Podcast

di Bell_Black
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 07:07 ***
Capitolo 2: *** Conosci i BTS ***
Capitolo 3: *** Pateticamente romantico ***
Capitolo 4: *** Da qualche parte la vita è bella ***
Capitolo 5: *** Gente come me ***
Capitolo 6: *** Whalien 52 ***
Capitolo 7: *** Jungkook e il pinguino ***
Capitolo 8: *** Waffle per Jungwoo ***
Capitolo 9: *** Una Mail ***
Capitolo 10: *** Quanto è imbarazzante, indossare dei boxer con gli unicorni? ***



Capitolo 1
*** 07:07 ***


Capitolo Uno.
07:07

Il silenzio incombeva nel van, la tranquillità, che mi serviva per potermi concentrare su ciò che mi aveva completamente coinvolto dal mio ritorno alla vita normale

Il silenzio incombeva nel van, la tranquillità, che mi serviva per potermi concentrare su ciò che mi aveva completamente coinvolto dal mio ritorno alla vita normale. Avevo concluso il servizio militare, ormai da qualche mese, insieme ad altri membri della band, che in quel momento, sonnecchiavano sui sedili dell'auto, che ci stava conducendo ai nostri primi impegni lavorativi per quella mattinata.

Sentivo anche io, la stanchezza della nottata precedente cadermi sulle spalle, ma quando al mio risveglio avevo notato la notifica sul mio telefono, ogni accenno al rimando era svanito.

Sul telefono, l'icona viola annunciava la pubblicazione di una nuova puntata dell'unico podcast che mi era mai capitato di ascoltare e senza indugi, avevo raccattato le cuffie per recuperare le parole della misteriosa ragazza, che semplicemente pubblicava lunghi monologhi su ciò che la sua mente celava.

Ero riuscito a malapena, ad ascoltare l'introduzione solita, prima che Yoongi e Namjoon mi interrompessero per esortarmi a non perdere tempo. Nonostante la velocità con cui mi ero preparato, prima che potessi recuperare il telefono per continuare l'ascolto, Hoseok aveva annunciato l'arrivo dell'auto, chiedendoci di uscire in fretta, per non tardare.

Il viaggio in auto sarebbe durato quanto bastava, per ascoltare la ventesima e nuova puntata, della ragazza che si faceva chiamare; Purple Abyss.

Osservai per pochi secondi la copertina ormai nota, un disegno abbozzato di qualcuno appoggiato al davanzale della finestra, probabilmente disegnato da lei, oppure trovato su internet, non che mi fossi mai speso per risolvere quell'inutile dilemma. L'episodio era intitolato "Esistere o vivere?", titolo che a podcast iniziato, non aveva ancora accennato ad essere sviscerato.

La cosa che mi aveva lasciato più sorpreso, ascoltando l'introduzione della voce senza volto, era la piccola risata sfuggita dalle sue labbra, dopo il ringraziamento posto ai suoi followers di Instagram, che avevano festeggiato le venti puntate ,cercando di tirarle su il morale con alcuni commenti buffi.

Speravo che quel piccolo momento, designasse un monologo con un finale più allegro, meno negativo del solito, così semplicemente sistemai le cuffie nelle orecchie, speranzoso di sentire parole dure, ma dal risvolto meno oscuro, premetti play e chiusi gli occhi per immergermi nell'ennesimo flusso d,i coscienza di quella sconosciuta che sospirò, per poi riprendere a parlare. 

"Mi sento così confusa e fuori luogo, nonostante non esca da casa mia e a malapena lascio la mia stanza, sento una crescente consapevolezza di essere nel luogo sbagliato, di non essere adatta nemmeno a vivere in casa mia. Sento la pesantezza della reclusione e del vivere lontana dagli essere viventi, smontando qualsiasi mia precedente percezione di poter sopravvivere nella solitudine.

Sento un'oppressione nel petto, al pensiero che questa situazione continui, ma ne sento una ancora più tediante, realizzando che non è una realtà eterna, vivendo in continua contraddizione con me stessa.

Esistere o vivere? 

Vorrei fosse più semplice darmi una risposta sincera, è abbastanza elementare saper rispondere ad una domanda del genere, per persone come me, diventa impossibile poterlo applicare e chi ci riesce deve affrontare una seconda domanda esistenziale.

Vivere o sopravvivere?

Forse qui non c'è una vera risposta netta, l'esistenza richiede compromessi tra il vivere e sopravvivere, se ci fosse concesso, di procedere nel mondo solo con atteggiamenti, lavori, pensieri personali, dettati dal nostro personale modello di vita, nel mondo vigerebbe il caos e la mancanza forse di elementi essenziali.

Ho evitato sempre di pormi questo genere di domande, di ragionarci troppo, perché nonostante la mia esistenza prolungata, non sono mai riuscita a superare il primo ostacolo, rispondere correttamente alla prima domanda e seguire tale responso. 

vivere ho sempre preferito esistere

Non ho mai saputo stare al mondo, ho sempre percepito la paura per ciò che mi circonda, di chi mi si avvicina, di come gli altri mi percepiscono, il mondo mi è sempre sembrato un nemico ed è sempre stato più facile vivere in camera mia, al sicuro dal mondo, ma non da me stessa.

Uscire di casa è sempre stato uno sforzo titanico, volto a soddisfare esigenze e desideri altrui, non mi è mai capitato di lasciare la mia abitazione, per una volontà che mi appartenesse, uscire era come buttarsi in battaglia, una lotta che si svolgeva prettamente nella mia testa, perché era ovvio anche alla mia paranoia, che uscire di casa non è mai stato un vero pericolo. 

Il mondo procede per equilibri, fra buoni e cattivi, ma spesso vivendo tutti i giorni a nessuno importa di chi ha accanto, lo ignora e lo lascia esistere in serenità, ma la mia testa pensa il contrario, si contraddice sulle esperienze vissute distorcendole a suo favore, l'ha sempre fatto e lo fa tutt'ora, nonostante senta la mancanza dell'esterno.

Adesso sono troppo grande per rifugiarmi in questo pensiero adolescenziale, l'idea che chiudendomi nella stanza a me più cara, possa ghiacciare il mondo, mentre io provo ad essere all'altezza di esso, ma alla mia età, mi sento in ritardo e continuo a dovermi sforzare per convincermi di essere pronta ad affrontare ciò che tutti hanno già accettato. 

Tutti sono scesi a patti con la realtà vivendo e sopravvivendo, mentre io tremo al pensiero che il mondo torni normale, perché desidero tornare a quelle poche concessioni che mi permettevo, ma allo stesso tempo, l'idea della normalità mi destabilizza.

Fino adesso, tutti hanno vissuto come me, non pretendendo che uscissi di casa, sentendosi rinchiusi, ma allo stesso tempo tranquilli, volendo la libertà, ma attendendo, come se il mondo stesse dando la possibilità a gente come me di trarre coraggio e ispirazione da tutte quelle persone, abituate a vivere e che chiedono a gran voce di ritornare per strada.

Forse questa influenza è avvenuta, perché dopo mesi di reclusione, sento anche io la necessità di uscire e poter fare qualcosa, ma allo stesso tempo ho vissuto di rimandi che non ho neanche provato a recuperare, consolandomi con un semplice: «Proverò domani», ma quel domani non è mai arrivato.

Alcune volte vorrei chiudere gli occhi ed essere già anziana, così da potermi rifugiare in casa ed essere giustificata, altre vorrei proprio non riaprirli e questo pensiero mi fa sentire tremendamente in colpa, realizzando che nessuna scorciatoia mi porterà alla soddisfazione, ma che non ho accumulato abbastanza coraggio e esperienza, per percorrere la normale e comune strada, insieme a tutti gli essere umani.

Mi sono esclusa da sola, tenendomi sempre dietro agli altri, finché non sono stati abbastanza lontani da non poter essere raggiunti, fin quando non sono stati così estranei da provocarmi disagio e convincermi che in casa, isolata, sola, sarei stata meglio... ed è stato così.

Nessun momento quotidiano sociale mi ha mai realmente soddisfatto, l'unica cosa che mi spinge e costringe ad uscire di casa, sono sempre stati concerti e viaggi, gli unici momenti in cui vale la pena combattere giornalmente con l'ansia, la paranoia, il disagio dello stare al mondo, dell'essere circondata da persone, che nella mia mente mi stanno giudicando, a cui sicuramente non piaccio.

In quei momenti ci convivo con sforzo, per potermi concedere le uniche cose che amo, le uniche cose che questa pandemia, mi ha personalmente tolto e che non mi ridarà presto.

Il solo pensiero di questa mia malinconia per eventi sociali, aumenta il mio senso di colpa, mentre il mondo va a rotoli, il mio paese si deteriora e le persone muoiono.

Ogni giorno, mi sento più egoista e la reclusione, mi ricorda solo quanto il desiderio di poter rimanere a casa sia sempre stato un sogno, diventato un po' incubo anche per me.

Ho fallito nel mio essere un'umana, dalle cose più complesse, fino a quelle più semplici, non mi sento diversa da un galeotto recidivo, che non riesce a conformarsi con la società. 

Le nostre uniche differenze, sono la motivazione dell'essere rinchiusi e i confort a me concessi. 

Vedo speranza anche in me stessa, quando annunciano possibili ritorni alla realtà, che si confronta, con la costante paura, amplificata dalla consapevolezza, di doversi approcciare a un mondo completamente nuovo e ancora più tetro del precedente.

Una persona come me, non dovrebbe avere il privilegio di vivere in questo modo, vorrei solo essere abbandonata e lasciata sola, anche dalle ultime persone che credono sfortunatamente in me, così vivrei miseramente ma felice, perché lontano da tutti e senza essere un peso per le persone a me più care.

Con queste parole, credo di dovervi lasciare, mi sono dilungata fin troppo e come al solito questi pensieri mi fanno venire il mal di testa, vi lascio un saluto e un arrivederci a chiunque sia arrivato alla fine di questo podcast e desidera sentirmi ancora."

Una lacrima solcò il mio volto, come spesso mi capitava da quando ascoltavo quelle riflessioni. Dopo il servizio militare mi ero sentito solo, vuoto, completamente perso, passavo le mie giornate in una personale quarantena giustificata da una un po' più verità, dopo che un mio compagno d'arma, era stato trovato positivo al virus, che aveva rallentato ogni attività.

Dopo la vera quarantena e due tamponi negativi, mi ero rifiutato di recarmi al dormitorio, dove i membri della band, partiti nel mio stesso periodo attendevano il mio ritorno in casa, non mi sentivo pronto alla compagnia, ad affrontare le loro domande, i momenti di chiacchierata, volevo stare solo e completamente in silenzio.

Chiuso in casa mia tutto sembrava migliore, il mondo, il lavoro e persino quel costante senso di inadeguatezza si era placato, stavo meglio, ma sapevo che quello non era vivere, ma grazie a quella solitudine avevo trovato lei.

La sua voce tranquilla e candida, mi aveva completamente travolto, spingendomi ad ascoltare ogni episodio del suo improvvisato podcast o come l'aveva intitolato lei; "Monologhi pandemici". Ogni episodio aveva il suo tema e ognuno di questi faceva un po' parte dei miei pensieri, condividevamo molti dubbi e malesseri, ma la sua voce, mi aveva aiutato a muovere i primi passi verso i miei amici, uscendo dalla solitudine e affrontando con loro alcuni dei miei pensieri distruttivi.

Non avevo cercato aiuto, ma in qualche modo mi era stato dato da una completa sconosciuta, da qualche parte nel mondo, chiusa in casa, per via delle circostanze che hanno portato allo stato malsano, che accomunava le nostre menti.

Spesso mi chiedevo chi fosse, da dove venisse, non era certo nemmeno fosse coreana, visto il suo strano accento e le sue pause, probabilmente volte a ricercare la parola giusta per il contesto. La cosa che più mi sorprendeva, era non volerlo sapere, visto che era una persona naturalmente curiosa, avrei voluto sapere di più, ma allo stesso tempo comprendevo non fosse necessario, mi bastavano le sua voce e le sue parole, di frequente anche riportate sui suoi social.

Spesso mi trovavo a chiedermi, se nella sua solitudine avesse qualcuno che potesse aiutarla realmente, con vere discussioni e momenti di riflessione diversi da quei monologhi e dai commenti online, differenti dai superficiali complimenti sulle sue parole o dalla solidarietà spicciola del periodo.

Un po' sentivo il bisogno di sapere che stesse bene, me pesavo fosse normale, da essere umano preoccuparsi del prossimo era di norma una cosa comune, specialmente se quella persona si apriva tanto al mondo, anche se in modo piccolo, utilizzando una lingua non compresa dal mondo intero come l'inglese. 

Prima che me ne rendessi conto, la ripetizione attiva mi aveva portato al primo episodio e al suo primo approccio impacciato, al più evidente accento straniero e ai piccoli balbettii dovuti dal nervosismo, che si provava verso qualcosa di nuovo, mi era sempre parsa molto carina e dopo venti monologhi, ancora doveva affrontare il suo evidente timore nel parlare.

"Hyung ci siamo", la mano di Namjoon mi tolse una delle cuffie, così che potessi sentire le sue parole, recuperai la borsa e la custodia delle cuffie, indossai la mascherina, per poi seguire i tre ragazzi fuori dal van, dove alcuni fotografi attendevano il nostro arrivo.

Una delle donne facenti parte dello staff ,ci indicò il punto esatto dove fermarci per poter procedere con le foto di rito, che da li a poco avrebbero invaso i social. Salutai i presenti con un piccolo inchino e il cenno della mano, oltre i paparazzi erano presenti anche alcune fan, appostate sui loro sgabelli, con le macchine fotografiche e gli striscioni che gli coprivano il volto, mentre urlavano complimenti. 

Per un secondo mi ritrovai a chiedermi se quella sconosciuta conoscesse i BTS, me o la nostra musica o per meglio dire, se fosse una nostra fan, parlando coreano, ero certo gli fosse capitato almeno un articolo in riferimento ai nostri traguardi.

"Jin, dobbiamo entrare", Namjoon mi diede una pacca sulla spalla per riportarmi alla realtà, gli altri due si trovavano già all'interno dell'edificio, mentre io mi ero così concentrato su una cosa tanto frivola, da non essermi reso conto del via libera dato dallo staff. 

Mi inchinai ancora una volta ai paparazzi, fingendomi nostalgico di tante attenzioni, alzai un braccio e mi misi in posa al fianco di Namjoon, coinvolgendolo nella piccola posa buffa che avrebbe dissimulato la mia distrazione. Portai i capelli all'indietro, regalando un occhiolino ai presenti, per poi allontanarmi saltellante, trascinando il povero Namjoon confuso e leggermente in imbarazzo per la mia esuberanza.

Arrivati all'interno dell'edificio, una donna minuta e con un termometro in mano, ci chiese di abbassarci, per poter misurare la nostra temperatura e porgerci l'igienizzante, che avremmo dovuto usare per tutto ciò che ci circondava, più per buon esempio che necessità, visto che ogni ambiente veniva meticolosamente sanificato, ogni volta che un artista veniva a far visita.

Era ormai passato un anno, dall'inizio di quella situazione, anno in cui tutto doveva sembrare più famigliare e invece era ancora strano, non togliere le mascherine per rivolgersi a chi avevamo davanti, non stringere mani, evitare di stare troppo vicini e ricordarsi costantemente di igienizzarsi le mani.

Doveva essere un gesto automatico, ma stranamente non lo era. 

Ci portammo silenziosamente verso il corridoio adiacente, condotti dall'uomo che ci avrebbe intervistati per la prima volta, dopo settimane di silenzio, dove l'unica pubblicazione inerente al gruppo, erano le foto del nostro congedo militare e dell'imminente ritorno degli altri membri. All'interno della saletta tutto era ben distanziato, le sedie, il conduttore, la troupe e ogni microfono presentava la sua copertura. 

"Signori prendete pure posto, grazie al distanziamento vi sarà possibile togliere le vostre mascherine, sulla sedia troverete una bottiglia d'acqua e una nuova mascherina, mettetevi pure comodi, inizieremo tra qualche minuto", annuimmo tutti e quattro all'uomo che si allontanò, per poter recuperare tutto ciò che gli sarebbe servito per l'intervista.

Presi posto su una delle sedie e sfila la mascherina, adagiando il tutto sul piccolo ripiano accanto a me, non ero pronto a quell'intervista, nonostante conoscessi tutte le domande, battute e pause della sessione, l'idea di tornare alla ribalta mi metteva a disagio, non mi sentivo pronto nemmeno per questa stupida intervista.

"Hyung, stai bene?" La voce preoccupata di Namjoon, mi allontanò dai miei soliti pensieri, mi voltai verso il ragazzo che aveva preso posto al mio fianco, anche lui sembrava agitato, visto come giocherellava con l'elastico della mascherina che reggeva tra le mani.

"Sono solo leggermente agitato, era da un po' che non ci intervistavano", sottolineai con una piccola risata, il ragazzo annuì pensieroso, anche lui aveva accennato a delle perplessità in merito a quella intervista, sembrava tutto troppo precoce e la mancanza dei membri più piccoli era percepibile, anche senza guardarsi intorno.

"Andrà bene, hai dimostrato anche prima di potercela fare", Namjoon mi regalò una pacca sulla spalla, gesto di cui avevo bisogno, avevamo incontrato in pochi minuti una decina di nuove persone, che si erano tutte presentate con un inchino di rito, ma allo stesso tempo, sentivo la mancanza di quel minimo contatto fisico, che spesso precedeva queste interviste.

Percepivo il bisogno di una chiacchierata leggera con il conduttore, dove l'unico scopo era sciogliersi e prendere confidenza, scambiarsi pacche e strette impacciate, alcune volte date con troppa foga o contro voglia, sentivo anche la mancanza delle labbra schiuse per lo stupore, ogni volta che un membro più piccolo della band, mi chiamava per nome e senza onorificenze.

Erano cose che prima non notavo, superflue, alcune volte terribilmente irritanti, ma adesso erano la prova dell'ennesima mancanza. 

L'intervistatore prese posto sulla sua poltrona, per poi sfilare la sua mascherina e offrirci un educato sorriso, mentre gli operatori, sistemavano gli ultimi dettagli, prima di andare in onda. Recuperai il telefono dalla tasca, dove una notifica da parte di Instagram riuscì a distrarmi per un momento da quella situazione fredda, che alimentava il mio disagio.

La notifica arrivava direttamente dall'account personale, che utilizzavo principalmente per seguire persone di mio interesse, molto anonimo e con poche foto, il mittente era proprio Purple Abyss, sul suo profilo era stata pubblicata una nuova foto che raffigurava uno scaffale su cui erano posti una serie di libri che la ragazza consigliava, la descrizione non diceva altro, la foto, sembrava una delle tante, che si potevano trovare nella sezione "aesthetic" di Pinterest.

Lasciai un cuore al post, pronto a spegnere il cellulare per potermi dedicare completamente all'intervista che stava per iniziare, quando notai che le foto erano due e scorrendo il post, nella seconda c'erano altri libri, che a differenza dei primi erano tenuti fermi dalla sveglia dei BT21

Purple Abyss era una fan dei BTS.

Salve Torno, nonostante la storia incompleta da un anno, di solito è mia consuetudine finire una storia prima di iniziarne una nuova, ma questa volta ho deciso di non tenermi incatenata al mio blocco da scrittrice ormai prolungato da troppi mesi                    

Salve 
Torno con un argomento un po' delicato e che ha in piccola parte del personale, mi sentivo di condividere questi pensieri sotto forma di Fanfiction perché per me era più confortevole, volevo dare un background e qualcosa su cui sognare, oltre ai pensieri soffocanti in cui alcuni potrebbero rivedersi.
Spero abbia il giusto impatto e che nessuno si senta infastidito da ciò che andrà a leggere. 
Sicuramente i primi capitoli saranno tutti più o meno di questo genere, ma essendo la storia ancora in fase di scrittura, più avanti l'impostazione potrebbe variare.
I capitoli non saranno particolarmente lunghi.
Spero che questa storia possa piacervi, aiutarvi e farvi riflettere, spero di riuscire a trattare il tema nel miglior modo possibile e che nessuno si senta offeso per alcune ingenuità di pensiero o soluzioni di trama, rimane comunque una fanfiction volta a intrattenere e non solo basata sui pensieri più seriosi. 

La storia è stata scritta di getto, senza riletture ormai nel 2020 e ho deciso di pubblicarla adesso, nonostante sia il 2022 e la storia sia ancora in fase di scrittura, in parte spero questo mi aiuti a vivere meglio questo processo di demonizzazione della pandemia e mi liberi un po' la mente.
Detto questo, al prossimo capitolo!

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Capitolo 2
*** Conosci i BTS ***


Capitolo Due.
Conosci i BTS?

Sistemai la mascherina sul volto, uscendo in tutta fretta dall'edificio dove avevo appena trascorso l'ora più lunga della mia vita, il mio psicologo si era voluto soffermare su concetto di silenzio, dopo che nelle ultime sedute, l'avevo utilizzata...

Sistemai la mascherina sul volto, uscendo in tutta fretta dall'edificio dove avevo appena trascorso l'ora più lunga della mia vita, il mio psicologo si era voluto soffermare su concetto di silenzio, dopo che nelle ultime sedute, l'avevo utilizzata come scusa verso l'allontanamento da i miei amici, famigliari, ma anche dalla musica. 

Di solito non ero tanto suscettibile, non mi alteravo per delle precisazioni dovute, anche se scomode o sullo svisceramento del problema, era il suo lavoro, lo pagavo per questo, ma oggi mi sentivo infastidito, tutto mi urtava e in parte, attribuivo tutto ciò alla mancanza da diversi giorni, del podcast di Purple Abyss.

Mi sentivo infantile a sbuffare, mentre il suo nome risuonava nella mia testa, ero arrabbiato con una ragazza che non conoscevo, mi sentivo lasciato indietro, da una persona che non avevo mai visto, abbandonato da una voce, che sicuramente aveva cose più utili alla sua sopravvivenza da fare, che parlare a un microfono per me.

Ero così egocentrico, da pensare che facesse tutto per me.

Sbuffai ancora una volta schernendo me stesso e in quel momento, fui felice di indossare la mascherina, che copriva il volto colmo di disappunto, i miei pensieri prendevano forma in delle smorfie, che la persona nel parcheggio insieme a me non poteva fortunatamente vedere.

Estrassi le chiavi dell'auto dalla tasca, rifugiandomi all'interno della vettura, felice di poter finalmente togliere la mascherina; lasciai cadere il pezzo di stoffa sulle gambe e mi presi qualche minuto per riprendermi dalla carica di frustrazione, che non ero riuscito a lasciarmi alle spalle, neanche dopo la mia settimanale seduta dallo psicologo.

Volevo urlare, arrabbiarmi con qualcosa o qualcuno che realmente meritasse la mia furia, volevo litigare con qualcuno, sfogarmi, lasciarmi andare a insulti frivoli e battute pungenti, così da poter liberare la mia mente dal continuo desiderio di spaccare il telefono.

Una sconosciuta, non doveva avere un tale potere su di me.

Stavo facendo ruotare il mondo intorno alle sue parole, al suo stato d'animo, a qualsiasi cosa comprendesse un suo aggiornamento, lo facevo ormai da un mese e non ero ancora pronto a farne a meno, avevo bisogno del mio conforto, avevo bisogno di lei. 

La vibrazione del telefono destò la mia attenzione, potei vedere e sentire il mio cervello illuminarsi, cosa obiettivamente impossibile, ma che per qualche strano motivo era avvenuta, recuperai lo smartphone dalla tasca con un crescente sorriso sulle labbra, per poi spegnermi quando notai che la notifica non proveniva dai podcast, ne dai suoi canali social.

Sospirai esausto, chiusi gli occhi e iniziai a colpirmi con il telefono, sentendomi un completo idiota, non era lei e questo mi feriva, come se Purple Abyss mi dovesse qualcosa, ma in quel momento ero deluso, come un ragazzo appena stato lasciato, che sperava di avere una seconda possibilità.

Ritornai a guardare lo schermo del cellulare, dove il messaggio di Namjoon figurava, coprendo la foto di gruppo fatta prima che mi tagliassi i capelli per arruolarmi. Ignorai per qualche minuto il messaggio, eliminando la notifica così da poter avere una visuale completa dello sfondo.

Quel Seokjin circondato dai suoi amici, non sembravo neanche io, quei momenti apparivano così lontani e sereni da rappresentare la vita di qualcun altro, quello nella foto non ero io, non più.

Tutti e sette eravamo cambiati in realtà e la cosa sarebbe stata più evidente quando saremo tornati in attività, il servizio militare, come la pandemia aveva inevitabilmente modificato le cose, mi sentivo sopraffatto, da tutti gli avvenimenti e quella foto mi ricordava qualcosa che non avrei riavuto, forse.

Sbloccai il cellulare e modificai l'immagine, mettendo come blocco schermo una foto più recente, fatta con Yoongi, appollaiati al davanzale del balcone, quella foto rappresentava solo la tranquillità, quella che volevo provare in una giornata tanto normale e priva di impegni.

Recuperai il messaggio di Namjoon, che mi chiedeva di raggiungerlo in studio, per aiutarlo con l'incisione di alcune tracce, risposi velocemente per poi adagiare il telefono sul suo comparto, pronto a partire vero la mia meta.

Feci partire l'auto, ma prima che potessi attivare la retromarcia il telefono vibrò ancora una volta, spostai gli occhi dallo specchietto allo schermo del telefono, sicuro di ritrovare la risposta di Namjoon e invece, l'icona della era viola.

Purple Abyss aveva pubblicato un nuovo episodio del suo podcast.

Sorrisi automaticamente e dopo che, il riconoscimento facciale ebbene sbloccato il telefono, pigia sulla notifica, che mi portò alla schermata famigliare che stava faticando a caricarsi per via del poco segnale nel garage.

In tutta fretta, mi assicurai di aver allacciato la cintura e feci manovra per lasciare il parcheggio, ansioso di sentire la voce della ragazza, le sue nuove riflessioni, magari una che mi avrebbe aiutato a conoscerla meglio, così da poter giustificare tanta eccitazione in una semplice notifica.

Era solo un podcast, ma in quel momento rappresentava tutto per me.

Mi fermai al primo semaforo presente sulla strada e spostai lo sguardo sul telefono, l'episodio era intitolato, "La pesantezza della musica", un titolo che mi toccava più del dovuto e che sicuramente, non avrebbe aiutato il mio sentirmi protagonista delle sue chiacchierate. 

Finalmente il podcast era carico e allo scattare del verde, la sua voce invase l'auto sostituendo la musica.

"Passo le mie giornate inerme, rannicchiata sul letto, senza nessuna voglia di muovermi, il telefono alla mano e le cuffie sempre vicine, sicura che prima o poi mi verrà voglia di ascoltare la musica.

Me lo sono ripetuta per giorni, settimane ormai, quasi mesi, ma quelle cuffie non hanno fatto molto, dalla loro custodia si sono spostate nelle mie orecchie, ma non hanno prodotto alcun suono.

Silenti, come tutto ciò che mi circonda in questo periodo.

Ho vissuto dicendo e sentendomi dire di fare quello che mi piace, vivere dei miei interessi, ma in questo momento, non riesco nemmeno far riprodurre la canzone che più amo, come se la musica, non fosse più un mio interesse, quasi certa che se la ascoltassi non mi piacerebbe più.

Come posso vivere di un interesse, se è morto con tanta facilità al primo intoppo? Oppure devo chiedermi se la musica è mai stata realmente un mio interesse, se non mi sono illusa, di poter ambire alla pace, grazie a quei suoni, fingendo così tanto che mi piacesse, da ingannare anche me stessa.

Ovviamente non avevo risposte e sono certa di non averle neanche cercate, volevo continuare a credere fossero paranoie, anche se in parte iniziavo a credere ai miei pensieri.

Ho vissuto per settimane, nel ricordo di quanto fosse bella la musica, delle mie canzoni preferite, eppure l'idea di farne partire una mi nauseava, disgustava e disturbava a tal punto da farmi rannicchiare sul letto, percependo del dolore fisico soffocante.

Non ho mai temuto, che la musica fosse mia nemica, ma in quel momento, osservando i brani nel telefono non sentivo nulla, nessun sentimento positivo, solo la voglia di allontanarmi, da quell'ultimo centimetro di serenità. 

La musica non era più un conforto, in realtà non era nemmeno dolore, ma solo un nome su uno schermo, la possibilità di avere del rumore, una possibilità che scartavo ogni volta che mi capitava di pensarci.

Non mi sentivo pronta ad ascoltare musica, nonostante aggiornassi la mia playlist, forse nella speranza di poterla utilizzare un giorno, di essere abbastanza coraggiosa da addentrarmi addirittura, nelle nuove musicalità rilasciate durante la pandemia.

Mentre guardavo la traccia scelta sullo schermo del telefono, mi rigiravo nel letto, lo facevo più volte, fissando il tasto di riproduzione, sentendomi scomoda sullo stesso letto in cui dormivo da anni, mentre cercavo di capre se volevo perdermi nella musica, ma alla fine bloccavo semplicemente il telefono e rimanevo rannicchiata sul letto.

Senza le canzoni le giornate sembravano eterne, non scandibili dal minutaggio di un brano, le docce apparivano tutte troppo corte, i momenti in cucina troppo lunghi, senza musica non concepivo il tempo, tre minuti potevano essere cinque o l'intero arco di luce giornaliero, non faceva differenza, era disgustosamente uguale. 

Tutto era semplicemente suddiviso in due, luce e oscurità, perché nemmeno il sonno veniva in mio aiuto, rimanevo sdraiata a fissare il soffitto, in attesa che anche quella porzione di tempo terminasse o che i miei occhi si chiudessero, così da annullare una parte di tempo. 

Recuperavo più volte il cellulare tra le lenzuola, aprendo ogni volta l'app per la riproduzione musicale, fissando il titolo da me scelto, come se questo potesse convincermi a far riprodurre la musica, ma alla fine bloccavo il telefono e tornavo a fissare il soffitto in silenzio.

Più rifiutavo la riproduzione, più mi sentivo schiacciata, soffocata, come se il materasso del mio letto mi stesse risucchiando in una profondità incerta, dove non esisteva nulla, nemmeno la musica. 

In quella profondità esistevo in quanto mente, non ero me stessa, non ero da nessuna parte, percepivo solo il vuoto nel silenzio, la solitudine.

Era difficile identificarsi come essere, forse lo reputavo inutile, senza musica, cosa rimaneva di me se non un guscio svuotato dalle sue emozioni?

Le canzoni erano le mie emozioni e a cosa mi servivano, nel silenzio di casa mia?

Ieri quella situazione non era una preoccupazione, non lo era neanche il giorno prima, era semplicemente silenzio, dopo tanti anni circondati dal rumore, così credevo, ma oggi l'assenza di sentimenti non ha prevalso come nelle ultime settimane.

Oggi ho aperto gli occhi, lentamente e ho sentito l'assenza di ogni energia, come se il materasso mi stesse tenendo ancorata a se, è ancora notte fuori, l'oscurità capeggia sulla città perennemente vuota, anche i lampioni attualmente sono spenti.

Ho sentito un dolore al petto, un grande senso di angoscia, come se le precedenti emozioni non provate fossero riemerse tutte insieme, ho iniziato a piangere senza apparente motivo, un pianto pieno di singhiozzi, che mi impediva di respirare.

Nelle orecchie in qualche modo risuonava una canzone, le cuffie dimenticate hanno in qualche modo attivato la riproduzione di una singola canzone, che è andata avanti, per del tempo indefinito, svegliandomi in preda alle emozioni.

Credo di non aver mai avuto una canzone preferita, ci sono sempre state una serie di canzoni, che ascolto più volentieri in un periodo di tempo, in una stagione predefinita, ma in sostanza, nessuna di queste a mai surclassato le altre. Oggi credo di aver trovato quella canzone, buffo che rappresenti tutto quello che ho provato in questo periodo.

Ci ho messo un po' a non singhiozzare, anche se attualmente sto ancora piangendo come una bambina, mentre nell'unica cuffia, ancora carica e nel mio orecchio, risuona la canzone che più ha segnato per me il 2020.

Mi sembra strano porti questa domanda, consapevole che non potrai rispondermi, ma:

Conosci i BTS?

Ormai penso sia difficile non aver mai sentito una loro canzone, io seguo il loro percorso musicale da un paio di anni e sono spesso stati rappresentanti delle mie emozioni, insicurezze, parte della mia carica e coloro che un po' mi hanno spinta in direzioni da me mai esplorate.

Sono stati molto per me e di questo periodo li ho evitati, ho evitato qualsiasi loro canzone, aggiornamento, video o intervista, perché sapevo che mi avrebbe ferita, conscia che mi avrebbero dato una speranza che non volevo.

Stavo bene nella mia arrendevolezza e non volevo essere disturbata da loro. 

Voglio credere che qualcuno dei membri mi abbia indirettamente pensata in quanto essere, in quanto fan e che qualcosa nel mondo si sia mosso abbastanza da far partire quella canzone.

Hai mai ascoltato Black Swan? 

Se la risposta, è no ti consiglio di farlo, di leggere il testo e assimilarne il messaggio.

Quella canzone è arrivata prima che tutto questo casino accadesse, che diventasse un problema, è arrivata in un momento in cui potevo apprezzarla, ma forse non comprenderla pienamente. Black Swan mi ha accompagnato negli ultimi viaggi fuori porta fatti, solo lei nessun'altra.

Ero stata completamente travolta dalle emozioni sprigionate dai passi di danza presenti nel video e dalle musicalità, dal testo carico di sentimenti, divenne una ossessione e il giorno successivo, quando partii per una breve gita fuori porta, in auto, sull'aereo, in treno e nella metropolitana ascoltai solo lei a ripetizione, rendendola custode del mio primo viaggio dell'anno.

Ero così innamorata, che mi seguì anche nella destinazione successiva, ignara che sarebbe stata l'ultima per molto tempo. 

Adesso Black Swan per me è colei che racchiude le mie uniche passioni, i miei ultimi momenti di vita, le cose che ho dovuto accantonare per colpa della pandemia:

- Viaggi, per l'impossibilita di spostarsi.

- Concerti, per il distanziamento sociale.

- Musica, per i ricordi ad essi legati.

Oggi mi sento peggio di ieri, sento più nostalgia, ho molta paura del futuro, sono sopraffatta dall'angoscia che non riuscirò a fare più nulla, ma allo stesso tempo sono più serena di provare queste emozioni, di poterle affrontare, mentre ascolto la musica.

Non so se soccomberò a queste emozioni, mentre attendo che la vita normale ritorni, in realtà non ho nemmeno certezze che riuscirò ad affrontare la futura normalità, non so niente e ormai, è l'unica consapevolezza che accomuna tutti quanti.

Ma almeno adesso posso ascoltare Black Swan, liberandomi del peso che mi porto, della solitudine che provo, dalle paure che, giorno dopo giorno si aggiungono all'incertezza del domani.

Non so se questa pandemia mi avrà in qualche modo, ma voglio fuggire alla morte del mio amore per la musica, almeno finché posso, cercherò di non farmi trascinare più via.

Ormai fuori dalla mia finestra il cielo è diventato chiaro e un'altra notte è passata, forse oggi non mi rannicchierò nel mio letto, magari mi sporgerò dalla finestra per guardare il panorama, facendo ciò che mi piace.

Ascoltare la musica."

L'audio si interrompeva con quelle semplici parole, che sembravano dette con il sorriso, anche io sorridevo, ma in modo più vanesio, aveva parlato di me, con me. Era così buffo e tenero, che fu inevitabile sorridere.

La sua abitudine a parlare con un immaginario interlocutore, mi faceva sentire speciale, come se stesse comunicando solo con me e adesso, aveva persino nominato me, la band di cui facevo parte, una delle nostre canzoni. 

Mi sentivo in colpa per essermi arrabbiato della sua assenza, probabilmente sopraffatta dalle emozioni, non era riuscita a parlare apertamente e si era chiusa in se stessa, non avendo il coraggio fino ad oggi di parlare con tanta sincerità. Era stupido provare felicità, dopo una confessione così dura e comune, sul non sentirsi più a proprio agio con la musica, ma ciò che riuscivo a percepire era il suo sorriso. 

Forse non aveva nemmeno sorriso, magari era solamente serena, eppure ero felice, perché in qualche modo anche io potevo aiutarla e adesso ne ero certo.

Arrivai al parcheggio dello studio molto più sereno, svuotato dalla rabbia e la frustrazione, sentendomi in colpa verso chi mi circondava per il mio umore volubile, dettato dalle pubblicazioni di una sconosciuta. Volevo essere emotivamente più indipendente, ma al momento avevo bisogno di lei, continuavo a sentirmi stupido mentre ragionavo, ma per me quei concetti avevano un senso, non ero pronto a scendere a patti con i miei pensieri, ad ammettere le mie debolezze.

Riversavo tutto su di lei e per ora andava bene così.

Recuperai la mascherina, rimasta adagiata sulle mie gambe, e più leggero di prima lasciai l'auto, indirizzato verso lo studio, dove Namjoon mi stava aspettando, dopo che quella mattina non avevo per l'ennesima volta, rivolto la parola a nessuno. Mi sentivo uno stronzo, ma mi sarei fatto perdonare in qualsiasi modo.

Indossai la mascherina, mentre mi avvicinavo all'entrata, una ragazza minuta si alzò dalla sua postazione per potermi salutare e indicare dove fosse posto il rivelatore della temperatura, mi avvicinai allo schermo, per poter registrare la mia presenza e in seguito misurare la febbre.

Sbrigate le ormai comuni formalità, la donna mi augurò una buona giornata, offrendomi un rigido inchino, per poi tornare alle sue mansioni, mentre io mi apprestavo a raggiungere l'ascesero, che si era appena aperto.

Una notifica, fece vibrare il telefono tra le mie mani, come consuetudine, Purple Abyss aveva pubblicato una foto su Instagram e come l'ultima volta, anche in questa immagine c'era qualcosa a me famigliare, il soggetto della foto era una tazza della linea Tinytan, adagiata sul davanzale di una finestra, da cui si vedeva il cielo nuvoloso.

Percepivo uno strano appagamento, forse perché sulla tazza non c'era uno degli altri membri della band, ma nello specifico, ero rappresentato io, il piccolo Jin.

Quanto mi sentivo stupido a fare quel ragionamento, ma Tinytan Jin era colui che la stava accompagnando o che l'aveva accompagnata durante la sua giornata luminosa, dopo tanto tormento e assenza di musica, della mia musica.

Arrivai al piano designato, mentre ancora fissavo beato quella foto, che come didascalia riportava:

"Sto ascoltando Black Swan, mentre sorseggio tè e il mio vicino di casa ha deciso che era arrivato il momento di usare il trapano e piantare dei chiodi al muro, è di nuovo tutto rumoroso... mi piace".

Poche e semplici parole, che fecero tornare la voglia anche a me di sentire il trambusto dei mei compagni, senza i più piccoli eravamo tutti più mansueti, in momenti come quelli, mi mancava Jungkook e la sua capacità di farmi tornare un adolescente rumoroso. 

Nella stanza, Namjoon non si accorse nemmeno del mio arrivo, protetto dalle cuffie, da cui potevo sentire una confusa melodia, forse la stessa su cui stava lavorando da diverse settimane, senza esserne mai soddisfatto. Gli scompigliai i capelli, per attirare la sua attenzione ricevendo dei lamenti di protesta.

"Avevo provato a fare la piega sta mattina", si lamentò il ragazzo sfilando le cuffie e sistemando il ciuffo spettinato, sorrisi lasciandomi cadere sulla sedia accanto a lui, qualsiasi cosa avesse fatto a quei capelli, non poteva essere definita piega.

"Non male", commentai, sfilando la mascherina a cui si ruppe l'elastico per la troppa foga utilizzata, alzai gli occhi al cielo, per fortuna ne avevo sempre una di riserva. Recuperai le forbici dalla scrivania e tagliai anche in secondo elastico, per poi buttare il tutto nel cestino al mio fianco.

"Bugiardo, sembra che non mi sia pettinato, ma poteva andare peggio, tutto bene dal dottor Kang?" Chiese non particolarmente curioso, era una domanda di rito che utilizzava per spronarmi a parlare, non sempre funzionava, spesso era causa di tensioni, ma lui non si arrendeva, c'era un motivo se era il leader del gruppo.

"Oggi ho risolto ben poco", dissi semplicemente adagiando il telefono accanto al suo, "mi sentivo arrabbiato e solo, tu ti senti così?" Domandai curioso, ogni volta che l'argomento veniva fuori provavo colpa, loro erano sempre lì, mi davano le loro attenzioni, ma comunque il sentimento di solitudine non mi abbandonava.

"Sentirsi soli in questo periodo credo sia comune, anche io provo spesso questa sensazione, in un periodo storico dove dobbiamo stare lontani per stare bene, ci si sente soli al mondo", sorrise, era palese fosse forzato, che servisse a rendere le sue parole meno pesanti e in qualche modo ci riuscì, mettendomi ancora di più a mio agio. Era una sua dote, gliela invidiavo perennemente. 

"Quanto è normale, secondo te, sentirsi meno soli ascoltando una sconosciuta?" Mi sentivo fuori dal mondo, avevo il serio timore di essere uno squilibrato e in qualche modo aver creato un legame morboso con la voce di quella sconosciuta; non pretendevo di essere normale, ma almeno di evitare una tale ossessione.

"Stiamo parlando di nuovo di Purple Abyss?" La domanda era palesemente retorica, ma comunque annuì, spostando lo sguardo sulla console davanti a noi, che improvvisamente sembrava più interessante, del sorissetto canzonatorio di Namjoon. "Traiamo conforto dagli sconosciuti, perché a loro possiamo donare sentimenti complessi senza paura di essere giudicati o di ferire chi amiamo", il ragazzo recuperò il suo cellulare, sbloccò lo schermo e mi mostrò l'app dedicata ai podcast, dove tra gli ascolti recenti, c'era lei. 

"Paura, reclusione, angoscia, depressione, solitudine, perdita di volontà e amore verso la vita, sono sentimenti che terrorizzano quando ci rivediamo in essi, nelle sue parole ci ho visto i tuoi recenti atteggiamenti, non mi stupisce che ti aiuti tanto", mi fece vedere la puntata a cui si era fermato, si trovava alla metà di quelle pubblicate, eppure, lui non sembrava essere particolarmente cambiato da quando ascoltava il podcast, che avessi io qualche problema? "Hyung, non sei pazzo e nemmeno ossessionato, possiamo definirla una sindrome da fan", commentò allegro, forse notando il volto preoccupato, si alzò dalla sua sedia, recuperando la borsa, da cui iniziò ad estrarre quello che gli sarebbe servito, mentre contestualizzava la sua precedente affermazione, "sei triste quando lei è triste, vuoi suoi aggiornamenti, ti conforta e aiuta, sono tutte cose che rappresentano anche i nostri fan, solo che lei non è una cantante", precisò porgendomi un plico di fogli.

Il discorso sembrava filare, ma allo stesso tempo mi sentivo troppo coinvolto, non potevo basare il mio buon umore su qualcosa che per lei rappresentava una valvola di sfogo e che probabilmente sarebbe finita presto, non potevo essere fan di qualcosa che aveva una evidente data di scadenza.

Come avrei vissuto, senza nuovi podcast? 

Forse ero andato un po' troppo oltre con i pensieri, dovevo solo accettare momentaneamente di avere un legame molto forte con una sconosciuta, elaborarlo e rendermi indipendente da lei, farla diventare un momento tranquillo della giornata e non un pensiero continuo e asfissiante.

"Mettendola su questo piano, sembra più normale", commentai cancellando le mie precedenti paranoie, non volevo tornare di cattivo umore per qualcosa di cui non si avevano nemmeno avvisaglie, ero felice e sapevo che lo era anche lei.

"Lo è, infatti ero certo che saresti arrivato con un umore migliore di quello di stamattina, visto che ha pubblicato un nuovo episodio, approfitta di queste energie e aiutami con questa canzone", disse anche lui particolarmente allegro, ritornò seduto e con un finto sguardo serioso mi indicò il foglio, esortandomi a leggere ciò che aveva messo giù fino adesso.

                    

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Capitolo 3
*** Pateticamente romantico ***


Capitolo Tre.
Pateticamente romantico

Avevamo concluso l'ennesima puntata, dell'ultimo drama rilasciato, non era per niente avvincente, in realtà risultava noioso e ripetitivo, avremmo potuto recuperare una vecchie serie degna del nostro tempo, ma nessuno di noi era abbastanza avventu...

Avevamo concluso l'ennesima puntata, dell'ultimo drama rilasciato, non era per niente avvincente, in realtà risultava noioso e ripetitivo, avremmo potuto recuperare una vecchie serie degna del nostro tempo, ma nessuno di noi era abbastanza avventuroso da recuperare il telecomando, abbandonato sul tavolino.

Avevamo deciso di oziare in compagnia per l'intera giornata, un po' per approfittare del tempo libero, un po' perché ci avevano sconsigliato di raggiungere l'edificio principale, dove si svolgevano tutte le nostre attività. Ancora una volta i nostri piani erano stati smontati dalle precauzioni obbligatorie imposte dal virus in circolo.

Dopo che con Namjoon, avevamo costruito un meticoloso piano d'incisione per tutta la settimana, ogni cosa era stata smontata ancora una volta, niente registrazioni, ritardi sul programma.

Momenti morti, come la mia voglia di alzarmi dal divano.

Il campanello della porta suonò, Namjoon con uno strano sorriso sulle labbra scattò in piedi e scavalcò il divano con una agilità degna di suo nonno, rischiando di cadere a faccia avanti; ci stavamo impigrendo e forse stavamo mettendo su un po' di peso.

Allungai la mano verso la pancia di Yoongi, seduto in modo scomposto al mio fianco, completamente assorto dalla nostra pubblicità per le poltrone massaggianti, senza nessuno motivo, afferrai tra le dita la sua pancia e iniziai a infastidirlo, punzecchiandogli la carne che fuoriusciva dalla maglietta leggermente alzata.

"Potresti non molestare la mia pancia?" Si lamentò il ragazzo, senza però accennare a fermare i miei movimenti, così dalla sua pancia mi spostai verso le guance, piene e leggermente rosse per qualche strana ragione, "okay, rettifico hyung, potresti non molestarmi e basta", ribadì con sguardo serio, mentre con molta concentrazione gli tiravo la guancia sinistra, era morbido, non che fosse una informazione utile, la cosa che più mi divertiva, era il suo sguardo schivo e imbarazzato.

"Stavo soltanto notando, che sei veramente carino con le guanciotte Yoongi", specificai con l'intento di aumentare il suo imbarazzo, riuscendoci senza troppi sforzi, il ragazzo sbarrò gli occhi alla mia affermazione, con un movimento lento e quasi schifato, adagiò una mano sulla mia, così da allontanarla dalla sua guancia.

Si alzò in piedi, indietreggiò quanto bastava, per potermi lanciare uno sguardo indignato, mentre si massaggiava la guancia ancora infastidito dalla mia precedente stretta.

"Ti denuncio se provi di nuovo a dire una cosa del genere", mi minacciò puntandomi un dito contro, Hoseok accasciato sulla poltrona accanto a noi scoppiò a ridere, battendo la mano sul bracciolo ed io non potei fare a meno di seguirlo, risi senza pudore, mentre Yoongi approfittava della sua indignazione per recuperare il telecomando sul tavolino e finalmente accedere a un canale che potesse realmente intrattenerci.

Namjoon tornò confuso nel salone, guardò me e Hoseok divertito dalla nostra risata e confuso non capendo cosa stesse succedendo. Tra le mani reggeva una scatola abbastanza anonima, sicuramente consegnata dal portinaio e che lui attendeva con interesse, vista la sua fretta nell'andare ad aprire la porta.

"Cosa hai preso?" Domando per tutti Yoongi, mentre io e Hoseok ci massaggiavamo a vicenda le guance doloranti, nella speranza di smettere di ridere.

"Una specie di gioco, l'ho comprato su Instagram, da una fan in realtà, sembrava divertente e volevo giocarci con voi", affermò il ragazzo lasciando cadere la scatola sul tavoli, rovesciando così il bicchiere d'acqua appoggiato su di esso e riuscendo a romperlo, nonostante fosse di plastica, ormai non mi stupiva più la sua capacità distruttiva, data da un semplice e lieve movimento. 

"Secondo voi quanto è egocentrico comprare un gioco in cui siamo i protagonisti?" Si interrogò Yoongi sedendosi a terra, mentre Namjoon con molta più attenzione scartava il pacco, da cui tirò fuori una scatola nera, su cui era raffigurato il nostro logo.

"Penso che dopo le carte di UNO con la nostra faccia e il monopoli personalizzato, non credo ci si debba fare ancora queste domande, in più vorrei farti notare che Nam ha anche comprato qualcosa che viola qualsiasi legge sul copyright  sulla nostra immagine, senza battere ciglio", commentò Hoseok mettendosi seduto composto, così da poter osservare il contenuto della scatola.

"Era veramente carino per non comprarlo", borbottò imbronciato Namjoon.

Estrasse dalla scatola, il tabellone su cui sarebbero state poste le pedine, che all'interno erano otto di cui, sette rappresentavano un membro della band in qualche modo e una richiamava come la scatola il logo della band, decisi di recuperare subito la pedina del gruppo e la adagiai sulla casella della partenza, pronto a capire come funzionasse il gioco.

Namjoon estrasse delle carte, dei dadi e quelle che sembravano delle schedine per i punti per poi leggere le istruzioni, chiare e semplici sul funzionamento del gioco, Yoongi fu il primo a recuperare i due dadi e a lanciarli per far iniziare la sfida. Il primo round fu abbastanza semplice, le domande poste riguardavano la data del debutto, i nomi completi dei membri e il nome di qualche canzone, ma al turno successivo tra le domande e le sfide le cose si fecero più interessanti e il tempo iniziò a volare.

"Cosa non ha Jimin?" Chiese Hoseok sollevando una delle carte, tutti ci guardammo perplessi, Hoseok sembrava trattenersi a stento dal ridere, così tentai la cosa su cui il povero Jimin veniva tartassato di più sia da noi che dai fan.

"I mignoli normali", dissi non troppo convinto, mentre tutti cercavano di non ridere all'affermazione; Hoseok mosse la testa in segno negativo, per poi spostare la sua attenzione sugli altri due che avrebbero dovuto rispondere.

"Senso dell'umorismo", provò Yoongi, anche lui non troppo sicuro della sua risposta, infatti Hobi ci fece subito intuire, che la risposta di Yoongi non fosse corretta, l'ultima possibilità era su Namjoon, se avesse sbagliato avremmo dovuto estrarre una delle penitenze proposte dal gioco e non volevo, l'ultima riguardava il cantare canzoni al contrario, per nulla comodo e solo snervante. 

Namjoon si concentrò, chiuse gli occhi e cercò di ricordare cosa non aveva Jimin, cosa cazzo poteva non avere Jimin? L'altezza forse, magari la capacità di stare seduto correttamente senza rischiare l'osso del collo, o forse si riferivano a qualche battuta su peni e culi di cui non ero a conoscenza?

"Le spalle larghe", disse fin troppo sicuro Namjoon, aprì gli occhi e Hoseok scosse la testa in segno negativo, voltò la carta e in viola era riportata la scritta "Jam", come risposta.

"Ma che cazzo significa che non ha marmellata, cosa sarebbe un meme?" Urlò stizzito Yoongi, mentre cercava di allungarsi per recuperare la carta e stropicciarla, come l'ultima che l'aveva messo in difficoltà su qualcosa che lo riguardava personalmente.

Namjoon si colpì da solo, forse illuminato da questa cosa della marmellata, mentre nella mia mente vigeva solo il buio su questa battuta, non la ricordavo o semplicemente non avevo capito il probabile gioco di parole, non che mi importasse, ma era preoccupante quante cose i nostri fan ricordassero e noi no.

"La carta della penitenza dice che dobbiamo preparare il Kimbap seguendo il tutorial di Jimin e Jungkook su Vlive", ci rese partecipi Hoseok lanciando la carta al centro del tabellone. Yoongi e Namjoon iniziarono a polemizzare su quanto quel gioco potesse essere realmente utilizzabile, specialmente a livello internazionale, parlando di culture e gastronomie differenti, possibilità di reperire gli ingredienti e tante altre lamentele volte a non svolgere la penitenza.

"Essendo quasi ora di cena, posso farlo io per tutti e tre, così mi muovo un po', ho il sedere intorpidito", dissi alzandomi da terra e dirigendomi verso la cucina, preparai la live sul telefono, non che ne avessi reale bisogno, ma almeno avrebbe riempito la stanza delle voci dei due ragazzini, ormai vicini al loro congedo e che non vedevo l'ora di poter sfidare a quello strano gioco, sicuramente Jungkook al posto di Yoongi e Namjoon, si sarebbe catapultato in cucina per svolgere la sfida nel minor tempo possibile. 

Ero felice, la noia si era eclissata, ma anche prima non potevo definirmi triste o sconsolato, forse solo un po' angosciato per via dei piani saltati. Mi reputavo fortunato a poter vivere questa situazione con alcuni degli amici più intimi che avessi, condividendo con loro la frustrazione e i momenti vuoti, sentendo il peso della situazione, ma riuscendo a creare momenti come quello, che mi facevano completamente dimenticare cosa mi assillasse tanto.

Evadevo dalla realtà e potevo allontanarmi dai problemi giornalieri.

Il telefono cadde dalla sua posizione, in seguito alla vibrazione, con un movimento veloce arrotolai l'ultimo kimbap, pulì velocemente le mani e recuperai il cellulare per controllare la notifica in questione, la prima persona che mi venne in mente fu mia madre, probabilmente mi aveva scritto per avere aggiornamenti, o più probabilmente mio fratello, con cui dovevo incontrarmi fra qualche giorno; invece era lei.

Purple Abyss, aveva pubblicato ancora, non mi aspettavo nemmeno un suo aggiornamento, eppure era li sul mio telefono, in attesa di essere ascoltato, fosse arrivato qualche ora prima, forse mi sarei precipitato ad ascoltarlo, ma in quel momento non mi sentivo in vena, stavo bene ed ero certo che per lei non fosse lo stesso.

Decisi di ignorare quella notifica, solo per un po', non mi rifiutavo di ascoltarla, solo che non volevo farlo in quel momento, riposi il cellulare in tasca e portai il kimbap nell'altra stanza, dove Yoongi stava leggendo una delle domande successive del gioco.

"Definizione di Lachimolala", disse per poi sbattere la carta contro il tavolo, sicuro che nessuno sapesse la risposta, Nam e Hobi si guardarono spaesati, io invece con molta sicurezza presi posto, adagiando il kimbap sul tavolo e con un sorriso trionfante diedi la risposta.

"Carbonara", esclamai sicuro di me, per poi mordere con sicurezza e nonchalance il kimbap. Yoongi sbuffò per poi mostrare riluttante la carta, che riportava la mia risposta, Hobi e Namjoon applaudirono, per poi andare a controllare da dove provenisse l'esclamazione lachimolala.

"Le ultime quattro domande, erano solo su Jimin", disse Nam mostrandoci la clip di un run BTS, tutti noi sospirammo con un mezzo sorriso sul volto, quei tre ci mancavano, non ci sentivamo completi senza di loro, era ovvio ci fosse sempre qualcosa che mancava. 

"Anche al gioco manca", mormorò Yoongi recuperando il cibo, per poi iniziare a mangiare. 

Hoseok smosse tutti lanciando di nuovo i dadi e facendo partire un nuovo giro di domande, così da distrarci un po', per fortuna la domanda successiva chiamava in causa qualcosa di più generico che ci aiutò a ritornare allegri, mentre consumavamo il nostro cibo e cercavamo di occupare le ultime ore della giornata, in attesa che al stanchezza fosse troppa per rimanere in piedi.

Il primo che ci abbandonò fu colui che l'aveva comparto, Namjoon guardando l'orologio, disse che per lui il gioco era finito, che avrebbe fatto una doccia e sarebbe andato a dormire, visto che il giorno dopo saremmo dovuti andare in studio... covid permettendo. 

Pochi minuti dopo anche Hobi diede forfait, non riuscendo a tenere più gli occhi aperti, così rimasi con Yoongi, che stava guardando il suo telefono completamente assorto, mi allungai verso di lui per spiare cosa stesse facendo, non sembrò infastidito dalla mia mossa, così continuai a guardare il suo schermo.

Stava spiando il profilo di una ragazza su Instagram, che nella foto da lui fissata, era di spalle, mentre guardava l'orizzonte, probabilmente in visita alla Ntower. Era raro che Yoongi mostrasse interesse per una ragazza, aveva fatto penare diverse idol che provavano ad attirare la sua attenzione, durante i vari show e le premiazioni.

"Una influencer?" Chiesi per sbloccare il discorso, Yoongi passò alla foto successiva, dove la ragazza veniva ritratta all'interno di un minimarket, sempre di spalle, in posa, mentre recuperava da uno scaffale del ramen, sembrava carina o almeno lo era la sua chioma.

"No, mi sento un ragazzino a guardare il suo profilo", borbottò lanciando il telefono sul tavolo, rovesciò le pedine ancora in piedi sul tabellone e spargendo alcune delle carte precedentemente sistemate. Yoongi sembrava frustrato, una ragazza finalmente era riuscito a destabilizzarlo tanto da renderlo nervoso, sembrava veramente un adolescente, rannicchiato a terra, con le mani tra i capelli, mentre fissava il cellulare appena lanciato sul tavolo.

"Una vecchia compagna?" Domandai ancora, visto che non sembrava propenso a volersi confessare, recuperai il cellulare del ragazzo, ancora sbloccato e diedi una sbirciata al profilo della sconosciuta, arrivava a malapena ai cinquemila followers, ma la cosa che attrasse la mia attenzione, era sicuramente la bio sottostante.

Army, ma ancora più sorprendente straniera, che a quanto recitava la descrizione viveva in corea, non mi era ancora chiaro, come lui fosse arrivato a conoscerla, ma tutto si faceva più interessante, Min Yoongi che si struggeva per una sconosciuta, cosa mai successa.

Alzai gli occhi verso di lui, cercando di incitarlo ancora a parlare, le sue guance si colorarono di rosso, così che il suo imbarazzo potesse essere ancora più palese.

"L'ho incontrata casualmente, prima dell'arruolamento, ad un minimarket, il giorno in cui ho tagliato i capelli, indossavo il cappello, la mascherina e persino gli occhiali", mormorò aprendosi finalmente a quella che sembrava la storia più interessante dell'anno. "Avevo perso il portafogli e lei mi ha pagato il cibo, probabilmente gli sono sembrato un disperato, indossavo i vestiti peggiori, avevo lasciato a casa il telefono, devo avergli fatto pena", sorrise a quell'affermazione, sembrava l'inizio di un drama, per cui avrei perso le nottate pur di guardarlo.

"Esattamente, come l'hai trovata su Instagram?" Chiesi continuando a sbirciare il profilo della ragazza, riuscendo a trovare finalmente una foto, in cui il suo viso era in primo piano, affiancata da alcuni amici per chissà quale evento avvenuto nel 2019.
"C'era un solo tavolo, così ci siamo seduti insieme, lei non sembrava infastidita, solo imbarazzata, lo sarebbe stato chiunque a dover mangiare con uno sconosciuto, lì sono riuscito a vedere il suo profilo, così ho cercato di ricordarlo", raccontò velocemente, sporgendosi anche lui ad osservare le varie foto risalenti a uno degli ultimi concerti in Corea del Sud, dove la ragazza sfoggiava la sua Army bomb e un viso segnato dalle lacrime per via dell'ultima tappa, che preannunciava il nostro arruolamento.

"Sono più che certo, che tu stia omettendo una parte della storia, l'hai seguita solo perché ti ha offerto del ramen? So che non c'entra il fatto che sia carina e non sei neanche fissato con le belle foto, ma tieniti pure i tuoi segreti", scherzai speranzoso aggiungesse altro, ma invece Yoongi si alzò da terra sottraendomi il suo cellulare, pronto probabilmente ad andare anche lui a dormire. 

"Mi sento uno scolaretto se ci penso", si grattò la nuca imbarazzato, guardandosi intorno, forse per accertarsi che nessuno avesse ascoltato le sue parole, "magari quando mi sentirò meno imbarazzante ti dirò tutto", la presi come una promessa, anche perché avrebbe significato, che Min Yoongi, il mago nello schivare relazioni e coinvolgimenti amorosi, si era aperto con qualcuno. 

"Hai provato a rincontrarla?" Domandai curioso alzandomi da terra, il mio telefono vibrò sul tavolo, annunciandomi l'arrivo di una notifica da parte di Instagram.

"Si, avevo paura fosse andata via dal paese per via della pandemia, invece sono riuscito a rivederla nello stesso posto", confessò con un sorriso così tenero che non resistetti a stringergli le guance paffute, era veramente carino, "mi sento,  patetico e romantico", si lamentò sottraendosi alla mia stretta.

"Hai solo una cotta imbarazzante", lo presi in giro, prendendo posto sul divano, recuperai il cellulare, cliccando sulla notifica, in modo che l'applicazione si aprisse e mostrasse la foto pubblicata da Purple Abyss, ci aveva messo un po' di solito il post veniva pubblicato solo dopo qualche minuto.

"Mai quanto la tua per una voce senza volto", commentò Yoongi sporgendosi verso il mio telefono, nascosi lo schermo contro il petto leggermente infastidito dalle sue parole, non avevo nessuna cotta, sentivo semplicemente molta empatia nei confronti di quella ragazza, non sapevo bene nemmeno quanti anni avesse o cosa facesse nella vita, come potevo avere una cotta per lei?

Yoongi rise, per poi allontanarsi verso il corridoio che l'avrebbe condotto nella sua camera, lasciandomi da solo, fissai per un momento il gioco, ancora posizionato sul tavolo, mi sarebbe piaciuto vivere ogni giorno in quel modo, accantonando le responsabilità e l'evidente stato pietoso del mondo.

Avrei giocato per sempre.

Alzai il telefono e su di esso il post di Purple Abyss, mi annunciava che il successivo podcast non avrebbe riguardato i buoni sentimenti e lo stare bene, il post rappresentava dei vestiti bagnati tenuti in mano dalla ragazza, mentre dietro il soggetto si poteva vedere la finestra. Fuori pioveva e il tempo sembrava dei peggiori, probabilmente questo aveva influito sul suo stato d'animo.

La didascalia riportava soltanto; "alla fine ho passeggiato sotto la pioggia", frase che probabilmente, avrebbe acquisito un suo senso recuperando la puntata, che ancora era presente tra le notifiche di quella giornata.

Il titolo alimentava la mia preoccupazione, "Un miscuglio di confusione", così non aspettai oltre e semplicemente recuperai le cuffie dalla tasca e iniziai ad ascoltare le parole della ragazza, nella piccola speranza che il finale di quel pensiero, facesse ipotizzare un futuro emotivo, meno turbato.

"Alcune volte è veramente strano valutare i miei sentimenti, ieri credevo di stare bene, di aver superato alcuni dei miei pensieri più bui, ma oggi mi sento stanca e credo di provare dolore.

Credo, perché non ne sono poi tanto sicura, è tutto così confuso nella mia mente, che non riesco a sentire i miei pensieri, i malesseri o ciò che mi tormenta, ho solo un gran mal di testa dovuto dall'accavallarsi di queste parole.

Mi sono seduta sulla sedia, spostata davanti alla finestra, in modo che la luce potesse in qualche modo darmi conforto, ma in pochi minuti il cielo si è oscurato, grandi nuvole grigie hanno coperto il sole, rilasciando la pioggia che fa da sottofondo. Sono sola anche oggi, probabilmente più degli altri giorni, forse perché non riesco a sentire i miei pensieri e ho creduto che parlandoti, potesse apparire tutto più chiaro.

Non credo stia funzionando.

Mi piace la pioggia, il rumore delle gocce che si infrangono sull'asfalto, causa spesso disagio, ma quando non riesco a pensare spesso porta conforto. Mi aiuta concentrarmi sul suono, accompagnarla a della musica che flebile di solito invade la stanza, in questo momento, se potessi uscire di casa, starei maledicendo la pioggia, perché starei correndo per raggiungere la metropolitana, probabilmente zuppa, perché non porto mai con me un ombrello.

Adesso sono asciutta e al sicuro in casa mia, eppure mi manca la possibilità che la mia giornata sia momentaneamente disturbata da questo cambio meteorologico. Probabilmente la mia tristezza giornaliera è dovuta alla mancanza che sta accompagnando tutti, la decisione di uscire e passeggiare, senza delle comprovate esigenze, una scelta improvvisa, che mi aiuti a scandire le parole nella mia testa.

Sono triste, ma questo è naturale, non è l'eccezione della giornata, ma la regola che mi accompagna da marzo 2020 e non importa quanta compagnia potrei avere intorno a me, perché vivere con qualcuno mi farebbe desiderare di essere sola in questo momento. Mi contraddico giorno dopo giorno, chiedo disperatamente compagnia, per poi rifiutarla categoricamente.

Mi sento soffocata da casa mia, soffocata dall'idea di lasciarla, mi manca il respiro quando apro la porta per recuperare un pacco, mi sento più libera quando raggiungo il piano terra per depositare la spazzatura. 

Voglio uscire, ma non voglio lasciare casa... Che casino!

Adesso che parlo, il dolore al petto è aumentato, forse sto trattenendo delle parole che non sono pronte ad uscire, non capisco cosa il mio corpo voglia comunicarmi, non riesco a decifrare questa costante agonia e più mi concentro su di essa, più il dolore aumenta. Mi sento mortificata nel provare dolore, tristezza, solitudine, perché sento di non poter realmente accostarmi a questi sentimenti.

Sono circondata, anche se virtualmente da amore, arriva dalle persone care, lo sento dagli amici più stretti, mi viene comunicato da artisti che sono oggettivamente degli sconosciuti e arriva persino dai vicini, con cui non ho mai avuto grande interazione. 

Mi sento indegna delle mie emozioni, consapevole dell'esistenza di situazioni ben peggiori delle mie.

Queste parole, sono tanto consapevoli, quanto meschine, perché in un certo senso mi sento di dover trarre conforto dalla disperazione altrui e invalidare le mie emozioni, confrontandole obbligatoriamente con quelle di qualcun altro. 

Le due opzioni davanti ai miei occhi appaiono avvilenti, ma per sopravvivere bisogna decidere di prendere una delle due vie, consapevoli dell'esistenza dell'altra, devo solo scegliere la più confortante, facendomi demoralizzare solo a tratti, dall'ombra dell'opzione scartata.

Tutto questo piccolo discorso, in realtà mi appare inutile, non sto dicendo nulla, non mi sto concentrando su una emozione, sentimento o avvenimento in pochi minuti sono riuscita forse a confondere anche te, con le faresi più sconclusionate che potessero lasciare le mie labbra.

Mi sentivo più sola e ho deciso di parlare, mi sentivo confusa e ho provato a esternare le parole che riesco a tirare fuori dalla mia testa, ma alla fine le parole sono sempre le stesse:

Paura.

Solitudine.

Tristezza.

Tutto è sempre uguale, non c'è originalità neanche nella disperazione giornaliera, ho passato così tanto tempo in casa che i pensieri semplicemente si ripetono ciclicamente, facendomi sentire peggio, dandomi ancora più pensieri, detti in modo diverso, ma con la stessa conclusione. 

La paura è sempre stata presente, ma il vivere giornaliero la amalgamava con il resto delle emozioni, la nascondeva dietro gli avvenimenti, la distraeva con le conversazioni leggere, fatte in compagnia o veniva soddisfatta in via di una decisine personale, non per una imposizione. 

Posso essere arrabbiata con delle emozioni? Il solo pensarlo mi fa sorridere e non per l'affermazione ridicola, ma per la disperazione.

Io non credo di poter proseguire in questo modo, vivere in attesa, è ancora più snervante che vedersi scivolare tutto via dalle mani, attualmente vorrei solo vivere al pieno delle mie possibilità, anche se non è abbastanza, anche se potrei fare di più. Voglio provare un po' di felicità in questa tristezza, essere intraprendente, mentre mi accompagna la paura, cercare di sentirmi meno sola, affiancarmi ai miei amici e non fare nulla, se non chiacchierare e mangiare insieme.

Vorrei tornare a programmare, contare i giorni che mi separano da un viaggio, da un concerto, da una visita al museo, vorrei avere delle motivazioni per continuare a vivere, ma in questo momento, tutto ciò che sto facendo è fissare la finestra.

La pioggia continua a cadere, riempiendo il silenzio, io sono ancora seduta su questa sedia e ho di nuovo tanta voglia di piangere, ma non lo faccio, non mi sembra utile, solo uno spreco di energie che non ho, perché nel mio fare niente, sono continuamente stanca. 

Forse domani, non avrò la forza di alzarmi dal letto e mettermi seduta su una sedia, probabilmente dopo un giorno di positività, tornerò a rannicchiarmi nel letto, tanto che potrei fare?

A cosa mi serve tentare di migliorarmi, se non ho la certezza nemmeno della settimana che seguirà, come posso trovare motivazione nel mondo immobile?

In realtà questa non è neanche una scusa, molti si sono rinnovati e nel problema hanno creato una piccola soluzione, mentre io fatico anche a convincermi ad alzarmi dal letto.

Mi sento un essere umano inutile a me stessa e agli altri.

Sono un essere inutile."

Sospirai, abbastanza turbato da quelle parole, sentivo la necessità di poterla vedere, abbracciare, confortare in qualche modo, senza l'ausilio di troppe parole, solo un gesto, che potesse in qualche modo alleviare il suo dolore. Ma ero solo uno sconosciuto o meglio, un volto noto per lei, forse le mie premure l'avrebbero messa a disagio più che aiutarla.

Recuperai il suo profilo Instagram e mi decisi, dopo settimane in cui ci pensavo, di rivolgermi direttamente a lei, con un mezzo mai utilizzato su Instagram, i messaggi privati, sembrava quasi un modo disperato di approcciarmi a lei.

Guardai il riquadro titubante, cosa avrei dovuto scrivere? Quali erano le parole migliori con cui iniziare una conversazione? 

Probabilmente non mi avrebbe risposto, con ancora più onestà personale, non l'avrebbe nemmeno letto, quindi mi attaccai a quella consapevolezza, per scriverle qualcosa di breve, non molto profondo e nemmeno tanto pensato, era solo un messaggio.

"Per me sei molto utile"

Mi pentii di averlo inviato, avevo la possibilità di cancellarlo, ma decisi che quella frase imbarazzante sarebbe rimasta, quasi a ricordarmi, quale grande figura di merda poteva capitarmi se avessi avuto una vera occasione di interagire con lei. 

Bloccai il telefono e lo lancia sul divano, allontanai il messaggio e così anche l'imbarazzo per quelle parole, avevo bisogno di dormire, liberare la mente e pensare il meno possibile a lei, alle sue parole e al suo dolore.

Potevo aiutarla solo in un modo, con la mia musica e c'avrei messo tutto me stesso per riuscirci.

Potevo aiutarla solo in un modo, con la mia musica e c'avrei messo tutto me stesso per riuscirci                    

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Capitolo 4
*** Da qualche parte la vita è bella ***


Capitolo Quattro.
Da qualche parte la vita è bella

Fissavo lo schermo davanti a me, pieno di commenti, avevo appena terminato la mia live, dopo una tediosa, ma gratificante giornata di lavoro, avevo deciso di rendere partecipi della mia allegria e stanchezza i fan, proponendo un

Fissavo lo schermo davanti a me, pieno di commenti, avevo appena terminato la mia live, dopo una tediosa, ma gratificante giornata di lavoro, avevo deciso di rendere partecipi della mia allegria e stanchezza i fan, proponendo un "EatJin", dopo anni che non riesumavo il format. Avevo la pancia piena, gli occhi stanchi, ma la positività ancora alta, la nuova musica stava procedendo, tutti avevamo dato il nostro contributo e mancava sempre meno al ritorno dei restanti membri del gruppo.

Il mondo, forse non era ancora guarito e difficilmente sarebbe capitato da un momento all'altro, ma le pene sembravano diminuire, lasciando solo la tristezza comune del non poter essere completamente liberi; un peso grave che stava iniziando ad emergere anche negli altri membri, che fino adesso si erano mostrati solo positivi per rallegrarmi.

Rimasi qualche minuto a leggere i commenti felici, per la mia prima live dalla fine del servizio militare, sembravano tutti entusiasti e si erano soffermati sul mio aspetto leggermente cambiato, non andavo a tagliare i capelli da due anni e la costante palestra aveva aiutato a mantenermi tonico, nonostante stessi mettendo peso per via della vita più sedentaria. Mi sentivo quasi sollevato vedendo quell'affluenza, per tutto il periodo militare, avevo temuto che questo amore si dissipasse, che rimanessimo da soli, ma nonostante i due anni di assenza, una pandemia globale che ci impediva di pianificare incontri e concerti, c'era ancora molta gente pronta a sostenerci. 

Nella stanza, fece il suo ingresso Yoongi, con in mano un sacchetto nero e un pezzo di tramezzino tra le labbra, mi porse il sacchetto, che conteneva degli onigiri, recuperati probabilmente al minimarket poco lontano dall'edificio.

"Perché mi hai comprato del cibo?" Chiesi confuso dal suo comportamento, non era solito comprare cibo per altri membri, se non richiesto da noi stessi, era anche strano fosse andato al minimarket da solo a quell'ora della sera, non era ancora abbastanza tardi per muoversi con tanta disinvoltura.

"Preservo la tua salute hyung, li ho visti e ti ho pensato", ammise prendendo posto sulla sedia accanto alla mia, per poi guardare lo schermo del computer, strizzò gli occhi e probabilmente lesse alcuni dei messaggi che ancora si susseguivano nella chat, "non sapevo avessi fatto una live", commentò mettendosi comodo, per poi prendere un altro morso del suo tramezzino.

"Non l'avevo programmato, avevo voglia di parlare con i fan, adesso dimmi la verità su questo cibo; è scaduto? Te l'hanno regalato? L'hai trovato per strada?" Domandai con il sorriso sul volto, lui scosse la testa divertito quanto me dalla sfilza di domande, prendendosi un momento per guardare la porta e poi rivolgersi a me.

"Mentre stavo uscendo dall'edificio, ho visto le storie Instagram di quella ragazza, ho riconosciuto immediatamente il combini in cui si trovava e come un adolescente sono corso lì, simulando un incontro casuale", nascose il viso tra le mani visibilmente imbarazzato, "sono patetico", sentenziò colpendosi ripetutamente la testa.

"Credo sia la cosa più creepy, ma normale che potessi fare, almeno avete interagito?" Chiesi curioso, erano giorni che mi interrogavo su che cosa potesse nascondere, quale aneddoto o che risvolto potesse aver preso la prima volta in cui si erano incontrati, Yoongi era diventato la mia serie tv personale, di cui desideravo ardentemente aggiornamenti.

"Si, quando l'ho rivista di recente, non ho avuto nemmeno il coraggio di avvicinarmi, è lei che lo ha fatto, non perché mi abbia riconosciuto, ma per chiedermi se andasse tutto bene, visto che sono rimasto dieci minuti a fissare un pacchetto di ramen", ammise rivelandomi alcuni stralci di storia, alimentando ancora di più, la mia curiosità, mise in bocca l'ultimo morso di tramezzino, per poi sbuffare esausto dai suoi pensieri. "Oggi penso di essere andato meglio, le ho raccolto qualcosa da terra, ci siamo scambiati poche parole e le ho detto di essere il ragazzo di due anni prima", rivelò. Mi sporsi verso di lui incuriosito, il mio drama preferito aveva in poco tempo preso la svolta giusta.

"Le hai detto che Min Yoongi è il ragazzo che ha incontrato due anni prima o parlavi di un generico te? In più si è ricordata? e se lo ha fatto devi dirmi il motivo per cui una ragazza dovrebbe ricordarsi di uno sconosciuto per così tanto tempo, dopo un incontro di dieci minuti", parlai così velocemente che a fatica riuscì a seguire il flusso di pensieri e parole, vomitato da me stesso e lo stesso sembrava per Yoongi, visto il suo sguardo corrucciato.

"Non le ho detto di essere Min Yoongi dei BTS, ero abbastanza coperto da non essere riconosciuto, era difficile non ricordarsi di me dopo quello che è successo, questa volta sono stato io a pagargli il ramen, è stato bello vederla sorridere", si fermò per un secondo a fissare il vuoto, forse a rimembrare quell'attimo appena trascorso, "cioè i suoi occhi sembravano felici, quella merda di mascherina le copriva metà volto", sbuffò scuotendo la testa, il COVID, era riuscito a rovinare anche un momento così semplice. 

"Hai fatto aumentare la mia curiosità adesso, ma come ho detto la volta scorsa non indagherò oltre, un po' ti invidio, hai una cotta per una ragazza con cui stai cercando di avere un rapporto e puoi vederla un po' quando ti pare", abbassai gli occhi verso il mio telefono, il vero patetico fra i due ero io, invaghito di una voce, un'idea, delle parole celate da una persona, che però potevano non rispecchiare la se stessa che gli altri probabilmente vedevano.

Avevo una cotta per un'immagine creata dalla solitudine e disperazione di una ragazza, che speravo potesse tornare presto a vivere e quindi tornare di nuovo se stessa.

"Hyung, ci sono cose per cui il nostro lavoro ci penalizza, come il capire se qualcuno ci parla con dolcezza solo perché siamo idol, se sono gentili per secondi fini o se tramano qualcosa, ma nel tuo caso essere famoso potrebbe essere un vantaggio", commentò, come se quelle parole potessero consolarmi, arrivare a lei in quanto idol sarebbe stato semplice, immediato, forse anche d'effetto, ma avrebbe avuto la stessa valenza dell'essere una persona qualunque? Come diceva Yoongi, essere me stesso, poteva comportare un mutamento dei suoi atteggiamenti, anche solo a fin di bene.

"Sia da persona comune, che da idol non ho vantaggi, in più sono certo non viva in corea, quindi cosa potrei fare? Confessare la mia cotta ad una ragazza, magari americana e poi? Preferisco vivere nell'idea di ciò che poteva essere in una situazione differente", ammisi lanciando il telefono sulla scrivania, che subito dopo vibrò, non controllai da chi provenisse, ero quasi certo fosse un suo aggiornamento, dopo giorni di assenza con i podcast e solo qualche post su Instagram. 

"Un po' catastrofico come pensiero, non hai mai pensato che incontrandola o semplicemente parlandoci, questa cotta potesse dissiparsi, magari trasformarsi in una quieta amicizia o non diventare nulla", ipotizzò Yoongi con uno sguardo divertito, come se la mia situazione potesse essere buffa, io mi struggevo e lui mi prendeva in giro, "il tuo problema è che stai vivendo in una idea, se vivessi nella realtà capiresti che è molto più semplice di come lo è nei film", disse alzandosi dalla sedia e recuperando il sacchetto con all'interno il cibo, che teoricamente, era stato comprato per me, appoggiò una mano sulla sua spalla, in segno di conforto; sembrava pronto ad elargirmi i saperi della vita. 

"Il destino vi ha messo sulla stessa strada per un motivo, questo non significa che quel motivo sia avere un amore struggente, esci dall'idea di essere il protagonista di un drama romantico, vedrai che le cose andranno meglio", concluse il suo discorso per poi lasciare la stanza e probabilmente tornare a casa, con il cibo di cui in quel momento avevo bisogno, sbuffai scocciato e recuperai il telefono per controllare la precedente notifica, avevo proprio bisogno di ascoltare la sua voce.

"Se vivessi in un drama romantico, avrei già sconfitto questo virus con la forza dell'amore e dei miei addominali", borbottai premendo l'icona per collegare l'audio all'impianto presente nella sala, un'altro monologo era stato pubblicato, insieme a un post su Instagram, che decisi di accantonare per potermi prima concentrare sulle sue parole.

La pubblicazione, mi faceva intuire che probabilmente non avesse assistito alla mia live, magari impegnata a registrare, o semplicemente a pubblicare, magari non le interessava vedermi mangiare mentre sproloquiavo, ma volevo credere l'avrebbe recuperata, che le sarebbe stata utile, anche solo per pensare ad altro.

"Felicità" era il titolo di quel episodio, la premessa mi faceva ben sperare, ma sapevo che con lei, la digressione del pensiero, sarebbe potuta sfociare in qualsiasi cosa.

Adagiai il telefono sulla scrivani e feci partire il nuovo episodio, mi sistemai sulla sedia e chiusi gli occhi, provando a immaginare che fosse accanto a me e avesse deciso di parlarmi in modo sincero.

"Quanto tempo è passato? Forse una settimana, in questo periodo avrei dovuto trovare una soluzione alla mia tristezza, ma ho avuto altro da fare, quindi in un certo senso l'ho ignorata e anestetizzata.

In questa settimana non è successo molto , come del resto da ormai un anno, il più grande evento del 2021 per ora è stato il litigio tra vicini, culminato con un lancio di scope dai balconi.

Emozionante, ma non particolarmente.

Oggi ha di nuovo piovuto, in realtà lo fa da molto tempo, ho deciso di sentirmi grata della possibilità di rimanere in casa con un tempo così uggioso, stare al caldo sotto le coperte, mentre alla televisione guardo un drama lasciato indietro. Credo di non essere meno triste dell'ultima volta che ci siamo sentiti, semplicemente questa settimana ho deciso di essere stanca, stufa di sentirmi abbattuta e ho fatto quello sforzo in più per poter tornare un po' più positiva.

Credo fossi vicina, ancora una volta, a toccare il fondo della mia disperazione personale, ma fortunatamente, un campanello d'allarme è suonato nella mia testa e ho deciso di non voler arrivare a stare male come le ultime volte.

In un certo senso sono felice oggi, tranquilla abbastanza da poter sorridere e godere della vista dalla mia finestra, anche se al momento nebbia e pioggia, limitano molto la visuale da giorni, permettendomi di vedere nitidamente, solo un albero, oltre che i balconi dei miei vicini.

In questi giorni ho potuto anche vedere la disperazione altrui, diventando sempre più consapevole della desolazione che mi circonda, dopo che sporgendomi dalla finestra, ho potuto vedere la mia vicina piangere per un motivo a me sconosciuto, ma che sicuramente era stato accentuato dalla situazione vigente. 

Con molto rimorso, ho deciso di non voler essere così triste, di non aver motivazioni quella settimana per farmi trascinare ancora una volta nel mio sconforto, così ho cercato di tenermi impegnata, di crearmi del tempo "occupato", così da sentirmi meno in colpa nel concedermi un momento di libertà.

Ho riappeso al muro le foto del mio viaggio in Corea del Sud, le guardo e sorrido, non mi sento più così soffocata mentre ripenso a quelle vacanze, riesco a gioire dei vecchi ricordi e dopo tanto tempo, ho pensato di dover vivere per avere un'altra possibilità di creare ricordi migliori. 

Ogni viaggio, può essere migliore del precedente e ho deciso di affidare a Seoul, il mio futuro ritorno a volare, quindi per il momento mi sto aggrappando a questo, alla possibilità di raggiungere Seoul, di vivere al meglio la città.

Non posso lasciarmi andare, se ho queste premesse future, giusto?

Mi sono fatta prendere molto dallo sconforto, ho pensato spesso, in realtà è un pensiero ancora presente, che non valesse più la pena vivere, che l'attesa di una vita normale, non valesse ciò che sarebbe arrivato dopo, perché alla fine gli anni chiusi in casa, rimarranno anni persi nella mia personale esperienza della pandemia. 

Sento rimontare la paura, all'idea di ricominciare a viaggiare, paura di aver dimenticato come si faccia, nel terrore di non essere più abituata alla concentrazione e l'indagine che serve per raggiungere un posto nuovo. Ma ho deciso che questa settimana mi sforzerò di essere il più allegra possibile, di evitare questi genere di pensieri e concentrarmi su quello che realmente mi è d'aiuto.

Ammetto che il primo giorno l'ho passato a fissare il muro, terrorizzata all'idea di farmi false speranze, di non reggere l'idea di vivere ancora una volta pensando, al "futuro migliore", di cui tutti parlano, ma poi durante la notte, in qualche modo quei pensieri si sono dissipati, soffocati dal sentore di disordine che mi circondava.

Ho ripulito casa, eliminato tutto ciò che non era necessario e nel farlo, ho ritrovato una cosa che mi ha aiutato a rendere queste giornate migliori. Tra le pagine di un vecchio diario, ho ritrovato il primissimo biglietto del concerto dei BTS, all'inizio temevo che lo sconforto mi avrebbe invasa, invece ho semplicemente recuperato il telefono e ascoltato tutte le canzoni che erano presenti nella scaletta di quel giorno, ricordando per quanto possibile e facendomi trasportare dalla musica.

Aggiunsi questo alla mia lista del "futuro migliore e normale", la pretensione che i BTS potessero essere il mio primo concerto, che contribuissero all'inizio della vita, perché personalmente non posso parlare di continuo, visto che ciò che è venuto prima, non lo definirebbe nessuno vivere; tranne qualche viaggio e concerto, il resto era un buco nero di isolamento.

Però non è il momento giusto per questi pensieri, in questi giorni sarò solo positiva.

Alla fine la mia settimana è stata dedicata a questo, ascoltare musica, guardare programmi, rassettare casa, nulla che fosse differente da ciò che avevo fatto in precedenza, ma questa settimana ho deciso di non pensare. Credo che questo non sia positivo nel lungo andare, probabilmente a fine mese dovrò fare i conti con una mole, non indifferente, di emozioni represse, ma fuori piove, io non posso uscire e non credo sia il momento adatto per soccombere ancora una volta a questa mia negatività, paura, disperazione e voglia di fuggire.

Ho deciso ancora una volta di farmi consolare dalla musica, dai BTS, forse in modo quasi infantile, vista la mia età e l'assenza della capacità di gestire emozioni forti e negative da sola, la verità di questo audio è che volevo condividere qualcosa di parzialmente positivo, un pensiero semplice, non complesso come i precedenti, forse meno rilevante, magari noioso e scontato, ma volevo farlo, quindi semplicemente ho acceso il microfono e ho sperato che in qualche modo, queste parole potessero aiutarmi a rendere questa settimana il meno negativa possibile.

Quindi mi dispiace, se hai dovuto ascoltare fino a qui, nella speranza di un pensiero costruito e di una rilevanza emotiva seriosa, credo sia già il secondo episodio del podcast senza una linea guida, un po' a vuoto e forse inutile.

Ma non mi importa, sono solo i miei pensieri, non impongo a nessuno di ascoltarli, quindi in qualche modo, spero sia stato almeno di compagnia, nonostante la brevità di questo intervento, dopo una settimana di assenza di podcast.

Vivi sereno anche tu, da qualche parte la vita è bella."

Provavo molte emozioni dopo quell'audio, ma nessuna di esse era simile all'allegria, per quanto si fosse sforzata di dare un tono più leggero, era evidente quali pensieri la tormentassero e ignorarli non l'avrebbe aiutata, forse aveva bisogno di qualcuno che le desse delle risposte, invece di continuare a parlare a vuoto, qualcuno che l'aiutasse ad elaborare i suoi pensieri.

Forse non poteva avere accesso a uno psicologo, magari nella situazione peggiore si vergognava a chiedere aiuto, considerando certe soluzioni, un modo per ammettere, a chi la circondava, che qualcosa non andava, come se fosse una cosa negativa farsi aiutare.

Recuperai il telefono e mi portai sull'app di Instagram, dove la ragazza aveva pubblicato alcune foto, in riferimento a ciò di cui aveva discusso nel podcast.

Le foto appese al muro, rappresentavano il palazzo Changgyeonggung, delle ragazze in abiti tradizionali e il tempio di Busan, luoghi visitati anche da me anni fa e che, in qualche modo, mi era venuta voglia di rivedere, magari in abiti tradizionali. Il post successivo mostrava il letto, riempito delle restanti foto, all'angolo si poteva vedere lo schermo del suo computer, dove c'era in riproduzione la nostra canzone, i need you e in pausa quella che sembrava una puntata di Run BTS.

L'ultima foto rappresentava un biglietto sgualcito, un po' sbiadito, del "love yourself tour", adagiato tra quelli che dovevano essere i ricordi della giornata, un braccialetto fluorescente, delle photocards e l'army bomb. Fu automatico sorridere, ricordando a malapena quel momento, un concerto risalente al 2018, la prima volta in Europa con un tour e la sua prima volta ad un concerto dei BTS.

Bloccai lo schermo del telefono e decisi di lasciare lo studio, così da potermi avviare verso casa, consapevole che ormai Hoseok dovesse aver terminato le sue prove, mi recai nel parcheggio dove l'autista ci stava aspettando o meglio, mi stava aspettando, Hobi si trovava già in auto piegato sul cellulare, in attesa del mio arrivo.

"Ignora il mio messaggio, ti ho scritto per avvertirti che avevo terminato", disse mostrandomi lo schermo del suo telefono, annuì senza nemmeno controllare i messaggi e mi misi comodo accanto a lui per poterci godere quel breve viaggio verso casa.

In sottofondo, una delle nuove canzoni degli Astro, stava conciliando quel momento di serenità, la testa di Hoseok si appoggiò alla mia spalla e lentamente entrambi ci rilassiamo tanto da chiudere gli occhi, pronti a sonnecchiare, nonostante mancasse poco all'arrivo. Per un momento Purple Abyss, mi tornò in mente, insieme ai suoi aggiornamenti e una cosa mi fece scattare.

Tornai sveglio e vigile, recuperai freneticamente il cellulare dalla tasca, disturbando Hoseok, che mi guardò perplesso.

"Cosa ti prende, hai dimenticato qualcosa in ufficio?"domandò, mentre io stavo cercando di recuperare quel post, l'immagine del biglietto risalente la 2018, il suo primo concerto dei BTS.

"Cosa leggi qui?" Domandai parandogli davanti il cellulare con in bella mostra, l'immagine del biglietto, Hobi mi tolse il il telefono di mano e osservò la fotografia confuso, mentre non riuscivo a credere di aver trovato la soluzione che stavo cercando, "Parigi Jung Hoseok, c'è scritto Parigi", dissi esasperato sottraendogli il cellulare per controllare ancora una volta.

"Okay calmati, hai scoperto che quella voce è francese, non mi sembra tanto esaltante se non vuoi incontrarla", borbottò annoiato, si girò verso il finestrino adagiandosi ad esso sconsolato, visto che la strada ci indicava l'arrivo alla nostra dimora.

"Lei è una persona non una voce, in più credo sia più plausibile sia Europea", risposi alterato alla sua affermazione, lasciammo il van diretti verso il nostro appartamento, Hobi sembrava stranamente di malumore dall'inizio della giornata.

"Se vogliamo essere ancora più oggettivi, potrebbe essere anche Cinese, ti ricordo che molti fan ci seguivano ovunque in concerto", puntualizzò estraendo il telefono dalla tasca e mettendo una certa distanza tra noi, non sembrava in vena di volermi dare corda o anche solo continuare la conversazione.

"Ma lei è rimasta chiusa in casa per via della pandemia", gli feci notare riferendomi alle informazioni carpite nel corso delle varie pubblicazioni, Hoseok alzò gli occhi al cielo e incrociò le braccia al petto.

"Come i Cinesi, gli Europei e buona parte del mondo, non sto dicendo che non è Europea, ma che è un indizio molto circostanziale", specificò fermandosi davanti all'ascensore, controllò ancora una volta il telefono, dove probabilmente gli era appena arrivato un messaggio.

"Di solito sei quello più positivo del gruppo e che se ne sbatte dell'oggettività o minuziosità delle prove, cosa ti prende oggi?" Domandai, premendo il pulsante di chiamata per l'ascensore.

Ci fu un momento di silenzio, Hobi stava leggendo un messaggio, che dalla sua espressione sconsolata, non doveva essere di buon auspicio, era dal suo ritorno dal servizio militare che viveva distrattamente, dopo due anni lontano dalla sua fidanzata, il Covid stava mettendo a dura prova la loro relazione.

"Ho avuto una giornata di merda, le prove sono andate male, la metà dei ballerini è in quarantena per un sospetto di contagio e Jieun è ancora bloccata a Jeju, probabilmente tornerà il mese prossimo se il terzo tampone risulterà ancora una volta positivo, mi manca", abbassò lo sguardo e procedette verso l'ascensore vuoto appena arrivato al piano, mi sentivo un po' uno stupido per essermi arrabbiato per così poco con lui, aprì la bocca pronto a scusarmi, ma lui mi precedette, "mi dispiace, hai ragione comunque è molto più probabile sia Europea", sopirò riponendo il cellulare in tasca e dandomi una pacca sulla spalla. Sembrava completamente arreso, era ovvio che la sua fidanzata, anche questa volta si sarebbe dovuta trattenere sull'isola di Jeju, dopo l'ennesimo tampone positivo al virus, era orribile vederlo così triste.

"Dispiace a me, alcune volte non mi rendo conto che siamo tutti nella stessa situazione e probabilmente le mie frustrazioni sono anche le vostre", confessai abbracciando il più piccolo, che ricambiò la stretta in modo vigoroso e allegro, fino al nostro arrivo al piano selezionato, uscimmo a braccetto, saltellando per il corridoio, come se la tensione precedente non fosse mai esistita.

L'ultima cosa che volevo, era litigare per una sciocchezza con Hoseok. 

"Almeno ci consoliamo a vicenda, stavo pensando di fare un'altra partita a quel gioco comprato da Namjoon", disse cambiando completamente argomento, mi abbassai sulla tastiera della maniglia ed inserii il codice per poter sbloccare la porta, ritrovando davanti all'ingresso Namjoon sdraiato a terra, mentre Yoongi era seduto sulla sua schiena che mangiava, quello che probabilmente, era l'ultimo kimbap presente nel frigorifero.

Evitammo di chiedere la dinamica della lotta, ci limitammo a scavalcare i due e a dirigerci verso lo scaffale su ci erano riposti tutti i giochi da tavolo accumulati nel tempo.

"Questa volta teniamo conto dei punti, così posso dire a Jungkook che vi ho stracciato", pronunciai quelle parole con un po' troppa convinzione, ma non me ne preoccupai; recuperai il gioco e invitai anche gli altri due ad unirsi, con la promessa che la sera successiva, avrei cucinato per loro una cena completa, di quelle che non preparavo da un po', troppo demotivato e privo di qualsiasi stimolo.

Se Purple Abyss poteva decidere di essere felice, sarei riuscito a farlo anche io, in fondo dalle mie parti la vita era abbastanza bella..

Se Purple Abyss poteva decidere di essere felice, sarei riuscito a farlo anche io, in fondo dalle mie parti la vita era abbastanza bella                    

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Capitolo 5
*** Gente come me ***


Capitolo Cinque.
Gente come me

Non mi capacitavo di quello che avevo ascoltato, non riuscivo ben a elaborare la nuova puntata di Purple Abyss, tanto che avevo chiesto aiuto ai miei compagni, finite le registrazioni della nuova musica, c'eravamo divisi, per portare a termine tut...

Non mi capacitavo di quello che avevo ascoltato, non riuscivo ben a elaborare la nuova puntata di Purple Abyss, tanto che avevo chiesto aiuto ai miei compagni, finite le registrazioni della nuova musica, c'eravamo divisi, per portare a termine tutti gli impegni privati a noi rimasti.

Tutto ciò che mi era rimasto da fare, era recarmi dal mio terapista, così ero andato ad affrontare la mia ora di sproloqui, avevo esternato le mie preoccupazioni, avevo parlato anche di lei, ricevendo consigli d'amore non richiesti, ma forse affidabili. La giornata sembrava procedere su binari tranquilli, come il resto della settimana che mi stavo lasciando alle spalle e invece, le parole di Purple Abyss, mi avevano leggermente turbato, facendomi preoccupare per lei e il suo stato.

Sentivo sempre più il bisogno di sapere altro su di lei, di dove fosse, come stesse vivendo, se quei pensieri fossero un sunto del passato o realmente attuali, avrei preferito fossero i pensieri di una scrittrice, che amplificava alcuni dei suoi stati d'animo per essere più di impatto, ma il suo anonimato e l'assenza di pubblicità al suo podcast, faceva presagire fosse tutto reale.

Stava soffrendo troppo e iniziavo a non accettarlo più.

In auto ormai quasi arrivato al mio appartamento, avevo chiamato gli altri, per farli riunire in salotto e fargli ascoltare le parole della ragazza, volevo sapere cosa pensassero, se la cotta di cui mi parlavano era reale o se fosse solo empatia. Avevo bisogno di sapere che quella urgenza nell'aiutarla, fosse normale e non frutto di sentimenti che non avrebbero portato a nulla se non a tanta angoscia.

Era diventato angosciante essere mio amico, Namjoon, Yoongi e Hoseok, passavano le loro giornate a rassicurarmi, spronarmi e assecondarmi su qualsiasi cosa, nonostante fossi il più grande. In quelle settimane mi ero comportato peggio di un bambino e con quella adunata, stavo confermando quanto non riuscissi a gestire nemmeno delle parole, dette da qualcuno in un podcast.

Recuperai il cellulare e la giacca, precipitandomi verso l'ascensore, davanti ad esso Namjoon attendeva tranquillo, mentre leggeva qualcosa sullo schermo del cellulare, cercai di calmarmi, provando a riportare me stesso ad uno stato di tranquillità, non dovevo farmi condizionare da quelle parole.

"Hai fatto in fretta", dissi per attirare la sua attenzione, il ragazzo alzò il volto per guardarmi, abbassò la mascherina, ormai lontano da qualsiasi persona estranea ed io lo imitai, liberandomi da quel pezzo di stoffa, sempre più fastidioso.

"Ero già nei pressi di casa, gli altri sono tutti dentro invece, hai deciso di chiederci aiuto per contattare Purple Abyss?" Chiese con tono fin troppo speranzoso, ero così assillante, che ormai era palese anche per me, quanto questo atteggiamento fosse fraintendibile.

"Forse, vorrei farvi ascoltare l'ultima pubblicazione, ho bisogno di capire se sono l'unico che si preoccuperebbe per ciò che ha detto", lo informai entrando nell'ascensore, Namjoon si allungò verso il tastierino, per digitare il codice e in seguito il piano del nostro appartamento.

"In base a questo deciderai se accettare il fatto che ti piaccia o meno?" Sorrise estendo il telefono dalla tasca dei jeans, per controllare i messaggi che gli erano arrivati, non rispose a nessuno di essi, dopo aver controllato il contenuto, ripose il telefono per concedermi tutta la sua attenzione.

"Nam non è il momento di scherzare, sono serio e pieno di confusione in testa", ammisi, portando una mano sui capelli e sistemando nervosamente la frangia per distrarmi un po'.

Le porte dell'ascensore si aprirono in contemporanea con quella del nostro appartamento, da cui uscì Hoseok per recuperare un pacco lasciato davanti alla porta, probabilmente consegnato poco prima del nostro arrivo.

"Scusa hyung, se vuoi un responso per i vecchi episodi, anche io ho provato tanta empatia per lei, ma non provo nessun sentimento forte di sapere chi è o un'urgenza nell'ascoltarla, in realtà la trovo un buon modo per avere un punto di vista diverso su questa pandemia, quindi secondo me ti piace", sentenziò dirigendosi curioso verso Hobi, che stava scuotendo curioso il pacco appena arrivato.

"Vedremo se gli altri, confermeranno questa cosa", borbottai entrando in casa, Yoongi si trovava sdraiato sul divano, mentre controllava le mail, sul tavolino di fronte a lui c'erano diversi pacchetti provenienti da un ristornate. Abbandonai la borsa sul pavimento e recuperai il computer, con il quale avrei fatto ascoltare il podcast della ragazza, posizionai il tutto sul tavolino, incitando Namjoon e Hobi a sedersi con noi, recuperammo il cibo posto sul tavolo e quando tutto sembrò pronto, feci partire l'episodio della giornata. 

"Di recente ho avuto la possibilità di uscire, in realtà è stata una necessità dovuta alla mancanza di cibo e prodotti in casa, pensavo non sarebbe stato un problema, fin quando non sono arrivata al supermercato. Ero particolarmente serena, mentre vagliavo quale tipologia di detersivo fosse migliore per lavare i miei indumenti, finché una voce famigliare mi ha fatto raggelare.

Voltandomi mi sono ritrovata affiancata ad una persona, che non vedevo da molto tempo e che non pensavo, avesse ancora mordente sulla mia mente e invece, vedendola, mi sono sentita spaventata, intimidita, volevo scappare dal supermercato.

Credo che la mia vita sia stata abbastanza normale nel suo complesso, traumi quel tanto che bastavano per insegnarti lo stare al mondo e una dose moderata di bulli poco intimidatori, che mi hanno insegnato l'indifferenza verso i commenti malevoli. In realtà penso che esista un trauma, che più di tutti mi abbia segnato nella vita e rivederne la causa, proprio nel pieno di una pandemia mi ha solo portato al risultato ottenuto stasera.

Vedo la mia mente come una grande stanza, gli angoli pieni di polvere, individuati come il miglior nascondiglio per i ricordi sconvenienti, gli permettevo di occultarsi sotto quel cumulo di pensieri giornalieri, in attesa che qualcuno possa spazzarli via e darmi sollievo dalla loro grandezza, che parte dagli angoli della stanza e che si espande, fin quasi a riempirla tutta.

Oggi però la vita ha deciso di mandarmi la persona sbagliata, che ha disperso la polvere, per far emergere i ricordi e alimentando tutto ciò che stavo cercando di tenere a bada.

Mi prenderai per stupida, ma rivedere la maestra delle elementari al supermercato è stato come catapultarmi lì, tra le mura di quella scuola ormai sbiadita, mentre terrorizzata, lei e il suo odio, mi umiliavano davanti a tutta l'aula. In quel momento, sembrava molto più anziana, ma la sua lingua ancora biforcuta, come quando prendeva in giro una bambina di sette anni, che doveva ancora imparare.

Sul momento mi sono congelata, impossibilitata a fare qualsiasi movimento e quando le sue labbra avevano pronunciato il mio nome, mi sono sentita intrappolata, speravo che la mascherina potesse aiutarmi e invece mi aveva comunque riconosciuta.

Sorridere è quasi inutile con le labbra coperte, così mi sono ritrovata a fare un mezzo inchino, imbarazzante e impacciato, mentre i suoi occhi mi analizzavano e il nipote al suo fianco attendeva annoiato.

Le parole che hanno seguito il mio nome, non sono state per niente lodevoli, ha sottolineato il mio essere ancora grassa come da bambina, pizzicandomi i fianchi, in modo fin troppo pesante, nonostante abbia da poco riacquistato in realtà un peso sano.

Ha evidenziato che non fossi alta abbastanza per raggiungere la media, nonostante lei stessa sia più bassa di me, e dopo quelle parole, ha guardato il nipote e con una piccola risata, lo ha reso partecipe di quanto non raggiungessi quasi mai la sufficienza nella sua materia e di come sono sempre stata l'ultima degli ultimi.

Mi sono sentita piccola, umiliata e la mia mente lentamente si stava sfamando di quelle parole amare e della sua risata appagata, nonostante fosse palese che al nipote non importasse, mi sono sentita giudicata anche dal suo sguardo, che mi fissò intensamente, mentre io cercavo di sfuggire a quella situazione.

Sentivo di morire, volevo piangere, ma mi sono trattenuta, come quando ero piccola, perché alla fine ciò che ha sempre voluto vedere sono le mie lacrime, a riconferma che credessi alle sue parole.

La cosa peggiore, credo sia arrivato dopo una serie di insulti rivolti alla mia intelligenza alle elementari, mi ha guardata con sguardo appagato e mi ha chiesto se ero disoccupata, se avessi almeno la licenza media e se fossi finita in qualche ditta di pulizie.

Mi sono sentita morire, mentre mi umiliava davanti a quello che per me, era uno sconosciuto, mi metteva in difficoltà, cercando una reazione sconvolta da parte mia, mentre credeva probabilmente di avere ancora a che fare con quella bambina delle elementari, che reprimeva tutto in attesa dell'uscita da scuola.

Nonostante il mio diploma, il mio impegno nel cercare lavoro, l'inizio del mio percorso universitario, è riuscita a farmi credere che le sue parole fossero vere, come quando da piccola, mi aveva annunciato che tutto ciò a cui potevo ambire, era fare la collaboratrice scolastica. 

Come se fosse qualcosa di umiliante.

In fine come se quelle parole non fossero abbastanza per la mia mente, che stava riesumando ogni ricordo negativo legato alla scuola, mi ha anche detto che, 'gente come me', era fortunata in questa situazione mondiale, che la pandemia mi aveva dato modo di bighellonare, fare la pacchia e stare bene con me stessa.

È sempre stata molto brava a colpire i miei punti deboli, nonostante siano passati quindici anni, dall'ultima volta che c'eravamo viste.

Le mani mi tremavano e l'unica cosa che sono riuscita a fare è stata abbozzare una risata e inventarmi una scusa per scappare da quella situazione, riuscendo a percepire le ultime parole rivolte al nipote, in cui gli diceva che, come da piccola, anche da adulta ero un po' una 'ritardata'.

Alla fine non ho fatto la spesa, sono corsa a casa abbandonando il carrello con tutto ciò che mi occorreva, sono corsa nell'unico posto in cui sono al sicuro, dove nessuno mi ferisce e sto comoda nella mia solitudine.

Ho iniziato a pensare a tutte quelle cose che tenevo nascoste sotto la polvere, quei momenti umilianti che tutt'ora mi frenavano, perché la mia mente è troppo fragile, le sue parole mi rimbombavano in testa, sia quelle vecchie, che quelle nuove. 

L'esperienza si è accumulata, insieme ai ricordi, espandendosi così nella stanza creata nella mia mente, immobile, seduta in terra, nascosta nel bagno, luogo in cui mi ero catapultata automaticamente, sicura che sarebbe stato giusto essere lì.

Implorai la mia mente di non pensare, di non darle ragione, ma fu inevitabile farlo.

Quelle parole non possono essere ignorate, perché reali, non sono mai stata sveglia, non mi sono mai imposta, non ho mai avuto idea di che futuro potesse attendermi e la pandemia è stata la coperta che mi ha avvolto, una coperta di disperazione forse, ma in cui mi ero rifugiata per stare bene con me stessa.

Aveva ragione, la pandemia era la mia scusa, il modo per giustificare il mio non fare nulla, uno scudo di cui avvalermi e dietro cui rannicchiarmi, sperando un giorno di trovarci conforto, che non arriverà mai, perché per quanto lei fosse orribile con me, era l'unica che fin da piccola mi aveva messo davanti la mia inferiorità e l'estrema limitazione di me stessa e della mia mente.

Ho passato un tempo infinito nel bagno, un tempo in cui per distrarmi ho iniziato a sfregarmi il braccio, finché non ha iniziato a sanguinare, e solo in quel momento la mente si è calmata, i ricordi sono andati di nuovo a nascondersi sotto la polvere, mentre il sangue in un certo senso mi calmava.

Ho sempre trovato buffo in fatto che una ferita, possa attrarre così tanto la mia attenzione, annullando qualsiasi cosa, mi piace la vista del sangue, per quanto questa affermazione possa apparire macabra e disturbante, ma il dolore, mi ha sempre aiutata in situazioni come queste.

Per questo motivo in bagno, tengo sempre qualcosa, che nei momenti peggiori possa aiutarmi ad alleviare il dolore mentale, non provo desiderio di morte quando mi ferisco, solo di provare dolore, un modo differente per scappare e non affrontari i miei problemi.

È sempre stato un metodo angosciante per chi mi circonda, qualcosa di preoccupante, ma per me è sempre stato segno di calma e limpidità della mente a cui cerco di attingere il meno possibile, sapendo quanto per gli altri sia problematico.

Sono consapevole che questo genere di affermazioni sono difficili da digerire, ma ci convivo ormai da tempo, per me è la normalità e più mi reprimo, più lo stress si accumula, non lo dico perché penso non sia un problema, infliggersi doloro non è la normalità, ma è un altro lato di me.

Adesso la polvere che mi aiuta a nascondere i pensieri più dolorosi sembra tornata al suo posto, mentre dei cerotti coprono le mie colpe, probabilmente dopo questo incontro, quella maestra delle elementari dormirà sonni tranquilli, mentre io ho deciso che rimarrò sveglia a fare i conti con la mia vita.

È tempo di tirare le somme su tutto ciò che nella mia vita ho fallito, quello che lei ha predetto e che in realtà si è avverato, così che indirettamente, possa dargli la soddisfazione di avere ragione.

Oggi c'è pure il sole, volevo godermelo un po', ma non ci sono riuscita, ho chiuso tutto e mi sono nascosta dalla luce, oggi non merito nessun tipo di calore, non devo essere illuminata, ho peccato verso la vita, vivendo miseramente e non credo di poter fare nulla per migliorarmi.

Odio la mia situazione, la mia vita, la mia testa, detesto il COVID e la probabilità che finisca, non voglio vivere e allo stesso tempo desidero una rivalsa, ma mi sento arrivata nella vita, ormai troppo vecchia.

Alla fine la mia maestra aveva ragione, gente come me era fortunata, stando in casa, potevo nascondere la mia ignoranza."

Eravamo tutti seduti in modo composto sul divano, il cibo ancora intanto e delle espressioni abbastanza inequivocabili di disagio, sembravano aver reagito tutti al mio stesso modo, questo mi aiutava a credere che la mia necessita di aiutarla non fosse anomala.

"Parole pesanti", parlò per primo Yoongi rilassandosi sul divano, si portò una mano sul volto incerto su come proseguire la frase, "mi dispiace veramente che si sia sentita in quel modo", disse guardando il computer il cui schermo era ormai oscurato.

"Ha sicuramente bisogno di un aiuto psicologico", aggiunse Namjoon recuperando il telefono dalla tasca, si sistemò in modo più comodo sul divano e iniziò a rispondere ai messaggi sul telefono.

"Hai detto che è una nostra fan?" Domandò curioso Hoseok, io annuì, sperando che almeno lui mi desse la risposta che stavo cercando, "per quanto possa essere stupido pensarlo, spero che il nostro lavoro le porti un po' di sollievo", non ero ancora soddisfatto dalle loro parole, o meglio, sembravano volermi confermare che stessi dando troppo peso al tutto.

"Tutto qui?" Chiesi quasi esterrefatto, eppure sapevo che non c'era altro da dire, avevano ragione, probabilmente mi stavo facendo coinvolgere da dei sentimenti, nati per chissà quale motivo, verso una sconosciuta.

"Cosa dovremmo aggiungere? Ci dispiace, è una situazione di merda che molte persone stanno vivendo, per questo stiamo lavorando, in modo da poter portare un po' di allegria, doniamo e mandiamo messaggi positivi, per dare una speranza", disse con tranquillità e un po' di rassegnazione Namjoon alzandosi dal divano, ripose il telefono e recuperò la mascherina adagiata sul tavolino, pronto probabilmente ad uscire di nuovo.

"Se dovessimo aiutare personalmente, tutte le persone che su internet dicono di vivere una brutta situazione, non ci basterebbe tutta la vita, sentirlo è sicuramente angosciante e vorrei aiutarla, ma come aiuterei chiunque altro", aggiunse Hoseok alzando le spalle dispiaciuto, per la mia palese insoddisfazione nelle loro risposte, anche Yoongi si alzò in piedi e dopo che ebbe controllato l'orologio, attrasse l'attenzione su di se.

"Adesso ho bisogno di un po' d'allegria, vi va di andare a cena fuori?" Propose indicando il telefono, Hoseok e Namjoon annuirono alla sua proposta, cambiando totalmente discorso, ero sicuro che quelle parole li avesse scossi e che in qualche modo, stessero solo cercando di smuovermi.

"Va bene, ho una cotta per una sconosciuta", ammisi arreso all'evidenza, tutti e tre sorrisero, inteneriti probabilmente dal mio broncio attraente o dal mio sembrare un disperato.

"Siamo in due", mi consolò Yoongi, battendomi una mano sulla spalla, sorrisi a quel gesto, ma rimaneva tutto il resto, la preoccupazione per lei, l'angoscia nel sentirla parlare in quel modo, la paura di non poterla aiutare, dovevo proprio prendermi una cotta per qualcuno di così lontano?

"Credo che io passerò per oggi", dissi in riferimento alla proposta di Yoongi, non avevo molta fame, dovevo elaborare le informazioni nella mia mente e capire cosa volessi fare, ignorare la mia cotta non sembrava plausibile, ma affrontarla non sembrava una cosa semplice.

"Dai, vieni con noi, escogitiamo insieme un modo per farti notare da lei, mentre mangiamo del buon manzo", mi pregò Hoseok, provò a tentarmi usando il cibo come arma, nello stesso istante il mio stomaco iniziò a brontolare, il solo sentir parlare di manzo, liberava lo stomaco. Ero riuscito a contraddirmi nel giro di pochi secondi, poco prima nemmeno pensavo al cibo, adesso ero preoccupato per una ragazza e stavo morendo di fame, la soluzione a quei due problemi sembrava la medesima.

"D'accordo", mi arresi, nella speranza che quella cena potesse aiutarmi, non mi era mai capitato di non riuscire a interagire con qualcuno, di presenza ero abbastanza appariscente, le persone mi si avvicinavano e iniziavano le conversazioni, su internet ero abbastanza a mio agio, sia come membro della band, che come persona anonima, eppure con lei, non riuscivo mai a scrivere nulla di sensato. 

Nessuno dei miei compagni si era ritrovato nella mia stessa situazione, solo io potevo riuscire a innamorarmi di una voce femminile, che esternava le sue paure, preoccupazioni e pensieri più dandomici, su ciò che le accadeva. Ero riuscito a invaghirmi di parole angoscianti e tristi, dette da qualcuno che sicuramente abitava fin troppo lontano per essere raggiunta da me, non in questo periodo almeno, ma forse nemmeno nel prossimo.

Perché doveva essere così difficile l'amore, per gente come me?

Perché doveva essere così difficile l'amore, per gente come me?                    

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Capitolo 6
*** Whalien 52 ***


Capitolo Sei.
Whalien 52

Quando l'insegnante aveva annunciato la fine delle prove di danza, mi era sembrato di udire le parole più dolci del mondo, non ci allenavamo da molto tempo e il ritorno in sala era stato leggermente traumatico per tutti e quattro

Quando l'insegnante aveva annunciato la fine delle prove di danza, mi era sembrato di udire le parole più dolci del mondo, non ci allenavamo da molto tempo e il ritorno in sala era stato leggermente traumatico per tutti e quattro.

Mi lasciai andare a terra, aprendo braccia e gambe, in attesa che qualcuno si proponesse di riportarmi a casa in braccio, cosa che ovviamente non sarebbe successa, ma potevo sognare almeno un po'. Strisciai sul pavimento, privo di forze per alzarmi e camminare come qualsiasi essere umano, mentre Hobi nonostante la stanchezza, era ancora alle prese con qualche passo di danza, provai ad interferire con le sue prove, strisciandogli sotto i piedi, impedendogli di ballare nel modo corretto.

Dopo svariati minuti ad inseguirlo strisciando sulla schiena, decisi di raggiungere il mio vero obbiettivo, la borsa che avevo adagiato in fondo alla sala appena arrivato. Mi ero dovuto convincere ad abbandonare il telefono, dopo due intere settimana passata davanti ad esso, in attesa di un aggiornamento da parte di Purple Abyss, avvenuto solo tramite Instagram.

Aveva pubblicato diverse foto in riferimento a degli acquisti fatti, tutti a tema Corea del Sud, aveva recuperato diversi libri, alcuni gadget del gruppo e degli album usciti di recente, nessun accenno al podcast, a sentimenti di qualsiasi genere o a una risposta da parte sua a dei messaggi che gli avevo inviato sotto consiglio di tre ragazzi.

Tutto taceva, ed io stavo impazzendo.

Aprii per l'ennesima volta Instagram, così da poter visionare l'unica chat che avevo avviato attraverso quel profilo, notando con immenso stupore che i miei messaggi erano stati visualizzati, anzi per essere più precisi, oltre la visualizzazione e un cuore lasciato, forse all'unico messaggio non imbarazzante, adesso sembrava in procinto di scrivermi.

Ero nel completo panico, mentre la dicitura "sta scrivendo...", compariva sotto l'ultimo messaggio. Mi misi seduto, appoggiai la schiena contro il muro e attesi che quelle parole comparissero sul mio schermo, nello stesso istante, sulla parte superiore dello schermo comparve una notifica, che annunciava la pubblicazione del nuovo episodio del suo podcast e subito sotto, la chat si mosse, segno che la ragazza avesse risposto. 

Attesi qualche secondo prima di leggere il suo messaggio, era stupido, forse fin troppo da adolescente per un quasi trentenne, ma la sua risposta significava poter interagire e in qualche modo, dare inizio alla fine della mia cotta per lei.

"Grazie, sono contenta che il mio coreano non risulti troppo impacciato, 

alcune volte ho il terrore di dire cose imbarazzanti ahahaha.

Non mi aspettavo un commento tanto carino sulla mia voce, 

è stato molto apprezzato.

Posso chiederti di dove sei precisamente?"

Rilessi il messaggio due volte, probabilmente con una espressione abbastanza seria, visto che Namjoon si trascinò al mio fianco per sbirciare sul mio telefono, anche lui sembrava sorpreso dalla risposta ricevuto, c'avevamo perso un po' tutti le speranze.

Il più piccolo mi fece cenno di rispondere, così iniziai a digitare nella speranza che anche lei fosse ferma davanti alla nostra chat aperta, in attesa di una mia risposta.

"Seoul, all'inizio pensavo abitassi qui"

Dissi nella speranza di aprire una discussione, ovviamente così fu e pochi secondi dopo, la sua risposta non tardò ad arrivare, regalandomi la conversazione che stavo attendendo.

"No, niente del genere, solo due belle vacanze"

Guardai Namjoon, che aggrottò le sopracciglia confuso, sembravo in difficoltà, non riuscivo a processare in tempi brevi una semplice domanda, o allaccio necessario a non far morire la discussione, così il ragazzo scrisse una domanda al mio posto, e me la fece leggere prima di premere invio, in modo che potessi approvarla.

"La Corea del Sud, non ti sembra un posto adatto dove vivere?"

Semplice e concisa, non era una domanda fuori contesto e ovviamente il mio cervello non c'aveva per niente pensato, troppo occupato a fantasticare su dove potesse essere lei, in che posizione, con quale sguardo, mentre rispondeva ai messaggi di uno sconosciuto.

"Avendoci passato solo due settimane non saprei dire ahahah

Ammetto di aver fantasticato sulla cosa, 

ma tra il covid e il non avere un vero piano nella vita...

Diciamo che non è realistico"

Si limitò a risponder in modo razionale, sembrava una risposta molto rassegnata, triste forse, o magari volevo solo immaginarmi questo scenario, credere che l'essere lontano dalla Corea del Sud, la rendesse ovviamente sconsolata e che solo a Seoul potesse trovare nuova vita, una meno difficile e più positiva.

"In quale caso, sarebbe realistico?"

Domandai stupidamente, forse un po' troppo tardi, perché il messaggio non fu visualizzato e per i minuti successivi, Purple Abyss, sembrò essere sparita nel nulla, probabilmente impegnata o semplicemente, si era addormentata, magari in attesa della mia risposta, o più realisticamente perché molto stanca.

"Hyung come primo approccio, possiamo definirlo buono, sicuramente meglio di Hoseok", scherzò Namjoon per farmi ridere, Hobi interruppe i suoi movimenti di danza, solo per poterci regalare il suo sguardo disgustato e ferito dal commento.

"Il mio primo approccio, non era un vero approccio", precisò incrociando le braccia al petto indignato, "nessuno sano di mente, per approcciare una ragazza le rovescerebbe un caffè bollente addosso", borbottò abbassando lo sguardo verso il pavimento, spesso la sua fidanzata, ci aveva raccontato quanto si sentisse in colpa per quell'incidente, nonostante ormai fossero passati diversi anni.

"Io non definirei nemmeno questo un approccio, ha solo risposto a un messaggio, sembrava quasi un'intervista impersonale molto breve, non credo nemmeno mi risponderà più", sbuffai lasciandomi scivolare su un fianco, così da potermi rannicchiare a terra.

Ero stanco, demoralizzato, desideroso di risvegliarmi in un mondo in cui non dovessi preoccuparmi per una sconosciuta, lontana, senza volto e con così tante turbe mentali, da tenermi in ansia, volevo un mondo dove lei potesse vivere serena.

"Jin, io non vorrei fare in guasta feste, in altri casi ti lascerei rannicchiato in terra a soffrire, ma ti sei reso conto che puoi scriverle una mail? Probabilmente non è la soluzione più umana, ma sicuramente con quelle ti leggerà", mi fece notare Yoongi, mentre osservava la bio di Instagram della ragazza.

"Cosa dovrei scriverle? Non mi crederà un maniaco? Se mi bloccasse spaventata?" I miei compagni di band alzarono gli occhi al cielo, allontanandosi da me esasperati, dalle domande oggettivamente ridicole, non dovevano dirmi loro cosa scrivere, come non dovevano suggerirmi di trovare altre vie, ma allo stesso tempo, per qualche motivo, avevo bisogno che mi spronassero.

"Credo che a questo punto, dovresti semplicemente attendere hyung, quando avrai qualcosa da dire scrivile, non devi farlo per forza adesso", specificò Hobi raccogliendo da terra la sua borsa, recuperò il telefono al suo interno, lesse i messaggi sullo schermo e un sorriso inequivocabile comparve sul suo volto.

"Quando torna?" Chiesi riferendomi alla fidanzata, ancora relegata a Jeju per via del covid, Hobi lesse per intero il messaggio, probabilmente incredulo e con un sorriso ancora più ampio rispose.

"Domani mattina", mormorò mentre le sue dita si muovevano velocemente sullo schermo del telefono, guardai Namjoon, intuendo cosa stesse pensando, dopo settimane di lavoro, un giorno di riposo non ci avrebbe fatto male e sicuramente sarebbe stato apprezzato dalla coppia.

"Credo sia il momento perfetto per prenderci un giorno libero", dissi rotolando fino ai piedi di Hoseok per attrarre la sua attenzione, il ragazzo si piegò a terra e mi abbracciò con così tanta euforia, da impedirmi di respirare.

Mi lasciò andare solo dopo diverse proteste e lo sbadiglio esagerato di Yoongi, che suggeriva la sua volontà di voler tornare a casa a riposarsi.

"Torniamo a casa, voglio infilarmi nella vasca e uscirne solo quando dimostrerò ottant'anni", Yoongi recuperò a sua volta la borsa, mentre il suo sguardo vagava sullo schermo del suo telefono, dove i post di Instagram scorrevano uno dietro l'altro, probabilmente la sua bella non si era fatta viva, oppure aveva deciso di non aggiornarmi più sullo sviluppo del mio drama preferito. 

"Precedetemi pure, credo di non aver ancora recuperato le forze necessarie per mettermi in piedi", mentii, volevo rimanere da solo, ascoltare il podcast di Purple Abyss e semplicemente processare il tutto in una immensa stanza vuota, la sala prove sembrava il luogo perfetto per farlo. 

"Non fare tardi, ricordati che stasera abbiamo la finale con il gioco da tavolo, chi perde va a prendere i più piccoli del gruppo vestito da pinguino, se non arriverai in tempo, sarai automaticamente il perdente", mi ricordò Namjoon, quel gioco ormai era diventata un'ossessione.

"Non mancherò", dissi alzando il pollice in segno positivo, mentre i tre ragazzi lasciavano la stanza e tutto cadeva nel silenzio totale. Alzai il telefono e andai a recuperare la puntata pubblicata, osservai per un secondo il podcast, l'immagine, il suo nome, il tasto per poter avviare la puntata.

"Parola", era il titolo di quel episodio, quelle che mi erano mancate nell'unico momento in cui ero riuscito a interagire con lei; inserì le cuffie nell'orecchio, feci partire l'audio e chiusi gli occhi, per poter carpire ogni sua parola.

"Oggi credo sia stata una giornata difficile.

Ormai è sempre una giornata difficile, ma lo diventa di più quando mi vedo costretta a lasciare la mia abitazione, ovviamente te lo dico, perché l'ennesimo tentativo di uscire per necessità, è stato il risultato di dubbi sulla mia esistenza e ricordi di ciò che più mi ha ferita nel tempo.

Fin da piccola mi è stato difficile prendere parola, dire la mia, argomentare durante una discussione; non riesco mai a spiegarmi quando cerco di esporre un concetto, finisco per annodarmi sulle mie stesse parole, per poi decidere di non aggiungere altro e di non prendere parola.

Penso spesso che se fossi nata senza l'uso della parola, non avrei percepito differenze, avendo come metro di giudizio la mia vita. Ho sempre trovato imbarazzante parlare, esprimere un qualsiasi pensiero ad alta voce, credendo fermamente che le mie parole e il mio tono di voce fossero fastidiosi. 

Nelle varie fasi scolastiche era sempre così, la mia voce non serviva, era inutile e non attendibile, essendo sempre nel torto per i più grandi e i miei coetanei, a prescindere dal conteso o dalla discussione, anche quando non c'era un torto o una ragione, mi veniva sempre ripetuto che stessi sbagliando. 

Cosa può fare una bambina, quando le viene detto, che che ciò che ha da esprimere non è di interesse comune ed è sicuramente sbagliato? Sta in silenzio, e impara a mantenerlo anche nelle successive fasi della vita.

Perché sforzarsi a parlare, se non danno nessuno tipo di piacere a chi le ascolta e diventano irritanti anche per se stessi?

Perché costringere qualcuno ad ascoltare i toni fastidiosi, pallosi e "da mal di testa"?

Perché provare ad argomentare, quando ti viene detto che non sai nulla, che non puoi capire e ciò di cui si sta parlando, non è tua competenza? 

Perché impegnarsi, se tanto si parte dal presupposto che quello che dirò è sbagliato?

Non è mai stata mia intenzione quella di infastidire chi mi circonda, eppure l'ho fatto, anche solo per piccoli accenni di assenso, mai graditi.

Durante gli anni scolastici mi veniva ripetuto spesso, quanto la mia parola non fosse rilevante, quanto fosse poco attendibile su qualsiasi argomento. Ho sempre pensato, ci fosse una ragione dietro questa conclusione da parte di persone, ritenute più competenti di me: professori, coetanei, parenti, adulti estranei. 

Crescendo però, non posso fare a meno di chiedermi se fin da subito mi ero posta nel modo sbagliato a chi mi circondava, probabilmente davo l'aria di essere in partenza una causa persa e nessuno voleva prendersi il fardello di ascoltare le parole inutili di una bambina, diventata un'adulta inutile e che ha capito, quanto probabilmente quelle persone ci avessero visto lungo.

Da adulta continuo a non avere nulla da dire a chi mi circonda, quindi mi sembra ovvio che la me stessa di anni prima, non avesse il privilegio di parola, sarebbe stato solo spreco di tempo, solamente ossigeno consumato.

Anche superati i vent'anni, la mia parola vale meno di quella di un bambino.

Forse non ho mai maturato, le conoscenze adatte per essere coinvolta nelle discussioni per adulti, probabilmente non sarò mai abbastanza matura, per aver il diritto di parola libera nella vita.

Arrivata ad oggi mi sono arresa, anche sul lato comunicativo più forzato, qualsiasi cosa dica, viene ignorata, bypassata, ridicolizzata, in qualsiasi ambito di vita, senza possibilità di discussione, quindi credo sia molto più semplice, far quello che mi viene richiesto da anni e stare a bocca chiusa.

Avrei preferito l'assenza di comunicazione, a queste continue richieste di opinioni, che quando finalmente si fanno coraggio, vengono ridicolizzate, annullate, screditate e lasciate morire, durante la conversazione.

Tutto ciò, mi ha sempre fatta sentire mortificata nei confronti di chi mi doveva ascoltare forzatamente, e penso che tutto risalga a uno dei pochi rimasugli di memoria scolastici d'infanzia, il solo ricordare, mi fa tremare, lo stomaco mi si stringe, il cuore batte velocemente e sento la necessità di vomitare tutto ciò che il mio stomaco contiene.

Penso non esista mortificazione più grande, che essere ammutolito dalla propria compagna che la tortura ogni giorno, mentre la maestra con sguardo compiaciuto le da il permesso e il benestare di umiliarti davanti all'intera classe.

Forse il pensiero, è andato un po' oltre quello che volevo esprime, cioè la rabbia e frustrazione nell'essere zittita per l'ennesima volta, sentendomi una nullità, dopo settimane senza parlare con nessuno, senza avere vere interazioni verbali. Come al solito il mio provare a interagire, spiegarmi e aiutare, sono state viste come parole sprecate ed errate, sono stata derisa e ammutolita, sempre pubblicamente, ancora una volta umiliata davanti ad estranei e conoscenti, come se fosse la normalità. 

Ancora una volta comunicare è stato un fallimento e la voglia di tornare in silenzio, ha permesso che tornassi a casa, per l'ennesima volta senza aver portato a termine ciò che mi ero prefissata di fare, in quei pochi attimi fuori casa, sentendomi meno competente, più ignorante, per niente meritevole di paragonarmi a qualsiasi essere umano.

Adesso che il mondo accenna a voler ripartire, mi sta anche suggerendo di non lasciare la mia abitazione, ricordandomi quanto stia meglio nel mio isolamento, nel luogo che mi protegge, quanto negli anni chiudermi volontariamente in casa, mi sia nascosta da quelle cose che mi avrebbero ferito.

Di recente mi ero chiesta se non fossero loro a sbagliarsi, se in realtà tutto ciò che mi era stato detto fosse falso, o per lo meno, in parte errato, questo pensiero, mi ha dato la forza di registrare le mie parole, ma dopo oggi non sono sicura di voler continuare, perché alla fine sembrano aver ragione.

Fin ora non ho mai detto nulla che fosse utile o giusto, ho solo espresso degli inutili pensieri personali, che sono consapevole non abbiano aiutato nessuno, a malapena mi hanno aiutato a sfogarmi e parlare, dopo settimane di vero e completo silenzio.

Mi sento in dovere di meditare sulla mia libertà di parola, cercando di indagare su quanto possa realmente essere utile che io mi sforzi ancora di dare una mia opinione su qualsiasi argomento mi venga posto davanti. In cuor mio, spero che gli altri si sbaglino su di me, che il continuo dirmi quanto non sappia nulla sia solo prevenuto.

Per un po' sparirò, non so se e quando tornerò vocalmente, ho bisogno di rimanere in silenzio."

Aprì gli occhi affranto da quelle parole, per un po' di tempo non avrei sentito la sua voce e tutto per colpa di qualcuno, magari di poco rilevante o peggio estremamente importante per lei, che le aveva ribadito un concetto del tutto sbagliato. 

La parola di nessuno era obsoleta e priva di significato, a prescindere dai sentimenti che smuovevano quella sensazione di disappunto crescente dentro di me, sicuramente la sua esperienza aveva corrotto il suo pensiero, ma non sarei rimasto lì ad attendere un suo addio, un ritorno quasi forzato o peggio, un ritorno sui suoi passi, senza realmente aver elaborato quelle parole.

Recuperai il telefono, adagiato sul mio petto e, nonostante poco prima avessi asserito di non averle nulla da dire, recuperai la sua mail, in bella vista, nell'apposito tasto messo a disposizione dalle stesse funzionalità di Instagram, un modo diretto per poter comunicare con lei, senza attendere che visualizzi, che entri sui social o che i messaggi nella sua casella si smaltiscano.

Un modo così semplice, che il mio cervello aveva accuratamente evitato di farmi notare la cosa.

Avevo deciso che mi sarei fatto guidare dal flusso spontaneo di parole, anche a costo di rimanere ore a fissare lo schermo del telefono, avrei preso il suo esempio e iniziato a scrivere, non volevo rimanere senza i suoi discorsi, la sua voce dolce. 

Guardai la pagina vuota, che riportava solo le mail di entrambi, la mia euforia era calata abbastanza velocemente, mentre guardavo la dicitura "oggetto", che pareva una delle parti fondamentali per farsi leggere, le giuste parole l'avrebbero invogliata ad aprire l'email di uno sconosciuto. 

Ci pensai, mi rigirai sul pavimento senza badare al tempo, finché a mezzanotte inoltrata qualcosa mi balenò in testa, forse era un po' strano, probabilmente però avrebbe colto in qualche modo il riferimento, così dopo un tempo interminabile avevo trovato l'oggetto, dai inserire, prima ancora di scrivere la vera e propria lettera, "Whalien 52", forse avrei potuto pensare di meglio, ma andava bene così comunque. 

In qualche modo, forse per la disperazione della mente, le parole successive nacquero da se, seguendo un flusso inaspettato e conciso, che si esaurì insieme al concetto che stavo cercando di esprimere, alla fine il contenuto non andava troppo lontano dal testo della canzone. Come al solito, la musica, il testo di una canzone, mi aveva aiutato a sviscerare ciò che stavo realmente pensando, ma non riuscivo semplicemente a tirar fuori. 

Purlple Abyss si trovava in un mondo così vasto, da non riuscire a trovare nessuno che potesse captare e comprendere le sue parole, convincendosi di doversi ammutolire, volevo dimostrarle che da qualche parte nel mondo, l'avevo sentita e desideravo risponderle, così da non dover più parlare al vuoto, così da non pensare di non essere udita.

Io da una parte remota del mondo, l'avevo udita, ed era il momento, che anche io, provassi a farmi ascoltare da lei, in modo da essere entrambi meno soli. 

                     

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Capitolo 7
*** Jungkook e il pinguino ***


Capitolo Sette.
Jungkook e il Pinguino

Il costume da pinguino era di una scomodità indescrivibile, ma il fatto che lo stessi indossando non era un peso, avevo mancato la partita al gioco inventato dalle Army, ma in compenso ero riuscito a scrivere una lunga e sentita email a Purple Aby...

Il costume da pinguino era di una scomodità indescrivibile, ma il fatto che lo stessi indossando non era un peso, avevo mancato la partita al gioco inventato dalle Army, ma in compenso ero riuscito a scrivere una lunga e sentita email a Purple Abyss, che da tre settimane era completamente sparita, non mi aspettavo un responso, quindi in parte ero tranquillo.

La preoccupazione però, era comunque parte di me, la sua assenza mi faceva presagire le cose peggiori, ma al momento stavo cercando di non pensarci. Finalmente dopo mesi di attesa, Jungkook sarebbe tornato dal suo servizio militare, precedendo di poco i due più grandi. Per problematiche legati al covid19, avevano deciso di congedarlo insieme ad altri colleghi, con ben due settimane di anticipo, quindi ci eravamo preparati per andare a recuperarlo, partendo di buon ora la mattina, così da raggiungere Busan in aereo e successivamente, la base militare, dove il ragazzo ci attendeva.

Era stato concordato di non divulgare la notizia, nessun fan era a conoscenza di questo congedo anticipato, questo per noi significava libertà di movimento, almeno finché qualcuno non ci avrebbe immortalato. 

Arrivammo puntuali, davanti ai cancelli da cui, da lì a poco sarebbe uscito il piccolo Jungkook, con la sua divisa e lo zaino in spalla, pronto per tornare operativo in nostra compagnia, fuori dall'auto alcune ragazze e genitori, si trovavano fermi come noi in attesa che i propri fidanzati, figli o nipoti potessero finalmente dichiararsi liberi dai doveri verso la nazione.

Ero estremamente agitato, rivedere Jungkook dopo tanto tempo, poterlo recuperare, dopo un arruolamento quasi simultaneo, dove io ero partito per primo, non potendo quindi accompagnare gli altri, avevo passato più di due anni senza vederli. Il primo ragazzo uscì dalla porta principale, con la mascherina ben sistemata sul volto, questo per me fu il segnale per poter uscire dall'auto, spalancai la porta e feci un'uscita trionfante, con il mio costume da pinguino attirai l'attenzione di tutti i presenti, che cercarono di non ridere.

Mi portai vicino al cancello e proprio in quel momento il piccolo Jungkook uscì dall'edificio, intuendo subito, che dietro il costume da pinguino ci fosse qualcuno della band, il ragazzo arrestò la sua camminata, portandosi una mano davanti al volto divertito, per poi correrci incontro, superando così i suoi compagni e fiondandosi su di me, per potermi abbracciare.

"Hyung, mi siete mancati", esclamò, lasciando andare la borsa a terra e stritolandomi ancora di più, probabilmente era intenzionato ad uccidermi. Cercai di colpirlo con le mie pinne, provai a beccarlo con il mio becco di gommapiuma, ma nulla lo fece demordere, così semplicemente ricambiai l'abbraccio, sentendomi scoppiare, dopo due anni senza vederlo; mi era mancato.

"Com'è possibile, che tu sia diventato più grosso di prima", borbottò Yoongi, toccando incuriosito e sconcertato il bicipiti dal ragazzo, sembrava quasi ipnotizzato, mentre Jungkook cercava di divincolarsi dalla mia presa, per potersi sottrarre a quelle attenzioni.

Namjoon gli scompigliò i capelli, mentre Hobi gli pizzicò le guance per infastidirlo, era sicuramente una scena imbarazzante, tanto che, le persone circostanti fecero un passo, ampio e ben visibile per allontanarsi da noi, il costume, le mascherine e gli occhiali, avevano occultato abbastanza bene il nostro aspetto e nessuno sembrava averci riconosciuto. 

"Facendo esercizio, sono felice ci siate tutti, adesso però mettimi giù Jin hyung", si lamenta cercando ancora una volta di liberarsi dalla morsa mortale del pinguino, mi ero calato così tanto nella parte da non aver ancora aperto bocca e stranamente, avevo una gran voglia di pesce.

"Adesso che sei un uomo completo, dovresti offrire il pranzo", scherzai alzando leggermente la maschera, in modo che potesse vedermi in volto, sembrava stanco, ma lo eravamo tutti al nostro congedo, probabilmente aveva dormito poco per tutta la durata del servizio militare, ma sprigionava comunque euforia da tutti i pori.

"Ho appena terminato il servizio, dovreste essere voi a pagare il mio pranzo", si lamentò Jungkook incrociando le braccia al petto, come un bambino capriccioso. Yoongi recuperò da terra la borsa del ragazzo e Namjoon ci fece strada per tornare verso la nostra auto, pronti a festeggiare il ritorno di Jungkook nel suo ristorante di Busan preferito.

"Vedo che non ti sono bastate, tutte le volte precedenti", il ragazzo mi abbracciò, forse troppo felice di sentire le mie lamentele o semplicemente perché inquieto, avrei voluto sentirmi anche io così all'uscita del mio servizio militare, spensierato, felice della sua conclusione e invece era andato tutto diversamente.

In parte, dovrei essere grato al mio momento di buio, sconforto, perdita di obbiettivi, mi avevano permesso di trovare, la persona che adesso aleggiava perennemente nella mia mente, isolarmi era servito per arrivare a lei e trarne conforto. 

Per quanto in quel momento, riuscissi a dividermi meglio, tra i miei pensieri più distruttivi, nulla era realmente cambiato, c'erano stati dei miglioramenti, ma più si avvicinava il nostro ritorno sui palcoscenici virtuali, più mi sentivo inadeguato, insicuro e privo di qualsiasi talento, come se fossi un novellino, spaventato da qualcosa che non conosce.

"Yoongi, Jin hyung, ci siete?" La voce di Jungkook mi fece spostare lo sguardo dall'asfalto, ci trovavamo davanti all'auto, gli altri membri del gruppo erano già seduti e con le cinture allacciate, mentre Yoongi si trovava a pochi passi di distanza, stava fissando un punto impreciso. Aguzzai lo sguardo e notai subito, la ragazza straniera, quella della sua cotta, era in piedi davanti al cancello, abbracciava un ragazzo in divisa, mentre delle lacrime di felicità lasciavano i suoi occhi, insieme a lei, un'altra ragazza, spesso presente nei suoi post, che stava colpendo lo sconosciuto, mentre anche lei piangeva, probabilmente felice di rivedere l'amico, il fratello o addirittura il fidanzato.

"Yoongi, muovi le chiappone, prima che qualcuno ci riconosca", dissi cercando di prenderlo per mano con la mia pinna, l'impresa fallì, ma almeno ero riuscito ad attrarre la sua attenzione, alzai lo sguardo verso di lui, aveva gli occhi semichiusi, che mi guardavano con disappunto da sopra gli occhiali e probabilmente un broncio, nascosto dalla mascherina nera. 

"Le mie non sono chiappone", esclamò, sottraendosi alla presa fallita della mia pinna e portandosi all'interno del van, dove Jungkook ci stava guardando divertito, aveva abbassato la mascherina rivelando qualcosa di scioccante per tutti noi.

"Cosa sono?" Quasi urlai vedendo dei baffetti sul suo labbro superiore, tolsi la maschera e a passo svelto cercai di infilarmi nel van a fatica, così da poter guardare meglio il ragazzo, "Ti hanno punito togliendoti il rasoio?" Chiesi sfiorando quei peletti terrificanti, sembrava essere uscito da un bruttissimo film degli anni ottanta, abbassai anche io la mascherina, così da potergli mostrare tutto il disgusto che provavo nel vedere quelle atrocità sulla sua faccia.

"No, ho provato a farli crescere", ci informò passandosi due dita sul labbro, sembrava un maniaco, uno di quei pervertiti disgustosi perennemente presenti nelle serie televisive, sentivo il bisogno di estirparglieli uno ad uno.

"Sono orribili", commentai forse un po' troppo inorridito, da dei semplici e scarsi baffi, erano così pochi, che sembrava inutili tenerli, appariva in disordine, per niente carino da vedere.

"Gia abbastanza raccapriccianti", mi seguì a ruota Yoongi, ricevendo del consenso da parte mia, Hoseok appoggiò una mano sulla spalla del più piccolo, forse per incoraggiarlo e cercare delle parole positive per descrivere quello scempio sulla sua faccia.

"Sembri un dodicenne con i baffi", esclamò provocando una sonora risata in me e Yoongi, che non ci trattenemmo dal ridere, Jungkook alzò gli occhi al cielo, per poi guardare Namjoon nella speranza di un responso più clemente.

"Hai avuto look migliori", disse pacato, una risposta per niente divertente, ma almeno sincera, guardammo tutti il più piccolo che allungò un braccio verso di me e l'altro verso Yoongi in modo da poterci abbracciare ancora.

Sembrava bisognoso d'affetto e questo potevo capirlo, aveva avuto la possibilità di vedere pochissimo i suoi famigliari, per via delle regole stringenti causate dal covid19, doveva recuperare tutti gli abbracci mancati a cui era tanto affezionato. 

"Speravo vi facessero schifo", esclamò stringendoci ancora più forte, non opposi resistenza, rimasi abbracciato a lui e lo stesso fece Yoongi, come al solito, aveva escogitato qualcosa che potesse infastidisci, solo per il suo personale divertimento, che anche questa volta aveva centrato il segno, ma quello scherzo avrebbe avuto vita breve.

Jungkook era sicuramente un bel ragazzo, affasciante pieno di qualità estetiche, ma quei baffi mi facevano rabbrividire, dovevano essere eliminati. 

"Ti voglio bene Jungkook, ma tu al ristorante con quei cosi non ci vieni, fermiamoci al primo minimarket per strada, dobbiamo comprare un rasoio", esclamai, parlando con l'autista che si limitò ad annuire alla mia richiesta.

Il telefono in tasca vibrò, ne approfittai per mettere fine a quel abbraccio con Jungkook, che venne catturato dalle domande, che Namjoon aveva iniziato a porgli sul suo servizio militare, era tutta mattina che cercavo di contattare mio fratello, per organizzare una cena insieme, ma a quanto sembrava, aveva di meglio da fare che rispondere al proprio fratello minore.

Estrassi il telefono, dalla tasca posteriore dei jeans e con molta fatica, tirai fuori il braccio dal costume, così da poter controllare se fosse lui, ma con mia sorpresa quello che ritrovai sullo schermo, non era un suo messaggio, bensì la notifica da parte dell'app podcast.

Purple Abyss, era tornata e la cosa mi rendeva felice, non importava quale sarebbe stato l'argomento di cui avrebbe trattato, ciò che mi premeva era sentire la sua voce e sapere che stava bene, magari da lì a poco avrebbe anche risposto alla mia email o dato comunque qualche segno di averla anche solo visionata. 

Aprii l'app, mentre le voci dei miei compagni si annullavano completamente, al suo podcast era stata aggiunta una nuova puntata, intitolata "Se queste fossero le mie ultime parole", un titolo per niente rassicurante, che mi invogliava a far partire subito l'audio, ma non potevo ascoltarlo, non avevo le cuffie e tutti intorno a me erano ben lontani dal voler far silenzio per permettermi di ascoltare.

L'arrivo di una notifica da parte di Instagram mi distrasse, Purple Abyss, aveva deciso di aggiornare tutti i suoi social, e come ritorno, aveva deciso di colpirmi al cuore. La foto non rivelava molto, racchiudeva la sua scrivania bianca, il muro, adornato con prodotti dei BTS, la cosa che mi fece sorridere, fu lo specchio posto sulla scrivania, tondo, in metallo, che rifletteva la sua immagine.

Era la prima volta che si faceva vedere, anche se in realtà, tutto ciò che lo specchio rifletteva, era un volto, coperto dal telefono e dalla sua mano e una chioma rosa, illuminata dalla luce che proveniva dalla finestra, non c'era nessun elemento, che mi rivelava chi o come fosse, eppure, intravedere il suo sorriso, la rese ancora più carina nella mia mente.

Il telefono, mi fu sottratto dalle mani, Jungkook, osservò interessato la fotografia, sul mio cellulare, per poi guardarmi divertito.

"Perché sorridi come uno stupido a questa foto?" Chiese iniziando probabilmente a sfogliare i post sul profilo della ragazza, in quel momento mi resi conto, che eravamo fermi, in un punto indefinito della città, al nostro fianco un minimarket, da dove il nostro autista, stava uscendo con in mano un sacchetto nero, probabilmente il rasoio per Jungkook. 

"Lei è la ragazza per cui lo hyung, ha una cotta", commentò Namjoon, allungandosi verso lo schermo del telefono per guardare meglio, Jungkook alzò di nuovo lo sguardo verso di me, così stupito da sentirmi quasi offeso da tanta incredulità, forse ero sempre stato, un ragazzo difficile nello scegliere le ragazze con cui uscire, ma questo non giustificava il suo stato di shock. 

"Hai una cotta per qualcuno", affermò ancor più incredulo. Indossai per bene il mio costume da pinguino, pronto a colpirlo con una pinna se avesse aggiunto qualcosa di ancora più stupido, "sei un po' vecchio per le cotte Jin hyung, alla tua età dovresti pensare ad accasarti", in pochi secondi, l'idea di non colpirlo svanì e la mia pinna iniziò a colpirlo ripetutamente sulla nuca, mi era mancato anche quel suo stupidissimo senso dell'umorismo e il poterlo colpire.

"Pablo Escobar, non sei nella posizione per giudicare", lo rimproverai, gli feci cenno di recuperare il sacchetto con il rasoio, in modo che quella serie di battute sugli uomini baffuti, che stava affiorando nella mia mente sparissero. Jungkook mi restituì il telefono e sollevato estrasse il rasoio di fortuna, per eliminare alla meglio, i quattro peli, che dovevano essere dei baffi. 

Pochi secondi dopo arrivammo al ristorante, accolti dai proprietari e da altri amici di Jungkook, in attesa del nostro arrivo, all'appello mancavano solo i genitori, che ci avrebbero raggiunto in serata, provai a sfilarmi il costume da pinguino, ma Jungkook mi pregò di tenerlo, così decisi di accontentarlo.

Presi posto al suo fianco a fatica, dimenandomi più come una foca, che come un pinguino, cercando di trovare la posizione giusta per sedermi.

"Chi sarebbe la ragazza? Sfogliando non ho trovato foto del volto, è carina? Quanti anni ha? L'hai già incontrata?" Le domande di Jungkook arrivarono a raffica, come al solito non riusciva a stare calmo, quando qualcosa lo incuriosiva.

"Credo abbia intorno ai vent'anni, gestisce un podcast che ascolto, credo sia carina, e no, non l'ho mai incontrata, ho avuto una sola interazione con lei tramite DM di Instagram, non ti azzardare a ridere o prenderti gioco di me", lo minacciai, non ero in vena delle sue battutacce. 

"Sono informazioni abbastanza confuse", specificò il ragazzo, si grattò la testa, in attesa probabilmente che estraessi il cellulare e gli facessi vedere altro, ma non avevo nulla su di lei. Recuperai il telefono e gli feci vedere i vari titoli dei podcast spiegandogli velocemente cosa racchiudessero.

"In realtà non la conosco, mi sono invaghito della sua sofferenza probabilmente, so che è una cosa orribile, ma è capitato, ascoltando i suoi podcast dopo il servizio militare", dissi abbassando lo sguardo verso il tavolo, dove senza che me ne rendessi conto, erano stati adagiati alcuni dei piatti che avevamo ordinato; Jungkook avvolse un braccio intorno alla mia pinna con fare affettuoso, mentre mi osservava, evidentemente desideroso di sapere qualcosa.

"A proposito, gli altri mi hanno detto come è andato il loro congedo, manchi solo tu", disse mettendosi seduto composto e recuperando le bacchette per iniziare a mangiare, tutti intorno a noi sembravano coinvolti in discussioni differenti, troppo impegnati per prestare attenzione a noi; feci un respiro profondo e solo dopo che il ragazzo ebbe iniziato a mangiare, cominciai a parlare.

"Non è andato bene, mi sentivo solo, confuso, senza uno scopo", esordii insicuro su come approcciarmi, il mio congedo non era stato dei migliori. Ero riuscito a farmi travolgere dalle peggiori sensazioni, senza badare a chi mi circondava, "ho pensato che morire fosse più pratico, che affrontare i miei pensieri depressi, ma poi ho iniziato ad ascoltare quel podcast, sono riuscito a chiedere aiuto agli altri, alla mia famiglia ed eccomi qui", spiegai velocemente, Jungkook non esitò ad abbracciarmi, cercando di avvolgermi, con molte difficoltà, visto quanto il costume da pinguino fosse ingombrante; con la pinna iniziai a dargli pacche sulla testa, in modo da poterlo consolare. Le mie parole l'avevano turbato, così provai ad deviare un po' l'argomento, parlandogli di Purple Abyss, della mia vergognosa cotta e della email, che gli avevo scritto settimane prima.

"Come si chiama il suo podcast? Vorrei ascoltarlo", esclamò il ragazzo con la bocca piena, mentre mi porgeva un boccone. Aveva deciso che per quella sera sarei stato il suo pinguino domestico, cosa strana, che in altre circostanze non avrei permesso, ma era appena tornato e in quel momento gli avrei concesso anche la luna. 

"In realtà sono molto curioso, dopo una pausa di tre settimane è finalmente tornata", lo informai abbassando lo sguardo sul cellulare, adagiato sul tavolino.

"Se condividi con me le cuffie, possiamo ascoltarlo insieme, sono proprio curioso di capire chi sia", disse estraendo dalla tasca della divisa le sue cuffie un po' malconce, ne estrasse una e me la inserì nell'orecchio, infilando la seconda nel suo; collegai il tutto al telefono e senza esitazione feci partire l'episodio, mentre cercavo di isolarmi dai rumori che mi circondavano.

"Alcune volte penso che peggio di così non possa andare, che ci sia un limite alla tristezza e al vuoto che possa provare, ma in queste settimane, penso di essere andata così in giù da riesumare vecchie abitudini, che vanno oltre il fondo del barile.

Hai mai provato il desidero di morire? Io si, in realtà è una volontà costante, ma quando questo desiderio diventa più ingombrante, la mia soluzione, all'impulso di fare qualcosa di dannoso è mettermi in un angolo, rannicchiata contro un muro, come se questo potesse trattenermi, magari mentre fisso il vuoto o l'oggetto del desiderio, che mi aiuterebbe ad allontanarmi dalla vita.

Mi chiedo perché la mia presenza dovrebbe essere vitale e non trovo risposte, inizio solo a sentirmi angosciata e tremendamente in colpa verso le persone che mi circondano, così penso a quali dovrebbero essere le mie ultime parole, e di solito, sono semplicemente delle scuse.

Scuse rivolta a tutte le persone che mi hanno conosciuto negli anni, che non sarebbero mai abbastanza per sdebitarmi dell'avermi sopportata, perché mi considero un persona insostenibile fin dalla nasciate e crescendo, probabilmente ci sono stati drastici peggioramenti. 

Probabilmente sono stata una bambina difficile, nulla mi andava bene e molte cose mi ferivano, come se fossi l'unica a soffrire, come se le persone a me care non avessero problemi.

Fin da bambina ho conosciuto l'egoismo e me ne sono circondata, coccolandomi dietro la scusa della giovane età, che ormai, non mi difende più.

Se queste fossero le mie ultime parole, inizierei a scusarmi con tutti gli insegnanti, costretti a dovermi sopportare, riprendere e istruire, costretti per anni a subire il supplizio di un'alunna del mio basso calibro, ripensando alle mie mancanze, capisco perché fossi al centro di molte affermazioni che mi ferivano. Non sono mai stata abbastanza intelligente, non sono mai stata abbastanza sveglia, non sono mai stata consona all'istruzione da me ambita, e sono sempre più convinta di aver meritato i tormenti, le frecciatine e gli insulti.

Insulti dei cinquantenni a una bambina di otto anni, meritavo tutto e lo comprendo solo da adulta, perché solo avendo vissuto un po', comprendo di non avere nulla di speciale, di non essere nella media, e di aver sempre puntato troppo sui sogni. 

Forse se queste fossero le mie ultime parole, mi scuserei anche con i miei coetanei, compagni di classe, amici e conoscenti, tutte quelle persone, che mi hanno circondato nella crescita, intorno all'adolescenza, persone che pensavo amiche, compagnie o semplici volti di passaggio.

Scusatemi.

Vi ho costretti alla mia presenza ingombrante, piena di nulla, vuota, ma gonfia di inutilità, probabilmente soffocante e senza pace, voi siete stati più clementi nei miei confronti, forse troppo e mi sono abituata bene... troppo bene.

Non merito amici, non credo di essere mai stata capace a gestirli, e la più grande offesa nei vostri confronti è aver pensato non averne bisogno, di poterne fare tranquillamente a meno, nonostante la gentilezza e la disponibilità di tutti; e io? Cosa faccio?

Io... preferisco sparire.

Evito di farmi sentire, mi nascondo, cerco di far svanire la mia presenza inutile, sperando in un abbandono e un allontanamento da tutto ciò che è vita.

Scusatemi; ma sono egoista e volevo provare anche io quella sensazione di amicizia ma, mi rendo conto di essere un sassolino nella scarpa, che nessuno vede, anche se presente e da fastidio.

Per questo mi torvo qui a chiedervi scusa, nella speranza che la mia assenza vi porti il meglio che la vita possa offrire, persone migliori di me, anche se, sono sempre stata un metro di giudizio scarso.

Se queste fossero le mie ultime parole, non preoccupatevi di dimenticarmi, sono felice che tutti si scordino di me, non voglio che si occupi memori preziosa, gettatemi nel cestino, come oggetti di poco conto, così che la mente possa riempirsi di ricordi più luminosi.

Nelle mie utile parole, dovrei dedicare delle righe anche ai parenti, penso di aver voluto bene ad ognuno dei componenti della famiglia, attaccandomi ad alcuni più che ad altri, ma penso che lo stesso sia capitato a voi, ma spero che quella persona a cui vi siete attaccati di più non sia io.

Sono sempre stata scostante nell'amare, strana nei modi e probabilmente non all'altezza del proprio cognome, mi dispiace vivere nelle delusioni della famiglia, non aver raggiunto obbiettivi riconosciuti come tali, di possedere un pensiero diverso che non vi soddisfi.

Volevo essere una parente felice di rivedere, lasciare un buon ricordo, essere qualcuno per voi, ma sono io, e non sono importante, non credo di potermi nemmeno definire persona, cosa ho dato in più alla famiglia?

Nulla, in quanto donna e non uomo, mi vedo solo come un volto non all'altezza, mai stata all'altezza, mi sento fumo fastidioso e corrosivo da dover far svanire.

Se fossero le mie ultime parole però, le persone per cui mi concentrerei di più sono i miei genitori e le mie sorelle, le uniche vere scuse di cui mi importerebbe realmente, quelle che vorrei fossero recepite.

Non saprei nemmeno da che punto iniziare a elencare le mie carenze ben note, che avete vissuto, che tutt'ora state vivendo.

Figlia maggiore deludente, scarsa, non meritevole, ma comunque amata, nonostante tutto, sempre amata, in ogni occasione.

Sorella maggiore abbastanza assente, per nulla un esempio, causa delle vostre carenze.

Scusatemi tanto, però vi assicuro che non volevo essere così, volevo essere migliore, speravo di poterlo essere, di ripagarvi per essere la mia famiglia, la migliore che si possa desiderare, ma non ci sono riuscita, forse non ci ho provato abbastanza in realtà, perché nonostante voi mi abbiate dato tutto, io non vi ho restituito nulla, nemmeno le più misere dimostrazioni d'affetto.

Mi dispiace, anche perché alla mia età, sembro ancora una bambina, io che dovrei dare un esempio, vengo ancora sostenuta, incoraggiata, spinta e sorretta da ognuno di voi, ed io non ho mai dato nulla in cambio. Sono miserabile, non vi merito, vorrei mi lasciaste alla deriva, ma siete migliori di me e so che mi trascinereste sempre verso la salvezza, che non merito.

Non voglio più essere il peso che vi rallenta, vorrei avere la forza di lasciarvi liberi, essere meno egoista e pensare alla vostra felicità.

Mi dispiace essere così orrenda e inadeguata, ma anche se non sembra, vi voglio veramente tanto bene.

Se fossero le mie ultime parole, probabilmente non basterebbero per scusarmi realmente con chiunque mi abbia conosciuto, queste frasi non sarebbero mai abbastanza, ma continuavano ad alleggiare nella mia mente come un mantra, mentre rimanevo seduta, in attesa che qualcosa in me succedesse.

La verità è che oltre il molto dolore, nulla è capitato, finché qualcuno, senza che glielo chiedessi, mi ha scritto delle parole dolci, parole che non attendevo, ma che in qualche modo speravo arrivassero, parole di conforto che mi hanno fatto piangere, scritte con l'animo di chi, sembra essere realmente preoccupato. 

Così ho iniziato a pensare meno alle mie ultime parole, cercando di capire, quali sarebbero le prime che direi a chi mi ha scritto quelle frasi, quale sarebbe il modo giusto per ringraziarlo di tale gentilezza, una premura che mi ha salvata dalla mia mente, occupandone ogni angolo.

Mi sono sentita coccolata da quelle frasi, forse un po' tratte da una canzone, ma che mi hanno rasserenata, allontanandomi dalle mie utile parole, portandomi verso i miei utili giorni di tristezza abissale.

Ormai del tutto fuori dal mio barile di dispersione, mi sono sentita sollevata, alleggerita dai pensieri distruttivi, liberata da ogni desiderio di fuga. E mi dispiace non aver risposto a quelle parole, spero di riuscire ad esternare la mia gratitudine nel modo più adeguato in seguito, così da poter per una volta, ringraziare con sincerità e non arrivare al dover aggiungere qualcuno alla mia lettera di scuse.

Spero che da questo messaggio, la mia vita possa un po' ricominciare, anche perché sembra che il mondo stia per ripartire, forse per una volta, riuscirò a compiere i primi passi insieme a lui, senza rimanere indietro."

Jungkook mi guardò quasi stupito, probabilmente dal pensiero e ciò che racchiudeva, mentre io lo ero, per la rivelazione finale. 

Purple Abyss aveva letto le mie parole! 

Tolsi velocemente il costume, estraendo le mani dalle pinne, così da poter controllare le email ricevute, e tra messaggi di spam, aggiornamenti dei social e suggerimenti d'amicizia, c'era la sua risposta, inviata pochi minuti dopo la pubblicazione del podcast, che non aveva oggetto e al suo interno cerano solo poche parole.

"Grazie, ti prometto che farò meglio nella prossima risposta".

Arriva dopo grandi ritardi tra viaggi, università e una lettura impegnativa, ho avuto molto da fare e Wattpad è passato in secondo piano, spero che questo capitolo vi piaccia                    

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Capitolo 8
*** Waffle per Jungwoo ***


Capitolo otto.
Waffle per Jungwoo

Mi rigirai nel letto, ritrovandomi ad osservare il mare dalla finestra, era il nostro ultimo giorno a Busan e presto saremo tornati a Seoul, dove ci aspettavano giorni di riprese e incisioni, per la pubblicazione del nuovo album, abbandonato accan...

Mi rigirai nel letto, ritrovandomi ad osservare il mare dalla finestra, era il nostro ultimo giorno a Busan e presto saremo tornati a Seoul, dove ci aspettavano giorni di riprese e incisioni, per la pubblicazione del nuovo album, abbandonato accanto alla finestra, il costume da pinguino, a cui mancava la testa, lasciata a Jungkook la sera prima.

Il telefono vibrò, attirando tutta la mia attenzione, un messaggio da parte di Yoongi, ci avvertiva sul gruppo, che sarebbe tornato a Seoul da solo, senza specificare se prima o dopo di noi, probabilmente c'entrava il suo nuovo mixtape, ma io speravo si trattasse della ragazza del minimarket, avevo bisogno di aggiornamenti da parte della mia serie tv personale preferita.

Le risposte da parte di tutti furono delle emoji, probabilmente perché troppo stanchi per elaborare una frase, dopo che la sera prima eravamo rientrati in tarda nottata. 

Mi trascinai fuori dal letto, stiracchiandomi, mentre continuavo ad osservare la vista meravigliosa che si stendeva davanti ai miei occhi, non era una bella giornata, il cielo era grigio, il mare agitato, però quella vista, mi faceva sentire sereno, in pace, riposato, anche se avevo dormito quattro ore.

Forse era colpa di Purple Abyss, del suo aggiornamento, della breve risposta alla mia email, mi aveva dato la speranza di una possibilità, in qualche modo, potevamo comunicare, rimanere a stretto contatto e il tutto senza bisogno di rivelare chi fossi, almeno non per il momento.

Controllai Instagram, ritrovandomi qualche aggiornamento da parte sua tramite le storie della piattaforma, consigliava una nuova lettura, di una scrittrice mai sentita nominare, accanto al libro adagiato su un ripiano, notai all'angolo dell'inquadratura un foglio, con degli appunti, scritti in inglese o almeno così intuii, vedendone solo qualche parola. 

Che fosse, del Regno Unito? 

Le incognite erano sempre più presenti, fino a poche settimane prima, mi ripetevo che non mi importasse chi fosse, il suo volto, la sua provenienza, qualsiasi risposta non sarebbe stata utile, perché di lei mi importava il pensiero, lo stato d'animo e la possibilità di capirsi. Eppure, la mia curiosità si stava risvegliando.

La sua pelle bianca e i capelli rosa, non mi avevano aiutata a collocarla geograficamente, l'indizio più rilevante, erano i biglietti che aveva mostrato nel tempo dei concerti Kpop a cui aveva partecipato: Parigi, Barcellona, Madrid, Londra, Berlino e altri ancora, sicuramente la collocavano nel mondo, ma rimanevano troppi paesi nella lista da scartare. 

Un suo post comparve alla chiusura della storia, un calendario da tavolo, con il mio faccione a fianco, segava i giorni trascorsi, con tanto di cerchiolino, su una giornata in pariticolare, era un lunedì qualsiasi invernale, che sarebbe arrivato tra pochi giorni, ma per lei era lecito segnarlo come giornata importante.

Lessi attentamente la descrizione, che spiegava, come per lei quella giornata rappresentasse la fine del lookdown della propria regione, almeno per il momento e che si sentiva felice di questa nuova opportunità data al paese, specificando che probabilmente, in base ai suoi impegni, lei non avrebbe lasciato il suo appartamento prima di venerdì. Mi sentivo sollevato, nel sapere che qualcosa nel suo paese si stesse smuovendo e che forse quell'informazione, potesse aiutarmi con delle ricerche.

Ritornai seduto sul letto e con velocità aprì naver, per poter ricercare, quali paesi nel mondo avessero le chiusure ancora attive e quali si trovavano pronti alle riaperture; mi sentivo uno stupido, probabilmente a chiederglielo non si sarebbe fatta nessun problema a rispondermi, a dirmi da quale paese provenisse, ma sembrava più giusto capirlo da solo, era un ragionamento sicuramente strano e contorto, ma mi stavo abituando a questa ritrovata ambiguità della mia mente.

Scorrendo tra i vari articoli poco inerenti alle mie ricerche, trovai una specie di lista, che parlava dei paesi europei e delle loro riprese; sembrava un articolo che riguardava l'economia, si concentrava prevalentemente sulle borse, i valori di mercato, ma verso la fine del lungo esposto, c'era una lista, di paesi, messi in ordine, in base a quanto le aperture imminenti avessero dato degli svolti positivi all'economia. 

Non fu di grande aiuto, sembrava che molti paesi europei stessero per riaprire i battenti, ma almeno, in base alle date, potei eliminare ben tre paesi dalla mia lista: Germania, Regno Unito e Francia. Tutti e tre i paesi erano le mie ipotesi più gettonate, tutte scartate nel giro di pochi secondi, tornai sul social, sfogliai ogni sua foto, ancora stanco e annoiato, solo per poter guardare le sue foto, leggere le descrizioni, magari trovare qualche nuovo indizio o anche solo prendere il coraggio di chiederle da dove venisse.

Sembrava quasi avessi paura di chiedere la sua provenienza, come se la risposta potesse deludermi in qualche modo, nonostante non avessi chissà quali pregiudizi su nessun paese europeo. Lasciai andare il telefono sul materasso, portai una mano sul viso e sbuffai, pensavo troppo a qualcosa di inutile, lei era in Europa, io in Corea del Sud, dovevo solo smaltire la mia cotta e tutta quella confusione sarebbe finita.

Il telefono vibrò tra le lenzuola, sperai fosse lei, un aggiornamento repentino del suo stato, sia sul podcast che su Instagram, ma quando riuscì a recuperare il telefono, era solo Jungkook, mi annunciava che Jungwoo voleva vedermi e per quanto avessi poca voglia di lasciare la mia stanze, feci uno sforzo per lui.

Recuperai i primi vestiti che si trovavano nella valigia, non mi preoccupai neanche di pettinarmi, visto che avrei indossato il cappello, presi dal comodino una nuova mascherina e la indossai, per poi lasciare la mia stanza e dirigermi verso il piano terra, per raggiungere Jungkook.

Ero felice di poter rivedere Jungwoo dopo due anni, non mi era capitato nemmeno di vedere una sua foto, per capire quanto fosse cresciuto, l'avevo lasciato al compimento del suo primo anno di vita, ed ero tornato che ormai ne aveva già compiuti tre, mi sentivo un po' come se fossi scomparso, ma penso fosse una sensazione provata da tutti i ragazzi che abbiano fatto il servizio militare. 

Misi piede fuori dall'hotel e presi un taxi, che mi avrebbe portato a casa della famiglia di Jungkook, probabilmente aveva scritto ad altri membri del gruppo, non ricevendo risposte da nessuno di loro, faticavo anche io a tenere gli occhi aperti, l'autista particolarmente attento, aveva una guida impeccabile, la musica rilassante di sottofondo e il rumore assente dell'auto elettrica, mi fecero quasi addormentare, ma per fortuna il viaggio non fu abbastanza lungo, prima che i miei occhi potessero definitivamente chiudersi, riconobbi l'incrocio che segava il mio arrivo.

Pagai l'autista e mi feci lasciare poco prima della destinazione, così da potermi concedere una piccola passeggiata. Camminai per la strada silenziosa e deserta, forse era un po' presto per tutta la città, oppure erano già tutti usciti per raggiungere il lavoro o la scuola, con la pandemia in corso, tutto sembrava diverso, adesso che ci pensavo, probabilmente molti di loro erano costretti a lavorare da casa, questo giustificava meglio, la strada deserta.

"Hyung", sentii urlare poco lontano da una piccola vocina stridula, alzai lo sguardo dall'asfalto, fino a incrociare la figura del piccolo bambino, che mi stava correndo incontro in modo entusiasta, mi abbassai a suo livello e aprii le braccia in attesa che ci si catapultasse, anche lui aprì le braccia, pronto a stringermi, ma pochi passi prima di raggiungermi inciampò, cadendo in avanti.

Preoccupato mi sporsi verso di lui, per controllare stesse bene, ma il bambino si mise subito in piedi e concluse la sua corsa, abbracciandomi il più forte che poteva.

"Hyung mi sei mancato", urlo al mio orecchio, lo presi saldamente in braccio e mi alzai da terra, per poi notare Jungkook fermo davanti a casa sua, mentre scuoteva la testa, probabilmente per via delle caduta del figlio. Era difficile, capire come potessi mancare a un bambino così piccolo, che mi aveva visto solo qualche volta di presenza, ma non mi importava molto, finché lui era felice.

"Anche tu mi sei mancato, però fammi controllare che non ti sia fatto male", a fatica riuscì ad allontanarlo, constatando che si fosse solo graffiato le mani e probabilmente il ginocchio, visti i pantaloni leggermente sporchi.

"Sono forte, non mi sono fatto niente", mi rassicurò battendo una mano sul ginocchio per errore, mi guardò con un sorriso molto tirato, segno che si fosse fatto male.

"Ne sono sicura, però dobbiamo disinfettare le ferite", annunciai avvicinandomi a Jungkook, che mi fece cenno di precederlo dentro casa, l'appartamento sembrava deserto, nessuno dei suoi genitori mi venne ad accogliere, ed anche il fratello di solito seduto sul divano risultava assente.

"Solo oggi?" Domandai al ragazzo che mi tolse il bambino dalle braccia, così da poterlo appoggiare al tavolo della cucina e recuperare la cassettina del primo soccorso.

"Avevano tutti degli impegni, torneranno verso il pomeriggio, così posso passare tutto il giorno con il mio piccolo Jungwoo", disse rivolgendosi al bambino, con la classica voce stridula e distorta che si usava con i bambini, Jungwoo sorrise, probabilmente gli era mancato il padre, anche se troppo piccolo per accorgersi realmente della prolungata assenza, spezzata da qualche piccola visita durante l'anno. 

"Oggi papà, ha bruciato la colazione", esultò il bambino, sembrava divertito da quella tragedia, spostai lo sguardo verso la cucina, le pentole sporche erano abbandonate nel lavello, mentre della poltiglia nera era depositata su un piatto, non avevo idea di che cosa fosse, ma ero contento di averlo raggiunto.

"Preparo qualcosa io, avete delle richieste?" Sfilai il cappotto, lo adagiai su una delle sedie, alzai le maniche ed iniziai a ripulire il disastro di Jungkook, mentre il ragazzo si occupava di disinfettare e coprire le piccole ferite del figlio.

"Waffle e taaaanto cioccolato", richiese il più piccolo, guardai il makane, che annuì, segno che potessi procedere, adagiai il telefono sul ripiano, mentre andavo alla ricerca dei vari ingredienti per poter sfamare i due. Jungkook chiese al bambino di fare più attenzione, spiegandogli come non cadere, Jungwoo nel frattempo annuiva, osservando ogni movimento del padre intento a ripulire i graffi. 

Mi era ancora strano vedere Jungkook come padre, non aveva mai mancato di responsabilità, ma vederlo tenere in braccio un bambino, suo figlio, era quasi surreale.  Probabilmente, mi era stato difficile metabolizzarlo, perché era capitato tutto molto in fretta, a ridosso della partenza per il servizio militare. Jungwoo era arrivato all'improvviso, in tutti i sensi, consegnato quasi come un pacchetto alla porta della famiglia Jeon, uno di quei pacchi con ricevuta di ritorno, dopo una firma, la persona che l'aveva lasciato era sparita, lasciando poche e misere spiegazioni, su un foglio spiegazzato che aveva scioccato Jungkook. 

All'inizio pensavamo fosse uno scherzo, ma dopo che Jungkook ebbe confermato, che quello fosse suo figlio e un test di paternità, condotto nel più segreto dei modi, non c'erano altri dubbi, quello era suo figlio, in effetti guardandolo in quel momento, sembrava la copia carbone del makane, l'unica cosa su cui differiva, erano gli occhi, dalla forma più felina e le orecchie a sventola.

"Hyung ci sei?"chiese Jungkook, sventolandomi una mano davanti al volto, lo guardai confuso, la distrazione, mi aveva fatto completamente cancellare i suoni differenti dai miei pensieri, mentre le mie mani stavano lavorando automaticamente per preparare i waffle richiesti dal bambino.

"Ci sono, ieri sera sono andato a dormire troppo tardi", precisai concentrandomi sulla piastra calda posta sul ripiano, iniziai a versare l'impasto, premurandomi di non rovesciare nulla, nonostante la mia attenzione, Jungkook decise di darmi una pacca sulla spalla, facendomi rovesciare un po' troppo impasto sulla piastra.

"Ormai sei vecchio per far baldoria", scherzò mettendo a terra il bambino, che corse verso il salone, dove c'era la televisione accesa, si appoggiò al bancone accanto a me, incrociò le braccia e si concentrò sul mio lavoro, non provando nemmeno ad offrisi per aiutare.

"Sei stato il primo a lamentarti del sonno", gli ricordai pizzicandogli il braccio, lui mise il broncio e fece un passo per allontanarsi da me, facendo cadere il giocattolo del figlio. Lo guardai mentre raccoglieva distrattamente l'astronave leggermente usurata e mi venne spontaneo chiedermi, per quanto quel bambino potesse rimanere lontano dal proprio padre.

"Hyung, oggi sei più distratto di me", la sua voce mi arrivò troppo tardi, Jungkook si era mosso per rimuovere dalla piastra il waffle, che rischiava di bruciarsi.

"Come farai con Jungwoo?" Domandai diretto, mentre il ragazzo metteva nel piatto i waffle, "lo porterai a Seoul? Come ti occuperai di lui? È piccolo ha bisogno di molte attenzioni", avrei potuto continuare per ore a fare domande, ma le sue mani batterono sul piano in modo brusco e la sua voce quasi mi intimidì, non mi sembrava nemmeno lui.

"Smettila!" Disse con tono deciso, mentre fissava il ripiano davanti a se, avevo esagerato, mi ero fatto prendere di nuovo da un panico che non mi apparteneva, stavo riversando la mia frustrazione su un argomento a me non pertinente. "Sono due anni che mi tormento, che mi chiedo come sarebbe giusto comportarsi, nessuno ha risposte da elargirmi e io non so come procedere", mormorò senza guardarmi in volto, "almeno voi non riempitemi di domande", richiese alzando la testa in modo da poter guardare la finestra davanti a se, mi sporsi verso di lui e lo abbracciai, non volevo che il suo primo giorno di libertà risultasse così pesante per colpa mia, dovevo imparare a dosare le mie ansie; essere il più grande comportava anche questo.

"Ha un visetto carino, potrebbe essere l'ottavo membro del gruppo", scherzai, il sorriso tornò sul suo volto e i suoi occhi si spostarono su di me, rivelandosi meno turbati di prima, il più piccolo ricambiò l'abbraccio, facendomi notare che stavo rischiando di bruciare anche il secondo waffle messo a cuocere.

"I miei desideri sono quelli di portarlo con me a Seoul, sono suo padre dovrei crescerlo io, ma sono anche consapevole che, il mio tempo è limitato, e lui dovrà andare a scuola tra qualche anno, esistono le baby sitter full time, ma è un po' come lasciarlo qui a Busan", confessò mentre spalmava la nutella sui waffle, la sua espressione, lasciava trasparire ogni preoccupazione, il timore di sbagliare e rendere la vita difficile al bambino, al suo posto, avrei sicuramente gli stessi dubbi, con tanto di panico e crisi isteriche camuffate da risata convulsiva. 

"Se posso darti il mio parere spassionato, lasciarlo qui a Busan, significherebbe vederlo forse una settimana in un anno, averlo a Seoul, sicuramente aumenterebbe il vostro tempo insieme, potresti portarlo in studio, alle prove, passare più tempo possibile insieme finché non andrà a scuola", a parole sembrava tutto molto semplice, ma sapevo anche io che non era così, avevamo orari imprevedibili, tempi lunghi e soprattutto, paparazzi sempre alle calcagna, poteva diventare un problema.

"Devo parlarne con la mia famiglia e con Bang, portarlo a Seoul comporterebbe sicuramente l'essere scoperti dai media, tu cosa faresti se domani scoprissi di avere un figlio?"il ragazzo mi guardò con sguardo preoccupato, cercava conforto, rassicurazioni che non avevo, potevo solo dargli una speranza, e qualche squallida battuta, in modo che la decisione non risultasse così cruciale.

"La risposta rassicurante è che proverei a tutelarlo, dividendomi tra lui e il lavoro, forse lo rivelerei anche al pubblico, così da non dovermi giustificare ogni volta che capiterà di andare in giro con lui", specificai dandogli una pacca sulla spalla, "la risposta sincera è che mi chiuderei nel primo bagno nella mia traiettoria ad urlare". Recuperai il piatto con l'ultimo waffle preparato, così da poterlo portare al bambino sdraiato sul divano, che guardava i cartoni animati in televisione, abbracciato alla testa del mio pinguino. 

"L'hai fatto anche quando hai compreso di avere una cotta per la sconosciuta dei podcast", Jungkook mi guardò, con una espressione ammiccante, mentre il bambino, prendeva posto sulle sue gambe, per poter mangiare indisturbato il suo waffle, cosparso di cioccolato.

"Hai deciso di voler cambiare argomento?" Chiesi in tono retorico, sarei rimasto ore a parlare della possibilità di avere un figlio da gestire, pur di non dover affrontare ancora una volta questo argomento, alla fine non avevo nulla di nuovo da comunicare, erano sempre le stesse cose e da ieri sera nulla era cambiato, se non la consapevolezza di voler sapere di più. 

"Esattamente", confermò il ragazzo, pulendo gli angoli della bocca a piccolo Jungwoo, "a parte gli scherzi, sono curioso, la ascolti da quando hai lasciato il militare, più o meno tre mesi, eppure hai fatto la tua prima mossa due settimane fa, di questo passo la conoscerai a cinquant'anni", specificò il ragazzo, nonostante gli avessi detto la sera precedente, di non aver desiderio di incontrare la ragazza, anzi la verità era che non volevo costruire un legame ancora più forte, non conoscendo il suo volto, la sua nazionalità, il suo nome, sentivo comunque un legame, che mi avrebbe reso sicuramente più difficile accettare il fatto che fossimo di due continenti differenti.

"Diciamo che fino adesso non ho avuto vere intenzioni di incontrarla, volevo farla sentire meglio, sentirla parlare di cose positive, non so bene come sono arrivato a farmela piacere", specificai ricevendo un'occhiata divertita da parte del più piccolo, che aveva deciso di imboccare il bambino, era così concentrato sui cartoni da aver mancato più volte il piatto, punzecchiando la mano del padre, invece che il waffle.

"Credo ti piacesse già dal momento in cui ai deciso di volerla far sentire bene, non funziona così?" Chiese in forma retorica, lo sapevo anche io, che ogni parola di distacco era solo un modo per minimizzare l'enorme cotta presa, "dovresti scriverle, ogni volta che vorresti sentirla, ma lei non pubblica, mandale una email, accennale i tuoi sentimenti", provò ad aiutarmi Jungkook, senza che avessi chiesto nessun parere, probabilmente, anche lui stava cercando di accantonare i suoi problemi, concentrandosi su qualcosa di più frivolo e la mia situazione da drama noioso e scadente, era la giusta dose di normalità. 

"Di recente la mia curiosità verso di lei si è fatta più morbosa", confessai per dargli altro di cui parlare, in qualche modo, Purple Abyss stava aiutando Jungkook e me a tenere tutti i cattivi pensieri e le vere decisioni difficili lontane, come se non esistessero problemi peggiori di un uomo invaghito di una donna senza volto. 

"Allora soddisfa questa volontà, se non le fai domande, sicuramente non potrà risponderti, sono sicuro che anche lei abbia una specie di cotta per te dopo quella email", quelle parole erano state dette per spronarmi, darmi un motivo in più per avvicinarmi alla ragazza, ma in realtà mi aveva solo ricordato, quanto tutta quella situazione fosse solo nella mia testa e che ognuno di noi, stava vivendo la propria vita su due binari differenti. 

"Dubito, anche se sicuramente tenderà a non ignorarmi, la mia vera paura è che possa piacermi sul serio, ma viva dall'altra parte del mondo", sembravano le lamentele di un adolescente, l'ultima cosa che dovevo fare, era lamentarmi di una cotta a distanza, mentre il mondo sembrava pronto ad una apocalisse zombie.

"Quanto sei melodrammatico, se sei così sicuro che ti piaccia, e non vuoi sapere di più su di lei, stai di fatto respingendo quella che potrebbe essere l'amore della tua vita", disse mentre cercava di tenere a bada il piccolo Jungwoo, un po' troppo annoiato per stare fermo, aveva deciso che il padre era un ottimo allenamento per le sue arrampicate e stava provando in tutti i modi a raggiungere la vetta, cioè la sua testa. 

"Un po' troppo precipitoso Jungkook", gli feci notare, staccando il bambino dalla sua faccia e portandolo sulle mie gambe, il ragazzo alzò gli occhi al cielo, disturbato dalla mia affermazione, l'unica forse della giornata veritiera. 

"No, lo sei tu, dai per scontato che possa piacerti, non vagli la possibilità possa diventare una buona amica che vedi sporadicamente. Quindi è ovvio che io parli d'amore, oppure sei tu che ti fai troppi problemi", specificò mettendo un po' troppa enfasi nelle sue parole.

La notifica del mio telefono mi fece velocemente distaccare dal discorso e sorridere, quel suono, significava che Purple Abyss aveva pubblicato qualcosa di nuovo, "anche se è particolare che ti illumini per una sua notifica", aggiunse in battuta finale Jungkook, mentre mi dirigevo verso la cucina, con il bambino in braccio.

Recuperai il cellulare dalla mensola e sullo schermo una semplice notifica da parte di instagram, mi fece capire che, Jungkook aveva ragione, stavo minimizzando e allo stesso tempo ingigantendo il mio problema, l'amore non faceva per me, troppo complicato e pieno di intoppi. 

Cliccai sulla notifica e sullo schermo apparve in pochi secondi una foto che ritraeva il suo letto, sommerso da BT21 o meglio, da una moltitudine di RJ e Shooky posti in modo disordinato sul letto, mentre sotto di essi, notai una figura o meglio, un ragazzo, che fingeva di essere attaccato dai vari pupazzi. Quella foto non mi rese per niente felice, a differenza degli altri aggiornamenti ed era evidente il perché non fossi entusiasta, mi sentivo uno sciocco, mentre nella mia mente aleggiava l'unica domanda che non doveva essere posta:

"Chi cavolo è quel tipo?" Domandai a me stesso, e solo vedendo il bambino confuso tra le mia braccia e Jungkook sporgersi verso il telefono, mi resi conto di aver parlato ad alta voce involontariamente, chissà se nel mondo esisteva qualcuno di più stupido di me.

"Best friend, almeno è quello che dice la descrizione", rispose alla mia domanda retorica Jungkook, abbassai gli occhi verso la descrizione, piena di allegria e di emoji immotivate, Purple Abyss, annunciava di aver rivisto dopo mesi il suo migliore amico, che aveva portato con se, la sua collezione di Shooky. Quelle parole non mi confortavano, anzi alimentavano l'insensata gelosia nei confronti di un ragazzo, che probabilmente era in lizza per diventare il futuro fidanzato di Purple Abyss.

Ero esagerato? Si!

Mi importava? Assolutamente no!

Jungkook, con cui condividevo un'innata curiosità, portò il suo indice sullo schermo così da rivelare un tag, che conduceva al profilo del ragazzo, pubblico e pieno di foto, sia io che Jungkook ci scambiammo uno sguardo di intesa, avremmo setacciato tutte le mille foto, alla ricerca di Purple Abyss, del suo tag o di qualcuno che potesse assomigliare a quell'unica foto pubblicata dalla ragazza, anche se con il volto coperto. 

Presi posto su una delle sedie, mentre il bambino scivolava via dalle mie braccia, troppo annoiato dai nostri discorsi per voler provare a intromettersi, semplicemente corse di nuovo sul divano, pronto a farsi una seconda scorpacciata dei suoi cartoni animati preferiti. 

"Sei salvo hyung, sono veramente migliori amici", disse Jungkook, prima che potessi aprire l'ultima foto pubblicata; il ragazzo allungò l'indice verso lo schermo e mise in primo piano una foto, racchiudeva l'immagine del suo amico e di un'altro ragazzo che si baciavano, nella descrizione c'era anche la data del loro anniversario, avvenuto qualche giorno prima.

Sospirai sollevato, attirando l'attenzione di Jungkook, che scosse la testa divertito, sopra l'immagine era anche attiva la localizzazione, che poteva essere errata, ma controllando le varie foto, risultava simile per molti post.

"Sono sicuro all'ottanta percento che Purple Abyss sia italiana", mi confidai, mentre la localizzazione 'Milano', primeggiava sulla quasi totalità delle foto vagliate del suo migliore amico, nei suoi post successivi, diverse ragazze erano presenti, fin troppe, tutte diverse, a gruppo, simili, di etnie differenti, quel ragazzo aveva troppi amici.

Jungkook tirò fuori il suo telefono, ricercando il profilo della ragazza, così da poter confrontare, alcuni dei tratti evidenti dalla foto, i capelli rosa, non potevano essere un tratto distintivo, visto che la buona parte delle ragazze aveva i capelli tinti, sicuramente gli indumenti non erano di grande aiuto.

"Oh, è lei", esclamò Jungkook, indicando una ragazza che nella foto da me aperta, abbracciava il proprietario dell'account, nella foto aveva i capelli corti, di un azzurro celeste che le faceva risaltare gli occhi chiari, ma non riuscivo a capire cosa potesse distinguerla dalle altre. "Hanno gli stessi anelli e se osservi attentamente in mano ha il telefono con la stessa cover", indicò il ragazzo mettendo le due immagini a confronto, cose evidenti, ma che non avrei mai guardato per riconoscerla, per fortuna Jungkook era un curioso molto più morboso di me.

"Non ci credo!" Esclamai con il sorriso sulle labbra, come se avere un volto, fosse la risoluzione dei miei problemi, anzi, forse li aumentava, visto che era ancora più carina di quanto avessi mai immaginato.

"Posso dire che è molto divertente constatare che, sei l'unico uomo che riesce a trovarsi una donna asiatica, che vive in Europa come cotta", guardai il viso della ragazza, mentre Jungkook si prendeva gioco di me, notando solo dopo interminabili secondi a fissarla, che avesse ragione, la ragazza aveva tratti tipicamente asiatici, il colmo sarebbe stato scoprire che fosse coreana, avrei confermato che il destino si stesse prendendo gioco di me.

Il mio dito cliccò sulla foto, rivelando una serie di tag, su ogni persona, tra cui anche lei, un tag diverso da Purple Abyss, guardai quel nickname per qualche secondo, facendo persino bloccare lo schermo del telefono che si oscurò, il mio volto era riflesso su di esso, un sorriso ebete aleggiava trionfante, neanche avessi risolto l'enigma dell'esistenza umana. 

Ero cotto di quella ragazza e ormai non potevo più ignorare questa cosa, volevo parlarle, conoscerla realmente e magari un giorno confessarle la mia identità, per il momento mi sarei limitato ad esplorare il suo profilo reale, con tutte le sue esperienze, le sue immagini, molto probabilmente non filtrate da un esigenza estetica o da un tema.

"Si chiama Danbi Rizzo, cognome poco asiatico", commentò Jungkook, che si era già attivato per spiare il profilo della ragazza, troppo impaziente per attendere che il mio stupore scemasse, "non ci credo", esclamò divertito, faticava a non ridere, mentre osservava lo schermo del telefono.

"Cosa?" Mi portai al suo fianco per poter capire, cosa lo stesse divertendo tanto, ma non vidi nulla di così esilarante, era solamente la home, del suo profilo, piene di svariate foto con amici o da sola, in giro per vari paesi.

"Dio! Jin hyung, sei proprio uno sfigato", commentò sempre più divertito indicandomi la bio sottostante la foto profilo, gli tolsi il telefono di mano per capire cosa ci fosse di così strano.

In bella vista nella prima riga c'era il suo nome: Danbi Rizzo, subito dopo il suo essere una Army, cosa che già conoscevo e sottostante il suo anno di nascita, che segnava ben quattro anni di differenza tra noi, mi sembravano informazioni normalissime; poi però spostando lo sguardo dalla data di nascita notai una cosa, un dettaglio, che poteva significare tutto o niente; accanto alla bandiera italiana, ve ne era un'altra, quella della Corea del Sud, segno che potesse essere di origini coreane. 

Jungkook non aveva tutti i torti, ero l'unico sfigato, che si era preso una cotta, per una delle poche coreane in Italia. 

                     

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Capitolo 9
*** Una Mail ***


Capitolo Nove.
Una mail.

Salutammo con entusiasmo la telecamera davanti a noi, dopo che l'ennesima intervista della giornata si era conclusa, ero esausto, lo eravamo tutti stando in quella stanza, dopo quattro ore seduti a rispondere alle stesse domande, fatte semplicemen...

Salutammo con entusiasmo la telecamera davanti a noi, dopo che l'ennesima intervista della giornata si era conclusa, ero esausto, lo eravamo tutti stando in quella stanza, dopo quattro ore seduti a rispondere alle stesse domande, fatte semplicemente da persone differenti.

Iniziava a pesare, tutta questa aspettativa sul nostro ritorno, dopo due anni d'assenza tutti si aspettavano l'eccellenza da parte nostra e noi ci stavamo impegnato, per fare in modo che questa eccellenza fosse ben evidente, ma ciò non ci dava la certezza che anche gli altri avrebbero apprezzato la nostra visione di ritorno sulle scene.

Nella mia mente si facevano strada solo pensieri catastrofici in merito a un disprezzo del nostro ritorno sulle scene, un mancato rinnovamento, l'essere rimasti indietro, non ero sicuro di poter mantenere il passo, di poter raggiungere gli altri, mi sentivo distante da tutti loro, come se vivessi in un mondo a parte.

Guardai Jimin e Taehyung, appena rientrati dal loro servizio militare, freschi e già affiatati a loro agio davanti alle telecamere, mentre sorridevano disinvolti, reintegrati senza nessuno sforzo, mentre io a distanza di mesi, ancora faticavo a realizzare il mio ruolo, sembravo essere un elemento d'arredo, mi percepivo in quel modo, anche se gli altri non dicevano nulla in merito e mi trattavano come sempre. Mi alzai di scatto dalla sedia, quando il faretto puntato su di noi si spense, lasciai la la stanza, diretto verso il bagno.

Sciolsi il nodo alla cravatta sentendomi soffocare, quei pensieri erano tornati ancora una volta, il sentimento di inutilità, nel gruppo, come artista e persona.

Mi sembrava di mentire a me stesso, illudendomi di poter veramente essere un elemento indispensabile per il mio gruppo; mi rendevo conto però che non era così e che non facevo altro che rallentarli, impedirgli di procedere a passo spedito, essendo mediocre in molte delle cose che ormai,  dovrebbero arrivare in modo immediato al mio cervello. 

Dal ritorno alla vita normale, mi sembrava di aver perso ogni capacità e di essere semplicemente tornato allo stato di partenza, come se la mente fosse stata azzerata, mentre tutti gli altri erano riusciti a mantenere le loro capacità.

Appoggiai le mani al lavabo e tenni lo sguardo fisso sulla mia immagine distorta, riflessa sul rubinetto, mi sentivo schiacciare, soffocare, sommerso, accecato da tali consapevolezze, come se qualcosa le avesse tenute a bada fino adesso. Forse l'assenza dei due ragazzi mi aveva tenuto tranquillo, senza loro, il nostro ritorno era ancora incerto, mentre adesso, tutti gli elementi erano ben presenti. Dovevo accettare, di non essere più in grado di essere un idol.

Aprii il rubinetto dell'acqua e lavai il viso, come se quel gesto, potesse aiutarmi a annullare tutti i miei pensieri, invece, sembrava farli crescere, alimentando quel senso di inadeguatezza che si annidava tra le mille paranoie.

"Hyung", la voce di Jungkook mi fece tornare alla realtà, mi voltai spaesato, non mi ero nemmeno reso conto della sua presenza, sorrisi a fatica, mentre osservavo il suo volto confuso. "Sei andato via prima della foto di rito, avevamo paura stessi male", mi porse della carta per asciugarmi il volto, appoggiò una mano sulla mia spalla in segno di conforto.

Avrei voluto che quello mi bastasse, ma in realtà mi mortificava, non per colpa sua, era una mia mancanza, sentivo di far gravare il peso della mia situazione sul resto del gruppo, rendendo le cose ancora più difficili di quello che erano.

"Credo di non poter continuare così", dissi guardandolo negli occhi, il suo viso preoccupato si agitò, più di prima e la presa sul mio braccio aumentò.

"Tu sei importante per la band, è solo un periodo no, non arrenderti", supplicò, cercando di mantenere un tono di sincera positività, "senza di te, non possiamo andare da nessuna parte", concluse abbracciandomi.

Lo strinsi a mia volta, sentendo il cuore dolere, in quel momento capivo cosa intendesse Purple Abyss, con l'affermazione del rimorso verso chi ti circonda, il desiderio che nessuno ti faccia capire quanto puoi essere importante, perché poi, tutto è più difficile. 

Lasciarsi andare è impossibile.

"In effetti, senza il mio bel faccino, non potreste andare lontani", sorrisi sciogliendo l'abbraccio, sentivo un grande malessere, il desiderio di rimanere chiuso in quel bagno, ma ero un adulto, potevo accantonare momentaneamente tutto, il lavoro era la cosa più importante al momento. Mi sarei crogiolato nelle mie paure più tardi.

"Il tuo bel faccino funziona, perché c'è il mio da bad boy ribelle", affermò Jungkook rimando fermo davanti a me, non voleva fare la prima mossa, obbligarmi a uscire, però dovevamo raggiungere gli altri.

"Pazzo il padre che ti affiderà sua figlia", affermai dirigendomi verso la porta, scossi la testa divertito, Jungkook aveva tramutato la sua espressione, in una indignata, subito dopo la mia affermazione.

"Tu non lo faresti?" Chiese seguendomi, percorremmo il piccolo corridoio, indirizzati verso la hall, dove i paparazzi ci attendevano per le foto di fine intervista, avevo bisogno di una pausa da tutte quelle attenzioni improvvise.

"Se un giorno, uno dei miei figli dovesse portarmi un soggetto come te, sarebbe la volta buona che abbandono tutto per un'isola sperduta", sorrisi, mentre provavo a immaginare un clone di Jungkook. Rabbrividii all'idea, uno era fin troppo.

"Sono così simpatico e affascinate", affermò indicandomi il corridoio esatto in cui svoltare, così da ritrovarci dietro le guardie di sicurezza, che stavano attendendo il nostro ritorno. I paparazzi erano tutti composti, a distanza l'uno dall'altro come non li avevo mai visti, silenziosi e in attesa, poteva quasi definirsi l'unica cosa positiva del covid.

"Sei il mio dito nella piaga", conclusi la nostra discussione salendo sul palco.

Una delle assistenti, mi porse una mascherina da indossare, per poi farmi affiancare al resto del gruppo, mi scusai con i presenti, dando la colpa a dei "movimenti di pancia sospetti", provocando una risata in tutti i presenti.

Rimasi in posa con gli altri, il tempo di una decina di foto, per poi salutare i presenti ed essere scortati ai nostri van in tutta fretta, la giornata si era conclusa finalmente. Tolsi la mascherina appena misi piede nell'auto, accavallai le gambe e mi misi comodo, pronto a dormire per il resto del viaggio. 

Probabilmente il precedente crollo era colpa anche dello stress, della mancanza di sonno e della scomodità dei nuovi ritmi, non ero più abituato e forse non avevo più l'età. Chissà come riuscivano i Super Junior a rimanere al passo, dopo tanto tempo di attività.

La voce di Hoseok era un sottofondo, mentre raccontava a Jungkook della sua uscita con la fidanzata, dopo che era tornata da Jeju, non ascoltai quasi nulla, i miei pensieri erano figurati su un'unica persona, Purple Abyss o Danbi, non ero ben sicuro di come volessi chiamarla.

Il suo nome, mi dava quel senso di intimità maggiore, anche se era solo nella mia testa, come se avessi il permesso di poterla vedere in quanto persona raggiungibile, ma non lo era. Purlple Abyss inizia a stonarmi, sembrava il nome di un nuovo gruppo Kpop e non rappresentava a pieno quello che lei era.

Danbi invece, era lei, nome coreano dal significato stupendo, "Pioggia dolce", la rappresentava appieno.

"Come hyung?" Chiesero i due ragazzi al mio fianco, mi voltai verso di loro confuso, non avevo proferito parola.

"Non ho detto nulla", ammisi passandomi una mano tra i capelli, mi guardai intorno, ritrovando il resto del gruppo appollaiato a sonnecchiare, forse qualcuno di loro poteva essere l'artefice del bisbiglio.

"Si invece, hai detto 'pioggia dolce', non sei mai stato un grande amante della pioggia", sottolineò Hoseok. Corrugai la fronte, non pensavo di averlo detto ad alta voce e voltandomi verso il finestrino, notai anche che fuori aveva iniziato a piovere. Piccole gocce scorrevano veloci sul finestrino, mentre tutto intorno a noi si bagnava.

"Penso che a Jin hyung piaccia un'altro tipo di pioggia", scherzò Jungkook, forse rendendosi conto a chi mi stessi riferendo, alzai gli occhi al cielo ed evitai di commentare, non avevo nulla da nascondere, ma non avevo voglia di parlare in quel momento.

In effetti non ero mai stato un grande amante della pioggia, mi definivo meteoropatico, la pioggia, il grigiume mi rendevano tristi, ma dal servizio militare, non mi sembrava più così, forse ero solo più solare e avevo bisogno della serenità per poterlo esprimere. Da un po' di tempo mi trovavo a mio agio con la pioggia, ancora non l'amavo, forse non l'avrei mai fatto, ma ne potevo comprendere molto di più il bisogno emotivo. Averla lì confortava il mio spirito affranto e bisognoso che tutto intorno, fosse triste quanto me.

Ma Danbi, non era quel tipo di pioggia, la pioggia dolce era quella che ti sorprendeva, magari a cielo chiaro e con il sole in alto che risplendeva, una sorpresa, per niente sgradita. Aveva bisogno di aiuto per poter esprimere quel tipo di pioggia, mentre nella sua testa nuvole scure, incombeva sulla sua vita, forse potevo essere il suo cielo azzurro e lei la mia pioggia estiva.

Sorrisi, forse in modo troppo ampio visto che Jungkook mi pizzicò il fianco, spostai lo sguardo dalla strada a lui, che sorrise indicandomi il telefono, si trovava su Instagram, proprio sul suo profilo privato, a quanto sembrava aveva pubblicato una nuova foto.

Recuperai il mio telefono dalla giacca e andai subito a recuperare il post, era una foto davanti ad uno specchio, che non era il suo, indossava la mascherina, ma si vedevano bene i suoi occhi, su cui il colore era occultato da delle lenti azzurre. I capelli ancora rosa erano mossi e le accarezzavano le spalle nude, aveva abbassato il cardigan e le bretelle della canottiera, per mostrare una novità.

Si era fatta tatuare e scorrendo le foto, notai che il tatuatore era il suo migliore amico, ancora con i guanti addosso e la macchinetta in mano, guardavano lo schermo del telefono, mentre la fotocamera, catturava la loro immagine riflessa allo specchio.

Decisi di concentrarmi sull'ultima foto, la terza, dove l'attenzione era sulla spalla scoperta e da poco tatuata, il tatuaggio partiva dalla spalla fino alla clavicola, rappresentava dei rami fini ed eleganti, con sopra foglie e fiori di ciliegio di un rosa delicato, come la sua pelle.

"Potremmo diventare amici di tatuaggi", scherzò Jungkook, dandomi una piccola gomitata, "cosa dicevi di quelli come me?" Provò a incalzarmi.

"Quelli come te, sono i rompi coglioni Jungkook", ammisi con tono scherzoso, Jungkook provò a mettere un broncio, fallendo miseramente, era fin troppo entusiasta di aver visto quelle foto.

"Niente ti garantisce che non lo sia, per questo dovresti scrivergli, di Jungkook può essercene solo uno e non mi farò sostituire così facilmente", ammise con tono solenne, portando i pugni sui fianchi e mettendosi a schiena dritta come un novello Superman. A quelle parole mi ricordò che era da un po' che non controllavo le mail, così lasciai un mi piace alla foto e andai ad indagare. Tra messaggi di spam e mail di lavoro però nulla si era mosso, il che era anche normale, mi aveva chiesto tempo per rispondere a quella mail, forse era il caso di scriverne una meno impegnativa, per sbloccare qualcosa.

Arrivammo al dormitorio, dove tutti scendemmo per indirizzarci verso l'appartamento e in seguito nelle nostre camere, troppo stanchi per interagire ulteriormente.

"Sto ordinando del cibo, qualcuno vuole qualcosa?"Chiese Yoongi, mentre faceva correre un menù sullo schermo del telefono. Tutti iniziammo a elencare le nostre preferenze, così da farci offrire la cena dal benevolo Yoongi, che dalla sua espressione ci fece intuire di essersi pentito della proposta.

Arrivati in casa, ognuno si rintanò nella propria camera, avevamo bisogno del nostro tempo, di stare da soli e Yoongi si offrì, per andare a recuperare il cibo in seguito, sembrava il più energico del gruppo, speravo sempre c'entrasse la sua cotta e qualcosa in lui mi suggeriva fosse così.

Mi aveva accennato un'altro incontro con la ragazza, ma non aveva detto molto, sembrava pensieroso, come lo era quando pensava al loro primo incontro ignoto, doveva essere successo qualcosa di importante, forse Yoongi ci stava nascondendo un'informazione vitale? Mi stavo facendo troppe domande. Yoongi era sempre stato tanto riservato in tutto ciò che riguardava la sua sfera privata e quella ragazza ne era compresa, dovevo solo attendere, Yoongi sembrava aprirsi ogni giorno sempre di più, magari la prossima volta sarebbe stata quella buona. 

Ero stanco di essere l'unico a struggermi pubblicamente per una ragazza.

Mi lasciai cadere sul letto rilassandomi qualche secondo, non volevo fare nulla, solo mangiare e nascondermi sotto le coperte, alla ricerca delle parole giuste da inviare, di cose leggere di cui parlare, ma tutto ciò che balenava nella mia testa erano pensieri, elaborazioni, di una pesantezza, che forse non mi avrebbe permesso di ricevere una risposta celere.

Tolsi i vestiti, lasciandoli ammucchiati sulla sedia della scrivania, troppo pigro per riporre ogni cosa al proprio posto, avrei sistemato la mattina successiva, o qualcuno l'avrebbe fatto per me. Continuavo ad indagare su quale argomento fosse più appropriato per la nuova mail, cercando di indagare su argomenti leggeri ma di interesse comune, che potessero accendere una discussione e innescare una risposta quasi immediata e che non pretendesse giorni di riflessioni o una introspezione personale.

La mia mente era completamente vuota, o meglio, invasa da argomenti più simili alle sue puntate, centrate sui suoi sentimenti, sull'elaborazione della pandemia, sullo stato mentale e fisico attuale e su parole di conforto per il suo malessere. La mia vita era stata costellata fino a poco tempo fa di domande frivole e di circostanza, ma con lei non esistevano, c'era troppo poco tempo e una moltitudine di informazioni da comprendere, per perdersi dietro ai convenevoli.

Meritava qualcuno che potesse fargli le domande giuste e che potesse comprenderla.

Potevo essere io quel qualcuno? Probabilmente no, ma volevo fingere, almeno per un po' di poterlo essere.

Indossai il pigiama, sentendo in seguito bussare alla porta, Yoongi si trovava fuori, con il mio cibo in mano e un'espressione distrutta, sembrava che la pesantezza dell'intera settimana gli fosse crollata in un secondo addosso.

"Stai bene?" Chiesi confuso, fino a poco prima sembrava sicuramente stanco, la giornata era apparsa eterna a tutti, ma Yoongi sembrava esserne uscito abbastanza bene, mentre in quel momento, sembrava sul punto di crollare.

"No!" Esclamò, sbottandolo fuori con un mezzo sorriso isterico, entrò nella mia stanza, adagiando il mio e suo cibo sulla scrivania, per poi prendere posto su una delle sedie vicino ad essa. Forse avevo desiderato troppo si aprisse con me.

Chiusi la porta e recuperai la sedia posta in fondo alla stanza, posizionandola davanti a lui e sedendomi, entrambi passammo qualche minuto in silenzio, mentre scartavamo il nostro cibo, pronti a mangiare, avevo sicuramente bisogno di energie, per metabolizzare qualsiasi cosa lo turbasse.

"In un'ora, il tuo umore sembra essere declinato", feci notare l'ovvietà, mentre con le bacchette mescolavo il contenuto della ciotola, assicurandomi che tutto fosse ben amalgamato.

Yoongi fissò il tappo in plastica, su cui si era formata della condensa, sembrava leggermente fuori dal mondo, così mi allungai per aprire il contenitore, facendo fuoriuscire l'invitante odore della carne marinata.

Finalmente il ragazzo sembrò risvegliarsi, "lo è", ammise sorprendendomi, non era mai così schietto nelle sue risposte, specialmente quando riguardavano i suoi sentimenti.

"Vuoi dirmi qualcosa, o facciamo finta di niente mentre ceniamo?" Domandai retorico, mi sarebbe andata bene qualsiasi opzione se poteva aiutarlo, almeno avrei ritrovato la mia funzione in quella casa.

"Ti ricordi quando ti avevo detto, che lei non sapeva chi fossi?" Mi riempii la bocca, per non far notare il sorriso che era nato sulle mie labbra, finalmente mi avrebbe parlato di lei; annuii anche se lui non mi stava guardando, mescolava il contenuto della sua ciotola distrattamente.

"Non era del tutto vero, fino a che ci siamo seduti al tavolo per cenare, ero certo che non mi avesse riconosciuto, ma c'è stato un momento, dopo che ci siamo seduti in cui mi sono tolto la mascherina, che ho provato a farmi riconoscere", disse per poi prendere finalmente un pezzo del suo cibo, fui perplesso da quelle parole, perché nelle volte successive, in cui mi aveva raccontato fugacemente dei loro incontri, aveva mantenuto la linea dell'anonimato certo.

"Eri già cotto?" Domandai a fatica, avendo ancora la bocca piena di cibo. 

Lui scosse la testa in segno negativo, con una serietà sul viso preoccupante, per un momento riposi le bacchette nella ciotola, dedicandogli tutta la mia attenzione.

"Voleva uccidersi", lo disse a fatica, dovette sforzarsi per far uscire la sua voce, "mi ero reso conto, indossasse cose dei BTS e speravo che la mia presenza, potesse persuaderla", aggiunse riponendo la ciotola sulla scrivania di legno, si passò una mano sul volto turbato dai suoi stessi ricordi e mi sentii un insensibile ad aver pensato a loro come il mio intrattenimento personale.

"Lei è ancora qui, quindi è andata bene quella sera", ammisi, sentendomi di aver sbagliato, voler solo vedere il risvolto positivo, nella speranza di poter replicare con il mio caso, di poter risolvere i problemi del mondo solo con il mio volto.

"Non del tutto, cioè è stato un susseguirsi di cose che non mi sarei aspettato il giorno prima di arruolarmi", si morse un labbro, sembrava incerto di voler parlare o forse non sapeva da dove cominciare.

"Di recente lei mi ha ammesso, di avermi riconosciuto subito dopo aver pagato il mio cibo, quindi il mio travestimento non era così geniale come avevo sperato", sorrise nervoso, forse per smorzare un po' la situazione, anche io accennai un sorriso, adagiando a mia volta il cibo sul ripiano accanto a noi.

"Ancora adesso non sono ben sicuro, cosa fosse successo quella sera, so solo che l'unico messaggio ricevuto mentre eravamo seduti, la incitava a non mangiare per essere più attraente, chiunque fosse l'aveva convinta subito", entrambi ci concedemmo una smorfia di disgusto, chiunque fosse stato non meritava l'attenzione della ragazza, era un atteggiamento meschino.

"Lei mi ha offerto il suo cibo e mi ha confessato fosse il suo ultimo giorno, lì ho desiderato mi riconoscesse, provando a fermarla quando si è alzata, ma non ha funzionato", ammise, togliendomi quella piccola speranza vanesia, che l'essere qualcuno di importante nella società, potesse ribaltare le sorti di qualcuno. "L'ho seguita, fino al ponte mapo, ci ho provato, fino alla fine a salvarla, ed ero certo, che l'avrei avuta sulla coscienza."

Il suo telefono vibrò, adagiato sulla scrivania, il primo istinto per Yoongi, fu quello di allungarsi per recuperare l'apparecchio, ma la sua mano si fermò a metà strada, sospesa per qualche secondo, per poi ritirarsi. 

Cosa era successo quella sera? Lei stava bene o questa storia di salvezza, stava per diventare, l'ennesima realtà di declino umano?

"Ma non è così, ha vissuto ancora e qualsiasi cosa sia successa su quel ponte, senza di te, lei non sarebbe qui, sei stato un punto fondamentale, piccolo o grande che fosse il tuo intervento", lo rassicurai, sembrava aver bisogno che qualcuno glielo dicesse e forse quel qualcuno, doveva essere lei, ma presa dalla sua vita, era comprensibile si fosse dimenticata di farlo... forse.

In quel momento comprendevo molte più cose, anche se la storia risultava incompleta, tra di loro c'era un legame molto più intrinseco di quello che avevo immaginato, Yoongi aveva stretto la vita di quella ragazza e viveva nella paura di farsela sfuggire. 

Il moro sembrava ancora più pensieroso, si era lasciato andare sulla sedia, mettendosi in una posizione più scomposta, mentre il suo sguardo si fissava su un punto indefinito del pavimento, c'era qualcosa che lo turbava, lontano forse da quella storia, anche se collegato.

"Io non mi pento di quello che ho fatto quella sera", sembrava l'inizio di una frase difficile, fece un respiro profondo e alzò gli occhi per guardarmi per la prima volta dall'inizio di quel discorso, "ma quanto è giusto che io sia intervenuto? Che diritto avevo di farle vivere una vita che l'aveva esasperata a tal punto da farle desiderare che finisse? Con quale prepotenza volevo usare la mia influenza mediatica, per farle cambiare idea?" Quella mole di domande fu una sorpresa, non avevo idea di cosa mi sarebbe aspettato dopo quell'inizio, ma sicuramente non avrei pensato a quel genere di quesiti, aprii la bocca, alla ricerca di un modo per calmarlo, ma lui continuò.

"É stato meschino da parte mia, provare a convincerla, facendo leva sui sentimenti che provava nei mei confronti. L'avrei riempita del nulla, di speranze vane, riposte in una figura platonica, che è poi scomparsa per due anni, invece che far leva su qualcosa di concreto, come la sua vita, i risvolti su di essa, ho usato una scorciatoia meschina, quasi quanto quella usata dallo sconosciuto nel messaggio, che l'ha mortificata inutilmente", concluse.

Ero incapace di aggiungere altro, era stato fin troppo duro con se stesso, in situazioni di panico come quelle, non si poteva ragionare con una vera lucidità, bisognava solo essere veloci. Nel suo volersi far riconoscere, non ci avevo visto il male che aveva esternato con le sue parole, solo tanta paura, che qualcuno al suo fianco, mettesse fine alla sua vita, senza avere la possibilità di una rivalsa su qualsiasi cosa l'avesse massacrata.

Appoggiai una mano sulla sua spalla e lui sospirò, era completamente distrutto da quella consapevolezza, forse sputatagli in faccia da lei o da qualcuno collegato alla ragazza, mancavano fin troppi elementi per poter analizzare il suo comportamento.

"Non punirti, per aver cercato di salvare qualcuno, non hai fatto nulla di male, hai sperato in lei e in qualche modo è andata avanti, anche durante la tua assenza, vediti come una spinta", mi sembravano le parole più adatte, ma la sua espressione sofferente, gli occhi leggermente lucidi mi fecero preoccupare.

L'aveva fatto di nuovo?

"L'anno portata in ospedale mezz'ora fa", mormorò con la voce dolorante, quasi a voler rispondere alla domanda nei miei pensieri, spostai lo sguardo sul suo cellulare, silente, ma che poco prima aveva ignorato e la mia curiosità si fece ancora più morbosa.

Dovevo calmarmi, non era il momento di indagare.

Lo abbracciai, nella speranza che potesse aiutare in qualche modo, non potevo fare altro alla fine, non avevo altro potere nelle mie mani se non il conforto, qualcosa che avevo negato a tutti per mesi.

"Tu non sei l'artefice di ciò che è successo, le persone sono fin troppo complesse per farsi ferire dalle tue premure, non sarebbe meglio andare da lei invece?" Proposi, dimenticandomi forse il fattore più importante, che per una volta non erano la fama e i ficcanaso.

"Non sono il suo contatto di emergenza, non posso vederla o entrare in ospedale senza una esigenza comprovabile e l'essere preoccupato per lei non lo è, non per le nuove regole del cazzo di covid", disse nervoso recuperando il cibo e iniziando a mangiare il suo contenuto, non l'avevo mai visto tanto altalenante per qualcuno.

"Sai cosa è successo?" Chiesi imitandolo, Yoongi strinse le labbra e sospirò un'altra volta.

"Era da un po' che mi sembrava debole, pensavo fosse la situazione, il covid, il dormire poco, visto che ha un lavoro che la tiene impegnata, ma a quanto pare non era questo o meglio, non era solo questo", sospirò lanciando un'occhiata al telefono, sembrava indeciso sul da farsi, scosse la testa e tornò a guardarmi. "A quanto pare, non mangia abbastanza, probabilmente non mangia proprio, l'unico responso che ho avuto è stato da parte della sua amica", si riempì la bocca di cibo, tanto da masticare a fatica, abbassò lo sguardo sulla ciotola vuota, probabilmente preso a pensare a lei, al suo stato ignoto e alla preoccupazione che lo attanagliava.

L'aveva conosciuta due anni prima, e la vedeva da qualche mese ormai, si erano visti in autunno e l'ultimo incontro a me conosciuto risalvai ai festeggiamenti della primavera, pochi giorni prima.

In sei mesi si poteva creare un legame così forte o tutto era più profondo per via di questo legame instaurato al loro primo incontro? Probabilmente la risposta non era importante, dovevo solo aiutarlo a stare meglio e la risposta, risiedeva nel suo nome e nella speranza che questa volta bastasse.

"Perché non vai comunque? Sei Min Yoongi, qualcosa puoi far accadere", gli feci notare con forse troppa positività, lui mi guardò con uno sguardo stanco, una stanchezza visibilmente emotiva.

"Quanto è giusto verso gli altri?" Mi chiese retoricamente, perché entrambi sapevamo non essere un atteggiamento giusto, etico o paritario.

"Non lo è, ma concediti questo atto di egoismo innocuo", dissi alzandomi dalla sedia. Eravamo costantemente sotto controllo, tra tamponi, quarantene e isolamenti, non rischiava di contagiare nessuno, l'unico atto egoistico, era avere un vantaggio che altri non avevamo, per aggirare le regole.

Anche lui si mise in piedi, con meno sicurezza rispetto alla mia, guardò il telefono ancora una volta e annuì, probabilmente a se stesso e a qualsiasi ragionamento fatto.

"Non è da te, infrangere le regole Jin", puntualizzò raccattando il telefono e i contenitori vuoti del nostro cibo, pronto ad uscire dalla mia stanza e probabilmente indirizzato verso l'ospedale. 

"Sono stanco delle regole, se mi gira domani volo in Italia a cercare Purple Abyss", scherzai, facendo nascere anche sul suo volto, un po' di ilarità genuina. Ci scambiammo un ultimo abbraccio e gli aprii la porta, con il mio sorriso migliore, in modo che nessun dubbio lo attanagliasse, mentre si dirigeva da quella ragazza.

"Probabilmente non hai bisogno di volare da lei, scrivile e basta, concediti la possibilità di rischiare i tuoi sentimenti per una volta", mi diede una pacca sulla spalla per poi andarsene, quasi di corsa.

Aspettai che la porta di casa sbattesse per rientrare in camera, chiudendomi la porta alle spalle.

Ero pessimo nelle relazioni, specialmente se c'erano di mezzo donne, che fossero donne che amavo o che desideravo come amiche, ero terribilmente impacciato e spesso risultavo quasi freddo, nonostante non fosse il mio obbiettivo.

Forse avere in mano la possibilità di comunicare, potendo correggermi, le cose sarebbe andate meglio e non mi sarei dovuto preoccupare così tanto. Recuperai il telefono e mi sdraiai sul letto, aprii le mail, così convinto che qualcosa sarebbe uscito fuori, ma come la prima volta, la difficoltà di presentò all'istante, con la sezione "oggetto", da riempire, ma questa volta non mi fermai a pensare e scrissi di getto.

Avevo perso fin troppo tempo, era il momento di fare la prima mossa.

Avevo perso fin troppo tempo, era il momento di fare la prima mossa                    

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Capitolo 10
*** Quanto è imbarazzante, indossare dei boxer con gli unicorni? ***


Capitolo Dieci.
Quanto è imbarazzante, indossare dei boxer con gli unicorni?

Quanto è imbarazzante, indossare dei boxer con gli unicorni?

Nuovo messaggio
A: purpleabyss@gmail.com
Cc/Ccn, Da: ksj992@gmail.com
Oggetto: Dilemmi a cui è importante rispondere :)

Forse è un po' stupido scriverti una seconda mail, se risulto pesante ti prego di farmelo sapere, non voglio disturbarti ne apparire fin troppo tediante. 
Però mi ritrovo spesso a vagare nella mia mente e ritrovarci le tue parole, che mi confortano e mi preoccupano, facendomi rendere conto che, forse un po' stupidamente, mi sono legato a te, ai tuoi pensieri e alla tua voce. 
Sono parole strane, a tratti imbarazzanti, sia per me che le scrivo, sia probabilmente per te che le ricevi e mi dispiace essere l'ennesimo uomo vuoto, che ti impegna il tempo con una mail piena di parole che non arrivano da nessuna parte.
La verità è che sono mesi che ossessiono i miei amici, settimane che cerco di allontanare la preoccupazione in cui ti ho inglobato, rendendoti più concreta di quello che sei, come un'amica lontana che mi manca, quando in realtà siamo sconosciuto.
Comprendo che tutto ciò appaia come la lettera di un pazzo e capirei volessi ignorarla, volevo provare però ad approcciarti, renderti più reale e rendermi più accessibile.
Ammetto di averti relegata in un'immagine perfetta, affiancata dai tormenti e della bellezza delle tue parole, che rendono il tuo aspetto fisico obsoleto, ma che mi richiedono la necessità di poterti conoscere meglio, di poter interagire e non solo ascoltare passivamente. 
Forse ho esagerato? Sicuramente è così!
Ma se non l'avessi fatto, se ti sentissi interessata a volermi rispondere ti chiederei:
Quanto credi sia imbarazzante, indossare dei boxer con gli unicorni?
Spero mi risponderai... anzi, spero questa mail finisca nelle spam.
Tuo (per modo di dire) Jin.

Rilessi in imbarazzo ogni parola inviata a Danbi precedente, da vero cretino avevo evitato qualsiasi pensiero potesse risultare profondo, dipingendomi però come un idiota, stalker e forse anche un po' toccato di testa.

Cosa mi era saltato in mente? Stupido!

Jungkook non vedeva la mail così disastrosa, per una volta aveva deciso di non infierire sulle mie scelte discutibili, più per salvaguardare se stesso probabilmente, che per vera onestà, accettai quella tranquillità come legittima, anche perché non potevo tornare indietro, ormai la mail era partita e la mia dignità con lei. 

Non era il mio forte fare il simpatico, mi riusciva sempre così male.

Avevo disertato qualsiasi uscita, declinato ogni incontro parentale, mentre attendevo l'esito dell'ennesimo tampone, era stato richiesto, dopo che la truccatrice di Jungkook aveva notificato la sua positività al virus. L'ennesima stroncatura alla mia rara felicità.

Quel pomeriggio avrei dovuto incontrare mio fratello e sua moglie, dopo tanto tempo, eravamo riusciti ad incastrare i nostri impegni, invece ero chiuso nel dormitorio, mentre il piccolo Jungwoo dormiva sul mio petto, dopo avermi stracciato alla switch. Jungkook si era assentato qualche ora per il suo tampone e recuperare delle cose dalla studio, il tutto mentre ognuno di noi, stava decidendo cosa fare subito dopo l'esito del tampone, che sarebbe sicuramente risultato negativo.

La porta dell'appartamento si aprì e Jungkook, seguito dal nostro manager entrarono abbastanza disinvolti nella stanza, entrambi senza mascherina, con dei documenti in mano e il sollievo sui volti, segno che i tamponi fossero tutti negativi.

"Siamo liberi?" Chiesi alzando leggermente la testa, in modo da poter guardare meglio i due fermi davanti al divano, il piccolo Jungwoo si mosse infastidito, per poi nascondere il viso contro il mio collo.

"Quasi tutti, abbiamo già provveduto a isolare i positivi, vi terremo monitorati, ma potete tornare a lavoro domani stesso, vi consiglio di non entrare in contatto con nessun famigliare, limitiamo i danni, abbiamo bisogno che nessun altro di voi prenda il virus, altrimenti non finiremo in tempo l'album", specificò con sguardo assente il manager, mentre parlava stava inviando dei messaggi, senza dedicarci particolare attenzione. 

"Noi due sia negativi quindi possiamo stare tranquilli", specificò Jungkook.

"Sì, niente incontri con amici, strette di mano, passeggiate in luoghi pubblici, tenete anche il bambino lontano da personalità estranee sono i vettori più pericolosi di virus e batteri", Jungkook lo guardò infastidito da tono e le affermazioni poco curate usate nei confronti del più piccolo. Di solito il manager era meno pressante e fastidioso, sempre attento alle nostre esigenze e a rivolgersi a noi con i giusti toni; la pandemia aveva messo a dura prova anche lui e i continui rimandi erano una perdita di tempo e soldi. 

"Chi sono i positivi?"chiesi allarmato, speravo con tutto me stesso non fosse Yoongi, dopo averlo convinto a infrangere le regole per recarsi in ospedale, rivelarsi positivo al virus poteva scatenare in lui dei sensi di colpa difficili da estirpare. 

"Hobi e Jimin", mi informò il più piccolo, sospirai sollevato, anche se mi dispiaceva che Hobi e Jimin, avrebbero dovuto passare giorni chiusi nelle loro case, lontano da tutti, specialmente per Jimin appena uscito dal militare. "Anche la fidanzata di Hobi è positiva", aggiunse Jungkook facendomi un occhiolino d'intesa, almeno lui si sarebbe divertito durante la quarantena. 

"Cercheremo di portare avanti i vostri impegni separatamente, per oggi siete liberi, ma domani vi voglio puntuali in studio, così concludiamo ciò che manca, siamo già in ritardo sulla tabella di marcia", concluse il manager avviandosi verso la porta d'uscita, nessuno dei due si premurò di accompagnarlo, abbastanza esausti da quello scambio d'interazioni poco gradite. 

Jungkook mi colpì le gambe, incitandomi a mettermi seduto sul divano, lasciai cadere il telefono sul cuscino, per poi stringere il piccolo nelle mie braccia e spostarmi, Jungwoon si lamentò per il cambio di posizione, senza però accennare a svegliarsi. 

"Stavi ancora guardando quella mail?" Jungkook prese il cellulare, illuminato sul testo imbarazzante.

Di tutte le cose che avrei potuto scrivere, mi ero ripiegato su della comicità spiccia, per nulla divertente e forse anche un po' fastidiosa, sicuramente Danbi non mi avrebbe risposto e peggio, mi avrebbe relegato alla figura qualche maniaco.

"Perché invece non le rispondi?" Guardai Jungkook stranito, Danbi non mi aveva ancora risposto e non mi aspettavo lo facesse, essendo la mail priva di una vera risposta da dare, Jungkook mi mostro il cellulare, era uscito dalla schermata di testo, ritornando nelle casella di posta in arrivo, tra le varie email di ordini e spam, figurava la sua che era passata totalmente inosservata.

Gli tolsi il cellulare di mano in modo brusco, mi alzai in piedi rendendomi conto abbastanza in tempo di avere il piccolo Jungwoon tra le braccia da non farlo cadere, Jungkook si allungò verso di me allarmato, aspettandosi che il bambino mi scivolasse dalle mani, ma per fortuna non accadde. 

"Scusa!" Esclamai con un sorriso nervoso, il bambino si svegliò confuso e disorientato dalla situazione, mi sorrise, ignaro della sua mancata caduta, subito dopo notò il padre e si lanciò tra le sue braccia, lasciandomi vuoto.

Era strano, sentirsi in quel modo, dopo che un bambino si era sottratto alle mie braccia, eppure avevo percepito una sensazione d'abbandono, come se quel piccoletto fosse mio figlio e in qualche modo stesse preferendo Jungkook a me. Scossi la testa liberandomi in modo quasi immediato di quel pensiero, un bambino nelle mie mani, sarebbe stata sicuramente una rovina, troppo invischiato nelle mie ansie e paure per farlo crescere in serenità come il piccolo Jungwoo.

Ero poco adatto a vivere, figuriamoci a prendermi cura di un altro essere vivente, probabilmente non avrei mai avuto figli, non sarei mai stato un buon padre.

Portai gli occhi sul telefono, la mail era ancora lì ferma, con accanto la data successiva all'invio di quell'imbarazzante domanda, ero così certo non avrebbe risposto che, ovviamente, non mi ero premurato di controllare nella casella. 

Davo troppe cose per scontate.

"Noi due usciamo, fammi sapere cosa risponde, non essere così preoccupato per una mail, prendilo come un esercizio, se un giorno la incontrerai avrai abbastanza informazioni per poterla stupire", provò a rincuorarmi Jungkook dandomi una pacca sulla spalla.

Annuii distrattamente, mentre aprivo quella mail dall'oggetto che mi fece sperare avesse colto l'ironia, ritornai seduto sul divano, mentre Jungkook faceva indossare il cappotto al più piccolo.

"Dove andate?"domandai distraendomi qualche secondo dal mio obbiettivo.

"Oggi incontriamo altre babysitter, nessuna mi ha convinto, sembrano sempre più prese da altro", Jungkook sbuffò nervoso. Era dal nostro ritorno che cercava una babysitter con l'aiuto di un suo amico, che si fingeva il padre del bambino in modo da non incappare in brutte situazioni, ma Jungkook sembrava incontentabile.

"Dovresti fidarti di più delle persone", dissi, ricevendo in cambio un'occhiata tagliente, ero l'ultimo che poteva dare tale consiglio, a malapena mi fidavo dei componenti della band.  

"Mi fiderò quando saranno più concentrate su Jungwoon che su Saejin, perché è così difficile?" Chiese esasperato, mise il bambino a terra e mi guardò arreso, probabilmente anche quel giorno sarebbe stata una serie di buchi nell'acqua. Gli diedi una pacca sul braccio, incitandolo come meglio potevo, ovviamente non fu per niente utile, ma almeno i due se ne andarono di casa con il sorriso sul volto.

Ritornai così davanti allo schermo del mio cellulare, ormai bloccato, dovevo prendere coraggio e iniziare a leggere.

Sentivo lo stomaco in subbuglio per una stupida risposta, che poteva essere un monito a non scriverle più, ma percepivo comunque di poter svenire, peggio di Dante con Beatrice, entrambi senza speranze per una donna ben fuori dalla nostra portata.

Accesi lo schermo, lo sbloccai velocemente, ritrovandomi davanti alla mail che iniziai a leggere.

Da: purpleabyss@gmail.com
A: ksj992@gmail.com
Oggetto: Urgenza di dettagli :P

Ciao mio (per modo di dire) Jin, sono felice che tu mi abbia scritto una seconda mail, mi dispiace non aver mai risposto alla prima, ma ho come la sensazione che non troverò mai le parole giuste e di questo mi rammarico molto.
Possiamo fare finta che questo sia il nostro primo scambio? Ovviamente scherzo, le tue parole mi accompagnano molto spesso e alcune volte mi risollevano il morale in momenti molto difficili, specialmente adesso che non ho più così tanto tempo da dedicare ai podcast.
Penso che lo scambio di mail non sia qualcosa di strano, specialmente se la email l'ho fornita io, quindi ti prego non farti scrupoli a scrivermi, sono molto contenta di poterti parlare in qualche modo.
Devo essere sincera, dopo quella mail ho iniziato a pensarti spesso, chiedendomi chi fossi, stupido no? Ahaha.
Tornando alla tua domanda, credo di non poter rispondere, di base penso che tutto ciò che raffiguri un unicorno sia un'opera d'arte, però capisco che per alcuni possa essere un disagio indossare qualcosa di fin troppo inestimabile, la risposta quindi dipenderebbe da molti fattori.
In conclusione però, credo che, in una scala da 1 a 10, che l'imbarazzo sia 3. 
Per tua sfortuna la mail non è finita nelle spam e spero nemmeno la mia ci finisca, perché ho anche io un quesito da porti, forse un po' meno poetico degli unicorni:
Cosa ne pensi, delle persone tristi sotto le stelle?
Ho sempre pensato non si potesse essere tristi sotto un cielo stellato, eppure adesso lo sono.
Spero risponderai!
Tua (per modo di dire) Danbi.

P.s. mi chiamo Danbi, spero tu lo preferisca a purple abyss e che lo vorrai usare. 

Rilessi due volte la mail, per essere certo di non essermi perso nemmeno una parola, mi concentrai estraniandomi da ciò che mi circondava, in modo da percepirne il significato, ritrovandomi in fine a sorridere nel leggere il post scriptum.

Era un sollievo poterla chiamare così, con il suo nome, tanto poetico quanto la sua dialettica nei monologhi, poterla chiamare Danbi, sembrava un onore che andava ben oltre qualsiasi altro, mi stava dando modo di avvicinarmi a lei e questa volta non mi sarei lasciato sfuggire l'occasione.

A differenza mia si era voluta spostare verso un vero argomento, qualcosa per cui valeva la pena spendere il nostro tempo, forse anche intuendo il mio disagio nel non sapermi introdurre, da una mail mi sembrava di aver fatto trasparire così tante cose, ma forse stavo fantasticando un po' troppo. 

Ritornai in piedi sentendomi più sereno, nella mia testa era sparita qualsiasi ansia e preoccupazione portata dal covid, dagli impegni e dalle mie mancanze, ero di nuovo felice e questa volta accettavo che fosse merito suo.

Perché preoccuparsi quando qualcuno ti rendeva felice con poco, era legittimo anche se una sconosciuta, era lo stesso meccanismo che si poteva creare tra fan e artista, volevo smetterla di trovare per forza dei motivi per cui quella felicità dovesse essere problematica o immotivata.

Ero felice e il merito era di Danbi.

"Sembri su una nuvola", la voce di Yoongi mi sorprese, era vestito completamente di nero, con un cappellino in testa che occultava la sua capigliatura, in mano reggeva un dorayaki mezzo mangiucchiato e dallo sguardo sembrava stanco. 

"Danbi mi ha risposto, posso confermare di avere uno scambio epistolare con lei", scherzai mettendo via il cellulare, avrei risposto in serata, nella tranquillità della mia stanza, sicuro che nessuno mi avrebbe disturbato. Yoongi si lasciò sfuggire un piccolo sorriso, scosse la testa, in effetti sembrava un'affermazione ridicola.

"Quindi adesso possiamo dire che, ti scrivi con la tua cotta, senza che tu possa arrabbiarti", Yoongi si portò verso la cucina, lo seguii per capire da dove arrivasse, in casa ero rimasto da solo poco prima che Jungkook tornasse, ognuno di loro aveva avuto come meta le proprie case private, in modo da poter trascorrere una possibile quarantena in pace. 

Dal volto di Yoongi sembrava, che le sue mete giornaliere fossero state altre, aveva insistito per fare prima di tutti il tampone, avendo seguito il mio consiglio sconsiderato di recarsi clandestinamente in ospedale, quindi uno dei primi a ricevere l'esito negativo del tampone. 

"Lo accetto, ho una cotta per Danbi, per quello che dice e per il suo aspetto da favola, ammetterlo però non cambia le cose", puntualizzai. Danbi rimaneva in Italia, relegata in casa sua a tratti e ognuno di noi era impossibilitato anche solo a fantasticare di raggiungere qualcuno fuori dal proprio paese di residenza. Era una situazione orribile, ma in parte anche un cuscinetto, senza covid non avrei avuto scusanti, ma non avrei nemmeno provato a vederla, rivelando la mia codardia, che gli altri avrebbero giustificato con la mia fama.

"Cambia molte cose, adesso potrai realmente capire se ti piace, potrei ridere per molto tempo se si rivelasse la persona più odiosa sulla terra", sorrise ancora una volta, scatenando anche in me una piccola risata, dovevo ancora accettare il fatto che Danbi potesse essere diversa dalla mia immagine, lontana dai disagi che provava.

Eppure avevo questa sensazione che le mie aspettative non sarebbero state deluse. 

"Si vedrà, con il tempo, a te invece come sta andando? Non mi hai più dato aggiornamenti", Yoongi non perse il suo sorriso, anche se la stanchezza sembrò più visibile dopo la pronuncia di quelle parole, erano passati solo due giorni dalla proposta di sgarrare le regole.

Yoongi si schiarì la voce, prese posto sullo sgabello che affiancava l'isola della cucina e guardò il suo dorayaki pensieroso, forse insicuro su cosa confessarmi. 

"All'ospedale era sola e non era troppo contenta di vedermi, lo capisco, nemmeno io vorrei mi vedesse nei miei momenti peggiori", ammise rimembrando momenti della nostra carriera, attimi duri, in cui era stato difficile trattare con lui.

Per Yoongi era sempre stato ostico aprirsi, condividere le sue turbe e i suoi macigni con noi, non voleva mai che il peso delle sue scelte e dei suoi problemi potesse ricadere sulle persone a cui voleva bene.

Ci aveva messo anni prima di poter accettare di essere aiutato, di doversi appoggiare a qualcuno, trovare una ragazza simile a lui doveva avergli ricordato quei momenti e speravo anche gli avesse ricordato, quanto fosse distruttivo comportarsi in modo così cocciuto. 

"Ho lasciato sul suo comodino dei fiori e stavo per andarmene, non volevo imporre la mia presenza", aggiunse morendo il suo dorayaki, sembrava rilassato mentre raccontava, segno che le cose stessero andando bene, "è stata lei a fermarmi, così sono rimasto tutta la notte con lei", non aggiunse altro e io non chiesi approfondimenti.

Per quanto la curiosità fosse parte di me, sapevo riconoscere un momento intimo, di proprietà solo ed esclusivamente dei due protagonisti della storia, un vero peccato non esserne partecipe, ma allo stesso tempo era bello vederlo così preso nei suoi pensieri, mentre ripercorreva confessioni solo di loro proprietà.

"Abbiamo condiviso un dorayaki e mi sento così stupido", sorrise guardando quel poco che rimaneva del dolce, "l'ha mangiato tutto, solo per me ed è la prima volta che sento dell'attaccamento per del cibo", prese un altro morso osservando la carta che presentava solo un piccolo boccone.

"Penso sia bello Yoongi, non ti ho mai visto così preso", confessai osservandolo mentre mangiava anche quell'ultimo boccone, riluttante ma con il sorriso sulle labbra, un segno che entrambi forse stavano cambiando. 

Era strano struggersi per la storia di qualcun altro? Forse non così tanto per me, sempre piatto e monotono, senza una storia da raccontare, trovavo conforto nei racconti di redenzione degli altri e speravo profondamente che quest'arco narrativo si concludesse bene.

Chiunque mi circondava si portava dietro delle storie di vita veramente rilevanti e degne di essere raccontate, io ero solo il comprimario di questa lunga serie televisiva, dove non ero neanche il supporto dei protagonisti, ma il personaggio marginale, inutile e senza sviluppo personale.

Una schifosa macchietta, che sperava di poter diventare il protagonista della storia di qualcuno, visto che lui non aveva nulla da raccontare.

"Smettila di pensare troppo, è una bella giornata Jin, fuori c'è il sole, non siamo positivi al covid e stai facendo passi avanti nella vita", cercò di consolarmi "il militare è stato difficile e ha colpito dei nervi scoperti un po' a tutti, ma è il momento di reagire, non puoi nasconderti dietro al servizio per sempre", furono parole dure, dette con il sorriso, ma forse ne avevo più bisogno di qualsiasi altra magra consolazione. 

"Posso farlo dietro la pandemia".

"E a chi gioverebbe questa cosa? Hyung, ti dirò qualcosa che mi dicesti qualche anno fa, magari così rinsavisci: 'se non sei tu il primo a fare un passo verso la tua salvezza, nessuno potrà aiutarti'. Smettila di volerti nascondere", commentò, piegò la carta del dorayaki e la mise nella tasca dei suoi jeans.

Nessuno dei due aggiunse altro, Yoongi mi guardò un'ultima volta, forse in attesa di una frase, un cenno che avessi compreso la sua premura in quelle parole, ma semplicemente mi guardai le mani, torturandomi i pollici con le unghie, mentre attendevo se ne andasse.

Aveva ragione, ma percepivo difficile applicare quella parole in modo immediato, il percorso per ritornare me stesso o per crearne uno, che potesse andarmi bene, non stava risultando semplice come avevo sperato, ero in continua ricaduta, alla ricerca di capri espiatori e motivi per giustificare il mio dolore.

Ci stavo provando e fallivo costantemente, ma non mi ero arreso e non contavo di farlo, quelle parole furono un monito a cui non riuscii a rispondere, forse Yoongi lo percepì o semplicemente si stufò di attendere una mia risposta.

Sospirò e andò via, lasciandomi da solo in casa, dove tutto sembro troppo silenzioso per essere affrontato in solitudine. 

Recuperai il telefono e sullo schermo, comparve l'unica notifica di cui avevo bisogno nella mia solitudine, un aggiornamento di Purple Abyss e del suo podcast.

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