma con te vorrei perderlo, il controllo.»

Cazzo, non aspettavo altro.

«Andiamo da me, vero?» mormora, proprio mentre mi sto per fiondare di nuovo sulle sue labbra.

«Certo.» A casa mia c’è Pippo, capisco l’imbarazzo se dovesse sentirci… Mi imbarazzerei anch’io.

Le accarezzo un’altra volta il culo, come dandogli un arrivederci, poi le sistemo la gonna del vestito e provo a calmare la mia eccitazione. Solo che appena mi separo da lei, c’è quel davanzale morbido che mi chiama.

Non ora, devo aspettare solo qualche minuto.

La bacio ancora, stavolta a stampo, e le faccio cenno di salire. «Andiamo a casa.»

«Pensavo che mi proponessi di farlo in macchina» ride lei appena siamo dentro.

«Non mi piace farlo in macchina, ho sempre paura che qualcuno possa vedermi.»

Elena si infila la cintura, mentre io accendo il motore. «E quello che stavi facendo poco fa?»

Sorrido, so che mi sta guardando. «Hai detto tu che non ho ceduto… Volevo farti capire che è stato difficile, visto quanto sei bella. E visto quanto ho aspettato.»

 

Non avrei mai pensato che mi sarebbe successo, ma ho passato tutta la cena a fantasticare a come sarebbe stato finire a letto con Daniele. Filippo, al suo posto, avrebbe fatto una marea di commenti stupidi sulla mia scollatura, o sul fatto che molto spesso mi sono chinata in avanti proprio per lasciarlo guardare.

Ma lui no.

Non vuole solo venire a letto con me, gli piace anche la mia compagnia. Gli piace parlare con me, gli piace raccontarmi la sua giornata e ascoltare com’è andata la mia. Gli piace la nostra complicità, il nostro rapporto che si è costruito giorno dopo giorno.

In passato, mi sono mostrata fragile davanti a lui e non è scappato. Non ha nemmeno proposto delle soluzioni assurde, come qualcun altro avrebbe fatto. Mi sento bene insieme a Daniele, e non vedo l’ora che trovi un posto poco lontano da casa mia per salire in camera e chiudere la porta.

Quando l’ho baciato, fuori dalla macchina, era solo per fargli capire quanto lo desiderassi anche io. Quanto desideri tutto di lui, dalla sua compagnia, alla sua voce, alle sue mani…

E quello che ho sentito contro il mio bacino lasciava spazio a pochi dubbi. L’ho lasciato fare, mi avrebbe anche spogliata e presa contro la macchina e non avrei opposto resistenza. Non vedo perché avrei dovuto, una piccola parte di me lo sperava.

Parcheggia in una via secondaria dove non c’è nemmeno un lampione, e spegne il motore. Mi guarda, un po’ imbarazzato. Per tutto il tragitto non ha spiccicato parola e io ero troppo impegnata a pensare a cosa gli avrei lasciato fare una volta da soli.

«Elena, per prima…» Ha l’aria colpevole, come se baciarmi e stringermi a quel modo fosse stato un errore.

Gli impedisco di completare la frase con un bacio. Schiudo le labbra e lui mi porta una mano dietro la nuca, come se volesse attirarmi ancora di più a sé.

«Sono stato brusco, non volevo» prova a dire. Per poco non ho ancora la lingua intrecciata alla sua e lui pensa di essere stato brusco?

«Va bene, non voglio che tu sia diverso per me. Se sto con te, devi essere veramente tu.» Lo bacio ancora, stavolta solo a fior di labbra. «Se da fidanzato sei così, per me non è un problema.»

Abbassa lo sguardo sul volante. Se solo ci fosse la luce artificiale vedrei se è arrossito o meno, ma per quanto lo conosco credo proprio che lo sia. «Di solito non sono così, non so perché…»

«Istinto.»

Si volta verso di me, si sta mordendo il labbro. Gli accarezzo la barba corta, e lui mi bacia il palmo della mano.

«Se ti viene da comportarti in un modo, allora fallo. Stamattina mi hai chiesto di mantenere la stessa sincerità di prima, giusto? E io ti chiedo di comportarti come ti viene, senza starci a pensare. I pensieri vengono dopo… E io ho abbastanza paranoie per tutti e due!»

Sorride. «Cosa ti fa pensare che non le abbia anche io?»

Non gli rispondo, perché se ho capito qualcosa di tutti i suoi comportamenti delle ultime settimane, è che a causa mia ne ha avute parecchie.

Allungo una mano verso il cavallo dei suoi pantaloni, e lo strofino quanto basta perché inizi a gonfiarsi. «Da parte mia ti prometto che farò quello che mi passerà per la testa, soprattutto in momenti così.»

«Elena…» La sua voce è un soffio, socchiude gli occhi. E posso immaginare che si stia mordendo la lingua, perché la mia mano è ancora lì, a vezzeggiarlo da sopra la stoffa. «Forse è meglio se saliamo.»

Gli lascio un bacio sulla guancia, e stringo la presa dove lo sento muoversi. Non provo imbarazzo, né mi sento in difficoltà, come mi sarebbe capitato con chiunque altro. Una parte di me – neanche poi tanto piccola – brama solo che il contatto tra di noi si faccia sempre più intenso. L’idea di farlo in macchina non mi sembra così male. O forse ho solo troppa voglia di lui, ogni suo bacio accende il mio desiderio e mi fa impazzire.

Strofino ancora il suo cavallo, che si sta facendo sempre più gonfio, e lo bacio. Voglio che lui capisca che tutto quello che sto facendo ora è dettato da un impulso che con lui non ho la minima intenzione di controllare. Posa la mano sulla mia e inizia a darmi il ritmo, come se per lui stessi andando troppo piano.

Gli mordicchio il labbro inferiore. Sto attenta a non affondare i denti, non mi piace lasciare i segni del mio passaggio e lui sembra apprezzare, perché ora mi sfiora la coscia coperta solo da un sottile strato di collant, risalendo lentamente.

Interrompo il bacio e mi scosto da lui, prima di slacciare la cintura e scendere sul marciapiede. Ora preferisco anche io salire a casa, se continuassimo qui finiremmo a spogliarci e, se a lui non piace in macchina, è meglio andare.

Mi raggiunge con un attimo di ritardo, confuso, e si incammina al mio fianco verso il portone che si trova a pochi metri da noi, dobbiamo giusto girare l’angolo. «Non ti credevo così disinvolta.»

«Ti svelo un segreto: neanche io sono mai stata così prima d’ora.»

Sorride, mandandosi indietro il solito ciuffo di riccioli che gli ricade sulla fronte, mentre io tiro fuori le chiavi e apro il portone.

Lo precedo in ascensore e spingo il pulsante del piano. Poi gli porto le braccia al collo, ma non lo bacio, come sarei tentata di fare. «Forse è perché mi sento al sicuro quando sono con te e so che non mi giudicheresti mai se prendo l’iniziativa.»

«Non ti giudicherei comunque» mormora lui, al mio orecchio.

E mi sorride, con una luce negli occhi che lo fa sembrare ancora più bello. Per quanto sia di suo un bel ragazzo, da ieri sera lo vedo in modo diverso… Già stamattina ho avuto l’impressione che fosse cambiato qualcosa in lui. Se fossi io a fargli questo effetto?

«È per questo che con te sto bene.»

In risposta, mi lascia un bacio sulla guancia, mentre l’ascensore si ferma e scendiamo sul pianerottolo.

Alice e Arianna mi avevano informata che non le avrei trovate in casa – rientreranno più tardi, quando io e Daniele saremo in camera – per evitare di metterci in imbarazzo. Quando lui era da noi ieri hanno evitato qualsiasi riferimento a una nostra possibile relazione, ma stamattina Arianna si aspettava che avessimo fatto le capriole tra le lenzuola… Per fortuna Alice sa come prevenire e ha organizzato una serata fuori.

Quando apro la porta, la prima cosa che faccio è alleggerirmi del cappotto, che lascio sopra l’attaccapanni all’ingresso, mentre lui la richiude.

«Volevo togliertelo io» commenta Daniele, con un sorriso dolce, più da cavaliere che da ragazzo che sa che stiamo per finire a letto…

«Puoi togliermi il resto.» Aspetto che appenda anche il suo e lo attiro a me, per baciarlo ancora una volta, l’ennesima.

E lui non si fa pregare, ricambia il mio bacio con la stessa irruenza di prima, mentre eravamo in strada. Struscio il bacino contro il suo, e lui mi stringe il sedere con entrambe le mani, come se volesse alzarmi dal pavimento per farmi arrivare al suo metro e novanta abbondante.

Passo le dita tra i suoi capelli, giocherellando con i ricci, e Daniele interrompe il nostro bacio.

«Posso prenderti in braccio?»

Annuisco, e mi ritrovo a cingergli la vita con le gambe, mentre lui mi solleva di peso e fa qualche passo, prima di posarmi con delicatezza sul copriletto. Torna indietro a chiudere anche quella porta e poi mi guarda, passando ai raggi X tutta la mia figura.

Non mi mette a disagio, né in difficoltà. Non vedevo l’ora che potesse posare i suoi occhi chiari su di me senza doverli distogliere di continuo, come fa in pubblico. Come, cioè, ha fatto per tutta la sera.

Mi sfilo le scarpe dai piedi e gli faccio cenno di raggiungermi, così lui si siede e io mi sistemo su di lui. Lo bacio, lo bacio ancora e ancora, mentre Daniele mi accarezza la schiena con una dolcezza molto diversa se comparata alla foga passionale di poco fa.

Mi passa la mano libera su uno dei seni e lo palpeggia, come a tastarne la consistenza. Gli mordo il labbro e lui mi stringe il culo, portandomi a strusciarmi sul suo bacino. Non so come, ma riesce a leccarmi le labbra, e mi fa salire ancora di più il desiderio.

Sento la sua erezione premere contro i pantaloni e contro il poco vestito che mi copre le gambe. Lo solleva, arrivando al bordo delle calze. Ci infila la mano dentro e mi afferra di nuovo il sedere con la stessa presa che usa sui palloni da basket, con tutte le dita bene aperte.

Non avrei mai immaginato che avrebbe potuto toccarmi in questo modo, potrei impazzire.

Allontana le labbra dalle mie, e passa a baciarmi la guancia, fino a scendere verso il collo, facendo attenzione a non lasciare neanche un filo di saliva sulla mia pelle. Filippo deve avergli detto che la odio.

Gli accarezzo i ricci sulla nuca, trattenendomi dal gemere.

Scende verso la scollatura a cuore, con una buona porzione di pelle lasciata libera dal vestito e inizia a baciarmi anche lì, scostando sempre di più la stoffa, mentre sposta la mano che indugiava dietro di me e mi abbassa la lampo del vestito. Lo blocco prima che la abbassi del tutto e gli sbottono la camicia, lasciandolo a torso nudo.

Sorride, e mi bacia a fior di labbra. Mi sistemo di nuovo a cavalcioni su di lui e capisco che lui non aspettava altro.

Dio, se lo voglio… mi sta facendo bruciare dal desiderio, potrei prendere fuoco da sola.

Mi soffermo a guardare la sua muscolatura, scolpita come quella di un dio greco, e passo le dita prima sui suoi pettorali, poi le faccio scorrere verso il basso lungo gli addominali arrivando alla cintura, che gli sfilo.

Daniele mi lascia fare, non è più sconvolto dalla mia intraprendenza. Anzi, mi sembra che si diverta a lasciarsi spogliare da me, anche se poi continua da solo e rimane in mutande. Lancia i pantaloni verso la poltroncina e abbandona i calzini sul pavimento, mentre io mi metto in piedi e finisco di abbassare la lampo del vestito, rimanendo in intimo e calze.

Mi tolgo anche le calze e poi salgo sul letto, mentre lui apre il cassetto del comodino da cui ieri mi ha vista tirare fuori il preservativo.

Lo lascia sul comodino accanto al mio cellulare e si infila sotto le coperte. «Decidi tu quanto andare avanti, perché io non mi fermerei mai. Non con te in questa visione paradisiaca.»

Nell’ultima frase c’è un pizzico di malizia, ma prima era serio. Come se sapesse quanto per me è difficile affrontare questo momento.

Ma con lui non ho nessuna esitazione. Lo raggiungo tra le lenzuola e mi fiondo su di lui, riprendendo a baciarlo con intensità. Intreccio la lingua alla sua, e Daniele mi stringe a sé, afferrandomi di nuovo il culo, come se non gli interessasse nessun’altra parte del mio corpo.

Finisco sdraiata sopra di lui, come ieri sera, e stavolta sento la sua erezione premere con ancora più forza contro di me. Vorrei che non finisse mai, per questo ancora non gliel’ho tirato fuori. Forse lui sta solo aspettando che prenda di nuovo l’iniziativa.

 

La attiro a me e la bacio ancora, quasi infilandole la lingua in gola. Il suo corpo è caldissimo, stento a ricordare che poco fa le sue dita erano gelate. Elena si avvinghia con le gambe a me, aprendomi la strada per entrare.

C’è solo un piccolo problema: siamo ancora vestiti.

Inverto le posizioni e mi metto sopra di lei, accarezzandole un seno, coperto da un leggero strato di pizzo. «Posso?» le chiedo, senza specificare cosa.

«Puoi tutto quello che vuoi» mi risponde lei con un sorriso dei suoi.

Allora mi fiondo sul suo reggiseno, baciandone la scollatura, e lei inarca la schiena. Mi afferra la mano e la guida fino al gancetto, che mi aiuta ad aprire.

Rimane nuda davanti a me e non mi trattengo dallo stringere tra le mie mani una delle due gemelle. Bacio l’altra, e ancora e ancora, andando a formare una spirale che si avvicina sempre di più al centro.

Elena si struscia contro di me, come se volesse andare avanti, come se volesse che non mi fermassi mai. E allora le lecco il capezzolo, e lei geme di piacere. Non immaginavo che potesse piacerle così tanto.

Le infilo una mano nelle mutandine di pizzo, abbassandogliele. Pippo mi ha detto cosa le piace e cosa no e questo un po’ mi sta agevolando, ma per non infilarle almeno un dito tra le gambe devo proprio trattenermi.

Lei si contorce di piacere sotto di me, e mi fa eccitare ancora di più… Sono i preliminari più lunghi di tutta la mia vita, ogni secondo con lei sembra eterno. E voglio che lo sia.

Prova a scostare il mio viso da dove sta, ma non ho voglia di smettere di leccarle il capezzolo, non visto quanto si sta scaldando. Forse potrei passare all’altro, così mi fermo a riprendere fiato, ma lei è più veloce di me e ne approfitta per abbassarmi le mutande, che scalcio via con i piedi.

Ora siamo entrambi completamente nudi.

«Pensavo fossi un tipo da boxer» commenta lei, prima di baciarmi la guancia.

Mi siedo sul letto, accarezzandole il fianco. «E io non pensavo che a te piacesse il pizzo.» Non è un gran dettaglio, ma Pippo l’ha omesso.

«Lo indosso poco, mi ci sto abituando.»

Quindi l’ha messo solo per me?

«Ti sta da Di… Elena!» mi ritrovo a esclamare, perché non mi aspettavo che iniziasse a succhiarmelo. Non mentre stavamo parlando!

La sua lingua lo percorre per intero, ci sa fare e me lo indurisce ancora di più. Le porto una mano sul collo per farle capire di non smettere. Le sue labbra lì mi eccitano da impazzire, potrei venire da un momento all’altro. Forse è meglio che smetta

«Elena, fermati…»

Ma lei non si ferma, anzi, continua con ancora più decisione, come se non le importasse di dover mandare giù quello che ne uscirà fuori. Non mi aspettavo che fosse così intraprendente, non credevo che mi sarei ritrovato a doverla pregare di fermarsi.

Però mi eccita, mi eccita tantissimo.

Le do una leggera pacca sul culo, cercando di richiamarla. Sto tentando in tutti i modi di controllarmi, spero di non venire proprio ora, perché per lei potrebbe essere imbarazzante. E io tutto voglio fuorché metterla in imbarazzo.

«Elena, ti prego…»

Non capisco perché, ma lei lo interpreta come un segnale a proseguire. Le sciolgo la treccia, e i suoi capelli mi sfiorano le cosce, mentre la sua lingua continua a lavorare con sapienza fino a un secondo prima che possa succedere quello che temo.

Si siede e si sporge verso il comodino, per prendere il preservativo.

«Mettilo» mi dice, con un sorriso serio. Si lecca le labbra, alla luce fioca dell’abat-jour mi sembra di vedere ancora una patina di lucido sui suoi occhi. E mi eccita ancora di più di quanto abbia fatto fino a ora.

Obbedisco e mi rimetto di nuovo sopra di lei, che spalanca le gambe. Mi attira a sé e la bacio, mentre i nostri bacini si scontrano. Mi spinge dentro di sé, e si aggrappa alla mia schiena, come se non volesse che mi allontanassi da lei. La bacio un’altra volta, mentre i nostri corpi accaldati si uniscono, e le nostre lingue si cercano proprio come le nostre intimità. Vorrei che durasse in eterno, vorrei che mi rimanesse così duro per sempre solo per sentirla così.

«Daniele…» Chiude gli occhi, ed è bellissima nell’orgasmo che ci travolge. «Wow…»

Wow? Ha detto “wow”?

«Ti è piaciuto?» le chiedo, sfilandomi da lei.

Sorride. «Sì. Sei un po’ irruento, ma mi piace. E a te?»

«Non è stato come mi aspettavo… è stato addirittura meglio.»

Si sporge verso di me per baciarmi, attirandomi con una mano. Poi esce dal letto e va a prendere qualcosa da un cassetto.

«Che succede?»

«Devo togliermi le lenti, preferisco non doverci dormire.»

Le lenti… ero così preso da tutto il resto che me ne stavo dimenticando. Anzi, Pippo mi ha detto che la prima cosa che fa appena torna a casa è toglierle!

Sorrido beato, mentre lei mi raggiunge di nuovo a letto. Elena non lo sa, ma dal suo comportamento ho capito che quella per Pippo era solo attrazione, mentre con me… è tanto altro ancora.

Il suo corpo nudo è stretto di nuovo contro il mio, ma stavolta c’è poco della carica erotica di poco fa. Mi passa una mano tra i capelli, le piace proprio giocherellare con i miei ricci. La guardo negli occhi, e lei fa lo stesso con me.

«Sono stata bene stasera» sussurra. Mi abbraccia, da sdraiata, e io mi lascio cullare dalla sensazione che tutto è andato per il verso giusto.

Elena è meravigliosa, e lo è in ogni senso.

Le bacio i capelli. Profumano di fiori, deve averli lavati prima di uscire, perché quella fragranza delicata è entrata nella mia macchina insieme a lei appena ci è salita. «Anche io.»


Spazio autrice
Finalmente siamo arrivati a questo capitolo... che è stato immenso da scrivere, è quello che mi ha portato via più tempo, ma volevo che tutto filasse liscio!
Che ne pensate? Siate sinceri, è il mio primissimo tentativo con una scena così tanto spinta, e sono pronta a migliorare!
Baci a tutti,
Snowtulip.

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Capitolo 26
*** Capitolo 25 ***


Sveglio Elena con un bacio sulla guancia. L’avrei lasciata dormire fino al suono della sveglia, ma penso che preferisca essere svegliata così. Al suo posto, io lo preferirei.

Lei si gira verso di me, sotto lenzuolo e piumone è ancora nuda. «Daniele.» Dice solo il mio nome e sorride. Poi si tira su tenendosi coperta, credo più per il freddo che per non farmi guardare. Anche perché ieri sera ho visto tutto. E che tutto

«È ancora presto, ma volevo stare con te.» Mi sporgo per baciarla, ma lei si scosta. «Che c’è?»

«Ho un pessimo sapore appena sveglia. E ieri ho bevuto il vino, ho ancora il retrogusto amaro in bocca.»

Cristo, è vero, ha bevuto! Non ci avevo pensato, Pippo mi aveva detto che non lo regge benissimo…

«Ti senti bene? Non hai postumi o altro?»

Mi sorride, prima di abbracciarmi. «Sto bene, ho solo la saliva che non ha un buon sapore. Ho bevuto solo quanto potevo sopportare. Non volevo venire a letto con te da ubriaca!»

Scoppio a ridere, perché è spontanea. La stringo ancora di più a me, con la sua pelle che torna a contatto con la mia, dopo gli abbracci e l’amplesso di ieri sera. E sentire il suo respiro, il suo petto che si abbassa e si alza contro il mio mi fa affluire il sangue in mezzo alle gambe.

«Hai detto che è presto?» sussurra lei, provocante. Non sono l’unico ad avere ancora voglia, mi sa.

Le accarezzo un seno morbido, che si irrigidisce sotto la mia mano. «Sì, ma prima vorrei baciarti.»

Scuote la testa. «Non se ne parla.»

«Allora mi rivesto!» Faccio per uscire da sotto il piumone, ma lei mi trattiene per un braccio e così mi lascio ricadere sul letto.

Elena mi porta una mano dietro alla nuca e mi bacia. Ha ragione sul retrogusto amaro del vino… Ma poco e non mi interessa, mi piace di più sentire la sua lingua che si muove insieme alla mia. Ieri sera neanche ci avevo fatto caso, preso dall’eccitazione.

Mi sdraio sopra di lei e le tocco tutto quello che posso. Sembra un sogno, non voglio che si dissolva da un momento all’altro, devo assicurarmi che è davvero lei e che non me lo sto immaginando.

Lo rifacciamo di nuovo, anche se in una versione veloce, e alla fine la bacio per impedirle di gridare, nonostante gema tra le mie labbra. Ho l’impressione che avrebbe davvero perso il controllo, come ha detto ieri sera. E vederla così, con i capelli sparsi sul cuscino, in una smorfia di piacere, è quanto di meglio potessi desiderare.

Mi sento bene con lei e per lei è lo stesso con me.

Ci rivestiamo – anche se io mi infilo solo le mutande e la maglia – senza dire nulla, ma lanciandoci occhiate miste a sorrisi.

«Se vuoi farti la doccia…» inizia a dire, mentre preparo il caffè con le cialde.

«Elena, anche il sesso in doccia no… Se arrivo stanco all’allenamento, il coach mi ammazza!»

Mi dà un pugno leggero sul braccio, non è veramente offesa. «Intendevo dire che puoi farla, e forse è meglio, visto che abbiamo sudato un po’. Ti prendo degli asciugamani puliti.»

«Ah, già.» Le passo il caffè e lei ci macchia il suo latte in quella brutta imitazione del cappuccino.

Finiamo la colazione, poi a turno ci facciamo la doccia. Devo ammetterlo, se ci fosse stata anche Elena sotto il getto caldo dell’acqua, mi sarei lavato molto più che volentieri. E non me ne sarebbe fregato niente di arrivare all’allenamento già stanco.

Quando mi sono lavato e rivestito, esco dal bagno con l’asciugamano umido in mano. Allo stesso momento Alice apre la porta della sua camera e mi guarda con l’aria di chi ha capito proprio tutto. «Arianna ha dormito fuori, quindi siete salvi» mi informa, sbrigativa.

«Non ti abbiamo disturbata, vero?» le chiedo, sottovoce. Elena si sta vestendo in camera e non voglio che ci ascolti.

Alice sorride, con aria complice. «No, ma se ci avete dato dentro anche stamattina, buon per voi.»

«Quindi ci hai sentito.» Altrimenti non avrebbe potuto saperlo, no?

«Solo alla fine» ridacchia lei e mi fa cenno di seguirla in cucina, mentre si prepara il caffè. «Detto tra noi, non è facile farla felice, se capisci cosa intendo.»

«Non pensavo… Quando stava con Pippo, lui mi diceva che…»

Devo davvero pensare a cosa mi diceva Pippo sulle sue mirabolanti avventure sessuali con Elena?

Lei scoppia a ridere. Credo di aver travisato. «Non parlo di Pippo! Prima che uscisse con te, ieri, era felice. Non so spiegartelo, brillava di luce sua. Come se avesse realizzato quello che io avevo capito da un pezzo.» Si porta la tazzina alle labbra e beve, senza neanche averci messo lo zucchero. «Era felice di stare con te, era felice alla prospettiva del sesso con te… Ma ti ricordi le pippe mentali che si faceva per lui

Sorrido. Eccome se me le ricordo.

«Con te la vedo bene» continua a dire. «E non solo perché è di buon umore, ma anche perché so che tu faresti di tutto per lei. Perché l’hai già fatto e so che non esiteresti un momento.»

«Di che stai parlando?» Fino a un certo punto riuscivo a seguire il suo discorso, ora mi sono perso.

Perché parlano tutti attraverso frasi misteriose e non dicono le cose come stanno? Finora quella più sincera e diretta è stata proprio Elena, che è proprio la persona più riservata che conosco… Be’, riservata con gli altri, con me la riservatezza forse non c’è mai stata.

«Ieri sera, io e Arianna potremmo aver incontrato qualche tuo compagno di squadra. E potrebbe esserci stato Teo Milinkovic, tra questi, che potrebbe avermi detto qualcosa su una certa persona che sembrerebbe avere tutta l’intenzione di tormentare una mia cara amica, sebbene quest’ultima non stia più ronzando intorno al gingillo amoroso del suo ex, com’ella tuttavia ritiene.»

Il tono a metà tra il serio e il comico sarebbe anche divertente, se non fosse che tra le righe ha lasciato trapelare un paio di informazioni importanti: Teo ha parlato con Alice per chissà quale motivo e Clara non ha ancora deciso di lasciare in pace Elena.

«Perché te l’ha detto?» mormoro.

«Ha detto più delle due parole che gli avevo sentito dire in questi mesi, quindi per lui è importante che tu stia bene. E visto che la tua felicità passa attraverso quella di Elena…» Si appoggia al tavolo della cucina, e mi fissa con aria seria. «Lei è mia amica e le voglio bene, ma non sa affrontare i problemi che ritiene più grandi di lei e che la spaventano. Non so cosa ti ha detto di fare Teo, anche se so che ti ha detto di fare qualcosa, ma voglio che tu lo faccia e che ne parli con lei. Io e Arianna non siamo mai riuscita a tirarla fuori dai suoi casini mentali in cinque anni, tu invece sei riuscito a calmarla dopo l’esame con quello stronzo. Non so come hai fatto, ma sei la persona giusta per lei. E dalla faccia intontita che avevi poco fa, lei è quella giusta per te.»

«Mi state mettendo pressione.» Non è la frase più gentile da dire, soprattutto non dopo che lei mi ha fatto una sviolinata su quanto Elena abbia dei problemi ma che con me possa risolverli. Però nel giro di poco meno di ventiquattro ore mi sono sentito fare la predica prima da Teo e poi da lei. «Ci siamo appena messi insieme, non puoi pretendere che risolva la sua vita.»

Mi mordo la lingua. Nessuno può pretenderlo, ma lo farei. Per Elena farei qualsiasi cosa.

«Daniele, se ti parlo così è perché ho imparato a capire che ti passa per la testa. E conosco anche lei. Fidati, se volevo mettere pressione a tutti e due, ti avrei suggerito come prenderle l’anello di fidanzamento o dove lei vorrebbe andare in viaggio di nozze.»

Si è preparata il discorso o lo sta improvvisando?

«Alice, io farei di tutto per lei. Ma tu e Teo non dovete starmi con il fiato sul collo, perché se lo sapesse…» Non posso completare la frase, perché la porta della camera di Elena si apre, e poco dopo lei è davanti a noi, sulla soglia della cucina.

Mi porge il cappotto e indossa il suo, riaccendendo il ricordo di ieri sera e delle mie mani che la tastavano sotto il vestito. Le salterei di nuovo addosso, se non dovessi accompagnarla in redazione…

Scambia un saluto con la coinquilina, senza fare nessun accenno alla nottata appena trascorsa, e mi precede fuori dall’appartamento.

 

Appena saliamo in macchina, Daniele non parte subito. Si guarda intorno, come se temesse che in questo vicolo cieco possa sbucare qualcuno.

«Stai bene?» Poso la mano sulla sua, sul volante.

Si volta verso di me e si passa indietro il solito ciuffo di riccioli. «Stavo pensando a Clara. Ho una soluzione, cioè… Teo mi ha suggerito una soluzione. Preferisco non dirtela finché non ho fatto, ma voglio che ti fidi di me.»

«Perché non vuoi dirmela?»

Mi prende una mano tra le sue e me la bacia. «Perché non voglio che ti preoccupi più di quanto non faccia già di tuo. Però dovevo almeno dirti che ci ho pensato e che non ho messo da parte questa storia.»

Sorrido, mi viene spontaneo. È dolce a preoccuparsi per me, anche se lui si è sempre preoccupato, sin dal primo giorno. «Però mi viene l’ansia anche così, perché non so se funzionerà.»

Mi accarezza la guancia e si sporge verso di me per lasciarmi un bacio a fior di labbra. «Puoi fidarti di me. Anzi, prima di agire chiederò un consiglio al coach, per stare più sicuro. Voglio che Clara ti lasci in pace e che non si intrometta mai più nella tua vita. E poi me l’ha detto Teo, perché non dovrebbe funzionare?»

Sorrido ancora e anche lui mi sorride, con quegli occhi chiari che brillano nel grigiore della mattinata. Non so cos’ha in mente, ma solo il suo tono di voce riesce a farmi sentire più tranquilla. «Va bene.»

Daniele mi bacia ancora una volta con foga, attirando il mio viso al suo. Con ogni suo bacio mi sembra di toccare il paradiso, di essere catapultata in un universo in cui esistiamo soltanto noi due.

Mi fa sentire bene e, anche se non so di preciso cosa ha in mente, so di potermi fidare di lui. E finché mi fido, posso stare tranquilla.

Se ne andasse al diavolo quella stronza.

Allontano le labbra dalle sue e lo abbraccio. Lui mi accarezza la schiena con dolcezza, quasi a voler amplificare la sensazione di pace che provo quando siamo insieme.

«Ti prometto che ce ne sbarazzeremo» sussurra al mio orecchio.

Poi sciogliamo l’abbraccio e lui parte. Guardo sul telefono un messaggio che Alice ha scritto nella chat di casa, chiedendo ad Arianna se pensa di rientrare per pranzo, ma lei ancora non ha risposto. O forse ancora non si è svegliata.

«Chissà dove ha dormito… o con chi» dico, pensierosa. Non sono tanto stupita dal fatto che ha avuto un’avventura notturna, quanto dal fatto che non ha scritto nulla a me e Alice, nemmeno per dirci che stava con uno. Un comportamento un po’ insolito per lei.

«Boh.»

Dopo qualche minuto – Daniele ha una capacità unica nell’evitare il traffico – ci fermiamo proprio davanti all’edificio che ospita la redazione del Gazzettino. Sono un po’ restia a scendere, non vorrei che qualcuno mi vedesse con lui. Anche se qui non sanno che fino a due settimane fa stavo con Filippo.

«Vuoi che ti porti dentro in braccio?» Daniele ride, spegnendo le mie preoccupazioni.

«Immagina la faccia di Crispi se vedesse che scendo dalla tua macchina!»

«Ti chiederebbe di fare un’intervista anche a me!»

«Ti ho intervistato solo il primo giorno… Adesso ti farei un’intervista molto diversa.» Sorrido, perché mi sembra passata una vita da quando lui e Niko sono sbucati come due funghi giganti nella sala stampa del centro della Vulnus.

Lui si manda indietro il ciuffo di ricci dalla fronte. «Adesso ti darei delle risposte più sciolte, ero un po’ ingessato quel giorno. Anche se tu e quel deficiente di Niko mi avete messo a mio agio.»

«Tu eri nervoso? E io che dovrei dire?»

«Per me era strano avere una ragazza lì, al posto di Salvatore!» Ride, trascinandosi dietro anche me. «Ma sono contento che ci sia stata tu.»

Gli sorrido e gli lascio un altro bacio. «Adesso è meglio che vada, preferisco essere in anticipo che in ritardo.»

«Ti vengo a prendere oggi pomeriggio e andiamo a fare un aperitivo da qualche parte?» propone lui. «Sento Niko se lui e Sasha sono liberi…»

Abbasso lo sguardo. «Daniele… Non posso ancora permettermelo.»

Mi pesa doverglielo ripetere, perché per ieri ho dovuto fare un’eccezione. E mi pesa perché lui è così entusiasta al pensiero di vedermi più tardi e di poter spassare altro tempo con me. Anche io lo vorrei.

«Ah, cazzo… scusami.» Mi solleva il mento e avvicina di nuovo il mio viso al suo. «Allora ti vengo a prendere, andiamo a casa tua, rubiamo due tè ad Arianna e ci chiudiamo in camera?»

Ottima idea. «Finisco alle cinque, ti aspetto qui.»


Spazio autrice
Ipotesi su cosa è successo? Su Arianna? E Teo che si mette a parlare con Alice?
Pensate che Daniele abbia fatto male a non dire a Elena cosa vuole fare? (O meglio, cosa Teo gli ha suggerito...)
Fatemi sapere nei commenti, vi auguro una buona serata!
Snowtulip.

Ps. Spero di riuscire a scrivere in fretta il prossimo capitolo, purtroppo soffro molto il caldo e mi toglie energie, ma mi impegnerò!

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Capitolo 27
*** Capitolo 26 ***


Entro nello spogliatoio mentre Mike sta raccontando del figlio che ora cammina senza più aggrapparsi ai mobili di casa. Nessuno fa caso a me, così tiro fuori il cambio dallo zaino.

«Hai dormito da te o ti sei portato la roba?» mi incalza Niko. Ora vuole sapere come è andata tra me e la mia ragazza immaginaria. Mi sembrava strano che non volesse già prendermi in giro…

«Mi sono portato la roba» gli rispondo, ridendo.

«Quindi, ieri sera?» si impiccia anche Pippo. Perché deve impicciarsi anche lui?

«Alla grande, l’abbiamo rifatto anche stamattina.» Spero che basti, non so quanto Elena vorrebbe che sia specifico…

Niko fa una smorfia come a farmi i complimenti. «Mi sono sbagliato, allora. Sei riuscito a fartela dare e a non andare in bianco!»

«Ti garantisco che era voluto da entrambe le parti!» Se ripenso a come mi abbia provocato per tutta la cena, e come me l’abbia quasi preso in mano mentre eravamo in macchina… Non ero il solo ad avere una voglia tremenda.

«Quanto ce le ha grandi?» si inserisce Marco.

Andiamo bene

«Più o meno come Sasha» rispondo accennando a Niko. «Intendo a vederla da sopra i vestiti…»

Il diretto interessato scoppia a ridere. «Ma va, non devi mica scusarti, anche se sono vestite si vedono quanto sono grosse. Bravo!»

Mi viene da ridere, perché se Elena è bella e ha tutte le curve piene al posto giusto, io non ne sono il responsabile. Sono responsabile solo di quanto ha goduto lei stanotte e stamattina insieme a me.

Mi infilo la canotta sopra alla maglia a maniche lunghe, mentre Pippo si siede accanto a me. «Hai seguito i miei consigli?» mormora.

«Sì, ma non è stato così difficile.» Lo richiamo mentre lui fa per alzarsi, afferrandogli il polso. «Non si è tolta le lenti.»

Mi guarda stralunato, come se non mi credesse. So che non dovrei dirglielo, ma è l’unico che può capire quanto sia importante. Quanto Elena mi abbia fatto capire di essere presa da me, in confronto a lui. E da lui era presa parecchio…

«Sono contento per voi, davvero.» Mi assesta una pacca con un sorriso, poi insieme seguiamo gli altri e il coach all’allenamento.

Quando finiamo, mi sbrigo a farmi la doccia. Non tanto perché ho fretta di lavarmi, né perché debba correre da Elena, che si libera solo nel pomeriggio, quanto perché devo fare quello che devo fare.

Esco dallo spogliatoio mentre gli altri si stanno ancora asciugando e busso alla sala dove il coach e i suoi assistenti studiano i nostri avversari e le contromisure da prendere. Mi viene dato il permesso per entrare proprio dalla sua voce, e lo trovo impegnato nella visualizzazione di qualche filmato di Milano-Bologna, due squadre contro cui abbiamo avuto qualche problema. E contro cui, infatti, abbiamo perso.

Deglutisco, a disagio perché loro mi guardano in attesa che dica qualcosa. Qualunque cosa. «Coach, devo parlarle, è importante.»

Lui si volta, era impegnato a scrivere un appunto su un foglio. «D’accordo.» Non sembra arrabbiato e già questo mi fa tirare un sospiro di sollievo. Mi segue fuori dalla stanza, poi mi precede in un’altra simile ma vuota. «Che succede?»

«Ecco…» Dovevo prepararmi un discorso, ora non so come dirlo senza sembrare un idiota. O senza esserlo. «Si tratta di Elena.»

Inarca un sopracciglio, come se stessi parlando durante un time-out e non fossi autorizzato a fiatare. Mi fa una strana sensazione. «Non fa più parte della Vulnus, non posso fare niente per lei.»

«Invece sì…» Mi mordo la lingua. «Ecco, lei e Pippo… be’, si sono lasciati.»

«Me ne ero accorto. Vuoi un consiglio su come comportarti con lei?»

«Io? Cosa? No!» farfuglio. Ha capito che mi interessava Elena? «No, no, tra me e lei è tutto chiaro… Ed è per questo che sono qui.»

«Pala, non farmi perdere tempo. La prossima settimana abbiamo le Final Eight, non posso fare da baby-sitter a te e Longo.»

«No, è tutto chiaro anche con lui.» Non so neanche io cosa gli sto dicendo, e finora non ho neanche seguito un filo logico… Penserà che sia impazzito o qualcosa del genere. «Allora, cerco di farla breve: Elena e Pippo si sono lasciati un paio di settimane fa, perché la ex di Pippo ha fatto in modo che lei venisse licenziata da qui, è la nipote del presidente, e io non so cosa fare perché anche se adesso Elena lavora in un giornale, ieri mattina ha fatto un’intervista a Teo che uscirà in video nei prossimi giorni e non voglio che Clara, si chiama così la nipote del presidente, possa usare la sua influenza per farla licenziare anche da lì, perché l’ha incontrata ieri e le ha di nuovo detto che è una puttana, la odia proprio, e ho paura che non le sia bastato mandarla via dalla Vulnus, perché se Elena sta al Gazzettino è grazie a Salvatore che ha smosso mari e monti per farle trovare un altro lavoro e se lei viene mandata via anche da lì è costretta a tornare a Roma perché non ce la fa a pagare sia l’affitto che l’università il prossimo anno, e non volevo neanche dirlo a lei, coach, però Teo mi ha detto di parlarne con il presidente, ma ho paura che il presidente non mi crederebbe o, peggio, che non crederebbe a Elena…»

Colucci mi interrompe, posandomi una mano sulla spalla. «Pala, respira.»

Mi mando indietro i capelli dalla fronte. Sono già alla seconda doccia di giornata e ho sudato di nuovo, ma stavolta con brividi freddi. Ho detto troppe cose e tutte in modo sbagliato.

«Io… non voglio che Elena torni a lavorare qui, voglio solo che quella pazza di Clara la lasci in pace. Solo che non so se dirlo al presidente è una buona cosa, non so se è giusto raccontare tutto quello che è successo… Però, se è l’unico modo per farla stare tranquilla, devo provare.»

Mi guarda come se stessi farneticando.

«Tengo a lei, e ho dovuto aspettare che tra lei e Pippo fosse finita del tutto per poter avere solo una vaga possibilità… E, adesso che ce l’ho, non voglio che lei debba perdere il lavoro senza avere nessuna colpa, né che debba andare via da qui perché non può permettersi di rimanere. Lo so che per lei forse non ha senso tutto questo, ma il presidente non crederebbe a Elena quando c’è sua nipote che pronta a raccontargli chissà che cosa sul suo conto. Mentre io… lui dice spesso che io sono uno dei giocatori più importanti della squadra, quindi mi crederà, giusto? Oppure dovrei solo stare zitto e giocare a basket mentre una ragazza a cui voglio bene rischia di passare le pene dell’inferno solo perché è capitato che per un mese uscisse con Pippo?»

«Daniele, vieni a pranzo da me, così mi racconti bene. Sei un po’ sconvolto.»

«Ma io… Eh, che cosa?» Rielaboro l’invito e annuisco. «V-va bene, allora aspetto che lei finisca con Bologna e Milano.»

«Per un’oretta posso mettere in secondo piano entrambe.» Piega verso l’alto un angolo della bocca, abbozzando uno strano sorriso. «Preferisco che tu sia più tranquillo.»

«Be’…» Ora sono io quello confuso. «Grazie.»

Colucci fa per aprire la porta, poi ci ripensa. «Pala, quindi tu stai con Elena? La nostra Elena?»

Mi ritrovo ad annuire. «Eh… sì.» Con lei non ho ancora parlato di cosa siamo, ma che stiamo insieme penso che sia la versione più vicina alla realtà.

«E a Longo va bene? Non vi ritrovo a picchiarvi per causa sua, vero?»

Mi affretto a fare cenno di no con la testa. «No, no, non accadrà mai. Lui mi ha dovuto convincere ad andare da lei, lo sa e non è un problema.»

«Va bene, allora andiamo.»

Sospiro, alleggerito. Non mi ha preso per pazzo ed è disposto ad ascoltarmi. Dovrò essere più chiaro e lineare per fargli capire cosa è successo. Ora pranzo con lui, così abbiamo un po’ di tempo perché possa esprimermi senza sembrare un deficiente.

 

Mi trattengo dallo stropicciarmi gli occhi solo perché ho messo l’ombretto e mi sporcherei le dita. Ho passato la giornata a rileggere tutti gli articoli, spostando le virgole che i miei colleghi si ostinano a non sapere come infilare nelle frasi e a correggere qualche congiuntivo sbagliato.

E io che pensavo che i giornalisti sapessero scrivere!

Mi sento stanca, tanto che dalle quattro e diciassette non faccio altro che scoccare continue occhiate all’ora in basso a destra sullo schermo del computer fisso della mia postazione.

Si affaccia Federica, una ragazza sui trentacinque che, tra le varie mansioni qui, è anche traduttrice. Con lei ho scambiato pochissime parole da quando sono arrivata in redazione, visto che lavoriamo in posti diversi e ci incrociamo solo alla macchinetta del caffè. Allunga il collo finché non mi vede, poi viene a passo spedito da me e mi lascia un badge davanti alla tastiera.

«Ti servirà per andare al Palavulnus.» Mi rivolge un sorriso cordiale, anche se il suo tono è quello di chi è arrivato esaurito al finesettimana. «Ha detto il capo che l’intervista a Milinkovic va online lunedì mattina e che dovrai condividerla sui social.» Si china verso di me, con aria complice. «Appena torno di là, ti invio il file video via mail, in modo che ti resti. Intervistarlo è un evento raro, quasi di portata nazionale, e al tuo posto vorrei potermi guardare l’intervista ogni volta che voglio.»

Rimango a bocca aperta. «Grazie!»

«Figurati, e poi sei stata brava!» Mi fa l’occhiolino e si dilegua per tornare all’ufficio con la sua postazione.

Finisco di leggere l’ultimo articolo di giornata e chiudo tutto. Federica mi ha fatto sentire più leggera, ma mai quanto il pensiero che tra poco vedrò Daniele. Infilo i miei averi nello zaino, poi indosso il cappotto e la sciarpa e mi fiondo fuori dall’ufficio.

Mi aspetta dall’altro lato della strada, seduto in macchina per non attirare l’attenzione. Attraverso e lo raggiungo, prima di bussare alla portiera dal lato da cui devo salire. Si sporge per aprirla, con un sorriso che lo illumina.

«Quindi quando mi intervisti?» scherza, facendo ripartire l’auto.

Mi metto la cintura. «Non mi hanno vista con te, quindi non lo so! Però l’intervista a Teo esce lunedì, ma a me arriva prima per mail, la collega che si è occupata dei sottotitoli in inglese dovrebbe avermi già inviato il video. Se ti va di guardarlo in anteprima, ce la vediamo insieme.»

«Invece di mettere un film o di… di ben altro.»

Sorride ancora, concentrato sulla guida, e io mi ritrovo a guardarlo imbambolata. Non avevo mai notato quanto fosse affascinante, né quanto mi attraesse. Nelle ultime settimane avevo solo pensato che parlare con lui mi faceva sentire bene, e invece ora scopro che non solo mi piace, ma che mi piace da matti.

«A te com’è andata? Hai fatto quello che dovevi?» Rimango sul vago, perché non so di preciso cosa aveva in mente.

«Sì, in parte. Ne ho parlato con Colucci e… ora sa di noi due. Ha pensato che io e Pippo avremmo fatto a botte per te!»

Trattengo una risata. «Non ti ha fatto storie di qualche tipo?»

«No, no. Ora non lavori più da noi, quindi non gli importa se esci con qualcuno della squadra. Per lui conta che l’ambiente sia sereno, era quello che volevano lui e Salvatore quando ci hanno rotto le palle a ottobre. Ah, ho sentito Matilde.»

«E…?» gli chiedo, perché dopo averlo detto ha stretto le labbra, come se non volesse approfondire l’argomento. Non credo proprio che abbia litigato con lei.

Non mi risponde finché non parcheggia poco distante da casa mia. «Mia madre vuole di nuovo venire in città… “per passare a trovare me e Alice”, come Mati mi ha testualmente detto. Elena, mi dispiace, è un casino…»

Scuoto la testa, e gli poso l’indice sulla bocca. «No, non lo è. Capisco se non vuoi ancora dirle di noi, ma per Alice puoi semplicemente dirle che non state insieme, senza spiegare altro.»

Abbassa lo sguardo, con aria colpevole. Perché si colpevolizza sempre? «Non le avevo mai presentato una ragazza, avrà pensato che era importante.»

«E allora le dici che lei ha scoperto di essere lesbica mentre stava con te, che problema c’è? Non hai mai visto Friends

Si volta verso di me. «Perché hai sempre una soluzione a tutto?»

«Non è vero, ho una soluzione solo con i problemi degli altri.» Mi sporgo verso di lui per baciarlo e subito le mie labbra incontrano le sue, morbide e calde, e la sua lingua cerca con passione la mia.

Mi attira a sé portandomi una mano dietro la nuca, accarezzandomi il collo sotto la sciarpa. E mi fa impazzire, mi fa davvero impazzire. Non ne ho abbastanza, vorrei sentire il suo corpo stretto contro il mio, anche se fosse solo un abbraccio mi starebbe bene.

E invece allungo una mano sulla sua gamba, accarezzandola, per fargli capire che in camera faremo tutt’altro che guardare un film o la mia intervista a Teo. Non pensavo che avrei provato tutto questo desiderio, non per lui, non visto come era finita la mia ultima storia.

«Elena…» sussurra lui, mentre le mie dita risalgono verso la cintura, ma gli impedisco di parlare con un altro bacio. «Dai, non qui…»

Gli accarezzo la guancia coperta da un filo di barba. «Va bene, saliamo allora.»

Appena siamo sul marciapiede, sorride prendendomi per mano. Accanto a lui mi scaldo, dimentico che siamo a gennaio. Vorrei di nuovo sentire le sue dita che percorrono ogni centimetro della mia pelle, solo il pensiero di come è stato ieri sera e stamattina mi fa di nuovo perdere la testa.

In ascensore gli porto le braccia al collo, stringendolo a me, e lui mi afferra il culo, palpeggiandolo con dolcezza e spingendo il mio bacino contro il suo. Dio, se lo voglio.

Sfioro le sue labbra con le mie e Daniele si china verso di me per baciarmi. E mi bacia con quella sua irruenza mista a dolcezza che adoro, che mi sta facendo impazzire, e io lo ricambio con trasporto. Sto sognando, con lui mi sembra di essere in una dimensione parallela in cui esistono solo i nostri baci e le nostre carezze; e nient’altro.

Dalla tasca dei suoi jeans proviene una vibrazione, che interrompe il nostro bacio. Si affretta a guardare chi è e a rispondere. «Mamma? Tutto bene?»

Esco dall’ascensore e lo precedo dentro casa, lasciandogli la porta aperta. Se la richiude alle spalle mentre è ancora al telefono, mentre saluto Arianna, intenta a rileggere per l’ennesima volta la Cronica con la testa incastrata tra le mani e gli indici che premono sulle tempie. Sembra che si stia imponendo da sola una tortura e si sforzi nel mantenere la concentrazione.

«Sei qui?» esclama Daniele. Chiaramente non sta parlando con la mia amica, tant’è che fissa il vuoto stralunato. «Ehm… per cena non lo so se ci sono, avevo altri impegni…» Mi guarda, grattandosi la nuca. «Vedo se riesco a liberarmi e ti faccio sapere, va bene? Ciao… Sì, mamma, ciao.» Si sbatte una mano sulla fronte, tirando giù un bestemmione. Poi mi guarda di nuovo, con aria colpevole. «Cazzo, Elena… non mi aspettavo che mi facesse una sorpresa…»

Passa a torturarsi la guancia e a fare su e giù per la stanza, distraendo Arianna. Tanto ho l’impressione che si sarebbe distratta anche se le fosse svolazzato davanti un moscerino.

«Che cazzo faccio…» Ogni tanto si ferma e mi scruta assorto, come se io avessi la risposta a tutto. Lui pensa che ce l’abbia davvero, ma adesso che sua madre è in città – almeno a quanto ho capito – mi sento incapace di trovare una soluzione. Lui sarebbe a disagio a presentarmi a lei mentre lei pensa che lui stia con Alice. E spiegarle la verità, cioè che quella sera Alice era venuta per impedirgli di incazzarsi con il suo nuovo compagno, non mi sembra l’opzione migliore.

«Ma se la fai venire qui a cena da noi?» propone Arianna. Poi piega la testa di lato e mi lancia un’occhiata di quelle che non mi fanno presagire niente di buono. «Magari invita anche Pippo, almeno conosce qualcuno.»

Ecco, appunto.

Daniele fa cenno di no. «Conosce già Alice, e per me è abbastanza. Elena, mi sa che devo stare con lei, è venuta fin qui…E stavolta senza quello stronzo…»

Ha ancora quell’aria colpevole che lo rende persino più adorabile. Gli dispiace, lo capisco benissimo.

Mi avvicino a lui e lo abbraccio. «Daniele, non fa niente, recuperiamo un’altra volta.» In realtà vorrei passare la serata con lui, ma io sono sempre in città e se sua madre è appena arrivata è giusto che stia con lei.

«Invece secondo me è l’occasione migliore per mettere in chiaro le cose» ribadisce Arianna. Si alza dalla sedia e si affaccia in cucina, poi torna indietro. «Controllo se abbiamo qualcosa di decente per un’ospite, intanto tu dille di venire.»

Scambio uno sguardo di intesa con Daniele, nessuno di noi due ne è così entusiasta. Sono ancora con le braccia sulle sue spalle e lui mi sta ancora cingendo i fianchi, così ne approfitto per baciarlo. Questa serata improvvisata manda a monte i nostri piani, ma non ho voglia di fare del sesso veloce come stamattina solo per recuperare un orgasmo che rischia di saltare, voglio godermi ogni singolo secondo insieme a lui. Letteralmente.

«E dillo anche a Pippo, non potete scappare per sempre!» ripete Arianna, gridando dalla cucina. «C’è ancora un po’ di pesto, usiamo quello per una pasta!»

«Ci sta costringendo?» sussurra Daniele.

«Sì, purtroppo.» Lui non lo sa, ma Arianna quando deve obbligare gli altri a fare qualcosa è più testarda di me. E non ci sta lasciando alternative. Un momento: e lei dove ha dormito stanotte?
 

Spazio autrice
Stava andando tutto discretamente bene, no? Secondo voi la madre di Daniele accetterà Elena senza problemi o farà qualche storia perché preferiva Alice? E ancora: con chi ha trascorso la notte Arianna? So che gli indizi portano quasi tutti verso un nome, ma non è quello, credetemi!
E il coach? Vi aspettavate questo atteggiamento nei confronti di Daniele?  Fatemi sapere!
Baci a tutti,
Snowtulip.

 

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Capitolo 28
*** Capitolo 27 ***


«Arianna, li mortacci tua!» Alice inciampa nel portaombrelli, come al solito, ma stavolta non le importa quanto prendersela con la nostra amica. È appena tornata dal lavoro e nel tragitto verso casa ha letto i nostri messaggi in cui l’avvisavamo della cena con Filippo, Daniele e sua madre. Neanche lei pensa che sia una buona idea, così come non lo penso io.

Cristina arriverà a breve insieme al figlio e al suo migliore amico. E dovrebbe accadere a momenti.

Alice continua a vomitare improperi verso Arianna, mentre sistemo meglio i piatti sulla tavola in modo che siano simmetrici. Le ragazze mi prendono sempre in giro quando apparecchio, ma vedere i piatti disposti in ordine, le posate dritte e parallele… mi dà una sensazione di tranquillità. Soprattutto ora che ho tutti i motivi per essere nervosa.

Il suono del citofono mi fa sobbalzare, tanto che mi porto una mano al petto per riprendere fiato prima di andare a rispondere.

«Siamo noi

Non devo neanche chiedere “noi chi?”, perché la voce di Daniele per me è inconfondibile. E poi perché Filippo mi risponderebbe “stocazzo” senza neanche starci a riflettere.

Dopo pochissimo sono su e vado ad aprire proprio io, perché le ragazze sono in cucina ancora intente a discutere, nonostante abbiano abbassato la voce appena hanno citofonato.

«Ehi, Ele, ciao.» Filippo è il primo ad apparire, e mi lascia solo un bacio sulla guancia prima di andare da quelle due. Spero che non cerchi di appianare la discussione, perché quando cerca di mettere una toppa rischia sempre di creare altri casini.

Daniele, con il viso rosso per l’imbarazzo, mi presenta sua madre che però fa una smorfia infastidita nel vedermi. Si avvicina da sola alla cucina e saluta Alice con fin troppo entusiasmo.

«Che è successo?» mormoro a Daniele.

«Le ho detto che sto con te e non con Alice e che lei è lesbica. Non l’ha presa molto bene…»

«Ma perché gliel’hai detto?» Abbasso lo sguardo e mi mordo il labbro. Ci mancava solo questa.

«Perché Filippo è arrivata dopo di lei e mi ha chiesto come stavi… E ho dovuto dirle la verità. Non doveva reagire così, anche perché io sopporto quello stronzo ogni volta che devo vederlo. Lei sta con un imbecille che io riesco a mandare giù a fatica, mentre lei…» Sbuffa, mandandosi via il ciuffo di ricci dalla fronte. «Lei doveva reagire così solo perché preferiva Alice!»

«Ragazzi.» Filippo posa una mano sulla spalla di entrambi. Mi scruta con quegli occhi scuri che fino a qualche tempo fa mi facevano impazzire, mentre ora non mi portano a nessun sentimento. «Non volevo, scusatemi…»

«È stata una pessima idea, tutta la cena è una pessima idea.» Scuoto la testa e li lascio da soli e mi chiudo nel bagno.

Preferisce Alice. Certo, chiunque preferirebbe Alice e la sua spigliatezza che io non ho.

E io che ho convinto Daniele a cercare di stare tranquillo con lei e il suo futuro marito! Mi ha degnato a malapena di uno sguardo… Storcendo il naso, tra l’altro. Ma perché? Solo perché preferiva Alice?

Mi guardo allo specchio, non ho nemmeno gli occhi gonfi… Eppure, sento che scoppierò a piangere da un momento all’altro. Perché quando la mia vita sembra andare bene poi nascono dei casini che rimescolano tutto?

«Elena?» Daniele sbuca da dietro alla porta, che non avevo chiuso a chiave. Si sposta indietro il ciuffo di ricci dalla fronte e mi abbraccia senza che io riesca a reagire.

«Mi sento impotente» sussurro, inspirando a pieni polmoni il suo profumo. «Non ho potere su niente di quello che mi sta succedendo. Neanche sulle cose belle, come stare con te.»

Mi bacia i capelli, accarezzandomi la schiena con dolcezza. «Non è vero, sei stata tu a farmi capire che tra noi poteva esserci qualcosa. Hai potere sulle cose belle o, almeno, su di me ne hai uno molto grande. E io faccio parte della tua vita, no?»

Alzo lo sguardo, incontrando i suoi occhi chiari. Mi fa sentire al sicuro con poco. È lui ad avere un grande ascendente su di me, non il contrario…

Chiudo gli occhi e lo stringo ancora di più a me. Ascolto il suo respiro, il suo profumo, e mi fa stare meglio. Daniele mi fa sempre stare meglio.

«Ti giuro che le faremo cambiare idea.» Porta una mano alla mia guancia, alzandomi il viso verso il suo, così riapro gli occhi. Mi trattengo dal baciarlo solo perché ha lasciato la porta del bagno accostata e si è spalancata da sola… E, dalla soglia della cucina, sua madre ci guarda con disapprovazione.

«Non ce la faccio» mormoro.

«Ci siamo noi, non sei da sola.» Mi accarezza la schiena con calore, come a volermi rassicurare.

Annuisco, e sciolgo l’abbraccio. Lo precedo di nuovo in sala, dove Filippo e Arianna chiacchierano sommessamente e ammutoliscono appena mi vedono. Mi viene in mente un pensiero orribile su quello che è successo stanotte, su con chi è stata Arianna e sul motivo per cui non ha detto niente a me e Alice. O meglio: sul motivo per cui lei e Alice non mi hanno detto niente.

«Quindi, l’intervista con Teo quando esce?» mi chiede Filippo, fingendo nonchalance.

Rimango in silenzio per un istante. Non pensavo che gli sarebbe importato. «Ce l’ho in anteprima, ma devo aprirla dalla mail. Vuoi vederla?»

«La vedrò di sicuro, se ce l’hai ce la possiamo goder… guardare ora!» A una mia occhiataccia ha cambiato verbo. Non si era accorto di come suonava ambiguo? E davanti alla madre di Daniele!

«Non so se a Cristina interessa…» butto lì, perché non so davvero cosa dire.

Dalla cucina arriva il suono della pasta scolata e dell’imprecazione di Alice che si è scottata con il vapore. La madre di Daniele va subito a darle una mano, mentre il figlio mi guarda scuotendo la testa.

«Non gliene frega un cazzo» commenta, abbassando lo sguardo sulla tovaglia e passandoci un dito sopra.

«Volevo mettere in luce che Elena è brava nel suo lavoro…» sussurra Filippo di rimando.

Mi siedo al posto più vicino. «Fatela finita, non ho bisogno di essere elogiata o altro.»

Daniele si sistema al mio fianco. «No, infatti.» Mi bacia una guancia, ma non riesce a dirmi altro, perché Alice porta in tavola, seguita dalla madre del mio ragazzo.

«Insomma, novità?» chiede Arianna in generale, provando a far partire la conversazione.

«Da ieri sera non tantissime.» Filippo passa il primo piatto a Cristina, poi si mette a distribuire gli altri che Alice riempie.

Ho sentito bene? «Da ieri sera?» ripeto, incredula. È davvero successo quello che penso?

«Sì, ieri abbiamo incontrato alcuni dei ragazzi» butta lì Alice. «E c’era anche Pippo.»

«Voi non eravate con i vostri amici?» Cristina guarda me e Daniele che, coperto dal tavolo, mi stringe la mano.

«No, noi… eravamo a cena fuori» risponde lui, arrossendo. «Era un posto carino, ma non credo che ti piacerebbe.»

«Potevate invitare anche loro» insiste lei.

«No, ho invitato solo Elena, volevo stare solo con lei e con nessun altro sul pianeta!» ribatte Daniele, ora stizzito.

«Stai calmo, però» provo a dirgli.

«Ma calmo un cazzo, Ele.» Il tono è lo stesso pacato di sempre, eppure leggo nei suoi occhi un velo di malinconia. «Calmo un cazzo.»

Scambio un’occhiata con le ragazze, sorprese quanto me. Addento un paio di penne e mastico in silenzio. Magari se non parlo si dimenticano che sono qui… In questo momento vorrei sparire, e sono sicura che lo vuole anche Daniele.

«Quindi l’esame ora è a febbraio?» Filippo parla a bocca piena, pur di spostare altrove il discorso. E di alleggerire il peso del suo migliore amico.

«Quello dello stronzo sì» risponde Alice. «Io e Ari abbiamo ancora Letteratura inglese, non ce la siamo sentita dopo quella batosta.»

«Vogliamo lasciarci come ultimo esame uno tranquillo. Solo Elena si è sentita di darlo dopo che il bastardo ci ha bocciate.»

Arianna doveva proprio nominarmi?

«Dev’essere stato un esame molto duro…» commenta Cristina, guardando Alice con tenerezza.

Di contro, Alice guarda me e le mie guance vanno a fuoco. «L’esame no, con un professore normale l’avremmo passato tutte.»

Quell’esame… quel maledetto esame dopo cui tutto sembrava andare storto. E ora che la situazione era migliorata mi sento di nuovo a pezzi. Fantastico.

 

Aiuto Elena e Arianna a sparecchiare e a preparare la lavastoviglie e il caffè, mentre mia madre rimane a chiacchierare con Pippo e Alice. La cena è stata tesa, ho cercato di parlare il meno possibile per non incazzarmi, mentre la mia ragazza è rimasta in silenzio per tutto il tempo.

Arianna porta i caffè a tavola mentre Elena si offre di mettere lo zucchero. Le indico che per me è un cucchiaino, poi lei guarda incerta mia madre.

«Cristina, quanto zucchero?»

Lei storce il naso. «Sono in grado di metterlo da sola.»

Cosa?

«Mamma, smettila di trattarla così.» Non bastavano Clara, il presidente e tutto quello che dovrò affrontare per tenerla al sicuro, ora ci si mette anche lei? Che cazzo ha fatto Elena di male?

«Così come?»

«Lascia stare, davvero…» mormora Elena. Ma ha lo sguardo basso e il tono di chi sta cercando di non scoppiare a piangere. Anche questo no, non deve piangere per questo.

«No, non lascio stare.» Accarezzo la schiena della mia ragazza, mentre si zucchera il caffè e lo beve in un sorso solo, poi guardo mia madre. «Perché la stai trattando di merda? Ecco come: di merda, mamma!»

«Daniele, ma tu pensi che io non abbia capito come stanno le cose?» Sorride lei, ricevendo la tazzina da Arianna, che ascolta confusa.

«Come stanno, scusa?» le chiede Pippo, l’unico a parte me che le dà del tu.

«Mi ha presentato Alice dopo poco che stavano insieme, quindi posso davvero credere che lei abbia scoperto di non essere etero da poco tempo… Ma allora perché non dirmi di questa nuova ragazza, perché tanto mistero? L’unica risposta che mi sono data è che lei volesse nasconderlo perché, se non ho confuso la persona, fino a qualche settimana fa stava con te, giusto? In televisione ho visto che vi baciavate dopo una partita.»

Oh, Cristo… la sera prima dell’esame, prima dell’incontro tra Elena e Clara… Avevo rimosso che Pippo l’aveva baciata mentre eravamo ancora sul parquet alla fine della partita. Allora le telecamere li hanno ripresi!

«Sì, ma non vuol dire nient…» inizia a dire Pippo, interrotto da un cenno di mia madre.

«Poi la nostra signorina ha smesso di lavorare alla Vulnus, visto che non l’hanno mai più inquadrata neanche per errore prima dopo e durante le partite. E oggi vengo a scoprire che sta con Daniele, quindi come faccio a non pensare che puntasse a questo sin dall’inizio? Non a Daniele nello specifico, ma a uno di voi e che una volta che l’ha ottenuto si è licenziata.»

«Ma che cazzo stai dicendo?» esclamo.

Elena, accanto a me, è paonazza per la vergogna. «Vedi, te l’avevo detto che sembrava così…»

«Quindi è vero» conclude mia madre, bevendo finalmente il caffè.

«Non è vero un cazzo.» Mi giro a guardare Elena, vorrei rassicurarla del fatto che io non sono d’accordo neanche minimamente, ma lei è all’attaccapanni e sta prendendo il suo cappotto. «Che stai facendo?»

«Vado a prendere aria, mi sento male.» Se lo infila, afferra il cellulare posato sulla tavola ed esce.

Arianna e Pippo si fiondano insieme verso la porta di casa ed entrambi mi fanno segno di rimanere dove sono.

«Resta qui» mi suggerisce anche Alice, mentre quei due vanno a raggiungere la mia ragazza che se ne sta andando non so dove.

Non so perché non riesco a muovermi. Se le venisse un altro attacco di panico e fosse da sola? Mi porto le mani alle tempie, come se potessi raggiungerla con il pensiero per dirle di tornare qui. Da me. Non voglio che affronti tutto questo da sola, ci sono anche io con lei.

«Stai tranquillo, non può essere andata lontano.» La sua voce è dolce, come se volesse rassicurarmi che non ho perduto un giocattolo. Come se io fossi ancora un bambino ed Elena solo un divertimento.

Sbatto il pugno sul tavolo, istintivamente. «Ti comporti in modo infantile.»

«Infantile? Io? Ti sto mettendo in guardia da un’arrampicatrice sociale!»

«Non è così, non hai capito un cazzo!»

Inclina la testa di lato, scrutandomi torva. «Hai finito di dire parolacce? Da quando siamo arrivati qui non fai altro che esprimerti come uno scaricatore di porto.»

Ancora quell’atteggiamento, ancora che mi tratta come un bambino. «Dico tutte le parolacce che mi pare. Sei tu che hai fatto stare di merda la ragazza che amo. Io, a Stefano, non lo tratto così. E, credimi, lo odio e lo odio con tutto me stesso.»

«Qui non si tratta di me e Stefano, noi siamo grandi e adulti…»

«Invece io no? Io non sono adulto? Ho bisogno della tua supervisione? E perché? Perché me ne sono andato da casa troppo presto e non conosco niente del mondo? Perché non sono in grado di capire cosa provano gli altri?»

«Dani, le persone non mostrano mai quello che provano.»

«Elena sì. Sai cosa mi ha detto mesi fa, quando è arrivata alla Vulnus? Che pensava che qualcuno avrebbe pensato che si fosse proposta per provarci con qualcuno di noi, mentre lei sin dal primo giorno è stata professionale, tanto che se non fosse stato per Pippo non saremmo mai diventati amici! E lo sai io cosa le ho risposto?» Deglutisco, riprendendo fiato. Non pensavo che avrei dato in escandescenze, non con lei, non per questo motivo… «Io le ho detto che nessuno pensava che fosse alla Vulnus per provarci con qualcuno di noi. E ora scopro che qualcuno lo pensa davvero e che quel qualcuno sei tu.»

Guardo Alice, che vorrebbe sparire attraverso il muro. Avrebbe preferito andare da Elena, ma sa anche lei che tra i tre era meglio che non rimanessero né Arianna né Pippo a darmi supporto.

«Lei voleva lavorare alla Vulnus perché tifa per la Vulnus» prova a dire. «Sono anni che a ogni partita non c’è per nessuno, che se ne sta sul divano a esultare e a gioire per la squadra e a sentirsi male per ogni sconfitta. Quello che è accaduto dopo non è dipeso da lei.»

«Alice, tu sei gentilissima, ma non serve che menti per lei, anche se è tua amica.»

«No, signora, io non sto mentendo. Elena è mia amica, ma è l’unica cosa giusta che ha capito finora.» Sta tirando fuori la stessa sfacciataggine usata con il coach. Se insieme riusciamo a ottenere lo stesso risultato, possiamo… Con il coach! Cazzo, era lì quella sera, quando quel pezzo di fango di Stefano non ha fatto altro che dare continui baci a mia madre facendomi ribollire il sangue nelle vene!

«Sai qual è la cosa peggiore?» le chiedo. Alzo la voce, ma non mi interessa. «Che Elena mi aveva convinto a venire a quella cena e a essere gentile con Stefano, perché se tu eri felice insieme a lui, anche io dovevo esserlo per te. E io ho avuto la tentazione fino all’ultimo minuto di non venire per non prenderlo a pugni sul naso, mentre lui si comportava come se tu fossi di sua proprietà! Mi dà fastidio, è un viscido e non so davvero cosa ci trovi in lui! E tu ora l’hai trattata di merda, l’hai fatta piangere… E spera di non averle fatto venire un attacco di panico, altrimenti non mi vedi al tuo matrimonio!»

«Daniele, ma…»

«Daniele un cazzo!» esplodo. «Daniele un cazzo! Non hai neanche la più vaga idea della fatica che ho fatto solo perché ti voglio bene! Lo sai che significa dover reggere tutte le pressioni che ho io? E dover far sì che mi vada bene, che sia facile, che non sia pesante perché altrimenti tu e papà ci stareste male? Sto cercando di fare del mio meglio, vengo alla cazzo di cena con quello stronzo di Stefano, mi sto facendo un culo che non ti dico per studiare Giurisprudenza come vuole papà – perché a me non piace e non mi interessa – e quando ti presento la ragazza che amo – perché sì, io amo Elena – tu la fai andare via in lacrime! Daniele un cazzo!»

«Daniele, ma mi ha telefonato una ragazza che lavora alla Vulnus e mi ha raccontato come sono andate le cose… Non può essersi inventata tutto, no?»

Cosa?

«Chi ti ha chiamato?» scandisco lentamente. Ho una brutta sensazione. Bruttissima.

«Una ragazza, mi ha detto di essere un’ex collega di Elena… Mi ha detto il suo nome, credo fosse Chiara…»

Alice alza gli occhi al soffitto. «Clara.» 

«Sì, Clara! Conoscete anche lei?»

Annuisco. «Purtroppo sì.»



Spazio autrice
Ve l'aspettavate che fosse proprio opera sua? Non potevamo essercene disfatti tanto facilmente, no?
Secondo voi come sta Elena? Si sarà persa o l'avranno trovata presto? E che ne pensate del fatto che ci sia anche Filippo e che lei sia in qualche modo "costretta" a stare insieme a lui?
Baci a tutti e buon finesettimana!
Snowtulip.

 

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Capitolo 29
*** Capitolo 28 ***


Mi pizzicano gli occhi nel freddo della sera. Non ho preso la sciarpa, volevo solo andarmene via prima di crollare. Già mentre la madre di Daniele parlava mi sentivo morire dentro… Non penso di essermi mai vergognata tanto, nemmeno mentre Clara mi dava della zoccola e io ancora non sapevo chi fosse.

Rabbrividisco, ho lasciato anche i guanti e il cappello a casa. Sono davvero stupida… avrei dovuto prendere almeno la sciarpa. E invece no, come una deficiente.

Mi appoggio al muro accanto al portone, stringendo il cappotto sul davanti. Inspiro ed espiro, buttando fuori una nuvola di vapore caldo dalla bocca. È davvero freddo, che mi è saltato in mente? Dovevo chiudermi in camera e stendermi sotto il piumone e rimanere al caldo, non venire qui!

Due lacrime che mi scendono lungo le guance e mi finiscono sotto il mento. Mi asciugo con la manica, ma continuo a piangere e quindi è tutto inutile. Mi sento veramente a pezzi.

«Ele!»

«Tesoro, stai bene?»

Non mi ero accorta che il portone si fosse aperto, né che Arianna e Filippo mi avevano raggiunta sul marciapiede.

Scuoto la testa, ma non rispondo. Mi sento il cuore in gola e le parole della madre di Daniele mi riecheggiano nella testa. Stavo puntando ai giocatori della Vulnus, certo, perché altrimenti non è spiegabile che una ragazza possa essere tanto tifosa

«Potevo dirle che è stata colpa mia che volevo portarti a letto, ma non avrebbe aiutato.» Filippo prova a scherzare, senza riuscirci.

«N-non è giusto» dico, singhiozzando. «I-io non…»

Lui mi posa una mano sulla spalla. «Ele, guarda che nessuno ha mai pensato niente di male su di te.»

«Ieri Teo ha passato tutto il tempo a dire quanto sei stata brava con l’intervista. Secondo te a qualcuno viene in mente di dire che tra te e Teo c’è stato qualcosa?» insiste Arianna. «Manchi a tutti, ce l’hanno detto una marea di volte, e manchi perché sei una bella persona o perché sei sulla stessa lunghezza d’onda della squadra! Non perché pensano che tu voglia scoparteli tutti! Non lo pensa nessuno!»

«Solo le malelingue, ma chille lasciale parlà

Provo a regolarizzare il respiro, anche se non ci riesco granché. «È-è la madre di Daniele. E-e io…»

«Cambierà idea, gliela faremo cambiare, le diremo tutto quello che è successo da ottobre, se serve!» Arianna mi asciuga le guance con la sua sciarpa, poi mi stacca dal muro e mi abbraccia. Mi stritola, non so da dove tiri fuori tutta questa energia. «Tesoro, vedrai che andrà tutto bene, ci siamo qui noi. E noi vogliamo il tuo bene.»

«Soprattutto Daniele ti vuole bene, quindi vedrai che le parlerà e che la convincerà che tu non sei una che vuole solo trovarsi un ragazzo ricco o che gioca in Serie A o chissà che. Non me l’avresti fatta sudare tanto, altrimenti!» Continua a voler scherzare, ma non lo trovo divertente. D’altra parte, non lo trovo nemmeno offensivo. Non ha neanche tutti i torti…

Rabbrividisco e tiro su con il naso. «Avete un fazzoletto?»

«Tesoro, ce li ho a casa, te la senti di risalire?»

Filippo si fruga nelle tasche per cercare un pacchetto, ma trova solo il cellulare. Lo sblocca e legge. «Io la ammazzo.»

«Che succede?» gli chiede la mia coinquilina.

Scuote la testa. «Niente. Possiamo tornare su, però. Ele, Daniele vuole sapere se stai bene…»

Mi gira la testa e le gambe mi stanno per cedere, così mi aggrappo al muro per non cadere. Il cuore mi salta in gola, i muscoli del collo mi sembrano bloccati… e temo che non sia per il freddo che sto prendendo. Mi siedo sullo scalino davanti al portone, e mi porto le mani alle tempie. Mi sta succedendo troppo spesso, devo fare qualcosa. Inspiro ed espiro lentamente. Che mi aveva fatto fare Matilde? Non riesco a ricordarlo…

Le voci dei ragazzi mi arrivano lontane, come se fossi in una bolla.

«Ele?»

«Tesoro, stai meglio?»

Sento qualcosa attorno al mio collo, ci metto qualche secondo per realizzare che si tratta della sciarpa di Arianna. Deve aver pensato che sia stato per il freddo… Rabbrividisco, e solo così mi scuoto e mi accorgo dei loro sguardi preoccupati.

«Andiamo, ti preparo una tisana.» Lei mi posa una mano sulla guancia. «Stai congelando qui.»

«Non si tratta di questo.» Tengo lo sguardo basso, non riesco a dire cosa mi è successo di nuovo.

«E di cosa?»

«Ari, forse è meglio lasciar stare. Ele, devi scaldarti, però: fa freddo e sei scesa senza esserti coperta bene.»

Scuoto la testa. Come faccio a salire su casa, mentre non riesco neanche a tenermi in piedi e gira tutto intorno a me? Ho il cuore in gola e una spiacevole sensazione addosso. E una grandissima voglia di piangere.

«Ragazzi, io… non mi sento di farcela» mormoro, a fatica, tanto che Filippo deve chinarsi per sentire.

«Reggiti a me, ti portiamo su e ti sdrai sul letto.»

Non voglio essere portata a casa come un sacco di patate. Però vorrei andare al caldo… «Possiamo aspettare che stia meglio?»

Arianna si siede accanto a me sullo scalino e mi circonda le spalle con un braccio. «Certo, tesoro. Vuoi che rimaniamo in silenzio, che parliamo o che altro?»

Scuoto la testa. Non lo so.

«Va bene, rimaniamo qui.» Ari mi sorride incoraggiante, e Filippo annuisce.

 

Non riesco a guardarla in faccia. Ha trattato Elena come uno straccio per tutta la sera perché ha dato credito alle parole di una persona che neanche conosce? E non le è venuto in mente di chiedere a me?

Alice ha l’aria imbarazzata, non sa neanche lei che dire o come comportarsi. Io vorrei solo scendere da Elena, abbracciarla e farla sentire al sicuro. Do un’occhiata al telefono, Pippo ha visualizzato senza rispondere… Non è un bel segnale.

Dammi cenni di vita” gli scrivo di nuovo.

Stiamo salendo.”

Quando poco dopo si apre la porta di casa, appare Arianna per prima, davanti a Elena e Pippo. La mia ragazza si scusa con tutti e va in camera, cercando di non guardare mia madre. La capisco, neanche io ci riesco.

La seguo, lasciando gli altri a spiegarsi, e richiudo la porta della stanza dietro di me. Elena ha buttato il cappotto sulla sedia della scrivania e si sta sfilando la sciarpa. Solleva lo sguardo verso di me, ha gli occhi gonfi. La stringo in un abbraccio senza neanche starci a pensare.

«Elena, ti prometto che andrà tutto bene.»

Si appoggia a me, inspirando. O forse voglio solo credere che stia respirando il mio odore. Le accarezzo la schiena, sento il suo battito forsennato e capisco, senza bisogno che lo dica, che ha avuto quell’attacco di panico che temevo.

«Dico ad Arianna di prepararti una camomilla?»

«Lo sta già facendo.» Si separa da me e mi guarda, dietro agli occhiali. «Sto meglio, ho solo bisogno di stare un po’ per conto mio.»

«Vuoi che me ne vada?» Glielo chiedo più per cortesia che perché lo farei, perché l’ultima cosa che voglio è lasciarla da sola. Però non so se lei mi vuole qui in questo momento.

«No, vorrei che restassi.» Si siede al letto e si spinge via le scarpe dai piedi. «Potresti girarti mentre mi cambio?»

Eh?

«Ti ho già vista nuda… circa ventiquattro ore fa!»

«Non è lo stesso.» Elena si morde il labbro e mi torna in mente quanto possa essere sensuale anche con questi gesti innocenti, senza nemmeno rendersene conto. Mi siedo accanto a lei e le lascio un bacio sulla guancia.

Ho parlato come avrebbe fatto Pippo, e l’ho messa a disagio. Non volevo sembrare un cavernicolo. Le scaldo le mani sfregandole tra le mie, sono gelide. Non avrà pensato a coprirsi, è scesa mettendosi a malapena il cappotto… Oltre a calmarsi, deve anche scaldarsi.

«Ele, aspettiamo Arianna e la camomilla. Poi ti cambi.»

«Sì, va bene.» Sorride, rasserenata, poi si poggia a me e si lascia di nuovo stringere, aggrappandosi alle mie spalle, come se non volesse crollare da un momento all’altro.

Ne approfitto per baciarla, per sentire il suo sapore, per cercare di trasmetterle quanta più serenità posso, per dirle che ci sono io, che le sue paure e le sue ansie possono essere risolte. Che tutto si sistemerà, persino Clara.

Mi trattengo dall’andare oltre – lei è spaventata e ha di sicuro avuto un altro attacco di panico – anche se è difficile. Ma Elena non ha bisogno di un troglodita che pensa solo a quanto sia stato meraviglioso quello che abbiamo fatto ieri sera e a quanto vorrebbe replicare il prima possibile.

E io non sono un troglodita. Non sempre, almeno.

Allontana le sue labbra dalle mie, e sorride prima di abbracciarmi. Le accarezzo la schiena, così tengo una mano impegnata, mentre con l’altra le scosto i capelli dal viso. La mia bocca dev’essere diventata un aspirapolvere che attira la sua – tipo il macchinario che usano in Monsters&co per torturare il mostriciattolo verde – perché mi ritrovo di nuovo a sentire il suo sapore, ad assaggiare la sua lingua con la mia.

Non so se si rende conto dell’effetto che mi fa baciarla, perché mi affluisce il sangue in mezzo alle gambe, proprio dove ora è meglio che stia tutto calmo. L’ultima cosa che voglio, però, è che lei si allontani da me, così le porto la mano dietro la nuca e le passo le dita tra i capelli setosi. Anche il solo sentirli che mi scivolano tra i polpastrelli mi manda fuori di testa, ma Elena non sembra accorgersene.

Mi strofina la barba sulla guancia con il pollice, mentre spingo la mia lingua contro la sua, a cercare un contatto ancora più stretto, come se questo non fosse abbastanza. Il mio corpo mi dice che non lo è neanche per sbaglio, la mia testa mi dice che è meglio fermarsi prima che finisca sopra di lei e che Arianna ci trovi mezzi nudi. Magari mentre mia madre è ancora a parlare con lei, Alice e Pippo.

«Daniele…» sussurra.

Le prendo il viso tra le mani, preoccupato, perché la sua voce ridotta a un sussurro mi preoccupa. Quasi quanto il pensiero che sia stata a pezzi per colpa di mia madre.

Elena, però, sta sorridendo. «Grazie. Intendo… insomma, per tutto quello che hai fatto per me da quando ci conosciamo.»

«Lo faccio perché ti voglio bene, non per avere qualcosa indietro.» Sto attento a non dirle che la amo, dopo così poco tempo potrei spaventarla. Quello che provo io dura da molto più tempo, per me è facile dire la parola “amore”, ma per lei – visto anche quello che ha passato ancora prima di Pippo – potrebbe non essere tanto semplice.

«Lo so. È per questo che ti sto ringraziando.»

«Intendi solo a parole, vero?» Mi è suonato un piccolo campanello d’allarme. E se stare con me fosse il suo modo di ringraziarmi? Se non mi amasse come la amo io?

«Sì, solo a parole.» Mi porta un dito sulle labbra, continuando a sorridere. È serena, come se non fosse successo niente per tutto il giorno e fossimo ancora fermi a ieri sera. «Non farti strane idee, non sto con te per riconoscenza.»

Sto per baciarla di nuovo, ma Arianna irrompe nella stanza, portando con sé una tazza fumante. Dietro di lei, mamma mi fa un cenno di saluto mentre Pippo le tiene il cappotto.

«La accompagno all’albergo» mi informa lui. «Ti vengo a prendere o rimani qui?»

«Rimango qui.» Non chiedo a Elena se è d’accordo, perché è intenta a soffiare sulla camomilla e a bere un primo sorso bollente. Non voglio una risposta negativa, non dopo questa serata. Preferisco restare al suo fianco.

«Allora domani ti porto il cambio.» Fa per aprire la porta, ma mia madre si avvicina a noi e guarda Elena, impietosita.

«Mi dispiace, spero di riuscire a farmi perdonare. Sono stata male informata da persone sbagliate.»

Lei mi lascia la tazza tra le mani, per poco non mi scotto le dita. È ancora bollente, non poteva almeno avvertirmi? «Non so chi le abbia raccontato certe sciocchezze sul mio conto, ma spero che in futuro si faccia una sua opinione senza lasciarsi influenzare da altri.»

Sorrido, guardando la camomilla. Ecco la Elena che mi piace, quella che tira fuori gli artigli. Se parla così, sono sicuro che sta meglio.

Alzo lo sguardo, per incontrare quello stupito di mia madre. Non se l’aspettava neanche lei.

«Dani, amore, mi faccio accompagnare da Filippo. Buonanotte a entrambi.» Prova a fare un sorriso, ma si sente così in colpa che non ci riesce.

Anche la mia ragazza le augura la buonanotte, così mamma ci lascia da soli. Dalla porta chiusa arrivano le voci degli altri che si salutano e credo anche di aver sentito l’ascensore che si ferma al piano.

«Ha fatto il tuo stesso sguardo da “Elena, ho fatto un casino”» dice lei, prendendo la tazza dalle mie mani. Poi finisce la camomilla senza riprendere fiato.

«In che senso?»

«Quello sguardo che mi implora di perdonarti. Su di te mi dà l’effetto di una buffa tenerezza, invece su di lei è serio.»

«Elena, mi dispiace, non avrebbe dovuto…»

Lei sorride, posando la tazza a terra. «Ho capito che è davvero pentita, non ti preoccupare. Tu e Alice le avete fatto cambiare idea?»

«Più o meno.» Non ho intenzione di dirle che c’è ancora Clara di mezzo, non voglio che le vengano altre paranoie, men che meno un attacco di panico. Domani andrò dal presidente e risolverò tutto.

«Per ora va bene anche più o meno.» Sorride ancora, ed è bellissima.



Spazio autrice
Alla fine tutto si è risolto per il meglio, almeno per ora... perché in questo momento Clara è lontana e non possono fare niente per togliersela dai piedi. Almeno per ora!
Questo capitolo è di passaggio, ma almeno abbiamo Elena che si riprende, e non è una cosa da poco! Vi aspettavate questo comportamento da parte di Pippo con lei? E quanto sono sospetti lui e Arianna?
Baci a tutti e grazie per la lettura,
Snowtulip.

 

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Capitolo 30
*** Capitolo 29 ***


Stavolta sono io a svegliarmi per prima, mentre Daniele è ancora avvolto dal mondo dei sogni. Fuori dalla finestra sta infuriando un acquazzone… L’ultima cosa che voglio fare adesso è dover mettere piede fuori di casa e prendere l’acqua.

Mi sento ancora addosso un po’ dei residui spiacevoli di ieri sera, ma già quando ero rientrata stavo meglio. Addormentarmi abbracciata a lui mi ha aiutata a mandare via tante sensazioni negative, che altrimenti sarebbero rimaste così come era successo dopo il primo attacco di panico al Palavulnus.

Quando mi ero risvegliata, dopo quella notte, non mi sentivo bene. Forse la prospettiva di vedere Filippo sapendo che l’avrei lasciato ha influito, ma se devo fare il paragone con adesso… è tutt’altra storia. Con Daniele mi sento bene, per questo gli ho chiesto di rimanere. E la tenerezza con cui mi ha stretta a sé me l’ha confermato. Nonostante ci sia tantissima tensione erotica quando siamo da soli, c’è anche tanta dolcezza che me lo fa amare ancora di più.

E che non abbia perso tempo per cercare una soluzione al “problema Clara” – per quanto Teo gli abbia dato un suggerimento – è un grosso punto a suo vantaggio. Vuole sistemare il discorso alla radice e sa che la fonte delle mie incertezze è proprio lei. O meglio: il fatto che la mia carriera dipenda da una pazza squilibrata che mi odia perché sono stata con il suo ex.

Se riesco a prendere in mano la mia vita lavorativa, lei non può farmi niente. Quando ieri sera ero ancora con Arianna e Filippo mi è venuta in mente un’idea, e spero di riuscire ad attuarla il prima possibile.

Afferro il cellulare sul comodino, e guardo l’ora. Le sei e mezza. Accanto alla data c’è la scritta “sab”: è sabato. Per una volta che potevo dormire, sono già sveglia!

«Daniele.» Provo a svegliare il bell’addormentato sussurrandogli all’orecchio, ma lui non dà cenno di aver sentito la mia voce, così sperimento la sua tattica e gli lascio un bacio a fior di labbra.

Sorride, senza aprire gli occhi. «Buongiorno anche a te.»

Ho il vago sospetto che abbia finto. «Eri già sveglio?»

«Sì, volevo vedere cosa avresti fatto.» Sorride ancora e spalanca le braccia per farmi accoccolare su di lui.

In risposta, gli passo una mano sul viso, accarezzandolo, e poi la faccio salire affondando le dita tra i ricci soffici. Attorciglio un dito intorno a un boccolo e lui mi attira a sé ma, invece di baciarmi, ferma il mio volto a pochi millimetri dal suo.

«Non hai bevuto vino ieri sera, giusto?» mi chiede, con il sorriso di chi sa dove vuole arrivare.

Scuoto la testa. «E non devo neanche andare in redazione… Ho solo da leggere una cosuccia, ma posso farlo da casa.»

Allora Daniele mi fa sdraiare sul letto e mi bacia, impedendomi di parlare ancora. Intreccia la lingua alla mia, mescolando il fiato al mio, e mi accarezza il seno con dolcezza attraverso il pigiama. Mi avvinghio con le gambe al suo girovita, facendogli capire che non ho la minima intenzione di fermarlo e gli sfilo la maglia.

Rimane a torso nudo e tenta di fare lo stesso con me, dimenticando che io sono stretta tra lui da una parte e il materasso dall’altra, così ci ripensa e con la mano scende all’elastico dei miei pantaloni, abbassandoli. Eppure, sta bene attento a non farmi rimanere nuda.

Abbiamo tempo, e sa anche lui che possiamo prendercela con comodo.

«Quanti preservativi ti aveva lasciato Pippo?» sussurra.

«Ce ne sono ancora un paio, perché?» Non gli avrà dato fastidio che avesse fatto la scorta?

Sorride, scoprendo la sua trafila di denti bianchi e perfetti, trattenendosi dal ridere apertamente. «Perché così so di doverli portare la prossima volta.»

Si allunga verso il cassetto del comodino, continuando a strizzarmi il seno con una mano, mentre con l’altra prende il preservativo e lo lascia accanto al mio cellulare, così come aveva fatto l’altra sera. Poi mi bacia ancora, spingendo il bacino contro il mio, permettendomi di sentire la sua voglia di me. Di farlo ancora, di mescolare il suo corpo con il mio.

«Posso fare una cosa?» mi chiede.

«Cosa ti fa pensare di no?» rispondo, ridendo.

Mi alza la maglia e mi bacia all’altezza dell’ombelico, mentre la sua mano continua a stuzzicarmi poco più sopra. Ha un bel tocco, sa come provocarmi piacere. I suoi baci scendono, fino a sfiorarmi il bordo delle mutande, che percorre con un dito della mano libera. Ho capito cosa ha in mente, e nessuna intenzione di fermarlo.

Me le sfila, e rimane a tu per tu con la mia intimità, che inizia a leccare. Fa scendere le sue dita dal seno, e mi afferra il culo, quasi spingendolo contro di sé.

Afferro il lenzuolo, inarcando la schiena. Dio se mi piace. Mi mordo il labbro per non gemere, perché se mi sentissero le ragazze, vorrebbero saperne di più – soprattutto Arianna che ha un udito pazzesco nel captare certi suoni.

Le sue mani mi stringono il sedere con ancora più sicurezza. Ho di nuovo la sensazione di essere un pallone e che lui mi stia toccando come se fossimo su un campo da gioco e lui stesse dando il massimo, proprio come fa sul parquet. E il suo massimo è… wow

«Daniele…» Mi esce solo un filo di voce, ed è già tanto così. Vorrei che non si fermasse mai, la sua lingua sta esplorando ogni centimetro di quello che trova, ripercorrendo più volte la stessa strada e provocandomi brividi di piacere.

Riprende fiato, poi si butta di nuovo tra le mie gambe, spostando le mani e portandole su entrambi i miei seni, che stringe con passione, mentre io gli porto le gambe sulle spalle, invitandolo a continuare.

«Mi fai impazzire» sussurro.

Si tira su, con un sorriso che lo illumina. Mi fa scendere le gambe sul letto e si avvicina quasi gattonando. «Anche tu.»

In un colpo solo, gli abbasso pantaloni e mutande, lasciandolo mezzo nudo come lo sono anch’io. Mi muovo per prenderglielo, ma lui mi anticipa, togliendomi la maglia e così come io gli avevo tolto la sua.

«Non farlo.» Si siede sopra di me e mi lascia un paio di baci sul collo.

«Cosa?»

«Quello che stavi per fare.» Si solleva e apre l’involucro del preservativo per infilarselo. Poi torna di nuovo sopra di me, sfiorando il mio bacino con il suo. «Non volevo che mi ricambiassi il favore.»

«Ma…» Non riesco a completare la frase, perché mi ritrovo ad aggrapparmi a lui, ad avvolgergli i fianchi con le gambe, e a lasciarmi travolgere dall’orgasmo. Lui penserà pure di non essere bravo quanto Filippo, ma non immagina neanche alla lontana quanto io mi senta bene insieme a lui, e questo fa tutta la differenza del mondo.

Mi copre la mano con la bocca per impedirmi di gridare – perché stavolta l’avrei davvero fatto, così almeno Arianna si sarebbe tolta ogni dubbio – e poi diminuisce gradualmente l’intensità delle sue spinte.

Si sdraia accanto a me, e io mi appoggio a lui, ascoltando il suono della pioggia. Il disagio del post attacco di panico, che ancora sentivo, è svanito del tutto. Con Daniele se ne va molto più in fretta rispetto a quando sono da sola. Mi sporgo verso di lui e gli lascio un bacio sulla guancia rasposa.

«Dopo devo andare all’allenamento» mormora, dispiaciuto. «Anche se resterei qui tutto il giorno.»

Gli lascio un bacio sulla guancia. «Non credo che potremmo, c’è tua madre… Forse dovresti davvero passare un po’ di tempo con lei.»

«Non voglio, non dopo ieri sera…» Sospira, distogliendo lo sguardo dal mio.

Gli passo una mano tra i capelli, poi la faccio scendere fino al mento facendolo voltare verso di me. «Devi, è tua madre. Io sono sempre qui.» Mi alzo dal letto, lasciandolo con un’espressione confusa dipinta sul viso.

«Dove vai?»

«Ho da correggere un articolo che esce oggi pomeriggio. Prima lo faccio prima sono libera.» Mi infilo le ciabatte e mi muovo per abbassarmi a raccogliere la maglia che Daniele ha lanciato sul pavimento, ma lui mi abbraccia da dietro e mi lascia un bacio sul collo.

«Sei libera adesso, non puoi metterti a lavorare prima delle otto!»

Il suo abbraccio non va a toccare punti sensibili del mio corpo, e lui non si muove. Per un momento ho pensato che mi avrebbe ributtata sul letto e che avrebbe provato a convincermi a farlo di nuovo.

«Allora facciamo colazione?» gli propongo, voltandomi a baciarlo.

Sorride. «Sì, va bene.»

 

Faccio passare la palla tra le gambe di Ryan, che si volta per cercare di marcare Léo che invece, spalle a canestro, si gira su sé stesso e schiaccia. Il francese mi guarda annuendo, mentre il coach interrompe l’allenamento per dire a Ryan cosa ha sbagliato in fase difensiva.

«Pala, sei rinato da quando scopi!» mi prende in giro Niko a bassa voce. Si mette anche la mano davanti alla bocca per non farsi sentire da Colucci, che gli lancerebbe un’occhiataccia delle sue con il sopracciglio alto.

Cerco di non ridere, ma è difficile visto che ora sono diventato il bersaglio preferito da tutti nello spogliatoio.

«No, giocava bene anche prima» lo corregge Teo, che ci posa le braccia sulle spalle, come se a lui pesassero e dovesse riposarsi.

Una volta che il coach ha finito di catechizzare Ryan e Pippo – che era intervenuto per dire la sua – riprendiamo l’allenamento. Faccio cenno a Jemmy di spostarsi verso il pitturato, poi passo la palla al Fabbro che a sua volta la ripassa a me e io la giro a Niko, che la fa arrivare a Jemmy che la fa passare intorno a Teo e così arriva a Léo che mette a canestro con un semigancio.

Teo si è fatto sorprendere con uno dei trucchetti che di solito fa lui!

«L’ho fatto apposta» scherza, in inglese. Poi guarda il coach e aggiunge: «Devono provare anche loro, io non gioco sempre!».

«Non mi servono le magate da tutti, a me serve che vi muoviate bene e che teniate la palla senza perderla. E che, alla fine, entri dentro.»

«Quello che deve entrare, entra sempre» commenta Pippo poco distante da me. «E Pala lo sa!»

Io riesco a controllarmi, ma Niko esplode in una risata fragorosa.

Prima ancora che Colucci possa rimproverarci, siamo interrotti dalla porta della palestra che si apre e da cui entra il presidente Alfredo Mantovani, accompagnato dalla sua segretaria. La prendo da parte mentre lui inizia a parlare a tutti quanti, rivolgendo una parola di incoraggiamento a ognuno.

«Il presidente quando ha un momento libero? Devo parlargli di una cosa importante» mormoro.

Lei sorride, graziosa, con due fossette che le si formano sulle guance. Si porta dietro l’orecchio una ciocca bionda e mi risponde: «In realtà mi ha fatto segnare un incontro con lei al termine dell’allenamento, proprio per oggi. È stata una cosa improvvisa decisa stamattina, per questo non sono riuscita a informarla».

«Va bene. Lo trovo nel suo ufficio in sede?»

«Certamente.»

Sospiro, sollevato. Non mi preoccupa che anche lui volesse vedermi, perché va a mio favore, visto che ho l’urgenza di parlargli a quattro occhi.

Nel parlare a tutti, il presidente mi fissa per un istante interminabile, con gli occhi scuri che si assottigliano come se volesse scannerizzarmi, ma continuo a rimanere sicuro di me. Devo parlargli e devo farlo per Elena.

Quando più tardi abbiamo finito l’allenamento, lascio a Pippo la roba sporca da portare a casa e mi incammino da solo sotto la pioggia verso la sede della Vulnus. L’aria fresca mi risveglia e mi dà ancora più energia per arrivare fino in fondo. Ora non posso tirarmi indietro.

Chiudo l’ombrello, entro in sede, supero i corridoi e arrivo al terzo piano, dove trovo la segretaria di Mantovani alla sua postazione. Mi rivolge un sorriso che mi sembra compassionevole.

«Posso disturbarlo o è impegnato?» le chiedo, accennando alla porta dell’ufficio del presidente.

Lei si alza in piedi e va a bussare, anche se poi apre la porta senza aver ricevuto risposta. «Signor presidente, c’è Daniele Palanca per lei.»

«Fallo entrare.»

La ringrazio a bassa voce e lei risponde con un sorriso di incoraggiamento. Non sono molti i giocatori che il presidente convoca di persona e con cui vuole parlare, avrà pensato che chissà che deve dirmi.

Entro nello studio, chiudendomi la porta alle spalle. Mantovani mi sorride e mi fa cenno di accomodarmi su una delle due poltrone poste di lato, attorno a un tavolino di vetro e non alla scrivania di fronte a lui. Si alza dalla scrivania e mi raggiunge, chinandosi in avanti come se volesse parlarmi in maniera confidenziale.

«Volevi parlarmi?» mi chiede. «Ho inserito in agenda un incontro con te perché Colucci mi ha detto che desideravi parlarmi.»

Annuisco. «Sì, si tratta di una questione un po’ delicata e… vede, lei è l’unico che può fare qualcosa.»

Mi sorride, con aria affabile. «Se mi è possibile, mi farebbe piacere esserti di aiuto.»

«Ecco, vede…» Abbasso lo sguardo sul tavolino, su cui è posata una bottiglia di liquore con due bicchieri. Spero che non voglia offrirmi da bere, per me è troppo presto. «Fino a poco tempo fa, c’era una stagista che stava da noi nell’ufficio stampa.»

Guardo il presidente, che mi fa un cenno di assenso con il capo. «Certo, me la ricordo.»

«Vede, io e lei abbiamo iniziato a frequentarci, dopo che ha lasciato la Vulnus.» Tiro fuori una frase alla volta, me l’ha consigliato il coach. Spero che sia utile e, soprattutto, di non raccontare in maniera troppo confusa quello che ho in mente. Dovrei imparare a prepararmi i discorsi, ma non fa per me.

«Vorresti che la riassumessimo? C’è un’altra persona adesso al suo posto, non posso mandarla via per fare un favore a te.» Il presidente mi fissa con attenzione, con le dita intrecciate davanti a sé e le braccia poggiate sui braccioli.

«No, non si tratta di questo, non glielo chiederei mai. Il discorso è che questa ragazza per me è molto importante e voglio che stia bene.» Mi fermo per cercare di mettere insieme le parole. «Purtroppo so che non è potuta rimanere qui perché a Salvatore è stato detto che non poteva tenerla.»

«Daniele, le questioni societarie non ti riguardano…» prova a dire lui, ma si interrompe vedendo che non rimango immobile al mio posto.

Scuoto la testa, muovo le mani come a dire che non è proprio così. «Presidente, io so che non è stata una questione societaria, ma personale. Dopo che a Elena non è stato offerto un contratto di lavoro qui, ho ricevuto un messaggio da sua nipote Clara in cui mi diceva che se voleva restare, lei avrebbe dovuto lasciare Filippo Longo, con cui in quel periodo di frequentava. Visto che tra lui e Clara ci sono dei trascorsi, penso che lei se la sia presa con Elena perché si era avvicinata troppo a lui. Ho ragione?»

Il presidente si irrigidisce, ma cerca di mostrarsi rilassato sfoggiando un sorriso che non riesco a decifrare. Si passa due dita sulla fede, strofinandola. «Daniele, non si tratta di questo. Ho riflettuto sul fatto che avere una ragazza vicino a un gruppo solamente di ragazzi non fosse una buona idea. Già avere Salvatore è un rischio per l’unità dell’ambiente, ma per lui sono disposto a prenderlo. Avevo deciso in funzione di questo ragionamento di non tenerla.»

Non mi piace il suo ragionamento, ma non posso farci niente. «Va bene, su questo non ho ragione. Però si rende conto anche lei che ricevere un messaggio del genere all’ultimo dell’anno, poco dopo che a Elena è stato detto che non sarebbe potuta rimanere, è un po’ sospetto?»

«Sì, Daniele, me ne rendo conto.» Deglutisce. «Volevi solo mettere in chiaro questa faccenda o c’è dell’altro?»

«C’è dell’altro.» Mi gratto la guancia coperta dalla barba, riflettendo su come dirgli che sua nipote è una stalker. Nessun nonno vorrebbe sentire una cosa del genere. «Non è facile parlarne, perché non lo sanno neanche i miei genitori.»

«Ti ascolto.» Ho catturato la sua attenzione facendogli capire che si tratta di una confidenza seria.

Trovo il coraggio per raccontargli della rottura tra Clara e Filippo, e di come poi non ci abbia lasciato tregua. Lui non mi interrompe e così proseguo fino ad arrivare all’esame di Economia politica, che lei ha passato solo grazie a me e alla mia disperazione. Tralascio che mio padre ha pensato che l’avessi fatto apposta a farmi bocciare per ben due volte, perché il coach mi ha detto che è un’informazione inutile che non avrebbe impietosito nessuno.

Arrivo a spiegargli che tra Elena e Filippo è durata meno di un mese e che tuttavia Clara non ha smesso di tormentarla. Gli dico anche le parole esplicite che ha usato nei suoi confronti, perché non le dimenticherò tanto facilmente, e anche dell’incontro tra lei ed Elena fuori dalla sede dopo l’intervista a Teo.

«Ecco, ora non vorrei che continuasse a chiamarla in quel modo davanti ad altre persone. È un insulto pesante, ed Elena non ha fatto niente per meritarsi un trattamento simile.»

Il presidente trae un profondo respiro. «Dev’essere molto profondo il legame tra te e quella bella figliola, se ti stai prodigando tanto. Ma cosa pensi che possa fare? Perché mi stai raccontando tutta la storia?»

«Perché ieri sera mia madre è venuta in città» rispondo subito, senza pensarci. «E mi ha detto a chiare lettere che Elena è un’arrampicatrice sociale che voleva solo provarci con uno dei giocatori, mentre non è così, e ci sarebbe tutta la squadra a confermarlo. Parlandone, è venuto fuori che ha ricevuto una telefonata da Clara, che si è fatta passare per un’ex collega di Elena per metterla al corrente delle sue presunte mire personali.»

Lui annuisce, comprensivo, ma non dice nulla.

«Signor presidente, io posso anche arrivare a capire che Clara non voglia che Elena faccia parte della Vulnus – per quanto non sia d’accordo. Però arrivare a contattare mia madre per metterle in testa chissà che idee sulla mia ragazza non lo accetto. È un comportamento che non mi sarei mai aspettato, nonostante tutti i trascorsi, perché mi fa capire che è decisa a tormentare ancora Elena e a me non va bene. Non può andarmi bene. Non so a chi rivolgermi, se non a lei.»

Taccio, perché il mio discorso finisce qui. Il presidente si versa da bere, ma non offre un bicchiere anche a me, tanto non accetterei.

«Daniele, è molto nobile come tu ti preoccupi per questa ragazza e apprezzo la tua sincerità. Quindi ti dirò anche io la verità.»

«Sono tutt’orecchi.»

Manda giù il liquore in un solo sorso, poi mi guarda. «Avevi ragione, mi ha convinto lei a mandarla via, spingendo sul fatto che una ragazza si amalgama male con tutto il gruppo. Mi sono lasciato convincere, a me faceva piacere darle la soddisfazione di coinvolgerla e di tenere conto della sua opinione. Ignoravo, tuttavia, quali fossero le sue reali motivazioni. E i suoi ultimi comportamenti sono intollerabili, mi trovi d’accordo. Farò del mio meglio per evitare altre situazioni spiacevoli per te e per la tua Elena.»

«Grazie, presidente.» Gli sorrido, rincuorato. Avevo una paura fottuta a parlargli di argomenti tanto personali, e invece è andato tutto bene.

Aveva ragione Teo: non è mai troppo tardi per la verità.



Spazio autrice
Ve l'aspettavate? O immaginavate qualche altro intoppo?
A me piace molto questa versione di Daniele che si preoccupa per risolvere i problemi di Elena (anche arrivando a raccontare cose personali al presidente!), a voi?
E cosa pensate che abbia in mente lei?
Vi chiedo scusa per essere arrivata tardi con il capitolo, ma è stata un'altra settimana in cui sono stata molto lontana dal computer e ho scritto di corsa... spero che il capitolo sia all'altezza delle vostre aspettative!
Baci a tutti e buon finesettimana,
Snowtulip.

 

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Capitolo 31
*** Capitolo 30 ***


«Così va bene?» Arianna mi mostra per la decima volta la foto che mi ha appena scattato. Abbiamo già fatto diversi tentativi prima di trovarne uno che fosse anche solo vagamente accettabile.

«Sembro una serial killer.» Non c’è mai modo di venire bene in questo tipo di foto? Già nella carta d’identità sembro sotto l’effetto di qualche sostanza stupefacente…

Alice se ne sta sdraiata sul divano, a guardare con le cuffie l’intervista che ho fatto a Teo. Ogni tanto riemerge per dirmi che ho fatto una buona domanda oppure per commentare le risposte del play serbo.

«Purtroppo la luce è questa, posso provare a prendere la mia lampada dalla scrivania per vedere se ti illumina meglio…» Arianna si alza e va in camera, tornando con la lampada, che attacca alla spina e sistema in modo che non mi ciechi e che però non mi dia un pallore spettrale. Almeno è quello che voglio sperare.

Fuori continua a piovere, quindi non possiamo neanche approfittare della luce solare. Mi scatta un’altra foto, che tutto sommato non è tanto male.

«Magari tra qualche mese puoi pagare un fotografo professionista» mi incoraggia Arianna. «Ora te la mando, così la imposti.»

«Sì, magari…» Apro il mio profilo su LinkedIn, per aggiornarlo. L’avevo aperto un annetto fa, convinta da Alice che lo usava per pubblicare alcuni articoli di letteratura sperando che qualche rivista la notasse. Non è accaduto, purtroppo, però io e Arianna avevamo seguito il suo esempio.

Ad Arianna è stato utile, infatti ogni tanto scrive degli articoli per un blog su qualche serie televisiva. Non è abbastanza remunerativo per svincolarsi dalla famiglia, ma intanto fa curriculum.

Per me, invece, era stata tutt’altra storia, visto che cercavo qualcosa nell’ambito del giornalismo sportivo che però non mi costringesse a lasciare la città. Non ho neanche trovato qualcosa per lavorare da remoto… Poi però è arrivata la Vulnus e me ne sono praticamente dimenticata.

Alice si alza dal divano e mi sventola il suo cellulare davanti al viso. «La madre di Daniele vuole sapere se sei libera per offrirti il pranzo. Che le dico?»

Pensavo che pranzasse con Daniele… Ma se lui fosse insieme ai ragazzi e non potesse, giustamente dovrei prendere il suo posto. D’altra parte, è sua madre e voglio che cambi idea su di me. «Dille che ci sono.»

Più tardi, dunque, scendo di casa armata di ombrello per dirigermi a piedi sotto la pioggia scrosciante verso il ristorante a cui Cristina mi ha dato appuntamento. Ho scritto al mio ragazzo per avvertirlo e lui ha provato a rassicurarmi, dicendo che sarebbe andato tutto bene. Onestamente, non vedo come possa andare peggio di ieri sera… A meno di non ritrovarmi davanti Clara una volta che sarò lì.

La donna arriva insieme a me, sebbene dall’altro lato del marciapiede. «Stai meglio?» mi chiede, affabile, accarezzandomi la guancia. Non ha affatto l’atteggiamento da ieri sera, le hanno davvero fatto cambiare idea…

«Sì, sto meglio.»

Mi precede all’interno del ristorante, un posticino tranquillo in cui si mangia alla buona, con pochi piatti di giornata. Alice mi aveva parlato di questo posto, ci era venuta una volta con una ragazza e si era trovata benissimo.

Ci sediamo al tavolo e ordiniamo da bere. Appena il cameriere si allontana, Cristina mi guarda con la stessa aria dispiaciuta di ieri sera. «Allora, Elena, dimmi un po’ di te. A parte quello che riguarda il tuo tifo per la Vulnus e il tuo lavoro, so molto poco. Non sei di qui, giusto?»

Adesso dovrò impersonare la fidanzata perfetta? Alice le aveva fatto un’ottima impressione, non posso essere da meno…

«No, sono di Roma. Sono venuta a studiare qui.»

«Come mai? Ci sono sicuramente delle ottime università anche lì…»

Questa è la domanda a cui non voglio mai rispondere. Abbasso lo sguardo sulla tovaglia a quadri, mi sembra di essere finita in una trattoria degli anni Cinquanta. Il posto sarebbe anche adorabile, se solo mi sentissi a mio agio. «Preferisco non parlarne… Non volevo più incontrare alcune persone e sono riuscita a ottenere una borsa di studio qui.»

Mi pizzico il dito sotto il tavolo, mentre per fortuna il cameriere ci porta una bottiglia d’acqua e le impedisce di continuare su quel discorso.

Cristina si versa da bere e riempie anche il mio bicchiere. «E come mai Lettere moderne? Non ti avrebbe aiutata di più studiare giornalismo?»

«Il giornalismo è una materia pratica, la posso apprendere facendola.» Stavolta ho la risposta più pronta, non è la prima che me lo chiede. «A me piace la letteratura e sono soddisfatta della mia scelta. Se tornassi indietro, la rifarei.»

«Scrittore preferito?»

Sorrido, colta di sorpresa. Non mi aspettavo una domanda del genere. «Non ne ho uno, perché ce ne sono troppi tra cui scegliere.»

Da lì in poi la conversazione si fa tutta in discesa, perché iniziamo a chiacchierare di alcuni libri che abbiamo letto e di autori che conosciamo. Non pensavo di avere qualche argomento in comune con lei, ma tra tutti quanti potrebbe essere uno dei miei preferiti. Dopo la Vulnus, ovviamente.

Alla fine del pranzo, usciamo dal locale, con Cristina che si incammina al mio fianco, come se volesse venire a casa con me. Forse vuole trascorrere altro tempo insieme, o forse sono ancora sotto esame.

«Non sei così male, dopotutto» commenta rivolgendomi un sorriso accennato.

«Per ora mi va bene non essere così male.» Non so perché l’ho detto, ma è quello che ho pensato. Non sarò mai perfetta in senso assoluto, ma cerco di essere la versione migliore di me.

Lei non replica. «Più tardi ho il treno per tornare a casa, ma per ora sono contenta di averti conosciuta. O meglio, di aver conosciuto davvero la ragazza di Daniele.»

«Non rimane fino a domani?» le chiedo invece io. «C’è la partita, a lui farebbe piacere…»

«Tornerò per altre partite, così anche Stefano potrà vederlo giocare.»

Questo, invece, non gli farà piacere per niente.

«Posso chiederle come mai lei e il padre di Daniele e Matilde vi siete separati?» azzardo. «Lui non ne parla mai, e io non insisto perché credo che lo farebbe stare male.»

«Le cose non funzionavano più» mi risponde lei, con semplicità. «Mi occupavo a tempo pieno dei bambini e non avevo da parte sua il sostegno di cui avevo bisogno, perché metteva al primo posto il lavoro. Poi ho scoperto che se faceva gli straordinari in ufficio era per via di una nuova collega. E da lì abbiamo capito che era arrivato il momento di separarci e di prendere strade diverse. A modo suo si è occupato dei ragazzi, ma non credo che Daniele ci abbia mai perdonati. Ha vissuto il tutto come un tradimento, come se non volessimo più stare con lui e Matilde.»

«Per questo è venuto qui da giovanissimo» rifletto ad alta voce. Per allontanarsi da loro, per ricostruirsi dopo una delusione. Non è un motivo troppo diverso dal mio.

Anche io ho faticato a legarmi all’altro sesso per paura di venirne tradita, e capisco se per lui era stato così difficile impedirmi di stare con Filippo, nonostante i suoi sentimenti. Aveva già visto la relazione dei genitori distrutta, non voleva che lo fosse anche la mia. O quella del suo migliore amico.

Non stavamo ancora insieme, ma nella sua testa sì, e non voleva rovinare tutto.

«Per questo non torna mai ad Ascoli.» Arriviamo al portone di casa, dove Cristina si ferma. «E per questo non mi ha mai presentato una ragazza… tranne te, visto che Alice non dobbiamo considerarla. D’accordo, Pippo ci ha messo del suo perché accadesse, ma a conti fatti la verità è questa.»

Annuisco, ricordo che Matilde aveva detto che non aveva mai presentato nessuno alla madre… Ora ha tutto più senso. Ma quindi… significa che io sono diversa? Che sono speciale?

«Allora ci vediamo, Elena.» Mi saluta con un sorriso, credo che abbia cambiato realmente idea su di me. E menomale, perché era proprio quello che speravo.

 

«Quindi non avete chiarito cosa siete? Dani, ma come fate?» Matilde al telefono mi ripete per la quarta volta la stessa cosa.

«Non le ho chiesto di stare con me, è chiaro che stiamo insieme!» Imposto la lavatrice. «Devo lavare a quaranta gradi?» L’avevo chiamata per aiutarmi con questo aggeggio, lo faccio sempre perché ho paura di rovinarmi i vestiti. Anche se è solo un lavaggio di mutande e calzini.

E lei, invece, ha voluto che le raccontassi per filo e per segno tutto quello che è successo con Elena, persino a letto!

«Anche a trenta va bene. Cioè, stai con l’ex del tuo migliore amico e ufficialmente non state insieme?»

«Ma sì che stiamo insieme, Mati!»

«E allora perché non ne avete parlato?»

«Ma non c’è nulla di cui parlare, appena mi separo da lei non faccio altro che pensare a quanto tempo manca prima di rivederla!»

«Scemotto innamorato, che tu sei perso è chiarissimo… ma lei?»

«Lei? Che domanda è?»

«Dani, non ti ha chiesto se state insieme!»

«Ma non gliel’ho chiesto neanche io! Anzi, io sono stato peggio, perché le ho chiesto se le era piaciuto quando siamo stati a letto insieme, neanche avessi sedici anni!»

«Dovresti chiederglielo, ti toglieresti il dubbio» commenta Pippo, affacciandosi al bagno. Ha sentito tutto? Anche i dettagli che non avrebbe dovuto? «Davvero le hai chiesto se le era piaciuto? Daniè, sei un caso perso…»

Metto il vivavoce, e verso l’ammorbidente nel cassettino della lavatrice. «Sentite, tutti e due, domani le chiedo di venire alla cena post-partita con la squadra, così è chiaro che stiamo insieme!»

«Basta che lo metti in chiaro anche con Elena!» insiste Matilde.

Ma io che altro dovrei fare più di quello che già sto facendo? Più di stare fisicamente con lei in ogni momento possibile, di scriverle messaggi a cui lei mi risponde quasi subito, più di preoccuparmi per lei, più di fare sesso con lei… Se ripenso a come si contorceva di piacere mentre le infilavo la lingua tra le gambe… Il modo migliore di iniziare la giornata, sia per me che per Elena.

«Mati, ho una chiamata sotto, ti faccio sapere.» Chiudo così la telefonata e faccio partire la lavatrice, mentre Pippo continua a guardarmi.

«Ma avete scopato oggi? Sei un po’ nervoso…»

«Sono nervoso perché tu e Matilde mi date consigli su consigli su cosa devo fare!» bisbiglio, perché rispondo subito a chi ha interrotto me e mia sorella. Elena.

«Ciao!»

Sorrido come un’idiota, almeno a giudicare dalla risatina di Pippo che mi sta ancora fissando. Solo sentire la sua voce mi fa saltare i cortocircuiti. «Come stai? È andata bene con mia madre?»

«Sì, sì, è andata bene… Mi chiedevo cosa pensavi di fare stasera. Se vuoi venire qui o se…»

«Se?» Non vorrà mica che mi riposi la sera prima di una partita? Ho tutta la giornata di domani per riprendermi dalle fatiche di ciò che faremo stanotte!

«Se preferisci rimanere da te e che sia io a venire.»

Vorrei sempre che lei venisse, ma non nel senso che intende ora. Sto davvero diventando peggio di Pippo!

Esco dal bagno e vado in camera a sedermi sul letto. Guardo l’ora sulla sveglia, dimenticandomi per un secondo che è ancora ferma all’una e dieci, poi controllo dal cellulare. Sono ancora le cinque, ha il tempo di prepararsi anche il cambio per dormire qui.

«Ti vengo a prendere verso le sette?» le propongo. «E rimani qui da me, stanotte. Se ti dà problemi, spedisco Pippo da Niko e Sasha.»

Lei ride. «Alice ha una mezza idea di invitarlo da noi per evitare che ci stia in mezzo!»

«Va bene, dille che lo scarico da lei quando vengo a prenderti.» Mi alzo dal letto e inizio a togliere le lenzuola mentre ancora sto al telefono. Devo cambiarle, queste fanno schifo anche se sono due giorni che non dormo qui.

«Arianna va a cena fuori, ci credi che ho pensato che fosse con lui?»

Chiudo la porta per evitare che lui mi senta. «Arianna e Pippo? Dici davvero?»

«Per te non lo farebbero?»

«Lei sì, lui… Non lo so, in genere gli piacciono ragazze un po’ più magre di lei, anche se da un certo punto di vista sarebbe il suo tipo. Non dico che sia brutta, ma…»

«Ho capito che intendi. L’altra sera avevano una buona complicità, mi è venuto il sospetto… E si sono visti quando Alice e Arianna hanno incontrato la squadra!»

«Vuoi che gli chieda se stanno scopando senza impegno? Me lo direbbe.» Oltre al fatto che lo farebbe pure. E ce la vedo Arianna che gli dà corda.

«No, tanto lei prima o poi si tradirà da sola.»

Dopo aver tolto il lenzuolo dal materasso, passo alle federe e alla fine vado a lasciare il tutto accanto alla lavatrice. Li laverò appena avrà finito con le mutande.

«Fammi sapere se lo fa, ora sono curioso.»

«Va bene, a dopo

«Certo, a-allora a dopo.» Chiudo la telefonata e mi mordo la lingua. Stavo per chiamarla “amore”, ma che mi salta in mente?

Esco dal bagno e trovo Pippo intento a giocare alla Play. «Sei a cena da Alice, ti porto lì alle sette, quindi fatti trovare pronto» lo informo.

Mette in pausa il gioco. «Sono a cena da Alice?»

«Sì, io ed Elena dormiamo qui, quindi tu sloggi così lei non è a disagio.» Mi siedo accanto a lui e lo guardo prendere mazzate da un mostro gigante. «Come faccio a dirle che la amo senza metterle pressione?»

«Semplice, Dani: non glielo dici. Sei bravo a tenerti dentro le cose, no? Prima o poi arriverà il momento giust… Ma che cazz’ sta facienn’ chist’ strunz’?» Inveisce contro uno dei giocatori e poi mi fa cenno di prendere un joystick. «Senti, tu ti stai comportando in modo da farle capire che la ami, quindi non devi preoccuparti. Anche se si è fatta scopare da me, Elena mica è scema…»

«Non ricordarmi cosa avete fatto…» Sblocco un personaggio per giocare con lui e inizio a prenderle anche io di santa ragione.

«Volevo dire che si è accorta di quanto ci tieni. Te l’ha data dopo due giorni, io ho dovuto aspettare più di un mese!»

Sorrido tra me e me, perché se penso a ogni volta in cui Elena è rimasta nuda sotto di me ad annaspare per un orgasmo… E se penso a quanto ho goduto anche io, non vedo l’ora che arrivino le sette per vederla di nuovo, per sentire quella sensazione di benessere che non avevo mai provato in passato con una ragazza. Non è solo il sesso, è anche il passare il tempo insieme prima e dopo… ogni secondo con lei vale più di uno Scudetto. Anche se non ne ho mai vinto uno e non posso fare il paragone.

Quando più tardi la vedo uscire dal portone e degnare Pippo solo di uno sguardo prima di sorridermi, mi sento l’uomo più felice del mondo.

 

Daniele apre la porta di casa, e mi fa entrare per prima. E io rimango a bocca aperta, perché tutto l’ambiente è illuminato da candele accese ovunque, con petali di rosa sul pavimento e un profumo di vaniglia nell’aria. Il tavolo della cucina è già apparecchiato, con due calici vuoti e una bottiglia di vino rosso pronta per essere aperta. Tutto questo per me?

«Siamo già a una ricorrenza e non lo so?» gli chiedo, con un sorriso che non riuscirei a trattenere neanche se volessi.

Daniele si abbassa per baciarmi a fior di labbra. «No, volevo solo fare una cosa speciale per cena. E ho dovuto farla di corsa, Pippo mi ha incastrato a giocare alla Play per quasi tutto il pomeriggio!»

Mi sfila il cappotto e lo va a posare in camera insieme alla borsa con il mio cambio. Si è offerto di portarmela lui e ho accettato perché già sono sui tacchi, ci mancava solo il dover trascinare un peso!

Appena ritorna, lo stringo a me e lo bacio. Affondo le mani tra i suoi riccioli soffici, e lui mi afferra i fianchi. Poi mi accarezza la schiena con dolcezza, quella dolcezza che c’è in ogni suo tocco, in ogni suo sguardo. Daniele già si sta eccitando e anche io sento già un calore al basso ventre che mi spinge a strusciarmi su di lui, a desiderare che le sue dita si fermino sulla zip del vestito e la abbassino, stavolta del tutto.

«Non voglio sembrarti volgare, ma…» sussurra lui, alitandomi in bocca. Sa di mentolo, dev’essersi lavato i denti poco prima di uscire.

Gli porto le braccia al collo, affondando di nuovo la lingua nella sua bocca e approfondendo di nuovo il nostro bacio. Figuriamoci se è volgare, sto pensando se spingerlo verso il divano e dargli un antipasto di ciò che ci aspetterà a letto

La sua erezione preme contro di me, e lui mi stringe il sedere tra le mani, leccandomi il labbro inferiore. «Se lo facessimo adesso?»

«Daniele, tu continua a fare quello che stai facendo» gli sorrido. «Se non voglio ti fermo, non serve che mi chiedi ogni volta.»

Lui mi bacia ancora a stampo, poi mi solleva e mi porta verso il tavolo del salone, su cui però ci sono delle candele.

«Vuoi che prenda fuoco?» gli chiedo ridendo.

«Non sarebbe una cattiva idea» scherza anche Daniele, prima di accostarsi al divano e sedercisi sopra. E io mi siedo sopra di lui, che mi accarezza una coscia. «Ma se queste te le tolgo?»

In risposta mi alzo in piedi, e sollevo la gonna del vestito fino al bordo delle calze. «Vai.»

Mi guarda con uno scintillio negli occhi chiari, come se neanche lui ci credesse. Be’, lo capisco: non sono mai stata tanto disinvolta con un ragazzo in tutta la mia vita. Neanche con Filippo: era sempre lui a prendere l’iniziativa e io, semplicemente, lo lasciavo fare.

Inizia ad abbassarmi i collant e, quando arriva al bordo dell’intimo di pizzo, abbassa anche quello, lasciandomi nuda. Non mi dà fastidio, per niente. O forse perché con lui sembra tutto naturale e mi fa sentire a mio agio anche se mi guarda lì come se non vedesse l’ora di poterla assaggiare di nuovo.

Arriva fino alle caviglie e rilascio la stoffa del vestito per togliermi le scarpe. Lui, in tutto questo, è ancora seduto sul divano e non ha neanche accennato a spogliarsi.

«Non mi crederai, ma è una cosa che ho sempre voluto fare» ride, spensierato.

«Ti credo, ma tu non puoi rimanere così.» Gli sorrido, provocatoria, abbassandomi in avanti per permettergli di sbirciare nella mia scollatura. So che lo fa impazzire, non deve neanche fingere il contrario, perché il cavallo dei suoi pantaloni è parecchio gonfio.

«Hai ragione, non posso… Devo fare tutto da solo o ci pensi tu?»

Sorrido ancora, perché non riesco neanche io a credere a ciò che sto per dire. «Fai da solo.»

Seguo ogni suo movimento, mentre si slaccia la cintura e si abbassa pantaloni e mutande, tirandolo fuori quasi con timidezza rispetto alla spavalderia che ha usato poco fa per toccarmi. Allunga una mano per prendere qualcosa sotto il cuscino del divano, estraendo un preservativo.

«Io mi sento una pervertita, e tu nascondi i preservativi tra i cuscini?» gli chiedo, sbarrando gli occhi.

«Non sapevo dove metterlo se ci fosse venuta voglia mentre eravamo qui! Non potevo andare in giro con un preservativo in tasca, no?» Ride, infilandoselo, e anche a me viene da ridere.

Mi siedo a cavalcioni sopra di lui, dapprima solo sentendolo contro di me, poi lasciandolo entrare. Daniele mi dà qualche spinta, spostandomi i capelli sul collo, e mi bacia proprio nel momento dell’estasi. Non capisco se lo fa per impedirmi di gridare o se perché gli piace baciarmi durante l’orgasmo. Ma, in ogni caso, mi piace da impazzire.

«Quelle le lasciamo lì?» gli chiedo alludendo alle mie calze e alle mutandine sul pavimento.

«Puoi anche rimettertele, dopo te le toglierei di nuovo.» Sorride, con un sincero divertimento che mi fa sentire a mio agio. Se con Filippo le volgarità non mi davano fastidio perché facevano come parte di un gioco, con lui mi viene tutto più spontaneo, come se invece facesse parte della normalità.

Gli avevo chiesto sincerità e questa sincerità appartiene a ogni momento che viviamo insieme.

«Allora le lascio lì.» Mi alzo in piedi, dopo avergli lasciato un bacio sulla guancia.

«Sarà una serata molto lunga…» commenta Daniele, ridendo. «Dovrò concentrarmi per non pensare che sotto sei nuda!»

Si risistema anche lui e ci sediamo per cena. Scopro che ha preparato uno spezzatino alla cacciatora, che aveva lasciato al caldo in una pentola coperta.

«Quando hai avuto il tempo per cucinare se hai fatto tutto di corsa?» esclamo sorpresa, mentre lui mi riempie il piatto.

Arrossisce, ed è adorabile. «Non prendermi in giro… ma l’ho ordinato da un ristorante qui vicino. Poi Pippo mi ha detto di metterlo qui per scaldarlo e fingere che l’avessi fatto io!» Si volta per posare la pentola sul fornello spento, e quando si riavvicina al tavolo è ancora imbarazzato.

Gli afferro la mano, prima che possa prendere posto di fronte a me, e così capisce di avvicinarsi. Mi sporgo verso l’alto per baciarlo, magari così riesco a spegnere il rossore sulle sue guance.

Lui sorride, poi si siede.

«Te l’ho detto che mi piaci molto?» gli dico, in uno slancio di romanticismo. Sarà una frase banale e da dodicenne inesperta, ma è quello che penso, e non ho altre parole per dirlo.

Scuote la testa, versandomi il vino fino a metà bicchiere. «No, ma me l’hai fatto capire. Non so quanto lo reggi, dimmi se va bene.»

«Va benissimo.» Assaggio lo spezzatino, si sente che proviene da un ristorante, la cottura è delicata e si sentono più sapori di quelli che un cuoco poco esperto come lui potrebbe metterci.

«Comunque, volevo chiederti se domani, dopo la partita, vuoi venire alla cena di squadra.» Daniele si pulisce la bocca con il tovagliolo, poi beve un sorso di vino. «Così puoi vedere la faccia di Niko quando scopre che stiamo insieme!»

«Non vedo l’ora! Ti ha ancora preso in giro?»

«Sì… preparati, perché se ne uscirà con qualche stupidaggine delle sue. Oggi mi ha detto che da quando scopo sono rinato!»

Scoppio a ridere, è proprio una di quelle sparate che mi aspetto da Nikola Tomic. «Che scemo!» Sorseggio anche io il rosso dal bicchiere, mentre lui mi osserva con attenzione. Non saprei dire se con voluttà o se c’è qualcos’altro nel suo sguardo che non riesco a cogliere. «Ti trovo meglio, però. Da quando stiamo insieme… Non dico che sei addirittura rinato, perché non so se è la verità. Ma, rispetto ad altri momenti, vedo che stai meglio.»

«Ci volevi tu per farmi stare meglio.»

Stavolta è il mio turno di arrossire: nessuno mi aveva mai detto niente del genere. Sento anche le orecchie andarmi a fuoco, tanto che Daniele trattiene a stento una risata.

«Non volevo metterti in imbarazzo!»

«Non mi hai messa in imbarazzo… È solo che è strano sentirselo dire» ammetto.

«Dovevo dirtelo, Elena.» Torna serio, con lo sguardo di chi sta per affrontare un argomento difficile e forse non vuole. «Questi tre giorni sono i più belli della mia vita. Nonostante Clara che è sempre in mezzo al cazzo, nonostante mia madre che trae le conclusioni sbagliate… Nonostante la paura di perderti.»

Che intende dire? «Perché dovresti perdermi? Io con te sto bene.»

«Stavi bene anche con Pippo.» Abbassa lo sguardo sul piatto, ancora mezzo pieno, con i ricci che gli ricadono davanti. Non pensavo che si tenesse dentro una paura del genere.

«Non mi perderai mai, perché ti voglio bene. E ne abbiamo già parlato.» Allungo una mano per accarezzargli il mento, e lui muove gli occhi verso di me. Ha paura che anche io lo tradisca e che lo abbandoni, così come si è sentito dopo il divorzio dei genitori. No, con me non accadrà. «Anche per me questi sono stati i giorni più belli della mia vita. E non vedo l’ora che arrivino gli altri, tanti altri, tutti quelli che avrò.»

Non ho mai parlato così a nessuno, nemmeno a quello stronzo del mio ex quando profondamente innamorata di lui. Avevo capito sin da subito che Daniele è diverso dagli altri, speciale, ma non avevo ancora capito quanto lo fosse per me.

Sorride, rassicurato, poi solleva la testa dalla muta contemplazione del piatto. Stringe la mia mano tra le sue, e mi lascia un bacio sul dorso.

«Ti amo, Elena. Anche se tu non sei ancora pronta a dirmelo, è quello che mi sento di dire. Vorrei dirtelo in ogni momento, perché quello che provo non si può dire in un altro modo. Non sei costretta a dirmi che mi ami anche tu, per te è presto, ma io devo.»

Mi alzo dalla sedia e faccio il giro del tavolo, sedendomi in braccio a lui. Sto attenta che il vestito non si sollevi troppo: ora non voglio essere provocante, non voglio eccitarlo. Lo abbraccio e mi lascio stringere dalle sue braccia, perché è tutto ciò che conta per me.

Mi accarezza la schiena, con il mento appoggiato alla mia spalla, respirando le gocce di profumo che ho messo poco sotto l’orecchio. Inspira ed espira profondamente, quasi a voler inalare ben più della mia fragranza dolce.

Passo le dita tra i suoi capelli ricci, non voglio che si separi da me, non voglio che questo abbraccio finisca perché mi fa stare bene. Ascolto il suo respiro, il suo petto che si alza e si abbassa contro il mio, e capisco che aveva paura non solo che io possa lasciarlo, ma anche di dirmi quelle due paroline.

Rimaniamo immobili per un tempo che a me pare interminabile, ma va bene così. C’è tanto sentimento in questo abbraccio, nessuno riuscirebbe mai a trasmettere così tante emozioni con così poco come lui. Daniele è un ragazzo meraviglioso.

Forse non gli ho detto che lo amo, perché quella parola è un grosso passo, ma dentro di me sento che è così. Avrò tempo per poterglielo dire.



Spazio autrice
Ed eccoci anche a questo capitolo! Chiedo perdono per il ritardo (anche se me ne sarò accorta solo io che ci è voluto un giorno di più), ma la settimana scorsa è stata bella impegnativa e non sono riuscita a portare a termine tutti gli impegni che avevo!
In compenso, sto ragionando su cosa scrivere dopo che questa storia sarà finita e pensavo a uno spinoff su dei personaggi apparsi qui, che ne dite? Storia completamente nuova o un romance con personaggi che già conoscete?
Fatemi sapere cosa ne pensate! Intanto baci a tutti e buona settimana,
Snowtulip.

 

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Capitolo 32
*** Capitolo 31 ***


Sara, la moglie del Fabbro, mi accompagna in macchina fino al solito ristorante dove mangia la squadra. Ci siamo incontrate fuori dal Palavulnus e lei ha stentato a credere che fossi davvero io la ragazza di Daniele.

«Andrea mi ha detto che dovevo portare la ragazza con cui si è appena messo Pala, ma non credevo fossi tu!» ha detto accendendo la radio. «Che rimanga tra noi, ma mi fa piacere che si tratti di te.»

«Non pensavo che lui lo sapesse!»

«Daniele ha dovuto dirglielo, ma Andrea mi ha detto che già ci conoscevamo!»

Riepilogo mentalmente il conto di chi sa di me e Daniele alla Vulnus: il coach, Teo, Andrea Fabbriani e Filippo. Ben presto lo sapranno anche gli altri, tutti gli altri.

Un po’ sono preoccupata, perché da settimane non sono più a contatto con la squadra e non so come potrebbero prenderla ragazzi che conosco meno fuori dal campo, come Léo Leroux, Ryan Hill… O Salvatore, a cui non ho detto niente! C’è anche lui alle cene di squadra, lo scoprirà così!

Quando dopo pochi minuti Sara parcheggia, non scendiamo dall’auto.

«Ti senti pronta? Non è niente di ufficiale, ma ti stai esponendo… E capirei se fossi preoccupata. La prima volta che sono uscita con Andrea eravamo a Detroit e ci hanno beccati dei tifosi che hanno subito fatto girare la voce su noi due!»

«Guarda, non può essere peggio dell’affrontare la madre di Daniele che ha pensato che fossi un’arrampicatrice sociale…» commento. Per quanto alla fine abbiamo risolto, non siamo partite affatto con il piede giusto.

«Mi dispiace.» Sara accenna un sorriso compassionevole. Sa anche lei che non c’è granché da dire in situazioni simili.

«Non fa niente, penso che cambierà idea. Ieri mi ha invitata a pranzo fuori e non è stata male.» Faccio per aprire la portiera, ma lei mi richiama.

«Aspettiamo che arrivino i ragazzi, altrimenti devi entrare e spiegare a tutti che stai con Daniele… Sarà più facile vedervi insieme.»

Annuisco. Ha senso e mi mette meno a disagio, anche se farò un ingresso che attirerà le attenzioni di tutti su di me, perché non capiranno come mai ci sono anche io se non lavoro più alla Vulnus.

«Hai conosciuto lo stagista nuovo? Quello che hanno preso al mio posto…»

«Sì, ma non ho un’idea precisa di che tipo sia. Andrea dice che Teo non lo sopporta.»

Scoppio a ridere. «Teo l’ha detto anche a me!»

Rimaniamo ancora per qualche minuto da sole, mentre dall’angolo in cui Sara ha parcheggiato vediamo arrivare altre macchine da cui scendono le famiglie dei giocatori, fino a quando arriva il pullman della squadra.

«Manca ancora qualcuno?» chiedo, riferendomi al parentado vario.

«Forse le altre sono arrivate prima di noi. Dai, andiamo.»

Usciamo dall’auto, e ci ritroviamo nel freddo di gennaio. Mi copro con la sciarpa e mi avvio con Sara verso l’ingresso. Una volta dentro, troviamo gli altri ancora intenti a salutarsi prima di prendere posto.

Lei mi accompagna da Daniele, che per fortuna è accanto al Fabbro… Ma insieme a loro c’è anche Nikola, tanto che appena il mio ragazzo mi vede sembra che mi voglia dire con lo sguardo che ora ci sarà da divertirsi.

«Elena, ciao!» mi saluta il Fabbro, dandomi un bacio sulla guancia. «Come stai?»

«Bene» gli sorrido. Sono entrata nella modalità in cui non capisco più niente e va bene tutto.

«Ele, ma lo sai che Pala scopa?» mi chiede Niko, ridendo. «Anche se lei non è tanto sveglia, visto che poteva dargliela prima… Ma lui dice che è intelligente!»

Scoppio a ridere, senza trattenermi.

«Vedi, anche lei pensa che ti vedi con una stupida!» Niko continua a prenderlo in giro, mentre Daniele ha assunto quel lieve rossore che lo rende adorabile. «Però dice che è figa, convinto lui…»

«Ti ho detto che è anche intelligente!» precisa. Poi mi guarda come a chiedermi quando possiamo fargli fare la figura che secondo lui si merita.

«E che altro ti ha detto?» Preferisco indagare un po’, dopo sarà più divertente.

«Che ha un gran bel culo e che sta messa bene anche davanti…» Niko continua a ridacchiare, ignaro. Gli avevo sentito fare dei discorsi da spogliatoio anche in mia presenza, ma stavolta è diverso: un po’ perché lui è convinto di fare un dispetto a Daniele, un po’ perché appena si renderà conto che sono io… «Poi anche altro su come è di carattere, ma non lo stavo più ascoltando.»

«Ha detto che è una a posto» precisa il Fabbro, con complicità. Non so se sa cosa abbiamo in mente io e Daniele, ma credo di sì.

«L’importante è che ora che scopa non ha più quella faccia depressa!» si inserisce anche Marco. «Ma tu come mai sei qui?»

Sorrido e guardo il mio ragazzo. «Non puoi dire in giro che ho un bel culo…» Non è un rimprovero, l’ho presa anche io sul ridere, perché immagino che l’abbiano tormentato per sapere qualcosa di più rispetto al “sono stato con una”.

«Già è tanto che non pensi che tu sei ancora immaginaria!» ride Daniele, chinandosi per lasciarmi un bacio a fior di labbra.

«Oh cazzo…» Niko spalanca gli occhi e si mette le mani tra i capelli, sconvolto. «Cazzo, Elena! Ma tu dovevi dirmi che era lei! E Pippo?»

«Pippo cosa?» chiede proprio lui, mentre Sara e il Fabbro si allontanano ridendo verso uno degli altri gruppetti. Si sono divertiti anche loro a vedere la faccia esterrefatta di Nikola.

«A te sta bene?» gli chiede Marco, con l’espressione sorpresa quasi quanto quella del bosniaco.

Filippo scrolla le spalle, sorridente e rilassato. «Sì, basta che loro sono felici.»

«Ecco perché non eri con Arianna e Alice!» esclama Niko. «Stavi con lui! Allora è per te che ha quello sguardo da rincoglionito innamorato tutto il tempo!»

Ha attirato l’attenzione anche degli altri, infatti ci si accostano anche Mike, Jemmy e Léo, che mi salutano con calore. Sono contenti anche loro di avermi di nuovo vicina alla squadra.

«Elena, non pensavo di rivederla qui.» In tutta la Vulnus c’è solo una persona che mi dà del lei, in maniera professionale come se ancora lavorassimo insieme. Salvatore mi sorride, raggiante, prima di stritolarmi in un abbraccio. «Posso chiederle come mai?»

«Stavolta è colpa mia» risponde Daniele, intrecciando le dita alle mie.

L’uomo aggrotta le sopracciglia, poi si avvicina a noi con il capo per sussurrare: «Spero che sia una cosa recente, o potrebbe non essere vista di buon occhio».

«È molto recente, può credermi.»

«Salvatore, hai visto anche tu che Pala è rilassato solo da due giorni? Si vede che scopa da poco!» esclama Niko, ancora deciso a prenderci in giro.

«Tu sei sempre il solito…» Daniele alza lo sguardo al cielo. «Te l’avevo detto che era fantastica!»

«Un conto è dire che è fantastica, un conto è dire che è Elena!» continua a ridere lui, senza ritegno. Un bambino troppo cresciuto, ha anche i lineamenti di un bambinone.

«Elena, ciao.» Teo Milinkovic abbozza una specie di sorriso, che sul suo volto sempre impassibile fa uno strano effetto. «Grazie ancora per l’intervista, quando esce?»

Mi sento le guance andare a fuoco, perché non mi aspettavo che me l’avrebbe chiesto. Anzi, io credevo che gliel’avesse già detto Salvatore!

«Hai anche intervistato Teo? Ma quando?» Niko si porta di nuovo le mani dietro la nuca, come se gli avessero fischiato un fallo inesistente e io fossi un arbitro troppo severo. «Elena, ma non è che sei tu a doverci dire qualcosa?»

Scoppio a ridere, perché le sue reazioni sono meravigliosamente divertenti. «Le mie novità sono tutte qui!»

«Prima ti scopi Daniele e poi intervisti Teo! Hai avuto molti impegni tra amore e lavoro!»

«Veramente è il contrario, prima c’è stata l’intervista a Teo, poi…» Daniele si gratta la barba. «Be’, poi il resto.» Poi mi guarda. «Dove ci sediamo?»

«Vicino a me e lontano da Niko, oggi ha già sparato troppe cazzate» sentenzia Teo. Ha parlato in un momento di silenzio assoluto, quindi l’hanno sentito tutti e sono tutti scoppiati a ridere. Persino il coach!

 

La cena è stata una delle esperienze più assurde di tutta la mia vita. Tra Daisy – la figlia di dieci anni di Teo – che guardava me ed Elena con approvazione, le scemenze di Niko che hanno rimbombato per tutta la sala, il sorriso soddisfatto del coach nel vedere me e la mia ragazza insieme… Non so cosa sia stato più folle.

Forse è stato proprio Teo, che si è messo a raccontare dei documentari sulla pesca con cui si è fissato in questo periodo, tanto che sta pensando di provarla una volta finita la stagione, per quanto la moglie Anja stia cercando di fargli cambiare idea… Vedere lui che mima il gesto con cui si lancia l’amo è stato esilarante quasi quanto la faccia sconvolta di Niko quando ho baciato Elena.

Quando è il momento di rientrare a casa, il Fabbro e la moglie si offrono di accompagnarci, mentre Pippo va in macchina con Sasha e Niko. Ci lasciano da Elena, così noi due saliamo e salutiamo Alice e Arianna intente a sparecchiare.

«Insomma, questa cena? Quanto vi hanno preso in giro?» ridacchia Alice.

«Niko c’è rimasto di sasso!» le rispondo, appendendo il mio giaccone all’attaccapanni.

Arianna esce dalla cucina portando con sé un paio di tazze che posa sul tavolo da ospiti. Da quando sto con Elena lo lasciano sempre aperto… O forse è solo perché dal lato non apparecchiato posano i libri di studio per evitare di portarli in camera e di riportarli dopo per studiare. D’altra pare sono in sessione e quindi è normale dare la precedenza allo studio rispetto all’ordine. «Pensavamo che avreste fatto più tardi…»

«Tranquille, non vi disturbiamo.» Non ho ancora in mente come, perché se io ed Elena ci chiudiamo in camera, da qui potrebbero sentire se ci mettiamo a fare sesso. Da un lato lo renderebbe ancora più eccitante, dall’altro non credo che a lei piacerebbe… Infatti, si siede al tavolo ed estrae il portatile dal suo zaino, che aveva lasciato nella macchina del Fabbro durante la cena.

«Che stai facendo?» le chiedo, confuso.

«Devo scrivere l’articolo con il resoconto della partita, preferisco farlo ora che sono ancora fresca.»

«Spero che almeno domattina tu sia libera, se devi lavorare adesso!»

Lei sorride, ma scuote la testa. «Lo sono domani pomeriggio.»

Significa che potremo avere tanto tempo insieme… Non letto, ma per farci un giro da qualche parte. O entrambe le cose, visto che Elena non può ancora permettersi di andare a mangiare fuori troppo spesso. Altrimenti le proporrei sicuramente un aperitivo.

«Potevo portarmi i libri, a saperlo prima.»

Alice si sistema gli occhiali da lettura sul naso. «Se vuoi, abbiamo una marea di libri… Non di studio, ovvio.»

Le faccio cenno che non fa niente e mi siedo accanto a Elena, che sta scrivendo a una velocità pazzesca, con le dita che sfiorano i tasti del computer a un ritmo forsennato. Le parole compaiono sullo schermo più rapide della mia lettura, e tutto questo lo fa alternando lo sguardo tra il file che sta scrivendo e quello con gli appunti!

Infatti, impiega pochissimo tempo, poi lo rilegge per controllare se ci sono errori e lo invia per mail alla redazione, prima di dirmi che ha finito. Salutiamo le ragazze ancora intente a studiare, e andiamo in camera.

«Daniele, io per stasera eviterei» mormora una volta aver chiuso la porta.

«Immaginavo che me l’avresti detto.»

«Ti dispiace?»

«In realtà sì, ma capisco. Sono giorni che non facciamo altro che saltarci addosso, ci vuole una pausa, anche se è di una sera sola.»

Si sfila la maglia per cambiarsi e rimane in reggiseno. Fa per prendere il maglione del pigiama, ma la attiro a me, stringendola contro il mio corpo e la bacio. Le accarezzo la schiena, le mie dita esplorano ogni centimetro della sua pelle nuda. Vorrei farle cambiare idea, vorrei finire a mescolarci l’uno all’altra sotto le coperte e a sentire che non è mai abbastanza.

«Daniele…» sussurra, ma non le lascio il tempo di dire altro, perché la bacio di nuovo afferrandole il sedere.

Indietreggio fino al letto e mi ci siedo senza separare le labbra dalle sue, tanto che Elena si siede sopra di me. Porta le mani dietro la mia nuca e infila le dita tra i miei capelli, spingendo il mio volto contro il suo. Ha cambiato idea, altrimenti mi avrebbe fermato… Non mi stupisco, cambia sempre idea di continuo.

Faccio per abbassarle i pantaloni, ma lei interrompe il nostro bacio. «No, Daniele, stasera no.»

Abbasso lo sguardo, e abbassandolo mi ritrovo a fissare quel ben di Dio che il reggiseno le mette ancora di più in risalto. Reprimo l’istinto di leccargliele solo perché non so se lo vuole, se stasera le va bene.

Lei però mi solleva il mento, così mi ritrovo a tu per tu con il suo sorriso incantevole. «Non devi mica offenderti se per una volta metto dei paletti…»

«Non è che mi offendo… Ma tu sei bellissima e se ci ritroviamo così, io voglio andare avanti, non riesco a calmare l’eccitazione solo perché tu mi hai detto di no. Non è così facile…»

Elena si alza da me e va a mettersi il maglione del pigiama. «Non dico che sia facile, non lo è mai. Ma non mi sento così sicura a farlo ora, non con Arianna che tende l’orecchio per sentire se ci sono dei suoni di quel tipo. A me piace baciarti, mi piace ogni secondo che passo insieme a te, ma…» si interrompe e ho il sospetto che si sia morsa la lingua.

«Ma?»

«Ma non mi va che si impicci, questi sono momenti nostri e basta.»

«Quindi ti ha dato fastidio quello che ho detto a Niko.» Avrebbe dovuto dirmelo, non volevo scoprirlo così.

«No, assolutamente no.» Si siede al mio fianco sul copriletto rosso e mi stringe una mano. «Si tratta di una cosa mia. Non so spiegartela, è come un’invasione del mio spazio privato. Arianna non lo fa con cattiveria, è fatta così… ma a volte mi fa sentire vulnerabile.»

«E con me non ti senti vulnerabile? Abbiamo deciso di dirci tutto senza filtri… Non hai paura che…»

«No. Ho sempre avuto una fiducia istintiva nei tuoi confronti. Senza esserne del tutto cosciente, ho saputo sin dall’inizio che con te sarei stata al sicuro. Che non mi avresti messa in difficoltà, che non avresti usato i miei segreti per ferirmi.»

«Elena…» sospiro, perché è una grossa confessione, quella che mi ha fatta. E io non sono bravo quanto lei quando devo esprimermi. «Ti voglio bene, per questo non lo farò mai. Se qualcun altro in passato l’ha fatto, non teneva davvero a te.»

La guardo, i suoi occhi sono lucidi. C’è ancora qualcosa che non mi ha rivelato, ma non voglio costringerla a parlare. Quello che conta è che io la amo e che l’ultima cosa che mi sognerei mai è di ferirla.


Spazio autrice
Quanto vi siete divertite a vedere la reazione di Niko? A scriverla io tantissimo! E ho dovuto tagliare alcune parti, perché era stato molto più volgare di quello che vedete voi XD
Elena e Daniele continuano a essere due dolcini innamorati, ma per quanto durerà?
Baci a tutti e buon finesettimana,
Snowtulip.

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Capitolo 33
*** Capitolo 32 ***


Da quel giorno in cui io ed Elena abbiamo iniziato a fare coppia fissa sono passati quasi tre mesi e tutto sta andando per il verso giusto. Lei ha superato l’ultimo esame e sta anche scrivendo una tesi sullo sport nella letteratura.

L’intervista che ha fatto a Teo le ha portato una grandissima notorietà, tanto che le sono arrivati persino i complimenti da parte di alcuni giornalisti importanti. Non si aspettava un successo così ampio, ma è stato positivo perché la sta portando a svincolarsi dal Gazzettino, visto che scrive articoli sportivi anche per altre testate come freelance – e alcune di queste non hanno la sede qui in città, quindi tanto meglio. Soprattutto perché in questo modo sta mettendo da parte abbastanza da poter stare tranquilla fino alla fine della magistrale.

La squadra ha superato il girone di Eurocup e io sto giocando con una fiducia che mi ha messo le ali ai piedi. Non so se è per Elena che mi sento così, ma non sono mai stato tanto bene in tutta la mia vita.

Durante la finestra di febbraio delle nazionali, ho anche alzato il mio record di punteggio con la maglia dell’Italia, arrivando a sedici punti. Non essendo uno che tira molto, ho dei record molto bassi rispetto ad altri giocatori. Pippo ha un high score di trentuno punti, il doppio dei miei!

Sul telefono riguardo gli highlights di ieri sera, senza volume. Elena sta dormendo e non voglio svegliarla, visto che ieri sera abbiamo fatto parecchio tardi. Meglio che si riposi.

Invece si muove alle mie spalle e mi abbraccia da dietro, con il suo corpo nudo che preme contro il mio. Mi bacia sul collo, dove ho un po’ di barba e con la mano mi tasta i pettorali.

«Dani, che stai facendo?» sussurra, con la voce ancora assonnata.

Metto in pausa il video e mi volto verso di lei. Elena si copre il seno con il lenzuolo, ho l’impressione che lo faccia sempre apposta per non farmi guardare, anche se so perfettamente com’è fatta. Però mi permette di concentrarmi sul suo viso, che trovo attraente anche quando è ancora stropicciato dal sonno.

«Guardavo le azioni di ieri sera.»

«E perché non le guardi con me?» sorride. Mi fa cenno di passarle il telefono e fa ripartire il video dall’inizio. Quando c’è l’azione di una mia tripla, le si illuminano gli occhi, ma non dice niente.

Quando finisce, poso il telefono sul pavimento, non essendoci un comodino dal lato in cui mi dormo. Poi mi giro verso di lei, che si sta tirando su per mettersi seduta, sempre facendo attenzione che il lenzuolo non le scivoli dal corpo. Lo tiene stretto sotto le ascelle, limitandosi nei movimenti, come se non capisse che per me così è ancora più sensuale.

Le sfioro la coscia nuda, e la sua pelle si scalda subito a contatto con la mia. Non pensavo che dopo qualche mese le avrei ancora fatto questo effetto, e mi riempie di gioia sapere che si eccita facilmente al mio tocco. Non mi ferma, così risalgo, accarezzandole con dolcezza tutto ciò che finisce sotto le mie dita.

Si sdraia, così devo chinarmi verso di lei per palpeggiarle bene uno dei seni. Il lenzuolo la copre ancora, ma non mi serve vedere per sapere cosa sto facendo o per sentire il suo capezzolo irrigidito tra le mie dita.

«Sei bellissima, lo sai?»

«E tu sei dolcissimo.»

«Me l’hai già detto.»

«Anche tu.»

Elena si muove sotto il lenzuolo, e dopo un secondo capisco perché: ha allungato una mano tra le mie gambe e ora me lo sta stringendo facendo scorrere la presa su tutta la sua lunghezza. E me lo sta facendo ingrossare, direi anche parecchio.

Smetto di accarezzarla e mi lancio verso il cassetto dove le lascio i preservativi. Ne tiro fuori uno e lei me lo mette. Sa benissimo che non posso resistere un secondo di più, così apre le gambe e mi lascia entrare, inarcando la schiena per il piacere e stringendosi a me.

La bacio, mentre ancora le do qualche colpo. Sentire i suoi gemiti nella mia bocca e attirare le sue labbra alle mie mi eccita ancora di più di quanto sia già eccitato in questo momento.

«Dani…»

Non le do il tempo di continuare, perché la bacio ancora e cerco ancora la sua lingua. Dio, Elena, quanto mi fai impazzire.

Mi tiene stretto a sé, senza allontanarmi, con le mani che si aggrappano alla mia schiena e che mi incitano a continuare nonostante abbia finito. Le accarezzo una delle cosce che mi cingono i fianchi, e spingo ancora. Non riesce a trattenersi e le sfugge un gridolino.

«Cazzo, scusami» le dico. Volevo farla godere, ma non che si scoprisse! E se le ragazze fossero già sveglie e in salone a scrivere le loro tesi?

Ma lei sorride, bellissima nell’estasi. «Ti scusi? Hai idea di quello che ho provato?»

«Prova a spiegarmelo.» Esco ed entro di nuovo, e lei ansima di piacere, strusciando le gambe contro di me. Poi mi fermo per permetterle di parlare.

«Ecco, è stato come se…» Non riesce a completare la frase, perché ho ripreso il mio su e giù sul suo corpo. Mi sembra di aver mangiato un quintale di ostriche, non ho mai avuto tutta questa carica. O forse è solo lei a farmi questo effetto.

Si morde il labbro, sospira, si contorce… E vederla preda del piacere è una delle soddisfazioni più grandi che potessi avere.

La smetto e mi sdraio al suo fianco, sudato e accaldato come se avessi giocato per venti minuti senza mai tornare in panchina e senza time-out o senza la pausa tra un quarto e l’altro.

Elena si appoggia a me, accarezzandomi il viso e finendo a giocherellare con i miei capelli.

«A che ora devi uscire?» le chiedo. Oggi ha un colloquio per un’emittente televisiva… Non mi ha detto quale per scaramanzia, ma solo che è importante e di scala nazionale. Spero che non sia la Rai, la maggior parte sono degli incompetenti. Oppure, se sono competenti, fanno palesemente il tifo per le squadra più importanti, esaltandosi durante le telecronache.

«Verso le dieci.»

«Vuoi che ti accompagni?»

Sospira. «No, preferirei di no. Anche perché tu hai l’allenamento.»

«Ma che c’entra? Posso accompagnarti e andare!»

«Non si tratta di questo.» Si siede, tenendo su il lenzuolo a coprirle le grazie, con i capelli che le scendono sulla schiena. «Solo che quando ho fatto quello per la Vulnus c’era Alice con me e vorrei che ci fosse lei. Come portafortuna, non so se mi spiego.»

«Sì, Ele, capisco.» Capisco davvero: è legata ai rituali, alla scaramanzia, proprio come una vera tifosa. Lo vedo chiaramente da alcuni comportamenti, tipo questo, che a qualsiasi fidanzato farebbero girare le palle e che a me invece non danno fastidio. Capisco cosa significa avere fiducia attraverso piccole cose perché poi tutto funzioni a dovere.

Le sorrido, sedendomi accanto a lei, e le lascio un bacio sulle labbra, prima di rivestirmi. Anche lei si infila il pigiama, così insieme andiamo a fare colazione in cucina.

Le ragazze stanno ancora dormendo, quindi escludo che ci abbiano sentiti.

«A saperlo potevamo rimanere a letto ancora un po’» mormoro all’orecchio di Elena, coperto dal suono della macchinetta del caffè. Il suo cellulare inizia a suonare dalla camera, così corre a prenderlo, mentre io finisco di preparare la colazione per entrambi.

Ritorna in cucina un paio di minuti dopo, impallidita. «I miei vengono qui lunedì e rimangono per tutta la settimana.»

«Vuoi due biglietti per l’Eurocup?» le chiedo. Il padre tifa Vulnus, come minimo vorrebbe venire a vedere la partita.

«Vuoi ridere? Li hanno già presi…» Si siede al tavolino, e le passo il caffè, con cui macchia il suo latte. «Ed è strano, perché finora mi hanno sempre detto con più anticipo quando sarebbero venuti, e ora ci sei tu, e io…»

«Calma.» Mi siedo di fronte a lei e le prendo le mani, stringendole tra le mie. «Ti giuro che non sarò un problema mentre saranno qui.»

Lei si morde il labbro. «Non si tratta di questo… A Natale mio padre ha frainteso il fatto che tu fossi venuto da me, e ha pensato che stessimo insieme. E ora stiamo davvero insieme!»

«Elena, ma che problema è?» le chiedo, stringendo ancora più saldamente la presa delle sue mani. «Non sapevano che stavi con Pippo, ora possono non sapere che stai con me.»

«Ma a te va bene? Insomma, tua madre lo sa…»

«Guarda, preferivo che non lo sapesse.»

Si lascia sfuggire un sorriso, senza dire nulla.

«Dai, vedrai che andrà tutto bene. Ora pensa al colloquio, devi prepararti per quello.»

Inspira ed espira, poi sfila le mani dalle mie per bere quella brutta copia di un cappuccino. «Hai ragione, ci pensiamo da domani. E dobbiamo dire sia alle ragazze sia a Filippo di non fare o dire stupidaggini su noi due.»

«Elena, stai tranquilla. Penso io a Pippo, tu alle ragazze. Ma dopo.»

Alice si affaccia dalla sua camera, mentre Elena va a prepararsi.

 

Il colloquio con Sky sta andando bene. Anzi, molto più che bene. Rispondo a tutto, e sento che sto parlando bene, che tutto sta andando per il verso giusto. A farmi il colloquio sono un uomo e una donna, che a giudicare dalle sue reazioni sembra soddisfatta di me. Lui sorride in automatico, quasi fosse un automa, e fa procedere il dialogo come se fossimo davanti a un caffè in un bar.

Mi fanno sentire a mio agio.

«Lei ha delle ottime referenze» dice a un tratto la donna. Sta sfogliando il mio curriculum, che ha come allegato una lettera di referenze scritta da Salvatore. Non so perché ne abbia una copia stampata, visto che l’avevo inviato via mail. «Oltre alle capacità che ha evidentemente dimostrato.»

Sorrido istintivamente, perché sta parlando dell’intervista a Teo, di cui ho allegato il link da Youtube.

I due si scambiano un’occhiata. «Siamo molto tentati di chiamarla per la seconda parte del colloquio, a Milano. Oppure in videoconferenza.»

Mi pizzico le dita sotto il tavolo, al riparo dalla loro visuale. «Se fosse possibile, preferirei in videoconferenza. Non so se potrò spostarmi, perché nel caso in cui lavorassi dovrei rimanere qui in città.»

La donna si segna un appunto sui fogli, poi mi rivolge un sorriso incoraggiante. «Le invieremo una mail per farle sapere quando sarà il colloquio.»

«Può andare, buona giornata» mi congeda anche l’uomo, porgendomi la mano.

La stringo a entrambi e lascio gli uffici, con il cuore più leggero. È andata bene. Non è ancora finita, ma è andata bene.

Appena sono di nuovo all’aperto, mando un messaggio a Daniele per dirglielo, ma lui non lo legge subito perché è all’allenamento.

Raggiungo Alice nel bar in cui mi aspettava e le racconto di come è andata. Poi, insieme, ci avviamo verso casa a piedi. Ormai è quasi primavera e passeggiare all’aperto è piacevole per entrambe.

«Ma quindi che pensi di fare con il Gazzettino? Li sfanculi?»

«La mia idea era quella» ammetto. All’inizio era l’unica via di sostentamento che avessi trovato, e mi facevo andare giù anche la parlantina egomaniaca di Crispi, ma ogni volta che ripenso a come si sia comportato da lecchino con Clara ho il desiderio feroce di prenderlo a testate. Meglio per me allontanarmi da un capo del genere. «Quello che più mi dispiace è dover lasciare i colleghi, a parte Crispi erano tutti alla mano e simpatici.»

Persino il mangiatore compulsivo e il suo sgranocchiare molesto.

«Dovrai dare le dimissioni con due settimane di anticipo.»

«Me lo ricordo. Spero che siano comprensivi da Sky e capiscano se non posso andare lì da un giorno all’altro.»

«Come pensi di fare con l’università?» mi chiede ancora Alice.

«Continuo a studiare, ma frequentare sarà più difficile… L’avevo già previsto se fossi rimasta alla Vulnus, no?»

«Ah, già…»

Arriviamo nella zona universitaria e ritorno a casa insieme ad Alice. Troviamo Arianna intenta a scartabellare qualche libro per la tesi, con un paio di quaderni con gli appunti e il portatile acceso davanti a lei.

«Allora?» mi chiede, sollevando lo sguardo da quei tomi.

«Mi richiameranno.»

Sorride, con due fossette che si formano agli angoli della bocca. «Tesoro, se ti prendono lì dobbiamo festeggiare assolutamente!»

Alice tira fuori un succo di frutta dalla cucina e se lo versa in un bicchiere. «Vi offro un giro di cioccolata al bar!»

«Dovrei essere io a offrirlo a voi due!» le dico di rimando. Certo, se iniziassi a lavorare per Sky… Non sarà facile, ma sicuramente sarei pagata molto meglio rispetto a ora e potrei permettermi anche quegli sfizi che in tutta la vita non mi sono mai concessa. Come andare in vacanza.

Vado in camera e mi butto sul copriletto senza accendere la luce, con le tapparelle abbassate. A causa del buio non vedo che mi sono seduta su qualcosa, più precisamente un foglio di carta. Lo sfilo da sotto la mia schiena e lo illumino con la luce del telefono.

Stasera vieni a cena da me? Ti giuro che non cucinerò io! Daniele.

Sorrido, imbambolata. In cucina non è così male come vuole farmi credere, ma mi diverte la sua ironia sulle proprie scarse capacità culinarie. Quelle poche volte in cui si è azzardato a mettersi ai fornelli ha preparato sempre qualcosa di commestibile!

Filippo si è offerto un sacco di volte di insegnargli, anche qualcosa di semplice ma che sembrasse elaborato, ma Daniele aveva paura di avvelenare sé stesso e gli altri e non ha mai accettato.

Guardo l’ora dal cellulare. Tra una cosa e l’altra si è fatta quasi l’una e non ha più risposto al messaggio che gli avevo mandato. Apro la chat per controllare se l’ha visualizzato, ma niente. Forse è ancora all’allenamento… In vista della fase a eliminazione diretta dell’Eurocup, che inizia proprio questo mercoledì, il coach li avrà trattenuti un po’ di più.

Ha eseguito l’ultimo accesso pochi minuti fa, quindi l’unica spiegazione è che non possa mettersi a rispondere a me per non subire una ramanzina.

Gli invio una foto del biglietto e gli dico che accetto il suo invito a cena.

Ti posso chiamare?” mi scrive invece lui, visualizzando finalmente i miei messaggi. “È scoppiato un casino e devo parlarti.

Sì.” Richiudo la porta della stanza, con il cuore in gola. Avevo una bella notizia da dargli, per quanto non definitiva, e lui invece mi dice che è scoppiato un casino… Non ho per niente delle sensazioni positive.

Spazio autrice
E ora, cosa può essere successo? Vi anticipo che dopo diversi capitoli scopriremo un piccolo segreto che né Elena né Daniele conoscevano...
Secondo voi che cosa sarà questo nuovo "casino"? (Stava filando tutto troppo liscio, no?)
Fatemi sapere cosa ne pensate, sono curiosissima!
Baci a tutti,
Snowtulip.

 

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Capitolo 34
*** Capitolo 33 ***


Esco dallo spogliatoio sbattendomi la porta alle spalle. Non me ne frega niente che tutti capiscano che sono incazzato, pensavo che quella storia fosse finita. E speravo che quella stronza si fosse decisa ad allontanarsi dalla mia vita e, soprattutto, da quella di Elena.

Pippo mi raggiunge prima che possa arrivare in macchina e andarmene senza di lui. «Si può sapere che succede?»

«Succede che quell’altro poteva pure dircelo, e invece no, teniamoci il segreto, tanto mica può succedere qualcosa di grave come mia madre penserà davvero che Elena voglia scoparsi tutta la squadra, no?»

Sblocco il telefono e apro la chat con Elena. Non ho neanche letto che mi aveva scritto… Il colloquio è andato bene. Spero che la porti lontano da qui perché, se Clara non ci molla, io non so più che cazzo inventarmi per tenerla al sicuro da quella psicopatica.

Mi siedo in macchina e le chiedo se posso telefonarle, senza dare ulteriori spiegazioni a Pippo. Sono ancora sconvolto dal messaggio vocale che mi ha mandato Matilde. Sembrava strano che tutto stesse andando per il verso giusto, no?

Appena Elena mi risponde, faccio partire la chiamata. Non aspettavo altro. Ho bisogno di parlare con lei.

«Tutto bene?» mi chiede subito.

Cazzo, l’ho fatta preoccupare e ancora non sa niente.

«Qualsiasi cosa sia, prendila da lontano» mormora Pippo.

Gli faccio cenno di stare zitto, aprendo la portiera della macchina. Mi siedo al posto del passeggero, ora come ora non riuscirei ad avere la calma per guidare e per dire a Elena il casino che è successo.

«Sei a casa?»

«Sì, perché?»

«Fatti preparare una camomilla dalle ragazze. Fidati.»

«Dani, che succede?» L’ho spaventata, di bene in meglio…

«Sto venendo da te, ma ti prego di stare calma.» Non posso aiutarla finché non sono fisicamente insieme a lei, non posso abbracciarla e calmare la sua ansia se ancora non sono arrivato. «Credo di aver scoperto perché i tuoi domani vengono in città e non te l’hanno detto prima.» Picchietto con le nocche contro il finestrino, aspettando che lei mi dica qualcosa, qualunque cosa.

La sento parlare con le ragazze, nonostante non afferri bene ogni parola, come se avesse coperto il telefono con la mano. «Quanto devo preoccuparmi?»

Il suo tono è rassegnato, un po’ intristito, ma la voce non ha tremato. Spero di non farle salire l’ansia, spero che non le venga nessun attacco di panico…

«Un po’. Vorrei dirti che è una cazzata, ma non voglio illuderti.»

«Dani, che è successo?»

«Elena, sto cercando le parole giuste per dirtelo senza incazzarmi. Non con te, non è colpa tua… ma fino a poco fa ero imbestialito.» Per quanto sia strano dirlo, solo il sentire la sua voce, mi ha addolcito. Mi ero davvero incazzato e non c’è un modo delicato per dire una roba del genere, non per me almeno.

«Dimmi un pezzo per volta. O dall’inizio o come l’hai scoperto tu.» È brava a darei dei consigli, lo è sempre stata. Soprattutto con me.

«Allora… Matilde mi ha mandato un messaggio vocale, prima. Mi diceva che mia madre ieri sera è uscita con delle amiche e tra i vari argomenti di cui hanno parlato, hanno tirato fuori anche noi due.»

Mi passo una mano sulla fronte e mi mando indietro i capelli. Elena non voleva che si parlasse di noi, capisco la pressione che sente quando gli altri sanno che hai un fidanzato, perché… Be’, non gliene ho accennato, ma sono due settimane che mamma mi chiede quando pensiamo di andare a convivere, visto che tra noi va tutto rose e fiori. E dopo quello che lei ha passato per il suo ex – oltre a Pippo, che però non fa proprio testo – capisco se vuole tenere ancora per un po’ la cosa solo tra pochi intimi.

«Non dirmi che tua madre vuole che ci sposiamo…» dice, con sarcasmo.

«Magari, guarda.» Sarebbe meglio. «In realtà, ecco…» esito, cercando un suggerimento da Pippo, che però sta guidando e non mi può guardare. «Lei vorrebbe che facessimo qualche passo avanti, anche pubblico. E io le ho detto che è ancora presto, anche se non ho spiegato il perché, perché… be’, quella è una cosa che riguarda te e non la dirò a nessuno.»

Ora che è fermo a un semaforo, Pippo mi chiede a gesti di che sto parlando, ma scuoto la testa: non lo dirò nemmeno a lui.

«Grazie per non averglielo detto.» Il suo tono è sommesso, come se non volesse farsi sentire – quindi immagino che una delle ragazze le abbia portato la camomilla.

«Il problema, però, è che una delle sue amiche ha insinuato che tu non voglia uscire allo scoperto perché…» Mi stropiccio gli occhi. Cazzo, speravo di non dover mai dire una roba del genere… «Una di loro era stata dal parrucchiere e chiacchierando lì è venuto fuori che tu mi stai tradendo.»

«Cosa? Ma non è vero!» Ha alzato la voce, spero che non si sia rovesciata addosso la camomilla bollente.

«Elena, lo so. So benissimo che non è vero.» Non deve negarlo, non mi serve. «Ma l’hanno pensato perché su un sito di gossip di quelli di bassa lega sono uscite delle foto di qualcuno che esce dal portone di casa tua. Allora, lo so che in tutto il palazzo c’è una marea di gente, ma chissà perché qualcuno ha pensato di dire che ci vivi soltanto tu.»

«Che foto? Dani, pensi che i miei le abbiano viste?»

Già. «Sì, è quello che penso.»

Pippo parcheggia a un isolato dal portone incriminato. «Non c’entro io, ti giuro!»

«Oh, te stai zitto.» Scendo dalla macchina sbattendo la portiera.

«Con chi ce l’hai?»

«Scusa, era Pippo.» Le strappo una risata nervosa, mentre a passo rapido raggiungiamo il citofono. «Sono con lui, ci apri?»

A rispondere all’apparecchio è Alice. Chiudo la telefonata con Elena, tanto ormai sono qui. Per fortuna non c’era traffico e ci abbiamo messo davvero un nulla.

 

Apro la porta della camera e poso la tazza con la camomilla sul tavolo, dove le ragazze sono poggiate con i rispettivi portatili e con dei libri da consultare per le tesi.

Alice alza lo sguardo su di me. «Tutto bene?»

Scuoto la testa, ma non riesco a dire altro perché dalla porta di casa accostata, entrano i ragazzi.

Daniele non mi nota nemmeno, ma punta dritto al tavolo senza togliersi la giacca. «Ma tu e quell’altro che intenzioni avete?» chiede, picchiettando con le dita sul legno, davanti ad Arianna.

Lei diventa paonazza, ma non risponde.

«Quell’altro chi?» gli chiede Filippo.

«Marco» risponde Arianna, in un sussurro.

Cosa?

«Quindi, qualcuno ha fotografato Marco che usciva dal portone e si sono inventati che stava da me?» riassumo.

«Frena, cosa?» Anche Alice è incredula.

Al che, Daniele è costretto a ripetere quello che ha raccontato a me poco fa. Nella mia testa continua a martellare il pensiero fisso che i miei verranno qui e vorranno delle spiegazioni. Come faccio a nascondere di Daniele e allo stesso tempo negare che sto con un altro? Soprattutto quando ci sono delle fotografie di Marco Regis che esce dal condominio…

Arrivano domani, quindi dovremo trovare una soluzione entro poche ore.

«Dovevi dircelo» mormoro soltanto. Guardo Daniele, che ha le labbra serrate come se stesse cercando di contenere la rabbia, ma lui ha la testa china verso il tavolo e non mi vede. «Dani, che facciamo?»

Si morde il labbro. «Ho un’idea, ma non ti piacerà per niente.»

«Scusatemi, ragazzi, davvero… abbiamo cercato di tenerlo segreto, siamo stati attenti…» Arianna ha il viso contratto in una smorfia di tristezza. «Non pensavo che vi avrebbero dato problemi, io e Marco non stiamo portando avanti una storia seria… E non volevo che ci andasse di mezzo voi due.»

Daniele deglutisce. «Sì, l’ha detto anche lui, ma ora il casino è scoppiato. Mi dispiace, ma dovevate pensare a cosa stavate facendo. Già abbiamo Clara che non aspetta altro che un passo falso di Elena, non possiamo avere casini anche con il gossip da quattro soldi!»

«Forse è meglio che tu ed Elena vi mettiate da parte a risolvere la situazione, almeno per quello che riguarda voi» gli consiglia Filippo.

Prendo la mano del mio ragazzo, nonostante il tavolo tra di noi, e lo conduco in camera. Mi richiudo la porta alle spalle, mentre lui si butta a sedere sul letto.

Mi guarda con aria preoccupata, con i soliti riccioli che gli saltellano davanti al viso. «Non volevo essere duro, ma lei e Marco ci hanno messo nei casini…»

«Lo so. Ma ora che facciamo?»

«Ti spaventerà, ma l’unica soluzione è uscire allo scoperto. Per te è un grosso passo, lo so, ma dobbiamo farlo. Se lo facciamo, tra qualche tempo non importerà più a nessuno di tutto il resto. Ai giornali e ai siti così interessa solo fare lo scoop, nient’altro.»

Mi siedo accanto a lui, il cuore mi è saltato in gola. Ero rimasta tranquilla fino ad ora, e invece no… «E ai miei come lo spieghiamo? Gli diciamo che Marco viene qui solo per scoparsi Arianna? Ti rendi conto che non mi crederebbero?»

Daniele mi stringe una mano tra le sue. «Non ti senti pronta, vero?»

«Per niente.»

 Mi abbraccia e mi lascia un bacio dolce sui capelli. «Non ti piace, ma non vedo alternative.»

«Hai ragione, non mi piace per niente.»

Mi sfiora la guancia con le labbra, come se volesse baciarmi di nuovo, ma non lo fa. «Elena, io ti capisco. Capisco la pressione che può esserci in una situazione simile, però… tra le due cose, che sappiano di noi è il male minore.»

Inizio a tremare, stretta tra le sue braccia. «Ho dimenticato la camomilla nel salone.»

In risposta, lui si alza e va a prenderla, tornando un istante dopo con la mia tazza. «Fredda ti fa effetto lo stesso?»

Annuisco e ne bevo quanta più posso in un solo sorso. Non mi calma, non del tutto, ma mi fa sentire un po’ meglio. Almeno ho smesso di tremare.

Daniele si inginocchia davanti a me. «Allora facciamo così: domani loro arrivano, poi io e Pippo veniamo qui a cena da voi, o se volete vi portiamo a cena fuori da qualche parte. Cerca di rilassarti, comportiamoci come sempre. Se loro intuiranno qualcosa, tanto meglio, così poi saranno preparati, ma noi non diremo niente. Va bene?»

Esito, perché a sentirglielo dire sembra un piano semplice, eppure so che alla prima cosa che non va rischio di andare in tilt. Non so come funziona la mia testa, non sono ancora riuscita a fare pace con tutto quello che ho lì dentro.

«Elena, dimmi qualcosa. Qualunque cosa.»

«Promettimi che andrà tutto bene, che se mi sentirò di nuovo male, tu sarai con me.»

Conosco già la risposta, ma ho bisogno di sentirla dalla sua voce.

«Certo. Puoi contare sempre su di me.»



Spazio autrice
Scusate l'assenza e la latitanza dell'ultimo periodo, ma con il caldo torrido è stato quasi impossibile trovare la concentrazione per scrivere! Ora mi sto rimettendo il pari con ciò che avrei dovuto fare e vi anticipo che il prossimo capitolo è già a buon punto :D
Spero di terminare questa storia quanto prima, perché ho già un paio di idee che mi frullano per la testa e non vedo l'ora di scriverle.
Ma, in tutto questo, voi immaginavate che si trattava di Marco? O secondo voi era più probabile Pippo?
Baci a tutti,
Snowtulip.

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Capitolo 35
*** Capitolo 34 ***


L’allenamento del lunedì va abbastanza bene, a parte alcune occhiatacce che non risparmio a Marco. Non l’ha fatto con cattive intenzioni, ma è partito tutto dalla sua voglia di scoparsi Arianna. Avrebbero anche potuto fare che lei andava da lui, senza creare problemi anche a me e, soprattutto, a Elena!

Il coach ha capito che qualcosa mi preoccupa, eppure non ha dato segno di volermi parlare, così alla fine mi metto alle spalle lo spogliatoio e precedo Pippo verso il garage. Non vedo l’ora di essere a cena insieme a lei, per quanto ci siano anche i genitori.

Pippo si mette al volante. «Tutto bene?»

«Sono nervoso. Quando li abbiamo visti a Natale la situazione era molto diversa.»

«Dani, andrai alla grande. Ci andiamo già d’accordo e non vedo perché dovrebbero cambiare idea su di te.»

«Non si tratta di me, ma di Elena. Non voglio che le mettano pressione, già basta mia madre che la mette a me.»

«Secondo me dovreste farlo.»

«Cosa?»

«Andare a convivere. Siete perfetti, e vi trovate bene. Passate insieme tutte le notti, da noi o da lei, esci dagli allenamenti e vai da lei, o le telefoni per organizzare la serata… Con la convivenza che cambierebbe?»

«Tutto.» Mi mando indietro i capelli dal viso. «La troverei a casa, magari in ciabatte a lavorare a un articolo, dovrebbe cucinare lei perché io non sono capace, dovrei imparare a fare la lavatrice invece di farmi dire ogni volta da Matilde come impostarla…»

«Queste sono cazzate con cui ti stai nascondendo.»

«Forse.» Non posso dirgli delle insicurezze di Elena, per quanto a me farebbe molto più che piacere vivere insieme a lei. Sarebbe sempre intorno a me, quando tornerei dalle trasferte la troverei già a casa, non dovrei aspettare il giorno dopo per vederla… E io voglio sempre vederla.

L’unica cosa che posso fare è provare a suggerirle l’idea di restare un po’ di più da me, anche se capisco il suo legame con Alice e Arianna. Perché se noi andassimo a convivere, vedrei Pippo molto di meno.

Senza considerare che la convivenza è un passo che conoscerebbero anche gli altri e a lei salirebbe l’ansia. Se ancora non si sente pronta, non voglio costringerla.

Arriviamo a casa, ci cambiamo e ci prepariamo per andare a cena. Abbiamo discusso a lungo se organizzare la serata a casa delle ragazze o meno, ma poi abbiamo deciso di andare fuori e di andarle a prendere con due macchine.

Elena sarà già agitata solo per questo, perché sarò io a passare a prendere lei e poi i suoi genitori e quindi qualcuno potrebbe vederci.

Pippo dovrà fare meno strada, quindi esco per primo. Lui userà la sua auto per andare a prendere Alice e Arianna, poi ci rivedremo più tardi solo al ristorante.

Mi sbrigo ad arrivare da Elena, che mi aspetta sul marciapiede davanti al portone. Ha una giacca di pelle sopra a un vestito nero che le cade morbido sul seno, che mi fisso a guardare. Mi allungo per aprirle la portiera dall’interno e lei si siede, senza dire nulla.

Accavalla le gambe, coperte dai collant, e intreccia le dita tra loro, giocherellando con il telefono.

Le prendo una mano, stringendola nella mia. «Amore, stai bene?»

«No. Ho paura che qualcosa possa andare storto, ho paura che scoprano di noi e si mettano a dire chissà che…»

Strofino la sua pelle, cercando di tranquillizzarla per quanto mi è possibile. «Elena, possono dire solo due cose: che gli fa piacere o no. E da Natale non penso di non piacergli. Basta solo non dire di Pippo e vedrai che non si faranno nessuna strana idea. E sono i tuoi genitori, non penseranno mai male di te perché ti vogliono bene.»

«Lo so, ma non è una cosa razionale.»

Attiro la sua mano a me, e le lascio un bacio sul dorso. «Non sarà facile, ma vedrai che andrà bene.» Non ne sono convinto neanche io, ma devo pur dirglielo. Non posso lasciare che si faccia dominare dalla paura. Questa è una delle peggiori occasioni perché le venga un attacco di panico. «Vedrai che si tratta solo di una serata. Andiamo passo passo, poi vediamo che succede. In ogni caso, io sono con te.»

Sospira, spostando lo sguardo su di me. «Sì, hai ragione.»

Parto e poco dopo arriviamo davanti al B&B dove risiedono i genitori di Elena. Sua madre si è vestita carina per venire a cena, invece suo padre sembra che stia andando a bere con gli amici. Ma va bene, non devono per forza essere eleganti. Anche io mi sono messo solo un paio di jeans e una camicia, è la mia ragazza a essersi sistemata più di tutti.

«Dovevate dirci che c’era da seguire l’etichetta!» scherza Carlo, aprendo la portiera dietro di me.

Scoppio a ridere, quest’uomo mi è simpatico.

«Non vuoi metterti davanti, magari stai più largo…» gli fa Elena, che stava per cedergli il posto.

«No, no, stai pure lì.»

Anche Lucia si siede ai posti dietro, accanto al marito.

«Allora, Pala, che ci dici? Pronto per gli ottavi?» mi chiede il padre.

Riparto. Sono ospiti, devo rassegnarmi a parlare mentre guido. «Sì, sì, sono pronto.»

Gli scocco al volo un’occhiata nello specchietto retrovisore e lui mi fa l’occhiolino. C’è qualcosa che non so? Elena gli ha già fatto intendere che ci fosse qualcosa tra noi?

«Senti le ragazze, se Pippo arriva tardi lo ammazzo.»

Lei trattiene una risata, ma poi prende il telefono e digita un messaggio. «Lo ammazzo prima io.»

«No, no, ci serve per la partita!» esclama Carlo.

«Per stasera puoi non parlare di basket?» gli chiede Lucia, ridendo.

Continuo a guidare, con un sorriso stampato sulle labbra. Con loro mi troverei bene, ne sono certo. I miei genitori non reggerebbero il confronto. Se dovessi presentare mio padre a Elena, sono certo che sarebbe scorbutico per tutta la sera, perché lei fa un lavoro e degli studi che non gli piacciono granché. Anzi, non gli piace proprio ciò che è letterario o umanistico… Almeno quello a mia madre interessa e su quello ha trovato un punto di incontro con la mia ragazza.

Con Carlo ho il basket di cui poter parlare… forse con Lucia sarà un po’ più difficile.

Arriviamo al solito posto, quello in cui sono stato anche con la mia famiglia e vedo Pippo e le ragazze uscire dalla sua macchina. Suono il clacson per richiamarli e loro si voltano a salutarci con le mani, come se si fossero messi d’accordo.

Parcheggio accanto a loro e scendiamo. Scambio solo uno sguardo di intesa con Elena, mentre i suoi salutano Alice e Arianna, ma lei non dice nulla.

Ormai ci siamo.

 

«Pensavo che sareste arrivati prima, io sono uscito un quarto d’ora dopo di lui!» scherza Filippo. «Vi siete persi?»

«No, c’erano i semafori rossi» ride Daniele.

Scuoto la testa. Erano tutti verdi!

Il mio ragazzo non lo dice, ma se ci abbiamo messo più del previsto è stato a causa mia e della mia insicurezza. Tutt’ora non sono sicura che sia stata una buona idea, ma d’altra parte, cosa avrei dovuto fare?

«Il Cedevita sarà molto duro da battere, in campionato stanno andando bene…» Mio padre non ha nessun argomento da tirare fuori che non riguardi l’Eurocup o la Vulnus. Ma non mi crea alcun problema, almeno parla di qualcosa che più o meno conoscono o stanno conoscendo tutti.

«Noi siamo più forti» ribatte Alice. Noi? Da quando anche lei tifa Vulnus?

«Non pensavo che tifassi anche tu!»

«Da quando conosco loro guardo qualcosa… ormai non posso non sapere come vanno le partite!»

Li lascio parlare e mi avvicino a Daniele, che se ne sta in silenzio per conto suo davanti a tutti. Non gli dico nulla, perché entriamo nel ristorante e lui chiede del tavolo che ha riservato, così uno dei camerieri ci guida attraverso le sale, fino al cortile sul retro.

Una copertura impedisce che ci si bagni con la pioggia o che più in avanti nella serata si senta freddo, ma i tavoli e le sedie sono posizionati nella ghiaia. Il nostro posto è proprio vicino alle “finestre” – sempre che si possano chiamare così, perché sono praticamente di plastica trasparente attaccata alla plastica del tendone.

Un paio di altri tavoli sono già occupati, ma per fortuna sono distanti da noi e nessuno fa caso alla presenza di due giocatori delle Vulnus. Meglio così.

«Dove vuoi sederti?» mi chiede Daniele, a bassa voce.

Non posso rispondergli, perché Alice e Filippo si prendono i posti vicino al finestrone, mentre i miei si siedono uno a capotavola e l’altra al suo fianco.

Mi metto all’altro lato di mio padre e Daniele si siede vicino a me, con Arianna che va a prendere il posto vuoto di fronte a lui, tra mia madre e Filippo.

Sistemo la borsa sulla sedia, dal suo lato e lui mi approfitta per sussurrarmi: «Andrà tutto bene, ci sono io».

Vorrebbe accarezzarmi, o solo sfiorarmi la mano per farmi sentire ancora di più che è qui con me, ma si trattiene dal farlo. Il modo in cui mi guarda, però, non è equivocabile.

«Allora, che prendiamo? Io andrei con i primi, fanno dei risotti che sono la fine del mondo» dice Filippo, attirando l’attenzione su di sé.

Ci vengono portati i menù e così finiamo a concentrarci sul cibo. Ora che li ha nominati, ho voglia di un risotto caldo… sperando che non mi si chiuda lo stomaco.

Guardo quale sia il più economico, ma Daniele mormora: «Pago io, non ti preoccupare».

«Posso permettermelo» gli faccio di rimando, coprendomi con il menù dalle occhiate curiose di mia madre.

«Intendevo tutto, offro io.»

«Pala, non ti preoccupare.» Papà ci ha sentiti? «Non serve che fai il galantuomo!»

Abbasso il menù, con le orecchie che mi vanno a fuoco. Mio padre, però, sta ridendo di gusto.

«Ma siete ospiti, a me fa piacere» prova a dire lui. «Già avete speso un po’ per venire qui e per la partita…»

Vorrei nascondermi e sotterrarmi, non voglio sentirli parlare di cose come “chi offre la cena”.

«Se paga Daniele prendo quello che costa di più, Carlo, lo lasci fare!» scherza Pippo, facendo ridere tutti.

Anche io mi sciolgo un po’ e mi rilasso.

«Quindi, ci sono novità?» chiede mia madre, alternando lo sguardo tra me e il mio ragazzo.

«Non grandissime» risponde proprio lui con nonchalance, continuando a leggere il menù.

Scambio un’occhiata con Filippo, che sembra sul punto di scoppiare a ridere. Incrocio anche lo sguardo di Arianna, che però mi sillaba in silenzio di stare tranquilla.

Qualche minuto dopo ordiniamo e iniziamo a chiacchierare, con mio padre che non perde occasione di parlare con i ragazzi delle possibilità di superare non solo il Cedevita, ma anche le eventuali squadre che potremo incrociare fino alla fine dell’Eurocup.

«Se il coach ci sente parlare delle partite dopo, ci manda in panchina» scherza Daniele.

Sorrido anche io. Colucci ne sarebbe davvero capace, se non fosse che ha bisogno anche di loro due in campo. Soprattutto del mio ragazzo, perché è il nostro miglior difensore insieme a Mike Cooper.

Il telefono di Daniele vibra sul tavolo, è un messaggio. Lui lo sblocca, permettendo anche a me di vedere. È Matilde.

Allarme rosso.”

«Cazzo» si lascia sfuggire lui, poi si porta una mano alla bocca, guardando i miei. «Scusatemi, devo fare una telefonata.»

«Che succede?» gli chiede Filippo.

«Devo chiamare mia sorella, è urgente.» Si alza in piedi ed esce dal tendone.

Lo seguo con lo sguardo e lo spio anche al di là della finestra di plastica, mentre richiama Matilde. Spero che non sia niente di così grave, ma non conosco i loro codici segreti.

«Ele, amore, sei sicura che non ci sia niente che devi dirci?» chiede mia madre, distraendomi. «Su te e Daniele…»

Avvampo, senza riuscire a controllarmi. Suo malgrado, adesso non è qui e non può aiutarmi. Non oso cercare gli altri con lo sguardo per chiedere di salvarmi, perché mi esporrei soltanto.

«No, non c’è niente» mento. È inutile, me lo sento… Già a Natale avevano intuito quanto fosse stretto il nostro legame, eppure all’epoca non c’era nulla tra di noi, mentre ora è tutt’altro discorso.

«Tesoro, ci sono delle…» prova a dire lei, ma mio padre la interrompe.

«Qualcuno dice che ti stai vedendo con un giocatore della Vulnus» spiega lui. «Ma tu non ci hai mai detto nulla di Regis, mentre invece sappiamo che sei amica di Pala e Longo. Non ci crediamo, a quelle storie, ma non puoi nasconderci quello che è palese, no?»

«Proveremo a non fare nessun commento, te lo promettiamo» dice mamma. «Però Daniele è un bravo ragazzo.»

«Vedi? Non dovevi preoccuparti!» esclama Filippo, ma lo fulmino con lo sguardo. Lui non sa cosa ho passato, non deve azzardarsi a infilarsi in mezzo alla questione. Per fortuna i miei non hanno idea del fatto che sono stata con lui… altrimenti mi sarei davvero sentita avvilita.

Il mio ragazzo ritorna, e mi guarda con aria confusa. Probabilmente sono ancora rossa per l’imbarazzo di essere stata scoperta. «Tutto bene?»

Non gli rispondo. «Stavo per chiedertelo io.»

Si siede. «Ah, no.»

Filippo scoppia a ridere.

«Lo trovi divertente?» gli chiedo, scocciata.

«Visto da qui, sì, lo era!» ride lui. Ma è così sincero e spontaneo che fa ridere anche le ragazze e i miei, mentre io trattengo un sorriso solo perché sarebbe fin troppo fuori luogo.

«Hanno capito tutto» sussurro all’orecchio di Daniele.

«Domani mia madre e Stefano vengono in città, così mercoledì si vedono la partita» mormora lui di rimando.

Bene, benissimo.

Lo guardo negli occhi, implorandolo di fare qualcosa, qualunque cosa. Non mi sto agitando, ma non mi sento neanche così tranquilla. Daniele mi sorride e stavolta sì, mi accarezza la schiena per rassicurarmi.

Mia madre lo vede e sorride, forse pensa che non me ne sia accorta.

Grazie al cielo nessuno può più dire niente perché un paio di camerieri iniziano a servirci.

 

Aspettiamo che sia arrivato anche il piatto di Lucia prima di iniziare a mangiare, ma non ci vuole molto.

«Quindi, da quanto va avanti?» chiede Filippo fissando me ed Elena, come se volesse scimmiottare il ruolo di genitore apprensivo.

Arianna scoppia a ridere, soffiando sul suo risotto. Alla fine abbiamo tutti optato per quelli, anche se scegliendone diversi.

Elena, invece, gli lancia un’occhiataccia.

«Pippo, lascia perdere» gli dico.

«Perché? Sto scherzando!»

«Perché io non sono in vena di scherzare!» esclama la mia ragazza. «Non su questo! Va bene?»

Lui ammutolisce e si concentra sul suo piatto.

«Ele» la chiamo e lei si volta, con un sopracciglio inarcato. Coperta dal tavolo, si sta pizzicando la pelle dell’indice con le unghie, è nervosa. Se i suoi non avessero saputo nulla, mi avrebbe odiato, ma visto che l’hanno scoperto… «Posso assaggiare?»

Sorride, alleggerita. Credeva che volessi dirle di non incazzarsi con Pippo? Ma se sono io il primo che ci si incazza!

Mi avvicina il piatto con il suo risotto allo zafferano, da cui prendo un paio di chicchi con la mia forchetta. Buono.

«Che voleva Matilde?» mi chiede Alice, alla mia destra.

«Mia madre e Stefano vengono domani e rimangono fino alla partita…» Non ne sono molto entusiasta, preferisco non vedere quel verme insipido.

«Ma non viene anche tuo padre?»

Cristo, Pippo, dovevi stare zitto, non era così difficile.

«Tuo… tuo padre?» Elena è sbiancata. Sa che ho un pessimo rapporto con lui e che se ci parlo è solo per scambiare qualche opinione sul basket e sulle partite che ho giocato. Vuole sapere dell’università, che mi paga lui, e lo accontento con le novità. Fine.

«Purtroppo. Cercherò di non fartelo vedere, tranquilla.» Ci manca solo che conosca Elena e che non la veda di buon occhio perché potrebbe distrarmi dal basket e dai miei studi. Sarebbe capace di dire una roba del genere, visto che l’ha fatto con Matilde, in passato, quando lei gli ha urlato in faccia che non avrebbe mai studiato Giurisprudenza per prendere il suo posto nello studio legale. Non che io voglia farlo… «Vorrei non vederlo nemmeno io.»

«Non siete legati?» La domanda di Lucia è lecita, ma mi destabilizza.

Scuoto la testa. «No, ma è complicato.»

Se mi chiedesse di spiegarle, non saprei neanche io da dove iniziare a raccontare, persino a sua figlia ho detto solo qualcosa qua e là. Ed Elena non può nemmeno immaginare la parte peggiore, il motivo per cui quando mio padre mi ha avvertito di aver preso i biglietti ho sperato con tutto il cuore che fossero il più lontano possibile dal campo.

Conoscendolo, me lo ritroverò in prima fila.

«Mi dispiace.» Lucia mi guarda intristita. «Non dev’essere facile per te.»

Scuoto la testa. «A volte non lo è per niente, soprattutto perché non mi ascolta e fa le cose di testa sua per mettermi a disagio. Spero che non lo incontriate.»

Per Elena sarebbe una mazzata non da poco. Non sto ingigantendo la situazione, lui ha davvero un caratteraccio insopportabile. Non voglio che mi metta i piedi in testa, non davanti alla ragazza che amo, non davanti ai suoi genitori.

Non voglio vederlo.

«Per tornare ad argomenti più allegri…» dice Carlo. «Da quanto va avanti tra voi due?»

Alice per poco non sputa l’acqua nel bicchiere, per ridere. Ha ripreso le stesse parole di Pippo e ci scommetto qualsiasi cosa che l’ha fatto apposta!

«Da gennaio» gli risponde Elena, abbassando il viso e raschiando il piatto.

Mi pulisco la bocca con il tovagliolo e mi chino per lasciarle un bacio sulla guancia, mentre le accarezzo la schiena. «Va tutto bene, non sei costretta a dire niente.»

«Se vuoi aprirti un po’ con noi, sai che siamo sempre qui» le sorride Lucia, incoraggiante.

«Ci siamo solo messi insieme, non c’è molto da dire» continua lei, con il tono di voce più basso che riesce a tenere pur facendosi sentire.

«Ragazzo, cosa fai nella vita?» mi interroga Carlo, ridacchiando sotto i baffi.

«Ho un progetto… sto pensando di sfondare nel basket, vorrei essere un giocatore professionista!» seguo il suo gioco, è un uomo simpatico e con cui mi trovo bene.

«Te lo auguro, e soprattutto ti auguro di sollevare qualche trofeo. E senza cambiare squadra!»

Il resto della serata trascorre piacevolmente e, nonostante qualche altra battuta fuori luogo di Pippo, Elena è abbastanza tranquilla. Alla fine della cena, riaccompagniamo al B&B i suoi genitori, che mi salutano con affetto, come se fossi anche figlio loro. Come se pensassero che tra me e lei durerà a lungo.

Capisco cosa intendeva quando diceva che le metteva pressione che loro sapessero di noi. Però a me non dispiace il loro affetto, sono due persone alla mano. Se considero il rapporto che ho e non ho con i miei, con Carlo e Lucia è tutto un altro discorso perché da come si comportano penso che mi abbiano accolto in famiglia. Ed è strano, perché – a parte la madre di Pippo – nessun genitore mi aveva mai trattato così.

E poi, avergli detto di noi significa che con Elena sto facendo qualche passo avanti. Be’, con lei farei tutti i passi della mia vita.



Spazio autrice
Ed ecco che finalmente i genitori di Elena scoprono la verità! Li avevamo già visti, ma cosa vi è parso di loro in questa nuova situazione? A me piacciono molto, nonostante abbiano dei difetti (come mettere ansia a Elena) sono delle brave persone.
Quelli di Daniele, però, continuano a farci preoccupare... Che pensate del padre, da quanto ci ha detto lui? Vi anticipo solo che lo incontreremo nei prossimi capitoli, non dico altro!
Vi avviso che sto tornando a scrivere davvero con ottimi ritmi e che i prossimi capitoli sono già scritti o a un buon punto della stesura (non ci credo neanche io, era dai primi capitoli della storia che non scrivevo così tanto!).
Baci a tutti,
Snowtulip.

 

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Capitolo 36
*** Capitolo 35 ***


Mi risveglio accanto a Elena, nella sua camera. Lei sta dormendo, girata su un fianco e dandomi le spalle. Le lascio un bacio sulla schiena nuda, che si irrigidisce. L’ho svegliata.

Si volta verso di me, stropicciandosi gli occhi.

«Dani…» mormora, ma non le lascio il tempo di dire altro, perché la bacio affondando la lingua tra le sue labbra.

Le stringo un seno, palpeggiandolo bene, ed Elena si lascia toccare come se volesse fare stamattina quello che ieri abbiamo rimandato. Salgo su di lei, facendole sentire la mia voglia. Spero che ne abbia altrettanta, perché se penso alla giornata che mi aspetta ho bisogno di staccare completamente.

E lei mi fa dimenticare tutto ciò che c’è fuori da questo letto.

Mi passa una mano tra i ricci, attirando ancora di più il mio viso al suo. Senza guardare, apro il solito cassetto, e prendo un preservativo, anche se ancora non siamo completamente nudi. Le sfioro un fianco, facendola rabbrividire, e le abbasso le mutandine di pizzo – ultimamente indossa solo quelle, quasi sapesse che mi fanno impazzire.

Elena, con un gesto veloce, mi spoglia e me lo prende in mano, stringendolo tra le dita e guardandomi fisso negli occhi, come se la eccitasse.

Non sa quanto sta eccitando me… o forse sì, visto che lo sente benissimo.

Mi chino ancora per baciarla, poi però mi scosto per infilarmi il preservativo e risalgo su di lei, che ha allargato le gambe. Si aggrappa alla mia schiena, mentre le entro dentro e do inizio al vero piacere per entrambi.

Si morde il labbro, chiudendo gli occhi, e la trovo ancora una volta infinitamente sensuale. Aumento l’intensità delle mie spinte, e lei inarca la schiena, strusciando le gambe sui miei fianchi.

La bacio proprio mentre viene, impedendole di gridare per l’orgasmo, ed Elena porta le mani al mio collo, come se volesse che non mi staccassi mai da lei. E io non mi stacco, assaporo la sua lingua, lentamente, prendendoci gusto sempre più, mentre il sangue continua ad affluirmi lì, come a dirmi che non ho ancora finito.

Anche lei è calda, ma non so se è disposta a farlo di nuovo, non subito.

«Elena» sussurro al suo orecchio, facendola rabbrividire. «Ti va di farlo ancora?»

Sorride. «Ce la fai?»

Le do un altro colpo, per risponderle di sì, e lei si contorce di piacere sotto di me. Mi sfilo da lei e poi mi tolgo il preservativo, che butto nel cestino accanto al comodino. La guardo, lei è sotto le coperte, con cui si copre quel corpo da favola e ricambia il mio sguardo con un sorriso splendido dei suoi.

Ritorno a letto e le risalgo un’altra volta sopra, così ricomincio i preliminari, baciandole il collo.

Scendo alla spalla e arrivo ai seni, che stringo a me, mentre Elena mi accarezza la nuca, continuando a giocherellare con i miei capelli.

«Daniele…»

Le succhio un capezzolo, e lei sembra apprezzare, perché le sue gambe si strusciano con maggior foga contro di me.

«Dani, ti sta vibrando il telefono.»

Cosa?

Mi alzo da lei, accaldato, e afferro il cellulare, che ho posato sul pavimento dalla parte opposta del letto.

Cazzo no.

«Rispondigli» sussurra lei alle mie spalle, prima di baciarmi il collo. Allunga una mano tra le mie gambe e me lo afferra di nuovo, facendo scorrere le dita. «Non puoi ignorarlo…»

Quello che non posso ignorare è ciò che mi sta facendo lei.

«Va bene, ma stai ferma, altrimenti sarà difficile controllarmi» sussurro. Non voglio che mio padre senta che sto scopando mentre sono al telefono con lui!

«D’accordo» rimane immobile, con la mano ferma lì.

Clicco sulla cornetta verde e rispondo. «Pronto?»

«Tra una mezz’ora sono alla stazione, vieni a prendermi?»

Di già? E poi, neanche un “ciao, come stai?” e vuole che gli faccia da autista?

«Non…» Elena me lo stringe più forte, ma cazzo così non va bene… Cioè, sì, va benissimo, ma non ora! «Non riesco, mi sono appena svegliato e dopo ho l’allenamento.»

«Colucci vi mette l’allenamento così presto? Dai, non dire fesserie e vienimi a prendere!»

«Davvero, non posso…» Chiudo gli occhi, perché Elena ha iniziato a baciarmi lungo il collo, dal lato opposto a dove tengo il telefono. Spero che non la senta. Ma che le prende, da quando è disinvolta fino a questo punto?

Non che mi dispiaccia, sentire qualsiasi parte del suo corpo a contatto con il mio è sempre una sensazione magnifica…

«Sei in compagnia?» Cazzo, noNon dirlo, non dirlo, non dirlo.

Non gli rispondo, così lui ridacchia. «Dimmi che è Clara!»

Elena molla la presa e smette di baciarmi.

Mi volto verso di lei e la guardo afflitto. Avrebbe potuto dire qualsiasi cosa, persino insinuare che fossi andato a puttane, ma questo no.

«Non pensarci neanche, non voglio vederla mai più. Come fai a non capire che la odio?»

«Come fai a non capire che, oltre a essere un gran pezzo di ragazza, sarebbe anche l’ideale per lo studio?» ribatte lui.

«Non ti vengo a prendere e non mi vedi fino a domani, ciao.» Gli attacco il telefono in faccia e lo poso di nuovo sul pavimento. «Col cazzo che mi vedi proprio» commento tra me e me.

Elena si è sdraiata sul letto e mi guarda come a chiedermi spiegazioni. Mi sistemo al suo fianco e le accarezzo il viso. Qualsiasi cosa stavamo facendo prima è andato a farsi fottere. Vorrei solo esserci andato anche io.

 

Daniele è scioccato quanto me, e proprio per questo sono abbastanza tranquilla. Non del tutto, perché quello che ho capito dalle parole del padre non mi piace per niente, nonostante sia peggio di quello che sua madre pensava di me.

Almeno Cristina non voleva rimpiazzarmi con quella stronza.

«Vuole che tu stia con Clara?» gli chiedo, visto che lui non accenna a parlarne.

«Vuole che mi trovi una che voglia fare l’avvocato per entrare nel suo studio di merda. E per caso gli ho detto che ero amico di Clara, ma prima che succedesse il casino… Solo che poi non ha capito che la odio e che lei non è più mia amica.»

«Quindi… non mi vedrebbe bene» concludo.

«Temo di no.» Abbassa lo sguardo, distogliendolo dal mio, e i ricci gli ricadono sulla fronte. Dio, se non è adorabile

Gli accarezzo la guancia, su cui ha un filo di barba rossastra, portandolo a guardarmi. E lo bacio, perché a me del padre che si fa vedere una volta ogni morte di papa e che gli telefona solo per commentare le partite… non me ne importa niente. Allungo di nuovo la mano tra le sue gambe e ricomincio a far scorrere le dita su di lui.

Il sesso con Daniele è il modo migliore che ho per dimenticarmi del mondo fuori, per liberare la testa e per non pensare a niente. E il suo, di sesso, che si ingrossa sotto il mio tocco mi fa capire che per lui vale lo stesso.

Prendo un altro preservativo e glielo infilo, prima di sedermi su di lui. Le nostre intimità si sfiorano, si desiderano ancora, così come si desiderano da quella prima sera.

Si sporge in avanti per baciarmi il seno, e lo lascio fare, perché i suoi baci mi piacciono ovunque. Mi stuzzica il capezzolo libero dalla sua bocca, stringendolo tra le dita, mentre sotto di me sento la sua erezione premere, sebbene non nella giusta direzione. Mi sistemo meglio su di lui, che solleva il viso e inizia a baciarmi.

Dio, Daniele, se mi fai impazzire

Le sue mani vanno a stringermi il sedere, attirandolo a sé, spingendomi contro di lui, e le nostre intimità finalmente si scontrano. E poi ancora, e ancora, e ancora.

Mi fa scendere, così che possa sdraiarsi su di me e continuare a infilarsi tra le mie gambe.

Gemo, mentre mi afferra una coscia e si spinge più in profondità.

«Dani…» sussurro, preda dell’orgasmo. E lui che era convinto di non essere bravo a letto!

Mi sorride, lasciandomi un bacio a fior di labbra. «Sei meravigliosa.» Si butta sul letto accanto a me, con un sorriso ebete.

«Io? Non hai idea di come sia farlo con te!» scherzo.

«Lo dici solo per farmi piacere…» sorride ancora, ma non so se è serio o meno. In risposta lo bacio sulla guancia.

«Posso farti stancare ancora un po’ o il coach se la prende?»

«Il coach non sa che sono qui con te!»

«Può immaginarselo… Oppure Niko ha smesso di prenderti in giro?»

Scoppia a ridere. La risposta, ovviamente, è no. «Anche se sa che scopo con te, continua a dirmi che sono rinato! Ma… la verità è che mi fai stare bene.»

Mi appoggio a lui, che mi accarezza la schiena. Sento il battito del suo cuore, si è già regolarizzato dopo il doppio orgasmo, mentre il mio va ancora a mille.

Non posso dire altro perché il telefono di Daniele vibra di nuovo e lui si china a raccoglierlo. «Mati, dimmi.»

«Io ti faccio una statua.» Il suo tono serio mi fa scoppiare a ridere. «Gli hai attaccato il telefono in faccia?»

«E tu come fai a saperlo?»

«Purtroppo ci siamo visti appena scesi dal treno, non pensavo che l’avesse preso anche lui… E ne ha approfittato per lagnarsi con mamma e Stefano.»

«Che ha detto?»

«Niente di che, che sei il solito che fa di testa sua, che non ti sei ancora trovato una brava ragazza… Cioè, una brava per i suoi standard. Questo l’ho capito io, perché quando mamma gli ha detto che ne hai una, lui ha subito chiesto che lavoro fa e la risposta non gli è piaciuta granché

«Neanche lo conosco e già mi sta sul cazzo» commento.

«Sta sul cazzo anche a me, ma che devo fare…» mormora lui, accarezzandomi ancora la schiena. Ora siamo entrambi seduti sul letto.

«Con chi parli?»

«Elena, è qui con me… Ti dico solo che mi ha chiamato in un momento poco adatto e ha tratto la conclusione sbagliata.»

«Ah, le gioie, proprio. Senti, ho mollato l’allegra comitiva, va bene se passo dalle ragazze, secondo te?»

«Mati, dove pensi che sono?»

«Bene, allora rivestitevi prima che arrivi!» ride, dall’altra parte della linea. «Non voglio trovarvi nudi e ancora impegnati!»

La sua spontaneità fa ridere anche me.

«Allora, piccioncini, visto che mi sentite tutti e due, ora ve ne andate al lavoro e all’allenamento, ma stasera… temo che vi tocchi una bella, bellissima, cena di famiglia

Oh, no… Prendo il telefono dalla mano di Daniele, che mi lascia fare. Ha capito anche lui dov’è il problema. «Mati, ci sono anche i miei in città, dovrò stare a cena fuori con loro… E mi metterebbe a disagio sapere che ci sono anche tutti loro.»

«Allora sfanculiamo i miei e io vengo a cena con voi e i tuoi genitori!»

Sorrido. Matilde è davvero fantastica.

«Cerco io un posticino, tanto ora vengo lì e mi faccio dire da Alice e Arianna come posso contattare i tuoi

«Sei la nostra planner preferita» le dice Daniele.

«Carini, voi due, ma mi aprite al citofono?»


Spazio autrice
Un altro piccolo capitolo di passaggio (lo so, anche lo scorso lo era...), ma stavolta ci spostiamo sul versante della famiglia di Daniele. Simpatico il padre, no?
Vi avviso che ci stiamo avviando verso la fine della storia, dovrebbero mancare 5-6 capitoli... per questo la settimana di ferragosto salterò gli aggiornamenti, visto che sarò fuori casa ed ero indecisa se portarmi o meno il pc. Visto che siamo quasi alla fine, rimando gli ultimi capitoli a fine mese/inizio settembre... Per qualsiasi cosa, mi trovate sempre qui!
Baci a tutti e buona settimana!
Snowtulip.

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Capitolo 37
*** Capitolo 36 ***


Spengo il pc dell’ufficio, finalmente la giornata qui è finita e potrò andare a casa. Dei miei colleghi, qualcuno è ancora immerso nel lavoro – quelli che hanno attaccato dopo di me – mentre qualcun altro è già andato via.

Raccolgo le mie cose e le infilo nello zainetto, poi indosso la giacca di pelle e me lo sistemo su entrambe le spalle. Saluto il mangiatore seriale, intento a sgranocchiare dei crackers, ed esco dalla sala. Mi affaccio all’ufficio accanto al mio, e con lo sguardo cerco Federica – la collega che ha sottotitolato l’intervista a Teo.

La vedo mentre anche lei si prepara per uscire, e la aspetto sulla soglia.

«Ehi, Elena, come stai?» mi chiede, con un gran sorriso.

«Bene, dai. Volevo chiederti se domani vieni al Palavulnus insieme a me» le propongo. «Se i ragazzi passano il turno, potrebbe scapparci qualche intervista, e non ho le competenze tecniche per poterne filmare una… Se ci fossi tu, mi faresti un grosso favore.»

Ci incamminiamo insieme verso l’uscita. «Non c’è problema, per me va bene. Dobbiamo solo informare Crispi.»

«Ti ringrazio davvero tanto, non hai idea di quanto sia importante!» le dico, mentre mettiamo il piede fuori sul marciapiede, all’aria aperta.

«Figurati! Ma, senti… io non ci credo che stai con Regis» mormora lei, con aria complice.

«Infatti non ci sto, è una cazzata che si sono inventati.» Mi sistemo lo zaino sulla schiena. «Se hai visto delle foto di lui che esce dal mio palazzo, saranno un fotomontaggio!»

«In realtà è per un altro motivo che non ci credo.» Si interrompe per chiedermi da che lato debba incamminarmi per tornare a casa e, visto che andiamo nella stessa direzione, ci avviamo insieme. «Quando hai fatto l’intervista a Teo Milinkovic, c’è stato un momento in cui lui ha parlato di Palanca e ho visto che sei lievemente arrossita. Ma poco, eh, non ti credere! Avendo dovuto riguardare il video più volte, però, ci ho fatto caso...»

Sospiro, tirando fuori il telefono dalla tasca. «Pensavo di essermi controllata…»

«Ma sei stata molto professionale, non se ne è accorto nessuno! In ufficio non ne ho fatto parola, perché capisco che può essere una storia delicata, visto che lavoravi lì… però se va tutto bene e sei felice, mi fa piacere!»

Non replico, perché non saprei cosa dirle. Ci separiamo più o meno dove si trova il bar di Alice, e poi proseguo fino a casa.

Sono contenta di aver chiesto a lei di venire insieme a me. Quando Crispi mi aveva suggerito di portare con me qualcuno della redazione – perché a suo dire seguire un ottavo di Eurocup poteva essere ben più impegnativo di una semplice partita di stagione regolare – non ero così convinta che avrei davvero avuto bisogno di sostegno.

Il motivo per cui l’ho chiesto a Federica è perché a lavoro mi sembra una delle persone più simili a un’amica e per la familiarità che ho avuto con lei nelle poche volte in cui abbiamo parlato. E vista la situazione assurda che si sta creando – con i miei genitori e quelli di Daniele che vengono al Palvulnus e con l’alta possibilità che non piaccia a suo padre, senza considerare la presenza quasi certa di Clara – ho bisogno di una persona di fiducia che possa tenere le redini del mio lavoro nel caso in cui mi senta male. Spero di no, spero vivamente di no, ma devo cautelarmi.

Per quanto da un certo punto di vista stia tutto andando a gonfie vele, non sono sicura di come la mia testa potrebbe reagire. Non è qualcosa che riesco a controllare.

In ascensore sblocco il telefono, ma non ci sono nuovi messaggi. Che strano, Matilde aveva detto che avrebbe trovato un posto per stasera…

Entro a casa e sono accolta da uno sfrigolare in padella, mentre mia madre chiacchiera con Arianna e mio padre legge uno dei libri della tesi di Alice – un saggio su Virginia Woolf.

Sono già qui? Ma non è un po’ presto per… E ceniamo da noi?

«Che sta succedendo?» anticipo mamma, che mi stava per chiedere come fosse andata a lavoro, mentre Matilde esce dal bagno.

«Abbiamo deciso di fare una cena qui, tanto il tavolo per ospiti è già aperto» mi risponde Arianna, scrollando le spalle.

Vado in camera e prendo un cambio, prima di farmi la doccia. Il lato positivo è che sarà una serata più informale di ieri, posso tranquillamente mettermi i jeans e una maglia carina, senza dover per forza indossare i tacchi.

Prima di infilarmi sotto il getto dell’acqua, mando un messaggio a Daniele per avvisarlo, perché immagino che anche lui sia all’oscuro di tutto. Mi lavo e mi rivesto, poi passo qualche minuto a sistemare il trucco e ritorno al salone, dove tutti sono più o meno come li avevo lasciati. L'unica sostanziale differenza è che mio padre ha acceso la televisione e che Matilde è in cucina insieme a mia madre e Arianna, che chiacchierano e cucinano.

Almeno sembra che Matilde sia simpatica a tutti. Vado a posare i vestiti messi per lavoro in camera e li riappendo all’armadio. Li indosserò di nuovo domattina, e poi via in lavatrice.

Daniele mi chiama per sapere se sta andando tutto bene e gli rispondo di sì.

«Senti, per domani… Abbiamo un problema: mio padre ha guà prenotato in un posto, a prescindere dal fatto che gli ho detto che noi di solito andiamo tutti insieme da una parte con la squadra… E pretende che ci sia anche tu.»

«Non puoi dirgli che non se ne parla?»

«Io posso dirgli quello che mi pare, ma non mi darebbe retta. L’unica speranza è di vincere e andare a cena fuori con la squadra, magari così capisce che per lui non ci sono e non rompe i coglioni.»

Dovremmo vincere a priori, non solo per questo motivo…

«Dani, scusa, ma non si è fatto vedere per tutta la stagione e arriva proprio ora? Non capisce di essere inopportuno?»

Ride, amaramente. «Non gliene frega un cazzo

Dovevo immaginarlo. «Domani ci pensiamo, intanto per questa sera possiamo stare tranquilli.» Provo a rassicurarlo, sperando che funzioni. Perde le staffe facilmente, ma non saprei come potrebbe comportarsi con un padre dittatoriale… Per me è inconcepibile che un genitore si comporti in questo modo con i figli, a cui dovrebbe voler bene e a cui dovrebbe andare incontro secondo le loro necessità. O forse i miei mi hanno abituata troppo bene.

«D’accordo… Io e Pippo siamo quasi a casa, ci cambiamo e veniamo da voi. Stanotte resto da te? O non vuoi che sappiano che dormiamo insieme?»

Non è ironico, me lo sta chiedendo sul serio. «Dani, secondo me lo sanno che andiamo a letto insieme, non è che dobbiamo nasconderglielo.»

«Amore, sei tu quella riservata… Non ridere, Pippo! Scusa, è un imbecille…»

In realtà, che Filippo rida fa sorridere anche me. Con lui diventa tutto più leggero, persino parlare di cose serie. Anzi, persino il pensiero che ascolti me e il mio ragazzo che ne parliamo mi fa sentire più leggera, perché lui sa sempre smorzare la tensione.

Alice impreca inciampando nel portaombrelli davanti la porta di casa, come sempre, e poi sento delle risate provenire dagli altri. Riesce a essere comica anche suo malgrado.

Chiudo la telefonata con Daniele e vado nel salone, dove però mi aspetta una brutta sorpresa. La mia coinquilina è tornata dal bar insieme a tre persone. Una è Cristina, gli altri sono due uomini che non conosco. Uno dev’essere Stefano, l’altro – quello dall’aria più antipatica – il padre di Daniele e Matilde.

Lei me li presenta entrambi. Il suo futuro marito sembra proprio il tipo squallido che immaginavo da come me ne parlava Daniele, per quanto non mi faccia una cattiva impressione.

Alberto Palanca, invece, mi stringe la mano nel preciso tentativo di stritolarmela, ma resisto senza emettere fiato. Penserà anche lui – come Cristina in un primo momento – che mi sia appropriata di suo figlio senza chiedergli il permesso?

Matilde prova a sollevarmi dall’impaccio, salutandolo con eccessivo entusiasmo, tanto che Alice inarca un sopracciglio confusa, quasi volesse chiedermi se sta fingendo. Chino appena il capo come per risponderle di sì, poi prendo il telefono e scrivo al mio ragazzo per avvertirlo della simpatica improvvisata.

Gli uomini trovano subito un terreno di intesa comune iniziando a parlare prima di basket, poi spostando un po’ il discorso sul campionato di calcio, che non seguo e che non mi interessa. Mio padre tifa Inter, ma è un tifo molto più pacato rispetto a quello per la Vulnus.

 

Leggo il messaggio di Elena mentre sono in macchina, e mi lascio sfuggire un’imprecazione colorita che fa ridere Pippo.

«Che succede? Vi hanno organizzato una cenetta romantica a sorpresa?»

«C’è mio padre.»

«Occazzo. Chill’ è uscito for’e capa…Non gli dovevi attaccare il telefono in faccia, stamattina! Te la farà pagare…»

«Ci provasse, ci provasse a farlo davanti a Elena e ai suoi genitori. È la volta buona in cui taglio di netto i ponti con lui.»

«Dovevi farlo prima, ancora non capisco perché cazzo stai ancora studiando quello che vuole lui e non qualcosa che piace a te.»

«Non lo so neanche io… forse perché ormai ho iniziato e mi manca solo un anno. Poi posso sempre iscrivermi a qualcos’altro e continuare a studiare.»

«Ma ti ha detto qualcosa? Sa di Elena?»

«Gli ho detto che non sto con Clara come vorrebbe lui…»

«Dovremmo dirgli che è una pazza scocciata.»

Non se ne parla. «No, se lo facciamo, vuole sapere cosa è successo. Secondo te è il caso di dirgli che ti sei scopato prima lei e poi la mia ragazza?»

«Ah, allora no.»

Parcheggia poco distante dal portone delle ragazze, e andiamo a citofonare. Elena ci apre e saliamo.

«Come pensi di comportarti?» mi chiede Pippo, in ascensore.

Scrollo le spalle. «Non lo so. Se non succede niente a lei, mi farò andare bene tutto, ma se solo osa dire che non va bene per me o cazzate simili… Chissà perché non ho mai presentato una ragazza ai miei!»

«Perché tuo padre è un pazzo scocciato come Clara e tua madre non aspetta altro che andare al tuo matrimonio» risponde lui, ridendo.

La mia era un’osservazione retorica, non volevo il suo commento.

Usciamo dall’ascensore e ci accoglie uno vociare normale dall’interno della casa delle ragazze, che mi stranisce, perché niente di tutta questa situazione è davvero normale. Saluto tutti con la mano, mentre Pippo si mette a fare il giro per salutare ogni singolo presente.

Dal canto mio, preferisco evitare: si capirebbe con chi mi sento a disagio più degli altri.

Vado in camera di Elena a posare il mio zaino con il cambio per la notte – cioè, con i vestiti che indosserò domattina prima di andare a casa a prendere le cose per allenamento e partita, visto che con lei dormo nudo. Mi chiudo la porta alle spalle e mi siedo sul suo letto, mentre dal salone sento gli altri che stanno ancora chiacchierando, come se fosse tutto a posto.

Mi sembra di essere l’unico fuori posto.

La porta si riapre, ed è proprio lei. Non si è sistemata come se fossimo a cena fuori, ha solo una maglia carina sopra i jeans, e nemmeno è scollata. Sembra più che si sia messa i vestiti migliori per andare a studiare in biblioteca o per chiudersi tutto il giorno in redazione.

Ma è bella, bellissima, anche così.

«Matilde ha insistito per farmi la treccia» sorride, sedendosi al mio fianco. Mi stringe la mano e si appoggia alla mia spalla. «Volevo solo stare qualche minuto da sola con te, di là è il delirio.»

«Ti ha detto qualcosa?» le chiedo, invece, preoccupato. L’ultima delle qualità che potrebbe avere mio padre è la delicatezza – che invece è proprio ciò di cui ha bisogno lei, visto lo stress che la situazione potrebbe crearle.

«Mi ha solo stritolato la mano come se fosse una macina, ma non ho fiatato» sussurra. «Mi fa ancora male, ma non dirglielo.»

«Cazzo, Elena, mi dispiace.»

Si allunga per baciarmi sotto al mento. «Lo so, ma non è colpa tua. Sono arrivati insieme ad Alice, tua madre stava dicendo che sono entrati in un bar per prendersi qualcosa e magicamente è apparsa lei.»

«Ci credi?»

«Alla magia sì.»

Scoppio a ridere, perché era seria, ma anche Elena si lascia andare a un sorriso. E i suoi sorrisi sono sempre la fine del mondo. «Rimango lo stesso a dormire da te, non importa cosa penseranno loro.»

«Tuo padre potrebbe avere qualcosa in contrario?»

«Non mi interessa.»

«Interessa a me, sta chiacchierando con Stefano e mio padre da quando sono arrivati, e sembrano più amici di me, Arianna e Alice! Se dovesse fare qualcosa che non va, si è già guadagnato il favore dell’uditorio…»

«Vuoi prendermi il lavoro? Sono io che studio Giurisprudenza!» esclamo, cercando di rassicurarla. “Il favore dell’uditorio”… a volte parla davvero come un libro stampato!

«Dani, dico davvero.» Si alza dalla mia spalla, ma ha ancora le dita intrecciate alle mie. «Che cosa faremmo se dovesse imporsi su di noi?»

Le accarezzo il viso, scendendo lungo il collo, e le afferro la treccia, che mi rigiro intorno all’indice. «In quel caso mi imporrò io. Mi sono rotto il cazzo, aspetto solo la scusa buona per mandarlo a fanculo una volta per tutte, perché ha ragione Matilde, lui e mia madre ci fanno giocare alla famigliola felice e allargata, mentre né io né lei siamo felici insieme a loro.»

«Lei sembrava a suo agio.»

«Il merito è di Alice e Arianna. Senza di loro, starebbe peggio di me.» Abbasso lo sguardo, non voglio riportare alla mente le litigate ad Ascoli, che si sono fatte sempre più rade perché io tornavo a casa sempre meno. Non voglio sentirmi più il tredicenne che si fa comandare a bacchetta dal padre e che non sa affrontare le cose perché non ha idea di come funzioni davvero il mondo.

Aver avuto Pippo insieme a me in tutti questi anni è stata la mia salvezza: senza di lui sarebbe stato difficile riuscire a liberarmi da un ambiente che mi faceva male.

Ora quell’ambiente, però, è appena fuori dalla porta, pronto a fare del male alla ragazza che amo, per quanto a difenderci possano esserci i nostri amici.

«L’unica qualità che riconosco a mio padre è il suo essere carismatico» dico. «Per questo è un bravo avvocato, almeno in alcune circostanze. Hai ragione a preoccuparti, perché non sai quello che può fare.»

«Vorrei che non lo sapessi nemmeno tu.» Si porta una mano alla bocca, come se non avesse voluto dirlo ad alta voce. Ed è stupenda, perché sia le sue parole sia il suo gesto sono spontanei e mi fanno capire quanto tenga a me. Non ne ho bisogno, ma è un’ulteriore conferma dell’amore che lei ancora non ha detto, ma che prova nei miei confronti.

La attiro a me e la bacio. «Forse senza non sarei la persona che sono ora.»

Elena fa per dirmi qualcosa, ma è interrotta da qualcuno che bussa alla porta. Mia madre la apre senza aspettare che le sia dato il permesso e alle sue spalle vedo i tre uomini che interrompono le loro chiacchiere per guardare verso di noi.

Erano tutti convinti che ci stessimo dando da fare?

«Ragazzi, tutto bene?»

«Sì» le risponde Elena, con un filo di voce, appoggiandosi di nuovo alla mia spalla e stringendo di più le mie dita tra le sue.

Le accarezzo la schiena con la mano libera. Tutto sommato, non mi dispiace che ci abbia colto in un momento simile… Forse lei – ma anche gli altri – pensavano di interromperci in un momento intimo. Per un certo senso lo era, ma non per come l’avrebbero inteso loro.

Mamma si richiude la porta alle spalle, entrando nella stanza. «Dani, vedi di fare il bravo, tuo padre è venuto qui apposta per te e c’è rimasto male che tu non gli abbia detto niente…»

«A lui non è mai importato di quando ci sono rimasto male io per colpa sua» ribatto. Non mi scuserò e non ho intenzione di scusarmi. Sto pensando se sfancularli e rimanere qui con Elena, anche a guardarci negli occhi senza dire niente. Proverei di sicuro delle emozioni intense, ma di quelle positive, non di quelle che mi fanno incazzare.

«Amore mio, vedrai che gli piacerà, è una ragazza a posto!» Sorride all’indirizzo di Elena, che ricambia timidamente.

Non so quanto a lei importi di piacere a mio padre. Non importa a me, figuriamoci a lei…

«Allora fatelo almeno per Carlo e Lucia, lei è stata così gentile da mettersi a cucinare per tutti!»

«Avevamo solo bisogno di qualche minuto per noi» dice Elena, con tono fermo. «Non stiamo mancando di rispetto a nessuno, stiamo solo cercando di stare bene.»

Il sottinteso, neanche troppo velato, è che lei aveva bisogno di stare qui con me e di isolarsi più di quanto ne avessi io. Nonostante la calma che trasmette dall’esterno, dentro ha anche lei un turbinio di pensieri che sta cercando di mettere a tacere. Ho l’impressione che stia lottando contro sé stessa, contro quella parte irrazionale che in passato le ha procurato dei problemi.

 

Io e Daniele rientriamo al salone, dove tutti si girano a guardarci, ma nessuno dice una parola. Lo spazio è così stretto che ci si sta a malapena e a stento ci si riesce a muovere, tra il tavolo, il divano postato di lato quasi a coprire la porta della camera di Alice, e il passaggio necessario fino alla cucina.

Filippo e le ragazze stanno apparecchiando, mentre mio padre, quello del mio ragazzo e Stefano sono al tavolo, chiacchierando tra loro. Vado dritta al divano e mi ci butto sopra, senza mettermi ad aiutare per preparare la tavola. Mi perdoneranno se stasera sono poco di aiuto.

Daniele si siede accanto a me, così posso posarmi di nuovo su di lui, e mi lascia un bacio sui capelli. «Stai bene?» sussurra.

«Ora no» gli rispondo in un soffio. «Ho cercato di stare bene fino ad ora, ma non ce la sto facendo più.»

«Se devi prendere aria, dimmelo e vengo con te.»

Sorrido, senza aggiungere altro. Le dita di Daniele si serrano intorno alle mie, ha un tocco così dolce che mi fa sentire a casa. Bene no, perché ora non riesco a sentirmici, ma al riparo sì. Come se volesse farsi scudo tra me e il resto. Forse era questo di cui avevo bisogno, di qualcuno che riuscisse a darmi sicurezza.

«Elena, tu domani sei a palazzo?» chiede Stefano, allungando il collo nella nostra direzione.

Annuisco. «Sì, ma per lavoro.»

«Mi raccomando, racconta bene la partita!» scherza mio padre.

Aggrotto le sopracciglia, confusa. «Non devo mica fare la telecronaca.» Magari un giorno sì, se mi prendono a Sky

«Lasciali stare» sussurra Daniele, in modo che loro non sentano.

La serata trascorre abbastanza tranquillamente, Alberto non dà troppi problemi, anche se ho la brutta sensazione che stia sondando il terreno per capire se poter colpire uno dei figli – o tutti e due – in un ambiente che invece li mette a loro agio e li fa stare bene.

Non sono interpellata granché: le ragazze e Filippo riescono a concentrare tutta l’attenzione su di loro che sparano sciocchezze come al solito. Parlano tutti del più e del meno, il padre di Daniele racconta un po’ delle difficoltà che stanno avendo in ufficio per trovare un nuovo socio, mio padre del nuovo capo poco simpatico e Cristina inizia una conversazione con mia madre e Arianna di viaggi da fare almeno una volta nella vita.

Il tutto con Filippo e Alice che a turno si infilano in questo o quel discorso sparando cose a caso. Il culmine è quando lui dice a Cristina che se vuole andare a San Pietroburgo deve stare attenta ai coccodrilli… Daniele, al mio fianco, è scoppiato a ridere come un bambino, sia per la stupidaggine in sé sia per quanto è fuori luogo.

Al termine della cena, gli altri sparecchiano, mentre Alberto e mio padre si mettono sul balcone a prendere il caffè.

Faccio cenno a Daniele di andare in camera e lui mi segue, dopo aver lanciato un’occhiataccia a Stefano che ci stava fissando.

«Ma i tuoi sono rimasti in buoni rapporti?» gli chiedo, appena rimaniamo da soli. So che è una domanda scomoda, ma il comportamento di Cristina e del suo ex marito non mi torna con quanto mi ha detto lei tempo fa.

«Ora sì» mi risponde, sedendosi sul letto. Si manda indietro il ciuffo di riccioli dalla fronte e mi guarda. «Perché?»

«Mi è sembrato strano, sembrano solo due amici e non due che sono stati sposati…» Mi siedo al suo fianco, e gli lascio un bacio sulla guancia.

«A me è sembrato strano tutto… è andato tutto fin troppo bene. Non ci credo che è cambiato dal giorno alla notte, non quando stamattina ci ha sentiti e ha pensato che stessi scopando con Clara.»

Gli accarezzo il viso, attirandolo al mio per baciarlo. Risponde al mio bacio e mi infila la lingua tra le labbra, assaporandomi lentamente.

Delle nocche alla porta ci costringono a interrompere il bacio, così Alice entra e ci chiede ad alta voce se vogliamo il caffè, come se volesse che gli altri la sentissero.

«Ragazzi, c’è qualcosa che mi puzza» aggiunge sottovoce, avvicinandosi, e accosta la porta. «Non ho ancora capito cosa, ma Alberto non mi piace.»

«Neanche a me» mormora Daniele. «Ha qualcosa in mente.»

Torniamo al salone, giusto in tempo perché i miei genitori ci salutino.

«Volete un passaggio?» chiede il mio ragazzo.

«Non vogliamo essere di disturbo…» prova a dire mia madre.

«Dani, se tu rimani qui, li accompagno io» dice Filippo.

«Non se ne parla, tu accompagni me!» si impone Matilde, strappandomi un sorriso. Ha capito anche lei che suo fratello vuole essere gentile con i miei, e che non gli piace che sia un altro a prendersi quelle galanterie che si accolla con piacere. Nemmeno se l’altro è il suo migliore amico.

Soprattutto se ripenso che è stato proprio a causa sua che Cristina ha saputo di me e Daniele e che non l’ha presa particolarmente bene…

Alla fine i miei accettano il passaggio dal mio ragazzo, che mi saluta stampandomi un bacio sulle labbra, prima di andare via.

«Riporto tutti?» propone Filippo, guardando Stefano e Alberto. Appena loro annuiscono, aggiunge: «Fatemi sapere quando volete andare».

«Meglio non fare tardi, visto che tu domani hai la partita» gli risponde Stefano. Cinge il fianco di Cristina e le lascia un bacio sulla guancia. Allora non lo fa solo per dare fastidio a Daniele…

«Prima vorrei scambiare qualche parola con Elena.» Alberto si alza in piedi, e accenna al balcone della cucina, così lo seguo lì.

Non guardo gli altri, ma con la coda dell’occhio mi è sembrato che sul volto di Matilde si materializzasse un’espressione di puro terrore. Fa così paura quest’uomo? Per ora ho solo delle sensazioni a pelle, su di lui, ma di concreto non mi ha ancora dato da pensare…

Si richiude la porta finestra alle spalle. «Per quanto ancora hai intenzione di portarti a letto Daniele?»

Cosa? Che razza di domanda è?

«Non è una domanda sensata» gli rispondo con sicurezza, nonostante il cuore mi sia saltato in gola.

«Neanche quello che sta facendo lui. Devi essere davvero brava, se ti si stanno portando a letto tutti… Pippo ha sempre ottimo gusto, quindi non mi stupisco che ti abbia messo gli occhi addosso per primo. Bisogna essere per forza giocatori di basket per avere una chance con te?»

Avvampo dall’imbarazzo. Per fortuna c’è poca luce e non può vederlo. Non avevo fatto caso alla luce spenta della cucina, così davvero non può vedermi.

«Non so di cosa sta parlando.»

Sorride, con un’aria che non mi piace per niente. «Ti stanno trattando come una bambola da passarsi l’un l’altro, non l’hai notato? Certo, forse Longo ti piaceva anche, e forse anche Daniele ti piace davvero… D’altra parte, sono tutt’altro che disprezzabili. Ma loro cosa pensano di te? Che sei una povera ragazza in difficoltà che va aiutata? Che per te averli intorno non può essere altro che un bene? Così sono sicuri di avere qualcuno a cui dare una ripassata ogni tanto, no?»

Mi tremano le gambe. Non credo neanche a una delle sue parole, ma dall’esterno può sembrare che questa sia la verità. Daniele dice che mi preoccupo troppo, eppure ho ragione: faccio bene a preoccuparmi!

«Le cose non stanno così.» Non so nemmeno io da dove mi venga questa fermezza, perché dentro di me sento che potrei svenire da un momento all’altro.

«E con Milinkovic come hai fatto? Non concede interviste a nessuno…»

Che razza di insinuazione è? «Sono brava nel mio lavoro, tutto qui.»

«Che tu sei brava è fuori discussione… a fare cosa è facile da intuire. Ma se vuoi chiamarlo lavoro…» Sorride ancora, con un’espressione beffarda.

«Lei non mi piace per niente» dico. Faccio per rientrare, ma lui mi trattiene per un polso, e mi gira il braccio dietro la schiena impedendomi di muovermi.

«Smettila di deviare mio figlio, deve trovarsi una donna che sia alla sua altezza» sussurra al mio orecchio.

«Io non sto deviando proprio nessuno» ribatto.

Mi dà una pacca sul sedere. «Non mentire a me, signorina. So riconoscere un comportamento finto quando ne vedo uno.» Mi palpeggia lì, ma non riesco a opporre resistenza, bloccata come sono.

«Se ne vada e sparisca dalla mia vita e da quella di Daniele.»

Si allontana da me. «Almeno hai il fegato di dirmi quello che pensi, apprezzo il coraggio. Mi avrà dipinto come un mostro.»

«Si chieda perché, piuttosto.» Rientro in cucina, lasciandomelo alle spalle, saluto tutti e vado a chiudermi a chiave in camera. Mi siedo sul letto, con il cuore che mi va ancora a mille.

Sì, è un mostro. Cosa voleva fare toccandomi il culo? Pensava di potersi approfittare di me? Oppure voleva… Che accidenti voleva fare? Che faccio, lo dico o no a Daniele? Non avrebbe una reazione pacata e forse questo è proprio quello che aspetta per tagliare i ponti con lui…

Ascolto se arrivano dei suoni dall’esterno, ma gli altri rimangono in un silenzio imbarazzato. Appena sento che la porta di casa si chiude, vado ad aprire la mia chiusa a chiave.

«Che ti ha detto?» mi chiede Alice.

«In pratica mi ha dato della puttana anche lui.»

Arianna sgrana gli occhi. «E dire che sembrava quasi normale… Vuoi una camomilla?»

«No, mi metto a letto. Non penso che aspetterò Daniele sveglia, potete farlo voi?»

«Certo, tesoro, non ti preoccupare.»

Mi cambio e mi infilo a letto, ma quando lui torna ancora non mi sono addormentata. Lo sento scambiare qualche parola con le ragazze, prima di raggiungermi in camera, mentre tengo gli occhi chiusi e fingo di dormire. Non so ancora come dirgli quello che è appena successo e, soprattutto, non so se sia il caso di farlo.

Daniele si sdraia accanto a me e mi lascia un bacio sulla guancia.

 


Spazio autrice
Finalmente abbiamo visto il padre di Daniele e tutta la sua simpatia dilagante... Pensate che Elena faccia bene a nascondere a Daniele cosa è successo? O dovrebbe dirglielo?
E che ne pensate di Federica e del fatto che sarà insieme a Elena a vedere la partita?
Baci a tutti,
Snowtulip.

 

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Capitolo 38
*** Capitolo 37 ***


Mi sveglio per primo, come sempre. Elena è girata sul fianco e mi dà le spalle. Mi sporgo per lasciarle un bacio sulla guancia, ma lei si volta verso di me. Ha gli occhi gonfi.

«Che ti è successo?»

Scuote la testa. «Forse è meglio se non lo sai.»

Le accarezzo il viso, purtroppo mi sono già fatto un’idea. «Mio padre, vero? Che ti ha detto?»

Inspira e tira su con il naso, come se stesse cercando di non piangere. «Che devo smetterla di deviarti. Pensa che mi stia portando a letto mezza squadra, ha anche fatto delle insinuazioni sul fatto che Teo si sia fatto intervistare solo da me…»

Che cosa?

«A questo giro l’ammazzo davvero.»

«Non fare stupidaggini per me.»

Ricado sul letto. Ho usato un termine troppo duro. «Non lo ammazzerei sul serio, ma lo taglierei fuori dalla mia vita, stavolta definitivamente. Non doveva metterti in mezzo, non doveva permettersi di dirti niente, né di insinuare che tu…» Mi interrompo, perché è la seconda persona a dire certe cose sul conto di Elena. Se è riuscito a parlare con Clara e non ne so niente, è la volta buona che faccio un casino.

Lei non dice nulla.

«Ma tu come stai?» le chiedo. Non mi sono preoccupato della cosa più importante.

«Uno schifo. Mi viene da piangere… e se penso che dovrò venire al Palavulnus e stare lì con la possibilità di vederlo sugli spalti…»

«Vorrei che ci fosse un modo, ma non posso farlo bloccare all’ingresso.»

«Mi puoi abbracciare?» mormora.

Apro le braccia per avvolgerla, e lei si lascia stringere. Respiro il profumo dei suoi capelli, ascolto il battito del suo cuore, il suo petto che si alza e abbassa contro il mio. E mi affluisce un po’ di sangue in mezzo alle gambe, ma lascio scorrere l’impulso e rimango abbracciato a lei.

«Pensa che stia con te per debolezza… o almeno, è quello che mi ha detto. Che per me è comodo avere te e Filippo come amici» sussurra. «E che per voi sono stata solo una da ripassarsi…»

«Amore, è solo uno stronzo, non ci pensare.»

«È che… è stato veramente tremendo. Prima fa l’amicone con mio padre, poi appena lui va via mi dice quelle cose…»

«Perché è un grandissimo stronzo.»

«Mi ha fatta sentire una nullità. Gli ho dato qualche risposta abbastanza seccata e non l’ha presa bene.»

«Come l’ha presa sono cazzi suoi. A me importa di te.»

«E io ho paura. Perché ieri sera non so da dove ho tirato fuori il coraggio per dirgli che stava dicendo sciocchezze, ma se dovesse succedere di nuovo, potrei non essere altrettanto pronta.»

Le accarezzo la schiena, scaldandola. «Mi dispiace, ti avevo promesso che ci sarei stato e che non ti avrei lasciato da sola…»

«Dani, eri con i miei, non a farti gli affari tuoi in giro.»

Eh, i suoi… Non oso dirle che Lucia e Carlo mi hanno praticamente dato la loro benedizione nel caso tra me e lei le cose si facciano più serie, perché immagino come reagirebbe. «Almeno i tuoi genitori sono delle brave persone, non degli egoisti che pensano solo a sé.»

Scioglie l’abbraccio e mi bacia, stringendo il mio viso tra le mani. Schiudo le labbra e cerco la sua lingua, che si muove insieme alla mia, ed Elena si sdraia sopra di me.

«Come facciamo per questa sera?» dice, prima di affondare di nuovo la lingua nella mia bocca.

Le afferro il sedere. «Posso mandarlo a fanculo davanti a tutto il pubblico, se solo osa avvicinarsi a te?»

Si struscia contro il mio bacino, accendendo la mia eccitazione. «Non lo faresti davvero.»

«Se vinciamo, vengo nella zona dei giornalisti e ti bacio. Così lo sanno tutti e amen. Non me ne frega niente, Elena, io sono pronto a fare quel passo avanti, a dirlo al mondo intero.»

Lei si alza da me mettendosi seduta proprio sul mio basso ventre. Brutta idea, Elena, non sai l’effetto che mi fai… «Io non mi sento pronta. Forse quello che tuo padre vuole è proprio farci uscire allo scoperto, in modo che poi si scopra che sono stata anche con Filippo – anche se è una cosa che già si sapeva, visto che mi ha baciata dopo una partita – e che così si mettano in giro certe voci su di me.»

«Posso venire a fare l’intervista da te?» le chiedo, invece. «Solo da te, non vado altri giornalisti o dalle televisioni.»

Sorride. «Va bene. Ma non fare stupidaggini, non farci uscire allo scoperto.»

«Te lo prometto.»

Si toglie la maglia con cui ha dormito, rimanendo mezza nuda davanti su di me. La faccio scendere e si sdraia sul letto, offrendomi alla vista il suo seno così morbido e pieno, che subito le palpeggio, stuzzicandole i capezzoli con le dita. Mi guarda come se volesse spogliarmi, ma io sono già quasi nudo, indosso solo le mutande.

Allunga un braccio tra le mie gambe e me le sfila, prima di stringermelo e di iniziare a far scorrere su e giù la mano. Mi eccita da impazzire, ogni volta con lei è ancora come se fosse la prima. L’unica differenza è che ci spogliamo più rapidamente, ma per il resto… Ci prendiamo i nostri tempi per godere entrambi l’uno dell’altra.

Le abbasso i pantaloni e glieli tolgo piano piano, passando prima le mani sul suo culo magnifico, poi accarezzandole le cosce… e dopo averla spogliata, mi sistemo tra le sue gambe per gustare il suo sapore, perché Elena non immagina neanche lontanamente quanto mi piaccia sentirla scaldarsi sotto il mio tocco, sotto la mia lingua.

«Daniele…» sussurra, aprendosi ancora di più. Le sue dita ora giocherellano con i miei capelli, ma non mi sta spingendo più a fondo. Non serve che lo faccia. «Che passo avanti volevi fare?»

Mi alzo dal suo corpo e il mio sguardo incontra il suo. «Vuoi parlarne ora?»

Annuisce. In una situazione normale, si sarebbe già ricoperta con il lenzuolo, ma sta rimanendo nuda, mi sta offrendo lo spettacolo della sua nudità… mentre vuole affrontare un argomento serio.

«In realtà è solo un pensiero che ho fatto…» la butto lì, risalendo su di lei fino a baciarle la guancia. «Volevo proporti di vivere insieme. Però so che per te è importante l’amicizia con Alice e Arianna e che non vuoi perderle… E anche per me sarebbe strano non convivere più con Pippo. È stato solo un pensiero che ho fatto, tutto qui.»

Non si sente pronta, non credo che accetterebbe… Per questo non gliel’ho chiesto esplicitamente, per quanto l’idea di essere in una casa tutta nostra a scopare in ogni stanza senza doverci chiudere in camera, mi eccita parecchio.

«Prima anche gli altri dovrebbero sapere che stiamo insieme, altrimenti sembra sospetto» commenta lei.

«Ti preoccupi troppo del parere degli altri.»

«E a te sembra che non te ne importi nulla! Viviamo in una società, siamo costretti a relazionarci con gli altri, che ci piaccia o meno. A me non piace, però è un aspetto di cui dobbiamo tenere conto, non ci siamo solo noi due sul pianeta…»

Le palpeggio un seno, fissandola intensamente. «Sarebbe un bel pianeta, solo con noi due.»

«Se ci fossimo solo io e te, non ci sarebbe la Vulnus, tu non giocheresti a basket… E quindi come ci saremmo potuti incontrare?» sorride, adesso sì che è più tranquilla.

«Non lo so, ma sarebbe un pianeta piccolo, quindi avremmo avuto l’occasione di incontrarci, no?» La bacio, senza attendere una sua risposta, e le infilo la lingua in bocca. Voglio sentirla, mi fa stare bene e, per quanto un mondo senza basket sarebbe un mondo senza colore, Elena gliene darebbe uno nuovo, rendendomi felice persino senza lo sport a cui devo davvero tutto. Al basket devo l’avermi fatto conoscere lei.

Prendo un preservativo e me lo infilo, prima di infilarmi tra le sue gambe. Lei mi porta le braccia al collo, mentre le afferro una coscia e affondo sempre di più.

La bacio proprio nel momento dell’estasi e lei si scioglie sotto il mio abbraccio. È sempre fantastica.

Però da quello che ci siamo detti, ho capito che lei non è ancora pronta. Detesto l’idea, ma dovrò aspettare. Per ora mi va bene anche solo stringerla a me e farla godere come se fosse la prima volta.

 

Alla fine della partita, scambio uno sguardo di intesa con Federica. È andata bene e i ragazzi hanno battuto il Cedevita 97-82. È stato ancora più emozionante essere tra chi racconta – o dovrà raccontare, come nel mio caso – la vittoria.

Da lontano, vedo il nuovo stagista accompagnare il Fabbro a fare l’intervista alla televisione, vicino al campo, mentre alle loro spalle, Daniele cammina verso di me. Me l’aveva detto e ora lo sta facendo davvero.

«Fede, prendi la telecamera» dico alla mia collega, che subito si china per afferrare la macchina. Non è un grande strumento, ma per quello che dobbiamo fare noi è ottima. Mi porge il microfono, poco prima che il mio ragazzo ci raggiunga.

«Dimmi quando devo partire» mi avverte Federica, mentre mi alzo in piedi.

Mi trattengo anche solo dall’abbracciarlo, è ancora sudato per essere rimasto in campo fino all’ultimo minuto. «Bella partita.»

Daniele sorride, con un’aria spensierata che gli ho visto poche volte. «Grazie!»

Ora probabilmente sto sorridendo anche io come una scema, ma mi ha rivolto uno di quegli sguardi felici che negli ultimi giorni non gli avevo affatto visto. E vederlo così fa stare bene anche me.

Mi volto verso la mia collega. «Fede, accendi.»

Lei mi indica con le dita quando partire, facendo il conto alla rovescia.

Guardo il mio ragazzo, cercando di rimanere professionale. Per fortuna sono certa di non essere arrossita. «Allora, Daniele, che partita è stata?»

Mi allungo per farlo parlare al microfono. «Nel primo quarto ci hanno messo un po’ in difficoltà, ma siamo stati bravi a rimanere lì con il punteggio e a portarci avanti. Sapevamo che era una squadra difficile da affrontare… però siamo riusciti a fare quello che avevamo preparato, quindi va bene.»

«Hai fatto sette rimbalzi, è il tuo record stagionale. Non sei il più alto, ma sei tra quelli che la prendono di più a rimbalzo!»

Sorride, e Dio se non è bellissimo. «Ho lavorato su come migliorare, infatti mi sa che erano tutti rimbalzi difensivi… Almeno si sono visti dei miglioramenti, dai.»

«Ha vinto Gran Canaria, quindi la prossima settimana affronterete anche loro…»

«Una partita alla volta, prima abbiamo Trento sabato… Però va bene, preferivo che passassero loro perché nel girone abbiamo perso sia all’andata che al ritorno. Ora dovremo andare a giocare lì e sarà tosta, ma ci metteremo tutto quello che abbiamo.»

«Ancora complimenti per la partita, e grazie!»

«Grazie a te!»

Federica spegne la telecamera e lascio il microfono sul tavolo, accanto al mio portatile.

«Posso almeno abbracciarti?» sussurra Daniele.

Scuoto la testa. Il Palavulnus è strapieno, i tifosi sono ancora sugli spalti e solo pochi di loro hanno iniziato ad andare via. Inoltre, ho pericolosamente visto suo padre nei posti quasi a ridosso del parquet e non voglio dargli la soddisfazione di vederci mentre ci scambiamo troppe smancerie.

«Comunque piacere» dice a Federica.

«Mi aspettavo che vi sareste baciati in diretta» commenta lei.

«Se vinciamo l’Eurocup, potrei farlo!» ride lui, prima di salutarci e tornare dai compagni di squadra.

Lentamente, il palazzetto si svuota, ma io aspetto che gli spalti siano quasi deserti prima di decidermi ad andare via. Quelli della sicurezza mi conoscono, perciò mi lasciano tranquilla per conto mio. C’è stato uno spettacolo meraviglioso, e sono contenta di averlo potuto vedere con i miei occhi.

I miei mi hanno scritto un messaggio dicendomi che sarebbero andati a cena fuori. Da soli, non con i parenti di Daniele, e il pensiero che suo padre non parli con loro mi rassicura. Dopo quello che ha osato dire ieri, ci manca solo che faccia il finto gentile…

Anche il presidente e la sua famiglia sono andati via – Clara inclusa, che ho ignorato per tutta la sera. Sono stata più forte di lei e della paura che suscita al mio inconscio.

Chiedo alla moglie del Fabbro se è ancora vicino al Palavulnus per andare insieme al solito posto, ma lei mi scrive che è già arrivata.

Scusami, Ele, davvero… Mi è proprio passato di mente! Prova a raggiungere i ragazzi al pullman!

Raccolgo il mio portatile e lo infilo nello zaino, prima di correre al parcheggio. Per fortuna il pullman è ancora lì, con Niko e Filippo che stanno sparando qualche scemenza solita.

Il bosniaco si affaccia all’interno del pullman. «Pala, c’è la tua ragazza!» urla. Per sua fortuna qui ci siamo soltanto noi.

Questo non mi impedisce di avvampare dall’imbarazzo, anche se appena Daniele sbuca dalla porta anteriore mi brillano gli occhi.

«Tutto bene?» mi chiede una volta sceso e arrivato da me.

«Sì, ma non ho un passaggio.»

«Dai, ti portiamo noi!» esclama Niko. «Ma non ti ci abituare troppo! Stiamo solo aspettando il coach e Salvatore, si sono persi dentro…»

«Non dovevi seguire la conferenza stampa?» sussurra Daniele.

«No, recupero la registrazione, Federica è andata a filmarla.» Si è offerta lei, e non ho potuto rifiutare. Penso che si sia fatta una mezza idea di dove sarei andata alla fine della partita.

Salvatore e Colucci arrivano poco dopo, ma nessuno dei due pone delle obiezioni alla mia presenza. Anzi, il mio ex superiore sembra addirittura felice di rivedermi lì con loro, come qualche mese fa.

Saliamo sul pullman e appena arrivo Jemmy e Mike fanno partire un applauso, come se fossi un vecchio giocatore che non vedevano da tanto tempo.

Sorrido e li ringrazio, poi mi siedo al mio vecchio posto in terza fila, con Daniele che si sistema accanto a me.

Arriviamo al solito ristorante, e scendo insieme al mio ragazzo. Non mi tiene per mano, ma immagino che sia tentato dal farlo, solo perché la Vulnus non è l’unica ospite del posto: ci sono un paio di coppiette, alcune famiglie…

E poi, prima che entriamo nella sala riservata al gruppo squadra, mi accorgo che Alberto è insieme a Clara e al presidente della Vulnus.

Daniele se ne accorge, e ha una luce nello sguardo che non mi piace per niente. Infatti si allontana dal gruppo per raggiungerli.



Spazio autrice
Capitolo un po' pieno, tra Elena e Daniele che parlano di convivenza quello che succede al termine della partita... In fondo, Elena è rimasta in buoni rapporti con tutti, quindi è normale che siano felici di rivederla, no?
Purtroppo... qualcosa non va come previsto. Per scoprire cosa accadrà, però, dovrete attendere lunedì prossimo, perché domani parto e sono fuori tutta la settimana (e non potrò aggiornare!). Vi auguro di stare al mare e di staccare un po' la spina, in questo periodo serve tantissimo!
Bacioni a tutti,
Snowtulip.

 

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Capitolo 39
*** Capitolo 38 ***


Daniele sbatte un pugno sul tavolo. «Si può sapere che stai facendo?» Mi dà le spalle, rivolto verso suo padre.

«Che succede?» sussurra Niko, al mio fianco. Poi vede anche lui il mio ragazzo. «Oh cazzo…»

Rimane accanto a me, mentre assisto alla scena.

«Sono a cena» risponde Alberto, con pacatezza. Poi allunga lo sguardo e mi vede. «La vera domanda è cosa stai facendo tu invece di sederti qui con noi.»

Mi sento impallidire, e temo che le gambe possano non sorreggermi più.

«A noi farebbe piacere» aggiunge Clara ma invece di guardare lui sta puntando gli occhi su di me. «Invece di stare con una che si sono già fatti tutti…»

«Non ti permettere.» Daniele scandisce lentamente ogni sillaba. «Non ti devi azzardare mai più.»

Il presidente della Vulnus invita tutti a calmarsi con un cenno delle mani. «Non è il caso di scaldarsi.»

«L’unica cosa che si deve scaldare è la tua ragazza, no?» Alberto accenna a me. «Tanto per ora serve solo a quello, fino a quando capirai che stai perdendo tempo con lei. Vai a consolarla, così poi potrai ripassartela ancora fino a quando non ti sarai stufato. Te lo concedo, un pensierino ce lo farei anche io…»

Mi sento venire meno. Non può averlo detto davvero, non davanti ad altre persone, non di fronte ad Alfredo Mantovani…

Le gambe mi reggono a malapena e la testa inizia a girarmi, come se avessi bevuto un litro di vino.

«Ele, stai bene?» La voce di Niko mi arriva come distante. Allungo una mano verso la parete, mi sento completamente intontita.

Non va bene, non va bene per niente…

«Mi accompagni fuori?» sussurro.

Forse si dicono altro, sento che Daniele quasi grida, ma non afferro le parole. Fatico già di mio a mettere un passo dietro l’altro.

L’aria fresca all’aperto mi aiuta, per quanto non mi faccia stare meglio. Ma almeno la vista non è più sfocata verso l’esterno e mi sento un po’ di più padrona dei miei sensi.

Della mia paura no, perché il cuore batte forsennato.

Mi appoggio a un muretto che circonda una quercia enorme e tocco i mattoni dietro di me con le mani.

«Sei incinta?» mi chiede Niko, a voce bassissima. Per lui dev’essere la spiegazione più probabile.

Scuoto la testa. «Attacco di panico. Pensavo di non averne più… da quando sto con Daniele sono quasi spariti.»

«Il padre è una merda, non devi credere alle cazzate che dice» prova a rassicurarmi.

Ma non mi sento per niente tranquilla.

«Scrivo a Sasha e le dico di portarti un bicchiere d’acqua?»

Annuisco, incapace di alzare lo sguardo dalla ghiaia davanti a me. Le lacrime premono per uscire dagli occhi, era stata una bella giornata, stavo bene, stavo finalmente bene… E ora questo.

Non ci voleva.

Niko si siede sul muretto, accanto a me. «Quando ho firmato con la Vulnus ero un po’ nervoso. Ero consapevole che stavo andando in una squadra che credeva in me e che mi avrebbe garantito non solo di giocare, ma anche di avere ambizione. E io ne avevo parecchia, mi credevo un fenomeno. Però… Appena sono entrato nella sede e ho visto la foto di mio padre e di Alex Moore che alzavano la Coppa Italia, mi sono sentito un verme. Sai, inutile. Mio padre era stato un grandissimo giocatore e lo aveva fatto qui, aveva scelto la Vulnus tra tutte le squadre che gli offrivano un contratto. E mi sono chiesto se sarei stato alla sua altezza, perché sono pur sempre il figlio di Matej Tomic… Poi ho iniziato a uscire con la figlia di quell’Alex Moore amico e compagno di squadra di mio padre e l’aspettativa è come raddoppiata, come se dovessi dimostrare non solo di saper stare in campo, ma anche di meritare l’amore di Sasha.»

«Perché me lo stai raccontando?» La domanda è spontanea, nonostante conoscessi già la sua storia e sapessi dei rumors sulla sua relazione con la sua ragazza, non me ne aveva mai parlato. Lo sapevo perché tifo Vulnus e ho dei ricordi nitidi di quella Coppa Italia e della Supercoppa, che abbiamo vinto un paio di anni dopo, nonostante fossi ancora piccola.

«Perché quando uno sta male per… be’, per quello che hai avuto, distrarlo può aiutare» mi risponde, semplicemente.

«Un po’ mi hai aiutato… quindi grazie.»

«Figurati.»

Un suono di passi proviene dall’interno del ristorante, insieme a quello di altre voci che prima non riuscivo a sentire. O che forse il mio cervello si rifiutava di sentire, proteggendomi in questo modo. La testa ha smesso di girare e il battito si è un po’ calmato.

«Tesoro, che succede? Dentro è un casino…»

Arianna?

Sollevo lo sguardo per essere certa di non avere un’allucinazione. È proprio lei, che mi sta porgendo un bicchiere ricolmo d’acqua.

«Che ci fai tu qui?» le chiede Niko, sorpreso.

«Sto con Marco.»

«Marco? Avete finito di bombarvi i miei amici? Adesso scopro che Alice è etero e si fa Pippo a nostra insaputa?»

Per ridere sputo l’acqua che stavo bevendo. Per fortuna non avevo nessuno davanti!

«Sei sempre il solito…» lo rimbecca Sasha, ma anche lei e Arianna stanno ridendo.

Svuoto il bicchiere in un solo sorso, con gli occhi degli altri puntati su di me.

«Che sta succedendo dentro?» chiedo.

Le ragazze si scambiano uno sguardo preoccupato. Arianna mi accarezza la schiena con dolcezza. «Credo che Daniele stia rinfacciando al padre tutto ciò che ha sbagliato nella sua vita. Poi non ci stavo capendo granché, ma ho sentito che parlava di un esame…»

Oh, no

«Magari se lo leva dal cazzo per sempre» commenta invece Niko.

«Elena, tutto bene?» Anche il coach ci ha raggiunto qui. «La squadra è preoccupata, sei sparita e volevano tutti venire a controllare come ti sentissi…»

La squadra. Tutto questo casino è scoppiato solo perché mi sono avvicinata troppo alla squadra, per la mia faccia tosta che mi ha spinta a propormi alla Vulnus. È colpa mia, tutto questo è solo colpa mia.

«Potreste accompagnarmi a casa?» chiedo, con un filo di voce.

«Certo.» Nikola scende dal muretto e guarda Sasha. «Puoi rimanere qui e dirlo a Pala? Ci pensiamo io e Arianna.»

Lei fruga nella borsa ed estrae le chiavi della macchina, che gli porge. Poi mi dà un mezzo abbraccio. «Non farmi preoccupare troppo.»

Sarà meglio che vada a casa, che stia in pigiama e che mi faccia una camomilla. Se Daniele vorrà sapere come sto, potrà sempre raggiungermi.

 

Mio padre mi guarda stralunato, come se non credesse a una singola parola di quello che ho detto. Se davvero non mi crede, può testimoniarglielo il Fabbro, l’unica altra persona che lo sa – escluse Elena e Matilde, a cui non credo che darebbe alcun credito.

Non so come sono arrivato a sputargli in faccia dell’esame che ho toppato per la sua adorata Clara Sironi, ma ora mi sento più leggero. Dovevo liberarmi di questo peso e l’ho fatto. Anzi, domattina mando anche una mail alla segreteria per fare la rinuncia agli studi. Non sono sicuro di cosa voglio studiare, ma sono certo che Giurisprudenza mi ha rotto il cazzo.

Mai quanto me l’ha rotto lui, però.

Torno di nuovo padrone di me e mi accorgo di aver attirato l’attenzione di più persone di quante avrei desiderato. Per fortuna eravamo in una delle sale più piccole e raccolte, ma questo non ha impedito ai miei compagni di squadra e ad alcune delle loro compagne di ascoltare. Non mi importa, però.

Il dettaglio più importante di cui mi accorgo è che Elena non c’è. Dov’è finita? Si è spaventata quando ho alzato la voce? Ha avuto un attacco di panico?

Sono un coglione, dovevo preoccuparmi per lei.

Faccio per uscire all’esterno – se si è sentita male sarà di certo lì – ma Sasha mi blocca.

«Niko l’ha portata a casa. Ci stanno pensando lui e Arianna.»

«Che le è successo?»

«Non lo so… Lui mi ha solo chiesto di portarle un bicchiere d’acqua, ma non mi ha detto altro.»

Cazzo, no. So cosa significa.

«C’era anche Arianna con loro?»

«Sì, era venuta per Marco, stanno insieme.»

Non replico nemmeno per dirle che lo sapevo. Nonostante il passaggio del turno in Eurocup, stasera mi è passata del tutto la voglia di festeggiare.

«Ho bisogno di andare da lei.»

«Daniele… Non so se lo vuole.»

Prendo il telefono dalla tasca e le mando un messaggio mentre cammino verso l’esterno. “Elena, come stai?

Male. Ma sono quasi a casa, mi faccio una camomilla e mi metto a letto.”

Posso venire da te? Mi sono preoccupato appena non ti ho più vista.”

Sì, vieni.”

Tiro un sospiro di sollievo, poi guardo Sasha. «Niko ha preso la vostra macchina, vero?»

Non voglio rientrare, non voglio rischiare di incontrare di nuovo mio padre, ma per fortuna Teo esce dal ristorante e ci vede.

«Cos’è successo?»

«Puoi portarmi da Elena? Sono a piedi.»

Annuisce. «Andiamo e mi racconti.»

Mi dà una pacca sulla spalla e lo seguo fino alla sua auto. Gli spiego il motivo della discussione con mio padre, lui già sapeva del mio esame andato male, gliene ha parlato il Fabbro.

Impiego tutto il tragitto parlando, fino a quando lui non accosta davanti al portone delle ragazze. Lui non dice niente, ma mi fa cenno di scendere.

«Non hai un suggerimento?»

«Pala, la conosci meglio di me.»

Scendo e citofono, mentre lui riparte. Arianna mi apre, così salgo con il cuore in gola. Non so come la troverò, non riesco a immaginare quale sia il suo stato d’animo.

Mi lasciano la porta accostata e così entro. Elena è seduta al tavolo per ospiti, accanto a Niko che le sta dicendo qualcosa, mentre Arianna è in piedi davanti a me.

Mi siedo al suo fianco, mentre gli altri due vanno in cucina lasciandoci soli. «Come stai?»

Lei appoggia le labbra alla tazza e beve un sorso bollente. «Male. Hanno provato a tirarmi su di morale, ma non è quello il problema.»

Rivolge lo sguardo verso di me, ha gli occhi lucidi, piangerà da un momento all’altro. E io mi sento così stupido, così impotente…

«Elena, mi dispiace, non avrebbe dovuto dire quelle cose…»

«Non avresti dovuto neanche tu.» Deglutisce, e una lacrima le riga il viso.

«Gli ho detto che non deve più parlarmi, non deve più cercarmi e deve sparire dalla mia vita. Ha già fatto soffrire me e Matilde, non voglio che lo faccia anche con te.»

«Non si tratta di questo.»

«E di cosa?»

Si asciuga il viso, ma inutilmente visto che continua a piangere. «Ti avevo chiesto discrezione.»

«Lo so, scusami… Non ci ho visto più.»

«Daniele, ti avevo chiesto una cosa sola. Non mi sento ancora pronta a farlo sapere a tutti e tu fai una scenata in pubblico. Ti sembra il caso?»

Mi guarda, con gli occhi gonfi e mi fa sentire un verme. Ha ragione, ha ragione su tutto, ma…

«Avrei dovuto lasciare che dicesse quelle cose su di noi? Su di te? Davanti al presidente?»

«Non lo so.» Abbassa il viso, arrossendo. «Il punto è che mi sono sentita esposta, come un oggetto. Io ti amo e tu mi hai fatto sentire così.»

«Tu mi ami?» Non me l’aveva mai detto e la sua ammissione mi fa sentire ancora di più un deficiente.

Annuisce, con altre lacrime che le scorrono sulle guance, senza guardarmi. Beve un altro sorso caldo dalla camomilla e poi si volta verso di me. «Per questo, credo, sto così male. Non è stato solo l’attacco di panico, ma anche quello che riguarda noi due. Non pensavo che sarei stata a pezzi per colpa tua.»

Mi colpisce come una pugnalata. Non volevo e le ho fatto del male. «Elena, mi dispiace… Farei qualsiasi cosa per te, per tenerti al sicuro… E ho perso la testa, non avrei dovuto, se potessi tornare indietro non lo farei di nuovo, mi controllerei.»

«Ne sei sicuro? Non aspettavi altro che l’occasione giusta per sfancularlo, e appena è capitata l’hai colta. Non hai pensato a me, ma a te. Avresti potuto scegliere qualsiasi altro momento, prenderlo da parte domattina e spiegargli che non vuoi più vederlo né sentirlo e che stavolta è per sempre.»

Abbasso lo sguardo, non riesco neanche a dirle che ho perso il controllo, perché non mi crederebbe, non quando lo mantengo persino nelle peggiori situazioni. Mio padre riesce veramente a tirare fuori il peggio di me. E ora quel peggio mi sta… mi sta allontanando da Elena?

«Cosa posso fare per rimediare?»

«Non lo so. Mi sento uno schifo e non è colpa di tuo padre. Lui ha detto delle cose orribili, ma sei stato tu a farmi agitare di più.»

«Elena, davvero, mi dispiace… Sarò più attento, non perderò più la testa, non darò più di matto…» Se non risultassi ridicolo, mi inginocchierei a chiederle perdono.

Si morde il labbro, come se stesse cercando di non dire quello che pensa. Si pizzica un dito, come fa quando è nervosa.

«È stata colpa mia» sussurra, riesco a malapena a sentirla. «Se non mi fossi mai proposta per la Vulnus niente di tutto questo sarebbe mai successo.»

«Colpa? Con tutte le cose belle che sono successe negli ultimi mesi?»

«Questo…» Abbassa di nuovo lo sguardo. «Questo sovrasta tutto e mi fa stare di più uno schifo. Puoi lasciarmi da sola, per questa notte?»

Ho un brutto presentimento. «Non vorrai lasciarmi, vero?»

«Non lo so. Devo schiarirmi le idee e con te vicino non ci riesco.»

Le do un bacio tra i capelli. «Va bene. Se avrai bisogno, per qualsiasi cosa, chiamami. Anche in piena notte e corro qui da te. Ti amo.»

«Ti amo anche io» sussurra lei, senza guardarmi. O forse ho solo immaginato che lo dicesse.



Spazio autrice
Vi aspettavate questo risvolto? Ora che succederà?
Secondo voi Daniele ha fatto bene oppure avrebbe dovuto controllarsi? Al suo posto penso che nemmeno io ce l'avrai fatta...
Finalmente sono tornata operativa, e gli aggiornamenti saranno costanti fino al termine della storia (non manca molto!). Che dite, è valsa la pena di aspettare un'intera settimana?
Buona settimana e baci a tutti,
Snowtulip.

 

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Capitolo 40
*** Capitolo 39 ***


Esalo un profondo sospiro, prima di spingere verso l’interno la porta del bar di Alice. Immagino che Daniele sia già arrivato, è sempre puntuale nonostante io oggi abbia spaccato il minuto. Sono le nove precise, come mi indica l’orologio appeso al muro.

E lo vedo, è la prima persona che cattura la mia attenzione. Non posso non notarlo con quel metro e novanta e i ricci che gli ballano sulla testa, mentre parla con Alice, che sta preparando dei cappuccini per i soliti anziani già seduti ai tavoli.

Lo raggiungo e lui mi fa cenno di sederci a un tavolino distante dagli altri occupati, verso la finestra che dà verso il cortile interno, dove di solito ci sono altri tavolini, ma che con il cielo grigio di stamattina non sono apparecchiati. Siamo isolati da tutti gli altri.

Aspetto che Alice passi da queste parti e le chiedo se può prepararmi una cioccolata con la panna. Mi ci vuole.

Daniele mi osserva con attenzione, senza dire nulla. Vuole che sia io a parlare per prima. Quando eravamo stati qui, dopo che avevo capito i suoi sentimenti per me, la situazione era un’altra. Soffrivo per lui, ma perché ero convinta di non poter ricambiare.

E ora soffro proprio perché lo ricambio.

Alice ci porta le tazze, quella di lui è con un cappuccino scuro con una stella disegnata sopra la schiuma con la polvere di cacao. Mi fa un cenno come a dirmi di non fare ciò che sto per fare e se ne torna al bancone. Daniele, per fortuna, non se ne è accorto.

Mi porto la tazza calda alle labbra. Ne avevo davvero bisogno.

«Stai meglio?» sussurra lui.

«Un po’.»

Allontana indietro un ciuffo di riccioli dalla fronte. «Sei riuscita a dormire?»

Mi mordo la lingua. Si preoccupa per me… Ero venuta per lasciarlo e si preoccupa per me e non mi dice neanche una parola su come sta lui.

«Sì, più o meno.»

«Mi dispiace. Di averti dato dei pensieri, di averti causato un attacco di panico… Elena, mi dispiace di tutto.»

Forse ha capito perché sono tanto silenziosa e vuole farmi cambiare idea. Mi osserva assorto, con la stessa espressione adorabile di sempre. Quella che aveva la sera del suo compleanno, quella che aveva mentre mi diceva di andare a letto con Filippo, quella che aveva quando ha dovuto chiamare Matilde per dirgli che non sarebbe andato in nazionale.

È un amore di ragazzo e io sto per spezzare il cuore a entrambi.

«Dispiace anche a me… Non mi sono mai sentita così in colpa.» Fa per dire qualcosa, ma lo anticipo. «Sì, Daniele, è colpa mia. Tutto quello che è successo, da novembre in poi, è colpa mia. Ho sbagliato a fare il colloquio con la Vulnus, ho sbagliato ad assecondare Filippo, ho sbagliato… a innamorarmi di te.»

«Elena, sono stati i mesi più belli della mia vita. E non dire il contrario, lo sono stati anche per te.»

Abbasso lo sguardo. Ho avuto dei momenti felici, tanti momenti felici… Ma ho paura che il mio futuro sia in bilico. «Hai pensato a cosa potrebbe succedere se la mia carriera va a gonfie vele e viene fuori quello che è successo ieri sera? Non bastavano le cazzate di Marco paparazzato fuori dal mio portone, quello nemmeno mi riguardava… Ma questo sì. Io non voglio che la mia vita debba essere condizionata da persone che nemmeno mi conoscono. Non in questo modo, non lo accetto.»

«Mi dispiace, davvero, tornassi indietro non lo farei mai.» Posa una mano sulla mia e reprimo l’istinto di ritrarla. «Vuoi lasciarmi per questo?»

«Sì.» Mi mordo la lingua, mentre sento le lacrime che premono per uscire. «Nemmeno tu meriti una persona che ti dia tanti problemi quanti te ne do io.»

«Problemi? Che cazzo dici, quali problemi? È mio padre il problema, è quella pazza sclerata di Clara il problema! Tu non lo sei.»

Scoppio a piangere, perché sento che niente di tutto quello che sto facendo è giusto. Niente di tutto questo lo è.

Daniele si alza e sposta la sedia accanto alla mia, per stringermi a sé. Non dice niente, mi lascia affogare tra le lacrime, limitandosi ad accarezzarmi la schiena e a lasciarmi un bacio tra i capelli.

«Quello che mi fa più male è sentirti convinta. Tu sei davvero convinta di essere un problema, ma se nella tua vita hai incontrato solo degli stronzi che ti hanno ferita, non posso farci niente. Posso prendermela con me stesso, perché sono stato l’ultimo, ma ti assicuro che non voglio farlo di nuovo.»

«Non puoi esserne certo.» Mi scosto da lui e poso i miei occhiali sul tavolino. Appoggio i gomiti e nascondo la testa tra le mani. «Se avessi voluto controllarti, l’avresti fatto. E non l’hai fatto.»

«Era l’ennesima stronzata che usciva dalla bocca di mio padre, non ce l’ho fatta. Lo so, avrei potuto e ne sono perfettamente in grado, ma non ci sono riuscito, non ieri sera.»

Non dico nulla, perché se ne rende conto da solo. Bevo un sorso di cioccolata, mentre lui si rimette di fronte a me.

«Quindi vuoi lasciarmi?»

«Secondo me è la soluzione migliore, quella che sul lungo termine farà bene a tutti e due.»

«Stai dicendo una stronzata.»

«Scusa?»

Si manda ancora una volta indietro i riccioli, cercando di tenerli a bada dietro l’orecchio, poi beve tutto il cappuccino. «Stai scappando. Quando vedi un problema, invece di affrontarlo ti tiri indietro. Hai fatto così anche con Pippo, ti sei rifiutata di parlargli per un mese piuttosto che accettare che si fosse comportato da imbecille e l’hai fatto anche quando hai iniziato a soffrire di attacchi di panico! E sei scappata anche da Roma, piuttosto che affrontare la tua migliore amica e il tuo ex! Ora non stai facendo lo stesso? Non mi stai respingendo, stai scappando da me. Da me, cazzo, che ti amo! Per te non significa niente?»

«Non si tratta di questo…»

«No? E allora di cosa si tratta? Ho commesso un errore, ma tu vuoi un ragazzo perfetto che non ne faccia? Non vuoi accettare che anche io sbaglio? Elena, sbagliamo tutti e di certo qualcosa nella vita l’hai sbagliato anche tu! E non è stato il colloquio alla Vulnus il tuo errore!»

Il mio errore è lasciarlo, anche se il cervello mi dice che è la cosa più razionale da fare.

«Daniele, io…»

«Tu cosa? Ieri hai detto che mi ami e ora questo?»

Non mi dà il tempo di dire niente, prende la giacca e va a pagare il conto, prima di uscire sotto la pioggia.

Scoppio di nuovo a piangere, lasciando cadere le lacrime dentro la cioccolata.

 

Niko mi aspetta parcheggiato in una via traversa. Ho dormito da lui e Sasha, non ho avuto il coraggio di tornare a casa e vedere Matilde. Sicuramente Pippo le avrà raccontato tutto, non riesco a pensare di dover affrontare anche lei.

«Allora?» mi chiede, rimettendo via il telefono appena entro in macchina. «Sasha è preoccupata per tutti e due.»

«Fa bene.» Abbasso lo sguardo, non ci credo neanche io. «Mi ha lasciato.»

«Ma è matta?» Mette in funzione la Jaguar e parte.

«No. Da un certo punto di vista la capisco, si sta proteggendo…»

«Da te? Non dire cazzate, dai.»

«No, non da me. Da sé stessa. Io ho sbagliato, lo so perfettamente, ma non ho intenzione di farlo di nuovo. Se ci fosse un modo per farle cambiare idea… Era a pezzi, ma ha deciso lei di stare male.»

«Però così fa stare male pure te.»

«Sto cercando di non pensarci.» Mi ama, mi ama e mi ha lasciato nonostante questo. «Dobbiamo proprio andare all’allenamento?»

«Lo spieghi tu a Colucci che è successo? Dai, Pala, è solo un defaticante, staremo lì per poco e solo in palestra.»

Mi vibra il telefono in tasca. Mio padre. Attacco.

«Che testa di cazzo.»

«Ma chi, il coach?»

«No, no. Mio padre ha provato a chiamarmi. Non ha ancora capito che non mi rivede più.»

«Gli basta venire a palazzo per vederti.»

«Non sei di aiuto.»

«Scusa.»

Arriviamo al centro di allenamento mentre sta ancora piovendo, ma Niko parcheggia lo stesso all’aperto. Esco sotto la pioggia, e mi appoggio alla portiera chiusa. Non ho per niente voglia di entrare dentro e allenarmi.

Non ho voglia di fare niente.

Mi ha lasciato.

Mi arriva un messaggio da Arianna. “È l’intervista che ti ha fatto ieri… Non so se te l’ha mandata Elena, ancora non è tornata a casa” con allegato un link. Lo apro, e mi basta rivedere il suo viso che guardava il mio per lasciar scivolare una lacrima.

Era felice anche lei, erano gli ultimi momenti in cui lo saremmo stati.

Non mi sono nemmeno accorto che non mi sto più bagnando per la pioggia. Niko si è messo accanto a me con un ombrello giallo fosforescente.

«Sono un coglione, dovevo dirle che non può lasciarmi.»

«Non avrebbe aiutato. Capirà da sola che hai fatto una cazzata.»

Tiro su con il naso. Non pensavo che avrei pianto, eppure ora non riesco a fermarmi. Se è andato tutto a puttane con lei, è anche colpa mia. Elena mi ha lasciato, ma le ho dato io la possibilità di farlo.

Continuo a essere convinto che lei stia scappando, ma non so quanto rincorrerla sia una buona idea. Potrebbe finire a odiarmi, potrebbe non voler avere più nulla a che fare con me. E quello sarebbe anche peggio della rottura.

Perché se le cose restano così, potrò almeno vederla tra i giornalisti quando ci sono le partite. E solo vederla sarebbe comunque qualcosa.

«Pala, vedrai che Elena ci ripenserà» prova a consolarmi Niko. «Sa che le vuoi bene, sa quanto sei innamorato… Cose così possono succedere.»

Scuoto la testa. «Era molto decisa e io… io non so nemmeno come si fa a farle cambiare idea. Non mi era mai importato di una ragazza così tanto. Mai. E ho paura che qualsiasi cosa faccia sia la mossa sbagliata. Non posso prevedere come reagirà lei, pensavo che dormendoci su avrebbe capito che…»

Non riesco a finire la frase, perché mi ritrovo a singhiozzare come un bambino. Nikola mi dà qualche pacca sulla schiena, ma non mi dice di muoverci ad andare dentro. Una volta ha detto che non sapeva come si sarebbe sentito se Sasha lo lasciasse…

Faccio partire ancora il video dell’intervista, senza audio. Possibile che ora mi resti solo questo? Non è giusto, non lo merita nessuno dei due.

Mi arriva un messaggio da parte di Alice. “Daniele, come stai?

Male.”

Mi dispiace. Se hai bisogno di qualsiasi cosa, sai dove trovarmi.”

Non rispondo. Cosa le dovrei dire? Che ho bisogno solo che Elena cambi idea? Che si accorga di aver fatto una cazzata, forse la più grande della sua vita?

«Che state facendo sotto l’acqua?» Il coach ci sorprende, facendomi trasalire. Deve aver notato l’ombrello dall’interno, perché non ho visto altre macchine che arrivavano.

Ha anche lui un ombrello, ma molto più sobrio di questo.

«Mi sa che Pala non ce la fa oggi» dice Niko, serio. Stavolta non mi prende in giro.

Il coach mi posa una mano sulla spalla. «Se vuoi andare a casa, vai, per oggi non fa niente.»

Lo ringrazio ed esco da sotto l’ombrello, incamminandomi sotto la pioggia. Copro i capelli già zuppi con il cappuccio e vado a piedi verso casa. Poco distante mi passa accanto la macchina di Teo con dentro anche Léo, ma non mi fermo a salutarli.

Non ho voglia di vedere nessuno, voglio solo prendermi l’acqua e sparire dalla circolazione. Per fortuna ho le chiavi di casa, altrimenti sarei rimasto fuori o sarei stato costretto ad andare da Sasha.

Ma a casa c’è Matilde… spero di non vedere né lei, né nessun altro che mi ricordi quanto sono stupido. Già mi sento un imbecille per conto mio.

Ho sbagliato, avrei dovuto convincerla che la amo, ricordarle cosa ho fatto per lei, come sono stato mentre lei stava con Pippo… E invece no, ho rispettato così tanto i suoi spazi e le sue decisioni da accettarle. L’ho rispettata troppo? Non lo so, secondo me il rispetto non è mai abbastanza, o c’è o non c’è.

Mi sarei dovuto imporre, ma l’avrei fatto? Non ho neanche bisogno di rispondermi.

Continuo a camminare, ma invece di andare a casa mi dirigo verso il centro della città. Non ho voglia di vedere nessuno, spero che mia madre e Stefano abbiano già levato le tende e siano tornati ad Ascoli. Matilde rimane ancora per qualche giorno e segue le lezioni dell’università da remoto.

Non so se ci sono i genitori di Elena in giro, ma immagino che non sappiano niente di tutto quello che è accaduto ieri, non credo che lei gliene abbia parlato. E forse se gliene parlasse, si convincerebbe ancora di più che lasciarmi sia stata la cosa giusta, visto che ci vedono bene insieme e che lei si sentirebbe oppressa da ciò che pensano gli altri.

Si fa condizionare troppo, invece di godersi le cose belle. E non riesco a credere che con me sia stata male, non ci casco. Non può prendermi in giro, ho imparato a capirla come se fosse un’estensione di me.

«Daniele, amore!» Mamma?

Mi volto, lei è affacciata sotto il portico da un bar che ho appena superato. Come diavolo ha fatto a riconoscermi? Ho il cappuccio che mi nasconde i capelli e mi sono anche messo lo scaldacollo fin sopra al naso!

Mi fa cenno di avvicinarmi e lo faccio, quanto basta per vedere che dentro mio padre e Stefano stanno parlando amichevolmente. Mi hanno schifo tutti.

«Ciao» la saluto atono, poi faccio dietrofront e riprendo a camminare. Come fa a frequentarlo ancora? Come può chiamarmi come se niente fosse in mezzo a una strada e fingere che non sia successo niente?

Io sto a pezzi e per loro è tutto normale?

Mi segue, sento il rimbombo delle scarpe sul pavimento lastricato. «Dani, aspetta!»

Mi fermo solo per permetterle di raggiungermi. «Non ho niente da dirti. C’è quello stronzo, lì dentro, e se dico che non voglio più vederlo, non voglio davvero più vederlo. Non mi rimangio la parola.»

«Che ti è successo? Hai gli occhi gonfi…»

«Ho un padre di merda, ma tranquilla che va tutto bene.» Scosto la sua mano che voleva asciugarmi il viso. Non ho bisogno di cure amorevoli, né tantomeno delle sue. «Sono ancora un bambino e vado a fare la bambinata di prendermi la febbre mentre cammino sotto la pioggia. Buon rientro ad Ascoli.»

Me la lascio alle spalle e allungo la falcata, stavolta ignorando i suoi passi che cercano di non farmi allontanare. Non ho bisogno di lei, ho bisogno di una famiglia normale, una che mi voglia bene senza volersi imporre su di me.

«Matilde mi ha detto di ieri!» grida. «Mi dispiace!»

Alcuni ragazzi, diretti verso la città universitaria, mi superano. Sono le uniche persone in giro con questo tempo, esclusa una coppia di anziani con il cane.

«Non è vero!» grido di rimando, mentre lei si avvicina. «Non è vero che ti dispiace, a te Elena nemmeno piaceva. E ora sarai contenta, no?»

«Vi siete lasciati?» mi chiede, incredula, una volta che mi ha raggiunto. «Papà ha detto solo che è sparita nel nulla…»

«Era quello che volevate tutti e due: che sparisse. Ora lasciami stare.»

Faccio per andarmene, ma lei mi stringe la mano. «Stefano non la pensa come lui, sta provando a convincerlo.»

Stefano? L’unico che ha preso le mie difese è quel verme? «Questo non cambia niente. Dopo quello che le ha detto, non penso proprio che possa tornare indietro e fare finta di nulla. E nemmeno io. Anzi, io non voglio fare finta di nulla. Ringrazia Stefano, ma non serve.»

Mando un messaggio ad Arianna.

Ti prego, dimmi che Elena è lì da te e che ci sono i suoi.”

Dani, no… Mi dispiace, qui ci sono solo Carlo e Lucia, Elena è tornata e uscita cinque minuti fa, non so dove è andata.”

Blocco lo schermo. Chissà dove sarà finita…



Spazio autrice
Lo so, adesso mi starete odiando. Ma sappiate che ho sofferto anche io nello scrivere questo capitolo...
Sottolineo solo due cose di questo capitolo: la vicinanza di Alice e Niko ai loro amici e la comprensione del coach.
Secondo voi Elena cambierà idea? E Daniele che combinerà?
Purtroppo siamo quasi alla fine... e dico purtroppo perché mi sono affezionata tantissimo a tutti quanti e non vorrei mai smettere di scrivere di loro. Ho già scritto il capitolo 40, sto scrivendo il 41 e credo che dopo mancherà solo l'epilogo, giusto per farvi capire a che punto siamo.
Baci a tutti e grazie della lettura,
Snowtulip.

 

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Capitolo 41
*** Capitolo 40 ***


Non l’ho trovata da nessuna parte, ma ammetto che non ho saputo dove cercarla. Sono passato alla biblioteca all’università dove si metteva a studiare, ho vagato per strada come un disperato, ma non ho avuto il coraggio di andare alla redazione del Gazzettino e aspettarla all’uscita.

Mi avrebbe preso per uno stalker fuori di testa e non voglio che pensi niente del genere su di me.

Vorrei solo incontrarla, vederla… E sapere che mi ha perdonato.

Forse mi basterebbe solo questo: il perdono. So di essere stato un imbecille, un coglione in piena regola, ma sono il coglione che si è innamorato di lei e che non ha idea di come comportarsi.

Arrivo a casa solo verso l’ora di cena, zuppo dalla testa ai piedi e senza aver mangiato. Ho spento il telefono dopo aver parlato con Arianna, non volevo più sentire nessuno.

Apro la porta, trascinandomi a fatica per i piedi che galleggiano nelle scarpe. E non ho tutta questa voglia di camminare come si deve.

Matilde mi stritola in un abbraccio, preoccupata, poi porta entrambe le mani sulle mie guance. «Dani! Ma che diavolo hai fatto? Dove eri finito? Vuoi accendere il cellulare invece di sparire? Ti prendi la febbre, ridotto così…»

«Sì… chissene della febbre. Elena mi ha lasciato.»

«Lo so. Ti chiederei come stai, ma lo vedo da me…»

«Una merda. Il coach mi ha beccato a piangere mentre Niko mi copriva con l’ombrello…»

Mi strofina la guancia, come se fossi un bambolotto a cui fare da mamma. «Vai a farti una doccia calda, conciato così hai preso sicuramente qualcosa.»

Starnutisco, e mi tolgo la giacca per posarla intorno a una delle sedie del salotto per farla asciugare. Con la coda dell’occhio vedo qualcuno muoversi nell’angolo cucina, immagino che sia Pippo, così non ci bado più di tanto e mi chiudo nel bagno.

Mi spoglio velocemente, lasciando tutti i vestiti sul pavimento. Ci penserò poi, ora possono anche fare la muffa. Non mi interessa di niente.

Non mi laverei nemmeno, se non sapessi che Matilde mi spingerebbe a forza sotto la doccia. Faccio scorrere l’acqua bollente sulla pelle, lava via la stanchezza della giornata, il sudore appiccicato… ma non le lacrime. Non il dolore.

Esco in accappatoio e a piedi scalzi, ma subito fuori ci sono le mie ciabatte. Ho il sospetto che sia merito di mia sorella, ma la sento parlare con un’altra voce femminile. Alzo lo sguardo.

Matilde è in cucina insieme a Lucia e stanno armeggiando intorno ai fornelli. Pippo, invece, fissa intensamente il bollitore acceso nel salone, cioè nell’unico posto in cui c’è una spina che non dia fastidio a loro due.

«Quanto zucchero ti ci devo mettere?» mi chiede, appena lo raggiungo.

«In che?»

«Ma che ne so, tua sorella è andata a comprare una di quelle tisane rilassanti… Facciamo amara come la vita?»

Scrollo le spalle. È indifferente.

Vado a cambiarmi in camera, e quando ritorno lo trovo ancora lì, ma stavolta intento a versare l’acqua in una tazza.

«Ti ci ho messo lo zucchero, amara farebbe davvero schifo.»

Mi siedo al tavolo e lui mi porge la tisana. «Farebbe tutto schifo.»

«Ti ha lasciato davvero?»

Annuisco. Sento ancora gli occhi gonfi e temo che potrei ricominciare a piangere da un momento all’altro.

«Ma solo perché ha avuto un attacco di panico?»

«Perché gliel’ho procurato io.»

«Ah.»

Soffio sulla tazza e me la porto alle labbra. Bevo, mentre sento una mano gelida toccarmi la fronte.

«Dani, sei bollente.» Matilde si gira verso Pippo. «Avete un termometro o devo correre in farmacia prima che chiuda?»

«Non mi misuro la febbre!» esclamo, mentre lui si alza e va a recuperarlo dal bagno. «La smettete di trattarmi come un bambino, tutti quanti?»

«Io non ti tratto come un bambino!» mi rimprovera lei. «Ma come qualcuno a cui voglio bene e che sta male. Non sei stato in grado di prenderti cura di te per tutta la giornata, qualcuno deve pur farlo.»

«Non me ne frega niente.»

«Frega a me, ora sta’ zitto e misurati la febbre.»

Lei e Pippo mi costringono a sedermi sul divano, avvolto da una coperta di lana e con il termometro sotto l’ascella. Mi sembra di essere tornato il ragazzino che rimane a giocare a basket anche sotto la pioggia piuttosto che tornare a casa.

Eppure, oggi non ho toccato neanche un pallone. E, cosa peggiore, non mi è pesato.

Mi sono annullato completamente.

«Non ti ho mai visto così» commenta Pippo, a bassa voce.

«Non sono mai stato così.»

«Che pensi di fare?»

«Non lo so. La amo, ma se lei non vuole stare con me, non posso costringerla.»

«Stai facendo quello che ho fatto io, ma peggio. Io non la volevo abbastanza, tu la stai lasciando andare.»

Mi tolgo il termometro. Cazzo, ho trentotto e mezzo

Lucia me lo prende dalle mani. «Adesso ti metti a letto e ti scaldi.» Mi accarezza il viso, con aria preoccupata e afflitta allo stesso tempo. «Per fortuna stavamo già preparando un brodo caldo per i tortellini, ti aiuterà.»

La guardo. Non è costretta a fare tutto questo per me, eppure lo fa. Non sono abituato e forse per questo non so come reagire alle cure di una figura materna. «Grazie.»

Mi sorride, con lo stesso sguardo compassionevole che aveva Elena quando mi sono infortunato alla caviglia. «Non sto facendo niente di straordinario.»

Vado in camera e infilo le gambe sotto la coperta. Sulle spalle ho ancora l’altra che avevo sul divano. Lucia non immagina neanche lontanamente quanto per me sia straordinario avere un genitore che si prende cura di me. Anche se il genitore non è mio.

Pippo entra e mi porta un’altra trapunta pesante che sistema sul letto, fissandomi. «Quando starai meglio, che farai con Elena?»

«Non lo so. Perché c’è sua madre?»

«Perché nessuno sapeva dove fossi. Sono tornato dopo l’allenamento e mi aspettavo di trovarti qui ma non c’eri. Ho fatto un giro di telefonate tra… be’, tra Arianna e Alice, per sapere se eri da loro o al bar, ho anche chiamato Sasha, perché non sapevo se fossi addirittura andato da lei e Niko, e tua madre. Mi ha detto che ti ha incontrato e che ti sei incazzato anche con lei. Sono uscito a cercarti, ma se non sei al centro sportivo, non so dove trovarti. Speravo solo che non avessi fatto qualche cazzata. Ho detto a Matilde di restare qui se fossi rientrato, ma quando sono tornato c’era Lucia. Voleva sapere anche lei che fine avessi fatto. E visto che pensava che non avessi neanche mangiato, è andata a fare un po’ di spesa e si è messa a cucinare il brodo per i tortellini.»

Termina di parlare e si siede accanto a me.

«Elena come sta?»

«Non ne ho idea. Lucia ha detto solo che quando è tornata a casa si è chiusa in camera ed è uscita a farsi un giro sotto la pioggia. Poi è tornata di nuovo e si è chiusa in camera un’altra volta. Arianna le ha portato una camomilla ma non le ha detto niente. Secondo me stava piangendo ma o Arianna o Lucia non ce l’hanno detto.»

Scuoto la testa. «Perché vuole stare male?»

«Dani, ma io che ne so. È Matilde quella che capisce le persone… Cosa vi siete detti?»

«Le ho detto che sta scappando, come è scappata da te, dal suo ex del liceo…»

«Il suo ex del liceo?»

Cristo, lui non lo sa.

«Una storia vecchia… In pratica si è lasciata con il suo ragazzo del liceo perché lui la tradiva con la sua migliore amica. E non vuole tornare a Roma perché lei studia nell’università e nella facoltà che avrebbe scelto lì.»

«Che due teste di cazzo» commenta semplicemente. «Come si fa a essere così stronzi?»

«Ma con Elena, poi… Aveva paura che i suoi sapessero di noi perché trattavano lei e il suo ex come se un giorno si sarebbero sposati. E pensava che con me sarebbe stato lo stesso.»

Non so perché mi sto lasciando andare a tutte queste confidenze, lui non ne sapeva niente, non gli ho mai parlato della parte più intima e personale del rapporto tra me e lei.

«Non mi sembra che ti trattino stranamente… Cioè, Lucia è apprensiva ed è corsa qui solo per te, ma l’avrebbe fatto anche mia madre. E non credo che lei ci voglia sposati!»

Scoppio a ridere, ma cerco di controllarmi quando proprio lei entra in camera stringendo una tazza fumante tra le dita.

«Ti ho portato un po’ di brodo» dice porgendomela.

«Grazie.» Prendo la tazza bollente e me la porto alle labbra. Non avevo mai mangiato un brodo così buono… o forse è solo la febbre che mi dà allucinazioni. Però sa di casa, ed è strano che un cibo cucinato da una persona che conosco poco mi dia questa sensazione.

«Tra un po’ vi vengo a chiamare per la cena.» Fa per andarsene, ma la richiamo.

«Lucia… Elena come sta?»

Mi sorride dalla porta, con aria triste. «Sta meglio di te, ma solo perché tu sei a pezzi e ammalato. Lei è solo a pezzi.»

«Cambierà idea, vero?» le chiedo, mentre sento che potrei piangere di nuovo. Ma che mi prende?

«Credo di sì. E lo spero per entrambi.»

«Grazie per… insomma, per tutto.»

Sorride ancora una volta. «Riposati.»

«È gentile» commenta Pippo a bassa voce appena ci lascia da soli. «Vedendo lei e Carlo, capisco molte cose di Elena. Sono due persone buone, e lo è anche lei… Anche se le hanno fatte cose brutte, sia il suo ex e l’amica, sia quella pazza di Clara… E mi sa anche io.»

«Ma tu non volevi farle del male.»

«No, no. Ma quello che si è messo in mezzo a una coppia che doveva stare insieme sono io. E visto che le ho dato qualche pensiero, che Clara si è messa in mezzo per colpa mia… Indirettamente, ma le ho fatto del male.»

«Quindi pensi che gliene abbia fatto anche io?»

«No. Non è colpa tua quello che le succede nella testa, è una cosa che deve risolvere lei. Mati mi ha spiegato come funzionano queste cose, è una cosa che riguarda solo lei. Tu puoi esserle di supporto, ma non puoi liberarla, deve farlo da sé.»

«Quando te l’ha spiegato?»

«Ieri sera. Sono tornato a casa, era passata anche a me la voglia di stare a cena fuori e le ho detto che è successo.»

«Quindi sa tutto e non devo raccontarle niente?»

«Già.»

«Menomale.» Mi porto ancora una volta la tazza calda alle labbra, e mi lascio ancora cullare dalla sensazione che Lucia si sia presa cura di me. È una sensazione strana, eppure piacevole.

«Appena stai meglio, dovresti andare da lei.»

«Non voglio passare per uno stalker.»

«Ma va, mica lo sei. Puoi solo chiederle di parlare e convincerla che la ami.»

«Sa già che la amo, non serve che glielo dica ancora.» Svuoto la tazza e gliela lascio in mano, prima di sdraiarmi sotto le coperte pesanti.

«Posso chiamarla e dirle che stai male? Non male per lei, ma perché ti sei preso la febbre?»

«No, penserebbe che sono un disperato.» Mi giro su un fianco e chiudo gli occhi, addormentandomi.

 

La partita contro Trento è in trasferta, così non sono inviata lì per seguirla, visto che il Gazzettino mi manda solo a quelle in casa. Fuori sta piovendo a dirotto, non fa altro da giorni. E dire che sembrava che la primavera fosse al suo splendore…

Si sono anche abbassate le temperature, tanto che ho preparato la coperta da tenere addosso mentre guardo la Vulnus. I miei sono tornati a Roma ieri mattina, quindi dovrò vederla da sola, almeno finché non torna Alice dal bar. Io e Arianna abbiamo già cenato e lei si è sistemata al tavolo per provare a mettere in fila qualche parola per la tesi.

Mi preparo una tisana bollente e ne faccio una anche per la mia amica, poi lascio la sua sul tavolo e porto la mia insieme a me sul divano, cercando di non farla cadere. Riesco a mantenere l’equilibrio e poso la tazza a terra, prima di stendermi e di coprirmi con la coperta. Riprendo la tazza e ascolto il prepartita, con i telecronisti che commentano qualcosa sulla formazione della Vulnus.

Mandano il quintetto base e non c’è Daniele titolare accanto a Teo, ma il Fabbro. Dalle immagini del riscaldamento non lo vedo e mi preoccupo. Gli è successo qualcosa?

La cosa più sensata da fare sarebbe chiedere ad Arianna se ha parlato con Matilde, ma invece prendo il telefono e scrivo a Salvatore.

Perché Daniele non è in panchina?

La sua risposta non si fa attendere. “Ufficialmente è fuori per febbre… Ma non so se posso dire il vero motivo.

Febbre? Colucci non lo porta perché ha la febbre? Ho visto una marea di giocatori febbricitanti fingere di non avere niente…

Non serve che metta in dubbio le parole di Salvatore, perché so qual è il motivo che non può rivelare.

È colpa mia, vero?

 “Temo di sì. Non si vede in allenamento da giovedì. Ha davvero avuto la febbre, ma dovrebbe essersi ristabilito… Ma Pippo ha detto che non se la sentiva. Il coach ci ha parlato e gli ha concesso di rimanere a casa per questa volta. Mi dispiace, Elena, anche per lei.

Lo ringrazio per la spiegazione, mentre Alice entra in casa inciampando sul portaombrelli.

«Li mortacci de ‘sto coso!»

Arianna scoppia a ridere, ma io la sento a malapena. Ho gli occhi fissi sulla televisione ma non, come sarebbe normale, sulla palla a due, bensì sul gruppo della panchina accanto a Nando Colucci: Daniele non c’è.

Daniele non c’è.

Si è preso la febbre, è stato male… E ha avuto la batosta di non avere più me accanto a lui.

Mi mordo il labbro, cercando di non piangere. Aveva ragione su tutto, ma non mi ha dato il tempo di dirglielo. Aveva ragione quando diceva che stavo scappando, eppure non riuscivo ad accettarlo perché ero convinta di star prendendo la decisione migliore per entrambi.

Sono stata a pezzi, perché Daniele è la persona che mi fa stare meglio su tutto il pianeta e l’ho allontanato da me. Non ho più avuto il coraggio di richiamarlo, né di scrivergli. Mi sono limitata a rileggere i nostri messaggi, anche se qualche volta lo vedevo online… Neanche lui, però, mi ha più contattata in alcun modo.

Forse anche lui ha riletto i nostri messaggi quotidiani e ha sentito la mia mancanza. Sono stata una codarda, un’altra volta.

Non avevo il coraggio di lasciare Filippo ma ho avuto quello di lasciare Daniele. Avevo più paura di essere felice che di altro.

Non penso neanche più a suo padre, a quella sfuriata che gli ha fatto davanti ad altre persone, né l’attacco di panico che la scena ha scaturito in me. Non penso neanche alle illazioni imbarazzanti sul mio conto pronunciate ad alta voce da lui e Clara. O alla sua mano che ha provato a tastarmi.

Penso solo a come la voce di Daniele mi facesse stare bene.

Sono due giorni che ho l’umore sotto i piedi, che mi sento la testa pesante e che cerco di non svenire da un momento all’altro. In ufficio mi hanno vista pallida e un po’ sottotono, ma solo Federica ha intuito cosa mi fosse successo.

Alice si siede all’altro capo del divano ed esulta per un canestro in schiacciata di Mike. Poi mi guarda e si accorge che non ho mosso ciglio. «Vedrai che dopo entra, se non sta giocando…»

«Non è a Trento» la interrompo. «Colucci gli ha detto che poteva restare a casa.»

«Per te?»

«Per me.»

Non le dico nemmeno della febbre, forse l’avrà presa per andarsene in giro sotto la pioggia. L’ho fatto anche io, dopo che ci siamo lasciati, solo che ho avuto l’accortezza di portarmi l’ombrello. Daniele neanche ci avrà pensato.

Guardo con le lacrime agli occhi una tripla del Fabbro finire a canestro e mi viene in mente che anche lui tira in quel modo, nonostante abbia delle percentuali molto più basse.

Qualche minuto più tardi, Jemmy prova a difendere su uno degli avversari, allunga un po’ troppo la mano nel tentativo di rubare il pallone e commette fallo. Daniele sarebbe riuscito a prenderlo e a rilanciare l’azione.

Sospiro, prima di soffiare sulla tisana. La partita sta diventando un incubo, nonostante sia prevedibile la nostra vittoria. Penso a lui in ogni azione, lo vedo in ogni possesso palla che Teo gestisce in maniera diversa da lui, in ogni azione difensiva di Mike, addirittura nei tiri di Filippo…

Quando Léo firma il più quindici per noi a un minuto dalla fine, Alice esulta alzando le mani, ma io ho le guance rigate di lacrime. È stata la partita più difficile della mia vita di tifosa.



Spazio autrice
Vediamo il lato positivo: Elena si è accorta di aver fatto una sciocchezza colossale. E quanto è dolce sua madre con Daniele? In parte lei aveva ragione, li stanno trattando come se fossero una coppia destinata a sposarsi... ma possiamo dar loro torto?
Ha ragione Filippo: erano destinati a stare insieme. Lo state rivalutando, vero?
Siamo a un passo dalla fine, sono emozionatissima!
Baci a tutti e buona domenica,
Snowtulip.

 

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Capitolo 42
*** Capitolo 41 ***


«Quindi vai via?» Federica mi scruta assorta, mentre gira lo zucchero davanti alla macchinetta del caffè.

Inserisco i soldi per il mio tè e annuisco. «Stamattina ho firmato con Sky, mi fanno fare l’inviata per le partite di Eurocup della Vulnus. Mi permettono di lavorare da freelance nel frattempo, così posso scrivere degli articoli anche per altre redazioni.»

Aver aggiornato il profilo su LinkedIn mi è stato utile: ho ricevuto diverse offerte serie, anche da alcuni giornali di livello nazionale. Con alcuni ho già lavorato mentre alleggerivo il mio carico al Gazzettino, quindi già mi conoscono se in futuro vorranno altri pezzi scritti da me.

«E con lui come la metti? Se segui la Vulnus…»

Scrollo le spalle. «Non lo so.»

«Se posso permettermi, hai sbagliato a lasciarlo.»

«Lo pensano anche le mie amiche.» Alice e Arianna hanno provato a dirmi di richiamarlo, sto sotto un treno da più di una settimana. Per fortuna la partita vinta contro Gran Canaria era in trasferta, così non sono andata fin lì e non ho avuto contatti con la squadra.

Gli unici contatti sono stati con Niko e Sasha, che mi hanno scritto un paio di volte per sapere come stavo, e ho risposto a entrambi che sto provando ad andare avanti. Devo averli spaventati, quella sera, ma non mi ha dato fastidio che si siano preoccupati.

«Dovresti dirgli almeno che sarai di nuovo vicina alla Vulnus… perché se fai l’inviata sarai più vicina di quanto lo sia ora.»

Non replico, perché dall’ufficio con la mia postazione esce lo sgranocchiatore seriale che si prende un pacchetto di biscotti alla macchinetta con il cibo. Bevo il mio tè in un solo sorso e saluto Federica con lo sguardo, prima di tornare al lavoro.

Rileggo una decina di articoli, e mi ritrovo costretta a riformulare quasi tutte le frasi di uno che trattava di economia. Più gli articoli entrano nello specifico di argomenti tecnici e meno sono comprensibili, ma come fanno? Neanche fossero professori universitari, quelli parlano una lingua tutta loro!

Il libro di uno dei professori di Daniele aveva una sintassi tutta sua, quello sì che aveva bisogno di una correzione di bozze fatta come si deve!

Chiudo il computer e mi porto le mani alle tempie.

Daniele.

Qualsiasi cosa faccia, sta diventando impossibile non pensare a lui. Non ho più le lacrime agli occhi ogni volta che nella mia mente si affaccia il suo nome, ma non riesco ad allentare una stretta allo stomaco. Mi manca.

Mi manca e hanno ragione tutti quanti: ho sbagliato a lasciarlo.

Raccolgo le mie cose, stamattina lavoro in redazione per andare al Palvulnus nel pomeriggio. Stasera contro Milano sarà una di quelle partite complicate da affrontare…

Mi affaccio all’ufficio di Federica e lei alza gli occhi verso di me. «Mi serve supporto tecnico, dopo, ci sei?»

Annuisce e le do appuntamento a più tardi.

Lascio l’edificio e passeggio lungo la via di casa. Spero che la partita vada bene, che Daniele giochi e che non sembri il gemello sbiadito che si è visto in Spagna… Ha fatto davvero male, persino peggio di quella volta in Supercoppa in cui però, secondo me, non era stato tanto tremendo quanto gli aveva urlato Colucci.

Forse era la febbre, stava ancora smaltendo il fatto di essere stato poco bene, ma non ci credo molto. Tanti giocatori giocano con qualche linea di febbre e sul parquet il più delle volte non si vede… Temo di essere io la responsabile di quel calo terrificante.

Niko diceva che da quando stavamo insieme era rinato e se questo è l’effetto che gli fa essersi allontanato da me… Anche io sono sottotono, ma cerco di tenermi a galla. Se lavorassi male, mi manderebbero via, mentre nessuno alla Vulnus si sentirebbe mai di rinunciare a lui.

Può permettersi partite disputate da schifo, io non posso concedermi nemmeno di staccare il cervello e di soffrire pensando a lui e a quello che gli ho fatto. Che ci ho fatto.

Mi manca, mi manca terribilmente, ma sono troppo orgogliosa per tornare sui miei passi. E Daniele mi rispetta troppo per imporsi sulla mia decisione.

Non è come con Filippo, con lui che mi aveva lasciata andare e io che, tutto sommato, ho scoperto di esserne solo attratta fisicamente.

Stavolta la rottura è peggiore, perché Daniele mi faceva stare bene, mi faceva sentire al sicuro. Per quanto il mio lavoro stia per avere un risvolto in positivo come desideravo, non mi sento bene.

Nonostante la presenza delle ragazze, che sono sempre insieme a me, io mi sento sola.

Mi sento vuota.

Torno a casa, e scambio a malapena qualche parola con Arianna, mentre Alice è già al bar per il turno del pomeriggio. Prova a tirarmi su, a dirmi qualcosa, ma non serve a granché. Sa anche lei che se mi chiudo nel silenzio il motivo è lui.

Aveva ragione, sto scappando, ho paura di tutto quello che non mi fa stare bene. Cerco di tagliare alla radice i problemi, per questo li evito. Per questo sono sempre stata una persona solitaria, perché mi crea meno danni. Per questo non sono più riuscita a legarmi davvero a qualcuno.

Ma con Daniele era diverso, era tutto diverso. Persino i miei sentimenti, che non si sono affievoliti con il passare dei giorni: al contrario, mi sembra che si siano rafforzati nonostante l’assenza.

Nonostante la lontananza.

Mi manca. Mi manca ed è colpa mia se non stiamo più insieme. Ed è colpa mia se sta soffrendo anche lui.

Quando Federica mi passa a prendere per andare al Palavulnus, sono ancora taciturna e ho le lacrime sul punto di uscirmi dagli occhi. Non le dico niente, ma lei intuisce lo stesso che cosa mi è preso.

Arriviamo presto e ci sistemiamo nella zona stampa mentre le squadre entrano in campo per il riscaldamento. Mi siedo e guardo con attenzione i ragazzi. E anche loro ogni tanto mandano occhiate nella mia direzione, come per controllare come stia.

«Elena, alla fine della partita le mando Pala.» Salvatore ci ha raggiunte al nostro tavolino e mi ha posato una mano sulla spalla. «Non so se vuole essere intervistato, ma credo che verrebbe lo stesso.»

Annuisco. «Va bene, non si preoccupi.» Una parte di me, neanche tanto piccola, sta sperando che venga da me e che mi dica qualcosa. Qualunque cosa.

Federica mi dà una leggera pacca sulla spalla, in segno di complicità, ma neanche ci faccio caso. Daniele si sta scaldando poco davanti rispetto a noi e per lunghissimo istante i suoi occhi chiari incontrano i miei.

 

Andiamo all’overtime con Milano, ma non basta per farci vincere: 97-95 per loro. Affianco Mike per applaudire i tifosi, che si sono fatti sentire per tutta la partita, poi invece di seguire gli altri nello spogliatoio, vado di filato in mezzo alla zona dei giornalisti, dove prima ho visto Elena. All’intervallo lungo Salvatore mi ha detto che era d’accordo nel vedermi, spero che non abbia cambiato idea.

«Ehi» le dico, senza sapere come salutarla. Mi dà le spalle parlando con la sua collega, che mi indica con il mento e prende la telecamera.

Si volta e mi guarda. Rimango imbambolato a fissarla perché mi accorgo subito che, nonostante il trucco e l’aspetto normale, non sta bene neanche lei. Ed è bella nonostante questo.

Mi sento ancora una volta il deficiente che sperava che si accorgesse dei miei sentimenti e in qualche modo è ancora così: spero che ritorni sui suoi passi e che capisca che lasciarmi è stata una pessima decisione.

Elena mi rivolge un sorriso, che è solo di cortesia e non davvero sentito. Prende il microfono, come a chiedermi se va bene fare un’intervista.

Annuisco. Se rispetto alla partita con il Cedevita sembrerò più giù di corda, chiunque la veda penserà che dipende dal risultato finale e non dal mio rapporto con l’intervistatrice.

Si alza in piedi e la sua collega accende la telecamera. «Daniele, un commento su questa partita?»

Mi gratto la guancia. «È difficile dare un giudizio, perché abbiamo giocato bene e siamo andati all’overtime contro una squadra più forte di noi… Abbiamo provato a dare il massimo, ma stavolta non è bastato. Ci sarebbe servito che entrasse dentro almeno una delle triple che sono finite fuori e staremmo parlando di un’altra partita.»

«Si può ripartire dall’atteggiamento, eravate sotto di dieci e avete rimontato durante l’ultimo quarto.»

«L’atteggiamento è sicuramente l’aspetto migliore. Avremmo potuto difendere un po’ meglio, io per primo perché ho fatto qualche stupidaggine di troppo. Però ci è di lezione e impareremo per le altre partite.»

«Ti ringrazio.»

La collega di Elena spegne la telecamera e lei mi guarda, come se volesse dirmi qualcosa. Si pizzica l’indice con le unghie, non sa nemmeno lei come salutarmi.

Così prendo io l’iniziativa. «Possiamo parlare? Quando hai finito qui, intendo. Non torno con Pippo, ti aspetto al parcheggio e ti riporto a casa.»

Si guarda intorno, incerta, ma alla fine mi fa cenno di sì.

«Allora a dopo.»

Rientro nello spogliatoio, ma non sento nemmeno cosa sta dicendo Colucci a tutti quanti. Non riesco a smettere di pensare che Elena ha accettato di parlarmi. E ora che le dico? Ho immaginato per giorni questo momento, non ho fatto altro che desiderare con tutto me stesso che accadesse… E non ho la più pallida idea di come andare da lei e implorarla di perdonarmi.

Il coach finisce di catechizzare un po’ tutti, e così riesco a dire a Pippo che dovrà tornare con Niko, perché la macchina serve a me.

«Se vai da Elena, non è detto che ti apra, magari vuole dormire» commenta, con una smorfia. Non gli è andato giù il modo in cui mi ha lasciato, pensa che avrebbe dovuto darmi un’altra opportunità. A suo dire, lui ha meritato di essere scaricato in quel modo, io no.

«Ha detto che le va bene parlare, quindi la accompagno a casa» gli spiego.

Mi dà una pacca sulla spalla e poi le chiavi della macchina. «Allora buona fortuna.»

Sono il primo a uscire, perché non voglio che altri vedano che sono con lei. Elena non farebbe altro che pensare a quello che penserebbero e tutto il mio proposito di farmi perdonare da lei andrebbe a farsi benedire.

Sono ancora convinto che, quella sera, niente mi avrebbe potuto trattenere dall’incazzarmi con mio padre e che lei stia scappando da me e dai problemi. E che non accetti il fatto che in una coppia possano esserci dei litigi che portino avanti il rapporto.

La trovo in disparte, vicino all’Audi di Pippo che stasera guido io. È in piedi, con lo zaino sulle spalle e la tracolla con il portatile in mano. Si dondola da una gamba all’altra senza nascondere un po’ di tristezza sul viso, anche se prova a mascherarla dietro a un sorriso gentile appena mi vede.

Il mio primo istinto è di baciarla, ma probabilmente mi ucciderebbe. Le prendo la borsa con il computer e la poggio in macchina, poi la abbraccio. Si lascia stringere, senza respingermi né attirarmi ancora di più a sé.

Si lascia stringere, e sento il suo cuore che batte contro il mio, il suo respiro agitato che prova a calmarsi con il mio e il suo profumo di fiori che mette sempre.

«Ti prego, scusami. Ti amo, e vorrei fare qualsiasi cosa per rimediare. Ti amo, Elena, non ho mai amato nessuno come te. Ti prego.»

Sono ridicolo, la sto davvero implorando. Mi guarderà ancora una volta come se fossi un cucciolo abbandonato per strada di cui prendersi cura…

Lei inspira ed espira, stringendosi a me. Sta cercando il contatto fisico o mi sto illudendo?

«No, Dani.»

Come sarebbe a dire?

Sciolgo l’abbraccio e la guardo, ma lei tiene il mento basso e non riesco a vederle il viso. Glielo sollevo e scopro che sta piangendo. «In che senso no

Si morde il labbro e un’altra lacrima le scivola lungo la guancia. «Nel senso che sei tu a dover perdonare me. Avevi ragione, stavo scappando e non mi sono accorta di quanto male avrei fatto a tutti e due.»

Le accarezzo il viso, cercando di asciugarglielo. Mi trattengo dal baciarla, perché è bellissima persino con il trucco colato e gli occhi gonfi, e io non so che altro fare per farle sentire ancora di più che ci sono, che sono qui con lei. «Non importa, Elena, se torniamo insieme non importa di chi è la colpa. Abbiamo sbagliato entrambi, siamo pari.»

Mi porta le braccia al collo, abbracciandomi di nuovo. «Mi è stato di lezione. Mi serviva qualcuno che mi dicesse le cose come stanno, perché io non volevo ammettere che sono una codarda.»

La stringo a me, facendo scorrere le mani lungo la sua schiena. «Non lo sei, ti stai solo proteggendo. In futuro, però, permettimi di aiutarti. Ti amo e farò tutto quello che posso per non farti stare male. Te lo prometto.»

Elena si scosta da me e mi guarda fisso negli occhi. «Ti amo anche io, Daniele. E sì, potrai aiutarmi sempre, perché io da sola faccio stupidaggini colossali.»

Mi abbasso per baciarla e lei si sporge in alto per raggiungere più in fretta la mia bocca. Le sue labbra non hanno perso nulla della loro morbidezza, forse sono un po’ screpolate, ma non fa niente. Affondo subito la lingua cercando la sua, mentre la stringo ancora di più a me.

Quanto mi sei mancata.

Le porto una mano sul culo e lo palpeggio ben bene da sopra i pantaloni, spingendo Elena contro di me e il sangue mi affluisce in mezzo alle gambe. Se non fossimo in un luogo pubblico, forse l’avrei già spogliata. Abbiamo tutta la notte per poterlo fare e per recuperare i pochi giorni in cui non siamo stati insieme.

Pochi giorni… eppure a me pesano come se fossero stati un secolo.

Lei scioglie l’abbraccio e mi guarda fisso negli occhi. «Allora è tutto come prima?»

Scuoto la testa. «Non può essere come prima, non dopo quello che ci è successo. Ma sarà meglio, perché entrambi abbiamo capito dove abbiamo sbagliato.»

Sorride e si appoggia al mio petto, senza dire nulla.

«Ti riaccompagno a casa?»

«No, Dani. Vieni a dormire da me, che è ben diverso.»

La bacio ancora una volta su quelle labbra carnose che mi fanno impazzire, poi le apro la portiera della macchina. Ci sediamo mentre gli altri iniziano a raggiungere le loro automobili per tornare a casa – o almeno, quelli che ce le hanno parcheggiate qui e che non devono passare da fuori per riunirsi a mogli, fidanzate e figli.

Teo lancia un’occhiata nella nostra direzione e fa una smorfia che assomiglia a un sorriso. È strano vederlo sorridere, lui che ha sempre un’espressione impassibile sul viso.

Prima di accendere il motore, guardo Elena. «Siamo come la partita di oggi. Ci abbiamo messo qualche tempo per finire insieme, ma poi abbiamo recuperato tutto e poi… siamo andati all’overtime. La settimana scorsa ci hanno fatto perdere, ma le prossime partite che giocheremo insieme le vinceremo tutte.»

Sorride, meravigliosa, e sembra che abbia ritrovato un po’ di quella luce che me la fa amare tanto. Si sporge per lasciarmi un bacio sulla guancia. «All’overtime si può vincere o perdere, ma bisogna dare tutto quello che si ha. E te lo darò, Daniele, mi impegnerò a fare del mio meglio per non perderti mai più.»

Faccio partire la macchina, con un sorriso ebete stampato in faccia.

Bastava parlarsi e chiarire che non riusciamo a vivere l’uno senza l’altra. Abbiamo avuto solo una partita persa, ma il campionato da giocare insieme è ancora lungo.

E con lei voglio vincere tutti i miei campionati, anche a costo di andare all’overtime ogni volta a di dover faticare di più.


Spazio autrice
Poteva andare diversamente? Conoscendoli, secondo me questo è il finale adatto a loro, quello che si sposa meglio con tutto ciò che hanno passato.
Purtroppo, siamo all'ultimo "capitolo": il prossimo sarà l'epilogo e non avete idea di quanto il pensiero mi emozioni e mi rattristi allo stesso momento. Elena e Daniele mi hanno tenuto compagnia sin da dicembre dello scorso anno e ora che sono praticamente alla fine (non ho ancora finito l'epilogo, ma ci sono quasi) so già che mi mancheranno. Mi consola solo che se dovessero mancarmi troppo potrei sempre fare una rilettura!
Per questa volta è tutto, baci a tutti quanti e grazie per aver letto fin qui. Ci vediamo all'epilogo!
Snowtulip.

 

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Capitolo 43
*** Epilogo ***


La partita con il Bursaspor è quella decisiva. Ci basta vincere la semifinale di Eurocup per avere la certezza di poter giocare in Eurolega il prossimo anno.

Non sono mai stato tanto vicino dal realizzare questo piccolo sogno.

Nelle ultime settimane sono tornato a essere me stesso dentro e fuori dal parquet, mi sento bene dopo quella brutta parentesi tra me ed Elena. E con lei procede tutto a gonfie vele.

Sono il primo a salire sul pullman e vado a mettermi al posto dove si sedeva lei.

Alle cuffie, i soliti Two steps from hell mi fanno compagnia e mi caricano prima di arrivare al Palavulnus. Appoggio la testa al finestrino, spero che nessuno venga a rompermi le scatole.

Penso a Elena, che ora starà già intorno al parquet con il microfono in mano, pronta a raccogliere le parole di chiunque voglia farsi intervistare. Io sono già in prima fila, andrei sempre a farmi intervistare da lei, a prescindere da quale sia l’emittente per cui lavora adesso. Ha appena iniziato con Sky e questa è la prima partita a cui la mandano…

Dovremo giocare bene anche per lei, sarebbe grandioso andare in Eurolega mentre è lì, praticamente insieme a noi.

«Pala, posso?»

Alzo lo sguardo: è Valerio, lo stagista che ha preso il posto di Elena a gennaio. Quello che Teo ha detestato sin dal primo sguardo.

«Sì, certo.» Maledetta buona educazione… Spengo la musica e mi tolgo le cuffie, ma non le metto via, limitandomi ad abbassarle intorno al collo.

«Avrei dovuto dirtelo prima, ma non avevo il coraggio» premette lui. «Ecco… quella foto di Regis che esce dal palazzo dove vive la tua ragazza l’ho scattata io.»

«Cosa? Ma che cazzo ti è saltato in mente?» Le parole mi escono di bocca così come le penso e, forse, non ho la minima intenzione di controllarle. «Che volevi fare? Mettere nei casini chi era al tuo posto prima di te?»

«Io non è che volessi proprio farlo…» Abbassa lo sguardo e aggrotta le sopracciglia, nervoso. «Però Clara mi ha detto che era meglio se lo facevo, perché lei non gliela raccontava giusta. Solo che poi… Be’, ho avuto qualche dubbio dopo la partita contro il Cedevita, ma non ho avuto il coraggio di dirti niente… Credo che l’abbia mandata in giro lei e che volesse far finire nei guai la tua ragazza, anche se non capisco perché.»

«Io non capisco perché le hai dato retta, invece.» Distolgo lo sguardo dal suo, non saprei nemmeno dire se mi fa piacere che me l’abbia rivelato o se mi faccia schifo perché si è piegato a Clara. O se mi faccia addirittura pena, vista l’espressione colpevole che aveva mentre parlava.

«Perché così esce con me.»

Cosa?

Non so cosa mi stupisce di più, se il fatto che Clara si abbassi a uscire con un semplice – dal suo punto di vista – stagista, invece di continuare a puntare Pippo, o se il fatto che questo tizio qui nonostante gli scrupoli ha fatto ciò che voleva lei.

Che dicevano Alice e Arianna? Che persino un tipo insignificante può diventare interessante se a letto ci sa fare? Mi sa che è proprio il suo caso…

Un attimo. Questo significa che…

«Esce con te. Quindi non romperà più il cazzo a me, alla mia ragazza e a tutti quelli che conosco?»

Valerio scrolla le spalle. «Voglio anche io che smetta. Ci ha messo un po’, ma sta andando tutto bene tra di noi, e se è presa da me al punto da non dare fastidio a te o a Pippo, tanto meglio per tutti quanti, no? Ti ha dato altri problemi ultimamente?»

L’ultima volta in cui ci ho parlato è stata a quella maledetta cena, in cui era con mio padre… Da allora sembra proprio sparita. L’ho vista sulle tribune, ma si è tenuta a debita distanza.

«Dalla partita con il Cedevita no.»

«Menomale. Posso chiederti una cosa?»

Inarco le sopracciglia. Voglio proprio sapere che accidenti vuole da me. «Dimmi.»

«Perché Teo mi odia tanto?»

Scoppio a ridere. Gli spiego il motivo per cui Elena non è rimasta alla Vulnus – e così scopro che lo ignorava del tutto e che Clara non gli aveva detto quanto fosse stata perfida con lei.

«Ah… Sarà assurdo, ma me la rende ancora più affascinante.»

Il pullman si ferma e siamo costretti a scendere. «Convinto tu, io scapperei a gambe levate…»

 

La partita è combattuta punto a punto dall’inizio alla fine, tanto che fino all’ultimo possesso sarebbe stato difficile sbilanciarsi verso una delle due squadre.

Ma, alla fine, hanno vinto loro. Il punteggio finale è di 98-97.

Un punto solo.

Devo reprimere l’istinto di piangere, perché so che tra pochissimo andrò in onda con il mio nuovo collega per commentare la sconfitta, ma in questo momento desidererei essere ovunque tranne che qui.

Spero solo che non si vedano troppo gli occhi gonfi o il fatto che sto cercando di trattenere le lacrime. È stata una bellissima partita: se avessimo vinto si sarebbe trattata della più emozionante della stagione… In un certo senso lo è stata, ma non in positivo.

Ho provato tante emozioni, è stata un’altalena continua. I ragazzi hanno giocato bene, si sono viste azioni spettacolari da entrambe le parti, Daniele è stato fantastico… Ma questo non cambia niente.

Parte la diretta e allora iniziamo a rivedere le azioni e ad analizzarle nel dettaglio, anche se per fortuna riesco a dire meno parole del necessario e anche quando vengono sia il coach sia il Fabbro a parlare ai nostri microfoni è lui ad avere in mano la situazione.

Per me è bello poter essere in televisione a fare le interviste, ma non avrei mai pensato che sarebbe successo questo. Che la partita sarebbe andata così per un punto soltanto.

Immagino già mio padre a casa che commenta la mia espressione, che si sforza di essere il più rilassata possibile, mentre in realtà vorrei solo lasciarmi andare e scoppiare in lacrime.

Appena non sono più in onda, mi scuso con il collega con cui ho fatto la diretta e con i tecnici che ci hanno aiutati, poi raccolgo le mie cose e vado nel tunnel verso gli spogliatoi. Il Bursaspor è già andato via, probabilmente avranno l’aereo per rientrare in Turchia, altrimenti immagino che sarebbero rimasti per tutta la notte a festeggiare tra le vie della città che mi ha adottata.

Dalla stanza dove si cambiano i ragazzi non sento parlare nessuno, ma proviene qualche suono che mi indica che sono dentro e che non ne sono ancora usciti. Forse qualcuno sì, visto che appena la porta si apre, Jemmy mi saluta con uno sguardo silenzioso.

Non gli chiedo nemmeno se Daniele è lì, perché lo immagino benissimo con quell’espressione colpevole, come se tutta la sconfitta fosse stata colpa sua. E dire che è stato uno di quelli che ha giocato meglio.

Dalla porta si affaccia anche Teo per andarsene, poi mi vede e ritorna sui suoi passi e rientra nello spogliatoio. Esce di nuovo e mi guarda. «Puoi entrare.»

Lo ringrazio e supero la porta che ha lasciato aperta per me. I ragazzi sono tutti già vestiti per uscire, e Colucci se ne sta in silenzio seduto in un angolo.

Mi avvicino a Daniele, che si tiene la testa tra le mani con i gomiti poggiati sulle ginocchia. Gli sollevo il viso, accarezzandogli la guancia.

Punta gli occhi nei miei, quello sguardo chiaro e dolce che mi fa innamorare ogni volta. «Non doveva andare così.»

Mi accovaccio davanti a lui. «Ci riproviamo il prossimo anno. Le sconfitte servono per imparare.»

Annuisce. «Sì, ma… ci bastava solo andare in finale, quest’anno.»

Lo bacio a fior di labbra. «L’anno prossimo ce la faremo.»

Uso sempre il noi, anche ora che dovrei essere superpartes. Ma il mio cuore batte per la Vulnus e per Daniele, non posso essere imparziale in questo momento.

Mi alzo in piedi e gli porgo una mano perché si alzi anche lui. «Andiamo a casa.»

Accenna un sorriso smorzato. Prende lo zaino con il cambio della partita e la sacca con le scarpe, e mi segue fuori dallo spogliatoio.

Appena rimaniamo soli, lo stringo a me in un abbraccio e gli lascio un bacio sulla guancia. «Ti amo.»

Mi accarezza la schiena e si abbassa per essere più vicino alla mia altezza. «Ti amo anche io. Grazie per esserci sempre.»

Sorrido. Non deve ringraziarmi di niente.

«Non vorrei interrompervi, ma vogliamo rimanere qui?» Filippo ci guarda, con l’aria di chi vorrebbe prenderci in giro e di chi però è troppo triste per mettersi a dire stupidaggini.

«Certo.» Daniele mi prende per mano e insieme ci incamminiamo verso il parcheggio.

Filippo si gratta la guancia. «Sentite… siete i primi a cui lo dico. Quest’estate vado via.»

«Cosa? Pippo, ma che cazzo fai?»

«Dani, mi vogliono a Milano.»

Milano. L’Olimpia gioca l’Eurolega, quell’Eurolega che stasera ci è sfuggita per un solo punto.

Il mio ragazzo continua a camminare rassegnato finché non raggiungiamo l’Audi di Filippo, che si mette alla guida.

«Senti, lo so che non ti piace, che avresti voluto che restassi qui… Però è la mia occasione, non posso restare e fingere che non mi voglia una squadra così importante. Finora sono sempre rimasto, ho aspettato di poter crescere e migliorare come giocatore e ora so che è arrivato il momento di rischiare. E poi… Così vi lascio casa libera.»

Nonostante sia seduta accanto a lui, non dico una parola. Il discorso “rimanere alla Vulnus o andare via” credo che riguardi solo loro due.

Riguarda me, però, il “vi lascio casa libera”.

«Ti stai aggiustando le cose come ti pare…»

«No, Dani, è la scelta migliore per tutti. Puoi non credermi, ma so cosa sto facendo.»

Guardo il mio ragazzo dallo specchietto retrovisore. Sta giocherellando con i ricci, che ha tagliato un po’ più corti rispetto a inizio campionato. Forse sta aspettando che io dica qualcosa, ma non mi metto in mezzo a loro due.

Arriviamo a casa dei ragazzi e solo una volta che siamo in camera riesco ad avere un secondo con lui. Mi cambio con il pigiama che avevo lasciato qui da lui e lo raggiungo a letto.

Daniele spalanca il braccio per permettermi di appoggiarmi al suo petto, e mi stringe a sé. «Che ne pensi?»

«Da tifosa mi dispiace, ma se Filippo crede che sia…»

«No, no. Intendevo, che ne pensi di trasferirti qui da me? Con calma, anche durante l’estate o all’inizio del prossimo campionato…»

Sospiro. Quando aveva provato a propormelo la prima volta, la mia risposta era stata negativa: non mi sentivo sicura. Non è trascorso molto tempo da allora, ma insieme abbiamo fatto passi da gigante. «Mi va bene.»

Sorride e mi bacia. Ricambio il bacio, con il trasporto di chi vorrebbe finire a spogliarsi sotto le lenzuola, perché tra le braccia di Daniele sono a casa.

 

Spazio autrice
Eccoci finalmente alla fine. Sono emozionatissima e credo che l'emozione non mi abbia permesso di scrivere il capitolo come avrei voluto (non mi piace molto la resa finale, ma il contenuto era comunque questo, quindi lo lascio così in attesa di revisionarlo)...
Mi viene da piangere, è stato un viaggio lunghissimo che mi ha permesso di mettermi alla prova. E, nonostante tutto, sono soddisfatta del risultato.

Piccolo avviso: penso che tra qualche settimana inizierò a pubblicare lo spinoff che ho in mente. Si tratta della storia di Sasha e Niko, ma è una storia breve, saranno circa dieci capitoli... E saranno molto a rating rosso (leggendo capirete che con quei due non poteva andare diversamente), molto più di quanto lo siano stati i capitoli di Elena e Daniele.
Vi mando un bacione grandissimo e un abbraccio e vi ringrazio per essere stati al mio fianco durante il corso di questa piccola avventura!
​Snowtulip.

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