Seconda parte
FIX YOU
“Vieni qui”
Sakura aveva spalancato le braccia, lo osservava ad occhi scoccolati.
Sasuke la stette ad osservare a lungo prima di ubbidirla, era diventata
la sua specialità osservarla; ormai conosceva così bene ogni
minimo particolare di quel volto di donna e dell’intero corpo di lei che
quasi avrebbe potuto essere cieco, la vedeva comunque e, comparata con la Sakura di qualche anno
addietro, la Sakura
che aveva tradito una notte umida e fredda, le similitudini erano poche e troppe
le differenze. Per questo Sasuke non amava fare paragoni, eppure si ritrovava a
farli in continuazione.
Sakura mugugnò qualcosa di incomprensibile
quando lo ebbe addosso, di nuovo, per poi lasciare andare immediatamente
tutto il suo peso a lui, quasi non volesse più reggersi in piedi da
sola, quasi lui fosse l’altro suo corpo, l’altra sua metà
fisica e mentale, la sua mente.
“Posso ancora pronunciare il tuo nome, vero?”
Sasuke s’irrigidì, non gli era nuova quella domanda.
Quante volte non le aveva risposto e lei era tornata a sprofondare nel passato
anche di notte? Quante volte le aveva risposto ironicamente e lei si era
sentita spiazzata ed era corsa via, da un Naruto che forse poteva ascoltarla ma
che non riusciva a risponderle?
Le circondò la vita, premendo delicatamente con le dita sui
fianchi magri, fin troppo, e attese il momento buono per rispondere, attese di
avere un tono di voce calmo e senza tremiti, il tono di voce che aveva imparato
andasse bene per lei e la sua fragilità.
Gli costava una fatica immensa, tutto quell’essere calmo e
delicato, era
come avere sempre tra le mani una bambola di ceramica.
Delle volte risultava estenuante, delle altre, però, addirittura
appagante.
Perché sentiva di farcela, sentiva di essere adatto a quel
compito che gli aveva imposto il destino: proteggerla dal mondo, tenerla vicino
affinchè non si perda nel buio.
Scontava la sua punizione in silenzio, non ne aveva mai parlato con
nessuno a parte una volta con un Naruto immobile, che non sorrideva né
lo guardava coi suoi grandi occhi azzurri.
Ne aveva parlato al cielo, vero. E forse rivolto al cielo voleva dirlo
a qualcun altro…
Sasuke non riusciva più molto a spiegarsi le cose, la
realtà intera; viveva alla giornata e viveva per lei, lei che non vedeva
l’ora di tuffarsi fra le sue braccia, di respirare il suo odore e di
perdersi in un doloroso piacere.
Niente sarebbe tornato come prima, niente.
Nemmeno lui, per quanto credesse di essere l’unico sempre uguale
a sé stesso, per quanto pensasse di non poter essere cambiato se non era
ancora impazzito.
E sapere di non poterci fare niente non gli procurava il dolore che
aveva creduto, no; gli metteva dentro qualcosa di molto più grande e
vuoto, più vuoto ancora delle iridi di Sakura in pieno giorno.
Alla lunga, forse, ne sarebbe rimasto sopraffatto.
“Certo, Sakura. Per sempre”
Sakura strofinò il capo contro i pettorali di lui, in segno che
aveva capito; strofinò via anche le lacrime, sempre così copiose
e infermabili.
“Grazie, Sasuke_kun”
Non lo avrebbe mai svelato a nessuna anima vivente ma,
quel sentirsi chiamare così da Sakura, gli procurava una sensazione
impagabile ed unica.
Lo faceva quasi sentire orgoglioso.
Sasuke prese su di peso Sakura e la condusse dentro.
Cominciava un’altra notte, finiva un altro giorno di pazzia.
Quella mattina si era svegliato
con una sensazione nuova, accanto al solito pungente dolore era comparso
qualcos’altro, un inequivocabile senso di disagio.
C’erano novità,
nell’aria, dopo nemmeno una settimana di monotonia ecco che qualche cosa
si era smosso.
- …Naruto – la voce
di Sakura era ancora impastata dal sonno, remota come al
solito eppure, nonostante tutto, suonava molto più reale di sempre.
Sasuke ne ebbe fastidio o, meglio, disagio.
- Sta ancora un po’ qui
– le intimò con meno calma di quella che si sforzava di usare ogni
santa mattina, ogni santa ora, perché proprio non vi riusciva in quel
momento, tanto era lo scombussolamento che provava ì. E anche Sakura,
seppur nella sua pazzia, doveva provare la stessa cosa. Infatti
lui la vedeva bene, aveva gli occhi più profondi del solito, tristi, le
labbra corrucciate prima del pianto, le gote pallidissime, e tremava, tremava.
- No – negò Sakura,
con prepotenza, e seccamente si alzò dal letto e quantunque tremasse
raccattò i suoi vestiti sparsi per la stanza e corse giù di sotto
al bagno, facendo sbattere la porta. Quando lei faceva così Sasuke
pensava quasi fosse tornata in sé, ma poi, non appena arrivava di sotto
e la scopriva gemere dietro ad una porta, l’acuta realtà gli
arrivava addosso peggio di una doccia fredda.
Sasuke si vestì in fretta
e scese ad aspettare Sakura; la colazione l’avevano già mangiata a
letto: l’aveva preparata lui, assurdo, era diventato un uomo di casa, un
cazzo di uomo premuroso. Ma non poteva sentirsi a disagio anche per questo,
Sasuke, altrimenti non sarebbe impazzito mai.
- Naruto non mi guarda, sai? –
dichiarò Sakura uscendo dal bagno, vestita di tutto punto con la sua
famosa divisa ninja che ormai non era altro che un ricordo materiale, inutile
nella vita di tutti i giorni; ma lei non se ne voleva separare, da quella
divisa che aveva vissuto tanti scontri, tante cattiverie e chissà quali
vittorie personali, e così Sasuke gliela lasciava indossare e per canto
suo anch’egli teneva la propria veste da combattimento, la stessa con la
quale era arrivato nei pressi di Konoha con l’obiettivo - poi cambiato -
di disintegrarla.
Erano due ostinati, una più folle dell’altro.
- Andiamo – le
ordinò e presala per mano la condusse fuori.
Per tutto il tragitto Sakura non
fece altro che ripetere quella frase e altre, di senso sconnesso, e per tutto
il tragitto fino all’ospedale Sasuke non potè che sentirsi male,
malissimo, e davvero gli occhi di Sakura erano niente in confronto al pesante
senso di vuoto che sentiva crescere attorno al cuore.
- Naruto non può
più guardare, Naruto… -
Più volte Sasuke Uchiha
avrebbe voluto farla tacere, con qualsiasi mezzo, ma proprio non riuscì
a trovare la forza.
- Uchiha – giunse una voce
alle sue spalle.
- Tsunade – asserì
Sasuke e la donna fu da lui, da loro.
La grande Tsunade osservò
prima Sakura, lo sguardo che tratteneva un dolore profondo per non farle ancor
più del male, per non farle – inutilmente – intuire niente.
Che cosa le teneva nascosto? Che cosa? Sasuke provò
fastidio.
- Uchiha – ripetè la
donna e finalmente puntò il suo intenso sguardo anche su di lui che, per
la prima volta nella sua vita, non riuscì a sostenerlo, tanto era forte,
tanto era angustiato.
- Parli, avanti – le
comandò gelidamente e tenne più vicino a sé la ragazza, la
povera Sakura che ora lo guardava interrogativa. Ma aveva capito già tutto, dentro di sé. E anche
Sasuke aveva capito ma non voleva rendersene conto,
sapeva già che cosa Tsunade stesse per dirgli, bastava
guardarla,così disperata e disordinata, bastava dare un nome al senso di
disagio, fare due più due e andare a sbattere ancora una volta con la
vita. Anzi, la morte. Però Sasuke non voleva, non ci aveva mai pensato
in quei sette giorni, Mai, nemmeno una singola volta. D’altronde era
anche lui uno di quelli che aveva sempre pensato sopravvalutato troppo l’eroe, che aveva per tutta la
vita riposto fiducia in un unico paio di esseri umani, e l’una era
lì con lui mentre l’altro doveva essere in una stanza
d’ospedale, attaccato ad una macchina come alla vita.
Sasuke dovette appoggiarsi a
Sakura che doveva essere lui a tenere mentre Tsunade schiudeva le labbra,
prendeva un respiro e…
No.
Sasuke lasciò andare la
presa sulla mano della ragazza e cominciò a correre per le stanze
d’ospedale, i soli rumori erano i suoi passi sul pavimento, il respiro
affannato e il cuore a mille, ancora così pulsante, ancora così vivo. Alle sue spalle udì il
grido della ragazza, ma nessuno ebbe intenzione di fermarlo. I suoi piedi
andavano laddove la mente diceva di andare, ovvio, ma era come se avessero vita
propria: prima ancora di pensare i piedi si muovevano in avanti, eliminavano a
Sasuke un po’ della distanza che lo separava dalla verità.
Perché l’eroe non doveva essere più tale?
Con questa silenziosa domanda
arrivò davanti alla stanza 110, quella esclusiva per Uzumaki Naruto, il
paziente più grave dell’intero ospedale. E lì si
fermò, una mano testa verso la maniglia, gli occhi sbarrati a fissare la
porta e quel numero che tanto s’era ritrovato a fissare i giorni
precedenti, quando entrava e usciva come niente da quella stanza sempre chiusa,
vi entrava con la speranza di vedere miglioramenti, vi usciva con il terrore di
perderseli. Ma ora quasi aveva terrore di entrarci, e sicuramente il terrore
non ci sarebbe più stato, poi,quando tutto sarebbe
finito.
Tu Tum Tu Tum.
Il corpo pulsava al ritmo del
cuore, ogni cosa tremava, persino la porta e quel dannato numero che niente
aveva a che fare con Naruto, che li aveva sempre odiati, ma aveva a che fare
soltanto con quella vitaccia d’ospedale, con quella macchina che lo
teneva in vita ma che, presto – aveva detto Tsunade – non sarebbe
servita più. Perché Naruto
avrebbe vissuto.
Perché l’eroe sarebbe vissuto.
Con questa frase che rimbombava
nella mente confusa aprì la porta ed avanzò a sguardo perso entro
la stanza. Non aveva fatto pochi passi che una voce lo chiamò.
“Sas’ke”
Si girò di botto ed era lì, davanti alla porta
aperta.
Perché l’eroe sarebbe vissuto.
Indubbiamente era Naruto, coi
suoi occhi azzurri e le sue labbra piegate in un mezzo sorriso d’affetto;
Sasuke si sentì sciogliere, le gambe non ressero. Cadde.
“…mi spiace”
Era sparito, il suo sorriso. Per la prima volta Sasuke
avrebbe trovato il coraggio giusto per mandare via l’orgoglio e
chiedergli di sorridere ancora, ancora un po’. Ma Naruto non aveva
più intenzione di sorridere né di fargli un favore.
“Non ce l’ho fatta, quella dannata
ha avuto la meglio”
Sasuke avrebbe voluto tapparsi le
orecchie, non udire più ciò che non voleva sentire, ma non ci
sarebbe riuscito, avrebbe ascoltato comunque. Di contro non era più
capace di muovere bocca per parlare. Eppure era
fiducioso come mai lo era stato.
Per la prima volta nella sua vita
ebbe paura.
Per la prima volta nella sua vita
non fu d’accordo con sé stesso.
Perché Naruto sarebbe vissuto.
Ostinato come sempre.
“No, è troppo tardi Sasuke. Io…io devo andare, devo
ubbidire, per una volta nella mia vita. Mi capisci? No, non fare così,
non scuotere il capo, no!”
Naruto era avanzato verso di lui,
ne sentiva la calda presenza.
“Non ti riconosco, dov’è finito il Sasuke che
conoscevo? Avanti, smuoviti, almeno tu che puoi. La vedi Sakura, no?
Sakura_chan…oh lei può soltanto aggrapparsi a te, ora. Io…io
devo andare. Devo”
Ripeteva quella frase, Naruto.
Sasuke credette finalmente
d’essere impazzito e tese le braccia verso Naruto e quest’ultimo
gli prese una mano, gliela strinse e poi sorrise. Sorrise. La mano dell’eroe era calda, aveva consistenza per
lui, e col calore il vuoto parve sparire, così come l’incertezza.
Era finalmente venuto il suo
turno? Era finalmente impazzito?
Ma Naruto lo guardò
severamente.
“Smettila!”
Nessuno mai l’aveva
guardato a quel modo, o forse, non ne aveva ricordo; era stato Itachi, anni
addietro, a guardarlo esattamente così:
severamente e intrinsecamente pieno d’ansia.
Itachi che l’aveva
abbandonato da piccolo, imbrogliato, che gli aveva voluto bene in silenzio.
Naruto però era diverso.
Naruto non l’aveva mai
abbandonato – prima d’ora -, mai imbrogliato – se non a fin
di bene - , lo aveva sempre amato chiassosamente.
Proprio come un eroe.
E stava per morire?
M o r i r e…che orribile parola.
“Che c’è? Perché mi guardi
così?”
Cosa gli saltava in mente di porre domande sulla realtà a
Sakura?
Si pentì profondamente, ma vedendo lei annuire più volte
e arrossire, sì, arrossire, un senso di pace lo tranquillizzò.
Sostenne coraggiosamente quello sguardo folle.
“Perché io ti voglio bene, Sasuke_kun”
Nel pieno del rossore Sakura sembrò proprio la ragazzina di
tanto tempo fa, colei che gli correva prepotentemente dietro e lo amava ingenuamente,
senz’alcuna paura, senz’alcun ragionamento.
Era stata proprio quella noiosa ragazzina la prima persona che aveva visto
al risveglio, che vedeva la mattina, ogni mattina dell’anno.
“Che ne dici se io e
te ce ne andiamo, adesso, di qui?”
Sakura spalancò gli occhioni, però poi annuì
nuovamente, più timida.
S’abbandonava sempre alle sue decisioni, lui era l’uomo,
lui era il suo uomo, lui era tutto per lei.
Era pure un padre.
Un dannatissimo padre.
Un preoccupatissima padre.
A volte, persino, era un fratello.
“Andiamo a trovarlo, prima? Lo troveremo lì, vero?”
Sasuke sorrise a mezzo.
Com’era dolce nella sua pazzia.
Com’era ingenua, diretta, esasperante.
“Certo, Sakura. Prima passiamo di lì. Ma mi devi
promettere che resisterai un po’ in mezzo a tante persone che conosciamo,
te la senti? Te la senti di assistere alla celebrazione della sua morte?”
Sasuke si bloccò, pensieroso e titubante.
Cosa le stava dicendo?Avrebbe dovuto tacere, non nominare…
Delle volte si sentiva come
se dovesse impazzire da un momento all’altro.
“Morte? Nessuno muore, Sasuke. Soprattutto lui”
Già, non c’era verso.
Lei interpretava tutto, ogni singola frase.
E chissà che non avesse ragione, nelle sue frasi sconnesse.
“ Poi saremo soli, soli con Naruto” concluse Sasuke e
presala per mano uscì, uscirono.
Pronti per andare.
Ma mai per tornare.
Fu un ceffone in piena faccia.
“Addio, Sasuke”
Fu un addio.
Sasuke si alzò barcollando
e si diresse verso il letto, dove cadde.
- NO! – la voce
tornò.
“…mi spiace, Sasuke_kun. Dai un bacio alla mia Sakura_chan,
ok? Io…io devo andare”
Fu un ultimo sorriso malinconico.
Cadde sopra il corpo freddo di
Naruto, le labbra rigidamente piegate in un sorriso.
- NARUTO… dannato… -
Fu una lacrima sul viso.
Una lacrima che andò a
scivolare sulla pelle dura dell’amico.
“…mi spiace, Sasuke_kun. Dai un bacio alla mia Sakura_chan,
ok? Io…io devo andare”
- Naruto non mi guarda
più, Sasuke. Ora mi guarderai tu, vero? -
Fu una voce fuori campo.
Un’invasione di luce e
calore, il cuore che riprendeva il normale battito dopo una potente scossa.
Fu la liberazione.
Perché aveva capito tutto.
L’eroe non era morto, era solo scivolato sullo sfondo della vita,
della sua vita, della vita di Sakura che, per forza di cose, l’eroe aveva destinato
a lui.
Naruto sarebbe vissuto.
Ma in altro modo.
***
Aveva aspettato che le migliaia
di persone si diradassero, tornassero alle loro case e negli altri villaggi.
Per ultimo aveva salutato Gaara,
che mai si decideva a smuoversi dalla tomba e che i fratelli avevano dovuto
prendere uno per un braccio l’altra per l’atro braccio per condurlo
verso l’uscita di Konoha.
Era stata una cerimonia lunga,
troppo lunga, e tante persone avevano parlato perché tante erano le cose
da dire sull’eroe ma mai sarebbero bastate tutte
le parole umane.
Aveva piovuto a dirotto fino a
che la folla non era arrivata in cimitero, lì preoptenti raggi di sole
avevano scalfito l’atmosfera umida ed erano atterrati caldi e luminosi a
terra, sulle lapidi e sulla lapide dell’eroe un raggio si era fermato a
lungo.
Più volte aveva resistito
all’impulso di allontanarsi, di abbandonarli tutti alla loro cerimonia,
di prendere il largo e andare via.
Sakura era stata brava in tutto
quel tempo, accanto a lui era rimasta in un silenzio rispettoso e non aveva
pianto né urlato, e aveva anch’essa resistito dallo scappare via.
Ma ora non c’era più
nessuno, al cimitero. Era il tramonto, uno dei migliori tramonti che il
Villaggio della Foglia avesse visto da anni.
La lapide bianca risplendeva
più di tutte le altre sparse in quel cimitero, neanche farlo apposta.
Sakura si chinò, lui fece
altrettanto. Senza mai lasciarle la mano.
Il dito della donna andò a
tracciare il contorno dell’immagine che avevano scelto da porre in mezzo
alla lapide, si trattava di un ragazzo sorridente, nel pieno della vita. Il
dito della donna ne tracciò il profilo, prima di andare a toccare
l’incisione, profonda.
Chissà a cosa stava
pensando, Sakura. Sasuke non sarebbe mai riuscito ad afferrarne alcun pensiero,
ma guardandola negli occhi qualcosa era capace di intuire.
Girò il capo a scrutarne
il volto: era steso in un’espressione rilassata, nonostante tutto, il
rilassamento di un mare dopo la tempesta, le labbra erano naturalmente schiuse
e gli occhi, seppur profondi, brillavano di un bagliore di follia che più
sarebbe potuto sparire, anche se ormai era quasi notte.
Non era più inquieta.
Di conseguenza non lo era
più nemmeno anche lui.
Era stato quasi automatico il
passaggio dal buio più totale agli squarci di luce. Certo la luce totale
non avrebbe mai più illuminato né lui né lei. Avevano
entrambi superato il confine del dolore, chi con la pazzia chi con una
consapevolezza assoluta.
Sakura cominciò a
mormorare sommessamente qualcosa che inizialmente Sasuke non riuscì ad
afferrare, prima era una preghiera, poi un ricordo e infine presero forma le
parole dell’incisione.
La voce sussurrante e melanconica
di Sakura unita a tutto ciò che lui aveva dentro gli
procurarono un bruciore agli occhi insopportabile.
Ma non si voltò
affinchè lei non lo potesse vedere, sarebbe stato un atto sciocco e
inutile.
Sasuke non vi partecipò, chiuso
nel rispettoso silenzio di sempre la stette ad osservare con sguardo
implicitamente paterno.
Che lo volesse o no quello era ormai il suo sguardo quando lo volgeva
verso tale donna.
Per il resto, non aveva sguardi per nessuno.
- Qui giace… -
Poi Sakura prese a leggere la
precisa incisione sulla bianca lapide, ciò che avevano scritto i saggi
di Konoha sull’eroe.
Sasuke volle accompagnarla.
Assieme le loro voci si mescolavano perfettamente: entrambe
melanconiche, l’una ferma l’altra roca, l’una lieve
l’altra bassa. Formavano un sacro canto a due tonalità.
Tanto non avevano fretta di
partire: una volta che avrebbero voltato le spalle alla Foglia molto
probabilmente sarebbero passati anni prima del loro ritorno, o forse anche no,
ma quasi sicuramente acqua sotto i ponti ne sarebbe passata tanta.
Qui giace Naruto Uzumaki,
eroe indiscutibile dei nostri tempi, amico fedele e buono
che sempre precedette la vita degli altri alla propria.
Riposa in pace, Hokage dei cieli.
Sakura con infantile insistenza
aveva voluto aggiungere dell’altro a ciò che Konoha aveva deciso
di scrivere su Naruto Uzumaki.
Sasuke era stato il primo a darle
il permesso, gli altri non poterono negarglielo.
Abbandonò il canto per
lasciarlo solo a lei.
Solo a Sakura spettavano le
ultime parole.
La volpe tirò a sé il falco e la rosa,
E il fuoco subito divampò per sempre.
Fummo una famiglia.
Sasuke, prima di andarsene e
condurre con sè Sakura, riversò queste parole alla lapide di
granito bianco.
Due sole parole, quelle che forse non gli aveva mai detto:
«Grazie, Naruto_kun»
“Non trovi che siano bellissimi questi
fiori, Sasuke?”
Sakura aveva tra le mani un mazzo di fiori di campo, splendidi e
fragilissimi.
Come lei.
“Mpfh”
Sasuke l’aiutò a posarli sul vaso appoggiato alla lapide,
le loro mani si muovevano assieme, l’una sopra l’altra, con armonia
perfetta.
Forse, fosse stato tutto normale, quell’armonia non
l’avrebbero raggiunta mai.
Sasuke ora trovava lati positivi in ogni cosa, una sorta di disperato
ottimismo invadeva le sue vene, quasi fosse stato
contagiato da Naruto, quasi ne avesse ereditato qualcosa.
Gli piaceva pensarlo.
La luna illuminava Sakura tenuemente, carezzandole il corpo troppo
concerto in confronto alla sua fragilità interiore.
Per quanto ci avesse provato Sasuke non sarebbe mai riuscito a usare
medesima delicatezza con lei; sì, certo, ogni suo gesto era misurato,
per non causarle dolore, shock, per non accelerare la follia, ma a volte Sakura
di notte piangeva, Sakura si allontanava da lui, si chiudeva in sé
stessa.
Nemmeno la notte riusciva a restituirle completamente quella parte di
sé ch’essa aveva perduto; e certi commenti di Sasuke talvolta la
riportavano inesorabilmente nel passato.
Ma Sakura si lasciava ancora cadere su di lui come fosse
la sua unica ancora di salvezza.
Quella sera, come tante altre, rimasero a lungo abbracciati sotto la
luna, tra i pianti improvvisi di lei e il protettivo silenzio di lui. E quelle
notti, quelle giornate folli non erano altro che una punizione.
Ormai era convinto fosse così, lui, anche se mai si sarebbe dato
risposta del perché fosse toccata anche a Sakura.
Una punizione crudele, spietata, Sakura priva di sé.
Se la meritava.
Ma in fondo si diceva che non era così, nessun uomo al mondo
avrebbe potuto meritare una cosa simile, nessuno, nemmeno il più
bastardo dell’Universo, nemmeno Sasuke Uchiha che, di quella pazzia
femminile, si sentiva complice.
“Ti voglio bene”
Sakura si addormentò tra le sue braccia, esausta.
E solo allora Sasuke rispose.
“Anch’io”
Cominciava un’altra notte, finiva un altro giorno di pazzia.
Lights will guide you
home
And ignite your bones
And I will try to fix
you
FIX YOU - Codplay
Fin
SasuSaku al confine tra follia e
realtà, vagamente sospesa ed incompiuta.
Mi rendo benissimo conto di
quanto la fan fic possa essere contorta, forte e, a
volte, proprio folle. Perciò ringrazio con più calore ancor le
persone che hanno deciso di provare a leggerla tutta, di capirla nella sua
assurdità, di trovare il senso che le ho dato. Non è facile, lo
so e mi è stato detto. Perciò grazie, grazie a chi ha letto e
recensito lo scorso capitolo, grazie a chi leggerà, recensirà
questa seconda ed ultima parte, facendomi un piccolo regalo graditissimo,
perché pubblicare senza sapere che ne pensate voi non è
appagante, affatto.
Ringrazio le sei persone che
hanno già messo questa fan fic fra i preferiti e la persona che
l’ha già messa fra le seguite, attendo vostri commenti.
Ringraziamenti speciali a
Lalani: ciao, Lala ^^ Ormai le tue recensioni le aspetto appena pubblico
ogni mio lavoro; sei assolutamente immancabile <3
Delia: Delia, valà, meno male che ci sei…** Per il
titolo, vedi che poi ho inserito anche “Fix you?”, quello masochistico xD Pericoloso anche questa seconda parte??
Kry33: ehylà,
SasuSaku fan accanita (come me), mi fa piacere vedere che commenti tutte le
SasuSaku che posto, sai? Un enorme piacere <3. Oh, spero che questa seconda
parte sia stata più piacevole…
Angel et Cate: *-* ho adorato il
tuo commento <), ah! Ho letto la tua flash
su Hinata che hai pubblicato lo stesso mio giorno: splendida. Hai trovato
davvero delle ottime parole. Grazie infinite e spero di non averti
deluso…
Hachi92: grazie, semplicemente, di seguirmi sempre gemellina! *_* E grazie per aver commentato la prima
parte, tesò, nonostante fosse lunga e sicuramene
avevi centomila cose da fare e centomila ff da
scriver xD Waah, ti voglio
bene!
Affettuosi saluti, grazie
dell’attenzione
Terrastoria