Dancing in my storm

di Euridice100
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I - Strawberry (FeBruabba2022 prompt#23) ***
Capitolo 2: *** II - Heist (FeBruAbba Prompt #8) ***



Capitolo 1
*** I - Strawberry (FeBruabba2022 prompt#23) ***


Dancing in my storm
I - Strawberry (FeBruabba2022 Prompt#23)


 
(CoffeeShop!AU + Modern!AU + Genderbend!AU)
 
 
Un locale a tema fragole. Lea si chiede se ci sia stato un minimo di studio, un qualche business plan alla base di simile azione suicida: quanto può sopravvivere una sorta di sala da tè che vende solo prodotti a base di fragole? E che dire delle fragole fuori stagione? Poi ci si lamenta dei disastri ambientali.
Le prime volte ci è andata perché la sua collega di facoltà è letteralmente ossessionata dalle fragole. Avrebbe potuto aprirlo lei quel locale. Ma con la sessione alle porte Fra, donna saggia, si è sigillata in casa a mandare a memoria il manuale di Diritto commerciale. Lea, che altrettanto saggia non è, allo Strawberry Fields Forever – mamma mia quanta originalità – ci è tornata molte altre volte, con o senza i libri.
In realtà il posto non le piace: è così rosa e lezioso da far concorrenza all’ufficio della Umbridge e i dolci la nauseano, sono zucchero puro.
E allora, perché da quasi sei mesi a questa parte, una volta a settimana, trascorre lì un intero pomeriggio?
Il motivo è abbastanza cretino.
Il motivo ha la frangetta, cerchietti argentati ai lobi e una risata contagiosa.
Si chiama Morena.
(Non che Lea glielo abbia chiesto, ovviamente. Lo ha scoperto per caso la volta in cui l’ha sentita rispondere al telefono.)
Ora, trattasi di una situazione ordinaria: una persona ti piace al punto che pur di vederla torni spesso nel locale in cui lavora, anche se il posto non è nelle tue corde? Semplice: lanci una battuta, ci parli, tenti di entrare in confidenza.
Da A a B, soluzione immediata.
Tuttavia, se Lea si impegnasse nello studio tanto quanto s’impegna nel complicare situazioni semplici, sarebbe già alla terza laurea.
C’è da dire che ormai Morena la riconosce: le sorride sempre quando entra, quando la serve le chiede come sta…
Chiacchiere di circostanza, deve essere gentile per lavoro.
Una volta le ha persino fatto i complimenti per la maglia che indossava.
Beh, mi faceva due tette enor…
La maglia è davvero bella.
Fra e Na’ non sanno più che consigli darle.
 - Se a me piace qualcuno, vado e ci parlo. Che c’è di strano? -
- Grazie, Na’, la fai sempre facile tu. -
Le sue amiche hanno ragione: i pellegrinaggi al locale sono fini a se stessi. Se non vuole che Morena resti una sconosciuta, deve rompere il ghiaccio. Ma Lea è negata per queste cose e soprattutto perché mai, cortesia lavorativa a parte, l’altra dovrebbe voler avere a che fare con lei? Quella ragazza è un prodigio della natura, sempre allegra, con due immensi occhi blu, e quanto diamine è luminosa la sua pelle? Tanta bellezza dovrebbe essere illegale.
Magari è già impegnata, o magari non le piacciono le donne, ma una cosa è certa: Morena non potrebbe mai trovare nulla di interessante in una come Lea, pallida e sempre imbronciata. Per non parlare del suo caratteraccio, persino peggiorato da quando non ha trovato il suo nome nell’elenco degli ammessi in Polizia.
Spera che almeno l’esame di domani vada bene. Non perché gliene importi – è una e una sola la carriera cui ambisce –, ma perché il solo pensiero di rivedere la delusione scurire il volto di sua madre la annichilisce.
Ci spera anche per un altro motivo.
Ha fatto una scommessa con se stessa: se supererà l’esame, andrà da Strawberry Fields Forever. Non ci mette piede da due settimane. Si siederà e, quando Morena verrà a prendere l’ordine, per una volta non si limiterà a bofonchiare un ringraziamento.
Lea riapre il libro. I titoli di credito fanno schifo. Sospira e ricomincia a ripetere.
 
***
 
23
Siiiiiiii ama siiiiiiii io lo sapevo che ce l’avresti fatta bravissima brava bravissima – tre cuoricini rossi pulsanti, pochi istanti prima del nuovo messaggio – E ora vai lì, vero? VERO?
Sì. Lea è una che mantiene le promesse, anche se fatte solo a se stessa – e stupidamente confidate a Na’, ma questo è un altro discorso.
Appena esce dalla facoltà, si dirige verso una sala da tè troppo rosa. Nessuna esitazione: cuffiette alle orecchie e dritta per la strada. Se si ferma a pensare, l’istinto di correre a casa avrebbe la meglio. Sbircia dalla vetrina: dietro il bancone, una certa cameriera è da sola, assorta al cellulare.
Quanto è bella. L’altra notte l’ha sognata. Un sogno piuttosto strano, in realtà: apriva delle cerniere… In un muro? Ma il punto non sono le bizzarre avventure oniriche di Lea, il punto è che da un bel po’ non prendeva una cotta simile per una che non-
In quel preciso istante, Morena alza lo sguardo. La vede. La riconosce. Sorride.
Cazzooo!
Le fa cenno di entrare e Lea non può – non vuole – far altro che obbedire.
- Ehi, buongiorno! Come va? È da un po’ che non ti vedo. -
- Ciao, – prega perché il rossore sulle guance sembri causato anche stavolta dallo sbalzo di temperatura – Sì, io ho… Dovevo studiare. Ho dato un esame. Oggi. -
Cristo Santissimo. Perché fa sempre la figura dell’idiota?
Deve dire qualcosa di intelligente, avanti!
La ragazza annuisce comprensiva.
- Ti capisco, la sessione è micidiale. -
- Era diritto commerciale. Ho preso 23, – e sti cazzi? Lea ti prego zitta che è meglio – Non è granché, ma è uno in meno. -
- Cavolo, ma scherzi? Commerciale mi sa di esame bestia, già il nome fa paura. Sei stata bravissima! – Lea non sa perché, ma ha l’impressione che tutta questa partecipazione sia sincera. È un bel pensiero. La riscalda in questa fredda giornata di febbraio – Siediti dove vuoi, ti raggiungo subito.
Morena ricompare dopo un istante con due piattini.
- Offro io. È l’ultima settimana. -
Lea si augura di non aver sentito bene.
- Cioè? -
L’altra pesca il cellulare dalla tasca posteriore dei jeans. Smanetta qualche istante prima di porgerglielo.
Lea legge incredula le righe scarne.
- Ma è legale? -
- Parrebbe di sì, – inforchetta la fetta di torta come se fosse la testa del suo capo – E anche se non lo fosse, per certa gente tutto è legale. -
L’amarezza nelle parole è così vera da far male. Con la forchettina Lea scarta dalla sua fetta i pezzi di fragola più grossi.
- Mi dispiace, – si limita a mormorare, ed è vero, per mille motivi diversi. Quelli egoistici, per una volta, non sono i principali.
- Me la caverò, – la giovane reagisce pratica – Era ormai chiaro, non viene quasi nessuno. Però questo lavoro mi mancherà. Mi piaceva, mi pagavano puntuali e nessuno mi toccava il culo mentre servivo. E questa torta… – accenna al piattino ancora pieno di Lea – Ma quant’è buona questa torta? -
Allarme. Possibile domanda trabocchetto.
Se Lea dice la verità e vien fuori che dei dolci si occupa la sua interlocutrice, game over.
Non sbilanciarsi, non sbilanciarsi è la soluzione.
- Già, davvero buona. -
… Lea, la regina delle sottone.
Le sopracciglia dell’altra scompaiono sotto la frangia.
- Guarda che capisco benissimo quando qualcuno mente. -
- Non sto mentendo. -
- Uso una tecnica segreta, – la mette in guardia, la bocca mezza piena – Ma non ti conosco abbastanza da mostrartela. E tanto con te non serve – te lo leggo in faccia che questa torta ti fa schifo. -
Lea alza i palmi in segno di resa.
- È solo un po’ troppo dolce per i miei gusti, – confessa.
Morena la guarda di sottecchi.
- Ma non è vero. Sa di fragole. Semplicemente, non ti piacciono le fragole. E allora mi chiedo, – porta un indice alle labbra, l’espressione tutto a un tratto assorta – Perché continui a venire in un locale a tema fragole, se a quanto pare non ti piacciono? -
Touché.
- Infatti non prendo mai la torta. -
Un ampio sorriso accende ancora di più il volto della cameriera.
- Vero anche questo. Sempre e solo caffè. Americano, tra l’altro – roba da bandirti da Napoli, anzi, dall’Italia intera.
Lea tiene a bada il pensiero che le lampeggia in testa. Il fatto che Morena ricordi le sue ordinazioni non significa niente: in questo posto ci vengono in quattro gatti, parole sue, e lei è forse l’unica presenza più o meno fissa.
- Ma dal momento sono una persona buona, te lo preparo comunque. -
Morena è una chiacchierona, ma a Lea piace ascoltarla. Le splendono gli occhi mentre parla degli studi in Pedagogia, dei ragazzini del rione in cui fa volontariato – come trova il tempo di far tutto? –, della passione per la sartoria ereditata dalla madre che l’ha cresciuta da sola dopo il divorzio dal padre e che ora sta poco bene. È una tosta, questa ragazza dai capelli corvini. Tutto a un tratto a Lea la sua vita, col suo susseguirsi di giornate sempre uguali, di paranoie e problemi più inventati che reali, sembra patetica. Farebbe meglio a non rispondere alle domande perché il confronto è impietoso.
Ma – si rende conto subito – quando Morena chiede, lei non è in grado di rifiutare.
Si ritrova a parlare di sé. E parlare di sé, in questo periodo, significa parlare di quel concorso. Di quante volte, sin da piccola, ha sognato la divisa. Di quando era ottimista e quel sogno era una corda cui si aggrappava, giorno dopo giorno, uno sforzo dopo un altro. Di quando, all’improvviso, uno strattone e la corda le è sfuggita dalle mani, lasciandole i palmi insanguinati e la dura, feroce consapevolezza di non essere – abbastanza brava, abbastanza meritevole, abbastanza.
Di come, da allora, i giorni scorrono e i pensieri restano fermi.
E forse non è la migliore idea parlare subito dei propri fallimenti, ma qualcosa le suggerisce che non ha senso nasconderli a Morena, che non deve temere il suo giudizio perché un giudizio, semplicemente, non c’è. Morena sa anche ascoltare. La lascia sfogare, non commenta, ma mai – neanche per un istante – Lea ha la sensazione di star parlando da sola.
- Sei la prima persona cui lo dico, – confessa alla fine – Gli altri lo sanno, mi stanno vicino, ma non sono mai riuscita a confidarmi in questo modo. -
E non ho idea del perché e questo mi fa paura, ma mi fa anche stare bene.
Morena non distoglie lo sguardo.
- Grazie. -
- Ma dovrei essere io a ringraziarti. Ti ho ammorbata con le mie lagne quando tu-
- Non ti permettere a definire lagne i tuoi problemi, – gli occhi fermi nei suoi, la giovane non mostra esitazione – Saranno anche diversi dai miei, ma questa non è una gara. E sì – ti ringrazio per aver avuto fiducia in me ed esserti confidata, – finisce il suo caffè prima di aggiungere – Mi spiace solo che tu non ce l’abbia fatta mentre altri hanno la strada spianata anche se non se lo meritano. Tu saresti un’ottima poliziotta. -
Lea corruga la fronte.
- Sei gentile, ma come fai a dirlo? Tu non mi conosci. -
Le labbra della ragazza s’increspano appena.
 
- Errore. Io non ti conosco ancora. -
 
 
___________________________________________________________________________________________________________________________________
 
Il titolo della raccolta è un verso da Liability di Lorde
 
 
N.d.A.: In occasione del FeBruAbba, due mesi fa ho sviluppato e pubblicato su Ao3 alcuni prompt. Era però strano non avere queste storie anche su EFP, dove si trovano i miei deliri anche risalenti a eoni fa; perciò eccomi qui.
In questa raccolta confluiranno diverse storie brevi che prima o poi svilupperò o terminerò. Sono progetti molto semplici, scritti un po’ per gioco un po’ per sfida verso me stessa, come nel caso delle storie del FeBruAbba, ma la cui stesura mi ha divertita. Aggiornerò più o meno ogni tre-quattro settimane, salvo nuove idee da pubblicare in autonomia.
Non vedo l’ora di scoprire cosa ne pensate di questo AU: consigli e pareri sono sempre benvenuti!
Mi trovate su Twitter, Tumblr e Ao3; qui, invece, la playlist BruAbba.
Grazie per aver letto sin qui e a presto, spero! ♥♥♥ 
Euridice100

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Capitolo 2
*** II - Heist (FeBruAbba Prompt #8) ***


Dancing in my storm
II - Heist (FeBruAbba2022 Prompt #8)
 
(La casa di carta!AU)
 
 

 
I mese
 
- Come ti hanno coinvolto in questo colpo? - 
- Niente nomi e niente legami, è la prima regola. - 
Il ragazzo ghigna.
- Ti ho fatto una domanda, non una proposta di matrimonio. Quella arriverà dopo. -
Abbacchio alza gli occhi al cielo. Questo qui lo metterà nei guai. Meglio stargli alla larga.

 

 
II mese
 
Le braccia incrociate dietro la nuca, Buccellati studia la forma delle nuvole.
- Siamo vicini al mare, – dichiara all’improvviso.
- E come lo sai? -
- Chi cresce vicino al mare non ne dimentica l’odore. -
- Io sono cresciuto in una città di mare e non-
- Ma io sono figlio di pescatori. Ho imparato a nuotare prima ancora che a camminare. Ma aspetta, – Buccellati si puntella sui gomiti in uno scatto – Sbaglio o l’irreprensibile Abbacchio ha appena svelato qualcosa sul suo passato? – lo scruta con esagerato sospetto prima di scoppiare in una risata cristallina. Il volto di Abbacchio prende fuoco. Non per la presa in giro, ovviamente. È colpa del sole – È grave, sai? Molto, molto grave. Lo dirò al Boss. -
- L’accento ci ha traditi il primo giorno. -
- Questo non ti giustifica. Ormai sappiamo già una cosa su entrambi. E queste cose sono come una valanga – se inizia non la fermi. Chissà, – si stende di nuovo sul prato – Magari un giorno arriverai a dirmi il tuo nome. -
Le guance dell’altro non accennano a schiarirsi.
È primavera, ma – deve ammetterlo – il sole è innocente.
 


 
III mese
 
È solo al terzo richiamo che Buccellati si riscuote.
- Scusami. Oggi ho la testa altrove. -
L’ho notato, è la replica silenziosa di Abbacchio. Non è il solo commento che vorrebbe fare.
Non c’è però bisogno di aggiungere altro: quasi gli avesse letto la mente, Buccellati mormora: – Tu credi che ce la faremo? -
Abbacchio batte le palpebre stranito. Perché questa domanda?
- Il Boss ha un piano per ogni evenienza. E noi formiamo una gran bella squadra. -
- Abbacchio – sì o no? -
Il più alto pensa all’impegno che tutti stanno mettendo. Alle loro diverse abilità. All’energia che si respira quando nominano quelle banconote – sembra quasi di sentirle tra le dita, ancora calde di stampa, tanta è la passione con cui ne parlano.
- Sì. Ce la faremo. - 
- E se non dovessimo farcela? -
È così strano vedere Buccellati insicuro. È una scena cui forse non dovrebbe assistere – è spiare attraverso un velo squarciato. Razionalmente non ha senso, è stato Buccellati stesso a dar voce ai suoi timori, eppure…
Eppure Abbacchio non si pente di quest’intimità inopportuna. Si pente più di non poter tirare un pugno a chi o cosa ha instillato il dubbio nell’altro.
- In tal caso, ci ricorderanno come una banda di raccattati con soprannomi da rosticceria, – Buccellati ridacchia e qualcosa nel petto di Abbacchio si rischiara – Io e Risotto abbiamo detto di usare nomi di città, ma voi avete preferito dar retta a dei mocciosi... -
- I soldi mi servono per far curare mio padre. Non posso fallire. -
Quando gli altri fanno riferimenti indebiti al loro passato, Abbacchio prova solo fastidio. Invece, quando è Buccellati a violare la regola, una parte in lui quasi desidera accada. 
Ma conosce le conseguenze di questa situazione.
Le ha già vissute sulla propria pelle. Non intende replicare.
- Non dev-
- Lo so, – parole sputate a denti stretti, ringhio più che frase – Ma non lo sto dicendo al mondo. Lo sto dicendo a te. -
Mescolare sentimentalismi e lavoro porta sempre guai.
- Non devi comunque. E non perché è un ordine del Boss, ma perché è vero – solo se non ci conosciamo possiamo agire a sangue freddo. E proprio perché tu non puoi fallire devi essere il più rigoroso. - 
- Anche con te? -
- Perché? Che differenza c’è tra me e gli altri? -
Chi sono io per te?
Abbacchio spera che la risposta giusta arrivi subito.
Buccellati esita per un istante.
- Nessuna. Non c’è nessuna differenza. -
Una speranza esaudita solo per metà.
 - La lezione sarà già iniziata. Dobbiamo sbrigarci, – Abbacchio s’incammina verso la villa. Non controlla se Buccellati lo stia seguendo.
Si evitano per tre giorni.
Quando ricominciano a parlarsi, non la smettono più.
 

 

IV mese
 
Buccellati ha un incisivo scheggiato. Risotto non sorride spesso, ma quando succede gli compaiono le fossette. Le ciglia che incorniciano gli occhi blu di Buccellati sono lunghissime. Prosciutto è di un’eleganza impeccabile, mai un capello fuori posto. La generosità di Buccellati prima o poi gli si ritorcerà contro. Pannacotta ha un potenziale immenso, peccato non possa più metterlo a servizio della società. Se Buccellati si mette in testa un obiettivo, niente e nessuno lo farà desistere. Narancia ama la musica tanto quanto lui e gli fa un sacco di domande, magari un giorno si deciderà a provare ad ascoltare qualcosa di diverso dall’hip-hop. In camera di Buccellati regna il caos. Quando Gelato e Sorbetto vanno a correre insieme, tornano dopo ore. Lui e Buccellati vorrebbero solo imitarli. Mista implora il Boss di non far iniziare la rapina in giorni in qualunque modo ricollegabili al numero 4. Buccellati non mangia le mele. Abbacchio sogna Buccellati ogni notte.
 
Niente nomi, niente legami.
 
- Perché sei qui? -
- Anche il piano più sofisticato ha bisogno di soldati. -
- Eri un soldato? -
(Ero tante cose.)
 
Ma puoi chiudere le persone in una villa per cinque mesi
e pretendere non creino legami?
 
- Quando mio padre guarirà, gli regalerò una villa a Capri e andremo a vivere lì. E tu verrai con noi. Avremo solo vestiti firmati, faremo festa e prenderemo il sole tutto il tempo. -
- Ma se sto cinque minuti al sole mi ustiono. -
Buccellati alza le spalle con noncuranza.
- Vorrà dire che ti riempirò di crema. -
Non distoglie lo sguardo, anzi, fissa l’altro finché non si trattiene più e scoppia a ridere.
Abbacchio sospira rassegnato.
- Peggio dei tredicenni. -
 
Se chiudi il mondo fuori, aprirai un mondo dentro.
Il Boss stesso se ne rende conto con un ragazzo dai capelli ricci.
 
- Non voglio perdere i contatti con nessuno di voi. -
- La vedo dura. Ci conosciamo poco e, a colpo fatto, dovremo stare quanto più lontani possibile. -
- Ma non posso fingere di non aver trascorso tutto questo tempo con Nari, Panni, Mista... -
- Resteranno nei tuoi ricordi. Da lì non li può cancellare nessuno. - 
Il fumo dell’ennesima sigaretta smezzata si perde nell’aria in grandi volute.
- Se ti incontro per strada, non riuscirò a far finta di non conoscerti. -
 
- Comunque vada, sono contento di averti conosciuto. -


 
V mese
 
La notte che precede il suo debutto, e con ogni probabilità epilogo, da rapinatore Abbacchio non riesce a prendere sonno. Si volta e si rivolta nel letto, labirinti di pensieri in testa.
In fondo, quella di domani non sarà una situazione davvero inedita. Cambia solo il lato della barricata.
In fondo, hanno studiato ogni singolo dettaglio. Devono solo mantenere la calma. Sono pronti.
In fondo, si sta preoccupando di un altro più che di se stesso. Proprio ciò che non doveva succedere.
Si alza. Lega i capelli, li slega. Si rimette i pantaloni. Mentre lo fa, mentre si avvia nel corridoio, mentre bussa alla porta di una stanza il cui disordine non dovrebbe conoscere, nella sua mente c’è finalmente silenzio.
- Nervoso per domani? – gli chiede Buccellati. Abbacchio non risponde. È seduto sul suo letto, a pochi passi da lui, a fissarlo tamponarsi i capelli ancora umidi di doccia – È normale. Di sicuro anche il Boss lo è, almeno un po’. Ma pensa al momento in cui i sol-
- Buccellati. -
- Sì? -
(Stavolta la stanza è più ordinata del solito.)
- Promettimi una cosa. 
(Si vede che questa è l’ultima sera. Anche a cena l’aria era elettrica.)
Il giovane resta in attesa.
(Domani a quest’ora potrebbero essere in una pozza di sangue.)
- Promettimi che domani non ti farai ammazzare. -
È Buccellati a tacere, ora. Colma la breve distanza tra loro, in un attimo è di fronte a lui. Abbacchio è immobile. Il sangue gli romba nelle orecchie quando l’altro lo attira a sé.
Il battito del suo cuore.
Vuole sentirlo sempre quel battito, sempre, ogni giorno.
Buccellati lascia correre le dita tra i suoi capelli
- Non possiamo prometterci ciò che non dipende da noi. -
Abbacchio lo sa. Non è uno sprovveduto. Ma deve sentirglielo dire – perché ha già perso tanto e rivede il colpevole ogni giorno allo specchio, ma se c’è una lezione, una cazzo di lezione che ha imparato da tutto questo è che puoi importi tutte le regole del mondo, ma quando succede non dipende dalla tua volontà, e quando succede va detto, bisogna chiamare le cose e le persone col loro nome, non lasciarle marcire in un angolo, perché poi…
- Tu mi piaci. E devi saperlo prima di domani. -
La scelta sbagliata alle volte è l’unica giusta.
Buccellati continua a carezzargli i capelli. La sua presa si è fatta più forte.
- Abbacchio – restiamo insieme stanotte. -
Abbacchio si stacca. Alza la testa. Gli occhi blu di Buccellati sono il mare.
 
- Leone. Mi chiamo Leone. -
 
***
 

Stavolta ho preferito usare "Buccellati" e non "Bucciarati" per l'assonanza col dolce siciliano.

 
N.d.A.: Nel 2018 ho commesso un errore fatale.
Ho visto il primo episodio de La Casa De Papel.
Risultato? Ci sono ancora sotto.
Perché sarà trashissima, insensata, tutto quel che volete, ma adoro questa serie (e Berlín) e lo dichiaro con orgoglio. E poiché adoro anche gli AU e JoJo (e Berlín), eccomi qui.
Questa storia ha un senso? No. La amo (quasi quanto Berlín)? Sì. Se vorrete lasciare un feedback mi farete tanto tanto contenta.
Sono anche su Twitter, Tumblr e Ao3, dove pubblico le traduzioni; qui, invece, la playlist BruAbba, in continuo aggiornamento.
Grazie per aver letto fin qui e a presto, spero! ♥♥♥
Euridice100
 
P.S.: NON SI RIPUBBLICANO LE STORIE ALTRUI SENZA PERMESSO E SENZA I DOVUTI CREDIT.

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