I giudici della prima casa

di fiorediloto40
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il giudizio ***
Capitolo 2: *** Desideri nascosti ***
Capitolo 3: *** Santuario oscuro ***
Capitolo 4: *** Tre modi diversi di mostrare rabbia ***
Capitolo 5: *** La lunga notte della mente ***
Capitolo 6: *** Amore...folle...ma pur sempre amore ***
Capitolo 7: *** Confronto inaspettato ***
Capitolo 8: *** L'ultima notte ***
Capitolo 9: *** Perdono ***



Capitolo 1
*** Il giudizio ***


Torre di Jamir
 
- Promettimi che stavolta ti presenterai almeno... -.
 
Mu mostrò un leggero sorriso prima di rispondere al cavaliere che, in piedi di fronte a lui all’ingresso della sua torre, lo guardava con espressione ironica.
 
- Dubito che questo dissuaderà i nostri compagni dal condannarmi a morte, e d’altronde... - la voce dell’Ariete non mostrava tristezza né rimpianto, solo consapevolezza - sono tredici anni che mi considerano un traditore... -.
 
- E nonostante questo, hai continuato a riparare le loro armature - l’altro cavaliere si lasciò sfuggire un lieve sospiro - anche a costo della tua stessa vita... -.
 
- Non importa - la voce di Mu era ferma e pacata, come sempre - le armature sono al servizio di Atena, ed è a lei, e solo a lei, che devo la mia fedeltà -.
 
Il giovane di fronte a lui annuì - Mu...non conosco le ragioni che ti hanno tenuto e continuano a tenerti lontano dal Santuario, tuttavia... - prese un respiro profondo prima di continuare - devono essere molto forti per indurti a rischiare la vita -.
 
Mu allargò il sorriso sul suo volto - Ti ringrazio, e ti assicuro che mi presenterò a condizione che anche tu mi faccia una promessa... -.
 
- Quale? - il giovane aggrottò le sopracciglia.
 
- Fa’ ciò che è meglio per te - l’espressione dell’Ariete divenne improvvisamente seria - anche se questo significa condannarmi... -.
 
Il cavaliere lo fissò intensamente per pochi, eterni secondi, prima di annuire con il cuore pesante - Te lo prometto - e dopo averlo stretto in un abbraccio sincero, si voltò per riprendere il suo lungo viaggio in direzione del Santuario.
 
Santuario di Atena
 
Tre giorni dopo...
 
Il Patriarca scostò leggermente la tenda che lo separava dal suo trono. Senza poter essere visto, guardò i cavalieri d’oro arrivare uno alla volta e prendere posto sui rispettivi scranni, posti in ordine zodiacale di fronte all’altare.
 
Le fiamme dei bracieri alzavano bagliori di luce rossastra sulle pareti di pietra scura, rendendo l’atmosfera solenne del tredicesimo tempio ancora più cupa, ancora più tetra.
 
Dentro di sé maledisse quei dannati ori che avevano avuto l’idea della convocazione. Certo, erano tra i suoi cavalieri più devoti e fidati, tuttavia...perché? Perché quel dibattimento? Perché quel giudizio?
 
Il falso Patriarca sapeva bene quali sarebbero state le conseguenze di una condanna unanime...
 
La morte del cavaliere sottoposto al giudizio. La morte del guardiano della prima casa. Mu dell’Ariete.
 
Saga non poté evitare le lacrime pesanti che scorsero dietro alla maschera già sistemata per coprire il suo volto. 
 
Mu... quanto male aveva già fatto a quel ragazzo, la cui unica colpa era stata quella di essere il discepolo del Patriarca. 
 
Per tredici anni era riuscito a mantenerlo indenne dalla propria follia, autorizzandolo a vivere lontano dal Santuario ed impedendo a chiunque non fosse un cavaliere del suo esercito di avvicinarsi alla torre di Jamir. Per quanto nessuno avesse osato chiedere spiegazioni, la motivazione ufficiale della lontananza del primo guardiano era sempre stata la stessa... la riparazione delle armature.
 
Nel corso degli anni però, l’assenza dell’Ariete dal suo tempio aveva creato non pochi malumori tra i suoi compagni, i quali, in modo tutt’altro che velato, lo additavano come un disertore, un traditore del compito affidato dalla loro dea, che richiedeva la presenza dell’élite del suo esercito nel proprio Santuario, ognuno a guardia del tempio che presidiava.
 
In conseguenza di ciò, alcuni degli ori più fidati del Patriarca, non ritenendo più possibile il protrarsi di una situazione che, in modo imbarazzante, si trascinava ormai da tredici anni, convocarono un’adunanza ufficiale per discutere e votare la sorte del guardiano della prima casa.
 
In realtà, il falso Patriarca immaginava che la ragione di tutto fossero le voci, ovviamente giunte anche alle sue orecchie, che la dea Atena stesse tornando a reclamare il suo posto sotto le spoglie di Saori Kido, una ricca ragazza giapponese che, allo stato attuale, poteva contare solo sull’appoggio dei cavalieri di bronzo, e di qualche cavaliere d’argento. Alcuni degli ori che avevano convocato l’adunanza erano a conoscenza del fatto che Saga dei Gemelli si nascondesse sotto le mentite spoglie di Patriarca tuttavia...a loro andava bene così. L’ordine costituito era pur sempre un ordine, indipendentemente da chi lo reggesse, e non avevano alcuna intenzione di metterlo in discussione per le velleità di una ragazzina e di qualche guerriero di rango inferiore.
 
Alcuni ori sapevano che Mu dell’Ariete aveva già avuto contatti con uno dei ragazzi di bronzo, un allievo del suo vecchio maestro Dohko della Bilancia, il quale si era recato a Jamir per far riparare la sua armatura e quella del suo amico. Con tutta evidenza, qualcuno temeva l’ambiguità della sua posizione...e d’altronde, il cavaliere della prima casa rappresentava un’incognita per tutti. 
 
Investito della sua armatura all’età di sette anni, e partito dal Santuario subito dopo la morte del Patriarca, nessuno dei suoi parigrado sarebbe stato in grado di dire quale fosse la reale portata della forza e del potere del guardiano dell’Ariete. Tuttavia...Mu era stato l’allievo del vecchio Patriarca ed antico cavaliere dell’Ariete Shion, e, dopo la sua morte, di Dohko della Bilancia, gli unici due cavalieri sopravvissuti alla precedente guerra santa. 
 
Era evidente che alcuni dei suoi compagni non ritenessero opportuno correre il rischio...meglio morto che nemico.
 
Dopo lunghi minuti trascorsi ad osservare i cavalieri prendere posto, Saga non poté fare altro che manifestarsi e sedersi sul trono del Patriarca per dare inizio al dibattimento. 
 
Fortunatamente, i paramenti patriarcali potevano nascondere i sentimenti che si alternavano sul suo volto...l’angoscia divenne terrore quando si rese conto che, tra i cavalieri inginocchiati di fronte a lui in segno di ossequio, ancora una volta mancava Mu dell’Ariete. E stavolta, senza neanche una missiva di giustificazioni... 
 
Di per sé, questo avrebbe già potuto decretare una condanna a morte per diserzione.
 
Dopo aver fatto loro cenno di sedersi, Saga scrutò gli ori presenti nel tentativo di comprendere quali fossero le loro intenzioni. Le sue speranze erano riposte in Aldebaran del Toro, Aiolia del Leone, che più volte si erano anche recati a Jamir per la riparazione delle loro armature, e Shaka della Vergine. Il primo, per via dell’amicizia che sembrava legarlo al suo vicino di tempio, il secondo, perché, proprio come l’Ariete, era guardato con sospetto dai compagni a causa della parentela con il traditore Aiolos del Sagittario, ed il terzo, per via dell’amicizia che da bambino aveva condiviso con il primo guardiano. Su quest’ultimo, tuttavia, non riponeva molte aspettative...nel corso degli anni Shaka era diventato distaccato da tutto e da tutti, totalmente immerso nella sua meditazione e nel suo ruolo di consigliere del Patriarca. Non che prima fosse particolarmente vivace, ma quantomeno l’amicizia con Mu gli aveva permesso di avere un minimo di relazioni sociali. Ora, era una fredda macchina da guerra. 
 
Dopo un rapido esame di coscienza, Saga si rese conto di come la responsabilità, in parte, fosse stata anche sua, non ponendo un freno ma altresì incoraggiando la già grande arroganza del sesto guardiano.
 
Non potendo temporeggiare oltre, Saga si costrinse ad uscire dai propri pensieri. Per non rischiare di tradirsi, parlava il meno possibile, e fu quindi con un cenno della mano che diede inizio al dibattimento nel tredicesimo tempio.
 
Il primo cavaliere a prendere la parola fu Aphrodite dei Pesci. 
 
- Patriarca - l’uomo inclinò leggermente il capo in segno di rispetto - io e i miei compagni d’armi Deathmask del Cancro e Shura del Capricorno abbiamo chiesto questa adunanza per addivenire ad una soluzione in merito ad una questione che ormai si trascina da troppi anni - smosse leggermente i suoi boccoli celesti voltandosi verso i suoi compagni - il destino del traditore Mu dell’Ariete! - la voce del guardiano dei Pesci risuonò decisa mentre un leggero mormorio si diffuse nella stanza.
 
- È grave la tua incriminazione cavaliere - il Patriarca prese la parola cercando di far suonare neutralmente la sua voce - puoi provare le accuse nei confronti del cavaliere dell’Ariete? -.
 
- Lui stesso è la prova vivente del suo tradimento... - la voce di Aphrodite assunse un tono mellifluo - sono anni ormai che si tiene a distanza dal Santuario con la scusa di dover riparare le armature... -.
 
- Non è una scusa - Aldebaran del Toro interruppe le parole di Aphrodite - Hai mai assistito al processo? Hai idea di come venga riparata la tua bella armatura? - la voce di Aldebaran risuonò calma, ma non meno decisa di quella di Aphrodite.
 
- E questo cosa significa? - stavolta fu Shura del Capricorno ad intervenire - Anche il tempio dell’Ariete ha una fucina a disposizione per la riparazione delle armature! -.
 
- Quella che usava il Patriarca Shion... - aggiunse Deathmask del Cancro - quindi non vedo perché non possa usarla il suo discepolo... - un sorriso sadico si allungò sul suo volto abbronzato - sai dirmi perché Aldebaran? -.
 
Alla menzione di Shion, Saga sentì un brivido freddo percorrergli la colonna vertebrale. Per un attimo lo rivide...il sangue, i suoi occhi viola tristi ma non sorpresi, e quella che sembrava una resa incondizionata dovuta all’età, in realtà celava gli ultimi istanti spesi a definire mentalmente i dettagli con il suo amico Dohko ed il suo giovane allievo Mu. 
 
- No, non so dirti il perché - con voce ferma ma sconfitta, Adebaran dovette ammettere pubblicamente quello che non riusciva a spiegare neanche a se stesso.
 
Deathmask, Aphrodite e Shura lo guardarono con un sorriso storto.
 
- D’accordo, nessuno sa spiegare perché Mu non ripari le armature al Santuario - Milo dello Scorpione prese la parola - ma sinceramente mi sembra poco per condannare a morte un cavaliere, un compagno d’armi... -.
 
- La penso come Milo - intervenne Aiolia del Leone - è troppo poco per condannare un compagno! -.
 
- Certo, tu di tradimenti te ne intendi, vero Aiolia? - lo provocò Deathmask, riferendosi alla sua parentela con Aiolos, unanimemente, ed a torto, considerato il traditore, colui che attentò alla vita di Atena, morto con disonore.
 
Aiolia si limitò a non rispondere, spostando lo sguardo in basso.
 
- E comunque - Aphrodite riprese la parola - c’è dell’altro... - si voltò nuovamente verso i compagni con la grazia che lo caratterizzava - sapete bene che, negli ultimi tempi, una ragazzina giapponese rivendica la propria identità come nostra dea - vide gli altri annuire - questa fanciulla marcia verso il Santuario per riprendere quello che, a suo dire, sarebbe il suo legittimo posto, sostenuta dai cavalieri di bronzo e probabilmente da alcuni cavalieri d’argento... -.
 
- Cosa c’entra questo con Mu? - domandò Milo, non comprendendo dove Aphrodite stesse andando a parare.
 
- C’entra nella misura in cui uno dei cavalieri di bronzo, oltre ad essere allievo del cavaliere della Bilancia, ha anche avuto contatti con Mu, essendosi recato a Jamir per far riparare la propria armatura... - spiegò Deathmask guardando di sbieco lo Scorpione.
 
- Quindi, non conoscendo il grado di confidenza instauratosi con questo cavaliere, non possiamo prevedere quali siano le intenzioni dell’Ariete - aggiunse Shura.
 
Alle parole di Shura, Saga sentì un insolito fastidio pungergli lo stomaco. Tuttavia non era l’unico presente a non aver gradito quanto sentito.
 
Fino a quel momento, Shaka della Vergine era stato piuttosto disinteressato alla conversazione, ma non perché non gli interessasse l’argomento, tutt’altro, semplicemente...sapeva cosa fare. Ma quando le sue orecchie percepirono la sgradita frase di Shura, uno strano disagio percorse le fibre dei suoi muscoli...confidenza...quella parola gli bruciava i timpani, e non sapendo perché, il suo fastidio non fece altro che aumentare.
 
- In tutta onestà - il guardiano dei Pesci intervenne scandendo le parole in modo lento e deciso - vi fidereste di Mu dell’Ariete? - lasciò la domanda nell’aria guardando uno alla volta i suoi compagni. Per lunghi secondi un silenzio pesante regnò nella grande stanza, prima che qualcuno riprendesse la parola.
 
- Per quanto mi riguarda - Deathmask ruppe il silenzio alzandosi dal suo scranno  e rivolgendosi al Patriarca - io, Deathmask del Cancro, custode della quarta casa, giudico il cavaliere Mu dell’Ariete colpevole dell’accusa di tradimento nei confronti del Santuario, condannandolo a morte immediata - la sua voce non tradì la minima emozione, ad eccezione di una leggera sfumatura di divertimento.
 
Aphrodite seguì l’esempio di Deathmask alzandosi subito dopo di lui - Io, Aphrodite dei Pesci, custode della dodicesima casa, giudico il cavaliere Mu dell’Ariete colpevole dell’accusa di tradimento nei confronti del Santuario, condannandolo a morte immediata -.
 
Lo seguì Shura - Io, Shura del Capricorno, custode della decima casa, giudico il cavaliere Mu dell’Ariete colpevole dell’accusa di tradimento nei confronti del Santuario, condannandolo a morte immediata -.
 
Da dietro la maschera, Saga guardò con odio i tre cavalieri che, innanzi a lui, avevano pronunciato la sentenza di morte. Pur essendo i suoi assassini più fidati, in quel momento li disprezzava... 
 
L’unico briciolo di speranza era legato ad uno dei restanti cavalieri. L’esecutività della condanna richiedeva il voto unanime dei compagni presenti, e se anche uno solo avesse votato a favore del tibetano, Mu sarebbe stato messo sotto controllo, ma sarebbe salvo.
 
- Bene - Saga prese la parola cercando di non tradire emozione - avete espresso il vostro voto, ora tocca agli altri cavalieri... - rivolgendosi in direzione di Aldebaran fece intendere di procedere in ordine di segno.
 
Essendo l’Ariete assente, spettava ad Aldebaran esprimere il suo voto.
 
Il secondo guardiano stava combattendo una lotta contro se stesso... Mu era un amico, lo aveva sempre trattato come tale, tuttavia lui stesso non aveva mai compreso le ragioni che lo tenessero lontano dal Santuario. Quando, nelle rare occasioni nelle quali si erano incontrati, gli aveva chiesto spiegazioni in merito, l’Ariete si era sempre limitato a rivolgergli un sorriso gentile. Ma nulla più.
 
Cosa avrebbe dovuto fare? Era certo dell’innocuità del guardiano della prima casa? Avrebbe potuto giurare che non avrebbe tentato nulla contro il Patriarca? 
 
Alzandosi in piedi, il Toro sospirò sconfitto. No, non avrebbe potuto giurarlo.
 
Avrebbe voluto piangere per ciò che stava per dire, ma si fece coraggio - Io, Aldebaran del Toro, custode della seconda casa, giudico il cavaliere Mu dell’Ariete colpevole dell’accusa di tradimento nei confronti del Santuario, condannandolo a morte immediata -.
 
Saga sbiadì dietro la maschera. Era certo che Aldebaran avrebbe votato per la salvezza di Mu, avrebbe potuto metterci la mano sul fuoco. E si sarebbe bruciato.
 
Pregò in cuor suo che Aiolia fosse più ragionevole. Quando il suo sguardo celato si volse in direzione del Leone, lo vide sull’orlo delle lacrime.
 
Aiolia non sapeva cosa fare. Mu era sempre stato l’unico a trattarlo come un compagno. Condividendo il sangue del presunto traditore, Aiolia era disprezzato dalla maggior parte dei cavalieri, ma Mu lo aveva sempre trattato con affetto e gentilezza. Addirittura, riusciva a parlare di Aiolos quando lui stesso non aveva il coraggio di farlo.
 
Tuttavia...
 
Era conscio del fatto che, votando in suo favore, i compagni d’armi lo avrebbero disprezzato ancora di più. Ricordò le parole che Mu gli diceva sempre prima di partire da Jamir per tornare al Santuario... fa’ ciò che è meglio per te...
 
Si alzò per pronunciare le parole che sarebbero rimaste impresse nella sua mente come uno dei momenti peggiori della sua vita - Io, Aiolia del Leone, custode della quinta casa, giudico il cavaliere Mu dell’Ariete colpevole dell’accusa di tradimento nei confronti del Santuario, condannandolo a morte immediata - le ultime parole uscirono spezzate, non potendo più trattenere il pianto che lo sopraffece.
 
La lacrima che scese dal volto del Patriarca fu prontamente raccolta dal colletto dell’ampia veste che lo copriva fino ai piedi. Era rimasto solo Shaka...ma come, come poter fare affidamento su un uomo come lui?
 
L’indiano era considerato l’uomo più vicino agli dei, tuttavia...nulla poteva essere più lontano dalla verità. Lo stesso Shaka non era conscio di quanto in realtà si fosse allontanato dal cammino verso l’illuminazione...era una macchina spietata, un assassino come gli altri. Convinto di essere dalla parte giusta.
 
Pur non tradendo alcun tipo di emozione, Shaka rimase spiazzato dalle azioni di Aldebaran prima e di Aiolia poi. Il sesto guardiano aveva già deciso di votare la condanna a morte dell’Ariete, ma lo fece pensando che gli altri due avrebbero votato in suo favore, o quantomeno il Toro...
 
Ora si trovava in un vicolo cieco. Conscio del fatto che dopo di lui avrebbero votato i cavalieri dello Scorpione e dell’Acquario, che non si sarebbero di certo opposti ad una decisione generale, a maggior ragione dato che nessuno di loro aveva mai sviluppato alcun rapporto con l’Ariete, si chiuse in se stesso nel tentativo di capire cosa fare.
 
Ripensò alla sua infanzia... Mu era stato l’unico capace di rompere il muro di indifferenza che il piccolo Shaka aveva sempre posto tra sé e gli altri, e che anche al Santuario non aveva fatto eccezione.
 
Il primo contatto che ebbe con il tibetano fu quando, sentendosi osservato da diversi minuti mentre cercava di concentrarsi nella sua meditazione, aprì gli occhi per vedere, a qualche centimetro dal suo naso, due grandi smeraldi che lo guardavano curiosi. Nonostante l’espressione infastidita di Shaka, Mu aprì un bellissimo sorriso...da quel momento in poi iniziò la loro amicizia.
 
Mu era l’unico a poter disturbare Shaka in qualunque momento della sua giornata, e non era raro vedere il futuro cavaliere della Vergine uscire dal suo isolamento per cercare l’amico. 
 
Quel ricordò riuscì, in modo impercettibile per chi guardava, a scuotere l’indiano, tuttavia, il suo cuore si richiuse bruscamente quando ricordò la fuga di Mu dal Santuario...senza dirgli nulla, senza dare una minima spiegazione a lui, che si considerava suo amico, semplicemente andò via. Seppe che aveva ricevuto l’investitura dell’armatura dell’Ariete, ma null’altro...sembrava che Mu si fosse volatilizzato insieme ad essa.
 
Quando gli arrivarono voci che vivesse nella torre di Jamir, Shaka si rifiutò, per tredici anni, di recarsi da lui...quando ebbe bisogno di riparare l’armatura, aspettò che Aldebaran o Aiolia partissero per sistemare le proprie, affidandola all’uno o all’altro.
 
Infine, sapere che si fosse avvicinato ad un cavaliere di bronzo, ma soprattutto, che avesse una non meglio specificata confidenza con lui, lo sconvolse. Pur non sapendone spiegare la ragione.
 
Non sapeva se Mu fosse effettivamente un traditore del Santuario, ma di certo lo aveva tradito. Aveva tradito la loro amicizia, la loro fiducia, il loro...bloccò immediatamente i propri pensieri. 
 
Non voleva sapere altro. Non doveva sapere altro. Si alzò in piedi.
 
- Io, Shaka della Vergine, custode della sesta casa, giudico il cavaliere Mu dell’Ariete colpevole dell’accusa di tradimento nei confronti del Santuario, condannandolo a morte immediata -.
 
Saga non poté evitare che lacrime amare gli attraversassero il volto. Era tutta colpa sua...
 
Ricordò il piccolo Mu che sorrideva a lui e ad Aiolos, le sue domande curiose, le risate argentine e quegli occhi luminosi che avvolgevano tutto ciò che potevano catturare con lo sguardo. E lui aveva distrutto tutto...uccidendo Shion, condannando il suo piccolo allievo all’esilio e relegandolo nella posizione di traditore...disprezzato dai suoi compagni e obbligato a riparare le loro armature...
 
L’unica cosa che aveva potuto fare in tredici anni era stato permettergli di vivere lontano dal Santuario, cosicché la sua parte crudele non avesse la tentazione di ucciderlo...ma anche così, ora erano i suoi stessi compagni d’armi a condannarlo...
 
Di sottecchi guardò lo Scorpione che si accingeva a prendere la parola. La sensazione non era buona. Milo a volte poteva essere imprevedibile nel suo modo di agire, ma non così tanto...in cuor suo sapeva che anche l’ottavo guardiano sarebbe capitolato.
 
- Sarò sincero - Milo esordì allargando le braccia - non so cosa fare... - continuò rivolgendosi ai compagni - davvero...non ho nulla contro Mu, tuttavia... sono fortemente convinto che il nostro ruolo richieda anche la tutela del tempio affidatoci, e credo che lasciare vuoto il primo tempio, la nostra prima difesa contro i nemici, sia un gesto sconsiderato...- tamburellò le dita di una mano su uno dei braccioli.
 
- Senza dimenticare che non si è nemmeno degnato di presentarsi - aggiunse Aphrodite abbozzando un sorriso della vittoria che si accingeva ad assaporare - né ha inviato la solita missiva di scuse, il che, già di per sé, basterebbe per una condanna a morte per diserzione... -.
 
Milo annuì riflessivo prima di alzarsi.
 
- Io, Milo dello Scorpione, custode dell’ottava casa, giudico il cavaliere Mu dell’Ariete colpevole dell’accusa di tradimento nei confronti del Santuario, condannandolo a morte immediata -.
 
Aphrodite, Deathmask e Shura mostrarono un sorriso soddisfatto sul volto. Per raggiungere l’unanimità mancava il voto dell’ultimo cavaliere presente. Ma non vi erano dubbi.
 
Saga si rivolse in direzione dell’undicesimo cavaliere. Il solo sguardo lontano e distaccato bastava a gelare il sangue nelle vene di chi incrociava i suoi occhi. Quel cavaliere era più freddo delle terre nelle quali si allenava.
 
Senza aggiungere niente alla discussione, l’Acquario si alzò.
 
- Beh...non hai niente da dire? - domandò sgomentò Deathmask. Persino lui, convinto sostenitore dell’iniziativa nei confronti dell’Ariete, aveva sentito la necessità di spiegare il proprio parere.
 
Il cavaliere interpellato non si voltò in direzione del Cancro, limitandosi a spostare gli occhi verso di lui con sufficienza - Avete già detto tutto... - sintetiche, fredde parole. Come chi le pronunciava.
 
Saga fece cenno all’Acquario di proseguire. Sentì la sua anima, quel barlume di coscienza che gli permetteva di sentirsi ancora un umano dopotutto, sparire per sempre dal proprio corpo...
 
Il portamento fiero, lo sguardo altezzoso, l’Acquario pronunciò la sua sentenza senza mostrare alcun tipo di sentimento.
 
- Io, Camus dell’Acquario, custode dell’undicesima casa, giudico il cavaliere Mu dell’Ariete innocente dell’accusa di tradimento nei confronti del Santuario -.
 
Saga, che aveva già chiuso gli occhi in attesa di quella che sarebbe stata anche la sua condanna, perché la più infame finora, li riaprì di scatto...aveva sentito bene? Il mormorio che sentì serpeggiare tra gli altri cavalieri gli confermò che no, non aveva sognato... Camus dell’Acquario aveva appena salvato Mu dell’Ariete dalla condanna a morte.
 
- Che accidenti ti prende Camus? - Aphrodite fu il primo a reagire all’inaspettato gesto del francese - Non hai sentito tutto quello che abbiamo detto?! -.
 
Shura era più incredulo di Aphrodite - Hai davvero intenzione di salvare un traditore del Santuario? Un traditore di Atena? Nonostante tutto quello che hai sentito? -.
 
Alzando un sopracciglio e senza scomporsi, Camus spostò con noncuranza lo sguardo da destra a sinistra, senza dare la minima importanza a nessuno dei due compagni. Con il solito piglio composto, si limitò a sottolineare ciò che la sua mente fredda aveva già analizzato.
 
- Proprio perché ho ascoltato ciò che avete detto non ho il minimo dubbio di aver fatto la scelta migliore - notando la confusione dei compagni d’armi continuò - avete detto che Mu dell’Ariete è un traditore poiché ripara le armature lontano dal suo tempio, tuttavia, avete dimenticato un piccolo particolare...- prese un respiro stanco prima di continuare, come se spiegare una tale ovvietà fosse solo un inutile fastidio - mai una volta si è rifiutato, come è suo dovere d’altronde, e lo ha sempre fatto anche a rischio della propria vita...come certamente alcuni di voi già sanno - sia Aldebaran che Aiolia percepirono la leggera sfumatura di biasimo che traspariva dalla voce dell’Acquario - non mi risultano cospirazioni, attacchi, o tentativi di destabilizzazione da parte dell’Ariete... e per quanto riguarda i contatti avuti con uno dei cavalieri di bronzo - Camus intuì la replica che Deathmask stava per fare - mi risulta che il cavaliere in questione si sia recato a Jamir proprio per far riparare le armature, non per una visita di cortesia... -.
 
- E che certezza hai che Mu non stia cospirando con loro contro il Santuario? Contro il Patriarca? - Aphrodite alzò lo sguardo in segno di sfida.
 
Camus si limitò ad alzare leggermente le spalle - La stessa certezza che ho nei confronti di ognuno di voi - anche se lo sguardo che rivolse al guardiano dei Pesci mostrava tutto fuorché fiducia - inoltre... - il francese capì che era arrivato il momento di mettere tutte le carte in tavola.
 
Era certo che qualcuno sapesse che anche il suo allievo aveva sposato la causa di Saori Kido...sarebbe stato più prudente parlarne con naturalezza, anziché farsi cogliere impreparato.
 
- Inoltre...anche il mio allievo è un cavaliere di bronzo, tuttavia ciò che fa o non fa non è più affar mio...a meno che non vogliate condannare a morte anche me ... - il silenzio che seguì sancì la vittoria del ragionamento dell’Acquario.
 
Dentro di sé rise divertito...era una fortuna che i suoi compagni fossero nati cavalieri...in un diverso contesto sociale le loro argomentazioni sarebbe state smontate anche da un bambino!
 
Tra tutti i cavalieri, più o meno frastornati, ce n’era uno che non tradiva alcun tipo di emozione. Non all’esterno almeno, perché dentro di sé il sesto guardiano stava passando attraverso un’altalena di sentimenti...la rabbia esplosa all’improvviso nei confronti dell’Ariete, il pentimento della sua condanna quando era certo di averlo condannato a morte, la felicità insopportabile di saperlo salvo...Shaka della Vergine stava vorticando tra emozioni che aveva sempre represso, tanto che la sua scarsa concentrazione gli impedì di notare ciò che, in condizioni normali, avrebbe percepito già da un po’...
 
Nel frattempo, il falso Patriarca sentì l’anima tornare all’interno del suo corpo...grazie agli dei almeno uno dei cavalieri aveva usato un minimo di raziocinio...certo, Camus aveva sentenziato sulla base della pura logica, ma andava più che bene così. L’Ariete sarebbe stato salvo, e con questa consapevolezza, prese la parola per emettere il giudizio finale dell’adunanza.
 
- Cavalieri - la sua voce risuonò calma e profonda - Non avendo raggiunto l’unanimità necessaria, io, Patriarca del Santuario di Atena, rigetto la richiesta di condanna a morte dell’Ariete, tuttavia...non posso ignorare lo scontento che sembra essersi diffuso tra tutti voi... - prese un respiro profondo prima di parlare - di conseguenza, ritengo opportuno mettere il cavaliere dell’Ariete sotto la sorveglianza di uno di voi, cosicché non ci siano più dubbi in merito al suo agire -.
 
- Mi offro volontario - Deathmask si alzò dal suo scranno guardando il Patriarca dritto negli occhi celati - sarà un piacere per me sorvegliare Mu dell’Ariete... - aggiunse con un sorriso crudele, pensando a svariati modi di vendicarsi del tibetano per avergli impedito di uccidere il cavaliere della Bilancia.
 
Saga pensò che quella non fosse l’opzione migliore. Al di là della poca affidabilità del Cancro, immaginava che i poteri di Mu potessero trascenderlo senza difficoltà...
 
- Sarebbe più opportuno che mi occupassi io dell’Ariete - con grande stupore di tutti il cavaliere della Vergine prese la parola - Abbiamo abilità simili, per me sarebbe più facile controllarlo... -.
 
Neanche Shaka avrebbe saputo spiegare il motivo del suo gesto. Nonostante ciò, non ne era minimamente pentito.
 
Il Patriarca annuì d’accordo, di certo il cavaliere della Vergine sarebbe stata la persona ideale per sorvegliare Mu...da vicino e da lontano la Vergine aveva la possibilità di vigilare su ciò che accadeva a Jamir. 
 
Tuttavia, prima che potesse sentenziare, un altro cavaliere intervenne stravolgendo ancora una volta i piani dell’assemblea.
 
- Né l’uno né l’altro saranno necessari -.
 
La voce calma e serena riecheggiò tra le alte volte del tredicesimo tempio, facendo voltare tutti i cavalieri d’oro in direzione dell’entrata. Alcuni sgomenti, altri infastiditi, altri, pur volendo apparire disinteressati, non potevano distogliere lo sguardo dalla figura che avanzava con eleganza verso l’altare. 
 
L’armatura avvolgeva con maestosità e grazia la figura esile e forte del cavaliere che la indossava. Una cascata di capelli lilla ondeggiava leggermente al suo incedere. Il viso sereno, dai lineamenti delicati, infondeva una sensazione di pace in chi lo guardava, così come i grandi occhi verdi che spiccavano sul bel volto pallido.
 
Per diversi minuti, Saga non riuscì a dire nulla, sorpreso dal trovarselo di fronte dopo tanti anni, e ammaliato da ciò che era diventato.
 
Shaka deglutì a secco, ricacciando orgogliosamente le lacrime che spingevano contro le palpebre, ora chiuse con l’immagine del tibetano impressa nelle sue retine.
 
Mu dell’Ariete era tornato.

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Capitolo 2
*** Desideri nascosti ***


Saga non avrebbe saputo dire se fossero passati minuti, ore, o solo secondi di durata infinita. Fatto sta che per un tempo che sembrò interminabile, non riuscì ad articolare una sola parola.
 
Aveva sempre immaginato che Mu sarebbe diventato un bel giovane, tuttavia, la realtà lo lasciò interdetto...quella grazia innata che lo aveva accompagnato sin da bambino era diventata ancora più marcata, ed i dolci lineamenti infantili avevano lasciato il posto ad un volto adulto ed incredibilmente delicato. La particolarità che rendeva l’Ariete una creatura affascinante era evidente nella dicotomia tra il corpo segnato, anche se non eccessivamente, dall’allenamento e dalla forgia, ed un viso quasi femminile, incorniciato da una cascata di lunghi capelli lilla legati in fondo da un laccio di cuoio. Ciò che però scosse Saga fin dentro le viscere fu incrociare i suoi occhi...quei grandi smeraldi erano gli stessi di tredici anni prima, anche se la luce che emanavano era completamente differente...in passato, stupore e curiosità per tutto ciò che lo circondava, oggi, un calore immenso.
 
Se avesse agito d’istinto, avrebbe allungato una mano per accarezzare il suo viso...fortunatamente, si trattenne dal fare una gigantesca idiozia, paragonabile solo al togliersi la maschera davanti a tutti.
 
Sentendo sulle sue spalle gli sguardi dei cavalieri d’oro, confusi dal suo silenzio, tornò lentamente in sé, costringendosi ad uscire dai suoi pensieri. Ritrovando, almeno apparentemente, la consueta lucidità, si rivolse, per la prima volta dopo lunghi anni, al cavaliere appena arrivato.
 
- Cavaliere dell’Ariete - lo sforzo che dovette fare per far suonare la sua voce nella maniera più neutrale possibile fu grande - sai molto bene che la prima regola alla quale ogni guardiano deve attenersi è presentarsi puntuale quando viene convocato ufficialmente al Santuario -. 
 
L’Ariete annuì prima di rispondere - C’è stato un terremoto a nord ovest dell’India ieri sera, e sono intervenuto per offrire i primi soccorsi - porse una missiva che portava con sé - qui ci sono le referenze delle autorità locali, nel caso in cui il Santuario volesse effettuare le verifiche del caso - la voce pacata e serena non tradì alcuna emozione.
 
Sebbene, fino a quel momento, nessuno dei presenti avesse osato proferire parola, a tutti loro non era sfuggito un fatto piuttosto evidente...Mu dell’Ariete, al contrario dei suoi compagni d’armi, non si era ancora inginocchiato davanti al Patriarca, né tantomeno si era rivolto a lui riconoscendogli quel titolo. Qualcuno ritenne quell’atteggiamento un’offesa imperdonabile.
 
- Inginocchiati, Ariete! - lo ammonì prontamente Shura, alzandosi in piedi rabbioso - Chi credi di essere per mancare di rispetto al Patriarca? Offenderlo significa oltraggiare la dea stessa! - ma non ottenendo dall’interpellato alcuna risposta, il suo sdegno divenne furia, offuscando i suoi pensieri al punto da scagliare contro il parigrado il suo colpo più temibile...Excalibur!
 
Muovendosi alla velocità della luce, Mu schivò il colpo senza troppi problemi, tuttavia, una piccola ciocca di capelli, che usciva dalla sua lunga coda, fu tagliata di netto dal passaggio della spada. Naturalmente il tibetano non dette alcun peso alla cosa.
 
- Basta! - tuonò Saga - Non vi permetterò di trasformare il tredicesimo tempio in un campo di battaglia! - in realtà ce l’aveva con Shura, ma non voleva dare a Mu alcun alibi. Non davanti a tutti almeno.
 
- Cavaliere, prendi il tuo posto! - con la mano fece cenno a Mu di sedersi sullo scranno dell’Ariete, e solo quando lo vide occupare il suo posto, continuò - Immagino che tu sappia cosa è accaduto in questa assemblea poco fa ed anche qual è stato l’esito... - pur non sapendo come, Saga era certo che Mu fosse perfettamente al corrente di cosa fosse successo.
 
Mu si limitò ad annuire. Ovviamente sapeva tutto. 
 
- Da questo momento in poi sarai sotto la responsabilità di uno dei tuoi compagni... il cavaliere della Vergine ha l’ordine di sorvegliare Jamir e... -  ma non riuscì a terminare.
 
- Non sarà necessario... - poche parole pronunciate con la consueta calma - dato che non sarò più a Jamir -.
 
Saga si prese alcuni secondi per elaborare ciò che aveva detto Mu. Questo significava che...
 
- Cavaliere dell’Ariete - pose il suo sguardo nascosto sul primo guardiano - stai dicendo che... sei tornato... - indugiò per qualche frazione di secondo - per restare? -.
 
Quell’esitazione, impercettibile per chiunque, non passò inosservata a Mu, né tantomeno ad uno dei cavalieri presenti, che aggrottò leggermente le sopracciglia sopra le sue palpebre chiuse...
 
Mu annuì - Devo tornare a Jamir solo per prendere alcuni utensili che mi occorrono per la fucina, ma si tratterà di un viaggio di poche ore - dopodiché piantò i suoi bellissimi occhi proprio su quelli celati del Patriarca.
 
Saga si sentì inquieto quando venne trafitto da quello sguardo...pur sapendo che nessuno potesse vederlo sotto la maschera, una strana sensazione lo colpì in pieno petto quando incrociò quei grandi smeraldi. E allora capì.
 
Mu sapeva tutto. Aveva compreso chi si celava sotto le mentite spoglie di Patriarca. Ed ora lo stava fissando...senza ombra di dubbio o di paura…fin dentro all'anima probabilmente.
 
Fitte improvvise fecero esplodere un dolore sordo nella sua testa. 
 
Devo ucciderlo!
 
Non azzardarti a toccarlo.
 
Devo ucciderlo!
 
Se insisti mi ammazzo e morirai con me
 
Uccidilo
 
Nooooo. Il supplizio era appena ricominciato. La parte di sé che odiava di più aveva appena iniziato quello che, Saga ne era certo, sarebbe stato un lungo tormento.
 
Temendo di tradirsi, decise di terminare l’assemblea il prima possibile.
 
- Bene - cercò di ricomporsi tentando di mostrarsi impassibile - da questo momento in poi il cavaliere dell’Ariete riprenderà il pieno possesso del suo tempio - parlò rivolgendosi a tutti gli ori - e nel caso in cui gli fosse necessario tornare a Jamir per ragioni esclusivamente legate alla riparazione delle armature, o in qualunque caso in cui dovesse uscire dal Santuario - si girò leggermente verso il tibetano - il cavaliere della Vergine ha il preciso dovere di accompagnarlo -.
 
Pur tenendo gli occhi chiusi, Shaka si rivolse in direzione di Mu per scrutarne le reazioni.
 
Niente. Il bel viso dell’Ariete non lasciava trasparire alcuna emozione. Per di più, lo stava ignorando con un’imperturbabilità esasperante.
 
Prima di ritirarsi, Saga indugiò un momento solo per ammonire in tono grave alcuni ori - E sia ben chiaro... - si rivolse ai tre cavalieri che avevano convocato l’adunanza - non ammetterò alcun gesto di intolleranza tra di voi...e sapete molto bene cosa intendo con non ammetterò - dopodiché si voltò per sparire dietro all’ampia tenda di velluto rosso, che separava lo spazio dell’assemblea dall’accesso alla zona privata del tempio.
 
Quando il falso Patriarca ebbe abbandonato l’adunanza, un sommesso brusio si diffuse all’interno della stanza.
 
Aldebaran avrebbe voluto dire qualcosa al suo amico, tuttavia...non riusciva neanche a voltarsi verso di lui. Come avrebbe potuto giustificare la sua sentenza? In cuor suo sapeva che Mu non gli avrebbe attribuito nessuna colpa, ma non riusciva a pensare a nulla di sensato da dire in quel momento.
 
Chi, invece, fissava l’Ariete con una vergogna immensa dipinta sul volto era Aiolia. Dal momento in cui aveva espresso la sua condanna, lacrime amare avevano segnato un percorso salato lungo le sue guance abbronzate. Aveva fatto ciò che lo stesso Mu gli aveva sempre consigliato di fare, ma l’aver lottato contro la propria coscienza l’aveva lasciato completamente prosciugato. Il turbamento crebbe a dismisura quando incrociò lo sguardo del primo guardiano...il sorriso di comprensione che gli rivolse gli spezzò il cuore.
 
Dal canto suo, Mu sentiva perfettamente su di sé gli occhi indagatori dei suoi compagni, e sebbene intuisse la malcelata intenzione di metterlo a disagio, non diede loro alcun peso.
 
Il vecchio maestro lo aveva messo in guardia dal livore e dall’astio che avrebbe trovato tornando al Santuario, tuttavia, non aveva più potuto temporeggiare... Atena stava tornando al proprio posto e lui avrebbe dovuto fare tutto il possibile per aiutare sia lei che i cavalieri di bronzo che l’accompagnavano nella sua missione.
 
Tra gli sguardi infastiditi e sfacciati che stava trascurando con sincero disinteresse, ne distinse uno in particolare che non era né l’uno né l’altro. Decise di ignorare anche quello, ma per un motivo differente...conosceva molto bene il cosmo del cavaliere che lo stava fissando in modo insistente dal momento in cui era entrato nel tredicesimo tempio, e, sebbene i suoi occhi fossero celati dalle sottili palpebre, poté sentire distintamente i suoi zaffiri scrutarlo fin dentro l’anima.
 
Era conscio del perché Aldebaran e Aiolia avessero votato contro di lui, e non li avrebbe mai biasimati, d’altronde, lui stesso aveva sempre consigliato loro di proteggersi dall’amicizia che condividevano, ma Shaka...
 
Shaka non era mai stato per lui come il Toro o il Leone. Nonostante fossero bambini, con Shaka aveva condiviso i momenti più belli della sua giovane vita... Shaka era in grado di capirlo con il solo sguardo, poteva rendere migliore una giornata con la sua sola presenza...
 
Sebbene non ne fosse meravigliato, la sentenza di Shaka gli aveva fatto male. 
 
Immaginava, in cuor suo, che l’amico dovesse aver sofferto per la sua fuga dal Santuario, tuttavia, aveva sempre coltivato la remota speranza che, conoscendolo meglio di chiunque altro, una parte del suo cuore nutrisse il dubbio che la sua fuga non fosse stata voluta e invece...si era comportato alla stregua di chi non aveva mai condiviso nulla con lui. Il verdetto dell’indiano era stata una profonda delusione per Mu, oltreché un grande dolore.
 
Shaka rappresentava un conto in sospeso che, prima o poi, avrebbe dovuto regolare...
 
Si costrinse ad uscire dai propri pensieri alzandosi dal suo scranno. Stanco di essere al centro dell’attenzione, decise di tornare al tempio dell’Ariete. Di certo c’era molto da sistemare dopo tredici anni di abbandono e di incuria, ed indugiare in quell’inutile raduno non gli sarebbe stato di alcuna utilità. E d’altronde...sapeva che nessuno si sarebbe avvicinato a lui per salutarlo.
 
Con la consueta eleganza, si voltò deciso ad abbandonare il tempio patriarcale, tuttavia, prima che potesse avvicinarsi all’uscita, una voce ben nota lo raggiunse alle spalle facendolo fermare sui suoi passi.
 
- Per un momento ho pensato che non ti saresti presentato - il proprietario della voce fece un sorriso ironico - ma solo per un momento...so che non faresti mai promesse che non puoi mantenere... -.
 
Mu allargò un bel sorriso sul volto prima di voltarsi lentamente - Esatto! Al contrario di quanto hai fatto tu... - piantò il suo sguardo sul parigrado - Mi avevi promesso che avresti fatto ciò che era meglio per te... - la sua espressione divenne seria - e invece hai votato contro la mia condanna... - i grandi smeraldi fissarono perplessi il cavaliere che gli stava di fronte - perché Camus? Perché inimicarti tutti i nostri compagni? -.
 
Senza mostrare alcuna preoccupazione, Camus mantenne il suo sorriso sardonico - Ti sbagli, ho mantenuto la mia promessa -.
 
Mu inclinò la testa di lato in un’espressione interrogativa.
 
- Mu... - la voce dell’Acquario perse la sfumatura ironica per ritornare seria - mi hai chiesto di fare ciò che era meglio per me...e l’ho fatto - davanti allo sguardo perplesso dell’Ariete continuò - anche se non ti conoscessi, la mia coscienza non mi permetterebbe mai di approvare la condanna a morte di un compagno sulla base di...nulla - accompagnò alle parole un gesto delle mani in aria - non sono un uomo da niente Mu, non andrei mai contro i miei principi - abbassò leggermente la voce - e dopo averti conosciuto meglio, so che sei tutto fuorché un traditore - appoggiando una mano sulla spalla dell’amico concluse - non m’importa dell’opinione di chi non conosco e che non mi conosce -.
 
Già il solo fatto di vedere l’Acquario correre dietro a Mu aveva fatto alzare non pochi sopraccigli, ma vederlo sorridere e toccare l’Ariete con tanta familiarità aveva allertato più di un cavaliere.
 
Mentre l’ottavo guardiano non faceva mistero degli sguardi minacciosi che rivolgeva ai due cavalieri poco distanti da lui, due occhi color zaffiro, sebbene celati dalle palpebre, avevano colto ogni particolare della confidenza tra l’Ariete e l’Acquario. Ed il fastidio era stato pari a quello dello Scorpione, se non maggiore.
 
- Ho bisogno di parlarti - Camus teneva ancora la spalla del tibetano - più tardi ti raggiungerò al primo tempio -.
 
Mu fece un piccolo sorriso comprendendo ciò che c’era dietro alle parole dell’Acquario - Pensi davvero che mi attaccherebbero se fossi io a venire da te? -.
 
Il francese aveva compreso già da tempo le abilità intellettive del suo compagno, tuttavia, era sempre piacevolmente stupito dalle sue deduzioni - Diciamo che non ti renderebbero il percorso facile, e fino all’undicesimo tempio la strada è piuttosto lunga... -.
 
Mu annuì comprensivo - D’accordo, non voglio creare più scompiglio di quanto abbia già fatto... ci vediamo più tardi allora - dopodiché si voltò per tornare al tempio dell’Ariete. 
 
Sebbene la maggior parte degli altri ori dovesse percorrere il suo stesso tragitto per scendere al proprio tempio, Mu scelse di fare il percorso in solitudine, e d’altronde...per quanta comprensione nutrisse nei confronti dei compagni che lo avevano condannato, non poteva negare di essersi sentito abbandonato soprattutto da coloro ai quali aveva sempre dimostrato amicizia. Anche se era stato lui stesso a chiederlo.
 
Camus fissò le spalle di Mu finché non lo vide scomparire dalla sua vista. Dopo aver lanciato una breve occhiata in direzione degli altri compagni, intenti a parlare degli ultimi colpi di scena, decise di emulare il tibetano e partire per il suo tempio, sperando di potersi rilassare un po’ prima di recarsi in Ariete. 
 
Tuttavia, dopo aver percorso solo poche decine di metri, fu raggiunto alle spalle da una voce familiare.
 
- Da quando sei diventato amico di Mu dell’Ariete...un traditore? - il tono di voce e le parole sprezzanti non lasciavano presagire nulla di buono.
 
Camus chiuse gli occhi espirando nervosamente, prima di girarsi e rispondere a quella che considerò, a tutti gli effetti, una vile provocazione.
 
- Traditore secondo chi...Milo? - domandò a sua volta, con poca pazienza, l’undicesimo guardiano.
 
- Secondo tutti! - rispose lo Scorpione alzando il mento con aria di sfida.
 
- Strano! - il francese guardò l’altro cavaliere con scherno - Mi è sembrato di aver sentito delle obiezioni da parte tua, poco fa... -.
 
- Le motivazioni dei nostri compagni sono state più convincenti del nulla di chi non si è nemmeno degnato di presentarsi! - Milo stava cominciando ad innervosirsi davanti all’atteggiamento di Camus.
 
- Evidentemente basta molto poco per convincerti...Milo - il tono sprezzante era evidente nelle parole dell’Acquario - E comunque, per la precisione...tutti...meno uno - fece notare il francese con malcelato fastidio - il che rende l’Ariete un cavaliere come tutti gli altri! -.
 
- Posso sapere perché lo difendi tanto? - Milo serrò i pugni con rabbia - Quand’è che siete diventati così “intimi”? - fece il gesto delle virgolette con le dita, prima di incrociare le braccia in attesa di una risposta.
 
Che non arrivò.
 
Dopo aver guardato lo Scorpione dall’alto verso il basso e viceversa per secondi interminabili, con la consueta impassibilità, Camus si voltò per riprendere il viaggio in direzione del suo tempio.
 
Lasciando lo Scorpione solo, interdetto ed amareggiato.
 
Intanto, nella sala Patriarcale, anche gli altri cavalieri si stavano disperdendo per tornare alle proprie case. Il brusio incessante che riecheggiava nel tempio rendeva chiaro lo stupore dei cavalieri per gli eventi che si erano succeduti in quell’assemblea.
 
Shaka della Vergine aveva atteso pazientemente che tutti fossero andati via, prima di alzarsi dal suo scranno e riprendere la discesa verso il tempio della Vergine. In realtà, per quanto all’esterno apparisse impassibile come sempre, il suo cuore era in preda a mille emozioni contrastanti...
 
La condanna, il senso di colpa, la disperazione, il sollievo, la sorpresa di rivederlo...dopo tredici anni. Sebbene gli anni spesi a meditare gli avessero conferito un invidiabile controllo sulle proprie emozioni, Shaka era in balìa dell’incertezza più totale.
 
Cosa sarebbe accaduto ora? Come avrebbe dovuto relazionarsi con il suo ritorno?
 
Nel caos che era la sua mente, una sola cosa era chiara...Mu, il suo Mu, era tornato...
 
Da dove l’aveva preso?! Con una smorfia di fastidio scacciò dalla mente ciò che aveva appena pensato e si avviò deciso verso il suo tempio per meditare con calma sugli eventi, tuttavia, mentre si muoveva nella penombra in direzione dell’uscita, un rumore frettoloso di passi attirò la sua attenzione.
 
Il punto nel quale si trovava gli garantiva di non essere visto, pur avendo un’ampia visuale di fronte a sé.
 
Con sua grande sorpresa, vide il Patriarca uscire di corsa dallo spesso tendaggio e, dal modo frettoloso con cui si muoveva, pensò che dovesse essere piuttosto pensieroso per non aver notato il suo cosmo ancora presente nella sala. Questo era piuttosto strano, poiché il Patriarca era sempre molto attento a tutto...
 
Saga, incurante di ciò che gli era intorno, e fortunatamente ancora coperto dalla maschera, si chinò per raccogliere qualcosa dal pavimento.
 
Gli occhi ipnotizzati su una ciocca di capelli lilla, per lunghi secondi si limitò a guardarla, prima di portarla alle narici ed inspirare profondamente il profumo dolce che ancora emanavano. Convinto di essere solo, ripeté il gesto, prima di sparire nuovamente dietro la pesante coltre di tessuto che lo separava dalle sue stanze.
 
Shaka, per la prima volta dopo molto tempo, impallidì quando vide ciò che stava accadendo...aveva riconosciuto perfettamente la ciocca di capelli di Mu che il colpo di Shura aveva tagliato...ma perché il Patriarca l’aveva raccolta? E perché la annusava? Insomma...che cosa aveva appena visto?
 
Sebbene mille domande affollassero la sua mente, si costrinse a riprendersi dallo stupore, accelerando il passo verso l’uscita... 
 
Un profondo senso di disagio era ancorato al suo stomaco, ma la causa non era tanto ciò che aveva appena visto, se non il fastidio di sapere che il Patriarca avesse accesso ad una parte così intima del primo guardiano.
 
Durante il tragitto per tornare al sesto tempio, la Vergine incontrò alcuni compagni che si stavano attardando insieme per commentare gli ultimi eventi. Nonostante l’invito ad unirsi a loro, Shaka proseguì salutando a malapena i cavalieri. Ad onor del vero, nessuno diede peso alla sua indifferenza, considerata la sua ben nota propensione alla solitudine.
 
Il problema vero si presentò quando dovette attraversare l’ottava casa.
 
In piedi, appoggiato distrattamente ad una delle colonne di pietra, Milo sembrava attendere il suo passaggio. Il volto ancora teso per la discussione di pochi minuti prima con Camus, lo sguardo fisso sul pavimento, sembrò non accorgersi della presenza della Vergine.
 
- Buonasera Scorpione, chiedo il permesso di passare - con voce calma ma decisa, Shaka si rivolse direttamente a Milo senza neanche accendere il suo cosmo.
 
Davanti al silenzio dell’interpellato, la Vergine ripeté la domanda in tono più duro, tuttavia, ciò che ottenne non fu la risposta alla sua richiesta, ma un avvertimento pronunciato sull’orlo delle lacrime.
 
- Tieni il tuo amico lontano dal mio... -.
 
Dopo qualche secondo speso per riprendersi dallo stupore di quelle parole, a suo parere, insensate, Shaka si limitò a rispondere in modo secco - Non ho amici...né mi interessa averne -.
 
Milo serrò i pugni, fissando i suoi occhi color mare sulle palpebre chiuse dell’indiano - Se ti piace prenderti in giro sei liberissimo di farlo, sono affari tuoi! - alzò il mento in segno di sfida - Ma quando avrai perso per sempre l’unica persona che tu abbia mai amato, allora...forse...capirai come mi sento! - dopodiché sparì all’interno della sua casa, lasciando libero il passaggio per il parigrado.
 
Per la seconda volta nel giro di pochi minuti, Shaka rimase interdetto. Quella giornata aveva preso una piega insolita ed inattesa, rivelando sorprese impensabili. Cosa nascondevano nel proprio cuore gli abitanti del Santuario?  Mai, come in quel momento, sentì il bisogno di essere solo nel suo tempio per meditare su tutto ciò che stava accadendo...
 
In realtà, ciò che Milo aveva detto aveva rievocato nella memoria di Shaka sentimenti volutamente nascosti nel corso degli anni. Pur essendone conscio, si rifiutò di prendere in considerazione le parole dello Scorpione, etichettandole come farneticazioni e nulla più.
 
Errore.
 
Ma di questo se ne accorse solo più tardi, quando, finalmente, si ritrovò da solo nel suo tempio.
 
Seduto sul suo altare di pietra a forma di fiore di loto, Shaka tentò in tutti di modi di concentrarsi sulla meditazione. Focalizzò la sua attenzione sulla respirazione, si sforzò di raggiungere uno stato di raccoglimento profondo, e nonostante i suoi tentativi, nulla lo portò a raggiungere il consueto stato meditativo.
 
Su tutte, un’immagine in particolare teneva la sua coscienza ancorata alla realtà.
 
Grandi occhi color smeraldo invadevano la sua mente appropriandosi di ogni minuscolo spazio di pensiero... 
 
Shaka rivide il suo volto, la luce calda e la dolcezza che emanavano le iridi verde chiaro, e, allo stesso tempo, la determinazione evidente nella sua espressione...la fermezza di chi non ha nulla da nascondere...
 
Gli occhi di Mu erano esattamente come li ricordava. L’unica differenza con il passato era l’evidente consapevolezza che aveva preso il posto dell’innocenza. E d’altronde, la stessa cosa era accaduta ad ognuno di loro. Tuttavia... era il resto ad essere completamente cambiato...Nelle rare volte in cui si era concesso di pensare al tibetano, Shaka aveva sempre immaginato che da adulto sarebbe diventato un bell’uomo, ma...onestamente non si aspettava ciò che ha visto, né soprattutto l’effetto che ebbe su di lui.
 
Ripensò al suo volto delicato, alla fantasia di accarezzare quella pelle di luna, alla sua figura forte ed elegante allo stesso tempo. Mentre un piacevole brivido pungeva la sua schiena, una sensazione di calore invase ogni fibra del suo corpo...chi stava prendendo in giro? Non stava affatto meditando...stava pensando a Mu.
 
Avrebbe voluto almeno sentirsi irritato, ma non riuscì a negare il piacere che gli stavano dando i suoi stessi pensieri.
 
Solo quando rivisse nella sua mente la scena alla quale aveva assistito poco tempo prima, il fastidio sopraffece la sensazione di benessere che stava provando.
 
Perché il Patriarca del Santuario, la carica più importante dopo la dea stessa, aveva raccolto da terra una ciocca di capelli dell’unico cavaliere che sembrava non riconoscerne l’autorità? E perché sembrava così perso inalandone il profumo?
 
Per un momento si ricordò dell’odore di Mu, quello che lo aveva sempre accompagnato, fin da bambino. Una tenue fragranza di lavanda e gelsomino...dentro di sé si domandò se avesse ancora quell’aroma. Probabilmente sì...
 
Poi rivide l’undicesimo guardiano correre dietro a Mu... il modo confidenziale in cui parlavano...la mano sulla sua spalla ad indicare una certa familiarità...
 
Il fastidio morse di nuovo il suo stomaco. Quando Mu e Camus erano diventati amici? E come, se uno viveva in Tibet e l’altro divideva il suo tempo tra la Siberia ed il Santuario? Erano “solo” amici?
 
Stanco di indugiare alla ricerca della calma mentale che, ne era ormai certo, quella sera non sarebbe arrivata, si alzò dal loto di pietra muovendosi lentamente verso l’unica grande finestra che, dal suo tempio, apriva un’ampia visuale sulle altre case del Santuario.
 
Ironia della sorte, a causa delle curve del percorso che separava i templi, la prima casa, e, nello specifico, la camera da letto del suo guardiano, risultava essere proprio davanti a quella finestra.
 
Per tanti anni l’immagine della casa era stata quella di un edificio chiuso, vuoto e buio, abitato solo dai fantasmi della mente del cavaliere che ogni tanto si concedeva quella vista...
 
Vedere, ora, una fioca luce filtrare dalle tende leggermente aperte, causò in Shaka una sensazione di felicità, che lui stesso prontamente, seppur con fatica, ricacciò indietro... Mu dell’Ariete era un traditore, e come tale avrebbe dovuto trattarlo!
 
Senza neanche rendersene pienamente conto, una parte di sé riconobbe che molte cose non erano del tutto chiare...
 
Intanto, nella casa del montone bianco, Mu stava sistemando ordinatamente le poche cose che aveva portato con sé, e che, arrivando, aveva dovuto lasciare nell’ampio ingresso per la fretta di raggiungere la sala patriarcale.
 
La sua sorpresa era stata grande quando, arrivato al suo tempio e convinto di dover passare buona parte della serata a renderlo vivibile almeno per quella notte, trovò tutto pulito e perfettamente in ordine. Lo stupore durò il tempo di capire chi si fosse preso la briga di sistemare la sua casa...qualcuno certo del fatto che sarebbe tornato...
 
- Camus - sussurrò tra sé.
 
Mentre disponeva il necessario per preparare il tè che gli avrebbe offerto più tardi, Mu ripensò a come lui e l’Acquario fossero diventati amici.
 
Non si trattava di un legame creato da bambini, anzi, fino alla sua partenza dal Santuario, ricordava di non aver mai scambiato con lui niente di più che i normali saluti di cortesia. Camus era sempre stato amico di Milo, o, per meglio dire, Milo era sempre stato amico di Camus, che invece appariva schivo e taciturno. Mentre per quanto riguardava se stesso, al di fuori degli allenamenti trascorreva il suo tempo sempre insieme a Shaka. 
 
Una puntura allo stomaco lo distrasse momentaneamente, costringendolo a riportare forzatamente i pensieri sull’amico francese.
 
Circa un anno prima, Camus si era recato a Jamir per far sistemare la propria armatura. Quello era un evento molto insolito, innanzitutto poiché l’undicesimo guardiano era sempre molto attento, e poi perché le sue missioni erano rare considerato il suo principale ruolo di maestro.
 
Trovandoselo davanti, Mu si era comportato come con tutti gli altri, in modo cordiale e distante, ricevendo dal parigrado il solito atteggiamento distaccato che riservava a tutti. Nulla di nuovo insomma.
 
Quando, dopo un’analisi accurata, il danno all’armatura si rivelò essere notevole, Mu comprese che la riparazione avrebbe richiesto più tempo del previsto, costringendolo ad una momentanea e forzata coabitazione con il cavaliere. Non era la prima volta che ospitava qualcuno dei suoi compagni nella torre, già Aldebaran e Aiolia si erano trattenuti più giorni a Jamir, tuttavia, quella sarebbe stata la prima volta in cui avrebbe condiviso il suo spazio con il gelido Acquario. Il quale accolse la notizia in maniera del tutto indifferente.
 
A dire il vero, in un primo momento nessuno dei due si accorse minimamente della presenza dell’altro. Mu passava quasi tutto il tempo a lavorare nella fucina, mentre Camus trascorreva la giornata nell’unico posto della torre che avesse attirato la sua attenzione in modo evidente...la biblioteca.
 
Il francese nutriva una passione smodata per i libri, e la biblioteca della torre di Jamir, che custodiva testi degli argomenti più disparati, molti dei quali antichi come il mondo, gli apparve come uno scrigno pieno zeppo di tesori.
 
Fu solo dopo il secondo giorno che, resosi conto di non essere stato di alcun aiuto fino a quel momento, Camus prese l’iniziativa di preparare la cena. Mu passava la maggior parte della giornata a lavorare alla sua armatura, e pensò che il minimo da parte sua fosse fargli trovare la cena pronta.
 
Passando davanti alla fucina rimase di sasso quando vide il suo compagno aprirsi i polsi con calma invidiabile, e far scorrere il proprio sangue sull’armatura. Per un attimo gli sembrò di sentire una sorta di melodia provenire dall’Acquario, mentre Mu sussurrava dolcemente qualcosa che non riusciva a sentire.
 
In quel momento capì che il tibetano non era un cavaliere come tutti gli altri. Mu aveva un legame, una connessione con le armature che lo rendeva non solo un fabbro, ma un vero e proprio forgiatore celeste...dentro di sé era certo che se Mu lo avesse chiesto, le armature avrebbero risposto a lui prima che al loro stesso guardiano. Inoltre, la dedizione ed il sacrificio con cui lo vide lavorare su quelli che per lui non erano solo pezzi di metallo, lo lasciò basito. 
 
Camus, al contrario degli altri ori, non aveva mai espresso pareri né fatto congetture sulla lontananza dell’Ariete dal Santuario. Pur essendo un fatto insolito, non era mai giunto alla conclusione che potesse essere davvero un traditore...Sebbene non fossero mai stati amici, ricordava Mu come un bambino tranquillo, intelligente e poi...era l’allievo del Patriarca, non si era mai rifiutato di adempiere al suo dovere di fabbro, perché mai avrebbe dovuto tradire il Santuario?
 
Ma fu solo lì, davanti allo spettacolo della sua armatura che riconobbe nelle mani di Mu la discendenza muviana che l’aveva forgiata, che Camus capì il ruolo fondamentale del cavaliere dell’Ariete per la sopravvivenza del Santuario e la protezione della dea. In quel momento comprese che Mu poteva essere tutto, tranne che un traditore.
 
A poco a poco cominciò ad interagire con il padrone di casa. I discorsi durante i pasti passarono via via dall’essere frugali a diventare dei veri e propri confronti che, a volte, occupavano una buona parte della nottata. Su molte cose andavano d’accordo, su altre meno ed i loro confronti potevano diventare anche molto accesi, tuttavia...alla base vi erano sempre un profondo rispetto ed una reciproca ammirazione.
 
Quando la settimana necessaria per la riparazione dell’Acquario terminò, Camus lasciò la torre di Jamir con un po' di dispiacere, ma certo di aver trovato un amico. Sapendo che sarebbe stato inutile, in quei giorni non aveva mai accennato alle ragioni della sua lontananza dal Santuario, e d’altronde...se Mu avesse voluto parlargliene lo avrebbe fatto spontaneamente. Cosa che non avvenne e che Camus rispettò, maturando la convinzione che il tibetano dovesse avere delle buone ragioni per rimanere volutamente confinato a Jamir.
 
A causa del suo impegno come maestro, nel corso dell’ultimo anno le visite in Jamir non erano state molte, tuttavia, quei pochi incontri erano stati confortanti per entrambi...
 
Mu si trovava nella camera da letto del tempio dell’Ariete, quando sentì un cosmo familiare chiedere il permesso di entrare.
 
Continuando ad ordinare i propri vestiti, concesse il passaggio al cavaliere dell’Acquario, il quale si addentrò nel tempio raggiungendo l’amico nella sua stanza.
 
- Buonasera Camus! - Mu si rivolse al francese mentre riponeva alcune cose in un cassetto.
 
- Ciao Mu - rispose l’Acquario - come stai? -.
 
- Bene... - Mu inclinò leggermente la testa sorridendo - soprattutto perché ho trovato tutto già pronto...grazie...- chiuse gli occhi per sottolineare la sua gratitudine.
 
- Sapevo che saresti tornato... - Camus si avvicinò al tibetano e, in un gesto che chiunque considererebbe insolito per lui, lo abbracciò con affetto sincero.
 
Abbastanza lontano da non essere visto, ma con una visuale perfetta davanti a sé, Shaka rimase di sasso quando un alito di vento spostò le tende della finestra dell’Ariete...l’abbraccio tra Mu e Camus lo colpì come un pugno nello stomaco.
 
Istintivamente fece un passo indietro, imprecando contro se stesso per la sua stupida curiosità. Senza conoscerne la ragione, alzò gli occhi al cielo nel tentativo di ricacciare indietro le lacrime che, per la seconda volta in quello stesso giorno, minacciavano di uscire.
 
Perché quel dispiacere? Perché? Cosa gli importava di quell’abbraccio? Erano affari loro! 
 
Eppure non riuscì a respingere l’immensa tristezza che lo pervase.
 
Mentre lottava contro la sua stessa logica, sentì un’insolita sensazione percorrere dolcemente ed integralmente il suo corpo. Per qualche secondo si abbandonò a quel piacevole turbamento, non interrogandosi sulla causa che lo provocasse... Solo ritrovando un barlume della sua solita compostezza, un dubbio improvviso lo fece sussultare, tuttavia...no, non era possibile...rispondendo ad un impulso irrazionale quanto inevitabile, si guardò intorno, rendendosi conto di essere completamente solo. Ma allora...da dove proveniva quel calore che sentiva avvolgere tutto il suo corpo?
 
No. Si rifiutava di crederlo...non esistevano occhi umani che potessero vederlo. 
 
Deciso a sciogliere ogni dubbio, si mosse leggermente in avanti, recuperando la posizione che occupava in precedenza. Probabilmente i due cavalieri avevano chiuso la finestra, oppure si era spostati, o stavano continuando a fare quello che stavano facendo prima. Un senso di fastidio gli morse lo stomaco. Senza alcuna voglia, ma rispondendo ad un bisogno più forte di lui, riportò lo sguardo al punto in cui l’aveva lasciato, inquieto per ciò che avrebbe potuto scorgere.
 
Sobbalzò quando vide due grandi smeraldi fissarlo dritto nei suoi occhi spalancati dallo stupore...

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Capitolo 3
*** Santuario oscuro ***


- Tutto bene? - notando un leggero cambiamento nel cosmo dell’amico, Camus si avvicinò. Da sopra la sua spalla, scrutò nell’oscurità non notando nulla di strano.
 
- È solo un po' di vento - rispose Mu con la sua solita calma continuando a guardare un punto ben preciso - sarà meglio chiudere - accostò le ante della finestra tirando le tende, non prima di aver lanciato un’ultima occhiata.
 
Shaka trattenne il respiro anche quando il tibetano fu uscito dal suo campo visivo. Lo aveva visto?
 
Ovviamente lo aveva visto... ma...come aveva fatto? Camus non aveva percepito nulla, lo sapeva, aveva visto il suo sguardo muoversi a vuoto nel buio...ma allora... chi era realmente Mu? Di certo, più del fabbro eremita che viveva isolato nella fredda torre di Jamir...
 
Pensieroso, si voltò per reimmergersi nel silenzio del suo tempio. Shaka aveva molto su cui meditare.
 
Intanto, nella prima casa, i due compagni d’armi si erano ritirati in cucina, dove Mu stava preparando il tè per sé e per l’Acquario. La cucina consisteva in una stanza piuttosto rustica, arredata con pochi mobili in legno ed un divano semplice ma dall’aspetto confortevole; pur rispecchiando lo stile sobrio ed essenziale di tutti i templi, sembrava un posto accogliente per il cavaliere che vi dimorava.
 
- Grazie Camus - il tibetano rivolse un piccolo sorriso all’amico, mentre il liquido ambrato scendeva nelle tazze di porcellana sprigionando il suo inconfondibile aroma.
 
- Di cosa? - l’Acquario aggrottò le sopracciglia, pur conservando un’espressione ironica sul volto.
 
- Di molte cose... - Mu si accomodò su una delle sedie porgendo una delle tazze al suo ospite - ...di avermi aperto la mente perché potessi assistere all’adunanza... - vide il francese sorridere leggermente - ...di avermi dimostrato fiducia pubblicamente, sebbene tu sia conscio dei problemi che ti porterà... - stavolta Camus annuì allargando ulteriormente il suo sorriso - ...di avermi fatto trovare il tempio in ordine, ma soprattutto... - guardò il compagno dritto negli occhi, mostrando quanto fossero sincere le sue parole - di essere mio amico, Camus -.
 
- Grazie a te Mu... - il cavaliere lasciò la sua espressione ironica per tornare alla sua abituale serietà - se non ci fossi stato tu, l’ultimo anno non sarebbe stato lo stesso... - lo guardò intensamente prima di portare la tazza alle labbra e sorbire un piccolo sorso di tè.
 
L’Ariete sorrise leggermente. Poche parole gravi come macigni. Nessuna spiegazione. In perfetto stile Camus.
 
- Era lui, vero? - pur non avendo scorto nulla, Camus era certo che il cambiamento nel cosmo di Mu fosse stato causato dal sesto guardiano, il cui tempio, guarda caso, puntava proprio in direzione dell’Ariete. 
 
La domanda portò via Mu dai suoi pensieri, ma se lo colse di sorpresa non lo dette a vedere, assimilando l’eventuale stupore in uno dei suoi sorrisi enigmatici. Aveva imparato a non sottovalutare Camus, le cui capacità intuitive erano molto simili alle sue. Inoltre, il francese aveva anche un’altra caratteristica che lo accomunava a sé, vale a dire parlare solo quando necessario, concentrando la sua attenzione sull’ascolto e sull’osservazione. 
 
Avrebbe avuto senso mentire a Camus? No, decisamente. Inoltre, non c’era nulla da nascondere.
 
Mu si limitò ad annuire, guardando l’amico dritto negli occhi.
 
- Gli parlerai? -.
 
- Non ho molto da dirgli Camus, e viceversa, credo... - Mu fece roteare lentamente il liquido nella tazza - sono passati molti anni e d’altronde... - fissò di nuovo gli occhi blu di Camus - io ho fatto le mie scelte e lui le sue -.
 
L’Acquario percepì nettamente la sfumatura di tristezza che velava i begli occhi di Mu, ed un moto di indignazione lo spinse a parlare.
 
Sebbene da bambini non fossero stati amici, non era stato difficile per Camus comprendere il legame che univa i giovani apprendisti Ariete e Vergine, i quali, a loro volta, non erano mai stati bravi a nascondere la reciproca complicità. Quantomeno ai suoi occhi. Non poteva credere che dopo tanti anni, dopo tutta l’amarezza ingoiata, Mu provasse ancora dei sentimenti nei confronti di Shaka.
 
- Come puoi Mu?! - sebbene il tono fosse basso, la voce tradì il suo sdegno - Ti ha lasciato al tuo destino, mai una volta si è degnato di venire a Jamir, non ti ha mai difeso davanti alle chiacchiere dei nostri compagni, ha decretato la tua condanna a morte, e nonostante questo tu continui a... - ma non terminò la frase.
 
- Camus... - Mu prese le mani nervose tra le sue, costringendo l’amico a guardarlo negli occhi - non biasimare i miei sentimenti, perché non ne ho il controllo, così come non puoi biasimare i tuoi... - vide gli occhi di Camus aprirsi per la sorpresa - nessuno di noi può sfuggire alla realtà... - fece un piccolo sorriso prima di continuare - e se la mia realtà è affrontare qualcosa che non so neanche se esista ancora, la realtà che tu devi fronteggiare ha a che fare con il tuo cosmo che si altera accanto a quello di uno dei nostri compagni, come accaduto qualche ora fa... -.
 
Camus distolse lo sguardo mostrando un leggero disagio - Non so di cosa parli Mu... - tuttavia continuò a tenere le mani dell’amico - se intendi il breve diverbio con Milo, è più che ovvio...quello Scorpione mi fa impazzire! - alzò gli occhi al cielo - È sempre stato così...mi segue ovunque, è inopportuno, indiscreto, molesto, fastidioso... - stava per continuare l’elenco delle ingiurie ma Mu lo fermò.
 
- Ci conosciamo da molti anni Camus... - allargò un sorriso divertito - ti garantisco che nessuno avrebbe potuto importi nulla se tu non avessi voluto... - e prima che il francese potesse replicare aggiunse - fidati di me...neanche Milo... - dopodiché lasciò andare dolcemente le sue mani.
 
Le parole di Mu decretarono il silenzio nella stanza per lunghi minuti. Camus si era sempre rifiutato di riflettere sul suo rapporto con Milo, relegandolo alle questioni poco importanti non meritevoli di approfondimento, tuttavia, se solo avesse guardato un po' più a fondo nel suo cuore, si sarebbe reso conto di come fosse solo il suo modo di proteggersi da ciò che temeva più di ogni altra cosa...l’ignoto, l’incognita, ma soprattutto, la mancanza di controllo.
 
Concentrato sui suoi pensieri, sussultò quando sentì una voce nota alle sue spalle. Stranamente, non aveva sentito arrivare nessuno.
 
- Disturbo? - il fastidio era evidente nella voce di chi, senza chiedere il permesso, era entrato volutamente di soppiatto nascondendo il proprio cosmo.
 
Senza lasciarsi intimidire dal tono aspro, Mu si rivolse al nuovo arrivato.
 
- Buonasera Milo - inclinò leggermente la testa - perdonami...non ti ho sentito arrivare... - la voce calma, ma ferma, esigeva spiegazioni.
 
- Sì, beh...come dire... - Milo si grattò nervosamente la testa - non sono abituato a chiedere il permesso quando passo da questo tempio...d’altronde...è sempre stato vuoto... - si giustificò con studiata innocenza.
 
Se quella volesse anche essere una frecciata nei confronti del padrone di casa, fu scoccata malissimo, poiché Mu si limitò a fargli notare l’ovvio.
 
- Dunque perché nascondere il tuo cosmo? - il viso delicato mostrava una leggera sfumatura ironica.
 
Era chiaro a tutti i presenti che lo Scorpione avesse coperto la propria presenza nel tentativo di sorprendere sia Mu che Camus, magari in atteggiamenti sospetti...evidentemente li immaginava in una parte più privata del tempio, ed averli trovati in cucina lo aveva spiazzato e costretto a giustificarsi. 
 
Non sapendo cosa rispondere, Milo decise di cambiare argomento, dichiarando il motivo della propria presenza. 
 
- Avrei bisogno di parlare con te Mu...se non è troppo disturbo naturalmente... - volutamente sottolineò la parola disturbo, indirizzando lo sguardo verso l’undicesimo guardiano, che continuava a voltargli le spalle da quando era entrato.
 
Dal canto suo, Camus si limitava a guardare l’Ariete con l’espressione eloquente di chi ripete in modo insistente te lo avevo detto, tamburellando silenziosamente le dita di una mano sul tavolo di legno.
 
Mu avrebbe voluto ridere della situazione, tuttavia, ritenne opportuno tenere per sé le proprie reazioni. In fin dei conti, non era niente di più di una velata scenata di gelosia.
 
Un silenzio ingombrante aleggiò nell’aria solo per alcuni secondi, il tempo necessario all’Acquario per alzarsi e togliere l’amico dall’imbarazzo creato da Milo.
 
- È tardi per me, è meglio che mi ritiri nel mio tempio...ci vediamo domani Mu -.
 
Il tibetano si alzò a sua volta annuendo - Passerò io...domani andrò a Jamir e devo riferire al tredicesimo tempio prima di partire... -.
 
Entrambi evitarono di mostrare la smorfia ironica che venne loro spontaneamente. Con Milo nei paraggi, era meglio evitare di esporsi troppo...
 
- Buonanotte allora, e grazie del tè - dopo aver salutato l’amico, Camus si voltò e, senza rivolgere lo sguardo all’altro cavaliere presente, si diresse verso l’uscita con il suo solito passo deciso ed elegante. 
 
Quando si trovava ormai già fuori dal tempio, lo raggiunse alle spalle una voce irritata - Buonanotte anche a te Camus! -. 
 
Si fermò giusto il tempo necessario per alzare gli occhi al cielo e roteare lo sguardo esasperato...Ahi Milo...fastidioso aracnide! Possibile che la sua permanenza al Santuario dovesse essere sempre vissuta sotto lo sguardo vigile dell’ottavo guardiano? 
 
È vero, di solito non gli dava particolare importanza, ma in alcuni momenti avrebbe preferito avere un po' più di privacy...come in questo caso. Si era recato in Ariete con l’intenzione di affrontare un argomento molto delicato con Mu... ma, purtroppo, l’improvvisa ed inopportuna visita del greco aveva mandato all’aria i suoi piani. Sperava davvero di avere il tempo di chiarire ciò che gli stava a cuore...
 
All’interno del tempio, rimasti soli, Mu invitò l’ospite ad accomodarsi - Siediti pure Milo, se lo gradisci posso offrirti una tazza di tè -.
 
Milo negò, desiderando andare subito al punto - Ti ringrazio Mu, ma preferirei prima di tutto chiarire la ragione che mi porta a farti visita... - a dispetto del suo atteggiamento spavaldo, le mani, leggermente umide, tradivano il suo nervosismo.
 
Il tibetano fece un cenno con il capo, mostrando di essere in ascolto. Pur mantenendo un’espressione serena, Mu era attento ad ogni dettaglio e faceva bene...qualcosa gli diceva di prestare molta attenzione allo Scorpione, di ascoltare le sue parole, ma soprattutto di concentrarsi su ciò che non diceva...
 
- Vorrei spiegarti il motivo che mi ha portato a votare in favore della tua condanna nell’assemblea di oggi - Milo si schiarì la voce, ma fu prontamente fermato da Mu.
 
- Non è affatto necessario Milo, o meglio, non devi - e vedendo il compagno aggrottare leggermente la fronte continuò - hai fatto ciò che hai ritenuto giusto, e questo è ciò che ognuno di noi deve fare...la cosa giusta... - lasciò quelle parole sospese, senza aggiungere altro.
 
- Ma avrei potuto salvarti...e, sebbene avessi le mie remore, non l’ho fatto - Milo rivolse a Mu uno sguardo obliquo, osservando le sue reazioni.
 
Tuttavia, ciò che il tibetano gli rimandò fu solo un piccolo sorriso.
 
- Evidentemente le tue convinzioni erano più forti delle tue remore...se hai deciso sulla base delle tue convinzioni, non hai nulla da temere -.
 
Sentendosi minacciato dalle sue parole, lo Scorpione reagì prontamente - Cosa non dovrei temere? - il mento leggermente alzato in segno di sfida. Se Mu aveva intenzione di intimorirlo, lo avrebbe pagato con la stessa moneta.
 
Ma ciò che ottenne in risposta fu un sorriso enigmatico.
 
- Te stesso Milo...la coscienza può essere il nemico più temibile - Mu chiuse gli occhi per sottolineare ciò che stava dicendo.
 
Il greco si sentì leggermente frustrato. Quella conversazione stava prendendo una strana piega. Era andato lì con l’intenzione di far comprendere a Mu quelli che, secondo lui, dovevano essere gli obblighi ai quali ogni cavaliere d’oro doveva sottostare, e, invece, si stava addentrando in un terreno troppo filosofico per i suoi gusti. 
 
In realtà, era andato in Ariete anche perché era sicuro di trovarvi Camus e, senza neanche avere le idee ben chiare su cosa stesse facendo, era entrato nel tentativo di scoprire chissà cosa...venendo poi velatamente redarguito come un bambino curioso.
 
Dovette, suo malgrado, riconoscere che Mu dell’Ariete era un cavaliere molto strano o meglio...non sapeva proprio come prenderlo. Di certo non era l’eremita ignaro del mondo che aveva immaginato negli ultimi anni, anzi, non sembrava per nulla a disagio quando si relazionava con lui, né cadeva facilmente nelle sue allusioni.
 
Aggrottò la fronte mentre pensieri stravaganti turbinavano nella sua mente fertile.
 
Potrebbe, con il suo atteggiamento calmo e sereno, aver subdolamente riempito la mente di Camus di sciocchezze contro il Santuario e contro i suoi compagni? Sì, può darsi...d’altronde Camus, nonostante non fosse mai stato particolarmente loquace, era diventato sempre più distante nell’ultimo anno, i suoi ritiri in Grecia sempre più brevi e i silenzi sempre più lunghi ed esasperanti.
 
La responsabilità era del cavaliere che gli stava di fronte e che ora lo guardava con espressione curiosa? 
 
Lo osservò con maggior attenzione, stringendo le palpebre man mano che i suoi pensieri prendevano forma. Con enorme fastidio dovette ammettere che l’Ariete aveva un’avvenenza molto particolare, ma innegabilmente forte...era bello, molto bello, di una bellezza quasi femminile, più delicata di Aphrodite stesso...il corpo, pur non essendo muscoloso come il suo, era ben definito, si intuiva facilmente sebbene gli abiti lo coprissero completamente...ma soprattutto, il suo atteggiamento enigmatico rendeva difficile inquadrarlo...tutto questo ne faceva indubbiamente una creatura affascinante. 
 
Non potendo trattenere oltre la sua curiosità, la domanda uscì dalle sue labbra senza poterle controllare.
 
- È da molto tempo che sei diventato...come dire...intimo...con Camus? - sentendo la propria voce, quella domanda suonò ridicola persino a lui, tuttavia fece finta di niente, osservando la reazione dell’Ariete.
 
Che non ci fu, poiché il tibetano si limitò a continuare a fissare lo Scorpione senza tradire la benché minima emozione.
 
- Chiarisci intimo Milo - furono le uniche parole che disse.
 
Il greco, chiaramente imbarazzato, si schiarì la gola nel tentativo di temporeggiare. Come uscire da quella situazione? Gli venne in aiuto la sua naturale loquacità, alla quale sperò si unisse l’innato magnetismo che esercitava sempre sui suoi interlocutori. Beh...quasi...Camus, ad esempio, non era mai capitolato, spazientendosi sempre prima...ma sperò che in questo caso funzionasse.
 
- Correggimi se sbaglio Mu - Milo vestì il suo volto di un sorriso affascinante - ma non ricordo che tu e Camus siate mai stati grandi amici in passato - vide il tibetano annuire con calma guardandolo dritto negli occhi, cosa che lo mise un po' a disagio - eppure, oggi, lui si è messo contro tutti per salvarti da una condanna certa... - indugiò qualche secondo prima di continuare - lo trovo, passami il termine, quantomeno singolare, e che implica l’esistenza di un rapporto che va ben oltre l’essere compagni d’armi... - il fastidio era evidente nella sua voce - e stranamente coincide con il fatto che, nell’ultimo anno, Camus abbia avuto bisogno di riparare la sua armatura più volte... -.
 
- Se ho ben compreso - Mu lo interruppe prima che potesse continuare il suo sproloquio - stai dicendo che Camus si è espresso sulla base della, chiamiamola, simpatia nei miei riguardi...o piuttosto - scandì lentamente ogni parola - sulla base di qualcosa che posso avergli detto... - il leggero sorriso sulle labbra del tibetano innervosì ulteriormente l’interlocutore.
 
Milo annuì reticente, non comprendendo dove Mu stesse andando a parare.
 
- Questo è molto singolare da parte tua, dato che lo conosci da molto tempo... - continuò il primo guardiano - e non ti è venuto in mente per un momento che Camus abbia potuto decidere sulla base, ad esempio - sottolineò in modo ironico le ultime parole - delle sue idee...dei suoi pensieri...del suo raziocinio? - si fermò qualche secondo, scrutando l’ospite, che ora si mostrava decisamente a disagio.
 
- Credo che tu mi abbia sopravvalutato Milo - inclinò la testa di lato mantenendo un’espressione divertita - non ho il potere che mi attribuisci...né su Camus né su nessun altro... - sottolineò le sue parole alzando le spalle.
 
In quel momento, l’ottavo guardiano si sentì un perfetto imbecille, caduto miseramente nel suo stesso gioco. Sopraffatto dalla gelosia, aveva dato a Camus del burattino senza cervello e a Mu del subdolo stratega.
 
Se il francese fosse stato presente lo avrebbe ucciso. Come minimo.
 
Comprendendo che non avrebbe ottenuto nulla da quella discussione, se non farsi trattare come uno sprovveduto, Milo decise di terminare il suo incontro con il guardiano dell’Ariete...dopo averlo salutato in modo piuttosto formale, ricevendo, a sua volta, un commiato gentile ma distaccato, girò i tacchi in direzione dell’ottava casa. Non senza una buona dose di nervosismo e frustrazione...
 
Rimasto solo nel suo tempio, Mu si sgranchì allungando gambe e braccia ed incrociando le mani dietro la testa. La sua mente tornò agli ultimi minuti trascorsi in compagnia di Milo. 
 
Aveva sempre temuto che stare per tanto tempo lontano dal Santuario lo avesse trasformato, contro la sua volontà, in una sorta di eremita fuori dalla realtà, tuttavia...il breve incontro che aveva avuto con i suoi compagni d’armi gli aveva fatto comprendere quanto quegli anni non fossero stati facili neanche per loro. Per quanto tutto fosse apparentemente diverso rispetto a tredici anni prima, quando, con un ultimo sguardo alle dodici case, si era teletrasportato via portando con sé solo il vaso di Pandora con dentro l’armatura dell’Ariete, allo stesso tempo tutto sembrava immutato.
 
Le dinamiche tra i cavalieri erano rimaste pressoché le stesse. Con le dovute eccezioni, come la sua naturalmente, il resto dei suoi compagni tendeva a replicare i medesimi atteggiamenti e comportamenti tenuti quando erano bambini. E non ci sarebbe stato nulla di male, se non...per un particolare che aveva catturato la sua attenzione. 
 
Sebbene fosse tornato al Santuario solo da poche ore, non gli ci era voluto molto per capire quanto quel posto fosse intriso dell’oscurità delle tenebre, in tutti i sensi... Quello che lo aveva sorpreso maggiormente era stato comprendere come ogni cavaliere celasse nel proprio cuore sentimenti e desideri che si rivelavano, quantomeno nel loro aspetto più profondo, solo con il favore del buio...
 
Concentrato sui propri pensieri, si alzò per raccogliere le tazze ancora sul tavolo e, dopo aver riordinato la cucina, si diresse verso la sua stanza. Prima di andare a letto si concesse un bagno che potesse conciliargli il sonno, e, in effetti, i vapori sprigionati dall’acqua calda mentre cullava dolcemente le sue membra, gli dettero l’intorpidimento conciliatore per una buona notte di sonno. Considerata la giornata intensa, sperava finalmente di poter riposare...
 
Cosa che fece, ma solo per poco tempo.
 
Sentì la presa salda di mani forti afferrarlo per la vita e spingerlo sempre più a fondo. Guardando in basso non distinse niente, a parte il buio sotto ai suoi piedi. Il luogo nel quale si trovava somigliava vagamente allo spazio che circondava la torre di Jamir, solo che, al posto delle anime che difendevano il posto dai visitatori sgraditi, qui non c’era niente. Solo buio pesto e la sensazione di essere sospesi nel vuoto. L’aria fredda sferzava il suo corpo, rendendo insensibili lo strato superficiale della pelle e la mimica sul suo volto. Le mani che lo tenevano energicamente si insinuavano subdolamente alla stregua del vento e, pur essendo reso insensibile dal freddo, Mu le sentiva infilarsi tra gli strati dei vestiti alla ricerca di un tocco più intimo...della sua pelle. Volendo sfuggire a quel contatto, si rese conto di essere completamente paralizzato quando tentò di resistere alla forza che lo attirava sempre più verso di sé. Anche quando cercò di urlare, si rese conto di come dalla sua gola non uscisse il minimo suono, sentendola chiudersi mentre la forza oscura lo spingeva sempre più in basso.
 
In quel momento, l’angoscia pervase ogni angolo della sua mente, riempiendolo della stessa disperazione che permeava l’aria gelida e priva di odore e suono. In cuor suo, si rese conto di come quella fosse la fine...una fine indegna.
 
In preda agli ultimi pensieri, impiegò alcuni secondi per rendersi conto di quanto il suo corpo stesse diventando via via più leggero...
 
I legacci oscuri sembravano sciogliersi mentre una luce avvolgeva il suo corpo infondendo calore in ogni fibra dei suoi muscoli, donandogli una energia calma e pacifica.
 
Il cosmo più amorevole che avesse mai sentito in vita sua...
 
Aprendo gli occhi di scatto, si svegliò di soprassalto, e, con un movimento rapido, si mise a sedere sul letto guardandosi intorno. 
 
Non trovando nulla.
 
Mu sapeva che quello appena fatto non era un semplice sogno...era certo di aver vissuto tutto in una dimensione parallela...
 
Non ne era particolarmente stupito, d’altronde il vecchio maestro Dohko lo aveva avvertito in merito alle insidie che avrebbe dovuto fronteggiare tornando al Santuario da traditore, tuttavia, ciò che lo aveva sorpreso era stata l’interferenza...calda, benevola, amorevole...era sicuro che qualcuno stesse vegliando su di lui...
 
Sperò di poterlo ringraziare un giorno. 
 
Nel frattempo, al tredicesimo tempio, una figura imponente, riparata da una spessa veste che lo copriva fino ai piedi e dai lunghi capelli grigi visibili ben oltre la maschera che indossava, espirò insoddisfatto. Chi aveva osato interporsi nella sua illusione? 
 
Non aveva mai sentito quel cosmo prima d’ora. Tuttavia, era possibile che il proprietario lo avesse manipolato per renderlo irriconoscibile...
 
Inquieto, ma non meno determinato ad andare fino in fondo per prendersi ciò che voleva, si ritirò nella parte privata del tempio.
 
L’indomani, Mu si destò molto presto. Quando i primi raggi del sole filtrarono dalle tende chiuse, il tibetano era già sveglio da tempo. Ancora disteso sul letto, riparato dalle coperte fino alla vita, osservava le particelle di pulviscolo volteggiare tra le timide luci dell’alba, ripensando alla notte appena trascorsa.
 
Sebbene fosse consapevole di aver sognato, sentiva, in cuor suo, che nulla di quanto accaduto fosse stato un sogno. Rabbrividì ripensando al freddo che lo aveva attraversato fino alle ossa, ed alla sensazione di quelle mani aspre e ruvide sulla sua pelle calda...
 
Poi, però, ripensò a quel cosmo gentile che lo aveva avviluppato nel suo calore, infondendo energia in ogni parte del suo corpo. Prima o poi avrei trovato il suo proprietario...
 
Si alzò, ritenendo ormai inutile continuare a crogiolarsi nei propri pensieri. A maggior ragione sapendo di avere innanzi a sé una giornata decisamente intensa, o almeno così immaginava. Sarebbe tornato a Jamir per poche ore, solo che stavolta avrebbe avuto la “compagnia” della Vergine, e per di più, prima di partire avrebbe dovuto riferire al Patriarca. Decisamente lo attendeva una giornata difficile. E non si sbagliava, solo, non aveva idea del grado di difficoltà che quel giorno gli avrebbe riservato...
 
Quando ebbe terminato di prepararsi, uscì sull’ampia piattaforma che antistava il tempio dell’Ariete. Per prima cosa dette un rapido sguardo in basso, verso il Colosseo, il luogo nel quale i cavalieri d’oro si allenavano; non vedendo nessuno, un leggero sospiro di dispiacere uscì dalle sue belle labbra. Per arrivare al tempio del Patriarca avrebbe dovuto attraversare tutte le case dei suoi compagni...se l’arena di allenamento era completamente deserta, ciò poteva significare solo che ogni cavaliere presiedeva il proprio tempio.
 
Prendendo un respiro profondo si dette forza per affrontare le seccature che di certo lo attendevano... rivolgendo lo sguardo in direzione degli altri templi cominciò la sua lunga salita.
 
Dopo aver percorso un buon numero di gradini, la casa del Toro si parò innanzi ai suoi occhi, imponente come il suo guardiano.
 
Mu alzò il suo cosmo, in una muta richiesta di passaggio al custode del luogo. Il quale non tardò a manifestarsi.
 
- Buongiorno Mu - il volto di Aldebaran rivelava chiaramente quanto fosse stata difficile la notte appena trascorsa.
 
- Buongiorno a te Aldebaran - Mu non mostrò il benché minimo biasimo nella sua voce, facendola risuonare amichevole come sempre - Perdonami, lo so che è ancora molto presto, ma ho bisogno del tuo permesso per passare oltre -.
 
- Certo...Stai andando dal Patriarca? - Aldebaran fece la domanda più per rompere l’atmosfera imbarazzante tra di loro che per curiosità, conoscendo ovviamente già la risposta.
 
Mu si limitò ad annuire con il capo e a mostrare un piccolo sorriso.
 
- Mu... io... - il Toro iniziò a balbettare, rivelando tutto il suo nervosismo. La notte per lui era stata molto difficile. Aveva dovuto fare i conti con la propria coscienza che, disapprovando il modo vigliacco in cui si era comportato, si era rivelata un giudice molto severo. Tuttavia, non riuscì a dire niente, la sua lingua sembrava essere paralizzata dalla vergogna...
 
Toccò a Mu sbloccare la situazione.
 
- Non occorre Aldebaran... va tutto bene - il tibetano scosse la testa sorridendo - hai fatto ciò che hai ritenuto giusto, non mi devi alcuna giustificazione - quando vide una piccola lacrima sfuggire dagli occhi scuri del Toro, si avvicinò e, con fatica, data l’altezza dell’uomo, gli mise una mano sulla spalla per suffragare le sue parole - da parte mia non è cambiato nulla...davvero -.
 
In realtà la sentenza del brasiliano aveva ferito Mu, tuttavia, aveva dovuto far ricorso alla sua razionalità. Avrebbe potuto rimproverare qualcosa ad Aldebaran? No. Dopo tutte le volte che si era rifiutato di tornare al Santuario, non avrebbe potuto biasimare chi sospettava della sua lealtà verso il falso Patriarca, anche se si fosse trattato di un amico.
 
Dopo aver salutato il Toro, Mu si avviò verso l’uscita per riprendere la salita. Mentre camminava, si concentrò sul suo respiro per calmare il nervosismo. La prossima casa avrebbe potuto essere il luogo più tranquillo di tutti così come nascondere inquietanti insidie. 
 
Dunque, Mu si mise in allerta, attento ad ogni minimo dettaglio.
 
Giunto al terzo tempio, pur sapendo di non trovarvi nessuno, data la “lunga” missione nella quale Saga era impegnato da anni (un sorriso ironico increspò le belle labbra dell’Ariete), i suoi sensi si fecero più vigili che mai.
 
L’eco dei suoi passi risuonava cupo nell’atmosfera tetra della casa vuota, e man mano che avanzava lungo lo scuro pavimento di pietra, la sensazione di essere osservato diventava via via più forte.
 
Nel tempio più alto, la figura imponente del Patriarca si agitava nervosamente sullo scranno...una parte di sé gli diceva di manifestarsi immediatamente nel suo tempio per prendere ciò che desiderava...mentre l’altra lo tratteneva con invisibili legacci nel timore di fare del male al primo guardiano. Guizzi color smeraldo attraversavano gli occhi fiammeggianti che scrutavano con brama il passaggio dell’Ariete nella casa dei Gemelli...
 
Accelerando il passo fin quasi a correre, Mu tirò un sospiro di sollievo quando sentì nuovamente l’aria del mattino rinfrescargli il viso. Il vecchio maestro lo aveva messo in guardia dalle insidie che potevano nascondersi nella perenne oscurità di quella casa... illusioni... visioni infide e pericolose per chi aveva la sfortuna di incapparvi...
 
Senza neanche rendersene conto, data la rapidità con la quale si muoveva, si trovò già all’ingresso del quarto tempio. La casa di Deathmask, il cavaliere d’oro del Cancro.
 
Più infastidito che intimorito dal dover incontrare il suo compagno d’armi, memore del conto in sospeso che avevano da quando Deathmask aveva dovuto abbandonare il suo proposito di giustiziare il vecchio maestro, Mu alzò il proprio cosmo annunciandosi al padrone di casa e chiedendo il permesso di passare. In cuor suo sperò di non avere problemi e di poter attraversare la casa nel minor tempo possibile. Anche se non nutriva molte speranze...
 
Sebbene si trovasse nella parte più esterna della casa, l’aria fetida che appestava quel luogo riusciva a disturbare le sue narici. Sapeva perfettamente cosa ci fosse all’interno di quel tempio, ma nonostante fosse preparato, ciò non diminuì il senso di nausea che gli attanagliò lo stomaco. Come potesse un individuo del genere appartenere all’élite di Atena era qualcosa che non avrebbe mai compreso, tuttavia...non stava a lui sindacare la scelta dell’armatura. 
 
Già infastidito, fu per lui una piacevole sorpresa rendersi conto del fatto che all’interno del tempio non ci fosse nessuno, e dopo aver atteso una risposta per un tempo ragionevole, che gli sembrò non finire mai, Mu riprese il cammino con evidente sollievo.
 
Prima ancora di terminare i gradini che lo avrebbero condotto davanti al tempio del Leone, Mu poté distinguere davanti a lui una figura che conosceva bene.
 
Ad attenderlo, in piedi e con una faccia rivelatrice della pessima nottata trascorsa, c’era Aiolia.
 
- Mu... - precedendo l’ospite, il padrone di casa parlò per primo - perdonami... - non riuscendo a dire altro, lacrime pesanti ricominciarono a segnare il volto già evidentemente provato.
 
Per quanto anche la condanna di Aiolia lo avesse ferito, Mu non riuscì a trattenersi...accorciando la distanza tra di loro, mise entrambe le mani sulle ampie spalle del Leone, scuotendolo leggermente.
 
Non ce la faceva...non poteva prendersela con lui... Aiolia era colui che più di tutti aveva sofferto in quegli anni...
 
La vergogna e il dolore di essere considerato solo il fratello del traditore, il disprezzo subito dai compagni e dai cavalieri che gravitavano intorno al Santuario, la solitudine sofferta per tredici anni...no, Aiolia aveva già sopportato abbastanza. Per di più, lui stesso gli aveva sempre suggerito di prendere le distanze dalla loro amicizia, almeno agli occhi dei compagni d’armi, per non aggravare ulteriormente la sua posizione...decisamente non avrebbe potuto rimproverare nulla al povero Aiolia.
 
- È tutto a posto Olia - usò volutamente il diminutivo che gli aveva dato a Jamir - hai fatto quello che dovevi e non ho nulla da doverti perdonare... - sebbene il suo tono fosse morbido, le parole furono ferme.
 
- Mi sono comportato come un vigliacco... - le lacrime continuavano a scendere dagli occhi fissi sul pavimento - a maggior ragione perché anch’io ho molti dubbi Mu... -.
 
Senza lasciare la presa sulle sue spalle, Mu lo costrinse a guardarlo negli occhi e parlò in un tono che non ammetteva replica.
 
- Allora usa quei dubbi per chiarire le tue idee Olia...non per crogiolare il tuo animo in inutili sensi di colpa che non hanno ragione di esistere - dopodiché lasciò andare dolcemente le spalle del greco rivolgendogli un bel sorriso.
 
- Ora mi lasceresti passare, per favore? - aggiunse in tono ironico tentando di sdrammatizzare l’atmosfera - Mi attende una lunga giornata e un bel po' di cammino prima di arrivare all’ultimo tempio... -.
 
Tornando a fissare il pavimento, Aiolia annuì con un sorriso triste sul volto - Ma certo Mu...passa pure...e buona giornata... -.
 
Riprendendo la salita, Mu pensò a quanto avrebbe voluto davvero che lo fosse, tuttavia, non riservava molte aspettative, a maggior ragione considerando il tempio che si accingeva ad oltrepassare.
 
Quando arrivò sull’ampia piattaforma antistante il tempio della Vergine, Mu fu avviluppato da una sensazione di pace irreale. L’unico suono udibile era il crepitio dei bracieri che fiancheggiavano l’ingresso, posti dietro a due imponenti Buddha di pietra. L’espressione serena sul volto delle statue amplificava la quiete del posto, infondendo una piacevole calma in chi lo attraversava.
 
Per un attimo, Mu si lasciò abbracciare dall’atmosfera del luogo...il silenzio che vi regnava era confortante. Dopo la confusione che si era creata nel Santuario con il suo ritorno, quello era il primo momento in cui poteva godere di un po’ di tranquillità...
 
Tuttavia, quella sensazione di pace durò poco. Riprendendo coscienza di dove si trovasse, tornò velocemente in sé, rimproverandosi di quell’attimo di debolezza. Non sapeva ancora come l’avrebbe accolto il guardiano di quella casa, ma, nel dubbio, non poteva rischiare di farsi cogliere impreparato.
 
Stava per alzare il cosmo annunciando la propria presenza, ma la risposta della Vergine giunse prima della sua richiesta. Un cosmo caldo e piacevole quanto i raggi del sole in una dolce giornata di primavera concesse il permesso a colui che non l’aveva ancora richiesto.
 
Per un breve attimo Mu fu sorpreso, divenendo ancora più vigile di quanto già non fosse.
 
Era una trappola? No. Non avrebbe avuto senso. Non ora almeno...
 
Stando sempre in allerta, si avviò verso l’uscita del tempio. 
 
Sebbene non avesse visto nessuno, quando si trovò ormai sulle scale che conducevano alla settima casa, quella della Bilancia, una strana impressione allertò i suoi sensi.
 
Fermandosi all’improvviso si voltò ma non vide nessuno. Eppure la sensazione di essere seguito era fortissima...
 
Mu riprese il suo viaggio sentendo il peso di occhi penetranti attraversare la sua stessa nuca.
 
Oltrepassò il tempio di Libra senza alcun problema, sorridendo malinconicamente al pensiero del vuoto e dell’abbandono che vi regnavano...l’anziano maestro aveva lasciato la sua casa secoli prima per stabilirsi a Rozan, e per quanto sapesse che lì stava compiendo il suo dovere di cavaliere, non poté evitare l’amarezza di vedere quel posto deserto... per un attimo si interrogò su come dovesse apparire quando vi abitava il giovane Dohko.
 
Per qualche strana ragione aveva sempre pensato che la calma e la saggezza del vecchio maestro fossero dovute esclusivamente all’età e al suo vissuto. La mente dell’Ariete aveva sempre immaginato il Dohko ragazzo incredibilmente vivace ed esuberante...
 
Con tutta probabilità, secoli addietro quel tempio doveva essere stato un disastro!
 
Un sorriso divertito si allargò sul viso di Mu, anche se durò poco, perché la sensazione di essere osservato si fece più intensa man mano che avanzava.
 
Evitò di voltarsi nuovamente, sapendo che sarebbe stato inutile. Chi lo osservava non era dietro di lui, bensì intorno a lui...e non aveva difficoltà ad immaginare di chi si trattasse...
 
Anche il passaggio attraverso la casa dello Scorpione fu rapido. Dopo aver sentito il cosmo di Mu innalzarsi per chiedere il permesso, Milo lo concesse senza fare domande né farsi vedere. 
 
Ne aveva già avuto abbastanza dell’Ariete, e non era sua intenzione ripetere a breve l’esperienza della sera prima.
 
Mu continuò la sua salita senza fermarsi, d’altronde Milo era stato rapido nel concedere il suo permesso... tuttavia, quando giunse in prossimità del nono tempio, la commozione prese il sopravvento su qualunque altra emozione.
 
- Aiolos... - il nome del cavaliere uscì come una sorta di sospiro, mentre una lacrima segnava la pelle pallida del viso fino ad insinuarsi tra le labbra del tibetano. In quel momento non gli interessò di essere visto da chi lo stava sorvegliando.
 
L’aria che regnava in quel luogo non aveva nulla di nostalgico, come nel settimo tempio, né di incuria, come quella che sicuramente permeava la sua casa prima che venisse ripulita...
 
Quella casa era carica di dolore e urlava contro l’ingiustizia vigliaccamente commessa contro il suo custode... quel posto esigeva verità per colui che in questo momento avrebbe dovuto occupare lo scranno più importante...
 
Mu serrò i pugni. Non era ancora il momento, ma ormai non mancava molto.
 
Quando arrivò alla decima casa, Mu stesso fu sorpreso dai sentimenti che lo colsero. 
 
Sapeva che il guardiano del tempio si trovava al suo interno, potendo sentire il suo cosmo già da dove si trovava, tuttavia, furono i sentimenti che permeavano l’aria a provocargli un fastidio che quasi gli serrò la gola soffocandolo. Biasimo, rancore, colpa...
 
Quella casa era intrisa di condanna. Come colui che vi dimorava.
 
Per un momento, la pietà strinse il cuore di Mu. Comprese immediatamente cosa accadesse in quella casa quando il suo custode si aggirava al suo interno in completa solitudine. Il senso di colpa, unito alla cieca convinzione di aver obbedito agli ordini, stavano avvelenando l’animo del decimo guardiano...
 
Alzò il suo cosmo, preparandosi anche all’evenienza di dover ripetere quanto accaduto il giorno precedente nella sala patriarcale.
 
Dopo una manciata di secondi, il cavaliere del Capricorno si manifestò. Il suo volto non era dei migliori e portava i segni di tutti i sentimenti catturati qualche istante prima dal tibetano...tuttavia, non disse nulla, limitandosi ad indicare con gli occhi di passare oltre.
 
Sebbene non tollerasse la presenza di colui che considerava un traditore, Shura non ritenne opportuno scatenare un’altra rissa. Forse perché memore del monito del Patriarca, o perché l’abilità dell’Ariete nello schivarlo facilmente lo aveva lasciato confuso, oppure a causa dell’ingombrante presenza di un altro compagno d’armi che seguiva i passi del tibetano...o probabilmente per tutte e tre le cose. 
 
Dopo aver osservato per alcuni secondi la schiena di Mu in direzione dell’uscita, Shura rientrò nel suo tempio senza proferire parola.
 
Quando Mu arrivò all’undicesima casa, trovò Camus ad attenderlo all’ingresso.
 
Il sopracciglio alzato del francese provocò una smorfia ironica sul volto dell’Ariete.
 
- In dolce compagnia? - pur mantenendo un’espressione imperturbabile, era chiaro lo sforzo dell’Acquario di nascondere la sua ilarità.
 
- Non è bello Camus... - Mu lo redarguì sorridendo - ...ridere delle mie sventure... -.
 
Camus annuì, mostrando a sua volta un piccolo sorriso - Stai andando a Jamir? -.
 
- Sì - confermò Mu - voglio andare il prima possibile per poter tornare il prima possibile... - poi, si avvicinò parlando in tono più basso - non ho dimenticato il nostro incontro Camus... - lo guardò attentamente prima di continuare - come vedi, ora non mi è possibile, ma al mio ritorno mi fermerò dopo aver conferito con il Patriarca... te lo prometto -.
 
Camus annuì salutando Mu con una pacca sulla spalla. Sapeva che il tibetano non faceva promesse che non poteva mantenere.
 
Quel piccolo gesto di confidenza non passò inosservato a chi seguiva l’Ariete...
 
Giunto ormai al termine, mancava solo un altro tempio per poter finalmente giungere alla sala patriarcale, tuttavia, qualcosa dentro Mu gli disse che quel passaggio gli avrebbe riservato qualche sorpresa.
 
La prima fu di sentire non uno, bensì due cosmi all’interno della casa, ma per quanto singolare potesse essere, l’Ariete non gli dette alcun peso. Soprattutto, non gli interessava, dato che non gli era stato difficile riconoscere entrambi. Uno, quello del padrone di casa, per il livore che aveva rilasciato anche il giorno prima, e l’altro, per averlo già sentito a Rozan...il fatto che Deathmask fosse dentro casa non gli creava né imbarazzo né interesse. Non avrebbe potuto essere più indifferente a ciò che accadeva lì dentro.
 
Quando alzò il cosmo per annunciare la propria presenza, dovette attendere alcuni minuti prima che Aphrodite si degnasse di rispondere, cosa che però, alla fine, fece, concedendo il passaggio.
 
Mu era quasi giunto all’uscita di quel tempio, quando lo spettacolo di un giardino pieno di rose attirò la sua attenzione. La sera prima non lo aveva notato, probabilmente sia a causa del buio che della concitazione dovuta al suo ritorno, ma ora non poteva sottrarsi all’incanto della distesa scarlatta in fiore.
 
Memore degli avvertimenti del vecchio maestro, Mu trattenne il respiro. Dohko gli aveva spiegato la letalità delle rose dei guardiani dei Pesci, al punto che anche solo il profumo di quei fiori avrebbe potuto provocare effetti venefici, quindi, per quanto quello spettacolo floreale lo affascinasse, ritenne opportuno accelerare il passo.
 
Muovendosi velocemente per oltrepassare quel luogo il prima possibile, dovette, suo malgrado, fermarsi, quando la voce del dodicesimo guardiano gli arrivò inaspettatamente.
 
- Solo un momento - la voce affettata di Aphrodite risuonò chiara nel silenzio del giardino.
 
Mu alzò gli occhi al cielo, tuttavia, dovette fermarsi. Non essendo il suo tempio, non avrebbe mai potuto contravvenire agli ordini del suo custode.
 
- Puoi stare tranquillo... - Aphrodite allargò un sorriso malizioso - a quest’ora del mattino non sono velenose...forse perché non lo sono io... - una leggera risata suonò solitaria.
 
Mu liberò il suo respiro, rimanendo tuttavia vigile...a maggior ragione quando il cavaliere dai boccoli celesti cominciò a girargli intorno, non facendo mistero di scrutarlo da cima a fondo.
 
Non potendo prendere iniziativa, un leggero disagio si impadronì dell’Ariete, che, a questo punto, ruppe lo scomodo silenzio.
 
- Chiedo di poter passare cavaliere - sebbene fosse in imbarazzo, la voce di Mu risuonò calma come sempre.
 
- Mmmmm... - ignorando ciò che aveva detto il compagno d’armi, lo svedese continuò il suo esame, portando, pensieroso, il dito indice sulle labbra.
 
- Non ho mai capito che accidenti ci trovi in te... -.
 
Sebbene il tono non fosse minaccioso, quanto appena sentito allarmò Mu. E non poco. Di che diavolo stava parlando Aphrodite? E di chi?!
 
- Beh...devo ammetterlo...non sei così male...ma... - la voce si fece leggermente aspra - non puoi competere, non con me! -.
 
Dopo avergli rivolto uno sguardo di superiorità, percorrendolo da cima a fondo, in un impeto di rabbia si avvicinò all’orecchio del tibetano, sussurrando parole con il suo solito tono mellifluo.
 
- Io sono sempre stato accanto a lui...io ho raccolto il suo dolore e la sua follia...non puoi portarmelo via...non te lo permetterò mai... -.
 
Dopodiché si voltò per rientrare nel suo tempio in un gesto che fece danzare nell’aria la sua folta chioma.
 
Mu rimase pietrificato per qualche frazione di secondo... persino chi lo seguiva ebbe difficoltà a decifrare cosa fosse accaduto.
 
Tornando in sé, si mosse alla massima velocità consentita per poter uscire il prima possibile da quella casa. Nella sua mente, un solo pensiero occupava tutto lo spazio preoccupandolo fortemente.
 
A quale livello di oscurità era sprofondato il Santuario?

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Capitolo 4
*** Tre modi diversi di mostrare rabbia ***


Infine Mu era giunto a destinazione. Ad onor del vero, non si era neanche reso conto del momento in cui era uscito dal perimetro delle case per percorrere il corridoio che portava alla sala patriarcale. Solo trovandosi di fronte all’ingresso si rese conto del tragitto fatto. Distratto da pensieri che turbinavano nella sua mente...
 
Le parole di Aphrodite rimbombavano ancora nella sua testa, e, malgrado ne fosse turbato, aveva cominciato ad elaborarne il significato. Sebbene non fosse arrivato a nessuna spiegazione logica. 
 
Chi non avrebbe dovuto portargli via? 
 
Mu non riusciva a pensare a nulla di sensato che lo portasse a conclusioni degne del loro nome. L’unica cosa chiara nella sua mente erano le ombre che vivevano all’interno del Santuario, muovendosi subdolamente tra le sue cupe mura. Ombre che, tutt’altro che discrete, agitavano gli animi dei guardiani di Atena.
 
E così, senza rendersene conto, era giunto innanzi al maestoso portone, dietro il quale la sala patriarcale si estendeva in tutta la sua solennità. Se la situazione non fosse stata drammatica, avrebbe persino potuto ridere del grottesco che ivi regnava...quel luogo aveva perso qualunque barlume di solennità da molto tempo. Esattamente da tredici anni, quando l’odore del sangue del suo maestro aveva impregnato gli spessi tessuti che ancora ornavano la sala principale e le stanze private di quel posto. Sangue che molti avevano finto di non vedere.
 
Sospirando, si annunciò alle guardie che presiedevano alla sicurezza, chiedendo loro il permesso di passare. Dentro di sé sorrise amaramente... fino ad ora aveva fatto solo quello...chiedere il passaggio. Per un attimo ripensò con nostalgia alla tranquillità e alla pace del Jamir. Era tornato solo da un giorno, e già non ne poteva più di quel luogo e di chi vi dimorava. Tuttavia, si costrinse ad essere pragmatico... il suo dovere ormai non era più quello di sorvegliare il Santuario a distanza, bensì di essere presente per ciò che stava per accadere.
 
Ormai si era abituato anche alla presenza riservata che lo seguiva dal sesto tempio. D’altronde quelli erano gli ordini del Patriarca, e, anche se la situazione sembrava del tutto surreale, avrebbero trascorso buona parte della giornata insieme. Tanto valeva farsene una ragione.
 
Probabilmente la Vergine aveva meno piacere di lui nell’obbedire all’ordine...
 
Si accigliò. A quell’idea, una punta di dispiacere gli strinse il cuore, tuttavia, si costrinse ad uscire dai suoi pensieri per concentrarsi sull’imminente incontro. Una distrazione era l’ultima cosa che poteva permettersi.
 
Saga era già seduto sul trono riservato alla massima autorità del Santuario, quando vide entrare Mu e percorrere lo spazio necessario per raggiungere lo scranno riservato al suo segno. Guardandolo avvicinarsi, allargò un celato sorriso soddisfatto...era un vero piacere godersi il suo ingresso e poterlo scrutare da cima a fondo come i suoi occhi bramosi chiedevano. Per quanto, in veste di Patriarca, non avesse mai avuto problemi a trovare una piacevole compagnia per soddisfare i suoi bisogni, l’Ariete, nel corso degli anni, era diventato la sua ossessione. Prima per un motivo e poi per un altro...
 
Il suo compiacimento, però, fu subito smorzato...il tempo di veder entrare la Vergine, ed il suo sorriso osceno gli morì sulle labbra. Dannato ficcanaso!Tuttavia, dovette riconoscere di aver impartito lui stesso quell’ordine, dunque, il cavaliere della sesta casa era più che legittimato ad essere presente.
 
Nessun inchino, nessuna deferenza.  Ripetendo l’atteggiamento del giorno prima, Mu si fermò in piedi davanti al falso Patriarca in attesa di ordini. Al contrario, Shaka si inginocchiò come da protocollo, alzandosi solo quando l’autorità glielo permise, con un semplice cenno della mano.
 
- Ariete! - a fatica, la voce di Saga suonò neutrale, anche se più cupa del solito - Immagino che tu stia andando in Jamir... - vide Mu annuire, chiudendo gli occhi per assentire alle sue parole - bene...questa sera, quando tornerai, voglio che ti presenti di nuovo innanzi a me, riportandomi l’esito del viaggio -.
 
Mu non rispose, limitandosi a fissare le orbite scure dietro alla maschera. Dopo alcuni secondi di attesa, annuì nuovamente, prima di voltarsi per uscire dalla sala, mettendo fine a quel brevissimo incontro. Sapeva perfettamente quanto irrispettoso fosse il suo comportamento, ma era più forte di lui...non ce la faceva, non riusciva a fingere ossequio. Per Mu il rispetto era un qualcosa di sacro che andava conquistato con fatica ed impegno, non un teatrino da inscenare per mero calcolo. Se Saga avesse voluto vendicarsi, avrebbe accettato la sua punizione, ma essere deferenti di fronte a lui era fuori discussione.
 
Provocando lo sconcerto della Vergine, che stava assistendo da spettatore a quella strana scena, Saga, però, fece finta di nulla, ignorando volutamente il pessimo comportamento dell’Ariete. Continuando a fissare di nascosto le spalle di Mu, parlò al sesto guardiano.
 
- Cavaliere... - vide Shaka voltarsi mantenendo le palpebre chiuse come sempre - per quanto ti riguarda, verrai domattina a riferirmi in merito alla tua missione! - dopodiché si alzò mettendo fine al loro incontro.
 
Pur non replicando al singolare atteggiamento del Patriarca, Shaka rimase interdetto. Si aspettava che gli desse le sue raccomandazioni, come faceva sempre prima di ogni missione, a maggior ragione considerato il fatto che si accingeva a spiare un cavaliere sospettato di tradimento ed il cui potere non era noto... ed invece nulla. Inoltre, perché gli aveva detto di andare l’indomani quando l’Ariete era stato convocato per quella sera stessa? 
 
Per un momento gli tornò in mente la scena della sera prima, quando aveva visto la massima autorità del Santuario raccogliere la ciocca di capelli di Mu...
 
Pieno di dubbi, ma determinato come sempre ad obbedire agli ordini del Patriarca, Shaka si avviò in direzione dell’uscita come aveva fatto Mu qualche istante prima.
 
Espirò leggermente irritato...già pensava di doverlo inseguire, immaginando che stesse scendendo rapidamente tra le case per raggiungere il limite del Santuario, dove il divieto di teletrasporto perdeva di ogni efficacia... 
 
Rimase di sasso quando lo trovò, in piedi, di spalle, fuori dal tredicesimo tempio. 
 
Lo stava aspettando? 
 
Stava proprio per fargli quella domanda, quando lo vide girarsi verso di lui e fissarlo per brevi istanti in modo indecifrabile... 
 
Shaka evitò persino di respirare quando, con un gesto rapido quanto inatteso che gli fece financo spalancare gli occhi, vide Mu prendere la sua mano e stringerla forte. Per un momento la sua mente fu invasa da un disordine tale da fargli dimenticare la missione. Quanto tempo era passato dall’ultima volta che aveva condiviso quel gesto intimo con Mu? La sua mano era calda e delicata come la ricordava...
 
Nel breve tempo di un battito di ciglia, scomparvero entrambi nel nulla.
 
Tempio del Patriarca
 
- Hai intenzione di fargliela passare liscia come al solito? -.
 
Quella voce, inquietante nella sua finta dolcezza, riecheggiò nel tempio scivolando sulla pietra scura e trasudando il livore del quale il suo proprietario era intriso.
 
Un’ombra nota a chi vi dimorava si insinuò nella greve penombra del luogo, rendendo l’ambiente ancora più lugubre di quanto già non fosse. Il suono pieno del metallo sul pavimento e l’isteria dei passi sarebbero, da soli, bastati ad annunciare il visitatore inatteso.
 
- Aphrodite... - la voce di Saga suonò stanca - cosa vuoi? -. Immaginava di cosa fosse venuto a parlare con lui il guardiano dei Pesci, e la verità era che non aveva alcuna intenzione di affrontare l’argomento. Né con lui né con nessun altro.
 
Un sorriso malizioso si delineò sul volto perfetto di fronte a lui. 
 
- Lo sai Saga...lo sai... - Aphrodite girò felino intorno al trono, tenendo lo sguardo fisso sul falso Patriarca - sai meglio di me che è vietato teletrasportarsi all’interno del Santuario, eppure... - tacque per qualche secondo per dare maggior enfasi alle sue parole - qualcuno ha appena trasgredito il divieto... -.
 
Il sorriso dello svedese svanì fermandosi di fronte a Saga - Lo punirai come dovresti...finalmente?! - la voce leggermente instabile tradì la rabbia del dodicesimo guardiano. Per quanto ancora avrebbe tollerato l’atteggiamento irrispettoso dell’Ariete?
 
Sebbene i nervi stessero quasi per tradirlo, Saga non poté tollerare l’atteggiamento di sfottò dei Pesci...
 
Alzandosi in tutta la sua imponenza, il falso Patriarca sovrastò l’ospite non gradito, costringendolo ad un istintivo passo indietro.
 
- Cavaliere... - la voce di Saga suonò bassa e dura - non ti ho mai dato il permesso né l’autorità di entrare nelle mie stanze private senza permesso, inoltre... - parlò lentamente affinché il suo interlocutore comprendesse - ...non discuto con te le mie decisioni...farai bene a ricordarlo...se non vuoi perdere i privilegi che ti ho dato in questi anni! -.
 
Aphrodite sbarrò gli occhi sconvolto. Saga non gli aveva mai parlato in questo modo, anzi...spesso si consigliava con lui sulle missioni, sugli allenamenti, sull’amministrazione del Santuario. Nonostante fosse Shaka il consigliere ufficiale del Patriarca, Saga preferiva di gran lunga confrontarsi con lui, temendo probabilmente di tradirsi di fronte all’uomo più vicino agli dei. Inoltre, la loro interazione in quegli anni non si era limitata esclusivamente alla reggenza del Santuario, spostandosi talvolta su un piano più privato...
 
Abbandonando l’atteggiamento provocatorio tenuto fino a qualche attimo prima, Aphrodite crollò, rivelando la vera ragione che lo aveva portato lì. 
 
- Sono giorni che non mi cerchi più... - allungò una mano per accarezzare una delle ciocche grigie che scendevano ribelli oltre le spalle - non senti la mia mancanza come io sento la tua? - la voce tradiva la sua emozione.
 
Saga spostò lo sguardo di lato, sentendosi a disagio. No, non sentiva la mancanza di Aphrodite. A dire il vero una parte di sé lo odiava da quando, insieme a Shura e Deathmask, gli aveva comunicato la volontà di indire una votazione sulla sorte dell’Ariete...
 
Nonostante, durante quei tredici anni, più volte quegli stessi cavalieri gli avessero chiesto il permesso di giustiziare colui che si rifiutava di adempiere al proprio dovere, Saga era sempre riuscito a respingere le loro richieste, giustificandole con la necessità di mantenere in vita l’unico riparatore di armature. Ma indire una votazione di tutti gli ori lo aveva privato dell’autorità decisionale...da quel momento, aveva congedato il dodicesimo cavaliere da qualunque servigio.
 
Un’altra parte di sé, invece, era consapevole di quanta cura e amorevolezza avesse per lui il guardiano dei Pesci. Probabilmente in quei lunghi anni era stato l’unico a comprendere la sua follia, a non condannarlo, ad accettarlo per com’era. Tuttavia, seppure a malincuore, era anche consapevole di non poter ricambiare i suoi sentimenti.
 
Sebbene non rispondesse, la postura di Saga tradì i suoi pensieri, portandolo istintivamente a staccarsi da quel contatto. Quel gesto liberò le lacrime duramente trattenute da Aphrodite. Ed insieme ad esse, tutta la rabbia accumulata negli ultimi tempi.
 
- È colpa sua vero?! - la voce si alzò tuonando nella sala - Dimmi che diavolo ci trovi! Non hai alcuna autorità su di lui, ti disprezza...lo sai perché è tornato, vero?! - il saliscendi del suo petto tradiva tutta la sua collera - Non ti difenderà mai, e appena potrà si vendicherà di quello che hai fatto a Shion... - una smorfia crudelmente ironica distorse il suo bel volto - Da quando... Saga? Da quando quel dannato Ariete ha prosciugato quel minimo di sanità mentale che avevi?! -.
 
- Non so di cosa tu stia parlando...Pesci... - la voce di Saga non tradì alcuna emozione, nonostante le parole di Aphrodite lo avessero colpito come uno schiaffo in faccia - se hai finito, puoi andare... -.
 
Tuttavia, le parole di Saga ebbero come unico risultato quello di gettare benzina sul fuoco che già stava bruciando la mente dello svedese, rompendo gli argini di ogni sua remora.
 
- Per anni Saga...per anni ti ho chiesto il permesso di liberarti da quella spina nel fianco, arrivando a coinvolgere anche Shura e Deathmask per realizzare i miei piani...ma niente, non ci hai mai neanche autorizzato ad avvicinarci... - ormai Aphrodite urlava, incurante anche dei soldati a guardia dell’ingresso - ho dovuto convocare tutti per riuscire a sbarazzarmi di Mu, e, quando avevo finalmente raggiunto il mio scopo, il dannato Camus ha rovinato tutto! - la collera gli rendeva difficoltoso respirare, ma continuò imperterrito - E tutto questo per cosa? Per renderti libero Saga...libero da ciò che ancora ti legava al tuo passato...libero dai sensi di colpa...libero di prenderti ciò che ti spettava e per cui hai sofferto... - ma non poté proseguire.
 
- Basta! - Saga tuonò con una voce tale da non ammettere repliche - Non provarci nemmeno Aphrodite! Non venire qui a parlarmi di giustizia… se dovessimo giudicare ciò che di giusto abbiamo fatto in questi anni, né io né tu avremmo un posto al mondo in cui nasconderci... - vide lo svedese sbarrare gli occhi esterrefatto - sei un ipocrita...proprio come me...ma non darmi ad intendere di tue intenzioni nobili, non dopo tutti i privilegi che ti ho concesso per tredici anni...non dopo tutto il male che abbiamo fatto... - dopodiché si voltò per lasciare la sala, mettendo fine alla discussione e lasciando Aphrodite attonito. 
 
Ma prima che potesse immergersi nuovamente nell’oscurità delle sue stanze, la voce del cavaliere lo raggiunse riecheggiando malinconica nel silenzio del tempio.
 
- Da quando...Saga? -.
 
Jamir
 
La distorsione spazio temporale era una cosa alla quale non si sarebbe mai abituato. Teletrasportarsi gli procurava sempre un effetto sgradevole anche se...dovette ammettere che questa volta non vi era stato nulla di spiacevole. Anzi.
 
Il vento sferzante delle cime himalayane lo colpì in modo del tutto inaspettato, facendolo rabbrividire leggermente. Era abituato a climi piuttosto caldi e la temperatura del Jamir non era esattamente piacevole. Anche se, ciò che seguì fece svanire qualunque sensazione di disagio.
 
- Va tutto bene... Shaka? -. Istintivamente, Mu gli strinse dolcemente un braccio per assicurarsi che tutto fosse a posto. 
 
Finalmente gli aveva rivolto la parola. Dopo tredici anni aveva potuto nuovamente sentire il suo nome pronunciato da Mu, suonando sempre nel modo caldo e confortante che ricordava.
 
- Sì...grazie Mu - nonostante apparisse impassibile come al solito, la voce sottile non riuscì a fingere indifferenza.
 
Se qualcuno dei loro compagni avesse ascoltato la Vergine dire grazie, probabilmente sarebbe rimasto di sasso...ma per Mu, che non aveva assistito al cambiamento che gli eventi avevano causato nel carattere del suo amico d’infanzia, non era una novità. Prima che il tempo e gli avvenimenti serrassero l’animo del sesto guardiano sigillando al suo interno le emozioni, Shaka era stato un bambino come tutti gli altri, magari un po' più riservato, ma premuroso con chi gli stava a cuore. Come l’uomo che ora gli stava di fronte.
 
Leggermente in apprensione, Mu guardò in direzione della torre. Fu interiormente sollevato quando realizzò che tutto era buio e silenzioso...evidentemente il suo discepolo aveva obbedito agli ordini...
 
- Sarà solo un attimo... - Mu offrì la sua mano a Shaka, accordandogli il permesso di entrare in casa sua ed incoraggiandolo al tempo stesso. Se ricordava bene, Shaka non amava molto il teletrasporto, ma, per sua sfortuna, era l’unico modo per poter entrare nella torre.
 
L’indiano annuì prendendo la mano di Mu. Avrebbe continuato a mal sopportare quel modo di spostarsi, tuttavia, non poté negare che quel giorno gli sembrasse insolitamente piacevole.
 
Quando furono dentro, la prima cosa che Mu fece fu accendere le candele con la telecinesi, dando una rapida occhiata per verificare che non vi fossero tracce evidenti del suo giovane allievo.
 
Sapeva bene che non vi erano impedimenti al fatto che un cavaliere d’oro avesse dei discepoli, al contrario... essendo sempre pronti a morire, era necessario formare dei successori degni dell’armatura. Infatti, anche alcuni suoi compagni d’armi ne avevano. Il problema è che non voleva che Kiki avesse contatti con il Santuario...era riuscito a tenerlo lontano da quel luogo dal momento in cui gli era stato affidato, e desiderava completare la sua formazione lontano dalla sua influenza. Persino Aiolia e Aldebaran non sapevano nulla del ragazzino, poiché Mu lo mandava sempre dal vecchio maestro quando andavano a trovarlo. Solo Camus era a conoscenza del fatto che avesse un allievo; pur non avendolo mai visto, aveva passato nella torre un tempo sufficiente per comprendere da piccoli dettagli che vi abitasse qualcun altro. Ma, avendo addestrato lui stesso dei discepoli lontano dal Santuario, comprendeva le remore di Mu.
 
Era pertanto essenziale che la Vergine non sapesse nulla di Kiki, altrimenti tutto lo sforzo fatto in otto anni sarebbe stato vano. Di certo lo avrebbe menzionato nel suo rapporto al Patriarca.
 
Senza particolari cerimonie, si diresse rapidamente verso la sua fucina con l’intenzione di prendere gli attrezzi che gli servivano per continuare il suo lavoro nel tempio dell’Ariete, e stava quasi per rilasciare l’aria che aveva trattenuto nei polmoni per la tensione, quando qualcosa gli gelò il sangue nelle vene.
 
Kiki doveva essere partito da poco, perché il suo piccolo cosmo aveva lasciato leggere tracce nell'aria. 
 
Se lo stava sentendo lui, le probabilità che lo sentisse anche Shaka erano altissime. Si mise automaticamente in allerta, accelerando il suo lavoro. Era essenziale portare la Vergine fuori dalla torre il prima possibile. 
 
Dal canto suo, Shaka si guardava intorno con la massima discrezione. 
 
Dunque era questo il luogo nel quale Mu si era rifugiato per tredici anni... 
 
Molte volte aveva provato ad immaginare come fosse la famosa torre del Jamir. Non osando avvicinarsi con il proprio cosmo, aveva ascoltato con attenzione i resoconti di Aldebaran e Aiolia al loro ritorno dalle missioni di riparazione delle armature, nel tentativo di carpire qualche particolare. 
 
Lui stesso non avrebbe saputo spiegare la propria morbosa curiosità, sapeva solo di invidiare segretamente i due compagni d’armi che potevano recarsi in Jamir quando volevano. Certo, non vi erano impedimenti nel recarvisi personalmente, tuttavia, non l’aveva mai fatto... il rancore era sempre stato più forte della sua curiosità.
 
Uscendo dai propri pensieri, Shaka osservò attentamente l’ambiente che lo circondava. Se non avesse avuto gli occhi chiusi come sempre, avrebbe comunque abbassato le palpebre per poter godere appieno della sensazione che provava...ogni pietra di quel luogo remoto era permeata del caldo cosmo dell’Ariete, ogni piccola particella d’aria tratteneva la calma e la pace che sembrava emanare naturalmente dal primo guardiano.
 
A giudicare dall’arredo, rustico e funzionale, il posto nel quale si erano trasportati doveva essere il soggiorno. Dal punto in cui si trovava poteva scorgere un’altra stanza che doveva essere la cucina, mentre alle sue spalle c’era la scalinata che portava ai piani superiori ed inferiori. Per un attimo pensò incuriosito a come dovesse essere la stanza da letto di Mu...
 
Quando si rese conto della direzione nella quale stavano andando i suoi pensieri, provò un forte imbarazzo, riportando immediatamente l’attenzione sullo scopo della sua missione.
 
Che ora lo stava fissando in modo indecifrabile.
 
- La fucina è all’ultimo piano in basso...ti faccio strada... - per quanto volesse sembrare distaccato, Mu non riusciva ad essere scortese con il sesto guardiano. Avrebbe tanto voluto che la sua voce suonasse fredda, e invece...le parole che riecheggiavano ferme nell’ambiente, avevano il tono caldo e gentile così tipico del tibetano.
 
Con un cenno affermativo del capo, Shaka si apprestò a seguirlo. Ma si era appena mosso, quando all’improvviso fermò i propri passi attirato da qualcosa che catturò completamente la sua attenzione.
 
Invisibile ed impercettibile, gli sembrò di distinguere nell’aria l’impalpabile presenza di un altro cosmo...
 
Sapeva perfettamente che non c’era nessun altro nella torre a parte loro due; avrebbe rilevato immediatamente una presenza di qualunque natura se ci fosse stata, eppure...
 
Quando lo vide fermarsi, Mu sentì un brivido percorrergli la spina dorsale, tuttavia cercò di dissimulare... continuando a fissarlo scrutando ogni minima reazione nel suo volto, lo invitò nuovamente, in silenzio, a seguirlo in direzione della fucina, cercando di sembrare il più naturale possibile.
 
Senza che il benché minimo turbamento fosse visibile sul suo volto, Shaka si mosse seguendo Mu.
 
Il piano inferiore al quale accedettero costituiva la biblioteca della torre del Jamir. Per un momento, Shaka ricordò le parole del vecchio Patriarca quando, da bambini, narrava loro dei testi antichi custoditi in quel luogo ancestrale e fuori dal mondo. Il piccolo Shaka era affascinato dai racconti di Shion...nella sua innocenza pensava che un giorno avrebbe potuto vedere quel posto, che ai suoi occhi ingenui appariva quasi magico...magari insieme a Mu.
 
Ironia della sorte, era proprio quello che stava accadendo. Anche se non era proprio come l’aveva immaginato...
 
Rimasto leggermente indietro rispetto a Mu, quando oltrepassò la biblioteca per immergersi ancora di più nelle viscere della torre, Shaka avvertì l’aria farsi sempre più pesante. L’odore acre della fuliggine solleticò le sue narici facendogli arricciare leggermente il naso... ma non ebbe il tempo di pensare, poiché, quando gli si aprì innanzi, la fucina catturò completamente la sua attenzione.
 
Grandi tavoli di legno, segnati dal martellare dei fabbri secolari del luogo, occupavano gran parte dello spazio, ancora leggermente in penombra.
 
Con l’aiuto della telecinesi, Mu aveva già acceso il camino per fare un po' di luce, che si riverberava nei riflessi rossastri proiettati sulla pietra delle spesse mura, e sui pezzi di armature disseminati qua e là sul pavimento.
 
Il tintinnio degli attrezzi, in parte sparsi sui tavoli ed in parte appesi al muro, indicava che si era già messo all’opera, recuperando ciò che gli era necessario per continuare il suo lavoro nel tempio dell’Ariete.
 
In un angolo, non lontano dal camino, c’era un vecchio divano logoro, che, Shaka pensò, dovesse servire al tibetano per riposarsi quando il lavoro assorbiva completamente le sue giornate.
 
In silenzio, mantenendo le sue palpebre celate, Shaka non perse neanche un dettaglio di quel luogo, e soprattutto del suo vecchio amico. Il profilo delicato, l’espressione serena, i gesti calmi e decisi allo stesso tempo, il movimento discreto delle labbra mentre rifletteva tra sé...per un attimo desiderò di poter fermare quel momento per sempre. 
 
Sebbene non vi fossero parole, nessuno dei due avvertiva il peso del silenzio, e d’altronde...era sempre stato così tra di loro. Potevano passare lunghe ore a parlare così come tacere e godersi la reciproca compagnia. 
 
In tutto il caos che era stata la loro vita in quei tredici lunghi anni, una sola cosa era chiara nella mente dell’indiano. Tornando indietro, non avrebbe mai permesso a Mu di andare via. Di abbandonarlo.
 
Tuttavia, tornando alla realtà, seppur con fatica, approfittò del lavoro del tibetano per approfondire ciò che aveva lasciato in sospeso al piano superiore. 
 
Con la massima discrezione, espanse il proprio cosmo per esplorare integralmente la torre, alla ricerca dell’origine del cosmo residuo che aveva percepito qualche minuto prima. Era sicuro che quel cosmo fosse di qualcun altro. Pur condividendo qualcosa con il cosmo di Mu, era sostanzialmente differente. Molto meno potente e molto più irrequieto...
 
Dapprima esplorò il piano superiore, l’unico al quale non aveva avuto accesso, osservandolo con attenzione. Le stanze erano arredate in maniera semplice, come il resto del luogo. In una stanza piccola, che doveva essere quella per gli ospiti, c’erano solo un letto, un comodino ed un armadio per riporre i vestiti, mentre in un’altra stanza più grande tutto era doppio. Pensò che quella dovesse essere la stanza del padrone di casa.
 
Un lieve rossore invase il suo viso imperturbabile, tuttavia, Mu era troppo concentrato sul suo lavoro per rendersi conto di ciò che stava accadendo al compagno.
 
Anche nel piano riservato alle stanze da letto, Shaka percepì l’eco di quel cosmo residuo.
 
Un cosmo delicato, impaziente, sfuggente...potrebbe essere...una donna?
 
Una strana sensazione lo fece vibrare da capo a piedi. Ormai era certo che il cavaliere dell’Ariete dividesse con qualcun altro lo spazio nella torre, però...anche la sua vita?
 
Nascondendo persino a se stesso il suo desiderio, in tutti quegli anni aveva segretamente sperato che Mu tornasse al Santuario per dargli spiegazioni, per dirgli che da parte sua non era cambiato nulla e che non era un traditore, o anche solo...per rivederlo. E invece...viveva la sua vita in Jamir come se niente fosse, condividendola con qualcun altro.
 
Un fastidio mai provato prima invase il suo cervello, insinuandosi nei pensieri più sottili, mentre una collera inusuale lottava per impossessarsi della sua lingua.
 
Con una calma tanto grave quanto inquietante, si avvicinò al tibetano intento a mettere via gli strumenti celesti, portandosi alle sue spalle.
 
Mu percepì la presenza dietro di lui, ma si mostrò concentrato sul suo lavoro. Sebbene la distanza ravvicinata gli procurasse una bella sensazione di calore nel petto, allo stesso tempo lo allarmò anche...perché la Vergine era così vicina? 
 
Pur allertando tutti i suoi sensi, si costrinse a mostrarsi tranquillo come sempre, nell’attesa che Shaka rivelasse le sue intenzioni.
 
Il solito silenzio regnava tra di loro, solo che stavolta non portava con sé la confortante e ben nota sensazione di imbarazzo o incomodo. Questa volta sembrava un preludio...e come ogni preludio, era carico della falsa quiete che stava per riversarsi con veemenza sull’Ariete.
 
- Dov’è? -.
 
Solo quando il respiro di Shaka gli accarezzò dolcemente la nuca Mu capì quanto fosse effettivamente vicina a lui la Vergine. Istintivamente, si voltò portando involontariamente il suo viso a pochi centimetri da quello dell’indiano... sebbene questo da un lato lo facesse rabbrividire sensibilizzando ogni centimetro della sua pelle, dall’altro durò il tempo di vedere due magnifiche iridi azzurre guardarlo come se volessero divorarlo.
 
- Dove la nascondi?! -. 
 
Una leggera vibrazione, insolita e curiosa nella voce di chi aveva appena parlato, tradiva in modo sottile la rabbia che provava. Solo chi conosceva bene il sesto guardiano poteva comprendere quanto fosse davvero arrabbiato...
 
Tempio dell’Acquario
 
Piacevolmente rilassato sul semplice e comodo divano del suo soggiorno, Camus si stava godendo la lettura di un libro che aveva assorbito pienamente la sua attenzione, quando sentì la presenza di un cosmo noto all’ingresso del suo tempio.
 
Sperando che il suo proprietario stesse solo chiedendo il passaggio, lo concesse nel tentativo di tornare a concentrarsi su ciò che stava facendo, tuttavia, quando si accorse che, al posto di passare, stava avanzando nella sua direzione, chiuse con rassegnazione il libro, facendo attenzione a mettere un segno tra le pagine.
 
Prese un respiro profondo, alzando gli occhi al cielo...di qualunque cosa si trattasse, sarebbe stato sicuramente un problema. Come tutto ciò che riguardava l’ottavo guardiano.
 
- È permesso? - Milo entrò quasi in punta di piedi. Conoscendo il carattere dell’Acquario, sospettava che autoinvitarsi in casa sua non fosse stata propriamente un’idea geniale, ma non potendo più rimandare, decise di tentare la sorte, nonché l’umore, dell’undicesimo guardiano.
 
- Buonasera Camus...disturbo? - domandò Milo rivolgendosi al francese che lo fissava in silenzio, immobile sul divano. 
 
Fu proprio quell’atteggiamento a confermare il timore di Milo. 
 
- Se ti dicessi di sì cosa cambierebbe? -. Sempre taglienti le parole di Camus. Pronunciate con il tono più distaccato possibile...
 
Milo sentì spegnersi il minuscolo lumicino di speranza che aveva riposto nel suo cuore. Camus era infastidito.
 
Il problema è che Camus era sempre infastidito. Quantomeno quando si trattava di lui. Quantomeno quando si trattava di dovergli prestare anche solo un minimo di attenzione. Era andato lì con le migliori intenzioni del mondo, eppure...il suo naso stava sbattendo contro la solita porta in faccia.
 
Un nuovo sentimento si fece strada nell’animo di Milo, serpeggiando nel suo stomaco e salendo fino ad insidiarsi nel suo cervello......esasperazione... e fu con esasperazione che batté pesantemente le mani sul tavolo di legno della cucina. Gli scricchiolii che echeggiarono nel tempio resero l’idea della forza che aveva impresso.
 
Camus non trasalì né sussultò, limitandosi a stringere gli occhi ed a stare in allerta nell’evenienza che Milo facesse qualche sciocchezza...
 
- Dannazione Camus! - la voce discreta di quando era entrato era già un lontano ricordo - Perché mi tratti sempre in questo modo?! -.
 
Milo strinse i pugni sul tavolo, nel difficile tentativo di trattenere le lacrime che spingevano contro le sue palpebre.
 
- Posso sapere che cosa ho fatto? Perché...credimi...non lo so... - allargò le braccia irritato facendo spaziare lo sguardo nella stanza, mentre l’Acquario continuava ad osservare la scena senza tradire la benché minima emozione.
 
- Potrei sapere in che modo ti tratto...se è lecito chiedere? -. Finalmente Camus mostrò il suo interesse.
 
Milo si domandò mentalmente se il francese lo stesse prendendo in giro. Alzando il mento in segno di sfida, rispose mantenendo lo stesso tono esasperato di prima.
 
- Come in che modo...Camus? Ti comporti sempre come se la mia presenza ti desse fastidio...se ti parlo mi rispondi a malapena... - mise le mani sui fianchi continuando a sfidarlo con lo sguardo - sono sempre io a doverti cercare, altrimenti non usciresti neanche da questo dannato tempio! -.
 
Camus si mosse solo per accavallare le gambe ed appoggiare la schiena al divano, continuando a fissare il compagno d’armi. Il quale si scoprì un po’ intimidito dal suo atteggiamento.
 
- E dimmi... Milo... - parlò incrociando le braccia - quando ti avrei chiesto tutto ciò? -.
 
Lo Scorpione rimase leggermente stupito, rendendosi conto di non avere la risposta pronta come al solito. 
 
- Ti sei mai chiesto se la tua presenza mi dia davvero fastidio? O la tua presunzione non concepisce il rifiuto? - davanti agli occhi spalancati del greco continuò - Mi hai mai chiesto il permesso di venirmi a trovare quando ti pare e piace? Mi hai mai chiesto il permesso di sconvolgere le mie abitudini come se fossero niente rispetto ai tuoi piani? -.
 
Milo cercò di rispondere ma dalla sua bocca non uscì alcun suono. Davanti a Camus che lo fissava come se non avesse appena detto quello che aveva detto, sentì i suoi occhi inumidirsi. Si costrinse a ricacciare indietro il dispiacere...non gli avrebbe dato questa soddisfazione.
 
- Non avrei mai pensato che trovassi così intollerabile la mia presenza... - ma Camus lo interruppe prima che potesse continuare.
 
- Infatti non ti trovo intollerabile...anzi... - il tono divenne leggermente meno duro - è solo che a volte vorrei poter essere libero di scegliere Milo... - l’ultima frase sembrò diretta più a se stesso che all’ottavo guardiano.
 
Milo rimase sorpreso da quella timida confessione. Costringendosi ad una pazienza che spesso non aveva, dovette riconoscere che forse, ma solo forse, Camus poteva avere le sue ragioni.
 
No, non si era mai preoccupato di chiedergli il permesso per invadere il suo spazio e costringerlo a fare ciò che piaceva a lui. Aveva sempre dato per scontato che, dopo i soliti brontolii, avrebbe abbozzato senza rifiutarsi. Solo ora si stava rendendo conto che no, non aveva mai pensato ai desideri di Camus...troppo concentrato sui propri evidentemente. Tuttavia, ciò che il francese aggiunse qualche istante dopo, alzandosi per porsi di fronte a lui, gli provocò una rabbia tale da smorzare ogni ragionamento logico.
 
- Possibile che io non sia neanche libero di parlare con uno dei nostri compagni senza doverti rendere conto di ciò che faccio? -.
 
Rivolgendo gli occhi al cielo in segno di fastidio, Camus si accorse troppo tardi di avere Milo quasi addosso...quel bagliore negli occhi che lo fissavano come se volessero sbranarlo, non lasciava presagire nulla di buono.
 
- Dunque è questa la ragione? - le parole sibilate tra i denti tradivano la sua collera - Il problema è che ho rovinato l’appuntamento con il tuo amico Mu, giusto?! - chiese prendendo Camus per un braccio.
 
Era evidente che in quel momento Milo non stesse affatto ragionando...altrimenti non avrebbe mai commesso la sciocchezza di sfidare Camus. Che chiaramente non gradiva di essere messo all’angolo...
 
- Sei un idiota Milo! -.
 
Un freddo improvviso partì dalla mano dell’ottavo guardiano diffondendosi via via in tutto il corpo. Il greco non era affatto abituato a quelle temperature e se avesse continuato ad insistere l’Acquario lo avrebbe congelato vivo, tuttavia...non dette il braccio per torcere.
 
Sebbene stesse soffrendo, non lasciò andare la presa su Camus, anzi, la rafforzò portando il francese contro il muro bloccandolo con il proprio corpo.
 
Sebbene istintivamente volesse battere i denti, la voce di Milo uscì roca e sensuale - Voglio sapere se il tuo amico è capace di farti questo... -
 
Spingendo di più il proprio corpo contro quello del francese, unì le loro labbra in un bacio disperato, carico della tristezza e dell’amarezza che lo Scorpione portava nel suo cuore. Sapeva che ciò che stava facendo non era corretto nei confronti dell’amico... era un gesto a tradimento, inoltre... non era così che aveva sognato il loro primo bacio...
 
Per diversi secondi, Camus rimase immobile, completamente spiazzato dal gesto di Milo...Che diavolo stava facendo?!
 
Tornando rapidamente in sé, si liberò dalla presa spingendo via il compagno. Per un tempo che sembrò eterno e fulmineo allo stesso tempo, i suoi occhi azzurri fiammeggiarono di collera fissando intensamente quelli color mare di Milo...che non osava dire niente né mascherare il proprio affanno.
 
Con il senno di poi, Milo si rese conto che no...anche questa volta aveva agito senza pensare, ma soprattutto, senza chiedere, ignorando per l’ennesima volta la volontà di Camus.
 
Senza aggiungere nulla alla rabbia e all’umiliazione che i suoi occhi e il suo respiro agitato esprimevano meglio di qualunque parola, Camus si limitò a voltarsi, dirigendosi nelle sue stanze private, lasciando il suo ospite in piedi a fissarlo. La porta che sbatté con violenza, facendo leggermente tremare i muri, mise fine a quel disastroso incontro.
 
Espirando rassegnato, chiudendo lentamente le palpebre, Milo capì di aver sbagliato tutto.

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Capitolo 5
*** La lunga notte della mente ***


Il grande specchio sul soffitto della camera da letto rifletteva il suo volto pensieroso...e tremendamente stanco. Disteso tra le fresche lenzuola del sontuoso letto, Saga non poteva evitare che le parole di Aphrodite turbinassero nella sua mente caotica.
 
Da quando... Saga? Da quando quel dannato Ariete ha prosciugato quel minimo di sanità mentale che avevi?!
 
Fece una leggera smorfia... nonostante il guardiano dei Pesci fosse il cavaliere a lui più vicino, era evidente come, durante tutti gli anni trascorsi insieme, non avesse compreso l’entità della faccenda.
 
Mu era sempre stato uno dei suoi tormenti. Un tarlo che aveva scavato, giorno dopo giorno, prima nel suo cervello e poi nel suo cuore... in passato per una ragione e, più di recente, per un’altra. Si mosse leggermente, sbattendo dolcemente le palpebre e preparandosi a viaggiare con la memoria.
 
Ricordava perfettamente il giorno della sua nomina a Patriarca, a quarantotto ore di distanza dalla morte di Shion...
 
Molti degli scranni destinati ai cavalieri d’oro erano vuoti, in attesa che i piccoli prescelti dalle stelle fossero pronti per vestire le armature a loro destinate, tuttavia, nessuno come l’Ariete aveva richiamato la sua attenzione. Ed il motivo era che l’Ariete, al contrario degli altri, avrebbe dovuto essere occupato, dato che l’armatura aveva già reclamato come proprio guardiano il ragazzo prescelto... Mu del Jamir.
 
Nonostante Mu avesse solo sette anni, il vaso di Pandora che custodiva l’Ariete d’oro si era aperto al tocco della sua piccola mano solo pochi giorni prima che il Santuario venisse stravolto dal tradimento di Aiolos e dalla morte di Shion. Ironia della sorte, qualcuno aveva azzardato l’ipotesi che il vecchio cuore di Shion non avesse retto all’emozione di vedere il suo giovane allievo diventare cavaliere così precocemente...
 
Saga mostrò un sorriso ironico. Solo uno sciocco o qualcuno estraneo al Santuario avrebbe potuto credere ad una sciocchezza del genere... Shion era un Patriarca giusto, un uomo retto e, a suo modo, anche affettuoso, ma come maestro era estremamente severo e rigido, ed in quegli anni aveva concesso ben pochi sconti al suo piccolo discepolo. Anzi... ricordava benissimo le molte volte in cui aveva dovuto soccorrere Mu privo di sensi, poiché il bambino non conosceva ancora i limiti che il suo corpo imponeva alla riparazione delle armature, ed il suo maestro era decisamente più attendista che interventista. Con tutta probabilità, Saga ignorava che l’atteggiamento di Shion fosse dovuto non ad una mancanza di affetto, perché, al contrario, amava Mu come se fosse suo figlio, bensì alla consapevolezza di avere poco tempo a disposizione, poiché le stelle lo avevano già messo al corrente di quale fosse il suo destino. Comunque, più di una volta si era ritrovato a domandarsi cosa ne sarebbe stato di Mu se sciaguratamente non l’avesse trovato...
 
Fu proprio quella la ragione che lo indusse a tenerlo sottocchio più degli altri. 
 
Va detto che ciò non si rivelò un compito complesso, poiché Mu era un bambino gentile ed estremamente educato, e non era stato difficile prenderlo sotto la sua custodia. E questa cura era stata ricambiata dal bambino con tante soddisfazioni, oltreché con un grande affetto per colui che aveva assunto a secondo maestro e guida.
 
Saga non poteva negare di essersi anche divertito nelle rare volte in cui Mu abbandonava la sua abituale cortesia per mostrare la parte di sé meno amabile, il piccolo Ariete testardo e orgoglioso che, anche se celato, faceva integralmente parte della sua personalità. Se il piccolo tibetano si intestardiva su qualcosa, era impossibile fargli cambiare idea. 
 
E poi c’era quella curiosità, quel bisogno innato di svelare ogni singolo mistero, che era parte del carattere di Mu da quando Saga ne aveva memoria. Non era la curiosità maliziosa di Milo che, da furbo piccolo Scorpione, faceva domande scomode nei momenti meno opportuni mettendo consapevolmente in imbarazzo il suo interlocutore, ma era quel tipo che curiosità che gli faceva spalancare i suoi grandi occhi verdi nell’attesa che gli venisse rivelata chissà quale scoperta.
 
Lo sguardo di Saga si perse tra ricordi lontani.
 
Quando fu annunciata la scomparsa dell’Ariete e del suo guardiano, la prima reazione della sua parte lucida fu di grande preoccupazione.
 
Dove poteva essere andato da solo un bambino di sette anni, cresciuto mai oltre i confini del Santuario, triste e spaventato per la morte del suo maestro?
 
In preda all’angoscia, oltreché al caos che era in quel momento la sua mente, impiegò un po' di tempo per capire dove potesse essere Mu, ma quando le nebbie si dissiparono lasciando filtrare uno spiraglio di luce, gli fu assolutamente chiaro.
 
Rozan. Sebbene non avesse mai avuto il benché minimo contatto con il cavaliere della Bilancia, era certo che dietro la fuga di Mu ci fosse il vecchio maestro. E d’altronde...il legame che condivideva con Shion era talmente forte, che sicuramente doveva essersi accorto immediatamente di ciò che era accaduto quella notte...la notte in cui il cosmo dell’amico si era spento per sempre.
 
Con tutta probabilità, Dohko aveva compreso cosa fosse accaduto, o forse Shion lo aveva avvisato del pericolo imminente... Saga aveva sempre sospettato che tra i due antichi cavalieri ci fosse un legame più profondo della lealtà cavalleresca e della semplice amicizia... fatto sta che il vecchio maestro aveva ritenuto opportuno allontanare Mu dal Santuario il prima possibile, imponendogli di servirlo a debita distanza.
 
Per diversi anni, dovette ammettere che questo non gli aveva creato alcun problema. Per quanta poca simpatia nutrisse nei confronti del cavaliere della Bilancia, sapeva che Mu era in buone mani, nonostante immaginasse quanta diffidenza il maestro avesse inculcato in lui nei confronti del Santuario e di chi lo reggeva; inoltre, dopo qualche anno, ormai cresciuto, il tibetano aveva preso definitivamente possesso della torre di Jamir ereditata da Shion, dedicandosi a tempo pieno alla riparazione delle armature per conto del Grande Tempio.
 
In cuor suo, Saga sapeva quanto ingiusta fosse la preoccupazione che nutriva per Mu rispetto al disinteresse che mostrava nei confronti del povero Aiolia. Il piccolo aspirante all’armatura del Leone era colui che, più di tutti, aveva scontato la pena per colpe non sue. Tenuto ormai ai margini della vita del Santuario, Aiolia continuava ad allenarsi nonostante il disprezzo latente da parte di quasi tutti i compagni, nel tentativo di riscattarsi dal marchio di infamia lasciato da Aiolos. 
 
E la colpa di tutto era sua. Perché Aiolos era la vittima, e lui, la persona più importante e degna di obbedienza, secondo solo alla dea, era il carnefice, l’impostore. Il vero traditore.
 
Una fitta intensa quanto rapida gli trapassò il cranio, costringendolo a sedersi e a tenere la testa tra le mani nel tentativo di controllare il dolore.
 
Non è vero. È stata colpa di Shion. Il posto di Patriarca doveva essere mio, non di Aiolos... io l’ho meritato!
 
E probabilmente era vero. Quello che Saga, però, non aveva mai compreso, era che se Shion aveva scelto Aiolos come successore, era stato solo a causa dell’instabilità che aveva sentito provenire dal Gemelli...se fosse stato mentalmente più forte ed in grado di padroneggiare la sua parte più oscura, Shion non avrebbe neanche esitato nell’affidare a lui le sorti del Santuario.
 
Quando il dolore e le voci nella sua testa si placarono, si distese con cautela, ritrovando di nuovo il suo stesso viso a fissarlo...quasi fosse una presa in giro, l’immagine che lo specchio rifletteva era quella di un volto sereno, che mostrava un’espressione benevola, quasi dolce...l’esatto contrario dell’inferno che infuriava nella sua testa e nel suo cuore.
 
Chiuse gli occhi nel tentativo di controllare nuovamente il respiro, e così facendo la sua mente tornò alla causa dei suoi tormenti...
 
Lunghi anni erano trascorsi al Santuario, e tutte le armature d’oro, ad eccezione del Sagittario, appartenevano ormai ai giovani prescelti, che adempivano ai loro doveri di cavalieri sotto il comando del Patriarca. Più di una volta, il fatto che Mu svolgesse il suo lavoro dal lontano Jamir era stato causa di discussioni tra i suoi compagni, ma Saga, avendo sempre dato il suo benestare a questa situazione, era riuscito a reprimere, almeno in apparenza, qualunque malumore nei confronti dell’Ariete.
 
Finora.
 
Non avrebbe mai potuto immaginare che Aphrodite si sarebbe spinto così oltre, portando tutti i compagni a decidere sulla sorte di Mu. Aveva sempre pensato, sbagliando, che il cavaliere dei Pesci fosse soddisfatto della posizione privilegiata che aveva occupato in quegli anni. Ma evidentemente non era così, ed il motivo era più che ovvio...la gelosia. Ed il perché, all’improvviso, il dodicesimo guardiano fosse diventato geloso dell’Ariete, quando per tanti anni si era limitato, quasi, ad ignorarlo, era stato l’aver notato dei cambiamenti in Saga e nel loro rapporto, cambiamenti databili a partire da un momento ben preciso. 
 
Saga sospirò, mentre i suoi ricordi tornavano a due anni prima...
 
Flashback
 
- Patriarca...c’è un problema... - una delle guardie del tredicesimo tempio spostava nervosamente lo sguardo da un lato all’altro, non sapendo come spiegare alla massima autorità del Santuario che le armature d’argento, che avrebbero dovuto essere assegnate alla fine del torneo previsto per quello stesso giorno, non erano ancora arrivate.
 
- Quale? - la voce di Saga non nascondeva l’irritazione causata dalla disorganizzazione dei suoi uomini.
 
- Le armature...beh...sì...insomma - la guardia stringeva le mani sudate - non sono ancora arrivate... -.
 
- Che cosa???? - Saga si alzò in piedi minaccioso - Com’è possibile? Abbiamo mandato nel Jamir ben quattro guardie a ritirare due armature e non sono ancora tornate?! - la furia era evidente nella voce del Patriarca.
 
La sventurata guardia impallidì, domandandosi perché fosse toccato proprio a lui quel compito ingrato - In realtà sono tornate...questa mattina...è solo che... - portò lo sguardo contrito sul pavimento - non sono riuscite a localizzare la torre del cavaliere dell’Ariete... -.
 
Saga si lasciò cadere sul suo scranno, domandandosi se stesse accadendo davvero... Quattro guardie, addestrate all’interno del luogo che presiedeva, non erano state in grado di trovare un luogo, dopo le spiegazioni ricevute dai cavalieri che vi si recavano normalmente...era chiaro che avrebbe dovuto rivedere qualcosa nell’addestramento dei ranghi minori.
 
Dopo aver liquidato la guardia che gli stava di fronte, decise di recarsi personalmente nell’arena di combattimento, con l’intenzione di capire il da farsi insieme ai cavalieri che si erano occupati dell’organizzazione.
 
Si mosse con discrezione, attraversando il Santuario, come spesso faceva durante le sue frequenti notti insonni, tramite i corridoi sotterranei che collegavano le case al Colosseo, e dei quali gli stessi ori erano all’oscuro, sebbene lambissero tutte le dodici case. Ad onor del vero, era stato grazie alle sue passeggiate notturne che era venuto a conoscenza delle attività notturne della sua élite, in alcuni casi tra la sua élite...
 
Giunto dietro agli spalti dell’arena, un luogo pressoché deserto, si guardò intorno alla ricerca dei cavalieri responsabili del torneo, e non trovandoli, decise di muoversi verso un’area più affollata; tuttavia, quando qualcosa attirò la sua attenzione, si paralizzò per lunghi istanti.
 
A pochi metri dal punto in cui si trovava, vide particelle di materia ricomporsi velocemente in una figura umana...
 
Saga conosceva pochissime persone in grado di teletrasportarsi, ed il solo pensiero lo mandò in confusione... in un barlume di lucidità soppresse il proprio cosmo, ritirandosi tra le ombre delle colonne del Colosseo in attesa di verificare la sua ipotesi.
 
Evitò persino di respirare, mentre le sue palpebre sembravano pietrificate nella loro posizione spalancata. Era passato molto tempo, eppure non ebbe difficoltà a capire chi si stesse materializzando davanti ai suoi occhi in quel momento. A spiazzarlo, però, non fu il fatto di rivedere Mu dopo undici anni, bensì il fatto di vedere cosa Mu fosse diventato durante quegli undici anni...
 
I tratti infantili del piccolo Mu erano diventati i lineamenti dolci ed eleganti del cavaliere dell’Ariete...un volto fine e delicato sul quale spiccavano due grandi occhi color smeraldo dal taglio leggermente obliquo, conferiva a Mu un aspetto esotico estremamente attraente. Ma l’eleganza di Mu non era solo nel suo viso, perché il suo corpo, slanciato e mascolino, appariva aggraziato e forte al tempo stesso, esercitando su chi lo stava osservando un fascino magnetico...
 
Saga era abituato alla bellezza. Da massima autorità del Santuario aveva sempre avuto a sua disposizione le donne e gli uomini più affascinanti...lo stesso Aphrodite, unanimemente riconosciuto il cavaliere più bello, pendeva dalle sue labbra e dai suoi desideri.
 
Eppure...nonostante fosse abituato alla bellezza, si ritrovò ad ammirare, ammaliato, l’uomo che gli stava di fronte. Sì, Mu ormai era diventato un uomo, un uomo bellissimo, tuttavia non era solo la sua avvenenza ad attrarlo magneticamente. 
 
Il tibetano aveva qualcosa che lo rendeva differente da tutti gli altri cavalieri. Saga impiegò un po' di tempo per capire di cosa si trattasse, ma quando lo vide consegnare i due vasi di Pandora contenenti le armature del torneo, comprese immediatamente cosa rendesse l’Ariete così speciale ai suoi occhi, così diverso dai suoi stessi compagni... il sorriso discreto, la gentilezza ferma con la quale si rivolgeva ai suoi interlocutori sebbene fossero di rango inferiore al suo... Mu aveva ancora un’anima.
 
E Saga desiderò ardentemente essere divorato da quei grandi smeraldi curiosi, trangugiato nell’animo e nella purezza di Mu...purificato dalle sue nefandezze, e mondato dalla bestia che, giorno dopo giorno, annientava la sua mente, il suo volere, ed il suo cuore.
 
In una calda mattina di giugno, Mu passò dall’essere un affettuoso ricordo d’infanzia ad ossessione di colui che da bambino aveva ammirato, considerandolo una guida, un maestro, un esempio. 
 
Con grande rammarico di Saga, il tibetano svanì con la stessa rapidità con la quale era comparso, lasciandolo sbalordito, ammaliato, stregato, ma soprattutto insoddisfatto.
 
Quando Aphrodite, che era a capo dell’organizzazione del torneo, seppe come fossero infine arrivate al Santuario le tanto attese armature, si limitò a mostrare una smorfia di noncuranza sul suo bel viso, relegando la comparsa dell’Ariete ad evento di poca importanza. Tuttavia, quando i comportamenti di Saga nei suoi confronti cambiarono e la frequenza dei loro incontri si ridusse drasticamente, non impiegò molto tempo a collegare le cose. Soprattutto, ogni qualvolta nominasse il tibetano, l’aura di Saga oscillava pericolosamente, segno inequivocabile del fatto che ormai la sua mente vivesse nel lontano Jamir. 
 
Stava a lui trovare un modo per riportarla indietro...
 
Fine Flashback.
 
Il ricordo di quel giorno gli portava sempre una pace insperata. Senza rendersene conto, Saga scivolò in un piacevolissimo sonno senza sogni.
 
Torre del Jamir
 
-  Di chi stai parlando? - costringendosi ad una calma che in realtà era ben lungi dal provare, Mu rimase fermo nella sua posizione, fronteggiando Shaka a pochi, pericolosi, centimetri di distanza.
 
- La donna che vive qui con te...dove la nascondi Mu?! - continuando a puntare negli occhi di Mu i suoi zaffiri bellissimi ed infidi, Shaka si avvicinò ulteriormente, riducendo lo spazio tra il proprio corpo ed il tavolo da lavoro dal quale il tibetano stava prendendo alcuni attrezzi.
 
Una donna? Mu si impose di ragionare rapidamente, sebbene la situazione, oltreché rischiosa fosse anche imbarazzante, considerata la vicinanza del sesto guardiano.
 
Se Shaka pensava che lì vivesse una donna voleva dire averlo già distratto da Kiki, e questo, da un lato, lo tranquillizzava, tuttavia...come se potesse leggere nei suoi pensieri, non poteva neanche tollerare che il compagno lo immaginasse vivere tranquillo e spensierato, quando invece era esattamente il contrario.
 
Viveva da ormai tredici anni in un eremitaggio imposto dagli eventi, o meglio, da qualcuno che aveva deciso per molti altri, serviva il Santuario sebbene non avesse alcuna considerazione di chi lo reggesse né di coloro che si erano uniformati al suo volere, riparava le loro armature nonostante lo considerassero un traditore, e da otto anni si prendeva cura del suo discepolo affinché i doveri del cavaliere dell’Ariete fossero garantiti anche nel caso in cui fosse venuto a mancare all’improvviso. 
 
In realtà, a ben vedere, stava dando troppo peso a ciò che Shaka pensava di lui; in fin dei conti, l’indiano era uno di quelli che, più di tutti, si era conformato all’autorità del falso Patriarca, ne eseguiva gli ordini senza battere ciglio, dunque avrebbe dovuto essere tra coloro meritevoli di biasimo, eppure...attribuendo la ragione al suo innato senso di giustizia e verità, ed ignorandone il vero motivo, in quel momento desiderò più di ogni altra cosa chiarire l’equivoco.
 
Optò prontamente per un compromesso...avrebbe detto la verità, o meglio, una parte di essa. 
 
- Non nascondo nessuna donna... - armandosi di una serenità che non aveva, parlò fronteggiando lo sguardo intenso di Shaka - Sai meglio di me che i nostri doveri non lasciano spazio ad altro che non sia servire la dea...tuttavia... - si prese qualche secondo per riflettere su quello che stava per dire - ...se avessi una relazione con qualcuno, donna o uomo che fosse, sarebbe indegno da parte mia anche solo pensare di nasconderlo... -.
 
Neanche la più piccola indecisione attraversò gli occhi di Mu mentre pronunciava quelle parole. Shaka scrutò attentamente ogni impercettibile espressione del bellissimo viso che lo fronteggiava apertamente, trovandovi nient’altro che sincerità. E questo non lo stupì affatto. 
 
Alcune delle parole pronunciate da Mu riecheggiavano nella sua mente... donna o uomo che fosse...
 
Dunque Mu non escludeva la possibilità di innamorarsi di un uomo?
 
In più di un’occasione, durante le sue meditazioni, Shaka si era interrogato su quali fossero le preferenze di Mu. Il fatto che fosse andato via dal Santuario in giovane età non lasciava spazio ad alcuna certezza...
 
Lentamente, ed a fatica, si allontanò dal tibetano lo spazio necessario per restituirgli un minimo di mobilità, sebbene la distanza che li separava fosse ancora molto ridotta. In realtà, preso dalla sua stessa rabbia, aveva fatto quello che gli riusciva meglio fare... imporsi, non rendendosi conto di essere praticamente addosso a Mu. Tuttavia, a differenza dell’imperturbabilità che normalmente non gli consentiva di provare alcun tipo di sentimento, rimase interdetto quando si rese conto di come il suo corpo reagisse alla vicinanza con l’Ariete... il battito accelerato del suo cuore, quel calore che lo percorreva da capo a piedi insinuandosi nelle fibre dei suoi muscoli, il leggero rossore che ne derivava. 
 
Prendendo consapevolezza di quello che stava accadendo, Shaka decise, a malincuore, di fare qualche passo indietro, staccandosi completamente dal compagno, e cercando di mettere ordine nella sua testa e nel suo cuore. Che brancolavano nel buio più totale. 
 
Sapeva, sentiva che Mu aveva detto la verità, eppure... era certo di aver sentito la presenza di qualcun altro nella torre...
 
Intuendo i suoi pensieri, Mu ruppe il silenzio, districandosi nel labile confine tra il bisogno di dire la verità e la necessità di tenere Kiki al sicuro. 
 
- Solo una donna ha messo piede nella torre, e non per la ragione che stai pensando... - avendo maggior spazio, Mu ritrovò la sua naturale compostezza, parlando al compagno che continuava a scrutarlo con attenzione - lo scorso inverno c’è stata un’epidemia nel villaggio che si trova ai piedi della montagna in cima alla quale siamo ora - indicò con la mano lo spazio esterno che si intravedeva da una piccola finestra alle sue spalle - gli animali si stavano ammalando e la gente rischiava di perdere la sua principale fonte di sussistenza... - abbassò leggermente lo sguardo ricordando quei giorni di apprensione - sapendo che nella torre del Jamir dimora un cavaliere al servizio di Atena, gli abitanti hanno chiesto il mio aiuto -.
 
Shaka si mosse impercettibilmente, continuando a mantenere la concentrazione sulle parole del tibetano.
 
- Ho trascorso diversi giorni e notti cercando di capire quale fosse la causa dell’epidemia, e quando finalmente l’ho trovata ho potuto preparare i rimedi necessari per guarire gli animali - Mu appoggiò le mani sul tavolo dietro di lui - qualche giorno dopo, in segno di ringraziamento, la donna più anziana del villaggio è venuta alla torre a portare doni da parte di tutti...i discendenti del popolo lemuriano hanno un cosmo molto potente, soprattutto gli anziani, che utilizzano anche nelle loro attività quotidiane...probabilmente ce n’è ancora traccia nei regali che mi ha portato... -.
 
Shaka si limitò ad ascoltare. Non percepiva traccia di menzogna nelle parole di Mu. Eppure...c’era qualcosa che non tornava...
 
- Se non mi credi puoi scendere al villaggio - Mu intuì i pensieri dell’indiano - per confermare se ciò che ti ho raccontato corrisponde alla realtà - alzò le spalle con noncuranza...pur non essendo la verità che Shaka stava cercando, aveva raccontato un evento accaduto realmente durante l’ultimo inverno... nell’evenienza che la Vergine avesse davvero voluto controllare.
 
Ma Shaka non rispose. Dopo avergli rivolto un’ultima, carica, occhiata, girò le spalle avviandosi verso la scala che portava ai piani superiori.
 
- Penso che tu abbia quasi terminato. Ti aspetto di sopra per tornare al Santuario -. 
 
Senza farselo ripetere due volte, Mu si affrettò a prendere gli ultimi attrezzi per poter lasciare quel luogo il prima possibile. Preoccupato dal fatto che Shaka si aggirasse da solo nella torre, non poteva dargli il tempo di riflettere o avrebbe capito, esattamente come aveva capito Camus prima di lui. 
 
Apparentemente l’indiano sembrava aver creduto alla sua storia, non aveva battuto ciglio, il suo tono di voce non aveva tradito alcuna emozione, eppure... qualcosa dentro Mu diceva che quella storia non sarebbe finita così...
 
Santuario
 
- Idiota...sono davvero un idiota! - seduto sul divano, i gomiti appoggiati sulle ginocchia, Milo si strofinava nervosamente il viso, fermandosi di tanto in tanto a fissare il vuoto.
 
- Dimmi qualcosa che non so... -.
 
Milo si voltò di scatto, mostrando una smorfia quando vide Aiolia, appoggiato pigramente allo stipite della porta, guardarlo con un sorriso sbilenco stampato sul volto.
 
- Che fai... ti diverti a spiarmi, gatto? - fingendosi infastidito, Milo indicò con la testa il posto accanto a lui, facendo cenno ad Aiolia di sedersi.
 
Lo Scorpione era uno dei pochi cavalieri d’oro, insieme a Mu e Aldebaran, a condividere un’amicizia con il quinto guardiano.
 
- A dire il vero avrei molte altre cose da fare, decisamente più interessanti, che spiarti... - Aiolia si sedette girandosi per guardare l’amico - ma, non avendoti visto oggi nell’arena per il solito allenamento, ho pensato che non stessi bene... - lo guardò attentamente, e le occhiaie di Milo gli dicevano che aveva ragione.
 
Milo abbozzò un sorriso... gli piaceva il fatto che Aiolia si preoccupasse per lui. Ad onor del vero, a parti invertite avrebbe fatto lo stesso, tuttavia, non avrebbe ceduto così facilmente alla confessione.
 
- Quali cose interessanti? - un’espressione maliziosa vestì il suo volto - Del tipo... guardare di nascosto l’allenamento di un cavaliere d’argento di nostra conoscenza? -.
 
Aiolia sentì il suo viso bruciare di vergogna...come accidenti faceva Milo a sapere del suo interesse per Marin?!
 
Tuttavia, non si lasciò prendere in giro. Quando non aveva voglia di parlare, Milo utilizzava il sarcasmo e la malizia per sviare l’attenzione dai suoi problemi, e questa volta non stava facendo eccezione.
 
Prendendo un respiro profondo, si sforzò di restare calmo. - Smettila di dire idiozie...e parla! - disse incrociando le braccia in attesa.
 
Milo sospirò, prima di girarsi verso l’amico rivolgendogli un sorriso triste e sincero.
 
- Ho fatto una cazzata, Aiolia...una cazzata gigantesca... -. Ma prima che potesse spiegare, il Leone lo anticipò.
 
- C’entra il re del ghiaccio vero? -.
 
- Come diavolo fai a saperlo?! - Milo guardò Aiolia sorpreso.
 
- Semplice... - Aiolia si limitò ad alzare le spalle - ...quando si tratta di Camus fai sempre delle cazzate gigantesche! -.
 
- Sono così ovvio? - un’espressione di disgusto attraversò il bel viso dello Scorpione, provocando una leggera risata nel suo interlocutore.
 
- Non è questo... - rispose Aiolia divertito - ...siamo amici... per me è evidente che sei innamorato di Camus da una vita, così come tu hai notato il mio interesse per Marin! -.
 
- Lo ammetti allora! - Milo puntò il dito contro l’amico che si limitò a fargli una smorfia.
 
- Non vedo perché dovrei nasconderlo...soprattutto a te - Aiolia roteò gli occhi infastidito - e comunque piantala di cambiare argomento e dimmi che accidenti hai combinato! -.
 
Milo rivolse gli occhi al pavimento parlando con un filo di voce. - L’ho baciato... -.
 
- E? - Aiolia allargò le braccia in attesa che continuasse - Non mi sembra una grande idiozia... -.
 
- A tradimento Aiolia...l’ho baciato a tradimento... - Milo gesticolava nervosamente - l’ho baciato perché ero geloso della sua amicizia con Mu, l’ho baciato perché si comporta sempre come se gli dessi fastidio, l’ho baciato perché mi fa sentire un intruso nella sua vita... -.
 
- In pratica lo hai baciato per varie ragioni, tranne per l’unica per la quale avresti dovuto farlo... - lo interruppe Aiolia, guadagnandosi lo sguardo sorpreso del compagno.
 
- Io...io...non... - Milo non sapeva cosa rispondere - non volevo che fosse così...e adesso Camus è furioso! - si passò una mano tra i capelli sospirando rassegnato.
 
- Per quel poco, anzi, pochissimo che so di Camus, dubito che sia furioso - il Leone attirò nuovamente l’attenzione di Milo - penso piuttosto che si senta umiliato...d’altronde...non lo hai baciato per amore...lo hai fatto per punirlo... -.
 
Milo aggrottò le sopracciglia in un’espressione di dolore. Sentì una mano sulla spalla, mentre una lacrima scendeva lentamente rigando il bel viso abbronzato. Aiolia aveva ragione...in quel bacio non c’era niente che assomigliasse anche solo lontanamente al sentimento che provava da sempre per Camus...
 
 
Ai piedi della scalinata che portava alle dodici case, la distorsione spazio temporale annunciò il ritorno di due cavalieri.
 
Shaka barcollò leggermente, ma, prima di perdere l’equilibrio, sentì le mani di Mu sostenerlo prontamente. Avrebbe voluto, con tutta la ragione che possedeva, staccarsi da quel contatto, ma il suo corpo, ben più saggio di lui, si rifiutava di ascoltare la sua mente.
 
- Quando arriverai al tuo tempio cerca di riposare un po’ prima di cominciare la meditazione - Mu ruppe il silenzio - teletrasportarsi comporta sempre un grande dispendio di energie -.
 
- Delle tue sicuramente...io non ho fatto molto... - Shaka alzò leggermente le spalle sottolineando come lo sforzo maggiore fosse quello del tibetano.
 
Mu assentì piegando la testa leggermente di lato e facendo un piccolo sorriso - Comunque non è piacevole...il corpo ne esce sempre provato...so che non vedi l’ora di riprendere la tua meditazione ma riposati...non fare il solito Shaka... -.
 
Anche mentre lo diceva avrebbe voluto mordersi la lingua. Il solito Shaka... Che accidenti ne sapeva di come fosse Shaka? Aveva un tenero ricordo dell’indiano da bambino, o meglio...un tenero ricordo che, crescendo, era diventato qualcos’altro...ma Mu aveva sempre attribuito il cambiamento dei suoi sentimenti al fatto di aver idealizzato l’amico lontano. La realtà era che non aveva la benché minima idea di cosa fosse diventato. Anche se...le voci che gli erano giunte alle orecchie, soprattutto da parte di Aiolia e Aldebaran, non lasciavano molto spazio all’immaginazione. E per quanto Mu fosse una persona poco propensa ad accettare giudizi sugli altri senza averli prima constatati di persona, sapeva che Shaka era diventato un fedelissimo del Patriarca, elevato addirittura al ruolo di consigliere. Con tutta probabilità, era uno dei cavalieri che si poneva meno domande sulla legittimità della causa che aveva sposato.
 
- Perdonami - Mu tornò serio, la sua voce suonava malinconica - non ho alcun titolo per dirti cosa fare -.
 
Dopodiché si incamminò verso la scalinata, con l’intenzione, o per meglio dire, il dovere, di salire al tempio patriarcale per riferire sulla missione.
 
Per qualche secondo Shaka rimase statico. Non avrebbe saputo spiegare perché, ma, per alcuni istanti, il suo cuore aveva aumentato la velocità dei battiti...una sensazione provata raramente nella sua giovane vita dedicata interamente al cavalierato. Era stata breve, ma nella sua fugacità si era sentito vivo. 
 
Felicità. Per un breve istante, Shaka si era sentito felice.
 
Tornando in sé raggiunse Mu, che era ormai arrivato ai piedi della scalinata.
 
Percorsero la salita in assoluto silenzio, la qual cosa non era una novità né un incomodo. Di tanto in tanto, con la coda dell’occhio, Mu osservava le espressioni del sesto guardiano, tuttavia, l’immagine che la Vergine gli rimandava era di consueta, assoluta, impassibilità.
 
Quanto meno era così all’esterno, perché, internamente, Shaka era in preda alla confusione. Erano successe troppe cose in uno stesso giorno...accadimenti che toccavano corde profonde del suo animo, segreti che lui stesso aveva soffocato liquidandoli come fatti di scarsa importanza, poiché lo portavano su un terreno a lui poco familiare e pericolosamente sdrucciolevole. I sentimenti.
 
Nel caos che era la sua mente, non gli sfuggì tuttavia la sensazione di conforto che provava avendo l’Ariete accanto a sé. Il benessere era paragonabile al tepore di una casa accogliente in pieno inverno, e questo gli piaceva molto, lo appagava. Allo stesso tempo, però, quella stessa vicinanza lo turbava, portandolo a desiderare un contatto maggiore...
 
Quando arrivarono al tempio dell’Ariete, Mu si congedò per portare i suoi attrezzi nella fucina che si trovava al piano interrato del luogo. Convinto che Shaka avesse proseguito verso la sua casa, rimase sorpreso quando lo trovò nella sua cucina, in piedi, ad attenderlo.
 
Vedendo lo stupore sul suo viso, Shaka anticipò la risposta alla domanda che Mu avrebbe fatto - Dobbiamo fare la stessa strada, quindi mi è sembrato opportuno aspettarti... -.
 
Nonostante avesse gli occhi chiusi, Shaka osservò attentamente l’ambiente circostante. Mu era tornato solo da pochi giorni, eppure quel luogo trasudava la sobrietà e l'amabilità che erano sempre state tipiche del tibetano. Non mostrando nulla all’esterno, sorrise dentro di sé...pur essendo un luogo semplice e discreto, quel posto sapeva di casa...
 
Con quella calda sensazione nel petto, Shaka si avviò verso l’esterno per riprendere la salita che avrebbero percorso insieme fino alla sesta casa, quando si sarebbe congedato da Mu per permettergli di recarsi dal Patriarca.
 
Attraversarono i templi indisturbati, poiché la maggior parte degli ori era ancora al Colosseo ad allenarsi, e questo si rivelò un bene per entrambi...per Shaka, poiché non amava conversare con i compagni d’armi, ritenendo alcuni di loro piuttosto fastidiosi, e per Mu, perché era ancora fortemente a disagio nel rapportarsi con gli altri cavalieri, a maggior ragione sapendo che lo consideravano un traditore.
 
Perso nei suoi pensieri che tornavano in maniera sporadica sugli accadimenti della giornata, Shaka tornò alla realtà quando vide Mu, fermo accanto a sé, guardarlo in attesa. Solo in quel momento si rese conto di essere innanzi al suo tempio. 
 
Non sapendo come congedarsi, rimasero entrambi statici per diversi secondi senza sapere cosa fare, prima che la Vergine si decidesse a rompere l’ingombrante silenzio.
 
- Seguirò il tuo consiglio... - la voce riecheggiò nel silenzio dell’imponente tempio - riposerò un po' prima di riprendere la meditazione...buona serata Mu - e, senza aspettare una risposta, voltò le spalle per immergersi nella luce fioca delle sue stanze.
 
Mu rimase immobile per qualche secondo contemplando la bionda chioma del sesto guardiano muoversi con grazia al suo passo. Un piccolo sorriso adornò il suo volto...Shaka della Vergine, l’uomo più vicino agli dei, il consigliere del Patriarca, accettava un consiglio da un umile fabbro?
 
Scuotendo leggermente la testa divertito, si incamminò nuovamente per sbrigare l’ultimo dovere della giornata.
 
Quanto gli pesava dover rendere conto all’uomo che occupava indegnamente il posto che era stato del suo maestro, all’impostore, al vero traditore, tuttavia...non poteva permettersi alcuna iniziativa, il vecchio maestro era stato chiaro...avrebbe dovuto attendere l’arrivo della presunta Atena.
 
Nonostante apparisse calmo e sereno, Mu era stanco per la giornata e turbato per ciò che stava per accadere...con l’animo inquieto, arrivò presto, troppo per i suoi gusti, alle porte del tredicesimo tempio.
 
La totale assenza di sorveglianza non fece altro che impensierirlo ulteriormente. Il luogo, abitualmente brulicante di guardie e servitù, era insolitamente deserto e silenzioso...
 
Quando l’imponente portone si aprì prima ancora che Mu annunciasse la sua presenza, il tibetano mise in allerta tutti i sensi sui quali aveva il controllo, poiché quello che stava accadendo non aveva nulla di normale.
 
- Bentornato Ariete... - sebbene appartenessero ad una ritualità di cortesia, quelle semplici parole, riecheggiando cupe e grevi tra le buie pareti del tempio, avrebbero gelato il sangue nelle vene di qualunque comune mortale. Cosa che, però, l’Ariete non era.
 
Senza mostrare alcuna emozione, Mu si avviò verso il suo scranno, facendo risuonare i calzari della sua armatura nell’inquietante silenzio del luogo.
 
Nel frattempo, a diversi templi di distanza, Shaka finì di vestirsi dopo il breve bagno che si era concesso per rilassarsi dopo la giornata trascorsa. Si stava muovendo in direzione del loto di pietra, per tornare alla meditazione che, ne era certo, fosse l’unico modo per calmare il caos nella sua mente, quando all’improvviso si fermò, mettendosi in posizione di guardia. 
 
Riuscì a percepirlo nitidamente...
 
Un cosmo più cupo delle tenebre era presente nel Santuario, avvolgendo nella sua oscurità ogni barlume di luce. Shaka ricordava perfettamente di averlo già percepito, quella stessa notte, quando aveva respinto la forza inquietante che aveva tentato di insinuarsi nella ragione del primo guardiano...
 
Pur non avendo idea di quale fosse la fonte radiante di quel cosmo, comprese subito a chi fosse destinato. Rendendosi conto di non avere il tempo materiale per poter raggiungere Mu, si sistemò sul loto di pietra raggiungendo quasi subito uno stato di meditazione profonda, allertando i sensi ed i riflessi...
 
- È un bene che tu abbia fatto in fretta, Ariete... - nonostante il tono di voce agghiacciante, le mani di Saga tremavano leggermente - ...molte armature necessitano dei tuoi servigi... - vide Mu puntare lo sguardo sulle sue mani - ...quando hai intenzione di cominciare? - domandò più per distrarre il tibetano che per reale interesse.
 
- Non appena tornerò al mio tempio - la voce di Mu suonò asciutta, totalmente priva dell’usuale nota gentile - Per cui, se il Patriarca me lo concede... - si percepì nettamente il fastidio nel pronunciare quella parola - ...mi congedo per tornare ai miei doveri... - naturalmente non seguì l’inchino che normalmente i cavalieri riservavano alla massima autorità del Santuario.
 
Trascorso qualche secondo senza ottenere risposta, Mu interpretò il silenzio quale benestare e, voltate le spalle, si incamminò diretto verso l’uscita. Era già arrivato a buon punto, quando poche, brevi parole, pronunciate con un tono di voce così cupo da far risuonare a vuoto i colpi che il suo cuore cominciò a battere contro il petto, lo paralizzarono sul posto.
 
- Non prima di domani mattina Ariete... -.
 
Sbigottito, Mu si voltò per affrontare il falso Patriarca, facendo istintivamente un passo indietro quando lo trovò a pochi centimetri dal suo corpo. La sua folta chioma color nero intenso era striata di grigio, mentre due tizzoni furiosi, al posto degli occhi, minacciavano di divorarlo fino alle ossa. Con una mano, Saga prese delicatamente una ciocca di capelli del tibetano portandola al naso per inalarne il dolce profumo...
 
- Ti ho scelto...questa notte sarai tu la mia compagnia...che ti piaccia o no Mu dell’Ariete... - le ultime parole sottolineate lentamente.
 
Non capendo il significato di quel che ti piaccia o no, Mu si allontanò muovendo all’indietro alcuni passi, non perdendo di vista ciò che stava succedendo. Aveva sempre sospettato che il tradimento di Saga fosse stato causato dalla possessione di una parte oscura che dimorava nel suo animo, ed era chiaro il fatto che si trovasse dentro uno degli attacchi più feroci della sua personalità...ma doveva trovare il modo di uscire da quel luogo il prima possibile...
 
- Non farò niente del genere... Saga... - sperando di evocare in lui un minimo di lucidità, Mu lo chiamò per nome, ed in quel momento, l’aura oscura di Saga vacillò pericolosamente, facendogli rilasciare un gemito di dolore. Per un momento, ma fu solo un attimo, udì la voce di Saga, quella che ricordava...ma, sebbene questo lo commuovesse, era conscio di non poter indugiare, né di potersi fidare.
 
Continuando a procedere all’indietro, ostentando una calma che era solo apparente, Mu cercò di valutare quanto distante fosse l’uscita, realizzando, con profondo rammarico, i metri che gli mancavano per allontanarsi da quel luogo. Non avrebbe ingannato Saga, o qualunque cosa fosse al suo posto in quel momento...
 
Concentrato sul pensare a come uscire da lì senza scatenare una guerra di mille giorni, Mu non si accorse di cosa stesse effettivamente facendo il falso Patriarca... mantenendo il suo stesso passo, lo seguiva impedendogli di allontanarsi, e le braci visibili da dietro la maschera sembravano quasi schernirlo, mentre, lentamente, alzava la mano destra puntando il dito indice contro di lui. 
 
Il cosmo di Saga opprimeva con la sua oscurità tutto il luogo.
 
L’Ariete non aveva idea di cosa significasse quel gesto... pensava che stesse per parlargli, forse ribadire l’ordine dato pochi istanti prima, tuttavia, quando sentì il suono di una risata riecheggiare in tutta la sua follia nel silenzio sordo del tempio, un rivolo di sudore rotolò velocemente lungo la sua spina dorsale.
 
- Satana imperiale! -.

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Capitolo 6
*** Amore...folle...ma pur sempre amore ***


Alza il muro...ora!
 
Il colpo rimbalzò sulla parete di cristallo, e sarebbe tornato indietro con conseguenze letali se chi lo aveva sferrato non avesse avuto una prontezza di riflessi tale da fargli percepire la minaccia.
 
Mu alzò il suo colpo difensivo prima che fosse troppo tardi, sentendo chiaramente l’avvertimento nella sua mente. 
 
Questa volta, però, a differenza di quanto accaduto la notte precedente, identificò nitidamente il proprietario della voce...
 
Quando sentì una scarica di cosmo oscuro avvolgere minacciosamente il primo guardiano, Shaka tentò di veicolare la sua stessa difesa a protezione di Mu, ma resosi conto che non avrebbe potuto funzionare contro una minaccia così grande, non ebbe altra scelta che parlare direttamente nella sua mente. Sapeva che, così facendo, Mu avrebbe capito tuttavia...non c’era tempo per pensare ad un’altra soluzione.
 
Dopo aver percepito la presenza del muro di cristallo che garantiva la protezione all’Ariete, Shaka tornò in sé aprendo lentamente gli occhi. 
 
Per lunghi secondi fissò il vuoto, domandandosi cosa fosse accaduto negli ultimi minuti.
 
Sapeva perfettamente dove e con chi fosse Mu, ma qualcosa nella sua mente si chiuse ermeticamente rifiutandosi di vedere ciò che era davanti ai suoi occhi.
 
Non era possibile...di certo quel cosmo era tanto potente da poter appartenere al Patriarca ma quell’aura nera che lo permeava no...era indegna di un uomo giusto come lui.
 
Shaka scosse impercettibilmente il capo cercando di negare i suoi stessi pensieri. Deve essere accaduto qualcosa...forse Mu lo ha provocato o gli ha mancato di rispetto... anche se, in cuor suo, sapeva benissimo che il tibetano non avrebbe mai fatto né l’una né l’altra cosa, limitandosi ad evitare il più possibile colui che occupava lo scranno più alto del Grande Tempio. Inoltre, aveva riconosciuto perfettamente lo stesso cosmo oscuro che, la notte precedente, aveva cercato di impossessarsi di Mu mentre era inerme nel suo sonno, essendo stato lui stesso a ricacciarlo indietro...
 
In un gesto di irritazione si grattò nervosamente il mento, alzandosi dal suo altare di pietra e dirigendosi verso la camera da letto, nella parte più privata del tempio. Pur essendo un fascio di nervi, Shaka mantenne la sua posa altera nonostante fosse solo...con tutta probabilità, era il suo modo di chiudersi a tutto ciò che non lo riguardava, e nel caso specifico, una protezione contro qualcosa che non voleva affrontare.
 
I nodi stavano cominciando a districarsi tuttavia...il sesto guardiano sarebbe stato pronto ad accettare la realtà?
 
A diversi templi di distanza, dietro il muro di cristallo, Mu osservava la figura che giaceva sul pavimento.
 
Sebbene fosse riuscito a schivare il suo stesso colpo, Saga era caduto a terra nel tentativo di evitarlo.  Ora, però, non aveva la forza di rialzarsi. Non davanti a quello sguardo...
 
Quando Mu realizzò quale fosse il colpo usato da Saga, ricordò le parole che il vecchio maestro aveva utilizzato per descriverlo, in quei giorni in cui lo aveva messo al corrente dei pericoli che correva tornando al Santuario. Meschino, indegno, sordido ed infido.
 
Mai avrebbe pensato che un cavaliere potesse utilizzare quella tecnica per sottomettere qualcuno, e meno che mai un parigrado, un compagno d’armi.
 
Impossessarsi della volontà altrui, per costringerla a fare ciò che non farebbe mai. Un colpo in grado di trasformare un uomo in un mero burattino...
 
E poi...per cosa? Per soddisfare un bisogno edonistico?
 
Mu sentì una tale rabbia montare dentro di sé, che ruppe il muro di cristallo solo per potersi fiondare su quel corpo che appariva inerme, prendendolo per il bavero dell’abito e tirandolo a sé. Nonostante Saga si mostrasse impotente, allertò comunque tutte le sue difese, conscio del fatto che non avrebbe mai dovuto abbassare la guardia di fronte a lui.
 
- Che diavolo pensavi di fare, Saga?! - nonostante tutto, lacrime pesanti rotolarono lungo le guance rosse di rabbia del primo guardiano - Ti rendi conto di cosa sarebbe potuto accadere? - domandò scuotendolo dolcemente. Per quanta rabbia potesse avere, per quanta delusione potesse provare, Mu non lo avrebbe mai aggredito...
 
I lunghi capelli completamente neri, le sclere non più rosse, Saga era lacerato dal dolore di Mu. Il tibetano era l’ultima persona al mondo alla quale avrebbe voluto nuocere, eppure...per una strana ironia della sorte, si ritrovava sempre a pagare il prezzo più alto per le sue malefatte.
 
- Dannazione, Saga...sono io, Mu... - la voce rotta, mentre fissava il vuoto nelle orbite scure - Mi hai insegnato a leggere...hai curato le mie ferite, mi hai consolato quando mi svegliavo spaventato... - lo spingeva debolmente, mentre nella sua mente riviveva i momenti passati insieme a colui che per anni aveva considerato un fratello maggiore, un maestro.
 
Quando sentì il bavero della veste patriarcale inumidirsi sotto le sue mani, capì che in quel momento, tra le sue braccia, c’era Saga, quello vero, il cavaliere dei Gemelli che aveva ammirato durante tutta la sua infanzia, una delle persone per le quali aveva provato il più sincero affetto.
 
Quei singhiozzi che provenivano da dietro la maschera non lasciavano adito a dubbi. Mu avrebbe riconosciuto la sua voce ovunque. 
 
Senza alcun timore, prese le mani di Saga tra le sue portandole al petto - So che non sei tu...per questa ragione non riesco a odiarti...Saga... -.
 
Dal canto suo, Saga stava provando sensazioni che il suo malvagio alter ego aveva seppellito nel punto più profondo del suo animo, non riuscendo, tuttavia, a sradicarle...sentire di nuovo il suo nome, dopo anni di oblio, recitato come fosse un mantra dalla voce dolce di Mu, mosse tutti i sentimenti che ricacciava indietro ogni qualvolta riaffioravano per tormentarlo. Stanco delle menzogne, stanco del male, stanco di tutto, Saga lasciò andare una delle mani solo per portarla al proprio volto e rimuovere la maschera, dietro la quale si nascondeva da un tempo che nemmeno riusciva a ricordare. Dopo averla gettata con disprezzo, avvicinò la mano al volto di Mu per sfiorarne nostalgicamente i lineamenti delicati con la punta delle dita.
 
- Tu non puoi odiare, Mu... - la voce profonda di Saga risuonò tra le pareti del tempio dopo lunghi anni di silenzio. 
Le sue stesse orecchie non avevano più ascoltato le sue parole, relegate a fiaccanti monologhi che avvenivano solo nella sua mente fragile. Per paura che qualcuno potesse ascoltarle...
 
In uno dei suoi ormai rari momenti di lucidità, Saga realizzò quale fosse la cosa sensata da fare, l’unica che avrebbe potuto restituirgli un minimo della dignità che lui stesso aveva portato via da sé. E soprattutto, di pace.
 
Mentre una delle sue mani continuava a stringere quelle di Mu, portò l’altra all’altezza del proprio petto, inserendola in un’apertura nascosta nella stoffa...dopo pochi, rapidi, movimenti, tirò fuori dalla tasca un pugnale d’oro. Una difesa che portava sempre con sé.
 
Davanti all’arma, Mu tirò istintivamente indietro la testa, tuttavia, guardando l’espressione supplichevole dell’uomo che gli stava di fronte, gli fu subito chiaro come quel gesto non rappresentasse per lui alcun pericolo.
 
Tenendo sul palmo della mano la lama d’oro ricoperta di gemme, Saga fissava speranzoso le verdi iridi di Mu in un esplicito invito.
 
Nessuno dei due avrebbe potuto quantificare quanto tempo trascorsero in un silenzio strano e confortante, prima che uno di loro si decidesse a rompere quella inquietante calma con le sue parole.
 
- Ti prego Mu... - non disse nient’altro, non era necessario per comprendere cosa desiderasse dal tibetano.
 
Dal canto suo, Mu, statico, si limitò a guardare l’arma che gli veniva offerta senza battere ciglio.
 
Se l’Ariete fosse stato un’altra persona, non si sarebbe lasciato sfuggire l’occasione per fare, forse, la cosa giusta. La fragilità di Saga era stata la rovina di tutti...di coloro che, innocenti, erano periti sotto la sete di vendetta del suo alter ego... di coloro che, consapevolmente, si erano assoggettati alla sua brama di potere, poiché prima o poi ne avrebbero pagato il contrappasso... di coloro che, al contrario, ignari ne eseguivano gli ordini convinti di essere nel giusto, poiché la verità li avrebbe dilaniati...di coloro che pagavano il prezzo del biasimo e dell’esilio.
 
Il punto è che l’Ariete non era un’altra persona.
 
Davanti allo sguardo smarrito di Saga, mantenendo la calma che lo caratterizzava, strinse la sua mano intorno al pugnale per rimetterlo nella tasca nascosta nella sua veste.
 
- No... Mu... - in quel momento il falso Patriarca vide le sue speranze sgretolarsi davanti ai suoi occhi, riempiendoli di lacrime - ti prego...fallo per tutti voi...fallo per me...liberami dal mostro che mi divora...dammi un po’ di pace... - la voce tradiva tutto il dolore che Saga, quello vero, portava con sé da tredici anni.
 
Mu scosse dolcemente la testa in segno di diniego.
 
- Non sono io che posso arrogarmi questo diritto - la voce di Mu era rotta dal dispiacere - Solo Atena può decidere cosa fare della tua vita... -.
 
- Ma io l’ho fatto! - Saga non gli permise di continuare - Io ho deciso per tutti voi! -  la disperazione era tangibile nella sua voce.
 
- Sì, è vero... - Mu si limitò ad annuire - ti sei elevato a divinità...di quart’ordine, certo, ma pur sempre divinità, e il tuo tormento è la tua pena... - con delicatezza lasciò andare le mani di Saga alzandosi in piedi - non posso darti la pace che cerchi, nessuno può, tu stesso non puoi... - lo sguardo che rivolse all’uomo ancora sdraiato a terra era carico di tristezza - lascia che tutto si compia Saga...ormai non possiamo fare nulla per fermare ciò che deve accadere... -.
 
Le parole del tibetano riecheggiarono nel silenzio freddo del tempio, mentre, voltando le spalle senza alcun timore, si avviò con passo calmo, ma deciso, verso l’uscita.
 
Prima di sparire dalla sua vista, tuttavia, Mu sentì il bisogno di voltarsi per guardarlo. Una strana sensazione attanagliò la parte più profonda del suo petto...qualcosa in cuor suo gli diceva che quella sarebbe stata l’ultima volta che lo avrebbe visto...e il dolore lo colpì come un pugno nello stomaco.
 
- Mi hai fatto male Saga, molto... - una lacrima pesante rotolò lungo il suo viso delicato - però ti ho amato...come un fratello, come un maestro...talvolta come un padre... - la sua voce dolce tradiva il dolore sincero - e anche questo non potrò mai dimenticarlo... -.
 
Arrivato alla fine dei gradini che separavano il Grande Tempio dalle dodici case, Mu poteva ancora sentire il pianto di Saga riecheggiare nel silenzio del luogo. La desolazione di quel pomeriggio rendeva ancora più nitida la disperazione delle sue lacrime e lo strazio che provocava in chi lo ascoltava. 
 
Con il cuore spezzato, prosciugato delle sue energie, Mu si prese un momento per sé. Sedendosi sull’ultimo gradino, passò stancamente una mano tra i capelli, respirando lentamente l’aria fresca che l’imbrunire portava con sé.
 
Attese di calmare i battiti del suo cuore, e che la sua mente dissipasse le domande che inevitabilmente quel tipo di eventi riportavano alla memoria. Ormai non aveva più senso chiedersi perché fosse accaduto tutto quello che era avvenuto in quei tredici anni...inoltre, attribuire le colpe ad una sola persona sarebbe stato ingiusto e quanto di più lontano dalla realtà...chi più, chi meno, nessuno era esente da colpe, ma ormai non c’era più niente da fare... se non attendere che si compisse il destino che era stato scritto per ognuno di loro.
 
 
Intanto, nel sesto tempio, Shaka camminava nervosamente avanti e indietro per la sua camera da letto. Continuando così, era certo che entro la fine della giornata avrebbe segnato un solco ben visibile nel pavimento.
 
Davvero quel cosmo oscuro e alterato apparteneva al Patriarca? Perché si era insinuato nel sonno di Mu? Cosa voleva da lui?
 
Queste e mille altre domande turbinavano disordinatamente nella mente del sesto guardiano, non riuscendo ad approdare a nessuna spiegazione logica.
 
Per tredici lunghi, lunghissimi, anni, aveva eseguito ciecamente gli ordini impartiti dalla massima autorità del Santuario, ritenendolo un uomo giusto e confidando nell’infallibilità del suo giudizio, e ora, dopo solo poche ore dal ritorno del cavaliere dell’Ariete, tutto sembrava prendere una direzione inaspettata. E sbagliata.
 
Anche se...
 
Per quanto certo delle sue convinzioni, Shaka dovette ammettere che non tutto andava nel verso giusto...
 
Pur stando la maggior parte del tempo confinato nel suo tempio, all’indiano non sfuggiva nulla di quanto accadeva nel Santuario, e già da molto tempo aveva notato qualcosa di strano. Alcune missioni, nelle quali lui stesso era stato coinvolto quale consigliere, gli erano sembrate particolarmente cruente, e gli stessi allenamenti, soprattutto quelli dei ranghi inferiori, apparivano ai suoi occhi inutilmente violenti...
 
Shaka ricordava perfettamente l’organizzazione che vigeva ai tempi in cui il Patriarca era Shion, non ravvedendovi nulla della ferocia che invece aveva caratterizzato il periodo successivo, dalla sua morte ai giorni attuali.
 
Tuttavia, aveva sempre ricacciato con fastidio quel tipo di pensieri, quando infastidivano la sua coscienza. Ed il motivo era la fiducia, letteralmente cieca, che nutriva nei confronti del reggente il Grande Tempio, colui che, per importanza e saggezza, era secondo solo alla dea alla quale aveva giurato fedeltà a costo della sua stessa vita.
 
Snervato dai suoi stessi pensieri, il sesto guardiano si passò stancamente una mano tra i lunghi capelli. Era già stufo di tutto...
 
Come sempre era accaduto nella sua vita, Mu riusciva a stravolgere la sua tranquillità, e lo faceva con una semplicità disarmante, peraltro riuscendoci sia con la sua presenza che con la sua assenza. Anzi...ad onor del vero la sua assenza, più che turbare la sua pace, era sempre stata la causa del dispiacere che aveva fatto finta di non vedere, ricacciandolo nel profondo della sua mente. Dove era sempre rimasto, fino ai giorni attuali.
 
La verità era che, quando si trattava dell’Ariete, l’indiano si ritrovava ad essere completamente inerme.
 
Possibile che Mu mi faccia sentire sempre come un...come un...bambino?
 
Riecheggiando nella sua mente, quella parola lo impietrì, mettendo fine all’inutile scavo del solco. Il volto impallidì, mostrando le bellissime sfere azzurre spalancate.
 
Come accidenti aveva fatto a non capirlo prima?!
 
 
Ai piedi del Grande Tempio, Mu si alzò per riprendere la discesa delle dodici case. Prima di procedere, voltò lo sguardo un’ultima volta verso il luogo dal quale era uscito pochi minuti prima, notando come il silenzio che ivi aveva regnato fino a quel momento veniva lentamente sostituito dalla concitazione dovuta al ritorno delle guardie e della servitù.
 
Con tutta probabilità, pensò Mu, il mostro aveva ripreso possesso della mente di Saga, ricacciandolo in qualche luogo recondito del suo cuore nero. 
 
Sospirando stanco, cominciò la sua discesa. 
 
Mentre procedeva, sperò vivamente che Aphrodite non fosse in casa, o che si limitasse ad ignorarlo, poiché non aveva la voglia, né tantomeno la pazienza, di seguire i suoi pensieri carichi di enigmi ed allusioni.
 
Che, per inciso, non gli interessavano minimamente.
 
Tuttavia, gli risultò piuttosto evidente quanto la fortuna, in quel giorno, lo assecondasse solo in parte, quando trovò il dodicesimo guardiano in piedi davanti all’ingresso del suo tempio. Appoggiato in modo fintamente casuale ad una delle colonne, vestito della sua armatura, giocherellava con una delle sue rose tra le dita.
 
Chiaramente in attesa del suo arrivo.
 
- Voglio che tu sappia che non mi piaci per niente...non mi sei mai piaciuto Ariete! - senza prendersi la briga dei convenevoli, Aphrodite esordì senza preamboli, andando dritto al punto e mettendo subito in chiaro quali fossero i suoi sentimenti per il tibetano.
 
Ovviamente omettendo la gelosia che ne influenzava le convinzioni.
 
Mu si limitò a guardare il compagno d’armi senza rispondere. Che senso avrebbe avuto discutere con lui?
 
Il guardiano della prima casa era conscio dei tempi duri che, di lì a breve, avrebbero dovuto affrontare in quanto membri dell’esercito di Atena...esacerbare gli animi non avrebbe giovato a nessuno.
 
Tuttavia, chi gli stava di fronte, guardandolo con espressione ostile, non era della stessa opinione...era chiaro che lo svedese non vedesse l’ora di sputare il suo veleno in faccia all’interlocutore, e lo fece indipendentemente dalle conseguenze che ne potevano derivare.
 
- Ho sempre pensato di te che fossi un debole...un vigliacco che ha preferito fuggire dal Santuario, potendo contare sull’impunità garantita dalla benevolenza di colui che lo regge! - il respiro leggermente affannato tradiva tutto il suo livore.
 
Litigare con un compagno d’armi era l’ultima cosa che Mu avrebbe voluto fare, ma nonostante ciò, non avrebbe permesso alle sue parole infamanti e deliranti di gettare fango sul suo operato.
 
In fin dei conti, chi in quel momento gli stava rinfacciando ipotetiche negligenze apparteneva alla schiera di coloro che avevano tratto e continuavano ad avere benefici dai comportamenti di dubbia utilità e moralità perpetrati dal Grande Tempio...imputare indolenza ed inerzia a lui che, al contrario, ne aveva tratto sempre e solo problemi pur adempiendo ai propri doveri, poteva essere solo uno scherzo di pessimo gusto.
 
Facendo appello alla sua leggendaria calma, frutto della dura disciplina imposta da Shion prima e proseguita in seguito da Dohko, Mu fissò i suoi grandi occhi verdi in quelli azzurri del compagno, cercando di non tradire alcuna emozione.
 
- È curioso... - la voce dell’Ariete suonava monotòna - e sono onorato del fatto che tu abbia avuto dei pensieri per me... - inclinò leggermente il capo senza mai interrompere il contatto visivo con il compagno - e quasi mi vergogno nel dover ammettere che, purtroppo, non ho mai ricambiato... -.
 
Se Aphrodite era nervoso per lo scompiglio che Mu aveva, a suo parere, portato nella sua vita, sentirlo dire così candidamente di non averlo mai considerato, lo mandò letteralmente su tutte le furie.
 
Lui, il cavaliere unanimemente riconosciuto il più bello di tutto l’esercito di Atena, adulato per il suo fascino e temuto per la sua crudeltà...ignorato da unqualunque cavaliere d’oro?! Non era tollerabile!
 
- Sei una spina nel fianco, Ariete... - il tono sibilante mostrava tutta la sua collera - ...che diavolo sei tornato a fare, eh?! Tornatene da dove accidenti sei venuto, rinchiuditi nella tua torre sperduta nel nulla, e seppellisciti dentro vivo prima che la tentazione di farti fuori diventi più forte della mia lucidità! -.
 
Mu si limitò a fissare il compagno dall’alto in basso e viceversa. Com’era possibile che Aphrodite fosse considerato il cavaliere più desiderabile? Ai suoi occhi appariva un mostro...
 
Il silenzio del tibetano, tuttavia, non fece altro che far arrabbiare ancora di più Aphrodite.
 
- Dannazione Mu! Non sei contento di tutto quello che hai già causato?! - perdendo l’usuale contegno, la voce del dodicesimo guardiano divenne udibile anche a diversi templi di distanza - Lo hai fatto uscire di senno! Non so per quale oscura ragione Saga tenga tanto ad una persona inutile come te... - roteò lo sguardo in cerca di una spiegazione, prima di sbarrarli, all’improvviso, come se avesse scoperto chissà quale verità - Ho capito! Ho capito...hai fatto un sortilegio...un incantesimo... - puntò il dito contro il tibetano agitandolo nervosamente - Qualcosa che...il tuo strano popolo...sì, la tua stravagante gente, sa fare...e che hai usato per far innamorare Saga... - il modo confuso in cui parlava rivelava tutto lo smarrimento nel quale si stava incartando.
 
Che non durò a lungo. Non quando, alzando gli occhi, trovò il primo guardiano a pochi centimetri da lui.
 
Istintivamente, Aphrodite si tacitò facendo un passo indietro...l’espressione di Mu non gli piaceva per niente. Nel poco tempo che avevano condiviso da bambini, il viso dell’Ariete aveva sempre mostrato serenità, con sfumature tenere e dolci, soprattutto quando sorrideva, e nella sua memoria non riusciva a trovare niente che assomigliasse al suo volto in quel momento. 
 
Nonostante tentasse di non mostrare paura, mise in allerta tutti i suoi sensi.
 
- Quando hai finito di dire idiozie... - se il volto di Mu incuteva timore, la sua voce profonda mise i brividi in chi lo ascoltava - apri bene le orecchie perché non mi ripeterò... -.
 
Normalmente Aphrodite avrebbe risposto a tono a quelle parole insolenti, tuttavia, non riuscì a dire nulla. La sua voce sembrava spegnersi prima di attraversare la gola.
 
- La gente stravagante, lo strano popolo... del quale non sai niente, perché non ti sei mai preso la briga di guardare oltre il tuo naso... ha creato quella sacra armatura che tu ostenti... - Mu guardò profondamente nelle iridi spalancate del compagno - a mio parere, in modo discutibile e senza alcun merito, tuttavia, questo è il volere della dea e non sarò di certo io a metterlo in discussione... - poi, la sua voce si incupì ulteriormente, segno che ciò che stava per dire non sarebbe stato ripetuto un’altra volta - ma non osare parlare di amore Aphrodite...non davanti a quello che è accaduto oggi, che con esso non ha nulla a che vedere...se pensi che Saga mi ami non hai capito nulla dell’amore, e soprattutto, non hai capito niente di Saga! -.
 
Davanti alle sue parole inclementi, il dodicesimo guardiano reagì. Seppur stordito da ciò che aveva sentito e che, dovette ammettere, essere in gran parte vero, non poté sopportare di vedere messo in discussione quello che considerava un sentimento vero.
 
- Che diavolo ne sai di ciò che accade qui Mu dell’Ariete?! - alzò il mento in segno di sfida - Che accidenti ne sai di come sono stati questi anni? Che ne sai di cosa accade a Saga quando la bestia si sveglia e gli da il tormento? - la sua voce era simile ad un sibilo - te lo dico io Mu...non sai niente...perché non sei mai stato qui con lui ad assistere al suo dolore ed al suo tormento...ma io sì... -.
 
Gli occhi dello svedese si velarono leggermente, particolare che non sfuggì al suo interlocutore.
 
- Io l’ho sempre ascoltato...io l’ho sempre consolato...io l’ho sempre difeso da se stesso...io - per la prima volta abbassò lo sguardo sussurrando - ...l’ho sempre amato -.
 
Quello che seguì fu un silenzio strano.
 
Mu pensava che l’amore fosse un’altra cosa...amare qualcuno non comporta sguazzare con lui nella stessa melma, bensì provare a tirarlo fuori, avere forza per entrambi quando è necessario...e anche quando non lo è.
 
Tuttavia, preferì tacere davanti a quella confessione.
 
Non gli piaceva Aphrodite, ad essere onesti non gli era mai piaciuto...fin da giovanissimi lo aveva sempre considerato un manipolatore ed un profittatore, con una morale tutta sua, da adoperare ad uso e consumo dei suoi interessi. Eppure...in questo momento gli era sembrato sincero...probabilmente una delle rare volte in cui aveva mostrato qualcosa di reale.
 
Inoltre, era abbastanza adulto da sapere che l’amore non ha un’unica forma. Può manifestarsi in svariati modi, e non stava a lui giudicare quale fosse il migliore, o il più appropriato.
 
Anche se complesso e con molte più ombre che luci, con tutta probabilità il sentimento che il cavaliere dei Pesci provava nei confronti del falso Patriarca era sincero... era, per quanto incomprensibile e vagamente folle, proprio amore.
 
In tutto questo, Mu pensò che non ci fosse nulla da aggiungere, inoltre...aveva notato la commozione che aveva colto all’improvviso il dodicesimo guardiano, e volendo rispettare quel momento, si allontanò dal compagno per riprendere il cammino verso il suo tempio.
 
- Addio Aphrodite -.
 
Non ricevette risposta. 
 
E la ragione non fu la scortesia del cavaliere dei Pesci, semplicemente...non c’era più nulla da dire, ed il suo silenzio sancì per sempre la fine dei conti in sospeso con l’Ariete.
 
Dopo aver attraversato il dodicesimo tempio, Mu dovette ammettere con se stesso di sentirsi completamente svuotato. Il pericolo scampato con Saga e l’incontro con Aphrodite lo avevano prosciugato della fiducia che, intimamente, aveva riposto nei confronti del Santuario fino al suo ritorno. Per quanto potesse sembrare strano, una profonda e piccola parte del suo cuore aveva sempre creduto nella buona fede dei guerrieri di Atena, e coltivato la speranza che ci fosse un modo per evitare ciò che, da lì a qualche giorno, sarebbe inevitabilmente accaduto. 
 
Purtroppo però, tredici anni vissuti lontano dai suoi compagni e da colui che li governava lo avevano reso inutilmente fiducioso, e lo aveva capito solo nel momento in cui i suoi piedi avevano nuovamente calpestato quel suolo che, ormai da tempo, aveva perduto tutta la sua sacralità. Quel luogo era intriso di oscurità e coloro che vi dimoravano, più o meno consapevolmente, ignoravano le ombre che si annidavano nel loro stesso cuore.
 
Sospirando, Mu fissò un punto immaginario di fronte a sé. Tutto stava per compiersi, e la verità avrebbe travolto tutti, indistintamente.
 
Quando arrivò in prossimità della casa dell’Acquario, si annunciò al padrone di casa sollevando dolcemente il proprio cosmo. Sebbene si sentisse davvero stanco, non dimenticò l’impegno preso con Camus quella stessa mattina. 
 
Se l’amico aveva intenzione di parlare con lui, gli avrebbe prestato tutta la sua attenzione. Camus era una di quelle persone che parlava solo quando aveva qualcosa da dire. Ed era una delle qualità che Mu apprezzava di più in lui.
 
Dopo aver trascorso diverso tempo in attesa di risposta, però, ciò che ricevette fu solo il permesso di attraversare la casa. Di per sé, questo non avrebbe preoccupato il tibetano, poiché anche l’Acquario avrebbe potuto trascorrere una giornata impegnativa, e magari ciò che più desiderava era solo riposarsi...
 
Il problema era ciò che Mu aveva percepito nitidamente. 
 
La temperatura del tempio era molto più bassa del normale. Ciò significava che l’undicesimo cavaliere stava raffreddando tutto, compreso il pavimento, che stava gelando i piedi di Mu. Ma non era questo a preoccuparlo, anche perché era abituato alle temperature rigide delle cime himalayane.
 
Sentire un’instabilità così forte nel cosmo dell’amico, mise Mu pericolosamente in allarme. Camus era una persona piuttosto controllata, mai sopra le righe, apparentemente imperturbabile, e mai avrebbe permesso al suo cosmo di mostrarsi così volubile.
 
Camus, non voglio disturbarti. Voglio solo sapere se posso aiutarti in qualche modo. Mu parlò direttamente nella mente di Camus.
 
Sebbene fosse preoccupato per l’amico, non avrebbe mai permesso a se stesso di violare il suo spazio privato. Sapeva quanto l’Acquario fosse discreto...forse anche più di lui.
 
Nella parte più privata del tempio, la biblioteca dove passava la maggior parte del suo tempo quando era al Santuario, Camus era preso dai suoi pensieri. In modo piuttosto confuso a dire il vero.
 
Per quanta voglia avesse di parlare con Mu, questo non era decisamente il momento. Ciò di cui aveva bisogno era riordinare la sua mente, e il discorso che voleva affrontare con il tibetano richiedeva serietà e concentrazione. Probabilmente non gli sarebbe bastata l’intera notte per risolvere i suoi dubbi, ma comunque gli avrebbe permesso di avere le idee più chiare.
 
Nonostante ciò, volle essere il più sincero possibile con Mu. D’altronde, non avrebbe avuto alcun senso mentire, innanzitutto perché il primo guardiano lo avrebbe compreso subito, e poi, perché erano sempre stati onesti l’uno con l’altro. E questo era stato uno degli aspetti determinanti nella nascita della loro amicizia. 
 
Non ti mentirò Mu...non sto bene in questo momento...ma non preoccuparti. Ho solo bisogno di fare chiarezza con me stesso...domani mattina verrò al tuo tempio...
 
Mu intuì che la faccenda coinvolgesse un altro compagno d’armi, e con tutta probabilità sapeva anche di chi si trattasse. Per tutto ciò che riguardava la sua persona, infatti, Camus era un uomo ed un cavaliere preciso e meticoloso, non lasciava mai nulla al caso...se ora si trovava in questo stato, la causa poteva essere solo esterna. 
 
Tuttavia, come da sua abituale discrezione, Mu tenne per sé ogni considerazione. 
 
D’accordo...a domani allora...ma di qualunque cosa dovessi aver bisogno...sai dove trovarmi...a qualunque ora. Buonanotte Camus...te la auguro di cuore...
 
Dopodiché Mu si avviò finalmente verso la sua casa. 
 
Ad essere sinceri, il disimpegno dell’Acquario era stato provvidenziale... sentendosi emotivamente svuotato, Mu preferiva di gran lunga potersi riposare prima di affrontare nuovi problemi...
 
Tra chi era ancora assente per l’allenamento, chi gli concesse il passaggio più o meno volentieri, e chi lo ignorò completamente, arrivò al primo tempio prima di quanto avesse immaginato.
 
Per fortuna...
 
Dopo aver messo a riposo l’armatura, si diresse direttamente nel soggiorno, dove si trovava anche la cucina; senza molta voglia, preparò velocemente qualcosa da mangiare, che consumò in piedi. Lo fece solo perché sapeva di doversi sostenere...se fosse dipeso da lui, sarebbe andato dritto in camera da letto a sprofondare nel materasso.
 
Cosa che fece subito dopo.
 
Nel torpore del dormiveglia, che arrivò non appena la sua testa toccò il cuscino, pensava che gli sarebbe piaciuto fare un bagno rilassante prima di andare a letto, tuttavia, quando il pensiero lasciò la sua mente, era già crollato in un sonno profondo.
 
 
La luce del sole filtrò tra le tende accostate colpendolo dritto in faccia. Con una mano, Mu coprì il suo viso, mentre i raggi cercavano di insinuarsi tra le lunghe ciglia. Girando la testa di lato, cercò di ignorare il richiamo del giorno, ma quando si ritrovò a fissare il suo bel copriletto candido, comprese di essere ormai sveglio.
 
Con la cautela di chi deve riprendere contatto con la realtà, si posò sugli avambracci guardandosi intorno.
 
Ho dormito vestito?
 
Solo allora, Mu si rese conto di avere ancora addosso gli abiti del giorno prima. Praticamente era svenuto sul suo stesso letto.
 
Sorrise tra sé...se Kiki lo avesse sorpreso in quel momento, tutti gli anni passati ad insegnargli le buone maniere sarebbero andati irrimediabilmente persi...
 
Lentamente, si alzò dal letto, e stirando dolcemente le sue membra intorpidite, si diresse verso il bagno. Non c’era tempo per rilassarsi come avrebbe voluto fare la sera precedente, tuttavia, una doccia lo avrebbe aiutato ad affrontare meglio la giornata. Che sarebbe stata comunque impegnativa.
 
L’ennesima giornata impegnativa.
 
L’acqua stava ancora massaggiando il suo cuoio capelluto, lavando via dalla chioma ciò che ancora rimaneva del sapone, quando Mu avvertì in lontananza l’arrivo di qualcuno. Ricordando l’appuntamento che aveva con l’amico, ritenne superfluo indagare ulteriormente, terminando la sua igiene mattutina per andare ad accogliere l’ospite...
 
Finì di sciacquarsi e, dopo essersi asciugato sommariamente, si legò un asciugamano in vita dirigendosi verso il soggiorno, pronto per ricevere Camus. 
 
Non provava alcun imbarazzo nel presentarsi così all’Acquario...avevano già condiviso gli stessi spazi, ben più di una volta, e non era mai stato un problema per loro. A dispetto del carattere riservato di entrambi i cavalieri, nessuno dei due aveva mai mostrato inutili ed eccessivi pudori.
 
- Accomodati Camus - la visuale di Mu si limitava al pavimento, mentre, con l’asciugamano davanti al viso, tergeva l’acqua dalle sue lunghe ciocche - metto a bollire l’acqua per il tè...dal Jamir ho portato quello alla cannella... quello che ti piace tanto... -.
 
Il leggero sorriso che aveva sulle labbra non durò a lungo.  Morì quando, tolto l’asciugamano dal volto, riuscì di nuovo a vedere davanti a sé.
 
In quel momento si pentì di non aver indagato sul cosmo che si stava avvicinando...
 
Il viso irritato non lasciava presagire nulla di buono. Tantomeno la pessima ironia che seguì.
 
- Ah sì? Vedo che conosci molto bene i gusti dell’Acquario...è per questo che ti presenti davanti a lui in questo modo...Mu dell’Ariete?! -.

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Capitolo 7
*** Confronto inaspettato ***


- Allora...hai parlato con Camus? -.
 
Dopo essersi dissetato alla piccola fontana ai bordi del Colosseo, Milo asciugava con un panno di spugna il sudore dalla fronte e dal collo, limitandosi a scuotere dolcemente il capo in segno di diniego.
 
- E perché no? Che accidenti stai aspettando?! - in piedi di fronte a lui, i riccioli castano chiaro incollati alla fronte umida, Aiolia incrociò le braccia in attesa di una risposta.
 
- E tu Aiolia...hai dichiarato i tuoi sentimenti a Marin? - come spesso faceva quando voleva eludere una domanda, Milo cercò di cambiare argomento, mostrando un sorriso malizioso e tentando di mettere in imbarazzo il Leone.
 
Che non si innamorò minimamente del suo gioco.
 
- Non fare come al solito...non provarci nemmeno Milo...che c’entra Marin adesso? - nonostante le sue parole, Aiolia non era affatto irritato.
 
- C’entra, mio caro, perché vieni qui a fare la predica su di me e Camus, quando sei il primo a dare il peggior esempio... - un sopracciglio alzato sottolineava il suo sarcasmo - sei innamorato di Marin da una vita e non hai mai avuto neanche il coraggio di dirle che ti piace...e osi farti chiamare Leone... -.
 
Lo scherno di Milo, però, non durò a lungo...non quando vide un bellissimo sorriso allargarsi sul volto dell’amico.
 
- Parla al passato insetto! -.
 
- Aracnide prego... - lo corresse Milo.
 
- Come? - domandò Aiolia confuso.
 
- Aracnide...lo Scorpione è un aracnide...Camus me lo ha... - quando si rese conto di quello che stava per dire, abbassò la mano con noncuranza - ah...lascia perdere...è l’abitudine! Dicevi? -.
 
Aiolia sollevò entrambe le sopracciglia sorpreso, ripromettendosi di riprendere l’argomento Camus dopo aver messo l’amico al corrente delle novità che riguardavano lui e l’aquila amazzone.
 
- L’ho fatto Milo...ieri sera, dopo l’allenamento dei cavalieri d’argento, sono andato all’accampamento per parlare con lei... - Aiolia muoveva dolcemente lo sguardo imbarazzato puntato verso il basso - Mi ha fatto entrare nel suo alloggio e mi sono dichiarato... - le sue guance presero colore solo ricordando gli eventi della sera precedente.
 
- E? - Milo lo guardò in attesa.
 
- E lei mi ha mostrato il suo volto...lo sai cosa significa, vero? -.
 
- Che stai per morire? - Milo amava prendeva in giro il Leone, ma in realtà era felice per lui.
 
- Idiota... - Aiolia fece una smorfia, che però non riuscì a mascherare la sua gioia.
 
- Quindi è per questa ragione che Aldebaran non ti ha visto passare ieri notte... -.
 
- No.…beh...io... - rosso di vergogna, Aiolia cominciò a balbettare, ma quando vide l’espressione furba sul volto di Milo, capì di essere miseramente caduto nel suo gioco. Tra i denti, imprecò contro la propria ingenuità.
 
Milo inclinò il capo rivolgendogli uno sguardo comprensivo e malizioso allo stesso tempo - Credimi Olia...neanche un bambino ci sarebbe cascato...ma almeno so che hai passato una bella serata, e sono sinceramente contento per te! - concluse dando all’amico una pacca su una spalla.
 
Aiolia annuì, ma dopo qualche istante tornò all’attacco.
 
- Ok, ti ho detto quello che volevi sapere...ora vuoi dirmi, per cortesia, perché non hai ancora parlato con il frigorifero? - incrociò le braccia in attesa di una risposta.
 
Sentendo quell’epiteto, Milo fece un debole sorriso. 
 
- La verità? È che non so cosa dirgli Olia... - allargò le braccia a sottolineare il suo disagio - A parte il fatto che mi caccerebbe dal suo tempio prima ancora che io possa metterci piede...che faccio? Vado lì e gli dico...sai, ti ho baciato perché sono geloso di Mu e volevo mostrarti che sono meglio di lui...ora mi perdoni? - dopo qualche secondo in attesa aggiunse - Suona ridicolo anche a me! -.
 
- Detto così sì - ammise francamente Aiolia - è per questa ragione che devi essere sincero -.
 
Milo non rispose, limitandosi a guardare l’amico. Nel suo sguardo, però, non c’era più alcuna traccia della malizia e dello scherno di poco prima. Solo tanti dubbi.
 
- Devi dirgli cosa provi per lui...altrimenti non capirà mai i tuoi comportamenti e continuerete in questo circolo vizioso in cui lui corre, tu lo insegui, e quando finalmente lo hai raggiunto riesci solo a fare idiozie... -.
 
Milo scosse la testa sconsolato, fissando un punto immaginario - Mai avrei pensato una cosa del genere... -.
 
- Che cosa? - domandò Aiolia premuroso, poggiando con cura una mano sulla spalla dell’amico.
 
- Che mi sarei ridotto ad accettare consigli sull’amore da Aiolia di Leo...la nemesi del savoir faire!!! -.
 
- Ah...vaffanculo Milo! - rispose Aiolia spingendolo.
 
Si guardarono per diversi secondi...prima di scoppiare a ridere entrambi.
 
 
Intanto, nel primo tempio, dopo lo sconcerto iniziale dovuto alla visita inattesa, Mu tornò al suo abituale contegno.
 
- Cosa ti porta nel mio tempio...Vergine? - la voce non tradiva alcuna emozione. Con la sua consueta calma, Mu dissimulò l’imbarazzo di essere praticamente nudo mentre il suo compagno era vestito da capo a piedi della sua armatura.
 
- Non rispondere ad una domanda con un’altra domanda! - il tono di Shaka era secco - Ti presenti davanti all’Acquario in questo modo perché conosci bene i suoi gusti?! -.
 
Mu sapeva che la Vergine vedeva benissimo anche tenendo le palpebre chiuse, e per questa ragione, la strana sensazione di essere ripetutamente scandagliato da cima a fondo lo metteva terribilmente a disagio.
 
Doveva trovare il modo di defilarsi da quella situazione...almeno per potersi vestire!
 
Tuttavia, non gli piaceva per niente il tono autoritario con il quale la Vergine tentava di imporsi, per di più in casa sua, e per quanta necessità avesse di recarsi nella sua stanza e vestirsi, volle prima di tutto mettere in chiaro le cose.
 
- Per prima cosa...ti ricordo che sei nel tempio dell’Ariete...la mia casa... - scandì le parole in modo pacato ma piuttosto duro.
 
Shaka stava per rispondere in modo tagliente, ma Mu lo prevenne prima che potesse aprire bocca.
 
- Non mi importa se tu o chiunque altro in questo dannato luogo pensate che io sia un traditore... la vostra opinione non conta né tantomeno mi interessa, perché solo Atena ha il diritto di giudicare quello che faccio... - il tono con cui parlava non ammetteva repliche - e finché io sono il guardiano di questa casa, esigo che chiunque entri nel tempio dell’Ariete lo faccia con l’attenzione necessaria ed il rispetto dovuto! -.
 
Shaka era statico. Sebbene si mostrasse impassibile, non si aspettava la reazione di Mu.
 
Nei suoi ricordi la voce del tibetano non era mai stata così dura, così perentoria...eppure, riflettendoci un attimo, non avrebbe dovuto esserne sorpreso...tutti loro erano cambiati, non avevano più niente dei bambini che avevano condiviso la loro esistenza tredici anni prima. 
 
Stranamente però, quella sfaccettatura inusuale, lungi dall’infastidirlo come normalmente sarebbe accaduto se qualcuno avesse usato quel tono con lui, innescò una scarica di adrenalina che percorse integralmente il suo corpo...per qualche ragione a lui sconosciuta, non replicò alle parole dell’Ariete.
 
- E per questa ragione, chi entra in questa casa ed il modo in cui viene ricevuto da me sono affari miei...non ti devo alcuna soddisfazione Vergine! - detto ciò, si voltò per dirigersi verso la sua camera da letto, senza attendere una risposta dall’ospite.
 
Riuscì, tuttavia, solo a fare qualche passo...aveva a malapena oltrepassato il tavolo della cucina quando si sentì strattonato per un braccio e messo spalle al muro senza molta gentilezza.
 
Per un momento spalancò gli occhi, sorpreso dal gesto e dall’inaspettata intimità che ora condivideva con Shaka a causa del ridotto spazio che li separava. Avrebbe voluto protestare davanti a quell’atteggiamento prepotente ed autoritario, tuttavia...non poteva negare che quella confidenza forzata rendesse la sua pelle ancora più sensibile, più recettiva...e non gli dispiaceva affatto. 
 
Maledisse mentalmente la sua debolezza.
 
- Di chi è il bambino? -.
 
Mu sentì l’anima andare direttamente all’inferno, che era il luogo dal quale sembrava provenire la voce grave del sesto guardiano. 
 
- È tuo? - la pressione esercitata sul braccio di Mu tradiva la collera che tentava di trattenere. Anche solo l’idea che fosse vero, gli faceva ribollire il sangue.
 
Mu si prese qualche secondo per riflettere sebbene sapesse di avere pochissime opzioni...se avesse mentito, Shaka lo avrebbe capito subito, e sapendo quanto imprevedibile potesse essere la sua reazione, non poteva permettersi errori.
 
A malincuore, decise di dire la verità, e se avesse dovuto combattere contro la Vergine per questo, non si sarebbe di certo tirato indietro.
 
- No - Mu si concentrò nell’eventualità di uno scontro - è il mio allievo -.
 
Nonostante tenesse gli occhi chiusi, Shaka scrutò attentamente nelle sfere verdi di Mu cercando di capire se stesse mentendo. In realtà gli piaceva tremendamente guardare le iridi smeraldine del primo guardiano...anche se non lo avrebbe mai ammesso, gli davano quel senso di pace che non era mai più riuscito a trovare da quando Mu era andato via dal Santuario. 
 
No, non trovò alcuna traccia di menzogna nel suo sguardo, e l’insolito sollievo che gli alleggerì il cuore lo rese definitivamente conscio della strana dipendenza che, suo malgrado, lo legava al tibetano. 
 
Suo malgrado...perché la religione che professava non permetteva quel tipo di attaccamento. Suo malgrado...perché non poteva proprio farne a meno.
 
- Allora quando eravamo in Jamir mi hai mentito... - Shaka lo disse più per nascondere lo strano conforto che sentiva che non perché gli interessasse davvero.
 
- Non ti ho mentito...ciò che ti ho raccontato è accaduto davvero... -.
 
Davanti al tono calmo, ma fermo, di Mu, Shaka sollevò leggermente un angolo delle labbra, mostrando un lieve sorriso.
 
- Allora mi hai manipolato... - a dispetto delle parole, però, la sua voce suonava più morbida.
 
- Non ti ho manipolato...ti ho riferito solo una parte della verità... -.
 
In un’altra circostanza, Shaka avrebbe accusato il colpo al suo orgoglio, ma stavolta no...sebbene tacesse, dovette riconoscere che ciò che Mu aveva detto era vero. Aveva sentito solo ciò che voleva sentire.
 
- Lo sai cosa dicono le regole... - la sua non era una domanda - il Santuario dovrebbe esserne al corrente... - stranamente la sua voce si era addolcita. 
 
- Proprio per questa ragione non ti ho detto nulla - Mu tentò di muoversi con discrezione, ma gli fu impossibile - Il Santuario non c’entra...ho trovato il bambino, appena nato, abbandonato in un bosco ai piedi della montagna dove vivo...dove vivevo - si corresse - è stato il suo piccolo cosmo a guidarmi per trovarlo...è nato sotto la costellazione dell’Ariete ed è lemuriano...è naturale che lo stia allenando a succedermi - l’espressione del viso seria, prese un respiro profondo - se vuoi informare il Patriarca sei libero di farlo, ma ti avverto che non permetterò a nessuno di vantare alcun diritto sul mio allievo... -.
 
Anticipando le domande di Shaka, rispose a tutti i suoi dubbi. Fece anche qualche altro tentativo di divincolarsi, tuttavia, la forte presa dell’indiano non gli lasciava alcuno spazio di manovra. 
 
Deviando momentaneamente dall’argomento principale, si domandò perché Shaka continuasse a tenerlo a quella distanza ravvicinata nonostante la situazione fosse piuttosto imbarazzante...coperto dalla vita in giù solo da un asciugamano bagnato, si sentiva sinceramente a disagio, inoltre...a peggiorare il tutto, il suo naso percepiva il leggero profumo di fiori di loto proveniente dal sesto guardiano.
 
Il che esasperò i suoi nervi. Era il suo odore... sin da bambino. 
 
Dal canto suo, Shaka godeva di quegli istanti di silenzio, deliziandosi del delicato aroma di lavanda che il primo guardiano non era mai stato neanche conscio di avere. Quanto tempo era passato dall’ultima volta che lo aveva sentito...leggero...dolce... Lungi dal provare alcun tipo di imbarazzo, quella vicinanza gli piaceva terribilmente e allo stesso tempo lo sconcertava. Perché non riusciva ad allontanarsi?
 
Quando tornò per un attimo in sé, uscendo a malincuore da quella strana bolla di benessere, si rese conto di avere ancora delle questioni da chiarire con il tibetano. Dubbi che gli occupavano la mente da un po' di tempo a questa parte, e se non li avesse affrontati, non avrebbe avuto un’altra occasione.
 
Aveva già deciso di non riferire al Patriarca dell’allievo di Mu, perché dopo ci sarebbe stato il tempo per tutto... Shaka, infatti, era convinto che l’imminente scontro, per così dire poiché non lo considerava neanche tale, con i cavalieri di rango inferiore che spalleggiavano colei che rivendicava il ruolo di dea, avrebbe definitivamente chiarito ragioni e torti. 
 
E, naturalmente, era convinto di aver sempre agito dalla parte della ragione.
 
- Sei tornato per aiutare i ragazzi di bronzo...vero? - la domanda era retorica, ma voleva sentire la risposta dalle labbra di Mu.
 
Che, tuttavia, tacque.
 
Non aveva ben compreso cosa fosse venuto a fare Shaka, e, con tutta probabilità, neanche lui stesso sapeva esattamente cosa cercare.
 
Passava da un argomento all’altro senza concluderne nessuno...come se, in pochi minuti, cercasse di capire cosa fosse accaduto nell’arco di anni.
 
In realtà l’indiano era davvero in preda alla confusione. Sebbene all’esterno non tradisse emozioni, la presa tenace sulle braccia di Mu era da sola sufficiente a dare l’idea del disordine che c’era nel suo cuore.
 
Il problema era proprio questo...il cuore...perché l’unica verità che Shaka cercava, l’unica che avrebbe accettato, era che il tibetano non avesse fatto entrare nessun altro nel suo...
 
Perché l’unico che avesse mai avuto accesso a quell’esclusiva parte di Mu era stato solo Shaka.
 
- Dicono che uno di loro è venuto a trovarti...che siete intimi... - il tono di voce era ridotto ad un filo, ma non fu sufficiente ad evitare la rabbia che, da lì a qualche istante, colse per sfinimento il primo guardiano.
 
- Dannazione Shaka! - ora Mu si dimenava per divincolarsi - Cosa hai nel cervello?! Prima insinui che abbia qualcosa con Camus...poi un figlio...adesso che sarei “intimo” - fece le virgolette con le dita sebbene fosse ancora costretto - con uno dei ragazzi di bronzo...ma per chi mi hai preso?! -.
 
Shaka non si mosse, né dette segno di voler mollare la presa.
 
- Nel caso in cui i tuoi di amici non ti avessero informato bene... - Mu sembrava leggermente più calmo ma il tono sarcastico tradiva la sua indignazione - quel ragazzo è venuto fino alla torre del Jamir per far riparare la sua armatura e quella di uno dei suoi compagni...ed era disposto a morire per far tornare in vita le armature! E io l’ho fatto...le ho riportate in vita...perché...forse non lo sai - allungò un sorriso ironico e sprezzante - è quello che faccio...è quello che ho sempre fatto! -.
 
In uno scatto d’ira riuscì finalmente a liberarsi dalla presa di Shaka, tuttavia, il movimento brusco ebbe come unico risultato quello di far cadere l’asciugamano che teneva legato alla vita, lasciandolo completamente nudo davanti al compagno.
 
Gli occhi spalancati...le bocche aperte per la sorpresa...nessuno aveva il coraggio di muoversi né di parlare.
 
Tuttavia, dopo qualche istante di sgomento, Mu fece per raccogliere l’unico indumento che avesse a disposizione per coprire la vergogna che aveva già tinto di carminio il suo viso, ma la mossa della Vergine fu più veloce...in un battito di ciglia, Mu si ritrovò nuovamente contro il muro.
 
Ora era nudo in tutti i sensi, perché oltre al suo corpo, sentiva la sua stessa anima attraversata dai bellissimi zaffiri di Shaka.
 
Mu rimase senza fiato...erano passati anni dall’ultima volta in cui aveva visto le iridi del sesto guardiano...gli erano sempre piaciuti i suoi occhi, ed il fatto che li aprisse solo in sua presenza lo aveva sempre considerato un dono speciale. All’epoca emanavano curiosità e saggezza...ora...ora c’era una strana luce in fondo a quello sguardo...
 
Il punto è che Shaka, contrariamente a quanto facesse normalmente, aveva agito esclusivamente d’impulso. Nel giro di qualche secondo il suo cervello era andato in corto circuito, e probabilmente non era neanche del tutto conscio di ciò che stesse facendo...
 
Se fosse dipeso da lui, avrebbe bloccato il tempo in quel ridotto spazio nel quale non esistevano altri che lui e Mu...e quell’elettricità che saturava la poca aria tra di loro.
 
L’istinto primordiale dell’indiano fu di liberarsi della armatura della Vergine, per poter sentire con la propria quella pelle candida e delicata che lo chiamava in modo insistente, che lo ipnotizzava. Una parte di sé era spaventata dai suoi stessi desideri...quelli che non aveva mai provato né pensava di poter provare, e che offuscavano completamente la sua proverbiale capacità di giudizio...ma un’altra parte era assolutamente convinta di ciò che stava facendo, pretendendone, anzi, di più.
 
Tuttavia, soccombere al desiderio fu l’unica cosa che non permise a se stesso...quello sarebbe stato un punto di non ritorno, da lì in poi si sarebbe perso per sempre.
 
Dal canto suo Mu non riusciva nemmeno a respirare. Un po' perché non sapeva cosa sarebbe accaduto, ed un po' perché non poteva negare che la vicinanza di Shaka avesse annebbiato tutto il resto. Gli piaceva?
 
Troppo. L’istinto si ribellava alla sua stessa ragione nel punto in cui il respiro dell’indiano raggiungeva la sua pelle rendendola ispida, sensibile...
 
Il primo a muoversi dopo secondi che sembrarono un’eternità fu Shaka.
 
Con gli occhi nuovamente chiusi, incollò la propria fronte a quella del tibetano, tenendo con forza le mani ai lati del suo corpo scoperto.
 
- Sei tornato Mu... - la voce era roca, grave - ma sei tornato da traditore... -.
 
- Questo è quello che pensi tu... - Mu sussurrò, ma in modo fermo e chiaro - sei l’uomo più vicino agli dei Shaka...ma ricordati che sei pur sempre un uomo... -.
 
Sebbene le parole di Mu fossero chiare, Shaka non accusò nessun colpo. La sua mente era troppo amareggiata da ciò che sarebbe accaduto da ora in poi, non lasciando alcuna alternativa al suo agire. Secondo lui, ovviamente.
 
- Avrei voluto provare almeno un po' di pietà per quei ragazzi che si apprestano a morire... - prese un respiro profondo - ma non posso permettermi di essere magnanimo...sapendo che tu appoggi degli impostori...e non me... -.
 
Per quanta voglia avesse di urlare la verità, Mu comprese che nulla, se non l’evidenza, avrebbe fatto cambiare opinione al suo compagno. Scosse dolcemente la testa...
 
- Se quella ragazza che reclama la posizione di dea è davvero la reincarnazione di Atena, dovrà dimostrarlo... - ma non poté continuare perché fu interrotto seccamente.
 
- Allora perché sei dalla loro parte?! -.
 
Mu sospirò lentamente - Perché so per certo che chi ora siede al tredicesimo tempio non è chi dice di essere... - si fermò un momento prima di dire qualcosa che gli pesava davvero dire - e non riesco a capacitarmi di come tu non lo abbia ancora compreso -.
 
Ed era vero.
 
Uno dei più grandi tormenti del tibetano, durante quegli anni trascorsi nell’esilio e nel disprezzo, era dovuto alla mancanza totale di spirito critico da parte di Shaka. Sebbene non avesse mai messo in dubbio l’abilità di Saga nell’ingannare i suoi compagni, non era mai riuscito a capacitarsi di come una persona così profonda e dotata come il sesto guardiano non avesse percepito l’oscurità con la quale la lunga mano di Saga aveva ammantato l’intero Santuario.
 
Non era possibile. 
 
Ed infatti non era così. Semplicemente...Shaka si rifiutava di vedere ciò che la sua stessa mente aveva compreso da tempo.
 
E nonostante l’evidenza, anche in quel momento scelse di perseverare nel mostrarsi sordo alla ragione di Mu ed alla propria.
 
- Quando tutto questo sarà finito...sarò io stesso a porre fine alla tua vita Mu... - l’Ariete poteva sentire il dolce respiro sulle sue labbra mentre Shaka continuava a tenere le loro fronti unite - ...non permetterei mai a nessun altro di mettere le sue mani su di te... -.
 
Sebbene le sue parole fossero drammatiche, la voce di Shaka suonava in modo incredibilmente dolce. 
 
- Non sarà necessario... - anche la voce di Mu era ridotta ad un sussurro, ma nonostante ciò suonò ferma - se sono nel torto...se ho sbagliato per tutti questi anni...sarò io stesso a farlo... -.
 
Shaka aprì nuovamente gli occhi. 
 
Che fosse per la sua stessa mano o per la volontà del primo guardiano...sarebbe riuscito ad accettarlo? Avrebbe sopportato la morte di Mu?
 
Sarebbe riuscito ad uccidere quello che era stato il suo primo ed unico sentimento umano e sincero?
 
In una sincronia perfetta, e rispondendo ad un richiamo più forte di qualunque ragione, le bellissime iridi zaffiro della Vergine si persero negli occhi stupendi e profondi del primo guardiano...
 
A ben vedere, Mu avrebbe potuto defilarsi in qualunque momento da quella situazione...gli sarebbe bastato fare riscorso alla sua telecinesi, come in tante altre occasioni aveva fatto, per liberarsi dall’imbarazzante presa di Shaka. Eppure non fece nulla...non poté, non volle fare nulla...sentiva di essersi smarrito dentro quegli occhi che, per quanta confusione potessero mostrare, allo stesso modo brillavano di una determinazione unica. Il cosmo di Shaka lo avvolgeva dolcemente in una sorta di innato istinto di protezione, riscaldandolo con il suo tepore delicato.
 
Senza alcun imbarazzo, lo sguardo di Shaka percorse ogni centimetro di quella pelle eburnea dalla quale lo separavano solo pochi centimetri, quasi volesse imprimere quella visione nelle sue retine e nella sua memoria. O semplicemente perché non poteva farne a meno.
 
In realtà, Shaka stava smarrendo se stesso dentro Mu. E non si era mai sentito così vivo come in questo momento.
 
Continuando a tenerlo contro il muro, con le mani bloccate ai lati della testa, l’indiano non riuscì più a resistere...come se tutti i suoi anni di meditazione e di indifferenza nei confronti dei sentimenti umani fossero momentaneamente rinchiusi in una bolla dalla quale era felicemente fuggito, si abbandonò per la prima volta nella sua vita al suo istinto, chiudendo la distanza che lo separava dalle labbra di Mu.
 
Fu poco più di una carezza, un battito d’ali di farfalla, ma sufficiente a ridare vita a quelle braci che entrambi avevano sepolto sotto la cenere del dovere cavalleresco. 
 
Nessuno dei due aveva mai condiviso quella confidenza con un’altra persona, eppure...sembrava tutto così naturale. Con gli occhi chiusi per assaporare più intensamente il loro gusto, i corpi si adattarono perfettamente a quell’intimità, chiedendo inevitabilmente di più.
 
Le dita di Shaka sfiorarono dolcemente i fianchi nudi di Mu, e, riaprendo gli occhi, poté godere del rossore che, nel frattempo, aveva tinto deliziosamente le guance pallide del primo guardiano.
 
Un piccolo sorriso affiorò sulle sue labbra...la reazione di Mu era adorabile.
 
Tuttavia, le cose non sempre seguono il corso che vorremmo, e stava per reclamare nuovamente quelle labbra rosee e morbide, con l’intenzione di andare più a fondo, quando sentì il cosmo di un altro cavaliere avvicinarsi al tempio dell’Ariete.
 
In silenzio, imprecò contro l’ospite inopportuno.
 
Senza perdere tempo, recuperò l’asciugamano per avvolgerlo intorno alla vita del tibetano, e sebbene Mu avesse inteso quel gesto come la volontà dell’indiano di salvare le apparenze, in realtà non avrebbe potuto essere più lontano dalla verità...
 
Shaka aveva agito in quel modo solo per evitare che qualcuno vedesse Mu nudo.
 
Qualcuno oltre lui naturalmente. La sola idea che qualcun altro potesse anche solo posare lo sguardo sul corpo eburneo e vellutato di Mu gli faceva ribollire il sangue.
 
A malincuore, si preparò a partire, ma, prima di andare via, accarezzò con la punta delle dita le labbra tanto desiderate, alternando lo sguardo tra queste e gli smeraldi che lo guardavano in attesa.
 
- A presto...Mu dell’Ariete... - furono le ultime parole che sussurrò prima di voltarsi e dirigersi verso l’uscita, lasciando una leggera scia di essenza di loto nelle narici sensibili del primo guardiano, che, inebriato, poté solo volgere lo sguardo al cielo rovesciando dolcemente la testa contro il muro.
 
Quando Camus si addentrò oltre l’ampia piattaforma del primo tempio, la sorpresa di vedere uscire l’imperturbabile cavaliere della Vergine fu più forte persino della sua impassibilità.
 
Un sopracciglio alzato sottolineava il suo stupore.
 
I due cavalieri si fronteggiarono per alcuni istanti prima che uno di loro si decidesse a rompere quel silenzio imbarazzante con il cortese protocollo sociale.
 
- Buongiorno Shaka - parlò secco.
 
- Buongiorno Camus - due parole furono più che sufficienti all’Acquario per cogliere la velata ostilità che il sesto guardiano celava in maniera volutamente maldestra.
 
Era evidente il tentativo di Shaka di sottolineare il fastidio della presenza di Camus nel tempio dell’Ariete. Una presenza evidentemente troppo confidenziale a parere della Vergine e che il francese comprese subito...
 
Camus alzò impercettibilmente un angolo delle labbra, divertito dalla gelosia di Shaka. In effetti, in quel momento, la Vergine non aveva nulla del carattere semidivino che avrebbe dovuto contraddistinguerlo dai suoi parigrado, risultando piuttosto umano nell’evidenziare l’inopportunità di Camus.
 
- Se stai partendo a causa mia... - ma Camus non riuscì a terminare, fermato da una mano alzata di Shaka che imponeva silenzio.
 
- No.…ho finito... - fu la laconica risposta dell’indiano.
 
Seccato dall’atteggiamento altezzoso, l’Acquario avrebbe volentieri congelato quella mano impertinente che pretendeva di dargli ordini in casa altrui, tuttavia si costrinse a non mostrare alcuna reazione...se non altro per rispetto verso il vero custode di quel tempio.
 
- Bene...allora...buona giornata...Vergine - fu il commiato di Camus prima di riprendere i suoi passi per addentrarsi nella parte più privata della casa.
 
- Ricorda di non perdere troppo tempo o sarai in ritardo per l’allenamento... Acquario... -.
 
Camus era convinto che Shaka avesse ripreso il cammino verso il suo tempio, ma quando quelle parole pretenziose gli arrivarono alle orecchie, si girò di scatto piuttosto irritato. L’espressione arrogante dell’indiano non fece altro che indispettirlo ulteriormente. 
 
L’undicesimo guardiano non era certo un uomo istintivo, al contrario, appariva sempre pacato, composto... ma come diavolo si permetteva un suo parigrado di redarguirlo come se fosse un ragazzino?! Shaka poteva essere l’uomo più vicino agli dei, la reincarnazione di Buddha, il consigliere del Patriarca...ma avrebbe dovuto imparare a stare al suo posto!
 
Camus stava per abbandonare i propositi pacifici di poco prima, quando una mano affusolata si posò in modo dolce e fermo sulla sua spalla, trattenendolo sui suoi passi. Girandosi, incrociò gli occhi calmi dell’Ariete che, in silenzio e sorridendo gentilmente, gli chiese di lasciar perdere.
 
A pochi passi di distanza, Shaka vide la scena sentendo uno sgradevole fastidio nello stomaco.
 
Cos’era tutta quella cura che Mu riservava al cavaliere dell’Acquario? Che tipo di legame legava i due compagni?
 
Sebbene non fosse mai stato interessato ai pettegolezzi, anche Shaka, come tutti nel Santuario, aveva sempre sospettato di una relazione tra l’Acquario e lo Scorpione che andasse oltre la semplice amicizia...cosa c’entrava adesso Mu?
 
Irritato, girò i tacchi stizzito voltando le spalle a Mu e Camus e dirigendosi verso l’uscita senza salutare.
 
Ovviamente non poté vedere lo sguardo obliquo che l’Ariete gli rivolse seguendolo con gli occhi finché non fu fuori dalla sua vista.
 
Al contrario, Camus lo vide benissimo.

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Capitolo 8
*** L'ultima notte ***


Camus alternava lo sguardo tra l’espressione persa di Mu e il cucchiaino con cui il tibetano agitava lo zucchero disciolto già da tempo nella tazza di tè, colpendo la ceramica e producendo il tipico tintinnio.
 
- Tutto bene Mu? - dopo diversi minuti trascorsi in uno strano silenzio, ritenne opportuno interrompere quella singolare calma.
 
L’Ariete si limitò a scuotere lentamente la testa in senso affermativo, tuttavia, il suo sguardo diceva ben altro, e per l’amico non fu difficile accorgersene.
 
- Si tratta di Shaka...vero? - era più una domanda di cortesia, data l’evidenza della cosa.
 
Alla menzione di quel nome, Mu si voltò verso Camus come se l’avesse appena svegliato da uno strano sogno e riportato alla realtà.
 
- Cosa è venuto a fare? - gli occhi dell’Acquario si chiusero a fessura, mostrando così la sua diffidenza. 
 
Non che il francese fosse una persona invadente, tutt’altro...semplicemente sapeva di potersi permettere quella confidenza, e comunque il suo unico interesse era conoscere il morale di Mu.
 
- Molte cose Camus...è venuto a cercare molte cose... - la voce di Mu suonava lontana.
 
Per Camus non fu difficile rendersi conto di quanto l’amico fosse ancora perso nei suoi pensieri, e, rispettando i suoi tempi, come l’Ariete aveva sempre fatto con lui, attese pazientemente che si riconnettesse con la realtà. Cosa che avvenne poco dopo.
 
- Sa di Kiki -.
 
- E.…? - Camus si mise in allerta. Conoscendo bene le regole del Santuario, sapeva che l’allievo di un cavaliere doveva necessariamente essere messo sotto la tutela e la sorveglianza del Grande Tempio, e per questa ragione non aveva mai denunciato l’esistenza dell’apprendista Ariete...da subito aveva accettato la volontà di Mu di tenere Kiki lontano dal luogo in cui si trovavano ora, e, a dirla tutta, non avrebbe potuto biasimarlo, avendo lui stesso tenuto i suoi allievi a debita distanza.
 
- Al momento non ha fatto niente, ma nel momento in cui tutto sarà chiarito... secondo lui naturalmente... - il tono ironico con cui pronunciò le ultime parole non sfuggì a Camus - si preoccuperà di mettere il Patriarca al corrente di tutto -.
 
L’Acquario annuì, ma capì immediatamente che c’era dell’altro.
 
- Non è tutto, vero? -.
 
Mu scosse la testa in segno di diniego.
 
- A parte qualche altra sciocchezza, si è preoccupato di rassicurarmi che sarà lui stesso ad eseguire la mia condanna a morte quando tutto sarà chiarito -.
 
Camus alzò le sopracciglia sorpreso, salvo riabbassarle subito dopo, quando un piccolo sorriso malizioso si aprì sul suo bel volto.
 
- Deve tenerci parecchio per non permettere a nessun altro di alzare un dito su di te... -.
 
- Nonché sicuro di essere dalla parte giusta...e che i cavalieri di bronzo siano nel torto... - Mu sospirò pesantemente, ignorando volutamente il commento ironico. Aveva già trascorso fin troppo tempo nel tentativo di interpretare le parole e gli atteggiamenti del sesto guardiano, e quell’insinuazione non faceva altro che peggiorare le cose.
 
Camus guardò attentamente l’amico...Mu gli aveva appena dato l’appiglio che stava cercando. Era ormai evidente come fosse solo una questione di ore prima che Saori Kido giungesse al Santuario per assumere il ruolo che reclamava per sé...era giunto dunque il momento di chiarire le cose con l’Ariete. 
 
Sperava solo che Mu comprendesse le sue reali intenzioni...
 
Prese un respiro profondo, espirando con forza e richiamando immediatamente l’attenzione del tibetano. 
 
Frequentandosi da oltre un anno, avevano ormai imparato a conoscere le reciproche abitudini...quel gesto da parte di Camus tradiva la sua difficoltà, quindi Mu uscì subito dai suoi pensieri, concentrando tutta la sua attenzione sull’Acquario.
 
- È a proposito di questo che ho bisogno di parlarti Mu -.
 
Data la serietà con la quale pronunciò quelle poche parole, Mu si limitò ad annuire, piegando poi leggermente la testa di lato in segno di ascolto.
 
- Immagino che tu sappia che tra i ragazzi che accompagnano Saori Kido c’è anche il mio allievo... Hyoga del Cigno... -.
 
Mu annuì tenendo lo sguardo fisso negli occhi di Camus.
 
- Ebbene...io non so se stia facendo la cosa giusta o una grandissima idiozia, perché non è più sotto la mia tutela e decide per sé... - prese una piccola pausa ponderando bene le parole - quello che so per certo è che ha ancora molta strada da fare prima di diventare un cavaliere completo...prima di diventare colui che può succedermi... - lo sguardo del francese, sempre fermo e deciso, vagava insolitamente per la stanza, e una preoccupazione sincera era facilmente visibile nelle sue iridi chiare.
 
L’Ariete cominciò a capire cosa intendesse dire Camus, ed un sorriso discreto si formò sulle sue labbra. 
 
D’altronde...lo aveva sempre immaginato.
 
- Non li farai passare - non era una domanda. 
 
Tuttavia, il tono di Mu, lungi dal tradire rancore, o anche solo stupore, era carico di comprensione per le intenzioni del compagno. Probabilmente anche lui avrebbe preso la stessa decisione se al posto di Hyoga ci fosse stato Kiki.
 
Camus si voltò sorpreso verso Mu, dopodiché chiuse gli occhi e, scuotendo la testa, confermò ciò che il tibetano aveva appena detto.
 
Gli faceva male pensare che Mu potesse mal interpretare le sue parole, tuttavia, non aveva altra scelta.
 
- Mu... - il tono con cui parlava mostrava tutta la sua difficoltà - non ti ho mai chiesto spiegazioni sulla tua lontananza dal Santuario e dalle sue regole... -.
 
- E dal suo Patriarca... - aggiunse Mu in tono sibillino.
 
- E dal suo Patriarca - confermò Camus, al quale non era mai sfuggito l’accento leggermente sarcastico e forzato che Mu usava quando pronunciava quella parola - e non lo farò ora, perché ho sempre pensato e continuo a pensare che hai avuto le tue buone ragioni per farlo, e onestamente... - sapeva di apparire incoerente, ma voleva essere sincero - onestamente io stesso nutro diversi dubbi in merito a molte delle cose che accadono qui dentro... -.
 
Comprendendo la difficoltà nella quale si trovava Camus, Mu portò una delle sue mani sulla spalla dell’amico, stringendola con affetto. 
 
Lo sapeva...fin dall’inizio di questa storia sapeva che Camus non avrebbe fatto passare i ragazzi di bronzo, e, nonostante tutto, non poteva biasimarlo. 
 
Sapeva che l’Acquario non avrebbe lottato per difendere l’impostore che sedeva illegittimamente sul trono patriarcale, anzi, nella migliore delle ipotesi, nutriva nei suoi confronti un totale disinteresse...
 
Ma Camus era un maestro nel vero senso della parola, e avrebbe anteposto il suo ruolo di insegnante a tutto...anche alla sua stessa vita.
 
- Camus... - la voce calma di Mu arrivò dolcemente alle orecchie dell’undicesimo guardiano, facendolo voltare per guardarlo negli occhi - non mi devi giustificazioni, inoltre...non mi aspetterei niente di meno da te...hai preso un ragazzo fragile e sensibile e lo hai reso un uomo onorevole e coraggioso... è normale che il tuo desiderio sia di farlo diventare un vero cavaliere, degno di proteggere la dea... -.
 
Gli occhi di entrambi si velarono leggermente. 
 
Se entrambi avessero dovuto rimpiangere qualcosa in merito alla loro amicizia, sarebbe stata solo la tardività con la quale era arrivata nelle rispettive vite.
 
Quanto erano state confortanti, seppur sporadiche, per Mu, le visite dell’Aquario nel lontano Jamir...certo, l’arrivo di Kiki, qualche anno prima, era stato provvidenziale per mettere fine ad una solitudine che durava da anni, tuttavia, con Camus si era sentito nuovamente vivo, riscoprendo cosa significasse poter discutere, accalorarsi, appassionarsi per qualcosa. Non che Aldebaran o Aiolia non fossero importanti, tutt’altro... per quanto riguardava Aiolia, in quegli anni si erano silenziosamente consolati a vicenda, poiché entrambi vittime delle medesime circostanze, mentre Aldebaran, con la sua sola presenza, portava il sole nelle fredde cime himalayane.
 
Camus, però, era diverso. Sin da subito Mu aveva compreso la particolare affinità elettiva che lo legava invisibilmente all’Acquario, facendo di lui il suo interlocutore ideale. Ed i fatti gli avevano solo dato ragione...
 
Dal canto suo, Camus aveva vissuto le stesse sensazioni del tibetano.
 
Dopo anni spesi a dedicarsi principalmente all’addestramento dei suoi discepoli, ritrovare il piacere del confronto con un compagno che fosse brillante, intuitivo, e libero dagli inutili indottrinamenti dei quali era riempito ogni qualvolta rimettesse piede nel Santuario, era stata una boccata d’ossigeno.
 
Soprattutto, a rompere la sua naturale diffidenza era stata l’empatia di Mu...quella particolare sensibilità che l’Ariete aveva nel comprendere ciò che non gli veniva detto, e che rappresentava la pura essenza del suo carattere riservato.
 
Consapevole di quanto fosse importante il rapporto che avevano instaurato, Camus mise una mano su quella di Mu, richiamando l’attenzione dell’Ariete, che sembrava concentrato negli stessi pensieri dell’amico. 
 
Sapeva che il favore che stava per chiedergli gli avrebbe fatto male, ma non lo avrebbe mai chiesto a nessun altro.
 
- Mu... - l’emozione minacciava di sopraffare la sua voce mentre gli occhi limpidi di Mu cercavano di rassicurarlo - ho bisogno di un favore...e puoi essere solo tu ad aiutarmi... -.
 
 
 
Nel sesto tempio, Shaka fissava un imprecisato punto di fronte a sé. Seduto sul loto di pietra, aveva più volte tentato di meditare, ma nessuno dei suoi tentativi era andato a buon fine, ed il motivo era più che evidente...
 
Come avrebbe potuto liberare la sua mente quando questa non si era mossa un millimetro dall’unico pensiero che riuscisse a tenerlo concentrato?
 
Da quando aveva lasciato la casa dell’Ariete, non aveva fatto altro che interrogarsi su cosa fosse accaduto lì dentro, perché in effetti, neanche lui avrebbe saputo spiegarlo a se stesso.
 
Ciò di cui era certo, era stata la sua totale mancanza di controllo, e questo non poteva fare altro che preoccuparlo...mai, da quando ne aveva memoria, aveva perso la padronanza di sé. Anche davanti a nemici temibili la sua mente aveva sempre mantenuto la freddezza necessaria per sopraffare l’avversario.
 
Stavolta, però, le cose erano state ben diverse, e la colpa era del dannato Ariete e dell’effetto che provocava su di lui, probabilmente senza neanche saperlo. Anche se, a questo punto, doveva averlo capito...
 
Con un sospiro, si alzò dal loto di pietra per dirigersi verso la cucina e prepararsi un tè che lo aiutasse a calmare i nervi, tuttavia, a metà strada ci ripensò, avvicinandosi all’ampia finestra dalla quale era ben visibile la casa del montone bianco.
 
La luce debole che filtrava attraverso le tende della camera da letto indicava che il padrone di casa si trovava ancora nel soggiorno. In compagnia di Camus?
 
Per un momento Shaka si interrogò su cosa sarebbe potuto accadere se Camus non lo avesse interrotto...avrebbe dovuto odiarlo oppure ringraziarlo? 
 
Dovette riconoscere di non essere stato bravo nel nascondere il fastidio di vederlo lì, e, ad essere onesti, provava ancora irritazione per la sua inopportuna tempestività.
 
Inevitabilmente, la sua mente tornò a qualche istante prima, quando con il suo corpo teneva Mu dell’Ariete incollato al muro, senza vestiti, mentre con la punta delle dita sfiorava la sua pelle delicata...
 
Il tenue aroma della lavanda ancora nelle sue narici...la pelle morbida e perfetta che scorreva liscia tra le sue dita... Shaka ricordava il modo poco discreto con cui i suoi occhi avevano percorso il corpo del tibetano imprimendolo nella sua memoria, ed inevitabilmente sentì il proprio reagire al ricordo della vista e del contatto...
 
Quando si accorse del sorriso sciocco che si era formato sul suo viso e delle sensazioni che non riusciva a controllare, le scacciò con evidente fastidio riportando la concentrazione sulla realtà.
 
Mancavano poche ore ormai...presto tutto sarebbe stato chiarito, rientrando nell’ordine nel quale avrebbe sempre dovuto essere, ed i traditori sarebbero stati puniti. A quel pensiero, sentì un groppo salirgli in gola, ma si costrinse a ricacciarlo indietro. Non poteva permettersi di piangere, non ora...
 
Sebbene fosse cosciente dell’onere del quale si era fatto carico davanti all’Ariete, non poté evitare al proprio cuore di sentire un vuoto sordo. 
 
Sarebbe davvero stato capace di uccidere Mu?
 
 
 
Nel tempio dell’Ariete, Mu guardava Camus in silenzio. 
 
Una lacrima percorreva lentamente il suo viso, lasciando una scia bagnata nel punto in cui scendeva.
 
- È davvero quello che vuoi? -.
 
Camus si limitò ad annuire. L’emozione minacciava di traboccare dalle sue sfere turchesi, tuttavia, riuscì a controllarsi, anche se il suo cuore umano era stretto in una morsa di sofferenza.
 
- Camus - Mu strinse dolcemente la mano del francese - non ti è venuto in mente che, forse, vorrebbe essere Milo a... - ma non riuscì a terminare la frase.
 
- No! - il diniego suonò perentorio e Camus si pentì quasi subito di essere stato così duro - Milo non deve farlo...non può farlo... - aggiunse in tono più morbido.
 
- Perché? - Mu cercò gli occhi dell’amico - Sono certo che al suo posto lo faresti -.
 
Ma Camus non tornò sulla sua decisione.
 
- Conosco Milo meglio di chiunque altro e so che ne soffrirebbe troppo... - per quanto volesse sembrare fermo, la sua voce tradiva i sentimenti che lo legavano all’ottavo guardiano. E che non sfuggirono al suo interlocutore.
 
- Lo ami a tal punto...perché non glielo hai mai detto? -.
 
- Perché non posso permettermelo Mu...non potevo prima e a maggior ragione non posso adesso... - una lacrima scese sul suo bel viso, tradendo il dolore del silenzio ed il rimpianto di una vita normale.
 
L’Ariete non era affatto convinto, tuttavia, decise di rispettare la volontà di Camus. Come avevano sempre fatto l’uno con l’altro.
 
- Mu...ci sono cose che solo un amico può fare... per questa ragione, da amico, promettimi che lo farai... -.
 
Con la morte nel cuore, il tibetano strinse le mani di Camus guardandolo intensamente negli occhi - Te lo giuro -.
 
Non c’era più nient’altro di cui discutere, e quello che seguì fu l’abbraccio di due persone che nutrono un sentimento reciproco sincero e profondo...entrambi consci del fatto che fosse l’ultimo... 
 
Uno dei due sarebbe dovuto soccombere per mano della verità.
 
Prima di vedere l’Acquario scomparire dal suo tempio, Mu non riuscì a trattenersi...nonostante sapesse che Camus avrebbe fatto di testa sua, non poté evitare di dirgli quello che pensava sinceramente.
 
- Camus... - vide il francese girarsi in attesa - diglielo...anche se ti farà male...anche se gli farà male...diglielo... -.
 
Il piccolo sorriso sul volto dell’undicesimo guardiano fu l’ultima cosa che Mu vide prima che scomparisse nel buio del suo tempio.
 
 
 
Il chiarore della luna filtrava timidamente tra i rami degli alberi secolari, rischiarando con la sua luce pallida il profilo di due persone strette l’una all’altra.
 
- Ho sempre immaginato che fossi bellissima... - Aiolia accarezzava dolcemente il viso dell’amazzone, percorrendo con un dito i suoi lineamenti delicati e perdendosi nei suoi begli occhi.
 
- Aiolia... - Marin guardò teneramente le sfere verdi del Leone, mentre con una mano tentava di domare le sue ribelli ciocche chiare. Il volto della ragazza esprimeva tutta la sua preoccupazione.
 
- Ho paura... -.
 
Se entrambi avessero potuto, avrebbero bloccato il tempo proprio lì, nel bosco che fiancheggiava il Colosseo, in quella radura che in pochissimi conoscevano, e che garantiva loro il riparo da occhi indiscreti.
 
- Non devi amore mio... - Aiolia mostrò un piccolo sorriso nel tentativo di smorzare l’atmosfera - Forse non ti fidi di me? -.
 
Sebbene cercasse di strappare anche solo un piccolo sorriso all’amazzone, sapeva perfettamente cosa intendesse Marin con quelle semplici parole...
 
I ragazzi di bronzo erano vicini, ed indipendentemente dall’esito della loro missione, qualcuno si sarebbe fatto male...molto male.
 
Sapeva che l’Aquila era combattuta tra la preoccupazione di saperlo al sicuro e l’angoscia per Seiya, il cavaliere di bronzo suo allievo, tuttavia, almeno per quelle poche ore che li dividevano dall’esito ignoto ed inevitabile, non voleva essere il quinto guardiano, il potente cavaliere del Leone, ma solo Aiolia, un ragazzo di vent’anni con gli stessi pensieri dei tanti ventenni che vivevano nel vicino paese di Rodorio. E che ultimamente si era trovato più volte ad invidiare.
 
Era solo un’illusione, ne era perfettamente cosciente...ma un’illusione troppo bella per non essere vissuta.
 
Prima che Marin potesse rispondere alla sua domanda, Aiolia chinò il capo prendendo dolcemente le labbra dell’amazzone con le sue, in una carezza che, iniziata teneramente, andò via via intensificandosi.
 
- Ti chiedo solo di tornare da me... - furono le ultime parole di Marin prima di perdersi tra le braccia dell’uomo che amava.
 
 
Nell’ottavo tempio, un accigliato Scorpione era già da tempo alla finestra, guardando intensamente il cielo sopra il suo capo.
 
Sebbene, per la maggior parte delle persone, la volta celeste sulla quale gli astri riflettevano la propria luce rappresentasse uno spettacolo mozzafiato, e, ad onor del vero, più volte lui stesso aveva goduto piacevolmente di quella vista, quella notte gli sembrava che le stelle gli stessero mandando un messaggio fosco.
 
Una smorfia seccata apparve sul suo viso abbronzato...in quel preciso momento, si rimproverò di non aver prestato la dovuta attenzione alle lezioni del vecchio Patriarca Shion.
 
Tuttavia, nonostante non avesse la stessa abilità di Mu nell’interpretare la lettura degli astri, né la capacità di Shaka di leggere tra le pieghe del destino, capì ugualmente che c’era qualcosa di strano.
 
Sadachbia, una delle stelle più importanti della costellazione dell’Acquario, nonché simbolo della fortuna, emanava meno luce del solito, rendendo meno luminoso l’intero gruppo di stelle.
 
Milo si accigliò, mentre un brivido lo percorreva dalla nuca alla base della schiena, rendendo ispida la sua pelle e mettendo in allerta i suoi sensi.
 
Significava qualcosa? Se sì...cosa esattamente?
 
Imponendo a se stesso di essere il più razionale possibile, concluse che potevano esserci molte ragioni scientifiche per spiegare quel fenomeno insolito, anche se...qualcosa di più forte di lui, quel naturale magnetismo che faceva dello Scorpione il segno più attraente e pericoloso dell’intero zodiaco, lo attirava verso idee meno logiche e più istintive.
 
La reazione del suo corpo non avrebbe mai potuto mentirgli. Il nero fetore del pericolo era entrato nelle sue narici, percorrendo tortuosamente la strada che portava ai pensieri per insediarsi e creare nella sua mente il tarlo che gli stava procurando angoscia.
 
Con tutta probabilità, sarebbe stato molto più tranquillo se quel fenomeno si fosse manifestato nella sua costellazione. 
 
Milo conosceva se stesso e la propria capacità di adattarsi alle situazioni...poteva non essere il cavaliere d’oro più potente, né avere alcune delle abilità che avvantaggiavano taluni compagni, ma di certo era quello più scaltro e calcolatore.
 
Lì però non si trattava dello Scorpione, bensì dell’Acquario... e come sempre quando c’era di mezzo Camus, Milo perdeva parte delle sue sicurezze per concentrarsi sull’unica cosa che gli importasse davvero. Sebbene fosse cosciente del loro compito di cavalieri, che implicava il costante rischio della vita, spesso si ritrovava a desiderare cose normali, comuni...nella fattispecie, che Camus fosse al sicuro.
 
Le lacrime che si stavano creando nei suoi begli occhi color mare sarebbero traboccate senza controllo, se Milo non fosse stato distratto da qualcosa che attirava sempre la sua attenzione, indipendentemente dalla sua volontà.
 
Il proprietario dei suoi pensieri si trovava all’ingresso del suo tempio, in attesa del permesso di passare. O almeno questo pensava Milo...
 
Senza pensarci troppo, alzò il proprio cosmo concedendogli immediatamente il passaggio, nella speranza che Camus non fosse lì da troppo tempo...o quantomeno un tempo sufficiente per percepire i suoi pensieri nefasti.
 
A tal fine, rendendosi conto di aver offuscato la pace della sua stessa casa, lo Scorpione tentò di controllare il proprio cosmo, ma tutto andò a rotoli quando, girandosi distrattamente verso l’ingresso, vide l’Acquario, in tutto il suo gelido splendore, guardarlo con aria interrogativa.
 
- Buonasera Milo - la voce di Camus suonò piatta come sempre.
 
Milo, ancora in preda alla sorpresa di vedere davanti ai propri occhi quello che era stato il suo tarlo dal loro ultimo incontro, si limitò a balbettare un saluto sconnesso in risposta a quello del francese.
 
Camus aggrottò leggermente le sopracciglia...qualcosa non quadrava.
 
Con discrezione si guardò intorno, rendendosi conto di come il tempio fosse un completo disastro. Certo, Milo non era sicuramente il cavaliere più ordinato, né si poteva dire che avesse una cura maniacale per la sua casa, tuttavia...quello sembrava più il caos generato da qualcuno che avesse vagato nei propri spazi come un’anima in pena.
 
In quel momento Camus comprese che il disordine del tempio era solo lo specchio di quello che annebbiava la mente dell’ottavo guardiano...a malincuore, dovette ammettere la propria responsabilità, ed il modo confuso in cui Milo lo fissava senza riuscire a distogliere lo sguardo, lo ferì in un modo che lui stesso non avrebbe immaginato.
 
- Tutto bene...Milo? - sebbene suonasse idiota, fu l’unica cosa che uscì dalla bocca di Camus, e, ad onor del vero, non era una domanda di circostanza. Avrebbe davvero voluto solo il bene per il suo compagno.
 
Milo, uscendo dalla trance emotiva nella quale si trovava, guardò ancora più intensamente negli occhi dell’Acquario. Avrebbe avuto senso mentire quando tutto lì intorno era un chiaro segnale di come stesse?
 
Scosse dolcemente il capo in segno di diniego - No...non sto affatto bene... -.
 
Camus chiuse le palpebre, come se avesse ricevuto un pugno in pieno petto. Sentirlo dalla sua voce, era ancora più doloroso.
 
- Mi dispiace Milo... - gli occhi sgranati dello Scorpione gli dicevano quanto fosse stupito nel sentirgli pronunciare quelle parole.
 
Sì...decisamente aveva sbagliato molte cose con Milo...
 
- Credo di aver esagerato l’altro giorno... - sebbene le parole non fossero sicuramente il punto forte dell’Acquario, era conscio di non potersi permettere di sbagliare ancora. Non c’era più tempo per nascondersi dietro a silenzi ed incomprensioni.
 
Tuttavia, prima che potesse continuare, sentì un dito sfiorare dolcemente le sue labbra, nel tacito invito a non proseguire.
 
Concentrato sui propri pensieri, non si era neanche reso conto di quando Milo si fosse avvicinato, ma ora era davanti a lui, e dal modo in cui lo fissava, capì di non avere altra scelta. Avrebbe dovuto lasciare a lui la prossima mossa.
 
Per un tempo che nessuno avrebbe potuto quantificare, Milo si perse negli occhi azzurri di Camus...quello sguardo, in apparenza gelido, nascondeva una tenerezza sconcertante per chi riusciva a vedere oltre la superficie...Milo lo sapeva, e fu solo quando intravide la dolcezza che cercava che si permise di rompere quel silenzio confortante. 
 
- Io ho esagerato l’altro giorno... - la voce di Milo non nascondeva il suo dolore - e non per quello che ho fatto, perché, anche se non lo ammetterai mai, anche tu volevi che accadesse... - per qualche secondo attese una smentita che fortunatamente non arrivò - ma perché l’ho fatto per gelosia, per ripicca... - una lacrima scese sul suo bel volto - quando, invece, l’unica ragione per la quale ho sempre sognato di farlo è l’amore immenso che provo per te... -. 
 
Forse avrebbe voluto aggiungere qualcos’altro, ma la voce di Camus fu più rapida della sua.
 
- Ti amo...Milo... -.
 
Ce l’aveva fatta... era riuscito a liberarsi da se stesso e dalle proprie remore. Milo si stava esponendo mettendo a nudo i suoi sentimenti...ora toccava a lui mostrare ciò che reprimeva da anni nel suo cuore.
 
Per un momento l’Acquario pensò che i begli occhi del greco stessero per uscire fuori dalle orbite per lo stupore, e inevitabilmente, un piccolo sorriso affiorò sulle sue labbra. Un evento rarissimo da ammirare sul volto serafico del re del ghiaccio.
 
A questo punto toccava a lui chiudere la partita. 
 
Milo aveva fatto tanto, a volte troppo magari, ma comunque aveva dimostrato quello che provava nei suoi confronti, mentre lui si era sempre limitato a dare minimi segnali di apprezzamento nei suoi confronti. In realtà, per chi sapeva leggere tra le righe sottili e strette della mente di Camus, quei segnali erano eclatanti...come gli aveva detto Mu qualche giorno prima, nessuno avrebbe mai potuto obbligarlo a fare qualcosa che non avesse voluto, e per quanto si lamentasse, non si era mai sottratto alla compagnia dello scorpione, tutt’altro...
 
- In realtà sono venuto anche per un’altra questione... - Camus fece finta di riprendere la sua posa seria e rise dentro di sé vedendo Milo tranquillizzarsi - sono venuto a riprendere qualcosa che mi hai rubato l’altro giorno... -.
 
Milo guardò l’Acquario stordito, prima di rivolgere lo sguardo tutt’intorno cercando di decifrare di che accidenti stesse parlando...non stava capendo nulla...un attimo prima gli aveva rivelato di amarlo ed ora lo stava accusando di furto!
 
- Ti sbagli Cami... - sentendo quel diminutivo dopo tanto tempo, Camus sorrise apertamente, provocando in Milo uno sconcerto ancora maggiore - ti giuro che non ti ho rubato nulla, e poi perché avrei dovuto farlo?! -.
 
- Mi hai rubato un bacio... - la voce di Camus suonava insolitamente morbida lasciando Milo ipnotizzato dall’immagine del francese che camminava verso di lui.
 
- Sono venuto qui per riprendermelo -.
 
Camus si avvicinò lasciando tra di loro una distanza che avrebbe permesso a Milo di sottrarsi facilmente...lo amava e lo rispettava così tanto da non costringerlo a nulla che non avesse voluto.
 
Tuttavia lo Scorpione, lungi dal volersi sottrarre a quella situazione che non avrebbe potuto neanche baciare i piedi ai suoi sogni più sfrenati, fece l’ultimo passo, prendendo dolcemente Camus per i fianchi e attirandolo a sé.
 
- Hai ragione...questo crimine non può rimanere impunito... -.
 
Quelle furono le ultime parole che furono pronunciate in quella stanza, prima che il resto della notte proseguisse nella parte più privata dell’ottavo tempio.
 
 
Sulla cima del promontorio che sovrastava le dodici case, un’imponente figura aveva permeato della sua oscurità ogni singola pietra che reggeva l’ultimo e più importante dei templi.
 
Sei sicuro che ti proteggeranno?
 
Sei sicuro che combatteranno per te?
 
Quanto tempo impiegheranno per capire la menzogna nella quale li hai tenuti soggiogati per anni?
 
Hai già contro la Bilancia...
 
E l’Ariete...
 
Dopo aver congedato tutta la servitù, Saga si soffermò ad osservare cosa accadesse nel Santuario, più che altro nel tentativo di sfuggire a quella voce che gli rimbombava fastidiosamente nel cervello, non lasciandogli tregua da ore.
 
La sua aura nera non nascondeva la rabbia nel vedere quelli che avrebbero dovuto essere i suoi cavalieri più fedeli perdersi nelle loro faccende sentimentali invece di concentrarsi sulla battaglia che si stava avvicinando.
 
Più di tutto, era ciò a cui aveva assistito nella prima casa ad averlo lasciato con l’amaro in bocca...avrebbe dovuto esserci lui con Mu al posto del dannato ficcanaso che sembrava comparire sempre nei momenti meno opportuni!
 
Ma avrebbe trovato il modo di sistemare anche questo, ormai non mancava molto. I cavalieri di bronzo si stavano avvicinando al Santuario, poteva sentire i colpi dei loro calzari sollevare la polvere del sacro terreno ellenico...
 
 
Il giorno successivo, il sole caldo della Grecia irradiava con forza la sua luce sui dodici templi, rischiarando quei luoghi che per troppo tempo avevano patito il giogo dell’oscurità...ad uno ad uno cadevano i valorosi cavalieri d’oro della dea Atena ...chi dalle proprie granitiche convinzioni, chi sacrificando la vita come espiazione di colpe troppo pesanti da sopportare...
 
Mentre nella meridiana ogni fiamma si esauriva ineluttabilmente facendo venire meno ogni afflato di combattimento, ai piedi della prima casa, Mu dell’Ariete vegliava il corpo in fin di vita di Saori Kido.

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Capitolo 9
*** Perdono ***


Il debole sole del crepuscolo calava lentamente dietro le montagne scarne che circondavano il Santuario, tingendo ogni singola pietra dei bagliori cremisi degli ultimi raggi. 
 
Per una strana ironia della sorte, richiamava alla memoria il sangue che era stato versato in quella giornata. Tanto. Troppo.
 
Seduto sui gradini del primo tempio, ancora vestito della sua armatura, Mu osservava tristemente le ombre che si stagliavano innanzi ai suoi occhi.
 
In un altro momento, avrebbe potuto apprezzare i magnifici colori che il tramonto portava con sé, ma non ora...ora non poteva far altro che rievocare nella sua mente tutto quanto accaduto quel giorno. 
 
Passò una mano tra i suoi lunghi capelli, esalando un sospiro che portava con sé più di un semplice sfogo.
 
Perché era stato necessario arrivare a questo?
 
Tuttavia, quella domanda sarebbe rimasta priva di risposta, ed in fin dei conti, ormai non contava nemmeno più.
 
Ad uno ad uno aveva sentito il cosmo dei suoi compagni sparire...ad uno ad uno li aveva sentiti morire.
 
Deathmask...
 
Shura...
 
Camus...
 
Aphrodite...
 
Saga...
 
Le retrovie del Grande Tempio non esistevano più, decimate dalla forza e dalla disperazione di pochi ragazzi... quei ragazzi che, prima di chiunque altro, avevano riconosciuto la loro dea in colei che appariva solo come una qualunque giovane donna.
 
Ripensò ai suoi compagni...avrebbe mentito dicendo che il dispiacere provato per ognuno di loro fosse lo stesso. Non lo era. Non lo era mai stato, né lo sarebbe.
 
Con Deathmask non aveva avuto alcun tipo di contatto da quando aveva lasciato il Santuario, il che sarebbe anche bastato a lasciare dentro di lui una pacifica indifferenza. Ma quando lo aveva intercettato ai Cinque Picchi nella missione di uccidere il vecchio maestro, quella indifferenza era diventata dapprima rabbia, intuendo come il Cancro fosse compiaciuto e gratificato nello svolgimento di quell’incarico, scemando poi in una pietà infinita per colui che avrebbe dovuto difendere e proteggere la giustizia, l’onestà, la rettitudine.
 
Eppure, l’ultimo respiro del quarto guardiano lo aveva lasciato con l’amaro in bocca.
 
Per quanto fosse discutibile come cavaliere ed ancor più discutibile come essere umano, se la dea lo aveva designato come uno dei suoi custodi, doveva aver avuto i suoi motivi, e non stava a lui sindacarli.
 
Shura...
 
Con il decimo guardiano l’Ariete non aveva mai avuto alcun tipo di rapporto, se non la condivisione del comune grado. Quando, da bambino, era arrivato al Santuario, Shura aveva già qualche anno più di lui, così come Aphrodite e Deathmask, e non avevano avuto molti momenti di condivisione.
 
Sapeva che era stato designato per fermare Aiolos la notte in cui fu accusato di tradimento, e così fece mettendo fine alla vita del Sagittario e venendo celebrato in veste di eroe durante gli ultimi tredici anni, eppure qualcosa dentro di lui gli diceva che il Capricorno avrebbe preferito qualunque cosa piuttosto che essere la mano che aveva ucciso uno dei suoi amici. Sì, perché Aiolos e Shura erano sempre stati molto vicini, ed insieme ad Aiolia avevano costituito un piccolo nucleo all’interno di quella grande e strana famiglia. 
 
Aiolia aveva sofferto anche per questo...perdendo in una sola notte suo fratello e colui che aveva sempre considerato tale.
 
Mu era certo che, sebbene all’apparenza si rivelasse serio e distante, lo spagnolo nutriva sentimenti profondi celati alla maggior parte della gente, ed il breve confronto che aveva avuto con Shiryu prima dello svolgimento delle esequie, non aveva fatto altro che confermarglielo.
 
Shura si era sacrificato per salvare la vita di Shiryu, permettendogli di adempiere alla missione che lui stesso aveva fallito...proteggere Atena...eppure, prima di perdersi in un mondo di luce, una parola arrivò nitida alle orecchie del giovane drago...Aiolos...
 
L’ultimo pensiero del decimo guardiano era stato per lui, la persona più importante della sua vita e la sua vittima, pur essendo egli stesso caduto sotto l’ombra dell’inganno.
 
Aphrodite...
 
Per Mu, l’ultima guardia del Santuario sarebbe rimasta per sempre un mistero. Nella sua bellezza letale affogavano l’astuzia e l’inganno, il suo fascino era tale da poter ottenere qualunque cosa volesse da chiunque. 
 
Eppure, in quei pochi incontri, o piuttosto scontri, che suo malgrado aveva avuto con il dodicesimo cavaliere, l’unica impressione che ne aveva ricavato era che fosse infelice come poche altre volte aveva percepito nella sua vita.
 
Dotato di un’intelligenza acuta e di una sensibilità fuori dal comune, quelle che avrebbero potuto essere le sue qualità più apprezzabili vennero rivolte contro se stesso da un'istintiva propensione all’autodistruzione, che forse neanche le persone a lui più vicine avrebbero mai saputo spiegare. Né fermare.
 
Forse, la ragione di quel masochismo risiedeva nell’affetto e nell’attaccamento che nutriva nei confronti di Saga, e che lui, con tutta evidenza, non aveva mai ricambiato...
 
Il solo accenno a quel nome provocò un brivido lungo la schiena di Mu.
 
Saga...per alcuni secondi abbassò le palpebre lasciando che la commozione si diffondesse in tutto il corpo...Saga lo aveva sempre destabilizzato, provocando in lui sensazioni difficili da decodificare. Tuttavia, si costrinse a ricacciare temporaneamente quella sensazione in un angolo della mente. 
 
Camus...
 
Mu non riuscì a trattenere le lacrime che incontrollabilmente riempirono i suoi occhi.
 
Quando aveva sentito il cosmo di Camus affievolirsi per poi spegnersi per sempre, un dolore sordo gli aveva spezzato il cuore...il cavaliere dell’Acquario aveva lasciato questo mondo, portando a termine l’incarico che gli era stato affidato. 
 
Nella sua mente Mu rivisse i momenti più intensi trascorsi con il francese, quelli che avevano permesso alla loro amicizia di nascere e di consolidarsi.
 
La prima notte che avevano trascorso svegli a parlare, mentre, in sottofondo, i venti himalayani sferzavano le solide pietre scure della torre del Jamir...
 
Le visite che Camus riusciva a fargli, deviando il percorso quando la sua presenza era richiesta al Santuario...
 
La pronuncia, in suo favore, durante l’adunanza che avrebbe potuto decretare la sua condanna a morte...
 
L’abbraccio che Camus gli aveva dato al suo ritorno...chi avrebbe mai potuto immaginare che la gelida guardia dell’undicesimo tempio potesse esprimere un affetto così importante? Pochi...davvero poche persone...e Mu si sentì fortunato ad essere uno di quei pochi.
 
Infine, lo sguardo che gli rivolse prima di uscire dal tempio dell’Ariete per l’ultima volta...Mu non lo avrebbe mai dimenticato.
 
Nonostante fosse conscio di ciò che lo attendeva, Camus manifestò una serenità che raramente aveva dimostrato in precedenza, e forse la ragione risiedeva nella tranquillità di sapere che Mu avrebbe onorato la sua promessa, come sempre aveva fatto. 
 
 
Flashback
 
Sapeva che il favore che stava per chiedergli gli avrebbe fatto male, ma non lo avrebbe mai chiesto a nessun altro.
 
- Mu... - l’emozione minacciava di sopraffare la sua voce mentre gli occhi limpidi di Mu cercavano di rassicurarlo - ho bisogno di un favore...e puoi essere solo tu ad aiutarmi... -.
 
Il tibetano lo guardò, annuendo in segno di ascolto. Portò una mano sulla spalla dell’amico, stringendola con affetto per incoraggiarlo a parlare.
 
- L’esito della battaglia potrebbe non essere in mio favore Mu - Camus sospirò prima di continuare - e se Hyoga raggiungesse lo zero assoluto, come spero vivamente, è molto probabile che io non sopravviva al nostro scontro... -.
 
Mu ascoltava con attenzione...non osando nemmeno sbattere le palpebre.
 
- Se muoio... - Camus esitò qualche secondo. Per quanto fosse consapevole del suo ruolo di cavaliere e dell’ombra della morte costantemente alle spalle, era pur sempre un uomo...un giovane uomo...e l’idea che la sua vita finisse così brevemente lo toccava più di quanto volesse.
 
- Se muoio dovrai essere tu ad occuparti delle mie esequie... -.
 
Gli occhi di Mu si aprirono per la sorpresa.
 
Fine flashback
 
 
In quel momento non aveva compreso fino in fondo le ragioni dell’amico. Era certo che, nel caso in cui il combattimento si fosse concluso con la sua morte, Milo avrebbe voluto occuparsi di tutto quanto fosse necessario. Aveva anche tentato di dissuaderlo dalla sua richiesta, ma Camus non aveva voluto sentire ragioni... 
 
A distanza di qualche ora, dovette, suo malgrado, riconoscere che aveva ragione...era chiaro che Camus conoscesse Milo molto più di chiunque altro. E quel pomeriggio ne aveva avuto la drammatica prova...
 
Dopo la fine dello scontro, una volta che Saori ebbe rivendicato il suo posto davanti all’esercito d’oro, o meglio, quello che ne rimaneva, chiese che tutti i cavalieri caduti in battaglia beneficiassero delle onorificenze funebri che spettavano al loro rango. Tutti. Nessuno escluso.
 
Poiché solo in assenza di parigrado quell’incombenza passava in mano alla servitù, l’incarico di preparare le esequie ricadde in capo ai cavalieri superstiti...cinque cavalieri per cinque compagni.
 
Senza alcuna esitazione, Aiolia si prese l’incarico di preparare Shura. 
 
Qualcuno avrebbe potuto considerare strano che il Leone si incaricasse di colui che aveva ucciso suo fratello, tuttavia, nonostante le sofferenze patite, Aiolia aveva compreso come anche Shura fosse stata una vittima, dell’inganno e della sua miopia, ed era giusto che fosse lui a prendersene cura, così come durante l’infanzia si erano presi cura l’uno dell’altro...ora avrebbe raggiunto Aiolos, chiudendo il ciclo iniziato proprio con la morte del Sagittario.
 
Shaka preparò Aphrodite, Aldebaran decise di curarsi di Deathmask, mentre Milo si avvicinò naturalmente, anche se riluttante, al corpo coperto di Camus.
 
Era evidente come nessuno dei suoi compagni avesse neanche preso in considerazione l’idea di prendersi cura di Saga...come se, ripudiando il suo corpo, potessero rinnegare gli ultimi tredici anni.
 
Mu sorrise amaramente dentro di sé. Saga aveva le sue colpe, tante...ma non era il solo...
 
Senza battere ciglio, si diresse verso il punto in cui si trovava il cavaliere dei Gemelli, seguito dallo sguardo infastidito di due occhi celati al resto del mondo. Al di là di tutto, non avrebbe permesso che Saga, uno dei più forti cavalieri d’oro di tutti i tempi, terminasse la sua giovane vita senza gli onori che gli spettavano di diritto.
 
Ed era in procinto di scoprire il corpo ed iniziare subito il suo compito, se qualcosa non avesse attirato la sua attenzione.
 
Immobile, nella stessa posizione in cui lo aveva lasciato pochi minuti prima, Milo fissava il mantello sotto il quale Camus riposava per sempre. Se Mu non lo avesse visto con i propri occhi, non avrebbe mai potuto credere che Milo, lo schietto e talvolta cinico cavaliere dello Scorpione, colui che aveva sempre pronta la risposta, o una battuta fuori luogo, non sapesse cosa fare. O meglio...sapeva perfettamente cosa avrebbe dovuto fare...solo, non era in grado di farlo.
 
E allora, le parole di Camus acquisirono il senso che il giorno prima Mu non era stato in grado di dargli.
 
Ripensò al sorriso enigmatico che il francese gli aveva rivolto prima di uscire dal suo tempio, e allora comprese...
 
Camus era tranquillo, sereno...perché aveva deciso di confessare i suoi sentimenti a Milo...e probabilmente quella stessa notte i due cavalieri si erano legati per sempre ad un amore tanto privo di speranza quanto carico di verità...e Camus sapeva, era certo che Mu avrebbe mantenuto la sua promessa, evitando a Milo un’inutile sofferenza.
 
E così Mu fece.
 
L’ottavo guardiano era in piedi fissando un non precisato punto di quel candido manto sotto il quale giaceva il suo Camus, stringendo nervosamente i pugni per la propria debolezza. Per quanto in cuor suo sapesse quale fosse la cosa giusta da fare, non ce la faceva, non riusciva a muoversi...e se ci fosse riuscito, avrebbe solo voluto scappare il più lontano possibile...
 
Sotto a quel panno freddo giaceva il corpo privo di vita della sola persona che avesse mai amato in tutta la sua vita, e l’unica immagine alla quale riusciva a pensare era il bellissimo e rarissimo sorriso che Camus gli aveva rivolto solo poche ore prima, salutandolo, prima di dirigersi verso la sua fine.
 
Non voleva che l’orrore della morte rimuovesse quell’immagine dalla sua mente.
 
Quasi sussultò, quando sentì una mano calda poggiarsi delicatamente su una spalla per richiamare la sua attenzione. Voltandosi di scatto, si trovò faccia a faccia con l’espressione calma del primo guardiano, e lì, diverse sensazioni si mescolarono tutte insieme...
 
Avrebbe voluto picchiarlo per togliergli quel suo sguardo sereno, e allo stesso tempo desiderava avere per se anche solo un po' di quella tranquillità che sembrava accompagnare sempre l’Ariete...
Non sapendo a quale sentimento soccombere, fece ciò che in quel momento la sua coscienza gli dettò...senza dire nulla, si avvicinò a Mu abbracciandolo e affondando il viso nella sua chioma lilla, permettendo a se stesso di sfogare con le lacrime il suo dolore.
 
Mu non disse nulla, limitandosi ad abbracciare Milo e a raccogliere lo sfogo del suo compagno d’armi, e quando fu sicuro che lo Scorpione avesse ritrovato la calma, lo esortò ad allontanarsi promettendogli di occuparsi lui stesso dei suoi doveri.
 
Milo non protestò. Dopo la notte trascorsa, presa consapevolezza della natura del legame che legava Camus al primo guardiano, ogni sentimento di gelosia nei confronti di Mu venne abbandonato...inoltre, sapeva che se Camus avesse potuto scegliere qualcuno per quel compito, avrebbe sicuramente scelto l’Ariete. 
 
Quando Mu sollevò il mantello dell’Acquario, non si stupì di incrociare l’espressione serena dell’amico. Camus era morto adempiendo al suo dovere, e per un cavaliere, un maestro, morire impartendo al suo allievo l’ultima lezione rappresentava il più grande degli onori.
 
Tenendo il dolore per la perdita intimamente custodito nel suo cuore, in una delle stanze del tempio patriarcale preparò l’undicesimo guardiano in modo attento e discreto, come era nella natura di entrambi...lavò accuratamente il suo corpo, prima di cospargerlo di unguenti profumati e ricoprirlo con una tunica di colore chiaro, e asciugò i capelli con un telo pettinandoli con cura e lasciandoli sparsi intorno al suo bel viso.
 
Tutto semplice e sobrio. Come richiedeva la tradizione.
 
Quando ebbe terminato di preparare Camus, Mu si congedò lasciando un delicato bacio sulla sua fronte, non riuscendo ad evitare che la commozione gli bagnasse gli occhi...aveva perso un amico, e per quanto male facesse, era intimamente grato per tutto ciò che l’undicesimo guardiano gli aveva dato nel breve periodo che avevano avuto a disposizione...
 
Dopo quel commiato privato, Mu prese un respiro profondo prima di dirigere i propri passi nella sala principale, dove un corpo privo di vita giaceva ancora abbandonato. E solo. Come lo era stato durante tutta la sua vita.
 
Quel pensiero strinse il cuore del tibetano in una morsa di dolore. Per quanto male avesse fatto il demone che Saga non era riuscito a dominare, nessuno meritava di morire così. Nessuno meritava di vivere così.
 
Forse, se qualcuno di loro fosse stato un po' più attento ad alcuni segnali, se non fossero stati concentrati solo sull’ottenere le loro armature, se lo stesso Shion fosse stato più accorto, tutto questo non sarebbe successo...
 
Troppi “se”, concluse amaramente.
 
Sollevando il mantello, quella parte nobile di Saga che per tredici anni era rimasta celata al mondo sotto la forza di un despota, lo guardava con una tenerezza infinita...quella di cui Mu aveva sempre avuto memoria.
 
La morte sembrava non avere avuto alcun effetto sullo sguardo viridiano del cavaliere dei Gemelli, tutt’altro...i suoi occhi apparivano vivi, puntando dolcemente sul cavaliere dell’Ariete. Come se immaginasse chi si sarebbe preso cura di lui...
 
Al contrario di Camus, che era decisamente più leggero, portare il corpo di Saga nella parte più privata del tempio richiese a Mu uno sforzo ben maggiore. Anche fisicamente, il cavaliere dei Gemelli era sempre stato uno dei guerrieri più forti, ma con un po' di fatica in più, Mu fece comunque tutto da solo.
 
Era così che voleva, ma va anche detto che difficilmente avrebbe trovato aiuto da parte dei compagni...
 
Ad onor del vero, quell’atteggiamento di rifiuto da parte dei cavalieri superstiti lo lasciava con l’amaro in bocca. Avrebbe potuto comprenderlo da parte di Aiolia, perché il Leone era colui che aveva più patito le conseguenze delle azioni di Saga, ma dagli altri no. 
 
Solo fino a qualche ora prima, infatti, avevano eseguito pedissequamente, e talvolta anche con un certo compiacimento, gli ordini del falso Patriarca, non ponendosi mai troppe domande su quello che accadeva all’interno del Santuario, sebbene troppe volte apparisse quantomeno dubbio.
 
Con un gesto di fastidio si scrollò dalla mente quei pensieri. Ormai non avevano più senso...ciò che era accaduto non poteva più essere cambiato, ed il futuro che attendeva chi era rimasto richiedeva una collaborazione che non avevano mai avuto, ma che avrebbero dovuto trovare per il bene di tutti.
 
Senza perdere altro tempo, cominciò con il suo compito, e, per prima cosa, dovette spogliare il corpo inerme davanti a sé per poterlo lavare e preparare a ricevere gli unguenti sacri prima della vestizione.
 
Mu avrebbe mentito dicendo che quel compito fosse un mero dovere.
 
Al di là di tutto, oltre al male e alle ingiustizie perpetrate, sotto alle sue mani c’era Saga. Non quel demone che aveva preso il sopravvento sulla sua mente acuta e debole...ma il vero Saga.
 
E Mu adempì a quel dovere con tutta la cura della quale era capace, riesumando, dall’angolo del suo cuore nel quale lo aveva nascosto, l’affetto che nella sua infanzia aveva provato per quel cavaliere... tanto nobile e troppo fragile...
 
Tuttavia, fu solo quando rimosse la parte superiore dell’armatura che si rese conto di qualcosa che fino ad allora non aveva notato...la mano destra di Saga era chiusa a pugno, stringendo qualcosa al suo interno.
 
Nonostante il rigore della morte avesse fatto il suo lavoro, l’impressione che si aveva era che la mano stesse ancora imprimendo forza, probabilmente con un residuo di cosmo che il corpo ancora tratteneva... come se, negli ultimi istanti della sua vita, Saga si fosse aggrappato a qualcosa con l’intenzione di portarla con sé, custodendola gelosamente.
 
Utilizzando il calore del proprio cosmo, Mu riuscì, anche se a fatica perché la presa sembrava opporre una resistenza strenua, ad aprire finalmente la mano, e quello che vide fece spalancare i suoi grandi occhi verdi, lasciandolo di sasso.
 
Tra le dita di Saga era evidente una ciocca di capelli color lavanda... 
 
Dopo qualche attimo di incredulità, Mu collegò le cose, giungendo alla conclusione di ciò che doveva verosimilmente essere accaduto.
 
Quelli erano i capelli tagliati dall’Excalibur di Shura il giorno stesso in cui era tornato al Santuario, quando l’ormai defunto cavaliere del Capricorno lo aveva attaccato per la sua disobbedienza. Evidentemente, una volta che tutti ebbero abbandonato la sala patriarcale, Saga doveva essere uscito per recuperarli...
 
E allora, solo allora, Mu capì.
 
Quello che aveva creduto mero desiderio dettato unicamente dalla lussuria, era, in realtà, amore. Folle, sconsiderato, insensato, irragionevole, ossessivo, malato...ma pur sempre amore.
 
Questa era la ragione per la quale lui, il cavaliere considerato traditore e disertore, era ancora vivo. 
 
Con tutta evidenza, in quegli anni Saga lo aveva protetto da tutti, non permettendo a nessuno con intenzioni diverse dalla riparazione dell’armatura di avvicinarsi alla torre del Jamir, ma soprattutto da se stesso, non costringendolo mai a tornare al Santuario ed accettando ogni sua giustificazione per non mettervi piede.
 
Quando ebbe finito di prepararlo, Mu non poté evitare che la commozione rigasse il suo bel volto triste, e prima di allontanarsi per prendere parte alle esequie, fece ciò che in quel momento la sua coscienza gli dettò...con estrema delicatezza, gli dette l’ultimo saluto, ponendo un piccolo bacio sulle labbra di Saga, esaudendo quello che doveva essere stato il suo ultimo desiderio.
 
Addio Saga.
 
Il funerale era stato solenne e sobrio, come voleva il cerimoniale, al quale seguì la sepoltura nel cimitero del Santuario, nella parte dedicata ai cavalieri d’oro.
 
Parte in cui, finalmente, anche Aiolos ebbe diritto ad un degno riposo. Proprio accanto a Shura.
 
Mu scosse dolcemente il capo da una parte all’altra. Quella era stata la giornata più brutta della sua vita, peggiore persino del giorno in cui aveva dovuto lasciare il Santuario, dopo aver sentito il cosmo del suo maestro spegnersi per sempre.
 
Quantomeno Shion aveva vissuto. Tanto, forse anche troppo per i dolori dell’età che spesso non riusciva a nascondere ad un piccolo, ma attento, Mu...
 
Oggi, però, erano morti i suoi compagni. Giovani uomini che avevano votato la propria vita ad una dea e ad una causa...fieri del loro ruolo, ma che troppo spesso si erano ritrovati ad invidiare i loro coetanei che vivevano una vita meno eroica, ma più vera.
 
Questo valeva anche per lui?
 
Il primo guardiano non si era mai posto troppe domande sull’argomento. Probabilmente perché temeva le risposte.
 
Per tutta la sua vita aveva conosciuto solo il suo ruolo di cavaliere, obbedendo prima a Shion, nel suo duplice ruolo di maestro e Patriarca, e poi a Dohko che, di fatto, lo aveva sostituito. Aveva perfezionato il suo ruolo di fabbro, perché era suo dovere, si era preso cura di Kiki nonostante fosse lui stesso ancora un bambino, perché il suo piccolo cosmo lo aveva segnato come futuro cavaliere dell’Ariete. Ora si apprestava a combattere una guerra santa, poiché la reincarnazione di Atena implicava che il dio degli inferi stava per mobilitare nuovamente il suo esercito nero...
 
Aveva mai vissuto davvero?
 
Stava per darsi l’ineluttabile risposta, quando un rumore metallico cadenzato lo distrasse dai suoi pensieri.
 
Aiolia era corso da Marin non appena erano stati lasciati liberi di tornare nelle proprie case, mentre Milo si era diretto verso il tempio dell’Acquario senza neanche fermarsi all’ottavo. E per quanto riguardava Aldebaran, i suoi passi erano decisamente più pesanti...
 
Senza bisogno di voltarsi, sapeva perfettamente chi fosse entrato in quel momento nel suo tempio. 
 
-  Cosa ti porta alla prima casa... Shaka? - la voce di Mu non suonò dura né ostile. Solo stanca.
 
- Mu... - le parole morirono in gola, guardando le spalle del compagno.
 
Il sesto guardiano aveva lottato contro se stesso prima di decidersi a scendere alla prima casa. Come presentarsi davanti all’Ariete dopo tutto quello che aveva detto...e fatto?
 
Come affrontarlo dopo aver minacciato di porre fine alla sua vita da traditore...quando il traditore si era rivelato lui stesso?
 
La verità era che, in quelle ore, Shaka aveva dovuto ingoiare il suo orgoglio, che non era proprio piccolo, ed affrontare il nemico che gli si era posto innanzi...se stesso.
 
Lui, l’uomo più vicino agli dei, considerato la reincarnazione stessa di un essere divino...non avrebbe potuto allontanarsi di più dalla realtà. Aveva sempre pensato che il fatto di vivere con gli occhi chiusi gli permettesse di acuire la sua percezione... e nel frattempo non si era accorto di quello che accadeva sotto al suo naso! 
 
Per di più, aveva biasimato l’unica persona che era stata in grado di capire ciò che lui stesso aveva sempre avuto davanti agli occhi e che si era rifiutato di vedere. Eh sì, il problema era anche questo...perché, guardandosi indietro, i segnali che qualcosa non andasse come avrebbe dovuto c’erano tutti. Il punto è che rendersi conto di quei segnali avrebbe significato mettersi in discussione...ed ammettere di non essere dalla parte giusta.
 
Avrebbe potuto, l’uomo più vicino agli dei, sbagliare?
 
Per quanto ci avesse rimuginato sopra, la risposta era stata solo una...granitica...sì.
 
E come se non bastasse, oltre ad aver biasimato Mu, gli aveva anche promesso di ucciderlo per la sua infedeltà ad un falso Patriarca...
 
Ripensando a quanto accaduto, Shaka si domandò quando avesse perso completamente la ragione. Perché bisognava essere completamente ciechi per non rendersi conto che le cose non andavano come avrebbe richiesto un luogo dedito alla giustizia ed alla rettitudine...il punto è che la cecità non aveva afflitto i suoi occhi, ma il suo cuore, rendendolo impermeabile a qualunque ragione, soffocato da un’arroganza senza pari e totalmente ingiustificata.
 
Tuttavia, ritenendosi, nonostante tutto, un cavaliere d’oro e non una locusta, decise per la prima volta nella sua vita di mettere da parte l’orgoglio ed affrontare finalmente le sue responsabilità. Per quanto Saori Kido fosse stata magnanima nel non giudicare il suo esercito, il giudizio che Shaka sapeva di dover affrontare era molto più complesso...anche perché non conosceva il grado di benevolenza del suo giudice.
 
Quando finalmente ritrovò la padronanza dei propri pensieri, Shaka non aspettò oltre e, senza attendere che Mu si voltasse indietro, si portò innanzi a lui, ponendosi qualche gradino più in basso per poter essere alla sua altezza.
 
Mu alzò i tika sulla fronte in segno di lieve stupore. Non era usuale vedere la Vergine Shaka porsi al di sotto di qualcun altro, tuttavia, comprese immediatamente come il compagno fosse in difficoltà, e volle venirgli incontro.
 
- Shaka...che succede? -.
 
Il suono calmo della voce di Mu giunse alle orecchie dell’indiano, agendo da balsamo sui suoi nervi.
 
- Mu - Shaka inspirò profondamente - perdonami... -.
 
L’Ariete scosse dolcemente il capo.
 
- Non ha senso quello che dici Shaka...l’unico perdono che deve starti a cuore è quello della dea...e lo hai già avuto -.
 
- Avevo promesso di prendere la tua vita quando tutto fosse stato chiarito... - la Vergine aprì gli occhi - ma si scopre che l’unico a non aver mai tradito sei proprio tu - prese una pausa prima di continuare, scandendo lentamente ciò che disse qualche istante dopo - quindi è giusto che sia tu a prendere la mia... -.
 
Mu si limitò a mostrare un sorriso triste, fissando il suo sguardo smeraldo in quello azzurro del compagno.
 
- E chi sono io per pretendere la tua vita...Shaka? -.
 
Il sesto guardiano abbassò gli occhi. Un gesto insolito e raro in lui.
 
- Sai perfettamente cosa ci attende - Mu continuò non distogliendo la vista - e siamo così pochi... -.
 
- È solo per questo Mu? - domandò a bruciapelo la Vergine, guardando gli smeraldi aprirsi per lo stupore - È solo perché siamo in attesa della guerra santa che non prenderesti la mia vita? -.
 
Il tibetano comprese che Shaka stava andando oltre. Non era più del loro dovere che stava parlando...
 
- Cosa vuoi sapere esattamente Shaka? - domandò riportando lo sguardo sulle montagne che costeggiavano il Santuario - Vuoi sapere se ti risparmierei la vita solo perché sei un compagno? - chiese attirando l’attenzione dell’indiano, che riportò lo sguardo su di lui in attesa.
 
Mu scelse di essere sincero. Da troppo tempo aveva compreso cosa comportasse la vita di un cavaliere...costantemente appesa ad un filo invisibile tenuto dalle dita inaffidabili di dei troppo spesso irresponsabili. Quindi, aveva promesso a se stesso di non lasciare mai nulla di incompiuto. 
 
- Tu non sei mai stato solo un compagno per me... - vide Shaka aprire i suoi bellissimi occhi - sei sempre stato di più...molto di più...sei stato il mio amico più caro...l’unico affetto del quale io abbia davvero sentito la mancanza... -.
 
- Solo questo Mu...un amico? - domandò Shaka a bruciapelo. 
 
Sebbene avesse paura di ciò che il tibetano avrebbe potuto rispondergli, Shaka cercava risposte. Aveva bisogno di sapere se anche Mu sentiva ciò che sentiva lui, se anche Mu non poteva passare un solo istante senza che fosse tra i suoi pensieri. No, non sarebbe andato via senza una risposta.
 
L’Ariete comprese perfettamente cosa gli stesse davvero chiedendo il sesto guardiano, tuttavia, non sapeva quanto fosse saggio rivelarglielo. Non considerato quello che li attendeva a breve...
 
- Perché vuoi saperlo? Cosa cambia a questo punto? Mi avresti odiato di meno? - Mu parlò lentamente, scandendo perfettamente ogni domanda.
 
- È vero...ti ho odiato...ti ho odiato profondamente, con tutto me stesso, in un modo in cui una persona che professa la nostra religione non dovrebbe mai neanche pensare - il volto di Shaka mostrò una smorfia di dolore.
 
- Mi consideravi un traditore - commentò Mu con un sorriso triste - hai idea di quanto abbia sofferto sapendo che, tu, la persona per me più cara, l’unica che mi conoscesse davvero, pensasse di me che avevo tradito la dea, la missione, il Santuario? -.
 
- Sì, è vero, ti ho considerato un traditore, ma non di questo dannato luogo! - non era usuale per Shaka perdere il controllo, quindi prese un respiro profondo nel tentativo di calmarsi - Il fatto è che mi hai tradito... - vide Mu sgranare gli occhi stupito - sei scappato di notte...quella notte...come un ladro, senza darmi uno straccio di spiegazione, lasciandomi senza l’unica persona che abbia mai amato -.
 
- Shaka... - Mu voleva dire qualcosa, ma fu subito interrotto.
 
- Eravamo solo bambini, eppure quello che provavo per te era così chiaro da farmi male... - gli occhi della Vergine si velarono - quando te ne sei andato via, quella parte di me è morta...l’ho uccisa soffocandola nel disprezzo - una goccia salata rigò lentamente il bel viso dell’indiano - o almeno così credevo finché non sei tornato...e hai capovolto tutto nuovamente... -.
 
Mu guardava incredulo il viso di Shaka. La notte della sua fuga dal Santuario aveva pensato che l’amico avrebbe sofferto della sua lontananza, tuttavia, non avrebbe mai immaginato cosa ci fosse davvero nel cuore di Shaka...sebbene fossero bambini, Mu aveva compreso come i suoi sentimenti nei confronti del futuro cavaliere della Vergine fossero differenti rispetto a quello che provava per gli altri compagni, e crescendo aveva potuto dare un nome a ciò che sentiva, ma non avrebbe mai pensato che Shaka lo ricambiasse nella stessa maniera.
 
In quel momento, diverse emozioni si alternarono nel cuore del tibetano...gioia, per essere ricambiato, tristezza, per non poter vivere i suoi sentimenti, dolore, per ciò che li aspettava...
 
Senza rendersene conto, scosse la testa dolcemente - Non può succedere davvero, tutto questo non può essere reale... - parlò tra sé, ma in modo abbastanza chiaro da poter essere sentito anche da chi aveva di fronte.
 
Con lo sguardo puntato verso il basso, cercava disperatamente un filo di razionalità in quello che stava accadendo, ma, prima che potesse trovarlo, una mano scorse delicatamente tra la sua chioma richiamando la sua attenzione.
 
- Questo è reale... - la voce insolitamente morbida di Shaka suonò estremamente vicina al suo orecchio, mentre continuava ad accarezzare le sue lunghe ciocche color lavanda.
 
Quando Mu alzò lo sguardo, trovò il viso dell’indiano a pochi millimetri dal suo. 
 
Questa volta non c’erano costrizioni, né imposizioni. Shaka gli lasciò tutto il tempo necessario per allontanarsi...se avesse voluto.
 
Ma Mu non si mosse.
 
- Anche questo è reale... - fu l’ultima cosa che Shaka disse prima di prendere le labbra di Mu con un movimento dolce e deciso al tempo stesso.
 
All’inizio fu uno sfioramento, poi un lento e delicato assaggio...entrambi si presero il tempo di scoprire quel mistero che li aveva sempre affascinati. Come sarebbe stato il gusto dell’altro...
 
Ed il modo in cui si avventarono l’uno nella bocca dell’altro fu una chiara risposta all’atavico interrogativo.
 
Ingaggiarono una dolce battaglia, in cui l’obiettivo non era vincere, o predominare, ma semplicemente prendere ciò che entrambi avevano dovuto negare a loro stessi per troppo tempo.
 
Quando dovettero separarsi per la mancanza d’aria, Shaka ne approfittò per rimuovere dal suo corpo l’armatura della Vergine, venendo prontamente seguito da Mu, che concesse il riposo all’Ariete. Dopo quella breve interruzione, ripresero possesso della reciproca voluttà, lasciando i loro corpi liberi di tuffarsi nel reciproco desiderio represso.
 
Tuttavia, quando un barlume di lucidità attraversò la mente del primo guardiano, si staccò rapidamente, prendendo il compagno per le spalle e costringendo a guardarlo.
 
- Non possiamo Shaka! - disse ansimando, cercando di ignorare la sensazione di freddo che lo aveva colto allontanandosi dall’indiano - Sarà solo peggio...come potremo affrontare la morte sapendo cosa ci aspetterebbe se vivessimo?! -.
 
Shaka, tuttavia, non accennò ad arretrare di un millimetro, fissando Mu come se potesse attraversarlo solo con lo sguardo. 
 
Con una mano accarezzava il bel viso del tibetano, mentre nell’altra andava via via materializzandosi un oggetto ben noto all’Ariete...lo jutzu della Vergine...il simbolo che da sempre aveva accompagnato i cavalieri del sesto tempio, e che Shaka portava con sé da quando aveva iniziato il suo addestramento.
 
Mu aggrottò i suoi tika, rivolgendo al compagno uno sguardo interrogativo. Aprì la bocca nel tentativo di parlare, ma prima che potesse pronunciare anche una sola vocale, un dito si posò dolcemente sulle sue labbra chiedendogli di tacere.
 
- Quando arriverà il momento...e stai certo che arriverà... - Shaka parlò nel modo più solenne possibile - dovrai lasciarmi andare...senza tentare nulla per impedirlo... -.
 
- Come posso lasciare morire l’uomo che amo? - domandò Mu con gli occhi velati, avendo cominciato a capire cosa gli stesse dicendo Shaka. 
 
La Vergine sgranò leggermente gli occhi, sentendo quella confessione uscire in modo così naturale, e non poté evitare che un sorriso si allargasse sul suo bel volto.
 
- Solo tu puoi farlo Mu, dovrai essere forte, come l’amore che provi per me...come l’amore che provo per te - la tenerezza era qualcosa che nessuno si sarebbe mai aspettato di poter vedere negli occhi sempre chiusi del sesto guardiano, eppure, in quel momento, lo sguardo di Shaka su Mu mostrava tutta la dolcezza che l’indiano aveva conservato nel suo cuore solo per il tibetano. 
 
- Ma fino ad allora... - con estrema delicatezza insinuò le sue lunghe dita nel colletto della maglia di Mu, accarezzando dolcemente la clavicola - non posso permettermi di perdere altro tempo... -.
 
Lo sapevano entrambi. La guerra santa probabilmente li avrebbe spazzati via...erano coscienti di rappresentare il contrappasso necessario per placare l’esercito nero che si stava risvegliando, tuttavia, ora la scelta che si poneva dinanzi ad entrambi era tra vivere in attesa della fine, o vivere a dispetto del fatto che ci sarebbe stata una fine.
 
Abbassando ogni residua riserva, Mu gemette al tocco di Shaka, e quello fu il segnale che l’indiano aspettava per colmare nuovamente lo spazio che lo separava dall’Ariete e perdersi finalmente dentro di lui.
 
In quel momento, la scelta fu chiara. 
 
Fino a sera inoltrata, nessun passo umano calpestò l’ampia piattaforma antistante il tempio dell’Ariete, ma quando scoccò la mezzanotte, un triste cavaliere attraversò quella strada per dare inizio al suo turno di guardia. 
 
Voltandosi verso l’ingresso della casa, non poté evitare un mezzo sorriso vedendo l’armatura della Vergine, in religiosa posa di preghiera, guardata a vista dall’Ariete d’oro, che sembrava circondarla e proteggerla da sguardi indiscreti con le sue imponenti corna.
 
Alzando lo sguardo verso la volta celeste, Milo vide nuovamente Sadachbia, la stella fortunata della costellazione dell’Acquario. A dispetto della sera precedente, però, brillava forte, rischiarando con la sua bella luce le stelle circostanti, e allora Milo comprese...
 
Camus era morto sereno e da questo momento lo avrebbe accompagnato fino al momento in cui si sarebbero ritrovati. Stavolta per sempre.
 
Scuotendo i suoi riccioli blu, Milo allargò un bellissimo sorriso, mentre grandi lacrime cadevano dai suoi color mare imperlando il suo viso abbronzato di gocce salate.
 
- Anche se è stato per poco tempo, grazie per tutto quello che mi hai dato...ci vediamo presto amore mio... -.
 
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Grazie di cuore a tutti coloro che hanno letto questa storia, ed un ringraziamento speciale a chi ha lasciato impressioni e consigli, sempre estremamente preziosi.

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