Velozes e Furiosos

di La_Sakura
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bas Garage ***
Capitolo 2: *** Oyabun ***
Capitolo 3: *** Família ***
Capitolo 4: *** Sakazuki ***
Capitolo 5: *** Lar ***
Capitolo 6: *** Rap das Armas ***
Capitolo 7: *** Hafu ***



Capitolo 1
*** Bas Garage ***


Velozes e Furiosos

Bas Garage

Yuzo scese dal taxi dopo aver pagato la corsa e si guardò intorno con curiosità: quando il suo contatto gli aveva fornito l’indirizzo a cui si sarebbe dovuto recare, tutto si sarebbe aspettato tranne che trovarsi di fronte a un’officina.

Il Bas Garage faceva bella mostra di sé davanti a lui: il grande portone scorrevole in metallo era aperto solo per metà ma permetteva di dare un’occhiata all’interno dello stabile, mentre all’esterno un paio di auto che avevano vissuto anni migliori erano oggetto di discussioni tra i meccanici e quelli che dovevano esserne i proprietari.

L’ex portiere della Nankatsu si avvicinò all’ingresso e guardò all’interno, nella speranza di scorgere la persona che stava cercando: da quando aveva ottenuto quell’indirizzo, non faceva altro che chiedersi se l’amico d’infanzia l’avrebbe riconosciuto, se la sua visita gli avrebbe fatto piacere o se, al contrario, si sarebbe arrabbiato. In fondo erano passati otto anni dalla sua partenza, e negli ultimi cinque aveva praticamente fatto perdere ogni traccia di sé.

«Ehi, amigo

Si voltò e notò un giovane che si stava pulendo le mani con uno straccio che aveva visto tempi migliori: questi gli si avvicinò parlando in brasiliano.

«Aehm… não entendo…» pronunciò, cercando di far mente locale sui suggerimenti linguistici che la receptionist dell’albergo gli aveva fornito.

Il ragazzo sorrise, buttandosi lo straccio sulla spalla sinistra.

«Giapponese?»

«S… sì.» rispose, sorpreso nel sentire quel giovane parlare la sua lingua madre «Anche tu…?»

«Mia madre.» gli allungò una mano «Sono Cristóvão, ma puoi chiamarmi Cris. Come posso aiutarti?»

«Yuzo.» replicò al saluto «Io cercavo una persona. Ozora Tsubasa.» aggiunse subito.

Ebbe l’impressione che quel nome avesse scatenato una reazione imprevista nel suo interlocutore, che però non lasciò trasparire altro: gli diede le spalle e fece qualche passo verso l’interno dell’officina.

«Kei! Kei!»

«O que você grita(1)

Una giovane donna dai tratti marcatamente asiatici li raggiunse in pochi passi. Aveva lunghi capelli neri raccolti in una coda alta, e occhi castani leggermente socchiusi, quasi spazientiti.

«Questo nihonjin cerca Tsubasa.»

«Ah.» la giovane sembrava divertita «E chi saresti, di grazia?»

«Kei…» la redarguì Cristóvão, anche se pareva anch’egli divertito dal piglio con cui lo aveva apostrofato.

«Mi chiamo Morisaki Yuzo, sono… ero un compagno di squadra di Tsubasa. So che è qui.»

Pronunciò quell’ultima frase per dare a intendere che non poteva essere preso in giro: non aveva fatto tutti quei chilometri per essere rimbalzato da una sconosciuta, non quando sapeva benissimo di essere nel posto giusto.

«Bene, Morisaki Yuzo, lo trovi di là, in quell’ufficio: adesso però non posso portarti da lui, è impegnato con alcune persone. Che ne dici se, mentre aspettiamo, ti offro da bere e scambiamo due chiacchiere?»

«Basta che non sia qualcosa di avvelenato.»

Cristóvão scoppiò a ridere e gli passò un braccio attorno alle spalle.

«Devi perdonare Keiko, ma non succede tutti i giorni che qualcuno venga a cercare il nostro capo.»

«Il vostro… capo?» ripeté Yuzo, confuso.

«Sì, Tsubasa. Bas.» aggiunse poi, allargando le braccia per incorporare nel gesto tutto l’ambiente «Da dove credi che arrivi il nome “Bas Garage”?»

«Oh, io… non ne avevo idea.»

«Deve essere da molto, allora, che non hai a che fare con lui.» replicò Keiko, allungandogli una lattina di guaranà.

«Cinque anni.» ammise, aprendo la bibita «Dovevamo giocare il World Youth insieme, ma…»

Il silenzio calò sul trio: Yuzo immaginò che quei ragazzi sapessero bene cosa fosse successo in quell’occasione, a differenza sua che aveva solo qualche informazione vaga, così si limitò a bere qualche sorso per rinfrescarsi.

La porta dell’ufficio si aprì: una coppia ne uscì sorridendo, l’uomo stava roteando un mazzo di chiavi nell’indice della mano destra e sembrava molto felice.

Keiko e Cristóvão li salutarono, scambiando qualche convenevole, mentre lui si concentrava sulla porta, rimasta aperta: Tsubasa ne sarebbe uscito a breve, che reazione avrebbe avuto? Improvvisamente si sentì a disagio, come se non avesse alcun diritto a piombare così nella vita dell’ex calciatore, senza preavviso.

«Ehi, Bas!» Keiko, al suo fianco, urlò in direzione dell’ufficio «Ci sono visite!»

«Per me?» la voce all’interno era sorpresa.

«E per chi, sennò?» fece eco Cristóvão, divertito.

Tsubasa uscì dall’ufficio, e Yuzo sorrise nel constatare che il giovane non era cambiato di una virgola: la solita pettinatura disordinata, lo stesso sguardo fiero, il fisico statuario messo in risalto da una maglia senza maniche che un tempo doveva essere stata bianca.

«Che gli Dei mi fulminino. Morisaki!» esclamò, avvicinandosi a lui «Yuzo Morisaki! Che ci fai qui?»

«Ecco, io…»

Yuzo si lasciò investire dall’abbraccio di Tsubasa, che pareva sinceramente felice di vederlo, ed emise un sospiro di sollievo.

«Vieni, andiamo nel mio ufficio: Kei, portaci due birre per favore, serve qualcosa di più forte di quel guaranà.»

«Come ti pare, Bas…»

«Allora?» lo fece accomodare su una poltrona sgangherata, la cui finta pelle era stracciata in più punti e lasciava uscire l’imbottitura «Davvero, che sorpresa, ma perché non mi hai avvisato? Ti avrei organizzato un benvenuto coi fiocchi, insomma, da quanto tempo non ci vediamo?»

«Da tanto, in effetti. In realtà non credevo neanche che ti avrebbe fatto piacere, dato che sei sparito dai radar di tutti. Nessuno ha avuto più tue notizie, Tsubasa…»

Il ragazzo annuì, sedendosi accanto a lui e mantenendo un sorriso sulle labbra che però a Yuzo parve avere un che di amaro: Keiko entrò in quel momento e porse ad entrambi una bottiglia.

«Credo che avrete saputo del mio incidente…»

Pronunciò quelle parole dopo aver bevuto un lungo sorso di birra, quindi si chinò per posarla sul pavimento e arrotolò il pantalone fino al ginocchio: Yuzo si sporse appena e rabbrividì vedendo la lunga cicatrice che percorreva la gamba destra dell’amico.

«Sono rimasto incastrato troppo a lungo tra le lamiere, e quando mi hanno operato… beh, non era di certo la miglior équipe chirurgica del mondo. Ma sono vivo, a differenza di altri, e posso raccontarlo, quindi…»

«È per questo che hai abbandonato il calcio?»

«Ci ho provato a giocare, sai?» pronunciò quelle parole riprendendo in mano la bottiglia e avvicinandola alle labbra «Ma avevo perso qualcosa, non ero più in grado. La gamba mi faceva un male cane, e la mia corsa… beh, zoppicare a centrocampo non era di certo una buona tecnica controffensiva.»

«Mi dispiace tanto, Tsubasa, non avevo idea della gravità di quanto accaduto…» Yuzo pronunciò quelle parole con sincerità.

«Lo so. Ho preferito non divulgare troppo la notizia, limitandomi a parlare di un incidente che mi aveva costretto al ritiro, era più facile da gestire a livello mediatico, sia per me che per la mia famiglia. Ma parliamo di te: che cosa ti porta in Brasile? Sei in vacanza? Potrei consigliarti bene!»

«No, io ero con i ragazzi della vecchia Nankatsu, siamo venuti nella speranza di incontrarti… eravamo al funerale di Roberto.»

Il gelo calò nella stanza, Yuzo se ne rese subito conto: Keiko, che fino a quel momento era rimasta seduta in disparte, presa da chissà quale conteggio alla calcolatrice, era scattata in piedi e lo osservava con sguardo truce, mentre Tsubasa, dopo un primo attimo di apparente smarrimento, aveva continuato a sorseggiare la bevanda.

«Ho saputo di Roberto.» pronunciò infine, distogliendo lo sguardo «Purtroppo non ho potuto partecipare alle esequie.»

«Non hai potuto, o…»

«Ci ha fatto piacere averti qui, Morisaki, ora però noi dovremmo tornare al lavoro.» Keiko gli si era parata davanti, a braccia conserte, e il suo sguardo era tutt’altro che amichevole.

«Kei…» la redarguì Tsubasa.

«Abbiamo del lavoro arretrato, Bas, non possiamo…»

«Kei.» stavolta il nome fu pronunciato fermamente, tant’è che la giovane desistette «Dove alloggi, Yuzo? Mi farebbe piacere riaccompagnarti in hotel.»

Il giovane gli porse un biglietto con il nome dell’albergo, quindi si alzò per seguirlo: lanciò un’ultima occhiata a Keiko che aveva perso il suo piglio gioviale a favore di uno sguardo tutt’altro che rassicurante, e seguì Tsubasa all’esterno dell’officina. Vederlo camminare per un tragitto più lungo dei pochi passi che aveva compiuto poco prima gli fece notare la sua andatura claudicante, ma non seppe dire se si trattasse di suggestione o se il giovane avesse in qualche modo accentuato la sua condizione.

Giunto all’esterno del locale, lo sentì scambiare due parole con Cristóvão riguardo un motore da sostituire su una Chevrolet Camaro, così si risolse a porre la domanda che aveva sulla punta della lingua dal suo arrivo.

«Da quando questa passione per le auto, eh Bas

Pronunciò quelle parole con un intento amichevole, sottolineando quel nuovo e strano soprannome dell’amico: l’ex calciatore scoppiò a ridere, rallentando il passo affinché potesse affiancarlo.

«Fa parte della mia metamorfosi: una volta accantonato il calcio, dovevo in qualche modo trovare di che sostenermi, e Keiko mi aveva già fatto appassionare ai motori, così…»

«Allora è lei il meccanico della famiglia.»

«In un certo senso…» ammiccò Tsubasa, visibilmente divertito.

«Quindi tu e lei…»

Il nipponico non rispose: fece un cenno a Yuzo, indicando un veicolo parcheggiato accanto a un gruppo di palme nane.

«E quella sarebbe la tua auto!?» esclamò, rimanendo a bocca aperta. La Toyota Supra color verde lime faceva bella mostra di sé davanti a lui, lucida e brillante solo il sole paulista.

«È la mia bambina, la prima auto che ho rimesso a posto interamente da solo, effettuando tutte le modifiche per renderla performante.» ammise, con orgoglio «Qui sotto batte un cuore da 500 cavalli.» e, così dicendo, batté leggermente la mano sul cofano.

«Impressionante…»

Yuzo ammirò lo stile delle aerografie applicate sulla carrozzeria, delle ali blu stilizzate che dal paraurti anteriore raggiungevano quasi il bagagliaio.

«Hai detto di averla sistemata da solo?»

Tsubasa si accomodò al sedile della guida e controllò che l’amico allacciasse la cintura di sicurezza.

«Prima di aprire un’officina, volevo avere la certezza di essere in grado di svolgere questo lavoro: Keiko aveva un garage molto attrezzato, così ci siamo messi lì e lei ha coordinato i lavori.»

Il rombo del motore fece trasalire Yuzo: Tsubasa sembrava sempre più divertito.

«Tieniti stretto.» gli mormorò, prima di premere sull’acceleratore e immettersi nel traffico.

 

 

Appoggiata allo stipite della porta, Keiko controllava l’interno della stanza, illuminata solo dalla tenue luce che proveniva dal corridoio.

«Dorme?»

Tsubasa le si avvicinò e posò il mento sulla spalla, per scrutare a sua volta all’interno.

«Come un sasso.» sussurrò lei, scostandosi e avviandosi verso la cucina.

«Mi dispiace per oggi, Kei, non avevo idea che…»

«Devi liberarti di lui, Tsubasa: ha nominato Roberto in officina, sai bene che quel nome porta solo guai.»

«Andiamo, non fare la bambina superstiziosa.» incurvò le labbra in un sorriso divertito «Quando ti ci metti, sei peggio della signora Almeida, quella vecchia strega.»

«Non è superstizione, Tsubasa: siamo venuti via da San Paolo per allontanarci da lui, è andato tutto bene per cinque anni, e ora… prima lui muore, e ora un tuo vecchio amico viene a cercarti. Che poi, chi è questo Yuzo Morisaki? Non mi hai mai parlato di lui, siamo sicuri che…»

Il ragazzo colmò la distanza che li separava e le posò le mani sulle spalle, obbligandola ad alzare lo sguardo su di lui.

«Yuzo era il portiere della Nankatsu. È una brava persona, non ci darà problemi, Kei-chan: si fermerà qualche giorno, parlerò con lui dei vecchi tempi, rivangherò il passato bevendo birra, lo metterò su un aereo e tanti saluti. Dirà a tutti che sto bene, sono vivo e si scorderanno nuovamente di me.»

«Chi ti dice che non sia stato mandato da…»

«Ehi.» Tsubasa interruppe il suo ragionamento ad alta voce, posandole un indice sulle labbra «Andrà tutto bene, te l’ho promesso cinque anni fa e te lo prometto ancora: mi prenderò cura di voi.»

Keiko chiuse gli occhi e deglutì rumorosamente, cercando di trattenere le lacrime, quindi si scostò per sedersi.

«È solo che…» mormorò.

«Lo so che sei preoccupata, e lo capisco: l’incidente di Roberto riapre vecchie ferite, ma non abbiamo motivo di allarmarci. Siamo a Santos da tanto, e nessuno è mai venuto a cercarci finora.»

«Perché c’era Roberto a fare da scudo. Ho paura che, ora che lui non c’è più, vengano a reclamare ciò che spetta loro.»

«E cosa possono reclamare? Siamo io, te, Yuki e Cris. Non c’entriamo nulla con tutta quella storia.»

«Credi davvero a ciò che dici? Vantano un credito verso Roberto, e immediatamente dopo Hongo – indovina? – ci siamo noi.»

Tsubasa sospirò.

«Ci sono io, Keiko, non voi.»

«Siamo una famiglia.» si alzò e gli si fece vicino «Non esiste che tu faccia qualcosa senza di noi, anche a costo di fare le valigie e andarcene dal Brasile.»

«Mamma…»

Una vocina attirò la loro attenzione: Keiko si voltò verso il corridoio.

«Yuki, che ci fai sveglio?»

«State litigando?»

«No, amore mio, no…» si affrettò a prenderlo in braccio e stringerlo al petto.

«Perché hai detto che dobbiamo fare le valigie?»

Keiko sgranò gli occhi e fissò Tsubasa con terrore: il ragazzo si avvicinò e carezzò la testa del bambino.

«Non è nulla, tesoro, io e la mamma pensavamo di fare un viaggio, che ne dici?»

«Ma tutti insieme?» piagnucolò il piccolo, nascondendo il volto nel petto della donna.

«Ma certo che lo faremo tutti insieme…»

«Voglio anche zio Cris.»

I due sorrisero mentre raggiungevano la camera del bambino.

«Ecco qua.» sussurrò Keiko, coprendolo col lenzuolo «Ora dormi, che domani c’è scuola.»

«Domani voglio che mi venga a prendere lo zio Cris…»

«Ehi, cos’è questo attaccamento? Sono geloso.» mugugnò Tsubasa, chinandosi sul bambino per depositargli un bacio sulla nuca.

Il respiro di Yuki rallentò, segno che il bambino stava lentamente scivolando tra le braccia di Morfeo: Keiko osservò Tsubasa carezzargli la fronte e baciarlo nuovamente prima di sollevarsi e raggiungerla. Avrebbe fatto qualunque cosa per proteggere la sua famiglia, anche se questo avrebbe significato abbandonare il suo paese.

 

 

1«O que você grita?» = «Cosa urli?» 





Sah

Sah

Prova prova

Oi pessoal! 

Benvenut* in questa nuova avventura in terra sudamericana *ride*

Dire che questo racconto è emerso dai meandri dei miei cassetti è usare un eufemismo: penso che sia uno dei miei progetti più vecchi in assoluto, uno di quegli appunti che mi ero presa secoli fa e che ho sempre tralasciato perché lo consideravo irrealizzabile. 

Poi, un giorno, ho parlato con Melanto, ed ecco che mi ha dato la spinta necessaria per mettere la storia nero su bianco: non la ringrazierò mai abbastanza per avermi supportato in questo progetto, che fa parte di me ed è un pezzetto di cuore. 

Forse non lo sapete, ma io ho sempre avuto una passione per la vita di Tsubasa in Brasile: senza nulla togliere al canon, a cui sono ovviamente affezionata, mi sono sempre chiesta come poteva essere la vita di un quindicenne giapponese in terra brasiliana, e da lì sono nati i vari What if che giacciono nel mio hard disk, in attesa di trovare la giusta spinta per vedere la luce. Ebbene, questo è uno di quei "E se...?" che mi sono domandata mille volte. 

Il riferimento alla saga di Fast&Furious è neanche troppo velato XD infatti il titolo è esattamente il nome con cui è stato distribuito in Brasile: io AMO questa saga, ma me ne intendo poco di auto e per questo mi sono avvalsa dell'aiuto di tutti quelli che mi circondano nell RL per poter avere spunti. L'auto di Tsubasa è opera mia XD che in quanto a tamarraggine non sono seconda a nessuno! 

Che dire: vi affido questo mio nuovo figlio virtuale, trattatemelo bene ^^

Un abbraccio 

La Sakura

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Capitolo 2
*** Oyabun ***


Velozes e Furiosos

Oyabun

Yuzo non poté fare a meno di sorridere quando, uscendo dalla hall del suo albergo, notò subito l’auto di Tsubasa.

«Certo che si può dire tutto, tranne che sia un mezzo di trasporto che passa inosservato.»

«È tutta pubblicità per l’officina.»

«Che ci fai qui, Tsubasa?»

«Hai ragione, bando ai convenevoli.» ne convenne l’ex stella del calcio «Andiamo a fare colazione, che dici? Cafezinho e Pão na Chapa.(1)»

«E qualche spiegazione in più?»

«Ricordavo che fossi tenace, Morisaki, ma non così tanto.»

Tsubasa si incamminò e fece cenno all’amico di seguirlo: si accomodarono in un bar poco lontano, dove il giovane ordinò la colazione per entrambi.

«A nessuno piace essere preso in giro, Tsubasa, e ieri ho avuto come l’impressione che la tua dolce metà si prendesse un po’ gioco di me.»

«Keiko è più brasiliana del nome che porta, non farci caso. È cresciuta a San Paolo, ci siamo conosciuti a scuola.»

«Frequentavate la stessa classe?»

«Sì, o per lo meno, lei era iscritta alla mia stessa classe: preferiva di gran lunga passare le sue giornate nell’officina del padre.»

«Ah, il tuo alter ego delle auto.»

«Circa.» sorrise Tsubasa «Solo che io andavo abbastanza bene a scuola, così i suoi genitori la obbligavano a venire a studiare da me.»

«Galeotti furono i libri?»

«Parli di cose che non sai, Yuzo.» rispose l’altro, distogliendo lo sguardo.

«Beh, qualcosa in realtà lo so.» si sporse in avanti, deciso ad affondare il colpo «So che eri molto legato a Roberto, tanto da mollare tutto per raggiungerlo a San Paolo e diventare un calciatore. Improvvisamente lui muore in un incidente e tu non solo non ti presenti al funerale, ma fingi anche noncuranza.»

La reazione dell’amico non si fece attendere: Tsubasa contrasse la mascella e strinse la mano attorno alla tazza di caffè, lo sguardo fisso in un punto non meglio definito dell’orizzonte, e Yuzo temette di esserci andato troppo pesante.

«Ho chiuso i miei rapporti con Roberto quando li ho chiusi col calcio. Le nostre strade si sono divise in quell’occasione…»

«Avevi diciannove anni e un sogno infranto, capisco che sia stato un duro colpo, ma…»

«Yuzo, sarà un vero piacere, per me, passare qualche giorno insieme, se vorrai rimanere a Santos, ma devo chiederti di non nominare più Hongo, per lo meno in presenza di Keiko. Soprattutto in presenza di Keiko.»

Yuzo non rispose, ma sostenne lo sguardo dell’amico che ora aveva piantato i suoi profondi occhi neri nei propri: comprese immediatamente che c’era dell’altro, dietro quella richiesta, ma non poteva ancora sfondare le difese del ragazzo, non prima di essersi guadagnato la sua fiducia e quella della sua ragazza.

«Ho un biglietto aereo aperto, per il rientro. Non sapendo cosa avrei trovato, una volta raggiunto il Bas Garage, ho preferito optare per questa soluzione.»

«Allora sarà un piacere averti come nostro ospite. Ho un’ultima domanda da porti, però, prima di raggiungere l’officina.»

Yuzo posò la tazzina sul tavolino e incrociò le braccia al petto.

«Dimmi pure.»

«Come mi hai trovato?»

Yuzo sorrise, sollevando un angolo della bocca: sapeva che quel momento sarebbe giunto, solo non si aspettava che l’amico d’infanzia avrebbe sollevato quella questione così presto.

«Diciamo che ho le mie fonti.» rispose, mantenendo lo sguardo fermo su di lui.

«Capisco.» annuì Tsubasa, sorridendo e terminando di bere il proprio caffè «Andiamo, ho un appuntamento con un cliente, poi sarò libero di portarti in giro per la città. Ho come l’impressione che ti troverai bene, qui.»

 

 

Cristóvão aveva preso pieno possesso del barbecue e stava grigliando delle salsicce, canticchiando una canzone ritmata e muovendo il bacino a tempo: Yuzo gli si avvicinò per porgergli una birra.

«Obrigado, amigo.» gli disse, sollevando la bottiglia verso di lui. Il portiere annuì e bevve a sua volta, spostando lo sguardo verso il giardino della casa di Tsubasa e Keiko: l’ex calciatore era intento a rotolarsi nell’erba con un bambino che rideva divertito.

«Yuki è una forza della natura.»

«Sì, è un bambino molto attivo, si vede…»

«Cerca di non farti vedere da Kei mentre lo scruti così: potrebbe pensare male di te.»

«Di me?» gli fece eco Yuzo, cercando di riflettere sul significato intrinseco della frase. Cris annuì, continuando a bucherellare le salsicce per farne uscire il grasso, che sfrigolò una volta raggiunte le braci sottostanti.

«Yuki è la sua ragione di vita, da quando…»

La voce di Kei interruppe la loro conversazione: la ragazza uscì di casa in quel momento, portando una ciotola di insalata e posandola sul tavolo imbandito.

«Cris, come sono messe quelle salsicce? Abbiamo fame!»

«Sono quasi pronte, Kei-chan, ci vuole pazienza per fare le cose per bene. Pazienza.»

«Sai bene che Keiko e la pazienza vivono su due rette parallele che non si incontrano mai.» si intromise Tsubasa, arrivando in quel momento dopo aver lasciato il bambino a giocare col cane dei vicini.

«Siete voi due che mettete a dura prova la mia pazienza, altroché.» sorrise lei, avvicinandosi a Tsubasa e posandogli la testa sulla spalla. Yuzo sussultò a quella vista, e una sensazione di disagio gli contrasse la bocca dello stomaco: vedere Tsubasa con una donna che non fosse Sanae gli stava provocando sentimenti contrastanti. Benché non fosse nella posizione per giudicare, dato che non sapeva come stessero realmente le cose tra loro, distolse lo sguardo e si allontanò di qualche passo per scrutare l’orizzonte, dove mare e cielo si fondevano in un tutt’uno.

«Tutto bene?»

L’ex calciatore gli posò una mano sulla spalla.

«Sì, riflettevo… è strano vederti con qualcuno che non sia Sanae.» aggiunse poi, dopo aver constatato di essere lontani da orecchie indiscrete. Tsubasa parve incassare il colpo senza lasciar trasparire nulla, si limitò a spostare lo sguardo verso la discesa asfaltata che conduceva in città.

«Mi sembra passato così tanto tempo… come se si trattasse di un’altra vita. Averti qui mi ha fatto rendere conto di quante cose siano cambiate.»

«Si nota, sai?» ne convenne Yuzo, deciso a sfruttare quel momento di confidenze che sembrava essersi sbloccato «Nessuno di noi ha mai avuto il coraggio di chiedere a Sanae cosa fosse successo, ma era chiaro che… insomma…»

«Quell’incidente, quella sera…» sussurrò Tsubasa, come se parlasse più a sé stesso che a lui «Mai avrei creduto di potermi trovare in condizione di dover prendere una simile decisione. Ha cambiato la mia vita. Completamente.» concluse quindi, tornando a focalizzarsi sul presente.

«E ti piace la tua nuova vita?» gli domandò, sperando di non aver superato il limite.

«Nonostante tutto, continuo ad amare il Brasile, San Paolo… e la mia famiglia.» quelle parole decretarono la fine della confidenza «Ma questa è un’altra storia, Morisaki. Ora non pretenderai che ti racconti tutto e subito.» e scoppiò a ridere, provocandogli un moto di vergogna che gli fece avvampare le gote.

«La cena è servita! Ehi, giù le mani, Cris. Aspetta che siano tutti seduti.»

Presero posto a tavola, Yuzo venne fatto accomodare alla sinistra di Tsubasa, esattamente di fronte a Keiko, che lo fissò di sottecchi mantenendo il solito riserbo nei suoi confronti. Tsubasa prese in mano la birra, e la sollevò appena.

«Saúde, família(2) esclamò, allungando la mano verso ognuno di loro, con un sorriso soddisfatto dipinto sulle labbra. 

 

 

Keiko si fidava ciecamente di Tsubasa ma da quando quel Morisaki era arrivato, l’ex calciatore non faceva altro che passare il suo tempo con lui. Immaginava che gli facesse piacere riallacciare i rapporti con quel passato che si era dovuto lasciare alle spalle, ma una parte di lei si stava preoccupando del fatto che quel legame potesse fargli tornare un’intensa nostalgia del Giappone. Non che ci fosse qualcosa di male, ma non si fidava del nuovo arrivato, ed era intenzionata a indagare sul suo conto: stando a quanto diceva, aveva abbandonato il calcio subito dopo il torneo Under-19 per dedicarsi alla carriera universitaria.

«Così studi per diventare prof di storia.» Cris aveva accolto la notizia con stupore «Davvero sei passato dal calcio all’insegnamento? Non è che, per caso, eri una pippa a giocare?»

«Cris.» Tsubasa lo redarguì, scoccandogli un’occhiataccia.

«Beh, non ero di certo il miglior portiere del Giappone, quel titolo lo lasciamo a Wakabayashi.»

«Ah, sì, ho presente: alto, muscoloso, sguardo penetrante…»

Keiko si lasciò andare a un sorriso, decidendosi a intervenire nella conversazione.

«Hai deciso quanto ti fermerai ancora, Yuzo-kun?»

«Presto mi toglierò dalle scatole, Keiko, non devi preoccuparti.» replicò, lanciandole un’occhiata eloquente «Però mi aspetto che veniate a trovarmi, a Nankatsu. Da quant’è che non torni a casa, Tsubasa?»

Il ragazzo si lasciò andare contro la poltroncina, sollevando la birra davanti a sé, come a voler leggere il proprio futuro attraverso il liquido ambrato.

«Lar…»(3) mormorò, inclinando le labbra in un sorriso amaro, per poi nasconderle dietro a una sorsata di birra «Ormai questa è la mia casa, Morisaki: cosa posso volere di più?»

Keiko studiò la reazione del loro ospite, che parve guardarsi attorno per studiare l’ambiente: era quasi ora di cena, l’officina era deserta, solo loro ne occupavano lo spazio centrale, una sorta di aperitivo prima di rientrare.

«Capisco, ma… tua madre, tuo fratello… non ti mancano?»

Si trattenne dallo scattare in piedi e dirgliene quattro: Tsubasa, avendo previsto la sua reazione, le aveva posato una mano sul ginocchio, e aveva fatto presa su di esso, nel tentativo di calmarla.

«La mia famiglia è qui, ora. Mi manca il mio passato, ma devo guardare al mio futuro.»

«E se il passato bussa alla porta, meglio ingranare la marcia e partire a tutta velocità.»

La frase di Cris pareva buttata lì a caso, ma solo quando vide quattro auto nere parcheggiare proprio di fronte al portone, Keiko capì che i loro guai erano appena all’inizio. Si mise in piedi e fece per andare ad aprire, ma Tsubasa la frenò, posandole una mano sul ventre.

«Ci penso io.» le sussurrò, in portoghese, muovendosi poi verso le lamiere dell’ingresso per farle scorrere e aprire la visuale sull’esterno.  

Da tre delle auto scesero degli asiatici poco raccomandabili: abiti dismessi, sorrisi beffardi e tatuaggi in bella vista sulle braccia nude. Dalla quarta fecero la loro comparsa due uomini in giacca, cravatta e occhiali da sole che diedero un’occhiata all’ambiente circostante prima di aprire la portiera posteriore.

Una lucida scarpa nera calpestò il cortile polveroso, seguita dalla sua gemella: da sopra la portiera comparve il volto accigliato di un asiatico, capelli corti e brizzolati, sorriso rassicurante dipinto sulle sottili labbra, a solcare un volto rasato di fresco.

«Tanaka-san.» Tsubasa lo accolse con un inchino, precedendo tutti di qualche passo nel raggiungerlo.

«Ozora-san.» l’uomo diede una sorta di benedizione a Tsubasa, prima che questi si sollevasse «Ti trovo bene.»

«La ringrazio, Tanaka-san. È un onore riceverla nella nostra umile officina.»

«Vedo che vi siete sistemati bene qui, a Santos.» mormorò l’anziano, guardandosi intorno con curiosità «Avete anche ospiti, non conosco il giovane che vi accompagna.»

Keiko dubitò della veridicità di quelle parole: Tanaka-san conosceva tutti, e lei aveva ancora il dubbio che Yuzo fosse iscritto nel suo libro paga.

«Un amico in visita, partirà a giorni. Posso permettermi di chiederle cosa la porta da queste parti?»

L’uomo si abbottonò la giacca del costoso completo gessato e mosse un passo dentro l’officina, seguito a breve distanza dalle due guardie del corpo: superò Tsubasa e continuò a guardarsi intorno.

«Ho saputo di Hongo.»

Poche, semplici parole che Keiko attutì come se fossero un pugno nello stomaco.

«La sua scomparsa ci addolora, Tanaka-san, ma come saprà non abbiamo rapporti con lui da quando ce ne siamo andati da San Paolo.»

«Certo… certo…» annuì l’uomo, fermandosi alle sue spalle «Tu però eri il suo protetto. Il suo pupillo.»

Keiko percepì la tensione, Tsubasa aveva stretto le mani a pugno, prima di rilasciarle e picchiettarsi nervosamente con le dita sulla coscia.

«Non ho nulla a che spartire con Hongo.»

Al suo fianco, Keiko vide Yuzo trasalire: evidentemente quelle parole taglienti non dovevano sortire un bell’effetto su chi era rimasto al rapporto padre-figlio che intercorreva tra i due.

«Non è detto, Tsubasa-san, che se uno taglia una radice, le altre vengano spezzate automaticamente.» l’uomo si sistemò la cravatta e tornò sui suoi passi, per pararglisi davanti «Tu e Roberto avevate un legame speciale, ti ha portato qui dal Giappone, ti ha trascinato nel suo mondo, poi…»

«Poi mi ha abbandonato al mio destino.» ringhiò l’ex calciatore, le mani ora serrate in due pugni, pur mantenendo le braccia stese lungo il corpo. Le guardie di Tanaka mossero un passo verso di lui ma il boss li bloccò.

Il respiro accelerato dava l’entità di quanto Tsubasa si stesse trattenendo: Keiko avrebbe voluto correre al suo fianco, ma non mosse un muscolo, sperando che il suo compagno riuscisse a trovare la giusta calma per non far degenerare la situazione.

«Hai scelto il mentore sbagliato, Tsubasa-san.»

«Può darsi.» rizzò la schiena, per non mostrarsi più in inferiorità «Ma ora ho trovato la mia dimensione, Tanaka-san. Viviamo con quel poco che ci guadagniamo, non diamo fastidio a nessuno, non mettiamo piede a San Paolo da cinque anni. Non sappiamo che altro fare per dimostrarle che non siamo e non saremo mai un problema, per lei.»

Tanaka-san alzò lo sguardo oltre Tsubasa e Keiko lo incrociò: i loro occhi si scrutarono a vicenda, prima che lei si risolvesse a distoglierli, abbassando le palpebre e concentrandosi sull’unica gioia della sua vita.

«Sei bella come tua sorella, Keiko-san.»

Deglutì a fatica, quelle parole la ferirono come pugnalate alla schiena, ma mantenne la posizione per non indispettirlo né fornirgli un pretesto.

«Ci perdoni, Tanaka-san, non ci aspettavamo in alcun modo la sua visita, e siamo un po’ scossi.»

Tsubasa aveva ripreso la parola per riportare l’attenzione su di lui: Tanaka-san annuì, si ricompose e gli sorrise.

«Capisco, Tsubasa-san, capisco. Beh, che dire: ero venuto in pace, convinto di ottenere tutt’altro, ma dovrò rientrare a San Paolo a mani vuote.»

Si voltò, e Keiko si permise di emettere un respiro più profondo, quasi sollevata che l’uomo stesse demordendo così facilmente.

Una volta giunto all’auto, però, l’oyabun si voltò nuovamente verso di loro.

«Il debito di Roberto dovrà essere saldato, che vi piaccia o no.»

Quelle ultime parole, formulate un attimo prima di salire sulla vettura e schermarsi ai loro occhi, ebbero il potere di gelarli. Anche quando il corteo sfilò loro davanti, nessuno mosse un muscolo, e il silenzio calò sull’officina.

«Kei.» Tsubasa attirò la sua attenzione che erano passati già diversi minuti «Vai a recuperare Yuki dalla signora Almeida e aspettateci a casa. Cris, accompagna Yuzo in albergo a recuperare le sue cose e portalo da noi.»

Gli interpellati si mossero in fretta, lasciandolo lì, al centro dell’officina, con i pugni ancora serrati e la mascella contratta.

 

 

Yuzo aveva notato che il piglio di Tsubasa era cambiato notevolmente dopo l’arrivo di quel Tanaka-san. Non era così ingenuo da non comprendere di che si trattasse, quello che faticava a capire era come fosse possibile che uno come Tsubasa si fosse immischiato negli affari della yakuza. Perché era chiaro come il sole che quel Tanaka fosse l’oyabun che tutti dovevano amare e temere allo stesso tempo.

«Sei silenzioso, Morisaki.»

Cristóvão stava guidando con fluidità nel traffico serale: dopo essere stati in albergo e aver recuperato le sue cose, si erano fermati in un supermercato accanto alla struttura per comprare del cibo e ora si stavano dirigendo verso casa Ozora.

«Non capita tutti i giorni di avere a che fare con la mafia.»

«Ehi!» il nippo-brasiliano sembrava divertito «Puoi tornare a casa con una nuova esperienza in tasca, dovresti essere contento!»

Sapeva che il ragazzo stava solo cercando di smorzare la tensione, aveva già notato nei giorni precedenti quanto questo atteggiamento fosse una sua caratteristica.

«Che voleva l’oyabun da voi? Di che debito parlava?»

Cris strinse il volante della sua Skyline ma non rispose, così Yuzo – ben saldo alla maniglia della paura – ne approfittò per guardarsi intorno: sembrava di essere in un videogioco, e basandosi sull’allestimento avrebbe detto GTA o qualcosa di simile.

«Così… anche tu…» spezzò il ghiaccio. Cris si voltò a guardarlo e notò subito la sua presa salda alla maniglia.

«Non avrai mica paura.»

«Non sono a mio agio con la velocità.»

Si pentì immediatamente di aver pronunciato quelle parole quando si rese conto che Cris stava accelerando: il piede premuto sul pedale, lo sguardo rivolto a lui.

«Non dovresti guardare la strada?»

«L’ho imparato in un film.»

«Hai imparato a rischiare la vita mentre sei al volante?»

«No.» Cris inchiodò per lasciare il passaggio a una vecchina, ferma sulle strisce «Ho imparato a guidare dai film, io non ho la patente.»(4)

Si voltò di scatto verso di lui, occhi sbarrati e bocca aperta a formare una O di stupore che si tramutò in un ghigno quando si rese conto che il ragazzo lo stava prendendo in giro: Cris scoppiò a ridere e si batté ripetutamente la mano sul ginocchio.

«Dovevi vederti, Yuzo, ho letto il panico nei tuoi occhi.»

«Non è divertente.» si ricompose, alzando lo sguardo al cielo.

«Hai ragione, scusa.» si sporse verso di lui, arrivando quasi a sfiorargli il viso col proprio naso «Non volevo metterti in difficoltà, non lo farò più. Promesso.»

Addossato quasi alla portiera, Yuzo si rese conto che gli mancava l’aria, così quando l’altro si allontanò e ingranò nuovamente la marcia per ripartire, abbassò leggermente il finestrino e allungò il naso, per godere della brezza serale.

«Tanaka-san non è solo il capo del Bairro da Liberdade, il quartiere asiatico di San Paolo.» Cris ora era serio, non vi era più alcuna traccia di divertimento sul suo volto «È il capo, il capo di tutto. Noi eravamo solo ragazzi che cercavano di ritagliarsi il proprio posto nel mondo. Lo sai che Tsubasa è stato uno dei pochi a non disprezzarmi per la mia origine?»

«Che vuoi dire?»

«Mia madre ci teneva che avessi un’istruzione che mi riportasse alle radici, così ho frequentato la stessa scuola giapponese di Bas e Kei. Solo che a differenza loro, io ero un nissei, un nippo-brasiliano in mezzo a dei “purosangue”.» lasciò il volante per mimare le virgolette e tornò ad afferrarlo «Il nome e i tratti somatici mi hanno tradito.» lo osservò, recuperando il sorriso solito.

«Ti hanno bullizzato?»

«Fin dall’asilo, per i miei capelli e i miei occhi chiari. La natura ha compiuto parecchi esperimenti, su di me.» si passò una mano tra i corti ricci castani «Poi Kei mi ha preso sotto la sua ala protettiva, e nessuno ha più osato dirmi nulla, anche perché sua sorella…» si interruppe, e Yuzo comprese che si stava mordendo la lingua per aver parlato troppo «Alle superiori eravamo il trio più temuto, e solo perché Kei aveva quello sguardo di odio verso tutti.»

«Oh, ho presente.» ridacchiò, ripensando alle iridi scure della donna che lo squadravano da capo a piedi.

«Non è sempre stata così, sai? La sua era una facciata, per tenere lontani i rompiscatole e gli attaccabrighe. Poi l’incidente ha… modificato parecchie dinamiche.»

Yuzo annuì, poteva immaginare: ricordava quanto si fosse rotto definitivamente l’equilibrio della squadra, dopo l’incidente di Misaki che aveva sancito anche la sua assenza dalla fase finale del World Youth e dalla scena del calcio giocato.

«Quando ci arrivò la notizia del ritiro di Tsubasa, fu come una doccia fredda: ci chiamavano la Golden Generation, e adesso ne saranno rimasti sì e no quattro o cinque a giocare ancora. Quando abbiamo perso il World Youth, è come se si fosse spento l’entusiasmo della maggior parte di noi.»

«Tsubasa ha passato momenti difficili, dopo l’operazione: avendolo conosciuto al suo apice, e sapendo quanto fosse bravo e dotato nel calcio, è stata una pena vederlo ridursi…» si interruppe di nuovo, come se ancora stesse parlando più del dovuto «La vicinanza di Kei e l’arrivo di Yuki gli hanno ridato il sorriso, anche se devo ammettere che da quando sei qui, ho rivisto una parte di lui che credevo morta.»

«Assomiglia al ragazzino delle medie che conoscevo, ma si nota che non è più lo stesso. La luce negli occhi è diversa.»

«Ma non meno letale, fidati: in quanto a determinazione, Tsubasa non è secondo a nessuno.»

Yuzo annuì: sapeva anche questo, lo aveva percepito durante l’incontro con Tanaka-san.

 

 

1Cafezinho e Pão na Chapa: caffè (lett. caffettino, vezzeggiativo) e pane francese spalmato di burro e poi tostato. A volte si usa anche il requeijão, un formaggio spalmabile simile alla nostra ricotta. 

2«Saúde, família!»: sì, sì, è la versione portoghese del famoso «Salud, mi familia!» di Dominic Toretto XD

3«Lar…»: lett. casa. Un modo un po' poetico per definirla. Esiste anche la parola "casa", che può significare anche l'edificio in sé, mentre "lar" non può venire usato in quel senso.  

 4E chissà da quale film ha preso spunto Cris XD se volete vedere la scena, ve la lascio qui  


Un nuovo capitolo, una nuova mucchia di misteri da risolvere: intanto, qui c'è qualquadra che non cosa, e pare proprio che la vita brasileira di Tsubasa non fosse tutta samba e calcio *ride* 

La prematura scomparsa di Roberto pare aver messo in difficoltà i nostri amici, perché adesso l'oyabun di zona ha messo gli occhi su di loro ed esige qualcosa che non sono molto disposti a fornire. 

La família si compatta, e Cris si occupa di aiutare Yuzo a recuperare i propri effetti per andare a vivere da loro: sbaglio, o mi pare che questo ragazzo abbia un debole per i portieri (o ex tali?). 

Chiedo scusa per la frase del nippobrasiliano riguardo all'abbandono del calcio di Yuzo: diciamo che ha un po' espresso ad alta voce ciò che pensiamo *ride* PERDONAME MADRE POR MI PERSONAJE LOCO XD

Volevo ringraziarvi per l'affetto con cui avete accolto questa mia nuova storia: so che è un po' diversa dagli standard delle mie ultime saghe, ma per me è una sorta di ritorno alle origini, e mi sento davvero in fibrillazione ^^ 

Spero che anche la rubrichetta con le parole portoghesi vi sia utile ^^ 

Obrigada a todos!

Um grande abraço 

La Sakura

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Capitolo 3
*** Família ***


Velozes e Furiosos

Família

I rumori dell’officina erano ormai diventati consuetudine anche per lui, come tutto il resto: la colazione insieme al mattino, accompagnare Yuki a scuola, passeggiare per Santos, badare a Yuki nel pomeriggio. Visto dall’esterno, Yuzo avrebbe pensato di far parte di una comune, o di una famiglia.

Família.

Era la parola che meglio racchiudeva l’insieme che avevano creato Tsubasa e Keiko attorno a Yuki. Yuki dai grandi occhi curiosi, Yuki che gli aveva spiegato per filo e per segno il significato del kanji del suo nome – felicità – e tutte le varianti che i suoi genitori avrebbero potuto adottare ma non avevano scelto, Yuki che non era figlio di Tsubasa, e di questo Yuzo ne era certo. Non era un esperto di genetica, ma ne sapeva abbastanza da capire che un bambino coi tratti somatici misti non poteva essere figlio di due giapponesi puri come lo erano lui e Keiko. Yuki era un nissei, come Cristóvão, ci avrebbe messo la mano sul fuoco.

«Yuzo-kun, non sei per niente attento.» lo apostrofò il bambino, tirandolo per una manica.

«Scusa, Yuki-chan. Allora, stavamo dicendo?»

Il nanerottolo scosse il capo, quindi scese dalla sedia e si diresse verso il frigorifero, da cui estrasse una lattina di guaranà che gli porse.

«Tsubasa dice sempre che non c’è niente di meglio di questo per mantenere la concentrazione.»

Lo ringraziò carezzandogli la testolina mentre questi si rimetteva a sedere accanto a lui e riprendeva in mano il pennarello per colorare il disegno che Yuzo gli aveva fatto.

«Yuzo-kun, com’è il Giappone?»

La domanda lo spiazzò, e non tanto perché posta da un bambino di cinque anni, bensì per la nota malinconica che udì nel tono di voce.

«Come mai questa domanda?»

«Perché mamma non c’è mai stata, e non ci vuole andare, invece Tsubasa dice che dobbiamo andarci perché staremo meglio lì. Io però non ci voglio andare, perché zio Cris è qui e con zio Cris sto bene. Mi porta sempre a prendere il gelato, quando mi viene a prendere a scuola, però non lo diciamo alla mamma perché lei dopo dice che ci viene il mal di pancia.»

Rimasero in silenzio qualche istante, e Yuzo sperò che il piccolo avesse scordato la domanda che gli aveva posto: nel frattempo, però, aveva immagazzinato l’informazione che gli aveva involontariamente fornito su Keiko e Tsubasa. Non aveva dubbi che la donna avesse un forte ascendente sul suo ex compagno di squadra, e non ci voleva un genio per capire che i due fossero oltremodo legati, lo si capiva dai piccoli gesti, dalla complicità che avevano; rimaneva da sciogliere il dubbio sul motivo per cui uno volesse far ritorno in Giappone e lei fosse contraria, come se qualcosa la tenesse legata lì. Eppure, a quanto aveva capito, i genitori di Keiko non c’erano più da qualche anno, o comunque non intrattenevano rapporti con loro, dato che non venivano mai menzionati e soprattutto non facevano parte della vita del nipotino.

Troppi interrogativi, e ancora poco, pochissimo tempo: aveva ancora solo qualche giorno da trascorrere in territorio paulista, prima di dover far ritorno in patria per tornare alla vita di sempre, e lasciarsi alle spalle Tsubasa e tutto il resto. Controllò l’orario, e stimò che fosse l’ora giusta per la sua telefonata giornaliera: estrasse il cellulare dalla tasca e lasciò Yuki intento a terminare il suo disegno e si allontanò nella stanza accanto, tenendosi comunque a portata visiva per controllare il bambino.

 

 

Keiko era stata stranamente silenziosa per tutto il giorno, e anche quella sera non si era di certo profusa in chiacchiere: subito dopo cena si era ritirata in veranda, con un libro e una birra, ma solo la seconda era fissa tra le sue mani, mentre il quinto volume di Harry Potter non si era mosso dal tavolino accanto a lei.

Dopo essersi fermato a osservarla dalla soglia della porta, Tsubasa si risolse a raggiungerla: si sedette nella poltroncina accanto e, proteso in avanti, si limitò a fissarla.

«Yuzo ha prenotato il volo, dopodomani parte per tornare a casa.»

«Sono sollevata, e non per il motivo che pensi.» terminò la birra e la posò accanto al libro, prima di sporgersi a sua volta verso di lui «Una persona in meno a cui badare.»

«Forse ci siamo sbagliati. Magari Tanaka-san ha capito che…»

«Conosco Tanaka-san meglio di te, Tsubasa. Purtroppo.» scosse il capo e si passò la mano tra i lunghi capelli corvini «Non rinuncia così facilmente a qualcosa che gli spetta.»

«Hai idea a quanto ammonti questo debito?»

«Più di quanto possiamo guadagnare in una vita intera con l’officina.»

Si lasciò andare contro lo schienale, e rimase a fissare il riflesso delle stelle sulla Baia de Santos: il mare scuro era calmo, e se non fosse stato per il rumore della risacca che giungeva in lontananza l’avrebbe scambiato per un’enorme piscina.

«Tsu-chan… ho paura.»

Le prese una mano tra le sue, e la strinse: avrebbe voluto infonderle lo stesso calore e coraggio che lei era riuscita a dargli quando era stato lui a essere attanagliato dalla paura, quando il suo futuro era crollato miseramente come un castello di sabbia travolto dalle onde che invadono incuranti la spiaggia.

«Ce la faremo. Ce l’abbiamo sempre fatta, insieme.»

Kei annuì, sottraendosi al suo tocco e rientrando in casa: la vide affacciarsi alla camera di Yuki e sparire al suo interno. Sapeva che il sonno tranquillo del bambino era in grado di calmarla e cancellare qualsiasi ansia dal suo cuore, quindi non se ne stupì.

La sua unica preoccupazione, in tutta quella situazione, era di trovarsi obbligato a strappare il bambino dal suo habitat, dall’unico ambiente che aveva conosciuto, per sbatterlo in un paese completamente diverso che, benché lui fosse abituato a interfacciarsi con giapponesi, lo avrebbe additato immediatamente come hafu(1).

Si sarebbe strappato il cuore piuttosto che far vivere a Yuki quello che sia lui che Cris avevano sperimentato, seppur in contesti e in maniera differente. Aveva fatto una promessa, cinque anni prima, e l’avrebbe mantenuta a ogni costo, anche se questo avrebbe significato dover tornare in patria: la sua priorità era il benessere del bambino che portava il suo cognome e quello di Keiko.

«Irmão(2)

Sobbalzò, il tono di voce basso di Cris lo aveva spaventato.

«Va tutto bene?» gli domandò, leggendo una nota di preoccupazione nei suoi occhi.

«Márcio non sa nulla.» mormorò, occupando la poltroncina che fino a poco prima aveva ospitato Keiko «Il che mi fa sospettare che ci sia qualcosa in ballo: nessuno muove un passo nel bairro, senza che Marcinho lo sappia.»

«Credi che dovremmo fare un salto là?»

«Io la penso come te: lasciamo dormire il tiranno, finché possiamo. Occupiamoci del problema se e quando si porrà. Ora che anche Morisaki parte, abbiamo una persona in meno a cui pensare.»

Gli scappò uno sbuffo divertito: Keiko e Cris erano sempre sulla stessa lunghezza d’onda.

«Credevo che fosse il tuo tipo.»

«Oh, puoi giurarci.» ridacchiò, divertito «Ma è un’anima troppo candida per sopravvivere a ciò che accadrebbe se Tanaka-san tornasse a reclamare ciò che gli spetta.»

«Quindi tu credi che sia giusto venire qui a imporci di ripagare un debito contratto da Hongo in passato, solo perché lui è diventato concime per margherite?»

«Non le faccio io le regole, Tsubasa.» Cris era diventato serio «La decisione finale spetta a te, sei il capo, noi ti seguiremo. Hai chiesto la mia opinione e te l’ho fornita, ora è tutto in mano tua.»

Tornò ad osservare il mare, che languido nella notte continuava la sua risacca perpetua: aveva scelto Santos proprio per l’oceano, per le emozioni che gli trasmetteva e per la calma che gli ispirava. L’odore di salsedine lo rinvigoriva quando passeggiava in spiaggia, all’alba o al tramonto, per schiarirsi le idee. Ma in quel frangente avrebbe dovuto rimettere in discussione la vita di altre persone, e non sapeva se era pronto a prendere quel tipo di decisione.

«Andiamo a dormire, meu irmão. Domani ci penseremo.»

 

 

L’ultimo giorno prima della partenza: Yuzo si sentiva con le spalle al muro, anche se la tensione diventava meno palpabile man mano che la minaccia velata di Tanaka-san si allontanava nel tempo. Kei, quella mattina, si era anche azzardata a piegare le labbra in un mezzo sorriso, quando si erano incrociati nel piccolo corridoio di casa.

«Sono felice di aver trascorso del tempo con te, Yuzo-kun.» Tsubasa gli passò un braccio attorno alle spalle e lo sospinse all’esterno dell’officina. Mossero qualche passo nel piazzale polveroso e lasciarono che il calore del sole li avvolgesse come un abbraccio materno.

«Parto con il cuore pesante, Tsubasa. Quello a cui ho assistito…»

L’amico gli diede una pacca sulla spalla, per interrompere il discorso, poi gliela strinse, il che lo fece voltare verso di lui.

«Non devi preoccuparti, so badare a me stesso.» gli strizzò l’occhiolino.

«Non lo metto in dubbio, ma non c’è da scherzare, quando si ha a che fare con gli yakuza.»

Si rese conto che Tsubasa aveva serrato la mascella e lo stava fissando con aria indagatrice: forse avrebbe voluto minimizzare, vedeva già il fumetto uscire dalla sua testa con scritto “Yakuza-chi?”. Qualcosa però lo aveva fatto desistere dal suo intento.

«Ripeterò a te quello che ho detto a Tanaka-san: non c’entro più niente con Roberto, non ho intenzione di accollarmi il suo presunto debito, per nessuna ragione al mondo.»

«Sai di che si tratta?»

Lo vide volgere lo sguardo all’orizzonte, verso l’inizio della strada: l’officina si trovava nella parte centrale dell’isola, ed era vicina a una delle arterie principali della città, anche se si trovava comunque in una zona un po’ defilata vicina alla municipalità São Vicente e dirimpetto alla zona collinare che fungeva un po’ da confine tra le due zone.

«So solo che Roberto pensava di fare la cosa giusta, e lo era, forse. Peccato che per una sua decisione ci abbiano rimesso anche altre persone.»

«Il tuo incidente…»

«Bas!» Cristóvão li raggiunse correndo «Kei è impegnata con un fornitore, mi ha chiesto di andare a prendere Yuki a scuola.»

Proseguì la sua corsa fino al parcheggio antistante, dove salì sulla sua Skyline balzando all’interno dal finestrino aperto. Mise in moto e percorse il viale in terra battuta che collegava l’officina all’Avenida.

«Stasera prepariamo una cena tipica brasiliana, per salutarti a dovere. Domattina Cris si è offerto di accompagnarti in aeroporto, mi fido del fatto che arriverai in tempo.»

«Oh, non ho dubbi, ho già avuto modo di saggiare la sua guida.» ridacchiò «Credo che partiremo almeno mezz’ora prima, così sarò certo di non rimettere anche l’anima.»

«Guai a sporcargli i tappetini!»

«Credo che mi mancherà vederti aprire il cofano di un’auto per mettere le mani sul motore.»

«Ti mancherà anche vedermi tutto sporco di grasso dalla testa ai piedi.»

«In effetti ora capisco perché ti ostini a usare quella maglia logora.»

Tsubasa abbassò lo sguardo sulla maglietta senza maniche e Yuzo fu quasi certo che la osservasse con un sorriso nostalgico, come se quel pezzo di stoffa gli ricordasse qualcosa. O qualcuno.

«Coraggio, Cris tornerà a breve, ci prendiamo il pomeriggio libero per stare tutti insieme: Yuki ti adora, sarà difficile il distacco. Credo che ti toccheranno delle videochiamate, ogni tanto.»

«Beh, potresti sempre portarlo in Giappone, qualche volta: tua madre non l’ha mai conosciuto?»

Nonostante gli desse le spalle, percepì che Tsubasa si era irrigidito a quel commento, ed era convinto che sul suo volto si fosse formata quella ruga al centro delle sopracciglia che gli aveva visto anche nei giorni precedenti. Quando si voltò verso di lui, però, della ruga non c’era traccia, solo un sorriso amichevole solcava il suo volto.

«Mia madre non ha approvato certe scelte che ho compiuto, per questo non sono mai tornato. Lei e Keiko… non hanno mai legato molto, benché non si siano mai incontrare dal vivo. Kei non ha un carattere facile e mia madre non ha visto di buon occhio il suo subentrare a Sanae.»

Sentiva che quella sarebbe stata la confidenza più profonda che gli avrebbe mai concesso, così annuì con comprensione e si avviò al suo fianco: erano già all’interno dell’officina quando Cris arrivò alle loro spalle, derapando e sollevando un gran polverone. Il nissei scese dal veicolo lasciando il motore acceso e la portiera aperta, camminò verso di loro con lo sguardo serio e fissava un punto imprecisato alle loro spalle: Kei emise un grido che Yuzo non riuscì a interpretare, e gli corse incontro, iniziando a picchiargli i pugni sul petto, parlando in portoghese. L’altro cercò di abbracciarla e di farla calmare, mentre con lo sguardo cercava Tsubasa.

L’ex calciatore non emise un fiato: fissava la scena, gli occhi ridotti a due fessure, le mani serrate in due pugni e solo in quel momento Yuzo notò le nocche rovinate, domandandosi come avesse fatto a non notarlo prima.

«Kei.» la chiamò, la voce bassa e calma.

«Lo hanno preso, Tsubasa. Hanno preso Yuki.» urlò la giovane, rovinando a terra e piangendo disperata.

 

 

Nel salotto di casa Ozora era calato il silenzio, ora che Kei si era finalmente addormentata: Tsubasa era riuscito a calmarla dopo ore di pianto, grida, minacce urlate in entrambe le lingue, era addirittura arrivato a brancarla con la forza quando aveva afferrato le chiavi dell’auto ed era corsa fuori casa, diretta verso il garage.

Lui e Cristóvão non avevano parlato molto, in assenza dei padroni di casa, entrambi erano rimasti assorti nei loro pensieri: il nippobrasiliano era affossato nella poltrona, le braccia incrociate, lo sguardo fisso sul tavolino di fronte a lui, serio. Solo quando Tsubasa fece il suo ingresso nella stanza scattò in piedi.

«Io vado da Tanaka-san.»

«Ho appena convinto Keiko a non andare, non farmi ricominciare a elencare i motivi per cui non è una buona idea.»

«L’ha preso lui, Bas.»

«Credi che non lo sappia? È ovvio, ma cosa vuoi fare, presentarti da lui spalancando la porta a calci? Verresti fermato prima ancora di raggiungere l’ingresso.»

«Non se usiamo le armi.»

«Sono contrario, e lo sai.» Tsubasa si passò entrambe le mani nei capelli, fermandole alla base del collo e stringendo poi i gomiti davanti al volto «Non so che fare.»

«Facciamo quello che va fatto, Bas: andiamo a prenderci Yuki-chan.»

«In che modo lui fa parte del vostro debito?» Yuzo azzardò la domanda, nonostante comprendesse che non fosse il momento adatto.

«Non ne fa parte, è solo un modo per costringerci ad accettare il suo vile ricatto.»

«Bas...» a Yuzo sembrò che Cris avesse pronunciato il nome dell’amico con tono accondiscendente.

«Prepara l’auto, andiamo a San Paolo.»

Il meccanico espresse la sua gioia chiudendo la mano a pugno e tirandola indietro verso il fianco, facendo ondeggiare i bordi della camicia scozzese che indossava.

«Yuzo, tu stai qui con Keiko, e…»

«Perché non portarcelo dietro, invece?»

Sia lui che Tsubasa si voltarono verso Cris, con stupore. Il ragazzo si illuminò e portò le mani ai fianchi.

«Se andiamo al bairro da soli, desteremo sospetti, e neanche Marcinho ci dirà nulla. Ma se portiamo un ospite, e fingiamo che sia una serata tra uomini…»

A Yuzo non sfuggì il guizzo divertito nello sguardo del suo ex capitano: cercò di non badarci, seppure una parte di lui gli dicesse che non erano stati del tutto sinceri in quel frangente. Li seguì all’esterno e non discusse quando li vide salire entrambi sulla propria auto, anche se trovò assurdo usarne due: scosse il capo e si affrettò a salire con Tsubasa, che rise quando lo vide accomodarsi accanto a lui e assicurarsi saldamente alla cintura di sicurezza.

«Mi basta il viaggio di domattina.» si giustificò, alludendo al passaggio che Cris si era offerto di dargli per l’aeroporto «Anche se… posso rimanere, se vuoi.»

L’altro strinse il volante, mentre con l’acceleratore premette un paio di volte a vuoto per far ruggire il motore, ma non rispose: si limitò a un lieve cenno d’assenso che Yuzo pensò di essersi solo immaginato, da tanto che era stato impercettibile.

Il viaggio durò un’ora e mezza, durante la quale il suo sguardo vagò sui boschi che costeggiavano la rodovía, così verdi e lussureggianti di giorno, così scuri e ambigui ora che li osservava al crepuscolo. Il suo compagno di viaggio pronunciò la prima parola solo quando parcheggiarono di fronte a un locale, voltandosi verso di lui e facendosi serio.

«Non dare confidenza agli estranei, non accettare niente da bere, non lasciare che nessuno ti convinca ad appartarti.»

Non comprendendo il perché di quelle raccomandazioni, si sporse per leggere il nome del locale. Il Café Central non aveva l’aria né di un locale a quattro stelle, né di una bettola, ma si uniformava con l’aspetto generale del quartiere.

«Sto iniziando a preoccuparmi.» deglutì rumorosamente, maledicendosi per non essere rimasto a casa, benché fosse solo l’atteggiamento di Tsubasa a metterlo nel panico.

«No, solo se tu fossi omofobo o di mentalità poco aperta dovresti farlo.» replicò l’altro, scendendo dall’auto, pero poi voltarsi e chinarsi nell’abitacolo «Non hai nulla contro gli omosessuali, vero?»

«Oh beh, io…»

Scese dal veicolo e lo raggiunse, girando attorno all’auto.

«Vuoi dirmi che tu…» ma non poté terminare la frase perché Cris li raggiunse in quell’istante, e aveva l’aria di uno che si era appena divertito parecchio, ma non comprese il senso delle frasi che stava pronunciando perché erano tutte in portoghese. Capì solo che stavano parlando di lui quando li vide parlottare fitto fitto e voltarsi di tanto in tanto nella sua direzione, poi fu Cris ad affiancarsi a lui e sospingerlo verso l’ingresso, posandogli una mano alla base della schiena.

«Coraggio, ci meritiamo un aperitivo, ma al ritorno devi promettermi di farmi compagnia.»

L’interno del locale era piuttosto buio, e gli avventori erano pochi: un ragazzino che, al banco, sorseggiava svogliatamente una birra, un paio di ragazze in abiti succinti sedute a uno dei tavoli tondi che fronteggiavano il bancone e un gruppo di uomini che giocavano a biliardo nella stanza attigua, separata dalla loro solo da un paio di colonne.

«Olá Marcinho

Tsubasa aveva salutato in maniera molto espansiva il ragazzo dietro al bancone intento ad asciugare dei bicchieri: i due si erano scambiati una stretta affettuosa, e il barista aveva subito tirato fuori tre birre in bottiglia dal frigo alle sue spalle.

«Sai giocare a biliardo?» gli domandò Cris, dandogli di gomito.

«No, io… non ho mai provato.»

«Vieni, ti spiego le regole.»

Raggiunsero il gruppo di uomini e Yuzo si rese subito conto del perché Tsubasa gli avesse posto la domanda sull’omofobia, poiché si sentì come mucca pronta a essere macellata. Tutti i presenti interruppero le loro attività per voltarsi verso di loro, e se a Cris riservarono un’occhiata veloce, con lui si presero tutto il tempo per squadrarlo.

Uno degli avventori, che stava ingessando la stecca, gli strizzò l’occhio e socchiuse le labbra, come ad allungargli un bacio: Yuzo si irrigidì, e Cris dovette notarlo perché pronunciò una frase in portoghese, che venne accolta con un coro di borbotti, e la ripresa delle loro attività.

«Che gli hai detto?»

«Che sei già impegnato.» cinguettò, posandogli un braccio sulla spalla «Così non ti daranno troppo fastidio.»

Si voltò di scatto verso di lui e se lo ritrovò per la seconda volta a pochi centimetri dal naso: gli occhi di Cris, iridi scure screziate di verde, un colore che raccontava molto del dualismo che albergava in lui, lo osservavano divertite, come se sapessero già qualcosa che nemmeno lui era ancora riuscito a spiegare, o spiegarsi. Il suo cuore ebbe un tuffo, lo sentì rivoltarsi nel petto come se stesse ballando il samba, il che si addiceva molto alla situazione. Il momento si interruppe quando sentirono un rumore alle loro spalle, proveniente dalla zona bar.

«Cristóvão!»

L’urlo di Tsubasa fece scattare il nissei, che corse nella sua direzione: gli vide infilare la porta, e capì in quel momento che il rumore che avevano udito era lo sgabello su cui era seduto il ragazzino. Era caduto? Era fuggito?

«Yuzo, andiamo!» lo esortò Tsubasa, al che si riscosse e lo seguì.

Montarono sull’auto e partirono all’inseguimento di Cris che, a sua volta, stava pedinando una moto. Non riusciva a vederla bene, ma gli sembrava di piccola cilindrata, scura e senza targa.

Al secondo semaforo bruciato, Yuzo fu tentato di saltare giù dal veicolo: la guida di Tsubasa era perfetta, ma troppo spericolata per i suoi gusti. Oltre a essere passati più volte col rosso, stavano facendo lo slalom tra le vetture, rischiando di fare un frontale con quelle che arrivavano nel senso di marcia opposto.

«Non credi che dovresti frenare un po’?»

«Quel filho da puta sta andando da Tanaka-san a dirgli che siamo in giro a fare domande. Se non lo fermiamo, sarà la fine.»

«Cosa può essere peggio di morire in un incidente stradale!» gridò Yuzo, cercando di aggrapparsi con la sinistra al sedile per evitare di essere sbalzato fuori all’ennesima curva in derapata.

«Non morirà nessuno, Yuzo, so quello che faccio.»

Doveva riconoscergli la fermezza: nonostante la situazione fosse delicata, Tsubasa continuava a guidare con gli occhi incollati alla strada, scalando continuamente le marce per mantenere la velocità costante e non subire contraccolpi.

«È in questo modo che sei rimasto ferito?» gli domandò, cercando di recuperare una posizione sicura.

«No.» la risposta era stata decisa «Io ero l’inseguito.»

«Che cosa!?»

«Merda.» Tsubasa afferrò un microfono da ricetrasmittente che era appoggiato sopra il cambio «Cris, il ponte sul fiume è crollato, rallenta.»

Il CB gracchiò appena, poi la voce di Cristóvão giunse chiara.

«L’ho quasi raggiunto, ce l’ho!»

«Hai lui ma non hai il ponte! Lui può anche saltare, ma tu finisci a salutare i pesci. Fermati!»

La radio gracchiò nuovamente, ma la risposta si perse. Man mano che si avvicinavano al ponte, le imprecazioni di Tsubasa aumentavano: la zona era un cantiere aperto, piena di camion e gru per la messa in sicurezza del ponte. In un attimo, videro la moto salire di spinta su un ribaltabile per prendere velocità e lanciarsi dall’altra parte. Le luci posteriori della Skyline di Cris si accesero, a indicare la frenata, quindi l’auto piegò a destra e si fermò a pochi centimetri dallo stesso camion. Tsubasa inchiodò a sua volta e scese al volo, imprecando in portoghese.

Yuzo non si mosse, aveva il cuore in gola e l’adrenalina a mille: non poteva tornare a Nankatsu e raccontare quello che aveva appena vissuto, lo avrebbero preso per pazzo visionario e nessuno gli avrebbe mai creduto.

 

1 hafu: dall'inglese half, metà, è un termine giapponese usato per indicare i figli di unioni tra giapponesi e stranieri. Dovrebbe avere un'accezione neutra 

 

2Irmão: fratello.


Ed eccola, la bomba che esplode! 

Come mi è stato fatto notare, non mi piace lasciare i personaggi troppo tranquilli, ma in fondo hanno avuto i cinque anni precedenti per rilassarsi ^^ *ride* 

Yuzo inizia a farsi delle domande su Yuki, ma non fa in tempo a esporre i suoi dubbi perché proprio il bambino scompare - che crudeltà. 

I nostri amici tornano finalmente a San Paolo dopo tanto, il bairro (no, non è un errore di battitura, in portoghese si scrive proprio così) li accoglie malamente, direi. 

E adesso che succederà? Il ragazzo sulla moto è sfuggito e non ha dato modo a Cris e Bas di "intervistarlo". La vita di Yuki sarà davvero in pericolo? 

Che pathos *blink*

Um abraço 

La Sakura 

 

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Capitolo 4
*** Sakazuki ***


Velozes e Furiosos

Sakazuki

L’alba era ancora lontana, ma lui non riusciva a dormire: continuava a fissare quell’enorme macchia scura che era l’oceano, e comprese solo in quell’istante i motivi che avevano spinto Tsubasa a comprare quella casa.

Il rumore della risacca risuonava in quella piccola veranda e, nonostante gli spifferi d’aria, che l’avevano obbligato a mettersi una coperta addosso, si sentiva in pace col mondo intero.

«Stai bene?»

Il padrone di casa, quasi evocato dalla sua mente, si accomodò accanto a lui e gli porse una birra, che lui rifiutò.

«Chi è la persona con cui ero in auto?»

«Ti presento il nuovo Tsubasa: non gioco più a calcio, riparo auto, e nel tempo libero rincorro yakuza per le strade di San Paolo.»

«Non scherzare.» sbuffò, contrariato «Quello che ho visto non è l’atteggiamento di uno che non ha idea di chi o cosa sia la yakuza, come hai cercato di farmi intendere. Tu sei…»

Il ragazzo alzò la mano sinistra, e aprì bene le dita per mostrargli la presenza di tutte le falangi.

«Non serve avere tutte le dita per dimostrare che non sei uno di loro.»

«Devo denudarmi così puoi constatare che non ho tatuaggi?»

«Non voglio più partire.» decretò, distogliendo lo sguardo «Voglio aiutarvi a ritrovare Yuki-chan.»

«Con tutto il rispetto, Yuzo…» ma non gli permise di replicare, scagliando con veemenza la coperta per terra e alzandosi in piedi.

«Con tutto il rispetto un corno. Mi avete portato in quel locale per fare da esca e distrarre i presenti, così da poter parlare liberamente col vostro amico.»

«Cosa te lo fa pensare?» nascose la domanda dietro a un sorso di birra.

«Credi che non abbia visto come mi guardavano?»

Tsubasa non replicò, lo sguardo fisso sull’orizzonte che poco prima aveva catturato anche la sua, di attenzione. Solo dopo aver riflettuto a lungo, più o meno mezza birra, si alzò e lo fissò negli occhi.

«Non è un gioco, Yuzo.»

«Non l’ho mai pensato.»

«Se ti vedranno con noi, rischi di essere associato a…»

«Che importa? Ormai è fatta.» sbuffò, alzando le spalle «E Cristóvão ha già detto loro che sono “impegnato”, pensi che non ci abbiano associato?»

«Cris ne sarebbe sicuramente felice.»

Il tono della conversazione stava decisamente virando su una piega inaspettata, Yuzo doveva ammetterlo.

«Che vuoi dire?»

«Che sei il suo tipo.» decretò l’altro, non prima di aver preso tempo terminando la birra.

«Oh.»

Una rivelazione che non si sarebbe mai aspettato: quindi Cris era gay, era questo che Tsubasa gli stava dicendo?

«Io non…»

«Non voglio che tu faccia coming out, Yuzo, non mi interessa il tuo orientamento sessuale. Che tu sia gay, etero o altro, io devo comunque proteggerti, finché sei sotto a questo tetto. È ciò che si fa in famiglia.»

«Família.» pronunciò, piegando automaticamente le labbra in un leggero sorriso.

«Família.» concordò l’altro, annuendo prima di voltargli le spalle e lasciarlo solo con l’alba che faceva il suo timido ingresso colorando l’orizzonte.

 

 

Nonostante la situazione, erano comunque venuti in officina per aprire al pubblico e destare meno sospetti possibili: gli uomini di Tanaka-san li tenevano sicuramente sotto controllo, e meno avessero dato l’idea di essere in procinto di attaccarlo, meno sarebbero stati in pericolo.

Con grande rammarico di Keiko, Yuzo non era partito: Tsubasa le aveva spiegato le sue ragioni e doveva ammettere che sapere che si sarebbe messo a loro disposizione per salvare Yuki le scaldava il cuore e le faceva aggiungere una tacca a suo favore, nella sua personale lista di gradimento.

«Stai bene?»

Tsubasa glielo aveva chiesto a cadenza regolare, e di certo le occhiaie che segnavano il viso non lasciavano spazio a molte interpretazioni su come avesse trascorso le nottate precedenti.

«Credi che il piano stia funzionando?»

«Sicuramente ci tengono d’occhio: Cris voleva andare da Márcio per sincerarsi delle sue condizioni, ma i suoi contatti nel bairro dicono che è tutto tranquillo.»

«Che facciamo, Tsu-chan? Adesso aspettiamo che la situazione si calmi, e sono d’accordo, ma dopo? Qual è il piano per salvare Yuki?»

Non le rispose subito: si voltò verso il centro dell’officina, dove Cris stava cambiando l’olio a una Mustang del 69.

«Se vendiamo l’officina e qualche auto, possiamo racimolare un po’ di grana per tamponare il debito, e dimostrare la nostra buona volontà.»

«No, non esiste, non ti permetterò di perdere anche questo.» era categorica a questo riguardo.

«E che altro dovremmo fare, Kei.»

Lei sapeva cosa avrebbe dovuto fare, ma fino a quel momento non aveva avuto il coraggio di muoversi in quella direzione.

«Fammici pensare, ok? Se vendiamo il Bas Garage, dovremo reinventarci da zero: io non so fare altro, Tsubasa. Mi ci vedi a fare la commessa?»

«Spaccheresti il naso al primo cliente maleducato.» replicò divertito, carezzandole una guancia.

«Appunto.» sorrise a sua volta.

«Vieni qui.» la accolse in un abbraccio che lei non rifiutò. Il profumo dell’uomo che le stava accanto da cinque anni la avvolse, misto all’odore di benzina che aveva caratterizzato la sua infanzia. Chiuse gli occhi e prese un profondo respiro, ora sapeva cosa doveva fare per proteggere la sua famiglia.

«Ti spiace se vado a casa?»

«No, vai pure. Ci vediamo stasera, ok?»

Le depositò un bacio sulla fronte e la lasciò libera di andare: lo osservò mentre raggiungeva Cris sulla Mustang per dare le ultime direttive prima di metterla in moto, quindi uscì velocemente.

Una volta a casa, parcheggiò la Supra di Tsubasa sul retro e si diresse verso il garage: spalancò le porte in legno e la luce del pomeriggio illuminò l’ambiente buio, al cui centro spiccava un’auto coperta da un telo blu scuro. Ne carezzò i contorni, costeggiandola, quindi una volta sul davanti ne sollevò un lembo e lo tolse del tutto, portandosi una mano alla bocca per proteggersi dalla polvere.

L’arancione acceso della carrozzeria brillò alla luce del sole che filtrava dall’ingresso.

«Ciao, bambina mia.» sussurrò.

Avvolse il telo alla bell’e meglio e lo appoggiò sulla scaffalatura, quindi aprì il cofano per ricollegare i cavi della batteria e quando si mise al volante pregò che si mettesse in moto. Il rombo cupo e familiare la rincuorò e la riportò indietro di almeno dieci anni.

«Andiamo a riprenderci Yuki.»

 

 

Non ci fu bisogno di avvisare del suo arrivo, sembrava quasi che Tanaka-san la stesse aspettando. Una delle guardie del corpo la perquisì malamente prima di consentirle l’accesso alla struttura. L’edificio di Tanaka-san era il più alto e moderno del bairro da Liberdade, per dimostrare e ricordare a tutti chi fosse il capo.

«Noshimuri Keiko.» pronunciò il suo nome come se la annunciasse a sé stesso «Non mi aspettavo una tua visita così… presto.»

«Avrà saputo la grave notizia, Tanaka-san.» cominciò con un inchino, cercando di apparire il più servizievole possibile.

«Qualcuno deve avermi accennato al fatto che tuo figlio è scomparso, è così?»

«È così.» annuì lei, restando a debita distanza. L’uomo era seduto in un divanetto di legno pregiato, imbottito con cuscini di velluto rosso che spiccavano sul rovere della finitura lucida. Attorno a lui, quattro file di guardie erano disposte in semicerchio in modo da proteggerlo, come se lei potesse essere pericolosa, dopo essere stata perquisita. Non aveva armi con sé, non in quel momento: sapeva della perquisizione, e nonostante non sempre sposasse la filosofia di Tsubasa sul “niente armi”, aveva cercato di presentarsi con l’approccio meno bellicoso possibile.

«Immagino che tu sia qui per chiedermi aiuto.»

«Sono qui per chiederle di restituirmelo, Tanaka-san.»

Approccio diretto. L’uomo alzò un sopracciglio e lei sperò di non essere stata troppo avventata.

«Cosa ti fa pensare che io abbia preso tuo figlio, giovane Noshimuri?»

«Il debito di Roberto. Sono disposta ad accollarmelo io, dato che…» chiuse gli occhi, cercando di reprimere il singulto «Dato che l’aveva contratto per liberare mia sorella.»

Tanaka-san rimase in silenzio, non disse nulla. Dopo qualche istante, schioccò le dita, e di tutte le guardie presenti ne rimase solo una, vicina all’ingresso: tutte le altre si dileguarono in silenzio, come temibili ninja.

«Tua sorella era una mia proprietà, Keiko-san, e Roberto si è indebitato con me per garantirle la libertà e una vita migliore.» si alzò in piedi e si diresse verso una credenza che Keiko notò solo in quel momento. Aprì un’anta, prese un vassoio su cui erano posizionati una teiera in pregiata porcellana e due tazzine dello stesso materiale, quindi tornò al suo posto. La guardia all’ingresso si mosse alle sue spalle per chiudere lo sportello, salvo poi riprendere la sua posizione.

«Lo so, Tanaka-san. Conosco la storia.»

«E dimmi, Keiko-san.» posò con dovizia il vassoio su un tavolino basso e sollevò la teiera per versarne il contenuto «È servito? Il sacrificio di Roberto è servito allo scopo?»

Lo osservò con cautela, non capendo dove volesse andare a parare: l’anziano si avvicinò a lei e le porse la tazzina – sakè – e tornò alla sua posizione, sul divanetto.

«Temo di non aver compreso la domanda, Tanaka-san.»

L’uomo sorrise, soddisfatto.

«Tua sorella sta conducendo una vita migliore, Keiko-san?»

Si trattenne dallo stringere la porcellana tra le sue mani per evitare di romperla, ma la tentazione di spaccare qualcosa era forte.

«Mia sorella è morta cinque anni fa, Tanaka-san.»

«Capisco. Cinque anni.» annuì, chinando il volto sul suo sakè per annusarlo «E, dimmi, Keiko-san: cinque anni non è anche l’età di Yuki Noshimuri Ozora?»

Il cuore le perse un battito, poi un altro, e un altro ancora. Non poté evitare che il suo respiro accelerasse e che il panico le invadesse la gabbia toracica.

«È così, Tanaka-san.» si limitò a dire, abbassando lo sguardo.

«E sia, Keiko-san: ripagherai il debito di Hongo-san, diventando una mia proprietà. Potrò disporre dei tuoi servigi a mio piacimento, in qualunque momento, in qualunque modo. Kanpai

Alzò la tazzina verso di lei, aspettandosi che lei facesse altrettanto. Keiko abbassò lo sguardo sul liquido trasparente, prendendo consapevolezza di ciò che stava per fare.

«Yuki e Tsubasa saranno liberi?»

«Questo è l’accordo.» assentì l’uomo.

«E sia.» mormorò lei, portando la porcellana alle labbra.

Uno sparo proveniente dall’ingresso la fece sobbalzare: voci concitate, confuse, non riusciva a comprendere.

«Che sta succedendo, là fuori?» esclamò Tanaka-san, visibilmente contrariato. La guardia aprì la pesante porta in legno e in quel momento Tsubasa e Cris fecero il loro ingresso, a passo di carica.

«Siete impazziti?!» li apostrofò Keiko, recuperando il suo piglio da donna-alfa «Pensavate di sfondarla a spallate?»

«L’idea era quella.» si giustificò Cris, grattandosi la testa con imbarazzo mentre Tsubasa la superò e si piazzò tra lei e Tanaka-san.

«La festa finisce qui. Andiamo, Kei.»

«Non così in fretta, giovane Ozora.» lo redarguì l’oyabun, raggiungendolo a passi lenti «Stavamo stipulando un accordo.»

«Se lo può scordare.» Tsubasa sostenne il suo sguardo, raddrizzandosi sulla schiena.

«È così, Keiko-san? Il nostro sakazuki salta?»

«Lei ha rapito un bambino di cinque anni per un fantomatico debito contratto da una persona che è morta, Tanaka-san. Morta. Roberto Hongo non è più su questa terra, e il suo debito se n’è andato con lui. Finiamola con questa pagliacciata, e ci lasci liberi di vivere la nostra vita, per tutti gli Dei.»

«I nostri debiti ci perseguitano, giovane Tsubasa, così come il nostro passato. Dovresti saperlo.» e, così dicendo, abbassò lo sguardo a indicare la sua gamba destra.

«Il passato è passato, non può più far male. Ma il futuro, il mio, quello di Keiko, e ancor più quello di Yuki, possono e devono essere liberi dagli errori di chi ci ha abbandonato.»

«Le tue parole sono molto sagge, Tsubasa-san. Molto più di quanto mi aspettassi: è chiaro che sei un buon capo, per il tuo clan.»

Lui scosse il capo, per dissentire.

«Non c’è nessun clan, Tanaka-san, solo… una famiglia.»

L’oyabun aveva ascoltato con molta attenzione le sue parole: quando voltò loro le spalle, Keiko e Cristóvão raggiunsero Tsubasa e gli si strinsero accanto.

«E chi ripagherà il debito? Chi mi darà ciò che mi spetta?»

«Non vorrà farci credere che tutto il suo castello crollerà, se le mancheranno quei soldi.»

Cris si era preso la libertà di intervenire, eppure il suo commento non indispettì l’oyabun: Tanaka-san lo osservò divertito.

«Oh, no, Cristóvão-san, non si tratta di vil danaro. Che figura ci farei se vi facessi uscire da qui senza la punizione che vi spetta? La gente penserebbe che ho perso il mio smalto, che la mia autorità non vale più nulla.» scosse il capo, chiudendo gli occhi e sottolineando il gesto con uno schiocco della lingua «Dovrete darmi qualcosa in cambio della vostra libertà.»

Rimasero in silenzio, attendendo che l’oyabun si risolvesse a parlare: l’uomo si prese tutto il suo tempo per formulare la sua proposta.

«Nei prossimi giorni è atteso sull’isola di São Vicente un container che dovrà partire per l’Europa. Voi abitate a Santos, non desterete sospetti se vi vedranno bazzicare la zona del porto.»

Keiko si irrigidì: aveva già compreso dove volesse andare a parare l’uomo.

«Con tutto il rispetto, Tanaka-san, noi non siamo qualificati per questo genere di attività.»

«Non sarete da soli, ovviamente.» l’oyabun si voltò verso una delle guardie, annuendo, e questa uscì dalla stanza.

«Cosa dovremmo fare?»

«Il container è presidiato dai membri del PCC, che hanno il compito di difenderlo fino al momento della partenza. Voi non dovete far altro che prendere il contenuto e portarlo in un hangar di mia proprietà all’aeroporto Guarulhos, dove i miei uomini se ne occuperanno. Da lì, sarete liberi.»

«E noi dovremmo metterci contro quelli del PCC? Se lo può scordare.» Tsubasa aveva pronunciato quella frase con astio, senza premurarsi di avere riguardo del codice di rispetto verso l’anziano.

«Forse non mi sono spiegato.» Tanaka-san percorse i pochi metri che lo dividevano da loro e si piazzò davanti a Tsubasa «Voi non avete scelta, se volete essere liberi. Perché se non farete ciò che vi dico, o se fallirete nella missione, il Primeiro Comando da Capital sarà l’ultimo dei vostri problemi.»

Keiko lanciò un’occhiata di sottecchi a Tsubasa: lo vide contrarre la mascella e fissare dritto negli occhi l’oyabun. Sperò con tutta sé stessa che non lo sfidasse, non in quel frangente, non quando erano direttamente nella tana del lupo e, soprattutto, non quando non sapevano ancora dove fosse nascosto Yuki.

«Accettiamo.»

Si accorse di aver pronunciato quelle parole solo quando sentì il peso degli sguardi di Tsubasa e Cris su di lei. Tanaka-san le sorrise, annuendo, e voltò loro le spalle, mentre una guardia li scortò poco delicatamente verso l’uscita.

 

 

Sapeva di aver compiuto una mossa sconsiderata, ed era consapevole di aver pugnalato alle spalle i suoi amici, ma non vedeva altra soluzione, Tsubasa lo avrebbe capito, glielo avrebbe spiegato.

Il ragazzo, che aveva preso il posto di guida sulla sua Eclipse per il rientro a Santos, non aveva ancora pronunciato alcuna parola, nonostante fossero quasi giunti a destinazione. Alle loro spalle, i fari della Skyline li illuminavano, rimanendo a distanza di una decina di metri, rassicuranti come un rifugio nel bosco in un giorno di pioggia.

«Ho fatto quello che ho ritenuto opportuno.»

Tentò l’approccio, ma l’unica cosa che ottenne furono le mani di Tsubasa che strinsero il volante: allungò una mano per carezzargliene una, ma il ragazzo non reagì al tocco.

«Hanno Yuki… è tutto ciò che ho…»

«Spero che tu capisca che, accettando questo ricatto, hai messo me e Cris nella condizione di diventare carne da macello per la yakuza. Non ci lasceranno mai liberi, Kei, mai.» sebbene non stesse urlando, la sua voce bassa le rimbombò nelle orecchie.

«Non mancherà alla sua parola.»

«I suoi amici casualmente avranno delle armi, e sempre casualmente da quelle armi partiranno dei colpi che ci prenderanno alla schiena. Cadremo in mare, saremo dati per dispersi, e addio mondo. Addio Yuki.»

Keiko si ritrasse, incrociando le braccia al petto: odiava quando Tsubasa le esponeva la cruda realtà dei fatti, ma era convinta che si sbagliasse, non sarebbe andata così, sarebbero sopravvissuti e avrebbero cominciato una nuova vita.

«Potremmo andare in Giappone, dopo.»

Lui non rispose, ma lei lo conosceva abbastanza da sapere che la stava ascoltando, dandole il beneficio del dubbio, così si sporse nuovamente verso di lui.

«Una volta giunti all’hangar di Tanaka-san, possiamo recuperare Yuki e partire subito per il Giappone. Potrai tornare a casa, rivedere tua madre, tuo fratello. Sanae.»

«Se non moriremo, Keiko.»

«Non morirai, è una promessa.»

Lui mantenne lo sguardo fisso sulla strada, mentre la Mitsubishi che conduceva continuava a mordere l’asfalto ai 130 km/h, ma di nuovo Keiko lo conosceva abbastanza da sapere che la sua controproposta aveva trovato terreno fertile in lui.


Che cos'è il sakazuki?

Non è altro che il rito di iniziazione tramite il quale ci si lega con la yakuza, letteralmente signica proprio "scambio di sakè". 

Il rito è molto più complesso di quello descritto qui, ma ho voluto comunque menzionarlo per far capire il tipo di legame che Keiko stava per accettare, che è un po' il filo della storia che li ha portati fino a qui. 

Sì, perché scopriamo che Roberto ha contratto il debito per liberare la sorella di Keiko dall'influenza dell'oyabun, anche se le cose poi non sono andate come sperato. E Tsubasa interrompe a sua volta il rito che avrebbe legato Keiko a Tanaka-san, anche se alla fine l'oyabun cade sempre in piedi. 

Ora dovranno portare a termine la missione affidatagli dallo yakuza, anche se Tsubasa non sembra proprio convinto: basterà la promessa di tornare in Giappone per fargli tornare il sorriso? Kei ne sembra certa... 

Grazie come sempre a chiunque stia leggendo la mia storia. 

Um abraço 

Sakura 

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Capitolo 5
*** Lar ***


Velozes e Furiosos

Lar

Yuzo si alzò in piedi non appena la serratura della porta scattò: Keiko fece il suo ingresso e lo osservò con aria quasi colpevole, salvo poi sorridere, soffermando lo sguardo sulla tavola imbandita.

«Hai preparato da mangiare.»

«Non sapevo quando sareste tornati, e così…»

«Per tutti gli Dei, questa sì che è una cena coi fiocchi!» Cristóvão si strofinò le mani, scostando rumorosamente una sedia.

«Vatti a lavare le mani, Cris.» lo redarguì Keiko, ricevendo per tutta risposta uno sbuffo lamentoso da parte del nissei.

«Grazie mille, Yuzo.» Tsubasa si lasciò andare pesantemente su una sedia, e iniziò a massaggiarsi gli occhi.

«Avete...?»

Non terminò la frase, attese che qualcuno la completasse e gli rispondesse.

«No, non abbiamo trovato Yuki. In compenso abbiamo vinto una bella gatta da pelare.»

«Bas…»

«No, Kei.» la zittì, alzando una mano «Hai parlato abbastanza, per oggi. Mi sembra di essere tornato indietro di otto anni.»

Cenarono in silenzio, ognuno assorto nei propri pensieri, e allo stesso modo si ritirarono nelle loro stanze, dopo che Yuzo si era offerto di mettere a posto. Si accorse che Keiko si era rintanata nella cameretta di Yuki, lasciando a Tsubasa l’uso esclusivo della matrimoniale che normalmente occupavano.

Percorse il breve corridoio che dalla cucina portava al salottino, quindi aprì la scorrevole che dava sulla veranda e, dopo aver recuperato il suo fidato plaid, si sedette su una poltroncina. Non passò molto tempo prima che Tsubasa lo raggiungesse, birra alla mano, e si sedesse accanto a lui.

«Vorrei potervi aiutare, in qualche modo.»

«Beh, se hai una bacchetta magica, questo è il momento giusto per utilizzarla.»

Sorrise alla battuta, sperando di non risultare irrispettoso.

«No, nessuna magia a portata di mano, purtroppo.»

«Dobbiamo recuperare un carico in partenza nei prossimi giorni e portarlo in un luogo sicuro di Tanaka-san. Questo carico è di proprietà di un’organizzazione criminale della zona, quindi è come andare diretti in braccio alla morte.»

«Capisco…» e capiva davvero. Rimasero in silenzio qualche istante prima che egli stesso ebbe il coraggio di porre la domanda veramente cruciale «Di che debito si tratta, Tsubasa?»

Il ragazzo non rispose: sorseggiò la birra, lo sguardo fisso sull’orizzonte. Solo quando l’ebbe finita, si sporse verso di lui e lo guardò negli occhi.

«Quando mi sono trasferito qui, Roberto frequentava la sorella di Keiko. Andava tutto bene, fino a quando i loro genitori non morirono in un incendio, l’anno successivo al mio arrivo. Keiko era ancora minorenne, così sua sorella ne prese la custodia, ma non avevano più nulla, così per sostentarsi si rivolse a Tanaka-san.»

«Anziché chiedere aiuto a voi, è andata dall’oyabun?»

«Lei e Roberto ebbero una brutta discussione a questo riguardo, e si lasciarono: lei aveva iniziato a mentire, era strana, e quando abbiamo scoperto che si prostituiva per ripagare il debito, Roberto non ha retto il colpo.»

«Posso immaginare…» Yuzo cominciò a temere il peggio, da quella storia.

«Avevamo quasi diciott’anni quando è tornata: un cliente l’aveva picchiata quasi a morte, era piena di lividi, il volto irriconoscibile… abbiamo fermato Roberto per un soffio, l’avrebbe ammazzato quel bastardo. Non abbiamo potuto però impedirgli di andare da Tanaka-san e offrirsi di ripagare il debito di Yukiko, rendendola libera.»

Yukiko. Verosimilmente la bambina della neve. Gli tornò in mente la chiacchierata con Yuki riguardo il kanji del suo nome.

Tsubasa si era interrotto: fissava un punto indefinito del pavimento, rigirandosi la bottiglia ormai vuota tra le mani.

«Cos’è successo, dopo?» lo incalzò.

«All’inizio gli chiedeva solo piccole cose, poca roba, sapeva che Roberto non aveva molte velleità da yakuza, così si limitava a commissionargli piccoli trasferimenti di somme di denaro, o di altre cose di cui ci teneva all’oscuro, finché non gli ha chiesto l’impossibile.»

«Così, da un giorno all’altro?»

Tsubasa si lasciò sfuggire un sorriso amaro, focalizzandosi sulla bottiglia di vetro.

«Era impossibile per lui perché era troppo affezionato a me.»

Di nuovo il brivido di terrore di poco prima, gli attraversò la schiena come una scarica elettrica.

«Che vuoi dire?»

«Tanaka-san aveva messo in piedi un giro di scommesse riguardanti il World Youth.»

«Stai scherzando!? Un oyabun del suo calibro?» quasi scattò in piedi.

«Che ti devo dire? Si vede che gli piaceva il calcio.» un altro sorriso amaro «La verità era che gli interessavano più che altro i soldi che la gente era disposta a scommettere, e quando ha visto che poteva guadagnare molto dalla sconfitta del Giappone, ha chiesto a Roberto di mettermi fuori combattimento.»

Ora sì che la scossa elettrica gli diede il colpo di grazia: si sollevò di colpo, lasciando cadere a terra il plaid e fissando l’amico con occhi e bocca spalancata.

«Il tuo incidente… è colpa di Roberto?»

«No.» Tsubasa si sollevò a sua volta, ma distolse lo sguardo «Mi mise al corrente della richiesta di Tanaka-san e insieme studiammo un piano per mettermi in salvo: sarei dovuto rientrare in Giappone prima del previsto, Roberto avrebbe contattato qualche sua conoscenza per sincerarsi della mia incolumità, ma non siamo mai arrivati all’aeroporto.»

Silenzio. Un silenzio spettrale che Yuzo non si sentì di interrompere. Capiva che quei ricordi dovessero essere molto dolorosi, lo capiva dallo sguardo sofferente di Tsubasa in quel frangente.

«Guidavo io, l’incidente è da imputare a me. Ci stavano inseguendo, ho stretto una curva, mi sono trovato davanti uno dei loro, ho sterzato per schivarlo e ho perso il controllo. Siamo finiti nel campo, ci siamo ribaltati una volta, due… Yukiko era dietro con Roberto, non aveva la cintura, non la indossava mai, lei…» chiuse gli occhi, e Yuzo era sicuro che stesse rivivendo quei terribili istanti.

«Kei e Cris erano su un’altra vettura, ci hanno raggiunti subito. Hanno chiamato i soccorsi, ma Yukiko non ce l’ha fatta… è morta prima di arrivare in ospedale, tra le nostre braccia.»

Alzò una mano per posargliela sulla spalla, per infondergli calore, per fargli sapere che lui c’era, era lì, ma desistette: non era nessuno, nella vita di Tsubasa, solo un ex compagno di calcio che si stava intromettendo troppo. Fece un passo indietro, per rispettare il suo dolore, ma rimanendo nel raggio di azione: aveva promesso di aiutarli, e così avrebbe fatto.

«Quello che è successo è stato un incidente, Tsubasa. Non puoi colpevolizzarti per quello. Sono sicuro che anche Yukiko la penserebbe così.»

«Keiko me lo ripeteva di continuo, i primi tempi, quando questo pensiero era diventato un chiodo fisso.» lo fissò finalmente negli occhi, e Yuzo vi lesse una sorta di rassegnazione.

«Io posso aiutarvi.»

Lasciò che l’altro metabolizzasse quelle parole, fino a quando il suo sguardo non divenne quasi di superiorità.

«E come può uno studente di storia che aspira a diventare insegnante essermi utile in uno scontro con la yakuza?»

«Come pensi che ci abbia trovato?»

La voce di Keiko risuonò nella veranda: entrambi si voltarono verso l’ingresso dove la donna, avvolta in una vestaglia bianca, li stava osservando a braccia conserte.

«Kei…»

«Come credi che ci abbia trovato, se non con degli agganci di quel tipo? Yuzo-kun non è così candido come tu e Cris pensate.»

Tsubasa passò ripetutamente lo sguardo da lui a lei, e di nuovo su di lui.

«È vero?»

«Ho i miei contatti e chi può aiutarmi – aiutarci – a salvare Yuki.» annuì, finalmente.

«E che contatti.» Keiko mosse qualche passo nella sua direzione e lo scrutò con attenzione «Shuzo Mori.»

Yuzo trasalì, ma sorrise: sapeva che se qualcuno era in grado di scoprirlo, quel qualcuno era proprio Keiko.

«Che stai dicendo.» Tsubasa intervenne «Lo conosco dalle elementari, questo è Yuzo Morisaki. Giusto?» si voltò verso di lui per conferma. Alzò le mani e gli sorrise.

«Sono io, sono Yuzo. Shuzo è mio fratello.»

Lo sguardo che gli riservò Tsubasa fu più che eloquente: passò dalla non comprensione allo stupore e la sua bocca aperta a O si fece sempre più larga.

«Tu sei il fratello di Shuzo Mori? Quel Shuzo Mori?»

«Gemello.» annuì «E vi aiuteremo a salvare Yuki. Ma voi dovete fidarvi di me.»

Spostò lo sguardo su Keiko che lo fissò con aria dura prima di annuire.

 

 

Cristóvão gli aveva chiesto – in realtà lo aveva quasi implorato – di fargli da spalla, ma non appena imboccarono il vialetto del Café Central e vide il pienone di auto, si maledì per aver accettato.

«Questa volta ti troverai di fronte a un locale un po’ diverso, ma valgono le stesse regole che ti aveva detto Tsubasa.» rallentò per cercare un posto libero nel parcheggio pieno.

«Come mai questa volta siamo da soli?»

«Perché il nostro amico in comune non è un fan delle armi, ma io mi sento maggiormente a mio agio con una pistola a portata di mano: siamo venuti a fare rifornimento. Il mio contatto sarà qui a breve, nel frattempo possiamo goderci la serata.»

Appena mise piede all’interno del locale, comprese immediatamente perché Cristóvão gli avesse parlato di un locale diverso. Sembrava che l’arredamento fosse stato cambiato completamente, come se premendo un tasto le pareti avessero ruotato su loro stesse, e mostrato un aspetto diverso.

Dove prima c’erano i tavolini, di fronte al bancone, ora comparivano due cubi, su cui due ragazzi in succinti abiti di pelle ballavano sculettando a ritmo – Limbo di Daddy Yankee sparata a tutto volume li agevolava nel tenersi in movimento. Il tavolo da biliardo era stato sostituito da una gabbia, dentro cui due ragazze erano intente a esplorare le reciproche tonsille, attorniate da gente che ballava. L’unica cosa che non era cambiata era il bancone, dietro al quale Márcio continuava ad asciugare i bicchieri mentre i baristi si sbrigavano a servire gli avventori.

«Vuoi qualcosa da bere?»

Rifiutò l’offerta e avanzò di qualche passo per osservare i due ragazzi sui cubi: sembravano a loro agio in quella situazione, nonostante quelle succinte mutande di pelle, abbinate a dei berretti in cordellino, non sembrassero il massimo della comodità. Si rese conto di essersi avvicinato troppo quando un ragazzo si voltò verso di lui e scudisciò nell’aria un frustino a nove code: arretrò di un passo e urtò Cristóvão, rimasto alle sue spalle.

«Mi spiace che tu ti senta a disagio.»

«Non mi sento a disagio.» alzò le mani, ma rimanendo vicino al suo volto per farsi udire meglio «Ammiro sempre molto chi riesce a esprimere la propria essenza in maniera totale.»

«Perché, tu non lo fai? A che pro reprimersi?»

Si scostò appena, per fissare il ragazzo negli occhi: Cris lo osservava con uno sguardo indecifrabile, a metà il curioso e il divertito. Non fece in tempo ad aggiungere altro perché il nissei si chinò su di lui.

«Devi sempre essere te stesso, o non sarai mai felice.»

Gli voltò le spalle ma lo prese per mano per far sì che lo seguisse: Yuzo notò che aveva puntato un tipo poco raccomandabile, vicino all’ingresso, che gli fece un cenno. Scambiarono qualche parola in portoghese, quindi il tizio indicò loro di seguirlo, non prima di essersi premurato di squadrarlo da capo a piedi.

Uscirono dal locale e lo costeggiarono lateralmente fino a raggiungere una scala in ferro: salirono al primo piano ed entrarono in una stanza dove altri tre ceffi erano seduti a tavola, intenti a pulire alcune armi. Cris gli sussurrò di rimanere accanto alla portafinestra da cui erano entrati, e si mise a disquisire col primo uomo, perfetto stereotipo del sudamericano bassino e sovrappeso, con due enormi baffi scuri che gli nascondevano la bocca.

La discussione divenne animata, a Cristóvão furono proposte varie armi, che lui rifiutò platealmente, fino a quando uno dei ceffi non sparì nella stanza contigua, per poi tornare con una spessa valigetta argento.

«Ora sì che ragioniamo.» mormorò il ragazzo, strofinandosi le mani e avvicinandosi per far scattare l’apertura. Yuzo era lontano, e non riuscì a vedere bene il contenuto, avendo anche la schiena di Cris a fargli da scudo, ma dalla sua reazione comprese che era proprio quello che stava cercando.

«Yuzo, prendi, portala giù. Io sistemo il mio conto.»

Cercò di muovere un passo nella sua direzione, ma un ragazzino, sbucato dal nulla – forse dalla portafinestra – gli si parò davanti e gli puntò contro un’arma.

Cris urlò qualcosa nella sua direzione, ma il ragazzino – che cavolo, era sicuramente minorenne – non si scostò di un centimetro. Solo quando Cristóvão minacciò di andarsene – o almeno così intuì dai suoi gesti e dal vociferare frenetico, l’arma fu abbassata e a lui fu permesso di prendere la valigetta.

«Prendila, scendi giù, vai all’auto e chiuditi dentro. Se ti seguono, o se ti minacciano, usala.»

«Non ho intenzione di usare un’arma, io…»

«Lo farai, se sarà necessario.» gli posò una mano sulla spalla e gliela strinse «Ora vai, pago questi gentiluomini e ti raggiungo, dopo possiamo andare a rilassarci da qualche parte.»

Annuì, cercando di mantenere un’espressione seria e ringraziando mentalmente la genetica per avergli dato un viso pulito ma la possibilità di assumere un’espressione neutra.

Fece tutto alla lettera, e quando si chiuse finalmente nella Skyline emise un sospiro di sollievo: tenne la valigetta stretta al corpo e sperò con tutto sé stesso che non diventasse necessario usarla. Shuzo lo avrebbe preso parecchio in giro, una volta che gli avesse raccontato quella scena.

Finalmente Cristóvão lo raggiunse, con una camminata leggera e fischiettando allegro.

«Tutto bene?»

«Sì, purtroppo i miei amici non vedono di buon occhio i giapponesi, ho dovuto convincerli che il tuo faccino d’angelo non nascondeva un letale serial killer. Certo, se sapessero chi è tuo fratello…»

«Non glielo avrai detto!» urlò, quasi in preda a una crisi isterica.

Cris scoppiò a ridere, mettendo in moto l’auto e spostando la valigetta sui sedili posteriori, per permettere a Yuzo di mettersi comodo.

«Non sono mica scemo! Andiamo, voglio mostrarti un posto.»

«Dove andiamo?»

Il suo guidatore non replicò, fino a quando non parcheggiò di fronte a un enorme parco.

 

 

Avevano parcheggiato l’auto e attraversato un piccolo prato prima di trovarsi su una larga ciclabile che fungeva anche da percorso pedonale. Di fronte a loro, un enorme lago rifletteva i raggi della luna e le poche luci dei lampioni che lo attorniavano.

Si lasciò sfuggire un moto di sorpresa, guardandosi intorno.

«Bello, vero? È il Parque do Ibirapuera. Seguimi.»

Giunsero a un punto dove l’acqua passava sotto al terreno, creando una sorta di ponte naturale: svoltarono a destra, superarono il planetario e si trovarono davanti a un edificio in stile giapponese.

«Cos’è?»

«Pavilhão Japonês, il padiglione giapponese. Vivevo qui, quando mia madre mi ha cacciato di casa.»

Si voltò di scatto verso di lui: Cris aveva le mani piantate in tasca, e osservava il luogo con una malinconia strana che gli velava gli occhi.

«Perché?» domandò semplicemente, senza tante cerimonie.

«Credo che per lei fosse già abbastanza difficile gestire il mio lato brasiliano, non l’ha mai accettato del tutto. Quando ha scoperto la mia omosessualità non ha retto il colpo e mi imposto di nasconderla, non voleva che portassi disonore sulla famiglia. Io mi sono rifiutato, e mi sono trovato la valigia fuori dalla porta.»

«Mi dispiace.»

«Se non fosse stato per Kei, Bas e Roberto, sarei diventato uno dei tanti meninos da rua che non arrivano alla maggiore età. Loro mi hanno accettato per quello che sono e mi hanno accolto come una famiglia. Loro sono una famiglia.»

«Questo l’ho capito già da un po’.» sorrise «Perché me lo racconti?»

«Perché è giusto che tu sappia chi siamo e da dove veniamo, il nostro retaggio. E perché voglio che tu ti senta a tuo agio con te stesso, ho l’impressione che tu non abbia molto modo di esprimere la tua vera natura.»

Sobbalzò, sentendo quelle parole: una parte di lui si sentì tradita, come se essersi messo a proprio agio lo avesse obbligato a scoprirsi, ma un’altra parte, quella che più si sentiva soffocare in quei panni, emise un grido liberatorio.

«Cerco di essere quello che sono sempre stato, senza forzature, perché quando ho cercato di esprimermi di più, non è andata benissimo.»

«La tua famiglia lo sa?»

«Sì, e non è stato un percorso semplice, ma alla fine hanno dovuto accettarmi.» non voleva dilungarsi in troppe spiegazioni.

«Quando l’hai capito?» Cris avanzò di un passo, diminuendo la distanza che li separava.

«Credo di averlo sempre saputo, l’ho realizzato in maniera definitiva quando mi sono innamorato di un mio compagno di squadra.»

«E com’è andata?» il nissei sembrava davvero curioso di conoscere la sua storia, e poneva le domande con molta delicatezza.

«Non bene, cioè… ci siamo frequentati per un periodo, poi lui ha capito che gli uomini gli piacevano solo per il sesso, mentre le donne per passarci la vita. Si è sposato l’anno scorso.»

«Mi dispiace.»

«Non dispiacerti, mi ha permesso di comprendermi meglio, io gli sono grato.»

Alzando lo sguardo su di lui, si accorse che Cris era a pochi passi di distanza e lo stava fissando: mosse un altro passo per accorciare la distanza, e alzò una mano per posargliela sulla guancia.

«Hai la pelle morbida come la immaginavo.» sussurrò. Yuzo deglutì, il cuore si agitava nel petto, non sapeva se scostarsi o lasciarlo fare, ma quando le labbra del nissei si posarono sulle sue, sentì solo il tocco delicato e il tempo che si fermò, come se d’un tratto avessero varcato le porte dello spazio-tempo e si trovassero in un buco nero.

Rimase fermo fin quando il ragazzo non si scostò e lo prese per mano.

«Andiamo, è ora di rientrare.» lo esortò, mantenendo la stretta salda e guidandolo nelle viuzze del parco.

 

 

Era passata una settimana dall’incontro con Tanaka-san, quando il suo braccio destro entrò in officina quasi all’ora di cena.

Keiko lo accolse in silenzio, mentre Cris non si risparmiò.

«Ehi, ma ti pagano per vestirti così da pinguino? Quel completo nero contrasta un sacco con la tua faccia da schiaffi.»

L’uomo non replicò, si limitò a togliersi gli occhiali da sole e fissarlo con aria truce.

«Cris, vedi di piantarla.» Tsubasa lo redarguì, prima di affiancarsi a Keiko.

«Tanaka-san vuole farvi sapere che domani sera dovrete recuperare il suo carico.»

«Beh, grazie del preavviso, Yamai-san.» le sfuggì con uno sbuffo, mentre incrociava le braccia al petto.

«Domani pomeriggio i vostri compagni di avventura vi raggiungeranno qui, e insieme vi recherete nel luogo prestabilito.» la ignorò, concentrandosi su Tsubasa «Avete già effettuato il sopralluogo?»

«Non serve.» Tsubasa si pulì le mani in uno straccio e se lo lanciò sulla spalla «Conosciamo il posto come le nostre tasche.»

«Sarà meglio per voi, Tanaka-san non ammette errori.»

«L’unico errore che ha commesso è stato quello di assumerti.» Cris si era affiancato a Keiko e continuava a sbeffeggiarlo. Lo yakuza si rimise gli occhiali, e voltò loro le spalle per uscire dall’officina.

«La vuoi piantare di prenderlo per il culo?» Tsubasa si sporse verso il nissei e gli mollò uno scappellotto.

«Ma è divertente.» piagnucolò l’altro, massaggiandosi la testa nel punto colpito.

«Non inimichiamoceli, per tutti gli Dei, che domani dovranno coprirci le spalle.» sbuffò Keiko «Ci atteniamo al piano?»

Tsubasa annuì, continuando a fissare il piazzale di fronte a loro.

«Andiamo a casa.»

Quando entrarono, Yuzo aveva appena terminato di apparecchiare.

«Siete in anticipo.»

«Domani è il giorno.» annunciò Tsubasa, senza convenevoli. Il suo ex compagno di squadra alzò lo sguardo su di lui e annuì.

«D’accordo, chiamo subito mio fratello.»

«Sei sicuro che…»

«Non vi lascio di certo qui immersi nella merda fino al collo.» replicò, secco.

«Che linguaggio: ti stai ambientando.» Cris gli diede un’amichevole pacca sulla spalla, prima di sedersi a tavola.

«Voi occupatevi del carico, io recupero Yuki-chan e vi aspetto in aeroporto.»

«Tu… cosa?» la risata le nacque dal profondo, ed era tutto fuorché una risata divertita «E tu vorresti recuperare Yuki dalle grinfie di Tanaka-san? E come faresti?»

«Dovrai fidarti di me, non hai molta scelta, Keiko.»

Si fissarono per qualche istante, e lei cercò disperatamente di aggrapparsi a quelle iridi nocciola che, a differenza di quando era arrivato, ora brillavano di una nuova determinazione. Era davvero in grado di recuperare il suo bambino e portarlo in aeroporto sano e salvo?

«Spero che tu sappia quello che fai, Morisaki: tutto quello che succederà a Yuki, lo subirai triplicato.»

Voltò le spalle e si chiuse in camera: si sedette sul letto e si prese la testa tra le mani, cercando di scacciare dalla mente tutti i pensieri che giorni le vorticavano nel cervello. Che dovevano fare? Dovevano guidare e basta: gli scagnozzi di Tanaka-san avrebbero aperto il container, riempito le auto con la refurtiva, e loro si sarebbero divisi per la città. Era utopistico pensare che sarebbero stati da soli, sicuramente su ogni auto avrebbe viaggiato uno dei tirapiedi dell’oyabun. Come avrebbero potuto liberarsene? Forse solo una volta giunti a Guarulhos.

Tsubasa entrò nella stanza in quel momento: richiuse la porta, quindi si sedette sul letto nella posizione opposta alla sua, percepì il materasso che si piegava sotto il suo peso.

«Sei pronta?»

«Devo solo guidare.» pronunciò, con un sorriso. Stava cercando di convincersene da giorni.

Tsubasa non replicò, ma se lo aspettava: dopo l’inseguimento a San Paolo, quando il ragazzino della yakuza era sfuggito a Cris, erano riaffiorati antichi ricordi. Si voltò e gattonò fino a lui, quindi si inginocchiò alle sue spalle e lo abbracciò, facendogli aderire la schiena al suo petto. Tsubasa sospirò, quindi le carezzò le braccia a sua volta.

«Solo guidare…» sussurrò. Keiko si sporse e gli depositò un bacio sulla guancia.

«Solo guidare.» confermò, sfiorandogli il volto con la punta delle dita «Sei bravo, lo sai fare.» e un nuovo bacio trovò la strada sul volto sbarbato del giapponese.

«Avrei preferito non doverlo fare mai più.»

«Andrà bene, Tsu-chan. Andrà bene, avremo nuovamente Yuki con noi, voleremo in Giappone e ricominceremo una nuova vita.»

Lui si voltò di trequarti, per fissarla in volto.

«Sei sicura di volerlo fare? Hai sempre sostenuto che il Giappone non era adatto a te, che non sarebbe mai stato la tua casa.»

«Vôcé é o meu lar. Tu sei la mia casa, Bas. Cris e Yuki sono la mia famiglia: se siamo tutti insieme, cosa può andare storto?» sorrise, facendo spallucce «Ricostruiremo daccapo quello che abbiamo qui, chissà, magari troveremo una nuova officina.»

Tsubasa sorrise, scoprendo i denti, e la strinse a sé per dimostrarle tutta la sua gratitudine.


Attenziò, attenziò!

Ebbene sì, ho preso a prestito un personaggio di Melanto *ridacchia*

Questo perché quando ho iniziato a tessere la trama e ho messo in mezzo la yakuza, mi sono trasformata in una sorta di meme vivente di Bilbo Baggins e ho inziato a dire "Perché no? In fondo, perché non dovrei prendere a prestito Shuzo?" *ride* 

Scherzi a parte, non ringrazierò mai abbastanza Melanto per avermi prestato il suo ragazzo *_* anche se ho un po' di ansia da prestazione, lo ammetto. 

E comunque... TA DAAAN! Eccoci svelati i retroscena maggiori di questa storia: scopriamo la storia di Yukiko e Roberto, e dell'incidente che ha allontanato Tsubasa dal calcio (ogni volta è un colpo al cuore - e non importa che l'abbia scritto io XD fa male uguale!). 

Scopriamo anche come ha fatto Yuzo a trovare Tsubasa - ebbene sì, c'è lo zampino del gemello ^^

Vogliamo parlare di Cris-amore-di-mamma e della sua storia? Mi si stringe il cuore ogni volta. Eppure se accettare la sua brasilianità era un'opzione, per la sua famiglia, così non è stato per la sua omosessualità: tanti applausi per lui per non aver accettato il compromesso, ma quante ne ha dovute passare, povera stellina ç__ç fortuna ha avuto dalla sua parte una nuova famiglia, che gli ha dato tutto l'amore che meritava. 

Che dire? Io vi ringrazio tantissimo, come sempre, per il vostro affetto. 

Um abraço

La vostra Sakura 

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Capitolo 6
*** Rap das Armas ***


Velozes e Furiosos

Rap das Armas

Yuzo aveva notato un cambiamento nel rapporto tra Kei e Tsubasa: si guardavano le spalle a vicenda, quando uno era affaccendato in qualcosa ecco che l’altra gli compariva accanto a dargli supporto, e viceversa l’ex calciatore la teneva sempre sotto controllo, come se volesse mantenerla nel suo raggio visivo.

«È successo qualcosa?» domandò a Cris, impegnato a lavare i piatti.

«Oh, normale amministrazione: diventano un tutt’uno, prima di una gara.»

«Gara?» ripeté Yuzo, quel termine stonava parecchio nel contesto.

Cristóvão si interruppe: l’acqua continuò a scorrere nel lavello ma lui non stava più sciacquando i piatti, e il fatto che non riuscisse a vederlo in volto non gli dava modo di comprendere la sua reazione. Il nissei chiuse il rubinetto e, dopo essersi asciugato le mani con uno strofinaccio che poi fece volare sulla spalla, si voltò verso di lui con le labbra piegate in un sorriso divertito.

«Volevo dire» gli si avvicinò «prima di qualcosa di importante.»

Yuzo lo osservò in quelle iridi quasi bicolore: il ragazzo non distolse lo sguardo, bensì mantenne quel piglio di chi ti sta prendendo in giro con benevolenza.

«Ha detto “gara” perché è abituato a chiamarle così.» Yuzo fu grato che Tsubasa fosse arrivato in quel momento, il contatto con lo sguardo del nippobrasiliano lo imbarazzava maggiormente ora che avevano condiviso un momento importante.

«Scusate ma non arrivo a capire di cosa state parlando: non ci si riferisce alle partite di calcio col termine “gare”.»

Tsubasa ridacchiò accomodandosi accanto a lui e gli posò una mano sulla spalla.

«Facevamo gare clandestine in auto, Kei e io. E Cris, ovviamente.»

«Diciamo che io testavo le auto che voi due rimettevate in sesto, ma tu, tu» si posizionò alle spalle di Tsubasa e lo strinse in un caloroso abbraccio, spettinandolo con una mano in un gesto d’affetto, «tu pestavi su quell’acceleratore meglio di chiunque altro. Lo sai che una volta ha fatto mangiare la polvere a uno che…»

«Non facevo nulla di che, mi limitavo a guidare.» Tsubasa minimizzò la situazione, come se tutti quei complimenti lo mettessero in imbarazzo.

«Quindi è questo che farete stasera? Guiderete e basta?» Yuzo non riuscì a mascherare la nota di apprensione.

«L’idea è quella.» annuì Tsubasa, picchiettando le dita sul tavolo «Sicuramente quelli del PCC non tarderanno a scoprire del furto e ci cercheranno: le auto su cui abbiamo lavorato in questi giorni non sono abbastanza anonime da perdersi nel traffico ma hanno abbastanza cavalli da permetterci di correre veloci. Taglieremo fuori la capitale e passeremo da Mauá, ah, grazie Kei.»

La ragazza li aveva raggiunti e aveva steso sul tavolo una mappa su cui erano stati tracciati vari segni, come a voler sottolineare i percorsi.

«Meglio non fare troppe ricerche su internet.» Cris rispose al suo interrogativo mentale, facendogli l’occhiolino e piazzandosi al suo fianco. Non gli sfuggì il fatto che, nell’accomodarsi alla sua destra, gli aveva sfiorato il collo, causandogli dei brividi.

«Dicevo: passando per Mauá la allunghiamo di pochi chilometri, ma almeno ci teniamo aperte le possibilità di usare percorsi alternativi all’ultimo momento, se la situazione diventasse calda.»

«Le Impreza possono dare soddisfazione anche sullo sterrato.» Keiko si accomodò accanto a Tsubasa, chiudendo il cerchio.

«Sì ma dobbiamo prestare attenzione alla distanza tra di noi.» Cris scattò in piedi e corse nella sua stanza, salvo poi tornare poco dopo con una valigetta che depositò con delicatezza sul tavolo. Fece scattare i ganci, quindi ne sollevò il coperchio e, come se stesse per mostrare un tesoro, la voltò alla loro attenzione.

«Ricetrasmittenti di ultima generazione, resistenti alle intemperie, agli urti e alle alte velocità» ridacchiò divertito, battendo le mani con entusiasmo «Le ho già settate su una frequenza privata che possiamo usare solo noi quattro: funzionano nel raggio di cinquanta chilometri, per questo non dobbiamo allontanarci troppo tra di noi. Ognuna ha un codice privacy che, se usato, le blocca, in questo modo possiamo usarle solo noi.»

«Ottimo lavoro, Cris.» Tsubasa si congratulò con l’amico.

«Mi sono permesso di inserire anche un GPS in ognuna di loro» si fece immediatamente serio «Anche ammettendo che tutto vada per il meglio, ho voluto inserire la possibilità di cercarci a vicenda, nel caso in cui...»

Rimase in silenzio, e abbassò lo sguardo fingendo di concentrarsi sulla propria ricetrasmittente, mentre Kei e Tsubasa si impossessavano della loro. Yuzo comprese che quel silenzio aveva sicuramente a che fare col lutto che avevano vissuto cinque anni prima, anche se faticava a capire come un GPS potesse essere d’aiuto. Il suono del suo cellulare ruppe il silenzio, così si congedò per recarsi sulla verandina a rispondere.

«La Premiata Ditta Shuzo Mori è a sua disposizione e in attesa di ordini, Morisaki-san.»

«Ciao anche a te, fratello.»

«Mi hai cacciato in un bel guaio, lo sai vero?»

«Niente che il grande Mori-san non sappia gestire.» ridacchiò, consapevole di colpire il suo ego.

«Seh, seh, paraculo. Senti, io sono in posizione, aspetto solo un tuo cenno e poi procediamo.»

«D’accordo, allora appena ho il via libera, ti mando la posizione. Shuzo…»

«Sì?»

«Stai attento.»

Il gemello rise, prima di chiudere la comunicazione. Yuzo mise il cellulare in tasca e rimase a fissare il riverbero del sole sulla baia di Santos.

 

 

Continuava a fissare quella foto di Yuki nella speranza che il sorriso del bambino le desse la forza per affrontare anche quella situazione: non era il fatto di dover guidare veloce a preoccuparla, quanto il guaio in cui si erano cacciati. Anzi, in cui lei li aveva cacciati. Anzi, in cui Roberto Hongo li aveva cacciati: alla fine era sempre colpa sua. Era così semplice incolparlo di ogni male, soprattutto ora che non era più di questo mondo.

Ripiegò la foto e la nascose nella tasca laterale dei pantaloni scuri che aveva indossato, i più comodi che aveva insieme agli anfibi militari.

«Ancora niente?» domandò, avvicinandosi a Tsubasa e Cris che stavano sistemando gli ultimi dettagli sul motore dell’auto che avrebbe guidato il nissei.

«Arriveranno, non avere fretta. Pazienza, Kei-chan, pazienza.»

Le sfuggì uno sbuffo divertito, nonostante la tentazione fosse quella di incrociare le braccia al petto per proteggersi, e così fece, per innalzare la sua corazza.

«Li hai evocati, Kei-chan.» Tsubasa si pulì le mani con uno straccio che poi lanciò in un angolo, mentre si dirigeva verso l’ingresso dell’officina dove quattro Mercedes scure si parcheggiarono a semicerchio di fronte a lui.

Yamai-san scese dalla prima auto, seguito a ruota da altri due tirapiedi che gli si affiancarono, sguardi beffardi e ghigni poco raccomandabili in costosi completi neri.

«È giunta l’ora, Ozora.» si fece scrocchiare le nocche, come se si preparasse per una rissa; Tsubasa non reagì, si limitò ad assentire.

«Kei, Cris, salite sulle auto, si va in scena.»

«Non così in fretta.» la voce di Yamai li bloccò quando stavano per prendere posizione «Non sarete da soli.»

«Le nostre auto hanno solo due posti, e io non carico nessuno sul sedile passeggero.» Tsubasa si mise di trequarti rivolto allo yakuza, che non perse tempo e gli si avvicinò.

«Capisco che essere un tuo passeggero sia pericoloso, ricordo bene com’è andata a finire quando avevi tua cognata in auto con te…»

Keiko sarebbe voluta correre da Yamai e riempirlo di botte, ma dovette trattenersi: Tsubasa aveva serrato le mani a pugno e questo aveva allarmato i due tirapiedi, che si erano avvicinati a difesa del loro leader.

«Andiamo.» fu tutto ciò che sentì pronunciare dal suo compagno. Yamai piegò le labbra in un ghigno vittorioso e si raddrizzò sulla schiena.

«Masuda, vai con la ragazza; Takeda col bastardo.»

«Ehi, vacci piano con le parole.» Cris si risentì dell’appellativo, ma proseguì fino alla propria auto per mettersi in posizione. Kei approfittò del momento per avvicinarsi a Tsubasa.

«Ehi…» gli sfiorò la spalla per attirare la sua attenzione.

«Va tutto bene, non cederò alla provocazione. Pensiamo a guidare.» le sorrise, e Kei replicò al suo sguardo per cercare di infondergli coraggio. Gli posò una mano sulla guancia, quindi tornò sui suoi passi e prese posto alla guida. Lo sguardo le cadde sull’occupante del posto passeggero, e vide il rigonfiamento nei pantaloni.

«A meno che tu non sia eccessivamente felice di vedermi, ti consiglio di togliere la pistola dalla tasca e mettere la cintura.»

Masuda ghignò estraendo l’arma e puntandogliela contro.

«Guida e basta, stronzetta.»

«Come vuoi.» replicò al suo ghigno accendendo il motore e premendo sul pedale dell’acceleratore. L’auto sgommò sul cemento dell’officina, e il contraccolpo costrinse lo yakuza a tenersi alla maniglia.

«Che cazzo…»

Kei fece lo slalom tra le auto ancora parcheggiate a copertura e, una volta nel piazzale sgombro, iniziò un 360 stretto e veloce che alzò un enorme polverone.

«Fermati, fermati, stupida puttana, fermati!»

Mantenne il piede sul pedale e continuò a ruotare fino a quando ritenne che Masuda fosse livido abbastanza, quindi inchiodò e si sporse per aprirgli la portiera e spingerlo fuori. I conati dello yakuza riempirono l’aria, seguiti subito dopo dalla risata di Cris.

«Mi serve qualcuno con più pelo sullo stomaco, Yamai: non posso fermarmi a ogni piazzola di sosta per fargli prendere aria.»

«Lasciala a me!» inveì lo sventurato, recuperando un colorito idoneo «Ci penso io a sistemarla, questa maledetta put…»

«Tu vai con Ozora, salgo io con lei.» Yamai interruppe il suo sproloquio «Andiamo, non abbiamo più tempo da perdere.»

Kei risalì in auto e, dopo aver lasciato sfilare le Mercedes, lanciò un’ultima occhiata all’officina tramite lo specchietto retrovisore: Yuzo era rimasto nascosto all’interno, e ora toccava a lui partire per salvare Yuki. Sperò con tutta sé stessa che il piano fosse valido, non sarebbe riuscita a sopportare un fallimento in quella missione.

 

 

Erano parcheggiati al porto da ore e Tsubasa iniziava a scalpitare: odiava quelle attese insensate, soprattutto quando la gestione non era in mano sua. Sbuffò per l’ennesima volta poggiando il gomito sulla portiera e supportando la testa con la mano a pugno.

«Spazientito?» sghignazzò Masuda.

«Detesto la pessima organizzazione.»

«Ehi» lo apostrofò l’altro «Yamai-san sta solo aspettando il momento adatto per agire. Sono cose che vanno programmate nel giusto modo, col giusto tempismo.»

La ricetrasmittente gracchiò e la voce di Cris riempì l’abitacolo.

«Ho la scritta SPARCO(1) tatuata sul culo: possiamo muoverci?»

Tsubasa afferrò la ricetrasmittente e tornò ad addossarsi alla portiera.

«Non dici sempre che nella vita ci vuole pazienza, irmão

«Lo dico a Kei perché lei non ne ha, ma qui siamo fermi da ore senza concludere nulla. Inizio a pensare che l’affare sia saltato.»

«Non è saltato nulla.» la voce di Kei era ferma «Ci muoviamo: due nel piazzale e uno a copertura.»

«Kei, rimani a copertura, io e Cris… merda.»

L’auto di Kei gli sfilò davanti, a fari spenti, seguita a breve distanza da quella di Cristóvão che però si fermò poco dopo.

«A te l’onore, Bas.» gli confermò via radio.

Parcheggiò accanto all’auto di Kei, lasciando i fari spenti ma il motore acceso, e mentre Masuda raggiungeva Yamai e Takeda di fronte al container, lui si affiancò alla compagna.

«Che ne pensi?» domandò, appoggiandosi al cofano.

«Che c’è molto silenzio.»

«Troppo.» ne convenne lui, dandosi un’occhiata intorno.

«E che abbiamo aspettato parecchio, per essere un’operazione mordi e fuggi.»

«Vado a dire a Cris di tenere d’occhio la zona, tu…»

«Io vado da loro.»

«Kei!» la afferrò per il polso, costringendola a voltarsi «Fa’ attenzione. Ti prego.»

Lei si limitò ad annuire, così la lasciò andare e raggiunse il nissei che, un piede nell’abitacolo e l’altro a terra, stava masticando patatine.

«Non so come tu faccia a mangiare in situazioni come questa.»

«È semplice» replicò l’altro, porgendogli il pacchetto, che lui rifiutò «Afferro il cibo, lo metto in bocca, mastico a più riprese, deglutisco e poi via di nuovo.» Tsubasa non poté fare a meno di sorridere «Che succede là?»

«Succede che c’è puzza di guai, Cris: dobbiamo stare attenti.»

«Questi puzzano di fogna, irmão, credi a me, che nelle fogne ci ho vissuto.»

«Teniamo gli occhi aperti, quelli del PCC potrebbero sbucare da un momento all’altro, dobbiamo essere veloci.»

«Veloci e furiosi.» Cris appallottolò la confezione e la nascose nel portaoggetti, prima di indicare il container con un cenno «Stanno uscendo, prepariamoci.»

Yamai, Takeda e Masuda raggiunsero le rispettive vetture con due valigette a testa. Le posizionarono ai loro piedi, sul tappetino, e intimarono loro di muoversi.

Una volta nell’abitacolo, Tsubasa si allacciò le cinture di sicurezza da corsa, assicurandosi che Masuda facesse altrettanto, quindi inserì la marcia e, sempre a fari spenti, iniziò a seguire il percorso per uscire dalla zona portuale.

«Check.» pronunciò alla ricetrasmittente, attendendo di ricevere la risposta da Kei e Cris.

Scartò un container, infilandosi in uno spazio stretto, illuminato solo dalla luce della luna, e una volta percorso il corridoio svoltò a sinistra per imboccare l’uscita e immettersi sull’Avenida Freire, dove dovette rallentare per l’impatto delle ruote sui sampietrini. L’auto ballò per l’irregolarità del fondo stradale, tanto che Masuda si attaccò alla maniglia della paura e si mostrò visibilmente a disagio: una volta giunti all’incrocio con l’Avenida Barata, Tsubasa riaccese i fanali e lanciò un check ai compagni di viaggio, attendendo la risposta.

«Kei, check.» sollecitò.

«Check.»

«Kei, passami davanti, io chiudo il gruppo.» e Tsubasa si trovò d’accordo col nissei, avendo notato la difficoltà della giovane nel replicare al check.

«Arretro, ho un’auto argentata che mi sta dietro da quando siamo usciti dal terminal

«Merda, lo sapevo…» Tsubasa masticò l’imprecazione sbattendo la ricetrasmittente sul volante.

«Voi rimanete sull’Anchieta, io prendo lo svincolo per l’Imigrantes e vi riacchiappo sul Rodoanel per Mauá.»

«Chi ha mai parlato di Mauá?» Masuda si ricollegò alla conversazione e si voltò verso di lui di scatto.

«Non possiamo passare per San Paolo, a maggior ragione che quelli del PCC ci stanno già alle calcagna e Keiko è costretta a cercare di seminarli.»

«Non erano questi i patti, Ozora.» lo yakuza, pur mantenendosi saldo alla maniglia, gli puntò l’arma contro.

Gli lanciò un’occhiata in tralice, prima e lui e poi alla semiautomatica che gli aveva puntato nelle costole.

«Stiamo viaggiando ai 130km/h, su un’automobile che ho modificato io stesso: significa che appena premo sul pedale, raggiungiamo i 200 e tu ti ritrovi di nuovo a vomitare anche l’anima. Oltre a questo, se mi spari finiamo fuori strada, e dopo come lo spieghi a Tanaka-san che hai perso il suo prezioso carico?»

Udì distintamente il digrignare di denti del suo passeggero, poi la pressione della pistola diminuì, e l’arma sparì nella fondina sotto l’ascella.

Percorse i chilometri che lo dividevano dallo svincolo per Mauá coi battiti accelerati, continuando a lanciarsi messaggi di controllo con Cris, che non mancava di affiancarlo, superarlo e farsi risuperare per mantenere la situazione in equilibrio.

«Check

Con enorme sollievo, la voce di Kei lo raggiunse.

«Va tutto bene?»

«Non direi: l’auto argentata mi ha seguito e ora sono diventate due. Posso provare percorsi alternativi ma ormai non ci sono dubbi che mi stiano seguendo.»

«No, rimani con noi.» le intimò Tsubasa, stringendo il volante «Ce ne liberiamo insieme.»

Premette sull’acceleratore e si posizionò davanti a Cristóvão, che gli si piazzò alle calcagna seguito a ruota da Keiko: con gli occhi puntati sulla strada, Tsubasa iniziò a immaginare tutti gli scenari possibili per uscire da quella situazione di merda, ma nessuno era abbastanza soddisfacente da fornirgli il sollievo di cui necessitava.

 

 

Kei si piazzò alle calcagna di Cris, gli occhi puntati sulla sua auto e cercando di non pensare ad altro che a guidare. Yamai continuava a mandare messaggi come se la cosa non lo riguardasse, il che le aveva fatto scattare qualche sospetto, ma non aveva modo di comunicarlo a Bas e Cris senza farsi beccare dallo yakuza. L’unica speranza era che Masuda e Takeda stessero facendo altrettanto, il che non sarebbe di certo sfuggito ai suoi amici.

Alzò nuovamente lo sguardo per controllare lo specchietto retrovisore, le due auto sospette la stavano ancora seguendo: avrebbe potuto accelerare, seminarle nel traffico guidando a fari spenti ma le uscite erano poche e comunque illuminate, l’avrebbero sicuramente notata nonostante l’auto scura.

«Maledizione…» digrignò nella delusione di non riuscire a elaborare un piano.

«Che succede?» il tono di Yamai era allarmato.

«Non riesco a capire come seminare quelle due auto.»

L’uomo sogghignò, e si sporse verso di lei.

«Sembra che, ancora una volta, abbiate bisogno di noi per portare a casa la pelle.»

Il fiato dello yakuza le solleticò il collo e le provocò brividi di ribrezzo lungo tutta la spina dorsale: che il piano di Tanaka-san potesse essere un modo per tornare ad avere il controllo su di lei e la sua famiglia era un’opzione che aveva già considerato, ma sperava di riuscire ad aggirarlo e – per una volta – mettere nel sacco l’oyabun.

«Ha proprio ragione, Tanaka-san, quando sostiene che assomigli molto a tua sorella…» Yamai allungò le dita per sfiorarle il collo, provocandole l’ennesima reazione di disgusto.

«Non sei degno di nominarla.»

«Ero degno di altre cose, però… era divertente avere a che fare con lei, scalpitava molto, e si batteva davvero tanto per non sottostare a nessuno… anche in questo le assomigli…» le dita dello yakuza passarono dal collo alla spalla, e percorsero il braccio fino alla sua mano, serrata sul volante «Immagino che anche tu ti dimeni un sacco, quando scopi…»

Kei rallentò di colpo, quindi sterzò verso destra e premette l’acceleratore a tavoletta: Yamai recuperò la sua posizione ma il ghigno sulle sue labbra non se ne andò.

«Usciamo dall’Anchieta.»

La voce rassicurante di Tsubasa ebbe l’effetto di calmarla: recuperò la sua stabilità e si lanciò verso destra per prendere la saída 86, sempre seguendo a ruota i suoi complici; superò le casse automatiche sfruttando lo spazio a destra, sgombero dai jersey in plastica, e accelerò nuovamente per lasciarsi il casello alle spalle.

«Check.» lanciò alla ricetrasmittente, per confermare l’immissione sulla nuova strada. Mauá distava ancora pochi chilometri, e anche se non si sarebbero potuti fermare, almeno la certezza di essere vicini all’aeroporto le dava la forza per non spaccare la testa a Yamai, togliendogli quel sorrisetto del cazzo che aveva mantenuto per tutto il viaggio.

«Comunica ai tuoi che usciamo a Mauá.»

Voltò la testa verso di lui, non era sicura di aver capito bene: aveva parlato o se l’era immaginato? Yamai estrasse una semiautomatica da sotto la giacca e gliela puntò contro.

«Che significa?»

«Significa che adesso tu prendi la ricetrasmittente, avvisi la tua dolce metà che metta le freccia e segua le indicazioni per di Masuda. E sarà meglio che anche quel bastardo hafu ci segua o avrete grossi guai.»

Kei non replicò, iniziò a valutare le varie implicazioni che quel cambio di programma avrebbe portato: solo quando la canna della pistola di Yamai le sfiorò la tempia si decise ad agire. Spostò la mano dal volante e afferrò la ricetrasmittente e premette il pulsante per la comunicazione.

«Bas, Cris. Usciamo a Mauá.»

«Cosa? Ma che cazzo…» il tono confuso di Cris non la stupì.

«Eseguo.» Tsubasa invece replicò in maniera molto pacata. Troppo. Come se già sapesse a cosa stavano andando incontro. Che Masuda gli avesse già comunicato il cambio di programma?

«È davvero un piacere collaborare con voi, sono contento che Hongo abbia tirato le cuoia e abbiate ereditato il suo debito.» Yamai si mise comodo sul sedile del passeggero e si incantò a guardare l’orizzonte «Mi rincresce solo non essere stato io a spedirlo fuori strada, vedere la sua auto saltare in aria e bruciare sarebbe stato uno spettacolo degno della rottura di cazzo di dover sempre sopportare il suo sguardo mortificato. Sai, si dispiaceva continuamente di non avere più contatti con voi, aveva anche una vostra foto tutti insieme che teneva sempre nel portafoglio, quel patetico stupido hafu. Riempiva la testa di tutti con i suoi aforismi del cazzo su quanto sia bella la vita e su quanto valga la pena fare del nostro meglio per renderla migliore anche al prossimo. Tutte cazzate pseudo-buddiste per avere un karma migliore nella prossima vita.»

«E tu non credi nel karma?»

«Io credo nel qui e ora. Qui, su questa auto che ora proseguirà fino al centro di Mauá.»

Kei cercò di nascondere il proprio disappunto e inspirò profondamente, continuare a seguire il percorso tracciato da Tsubasa.

 

 

Dopo essere entrato nel Terminal Rodoviário e aver schivato sia per le persone in attesa che gli autobus fermi, Cris parcheggiò accanto a Tsubasa e, spento il motore, scese per raggiungerlo. Alle sue spalle Kei inchiodò e scese sbattendo la portiera, dal suo volto trapelava tutta la sua rabbia.

«Che succede, irmão

«Succede che siamo in trappola: vogliono travasare le valigette su un minivan furgonato e proseguire con quello fino all’aeroporto.»

«Quindi noi siamo liberi?» Cris pronunciò quelle parole per cercare di stemperare la situazione ma sapeva bene che non si trattava di un’opzione possibile.

«Ne dubito.» Kei incrociò le braccia al petto, aveva uno sguardo assente che non gli sfuggì «Anzi, temo che il nostro destino sia ben diverso.» con un cenno del capo indicò Masuda che stava trafficando con delle corde e delle fascette di plastica.

«Nascondetevi i coltellini nelle tasche posteriori.» Tsubasa teneva lo sguardo fisso verso l’ingresso del terminal «Se ci dice bene, non ci perquisiranno e riusciremo a liberarci in caso di necessità.»

«Che cazzo di caos.» biascicò Cris, cercando di non farsi notare mentre infilava la sua fidata lama sotto al passante in cuoio dei pantaloni.

«Mi dispiace, è tutta colpa mia…»

Kei crollò. Lasciò andare le braccia lungo il corpo e abbassò lo sguardo a terra, come se l’ultimo bagliore di vita la stesse abbandonando. Tsubasa le si avvicinò e le sollevò il mento con delicatezza, obbligandola a fissarlo negli occhi.

«Ne usciremo. Insieme. Come abbiamo sempre fatto, Kei-chan.»

Lei gli afferrò il polso della mano con cui la stava sostenendo e si aggrappò a lui, a quella speranza che le stava fornendo. Cris rimase in silenzio, per non intromettersi in quel gesto di reciproco sostegno: quante volte aveva assistito a quell’atto d’amore tra Bas e Kei, in passato? E quante volte si era ripetuto che Santos era il loro nuovo nido, il luogo della rinascita, e che mai più avrebbe dovuto leggere lo smarrimento negli occhi dell’amica – sorella – perché erano finalmente liberi?

Sentì un dolore allo sterno, una contrazione tale da togliergli quasi il fiato: si era ripromesso di rendere il favore a Kei, una volta o l’altra, per ringraziarla di ciò che lei e Tsubasa avevano fatto per lui, salvandolo dal triste destino a cui la famiglia lo aveva condannato e regalandogli una famiglia vera, che lo amava e lo sosteneva per ciò che era.

«Ah, siete troppo sdolcinati per i miei gusti. Venite qui.» si avvicinò e passò le braccia attorno alle spalle di entrambi, attirandoli a sé «Andrà tutto bene, fidatevi dello zio Cris. Questi sono dilettanti, avete visto le facce?»

«Yamai ti sembra un dilettante?» Kei pronunciò quelle parole con aria divertita.

«Sì, in effetti lui è quello che potrebbe darci maggiori rogne. Facciamo così: io li tengo impegnati e voi due pensate al piano per la fuga.»

«Considerato che ci faranno lasciare qui le auto, ci conviene assecondarli fino a Guarulhos, e solo una volta in zona aeroporto agire.»

«Voi tre!» Masuda attirò la loro attenzione, uno strano luccichio negli occhi «È ora di andare.»

«Prendiamo le auto.» Tsubasa tentò l’impossibile, ma neanche se ne resero conto ed erano già circondati da tre brutti ceffi.

«Alle auto ci penseranno loro, consegnate le chiavi. Da bravi.» aggiunse Yamai, sporgendosi in quel momento dal furgone «La festa è qui dietro.» e, così dicendo, mostrò loro un manganello che si poggiò sulla spalla destra.

«Ehi, amigo, siamo colleghi, no?» Cris si avvicinò a lui con le mani alzate. Per tutta risposta, Yamai scese dal furgoncino con un balzo e gli mollò un pugno in pieno stomaco.

«Noi non siamo un cazzo, hai capito? Schifoso hafu.» terminò, sputando a terra «Muovetevi: legate loro le mani e caricateli sul retro, abbiamo del lavoro da sbrigare.»

Cris fu sollevato a forza da due che non aveva mai visto: gli legarono i polsi dietro la schiena e lo sbatterono malamente sul furgone. Si raggomitolò, controllando di avere ancora la lama al suo posto, e si mise a sedere come meglio poté. Di fronte a lui, Tsubasa e Keiko furono fatti accomodare sul passaruota, l’uno di fianco all’altro.

«Che dire, non sarà un viaggio comodo.» sbuffò, riprendendo fiato. Masuda si chinò accanto a lui e fece scattare una lama contro la sua gola.

«Te lo giuro: se fiati un’altra volta, io ti taglio il collo, e me ne sbatto degli ordini di Tanaka-san.»

«Oh, sì, fallo, ti prego: voglio che i miei amici godano dello spettacolo del tuo seppuku

Lo yakuza non replicò: si sollevò e rimase posizionato accanto a lui, come fece Yamai: Takeda chiuse il portellone e poco dopo si udì la portiera sul davanti chiudersi, e il furgone fu messo in moto per partire.

Poco più di trenta chilometri e avrebbero raggiunto l’aeroporto: certo, non erano nella condizione di portare avanti il loro piano iniziale, ma ne avrebbero sviluppato un altro. Cercò lo sguardo di Tsubasa e gli fece un cenno, indicando il davanti: l’amico annuì e posò la testa contro la lamiera alle sue spalle. Ora toccava a lui spostare l’attenzione e lasciare che lui e Kei si liberassero.

 

 

Cris aveva un piano, lo aveva capito dal suo sguardo: nonostante il volto fosse serio, gli occhi gli sorridevano.

«Ehi, non c’è una radio, qui dentro?»

Gli venne da sorridere, ma pregò che ciò sfuggisse agli yakuza: stava per liberarsi le mani con il taglierino che Kei gli aveva passato, dopodiché avrebbe liberato anche lei e sarebbero passati a occuparsi di Masuda e Yamai, e lo avrebbe fatto molto volentieri, gli prudevano già le mani al pensiero.

«Come siete silenziosi.» Cris continuava a stuzzicare gli yakuza, per provocare loro una reazione: purtroppo per lui Masuda gli rifilò un pugno, colpendolo in pieno volto.

«Ehi, vacci piano.» il nippobrasiliano sputò del sangue sul pavimento «Mi rompi un dente, così.»

«E ti romperò anche altro se ora non taci. Non ho bisogno del rumore di sottofondo della tua stupida voce.»

Era fatta, lui e Kei erano liberi: fece un cenno a Cris, che colse al volo.

«Parapapapapapapapapa…»

«Canti pure, adesso?» Masuda lo colpì nuovamente, costringendolo a sdraiarsi sotto la raffica di pugni.

«Papara… papara… papara … claque… boom…»

«Te la faccio passare io la voglia di… ma che…»

Masuda si sollevò appena, giusto il tempo di rendersi conto che Cris si stava proteggendo con le mani libere.

«Io canto, ma ora loro te le suonano per bene!»

Kei fu su Masuda con un calcio in pieno volto: lo yakuza roteò su sé stesso e finì contro il portellone laterale, svenendo. Yamai realizzò in quell’istante che c’era qualcosa che non andava ma Tsubasa fu più lesto e allungò un braccio per arrestare la sua corsa verso il finestrino anteriore, quindi con un gancio lo fece finire lungo disteso. Prima che questi potesse dire qualcosa, lo afferrò per il colletto e si avvicinò al retro, dove Kei aveva aperto il portellone per scaraventare Masuda giù dal mezzo, e lo fece sporgere con metà busto, minacciando di fargli saltare la testa a contatto con l’asfalto.

«Ora tu stai zitto, e fai come ti dico, o la tua testa diventa un tutt’uno con la strada e per riconoscerti dovranno effettuare un esame del DNA.»

«Uh, irmão, que cruel(2) Cris saltellò sul posto, come se si stesse riscaldando per una corsa.

Lo sguardo di Yamai valeva più di mille parole: se avesse potuto, lo avrebbe trasformato in carne macinata, ma era in una situazione di minoranza. Tsubasa lo risollevò quando fu sicuro che avesse recepito il messaggio, quindi lo lasciò a Keiko, che si occupò di legarlo per bene, e si avvicinò a Cris.

«Quanto manca?»

«Poco, direi: abbiamo passato l’ultimo svincolo, siamo già in zona.» il nissei pareva sapere davvero il fatto suo «Tutto dipende da dove ci vogliono portare.»

«Credo che lo scopriremo presto.» mormorò, cercando di mantenere l’equilibrio quando il furgone compì una curva più stretta delle altre.  

 

1 SPARCO è una ditta specializzata in componenti automobilistici e abbigliamento tecnico utilizzati nelle maggiori competizioni automobilistiche. Vi lascio la pagina Wikipedia: SPARCO

2«Uh, irmão, que cruel.» = «Oh, fratello, quanto sei crudele.» 


Ed eccoci al nostro Rap das Armas (vi lascio QUI la canzone così potete canticchiare insieme a Cris). La situazione si è aggravata, come predetto da Tsubasa, ma i nostri amici cercano comunque di ribaltarla per avere un vantaggio. 

Yuzo non compare fisicamente ma rimane nei nostri pensieri perché non sappiamo come, ma sta salvando Yuki (e Shuzo è in posizione: chissà cosa vorrà dire ^^) 

Scopriamo un altro pezzetto di passato di Tsubasa e Keiko, le gare: lo so, rido moltissimo io stessa a questa idea xD però io Tsubasa lo vedo come uno che ama mettersi alla prova. 

Ora stiamo arrivando all'aeroporto Guarulhos (lo scalo principale di San Paolo) e i quesiti si moltiplicano: 

- riusciranno i nostri eroi a salvarsi?

- Yuzo avrà salvato Yuki?

- ma soprattutto, che fine ha fatto Carmen Sandiego?

Ok, la smetto, il caldo fa svalvolare anche me *ridacchia* 

Grazie come sempre per il vostro affetto e per la vostra partecipanza, mi fate commuovere ç__ç

Um abraço 

Sakura 

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Capitolo 7
*** Hafu ***


Velozes e Furiosos

Hafu

Il furgone arrestò la sua corsa in maniera brusca: udì il rumore della portiera che veniva aperta e i passi dell’autista che si allontanava.

«Non mi piace, non mi piace per niente.» mormorò Cris, e Tsubasa si trovò d’accordo.

Yamai, legato e reso inoffensivo, giaceva in un angolo del retro, lo sguardo basso e le labbra incurvate in quel sorrisetto fastidioso che ormai poco tolleravano.

«Che facciamo?» Kei si avvicinò, posandogli una mano sulla spalla per attirare la sua attenzione.

«Dobbiamo capire dove siamo e dov’è Yuzo, e soprattutto se è riuscito a portare avanti il nostro piano.»

«E voi avreste lasciato a quel nihonjin il compito di salvare il moccioso? E come avrebbe fatto, chiedendo per favore?»

Yamai scoppiò a ridere e si attirò un pugno da parte di Cris, evidentemente non vedeva l’ora di rendergli il favore.

«Dicci dov’è.»

«Lo sporco hafu è dove dovrebbe essere, all’inferno.»

Tsubasa trattenne Kei, che si limitò a stringere i pugni.

«Yuki è nostro figlio, non è un…»

«Ah, andiamo! Davvero vi aspettavate che cadessimo nella trappola del “frutto del vostro amore”?»

«Che vuoi dire?»

A fatica Yamai si sollevò e si avvicinò a lui e Kei, gli occhi stretti a due fessure ma luccicanti come quelli di chi sa di avere la vittoria in tasca.

«Sappiamo benissimo che quel bambino è figlio di Hongo e di quella puttana di tua sorella, altrimenti perché credi che Tanaka-san se lo sia preso? Sarà lui a ripagare il debito: le colpe dei genitori ricadono sempre sui figli, Noshimuri.»

Keiko non resistette e si avventò su di lui: lo afferrò per il bavero e cominciò a colpirlo in volto con una serie di pugni, e solo quando Cris si intromise si arrestò. Tsubasa non aveva mosso un dito, non ci era riuscito: continuava a fissare lo yakuza, che ora grondava sangue dal naso, mentre metabolizzava le sue parole.

Tanaka-san sapeva.

«Era il suo piano fin dall’inizio, dico bene? Lui voleva trascinarci in questa storia per…»

Un rumore di frenata lo interruppe: aprì leggermente il portellone posteriore solo per rendersi conto che le due auto argentate li avevano raggiunti. Ora erano ferme a pochi metri di distanza da loro, come in attesa, ma i riflessi dei fari gli impedivano di vedere quanti occupanti ci fossero al loro interno.

«È quasi l’alba.» Cris si sporse sul davanti, dopo aver rotto il finestrino oscurato che dava sul vano guida «Noi siamo esausti, non sappiamo dove sia Yuzo, e quelli del PCC ci hanno rintracciato nonostante avessimo cambiato mezzo.»

«Già.» Kei si raddrizzò sulla schiena, come se avesse avuto un’intuizione «Come hanno fatto a…»

Come se avesse avuto una folgorazione, Tsubasa finalmente capì: scattò verso il finestrino e spostò Cris, quindi si sporse e con l’aiuto delle braccia si tirò sui sedili anteriori. Controllò sotto ai sedili, sotto al volante, infine sganciò la plancia del cruscotto e la sua attenzione fu attirata da una luce intermittente rossa, abbastanza piccola da passare inosservata ma che comunque illuminava la semioscurità dell’abitacolo.

«Maledetti…»

Si affacciò sul retro e comunicò l’infausta notizia ai suoi amici.

«Un rilevatore GPS nel cruscotto, è così che ci hanno rintracciato.»

«Vuoi dire che questi bastardi ci hanno venduto al PCC?» Cris corredò la frase con un calcio in faccia allo yakuza.

«Era il loro piano fin dall’inizio.» Kei si passò una mano sul volto.

«Io lo sapevo, lo sapevo che sarebbe finita così.» Tsubasa si lasciò andare a uno sfogo e prese a pugni il sedile del passeggero.

«Bas, mi dispiace…»

La voce di Kei gli giunse come ovattata: che fosse colpa sua o meno, non poteva di certo addossarle tutte le responsabilità per quella situazione. Come poteva agire?

L’occhio gli cadde sul quadro: nonostante fosse scappato in fretta, Takeda si era premurato di portare via le chiavi, rendendo di fatto inutilizzabile l’automezzo.

«Qualunque cosa tu stia pensando, pensala in fretta, irmão.» Cris si sporse verso di lui «Fuori hanno chiamato i rinforzi e stanno preparando l’assalto.»

«Guarda nelle casse lì dietro, se trovi qualcosa, qualche arma, qualunque cosa che ci permetta di difenderci. E passami un cacciavite.»

«Eu amo quando você fala assim.»(1)

Il trambusto che seguì gli raccontò molto di come Kei e Cris si stessero preparando: sentì spostare i grossi bauli in legno, qualche pugno o schiaffo che volò presumibilmente contro Yamai, e infine Kei gli porse quanto richiesto.

«Ti ricordi come si fa?» lo schernì, posando le mani sulla canalina del finestrino per appoggiarci il mento. Per tutta risposta, lui piantò il cacciavite con forza nel cilindro di accensione e si chinò per collegare i fili.

Al primo colpo, il motore grugnì e la batteria si lamentò, ma al secondo colpo si mise in moto.

«Non hai perso il tocco.» si congratulò Kei, carezzandogli la nuca.

«Io non perdo mai.» replicò, inserendo la marcia e premendo il pedale in fondo. Il furgone partì sgommando e con grande sorpresa dei terroristi che, come poté constatare dallo specchietto laterale, corsero alle auto per ricominciare a seguirli. Cercando di fare mente locale su dove si trovavano semplicemente guardandosi intorno, Tsubasa recuperò la ricetrasmittente dalla tasca e la sbloccò.

«Yuzo, spero che tu sia nel raggio di cinquanta chilometri, o sono guai seri: siamo in trappola, quelli del PCC ci stanno dando la caccia e credo che Tanaka-san ci abbia venduto come merce di scambio.»

Posò la ricetrasmittente per sterzare verso destra e imboccare la strada che conduceva all’ingresso dell’aeroporto.

«Che ne facciamo di questo stronzo?» Cris fremeva per occuparsene, lo sentiva saltellare tutto entusiasta.

«Quando te lo dico, apri il portellone laterale e liberati di lui.»

«Oh meu amor, me dá mais.»(2)

Percorse a tutta velocità il rettilineo che correva perpendicolare alla pista e proseguì fino al terminal dei cargo, nella speranza che Yuzo fosse riuscito nel suo intento e che la sua previsione fosse giusta. Appena giunto allo svincolo per raggiungere la zona, passando davanti all’ingresso dei terminal, gridò in modo che Cris lo sentisse.

«Ora!»

Accelerò a tavoletta nonostante si stesse avvicinando a una curva, e solo quando Cris richiuse il portellone frenò e controsterzò per seguire l’asfalto.

 

 

Kei cercò di reggersi alla curva stretta di Tsubasa, ma non avendo punti di appoggio perse l’equilibrio e andò a sbattere malamente contro la lamiera.

«Tutto bene?» Cris la recuperò, aiutandola a risollevarsi e tenendola stretta.

«Sì, mi sono solo sbilanciata.» replicò massaggiandosi il capo.

Il nissei sorrise prima di baciarle la nuca nel punto dell’impatto.

«Andrà tutto bene.» le sussurrò con affetto. Kei alzò lo sguardo su di lui, quindi annuì: le iridi del ragazzo brillavano di una nuova convinzione che la fece sentire al sicuro e protetta.

Un rumore di spari attirò la loro attenzione: Tsubasa imprecò, così si affacciarono per controllare che stesse bene.

«Saltato lo specchietto.» masticò lui, indicando con un cenno il laterale sinistro in frantumi.

«E va bene, ora ci penso io.»

«Che vuoi fare?» Kei osservò l’amico mentre apriva la cassa di legno dentro la quale avevano trovato le armi e iniziava una specie di conta per scegliere.

«Stai giù, irmã.» le intimò, caricando l’arma, quindi sparò contro i vetri posteriori.

«Puta que pariu,(3) Cris, ti farai ammazzare!» Kei si chinò dietro un baule di legno e si tappò le orecchie con le mani, per attutire il rumore dei colpi di pistola. L’urlo di gioia dell’amico la fece sollevare appena, giusto in tempo per godersi lo spettacolo di una delle auto argentate che sbandava e finiva fuori strada.

«Uno in meno sul nostro cammino.»

«Ci siamo!» l’entusiasmo di Tsubasa attirò la sua attenzione: quando si sporse verso di lui, il ragazzo le indicò un cargo parcheggiato a bordo pista, col portellone abbassato.

«Credi che siano loro?»

«La cavalleria è arrivata!» Cris si aggregò al coro di giubilo, continuando a sparare verso gli inseguitori.

«Ora dobbiamo solo…»

Tsubasa non riuscì a completare la frase perché il furgone perse stabilità: Kei si aggrappò al finestrino di passaggio, cercando di ignorare i tagli dati dei vetri rotti che erano rimasti nella canalina; si voltò per controllare Cris, che si stava tenendo al maniglione del portellone posteriore. Compirono un paio di giri su loro stessi, per poi fermarsi col muso rivolto agli inseguitori: un istante per rendersi conto di ciò che era successo, che gli scagnozzi del PCC avevano già ricominciato a sparare.

«Bas!» Kei allungò le braccia verso di lui e lo aiutò a passare sul retro del furgone, aiutata da Cris: l’ex calciatore riuscì nell’intento giusto un paio di secondi prima che dei colpi di fucile frantumassero il parabrezza.

«Hanno colpito le ruote, ho perso il controllo.» biascicò Tsubasa a denti stretti, controllandosi un taglio accanto all’ombelico.

«Siamo vicini al cargo, forse possiamo…» Kei provò a proporre, ma il ragazzo scosse il capo.

«Siamo sulla linea di tiro, ci ammazzerebbero prima ancora di poter pensare di essere in salvo.»

«Ci vogliono le maniere forti.»

Cris spostò la cassa che avevano messo a copertura del portellone posteriore, e aprì quella sottostante.

«E quello che diamine è, un AK-47?» Kei si sedette a terra, controllandosi le mani e sfregandole contro i pantaloni per asciugarsi dal sangue che le colava dai tagli.

«Un Barrett M82, semiautomatico a corto rinculo.» Cris lo accarezzò come se fosse un bambino «Non ha la stessa cadenza di tiro di un AK-47, ma ce lo faremo bastare.»

«Io non ho intenzione di…»

«Lo so.» Cris si voltò verso Tsubasa e gli sorrise «Ti chiederei di farlo solo se fosse strettamente necessario, ma in questo caso non lo è.»

Il nissei lanciò loro un paio di giubbotti antiproiettile e, dopo averne indossato uno a sua volta, imbracciò il fucile e si posizionò sul finestrino.

«Che intendi fare?» Kei gli si posizionò accanto, sporgendosi di tanto in tanto per lanciare un’occhiata ai loro inseguitori, che ora si erano fermati a semicerchio davanti a loro e sembravano in attesa.

«Coprire la vostra fuga.»

«Cosa!? Scordatelo, è troppo pericoloso.»

«Kei, non preoccuparti» le sorrise «Con questo gioiellino sarà un gioco da ragazzi: voi arrivate al cargo e salite, e quando sarete al sicuro io uscirò sparando all’impazzata e vi raggiungerò.»

«Non funzionerà…» Kei sentì le lacrime riempirle gli occhi, e non riuscì ad impedire che queste le strozzassero la voce.

«Kei, irmã…» Cris le carezzò una guancia, asciugandole le lacrime col pollice «Non avere paura, andrà tutto bene. Juro

Il gracchiare di una ricetrasmittente attirò la loro attenzione: Tsubasa si voltò verso Cris che gli porse la propria.

«Yuzo, mi ricevi? Dimmi che sei in zona.»

«Ragazzi, vi vedo!» la voce del giapponese riempì l’abitacolo «Siamo sul cargo ma dovete sbrigarvi, non abbiamo più tempo!»

«D’accordo.» annuì l’ex calciatore, chiudendo la comunicazione.

A Kei sembrò che il mondo quasi si fermasse: Tsubasa e Cris si scambiarono un cenno e l’ex calciatore si voltò verso di lei, allungando una mano e invitandola ad afferrarla.

«Aspettate, aspettate!» quasi urlò, alzando le mani «È troppo rischioso, non possiamo, noi non possiamo…»

Il freddo del metallo la riportò alla realtà, come un fulmine di consapevolezza che la colpiva attraversandola da capo a piedi. Osservò la pistola che Cris le aveva messo in mano, e percepì il calore delle sue dita mentre le faceva stringere le sue attorno al calcio.

«Bas non spara, ma tu sì. Devi proteggerlo, hai capito Kei?»

Lei annuì, tremante, fissandolo negli occhi: Cris le carezzò la guancia, senza distogliere lo sguardo.

«Te amo muito, irmã. Obrigado pela vida que você me deu.»(4)

Quando realizzò il significato di quelle parole, era troppo tardi: Tsubasa aveva spalancato il portellone posteriore e la stava trascinando verso il cargo.

«Cris! Cris!» urlò, cercando di opporre resistenza, invano, costringendo così Tsubasa a sollevarla per portarla a destinazione.

Il rumore degli spari del fucile coprì le sue grida: arrivata nel cargo, cercò di percorrere la via a ritroso ma gli uomini del PCC avevano già accerchiato il furgone. Uno di loro forzò il portellone laterale e sparò due colpi: il fucile di Cris smise di sparare, e gli uomini del Comando salirono sul veicolo. Nonostante gli occhi pieni di lacrime vide chiaramente uno di loro trascinare il corpo senza vita del suo amico, giusto un attimo prima che il portellone del cargo si chiudesse davanti a lei, nascondendole la vista.

«Cris…» mormorò, lasciando andare il braccio lungo il corpo e facendo cadere a terra la pistola che l’amico le aveva affidato.

«Kei…»

«Lo abbiamo abbandonato.»

«Kei…»

«Mamma!»

La voce di Yuki la fece trasalire, improvvisamente ebbe nuovamente coscienza di sé stessa: si voltò di scatto e il bambino scese dalle braccia di Morisaki per correrle incontro.

«Mamma! Mamma!»

Lo strinse a sé, e in quel momento il suo cuore si ricompose: pezzo dopo pezzo, l’organo si ricostruì e ricominciò a battere.

«Fatti vedere. Stai bene?»

«Sto bene, mamma.»

E il cuore batteva, ma a un ritmo sconosciuto: Kei poteva percepire l’aritmia, e sapeva a cosa fosse dovuta. Sollevò lo sguardo verso Tsubasa che li osservava, gli occhi umidi e lo sguardo colpevole. Avevano lasciato indietro un pezzo della loro famiglia, e questo non se lo sarebbero mai perdonato.

 

 

Tornare a casa da sua madre era stata la cosa più difficile che avesse mai dovuto fare: ritrovarsi lo sguardo smarrito di Natsuko che passava da lui, a Keiko e infine a Yuki, lo aveva fatto sentire nudo e sotto esame, e il senso di colpa lo aveva pervaso a lungo.

Uscì dalla doccia e, dopo essersi avvolto nel morbido asciugamano di spugna che odorava disperatamente di casa e di ricordi, si fissò allo specchio: il taglio sulla pancia aveva smesso di sanguinare, essendo superficiale aveva già iniziato la sua opera di cicatrizzazione, ma il taglio nel suo cuore sanguinava ancora copiosamente, e non accennava a voler smettere.

Aveva compreso subito che il piano di azione di Cristóvão era senza via d’uscita per lui: non sarebbe mai riuscito a seguirli, con tutto il PCC schierato davanti. Eppure…

Chiuse gli occhi e ripensò allo sguardo che gli aveva rivolto, uno sguardo consapevole, uno sguardo carico d’affetto. E la frase che aveva pronunciato aveva confermato i suoi sospetti.

Quando si era caricato Keiko sulle spalle per trascinarla nel cargo, aveva evitato di voltarsi indietro: non avrebbe resistito alla tentazione di tornare a prendere il suo amico, il suo irmão, ma portare in salvo Kei era il loro patto, l’accordo che avevano stipulato fin da subito.

Si passò le mani tra i capelli per togliere l’acqua in eccesso, quindi si asciugò velocemente e indossò una tuta: quando rientrò in camera, Keiko era ancora dove l’aveva lasciata, seduta sul letto, le ginocchia raccolte al petto, il mento su di esse e lo sguardo perso nel vuoto.

«Ehi…» mormorò, sedendosi accanto e carezzandole la schiena. La ragazza non rispose, ma nascose lo sguardo alla sua vista, posando la fronte sulle ginocchia.

«Yuki è di sotto con mia madre e Daichi… hai fame? Vuoi qualcosa?»

«Para, por favor.»(5)

Scansò la mano e rimase a osservarla, chiusa nel suo dolore: doveva lasciarle il tempo di elaborare il lutto, ma allo stesso tempo non voleva che si chiudesse in sé stessa tagliandolo fuori. Optò comunque per lasciarle il suo spazio, così raggiunse la madre in cucina.

«Vi ho preparato uno spuntino.»

Natsuko lo accolse con un sorriso timoroso: le scandagliò il viso, su cui facevano bella mostra di loro molte più rughe di quelle che ricordava.

«Keiko non ha fame.»

Natusko annuì, poggiando comunque il piatto davanti a lui.

«Capisco…»

«Mamma, io…»

La donna non lo interruppe, ma lui si bloccò: come avrebbe dovuto continuare? Scusa per essermi nascosto? Scusa per averti impedito di raggiungermi, quando volevi, e quando in realtà anche io ne avevo bisogno? Scusa per averti detto di Yuki per messaggio?

«Yuki è un bambino molto sveglio, dovete essere fieri di lui. Parla molto bene giapponese.»

«Sì, noi… ci tenevamo.»

«Lo sai che capiranno subito che non è tuo figlio?»

Lui annuì, continuando a tenere lo sguardo basso: si sentiva come un bambino, è questo l’effetto che fanno le madri, ti mettono a nudo con poche parole e riescono a centrare il punto della situazione con frasi all’apparenza semplici. 

«Volevamo crescerlo in Brasile per…» deglutì a fatica, com’era difficile esternare ciò che per lui e Kei era stato così semplice da decidere «Non volevamo che venisse ghettizzato per il suo essere hafu

«Siete voi che per primi non dovete trattarlo come tale: Yuki è un bambino, Tsubasa, e nient’altro. Non ha importanza quali siano le sue origini, conta chi siano i suoi genitori. Tu e Keiko vi siete addossati il grande impegno di crescere un bambino quando voi stessi lo eravate, non dimenticarlo.»

«Non lo dimentico… e comunque tu eri poco più grande quando sono nato.» aggiunse, incurvando le labbra in un sorriso. Natsuko si avvicinò e lo obbligò a guardarla, sollevandogli il mento con due dita.

«Mentirei se ti dicessi che non sono fiera di te per la responsabilità che ti sei assunto, ma mentirei anche se dicessi che non sono felice di averti qui.»

Quel contatto, unito al profumo di sua madre, ebbe il potere di scatenare la più ancestrale delle reazioni, in lui: Tsubasa si rifugiò tra le braccia della donna che lo aveva messo al mondo, e si lasciò andare a un pianto liberatorio e silenzioso.

«Mamma…» mormorò tra le lacrime, aggrappandosi a lei. Natsuko si limitò a cullarlo, carezzandogli la testa, senza fare domande, senza porgli quesiti a cui non avrebbe potuto rispondere, perché avrebbe dovuto metterla al corrente della parte più oscura di sé, e non era pronto a condividere quel vuoto con lei.

 

 

«Tua madre mi ha detto che ti avrei trovato qui.»

Kei era rimasta ad osservare Tsubasa per parecchio, prima di palesare la propria presenza: il ragazzo era appoggiato alla ringhiera in legno che circondava la terrazza del tempio, lo sguardo fisso sulla città.

«Il pallone a Wakabayashi l’ho calciato da qui.» mormorò, sollevandosi appena e incrociando le braccia al petto «A distanza di tanti anni, mi sembra davvero impossibile di esserci riuscito.»

«Ti ho visto fare cose che a nessun altro erano concesse, Bas.» gli si affiancò, voltandosi poi a osservare la distanza che li separava dalla villa della facoltosa famiglia.

«Ho lasciato che lo prendessero…»

Kei tacque, mentre un nodo enorme le bloccò la deglutizione: evitò lo sguardo del compagno, sapeva che non avrebbe retto se avesse letto anche nei suoi occhi lo stesso smarrimento che vedeva allo specchio ogni mattina.

«Era un piano senza capo né coda» Tsubasa continuò la sua dissertazione «e, diamine, lo sapevo, ma gliel’ho lasciato fare. Come pensava di potersi liberare di quei figli di…»

Si risolse a voltarsi verso di lui e gli posò una mano sull’avambraccio.

«Non avremmo potuto impedirgli di farlo neanche se ci fossimo impuntati: hai idea di quanto l’avrebbe tirata lunga, se fosse riuscito a salire sul cargo?» pronunciò, incurvando le labbra in un sorriso affettuoso.

«Avrebbe raccontato la sua versione edulcorata per mesi.» Tsubasa annuì, sorridendo a sua volta.

Kei incrociò le braccia al petto e rimirò lo skyline della città.

«Allora… questa è la nostra nuova casa.»

Il ragazzo le passò un braccio attorno alle spalle per attirarla a sé, e Kei ne approfittò per chinare la testa a sfiorare il suo petto.

«Così pare.»

«Tua madre mi ha parlato di un’officina, non molto lontano da casa sua. A quanto pare il proprietario sta andando in pensione.»

«Katsumoto-san mi ha già fatto sapere, e in maniera neanche troppo velata, che per lui sarebbe un onore passarci l’attività della sua famiglia.»

«Quindi abbiamo anche un lavoro.» Kei sospirò mentre Tsubasa si allontanava di qualche passo per raggiungere la panchina.

Una volta sedutosi, il ragazzo si passò le mani sul volto e si soffermò a massaggiarsi gli occhi: Kei non si mosse, ma un campanello d’allarme le si accese.

«C’è qualcosa che non va?»

«Qualcosa?» sbuffò l’altro, con un moto di stizza «Direi “tutto”. Abbiamo perso Cris, siamo dovuti scappare dal Brasile come dei profughi, sono tornato a casa da mia madre con la coda tra le gambe e non posso neanche spiegarle tutto quello che è successo perché rischio di farle venire un infarto… devo occuparmi di te, di Yuki, e non ho idea di come cominciare a rifarmi una vita qui.»

«Che vuol dire che ti devi occupare di me? So badare a me stessa.»

«Certo, l’ultima volta che ti ho lasciata sola per poche ore sei andata a venderti a Tanaka-san.»

«Io volevo proteggervi!» sbottò, puntandosi l’indice contro al petto «Io pensavo solo al bene di Yuki, vi avrei tenuto fuori da questo casino, se…»

«Ci hai tenuto talmente fuori che Cris ci è rimasto secco.»

A Kei si gelò il sangue nelle vene.

«Sei ingiusto…» sussurrò, lasciando andare le braccia lungo il corpo.

«Sì, Kei, sono ingiusto: sono ingiusto perché la vita lo è.»

«Se non ti conoscessi, direi quasi che tu mi stia accusando di averti rovinato l’esistenza.»

Il silenzio che seguì le sue parole fu come una coltellata: Kei distinse chiaramente il dolore che le squarciò il petto, mentre Tsubasa non alzava neanche lo sguardo su di lei, gli occhi serrati e il volto tirato, la mascella visibilmente contratta.

«Quindi è così?» avanzò di un passo.

«Kei…» finalmente la osservò.

«Voglio solo sapere se davvero mi ritieni responsabile di tutta questa merda.»

Di nuovo silenzio che cadde su di loro: Kei chiuse gli occhi, lasciandosi cullare dalla brezza che si incanalò tra gli alberi e la avvolse, facendola rabbrividire.

«Andiamo a casa…»

Tsubasa si incamminò lungo la discesa: Kei ne osservò l’andatura, e ne seguì il ritmo leggermente claudicante per qualche istante, prima di voltarsi a lanciare un’ultima occhiata a Nankatsu per poi seguirlo.

Sarebbe andata con lui a casa, ma non sarebbe mai stata il suo lar.

 

 

 

 

1 «Eu amo quando você fala assim.» = Amo quando parli così. 

2 «Oh meu amor, me dá mais.» = Oh, amore mio, dammene di più. Sì, Cris è parecchio ambiguo nelle sue espressioni XD

3 Puta que pariu = letteralmente significa "la putt*na che ti ha partorito", equivale al nostra vaffa, o simili

4«Te amo muito, irmã. Obrigado pela vida que você me deu.» = Ti amo tanto, sorella. Grazie per la vita che mi ha dato.  

5«Para, por favor.» = Smettila, per favore.  


COMECOMECOSA?

Ebbene sì, avete letto bene: la storia è completa così. 

*schiva padelle* 

Ovviamente questo non significa che sia terminata qui, anzi! Il sequel è in lavorazione e stimo di pubblicarlo tra settembre e ottobre (ecco, ora che l'ho detto non succederà mai). 

Purtroppo non posso passare le mie giornate a scrivere - me tapina che ho bisogno di lavorare per vivere - ma non vi abbandonerò di certo con tutti questi interrogativi, non è da me! 

Il colpo al cuore più grosso è sicuramente quello riguardante Cris (scriva occhiatacce della BetaMela) ma credetemi, non è stato facile neanche per me prendere questa decisione: il debito di riconoscenza che il ragazzo ha sviluppato nei confronti di Kei e Bas è talmente grande da farli compiere questo gesto sconsiderato, che però permette loro di mettersi in salvo e soprattutto di portare in salvo Yuki. 

Certo, ora questo cambia un po' le dinamiche di questa família sempre più ridotta all'osso, e il loro arrivo in Giappone non è dei migliori, con questa leggera frattura fra Keiko e Tsubasa che sembra segnare il loro rapporto. 

Che dire?

Ringrazio di cuore voi che mi avete seguito fino a qui, voi che avete letto, voi che avete recensito, che avete inserito la storia tra le preferite/seguite/ricordate, voi che mi avete scritto in privato: è bello sapere che ci siete *cuore* 

Sperando che il caldo non ci faccia sciogliere tutti, vi aspetto qui a breve, con una nuova storia ^^ è una promessa e una minaccia at the same time XD e vi lascio con la canzone che ha ispirato buona parte di questa Velozes e Furiosos e molta di quella che sarà la prossima, per tenervi compagnia

LAR - Geovanna Jainy

 Um abraço

La vostra Sakura

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