Thistles and Roses

di SakiJune
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Gli strambi figli della pace. ***
Capitolo 2: *** La famiglia perfetta e l'amore di Rhelemon Hir. ***
Capitolo 3: *** Sir Bors svela i suoi piani. ***
Capitolo 4: *** La spia di Sir Lancelot. ***
Capitolo 5: *** L'anello magico, istruzioni per l'uso. ***
Capitolo 6: *** Addio a Camelot ***
Capitolo 7: *** Lucan e Aline. ***
Capitolo 8: *** Garanwyn stringe un patto. ***
Capitolo 9: *** Ancora veleno ***
Capitolo 10: *** Una corda spezzata. ***
Capitolo 11: *** Varcare la soglia. ***
Capitolo 12: *** Faccia a faccia con la Serpe. (parte 1) ***
Capitolo 13: *** Faccia a faccia con la Serpe (parte 2) ***
Capitolo 14: *** Fili aggrovigliati ***
Capitolo 15: *** Il segreto di Aline. ***
Capitolo 16: *** Un caldo, intenso amore. ***
Capitolo 17: *** Conn ap Griflet, duca di Lindsey. ***
Capitolo 18: *** Una nuova canzone. ***
Capitolo 19: *** Disperatamente vivi. ***
Capitolo 20: *** Senza guardarsi indietro ***



Capitolo 1
*** Gli strambi figli della pace. ***



THISTLES AND ROSES









Capitolo Uno - Gli strambi figli della pace.


Sir Bors, primogenito del clan de Ganis e genitore suo malgrado, richiamò il giovane con impazienza.
- Insomma, Elyan, dobbiamo far aspettare Sir Lancelot? Cosa fate lì imbambolato?
- Nulla, padre, ho visto una fanciulla... - rispose l'altro, con fare sognante.
Più tardi, comprese di non aver usato la parola giusta. Quel pomeriggio di primavera, alla vigilia della propria investitura, non aveva visto una fanciulla, l'aveva guardata. E lei aveva guardato lui.
Bors capì dove voleva andare a parare e lo precedette: - E dunque? Anch'io ne ho viste molte in vita mia.
Elyan tacque. Sapeva quanto suo padre fosse insofferente al romanticismo.
Da lui aveva ereditato i capelli folti e biondi e la tendenza a stringere poche, ma solide amicizie. Di sua madre Claire, figlia di Brandegoris, aveva il fascino un poco orientale e il carattere non sempre condiscendente. Era d'animo pacifico, ma curioso e testardo. Nato da un magico inganno, benché credesse in Dio non poteva proclamarsi contrario alla vecchia religione: sarebbe stato come ripudiare se stesso.
Lo seguì, voltandosi indietro non meno di quattro volte nel frattempo e rischiando di inciampare prima in un cespuglio, poi in un cane.
- E fate attenzione, avete forse preso l'abitudine di zoppicare dal vostro... come si chiama... buffo paggetto?
Elyan strinse i pugni. Fino ad allora non aveva mai, mai permesso a chicchessia di denigrare il suo amico Garanwyn. Ma non poteva ribellarsi a suo padre, mostrargli ingratitudine proprio ora! Lui, nipote illegittimo del misconosciuto sovrano di Estangore, sarebbe diventato cavaliere della Tavola Rotonda... tutto questo in un tempo così breve che non aveva ancora avuto occasione di provare nostalgia, o rimpianto, o... confusione. No, non si sarebbe dimostrato ostile a tanta generosità, e avrebbe fatto di tutto per meritare l'onore che gli si concedeva. Ma doveva ancora orientarsi, capire. E non sarebbe stato facile se si fosse lasciato trasportare in chissà quali fantasie dai begli occhi di una giovinetta appena incontrata.
Eneuawc dei Coritani di Lindsey - così si chiamava l'oggetto del suo desiderio - era piccola di statura, come le donne del Nord, e aggraziata come una damina francese. Sembrava non stancarsi mai di sorridere, specialmente mentre conversava con il ragazzo che teneva per mano. Che fossero sposati, Elyan non l'aveva creduto nemmeno per un istante; sembravano avere la sua stessa età. Dovevano essere parenti, anche se non potevano somigliarsi di meno. Lui, il ragazzo che l'accompagnava, era tutt'altro che piccolo e aggraziato. Era di statura media e piuttosto muscoloso, ma aveva il volto sghembo e affilato di un folletto. Aveva begli occhi scuri e vivaci ma ahimé, era chiaro che nessuna fanciulla l'avrebbe mai degnato di uno sguardo.
Seppe più tardi che erano gemelli. Erano figli di un alto ufficiale di corte, a quanto sembrava, nonché parenti di re Arthur per parte di madre. Amren, questo il nome del giovane, si era presentato senza troppe formalità, ed per Elyan era così forte la gioia di avere trovato un amico, che aveva deciso di rimandare un eventuale approccio galante con sua sorella. Discorrendo, scoprirono di essere entrambi destinati a ricevere l'investitura lo stesso giorno, di lì a una settimana.

E venne la notte, la più lunga nella vita degli uomini del loro tempo. Elyan pregava meccanicamente, e tuttavia non era insincero; mille pensieri trovavano ora la via per affollargli la mente. L'indomani avrebbe giurato fedeltà a re Arthur Pendragon, e avrebbe conquistato un posto ambito alla sua corte; si sarebbe dovuto adattare alla mentalità di suo padre e non procurargli noie o dispiaceri... ma come, se persino un accenno alla bellezza femminile scatenava la sua irritazione? Doveva diventare cavaliere oppure monaco di clausura?
Poi c'erano i suoi coetanei, di cui in principio aveva istintivamente cercato la compagnia: credeva davvero che Amren di Lindsey fosse la regola e non l'eccezione. Ma gli altri giovani incontrati sino a quel momento erano dei grossi palloni gonfiati, nientemeno.
Ispidi attaccabrighe, capaci solo di snocciolare i nomi dei loro illustri parenti e di menare le mani. E dire che alcuni di loro di spade, ancora, non ne portavano, ma già si credevano cavalieri fatti e finiti. C'era Melehan, scortato dal fratello minore (ma più alto e grosso), che aveva preso subito a canzonare Garanwyn e annunciare ad entrambi che "con lui non c'era da scherzare, il re era suo nonno". E poi c'erano i figli di Sir Gawain e il resto della cricca di Lothian, interessati principalmente a raccontarsi storielle sconce e strillare canzonacce.
Aveva già compreso che Camelot era un luogo sconcertante dove vivere: una contraddizione continua, dove convivevano purezza e volgarità, passione e indifferenza, gloria e decadenza.

In quella stessa condizione, Amren era invece perfettamente sereno. Anche lui pregava, ma soppesando ogni parola con meraviglia e gratitudine. Nemmeno lui era particolarmente devoto, no, ma sapeva dare ad ogni cosa il giusto valore. Non era ansioso né si sentiva in dovere di compiacere qualcuno, perché era già sicuro e onorato della fiducia di coloro che amava. E di chi non lo amava, non voleva e non aveva bisogno di curarsi. Teneva in nessuno o poco conto l'aspetto esteriore, sia nelle persone che negli oggetti. Si può osservare che se uno così poco estetico si fosse dichiarato un esteta, sarebbe risultato ridicolo, e ve lo concedo - ma passiamo oltre, perché nulla era ridicolo in lui. Fin qui ho lasciato intendere una certa bruttezza, eppure non bisogna pensare ch'egli fosse sgradevole. Era soltanto privo del fascino irresistibile di cui tanti cavalieri traboccavano fino ad incendiare i cuori di legittime spose e fidanzate altrui, e troppo giovane per crucciarsene. Non si turbava che per le ingiustizie e le meschinità. Veder maltrattare un cane, un servo o un bambino era per lui angoscioso e ben più di una volta aveva rimproverato i suoi cugini per certi comportamenti balordi, senza nessun risultato, com'è naturale. Essi lo trattavano come un chierico in visita, pur sapendo che un giorno avrebbe perso la pazienza.
C'era il virgulto di un sentimento in quel cuore limpido? Una fogliolina in boccio, di un colore ancora inespresso? Non posso ancora rivelarlo, perché nemmeno lui ne parlò a se stesso in quelle ore, non durante la preghiera - so che una curiosità viva si era impadronita di lui in quei giorni... e non era cosa da trascrivere per i posteri o narrare di corte in corte.

Guardando i propri figli inginocchiati davanti al re, mentre pronunciavano il loro giuramento, Bors e Bedivere sorridevano. Ma non confondete, ecco, questi due sorrisi, badate. L'uno significava dominio, orgoglio, sollievo; l'altro tenerezza, partecipazione, amore. "Guarda, Signore, il frutto del mio peccato Ti servirà" ragionava Bors parlando a Dio, e un balsamo scese sui suoi sensi di colpa; ma Bedivere pensava soltanto "Questo è il mio ragazzo" e si commosse come un uomo sa fare. Nessuno dei presenti alla cerimonia, pur conoscendoli bene, avrebbe potuto notare questa differenza, perché gli occhi di entrambi erano velati di lacrime, e apparivano egualmente emozionati. Ma la differenza era pur grande, non credete?


L'amicizia tra i due giovani non si era dimostrata un miraggio, era anzi cresciuta in confidenza e stima; Elyan non era ancora riuscito a parlare ad Amren dei suoi sentimenti per la bella Eneuawc, ma aveva introdotto il suo fidato Garanwyn nelle grazie di lei, che doveva necessariamente provare pietà e tenerezza per la sua condizione. L'idea riuscì, ma non per i motivi ch'egli credeva - e questo non potè che aumentare l'ammirazione che Elyan provava per lei. Eneuawc, infatti, non era incline a commiserare i suoi simili, ma ad apprezzare le loro qualità; ella amava suonare l'arpa sopra ogni cosa, e fu questo a suscitarle simpatia per quel ragazzo.
Elyan avrebbe senza dubbio barattato la propria bellezza per avere in cambio una famiglia unita e affettuosa come quella di Amren. Lo invidiava, in questo, senza però portargli risentimenti di sorta; lo considerava un compagno ideale, da cui attingere la saggezza necessaria a sopportare i periodi d'umor nero e l'inflessibilità del padre che talvolta troppo gli pesava - a questo proposito è inutile precisare che quando Bors partì per la Cerca del Graal, non sentì la sua mancanza...
Anche Garanwyn, in maniera opposta ad Elyan, non soddisfaceva i desideri del padre, il rude ed impietoso Sir Kay. Stanco di sentirsi chiamare con epiteti come "femminuccia" e "nullità", aveva l'intenzione di lasciare nuovamente quell'ambiente ostile. Ma la fedeltà ad Elyan e la quieta gentilezza di Amren lo frenavano nei suoi intenti, incatenandolo senza che riuscisse ad ammetterlo.
Gli altri due sapevano che con tutta probabilità non gli sarebbe mai stato permesso di ricevere l'investitura, eppure lo incoraggiavano lo stesso ad allenarsi. - Mio padre ha aiutato re Arthur a sconfiggere il gigante di Mont-Saint-Michel con una mano sola - gli ricordava Amren, orgoglioso. E sempre Garanwyn replicava: - Invece il mio si è fatto sconfiggere da Sir Gareth che era alto la metà di lui... - e a quel punto tutti e tre scoppiavano a ridere, perché la scena doveva essere stata divertente davvero.
- E che dire di mio zio Sagramore? Non era forse tra i migliori, nonostante la sua malattia? - faceva spallucce Elyan.
- Tutti abbiamo le nostre debolezze, ma non devono impedirci di credere in noi stessi - concludeva Amren. Garanwyn sorrideva con gratitudine, e le sue guance pallide si coloravano un poco.

- Lincoln. No, non è un posto grande come Camelot, niente a che vedere, ma era nostro. - Eneuawc sfiorava le corde pensosa, mentre condivideva con Garanwyn i suoi ricordi d'infanzia. - Non erano tutti nervosi come qui. Mi manca quella tranquillità... E d'estate andavamo a Grainthorpe, sulla costa. Fa freddino là, ma mia madre deve per forza passare qualche mese all'anno al mare, altrimenti sta male.
- Quindi vi piacerebbe tornare a casa?
Eneuawc negò decisamente. - Non esiste casa senza una famiglia. Credevo di essere felice, però mi mancava mio padre. Ora siamo di nuovo tutti insieme, e non m'incomoda più di tanto essere circondata di tanti sciocchi.
Era un'occasione perfetta per spingere in quella direzione. - Il mio signore... Sir Elyan, intendo... considerate anche lui uno sciocco?
- Certo che no! Amren non gli vorrebbe bene se lo fosse. Non posso fare a meno di amare ciò che i miei cari amano, e questo non per dovere, al contrario! Avete mai pensato, per esempio... che non è un caso se si nasce in una famiglia e non in un'altra?
Era un terreno poco gradevole per lui, e rispose con franchezza. - No, anzi, credo piuttosto il contrario.
- Mi dispiace, non avevo intenzione...
Gli chiese di parlarle della sua vita, così come lei aveva fatto con lui, e fu accontentata.
- Io sono nato qui a Camelot. Penso di aver deluso molto mio padre per via della mia gamba, e insomma... non posso dargli torto. Quando avevo nove anni, re Brandegoris capitò qui per non so quale affare e lo convinse a prendermi come paggio. Ero spaventato, ma non lo diedi a vedere. E poi, in qualunque posto fossi finito, non poteva essere peggiore di questo...
- Forse vostro padre aveva capito che qui non avreste avuto un futuro, che in un'altra corte vi sareste sentito utile.
- Forse - ammise Garanwyn. - Ma non attribuitegli una lungimiranza che non rientra tra le sue doti.
Andò avanti a raccontare. Cresciuto quindi a fianco di Elyan, aveva condiviso con lui le lezioni e persino i rudimenti della spada, nonostante il suo difetto fisico. Aveva manifestato prestissimo il suo talento per la musica ed il canto; andava d'accordo con tutti e suscitava tenerezza tra le dame. Ma con il tempo il re aveva  iniziato a trovare delizioso il suo parlare schietto nonché le sue canzoni, e sempre lo voleva accanto a sé, incoraggiandolo a rispondergli per le rime e divertendosi un mondo.
- Mi stava ammaestrando per farmi diventare buffone di corte.
Non avrebbe potuto rifiutare, se proprio allora Sir Bors non fosse giunto a reclamare suo figlio; in quel frangente Elyan aveva insistito per portare l'amico con sé a Camelot e il nonno, che mai gli aveva negato un desiderio, aveva acconsentito.
Kay non era stato entusiasta di rivedere quel figlio tanto inutile ai suoi occhi, ma i due si ignoravano cordialmente, e tanto bastava.
Un altro dei crucci di Garanwyn era la sorella maggiore, chiamata in segreto la Dea. E non certo perché fosse divinamente leggiadra, anzi, ma perché somigliava ad una statua dell'isola di Avalon: possente, dalla voce di tuono, Celemon comandava a bacchetta chiunque. Persino Sir Kay la temeva un poco e si chiedeva perché non fosse nata maschio e viceversa...
- A volte dice: "Sì signore, ho un maschio di nome Celemon e una figliola di nome Garanwyn...". E poi bestemmia, ma non è cosa che voi possiate sentire, madamigella Eneuawc.
- Fa così ridere? Vi piace che vostro padre vi consideri un buono a nulla?
- No, però è buffo che mia sorella sembri un uomo in tutto e per tutto. Riprendete a suonare, prego: mi sembra un motivo adatto per una nuova canzone.

Il cardo ha spine e tu non l'accarezzi
segui il profumo di una rosa rossa
ma poi si spegne quella vita breve
e sai che amor non è colore e luce
l'amore vive anche se lo disprezzi.



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Questa storia non è altro che un seguito/versione alternativa di Fly Little Wagtail. Per ora non è necessario averla letta per godere questa fic, ma più avanti le due vicende potrebbero "fondersi" in qualche modo. Potete comunque trovare un agevole riassunto della storia precedente *qui*

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Capitolo 2
*** La famiglia perfetta e l'amore di Rhelemon Hir. ***



@Ila: Ti scongiuuuuro! Ama Garanwyn, amalo immensamente, ma lascia perdere Celemon! È bruuuuutta e c'è un altro buon motivo perché tu non ti affezioni a lei! XD Ti consiglio di munirti di insulina prima di affrontare questo capitolo perché la parola che inizia per A è ripetuta almeno dieci volte.




Capitolo Due - La famiglia perfetta e l'amore di Rhelemon Hir.



Anche io pungo, se non te ne accorgi!
dice la rosa alla mano ingrata.
Così hai perduto entrambi, e sanguina
non le tue dita, ma il tuo cuore.
Quanto hai da imparare sull'amore!



Garanwyn era generalmente considerato innocuo dai genitori delle belle fanciulle in età da marito. Sir Bedivere non faceva eccezione, e perciò permetteva che la figlia si esercitasse all'arpa in sua compagnia. Non restavano mai soli, naturalmente; e poi Eneuawc non sembrava pensare ancora a certe cose...
- Ha giusto la stessa età che avevo quando vi sposai - gli ricordava la moglie. - E sapete che pensavo a voi già da tempo.
- Con questo cosa volete insinuare, donna? - In famiglia, per lui era assolutamente impossibile assumere un contegno serio. Per quanto aggrottasse la fronte, pareva che una risata dovesse sbocciare da un momento all'altro.
- Oh, via, non sarà con il figlio di Sir Kay. Conosco la mia donnina.
La moglie di Bedivere era Clarissant, figlia di Lot di Orkney. Era più bella, in età matura, di quanto fosse stata da giovinetta; colta e intelligente come poche altre dame, non somigliava a nessuno dei suoi numerosi parenti. Forse qualche piccolo vezzo la accomunava a Sir Gareth - un lieve tremito nell'angolo della bocca, quando si emozionava, o il tenere la testa inclinata mentre ascoltava un discorso - ma ciò si poteva facilmente attribuire alla loro infanzia trascorsa insieme piuttosto che al legame di sangue. In effetti Gareth era stato per lungo tempo il centro della sua vita e l'unico che tenesse davvero alla sua serenità. Dopo la tragica morte della madre e una breve ma sgradevole parentesi in quel di Gore, era andata a vivere con lui e la moglie Lyonors. Poi gli eventi avevano ricordato al maggiore dei fratelli, il famosissimo e indaffarato Sir Gawain, che era venuto il momento di cercarle un marito... e si era trovata sposa all'unico uomo che avesse mai desiderato da quando era bambina.
Erano un quadretto inusuale per quei tempi e quei luoghi, ma suscitavano più invidia che dicerie. Innanzitutto, era stato davvero un matrimonio d'amore, nonostante la differenza d'età. I figli erano stati allevati in casa invece di venire sbattuti all'altro capo della Britannia per servire emeriti sconosciuti. Sir Bedivere si era occupato personalmente di istruire Amren nelle faccende d'armi, e mai gli era passato per la mente di fare altrimenti. Nei limiti del rispetto reciproco, non c'era nulla che non potesse essere detto tra loro, e in un clima di tanta spontaneità non era inusuale che Eneuawc accogliesse suo padre saltandogli al collo anziché salutarlo con un compito inchino.
Mai si chiedeva a quale futuro l'avrebbe destinata; era fiduciosa ch'egli sapesse quanto era giusto per lei. E in fondo, perché affannarsi a pensare al futuro, quando la felicità presente sembrava dover durare per sempre?


Diversa era la situazione per la sfortunata Celemon. Come figlia del siniscalco aveva dei privilegi non indifferenti, tra cui sedere a tavola con gli uomini - per cui veniva spesso scambiata, tra l'altro. Non era stata educata in alcun modo, se non a dare ordini nelle cucine ed ispezionare il lavoro degli stallieri. Nessuno se la sarebbe presa in moglie, questo era sicuro, e in quanto a diventare monaca, ecco, Kay avrebbe preferito ucciderla con le sue mani.
Finì male, e non avrebbe potuto che finire così. Non avrebbe potuto scherzare e dispensare schiaffi ancora a lungo, tra le risate sguaiate e il sudore pungente di corpi vicini al suo. Capì che quando si succhiava le dita unte di salsa quelli ridevano più forte. Poi ne capì il perché, e smise di farlo. Nel frattempo un biondino aveva preso l'abitudine di occhieggiare il suo seno. Sapeva che se l'avesse detto a suo padre...
- Fammi posto, tu.
Ma no, non era il caso di spargere sangue di principi e duchi: si scannavano già abbastanza l'uno con l'altro.
- Ho detto spostati!
- Mi pareva di aver sentito "Potete spostarvi, prego?". Non siete più tra i vostri boschi, Gingalain.
Ahi. Il biondo Lovell di Orkney aveva adesso tutt'altra storia tra le mani che fissare le ragazze, belle o brutte che fossero. Si era ritrovato a testa in giù contro la parete, e l'altro si era messo a sedere pesantemente esaminando il piatto toccatogli in eredità. Aveva rivolto un'ultima occhiata al malcapitato sorridendo truce: - Grazie, fratellino, non c'è di che.
Era il Bellissimo Sconosciuto, Gingalain delle Fate, e finì male, perché non può finire bene quando un uomo ama una donna e ne ha sposata un'altra. Non se tu sei una terza.

L'acqua del pozzo era fredda nel buio. Anche il vento era freddo, e avrebbe avuto le mani screpolate, ma doveva pur lavarsi.
- Rhelemon Hir. - La sua voce era fastidiosa quasi quanto il frinire dei grilli, e odorava di vino. Ma era così bello.
- Dovete chiamarmi così?
- Mio fratello vi guardava in modo indecente. Vorrete perdonarlo, spero.
Lei alzò le spalle con rabbia. - Non me ne curo. C'è ben poco da guardare, dopotutto.
- È un branco di sciocchi, non pensate? Credono di essere già uomini, e non hanno visto nulla del mondo.
Era incredibile come le avesse letto nel pensiero. Avrebbe potuto continuare sullo stesso tono e mostrarglisi amica, ma preferì ferirlo dove bruciava di più: - So che vi sposerete presto con la regina del Galles. Congratulazioni.
- Congratulazioni un corno! - Gingalain sputò a terra. - Anche voi! Che ne sapete? Spettegolate tutto il giorno con le serve, e giocate a fare la dura, e non siete né una dama, né un ragazzo, ditemi cosa potete capire!
- Capisco che soffrite. Tanto vale ammetterlo.
Lui guardò le sue mani robuste posate sui fianchi, le sopracciglia spesse e vicine tra loro, il seno imbarazzante. Erano alti uguali.
- Non sono niente, è vero. - Celemon allargò le braccia. - Non sono niente e non so niente, ma questa sera soffro come voi.
Gingalain non sembrò intendere. Lasciò che i grilli parlassero al posto suo, e per quella sera non ci fu altro.
Ma finì male lo stesso, perché giunse la vigilia di quel giorno che lui odiava, e fu di nuovo sera e i grilli cantarono di nuovo, e si disse che sì, soffrivano tutti e due, e dopo faceva un po' meno freddo.

Vuoi cogliermi, o mano insolente
Come si coglie la pratolina?
E vedrai che arrossisco anch'io
tra i petali sciupati di lacrime,
uno per uno, sanguinano d'amore.


Garanwyn era davvero innocuo per la sua virtù ed Eneuawc lo scoprì un giorno che raccoglieva fiori vicino al torrente, e dopo che ebbe visto e udito rimase a pensarci sopra.
Li aveva visti parlare fitto fitto nell'erba, accarezzarsi i capelli e tenersi per mano.
No, non la trovava una cosa sbagliata, anche se chiunque altro avrebbe pensato che lo fosse.
Fu con animo più sereno, quindi, che affrontò l'argomento con il fratello. Gli parlò come era abituata a fare, con franchezza e intimità, e fu con altrettanta sincerità ch'egli le rispose.
- Forse lo amo, sorella. Non voglio separarmi da lui, ma nemmeno desidero forzarlo a cose di cui... potrebbe pentirsi, o vergognarsi. Certo, mi domando perché non sono nato come gli altri... perché non sono come Elyan, o come i figli di Sir Mordred.
- Se foste come Melehan, vi odierei cordialmente - affermò lei senza esitazioni. - E se foste come Elyan...
Anche lei l'aveva guardato, ricordiamolo.
- Non vorrei avervi come fratello, in quel caso - concluse, mordendosi poi le labbra e chinando lo sguardo. - Vi voglio bene così come siete, e non m'importa se amate un ragazzo anziché una fanciulla. Solo, mi rendo conto che i vostri sentimenti vi porteranno a soffrire.
Erano ben ingenui! Amren non si preoccupava di commettere peccato, ma prendeva appena le misure necessarie a non far scoppiare uno scandalo. Forse aveva letto troppi libri scritti in un'epoca lontana, quando tra amicizia e amore non esistevano confini tracciati in modo netto. Se fosse stato per il vescovo, quegli scritti sarebbero finiti in fondo al lago o nel fuoco già da tempo, ma in ogni caso non tutti leggevano tra le righe ciò che ad Amren sembrava invece chiarissimo. Achille e Patroclo, per esempio... e ancora no, non era il modello d'amore che si adattava a loro...
Non erano soltanto entrambi uomini - e vi par poco? - ma pur essendo entrambi di nobili origini, la loro condizione era assai diversa ed era poco probabile che potesse mutare; vivevano in un ambiente
che allontana senz'appello la debolezza e la diversità. Anche lui era diverso, non lo dimenticava, ma debole... no, non lo era mai stato. Si sentiva come un'arma ancora calda di fucina, ferro temprato che non ha bisogno di ornamenti, un figlio del suo tempo nonostante tutto. Ma Garanwyn, nonostante l'ironia che sapeva dimostrare, avrebbe dovuto sempre soffrire quell'atmosfera ostile! Era un angelo da proteggere, e l'avrebbe protetto... anche da se stesso. Oh, sì, lo amava. Dove gli altri vedevano due gambe storte e un corpo gracile, lui ammirava le labbra carnose e tremanti, e le ciglia dalle ombre lunghissime, e la smorfia di concentrazione quando ricordava le parole di una canzone. Aveva l'andatura di un cerbiatto appena nato, e lo stesso chiaro bisogno d'amore - quell'amore che sentiva di potergli donare all'infinito.

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Capitolo 3
*** Sir Bors svela i suoi piani. ***



Sì, esatto... Lady Juliana è la stessa di Quest for Camelot. E se vi ricordate il film saprete che Bors non l'avrà vinta XD







Sir Bors svela i suoi piani.


Era davvero raro trovare Clarissant o i gemelli di cattivo umore; persino la pioggia veniva salutata da Eneuawc come un'occasione per restare tranquilla a suonare anziché andare a passeggio con certe "vecchie vanitose" che adulavano la regina e poi le sparlavano dietro. Lady Laurel era una di queste ed era l'unica tra le ziette che dimostrasse per intero la sua età.
Ma i giorni neri c'erano ed era semplicissimo capirlo.
"È il sangue delle Orcadi, brutto affare" ridacchiava Lucan, quando la cognata gli si presentava davanti con quegli strani segni intorno agli occhi, ma per lei era più probabile che si trattasse del sangue di Avalon. Ella soffriva di una strana forma di incubi, forse più simili a visioni, che continuavano ad angosciarla per tutta la giornata successiva al risveglio. Talvolta erano nitidi, altre volte confusi, ma sempre verosimili. Temeva che quei sogni fossero in realtà visioni di un futuro... o un passato...
(o qualcosa che non era mai accaduto)
Qualche esempio potrà forse chiarire il suo tormento.
Il genero di re Uriens, Sir Colgrevance di Gore, era uno dei cavalieri più noiosi al mondo. Non aveva mai nulla di interessante da dire e risultava attraente soltanto a sua moglie.
Ma in quegli incubi Clarissant si ritrovava sposata proprio a lui, e felicemente a quanto pare.
Poi c'era la storia dei "mercanti delle vele rosse": gente di Norvegia che, quando era bambina, arrivava a Orkney su grandi e curiose navi. Ora, di notte, li rivedeva come sanguinari nemici. E a volte era come se non avesse i suoi occhi soltanto, ma quelli di due donne: e il nome dell'altra era Branwen. Credeva, allora, di sdoppiarsi; era una sensazione spiacevole... ma l'anima di Branwen era di gran lunga più pura della sua, e capiva che in quel tempo futuro o passato o al di là del mondo quella era la sua parte migliore. Lei era orgogliosa, piena di preconcetti e rancori, mentre Branwen non si vergognava del suo amore... ed era l'amore di entrambe, se lei si fosse mai decisa ad ammetterlo...

 E poi tutto tornava normale, i sogni restavano sogni e la realtà era quella che vivevano, luminosa, piena di promesse mantenute. Arrivava a lusingarla il pensiero - giunto da dove? - di aver potuto scegliere.




Non si pensi che la situazione di Sir Gingalain fosse dell'altro mondo. Siamo abituati a pensare che a quell'epoca fossero solo le donne a sottomettersi al volere dei loro padri quando si trattava di nozze, ma parliamo dei tempi floridi. Quando un regno iniziava a declinare, e ciò avveniva di solito in tempo di pace - anche i giovani venivano spinti al matrimonio con emerite e spesso vecchie sconosciute. Non erano guerrieri forgiati da mille imprese, ma ragazzini venuti su all'ombra di tanta gloria, quando non c'era più bisogno di dimostrare la propria lealtà o il proprio coraggio. Quando se ne aveva l'occasione, ormai? I Sassoni erano stati ricacciati ad est, i draghi erano quasi scomparsi dalle montagne e i mostri dai laghi paludosi, a nessun signorotto di provincia sarebbe più saltato in mente di rapire una bella damina, perché le belle damine erano tutte parenti di illustri cavalieri o di più agguerrite fanciulle... sir Ironside ne aveva fatto le spese non moltissimo tempo prima. Tutto ciò che ci si aspettava dal rampollo di un membro del Consiglio è che imparasse a maneggiare la spada e si mettesse al servizio del regno, casomai succedesse qualcosa. E che sposasse una donna influente per rafforzare i possedimenti al nord, a ovest o nel Continente.
Dunque, anche Sir Bors aveva dei piani per Elyan, e altrettanto incuranti delle sue inclinazioni sentimentali. Il fatto che il figlio si fosse innamorato lo spinse ad affrettare l'incontro con la futura sposa, peraltro.
- Voi forse pensate ancora a quella fanciulla meravigliosa, bionda e con gli occhi azzurri, di cui mi parlaste prima che partissi...
- Ha i capelli rossi, padre, e gli occhi verdi. - puntualizzò Elyan, pensando al ballo durante il quale si era finalmente dichiarato ad Eneuawc.
- Taisez-vous! Non è a una donna di questa corte che siete destinato. Sposerete Lady Juliana di Francia, e visto che avete già altro per la testa, sarà meglio partire subito prima di sapervi compromesso!
Elyan ne fu sconvolto. Cercò di pensare velocemente: che cosa al mondo avrebbe potuto far cambiare idea al genitore? A che cosa teneva più che alle sue terre?
- Ma padre, Eneuawc mi ama. Ne avrà già parlato con la sua famiglia, e sono sicuro che non desiderate avere dissapori con Sir Bedivere...
Bors diventò scarlatto e il suo contegno di solito pacato si trasformò in un confuso terrore. - Vi siete... impegnato... e non avevate nessun diritto ad impegnarvi! Si tratta quindi della figlia di Bedivere e di quella strega? Mai, mai permetterò al mio sangue di unirsi al loro! Capisco come vi abbia affascinato, sono delle grandi esperte, quelle...
Si frenò prima di rivelare dettagli poco edificanti sulla nascita di Sir Mordred, ma nel frattempo Elyan era inorridito alla scoperta che suo padre disprezzava la maggior parte delle dame di Camelot.
- Considero lady Clarissant una persona squisita, e poco m'importa della sua religione. Il Dio dei cieli e la Dea della terra si sono uniti per dare alla luce il nostro regno, e siamo tutti loro figli.
- Tu sei mio figlio, e se pronuncerai ancora queste oscene bestemmie davanti a me, ti farò pentire di essere nato! Ma io so chi ti ha messo in testa queste baggianate, è quel carciofo malriuscito con cui ti accompagni. In ogni caso, partiremo subito.
Lo lasciò solo per chiamare il fratello Lionel (che a quarant'anni passati era ancora scapolo, eppure non aveva fatto nessun voto di castità) perché si occupasse dei preparativi, poi per scrupolo spiegò la situazione a re Arthur, tralasciando di riferirgli a chi Elyan aveva fatto quel tantino di promesse - forse anche al re importava più delle terre sul Continente che di una ragazzina delusa, ma non avrebbe permesso che si desse un dispiacere a Sir Bedivere e men che meno a Clarissant, che era - insieme a Gawain e Gareth, naturalmente - una delle poche cose che a quella sciagurata di sua sorella fossero venute bene.
Elyan fece l'unica cosa in suo potere, e cioè andare a cercare Amren. Sapeva che si sarebbe infuriato, ed era giusto così, ma doveva almeno provare a spiegargli come stavano le cose.
Non era un vigliacco! Non voleva abbandonarla, perché mai avrebbe dovuto? Era innamorato, e da poco aveva la certezza che lei lo ricambiava... non l'avrebbero giudicato così pazzo da cambiare idea!
E allora perché si sentiva in colpa lo stesso?
- Te lo dico io perché. Sei stato imprudente e hai rovinato tutto prima ancora di cominciare. Non credevo che le cose stessero a questo punto... avrei dovuto capire, dovevi parlarmene prima!
- Lo so, e ti chiedo perdono.
- No, non a me, accidenti! Non sarò io a sentirmi umiliato e respinto,  e non sarò nemmeno io ad impugnare le armi contro tutti voi... perché mio padre ne sarebbe capace per un affronto simile. Elyan, te lo dirò una volta soltanto, per il bene che ti voglio: se andrai fino in fondo, se sposerai quella donna, non tornare mai più in Britannia!
- Non dipende da me, Amren, nemmeno questo - rispose Elyan con un filo di voce. Non osava sostenere il suo sguardo, non avrebbe sopportato di leggere il disprezzo negli occhi dell'amico. - Promettimi che le parlerai, e le dirai che è lei che amo.
Amren le parlò, e le ripeté ogni singola parola, più e più volte, ma non gli parve che a Eneuawc fosse di conforto lì per lì. Né tali rassicurazioni poterono sbollire la rabbia di Clarissant, a cui mancavano alcune nozioni fondamentali della vita. Non avendo praticamente mai conosciuto suo padre, non conosceva la sottomissione; le era stato dato per marito proprio l'uomo che voleva e che non aveva mai trattato lei o i loro figli come una sua proprietà o come esseri inferiori. Si meravigliava, adesso, che Elyan non avesse scelto di liberarsi dalle grinfie di Sir Bors e far parte della loro famiglia... e se non l'aveva fatto non amava abbastanza Eneuawc, questa era la sua conclusione.
Sir Bedivere era invece, più che adirato, profondamente triste. Forse Amren aveva ragione nel credere che avesse una voglia pazzesca di impugnare la spada e fare a pezzi l'intero clan di Ganis, ma ciò non significava che l'avrebbe fatto. Ne ebbe l'occasione più tardi, quando la tragedia e il disonore si abbatterono sulla corte in ondate successive, come la tempesta che prima strappa le vele, poi l'albero e infine fa inabissare la nave.

Or si rovescia il mondo,
il sole sorge ad occidente.
Gira troppo in fretta
e più non ci riscalda.
Ruggine e noia,
questa vita è niente.


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Capitolo 4
*** La spia di Sir Lancelot. ***


"Veramente, vivo in tempi bui!" scriveva Brecht, e mi sembra una citazione perfettamente calzante con la situazione dei nostri protagonisti...
L'ispirazione è tornata e così il buonumore, nonostante il caldo. Ma scrivo sempre per le bianche scogliere.







La spia di Sir Lancelot.


Celemon fu tra coloro che prepararono il rogo destinato alla regina. E chi meglio di lei avrebbe potuto farlo? Suo padre era rimasto turbato al solo pensiero, ma lei l'aveva rimbeccato, come suo solito, spedendolo a dormire: - Io faccio il mio dovere e voi il vostro.
Kay alzò la candela illuminando per l'ultima volta il viso di sua figlia. Grugnì, scuotendo la testa, e si allontanò lasciandola al buio.
Non ci sarebbero più stati sguardi maliziosi, né amichevoli risse per un posto a tavola; nessun altro uomo l'avrebbe avuta, nemmeno per pietà e disperazione come aveva fatto Gingalain. Oh. Ripensare a lui faceva così male, e provò orrore quando capì che non v'era proprio differenza, che anche se non fosse morto per mano di Sir Lancelot apparteneva ormai ad un'altra, e prima a un'altra ancora, quella Pucelle che forse l'aveva ormai dimenticato...
Il suo desiderio di morire era attenuato dalla voglia ancora più forte di veder bruciare viva la regina, perché in fondo l'aveva sempre odiata, con i suoi capelli biondi e quelle caviglie sottili, sottili.
Odiava lei, e odiava Sir Gawain che non aveva versato una lacrima per la morte dei suoi figli, e Garanwyn, sì, lui più di tutti.
Ora, seppure senza saperlo- Celemon ed Eneuawc avevano una stessa imbarazzante situazione ad accomunarle; entrambe avevano amato un uomo destinato ad un'altra. Ma se la figlia di Bedivere versava le sue lacrime con dignità per il forzato abbandono di Elyan, Rhelemon Hir si rendeva conto che non gliene rimaneva nemmeno un briciolo, di dignità -
Lei che per anni aveva riso alle battute degli uomini senza conoscerne il significato
E non aveva mai avuto rispetto per nessuno, eppure lo esigeva dagli altri
E non aveva mai detto una parola per difendere suo fratello dai cretini di turno
E non aveva mai ammesso che le sue canzoni la emozionavano, che sembravano parlare anche di lei.

Piange, viola di freddo,
e il vento si è calmato,
ma non può aprire i petali
non più, non più,
rosso di vergogna, smetterà mai di tremare?

Eneuawc era stata coccolata e rincuorata da tutta la famiglia, e alla fine Sir Lucan era riuscito a strapparle un sorriso - di questo Amren si risentì alquanto, ma non lo fece notare - dichiarando che nelle terre di Bors era considerato peccato stringersi la mano, che l'uva da quelle parti diventava aceto direttamente, e infervorandosi nell'inventare altre allegre calunnie senza capo né coda.
Ma Celemon non conosceva le coccole. Non ne aveva mai ricevute e non sapeva come darle, né a chi. Immaginò la reazione di suo padre se poco prima l'avesse abbracciato, così, di punto in bianco.
Sarebbe stato imbarazzante e patetico.
Nessuno si era mai avvicinato alla sua culla agitando un fiore davanti a lei per farla ridere. Nessuno le aveva detto che doveva voler bene al suo fratellino anche se con la sua nascita aveva perduto la madre.
Uscì in cortile e si sfilò l'anello dal dito. Aveva creduto che non fosse prezioso, per la sua foggia sconosciuta e soprattutto per l'informalità del contesto in cui l'aveva ricevuto. Sir Gingalain l'aveva dato a lei per dispetto, perché non l'avesse la sua futura sposa, e le aveva detto certe parole che non avevano alcun valore fuori da quel contesto assurdo:
- Sposerei voi più volentieri, almeno non mi annoierei. E credereste in me, e potrei essere me stesso. Siamo uguali, noi due.
Era l'anello di sua madre, dama Ragnell Somer Joure, la prima moglie di Sir Gawain. E ora Celemon, la ragazza più sgraziata e indisponente di Camelot, lo riscaldava tra le mani quasi potesse far rivivere l'uomo che gliel'aveva donato. Stupida. Stupida due volte. Aveva letto le iniziali all'interno fantasticando che G e R potessero significare qualcos'altro. Lui non la chiamava forse Rhelemon Hir? Per la prima volta aveva trovato quel soprannome più che accettabile. Le sembrò, per la prima volta (eppure l'aveva indosso da molti giorni), di sentire una strana forza irradiarsi dall'anello, fino ad avvolgerle la mano di un calore intenso... si spaventò e lo gettò via, allontanandosi dal portone per non rischiare di rivederlo alla luce delle torce e cambiare idea.
Ma non c'era alcun pericolo - nessuna magia era ormai in grado di trattenerla.
Aveva riflettuto prima di decidere che cosa fare. Perché tante e tante altre prima di lei si erano uccise per amore: ad Iseult, la regina di Cornovaglia, si era spezzato il cuore quando Sir Tristan era morto; e poi quella dama che aveva perso la testa per Sir Lancelot ed era arrivata in barca, aveva avuto un funerale strepitoso... ma il punto era che si trattava in entrambi i casi di bellissime donne. Che cosa avrebbero detto del suo corpo quando l'avrebbero trovata? Non certo che erano rimasti petali di rose sulle sue guance, o che il suo pallore pareva di luna, non che la morte l'aveva sfiorata con una piuma o aveva strappato l'anima ma non l'innocenza. Ma poteva sopportarlo, e poi il suo gesto non avrebbe suscitato tanto clamore in mezzo ai grandi festeggiamenti dell'indomani.
Si legò le mani e tirò la corda con i denti; poi, seduta sull'orlo del pozzo, chiuse gli occhi e cercò di ricordare il volto di Sir Gingalain. Dal buio della sua mente apparve soltanto la risata di suo padre ubriaco, e allora rise anche lei, e la notte era quasi finita quando si diede la spinta e piombò con malagrazia nell'acqua.

Non fu scoperta che dopo il massacro, quando l'odiata Ginevra era ormai salva e in viaggio per Joyous Gard.


Non c'era un'anima nelle scuderie, perché non erano previste partenze immediate.
Notoriamente i cavalli non hanno anima, e gli unici esseri umani nascosti lì dentro avevano appena gettato via la propria in nome di un sentimento.
Si erano ripromessi più volte che avrebbero mantenuto la loro relazione su un piano platonico - e se avessero letto soltanto Platone, forse ci sarebbero riusciti. Ma abbiamo già stabilito che i loro modelli erano altri, e le ultime vicende li avevano avvicinati talmente...
- Vorrei capire a chi appartengo. - Era un dubbio lecito. Nessuno lo reclamava, nessuno gli avrebbe chiesto di fare alcunché. Non apparteneva a suo padre, che non si era mai curato di lui, non aveva seguito Elyan in Francia e nessun vincolo lo legava a re Arthur né a chicchessia. Si era sentito libero per la prima volta, e questo l'aveva spaventato - vi stupisce che avesse cercato, tra le braccia di Amren, la sicurezza che gli mancava?
La paglia sparsa sul pavimento di terra battuta non ne migliorava la comodità. Amren si tirò su, accarezzandolo con lo sguardo intenerito: - Vorrei dirti che sei mio, ma non sarebbe giusto. Sei mio adesso, questo posso giurarlo.
Garanwyn lo attirò di nuovo a sé, sudato e infreddolito com'era:

Mai questa neve si scioglierà?
L'unico sorriso sghembo
è quello della luna.
Tu sei la mia luna stanotte.

Cantava al suo orecchio, avvinghiato a lui con le braccia magre, ed ebbe un bacio ad ogni verso, e altri come premio alla fine. Era notte fonda, la notte dell'attesa.
- Esiste un posto solo per noi, a questo mondo? Voglio dire, non per una notte. Per una vita.
- Non in questa vita - rispose Amren, ripensando ai suoi sogni.
Proprio come la madre, egli sopportava la compagnia di persistenti e tragiche visioni, un groviglio di accadimenti che, ripensandoci a mente lucida, riusciva a riunire in un'unica immagine: l'urlo di sangue del mare. Ne aveva parlato con lei e sembrava coincidere tutto. Lo imbarazzava il particolare che in quei sogni lui non fosse suo figlio, ma di
(Branwen)
un'altra donna più giovane.
E il pensiero delle vele rosse all'orizzonte che fanno rizzare i capelli e stringere la spada in pugno...

Ma adesso c'era questa, di vita, e questa spada, da portare in un'occasione infame come l'esecuzione della regina.
Non voleva esserci. Non voleva avallare una decisione tanto crudele. Ora che conosceva il peccato, non riusciva più a condannare Sir Lancelot per il suo tradimento né pensare che la regina meritasse una tale fine...
- Sei fortunato, Garanwyn.
- Eh-oh? - L'altro si sciolse dall'abbraccio per guardarlo negli occhi. - Sì, avrei potuto non incontrarti mai.
- Non è questo. Sei l'unica persona davvero libera in questo inferno, puoi ancora diventare quello che vuoi. - Finirono di rivestirsi a vicenda, come in una cerimonia silenziosa.
- Ma io non posso essere come te! Non posso correre, né combattere. - protestò Garanwyn dopo un poco.
Amren scosse la testa. Non era riuscito a farsi capire... - Tanto meglio, perché tu non vuoi diventare come me! Non vuoi essere come Elyan, e tantomeno come tuo padre! Sei speciale... no, non c'entra quello che ti manca, è quello che gli altri non hanno e tu hai...

- Ascoltalo, ti verrà utile. - La voce, troppo familiare per indurli in allarme, non mancò tuttavia di sbalordirli.
Una figura uscì dall'ombra e si piazzò di fronte ai due giovani. Si tolse il mantello scuro e sfilò la propria arma dal fodero quindi, lentamente, la posò davanti a sé. Elyan de Ganis, cugino in secondo grado di Sir Lancelot, sulla lista nera di re Arthur, affidava la sua vita a coloro che fino a poche settimane prima erano stati i suoi più cari amici.

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Capitolo 5
*** L'anello magico, istruzioni per l'uso. ***


@Ila: No, fortunatamente nel cartone animato Bors non compare, fiuuu!! Era un modo per spoilerarti quello che comunque leggerai più sotto. Cioè, chi se la sposa. *ma perchééé devo combinare sempre questi crossover pasticciati?*
Anche a me Celemon piace, perché è uguale a me. Ma dovevo scegliere tra fare morire lei o un altro personaggio, e... ho optato per tutti e due *HAHA! stile Nelson Muntz*
Ma... come? La tua AMATA Ginevra? E da quando? *rotola* Comunque sappi che mi sono commossa quando ho visto le notifiche delle recensioni apparire una dopo l'altra, io non merito tanto!! *fusa micionesche*








Capitolo cinque - L'anello magico, istruzioni per l'uso.


- Mi avevi proibito di tornare, Amren, e credimi se ti dico che avrei voluto farne a meno. Tocca a te. Puoi farmi arrestare, qui, adesso, oppure ascoltarmi.
Garanwyn si morse il labbro. Sentiva che presto gli sarebbe stato chiesto di scegliere, ma non era la scelta in sé che lo turbava: aveva già deciso, e non aveva timore di dirlo. Ma voleva ancora bene ad Elyan, e se Amren avesse deciso di denunciarlo...
- Come sei riuscito ad entrare? È zeppo di guardie ovunque. - Amren sembrava preoccupato, ma non furioso. Stava ancora soppesando i rischi che tutti e tre correvano in quel momento, ma poi il dispetto e il pudore lo colsero: - Cos'hai visto? Quanto sei riuscito a vedere?
Elyan rispose che sapeva da tempo dei rapporti tra loro, e che non aveva nulla da dire a proposito; lo sguardo fermo rivelava la sua sincerità. Questo atteggiamento li rassicurò in un certo modo.
- Non voglio nascondervi nulla. Sir Lancelot mi ha inviato a raccogliere informazioni sulle intenzioni del re nei confronti della regina Ginevra. Sono riuscito a scoprire che all'alba verrà eseguita la sentenza, o meglio... così è stabilito.
- Perché... lui lo impedirà?
- Se mi lascerete andare, gli dirò ciò che gli necessita sapere per giungere qui e condurla in salvo, sì, è questo il suo proposito.
Amren era combattuto. Ecco cosa significava ciò che aveva appena detto a Garanwyn: essere liberi è un dono raro. Permettere che Sir Lancelot entrasse a Camelot e liberasse la regina era un tradimento grave. La tribù dei Coritani era stata fedele a re Ambrosius, ad Uther Pendragon e ora a suo figlio Arthur. Suo nonno, Corneus, era morto in battaglia contro l'offensiva dei re del Nord. Suo padre aveva affiancato re Arthur in ogni singola guerra, in ogni decisione, popolare o impopolare che fosse. E lui stava per spezzare un patto antichissimo, saldo e sacro - per che cosa? Per la vita di una donna infedele? Per un amico altrettanto inaffidabile, che aveva rotto il fidanzamento con sua sorella?
No. Amren non lo denunciò per un'altra e più semplice ragione: sapeva che Garanwyn non gliel'avrebbe perdonato. E tanto gli bastò. Annuì, senza sorridere.
Elyan si inginocchiò per ringraziarlo, ma lui ne ebbe orrore. - Queste smancerie riservale ai tuoi amici oltre lo stretto o a tua moglie, non a me.
- Ma devo dirti... non c'è stato nessun matrimonio, è andato tutto a monte! - bisbigliò Elyan, felice di poter rivelare quel dettaglio che poteva, doveva fargli piacere. - Non ho tradito Eneuawc, e se già l'hai rassicurata sul mio amore, ora le dirai che sono ancora suo, che quando potremo tornare senza vergogna io la sposerò...
Garanwyn era al settimo cielo. - Le parlerò io. - Attese, con un fremito nel cuore.
E la domanda arrivò, perché Elyan non poteva esimersi dal metterlo di fronte a quella scelta, se partire con lui per Joyous Gard oppure restare a Camelot.
Gli rispose con voce sottile ma ferma: - Se non ti reco offesa, desidero restare.
Il figlio di Bors disse che la sua decisione non alterava minimamente la sua stima per lui e anzi, per usare le sue parole, "quella temerarietà lo inorgogliva"; gli ricordò comunque che in caso di pericolo avrebbe trovato un rifugio sicuro ad Estangore perché, conoscendolo, era sicuro che Brandegoris si sarebbe mantenuto estraneo alla contesa.
Così si separarono, Amren ed Elyan, ancora nemici ma legati da una speranza di riconciliazione. Ah! Quelle naïveté!


Due righe su ciò che era accaduto in Francia, poiché non si deve pensare che Elyan mentisse a riguardo.
La signora era bella, senza dubbio, schietta e gentile. Aveva accolto Bors, Lionel, Ector ed Elyan con una gran festa, i cibi più squisiti e la musica più allegra. Aveva detto che tutto considerato, forse, insomma non si aspettava che il futuro sposo fosse così giovane, e tra un ballo e l'altro aveva chiesto ad Elyan se avesse già una fanciulla nel cuore.
- Lady Juliana, siete sempre così franca? - aveva risposto il ragazzo, imbarazzato.
- E voi, siete così devoto a vostro padre da sposare una persona che non amate, sapendo che sarete infelice per il resto della vostra vita?
Elyan non avrebbe potuto rispondere in nessun modo senza ferire i suoi sentimenti o adularla - ed entrambe le cose non le avrebbero fatto piacere; finalmente aveva capito che doveva essere sincero di rimando, e aveva confessato: - Sì, rispetto le decisioni di mio padre e no, non credo che voi possiate in alcun modo rendermi infelice, signora...
- E non credete che potrei essere io a soffrirne? - aveva replicato Lady Juliana.
Non lo stava guardando negli occhi e voltandosi Elyan scoprì il perché.
Era in corso un corteggiamento che nulla lasciava all'immaginazione. Suo zio Lionel, che giocava a dadi con Ector, aveva già perso un piccolo patrimonio; affermare che fosse distratto dalla bellezza della signora del castello era un termine troppo vago per rendere l'idea. Ne era letteralmente stregato, e quando Elyan era tornato a guardare in volto la sua promessa si era reso conto che il sentimento era reciproco.
In breve, Sir Bors non fu soddisfatto della piega che avevano preso gli eventi, ma non aveva potuto opporsi a lungo alle nozze di suo fratello: in questo modo i suoi progetti non erano andati affatto a monte, ma anzi si erano conclusi nel modo più felice. E già Elyan pregustava il momento in cui avrebbe potuto sciogliere l'equivoco e presentarsi al cospetto di madamigella Eneuawc a testa alta, o forse strisciando ai suoi piedi, che importava? Bastava che lo perdonasse!
Ma proprio al loro ritorno si era scatenato il putiferio, perché per una volta che Bors aveva dispensato un saggio consiglio - ed era veramente raro, si badi bene -  Sir Lancelot non l'aveva voluto ascoltare.
Ma non indugerò su eventi già narrati altrove. Avevamo lasciato i nostri giovani cavalieri, l'uno che sgusciava a fare rapporto a Sir Lancelot, mentre l'altro...


Sarebbe riuscito a dormire almeno per una mezz'ora? Amren ne dubitava. Ma anche restar fuori a prendere freddo non aveva molto senso. Che cosa aveva senso, dopotutto? La sua famiglia. Il corpo di Garanwyn stretto al suo, la sua voce, i suoi capelli. E l'augurio che tutti gli equivoci si sarebbero risolti, che non sarebbe stato versato altro sangue... era chiedere troppo?
Udì un tonfo e un agitarsi d'acqua dall'altro lato del cortile, in un punto che non riusciva a vedere. Forse un gatto o un altro animale era caduto nel pozzo. Riusciva a immaginarlo: le zampette che si dibattevano, i tentativi di restare a galla, poi l'immobilità assoluta, la pace. La morte era così semplice. Crudele, ma semplice. È lei che ci sceglie, non ci chiede a che cosa rinunciare...
Un luccichio catturò la sua attenzione. C'era qualcosa a terra, vicino all'ingresso, così si chinò a raccoglierlo. Aggrottò la fronte: era un anello, forse d'argento; ne sentì sprigionare la magia e ciò non lo stupì. Non si chiese di chi fosse, né se poteva fargli del male. Quando fu nella sua stanza, stringendolo nel pugno, espresse un desiderio semplice ed ingenuo: non essere costretto ad assistere all'esecuzione. Se fosse stato più previdente e compassionevole, avrebbe ricordato che qualcun altro meritava questa grazia più di lui.
Scivolò in un sonno innaturale, una sensazione di vertigine intensa, e presto fu colto da una febbre altissima. Si chiese perché il mare dei suoi sogni fosse rosso fuoco, questa volta, e perché la sete non si spegnesse... nuove immagini vorticavano nella sua mente sino a farlo urlare: quel gatto annegato, che ora aveva un volto di donna, figure grottesche, strapiombi, campi di battaglia, scaffali colmi di libri che riempivano pareti smisurate - poi tornava il fuoco e riduceva tutto in cenere - e città deserte dalle strade lastricate di scheletri, e barili colmi di sangue, e unicorni braccati da arcieri dal volto di demone... poi fu buio, e una mano ruvida si posò sulla sua fronte. Qualcuno l'aveva sollevato dal pavimento e si ritrovò sul letto, incapace di muovere un solo muscolo. Gli tolsero le scarpe, sentì una coperta posarsi su di lui e provò ad aprire le palpebre, che sembravano pesare come macigni. Balbettò: - Acqua... - e svenne di nuovo.
Di nuovo le visioni, di nuovo l'angoscia rutilante sull'acqua: ma poi la luce si fece neutra, sentì una spugna bagnargli il viso, rinfrescargli le labbra e prese a succhiarla avidamente.
- Bene, stai già meglio... che cos'hai in mano? Amren, che cos'è questo? Mio Dio, lo so cos'è! Chi te l'ha dato?
Forse sarebbe riuscito a rispondere, se il frastuono proveniente dall'esterno non avesse fatto scattare in piedi il suo soccorritore; udì i suoi passi pesanti allontanarsi. Gli aveva preso l'anello, ma questa era l'ultima delle sue preoccupazioni.
Trascorse l'intera giornata nel dormiveglia, mentre la febbre scendeva e solo un lieve languore gli intorpidiva ancora le membra; verso sera, quando tornò completamente in sé, si stupì di essere stato abbandonato a se stesso per così lungo tempo. Con cautela si alzò, si avviò alle cucine e chiese da mangiare: c'era solo una vecchia cuoca, che gli mise davanti della carne e del pane. Amren mangiò con appetito poi, sentendosi in forze, pensò di uscire a prendere una boccata d'aria: ma le urla che provenivano dalla Sala lo fecero affrettare in quella direzione.
La scena era pietosa, insopportabile alla vista e quasi grottesca, tanto più che i protagonisti non erano fragili creature ma uomini forti e potenti.
Qualcosa di terribile doveva essere accaduto, perché i volti del re e dei suoi ufficiali erano trasfigurati da un dolore folle: suo zio Gawain, più di tutti, sembrava aver perso il senno. Al contrario Sir Mordred esibiva un certo contegno, ma era una curiosa eccezione in quel trambusto; nondimeno suo padre gli andò incontro facendogli cenno di seguirlo fuori dalla stanza.
Alla fioca luce del corridoio si accorse che aveva gli occhi rossi di pianto, e sentì il suo braccio stringerlo così forte da fargli male. Chiuse gli occhi e chiese cosa fosse accaduto ma, quando Sir Bedivere lo accontentò, si rese conto che avrebbe preferito non sapere.
- Dovrei essere adirato con te perché ti sei sottratto al tuo dovere, ma so e sento che non me ne importa nulla. Se tua madre avesse perso anche te... oh ragazzo mio, va' da lei! Ha bisogno di tutto il conforto possibile, ed io non posso allontanarmi...
- Non accusarlo di un torto che non merita, fratello. - Sir Lucan li aveva raggiunti. - Era ammalato la scorsa notte, e posso giurare davanti a Dio che non era in condizioni di muovere un passo; in quanto al dovere, fossero stati tutti disertori oggi! Ma vivi!
Bedivere non osò contraddirlo, rinunciando a quelle occhiate di finta collera che spesso gli riservava.
- Dunque eravate voi, zio... che dire, grazie di avermi prestato soccorso. - boccheggiò Amren, ricordando all'improvviso tutto quanto era accaduto: l'incontro d'amore con Garanwyn, l'arrivo di Elyan, quel compromesso che ora si rivelava un vero e proprio tradimento...
Lucan fece una smorfia che significava "Ne parleremo in un'altra occasione" riferendosi probabilmente all'anello, e non si accorse che il volto del nipote aveva cambiato colore.
- Amren, ti prego, va' da tua madre. Dille che vorrei essere con lei in questo terribile momento - ripeté Bedivere con sollecitudine.
Il giovane obbedì, sentendosi addosso - come un pesante mantello di tenebre - la sua parte di colpa per quella tragedia.

Dea, le tue statue crollano.
Terra, le tue montagne tremano.
Cielo, i tuoi figli piangono.
Tutto è ormai spezzato e perso,
galleggiano i relitti di un tempo concluso.

Dopo aver vagato a lungo per il castello, stordito ed in pena, Garanwyn trovò il padre profondamente addormentato con la testa sul tavolo. Una brocca vuota e un mestolo macchiato di vino gli fecero capire che non si sarebbe svegliato tanto presto. Rimase a guardarlo, trasognato. Non l'aveva mai visto così indifeso e umano. E poi Sir Lucan si affacciò nella stanza:
- L'ha presa bene, credimi. E per tutto il resto lo coprirò io. Ho le spalle larghe, dicono.
Si schiarì la voce, non sapendo bene come trattare con lui. Non era diverso dai suoi nipoti, in fondo, pensò. Tranne per il fatto che non era fortunato come loro.
- Mi dispiace per tua sorella.
- Non era buona con me - Garanwyn fece spallucce, irritato, ma si sentì subito in colpa.
- Non era nemmeno cattiva. E neanche lui. - continuò accennando a Kay. - Credimi, un giorno si renderà conto che ti vuole bene. Gliene concederai l'occasione?
- Sì - rispose incerto, provando il desiderio di abbracciare quell'uomo.
- Il mondo va a rovescio. Siete voi che dovete insegnarci a vivere e ad amare... siete voi.
Garanwyn lo guardò negli occhi, quegli occhi neri che non avevano mai fatto palpitare il cuore di una dama, la barba che incorniciava un viso comune e un poco rude.
- Siete gentile, signore.
Lucan sorrise e scivolò via senza far rumore. Era il suo mestiere, dopotutto, essere trasparente. Gentile, già, simpatico, certo, infaticabile, senza dubbio, ma trasparente.
A chi importava della sua felicità? Non a lei.
E ancora no, non le avrebbe attribuito un totale disinteresse; lei gli voleva bene a modo suo, nei limiti del decoro. D'altra parte, se mai si fosse comportata altrimenti, non si sarebbe forse sciupata quell'immagine sublime che aveva di lei? Eppure quella notte aveva avuto la tentazione di usare l'anello per soddisfare il proprio desiderio! Di distruggere tutto ciò che aveva! Dio, se Sir Lancelot non fosse arrivato come una furia provocando la strage e distogliendolo da quei pensieri, avrebbe chiesto di averla...
La sua unica amica! Colei che chiamava sorella, che si fidava di lui ciecamente, che rideva alle sue trovate e non sapeva cosa si agitava nel suo animo! Che poi, chi sa quando l'avrebbe più vista sorridere, dopo quanto era accaduto...
Aveva visto per la prima volta l'anello magico il giorno delle nozze di Gawain con dama Ragnell. Sapeva del suo potere discreto ma efficace, dei suoi rischi e dell'assoluta casualità con cui esaudiva il desiderio sincero di chi lo possedeva e credeva nella sua forza. Un desiderio e uno soltanto. Tutto questo era riuscito ad estorcere tempo prima a Sir Gromer in una serata di bevute.
Sapeva anche che Gawain ignorava le sue proprietà, ma vi era tanto affezionato che non l'avrebbe mai donato ad altri che al figlio maggiore, in occasione delle sue nozze... dunque perché non era nel Galles, al dito della legittima moglie del povero Sir Gingalain? Perché il destino l'affidava ora al peggiore degli uomini?
- Sono un miserabile, turpe, infame traditore. - Si batteva il petto, la vergogna che saliva a disgustarlo di se stesso, e capì d'un tratto cosa voleva veramente. Stringendo in mano quell'oggetto malefico, formulò la sua richiesta.

Io, Sir Lucan di Lindsey, maggiordomo di Camelot,
non voglio sopravvivere alle tre persone che più amo.
Il mio re,
mio fratello,
e la sua signora, colei per cui soffro, il cui nome non merito di pronunciare.




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Capitolo 6
*** Addio a Camelot ***


Oddio, mi sa che è troppo corto. Terribilmente corto, ma mi sembrava compiuto in sé. I veri nemici cominciano a scalpitare di malvagità e come al solito non riesco a resistere alle convenzioni: cattivi da una parte e buoni dall'altra XD Non sono per niente convinta delle "ragioni" di Melehan, ma ormai l'ho impostata così -.- *depression*







Capitolo sei - Addio a Camelot


Il fiume scorre in diagonale tra le colline di gesso, a nord, e le miniere di argilla nella parte meridionale di Lindsey. Attraversa la capitale per poi dirigersi verso il mare, e sfocia in un maestoso estuario non lontano dal luogo dove re Arthur combatté la prima volta contro i Sassoni. Lady Clarissant era tornata a contemplare quel paesaggio incantevole dal castello di Lincoln, ma senza più traccia d'incanto nello sguardo. E quanto al contemplare, temo sia una personale trovata poetica; non aveva tempo per affacciarsi o guardarsi attorno. Sir Bedivere era il signore di quelle terre, come primogenito del duca Corneus, ma le responsabilità di cui era investito presso la corte di Camelot gli avevano reso impossibile governare in prima persona. Lo stesso valeva per Lucan, legato a doppio filo alle necessità del re; perciò fino ad allora era stato Sir Griflet a occuparsi di tutto. Oh, l'aveva conosciuto bene durante tutti quegli anni, e sapeva che mai l'invidia l'aveva sfiorato; amava i suoi cugini ed era felice che fossero tanto benvoluti dal re... e amava Lindsey, i suoi altopiani e le sue distese verdi, le spiagge che da Grainthorpe corrono giù fino al golfo. L'abbondanza dell'ultimo raccolto, di cui stavano per gustare i frutti, era stata anche il suo estremo, inconsapevole dono.
No, lei non era stata l'unica a soffrire, eppure non si era curata che del proprio dolore!
Aveva dimenticato che non è la morte, ma il disamore a distruggere. E finché c'era amore bisognava vivere.
Era il momento di asciugarsi le lacrime e rimboccarsi le maniche. Se ci sarebbe stata una guerra, al re suo zio occorrevano uomini e risorse, e Lindsey avrebbe dato tutto ciò che poteva.


Amren era tornato dall'assedio di Joyous Gard (che stava per cambiare nuovamente nome) con l'orrore negli occhi. Benché non fosse stato costretto a scontrarsi direttamente con Elyan, l'aveva pur visto combattere tra le schiere di Sir Lancelot e l'emozione che gli si agitava in corpo era alquanto ambivalente.
 "Tu, che mi eri amico, che ho risparmiato e protetto in virtù del mio sentimento per Garanwyn" aveva pensato freneticamente nella mischia "hai causato con le tue azioni una strage senza limiti, per cui la mia famiglia è ora in lutto stretto. E voglio pensare che la vita della regina meritasse un tale sacrificio, ma non vi credo appieno, e una furia mi spinge a svergognarti e battermi con te, non molto diversa da quella che prova il mio nobile zio Sir Gawain. Non lo farò se mi sarà possibile, ma è ciò che provo e non posso negarlo."
In verità, la rabbia nei confronti di Elyan era nulla rispetto a quella che provava per se stesso, per aver permesso che tutto ciò accadesse e non averne pagato il prezzo. Avrebbe desiderato morire per espiare la colpa di aver usato l'anello, ma non era accaduto; anzi si era battuto con valore e ciò non era passato inosservato agli occhi di re Arthur.
- Vostro figlio è un degno e forte guerriero, Sir Bedivere, potete andarne orgoglioso - aveva dichiarato solennemente. E suo padre aveva risposto: - Non avevo dubbi in proposito, ma sono lieto che abbia potuto dimostrare i suoi meriti al vostro servizio.
Quel senso di vergogna si ingigantì a udire parole così scontate e vuote. S'immaginò cosa sarebbe successo se in quel momento avesse urlato: "Ebbene, potrei combattere mille battaglie, ma questo non laverà mai la mia colpa, poiché ho lasciato fuggire una spia e mi sono sottratto al destino che meritavo". Ma a quale scopo? Era da egoisti cercare una punizione, perché in questo modo avrebbe ferito tutti coloro che lo amavano.
Perciò si era rassegnato a tacere, ed era rientrato in quella città opprimente, in quella reggia un tempo splendida che ora echeggiava di morte e abbandono.
Avevano perso così tanto. Pensava a Lovell, così spensierato, malizioso e sempre in cerca di facili sottane, e gli veniva un groppo alla gola; e a Sir Griflet, che non avrebbe mai più rivisto Lindsey. Ma soprattutto pensava a Sir Gareth e al dolore di sua madre.
Eppure c'era ancora qualcosa di bello a Camelot, e da lui era tornato.
Garanwyn, il suo piccolo tesoro, la sua gioia.

S'intreccia ai nostri steli la gramigna,
e invano tu vorresti liberarmi,
'ché più ci provi, peggio s'aggroviglia.
Attendere che secchi forse è saggio,
ma forse non sfioriamo noi altrettanto?

Com'erano diventate tristi e complicate le sue canzoni! E come echeggiava il suono della sua arpa nelle stanze vuote, come stridevano i sorrisi contro quei pugni allo stomaco che ti ricordavano "No, non c'è nulla per cui gioire"! Eppure ci si poteva ancora amare. C'era ancora un filo di fiducia da respirare in quell'atmosfera - mentre ancora credevano che la bolla papale avesse sistemato tutto.
Ad esempio, il rapporto tra Garanwyn e Kay era leggermente cambiato.
Se prima fingevano di non conoscersi, ora li trovava in un atteggiamento piuttosto amichevole; tenendo conto che per i canoni di Sir Kay una sequela di male parole era l'apice delle manifestazioni d'affetto. Era fin troppo chiaro che la morte di Celemon l'aveva colpito profondamente facendogli riconsiderare alcune priorità della sua vita. Si stava rendendo conto pian piano che Garanwyn non l'avrebbe mai odiato nonostante i suoi errori, e questa constatazione gli procurava un timido piacere fino ad allora sconosciuto. Inoltre non stava proprio ringiovanendo, e si sa, anche certi uomini di pietra inteneriscono con l'età.
Pensare ad un avvicinamento tra quei due lo rinfrancava, ma era pur triste il motivo di quel sollievo. Sapeva infatti che un giorno avrebbe dovuto lasciarlo per sempre, di non essere destinato ad un'infruttuosa vita di corte ma ai brevi e fulgidi giorni dei guerrieri; sempre la notte lo visitavano immagini di fredde pianure dell'Est brulicanti di eserciti, dove un sole smorto luccicava sulle spade e sulle armature, e la brina ingentiliva il colore rugginoso delle asce abbandonate dai vinti.
Eppure no! Non era stata questa la sua prima battaglia! Non era questo che aveva vissuto sotto le mura di Joyous Gard! Non la dovuta riconquista dei territori dei suoi avi, non la risposta fiera a crudeli invasori - solo il rigurgito di un rancore profondo, che non si sarebbe forse mai sanato né assopito. E tuttavia una metà del suo sangue era sangue di Orkney, e non l'avrebbe tradito. Così non versò una lacrima quando 
vide sfilare il lungo corteo di Sir Lancelot che riportava la regina a Camelot, e fu solo con un lieve sussulto che scorse Elyan tra i cavalieri vestiti di verde. Non gli importava più. Se c'era qualcosa al mondo in grado di alterare sul serio i battiti del suo cuore, era la voce di Garanwyn che cantava per lui, i suoi baci, il suo rossore, e davvero nient'altro contava in quei momenti.


- E voi, cosa ne pensate? Siete d'accordo con Gawain? Credete sia doveroso intraprendere questa guerra?
Bedivere non fu sorpreso a quella domanda, eppure esitò a rispondere.
Gli occhi del re lo scrutavano, e sulle prime non capì che non esisteva una risposta giusta e neppure una sbagliata. Arthur Pendragon si affidava totalmente, in quel momento, ai suoi pochi uomini rimasti.
 Non era uno sciocco, non lui. Era nato "al di qua dello stretto", amava la sua terra. Aveva troppe cicatrici sulla pelle e nell'anima perché potesse dimenticare a quale prezzo i loro padri avevano conquistato l'indipendenza della Britannia, e quanto fragile fosse l'equilibrio della pace con i Sassoni. Ma ugualmente non fece obiezioni.
- Sire, voi desiderate il mio consiglio, e forse mi credete imparziale. Ebbene, vi sbagliate. Sapete che vi seguirò, perché così comanda il mio cuore.
E il re credette che questa fosse la più bella dichiarazione di fedeltà che gli fosse capitato di udire da uno dei suoi cavalieri, e certo più sincera di quelle di Sir Lancelot in tutti quegli anni... certo, era pur vero, ma prima che ad Arthur, Bedivere era fedele alla sua sposa.
Troppo alte erano state le grida che Clarissant aveva alzato al cielo, e mai troppo stretta aveva potuto tenerla a sé in quei giorni di incubo. Forse ora ella era più serena, occupata in mille incombenze e responsabilità, ma di certo soffriva ancora. Molte cose sono state dette riguardo alla guerra tra gli uomini di Arthur e quelli di Lancelot, ma una certezza posso azzardarla: se il sangue di Sir Gareth non fosse stato versato, Lancelot avrebbe potuto tradire mille volte la fiducia del re, e uccidere altre mille infide creature come Agravaine, senza che nessuno alzasse un dito contro di lui.
- Ho dunque la piena disponibilità dei vostri soldati?
- Ma naturalmente, mio signore... mi servirà solo il tempo per radunare i reggimenti...
- Partite immediatamente per Lindsey, allora. Vi scriverò per comunicarvi quando potremo salpare.
Se torneremo, era sottinteso. Bedivere si inchinò, colmo di gratitudine: poter riabbracciare sua moglie era più di quanto sperasse.
- E porterete vostro figlio con voi, naturalmente.
Amren tentò di nascondere il suo turbamento. Si inginocchiò a sua volta mormorando - Con permesso, sire - e al gesto stanco di Arthur uscì a passo svelto.
Quel viaggio era una sorpresa, e benché anche lui fosse felice di rivedere sua madre ed Eneuawc (forse per l'ultima volta, ricordò rabbrividendo), era altrettanto contrariato di dover lasciare Garanwyn prima del previsto.

Lo trovò vicino al torrente, in uno dei loro luoghi segreti. Se ne stava rannicchiato, cosicché non poteva vederlo in viso; aveva con sé un piccolo flauto e ogni tanto vi soffiava dentro, ma solo per emettere lunghe, malinconiche note solitarie. Non l'aveva udito arrivare.
- Garanwyn.
Non si mosse, soltanto ripose lo strumento tra le pieghe della veste.
- Mio padre ed io dobbiamo andare a Lindsey. Non potevo partire senza... dirtelo... - Esitò, la fronte aggrottata, e si avvicinò a posargli una mano sulla spalla: lo sentì sussultare e quando gli prese il viso tra le mani, vide che era coperto di lividi.
- Non-non è niente. È successo altre volte e succederà ancora.
Amren scoprì i denti in una smorfia paurosa. - No. Non succederà mai più, te lo giuro. - Corse via, ma Garanwyn lo raggiunse incespicando da far pietà e si aggrappò a lui supplicando: - Non devi batterti con lui! È il figlio del principe, la ragione sarà sempre sua... non fa niente, davvero! E visto che te ne andrai di nuovo, dovrò abituarmi a non avere nessuno che mi difenda! Dovrò imparare a fare da solo, ebbene, ci riuscirò!
Piansero insieme, stringendosi forte, e quasi il piccolo non sentì il richiamo delle ossa doloranti. Un bacio disperato e intenso li unì ancora una volta, ed in quel sapore non riuscivano a fingere che non fosse un addio. Infine Amren fece appello alla rabbia e alla volontà, e posando le labbra sui suoi occhi, sussurrò in fretta il meglio che trovò fra le parole d'uso. Questa volta Garanwyn non fece nulla per fermarlo. Restò sulla riva a guardare la propria ombra.

- Sir Melehan! Fatemi il piacere di guardarmi!
- Cugino, se sei impazzito sfogati con qualcun altro. - rispose quella faccia da schiaffi con sufficienza. - Faresti meglio a prepararti...
- Vi sto sfidando, se non avete compreso. E nego ogni nostra parentela da questo giorno.

Il clangore delle spade richiamò il Consiglio all'esterno; volti pallidi sgranarono gli occhi davanti a quel duello così poco opportuno. Era davvero inaudito, in quel frangente! Il re apparve contrariato, quasi furioso per quel pericoloso contrattempo, e scoccò uno sguardo di disapprovazione verso Mordred - che a sua volta fissò Bedivere come se volesse incenerirlo. Questi si riscosse dalla sorpresa ma non sapeva come comportarsi; avrebbe prima voluto conoscere le ragioni di quello scontro. Sir Lucan, dal canto suo, sembrava lì lì per scoppiare a ridere ed applaudire.
Melehan era svelto e abile con le armi, ma non aveva la forza fisica di Amren. E, più di tutto, non aveva la sua volontà di combattere. Suo padre gli aveva raccomandato più volte di mantenere un basso profilo, ma lui e Melou se n'erano bellamente infischiati con le loro prepotenze a destra e a manca: questo era il risultato, e ora rischiava grosso. Non poteva abbandonare il campo, poiché sarebbe stato giudicato un vigliacco, ma se avesse vinto... oh, andiamo, doveva innanzitutto evitare di finire tagliuzzato! Contrattaccò, compensando con la velocità all'irruenza del suo aggressore. Iniziò a prenderci gusto, perché diciamola tutta, quella faccia da carciofo gli era sempre sembrato ridicolo. Odioso. Patetico. Ma ahimé, terribilmente forte... per un certo tempo riuscì a tenergli testa, ma in seguito si ritrovò soltanto a difendersi.
Finalmente Arthur comandò ai due giovani di interrompere immediatamente la contesa.
- Trovo ignobile che in un momento così grave e importante troviate il tempo per accanirvi l'uno contro l'altro. Sir Amren, partite il prima possibile e non comparitemi davanti fino alla partenza per il Continente; Sir Melehan, vi affido alla clemenza di vostro padre e vi diffido dal presentarvi in Consiglio finché non vi manderò a chiamare. Ma prima, per la vostra anima, ditemi per quale futile ragione stavate lottando!
Melehan rimase in silenzio, lo sguardo basso e truce: la clemenza di Mordred era ben nota a lui e Melou sin dalla più tenera infanzia.
- Nobile sire, sono stato io a sfidare mio cugino - dichiarò Amren quando ebbe ripreso fiato. - Egli ha percosso crudelmente il figlio di Sir Kay, che è un mio buon amico nonché il più raffinato cantore in questa corte, e non è stata la prima volta. Quale onore gli può mai portare, dal momento che egli non può difendersi a causa della sua infermità? Lo trovo un insulto ai principi della cavalleria e ad ogni legge umana e divina, e ho ritenuto intollerabile un comportamento tanto vile.
- Sta bene: se le cose stanno così, Sir Melehan è senza dubbio in torto. Ma non spettava a voi sfidarlo, bensì al padre del ragazzo, e mai comunque senza il mio permesso.
Sir Kay guardava da un'altra parte, irritato di sentirsi chiamato in causa.
- Ma egli non se ne cura! Guardate, non gli importa niente! - Il groppo che gli era salito alla gola gli impedì di continuare, e fu un bene, perché il re non tollerò oltre quel linguaggio e gli intimò nuovamente di prepararsi alla partenza.

Ho già accennato al fatto che Sir Mordred si fosse tanto adoperato con i suoi figli perché non suscitassero scandalo o attenzione a corte; a voi, che conoscete quali intenzioni egli avesse, non sfuggirà il significato di tali raccomandazioni. Non voleva in alcun modo dispiacere ad Arthur prima di avere l'occasione di impossessarsi del trono, e ogni parola o azione andava ponderata, poiché un passo falso l'avrebbe messo presto in cattiva luce più di quanto già lo fosse. Potete dunque immaginare la sua ira, dal momento in cui venne a conoscenza delle infamie che il suo primogenito commetteva alla luce del sole. Lo rimproverò di volerlo portare di proposito alla rovina, e arrivò a schiaffeggiarlo, giurando che non lo considerava più suo figlio.
Melehan non disse nulla a propria discolpa.
Si massaggiò la guancia, con l'odio nel cuore. No, non odiava suo padre, non ne era capace. E non gli importava più nulla dello zoppetto canterino. Lui odiava Amren. Si augurò che Sir Lancelot lo uccidesse, e poi non gli bastò ancora, voleva ucciderlo lui stesso. Come, non lo sapeva ancora, e a quel proposito non lo preoccupava eccessivamente l'essere stato quasi sconfitto poco prima. Doveva morire per sua mano, in un modo o nell'altro... magari proprio sotto gli occhi di Sir Bedivere, ah! L'ebbrezza di quei pensieri lo consolava un poco dell'umiliazione subita, e vi dedicò tutto il tempo finché rimase in disgrazia presso i suoi parenti. Coltivò quel progetto così bene che nei sogni lo vedeva già sbocciare, rosso come le carni che avrebbe strappato.


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Capitolo 7
*** Lucan e Aline. ***


La mia pigrizia peggiora di giorno in giorno, in modo inversamente proporzionale alla mia ispirazione. Io so già cosa deve succedere, solo non riesco a farlo succedere, non trovo motivazioni per scriverlo, mi sembra ormai trito e ritrito... proprio perché me lo sono passato per la testa centinaia di volte. Voi che colpa avete? Nessuna, ma tant'è.
Ila: mi chiedi se l'amore di Garanwyn avrà un lieto fine, ma ti dispiace per Melehan. Come vedi non posso accontentarti in entrambe le cose ;) Chi è che diceva: "Ne resterà soltanto uno"?
Grazie per i complimenti, ma per quanto ne so il mio punto debole sono proprio le descrizioni, tendo a scrivere sceneggiature invece di storie XD Sono contenta che le ore passate a studiare la morfologia dell'Inghilterra orientale siano servite!!

A chi interessa, ho iniziato una nuova raccolta di drabblesssss.



- Davvero, non capisco perché non l'abbiate portato con voi.
Eneuawc avanzava a passettini impazienti giù per il lievissimo pendio che portava al mare. L'abito le impediva di correre come avrebbe voluto, ma rimediò saltando sulle spalle di Amren e lasciandosi portare. In un allegro gioco, si girò più volte indietro per scorgere il castello di Grainthorpe che si allontanava dalla loro vista, fingendo che fossero completamente soli.
Non sapeva ancora nulla della guerra imminente. Era bellissima e pura, così la vedeva il fratello alla luce del pomeriggio. Ancora innocente, ancora fiduciosa nella vita. Forse... forse non aveva davvero amato Elyan. Non era amore di una donna, il suo, ma quello di una ragazzina lusingata dal corteggiamento e dall'atmosfera di quel loro primo ballo. Non sentiva la sua mancanza come lui sentiva quella di Garanwyn...
- Perché? - Come entrambi sentivano quella di Garanwyn, si corresse.
- Nostro padre non l'avrebbe mai permesso. E c'è stata una certa... disputa. Ma che, non vi basto io?
Eneuawc si strinse più forte a lui: - Cosa dite? Sono tanto felice! È solo che vorrei avere anche lui qui... vorrei sentirlo cantare e-
Saltò giù. - Ma io dico sciocchezze, vi faccio del male. Durerà molto, questa licenza? Almeno sino alla festa del raccolto?
Amren non capiva come si potesse ferire intenzionalmente una creatura come lei, eppure era ciò che stava per fare. - Siamo qui per radunare gli uomini. Per questo nostro padre è rimasto a Lincoln... ma volevo stare un po' con voi.
- Siete di nuovo in guerra? Il re non ha perdonato Sir Lancelot?
- E voi, l'avete perdonato? - domandò a sua volta il fratello, amaro.
Lei chinò la testa e si accoccolò sulla sabbia. - La stirpe di Orkney è stata sterminata... per questo non biasimo nostro zio Gawain, ma davvero, credevo fosse tutto finito.
- Lo conoscete. Non si fermerà. E se re Arthur lo segue, chi siamo noi per restare a guardare? - Il suo aspetto arruffato rendeva quella frase retorica ancora meno convincente.
Eneuawc posò la testa sulla sua spalla e se ne stette in silenzio per un po'. Sentì la paura crescerle dentro fino a farle spuntare le lacrime. - Dovete... fare molta attenzione... se vi succedesse qualcosa, non...
- Se mi succedesse qualcosa, significherà che ho svolto il mio dovere, nulla di più.
Era irritante come gli uomini parlavano della morte. Come se fosse naturale. A meno che non si venisse uccisi in modo disonorevole, in quel caso si scatenavano battaglie e ripicche a non finire. Non riusciva a capirlo, ma dopotutto era una fanciulla e ragionava come tale. Sapeva, ad esempio, che Elyan alla fine non si era sposato. Ci sarebbe stata ancora una speranza per loro, una volta tornata la pace?
Sì, l'unico pensiero che riusciva a distoglierla dalla paura di perdere suo fratello era proprio il ricordo di Elyan. Sì che l'aveva amato, sì che era un sentimento reale, e non un gioco di bimba. L'angoscia si trasformò in rabbia.
- Se ne avrete l'occasione, alzerete le armi contro di lui. Solo perché è figlio di Sir Bors. Solo perché è stato costretto ad abbandonarmi. Non ricordate che siete stati amici, non ricordate più niente. Non v'importa di me... credete di volere il mio bene e così distruggete tutto!
- Non sapete di cosa parlate! - replicò lui. - Ho provato a difenderlo finché ho potuto, ma questo mi ha condotto a disprezzare anche me stesso. Non avete il diritto di parlarmi in questo modo. - Le prese la testa tra le mani, con delicatezza ma anche con decisione: - Toglietevi dalla mente Elyan de Ganis, o dovrò farlo io... e farà male, tanto male.
In quel momento Eneuawc ebbe l'impressione di avere un estraneo accanto a sé. Ne fu terrorizzata, e il respiro le si inceppò in gola; avrebbe voluto ritrovare un barlume di tenerezza in quello sguardo duro per rassicurarsi che fosse ancora lo stesso ragazzo cresciuto insieme a lei, con cui divideva il sangue ed i pensieri da tutta una vita.
- Come potreste mai farmi smettere di amarlo? - Per quanto tremasse dentro, non staccò gli occhi da lui. Senza rendersene conto aveva risposto alla sua sfida, e ne pagò le conseguenze.
Era proprio così - faceva male, tanto male, mentre quelle parole continuarono ad echeggiare dagli scogli di quella riva agli alberi del parco, e poi nella sua stanza dove non riusciva a prendere sonno.

È stato lui a infiltrarsi a Camelot.
L'ho lasciato svolgere la sua missione, perché credevo che nessuno si sarebbe fatto male.
L'ho fatto per voi, l'ho fatto per Garanwyn.
E per questo ora sono un traditore, più di lui. Ma non potete amarlo, non più...

- Davvero, non posso più amarlo - si convinse lei, chiudendo gli occhi sul buio della disillusione.



Le truppe erano pronte a partire, ma ancora non era arrivata nessuna lettera da parte del re; perciò per qualche tempo l'intera famiglia fu riunita nella residenza di Lincoln. Bedivere notò subito come la moglie fosse alquanto rasserenata rispetto all'ultimo loro incontro, ma forse fingeva. Sembrava intenta al suo dovere e meno spontanea di come la conosceva: che la tragedia l'avesse svuotata di ogni sentimento, no, non poteva crederlo! Solo in seguito ella riuscì a trasmettergli le sue preoccupazioni, complice uno dei sogni che avevano ricominciato a tormentarla.
Erano a letto insieme, e si era svegliata di soprassalto gridando il suo nome - era stata una delle scene peggiori, l'ultima... quel cortile... quella finestra, e le urla... e lui, soltanto più un corpo insanguinato... lui che non era mai stato suo!
Una volta tornata alla realtà, era stato più semplice confidarsi e aprirsi.
- Era la cosa peggiore... non solo avervi perso, ma non avervi mai avuto.
- E pensate che per me non sia lo stesso? Se penso ad una vita senza di voi, mi pare impossibile. Sapere che eravate qui ad aspettarmi, dovunque mi trovassi, è sempre stato lo sprone di ogni mia piccola e grande impresa. Prima... quand'ero più giovane, intendo, credevo ad una serie di valori e di certezze che ora non hanno più senso... non dopo ciò che è accaduto e che accadrà. A Badon Hill desideravo la gloria e la sicurezza del regno, mi esaltavo nella mia veste di guerriero e amico del re, ma ora lui stesso sembra aver dimenticato con quanta fatica abbiamo costruito la nostra patria, e sapete? Non m'importa più. Non partiamo per conquistare, no, non io... è per amore. Seguirei Gawain all'inferno per farvi piacere.
A queste parole, Clarissant ricacciò indietro le lacrime e lo fissò spaventata. - Non è per me che lo fate. No, non ditemi una cosa così orribile!
Era di moda dedicare ogni battaglia alla propria amata, ma Bedivere avrebbe dovuto ricordare che la figlia di Morgause non era una donna convenzionale.

- Per amore, dite... ricordate... la prima volta che ci incontrammo?
Ero una bambina confusa il cui mondo stava crollando. Avevo visto mio fratello Gaheris ripulire la spada con cui aveva ucciso nostra madre, e foste voi il mio solo confidente. Conservaste quel segreto finché vi fu possibile, ma poi mi salvaste la vita rivelandolo al momento giusto.
Ricordate... il nostro primo colloquio dopo il fidanzamento?
Continuavate a ripetere di avere commesso un grosso azzardo a chiedere la mia mano così a bruciapelo, e che non vi sareste offeso se avessi cambiato idea, che avreste parlato a Gawain sistemando le cose...

- E mi avete risposto che non desideravate nessun altro uomo, che ricambiavate il mio amore e le incomprensioni del passato erano dimenticate per sempre. Siamo stati così fortunati, sì, credo che lo siamo davvero.

- Per questo... davvero volete sfidare il fato? È bastata una parola di Gawain per convincere mio zio, ma sarebbe bastata un'altra vostra parola per dissuaderlo. Si fida di voi. Ma io dico sciocchezze, e non devo impicciarmi delle vostre decisioni; solo, e ci ho messo molto per capirlo, questa guerra non è ciò che Gareth avrebbe voluto.

Un tremito aveva accompagnato quell'ultima frase. Nessuno ormai pronunciava quel nome senza un sacro terrore di sciuparlo, come se si accostasse all'altare di un dio temuto.

- Non è un addio - dichiarò Bedivere, come ultima risorsa. - Tornerò, come sempre.
 Strinse i pugni e tacque, inventandosi un sorriso. Mostrarsi forte davanti a lui era la più bella manifestazione d'amore che aveva imparato.
Anch'io lo sento... altrimenti non avrei cuore di lasciarvi andare.


Venne il giorno della partenza, il giorno in cui il riserbo ricopre appena la disperazione, e i pensieri precorrono la tragedia facendo sì che il cuore non esploda quando diventerà realtà.
- Vi voglio bene, madre, e fate attenzione alle finestre - fu il saluto di Amren, che siglò una certezza. Entrambi ormai sapevano che i loro sogni erano ricordi di un'altra esistenza, e per quanto ciò la spaventasse, era diventato un segreto condiviso e perciò più accettabile.
Le loro vite si erano incrociate già una volta, sebbene allora il legame di parentela che li univa fosse più debole; in questo presente lei era sia Clarissant che Branwen, e aveva avuto il meglio di entrambe. Non osava guardare più in là, immaginare innumerevoli altre esperienze e ritorni, ma per un poco gustò quella sensazione di eternità.
Si sarebbero ritrovati sempre e comunque, tutti insieme, ancora e ancora,,, ma fu lo stesso difficile sciogliersi dall'abbraccio di Bedivere, e trattenersi dal gridare "Non andate!", nonostante in principio fosse stata proprio lei, con le sue lacrime, a convincerlo che quella guerra fosse indispensabile.
- Vendicheremo l'onore del re, la dignità di nostra figlia, e il sangue dei vostri cari versato da Sir Lancelot. È una promessa.
Sarebbe cambiato qualcosa, a ripetere che aveva cambiato idea, che si rendeva conto di quanto tutto questo fosse inutile, che non credeva davvero nella malafede di Sir Elyan e che la vendetta non riporta indietro i morti? No, ovviamente no, era troppo tardi. Ne avrebbe desiderate altre, di promesse: eppure non sarebbero bastate, sarebbero state solo parole che nulla possono strappare al destino.



I cavalieri di re Arthur non furono accolti in Francia con un sorriso di benvenuto, né con ringhiante ostilità: soltanto con immensa preoccupazione. Sir Lancelot era restio a fare una qualunque mossa, e men che meno si sarebbe avventurato fuori da Benwick; ma la sicurezza delle sue terre gli premeva comunque. Si consultò con i suoi fedelissimi, che si risolsero ad inviare un paio di persone fidate a trattare con gli invasori, pregando che servisse a qualcosa. Figuratevi! Sir Gawain che si fa intenerire da un nano e da una donzelletta nemmeno troppo graziosa! Tanto valeva credere che un giorno i carri non avrebbero avuto bisogno di cavalli per tirarli!
Ma andiamo con ordine, perché l'ergastolano Malory non ha si è mai preso la briga di raccontare come si chiamasse tale donzella e quale fu la sua sorte dopo l'infruttuosa missione, e ho intenzione di colmare qualche lacuna a proposito.
Aline, questo il suo nome, era la dama di compagnia di Lady Juliana, ora sposa felice di Sir Lionel e in attesa di un figlio. Era rimasta dapprima abbagliata dalla bellezza di Elyan, ma si era messa da tempo il cuore in pace ed era diventata sua amica senza risentimenti di sorta. Il modo in cui il giovane cavaliere parlava della sua amata Eneuawc (quando Sir Bors non era nei paraggi, s'intende) non le accendeva invidia o dispetto, ma piuttosto simpatia e desiderio di conoscerla. Per questo, quando fu scelta per avventurarsi fuori dalle mura, Elyan la pregò di chiedere di lei, qualora avesse trovato un'anima aperta al dialogo.
- Se non mi uccideranno, lo farò.
- Non temete, Aline. Sono stati miei compagni, fino a ben poco tempo fa... li conosco - la rassicurò lui. - Credevo di conoscerli. In ogni caso, non vi farebbero mai del male: il re sarà gentile, ma se conosco Gawain, potrebbe forse ridervi in faccia.
Aline, che era nata nobile ma cresciuta serva, non era donna da offendersi facilmente, perciò partì con il cuore più leggero.

- Venite da parte di Sir Lancelot, bella damigella? - Quella voce la fece sobbalzare, intontita com'era dal viaggio e dal sole, e quando voltandosi vide un cavaliere robusto e barbuto, alquanto volgare di aspetto, un poco si prese paura.
Ma quando lui sorrise, la prima impressione si dissolse nel nulla. Vergognandosi di averlo giudicato troppo severamente, gli rispose con cortesia: - Sì, signore, per parlare con il re. Sir Lancelot e i suoi alleati non desiderano la guerra e sperano nella benevolenza del nobile Arthur Pendragon.
- Ahimé, dite bene, il mio re è l'uomo più nobile del mondo, e sarebbe ben disposto alla pace! Ma suo nipote ha una grande influenza su di lui, e non gli permetterà di perdonare quanto è accaduto. Mi auguro che le vostre parole riescano a fare breccia nel cuore gelido di Gawain; in caso contrario prevedo sciagure per voi come per noi.
- Io... non capisco, credevo davvero che voi tutti ci odiaste. Perché allora sareste qui?
- Ognuno di noi ha una ragione. Non siamo pecore guidate dal bastone di un pastore, ma uomini feriti nell'orgoglio... e negli affetti. Vogliamo bene a Sir Lancelot e gli siamo debitori, persino, a causa delle belle imprese da lui compiute negli anni e che hanno dato lustro al regno di Britannia. No, io non posso dire di odiarlo, ma se penso a quanto abbiamo perso...
- Conosco tutto quanto è accaduto, non avete bisogno di soffrire ripetendo - precisò Aline, vedendo il suo volto contrarsi in una smorfia di rimpianto. - Io... vi comprendo, Sir... - Gli rivolse una muta domanda.
- Sir Lucan di Lindsey, al vostro servizio, - rispose prontamente il cavaliere, con un profondo inchino che la commosse.
- Io sono Aline. Sir Lucan, io vi comprendo, ma prego anche di capire la nostra posizione. La mia signora, la moglie di Sir Lionel, aspetta un bambino. Ha forse colpa, quella creatura, per il sangue versato a miglia e miglia da qui?
Lui assentì, gli occhi lucidi che cercavano di sfuggire allo sguardo della ragazza. Gli piaceva, non poteva negarlo. Era completamente diversa da sua cognata, e forse proprio per questo la sua presenza non lo turbava dolorosamente, ma inteneriva il suo spirito: così poteva paragonarsi l'odore di violette al più sensuale profumo d'Oriente.
E dire... e dire che era stato sul punto di mandare tutto all'aria... di usare l'anello per soddisfare il proprio istinto! Ringraziava il Cielo di averlo fermato in tempo, di avergli impedito di distruggere quanto gli era caro. Eccola, la ricompensa.
La vide entrare nel padiglione, le guance rosse e un piglio deciso, e fu fiero di lei - com'era strano! Strano provare un sentimento così vivo per una donna appena conosciuta... fu come tornare giovane.
Ripensò ancora alla sua dea, alla donna che aveva ammirato e desiderato in silenzio per venti lunghi anni: e si sentì tremare, ma non d'amore. Soltanto di sollievo. Come se fosse giunto al termine del suo viaggio, come se qualsiasi cosa gli fosse accaduta, da quel momento in poi, avrebbe avuto un altro sapore. Si sentiva un uomo libero, per la prima volta da molto, molto tempo.

E quando Aline uscì, sconfitta e inorridita dalle parole pesanti e aspre di Gawain (e sì ch'era stata avvertita!), fu al suo fianco per consolarla e asciugarle le lacrime.
- Vi accompagnerò fino a Benwick, se non mi scaccerete.
Il nano borbottò qualcosa, ma bastò un'occhiata per farlo desistere da ulteriori commenti.
Così Sir Lucan cavalcò al fianco di Aline fino alla città, e molte furono le cose che si dissero, anche se non è necessario riportarle tutte. Ma ad un certo punto, poiché lei aveva ormai capito di poter riporre tutta la sua fiducia in quell'uomo, gli parlò dei tormenti di Elyan e del suo amore per madamigella Eneuawc.
- Voi la conoscete? Sapete se sta bene?
Un poco rattristato, ma sincero, Lucan le rispose: - Sarebbe ben strano se non la conoscessi, siccome è figlia di mio fratello. E posso capire che Sir Elyan la ami ancora, poiché è davvero una fanciulla bella e virtuosa; ma dal momento che questa guerra è ormai inevitabile, non farebbe meglio a dimenticarsi di lei?
Aline chinò la testa, confusa.
- Per quello che può servire, ditegli che gode di ottima salute, e vive con sua madre a Lindsey. Vi dirò: avete fatto bene a chiederlo a me, perché se vi foste rivolta a quel cavaliere laggiù, si sarebbe davvero irritato.
Non si erano allontanati molto dall'accampamento, e la strada in quel punto attraversava una foresta; là un giovane stava massacrando con la spada un povero albero inerme.
- Ehilà! Se avevi voglia di allenarti, potevi chiamarmi, - lo apostrofò Lucan con viva simpatia. L'altro si fermò e sorrise di rimando.
- Buongiorno, zio. I miei omaggi, damigella.
Per la seconda volta Aline pensò di trovarsi davanti l'uomo più brutto di questa terra (in vita sua aveva conosciuto ben pochi uomini, questo è da dire). Era bruno e con grandi occhi neri, al pari del suo accompagnatore, ma qui si esauriva la loro somiglianza. I suoi capelli erano corti e ispidi, il naso sottile, e nel volto scarno la mascella era fuori di posto, così che le labbra parevano sospese in una smorfia. Tutto ciò creava un gran contrasto con il corpo muscoloso, tanto da sembrare un qualche strano animale leggendario.
- Novità? - domandò quello, abbassando l'arma.
- Nulla di piacevole, temo... Gawain non molla.
- Ebbene, combatteremo - fece spallucce. - Siamo qui per questo, nevvero?
Aline distolse lo sguardo da lui, non per il suo aspetto ma per l'assurda leggerezza con cui parlava della guerra.
- Amren, credevo che nemmeno tu approvassi tutto questo. A Joyous Gard sembravi alquanto provato.
- Ebbene, ho cambiato idea. E potreste evitare di usare aggettivi come "provato" per definirmi davanti ad una donna?
Lucan ridacchiò, ma era una risata amara. Accennò ad Aline e al nano di proseguire, e scambiò ancora qualche parola con il nipote prima di raggiungerla.

- Capirete che, se aveste parlato di Sir Elyan davanti a lui, avremmo fatto tutti e due la fine di quell'albero. Non sono sicuro di cosa sia successo tra loro, ma non credo che si tratti soltanto di Eneuawc. C'è di mezzo anche un certo Garanwyn.
- Sir Elyan mi ha parlato anche di lui - annuì Aline, contenta di cambiare discorso. - Dice che è un vero poeta e un amico prezioso, e canta come un angelo.
- Gli angeli cantano, davvero? - Lucan sembrava di nuovo di buonumore. Questa frase, però, invece di divertirla la fece arrossire. - Sì, è una personcina a modo. Credo che se Amren dovesse scegliere tra lui e tutti noi, voglio dire la sua famiglia, avremmo la peggio. È come... beh, può sembrare buffo... come se ne fosse innamorato.
Aline non aveva mai sentito parlare di due uomini che si innamorano, ma forse in Britannia era tutto diverso.
- Vorrei farvi conoscere la mia terra - s'infervorò lui ad un tratto, come se parlare dei sentimenti altrui avesse sciolto le sue remore - Vorrei farvi vedere il mare dalla torre più alta di Grainthorpe, non è come qui... non si vede la riva, sembra infinito. Se fossi più giovane, potrei sognare di... - Si bloccò. Le stava mancando di rispetto, era ridicolo.
Ma lei non mostrava di essere sdegnata. Si mordeva le labbra, sempre più rossa in volto, e sorrideva.
- Continuate, vi prego. - balbettò. Si erano fermati.
Gli occhi di Lucan ebbero un guizzo di speranza. Smontò da cavallo e l'aiutò a scendere a sua volta poi, con il nano che li guardava inequivocabilmente di storto, si inginocchiò ai suoi piedi.
- Siete ciò che cercavo senza nemmeno saperlo. Mi avete chiesto perché sono qui, e solo ora posso rispondervi davvero: dovevo incontrarvi. - Lei non aveva smesso di sorridere, così continuò: - Che sia Gawain ad uccidere Sir Lancelot, o viceversa, non m'importa più. Quest'odio dovrà finire... ed allora io verrò da voi... non più come un nemico, non di nascosto, ma a testa alta, e chiederò la vostra mano. È una promessa. Finché sarò in vita, nessuno potrà impedirmi di tornare da voi.
Non le chiese un pegno d'amore; fu lui a farle un dono. Non l'indovinate? Le affidò il simbolo della sua più grande tentazione, che aveva sconfitto e trasformato nel supremo sacrificio: l'anello di dama Ragnell. Attese di scoprire se anche lei sentiva la magia infusa in esso, ma non fu così e ne fu sollevato.
La strada fu troppo breve da allora in poi. Quando in lontananza apparvero le torri del castello di Benwick, fu inevitabile separarsi - e solo allora poterono guardare a quell'incontro per ciò che era.
Una benedizione giunta forse troppo tardi, pensò Lucan con amarezza, mentre tornava all'accampamento.
Ed Aline, quella sera, sul suo cuscino intrecciò semplici pensieri con una risatina gaia che spezzò il buio. Mi ama. C'è qualcuno che mi ama.


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Capitolo 8
*** Garanwyn stringe un patto. ***


Con questo chap ho seriamente esaurito il materiale già abbozzato. Questa è la cattiva notizia.
Quella buona è che ho un'idea nuova. No, non ho rinunciato a segare un personaggio principale XD
Prima di iniziare, vorrei ricordarvi che nulla è come sembra. Insomma, non prendete troppo sul serio quello che accade. Cioè... avete capito.
Ila: anche se non hai detto niente, SO che ti mancava il piccolo uke  cantore ;) Il tuo silenzio è eloquente.





Sir Mordred aveva scelto il momento sbagliato per annunciare la morte di suo padre.
Kay aveva fonti ben più affidabili, per quanto a senso unico, e sapeva bene che non vi era nulla di vero. Se tale notizia fosse arrivata qualche settimana dopo, avrebbe potuto crederci, e forse non gli sarebbe salito nessun sospetto sulle intenzioni del principe. Così come stavano le cose, capì tutto.
Ma a sua volta scelse gli interlocutori sbagliati per discutere la questione.
Quando comprese il suo errore, fu colto dal panico. Non c'era più un'anima di cui si potesse fidare; era in pericolo, ma non era a se stesso che pensava... non poteva stare a guardare mentre quel traditore si impadroniva della Britannia intera, mentre re Arthur era vivo e lontano! Ma chi, chi poteva aiutarlo?
Avrebbero cercato di liquidarlo, porca miseria, e doveva, doveva avvisare Arthur in qualche modo! Per fortuna l'assedio alla Torre di Londra aveva distratto Sir Mordred dal fare la conta ai suoi sostenitori a corte; ma c'erano i suoi figli a presidiare Camelot ed erano gli esseri più sgradevoli ad essere mai stati ordinati cavalieri.
Gli venne in mente Rowan, un nano che Sir Melou aveva più volte picchiato senza motivo, e lo istruì perché facesse giungere le gravi notizie al di là del mare. Quando questi fu partito, si sentì un poco sollevato... ma non era finita: occorrevano soldati, molti soldati... già, da dove? Sembravano avere tutti una gran fretta di onorare il nuovo sovrano, venivano da ogni parte a confermare il proprio appoggio...
O forse...

No, cosa andava a pensare?

Eppure, perché no?

- Padre, mi avete fatto chiamare? - Garanwyn era davanti a lui, magro e sciancato come sempre, con la sua zazzera riccia e le manine delicate. Ma era là, ed era una persona sincera, ed era suo figlio. Valeva la pena tentare.
- Ascoltami: so che re Brandegoris pende dalle tue labbra e farebbe qualsiasi cosa per riaverti ad Estangore. Ebbene, ci andrai. Gli chiederai rinforzi per le truppe di re Arthur... finora si è mostrato imparziale, ma credo sia ora che decida da che parte stare.
Garanwyn lo guardò come se fosse impazzito, ma quando il padre gli assicurò che in realtà Arthur Pendragon era vivo e vegeto, mise da parte l'incredulità e si preoccupò di un altro aspetto della questione:
- Ma perché mai il mio signore dovrebbe inviare i suoi soldati contro Sir Lancelot? Per quanto non sia nemico di re Arthur, non farebbe mai un tale sgarbo ai parenti di Sir Elyan!
Gli aveva risposto con gentilezza, ma non era una nota di spavalderia quella che aveva sentito? E chiamava ancora Brandegoris "il mio signore", ah!
- O figlio ingenuo, una donna è morta urlando per metterti al mondo, ma io ti ucciderò in silenzio. Se fossi in grado di ragionare come sai cantare, ebbene- Ma perché spreco fiato? La guerra contro i francesi è finita, o lo sarà presto. C'è di peggio.
- Abbassò la voce: - Tutto quanto è successo, dall'incoronazione alla proposta di matrimonio, è una gran montatura. Il re si trova ancora in Francia, e il trono è stato usurpato ingiustamente... - Si accorse che il figlio lo stava ascoltando a bocca aperta, e perse la pazienza: - Ti spiegherò più tardi, ora vai a prepararti. Volevi diventare qualcuno, giusto? Forse hai in mano il destino della Britannia, ragazzo, perciò smettila di fissarmi come se stessi parlando in sassone e fila!
Garanwyn esitò. Possibile che suo padre credesse in lui? Che lo considerasse degno di una missione importante?
- Mi dispiace di non essere come gli altri. Di non essere come... come ci si aspetta. Ma non vi deluderò, padre.
Era uno sguardo di apprezzamento quello che brillava negli occhi di Sir Kay? O forse lo stava soltanto gonfiando come la rana della favola? - Oh, lo so bene. Vali più di tutta quella marmaglia messa insieme... vivi e morti, buoni e cattivi... francesi, gallesi, saraceni. Sono tutti uguali. Solo Sir Gareth era diverso, era una perla nel letame, eppure non riuscivo a capirlo. Ho una certa predisposizione a non riconoscere il valore di chi mi sta intorno. Ma sto imparando. Ci vuole pazienza con me.
Dio, sembrava parlare sul serio.
Garanwyn ondeggiò fino alle cucine con uno strano sorriso sulle labbra, riempì un fagotto di cibo e rubò un coltello ad ogni buon conto. In quanto allo scegliere un cavallo e sellarlo, dovette aspettare per non attirare l'attenzione di certi scudieri impiccioni.
Era quasi buio quando rientrò, ma non gli riuscì di trovare Sir Kay da nessuna parte. Fino al giorno prima avrebbe concluso che si fosse ubriacato e fosse finito a letto con qualcuna delle donnacce che da qualche tempo si aggiravano per il castello, ma non era possibile dopo quanto si erano detti. Suo padre era un uomo rude, sprezzante e con numerose debolezze, ma estremamente ligio al dovere in caso di necessità. E c'erano ancora un mucchio di cose da chiarire sulla missione da svolgere. Sentì l'ansia afferrargli lo stomaco; per la prima volta si sentiva non soltanto fra estranei, ma circondato da nemici... da ogni angolo sembravano accendersi occhi, lingue schioccare di soddisfazione. Una mano gli afferrò la veste all'altezza della spalla:
- Venite, presto, vi scongiuro! - Garanwyn sussultò a quel tocco e a quel bisbiglio. Era padre Ambrose, il vecchio chierico che officiava la messa nella cappella reale. Sembrava seriamente spaventato ma, per quanto lo riguardava, poteva essere una trappola.
Si risolse a seguirlo, tastandosi per cercare il coltello e maledicendosi quando si rese conto di averlo lasciato con le altre cose sul cavallo legato là fuori. Si sarebbe preso a pugni da solo, ma ormai...
Il cuore gli tremò quando, scesi i rozzi gradini di un seminterrato, vide proprio ciò che temeva. Suo padre giaceva a terra, in una pozza di vomito, rosso in volto e grondante di sudore.
- Io non credevo si potesse giungere a tanta crudeltà - farfugliava il religioso, affranto. - L'esilio del vescovo Baldwin avrebbe dovuto farmi capire...
Non era solo crudeltà, era l'atrocità più folle! Era già abbastanza vile pugnalare a tradimento un uomo, ma avvelenarlo? Un serpente, sì, solo una bestia immonda ne sarebbe stato capace!
- Dio, no, come avete potuto permetterlo? - singhiozzò Garanwyn inginocchiandoglisi accanto. A modo suo, l'aveva sopravvalutato.
Sir Kay gli artigliò il braccio: - Non lasciare che sia tutto inutile... vai, scappa, fai quello che ti ho detto!
Gli sembrava inconcepibile lasciarlo lì a morire, eppure una parte di lui capiva che doveva obbedire.
- Sapete certo come aiutarlo, non è vero? Dev'esserci un modo, non deve...
Padre Ambrose aprì la bocca per parlare, ma si fece bianco in volto quando scorse un'ombra in cima alle scale. Garanwyn si voltò in tempo per veder scendere Sir Melehan, ghignante e soddisfatto, in improbabili abiti da cerimonia.
- Che terribile disgrazia. Il re mio padre - sottolineò Melehan gongolando visibilmente - ha sempre affermato che bere troppo fa male alla salute. Che peccato doverci privare dei preziosi servigi di un tale valoroso!
Quel sarcasmo trasformò la paura di Garanwyn in una collera incontenibile.
- Assassino! Schifoso assassino!
- Anche voi delirate, dunque. Andiamo, tornate alle vostre canzonette e attendete il ritorno del vostro sgraziato protettore. Lo aspetto anch'io, sapete, desidero una rivincita più di ogni altra cosa. E comunque, non vorrete sprecar lacrime per un uomo che si è sbarazzato di voi quand'eravate bambino, che non vi ha mai amato neppure un briciolo?
- Bugiardo - rantolò Kay. - Garanwyn, non ascoltarlo...
Il ragazzo si slanciò contro il figlio di Mordred a testa bassa, tempestandogli il ventre di pugni. Senza scomporsi, Melehan gli afferrò il collo e strinse. Rideva, guardandolo dibattersi, ma presto un dolore acuto gli fece mollare la presa.
- Corri, Garanwyn! - Kay, seppure con la vista già offuscata dal veleno, era riuscito ad afferrargli una caviglia e a mordere con tutte le sue forze. Melehan era finito a terra, ma si era rialzato subito e lo colpì con un calcio tale da fargli sfuggire un gemito roco e rimanere immobile.
Garanwyn comprese che doveva andare, che era l'ultima occasione di salvezza per sé e e forse per il futuro del regno. Indietreggiò tossendo e incespicò nei gradini, ma riuscì a rialzarsi prima che Melehan si avventasse su di lui...
- Mio caro principe, perché tutto questo? - si intromise il chierico con aria candida. - Perché accanirvi con un povero storpio indifeso? Lasciate ch'io impartisca gli ultimi sacramenti al signor siniscalco, e occupatevi dei vostri più nobili uffici.
Ora, vi è un particolare che riguarda Sir Melehan di cui non siete a conoscenza. Anche un essere tanto spietato e abietto aveva una debolezza, acquisita per aver vissuto con la madre nei suoi primi anni di vita: era superstizioso oltre ogni immaginazione. Non pregava, non si confessava spontaneamente, ma non avrebbe mai osato rifiutare apertamente di presenziare alla Messa quando richiesto. Se si fosse trovato a Londinium al posto di suo padre Mordred, quando il vescovo Baldwin cercava di dissuaderlo dal molestare la regina, non l'avrebbe mai minacciato a quel modo. Commetteva le azioni più orribili con perversa gioia, ma aveva un timore reverenziale degli uomini di Chiesa e dei simboli sacri.
Perciò in quel frangente, convintosi che Sir Kay fosse ormai spacciato, si allontanò per badare in effetti ai suoi affari, poiché alcune delegazioni di regni alleati erano giunte in visita.
In quel trambusto, fra cavalli e carri e un gran numero di persone, Garanwyn uscì indenne dalla città. Galoppava come se avesse i diavoli alle calcagna, ma non c'era nulla e nessuno dietro di lui.

Falciati insieme, il cardo e la rosa,
non han profumo né sapore.
Bruciano insieme, colmando l'aria
di torbide nuvole scure.

- Che Iddio protegga il cammino di vostro figlio, signore.
 Sir Kay mosse appena le palpebre e mormorò, cancellando una vita di bestemmie: - Amen.




Il viaggio fu lungo e faticoso. Da principio lo shock gli permise di non sentire la fame e la stanchezza, ma quando le provviste si esaurirono ed ebbe finito di piangere il destino di suo padre, si accorse di essere sfinito. Non osava scendere da cavallo, perché temeva che questo fuggisse; così costrinse la povera bestia a procedere, sebbene lentamente, tutta la notte. Dopo un tempo interminabile giunse a destinazione. Riconosciuto, al castello fu sfamato e fatto riposare, ma si sentì ancora peggio - come in trappola. Quella che un tempo chiamava casa si era trasformata in una gabbia, dove avrebbe dovuto cantare per l'altrui diletto. Peggio ancora, nessuno sapeva che si trovava lì... Amren non lo sapeva e avrebbe potuto non rivederlo mai più.
Strinse i denti e ricordò a quale prezzo suo padre si era inimicato gli usurpatori del trono. Doveva fare il suo dovere, prima di piangersi addosso.

- Sono Garanwyn Hir - declamò quando fu al cospetto del re di Estangore - e sono un danzatore d'Oriente, una mente brillante, faccio vibrare le corde più intime della bella gioventù di Britannia! Vi racconterò, mio sire, come il più amato cavaliere della corte di Arthur Pendragon sia riuscito a spaccare in due il Consiglio! Ma forse questa storia vi è già nota, tutto il mondo ormai ne parla, persino il Papa si è scomodato per risolvere la bega... o forse vi devo parlare delle tenere damigelle conosciute laggiù, dalla carnagione di pesca e l'alito di viole? Ma sono sciocchezze, mio amato signore, voi lo sapete. Perché io stesso sembravo una donnina, a confronto dei ragazzi di Camelot. Non pensate anche voi ch'io abbia dei languidi occhi?
Era passato da un'espressione grave ad una compita, e poi aveva accennato ad un goffo balletto, concludendo con uno sfarfallio di ciglia. Era perfetto in quel ruolo che era stato così recalcitrante a ricoprire, e Brandegoris batté le mani deliziato, ridendo e tossendo.
- Mio caro, caro ragazzo! Perché non sei rimasto con me già allora, invece di lasciarmi solo a coprirmi di polvere in questa topaia di castello? Elyan ha seguito la sua strada e lo comprendo, ma tu, scricciolo! Cosa mai potevi fare nel mondo!

Potevo amare, pensava Garanwyn, amare qualcuno che mi guarda come nessun altro, che mi accarezza e mi bacia e mi fa sentire bene, tanto, tanto.

Brandegoris incalzò, entusiasta: - Ma raccontate! Mio nipote ha trovato moglie, ha compiuto grandi imprese? - Faceva compassione quell'uomo, così sorridente, ma invecchiato e fragile... e non poteva dirgli la verità, nemmeno usando le parole più buffe:

Ma certo, vi dirò, il ragazzino biondo che facevate saltare sulle ginocchia è diventato una spia. La sua prima missione è stata provvidenziale per salvare la vita della regina Ginevra... e permettere all'idolatrato Lancelot di scoperchiare una dozzina di crani.  Se non è già sposato, lo sarà presto... credo che nella bella Francia ci sia parecchio da scegliere in quanto a fauna. Solo che non gli permetteranno mai di scegliere, naturalmente.


No, non poteva raccontargli nulla di tutto ciò, né ironizzare su altri che su se stesso. Sarebbe potuto essere un periodo felice; aveva ritrovato l'affetto di chi non l'aveva dimenticato: i maestri d'arpa da cui aveva appreso l'arte, e le prodighe cuoche, e gli stallieri loquaci. Il patto fra lui e il re era stato chiaro e semplice - sarebbe rimasto al suo fianco allietando le sue giornate, e in cambio egli avrebbe inviato il suo intero esercito in aiuto di Arthur per fronteggiare qualsiasi evenienza. Era stato possibile perché Brandegoris non poteva immaginare quanti stessero appoggiando Mordred, né della sua alleanza con i Sassoni. Se l'avesse saputo, non avrebbe azzardato tanto - la sua garbata e tenera follia di vecchio non era giunta a quel punto.

Grande è la tua bellezza, ma non puoi volare.
In tutto e per tutto sei simile a me.
T'amano le farfalle intorno, e t'amo io,
ma spine e non ali abbiamo avuto in dono.
Crediamo di fuggire, ma è illusione,
ché nello stesso prato sarà il risveglio.

Poteva essere un periodo felice e sarebbe bastato davvero poco, una sciocchezza: cancellare dalla mente quei brevi anni a Camelot, fingere di non essere mai partito al fianco di Elyan e di non aver mai provato sentimenti per quella persona indimenticabile che era Sir Amren di Lindsey. Di non aver mai fatto l'amore con lui tra l'erba alta in riva al fiume, né di avergli aperto il cuore inventando le parole quando non ne esistevano di così grandi da esprimere il suo amore. Di aver descritto quella storia così intensa e difficile in mille canzoni che parlavano di fiori e spine e lacrime. Doveva lasciarsi tutto alle spalle e sentirsi grato di essere ancora vivo. Non doveva essere impossibile... un sorso di vino prima di andare a dormire avrebbe scacciato i brutti sogni
(Scappa, corri, vai via)
e non avrebbe avuto proprio il tempo di pensare, perché a tutte le ore Brandegoris lo voleva accanto a sé.

- E ci sono tutte quelle dame, piene di rughe a furia di sorridere quando non ne hanno voglia, che a quarant'anni ripetono di sentirsi come sposine fresche, e immagino sia perché non hanno mai consumato il matrimonio... sapete com'è, correndo tutto il giorno dietro alle bestiacce latranti e alle visioni sacre, i cavalieri si sono dimenticati come usare un certo profano arnese... e loro, poverette, a incensare la regina, ché farebbero di tutto per lei, anche rinchiudersi in una torre in sua compagnia.
- Questa l'ho sentita anch'io. Sir Mordred avrebbe voluto sposare la regina, ma...
- Lo VEDETE! Non racconto fandonie, signore!

Il suo cuore batteva veloce come quello di un uccellino, e lui parlava, parlava e gesticolava, copriva con la voce i ricordi per non sentire quel dolore insopportabile. Sì, sarebbe riuscito a dimenticare... in un centinaio di anni, forse. Gli incubi tornarono. E come la rosa si risveglia ogni giorno nello stesso prato, quando ha creduto di trovarsi in cielo, lui si ritrovava in un luogo tanto estraneo al cuore quanto familiare agli occhi, perché da nessuna parte si sarebbe più sentito a casa sua, se Amren non poteva raggiungerlo.
Io ti amo.
Ti amo.
Amo...

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Capitolo 9
*** Ancora veleno ***




Aveva avuto un'altra occasione, doveva ben ammetterlo. Ma buon sangue non mente, e l'aveva deluso un'altra volta.
Re Arthur aveva lasciato il trono in mano a Mordred, ed egli l'aveva tradito; allo stesso modo Melehan, investito della medesima responsabilità, aveva agito in modo impulsivo senza nemmeno impedire la fuga di notizie. Se il nuovo sovrano di Camelot aveva intenzione di riprenderlo tra le sue grazie, questa appariva ora una possibilità alquanto remota. Ma certo, avvelenare Sir Kay era stata un'idea con i controfiocchi! E invece di mandare qualcuno a riprendere i messaggeri che senza dubbio erano stati inviati ad avvertire l'esercito sul continente, se n'era rimasto ad intrattenere gli ospiti e le donnine allegre! Terzo errore: invece di sincerarsi di aver concluso il lavoro, aveva lasciato la sua vittima in compagnia di un chierico che a proposito di antidoti doveva saperne un bel po'. Nulla da fare, nemmeno Melou aveva osato difenderlo, visto che aveva contribuito al disastro generale e temeva di venire diseredato a sua volta.
In pochi giorni, comunque, Mordred era riuscito a organizzare le truppe alleate e a scendere fino allo stretto: credeva di poter respingere facilmente i cavalieri già stremati dalle scaramucce in terra di Francia.

- Vedete? Lui mi disprezza, ma non sono io il suo maggior problema.
Feroce, gli occhi lucidi di follia e le guance gocciolanti di sudore, Melehan si esaltava nelle sue personali imprese trascinando con sé un branco di brigantelli scovati chissà dove, bruciando capanne, trucidando bestiame e strappando all'innocenza le prime roselline della stagione.
- Di grattacapi ne avrà anche senza di me! Eccome! Lo voglio vedere!
E quando seppero che da vedere ci sarebbe stato davvero molto, si erano diretti a loro volta a sud, seguendo le battaglie da non troppo vicino. Le sue stravaganze erano già sulla bocca dei suoi compagni; quando una contadinella atterrita, a cui avevano già strappato i vestiti, si era messa a pregare gridando "Signore, salvami"... lui, che non aveva mai pietà per nessuno, che solitamente gioiva delle urla strazianti e dell'odore di carne bruciata, ecco, quella volta l'aveva lasciata a se stessa ordinando agli altri di risalire sugli arcioni e rimettersi in cammino. Certo, non osavano contraddirlo, ma che occhiate si erano lanciati! E che risatine avevano brillato dietro le sue spalle! Ma non era più in grado di curarsi di cosa pensassero di lui, con la voce di
(sua madre)
quella donna a ripetergli le cantilene dell'infanzia, notte dopo notte, ed il volto deforme del suo nemico a sfidarlo nei sogni fino a colmarlo d'ira bollente.

In realtà, Amren aveva da pensare a ben altro che a lui. Finché era durato l'assedio vero e proprio, c'erano stati pensieri di guerra; e durante la convalescenza di Gawain, pensieri d'amore. C'erano state lunghe conversazioni con suo padre, chiusi in una tenda ad aspettare l'alba,



- Tua madre mi ha raccontato che come lei ricordi... quell'altra vita. Le isole.
- Solo la battaglia. L'orrore.
- Quello che è accaduto, quello che per voi è stato reale... non si deve ripetere per forza.
- Lo so, padre. Ma mi fa male. Lei... non era mia madre, allora. Si chiamava Branwen, mia madre.
- Sì, mi ha detto anche questo.
- Era piccola. Con la carnagione pallida. Anche lei vi amava.
- Sarà questa l'immortalità? Tornare a vivere con le persone che abbiamo amato? Dio è così misericordioso!


e silenzi altrettanto eloquenti, che profumavano di timida speranza. Aveva finito col credere, come tutti loro del resto, che la questione si sarebbe infine risolta tra quei due soltanto, e che sarebbero tornati tutti a casa più o meno interi. Non faceva i salti di gioia al pensiero che suo zio Gawain, già ridotto molto male, avrebbe finito con il soccombere ai colpi di Sir Lancelot, ma capiva che continuare a vivere di rabbia e dolore non avrebbe avuto senso. Perdere uno per uno i propri cari, facendosene ogni volta una ragione, era un'esperienza al di là di ciò che riusciva a concepire. Eppure quell'altra volta lo aveva provato lui stesso. Quell'altra volta a Hrossey.
Ero diventato re, Orkney mi apparteneva, ma ero rimasto solo.
Mio padre era rimasto ucciso negli scontri, la regina si era suicidata
(Fate attenzione alle finestre, madre)
e gli altri non avevano tardato a seguirli nella tomba, schiantati dal cordoglio. Non avevo più un esercito degno di questo nome, eppure non mi ero arreso.
Avevo chiesto aiuto a mio cugino, il re del Galles. Erano giunti cinquecento boscaioli del Cumberland, forse non avvezzi alla vita da soldato ma abili a maneggiare asce, poteva contarci. Avevamo passato il mare cogliendo di sorpresa i nemici nella sua tana, distruggendo i loro villaggi così come essi avevano ridotto le isole a ferite aperte sulle acque. E quando tutta quella terra era stata mia, dai ghiacci perenni ai confini del regno sassone, così come ai tempi del mio avo Thorfinn, di nuovo mi ero guardato intorno e avevo compreso l'inutilità di tutto ciò.


No, non doveva ripetersi qualcosa del genere.

Nulla si ripeterà.


Così fu. Tra le mura umide del castello di Dover non ci fu più spazio per la speranza o il ricordo, e vita e morte si dischiusero nuove e fragranti ai loro occhi.
Non era soltanto il funerale di un uomo, ma la chiusura di un capitolo della loro Storia. Anche il rancore verso Sir Lancelot e i suoi alleati s'era attutito fin quasi a sparire. Il nemico da combattere non era più un estraneo; la serpe, il re, se l'era allevata in seno, era sangue suo! E almeno a Barham Down, per un poco, seppero di nuovo che cos'era importante e cos'era urgente - combattere, combattere per la patria e per il trono del grande Arthur Pendragon. Fu una battaglia vera, quella, e l'ultima a cui Amren fu consentito partecipare in quella vita.
Dopo, ci furono le trattative, i paroloni, i tira e molla finché non sembrò di nuovo scongiurata la possibilità di nuovi scontri. Bedivere sapeva come parlare a Mordred, fingendo che nulla fosse successo, come se si fosse trattata di un'allegra schermaglia familiare. Lucan, a sua volta, cercava di guardare in faccia il traditore il meno possibile per non lasciar trapelare il dispetto, ma era pur contento di avere una possibilità di portare a casa la pelle, considerati gli ultimi sviluppi della sua vita sentimentale.
Una volta che i duchi di Lindsey furono tornati a Salisbury con le buone notizie, il re scelse quattordici tra i nobili di più alto rango che si prepararono all'incontro decisivo, in cui l'accordo sarebbe stato siglato ufficialmente. Era la migliore prospettiva a cui si potesse giungere, a seguito di vicende tanto travagliate e dolorose, eppure qualcuno era scontento.
- Sono pur vostro cugino! Non vi ho sempre dimostrato la mia fedeltà? Volete gettare in pasto ai lupi le mie terre, come se mio padre non fosse morto per difenderle, come se io non avessi un posto alla vostra Tavola e nella vostra famiglia!
Qualcuno sogghignò e ci furono varie gomitate e strizzate d'occhi. Nessuno prendeva mai sul serio Sir Costantine di Cornovaglia. Sarebbe stato un membro influente del Consiglio, se qualche volta si fosse degnato di presentarsi alle riunioni. Era un cavaliere valoroso e cortese, ma il suo restare in disparte, a badare agli affari suoi - dote molto rara, e ahimé fraintendibile - l'aveva reso lo zimbello delle lingue affilate di Camelot. L'avevano soprannominato "Il Grande Assente", e persino quando c'era stata una ridefinizione nei confini tra il suo ducato e il Devon (parliamo di una decina d'anni prima, in tempi gagliardi) il re aveva fatto una battuta di spirito sull'eventualità di "andare direttamente a portargli corde e paletti per delimitare le terre acquisite, visto che non si degna di ringraziarmi del favore".
Insomma, a tutti sembrava che l'accordo fosse dignitoso, in quanto il Kent era da tempo un covo di Sassoni rabbiosi. E la Cornovaglia, appunto, si poteva ben sacrificare, se non altro per fare un dispetto a Constantine.
- Voi avrete molto più di prima, quando tornerò sul trono. E sarete il mio erede, non certo Mordred, è chiaro. È una promessa solenne - rispose Arthur, quando l'atmosfera riuscì a tornare seria. - Ma ora dobbiamo raggiungere un compromesso, fargli credere...
- Non gli basterà! Ha i Sassoni dalla sua parte! Lascerà passare un po' di tempo, e poi attaccherà insieme da est e da ovest, ci chiuderà in una morsa... siamo decimati, non avremmo scampo se gli lasciassimo terreno ora! Ma come non vedete? Dite che un giorno sarò re, ma re di che cosa? Preferisco di gran lunga rimanere ciò che sono, conservare ciò che ho, e aiutarvi oggi. Ma se preferite agire da vigliacco, fatelo pure. Io non firmerò nessun accordo, tornerò con i miei soldati in Cornovaglia dove ci accingeremo a difenderla da chiunque voglia invaderla, anche se avrà il vostro vile permesso.
Erano parole fiere, che in altre occasioni Arthur avrebbe punito con la spada, ma dentro di sé sapeva che il cugino, da parte sua, aveva ragione. Non fece più nulla per trattenerlo, e quella sera stessa Sir Constantine e i suoi uomini partirono verso ovest.
Non erano ancora cessate le chiacchiere prima ironiche, poi via via più preoccupate, che si era udito uno scalpiccìo di cavalli in arrivo, ed erano truppe fresche, che portavano i colori di Estangore. Dunque il vecchio Brandegoris aveva infine preso posizione, e a loro favore! Arthur provò un enorme senso di gratitudine, e anche se contava di evitare ulteriori scontri, gli faceva comunque piacere ricevere un aiuto concreto dopo essere stato abbandonato persino dai parenti più stretti.

Amren se ne stava in disparte, ascoltando distrattamente la discussione, come se si fosse trovato in un'altra stanza. Un ufficiale tra i nuovi arrivati gli si avvicinò, ma anche dopo che si fu presentato e l'ebbe informato che doveva consegnargli una lettera, credette che avesse sbagliato persona. Dopotutto, non conosceva nessuno ad Estangore. Sir Elyan, a cui non pensava più da tempo, era in Francia, e non aveva mai avuto il piacere di incontrare re Brandegoris.
- Ma voi siete Sir Amren di Lindsey, mi dicono... il figlio di Sir Bedivere e della splendida Lady Clarissant di Orkney, che ho avuto l'onore di incontrare dieci anni fa a Gore. - insistette l'uomo, lusinghiero.
- In persona, certo. - Si alzò per stringergli la mano e prese il rotolo che, notò, non presentava alcun sigillo. Non era dunque una missiva ufficiale.
- Vedete, per noi è stata una sorpresa venir spediti qui, credevamo davvero di essere fuori dal conflitto. Nondimeno siamo felici di aiutare re Arthur in questa delicata situazione, e desideriamo che tutto si concluda per il meglio...
- Tutto questo l'avete già spiegato al re e a mio padre - tagliò corto Amren, confuso.
- Perdonate! Mi dilungo troppo. Ciò che volevo dire è che, a convincere il mio sovrano, non sono stati i vostri disperati appelli ma il gioco d'un buffone. Diciamolo chiaramente: è decrepito, è un gran sentimentale, e non si potrebbe dire che bene di lui, se non che si rende ridicolo. Non ha occhi che per quel ragazzino... e-
Amren capì che per dare un taglio alle chiacchiere irrefrenabili dell'ufficiale non doveva fare altro che andarsi a sedere un po' più vicino agli altri. Con la lettera sulle ginocchia, di nascosto la aprì e ne sbirciò il contenuto.
Inspirò bruscamente, sobbalzando un poco, e un paio di teste si voltarono senza che se ne accorgesse. Avrebbe riconosciuto quella calligrafia tra mille, ma se avesse ancora avuto dubbi, la firma li avrebbe dissipati...
- Di che si tratta? Fa' leggere!
Non era la prima volta che suo padre si adirava con lui. Dopo il duello con Melehan, mentre viaggiavano verso Lindsey, egli l'aveva redarguito con dure parole e non aveva nemmeno potuto giustificarsi. Persino Sir Lancelot aveva potuto addurre scuse migliori per le sue azioni, a pensarci bene, perché la regina era pur sempre una donna. Era rimasto in silenzio e la sfuriata si era conclusa lì.
Ma non era mai, mai, mai accaduto - e aveva fatto di tutto perché mai accadesse - che Bedivere avesse dei sospetti sulla sua lealtà. Ne fu come annientato, ancor più che quelle righe potevano contenere davvero qualcosa di compromettente, anche se in un senso in cui la guerra non c'entrava nulla.
Arthur si era allarmato, ma quando Bedivere ebbe scorso la lettera e un sorriso era comparso sul suo volto, si rasserenò.
- Avete nulla in contrario, Sir Amren, a condividere con noi la vostra corrispondenza privata?
Il giovane fece segno di no, sudando freddo.

Mio amatissimo amico,
ti scrivo dal castello di Estangore, e ti invio questa mia per mezzo del nobile Sir Brian.
Se stai leggendo, significa che tutto si è concluso nel migliore dei modi. Se ti hanno convinto che ho avuto chissà quali meriti per l'arrivo delle truppe tra voi, non crederci. Io sono una piccola cosa. È stato mio padre ad accorgersi dell'inganno di Sir Mordred, e per questo è-
Arthur non si accorse che il volto di Bedivere, dapprima divertito, si rabbuiava, e nemmeno che aveva saltato a pié pari un paio di righe.
... e per il resto rendo merito alla generosità di re Brandegoris, che mi ha riaccolto alla sua corte con immutato affetto.
Spero che torni la pace fra voi e i cavalieri di Francia, e che potremo entrambi riabbracciare Sir Elyan. Parlo a nome del re suo nonno, ma credo che ciò si estenda anche a madamigella Eneuawc, se me lo permetti.
A quel punto Bedivere improvvisò una finta collera, che scatenò il buonumore del re:
- Che io finisca infilzato, se darò mia figlia in sposa al rampollo di Sir Bors! Ero stato chiaro su questo punto, mi sembra! - Lucan ghignava alle sue spalle e Amren sospirò di sollievo.
- E perché no? Ci sono uomini peggiori al mondo, sapete. Come quelli che stiamo andando ad incontrare. Finita?
Sento sempre più forte la tua mancanza e credimi, non è più soltanto un soprannome di scherno,
il tuo devotissimo
Garanwyn Hir
- Ha! Gli è rimasto appiccicato addosso! Buon per lui. - concluse Arthur. - Ha stoffa, quel ragazzo, e ora capisco il perché di tanto fervore nel difenderlo. Temo che dovrò soprassedere alle sue mancanze fisiche e concedergli l'investitura, se torneremo sani e salvi a corte. Sempre che a Brandegoris non dispiaccia troppo separarsi di nuovo da lui.
Gli ufficiali di Estangore si scambiarono un'occhiata imbarazzata e preferirono rimanere in silenzio.
- E Kay è sempre la solita volpe! Non solo ha mandato ad avvertirci, ma ha cercato alleati già prima che Mordred radunasse le sue armate!
Bedivere guardava il volto finalmente ottimista del suo re e pianse in segreto per ciò che aveva appreso, e che per nulla al mondo poteva rivelargli prima dell'incontro.

- Me la ridarete?
Il padre lo guardò con un misto di tenerezza e senso di colpa. Si mantenne però prudente:
- Più tardi, Amren. Capirai perché.
Lui sospirò. Non gli era sfuggita l'esitazione che aveva avuto durante la lettura e questa poteva significare solo due cose: o Garanwyn si era lasciato sfuggire una qualche frase troppo amorosa (il che non era probabile, visto che Bedivere ora non sembrava in collera con lui) oppure raccontava di avvenimenti che egli
(o il re, o entrambi)
non doveva conoscere.
Ma andiamo, non era più un bambino!
- Sì. Mi dispiace averti fatto credere di aver dubitato... in realtà sapevo che non vi poteva essere nulla di compromettente in quella lettera. Mi fido di te come di me stesso. Ma devo essere imparziale agli occhi del re e degli altri. Sei un mio pari, con i vantaggi e le responsabilità che questo comporta.
- Allora datemela, ve ne prego.
- Ciò di cui verrai a conoscenza non pregiudicherà la tua condotta durante l'incontro?
Amren giurò. Non avrebbe distrutto gli sforzi che suo padre e suo zio avevano compiuto nell'intavolare le trattative. Avrebbe rispettato la volontà di Arthur di attendere l'arrivo di Sir Lancelot prima di ogni cosa. Dopotutto, se Garanwyn stava bene, cos'altro avrebbe potuto sconvolgerlo fino a fargli perdere il controllo?


Quando aveva sentito odore di tregua tra i due eserciti, Melehan aveva avuto una reazione simile a quella di Sir Constantine. Suo padre era una donnicciola, nientemeno! Si accontentava di un... niente! Ah, ma ci avrebbe pensato lui a movimentare la situazione.
Il suo piano prese forma durante quelle notti inquiete, le ultime in cui riuscì ancora a formulare pensieri coerenti. La sospensione delle ostilità l'aveva contrariato, ma in qualche modo serviva al suo scopo.
Perché lui- cosa voleva veramente? La gloria di suo padre, o la sua rovina? La sua fiducia, o il suo odio? La pace, o la guerra? Tutto questo insieme, voleva! Imitarlo alla perfezione e allo stesso tempo deluderlo ancor più profondamente, la sua sconfitta e nel contempo quella del vecchio, il potere di distruggere e distruggersi come meritava
(Dio non vuole)
doveva provarci, tornare sui suoi passi
(Dio non dimentica)
e quando sarebbe stato di nuovo dentro al cerchio, avrebbe lanciato la rete a costo di restarci intrappolato.
Ah! Averli tutti in una mano, e schiacciare, schiacciare... spremerli come uva.
Aveva l'arma perfetta. E l'occasione perfetta. Non una vera ragione, ma era forse importante?
Lo so io cos'è importante. Il dolore, le urla, la carne viva. Le voci che si placano.

Così quella mattina Mordred se lo trovò davanti come se quasi niente fosse successo. Chiedeva scusa, e con un certo garbo, anche. Voleva restare al suo fianco e seguire il suo destino, comunque si fossero concluse le trattative. Aveva mollato i suoi compagni di strada e si era persino ripulito nel tragitto per raggiungerlo, tanto che sembrava di nuovo un ragazzo ammodo. Insomma, il bel bimbo di mamma Guinevak.
A Mordred non faceva alcuna differenza perdonarlo oppure no. Gli premeva che non creasse ulteriori scompigli, quindi tra scacciarlo un'altra volta e tenerselo stretto per controllare i suoi ghiribizzi, scelse la seconda opzione. Se avesse rigato dritto, la faccenda era chiusa, altrimenti... aveva pur sempre un altro figlio.
A sua discolpa occorre precisare che non sapeva niente delle stragi, degli stupri e degli altri divertimenti che il suo primogenito si era concesso.
Quando gli toccò decidere se portarlo con sé all'incontro, nicchiò un poco. Era rischioso, ma lo era altrettanto lasciarlo con i soldati e permettere che promuovesse una rivolta o peggio (anche una tale prospettiva gli risultava già parecchio fastidiosa). Perciò ora immaginateli, trenta fiori di nobiltà all'ombra di un padiglione montato appositamente in cima alla collina, a sorseggiare vino e masticare parole come legno, temendo e aspettandosi una mossa falsa.

Eccoli, gli ingenui. Il caro nonnino, che sudava e cercava di imputarlo al caldo di inizio estate; Sir Bedivere, soddisfatto della brillante missione portata a termine, e Lucan, quel gran bifolco travestito da cerimoniere, che fingeva di cercare una mosca caduta nella coppa. E poi lui, l'incubo degli incubi, Amren di Lindsey.
(Ma quest'ultimo non aveva affatto un'espressione ingenua. Lo fissava con odio, e non era la rabbia di quando l'aveva sfidato per aver aggredito Garanwyn... era odio puro, forte almeno quanto il suo)
E quando Mordred invitò tutti, sorridendo ad Arthur con cautela: - Cavalieri, scambiatevi un segno di pace - Ecco. L'occasione.
Fecero entrambi due passi avanti. Melehan guardò dritto davanti a sé, lasciando scivolare lentamente lo stiletto dalla manica. Amren si voltò a guardare suo padre per l'ultima volta, cercando il coraggio che gli impedisse di slanciarsi contro quell'assassino infame.

Hai ucciso Sir Kay. Gliel'hai strappato via nel più atroce dei modi. Garanwyn non ha più una famiglia, ed è colpa tua... non posso credere che tu l'abbia fatto solo per far soffrire me, non posso... 

Lo trovò, quel coraggio; e tese la mano, trattenendo la nausea ed il disgusto. Melehan l'afferrò senza staccare lo sguardo dal suo poi, con un ghigno estasiato, spinse la sottile lama, squarciandogli il palmo.
Amren non gridò. Mosse la testa in un moto di sorpresa e sciolse la stretta. Lo stiletto cadde a terra senza far rumore.
Aprì le dita e guardò il sangue che scorreva sul braccio, sempre più copioso, e sentì il bruciore farsi insistente, infuocato, e risalire fino alla spalla in una morsa paralizzante. Capì solo allora che, a distanza di quasi un anno, Melehan aveva vinto il duello - barando, perché era l'unico modo in cui raggiungeva i suoi fini, ma aveva vinto...
- Tagliala via - sussurrò il cugino tra i denti - Forse riesci a cavartela. Dopotutto era il tuo desiderio, somigliare a tuo padre in tutto e per tutto, non è così?
Gli occhi gli si riempirono di lacrime e pregò che non accadesse, pregò di non diventare un martire, di non essere la causa della rottura della tregua, perché aveva pur giurato... non doveva deludere nessuno.

Devo restare in piedi, fingere di star bene finché non sarà tutto concluso e-

Il fuoco ardeva ovunque, ormai, e non scorgeva più che ombre. La gola gli si chiuse e sentì che le gambe perdevano forza.

Non vendicatemi... non sono poi così importante...

Sentiva la voce di suo padre, adesso, gridare il suo nome; Melehan rideva, rideva come un ossesso, e ad un tratto doveva aver provato a fuggire, perché sentì il rumore di una spada estratta dal fodero.
- Serpe! Serpe assassina!

NO! Non per me...

Ricordò quella notte in cui aveva barattato l'onore per l'amore; e provò ad illudersi che anche questa fosse una piccola, innocente magia, un sogno doloroso da cui ci si poteva ancora svegliare. Ricordò la voce di Garanwyn,

Volano i petali nel vento,
non è più primavera-

e rimase ad ascoltare il proprio cuore che batteva all'impazzata, come se dovesse staccarglisi dal petto, mentre il fuoco diventava ghiaccio ed esplodeva il frastuono dei soldati.

Perdono.


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Capitolo 10
*** Una corda spezzata. ***


Qualcuno potrebbe chiedersi perché questo figlio di... cuoca compaia soltanto adesso. È vero, ci sono state altre occasioni di presentarlo, ma la ragione è semplicemente che... prima non esisteva. È spuntato fuori così. Il nome Conn è fregato dalle Nebbie, era un nipotino di Uriens se ben ricordo. Ci sono parecchi passaggi che necessiterebbero di note a parte, ma sono troppo stanca per rileggere.
Ho ficcato troppa religione tra le righe.
E troppe scene stile Desperate Housewives (L'infanzia di Amren è copiata spudoratamente dall'episodio "E se..." della sesta stagione).



Quattro giorni dopo l'incidente, Garanwyn aveva un prurito terribile. La fasciatura era troppo stretta, ma lui sopportava in silenzio: già una volta la moglie del siniscalco (che lo conosceva da quando aveva nove anni, e aveva vaghe pretese materne) l'aveva scoperto ad allentarla e gli aveva strillato nelle orecchie fino a rintronarlo, perciò ora se ne stava buono a guardare il maestro che finalmente si accingeva ad aggiustare la corda dell'arpa.
- Come tu sia riuscito a farla saltare, poi, non lo so. Sono robuste, queste, mica roba da fanciulline - grugnì il vecchio, alludendo al non proprio aitante fisico del ragazzo. Poteva ben permettersi di scherzare, lui, che gli aveva insegnato l'arte; e d'altronde Garanwyn lo permetteva a quasi tutti. Non era mai stato un musone e l'autoironia era forse la sua dote più spiccata. E poi perché mai prendersela per una battuta, quando a Camelot aveva subito ben altre umiliazioni e altri tormenti? - Era un regalo di pace del re d'Irlanda. Se non ti fossi fatto male, il re ti avrebbe dato una sculacciata, altro che consolarti!
- Sono desolato. Si è rotta all'improvviso ed è quasi passata da parte a parte... credo di essere svenuto quando ho sentito dolore e ho visto il sangue. Mi sembrava...
No, non poteva dire cosa gli era sembrato di vedere. Dove aveva creduto di essere. Cosa credeva fosse successo quel giorno maledetto. Semplicemente lo allontanava da sé, quel pensiero, perché il suo cuore non poteva contenere, senza andare in frantumi, un'immagine tanto atroce. E tuttavia non aveva dimenticato del tutto quella sensazione che l'aveva attraversato quando la corda si era spezzata, o le parole della canzone -

Calpestati in eterno
noi fragili fiori
svanisce il profumo e la speranza

ed era stato così, era davvero così, ogni speranza di rivedere il suo amato era crollata di colpo. Ma la certezza venne più tardi, in groppa ai messaggeri venuti dal sud per annunciare la perdita dell'intero esercito nella battaglia di Camlann. Lo seppe in quel modo, e non v'erano unguenti che potessero sanare una ferita del genere.
Non v'era più nessuno da attendere, né in quel castello né altrove. Nessuno sarebbe tornato.
Re Arthur Pendragon, il più grande dei sovrani, e che tuttavia non era mai stato chiamato a servire,
Sir Lucan, colui che con poche sagge parole l'aveva spinto ad amare suo padre,
Sir Brian, il forte e scanzonato capitano dell'esercito di Estangore...
ed implicitamente lui, di cui non aveva più il coraggio di pronunciare il nome nemmeno nei sogni.
Non immaginava perché e per mano di chi era accaduto, ma ormai sapeva come e quando. Sapeva che era stata una lama sottilissima a spegnere quegli occhi adorati ed un cuore spietato a guidarla, e avrebbe voluto guardare in faccia la bestia che gli aveva portato via l'unico bene della sua vita, ma era impotente quanto un cavallo sgarrettato.
Brandegoris avrebbe potuto, ad ogni buon conto, rimproverargli il massacro dei suoi uomini, ma non lo fece mai. Era stata una decisione soltanto sua. Era rassegnato ad essere rimasto, nei fatti, l'ultimo della sua stirpe, e che il regno di Estangore non significava più nulla; se ne era reso conto il giorno in cui Sir Bors gli aveva portato via Elyan, imponendogli un nome ed un'eredità differenti. Non gli faceva più effetto guardare il mondo crollare, non più di quanto fosse indispettito nel sentirsi morire a poco a poco. Aveva usato quanto restava del suo potere per legare a sé Garanwyn, e sperò che gli sarebbe rimasto accanto fino alla fine. Così avvenne: ed egli lo ripagò, negli ultimi istanti, chiamando una Forza più grande a vegliare su di lui.



Come tutti i cavalieri di questo mondo, Sir Bedivere aveva avuto, nel tempo, un certo numero di scudieri al suo servizio. Quando era tornato a Lindsey per radunare i soldati da condurre in Francia ne era sguarnito, così aveva deciso di portare con sé un ragazzino della sua famiglia, che forse era un po' troppo giovane, ma di cui si fidava ciecamente. Si chiamava Conn, ed era un figlio bastardo di Sir Griflet; ed era una creaturina risoluta e curiosa quanto basta a superare in fretta la nostalgia di casa. Che poi, sarebbe stato arduo soffrire a lungo la mancanza delle sorellastre, che non perdevano occasione per strapazzarlo e ridere di lui.
Così aveva trattenuto il fiato alla vista delle schiere di soldati pronte a salire su navi che gli parevano immense; aveva conosciuto soldati e cavalieri e servi e prostitute e aveva fatto amicizia con gli altri scudieri. Ascoltava tutto, notava tutto e ne faceva tesoro, senza chiedere né attirare attenzioni. In questo modo, i mesi dell'assedio e le battaglie a cui aveva assistito avevano maturato il suo animo quasi senza che se ne avvedesse lui stesso, né gli altri. Soprattutto perché fu costretto a vedere e udire più di quanto avrebbe voluto. Ah, la morte, sempre la morte, e il tradimento, e l'agonia! Così era il mondo lontano dalle rassicuranti mura del castello di Lincoln - mai prima aveva compreso quanto là fosse al sicuro, e non prigioniero come credeva - e non gli piaceva, non gli piaceva affatto...
Ora, Conn attendeva paziente che il suo signore si risolvesse a partire. Non aveva alcun dubbio che, prima o poi, l'avrebbe guardato negli occhi e riconosciuto; che nonostante la sofferenza, la disperazione, lo smarrimento si sarebbero diretti insieme verso casa. Ne era sicuro perché sapeva quanto amasse sua moglie e sua figlia, ch'erano tutto ciò che gli restava al mondo. Ma non accadde. Quando Sir Bedivere distolse finalmente gli occhi dall'orizzonte dov'era scomparsa la barca, non gli rivolse la parola. Non diede segno di volerlo portare con sé, e tantomeno - questo lo fece rabbrividire - prese la strada di Lindsey, ma scomparve galoppando nel folto degli alberi. Il ragazzino corse per un buon tratto addentrandosi nella foresta, chiamandolo, ma presto la debolezza si fece sentire e non riuscì a proseguire. Si addormentò sotto un albero e fu per caso se nessuna belva lo aggredì durante la notte. Al risveglio, però, grato di essere ancora vivo e deciso a rimanerlo ancora per molto tempo, tornò sui suoi passi fin quasi alla Piana, e lì s'imbatté in un buon numero di soldati, sani e ben nutriti, guidati da un cavaliere che si lamentava ad alta voce.
- Ahimé, perdono, mio sovrano! Quando vi abbandonai, non credevo di lasciarvi a questo destino! Sono stato egoista, e nulla potrà ridarmi l'onore; avrei fatto meglio a perdere la mia terra, e non il mio re! - Il cavaliere ripeteva queste parole con accenti sinceri e accorati, battendosi il petto e sospirando. Ma quando s'avvide che il ragazzino lo guardava, s'arrestò e gli chiese come si chiamasse.
- Il mio nome è Conn, e sono lo scudiero di Sir Bedivere, che la misericordia di Dio ha preservato in vita in questa catastrofe, ma che non ha voluto portarmi con sé dovunque si sia diretto...
- E dove si è diretto, sai dirmelo? - chiese gentilmente il cavaliere.
Conn indicò la foresta e la strada che l'attraversava.
- Quella è la via per Glastonbury, ragazzo, e se il nobile duca è giunto al monastero, egli è al sicuro. Ah! Uno soltanto dei miei eroici pari di Britannia è scampato a questa tragedia, e tutto il resto è andato in pezzi! - Riprese a lamentarsi, e avrebbe continuato ancora a lungo se Conn non gli avesse rivolto il seguente discorso:
- Signore, so chi siete, e quale fu la decisione che ora rimpiangete: non v'è modo di tornare indietro. Ma siete pur qui, Sir Constantine, e potete aiutare me!
L'ardire del giovane risvegliò l'orgoglio nel cuore del figlio di Cador, che lo invitò a proseguire.
- Devo in qualsiasi modo raggiungere Sir Bedivere, per sapere se è davvero al monastero di Glastonbury, e quanto gravi sono le sue ferite; e forse anche voi desiderate parlargli, dimostrargli che non intendevate abbandonare re Arthur!
Non c'era nessuno motivo perché Sir Constantine dovesse sentirsi sollevato solo perché uno scudiero dimostrava di non giudicare severamente le sue azioni, eppure sentì quelle parole come un balsamo sulla sua coscienza.
- Ti accompagnerò senza indugi. - E si volse verso i suoi uomini per impartire gli ordini: essi dovevano fare piazza pulita degli sciacalli che senz'alcun rispetto derubavano i cadaveri, ed attendere Sir Lancelot che sarebbe certo giunto di lì a poco con i suoi compagni. Ma alzando lo sguardo, notò il padiglione ancora intatto sulla collina. - È dunque lassù che s'incontrarono il re ed il traditore? Che cosa non funzionò? Cosa accadde davvero?
Conn sospirò e non rispose. Sir Constantine lo fece salire in sella, spronò il cavallo e raggiunse la cima dell'altura. Si guardò intorno, senza notare nulla di strano, ma il ragazzino gli indicò un punto. Era una zona priva di erba per un buon tratto e una croce era conficcata nel terreno.
- È iniziato tutto qui, vedete. La serpe! La serpe assassina!
Il cavaliere smontò e si avvicinò al tumulo. - Vi riferite a Sir Mordred? Che cos'è accaduto davvero? - ripeté.
Dal padiglione spuntò una figuretta colma d'acidità e dispetto. Era Rowan, il nano che Kay aveva mandato ad avvisare re Arthur del tradimento di suo figlio e che aveva seguito l'esercito fino ad allora. Gli si piazzò davanti a gambe larghe, apostrofandolo: - Tornate ora, con comodo, nevvero? Vi dirò, il principe sapeva di non poter vincere, era davvero disposto a trattare. Ma il piccolo parla bene, sono state quelle due serpi! Quei suoi ragazzacci, ah! Sono ancora da qualche parte in Britannia, a seminare morte...
Sir Constantine lo fissava sbalordito. - Chi... cosa?
- Parlo di Sir Melehan, il folle, e di suo fratello Melou, il gigante, che l'ha aiutato a fuggire arrivando a minacciare suo padre con la spada.  - Accennò alla tomba improvvisata. - Ancora una volta, la morte di un solo cavaliere ha portato la tragedia su questa terra!
Egli si fece raccontare ogni cosa di cui il nano fosse a conoscenza, e più di una volta durante il racconto crollò in ginocchio singhiozzando. La vergogna che provava verso se stesso era immensa, ma l'odio per i due figli di Mordred cresceva ad ogni nuovo dettaglio dell'accaduto e ben presto superò ogni altro sentimento.
- Vendicherò vostro cugino, Conn. Vendicherò il mio re, e tutti i cavalieri che giacciono sulla piana di Camlann! Nessuno dirà mai più che Constantine di Cornovaglia è un vigliacco, poiché d'ora in poi agirò con coraggio!
Rowan parve soddisfatto e i due si diressero a Glastonbury senz'attardarsi oltre.
Trovarono Sir Bedivere non già al monastero, ma nell'eremo dove il vescovo di Canterbury si era rifugiato in seguito alle minacce del traditore Mordred. Il sant'uomo, che si chiamava Baldwin, li convinse che ulteriori emozioni avrebbero ostacolato la guarigione del duca. Quest'ultimo appariva assai provato, non soltanto dalle gravi ferite; giaceva su un lettuccio, e nel delirio sembrava pregare.
- Al di là delle vostre assidue cure e della protezione divina, vi è una sola persona che possa aiutarlo a tornare in sé - disse Conn al vescovo.
- Non esiste nulla al di fuori della volontà di Dio - replicò Baldwin, ma il suo contegno solenne non intimorì il ragazzino.
- Avete ragione: perciò, se piacerà al Signore, arriverò a Lindsey sano e salvo e potrò informare Lady Clarissant. - Si congedò poi dal cavaliere: - Arrivederci, Sir Constantine, pregate anche voi perché io possa giungere a destinazione.
- Arrivederci, caro ragazzo - sorrise l'erede di Camelot. - E manterrò la mia promessa, dovessi impiegarci mille anni: troverò Sir Melehan e lo ucciderò!
Ma il destino decise poi diversamente.



Immaginate una madre che perda tragicamente un figlio nel fiore degli anni; forse credete che in un'altra epoca il dolore fosse meno vivo, più sopportabile, ma queste sono soltanto supposizioni storiche. Si dice che un tempo i maschi nascessero per diventar soldati e le femmine per andare spose, e con questo? Avete forse mai scrutato in fondo allo sguardo gelido di una donna spartana, mentre porge lo scudo ad un suo caro recitando la formula di rito?

La cuoca del castello di Lincoln, Maryel, era una donna florida e ridanciana, con un debole per i vedovi inconsolabili. Da giovane aveva tentato di accalappiare il capitano delle guardie, che però le aveva riso in faccia; delusa, si era gettata a capofitto nel lavoro, in particolar modo sui dolci. In questo modo aveva inconsapevolmente preso per la gola Sir Griflet - il quale, con due bimbe straviziate a carico, credeva già conclusa la sua vita sentimentale. La passione, se non l'amore, era sbocciata, e presto era giunto il piccolo Conn a scorrazzare per cortili e giardini ficcando il naso dappertutto.
Ora tutti la invidiavano giù al villaggio, perché proprio Conn era stato l'unico a tornare da Camlann; e rimproveravano in segreto la bella castellana, in quanto "non era da nobili versare tante lacrime". Maryel li rimetteva al proprio posto, ricordando che la padrona aveva ben ragione di piangere il suo figliolo: si poteva ben dire che lei e Sir Bedivere l'avevano messo al mondo due volte.
Quando, poco più di vent'anni prima, erano nati i gemelli, c'erano state complicazioni durante il parto. Lady Clarissant aveva sofferto le pene dell'inferno e si disperava per la sorte sua e dei piccoli. La bimba era poi venuta fuori piena di energie, le guance colorite e un ciuffo di capelli rossi, strillando a pieni polmoni. Il maschietto, che invece respirava a fatica, era caduto preda di violente convulsioni che si erano ripetute periodicamente nei suoi primi anni di vita.
Ed erano stati anni ben tristi, durante i quali Eneuawc era stata un poco lasciata da parte. Per sé aveva l'affetto un po' ruvido della sua nutrice e, più avanti, i giochi con le cugine e la passione per la musica. Davvero Clarissant non aveva attenzioni e cure che per Amren, il suo cucciolo così sfortunato. Le crisi, ormai un ricordo, avevano però lasciato un marchio atroce su quella creaturina dagli occhi nerissimi. Parlava a stento e gironzolava tutto il tempo intorno alle gonne di sua madre, e questa situazione durò per un lungo periodo. Ma un giorno Sir Bedivere, tornato dopo molti mesi al castello, considerò il da farsi. Non fu semplice, e sicuramente non poco doloroso, ma la sua fermezza ebbe la meglio sulle ansietà della moglie.
- Ebbene, ha più avuto di quegli attacchi? - aveva chiesto. Alla risposta negativa, si era chinato a parlare con il bambino.
- Ciao, Amren. Ti ricordi di me?
Se l'era ritrovato appeso al collo, la guancia premuta contro la sua, un corpicino tiepido e indifeso che gli fece spuntare le lacrime. Ma aveva stretto le labbra: - Ebbene? Mi offendi, se non ti rivolgi a me con rispetto.
Amren si era voltato verso sua madre ed ella aveva annuito, arrossendo, conscia che le cose dovevano cambiare.
- Da' il benvenuto a tuo padre come merita.
Un farfugliare incomprensibile fu tutto ciò che il piccolo riuscì a tirar fuori, ma Bedivere parve soddisfatto. Più tardi, dopo aver ricevuto ben altri - assordanti - festeggiamenti da Eneuawc e dalle viziatissime figlie di Griflet (Conn non era ancora nato), era rimasto solo con Clarissant.
- Voi sapete quanto vi amo, mia signora, - aveva iniziato a dire - e nulla di ciò che potrà accadere cambierà mai questo sentimento. Ma fino ad ora ho atteso e nulla è mutato. Nostro figlio è in perfetta salute, ora, eppure vi ostinate a trattarlo come se fosse un fragile filo d'erba. Egli è il mio erede, il futuro duca di Lindsey, e un giorno desidero presentarlo a vostro zio con l'orgoglio che si addice ai membri della nostra famiglia. Mi aiuterete? Oppure debbo portarlo con me da subito, lontano da voi e dalle inutili moine della nostra gente?
Nonostante la terribile minaccia, Bedivere non fu capace di mostrarsi severo fino in fondo e finì per rassicurarla, ma quelle parole avevano sortito effetto; Clarissant aveva compreso ch'egli voleva, e a ragione, che i suoi figli crescessero nel migliore nei modi, anche al prezzo di grandi sacrifici. Comprese anche che essere madre non significava soltanto dare e ricevere amore, ma soffrire e causare un poco di sofferenza per un bene più grande.
Da allora, quando aveva bisogno di qualcosa, Amren aveva dovuto sforzarsi di chiederlo ad alta voce, spesso impiegando un paio di minuti per farsi capire. A quindici anni la sua voce era stentorea, il suo portamento fiero, e sebbene sapesse di non essere il giovane più bello di Lindsey, era conscio della propria forza e delle proprie potenzialità. Di lì a poco, tutta la famiglia si sarebbe trasferita a Camelot.
..


Ed eccoci tornati al mio dilemma. Da quando ho iniziato a raccontare questa storia (storie, in verità), più volte ho accennato al dolore che troppo spesso ha incrociato il cammino di Lady Clarissant, ma alle mie capacità esiste un limite ed ho il terrore di oltrepassarlo.
Mi trovo davvero senza parole, la mia penna stride sul foglio e si rifiuta di mettere a nudo la sua anima squarciata dal nero di una tale perdita. Posso percepire il gelo dei muri di pietra colpiti dalle sue mani, seguire di stanza in stanza i cani intimoriti dal contegno insolito della padrona, udire i bisbigli pietosi della servitù e inumidirmi la punta delle dita con le lacrime strofinate sui grembiuli. Ma non posso, non posso dirvi di più.
Sono in grado però di voltare pagina e rivelarvi cosa accadde quando le tenebre lasciarono spazio ad un barlume di ragione; quando cioè, resasi conto che esisteva ancora qualcuno che aveva bisogno di lei, ella decise di continuare a vivere.


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Capitolo 11
*** Varcare la soglia. ***


Sono abbastanza soddisfatta. Ho rimurginato l'ultima scena di questo capitolo per molti mesi, vagando per strada con le cuffiette dell'mp3 nelle orecchie, ma finalmente me la sono lasciata alle spalle. Ci sono immagini che non mi convincono (per esempio Clarissant che si butta contro la porta e quasi casca dentro, stile Buster Keaton, oppure le foglie che cadono d'estate, anche se mia madre mi assicura che esistono alberi con più "cambi" durante l'anno) ma va bene così e non riesco a fare di meglio :P
...
Ma sono megalomane a far parlare Dio?

Saki






Conn era seduto in un angolo della cucina con una tazza di minestra tra le mani. Ancora non riusciva a credere di essere a casa. Mai quella stanza calda e satura di odori, il regno di sua madre, gli era sembrata un paradiso in terra come ora. E Maryel era lì a guardarlo, pulendosi le mani con uno straccio dopo aver riattizzato il fuoco, con una lucente gratitudine negli occhi bruni circondati da rughe sottili.
La tenda si scostò e lui deglutì quando alzò gli occhi sulla donna che ora gli stava davanti, su quel viso pallido e sciupato dalle lacrime, e che tuttavia non aveva perso nulla della propria fierezza.
- Signora...
- Lady Clarissant!
La videro chinare la testa di lato, in quel gesto che le era usuale e che esprimeva un misto di riservatezza e indecisione, ma poi ella si risolse a chiedere alla cuoca di lasciarla sola con il ragazzo.
Maryel obbedì con un certo stupore, scambiando con il figlio un fugace sguardo di preoccupazione. Avrebbe voluto raccomandargli di evitare i dettagli sulle vicende di Camlann, ma forse non ce n'era affatto bisogno; Conn non era uno stupido. Ed era cresciuto, tanto, troppo.

- So che avresti voluto parlarmi non appena sei arrivato. Ma non ne avevo la forza. Poi ho capito. Tutto quello che ricordo non succederà, e se non lo ricordo si può ripetere. Io ricordavo Colgrevance, Branwen, Orkney. Ed è andato tutto in un altro modo... perciò... sono felice che tu sia qui.
Lui non comprendeva quelle parole, ma non mostrò di compatirla o, peggio, farle pensare di crederla pazza. Posò la ciotola sul tavolo, mentre Lady Clarissant gli passava una mano tra i capelli e continuò con voce trasognata: - Gli... somigli... di più.
Conn chiuse gli occhi, colto da vertigine. Quand'era bambino era solo una questione di colori, ma negli ultimi tempi aveva dovuto ammettere a se stesso che stava diventando sempre più simile a suo cugino. E se prima lo considerava motivo d'orgoglio e speranza, ora ciò gli trasmetteva solo tristezza. Perché lui non era Amren, non lo sarebbe mai stato e non avrebbe potuto né voluto sostituirlo.
- Andrà tutto in un altro modo... anche dopo. Deve funzionare così, per forza. Non so cosa ci aspetta, ma sono certa che riavrò mio marito. Ora devi dirmi tutto.
Egli fu molto attento a misurare le parole, a non andare oltre. Ma lei voleva sapere di più, di più.
- Non avrebbe comunque potuto viaggiare, le ferite si sarebbero riaperte. Non potrebbe essere più al sicuro di dov'è... anche se... - Riflettendoci, c'erano sì dettagli inutilmente crudeli, ma anche informazioni crudelmente utili. - È così fragile, ora. Non deve credere di essere rimasto solo... potrebbe chiudere la sua mente fino a dimenticare quel ch'è più importante. Non lo permetterete, vero, signora?

No, non lo permetterò. Per tutti questi anni, per quanto fossimo lontani, sapevo che sarebbe tornato da me non appena possibile, che mi pensava così come io pensavo a lui. Sapevo che dovunque fosse, agiva con lucidità, onore e coraggio. Ma chiunque può perdersi... anche l'uomo più forte al mondo. Ora spetta a me aiutarlo, prenderlo per mano e riportarlo a casa.

- Partiremo domattina - fu la risposta.
Conn era ancora spossato, ma in fondo non vedeva l'ora di accompagnarla a Glastonbury. Fu quindi molto più che sorpreso quando seppe che la signora non aveva nessuna intenzione di portarlo con sé. Aveva per lui ben altri progetti.


- Cosa sei diventato, tu?
- No, non è possibile. Ci crederò quando lo vedrò scritto su una pergamena. Farai andare tutto in rovina, altroché!
Le sorelle erano sbalordite dalla notizia, anzi, addirittura orripilate. Alla morte di Sir Griflet si erano sentite abbandonate, naturalmente; avevano superato l'età delle nozze da qualche anno e si domandavano cosa sarebbe stato del loro futuro, ma finché Lady Clarissant aveva tenuto le redini del castello per loro non era cambiato quasi nulla. Ora, invece, erano sotto il controllo di un marmocchietto bastardo.
- La signora non può averti nominato amministratore di Lindsey. Sei il figlio della cuoca... sei... niente!
Conn non era meno sorpreso e spaventato della sua nuova condizione, ma capiva che doveva mostrarsi sicuro di sé. - Ascoltate, per favore. Non ho intenzione di sbandierare nessun titolo o inseguire sogni di potere. Mentre voi passavate le giornate allo specchio o a raccogliere fiori, io osservavo nostro padre mentre svolgeva il suo lavoro. Sì, sono il figlio della cuoca, perciò sarà proprio alla servitù che chiederò consiglio in ogni mio passo, a quelle persone che voi sbeffeggiate. Ma sono anche vostro fratello, e desidero rispetto. Non lo pretendo: lo desidero e farò in modo di meritarlo.
Le due fanciulle si guardarono, stringendo le labbra con dispetto.
- Sir Bedivere tornerà, ne sono certo. È lui il nostro signore. Facciamo del nostro meglio e rendiamolo fiero del nostro operato. - A questo esse non ebbero nulla da obiettare e si ritirarono, forse a meditare sulle nuove responsabilità che attendevano tutti loro, più probabilmente a lamentarsi della situazione incresciosa.
Sospirò. Era sopravvissuto a Camlann, poteva ben tener testa a quelle due donzelle viziate. Sorrise brevemente allo specchio del salone, e scandì il proprio nome nella mente con inusuale orgoglio.


Sir Bors si tormentava la barba ripensando ai mesi trascorsi, ai duelli in cui era stato sconfitto, alle volte in cui aveva sfiorato la morte. Ma più di tutto lo indispettiva l'inutilità di tanti avvenimenti di fronte al presente così squallido e deserto. No, si corresse, non c'era il deserto. C'erano ancora nemici e soprattutto c'era Lancelot che vagava disperato in cerca di espiazione, forse, più probabilmente in cerca della regina.
- Non siamo nulla, senza di lui - aveva dichiarato Lionel, ignorando la stessa volontà di Lancelot che restassero a Dover: - Questo esercito... sono solo uomini. Lui è la nostra guida, per lui abbiamo sacrificato ogni cosa e con gioia lo faremmo ancora. Devo trovarlo ad ogni costo.
"Sacrificio per modo di dire, fratellino, perché siete più felice tra le braccia di Lady Juliana di quanto lo foste mai stato qui in Britannia al servizio di re Arthur" aveva pensato Bors, ma aveva tenuto quegli inutili ragionamenti per sé e non gli aveva impedito di partire per Londra. Era stato un terribile errore di cui ora si pentiva amaramente.
Ma venne facilmente distratto dalle sue gravi considerazioni quando si accorse che Elyan era immerso in un'analoga pozza di pensieri profondi ed inquieti.
- Mi pare di sentirti ruminare. Smettila.
- Penso a Lady Juliana, padre. Il bambino nascerà presto e non so con quale cuore dovremo dirglielo. - rispose Elyan, i folti capelli biondi gettati all'indietro mostrando gli occhi appesantiti da molte notti insonni.
- Ebbene, se davvero avessi pensato a lei quando ti avevo comandato di sposarla, ora non sarebbe vedova! - replicò Bors. - Sempre e solo le donne! La maledizione di ogni buon cristiano! Oh, dimenticavo, tu hai una religione tutta tua. Come se si potesse sfuggire a Dio. Sei uno stolto. Finirai all'inferno, come tua madre...
Si interruppe, conscio di aver oltrepassato il limite.
Claire di Estangore era un argomento tabù nel clan de Ganis, com'è ovvio. Ma ben più strano, anche Brandegoris era sempre stato restìo a parlare della figlia. Non era tristezza o rabbia a disegnarsi sul suo volto grinzoso, quando Elyan gli chiedeva di lei, ma piuttosto rispetto, cautela. Ma non vi era anche una punta di orgoglio? E perché era sempre più convinto che non fosse affatto morta?

In quell'istante Elyan aveva sentito un filo spezzarsi dentro di sé.
Il filo che l'aveva legato a suo padre dal momento in cui era giunto ad Estangore rivendicando il suo diritto a prenderlo con sé, quel legame così forzato e fragile ed incerto e che tuttavia non aveva mai trascurato di rispettare. Per lui aveva rotto il fidanzamento con l'unica fanciulla che avesse mai amato. Per lui, non per Sir Lancelot né per la regina, aveva accettato di infiltrarsi a Camelot mettendo in pericolo l'onore dei suoi migliori amici. Per lui aveva combattuto a Joyous Gard - con il terrore di trovarsi a faccia a faccia con Amren, tra l'altro, cosa che non era successa per pura e semplice fortuna. E l'aveva vegliato quando sembrava davvero che stesse per morire, entrambe le volte in cui si era scontrato direttamente con Sir Gawain e aveva avuto la peggio.
E come era stata ripagata la sua devozione?
Con ironia.
Con scherno.
Con allusioni.
Quasi come se fosse lui il traditore, non Sir Mordred. Allora capì.
"Per lui non c'è differenza tra Mordred, figlio di un incesto, e me, figlio della magia. Qualunque cosa io faccia per ottenere la sua approvazione, lui la considera una goccia nel mare della vergogna che la mia nascita ha rappresentato."
Fu un sollievo, davvero, si sentiva meglio... nonostante le tragedie passate e presenti, nonostante le incognite, era sereno. Sir Bors era suo padre, ma non il suo padrone; non aveva più alcun diritto sulla sua vita, sulle sue scelte. Lui non era davvero un de Ganis, non lo sarebbe mai stato. Si era sentito un estraneo in terra di Francia e solo l'amicizia di Lady Juliana e madamigella Aline gli avevano reso sopportabile quel soggiorno. Ora, tornato in Britannia, aveva ormai un'unica destinazione, una sola ragione per vivere, un solo nome sulle labbra.
- Eneuawc...


Nonostante i suoi ottimi propositi di ritrovarla e dichiararle amore eterno, Elyan de Ganis era l'ultimo pensiero di Eneuawc.
La fanciulla si stava specchiando in un secchio colmo d'acqua fresca, nel cortile del convento di Glastonbury. Era spettinata, con il viso segnato e la pelle arrossata dal sole.
Avrebbe dovuto chiedere ospitalità, ma si era limitata a domandare da bere. Stava seriamente prendendo in considerazione, mentre la stanchezza del viaggio iniziava a farsi sentire, di seguire la madre - per quanto ella le avesse raccomandato il contrario - in cerca dell'eremo del vescovo. Voleva rivedere suo padre più di quanto desiderasse un comodo letto o un piatto di cibo. Quei sogni a cui già da qualche anno aveva iniziato ad abbandonarsi, sogni d'amore e d'indipendenza (come se queste due parole avessero un senso, una vicina all'altra!), le sembravano davvero molto stupidi ora; come aveva potuto pensare di affidare la propria vita ad un estraneo? Non esisteva nulla al mondo più sacro e sicuro della famiglia, di quelle persone con cui hai condiviso ogni respiro ad iniziare dal primo. E quando sei certa, certissima, che chi ti sta intorno non vuole che il tuo bene, cos'altro puoi desiderare? Come mai puoi sopportare di perderli uno ad uno?
Ringraziò le monache e tornò in strada, sotto quel sole inverosimilmente bruciante. Il mare non era lontano, lo sapeva, ma non era Grainthorpe. Non ci sarebbero più stati giorni felici sulla spiaggia. E nemmeno i falò giganteschi alla festa del raccolto, la musica che non finiva mai e la testa che girava per il troppo volteggiare. Oh! In quei giorni c'erano tutti i suoi uomini, a contendersi una danza con lei. Nessuno tra i cavalieri di Lindsey era mai a Camelot in quel periodo dell'anno, e Sir Kay poteva brontolare finché voleva, ma quella era una licenza intoccabile che il re avrebbe concesso ad ogni costo. Perché loro erano una famiglia vera.


Chi siamo noi per restare a guardare?
Nelle terre di Sir Bors l'uva diventa direttamente aceto.
Tornerò, come sempre.

Le girava la testa davvero e sentiva un calore come di fuoco, ma era ormai fuori dai ricordi.
Faceva caldo, tanto caldo che l'aria aveva cominciato a tremare - era possibile?
Poteva formare quelle onde davanti a lei, ma rimanere ferma alle sue spalle?
E perché ora, laggiù, vedeva una caverna dove poco prima era sicura ci fossero soltanto alberi, e perché sembrava più in basso di dove stava?
Allungò un braccio e sentì la pelle formicolare. Lo ritrasse, spaventata, e la sensazione scomparve. Ma ci provò di nuovo... e ancora... e poi il vento si alzò sul serio, l'avvolse come un mantello, spingendola delicatamente a terra e facendola rotolare per una discesa d'erba soffice.

Restò a guardare il cielo, stupefatta. Era un altro cielo.
L'aria era più fresca. I lievi rumori delle fronde e del mare e i versi degli animali, era tutto diverso.
Lentamente si alzò a sedere e si accorse di essere vicina all'imboccatura della caverna che aveva visto in lontananza. D'istinto guardò in alto, a cercare la strada, ma sembrava essere scomparsa nel nulla. Al suo posto, la collinetta da cui era appena ruzzolata giù appariva sormontata da una sorta di tempio, un cerchio di alte pietre con qualcosa al centro che non riusciva ad identificare. L'odore del mare era decisamente più intenso.
In quel momento capì dove si trovava, e la paura scomparve.
- Sono ad Avalon - balbettò, emozionata. Aveva sentito parlare innumerevoli volte dell'isola sacra dove donne del suo stesso sangue pregavano la Dea Madre per la salvezza della Britannia, esattamente come i vescovi nelle cattedrali invocavano il Dio cristiano. Ma mai aveva pensato, né forse nemmeno desiderato, di potervi mettere piede. Sua madre si era sempre mantenuta a rispettosa distanza dalla religione; ed era rispettosa perché moglie di un cavaliere cristiano, distante perché entrambi i culti presupponevano la rinuncia ad una parte di sé, cosa che mai una dama così fiera avrebbe accettato. Così Eneuawc non aveva mai sognato di diventare sacerdotessa della Dea, così come non si immaginava badessa - suo padre le aveva sempre detto che i suoi capelli erano troppo vivi per lasciarli appiattire dietro un velo, e questo pensiero era uno dei motivi per cui poco prima non era rimasta nel cortile del convento che lo stretto necessario per dissetarsi. Temeva che l'avrebbero attirata all'interno e rinchiusa per sempre.
Come Clarissant, lei era nata per amare. Si somigliavano così poco, madre e figlia, fisicamente. Nere le chiome della donna, rosse quelle della fanciulla; alta e forte l'una, minuta e delicata l'altra. Ma nell'anima di entrambe albergava lo stesso cuore fedele al primo virgulto di sentimento - che spesso fatica a farsi strada tra le erbacce del dispetto e del riserbo, ma attende acqua e nutrimento senza nemmeno contemplare la possibilità di una resa.
Se ne rese conto proprio allora: quando, in piedi di fronte alla caverna, sbirciò dentro e vide il cavaliere addormentato.


Clarissant sbucò tra gli alberi, sporca d'erba e con le vesti strappate dai rami, il volto graffiato e gli occhi lucidi, affannata. La preoccupazione per aver lasciato Eneuawc alla porta del convento, senza nessuno a proteggerla, era dimenticata. Né sentiva il bruciore a mani e ginocchia, ferite per essere inciampata più volte durante la corsa nel bosco.
Nella radura spiccava una semplice costruzione in pietra, senza finestre visibili. Pochi passi più in là, una tomba adorna di fiori e foglie cadute, e una figura china su di essa, grigia e perfettamente immobile.
Il paradosso.
Quella lapide era più vivace, nei suoi colori di fine estate, dell'uomo che vi era appoggiato come una cosa morta.
Fu presa da un capogiro che le fece socchiudere gli occhi, ma non era il caldo né la fatica a farla sentire debole e inerme. Solo, il suo cuore aveva riconosciuto ciò che cercava, colui da cui dipendeva interamente.
Lo vide rianimarsi un poco e spazzar via con la mano le foglie ancora verdi dalla pietra. Era un gesto delicato e triste, del tutto estraneo al suo carattere, alla sua persona. Ne fu così sconvolta che in principio non riuscì a muovere quei pochi passi che li separavano. Nemmeno riuscì ad aprire la bocca per chiamare il suo nome. Pochi attimi che permisero al vescovo Baldwin di intromettersi nella scena, schiudendo l'uscio e interrogando la donna con lo sguardo. Lei lo fissò a sua volta, ed egli rispose accostando l'indice alle labbra. Poi si avvicinò alla figura grigia e scarna e l'aiutò a sollevarsi, lasciando che si appoggiasse a lui nel percorrere il tragitto fino alla porta dell'eremo. Clarissant era come paralizzata lì sulla soglia del bosco, ancora incapace di raggiungerli e farsi riconoscere. Solo nel momento in cui quella porta inghiottì i due uomini, qualcosa scattò in lei e si slanciò a battervi contro, fin quasi a cadere in avanti quando essa venne nuovamente aperta.
- Chi siete, signora? Perché turbate la pace di questo luogo?
- Io... sono... la duchessa di Lindsey - dichiarò Clarissant con un sospiro. Sbirciò dall'apertura, ma una tenda divideva la stanza a metà. L'eremita la squadrò con severità.
- Siete qui per rendere omaggio alla tomba del nostro amato re Arthur Pendragon? - chiese con finta cortesia.
- Naturalmente, pregherò con voi per l'anima del nostro compianto sovrano, ma prima di ogni cosa, lasciatemi vedere Sir Bedivere. Lui è mio marito, il mio signore, il mio amore, il mio bene.
Egli si oppose con decisione. Spiegò le condizioni fisiche e spirituali in cui il duca gli si era presentato e come non si fosse risparmiato nel prodigargli le cure più assidue. Parlò di misericordia divina e redenzione dei peccati, della colpa insita nell'essere umano e della necessità di rinunciare ad ogni legame terreno per raggiungere la pace. Cercò di convincerla che l'unico modo in cui Bedivere poteva raggiungere la piena guarigione fosse di affidarsi totalmente a Dio, lontano da "diaboliche tentazioni".
- Vedete in me il diavolo, dunque? - Il volto di Clarissant s'accese di disappunto. Non riusciva a capacitarsi di essere trattata in quel modo. - È vero che i miei genitori non erano cristiani, e che porto in me il sangue di Avalon. Vi vedo impallidire, vi fa così paura questo nome? - Baldwin aveva effettivamente sfiorato la piccola croce di legno che portava al collo, in un gesto istintivo. - Ma in me non può esserci il Male. Mai ho osato pronunciare una parola di bestemmia, sacrilegio, o semplice ingratitudine. Io... ricordo... foste voi a celebrare il nostro matrimonio, vescovo Baldwin. Con quale diritto ora attribuite sacralità ad un voto pronunciato per disperazione, e vorreste cancellarmi dalla sua vita?
- Voi? - Il sant'uomo la scrutò attentamente, e la sua barba tremò. - Voi siete Lady Clarissant di Orkney, la sua prima moglie?
- La sua unica moglie - disse lei, ed egli ammise che non aveva una risposta, e si ritirò pregando.
Quella notte fece un sogno.
Una luce di tuono -
una voce splendente -
lo fecero crollare in ginocchio.


"Baldwin, inchinati al mio volere. Non ti è concesso decidere del futuro dei tuoi fratelli su questa terra. Quell'uomo ha ancora una lunga strada da percorrere nel mondo, e una stirpe regale a cui dare inizio. È questa la mia volontà. Lascialo andare, sarai ricompensato dalla mia benevolenza."


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Capitolo 12
*** Faccia a faccia con la Serpe. (parte 1) ***


Te l'avevo promesso entro Natale, piccola mia, e sono riuscita a mantenere fede alla promessa.
Non sono riuscita a revisionarlo come avrei voluto, ci saranno ripetizioni ed errori, ma credo che la storia in se stessa sia più importante della forma. Spero, inoltre, che il mio modo di intendere la magia ti suoni decente.
Ti adoro, patatina. Questo è il mio regalo per te: ho fatto fuori Brandegoris ho fatto riapparire Melehan e i suoi scagnozzi e gli ho attribuito un altro motivo (ne ha tanti altri, credo, e spero di farli venir fuori in seguito) per odiare ed uccidere. Perché si sa che la follia cerca sempre nuovi nemici, invece di combattere se stessa.
La scena, come puoi immaginare, non è conclusa e ci sarà una seconda parte del capitolo. L'anno prossimo, però :)

Auguri sinceri di Buon Natale/Buon Solstizio, Felice Anno Nuovo e di giorni splendidi a tutti coloro che leggono (le bianche scogliere di Dover e sogliole annesse, per esempio!)



Si svegliò d'improvviso e lei era lì, con la sua nuvola di capelli rossi, come uscita dal sogno. Eppure no, nel sogno sorrideva. La realtà si mostrava molto più prosaica. Era fuori dalla grotta, e lo guardava. Doveva aver già constatato che era impossibile entrare. La magia della sua carceriera aveva creato una sorta di muro invisibile che né lui né altri potevano oltrepassare.
- Eneuawc...
- Elyan? Siete proprio voi?
La voce di lei gli giungeva distorta dall'esterno.
- Una donna... credo fosse una sacerdotessa... mi ha colto di sorpresa e mi ha rinchiuso qui. Non so cosa voglia da me, ma sembrava conoscermi.
La fanciulla indietreggiò.
Aveva creduto di non dover più affrontare i suoi sentimenti per lui, di aver superato il dolore e il dispetto di quell'abbandono così come l'attrazione che li legava. Ed ora eccolo di nuovo nella sua vita, in una situazione insolita e misteriosa. Elyan de Ganis era prigioniero, inerme, beffato dalla sorte.
- Buon per voi, se qualcuno qui vi conosce, perché io non vi conosco affatto - si sorprese a rispondere, implacabile. Si voltò con per risalire sulla collina e cercare il passaggio per tornare a Glastonbury.

- Eneuawc, vi prego, non andate via! Dovete parlare con lei, solo voi potete convincerla a lasciarmi libero! Mi ha detto che sareste arrivata. Non riuscivo a crederlo, non potevo sperare tanto, ma era la verità. Non so perché quella donna stia giocando con le nostre vite, ma vi prego... ditele di lasciarmi andare!
"Non andate via"? Come aveva il coraggio di chiederglielo? Come pensava di poter pretendere aiuto da lei, dopo aver rotto il loro fidanzamento?
E poi non vedeva nessuno lì intorno. La sera scendeva lenta, allungando le ombre che si interrompevano bruscamente all'ingresso della caverna. Elyan stava al di là di quel muro di ghiaccio
(per quanto si potesse parlare di ghiaccio in quella stagione)
ed era giusto così, era meglio così... non meritava niente!
Si tappò le orecchie per non sentire le suppliche del giovane e stava per lasciarselo alle spalle, reprimendo con tutte le sue forze la fiammella che era tornata a bruciare nel suo cuore, quando si sentì chiamare da un'altra voce. Una voce femminile, altera, solenne, che echeggiava tra albero ed albero, tra nuvola e nuvola, come se anche il cielo avesse un coperchio su cui i suoni potevano rimbalzare.
- Eneuawc, figlia di Clarissant, figlia di Morgause, figlia di Igraine, figlia di Avalon... credi di poter fuggire da te stessa?
Lei si fermò. Sentirsi identificare con i nomi delle donne del suo sangue, scanditi come un canto da tempo dimenticato, non poteva lasciarla indifferente. Sì sentì grande, e piccola, e parte di quel mondo, nel bene e nel male. Quindi tornò sui suoi passi: tremando, alzò lo sguardo sulla donna.
Era alta e vestiva una tunica scura e un cappuccio che le nascondeva parte del volto. Il suo sorriso era freddo, ma non veramente ostile. Astuto, sicuramente, e saggio, di una saggezza diversa dai canoni che le avevano insegnato.
- Davvero non vuoi vendicarti di quest'uomo, piccola Eneuawc? - le disse, ma ora il suo tono era più intimo ed umano. - Egli è nelle tue mani, ora. Tu puoi decidere il suo destino.
Vendicarsi? Perché arrivare a tanto? Se proprio avrebbe desiderato vendicarsi di qualcuno, avrebbe scelto chi aveva stroncato la vita di suo fratello,
(la metà di se stessa)
chiunque fosse, di quell'essere no, non avrebbe avuto pietà. Ma vendicarsi di Elyan? Non l'aveva già fatto, rifiutandosi apertamente di intercedere per lui? Tanto le bastava e non di più.
- No, signora - rispose.
Sentendo ciò, Elyan iniziò a sperare, ma fu presto disilluso:
- Posso ucciderlo davanti ai tuoi occhi. Ti ha abbandonata, è stato un traditore e uno spergiuro. E una spia, ricorda.
Non c'era bisogno che le venisse rammentato. Il racconto di Amren sulla notte che aveva preceduto il salvataggio della regina aveva lasciato una traccia indelebile in lei. Elyan de Ganis aveva avuto un ruolo non indifferente nel piano di Sir Lancelot.
E quanto avevano perso a causa loro! Quanto! Come s'era offuscato il sole sulla terra di Lindsey, con la morte di Sir Griflet! E come s'era accesa, implacabile, la follia di suo zio Gawain... perché Gareth era davvero il migliore di tutti loro...
- Sì. Ricordo. E mi fa... tanto... male.
La fiammella oscillò, ma non si spense.
- Allora sappi che basterà una tua parola. Una parola dalle tue labbra e metterò fine alla sua vita.
Elyan gridò, sconvolto: - Mi avete mentito! Non è questo che avevate promesso!
La sacerdotessa lo fulminò con lo sguardo. - Taci. - E rivolgendosi nuovamente ad Eneuawc, continuò: - Naturalmente, se pensi di riuscire a perdonarlo, sempre una tua parola può renderlo libero. Ma non esistono mezze misure. Non ti è concesso di essere indifferente nei suoi confronti. Amore, oppure odio; libertà, o morte.
Eneuawc non si era mai trovata di fronte ad un dilemma anche lontanamente simile. Per un lungo istante non sentì più di avere Elyan in suo potere, ma di essere ella stessa in balìa di quella donna;
in cuor suo la chiamò strega e demonio. Combatté quella che credeva un'ingiustizia, l'obbligo di scegliere. Si chiese perché proprio lei, perché proprio lui, come potesse essere tanto importante, per la sacerdotessa, che lei si esprimesse. Forse era un gioco, per lei? Ad Avalon ci si annoiava al punto di provar piacere ad intromettersi nella vita altrui?
- Tu hai già deciso, mia cara. Parla. Ora.
Strinse gli occhi, le mani a coprire il viso, e un diverso ricordo l'attraversò.

Ballava, ed era felice, e questa volta non era la luce di un falò che vedeva, ma tante torce ad illuminare a giorno un'enorme stanza.
Non era a Lindsey, e gli occhi che ridevano, fissi nei suoi, non erano quelli di Amren, né di suo padre, né di un qualsiasi uomo della sua famiglia.

Erano gli occhi di Elyan, chiari come il mattino, colmi d'amore.
"È tanto tempo che vi guardo, e ad ogni incontro mi piacete di più. Lasciatemi una speranza, madamigella, o sarò perduto"
La sala da ballo di Camelot, la sua dichiarazione, quando tutto era perfetto e splendente. Era sincero, allora... lo sapeva e lo sentiva.

Come poteva essere cambiato tutto così in fretta? Come avevano potuto permetterlo?
Io non potrei mai donare il mio cuore ad una persona ignobile. Perciò, o non l'ho mai amato, o lui è sempre stato degno della mia fiducia, e ho commesso un errore a non cercare di comprendere le sue scelte...
Sì, aveva giurato ad Amren, sulla spiaggia di Grainthorpe, di scacciare Elyan dai suoi pensieri una volta per tutte. Ma la vita aveva preso di nuovo una strada diversa, e poi perché mantenere una promessa assurda, quando...
Elyan l'aveva abbandonata una volta, è vero, ma era tornato. Appena in tempo per farsi rinchiudere in un antro magico, d'accordo, e troppo tardi per salvare il regno, ma era là, davanti a lei.
Amren invece li aveva lasciati davvero. Non voleva sapere come, non le importava, era solo arrabbiata, e non con chi l'aveva ucciso, no! Con lui, che era stato egoista, che non aveva pensato a loro...
Né a me, né a nostra madre, né al vostro Garanwyn, non avete pensato a nessuno di noi! Vi odio! Sì, è voi che odio, fratello, e non vi perdonerò mai! Maiiiiii!
Piangeva, e senza che se ne accorgesse la donna le aveva preso le mani, domandandole di nuovo che cosa volesse veramente.
- Lasciatelo andare... lasciatelo vivere.
- Ho udito, piccola Eneuawc. È la tua volontà, perciò è anche la mia. - Ella aprì le braccia e si udì come un tintinnare di monetine che cadono a terra. Il muro invisibile era scomparso, come Elyan poté constatare quando si fu riavuto dallo stordimento che il sollievo aveva portato con sé. Uscì all'aria aperta e dopo un lungo respiro, ancora un poco incredulo, si inginocchiò ai piedi della sua amata.
- La vostra misericordia è immensa, ed io sono il più fortunato degli uomini, nonché il più immeritevole. Vi amo, non ho mai smesso un momento di amarvi e mai smetterò. Credetemi, e accettate le mie scuse insieme con la mia vita, che non ha mai smesso di appartenervi.
La sacerdotessa rise. - Ebbene, non sbagliavo su di te, fanciulla. Ha ragione, è davvero molto fortunato. - Il cappuccio le era scivolato via, e guardava Elyan con uno strano brillìo negli occhi azzurri.
Eneuawc si sentì presa in giro: - E se... avessi scelto di... - La sua voce si affievolì, impedendole di andare avanti.
- Sì, signora, mi avreste ucciso davvero? - rincarò la dose il giovane. - Che cos'avevate in mente? Chi siete e cosa volete da noi?
Ella rise ancora, più forte, ma sembrava anche tremendamente commossa. Lacrime tremavano sulle sue ciglia: - No, certo che no. Come avrei potuto far del male al mio bambino?

Chi era.
Claire di Estangore, l'unica figlia di re Brandegoris, che dalla nascita era stata consacrata alla Dea, e da essa destinata a concepire un figlio con il più puro dei cavalieri di Francia.
Che cosa voleva.
La felicità di Elyan, nient'altro. Che era già stata scritta, e aveva bisogno solo di un piccolo aiuto prima di rivelarsi in tutto il suo splendore - e che avrebbe avviluppato, riscaldandole, altre vite reduci da troppa sofferenza, in un mondo completamente nuovo.

La luce del tramonto deponeva toni aranciati sulla pietra rotonda al centro del tempio, e sui volti dipingeva ombre dello stesso colore. Eneuawc stava un poco in disparte, immersa in mille dubbi; nemmeno la rinnovata sicurezza dei propri sentimenti poteva confortarla, né la vicinanza di Elyan - c'era ancora senso di colpa in lei, troppi fantasmi, e l'interrogativo più grande...
- Abbandona le tue preoccupazioni, bambina. Tua madre ha molte risorse, e vincerà. - L'espressione di Claire era di quella serenità che rasenta la pace totale, le sue dita intrecciate a quelle del figlio ritrovato, iridi speculari e tanto da raccontarsi. Ma nonostante la fanciulla ormai vedesse in lei una divinità, capì ben presto che era ben lontana dall'essere onnipotente.
Accadde allora. Claire allontanò Elyan da sé, con un gesto così repentino da spaventare entrambi. Si artigliò la testa, lanciando un grido di dolore. I suoi occhi vedevano qualcos'altro.

PADRE! NO, NO! CHE COSA VI HA FATTO?

Ascoltava una voce che giungeva da chissà quale luogo, perdeva colore e avvampava, mentre veniva investita di un'immensa responsabilità. E sapeva di non poter riuscire da sola.
- Aiutatemi! Devo salvare il ragazzo!
Né lei né Elyan capirono cosa stesse accadendo, ma ugualmente la fanciulla si avvicinò. Claire scattò ad afferrarla e la forzò a poggiare i palmi sulla pietra. Le coprì le mani con le sue, premendo forte, ed Eneuawc vide a sua volta.
Gridò. Faceva male davvero.
- Devi aiutarmi. Puoi. In te c'è una forza più grande della mia, sentila...
La sentì. Non era facile accettare che fosse parte di sé. Ma doveva agire.
I loro pensieri si toccarono, si fusero, furono una cosa sola.

NON OSARE TOCCARLO, ASSASSINO!

Elyan unì le sue mani alle loro. Anche lui vide, e inorridì; una rabbia animale lo pervase da capo a piedi. Sotto di loro la terra tremava, la pietra si era fatta rovente. La sua volontà si protese a lasciarsi ghermire, e si unì al vorticare della forza, ma sembrava ormai troppo tardi.

NO! GARANWYN! NO!




Ci sono fiori
oltre le montagne.
Ma il loro profumo
non arriva fin qui.

- No, no, ragazzo, più allegria! C'è gente giovane stasera, non avranno voglia di sentire i lamenti di un bue squartato!

Gente giovane? Gentaglia, piuttosto. Era opinione di Garanwyn che non esistesse più un solo vero cavaliere in Britannia, e che Brandegoris si circondasse di autentica feccia, visto che nella sua crescente follia aveva aperto le porte del castello a chiunque e faceva sedere alla sua stessa tavola orribili scarti della società. Ma si guardava bene dal protestare. Più che altro, gli importava poco di quella banda di disertori. Finora non era mai stato maltrattato e qualche battutina nei suoi confronti riusciva almeno a distrarlo dal suo tormento.
Qualcuno gli aveva dato in mano una coppa di vino e, assetato, l'aveva vuotato - salve poi pentirsene, perché non aveva mangiato nulla per tutto il giorno, impegnato a cercare di comporre qualcosa di "più allegro". Ma forse era meglio così, con la mente annebbiata riusciva a sopportare il chiasso della sala, i rutti, le risa sguaiate. E persino i propri pensieri.
Perché viveva?
Cercava di non chiederselo, o di soffermarsi su questo il meno possibile.
Forse trascinarsi da un giorno all'altro è come suonare, come rincorrere note che, anche se non formano una vera melodia, portano con sé una vibrazione che riscalda un poco.
Ed era tutto così tiepido, ora. Aveva sonno. Le palpebre gli si chiudevano e la testa gli girava forte.
- Bevi ancora un po', ragazzino.
Se avessero saputo la sua vera età, si sarebbero stupiti. Ma a chi importava?
Una mano ruvida gli accarezzò una guancia, mentre inghiottiva a forza il liquido. Non era una sensazione piacevole e tentò di alzarsi, ma quelli gli stavano attorno.
- Peccato che sia un maschietto. Guarda che riccioli.
Il sudore. L'alito. Quei ghigni eccitati. Lo schifo, lo schifo, lo schifo.

Ecco cosa conteneva la visione, e perché era apparsa a Claire. Brandegoris aveva protestato, inorridito dalla violenza che si stava per mettere in atto. Per lui Garanwyn era sacro, era una creatura angelica, divina. Ne aveva fatto il suo fantoccino per deliziare il proprio cuore, non certo voglie ormai evaporate da tempo. E per qualche ingenuo momento credette di poter vietare a quegli uomini, che aveva accolto come amici e che ora si dimostravano carogne della peggior specie, di far del male al ragazzo. Era il re o no? Aveva ancora un brandello di autorità o no?
Non l'aveva più e lo scoprì a sue spese. Il suo mondo, già in decadenza, si era ristretto oltre ogni immaginazione. Non poté difendere nemmeno il fragile corpo che conteneva le braci del suo animo.

Il grido d'allarme morì nella gola della prima guardia. La seconda arrivò fino al portone, ma un'ascia si conficcò nella sua testa e vi rimase appeso. Nell'atrio, i passi pesanti dei nuovi arrivati si lasciarono dietro il corpo grassoccio di una donna e il mugolare di un cane che si trascinava appresso le budella nel tentativo di seguirli.
Nella sala alcuni erano già mezzi addormentati, altri si ostinavano a raccontar facezie, ingigantendole mentre sgranocchiavano gli ultimi resti di un pasto selvaggio. Sorrisero ebeti all'arrivo dei compagni, che si guardarono intorno prima di ringuainare le armi grondanti sangue.
- Avete fatto il giro lungo.
- Puoi dirlo forte. Qui cos'abbiamo?
- Il vecchio non vuole che ci divertiamo con il fringuellino. Chissà da quanto lo teneva in gabbia, ah, ah!
- Uh-oh. Maleducati. - A storcere il naso era stato il meno repellente del gruppo, dai tratti piuttosto nobili nonostante l'aria scarmigliata ed il rosso-bruno che imbrattava i suoi vestiti. Ma lo sguardo, ecco, quello era al di là dell'apparenza... guizzava folle, s'accendeva e spegneva secondo un criterio stabilito da leggi oscure. - Lo avete ringraziato? Begli ingrati! Dimmi, maestà, i miei amici ti hanno ringraziato?
Brandegoris era stato preso a calci e pugni, e boccheggiava sul pavimento, tentando invano di rialzarsi.
L'altro non ritenne necessario attendere una risposta, serbandosi il divertimento per dopo, e scostò in malomodo il gruppetto che si preparava ad abusare del ragazzo. Quando lo vide, i vestiti strappati, le guance scarlatte e gli occhi dilatati dal terrore, lo strappò dalle grinfie degli ultimi due che lo tenevano fermo.
- Ci conosciamo bene, noi due, non è vero? E chi l'avrebbe detto? Lo zoppetto canterino, la fanciullina di Camelot... ora capisco perché mio padre ha perso la battaglia. Sei stato tu a chiamare i rinforzi, piccolo scherzo della natura.
Si sentì gelare dentro. La paura di essere stuprato era stata una cosa da nulla, in confronto.
Aveva davanti Melehan, figlio di Mordred, l'assassino di suo padre.
- Ehi, lasciacelo ancora un po', guastafeste!
Melehan estrasse il pugnale e lo puntò alla gola del compagno. - Filate. - La sua espressione indemoniata non lasciò spazio ad esitazioni. Il gruppo si disperse per le stanze del castello, in cerca di gioielli e denaro e quant'altro.
- Siamo soli, adesso. Ancora mi sembra incredibile, io e te, di nuovo. Mi sembri sciupato. Hai voglia di ritrovare il tuo grande amore, penso. - Gli afferrò una ciocca di capelli e la tranciò con la lama, ridacchiando. - Io però non ho fretta.
Melehan, figlio di Mordred, era anche l'assassino di Amren... doveva averlo sempre saputo dentro di sé...
Brandegoris si era trascinato fino a loro, le guance rigate di lacrime e sangue, e afferrò la tunica di Melehan in un disperato tentativo di farlo desistere da quel gioco perverso. - Lasciatelo stare... uccidete me, se vi piace...
Melehan si girò, brandendo il pugnale e affondandolo nella gola del vecchio. Gorgogliando, questi rovesciò gli occhi all'indietro, mentre la sua mente urlava quel grido disperato che si udì fino ad Avalon:

"FIGLIA, FIGLIA MIA, SALVALO! È LA MIA ULTIMA VOLONTÀ!"

- Mio signore! Mio signore, non abbandonatemi! - singhiozzò Garanwyn, ritrovando in un istante la voce e la lucidità. Raccolse ogni briciolo della sua forza, e approfittò della distrazione del suo aguzzino per sfuggire alla sua presa. Rotolò di lato, finendo contro il corpo ormai esanime di Brandegoris. Non poteva fare nulla per lui, ma poteva ancora salvarsi. Fuggire nuovamente, questa volta senza una meta.
Perché? Perché tutti coloro che mi amano fanno questa fine? Che significato ho a questo mondo?
Lo sguardo gli cadde sull'elsa della spada del re. Non era nessuno per appropriarsene, eppure fu quello che fece. Era pesante e ricadde su un lato mentre l'estraeva dal fodero, ma riuscì a sostenerne il peso e a mettersi in piedi. Barcollando, e sostenendosi con la gamba buona, scattò verso la porta: Melehan fece lo stesso, eccitato e divertito dalla caccia appena iniziata.

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Capitolo 13
*** Faccia a faccia con la Serpe (parte 2) ***


Ci è voluto più tempo di quanto pensassi, ma sono felice di aver concluso anche questo capitolo. Mi soddisfa e spero che troverete in queste scene ciò che volevo trasmettere.
Nel caso che non fosse chiaro, la madre di Melehan era la sorella della regina Ginevra.
E sì, ero stufa di non far fare mai niente a Elyan. Ok, lui rappresenta il bello inutile, ma fino ad un certo punto XD Ehm, chi indovina quale sarà l'oggetto magico da recuperare?





Le torce del corridoio erano spente. Strappate dai muri, in verità. E trovarsi finalmente nell'atrio un poco più illuminato, ad un passo dalla salvezza, non fu affatto un sollievo: inciampò e si ritrovò davanti all'orrore. La moglie del siniscalco di Estangore, la donna che, in tutta la sua vita, più si era avvicinata alla figura di una madre, che gli aveva guarito le ginocchia sbucciate e le punture d'ape a buffetti sulle guance e brontolii affettuosi, stava adesso immersa nel proprio sangue, con la faccia divisa a metà da un colpo di spada. Garanwyn emise un gemito, uno solo, prima di rialzarsi e traballare verso il portone. Ma Melehan l'aveva raggiunto, coprendo l'uscita a braccia tese. Il ghigno non si era ancora dissolto, come se gli fosse stato dipinto, o scolpito nei lineamenti. Garanwyn voltò direzione e scomparve nelle tenebre di un altro corridoio, senza voltarsi a guardare se l'altro avesse ricominciato a inseguirlo: non ve n'era bisogno, perché udiva i passi e le grida di scherno avvicinarsi sempre di più.
Sapeva dove stava andando, per fortuna, ma quello che non poteva prevedere era se sarebbe riuscito a raggiungere l'uscita dalla parte delle cucine prima che Melehan lo raggiungesse. E sapeva dov'erano i gradini, ma la spada era pesante e lo sbilanciò facendolo ruzzolare. Sbatté il viso contro le pietre del pavimento. Gli colava sangue dalla fronte e dal naso, e la caduta l'aveva stordito quel tanto che bastava per impedirgli di rimettersi in piedi in tempo utile. E doveva essere grato di non essersi infilzato da solo con la lama, quella sì che sarebbe stata una bella scena per il suo nemico.
Ma perché non gli era già addosso?
Perché se ne stava in cima alla scala, senza più ridere?

Almeno in principio, Melehan non aveva nessuna fretta di raggiungerlo. Come gli succedeva sempre quando andava a caccia, inseguire la preda lo divertiva molto più che catturarla. Era stato così anche quando aveva deciso di uccidere il figlio di Sir Bedivere, per un capriccio orgoglioso che si era radicato via via nella sua mente fino a diventare lo scopo della sua esistenza. Quella sensazione era incommensurabile; ciò che precede l'apice del piacere fisico e lo supera in aspettativa. Ma ad un certo punto si era fatto impaziente, ed allora erano ricominciati allucinazioni e ricordi.

Sei nel giusto, figliolo. Qualsiasi cosa tu faccia, sei mio, non suo.
Sbagli comunque, stai fermo e taci.
Dio non perdona e non dimentica. Tuo padre dovrà renderGli conto delle sue azioni.
Non c'è nulla e nessuno che possa giudicarmi. Se vincerò, avrò avuto ragione.

Quale delle due voci era più forte dentro di lui? Quella di Guinevak o quella di Mordred? Entrambi erano morti, l'una di angosce e maltrattamenti, l'altro d'una lancia nel petto. Ma dentro di lui avevano volontà proprie e più che mai forti, che lottavano per dominare la sua mente.
I pregiudizi verso i sentimenti altrui.
La chiusura verso i sentimenti in generale.
L'incapacità di perdonare.
Il desiderio di essere perdonato.
Il terrore del giudizio divino.
Il terrore del giudizio di suo padre.
Il desiderio che suo padre fosse sconfitto e umiliato.
La sensazione d'inutilità estrema e convulsa, il cercare, nelle creature più deboli o diverse, vittime che appagassero la sua coscienza distorta.
Ma non era distorta anche la sua visuale del mondo? Era forse per questo che le pareti, ora, mentre correva parevano allontanarsi? E il soffitto raggiungere il cielo? E gli angoli schiacciarsi e dilatarsi?
Correva sul soffice nulla, e adesso su pietre infuocate, e adesso nel fango verdastro, e poi ancora tra le fronde spinose di improbabili arbusti, ed era tutto assolutamente plausibile. Lo accettava così come non aveva mai trovato nulla di strano nella nenia che lo cullava ogni notte. Cosa importava se il castello di Estangore si era trasformato in qualcos'altro? Qualunque cosa avesse a patire ora, tenere quel fringuellino in pugno, sentire le ossa della sua gola scricchiolare sotto le dita, ah, sarebbe stata una ricompensa senza pari. Perciò andava avanti, avanti, avanti.
E dopo?
Non ci sarebbe stato un dopo, comunque. Non se esisteva un ordine nell'universo.
Tornarono i muri, le dorature, i pavimenti e le porte. Ma ancora non erano a misura d'uomo, ancora sentiva i propri passi affondare in una materia che non era terrena.
Come avrete compreso, era la magia di Avalon ad alterare così stranamente le sue percezioni. Claire aveva il potere di creare le illusioni, ma non sarebbe riuscita a mantenerle a lungo, né a renderle credibili al pari della realtà, senza l'aiuto di Eneuawc. La parentela, per quanto detestata, tra la fanciulla e l'assassino tenne aperto il contatto tra i due mondi, penetrando in profondità nella mente di quest'ultimo. Elyan, infine, aggiunse la forza di volontà che solo dal suo cuore poteva scaturire: il desiderio di salvare a tutti i costi l'amico della sua infanzia.

Melehan si fermò sull'orlo dell'abisso. Garanwyn era là in fondo, che lo sfidava a raggiungerlo,
(in fondo a quei tre gradini di pietra, sanguinante e stupefatto)
ed era una cosa deforme da schiacciare, schiacciare, schiacciare. Tutto il mondo era deforme e inutile...
Nella sua testa rimbombava una marcia di soldati. Schiere e schiere stavano per circondarlo. Li indovinava, li sentiva stringerglisi attorno, ma quando si voltò la scena era cambiata ancora-

Mille candele accese. La calda luce misericordiosa. Era in una cappella dall'altare immenso, e una croce d'oro e rubini, ma soprattutto luce, luce da respirare. Avanzò istupidito verso la donna china in preghiera davanti all'altare. Anche lei era d'oro. Le chiome bionde risplendevano di vita, le mani giunte erano candide e delicate. In silenzio lo chiamava, lo invitava ad inginocchiarsi accanto a lei. Per Melehan fu come tornare bambino - le sorrise trasognato, strinse quelle mani belle e odorose di fiori e se le portò alle labbra.
- Non voltare le spalle al Signore, bambino mio - lo ammonì lei. - La sua voce pareva giungere dalle profondità di caverne infestate di spettri. Guinevak, figlia di Leodegrance, smise di brillare e mostrò il suo vero volto, quello del terrore. Si spense davanti ai suoi occhi così come le era successo in vita, trascinando nella fede gli ultimi resti della sua capacità di amare, prima che Mordred la distruggesse completamente. I capelli persero lucentezza fino a rassomigliare a ragnatele, il volto si fece grigiastro e incavato, le mani che baciava erano quelle di uno scheletro. Sussultò, cadendo all'indietro. Aveva visto in quella faccia ben più che la sembianza di sua madre; tutti coloro che lui, Melou e suo padre avevano ucciso, violentato o anche solo insultato - erano tutti là, lo avevano fissato nel medesimo istante!
Ma ora non c'era più nessuno. Di qualunque stregoneria si trattasse, era finita.
Anche la stanza si era spenta, rivelandosi nel grigiore per ciò che era davvero: un luogo sconsacrato, abbandonato da molto tempo. Solo un segno sul muro rivelava che un tempo vi era stato appeso un crocefisso, e la polvere copriva ogni cosa. L'odore di muffa penetrava nei polmoni, scuoteva lo stomaco in una morsa viscida.
Ed era solo.
Forse.


I cavalieri di Cornovaglia non si trovarono di fronte a un bello spettacolo. Ma un paio di dozzine di morti non erano nulla in confronto allo scempio di Camlann, a ben guardare; e anche se avessero avuto qualche titubanza, non potevano comunque disobbedire agli ordini. Trovarono alcuni di quei balordi mentre caricavano i cavalli di monete, gemme e coppe preziose; altri nell'armeria, altri ancora a ronfare in qualche angolo, dopo aver vomitato le ultime porzioni del banchetto. Finirono tutti in catene, mentre Sir Constantine malediceva se stesso per essere arrivato troppo tardi.
- Non avete nulla da rimproverarvi, signore - gli dissero - È già molto aver seguito le loro tracce in tempo per acciuffarli...
- In tempo? Non ha già fatto troppo, quell'essere diabolico? E perché non l'avete trovato? Non m'interessa dei pesci piccoli, io voglio lui! Trovate Sir Melehan!
Ma il destino volle che, prima che potesse fare o dire altro, uno dei prigionieri si decidesse a parlare.
- L'abbiamo lasciato con il fringuellino. Il ragazzo, quello che cantava. Diceva che avevano un conto in sospeso, forse una bega dei tempi di Camelot. Noi volevamo solo divertirci...
I tempi di Camelot, quasi si trattasse di una leggenda dimenticata, pensò Constantine con un brivido.
- Farai meglio a dirmi dov'è adesso. - Afferrò l'uomo per i capelli unti e gli alitò in faccia: - Se non mi porti da Sir Melehan, ti farò pentire di aver deciso di seguirlo per monti e valli - e il suo cipiglio era un piccolo assaggio del re che sarebbe diventato. Quello si spaventò, ma per davvero non sapeva di più.
- Avete trovato un ragazzino? - chiese Constantine ai suoi uomini, imbarazzato dalla sua stessa domanda; ma no, non c'erano persone giovani tra i cadaveri ritrovati fino ad allora. Era una corte in disfacimento, una corte di vecchi.
Poi una porta cigolò.


"Perché ha smesso di inseguirmi?" si era chiesto Garanwyn, quando Melehan aveva smesso di fissarlo dall'alto di quei tre gradini
(dalla soglia dell'abisso)
e aveva seguito una visione dall'altro lato del corridoio.
- Perché è pazzo - mormorò a se stesso, convinto ma non soddisfatto.
Malvagio o folle, cosa vi era di diverso? Che le sue azioni facessero parte di un astuto piano o scaturissero dall'insensatezza assoluta, faceva forse differenza? Provare compassione avrebbe riportato in vita suo padre o... o Amren?
"Che venga. Che venga a farmi fuori, adesso. Non scapperò più."
Aveva sulle labbra il calore e il sapore del sangue che gli colava dal naso, e forse anche dalla fronte. Sapore di ferro. Ed era di ferro anche quella spada, e sapeva usarla quanto bastava per morire con dignità, non come un pulcino annegato in mezza spanna d'acqua.
"Non scapperò più... io... combatterò."


Ma i ruoli si erano ormai invertiti, e mentre la sua determinazione cresceva la furia del suo nemico si era trasformata in un vivo terrore. La visione di Lady Guinevak era sparita, ed era giunto il turno di Sir Mordred.
Sentiva la sua presenza dietro di sé, e quando si voltava c'era solo il buio. E bisbigliava, con una voce amara di delusione, ma poi tornava il silenzio. Quando finì per convincersi che si trattava semplicemente di un'altra allucinazione, qualcosa gli artigliò la nuca tirandolo all'indietro. Spalancò la bocca, mentre la mano gli correva al pugnale... e si fermava.

Non andrai da lei in Paradiso. E nemmeno ti conviene raggiungermi all'Inferno. Resta vivo finché riesci, perché non puoi immaginare come ti accoglierò.

Quella minaccia gli causò uno scoppio d'ilarità, e tanto forte da non accorgersi quando la stretta si dissolse. Si sentì rinascere; la lotta con suo padre non era finita, dopotutto, e c'era un solo modo per continuarla.
Il suo spirito di contraddizione lo spingeva verso la morte, quindi - ma era pur sempre un vile. E poi non riusciva a pensare al suicidio là, dove si trovava: poiché la luce era tornata. La croce dorata era di nuovo al suo posto e così l'altare splendente. Solo, dalla porta aperta entrava la nebbia, come fumo soffocante, come tenebra grigia. Voleva chiuderla, perché la luce non si sporcasse... ma da quella nebbia vide emergere una figura.

- Hai smesso di inseguirmi, assassino? Qualcosa di più interessante ha catturato la tua attenzione?
Era una domanda retorica, quella di Garanwyn, perché non c'era davvero nulla di interessante in quella stanza, solo polvere e panche di legno ammuffite.
Melehan guardò la spada che l'altro reggeva tra le mani. - Non qui - disse, - Non è proprio possibile...
- Forse che tu hai concesso a mio padre di stabilire il momento e il luogo? Forse che l'hai concesso ad... Amren? Lurido diavolo, sarà qui, sarà ORA! - Il viso sporco di sangue e lacrime, gli occhi chiari fissi nei suoi, brandiva l'arma come questa non avesse più peso. - Basta! Basta! Basta!
Colpì una volta, due, dieci. Melehan arretrò contro il muro. Gli ultimi affondi erano andati talmente in profondità da scalfire la pietra.
- Sei maledetto - boccheggiò il ferito. Un fiotto di sangue gli sgorgò dalla bocca, e altro ancora gli andava inzuppando gli abiti e la cotta di maglia. - Non capisci? Hai profanato un luogo sacro.
Garanwyn non vedeva ciò che lui vedeva, ovviamente:
- La sua vita era sacra per me. Vigliacco! Lui ti sfidò lealmente, ma tu sapevi di non poterlo battere...
- Era troppo presto. Mio padre doveva avere ancora... fiducia... dovevo distruggerlo! Sorprenderlo! Essere degno ai suoi occhi e poi colpirlo... alle spalle.
Garanwyn non gli chiese nulla. Non gli importava delle sue beghe familiari. A dirla tutta, non sentiva nemmeno la necessità impellente di finirlo. Esitò, stupefatto delle sensazioni che la vista di quell'agonia gli suscitava. Sensazioni intense: e non tutte sgradevoli.
- Sei maledetto comunque: concludi... quel che hai cominciato - implorò Melehan. - Sarai tu a seguire mio padre all'inferno... dopotutto...
- Finirò quel che tu hai cominciato - rispose Garanwyn.

- No! - gridò una voce. - Tocca a me! Spostati, ragazzo, ho giurato di ucciderlo e non fallirò!
La stanza si era riempita di soldati, e colui che aveva parlato pareva il più nobile di tutti loro. Ma Garanwyn non si scostò per lasciarlo passare, e per l'ultima volta trafisse il suo nemico con la spada di re Brandegoris. Poi, come se di colpo ne sentisse di nuovo la pesantezza, e la più lacerante stanchezza nelle membra, l'abbandonò a terra e scivolò in ginocchio.
L'uomo dal nobile aspetto ordinò ai soldati di seppellire il cadavere insieme agli altri trovati nel castello, ma non prima di avergli strappato tutti gli oggetti che portava indosso e che lo identificavano. Sembrava avere la ferma intenzione di prendersi il merito della sconfitta di Sir Melehan, ma di ciò Garanwyn non desiderava preoccuparsi. Solo, quando gli vide estrarre il pugnale dalla cintura del morto, sussurrò: - Fate attenzione, potrebbe essere avvelenato...
Fu questa frase, insieme alla consapevolezza che la promessa fatta al giovane Conn era piccola cosa rispetto al rancore che quel ragazzo doveva aver provato per il figlio di Mordred, a fargli considerare l'accaduto sotto la giusta luce: si era comportato da irresponsabile, abbandonando re Arthur; e per questo non aveva meritato nemmeno l'onore di vendicarlo.
Garanwyn si abbandonò tra le sue braccia come un bambino, e Constantine non lo respinse. Per un istante si era smarrito, aveva creduto di poter allontanare da sé la responsabilità che, come ultimo parente in vita del re, gli sarebbero piombate sul capo, ma ora si rendeva conto che c'era ancora speranza per la Britannia, una tenue ma invitante speranza. Strinse a sé quel corpo scosso dai singhiozzi, senza badare al sangue che lo imbrattava. Percepì l'angoscia di quell'innocenza perduta per sempre e formulò un nuovo giuramento, certo questa volta di mantenerlo.
"Sarai il primo cavaliere del mio regno, piccolo eroe".
I suoi occhi si posarono sul segno a forma di croce impresso nel muro. Iniziò a pregare.


- Oh madre, madre, come vi potrò mai ringraziare?
Elyan si era esaltato fin troppo nel partecipare alla magia che aveva salvato Garanwyn. Pur tornato alla realtà, aveva dimenticato che tutto ha un prezzo, ed che era così in quel mondo come nel suo.
L'aveva dimenticato perché quando ci si sente liberi non si pensa che non esiste libertà senza appartenenza; non esiste amore senza rispetto; e ciò che si chiede alle divinità va restituito, a volte con gli interessi.
- Segui il tuo destino, senza dubitare né esitare. Ti sembrerà che il fiato ti manchi, perché ciò che ti attende è più grande di quanto un uomo comune possa concepire, ma tu non sarai un uomo comune.
Elyan ascoltò. Vi erano tre imprese nel suo futuro, ed erano cosa diversa dall'uccidere un drago o affrontare un esercito nemico, ma ugualmente gli sembrarono ardue e dolorose da affrontare. Perché si trattava di prendere la sua volontà, i suoi desideri più urgenti, e scagliarli lontano da sé. Aveva creduto di essere diventato adulto il giorno della sua investitura, ma si era sbagliato di grosso. Nessuno diventava uomo a Camelot. Era il mondo a crescere i cavalieri, a temprarli, a far conoscere loro i propri limiti e superarli. Era adesso, il momento di crescere - ma quanto male faceva!
- Innanzitutto devi tornare da Sir Bors, e concedergli il tuo rispetto. Questo ti porterà a rivedere una persona che ti sei lasciato indietro, e a compiere la tua seconda missione: riportare qui un oggetto di grande potere, ch'ella custodisce. Non è stato forgiato per dimorare fuori dalla Britannia, e la sua lontananza indebolisce... l'equilibrio delle cose.
- Troverò ciò che volete, ma no, non potete chiedermi di rappacificarmi con mio padre, a che servirebbe? Se sono tanto importante come dite, perché dovrei curarmi di lui? Mi ha sempre e solo usato. Mi ha sempre disprezzato, perché disprezzava voi.
Claire corrugò la fronte: - Elyan! Credi forse ch'io l'abbia scelto per caso, o per il suo bell'aspetto, o per capriccio? La Dea mi ha mandata da lui. Lui doveva generarti, e nessun altro. L'unione della stirpe di Avalon con il sangue reale di Francia...
Non sono un errore. Non lo sono mai stato.
Elyan abbozzò un sorriso, che era solo una pallida immagine delle emozioni che provava, e la madre lo ricambiò, ma subito tornò seria e riprese a parlare. - La terza cosa sarà ancora meno facile, ma so che sarai abbastanza forte da comprenderla e da saper attendere.
- Attendere? Che dovrei attendere?
- Ebbene, hai intenzione di sposare Eneuawc, non è vero?
Lui assentì, con un brillìo negli occhi, lanciando uno sguardo verso la fanciulla che dormiva poco distante.
- Ma, spero, ti rendi conto ch'ella appartiene ancora ai suoi genitori, e non potrai farlo senza il loro consenso.
- Ma ciò non è solo difficile, è impossibile! No, non capite... - abbassò la voce. - Non mi perdoneranno mai! Una volta sono stato costretto ad abbandonarla, e già da allora non vogliono più sentir parlare di me; ma ciò che è accaduto a Camelot, il ruolo che ho avuto nel tragico salvataggio della regina... oh, io non la merito! Non la merito affatto!
- Questo è il passato.
Non v'è differenza, nel compiersi del destino, tra agire in modo stolto e cimentarsi in buone azioni che poi andranno sprecate. La regina Ginevra è stata infedele, ma non in quanto adultera; il suo tradimento è stato non scegliere l'Amore. Se fosse stata costante nel suo sentimento per Sir Lancelot, se non avesse lasciato che il senso di colpa lo soffocasse fino a trasformarlo nello spettro di un sentimento, sì, tutte le guerre del mondo avrebbero avuto giustificazione! Perciò non fare il suo errore, Elyan. Non chiudere il tuo cuore e prendi ciò che è tuo, ma al tempo e nel modo in cui sarà pronto per essere colto.
Elyan rimase colpito da quel punto di vista così differente dalla morale comune. Stava scoprendo molte sfumature di se stesso quella notte, nelle parole di quella donna misteriosa e quasi irreale - tanto che aveva l'istinto di allungare il braccio e toccarla, per assicurarsi che non fosse un sogno. Sì, avrebbe fatto tutto ciò che gli chiedeva. Si fidava di lei: meravigliosamente ella era sua madre, e sotto la luna di Avalon, quella luce magica che rendeva possibile anche l'impossibile, questo bastava.

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Capitolo 14
*** Fili aggrovigliati ***


E, boh, a volte mi sfido ad usare il tempo presente.
Grazie di esistere. Sì, tu.



Arrivano! Arrivano! Signore santo, Ti ringrazio... sono arrivati!
Alla disperata ricerca di uno straccio per ripulirsi le mani sporche d'inchiostro, Conn rischia di inciampare in più d'uno sgabello. I conti vanno rifatti, ci si è messo d'impegno ma non quadra nulla. Come ha fatto suo padre a svolgere tutto quel lavoro per tanti anni e senza mai commettere errori?
Naturalmente non gli passa nemmeno per la testa che di sbagli ne commettiamo tutti, e che nessuno si accorgerà mai se in un villaggio due o tre persone non hanno pagato le tasse o se qualche contadino si è messo da parte più del consentito. Che ci volete fare? Ha appena compiuto i quindici anni, e senza nemmeno accorgersene, impegnato com'è. Non ha tempo per guardarsi in uno specchio più di quanto ne abbia avuto occasione in guerra. Non sa quanto le sue spalle si siano allargate, perché ci pensa sua madre ad aggiustargli, nottetempo, gli abiti; né si cura della barba che gli va spuntando, seppur morbida e rada. Quando una delle sue sorelle glielo fa notare per scherno, il suo primo pensiero è che, al suo ritorno, Lady Clarissant non avrà più motivo di rattristarsi della sua rassomiglianza con Amren, e se la lascia crescere.
Non avrebbe ragione di preoccuparsi di non essere all'altezza dei suoi compiti, poiché non v'è gente meschina o approfittatrice a Lindsey. Sir Griflet si è sempre saputo far amare e rispettare allo stesso tempo, e per fortuna anche le virtù dei padri ricadono sui figli. In questo caso sui figli maschi, in quanto le due giovani possiedono ben pochi pregi.
Bene. Ha svolto al meglio che poteva le incombenze affidategli e ora può tornare ad essere ciò che è davvero, il bastardello di casa: e non ammetterebbe mai di provarne dispiacere. Si strofina le mani alla bell'e meglio, scende di corsa le scale ed esce nella corte interna, dove due servi stanno già aprendo il portone. Ancora un po' abbagliato dal sole, gli pare di vedere una nuvola rossa a cavallo, ma qualche istante dopo gli è chiaro che si tratta di madamigella Eneuawc.
- Conn... - Fa per aiutarla a smontare, ma ella lo respinge. - Fai preparare un bagno caldo e un pranzo leggero. Le stanze di mio padre sono in ordine, spero.
- N-naturalmente, vi attendevamo. - Non si offende per il contegno frettoloso della cugina, comprende la situazione; nemmeno si aspettava dimostrazioni d'affetto o ringraziamenti. Non è mai stato una persona egoista e non comincerà ad esserlo proprio ora. Si rallegra, invece, quando vede arrivare il carro e questa volta gli occupanti gli lasciano dare una mano.
L'ultima volta che ha visto Sir Bedivere, cioè quando ha visitato l'eremo insieme a Constantine di Cornovaglia, ha letto nei suoi occhi lo smarrimento e il dolore di un animo schiantato. Ma ora può constatare come quella disperazione abbia lasciato i segni anche sul fisico. Le cicatrici della battaglia non sono che bazzecole, davvero, rispetto al resto: il digiuno prolungato l'ha smagrito all'inverosimile, e i capelli che ricordava brizzolati sono diventati bianchi come il cielo d'inverno. Ciò che lo colpisce maggiormente, però, è l'espressione di inconsapevolezza quasi assoluta. Invano cerca di farsi riconoscere, e Lady Clarissant - quella bella, forte donna che è riuscita a riportare a casa il suo amato, ma è consapevole ch'egli ha lasciato su quel campo di battaglia molto più di uno scudo spezzato - scuote la testa. Di nuovo, Conn capisce che solo lei può aiutare il marito a ritornare alla vita.


Carezze.
Lunghe, disperate carezze.
Baci che sfiorano la pelle con la paura di sentirla dura e gelida come roccia.
Afferra la sua mano e se la tiene sul seno, a riscaldarla; poi la costringe a ripassarle il viso come un libro dimenticato.
Ma no, non ha dimenticato: al contrario, ricorda troppo, e dentro di lui qualcosa urla senza tregua.


- Glastonbury si era fatta... come dire? Affollata. - Eneuawc parla di quando si era riunita ai suoi genitori, e aveva incontrato i cavalieri di Francia decisi a vivere in penitenza. - Mia madre guardava Sir Lancelot con certi occhi... e anch'io, s'intende. Ma pare sinceramente pentito, non ha senso continuare ad odiare.
Gli occhi di Conn luccicano. Non è ancora pronto per sentir parlare dell'assassino di suo padre in termini benevoli, ma finge di comprendere e accettare tutto. - Certo, vostra madre è molto saggia. - Sorride. Da qualche parte dovrà pur cominciare.
- Anche la tua; so che si è dovuta accollare molte responsabilità in queste settimane ed entrambi siete stati davvero preziosi - risponde la cugina, ricambiando il sorriso. Gli sembra cambiata, sebbene non sappia dire come; c'è un'energia nuova nel suo sguardo di giovane donna, che trascende ogni difficoltà o dispiacere.
Certamente non se ne stupirebbe tanto, se sapesse tutto ciò che le è accaduto sull'isola di Avalon - come ha sentito la magia che scorre nelle sue vene prendere forma e giungere lontano, come ha ritrovato Elyan e i suoi sentimenti per lui, come ha compreso il suo ruolo nel dipanarsi degli eventi. Nessuna sorpresa, davvero, se sembra un'altra persona.
Si può però immaginare che presto perderà quell'aura luminosa. Si era illusa che rivedere Lindsey avrebbe giovato a suo padre, ma non riesce a intravedere alcun miglioramento. Inizierà a struggersi per lui, piangendo quel suo silenzio che lo annega come un'alta marea perenne - poiché è l'unico uomo ch'ella ami più di Elyan.

Di Elyan, comunque, alla fine lei parla, con divertita speranza e un pizzico di giocosa disapprovazione. - Credeva che sarei fuggita con lui e ci saremmo sposati di nascosto! Come mi conosce poco!
- Quale superbia sfoggia questo vostro fidanzato! Come ha osato proporvelo?
- Forse gli ho dimostrato fin troppo quanto ancora tenga a lui - ammette Eneuawc - e pensa che abbiamo perso troppo tempo. Non sono più così giovane, in effetti; ma credo ancora che dobbiamo fare le cose per bene. Sua madre gli ha affidato una missione, e quando l'avrà portata a termine, tornerà a chiedere la mia mano.
Si aspetta che Conn le risponda "Ebbene, sono curioso di conoscerlo" ma ciò non avviene. Sarebbe ben strano, riflette poi, in quanto Elyan è pur sempre parente di Sir Lancelot...
- D'altra parte, se non dovesse tornare affatto... - sospira - sono a casa, e ho ancora una famiglia.

Spade di legno, bastoni, vecchie armature di cuoio.
Guardate com'è levigata questa impugnatura. E questa. Com'è tutto consunto e logoro. Generazioni di uomini si sono allenati con questi attrezzi. Sole o pioggia, per anni, fino al giorno in cui un tocco sulla spalla e una formula antica li proclamavano degni di possedere armi autenticamente letali e diventare leggenda. Ma un uomo diventa leggenda solo dopo una morte atroce.
Corneus. Cardol. Griflet. Amren. Lucan.
Ognuno di loro con un "perché?" sulle labbra, un guizzo di sorpresa negli occhi, un rimpianto strozzato nell'ultimo respiro.

Per Bedivere questa stanza racchiude tutte le speranze della sua famiglia. Speranze coltivate con passione ed orgoglio, ma soprattutto con amore, e spezzate una dopo l'altra.
Qui trascorre di nascosto le notti, si culla nell'odore di polvere e nostalgia; mentre le sue ferite fisiche guariscono del tutto, quelle dell'anima si riaprono e vanno in suppurazione. Accoccolato sulla terra battuta, tossisce fuori i ricordi, abbracciandosi le ginocchia come un bimbo non ancora nato.
Qui l'immagine di suo padre è scolpita nell'età più vigorosa, quando era il suo unico eroe. E Griflet riappare nelle vesti del giovanotto dinoccolato e ansioso di fare a pezzi i Sassoni per dimostrare di non essere soltanto un mediocre "frutto del ramo cadetto". In quel delirio, che non segue lo scorrere del tempo ma il pulsare delle emozioni, Lucan e Amren sono come una persona sola, un brillìo incantato di pupille nere che pende dalle sue parole, sopracciglia concentrate nel seguire le istruzioni mentre mani ancora morbide e infantili stringono il legno.

"Diventerò forte come voi?"
"Anche di più, ne sono sicuro..."

"Cosa vuol dire tradimento?"
"Quando qualcuno di cui ti fidi ti fa del male"
"Io non farò mai del male. Voglio proteggere tutti."

"Siete pronti. Il giorno è arrivato. Sarò fiero di voi, sempre."



Clarissant si sveglia perché sente freddo. O ha sognato di sentirlo, che è la stessa cosa: o forse è peggio. Perché il caminetto si è spento da poco, le braci luccicano ancora, e nella camera aleggia un tepore rassicurante. Perciò quel brivido... deve trattarsi di un presentimento. Si riveste con il cuore che accelera man mano che i pensieri si accumulano a formare una sfera di timore pulsante nella mente. I suoi passi si affrettano lievi a raggiungere le stanze di suo marito, altrettanto tiepide ed accoglienti. Ma il letto è vuoto, il silenzio incombe anche là. La paura diventa panico. Corre per i corridoi, senza più curarsi di disturbare gli altri occupanti del castello, anzi gridando e scuotendoli dal sonno di proposito.
Si setaccia ogni angolo, si interrogano le guardie. Il signore non può essersi allontanato, è ancora nel castello. Clarissant non sa che pensare, ordina di controllare anche nei luoghi più impensabili: e finalmente un servo nota una luce provenire da un locale adiacente all'armeria. Clarissant non ha più bisogno di nessuno, sa che quella luce è la sua meta, il filo che li lega si è solo un poco aggrovigliato, ma è riuscita a ritrovarlo. Come quando è partita per Glastonbury, come farà in mille altre vite, lo ha ritrovato. Eccolo, infine, la crisi è rientrata, la notte è ancora lunga, è il momento di sciogliere la lingua e condividere anche l'indicibile.

- Per quanto gravi fossero le mie ferite, e prolungati i miei digiuni, in breve capii che non avrebbero strappato l'anima da questo corpo, e ne piansi. Raddoppiai le penitenze, ma non mi sentii purificato né seppi espiare la mia colpa con autentica abnegazione. Poiché questo dolore era ed è tanto grande da oltrepassare persino l'amor di Dio! E i miei peccati resteranno impuniti sino al Suo Giudizio... e vivo, come se mai meritassi questa pace...

- Ma di quali peccati parlate? Cos'avreste fatto di così imperdonabile? Io non vi crederò mai capace di azioni malvagie: oso affermare di conoscervi.

Egli è certo del contrario; ha più volte indugiato di fronte al comando di disfarsi di Excalibur, e si considera un traditore, un avido e un presuntuoso. È ossessionato dall'idea che il suo re abbia compreso, in punto di morte, come non potesse fidarsi di lui in alcun modo, e di essere davvero solo, alla fine, solo nella sua terra, la sua autorità, la sua dignità insudiciate dai nemici e dagli amici insieme...

Clarissant gli prende il viso tra le mani, con dolce fermezza: - No! Non vi ascolterò! Non era l'avidità a spingervi. Speravate che un giorno qualcuno potesse impugnarla con lo stesso pieno diritto. E perché non voi? Davvero credete che sia la nobiltà del sangue l'unica ragione per cui un uomo sale al trono, ed un altro lavora i campi? Amor mio, è il destino. La vita lo decide, e potete chiamarla Dio, puoi chiamarla Dea o Sole o con qualche oscuro nome. Fa lo stesso. Non datevi colpe inesistenti.

- Io... non sono stato capace di riportarlo indietro...

Non parla più di Arthur, adesso; le sue parole traboccano di rimpianto per il figlio perduto. Sembra stupito che Clarissant non gli rimproveri di essere sopravvissuto, e invece rinnovi ad ogni istante la sua promessa con gli sguardi, con le parole, con ogni mezzo possibile. In fondo, è solo per ripagarla di tanta devozione che ha deciso di dar voce a tutti i pensieri finora inespressi.
Ma non sarà oggi che rivelerà cos'è davvero accaduto su quella collina a seguito del gesto infame di Melehan.

Mordred non voleva combattere quel giorno. Sapeva di non poter vincere, non senza perdere l'intero esercito... E come s'avvide del folle assassinio, si lanciò contro Melehan  per strangolarlo con le mani nude. Melou, allarmato, tentò di dividerli, ma nel farlo, d'istinto, sguainò la spada...

Ci sarà tempo anche per i discorsi ufficiali, per ristabilire verità e colpe alla presenza dell'erede dei Pendragon
(il Grande Assente delle barzellette di corte)
ed accordargli, forse, una sprezzante ed ipocrita fiducia.
Ma non ora, non qui. Non è più il maresciallo del regno, il prudente e raffinato stratega, il consigliere dalla mente salda. Ha già dato al sogno della nazione quanto basta per distruggere un uomo più forte di lui. Non gli si può più chiedere nulla, davvero.

- E dire che credevo di sapere cosa significasse perdere una parte di me stesso. Non era più come a Badon Hill, non stavamo difendendo le nostre case, la nostra terra. Si trattava di pensare in grande, vostro zio sapeva di poter osare: l'Europa doveva essere nostra. Così sconfiggemmo l'esercito romano, e ognuno di noi ebbe per ricompensa quel pezzetto di mondo. Il mio si chiamava Neustria, una lingua di terra affacciata sullo Stretto. Un nome, solo un nome che nemmeno so pronunciare... Come tutti, ero pronto a morire in battaglia, ma non a restare invalido. Eppure imparai, mi reinventai, trovai un espediente per imbracciare lo scudo e non lasciar pensare a nessuno che sarebbe stato poco leale sfidarmi ad un torneo. Ma una donna non è come uno scudo, ci vogliono due mani per tenerla stretta...

- Eppure mi avete amato.

Non è una domanda. Non c'è rocca più salda del loro legame, non c'è fede consolatrice che regga il paragone.

- Vi amo ancora - azzarda lui, mentre il carico di anni e di dolore torna, beffardo, a punzecchiarlo, a farlo sentire ridicolo.
Lei strofina la testa contro il suo petto, incredibilmente tiepida e reale, gli accarezza i fianchi. La torcia crepita, sta per spegnersi. - Mi tenete.
- Vi tengo... - E la tiene davvero, mentre il buio li avvolge, stringendola a sé e balbettando il suo nome, che sembra rischiarare tutto e non solo per il suo significato... comprende che c'è ancora qualcosa per cui vivere e non è più una bestemmia pensarlo, metà di quella gioia continua a risplendere.
Qualcuno ancora lo chiama padre.
Qualcuno ancora lo chiama signore.
Qualcuno ancora lo chiama amore.
Si cercano, nel profondo di quelle tenebre, e si ritrovano. Le loro lacrime si sfiorano. In ogni senso e in ogni modo, sono di nuovo davvero insieme.



Fino a pochi istanti prima aveva avuto sopra di sé il cielo eternamente blu di Avalon, ma a Glastonbury pioveva. Si tirò il mantello sul capo, anche se ormai era completamente inzuppato, e corse sulla strada verso il monastero. Il pensiero di approfittare dell'ospitalità dei monaci non lo metteva del tutto a suo agio, dopo quanto aveva vissuto sull'isola, ma gli sembrò una prospettiva meno ingrata rispetto al morire miseramente di polmonite, considerate le belle speranze che nutriva per il proprio futuro. Sir Bors si trovava là, così come Sir Lancelot - tornato a mani vuote da quella fuga d'amore - e pochi altri nobili di Francia; comprese che non era sua intenzione vendicare Lionel combattendo contro le truppe ribelli che stavano riducendo Londra allo stremo, ma se ne sarebbe rimasto per un po' a pregare e aspettare chissà quale dono dal Cielo. Aveva rispedito i soldati sul Continente e vestito l'abito di penitenza insieme al cugino.
Nonostante queste sue scelte lo indispettissero, fu difficile sostenere il suo sguardo, specialmente quando si accorse ch'egli era pronto a ritrattare le parole dure che gli aveva rivolto. Era stato ingiusto nei suoi confronti, non aveva mostrato misericordia:
- Ho pregato di poterti rivedere, di poterti chiedere perdono. Non hai nessuna colpa, in fondo, se tua madre è una strega; e non smetto di sperare che un giorno la Vera Fede riesca a trovare la strada del tuo cuore...
No, no, no! Strinse i denti, ripetendo a se stesso di ignorare i limiti del genitore. Non gli avrebbe detto di avere conosciuto sua madre e di aver praticato la magia, naturalmente: avrebbe peggiorato la situazione, e non voleva istigarlo ad ulteriori prediche o peggio procurargli un serio malore.
Non scelgo, come voi, di rinchiudermi tra preghiere e lamenti, voglio affrontare la vita.
Guardandosi attorno, però, mentre gli veniva servito un pasto caldo e i suoi vestiti si asciugavano accanto al focolare, gli fu più facile comprendere la sua scelta di restare accanto a Sir Lancelot in quel difficile frangente, e il desiderio di pace, di approvazione da parte di un'Entità onnipotente a cui affidare la propria esistenza. Forse che lui stesso non aveva accettato di salvare Garanwyn per mezzo di un incantesimo? Quale differenza c'era tra magia e miracolo, in fondo? No, non disprezzava la Fede autentica, la coerenza, la coscienza; tutto questo aveva valore per lui: erano il bigottismo e l'ipocrisia che aveva sempre disprezzato, ciò che ci separa dal mondo anziché aprirci ad esso. Ora scopriva che persino un bigotto ipocrita ha dei sentimenti, per quanto distorti e incomprensibili.
- Così sia, padre, vi ringrazio. - Non sorrise, non si inchinò. Restarono in silenzio per un poco, ascoltando il crepitare delle fiamme e la pioggia che continuava a cadere. Poi Sir Bors ruppe il silenzio:
- Sono preoccupato per Lady Juliana, le tristi notizie devono averla già raggiunta. Sarei così sollevato se tornassi a controllare come sta la nostra gente.
Elyan ebbe un sussulto. Era dunque in quella direzione che sua madre aveva inteso spingerlo: l'oggetto che doveva recuperare si trovava in Francia, forse proprio a Benwick. Doveva lasciarsi guidare da quella traccia, accettare ogni suggerimento del destino.
- Partirò non appena possibile, non dubitate. Sono in ansia anch'io, lo sapete bene.
Quello strappo fra loro non si era ricucito, in realtà. All'alba del giorno dopo, sgombra di nuvole, non gli si strinse il cuore nel salutarlo. Si affrettò a raggiungere la costa, dove salì su una nave e sbarcò a Benwick.
La situazione nei villaggi gli parve, se non preoccupante, un poco allo sbando. Non c'era un signore a governare e la popolazione se ne approfittava decisamente. Al castello, tutti parevano sconsolati e l'accolsero con sguardi speranzosi ma spenti.
Non poté essere totalmente sincero, poiché se avesse detto loro che Sir Lancelot non sarebbe tornato, il malcontento sarebbe cresciuto a dismisura e la rivolta sarebbe stata inevitabile. Così temporeggiò e chiese di ciò che gli premeva davvero.
- Lady Juliana è morta di parto - gli risposero. - Figurarsi, è una femmina, che spreco assurdo.
Spreco.
La vita era diventata uno spreco, la civiltà un lusso a cui era facile disabituarsi.
Con gli occhi lucidi vagò per i corridoi finché, dalle stanze dove aveva abitato la famiglia di suo zio, udì un lieve pianto e una nenia. Conosceva quella voce.
- Aline! - gridò, spalancando la porta.
Due donne erano sedute accanto al focolare. Una, rubizza e in carne, con un bimbetto di poco più di un anno aggrappato alle vesti, teneva al collo un inequivocabile fagotto; l'altra, che aveva sussultato al suo ingresso, si illuminò quando lo riconobbe e gli corse incontro.
- Siete tornato, siete qui, oh Elyan! - Gli si era gettata tra le braccia, che lui aveva teso ad accoglierla. Gli sembrò dimagrita, più fragile, e quando ella alzò il viso a guardarlo, notò i pesanti segni sotto gli occhi e il pallore di lunghe notti insonni. - Vostro padre è con voi? Sir Lancelot?
Elyan scosse la testa, convinto di darle una delusione, ma Aline parve rassicurata da quella risposta. - Stanno combattendo, non è vero? Ci è stato detto che gli alleati di Sir Mordred tengono ancora in pugno Londra... ma allora perché i soldati sono tornati? Si è già concluso tutto? Li avete sconfitti?
D'improvviso non riusciva più a guardarla in volto senza provare vergogna... - Posso sedermi?
L'altra donna (la nutrice della piccola, probabilmente) ridacchiò. - Di questo passo non si addormenterà mai. Vado di là.
- Sì, Armelle - la liquidò Aline, ma Elyan allungò la mano verso la creatura per accarezzarla. Armelle, indisponente, lo guardò di storto e filò via. Lui sospirò, non potendo più rimandare la verità, e si lasciò cadere su una sedia.
- Il cugino di re Arthur, Constantine di Cornovaglia, sta mettendo insieme un esercito. Mio zio sarà vendicato, non dubitate, ma... - Arrossì. - Sir Lancelot è stato rifiutato dalla regina Ginevra e ha rinunciato al mondo, e mio padre per ora l'ha seguito in monastero.
Aline si morse le labbra. Gli sembrò, se possibile, ancora più stanca, più sfiduciata:
- Così, non ci sarà davvero più nessuno a governare Benwick? Lasceremo che i contadini occupino il castello? Ho paura, Elyan. Ho paura per la bambina. - Scoppiò a piangere. - La mia povera signora! Dovevate vederla, quando gliel'hanno detto... è stato allora che ha deciso di lasciarsi morire... l'amava così tanto!
Elyan sapeva che le lacrime di Aline non erano solo per Lady Juliana, ma non gli avrebbe mai parlato del proprio dolore, non di sua iniziativa, come se si ritenesse indegna di possedere dei sentimenti.
- Forse... voi? Resterete?
Di nuovo, distolse lo sguardo. Quante volte ancora l'avrebbe delusa? - No, amica mia, non sono qui per questo. - Ella si accigliò, fece per scostarsi, d'istinto Elyan le afferrò una mano...
E la sentì.
L'energia.
La magia.
Quando riaprì le dita, vide che Aline portava un anello. Non poteva essere altrimenti, era ciò che sua madre gli aveva ordinato di cercare. Lo percepiva chiaramente: era puro potere, gli trasmetteva una promessa invitante.

Cosa desideri? Cosa vuoi più di ogni altra cosa?




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Capitolo 15
*** Il segreto di Aline. ***


Una precisazione: Armelle sono io. Le figure becere sono la mia specialità '-.-


I duchi di Francia reagirono in diversi modi e con diversi stati d'animo quando seppero che Elyan si era lavato le mani del destino di Benwick e della Francia tutta. Né Bors né Ector sarebbero forse mai tornati e per qualcuno fu un grave colpo, per altri un'occasione da cogliere al volo. Forse a Sir Palomedes e a suo fratello, che governavano le regioni meridionali, importò poco, ma Sir Dinas aveva più di una ragione per adocchiare le terre oltre la foresta di Broceliande. Mandò i suoi uomini a sedare la rivolta che era nel frattempo scoppiata in seno al popolo e si installò "temporaneamente" nel castello di Lancelot.
Scoprì in seguito che avrebbe fatto molto meglio a restarsene buono buono ad Anjou, aspettando ancora qualche tempo prima di trarre conclusioni e appropriarsi di ciò che non era suo, ma per ora lo lasceremo godersi le sue conquiste.

- E c'è una porta o un ponte o un arco o qualcosa per entrare? Se è un'isola, ci si dovrebbe andare in barca.
Armelle, oltre ad essere scura e paffuta, aveva una mentalità molto pratica e la sua presenza riusciva a distrarre Elyan dai suoi gravi pensieri. Forse troppo, alle volte, come in quel caso: la risatina che gli sfuggì fu abbastanza inopportuna.
- Solo chi ha imparato a padroneggiare la magia può arrivare ad Avalon in barca, credo - spiegò. - E non so se riusciremo a trovare un passaggio per andare dall'altra parte. Spero che mia madre senta la mia presenza.
- Non so come siate riuscito a convincermi - borbottò Aline, che teneva in braccio la bimba addormentata. - Vi ho seguito perché non sarei potuta restare a Benwick un giorno di più, ma non cederò. Dovrete uccidermi, o tagliarmi il dito, e in entrambi i casi... - La neonata, percependo la tensione, si svegliò e si mise a strillare come un'aquila.
Elyan sospirò. Si stava comportando da egoista, ma non poteva agire diversamente: riportare in Britannia quell'anello era stata una delle condizioni poste da sua madre perché potesse conoscere il suo futuro. E siccome ella si rifiutava a tutti i costi di cederglielo, era stato costretto a portarla con sé.
- Shhh... shhh... fai la nanna...
- Ma che nanna volete che faccia, con questo sole! - le fece il verso Armelle. Aline la fulminò con lo sguardo. C'era una strana intesa tra loro, una complicità più colpevole che amichevole, che metteva paura. Ma non poteva soffermarsi su di loro, adesso, doveva...
La piccola gridò più forte.
Elyan sentì la terra tremare, il tempo confondersi. Le due donne non parvero accorgersi di nulla, finché da una macchia d'alberi non videro spuntare una sagoma scura, e si avvicinarono al cavaliere perché le proteggesse. Ma quando egli s'avvide di chi si trattava, le rassicurò e corse incontro alla figura per lui ormai non più misteriosa.
- Madre! Sapevate ch'ero arrivato!
- Su questo ti sbagli, Elyan. Ho sentito che il potere dell'anello era vicino, e l'ho raggiunto. Ma sono più che mai felice di vederti! - Così dicendo, Claire l'abbracciò.

Aline non aveva mai sentito alcunché di magico nel pegno del suo amato, se non la forza dell'amore stesso. Dal primo istante in cui l'aveva avuto al dito, si era ripromessa di non toglierlo mai più. Non le importava degli equilibri di Avalon. Voleva trattenere a sé tutto ciò che le ricordava lui, quei brevi momenti trascorsi insieme, e nessuno doveva osare portarglieli via! Perciò guardò alla nuova arrivata con ostilità, tentò di passare inosservata.
Temendo che accadesse qualcosa di spiacevole, Elyan si pose tra lei e la madre: - La mia amica, madamigella Aline, non intende separarsi dall'anello. Ha per lei un valore che nulla ha a che fare con il suo potere, ed io rispetto la sua decisione.
Claire si avvicinò a lei, la guardò in viso e poi fissò la bambina. Questa si acquietò all'istante. Aline ne fu spaventata, avrebbe voluto scappare o sprofondare...
- Non avere paura, non sarò io a rivelare il tuo segreto - bisbigliò la sacerdotessa. Le prese la mano, quella che non indossava l'anello, suggellando la pace.
- Per me non ha importanza, Elyan - si rivolse poi al figlio - Finché questa fanciulla dimorerà in Britannia, può custodirlo forse a maggior diritto.
Il giovane lanciò ad Aline uno sguardo preoccupato, ma ella abbozzò un inchino; il pallore era svanito dalle sue guance e le rughe dalla sua fronte.
- Non ho nessuna intenzione di tornare a Benwick - dichiarò.
E non ne aveva davvero intenzione: non era rimasto nulla e nessuno, oltre lo Stretto appena oltrepassato, a cui rendere conto, o di cui provare nostalgia. Ma c'era anche dell'altro: le parole di Claire l'avevano resa libera. Le avevano aperto una strada inaspettata, che non aveva nemmeno sperato di poter percorrere. Sapeva che Elyan si sarebbe adirato e forse l'avrebbe detestata, e per questo doveva tenere il segreto il più a lungo possibile... ma era la scelta giusta. Come lui avrebbe lottato per convincere Sir Bedivere a concedergli Eneuawc in sposa, lei avrebbe rivelato una verità un poco scomoda, sperando e pregando che venisse accolta con gioia e non con disprezzo.

E dunque, il momento stava arrivando: rimaneva quell'ultima missione, la più ardua, quella da cui dipendeva la felicità di tutti loro.


Londinium era libera.
L'esercito di Melou, ridotto a pochi soldati tremanti e feriti, si arrese. Il secondogenito di Mordred, tanto alto quanto orgoglioso, preferì uccidersi piuttosto che dichiararsi vinto; così Costantine perse un'altra occasione di vendetta. La delusione fu così cocente che offuscò i festeggiamenti per la vittoria.
- Signore. Il popolo vi acclama Conte di Londinium, Duca di Logres e Re di Britannia.
- Sta bene - sospirò, amareggiato e involontariamente comico.
- La reggia che fu di Ambrosius...
- Sciocchezze. Ciò che ho da fare, ho da farlo a Camelot.
Il giovane ammutolì. Lo stomaco gli si aggrovigliava al pensiero di tornarci, non poteva farci nulla. Il braccio del suo nuovo signore gli circondò le spalle, un poco irrobustitesi negli ultimi mesi. La gratitudine gli si affacciò agli occhi in un luccichio commosso.
- Sarà tutto diverso, per te. Non hai più nulla da temere.
Era già diverso, era un altro mondo, un'altra esistenza; vivere la guerra in prima persona l'aveva trasformato completamente. E non era timore il suo - soltanto vuoto.
Camelot, senza Amren.
Senza Eneuawc.
Senza Elyan.
Senza...
Risalì in sella e regalò a re Constantine un mezzo sorriso. Lo meritava davvero, e gli doveva così tanto.

Constantine rilesse la risposta alla sua lettera. Aggrottò la fronte, dubbioso di aver capito male. Ma stava lì, nero su bianco: l'unica notizia che avrebbe reso il ragazzo davvero felice. Un miracolo, semplicemente, qualcosa che mai si sarebbe aspettato...
Quella nuova rivelazione lo rinfrancò. Non aveva mantenuto le sue promesse, era stato calcolatore ed egoista, ma Iddio sembrava concedergli un'altra possibilità di rendere felice qualcuno. Non ancora completamente conscio di avere ormai l'intera patria sulle spalle, preferiva pensare alle piccole cose, come fanno i bambini. Una battaglia alla volta, una decisione alla volta... un sorriso alla volta.
- Partiamo subito - Appariva rasserenato, con una luce addirittura divertita nello sguardo. - Sono stanco di usare la spada per infilzare, ho voglia di appoggiarla su qualcuno.
Garanwyn arrossì violentemente. Almeno in questo non era cambiato; e Constantine si sentì colmare di una tenerezza paragonabile soltanto a quella del loro primo incontro.



Non sarò io a rivelare il tuo segreto.
Il coraggio cominciava a mancarle, man mano che si allontanavano dalla costa, i cavalli lanciati sulle pianure di Logres. L'abbandonò quasi del tutto quando, giunta la notte, il sonno tardò ad arrivare e i ricordi, le incertezze, i timori presero il sopravvento. No, non sarebbe stata Claire a smascherarla, ma prima o poi avrebbe dovuto ammetterlo lei stessa. Avrebbe voluto farlo. Stringendo a sé la neonata, cullandola sotto le stelle, Aline sentì più forte il desiderio di piangere. Elyan non sospettava nulla, e questo le rendeva più difficile il peso della menzogna. Riprese a canticchiare sottovoce, chiedendo al Cielo cosa ne sarebbe stato di lei quando ogni cosa sarebbe stata svelata.
All'alba ripresero il cammino. Elyan si faceva sempre più inquieto, carico di sentimenti contrastanti. Era impaziente di rivedere la sua Eneuawc, ma aveva soggezione di Sir Bedivere più di qualsiasi altra persona al mondo.
- Ma non avreste potuto sposarvi e basta? Tutte queste complicazioni, voi signori! - borbottò Armelle quando il cavaliere prese a raccontare le sue pene d'amore. - Voi, invece, non ci avete pensato mica due volte con-
Si tappò la bocca con entrambe le mani, virando al viola.
Aline si girò per somministrarle uno schiaffo, ma in quel momento Elyan, ignaro, le invitò a osservare il paesaggio. - Questo è il fiume Glein. Oltre le colline dovremmo seguire il corso dell'Humber, che ci porterà direttamente a Lincoln. Mie dame, siamo giunti nelle terre dei Coritani. Che Dio me la mandi buona...  e la Dea pure - concluse a mezza voce.
Aline strinse le labbra. Guardò la nutrice con risentimento e questa allargò le braccia in gesto di scusa, mentre il figlioletto si stringeva a lei un po' timoroso. Le ostilità sembrarono accantonate.

- Vi amerò per sempre.
- E io... io... vi amerò fino alla fine.

Lincoln.
Il castello in cui lui era nato. In cui lei avrebbe potuto-

- Davvero, non volevo tradirvi...
- Tieni quella lingua a freno, stupida! - sillabò Aline tra i denti, ma il figlio di Armelle, spaventato e arrabbiato, le somministrò un morso sul braccio che quasi la fece cadere da cavallo insieme alla creaturina. Elyan, distolto finalmente dalle proprie fantasticherie, accorse e la sostenne. - Volete spiegarmi che cosa succede?
Le due donne tacquero, per una volta concordi. Il bimbo si mise a piangere e la neonata lo imitò all'istante.
Il modo in cui Aline la consolava e la teneva in braccio avrebbe dovuto fargli capire molte cose. Ma evidentemente non era tempo che capisse e la fece salire accanto a lui, ancora tremante per lo spavento preso, rimandando le richieste di spiegazioni ad un luogo più confortevole. Doveva andare tutto per il meglio, non c'era tempo per i litigi. Lui doveva avere Eneuawc e riconquistare la fiducia della sua famiglia, e non c'era nient'altro di più importante.


- Non credevo di far male. Vostra figlia mi ha parlato molto di lui, e sono certo che la sua fiducia nei suoi confronti è ben riposta, che abbia le migliori intenzioni-
- E l'avete fatto entrare? Senza prima avvisarmi? - Sapeva in partenza che quel gesto l'avrebbe contrariata e non si era sbagliato. Ma ne sarebbe valsa la pena, alla fine.
- Non avevo modo di avvertirvi senza che vostro marito ne venisse a conoscenza, e non volevo turbarlo. Ci sono due donne e due bambini piccoli con lui. Sembravano affamati e stanchi per il viaggio...
L'espressione di Clarissant cambiò: pur sospettosa, parve farsi più accondiscendente. - Conn, ti voglio molto bene e lo sai, ma in questo momento ho voglia di sculacciarti. Va bene, va bene, me ne occuperò io. Dove sono stati alloggiati?
"I problemi hanno ripreso ad arrivare uno alla volta," sospirò. "Sempre meglio che tutti insieme." E toccava a lei, come sempre.

Due bambini piccoli? Si stava portando tutta la famiglia appresso? Ma no. Non avrebbe osato, non aveva senso. E per quanto ne sapeva il suo matrimonio era andato a monte. Era stata furiosa con lui quando aveva abbandonato Eneuawc, non poteva negarlo, ma nemmeno gli aveva mai augurato del male. Capiva che era stato Sir Bors ad allontanarlo, ad imporgli la sua volontà, e la guerra aveva fatto il resto... Era decisa: se davvero era giunto a Lincoln con intenzioni pure, l'avrebbe ascoltato.

Conn la precedette, affannato e felice, e annunciò: - Sir Elyan, la signora duchessa è giunta ad incontrarvi...
Elyan aveva provato un'istintiva simpatia per quel ragazzino sveglio, aveva subito capito di aver trovato un alleato. L'aveva messo un poco in imbarazzo, per la verità, quando se l'era trovato di fronte ad accoglierlo, ma Conn era ormai abituato a quegli sguardi. Sapeva che il figlio di Bors era stato il miglior amico di Amren, a Camelot. Ma anche la damigella, che pure aveva detto di venire da Benwick, era arrossita e le sue mani avevano iniziato a tremare. Era quasi graziosa, così turbata: le aveva sorriso chiedendole il nome.
- Aline, mi chiamo Aline, signore - Quell'appellativo aveva mandato il ragazzo in visibilio. Era stato gentile persino con la scontrosa Armelle, vezzeggiando il suo pargoletto e trattandola come una dama, e in meno di un'ora li aveva provvisti di tutte le comodità possibili.
Ora Aline, Armelle e i bambini dormivano nella camera accanto. Elyan, incapace di restare fermo, era rimasto a passeggiare avanti e indietro davanti al focolare; il pensiero che Eneuawc fosse nello stesso castello e non potesse incontrarla lo faceva impazzire.
- Ora? Qui? Io-
Clarissant apparve, più bella e severa di quanto ricordasse, i capelli raccolti senza frivolezza, nobile nel senso più puro del termine. Elyan si inginocchiò fino a sfiorarle l'orlo della veste:
- Signora...
- Sir Elyan de Ganis, ci si rivede.
Voglia di strappare quel nome, gettarlo a terra e calpestarlo.
La ragione che ti trattiene e ti ricorda che non è rinnegando il tuo casato che recupererai l'onore, ma anzi ricoprendolo di gloria con le tue proprie azioni.
- Tanto... - La voce gli si spezzò - Misericordiosa... volermi ricevere.
Ella si commosse, non indugiò oltre. - Siate uomo e parlate guardandomi in faccia, cavaliere. Non è me che dovete convincere, sapete.
Elyan si rialzò, colmo di gratitudine: - Ebbene lo so! E non v'è nulla che non farei perché vostro marito mi consideri degno. L'impresa più ardua, la montagna più alta, la sfida suprema... tutto per il suo perdono.
- E per la mano di nostra figlia.
- Sì, duchessa. Non lo nego, l'amore mi spinge dove il coraggio non sa ancora di poter osare.
- Riposatevi - sorrise Clarissant. - E non tormentatevi più del necessario. Eneuawc ha pianto molte lacrime a causa vostra, ma credo che voi ne abbiate versate altrettante. Per quel che mi riguarda, ogni debito è ripagato, ogni incomprensione dissolta. Ma vi ripeto, parlo esclusivamente a mio nome, che ahimé non conta nulla.
- Signora-
- Dite bene: sono una donna e non spetta a me la decisione, ma farò quanto è in mio potere per aiutarvi.


Aline percepì prima di tutto la comodità del letto in cui si trovava. Era una sensazione deliziosa. Le lenzuola lisce sotto le dita, il profumo di bucato. La morbidezza dei guanciali. Sospirò di contentezza e stava per scivolare nuovamente nel sonno, quando udì parlare nella stanza di fianco. Era la voce di Sir Elyan, concitata e deferente, e poi un'altra, a dir poco regale... musicale.
Possibile che si trattasse della duchessa? Non poté più trattenere la curiosità e si levò dal letto, attenta a non svegliare Armelle e il bambino. Trovò, preparati appositamente per lei, abiti e accessori per capelli. Non toccò nemmeno questi ultimi, timorosa di mostrarsi troppo vanesia: non era una damigella in attesa di marito. Non vi era più nulla da attendere, non in vita, i giuramenti erano già stati espressi, le parole ed i baci scambiati, la carne strappata alla carne da un addio appena velato di inutile speranza.
Vedova, formulò la sua mente, e come sempre sentì che quella parola aveva un suono aspro.
Vedova, come Armelle, come la povera Lady Juliana, che però avevano avuto miglior fortuna - l'una di detestare il vecchio soldato a cui era stata maritata, l'altra di non sopravvivere al suo sposo.
Doveva avere coraggio, lo sapeva, se lo ripeteva ogni giorno da quando Claire aveva suggellato la sua appartenenza a quella nuova patria. Avrebbe deluso Elyan, rischiando di perdere per sempre la sua amicizia, senza peraltro sapere se sarebbe stata accettata da...
Un gorgoglio spezzò i suoi pensieri, ed ella si chinò sulla culla. Due occhi nerissimi la catturarono, mentre la manina della neonata si chiudeva su una ciocca dei suoi capelli, strappandole un sorriso.
- Quando ti vedranno, tesoro, non potranno avere dubbi.
La prese in braccio e scivolò fuori dalla camera, solo per scoprire che non vi era più nessuno. Ma non chiamò Armelle per mandarla a cercare qualcuno, e nemmeno si sedette ad aspettare. Non era più tempo di indugiare, né il suo animo poteva sopportare di vivere ancora nella menzogna.
Quindi s'inoltrò per il castello, certa di trovare in poco tempo la strada. Mera illusione! Esso aveva subito numerosi ampliamenti dalla morte di Corneus. Sir Griflet aveva avuto carta bianca da Bedivere su molte cose, e una di queste era proprio la scelta di architetti dal gusto esotico, che non si erano curati di mantenere uniformità alla costruzione. Un'ala, quella per gli ospiti, era di gusto romano, accogliente ma spartana. Le camere dei bambini erano vagamente orientali, mentre l'ala dei famigli (tra cui proprio le stanze dove ora vivevano le due figlie di Griflet) aveva un che di turco. Soltanto i saloni principali conservavano l'atmosfera di quando il maniero era stato costruito, al tempo di re Ambrosius. In quel dedalo di corridoi, inevitabilmente Aline si perse.
Era tutto così diverso dal castello di Benwick, pensò. Là vi era una ricercatezza che talvolta le era parsa soffocante. Nulla era lasciato al caso, e nulla pareva essere stato creato per esseri umani; non vi era calore, non era possibile sentirvisi a proprio agio. Qui è diverso, concluse. Anche gli ambienti più lussuosi avevano un'impronta vissuta, emanava dalle porte socchiuse una tranquillità figlia di onesti affetti.
Si fermò, appartandosi dietro ad una statua, quando udì dei passi che salivano una scala, accompagnati da uno sbuffare e un brontolare in una sorta di dialetto a lei sconosciuto.
- Ah, povera cara, bisogna aspettare! - Finalmente i borbottii si erano fatti intelligibili, ma nel frattempo i passi si erano avvicinati ed era più facile che venisse scoperta. - Lui deve capire! Non posso continuare così... - L'altra voce, che al contrario era dolce ed educata, apparteneva ad una persona più giovane.
Ma poi, perché doveva nascondersi? Non era giunta da clandestina né aveva cattive intenzioni. Recava un messaggio di gioia e non di ostilità, e se ostilità avrebbe ricevuto, non ne aveva colpa. Si mostrò alle due donne che, conversando tanto animatamente, erano ormai arrivate vicino a lei.
"Coraggio, fiorellino mio... è ora, è giusto, perché... questa è la tua casa"

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Capitolo 16
*** Un caldo, intenso amore. ***


Da che pubblicai lo scorso capitolo, è successo di tutto e niente.
Malinconia, non portarmi via, ispirami e basta.
Grazie a Deirdre, Ailinon, Stray e Ila (bentornata!) che tengono vivo questo fandom e mi fanno sognare. Anche se di sogni pur sempre si tratta, e a volte di illusioni.




Quella sala, che era stata testimone di gloria indiscussa, recava sul pavimento i segni della Tavola, distrutta prima nella persona dei suoi illustri occupanti e poi fisicamente, a colpi d'ascia, riducendola a ciocchi buoni per il fuoco gettati poi in un angolo. I nomi degli eroi incisi sul legno, già quasi illeggibili, erano stati raschiati via.
(forse da Mordred. Più probabilmente, da Melehan)
E quand'anche fosse stata ancora intatta, d'altronde, essa non avrebbe significato nulla, non sarebbe più stata un simbolo di unità ma un relitto che emanava sconfitta. Legno, solo legno da bruciare.

Garanwyn si inginocchiò. Sentì la spada del re sfiorargli la spalla e le lacrime affacciarglisi agli occhi. Ma sapeva che dal Cielo i suoi cari perduti gioivano; e pregò di renderli sempre orgogliosi.
- Garanwyn, figlio di Kay, giurate voi fedeltà a me, re Constantine di Britannia, in nome di Dio e della Patria?
- Lo giuro - rispose il giovane con voce ferma e commossa.
- Dunque vi nomino cavaliere di Britannia. Sir Garanwyn, alzatevi.
Si udì qualcuno battere le mani con entusiasmo e ridere di gioia, dietro di loro, ma Garanwyn non osò voltare le spalle al re. Solo quando quest'ultimo, con un moto delle sopracciglia, lo invitò a farlo, si mise in piedi e guardò chi lo stesse acclamando con tanto fervore.
Il suo cuore perse un battito. Non era possibile vedere ciò che vedeva davanti a sé, doveva trattarsi di un'allucinazione.
Era invecchiato, dimagrito, i suoi capelli si erano fatti spenti e radi, ed era chiaro che non avrebbe mai recuperato del tutto la salute. Come avrebbe appreso più tardi, la sua vista era offuscata e il cuore debole. Ma era vivo, e sorrideva, sorrideva a lui.
Altri, intorno, si sgomitavano, godendosi la scena, leggendo quell'emozione irrefrenabile nel loro sguardo.
- Non... cosa... voi! Voi siete...
La presenza di padre Ambrose, anch'egli visibilmente commosso e con l'aria di chi la sa lunga sull'argomento, gli fece capire di aver tratto la conclusione errata, a suo tempo. E lui era così felice di essersi sbagliato, oh quanto!
- Padre, oh, padre! Non riesco a credere... Dio, grazie, Dio...
Più di vent'anni di parole non dette si fecero largo in quello stupore per concretizzarsi in un abbraccio indescrivibile.
- Ragazzo, ragazzo mio. - Kay gli accarezzò i capelli, spingendo ancor più la testa del figlio contro il suo petto. - Sir... Garanwyn. - Rise, gli occhi venati di rosso e il respiro affannoso, cercando nel contempo lo sguardo soddisfatto del re.
Constantine non era Arthur, non sarebbe mai stato come lui. Era un supremo inetto e un gran vigliacco, senza dubbio indegno di occupare il trono. Ma gli aveva riportato ciò che aveva di più prezioso al mondo... e anche solo per questo gli doveva gratitudine. Esattamente come ne doveva a padre Ambrose, che per salvargli la vita aveva usato il male contro il male: un fungo letale il cui potere contrastava quello del veleno usato da Melehan, un'ultima risorsa che nessun altro si sarebbe mai arrischiato a somministrare.
Kay non era diventato un santo e non aveva perso del tutto la sua vena acida, ma c'era rimasto davvero troppo poco su cui ironizzare. Troppo poco, quello spiraglio di vita, per sputarci sopra. Troppo bello, quell'istante, per rovinarlo.
- Puoi perdonarmi? - bisbigliò all'orecchio di suo figlio.
- Non c'è nulla da perdonare, padre, vi voglio bene - rispose Garanwyn, rammentando come Sir Lucan gli avesse predetto che un giorno sarebbero stati così vicini. Ma quanto tempo era passato! Quanto e chi avevano dovuto perdere, per arrivarvi!
Ricordò quanto Kay avesse amato Celemon, e nonostante tutto il disprezzo che la sorella gli aveva sempre riservato, desiderò ch'ella fosse ancora in vita. Ne avrebbero parlato, ne era certo, una volta soli. Avevano tante, tante cose da raccontarsi... equivoci da chiarire, vuoti da riempire, rassicurazioni reciproche.
Che cos'avrebbe avuto, a conti fatti, da rimproverargli? Gli aveva permesso di crescere in un ambiente migliore di quello. Gli anni trascorsi ad Estangore con Elyan erano stati sereni, e non si era mai sentito discriminato o umiliato. Sembrava quasi che suo padre avesse voluto proteggerlo dalla realtà di Camelot il più a lungo possibile.
Era così? Aveva davvero cercato soltanto il meglio per lui? Glielo chiese, e ricevette le risposte di cui aveva bisogno da sempre. Trovò anche più di ciò che avesse mai osato desiderare.


- Quant'è carina! Un amore...
Le cucine non erano, come in altri castelli, un luogo riservato alla servitù. I signori non disdegnavano di ficcarvi allegramente il naso, e a volte di piluccare qualcosa tra un pasto e l'altro. Conn, infatti, era stato concepito durante una di queste improvvisate.
In quel momento Eneuawc non aveva fame, però. Era rimasta in silenzio e si torceva le mani, mentre Maryel subissava la piccola di mille moine.
- Avrei voluto tanto una femminuccia, sapete signora? Siete fortunata! Mio figlio è un gran bravo ragazzo, ma non c'è paragone...
Aline non disse nulla. La sua mente era altrove, anche se non le era dispiaciuto affatto conoscere finalmente la ragazza amata da Sir Elyan.
- Però una cosa non ve la invidio: non poter allattare dev'essere terribile. E fa male, vero? Dove se ne andrà mai tutto il latte, se non c'è quella boccuccia a succhiarlo via?
Eneuawc cambiò colore, era abituata alla schiettezza di Maryel ma il suo riserbo di vergine si ribellava a quel genere di discorsi. Per Aline fu peggio. Certo che era stato doloroso! Come non mai, e non solo fisicamente! Vedere Armelle che allattava la sua bambina la faceva ogni volta sentire vittima della peggiore delle ingiustizie. Scoppiò in lacrime:
- Si vede così tanto? Ma non potevo dirlo, non potevo lasciare che si sapesse! A Benwick non avrebbero accettato la figlia di un nemico. E se avessero saputo del matrimonio...
La duchessina si alzò e si avvicinò alla giovane. Guardò intensamente la neonata. - Chi era vostro marito? Un cavaliere dei nostri?
Aline non poteva negare, ma tentò di prendere tempo: - Debbo parlare con vostro padre, al più presto; è lui che deve conoscere la verità prima d'ogni altro. E spero che Sir Elyan mi perdoni di avergli mentito, dicendogli che la bimba era sua cugina! - Sospirò: - Oh, se sapeste quanto egli vi ama! Sempre mi parlò di voi, con struggimento e tuttavia sempre con la speranza nel cuore di riavervi. E siete più bella di quanto immaginassi - concluse con voce trasognata.
Eneuawc non cedette alle lusinghe: - Signora, non voglio scavalcare l'autorità di mio padre, ma devo saperlo ora. Quegli occhi... non sono sangue di Francia, ma nemmeno di Logres...
- Su questo non ci sono dubbi, somiglia a vostro fratello appena nato, che Dio l'abbia in gloria! - Maryel era stata di nuovo poco delicata, ma questa volta Eneuawc non ebbe da ridire, anche se le labbra le tremarono. Non era possibile pensare in quella direzione; aveva pur conosciuto i gusti sentimentali di Amren. E mai, mai avrebbe potuto credere che suo padre fosse capace di tradire, perciò-
- E va bene! Ma non crediate che, solo perché sono meno nobile di voi, abbia commesso peccato. Lui mi sposò, e mi disse che quando la guerra sarebbe finita mi avrebbe portato con sé, per mostrarmi l'alba dalla torre di Grainthorpe...
Eneuawc ascoltava, con meraviglia e commozione.

Fuori dalla porta, anche qualcun altro ascoltava. Ridacchiando, si complimentava con se stesso per il proprio intuito. Ma l'ilarità scomparve presto, sostituita da un singolare calore in mezzo al petto. Erano le fiaccole del corridoio a procurarglielo? Certamente no. Ma poteva davvero essere soltanto la voce della damigella francese che filtrava dalla stanza?
Era ben strano... una bella novità, proprio, perché fino a quel momento credeva che le fanciulle non gli sarebbero mai interessate.
Si strofinò il viso, maledicendo per l'ennesima volta quella parodia di barbetta stentata e ridicola che si era ostinato a lasciarsi crescere - e a ragione, ora lo sapeva, ma non era abbastanza.
- Conn, cosa stai facendo?
Il cipiglio di Maryel, che sapeva trasformarsi dalla più ciarliera delle donne alla più severa delle madri, lo inchiodò sul posto facendogli balbettare qualche sciocchezza.
- Sei tutto rosso. E poi da quando te ne stai a origliare? Non sta bene, sai. Piuttosto, visto che ascolti dappertutto, Sir Elyan è ancora a colloquio con il duca?
Dietro di lei, Eneuawc e Aline lo fissavano mettendolo sempre più in imbarazzo. Specialmente Aline. Che non era tutta questa bellezza, doveva ammetterlo. E allora perché...
- Sì, madre, sono in Sala e non accennano ad uscirne. Mi domando-
- Tu non farti domande, non immischiarti e vivrai a lungo. - Conn sospirò, prendendolo come un buon augurio invece che un rimprovero. No, non era bella, ma la sua presenza lo rendeva nervoso. Il culmine parve giungere quando ella gli rivolse la parola:
- Signore, potreste accompagnarmi là? C'è qualcosa di cui entrambi devono essere a conoscenza al più presto.
Per la seconda volta, quell'appellativo gli suonò stridente e altisonante e di nuovo non replicò, anzi ritrovò le buone maniere e le sorrise invitandola a seguirlo. Eneuawc si mise in mezzo bloccando loro la strada: - Aline... comunque vada, benvenute in famiglia.
- T-waa! - rispose per lei la bambina.



Ad Elyan non era stato concesso di mettersi a sedere. Ad alcuni può sembrare che stare in piedi faccia sentire più importanti, troneggiando dall'alto nell'esporre le proprie ragioni. Ma non è sempre così. Il giovane si sentiva tremendamente in imbarazzo davanti al duca, e avrebbe preferito poter abbassare gli occhi senza incontrare i suoi.
Ah! Quegli occhi fieri e cupi insieme, del colore dell'erba alla sera, che la sua amata aveva ereditato! La forza che il suo incedere, come il suo sostare, avevano sempre trasmesso a chiunque...
anche se di quel sole abbagliante un tempo chiamato - con un misto di ammirazione e timore - Bedwyr Bedrydant, era rimasto solo un tramonto che stringe gelosamente a sé i suoi ultimi raggi.
Di questo era spaventato Elyan, di pretendere l'impossibile, perché avesse o meno ottenuto ciò che desiderava, avrebbe causato dolore. Avrebbe sofferto Eneuawc, se non gli fosse stata concessa; ma sarebbe morto di dolore Sir Bedivere nell'acconsentire.
Lei è un raggio di sole, e io voglio portargliela via.
- No, signore, - parlò, anche un poco a se stesso, poiché non si era preparato un vero discorso, ma ragionava cercando di esprimersi al meglio - non vi chiederei mai di separarvi da lei. Credo ch'ella smetterebbe di amarmi, se osassi pretendere ciò. In tutta sincerità, non avrei nessun luogo dove condurla: ho rinunciato ad ogni diritto sulle proprietà che pure mi spetterebbero in Francia, e persino al regno di Estangore, che re Constantine ha reclamato per aver liberato il castello da...
- Dunque giungete qui senza più titoli, né nome? - lo interruppe Bedivere, a cui poco e nulla importava delle imprese del Grande Assente. Non aveva ancora deciso se e in che misura formalizzare la sua fedeltà al nuovo sovrano, e non sentiva di appartenergli nemmeno un briciolo rispetto a quanto aveva amato Arthur.
- Ho un nome di battesimo, signore, ed è Elyan. E ne ho uno nel cuore, il più bello, il più puro, quello che sceglieste quando deste vita alla creatura che amo.
- Mia moglie le diede la vita, e con grandi sofferenze. E fu lei a scegliere quel nome, perciò non incensatemi oltre. Dunque siete qui per dirmi che non avete nulla da offrire a mia figlia se non il vostro ritardatario pentimento?
- Disponete di me - rispose Elyan umilmente. - Ma non commettete l'errore di vedere in me solo il nipote di Sir Lancelot, 'ché mi fareste un torto! Mai offesi il nobile Gawain, nemmeno con il pensiero, e credetemi se vi dico che avrei desiderato vincesse il duello!
- Tacete, queste sono bestemmie! - replicò Bedivere seccamente. - Avete un bel coraggio a nominare Gawain. Credete che non sappia, dannata spia? Ah, ora vi riconosco, vigliacco. Portategli una sedia, non vorrei che si rompesse la testa e sporcasse il pavimento!
Il giovane sembrava infatti sul punto di svenire. Non gli era mai passato per la mente che Amren potesse avergli raccontato della sua missione per conto di Sir Lancelot... non v'era da stupirsi se il duca lo odiava ancora più di quanto si aspettasse!
- Conn è stato molto gentile con voi, non è vero? Vi ha accolto con tutti i riguardi, immagino. Sì? Bene, credete che vi avrebbe riservato questa simpatia se sapesse che siete responsabile della morte di suo padre?
Elyan si lasciò cadere sulla sedia che un servo gli aveva avvicinato, mentre la vergogna saliva nel suo animo fino ad un livello intollerabile: - Io non... potevo... immaginare...
- E mia moglie, che vi concede la sua indulgenza, che mi ha implorato di ricevervi, di darvi una possibilità... oh, quale beffa! Vi strapperebbe il cuore, se le dicessi che avete le mani sporche del sangue di Sir Gareth!
Mai Elyan s'era sentito più abietto, più indegno... eppure ancora non desistette. Non si prostrò dinanzi a lui, poiché aveva già compreso quanto a Lincoln simili gesti fossero privi di significato, ma restò a testa china, ricevendo ogni frase tagliente come una singola stilettata.

Mille volte Bedivere aveva immaginato di rivolgergli quelle parole. Come padre ferito nell'orgoglio, come guerriero senza più un comandante, come uomo quasi perduto e a stento ritrovatosi, sentiva il bisogno di far del male a sua volta.
Ma non aveva fatto i conti con il proprio cuore, che seppur logorato e tradito sapeva ancora riconoscere l'innocenza e la buona fede. Sì, aveva giurato che mai gli avrebbe concesso Eneuawc in moglie: ma quella era un'altra vita, un'altra epoca, quello era un altro se stesso.

- Cosa mi portate in cambio? - insistette. - Quale prezzo siete disposto a pagare?
- Qualsiasi cosa, signore - gemette Elyan, senza alzare il capo. - Tutto, tranne la mia vita, ma solo perché so ch'ella non desidera perdermi.
- Guardatemi, Sir Elyan! - Bedivere gli afferrò il mento, costringendolo ad affrontare il suo sguardo: - Potrei mai, coscientemente, volere il male di mia figlia? O le lacrime della mia sposa? Se le feci soffrire, lasciandole ad attendermi per un tempo che nemmeno ricordo o voglio ricordare, fu perché ero pazzo... pazzo di dolore. Ma ora sono qui, e vivo per la loro felicità. Non dirò mai a Clarissant chi fu la spia di Lancelot, ma non per farvi un favore, capite? Capite bene la differenza?
Elyan annuì. Era estasiato dalla saggezza di quelle parole, che gli spalancavano le porte della gioia più squisita, ma fu dolceamaro il verdetto:
- E sia! Prendetela, se l'amate. Prosciugatemi. Straziatemi. Dio! Chi potrà ridarmi il mio sangue?
- Non lo so, non lo so, non lo so... mi dispiace... signore, mio signore, non ve ne farò pentire nemmeno un istante!

La domanda di Bedivere era stata puramente retorica, dettata dal dolore e dalla frustrazione. E davvero Elyan non avrebbe mai potuto immaginare che, in qualche modo, stava per donargli ciò che chiedeva. Lo rassicurò più e più volte che si considerava creta nelle sue mani, e che sarebbe salito sulla luna per fargli piacere. Non aveva ancora finito di congedarsi, incredulo di tanta fortuna, ringraziando mentalmente la madre per averlo spronato a conquistarsi la felicità con le sue forze, quando udirono dei passi nel corridoio e la porta si aprì. Lo stesso servitore che aveva fatto sedere Elyan quando aveva compreso di essere stato smascherato, veniva ora ad annunciare una visita urgente. Bisbigliò qualche parola all'orecchio del duca e questi gli ordinò di far entrare immediatamente la persona in questione.
- Aline!
Bedivere si alzò, tremando come se avesse visto un fantasma:
- Che cosa mai vedo? Siete proprio voi? Elyan, la vostra era una bugia; vi chiesi se portavate con voi ricchezze e doni, e rispondeste di no!
Questi balbettò che si trattava solo di una damigella della corte di Benwick, ma il duca non gli badò, andando incontro alla fanciulla che era rimasta sulla soglia con il suo fagottino in braccio.
- Benvenuta a Lindsey, sorella. È dunque avvenuto il miracolo? Oh guardate, guardate! - Allungò la mano verso la piccola e la sfiorò d'una carezza lieve, a cui rispose un suono divertito. - Sapevo che ci avreste fatto del bene dal primo istante in cui vi vidi, quando giungeste al nostro accampamento per implorare la pace. Ma questa gioia, mai l'avrei immaginata!
Elyan taceva, cercando di capire cosa stesse accadendo.
Aline gli aveva nascosto qualcosa di molto, molto importante, questo era certo; qualcosa di cui Sir Bedivere era al corrente e lui ignorava del tutto.
O forse... un collegamento c'era...
Sapeva dei sentimenti che, tornata dalla missione, la sua amica aveva lasciato crescere dentro di sé. Ma aveva
(ingenuamente)
creduto che non ci fossero più stati incontri tra lei e Sir Lucan. Il periodo dell'assedio era stato doloroso e l'aveva distolto da qualsiasi altro pensiero: suo padre era rimasto settimane tra la vita e la morte in seguito al duello con Gawain. Non l'aveva vista spesso... e in effetti tutto sarebbe potuto accadere in quel periodo...
In ogni caso l'aveva ingannato, non aveva avuto abbastanza fiducia in lui, ma lui stesso non era stato in grado di intuire che qualcosa era cambiato. Quel che gli bruciava era l'aver creduto che la bambina fosse davvero figlia di suo zio Lionel. Che fosse rimasto qualcosa di lui e Lady Juliana, in quella creatura. Loro non avevano avuto nessuna colpa in quelle orribili vicende, eppure erano morti... ricordò quel primo ballo con la dama francese, quando era rassegnato a doverla sposare... e poi aveva visto i suoi occhi brillare d'amore per Lionel... e il sollievo, la speranza di poter tornare da Eneuawc senza ferire nessuno... quanto tempo da allora, quanto odio, quanto orrore!
Era infinita tristezza la sua, adesso, non rabbia. Vedere Sir Bedivere così felice aveva impedito al dispetto di salirgli alle labbra, e quando incrociò lo sguardo di Aline le fece capire in silenzio che tutto era perdonato e dimenticato.

Una quieta armonia aveva invaso la stanza, trasformando il compromesso in felicità e gratitudine, come se un soffio d'aria avesse smosso da terra i cocci di un vaso infranto per ricomporli magicamente. Il tempo aveva preso a scorrere con un ritmo più lento. Quell'amore caldo e intenso che gli traboccava dall'anima, Bedivere l'aveva già sperimentato solo una volta in vita sua: quando erano nati i gemelli.
E solo un'altra volta ancora l'avrebbe provato in futuro.


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Capitolo 17
*** Conn ap Griflet, duca di Lindsey. ***


E poi è così, si ritrova il filo e si torna ad aggiornare.
Grazie a Ila, che me lo scrive blu su bianco tra gechi e polpi di peluche.
Grazie a Deirdre che aspetta da troppo, o forse ha già smesso di aspettare! Ecco il nome della bimba di Lucan e anche quello del moccioso di Armelle. "Haliesin" somiglia a "Taliesin", ma invece di "tal" (ciglio) c'è "hal" (sale). È un'immagine (il sale che splende) che mi ricorda gli scogli con la bassa marea :)
E grazie a Caillean. Sempre.




Aline aveva seri problemi di pronuncia con i nomi gaelici. Si riferiva a Sir Bedivere con Monsieur le duc Bedoier, il che andava benissimo, e chiamava Eneuawc Mademoiselle Anfeu, il che faceva quantomeno sorridere. Nonostante questa sua lieve e divertente debolezza, quando il cognato le aveva chiesto come si chiamasse la piccola, ella gli aveva risposto: - Come vostra madre, se vi sarà gradito. - Si sarebbe potuto trattare di Gwencwyllygcundrië, e quest'eventualità la fece stare un poco sulle spine: ma il nome della defunta duchessa era Cailleagh e lei aveva sospirato di sollievo.
Era stato bello vivere tutti insieme. Sembrava tornato lo splendore dei tempi andati; non che Conn potesse ricordare un granché di quei tempi andati. Ma era durato davvero troppo poco.


L'aria di mare faceva bene ai bambini e questo lo sapevano anche i sassi, ma non era per questo che Aline era stata così entusiasta di recarsi a Grainthorpe (Conn credeva che fosse perché sapeva pronunciarlo abbastanza bene). Quel luogo, che in realtà sarebbe potuto consistere di un tetro strapiombo sull'acqua e di un altrettanto lugubre e umido maniero abbarbicato sulla cima di detto strapiombo, le era già caro per averne sentito il nome dalle labbra del suo amato.
Che poi, si era chiesta, perché vi era stato tanto affezionato? Era nato a Lindsey, e aveva vissuto la maggior parte della sua vita a Camelot, giusto? Sapeva così poco... frammenti, frasi spezzate tra un bacio e l'altro, tra una carezza e l'altra... prima di dirsi addio.
E di tutto quel tentare di raccontare, quel nome era riuscito a rimanerle così impresso.
Come se avesse voluto consegnarle un messaggio, come se la stesse guidando, tenendola per mano, a scoprire ciò che avrebbe potuto essere.

Nessun precipizio. Solo un declivio che scendeva dolce, verdissimo, fino alla spiaggia di sabbia fine, e poi il mare scuro, mosso, quasi arrabbiato: le ricordava lui.
Il suo aspetto così severo e cupo, spaventosamente virile, simile ad una statua di Nettuno, ma capace di sciogliere ogni timore con quel sorriso che sbocciava inaspettato e disarmante. Come quello di un bambino... come quello della loro bambina.
- Guarda, Cailleagh... il mare.


- Hal. Haliesin.
Il bimbo si voltò, i capelli sporchi di sabbia e sudore, e sorrise mostrando i dentini candidi che contrastavano con la pelle scura. Disse qualcosa indicando l'acqua agitata e tornò a guardare Conn, che si era seduto accanto a lui con un sorriso se possibile più largo e fiducioso, aprendo le braccia. Hal gli pizzicò le guance così forte da fargli male, ma lui tenne duro. Respirò il suo odore e si chiese quando una simile benedizione avrebbe potuto toccarlo. Doveva attendere, perché il tempo sistema le cose - questo gli ricordava ogni volta sua madre - ma a volte sembrava tanto difficile far finta che tutto andasse bene, che quella vita a metà gli bastasse.
Quel giorno compiva diciotto anni.
Conn ap Griflet, duca di Lindsey, marito di Lady Aline, e cavaliere di re Constantine, suo malgrado.

- Lascia in pace il signor duca, Hal. Vedi di comportarti bene o ti arriva una ripassata!
Per nulla timoroso delle minacce materne, Haliesin si nascose ancor più tra le braccia di Conn. - No! Non vengo!
- Non mi dà nessun fastidio, Armelle. Torna pure al castello, noi uomini stiamo bene così.
La donna sospirò, dando un'ultima occhiata ai due prima di incamminarsi. Sembrava proprio vero. Tutte le cose belle sembrano vere in una giornata di sole.

Sembrava vero che Aline prima o poi avrebbe accettato di consumare quel matrimonio che Sir Bedivere aveva voluto far celebrare a tutti i costi, prima della grande partenza.
Che quella famiglia messa insieme con un pugno di chiodi arrugginiti avrebbe resistito al tempo ed alle incomprensioni, almeno finché quella marea di dolore si fosse abbassata - allora qualcosa di più saldo li avrebbe uniti davvero...



Tutto era cominciato con la notizia che Sir Dinas aveva iniziato a spadroneggiare non solo sulle terre di Sir Lancelot, ma anche sulle zone circostanti, mettendo a repentaglio la sovranità di coloro che un tempo erano stati suoi compagni. A suo tempo Lancelot aveva spartito abbastanza equamente i territori francesi, basandosi sul merito e sulle capacità dei suoi alleati; ma ora Dinas aveva messo in piedi un esercito temibile, al punto che persino Sir Palamede, che regnava sulla lontanissima Provenza, iniziava a preoccuparsi di venir spodestato. Senza parlare di Gahalantine, che era in poco tempo diventato duro e guardingo come i montanari della terra a lui assegnata, l'Alvernia.
A maggior ragione, essendo il ducato di Neustria molto più vicino ed indifeso, quando i messaggeri erano giunti a Lindsey per chiedere soccorso Bedivere si era chiuso in una stanza con Elyan e altri pochi uomini fidati, in modo da elaborare una strategia per rafforzare le difese e respingere le truppe di Sir Dinas nel caso si fosse avventurato nella "direzione sbagliata". Ricorderete come il duca non desse molta importanza ai propri possedimenti oltre lo Stretto: erano niente più di un sanguinoso bottino di guerra, ai suoi occhi, ma vederseli soffiare dal più arrogante e avido degli uomini era troppo anche per lui. La cenere sopita si rivelò brace ardente, e con disappunto di dame e damigelle del castello le nozze furono rimandate. Non v'erano uomini addestrati a sufficienza per formare un vero e proprio esercito, ma questo insignificante particolare servì come incentivo per far visita al finora trascurato re Constantine. Questi fu sorpreso e abbastanza contento della visita dei due cavalieri, e nonostante avesse in mente ben altre strategie belliche (verso i Sassoni, in particolare, che a loro volta si stavano spingendo un po' oltre i confini) concesse loro un certo numero di uomini.

La visita a Camelot - poiché la reggia di Londinium restava là, rimessa a nuovo, splendente e inutilizzata - era stata per entrambi difficile e non priva di amarezza. La gioia di riabbracciare Kay e Garanwyn fu offuscata, per Bedivere, dallo sciame di ricordi che quelle mura gli fecero rivivere, e per Elyan dal confuso senso di colpa che provava ripensando all'ultima volta che vi era stato.
Ma vi trovarono anche una nuova ragione per combattere. Garanwyn non era cresciuto solo in età e destrezza nel maneggiare la spada, c'era qualcosa di nuovo in lui a cui Elyan non osava dare un nome. Qualcosa che gli faceva persino un po' paura. Quel suo paggetto timido e spiritoso, suo compagno di giochi e di studi, era diventato un cavaliere e soprattutto un uomo, con quella briciola di follia negli occhi che pochi avrebbero saputo interpretare. Lui, che al tempio di Avalon l'aveva visto uccidere Melehan, sapeva di cosa si trattava.
- Ecco come stanno le cose, Elyan. - Sembrava che i ruoli si fossero invertiti: in fondo Garanwyn era diventato una personalità più importante di quanto lo fosse lui ora. Presto però si accorse che il tono fiero con cui gli stava rivolgendo la parola non era dettato dalla superiorità, ma dall'urgenza del piano che aveva in mente. - So che al re non interessa della Britannia Minore. In effetti la situazione al confine con il Kent è quasi tragica e potrebbe scoppiare un'altra guerra, ma... partirò con voi. - Gli occhi gli splendevano come fiaccole. - Vorrei che mio padre riavesse ciò che a suo tempo ha conquistato, la regione di Anjou. Tuo zio l'affidò a Sir Dinas quando arrivaste in Francia dopo l'esilio, ma egli ha dimostrato di non meritare nulla.
Elyan fu commosso da tanta dedizione. Aveva sempre sperato che Garanwyn costruisse un rapporto con Sir Kay, ma ciò superava ogni immaginazione.
- So che non vivrà a lungo. Non mi faccio illusioni su questo, e voglio fargli questo dono adesso. Ripeto, non conta cos'abbia in mente il re o cosa vogliate ottenere tu e Sir Bedivere, Dio sa che non vorrei mai fargli un torto, ma desidero che sia chiaro...
- Chiaro come il sole che splende il cielo, Sir Garanwyn di Camelot - dichiarò una voce alle loro spalle.
Garanwyn guardò in viso il padre del suo primo, grande amore. Si vergognò un poco della propria irruenza e si chiese se non l'avesse offeso.
- Non chiedo di meglio - continuò Bedivere. - Conosco la verità, nonostante l'accordo che avete stretto con il re; Elyan mi ha raccontato quanto è accaduto ad Estangore.
Il giovane si voltò verso l'amico, colmo di stupore e confusione. - Come...? Non doveva saperlo nessuno. Il popolo ha bisogno di un Sovrano Vendicatore, non di un generale burocrate. Finché si crede che sia stato lui...
- E lo si crederà, lo si crederà. Le voci della presunta maledizione sono giunte fino al mercato di Lincoln, dove tra uno scampolo di seta e una cesta di cipolle si sussurra che un fulmine colpirà il sovrano in capo ad un anno.
Ecco di che si trattava: alcuni soldati di Constantine, distorcendo i fatti, avevano sparso la voce che Sir Melehan era stato ucciso ai piedi di un crocifisso. Non era trapelato nulla, però, su colui che aveva materialmente compiuto l'esecuzione.
- Dovrei credere che colpirà me, se fossi superstizioso... - Garanwyn tentò di scherzarci su, ma gli tremava la voce.

Ormai le parole migliori gli venivano fuori dalla spada, e una volta giunti sul Continente seppe ben dimostrarlo. Come scappò a gambe levate quel malaccorto usurpatore! E come fu colto di sorpresa Elyan, quando scoprì che suo padre aveva abbandonato le vesti monacali per correre a rivendicare la propria parte!
Ma la vera sorpresa, la rivelazione, non giunse che qualche giorno dopo la vittoria. Messi definitivamente da parte i rancori di quell'altra guerra, persino Sir Ector aveva ringraziato Bedivere, e si iniziavano a ridefinire possedimenti e confini, quando a Benwick erano giunti strani individui. I loro preziosi abiti di foggia orientale erano ridotti a stracci, e sembravano alquanto stanchi e sfiduciati. Raccontarono di aver viaggiato rimbalzando dalla Britannia alla Francia più volte, seguendo le informazioni sempre più contraddittorie ricevute per via. Rifocillati e consolati che furono, il loro portavoce prese la parola:
- Veniamo dalla corte dell'imperatore di Costantinopoli, e cerchiamo il suo legittimo erede al trono.
Sir Bors parve strozzarsi con un nocciolo di pesca, ma quando si fu ripreso prese da parte Elyan e gli rivelò, con un certo disgusto nella voce, tutto ciò che sapeva sulle origini della famiglia di sua madre.
La figlia dell'imperatore aveva sposato il re d'Ungheria, da cui aveva avuto un figlio: Sir Sagramore. Rimasta vedova, era stata chiesta in moglie da re Brandegoris; in Britannia si era convertita al culto della Dea e aveva fatto voto di donarLe la sua prima figlia femmina. Dopo la sua morte, Brandegoris aveva rispettato le sue volontà: la piccola Claire era cresciuta ad Avalon, istruita a compiere un destino più grande di lei.

Elyan si sentiva bruciare la fronte, solo al centro di una spirale di sguardi.
Gli sguardi di quegli stranieri, che vedevano in lui il futuro imperatore.
Gli sguardi dei suoi parenti, a metà tra la curiosità e l'invidia.
Ma più di tutto, gli occhi di Sir Bedivere, che tentavano di calcolare una perdita infinita. Quale abisso presentiva, alla luce di quella notizia?

Tra i roseti spogli del giardino di Benwick il giovane tentò di rassicurarlo, per quanto la confusione gli permetteva.
- Come mai potete credere che rinuncerei a vostra figlia? Che per me un trono sia più importante dell'amore della mia vita? Il mio regno è il cuore di Eneuawc, e nulla, se non la sua stessa volontà, potrebbe allontanarmi da lei. Mi basta una vostra parola e rimanderò in patria questa gente, poiché ho già tutto ciò che desidero.
Le cose non erano così semplici, in realtà, ed Elyan non credeva sul serio a quello che stava dicendo. Sapere di appartenere ad una così nobile stirpe lo inorgogliva, non per la prospettiva del potere - il solo guardare una mappa dei territori dell'impero gli faceva venire le vertigini - ma perché la sua esistenza acquisiva un nuovo significato, un senso più grande proprio come sua madre gli aveva rivelato mantenendo però il riserbo sulla natura di quel destino.
Ma nemmeno Bedivere era uno sciocco, né intendeva impedirgli alcunché:
- Il mio dolore non ha nulla a che vedere con la sfiducia, ormai. È ovvio che non potete rifiutarvi. Ma persino a un condannato a morte si concede un ultimo desiderio...
- Non separarvi da lei - lo precedette Elyan, trasognato. Il motivo di quella preoccupazione gli era chiaro come quel sole d'inverno, adesso, ma come risolvere quel dilemma? Come evitare di creare sofferenza?
Rimandare la partenza di mesi o anni non era possibile, spiegarono i messaggeri. I dignitari di corte stavano già tessendo le loro trame ambiziose, e più tempo passava più era probabile che uno di loro venisse designato erede, in barba alla linea di sangue. E, come puntualizzò il duca, non sarebbe stato gradevole sentirsi l'unico ostacolo.
No, la soluzione andava trovata altrove.


Il quadretto attuale era frutto proprio di quella soluzione. Sir Bedivere aveva nominato Conn suo successore e gli aveva imposto di sposare Aline, prevedendo che un giorno avrebbero imparato ad essere felici insieme. Troppo ottimismo, davvero. Dopodiché, conclusi i festeggiamenti per le doppie nozze, tutta la famiglia era partita per l'Oriente lasciando il nipote con una marea di dubbi e responsabilità, una moglie che gli si era negata sin dalla prima notte e una figlia adottiva che per ironia della sorte gli somigliava sempre di più.
- Bell'affare, vero Hal? - borbottò Conn lanciando un sassolino nell'acqua, mentre l'aria frizzante gli strappava un brivido. Doveva essere già ora di pranzo. Prese sulle spalle il bimbo, che rise di gioia, e si avviò a sua volta sulla strada per il castello.


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Capitolo 18
*** Una nuova canzone. ***


Sono passati sei mesi? Eh, va beh. Guardate, non rileggo neanche, così vi ripago dell'attesa con il divertimento che proverete a trovare erroracci qua e là.
Più vado avanti, più mi convinco che, nonostante il suo aspetto fisico, Garanwyn non sia AFFATTO uke.





La delusione è un'amara compagna, e ancor più quando avevamo riposto ogni nostra speranza in colui che ci ha deluso. In futuro, ripensando a quella situazione, riusciremo a giustificare le sue azioni, e persino a comprendere che eravamo stati noi ad illuderci, ma al tempo presente ci sentiamo incapaci di dare ancora fiducia a qualcuno.
Aline si era sentita presa in giro e usata da Sir Bedivere. Aveva veramente creduto ch'egli non avrebbe mai rinunciato a veder crescere Cailleagh, che la considerasse più una figlia che una nipote, che - questa era stata un'esagerazione della sua fantasia, doveva ammetterlo - per lui fosse più importante del resto della sua famiglia. Se persino Sir Bors aveva rinunciato alla vita monastica per strappare Benwick dalle mani avide di Sir Dinas, perché mai il duca aveva lasciato Lindsey, la terra dei suoi avi, ad un ragazzino come Conn?
Ma soprattutto perché l'aveva obbligata a diventare la moglie di quel ragazzino?
Eppure, quando era giunta a Lincoln aveva provato un'istintiva simpatia per Conn. La sua gentilezza, il suo sorriso ottimista (e non neghiamolo, i suoi occhi così simili a quelli di Lucan) l'avevano conquistata. Se fosse passato più tempo, è possibile che sarebbe giunta ad innamorarsi di lui; ma il matrimonio forzato aveva trasformato quei sentimenti in boccio in dispetto e rifiuto.
In quanto a lui... avete senza dubbio un'idea abbastanza chiara dei sentimenti che in quegli anni avevano albergato nel cuore del giovane duca di Lindsey. Egli s'era infatuato di Aline, ed era stato felice quando gli era stata data in moglie, ma si era anche impegnato a comprenderla e ad aspettarla tutto il tempo necessario. Aveva insomma lasciato che il tempo ricucisse le ferite, piuttosto che causarne di nuove.
Nella sua ingenuità aveva creduto che il dolore fosse come la sabbia di una clessidra, che scende poco a poco fino ad esaurirsi; non sapeva invece che una donna tiene volentieri quella clessidra tra le mani e la scuote perché non resti mai vuota. Aline non avrebbe mai ammesso, anche quando il sole aveva iniziato a fare capolino tra le nuvole, che il suo cuore avesse ricominciato a battere: le sarebbe sembrato un tradimento. Continuava a dirsi che doveva restare fedele al ricordo di Lucan, che non avrebbe mai consumato quel nuovo matrimonio: ma non c'era purezza nei suoi sogni inquieti,
e l'uomo di quei sogni non aveva ormai più un volto.

Conn non avrebbe potuto comportarsi più saggiamente con lei. La coinvolgeva nelle mille faccende quotidiane del ducato, le affidava responsabilità e la faceva sentire importante in ogni momento. Insieme, essi crescevano, acquisivano saggezza, sapevano capirsi e prendere decisioni importanti. E più Aline si distraeva dal suo dolore, più egli ne gioiva, tentando di scalzare una pietra da quel muro ch'ella aveva eretto intorno a sé, sempre però attento a non oltrepassare il limite. Il giovane era affettuoso con Cailleagh, ma senza pretese, poiché comprendeva che sua moglie se ne sarebbe potuta risentire. D'altro canto, Aline cercava di non intromettersi nell'intesa tutta particolare tra lui e il piccolo Haliesin.

Maryel li compativa e benediceva entrambi. Avrebbe desiderato per suo figlio un amore più semplice, una donna tenera e senza ombre, ma sentiva che dopotutto Aline era quella giusta e che con il tempo qualcosa sarebbe cambiato.
Al contrario, Armelle era inquieta e non ne faceva mistero. Smaniava letteralmente dall'urgenza che il duca e sua moglie avessero un bambino per conto loro. Non sopportava le attenzioni di Conn per Haliesin: non ne era soltanto preoccupata, ma contrariata al massimo grado. Temeva che suo figlio gli si affezionasse troppo, che lo considerasse come un padre e magari, in futuro, sviluppasse il desiderio di diventare suo erede. Sarebbe stata una follia, una tragedia forse... gli eventi di Camelot, e anche quelli di Benwick, insegnavano.
Così, ad un certo punto, prese a tenerselo stretto dovunque andasse, causandogli un gran dispiacere - ma ella credeva che questo ne avrebbe evitato uno più grande a tutti loro.

Questi erano pressappoco gli strani e fragili equilibri tra gli abitanti del castello, che sembravano destinati - se non a restare immutati - a modificarsi molto lentamente. Ma giunse qualcosa di nuovo a cambiare il risultato di dadi già lanciati.
Anche Conn si era sentito tirare in un'altra dimensione, in una visione che l'avviluppava in una ragnatela dolce e invitante.
La creatura nei suoi sogni aveva molto più che un volto, e molto meno che un nome.

Cominciò una notte, una di quelle notti di velluto stellato che profumano di fiori e sospiri, solo che Conn era al chiuso e non vedeva né stelle né cielo; inoltre se ne stava sdraiato sulla paglia, nella stalla del suo cavallo preferito, e potete ben capire come l'odore non fosse precisamente di fiori.
In quel momento pensava a mille piccole faccende, nessuna delle quali riguardava Aline, e si addormentò senza avvedersene. Lo stalliere, abituato alle stranezze del giovane padrone, si accoccolò poco distante e sprofondò nel sonno a sua volta.
Sembrava la più graziosa e dolce fanciulla che avesse mai visto, quella che gli veniva incontro cavalcando. Tutto in lei era desiderabile, perfetto. Occhi, capelli, labbra, non c'era nulla che non gli piacesse. Eppure... eppure... la sua espressione non era quella di una vergine, né di una maliarda. Era il cipiglio severo e amareggiato di un cavaliere suo pari.



Quell'inverno era stato inspiegabilmente rigido. Pareva che l'armonia avesse abbandonato Camelot, che persino la natura avesse iniziato a rifiutarsi di concedere la propria indulgenza più a lungo. Il clima in Britannia non sarebbe stato mai più come un tempo. La pioggia aveva preso ad accompagnarsi stretta ad ogni stagione, e lentamente sparivano creature che sino ad allora avevano abitato i boschi e i cieli di Logres.
Come un demone sarcasticamente pietoso, quell'inverno, mentre il vento sibilava attraverso le feritoie malchiuse con il suono di serpenti attirati dal latte, si era portato via ciò che restava della famiglia di Garanwyn - in un modo così plateale da far invidia alla più tragica delle tragedie greche.
L'avevano trovato accanto al pozzo dove Celemon si era affogata insieme al suo segreto, come un vecchio cane che si rintana nel bosco per sfuggire agli sguardi pietosi, la brina ad imbiancare le braci spente dei suoi capelli. Non si sapeva come fosse riuscito ad arrivare in cortile, considerato che si trovava a letto da alcuni mesi; né come ne avesse trovato le forze, né come nessuno dei servi se ne fosse accorto. Ma si può immaginare che un suo ordine fosse vangelo ai loro occhi ben più di quanto lo fosse la parola di re Constantine, perciò le domande si persero tra lo sgomento e la rassegnazione.
E Garanwyn, ormai diventato l'ombra del re, il primo e il più feroce dei suoi cavalieri, ritornò bambino per un poco, a piangere le sue lacrime di figlio, ripromettendosi che sarebbero state davvero le ultime. Amren stesso avrebbe faticato a riconoscere il suo tenero e fragile amante; Eneuawc non avrebbe osato rivolgere la parola all'amico e confidente di un tempo. La sua presenza non suscitava più sguardi derisori o compassionevoli, ma soggezione e una vaga invidia tra i suoi pari.
Lo ritroviamo quindi ad occhi socchiusi, davanti ad una tomba che reca incise le parole Cai ap Ector. Si lascia sfuggire una frase, che insieme al fiato gelido si dissolve apparentemente inascoltata:
- Non sono riuscito a trattenervi ancora...
Un braccio robusto circonda le sue spalle, inducendolo gentilmente a voltarsi. - Davvero avresti desiderato vederlo soffrire più a lungo? Forse non aveva vissuto abbastanza?
Nessun padre vive abbastanza, avrebbe voluto rispondere Garanwyn, ma non volle mostrarsi più debole di quanto già non sembrasse agli occhi del re. - Avete ragione. - Sospirò e i due s'incamminarono insieme verso il castello. - Dovete comunicarmi qualcosa d'importante, non è vero?
Constantine sospirò. - Questa volta non potremo più evitare lo scontro. Tutti i porti di Logres sono presidiati, ma i Sassoni riusciranno a trovare un'altra strada.
- Da est?
- Non certo dalla Cornovaglia! - scattò il sovrano. - Non si avvicineranno allo stretto. Certo che arriveranno da est, e troveranno un fiorente ducato di agricoltori, pastori e nessun soldato! Sir Bedivere ha affidato le sue terre ad un poppante. Un bamboccino con cui però ho un piccolo debito in sospeso: gli promisi che avrei ucciso Sir Melehan con le mie mani, ma qualcuno - e qui fissò Garanwyn con finta severità - mi ha preceduto... ora, se gli ordinassi di radunare un esercito, avrebbe tutte le ragioni per rifiutarsi. Non ascolterebbe un messaggero qualsiasi, ma tu...
- Rifiutarsi? I nemici potrebbero sbarcare sotto la sua finestra e lui resterebbe a guardare! - ribattè Garanwyn, esterrefatto. - Partirò immediatamente.





Conn non riusciva ancora a capacitarsi di come la fanciulla apparsa nei suoi sogni si fosse rivelata un cavaliere giunto da Camelot per costringerlo a scendere in guerra. Lui proprio non aveva che uomini mandare, senza togliere braccia all'agricoltura: opzione, questa, che gli sembrava un'idiozia. Ma non poteva sottovalutare l'offensiva dei Sassoni, né sopravvalutare l'esercito di Logres. C'era persino il rischio che, essendo i porti a nord e ad ovest del Kent controllati e presidiati, ai nemici venisse in mente di sbarcare davvero da quelle parti.


- Posso capirvi, Sir Garanwyn. Anch'io persi mio padre quand'ero molto giovane.
- Quand'eravate... ah, ah! Perché ora cosa siete? No, non capite, non capirete mai. Avete versato le vostre lacrime, d'accordo, ma su una notizia giunta da lontano...Voi non sapete cosa significhi vederlo spegnersi come un tizzone consumato... e poi rendersi conto che ogni giorno, ogni parola, ogni suo respiro sono stati un regalo del destino!
Non aveva avuto obiezioni. E aveva già predisposto l'addestramento di un certo numero di giovani delle campagne, proprio ciò che si era ripromesso di non fare. Lentamente il fascino inconsapevole di Garanwyn lo stava plasmando. Lui non poteva saperlo, ma la canzone che il cavaliere intonò per la prima volta nella sala grande, accompagnata dal crepitio del fuoco,

Tu sei cresciuta come un fiore in primavera,
non hai dovuto lottare contro il gelo.
Da vergine a regina, non è stato senza nuvole,
ma nessuna mano ti ha spezzata.
Noi, i cardi e le rose, sentiamo gridare
la pelle graffiata dal nostro stesso amore

era la prima a scaturire dalle sue labbra dopo tanto tempo. La voce si era dispiegata dapprima incerta e arrochita, poi via via più squillante, mentre lo guardava negli occhi; le dita sfioravano le corde di quell'arpa appartenuta alla defunta duchessa Cailleagh, moglie di Corneus.
Quei versi erano un omaggio a madamigella Eneuawc, ora imperatrice d'Oriente e di certo, ormai, lontana anche con il pensiero dal passato in cui essi ancora indugiavano.
Conn sorrise ammirato, quasi soggiogato. Aveva ascoltato con gratitudine quel perfetto, incantevole ritratto dell'amata cugina, ma non poteva riconoscere in sé la rabbia ed il rimpianto delle ultime parole della strofa:
- Che cosa intendete per "i cardi e le rose"? Non conosco questa metafora.
Garanwyn sbirciò di sottecchi il duca di Lindsey, a sincerarsi che fosse realmente interessato alla sua poetica e non stesse solo cercando di blandirlo in quanto emissario del re, ma si rese conto che difficilmente Conn sarebbe stato in grado di recitare una parte. Si rigirò quel pensiero nella mente come una trovata buffa, un guizzo ironico che, accompagnandosi alla ballata appena conclusa, inaugurava la sua lenta ripresa dal recente lutto. Sì, quel ragazzo era una creatura senza malizia, come nemmeno lui era stato durante i suoi anni ad Estangore. Forse non era un guerriero, né aveva mai dimostrato atti di coraggio, ma la malafede era da escludere.
- Una rosa è bella, ma fragile. Il fiore del cardo è insignificante, ma resistente al freddo. Entrambi hanno spine che li difendono dai nemici e nel contempo allontanano chiunque si avvicini.
- Dunque voi siete una rosa. Chi avete graffiato? Quanti cuori avete spezzato?
Sul punto di ricordare a Conn che si stava prendendo un po' troppe libertà con domande del genere, tuttavia Garanwyn dichiarò con fierezza: - Mai! Non sono mai stato amato senza ricambiare con tutto me stesso.
- Dunque siete voi a portare quei graffi. - Così parlando, sul filo di una sfida alquanto sciocca e alquanto rischiosa, Conn si sentiva ebbro. Il vino di Neustria, di cui aveva consumato una quantità abbondante ma che il suo ospite aveva cortesemente rifiutato, ne era una delle ragioni, ma non l'unica.
- Non riesco a capirvi. Siete tanto giovane, quanti anni avete? Diciassette? Diciotto? Siete già sposato, siete sopravvissuto a Camlann ma non sapete nulla sul come difendere la vostra stessa terra, e in tre giorni, dacché sono qui, non mi avete mai chiesto come mai uno storpio abbia potuto ricevere l'investitura!
Conn lo fissò. - Sono deluso, Sir Garanwyn. Anch'io non riesco a capirvi, ora: perché mostrare tanto vittimismo? Avevo semplicemente dato per scontato che la vostra fosse una ferita di guerra...
- Una ferita di guerra? Davvero? - Garanwyn si alzò, trasudando sarcasmo, i riflessi del fuoco che tingevano i suoi capelli di nuove sfumature. - D'accordo, siete un giovane senza preconcetti. Ma non posso aggiungere "senza malizia". Sono forse una bella fanciulla, che mi guardate a quel modo?
Conn arrossì, colto in flagrante. Secondo la sua limitata esperienza, l'attrazione tra due uomini era un affare da consumarsi nel retro di una taverna, tra odori immondi e spasmi dolorosi. Era la prima volta che, provandola, l'associava a qualcosa di tanto... delicato.
- Non desidero mancarvi di rispetto...
L'altro scosse la testa, divertito dalla timidezza di Conn che in un gioco di ruoli gli restituiva la sua stessa immagine, in un tempo diverso. Allungò la mano a toccarlo appena sotto la spalla, quasi volesse assicurarsi che il suo cuore continuasse a battere.
- Non scusatevi. È vero, sono più vecchio di voi. Ma chi sono per giudicarvi sul vostro modo di governare? Sono qui per un'emergenza, per guidarvi in un frangente difficile che riguarda l'intera isola... non per svilirvi o farvi sentire inferiore. In realtà ho capito che eravate degno del vostro titolo dal momento in cui vi ho guardato negli occhi, e trovo inutile continuare a mostrarmi come ciò che non sono... Vi debbo io delle scuse, semmai.
Conn gli sorrise, rassicurato e insieme infiacchito da quelle parole. Se gli era passato per la mente di essere ubriaco, ora ne aveva la smentita: quell'allusione ai suoi occhi era giunta da monito. Non sarebbe mai stato amato per quel che era, non totalmente... lui era solo una pallida imitazione dei suoi più nobili e leggendari parenti. I suoi non erano gli occhi di Conn, ma di Corneus, di Lucan, di Amren...
E in quel momento indovinò il motivo di tanto interesse. Ricordò i toni entusiasti con cui Eneuawc aveva sempre parlato di lui, e di come ogni volta non riuscisse ad evitare di sorridere al fratello, mentre raccontava. E comprese perché avesse richiesto in maniera esplicita in quali camere alloggiare, sebbene fosse chiaro che non aveva mai messo piede in quel castello.
Fece per scostarsi, in un impeto d'orgoglio e frustrazione, quando si accorse che Garanwyn era impallidito d'improvviso, irrigidendosi; qualcuno era entrato nella sala.

- Perdonate, avrei dovuto farmi annunciare, o quanto meno bussare... non vi disturberò oltre. Vi auguro la buona notte.

Con un inchino, come la più umile delle serve, la duchessa di Lindsey scomparve così com'era venuta, lasciando il marito stupefatto ed il suo ospite in un confuso imbarazzo.



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Capitolo 19
*** Disperatamente vivi. ***


È di nuovo troppo corto? Uffa, non ho voglia di pensarci.
Non ho voglia nemmeno di pensare a come finirla, a dirla tutta.
Bon.
E non dite "povera Armelle" perché se l'è cercata u.u




Aline aveva continuato a comportarsi da moglie gentile e castellana impeccabile, ma dentro di sé era tutta sospiri e rimpianti.
Proprio quando aveva aperto gli occhi... quando finalmente si era accorta di amarlo... era arrivato quel cavaliere, il luogotenente di re Constantine. Aveva compreso che sì, come Lucan le aveva ipotizzato durante il loro primo incontro, due uomini possono innamorarsi l'uno dell'altro; e che Sir Garanwyn aveva un debole per i Coritani. In quel senso, puntualizzò a se stessa per spargere ancora un poco di sale sulla ferita. E come dargli torto? Conn era un uomo meraviglioso - lo era diventato davvero, in quegli anni, mentre lei rimaneva aggrappata al passato. Non aveva mai trovato alcuna affinità tra lui e il mutilatore di alberi che aveva incontrato nel bosco a Benwick... e sperava che nemmeno Sir Garanwyn si fosse infatuato di lui solo per questa presunta somiglianza. Ma non si sentiva di dare consigli ad alcuno; non ne aveva il diritto, non erano cose che la riguardassero, ormai. Aveva deciso: si sarebbe ritirata di buon grado con Armelle e i bambini a Grainthorpe, come sempre nella bella stagione, anche se questa non era ancora giunta. Il modo in cui Conn si muoveva disinvolto tra le mura di Lincoln in compagnia del suo nuovo amico la metteva a disagio: aveva preferito di gran lunga il ragazzo che la corteggiava timidamente. Eppure aveva respinto quel ragazzo, ed ora si ritrovava sposata ad un uomo che dalla semplice rassegnazione era passato ad amare qualcun altro.
A Conn era sembrato per un istante di scorgere un'ombra di dispiacere sul suo volto, quando quella famosa sera li aveva trovati in un atteggiamento un poco fraintendibile; ma già troppe volte si era illuso di aver fatto breccia nel suo cuore e troppe volte aveva dovuto inghiottire quell'illusione. Ora non poteva occuparsi dell'occasionale gelosia di sua moglie: tra le mura del castello v'era adesso una creatura che desiderava con tutte le forze conoscere e capire fino in fondo, senza timore di distruggere un animo fragile.

Perché Garanwyn era la squisita fusione di tutto ciò che ammirava in un uomo e bramava in una donna.


L'odore pungente degli arazzi alle pareti, un miscuglio di spezie e polvere, aveva vanificato i tentativi di Garanwyn di prendere sonno, almeno quasi quanto le impressioni della serata appena trascorsa. Si era lasciato andare. Non sarebbe più dovuto succedere, se voleva portare a termine la missione per conto del re aveva bisogno di tutta la lucidità possibile. Si trattava di strappare ragazzini e vecchi alle loro case e addestrarli per una guerra già persa in partenza - perché no, non si faceva illusioni. O forse gli piaceva pensare così, si crogiolava bene in quell'idea: combattere senza una vera speranza. Fingere di voler proteggere la patria quando sai che è solo un luogo, perché le uniche persone che ami e ti hanno amato sono morte o lontane quanto le stelle.
Conn ap Griflet, però, era più che mai vivo. Aveva sentito il suo cuore pulsare, le sue guance arrossire.
Ed era vicino. La sua voce gli era divenuta familiare, la sua natura sincera si era svelata sotto l'occhio dell'intuito. Non avrebbe dovuto permettere a se stesso di instaurare tanta confidenza, ma era stato inevitabile.

La Britannia era solo un luogo, ripetè a se stesso, sbirciando nel corridoio a destra e a sinistra. L'odore speziato rimase ancora un poco nelle sue narici, poi fu sostituito da quello della resina delle torce. Quando non hai più nulla da perdere, è ovvio che combatti lo stesso, ma le ragioni sono diverse da prima: c'è la vendetta, l'orgoglio, la rabbia. Ma non stai proteggendo nessuno, tantomeno te stesso. Anzi, vorresti gettarti contro il nemico così come ci si lascia cadere da una scogliera... per annientarti.
Contò le porte, si chiese quale tra tutte conducesse a quella stanza, quante volte Amren avesse camminato su quelle pietre e quante delle sue parole, delle sue risa, avessero echeggiato tra quelle mura. Lo immaginò bambino, che balbettava le prime parole in braccio ad una balia, e poi ragazzetto, immerso nella lettura di testi antichi, forse storie di battaglie che accompagnava inconsapevolmente con il tamburellare le dita sul tavolo, o amicizie tra gli eroi di un tempo che suggerivano un legame ancor più esclusivo e profondo, che lo facevano arrossire e guardarsi intorno come se ci fosse qualcosa di segreto nascosto in quei versi, qualcosa che solo lui potesse interpretare e desiderare per sé. E ancora, lo immaginò in procinto di lasciare quel castello per trasferirsi a Camelot, dove si sarebbero incontrati...
Abbassò lo sguardo, percependo quell'ondata di dolore come una reazione inevitabile ma troppo familiare per farlo sentire totalmente devastato. Un'ombra sul pavimento attirò la sua attenzione, ma il suo istinto allenato da anni di battaglie (e, prima ancora, di agguati da parte di Melehan e compagnia) non l'associò ad una presenza ostile.
- Signor duca, non vorrete presentarvi alle reclute con le occhiaie, domattina?
 Era incredibile come si sentisse a proprio agio in sua presenza. Gli sembrava di conoscerlo da molto tempo, di aver condiviso con lui qualcosa che non era rimasto nella memoria, ma sulla pelle. Qualche ora prima, l'atmosfera del salone l'aveva soggiogato, facendolo quasi cedere... alla luce di quelle torce poteva accadere qualcosa di peggio, perché Lady Aline non li avrebbe interrotti questa volta.
Ma lui non desiderava... Non doveva desiderarlo.
Era un guizzo di sensualità, come un pulsare color arancio di braci credute spente. Un sapore quasi dimenticato che torna a farsi sentire in bocca. Una musica che risuona tra i pensieri così forte da-
- Temo di aver bevuto troppo. Sono un pessimo padrone di casa, temo.
- Re Constantine mi aveva avvisato - sospirò Garanwyn. - Siete un sentimentale e lo disprezzate. Ma non siete un traditore, ed egli ha fiducia in voi quanta ne ha in me. - Gli dispiacque non poter vedere per intero la reazione del suo interlocutore, ancora nascosto nella penombra.
- Non disprezzo il nostro sovrano - precisò Conn, lo stomaco sottosopra e la dignità in stato di allerta.
- Vi ha deluso, e sa di non poter pretendere da voi più di quanto non vorrete concedergli spontaneamente. Questo mi ha confessato, ed è tutto ciò che sono riuscito a sapere, ma... vorrei conoscere la vostra versione.
Conn gli si mostrò alla luce di una torcia, rassegnato ad occupare anche con lui il ruolo che il destino gli aveva assegnato. Perché era questo che gli altri volevano da lui: una versione più giovane di mariti e amanti perduti, a beneficio dei cuori infranti di Britannia. Ma Sir Garanwyn sembrava apprezzarla davvero, questa versione, a differenza di Aline.
- Ve lo racconterei volentieri, ma è una storia che già conoscete. Ciò che accadde tra voi e Sir Melehan nel castello di re Brandegoris... ha involontariamente reso nulla la promessa che mi fece a Camlann.
- Temevo si trattasse di qualcosa del genere. Così, ho qualcosa da farmi perdonare. - Garanwyn aveva abbassato un poco la testa senza però distogliere lo sguardo, assumendo involontariamente quell'espressione di cagnolino sgridato dal padrone: un miscuglio di sottomissione e timida sfida a cui Conn non poteva restare indifferente. Ciò che non si aspettava, però, era una reazione violenta:
- Guardatemi bene. Trovate qualche differenza, per l'amor di Dio... trovate qualcosa per cui prendere me e non un fantasma...
L'espressione di Garanwyn cambiò, si fece seria e disperata. Aprì la bocca in cerca di parole adatte a rassicurarlo, ma non ne ebbe il tempo. Conn gli prese la testa tra le mani e lo baciò. - Non c'è nulla da perdonare. Solo voi avevate il diritto di vendicarlo, l'ho sempre saputo. Solo... non...
Garanwyn ricambiò il bacio, e capì che le paure di Conn non avevano fondamento. Era una sensazione del tutto nuova. - No. Lo so. Siete voi, Conn ap Griflet. - L'altro sorrise, e lo spinse con gentilezza verso una porta che aprì e varcò senza mollare la presa. Questa volta fu Garanwyn a tentare di divincolarsi. - Non... questa stanza non è...
- Mi credete così insensibile, davvero? - protestò Conn, ma presto le sue labbra si piegarono in un ghigno infantile e beffardo. - Qui il vostro amico Elyan trascorse la prima notte di nozze con mia cugina. Vi offro nientemeno che il letto della nostra amata coppia imperiale.
Garanwyn rise nel buio; nemmeno le sue paure avevano fondamento.
Sentirono che l'emozione presente era sincera e desiderata da entrambi, e vi si abbandonarono come alla corrente di un fiume ormai arrivato alla foce.




- Tu non ti muovi di qui. Finisco di tirar dentro i panni e poi vieni giù con me.
Haliesin, con tutta l'indignazione dei suoi quattro anni, guardò sua madre di storto e si prese un mezzo scappellotto. Seduto in cima alle ripide scale della torre di legno, architettava piani di fuga che metteva ogni volta da parte e rielaborava con maggiore fantasia. Voleva uscire di lì, andare a vedere i soldati che si esercitavano, ma soprattutto girare intorno a Conn, ascoltare cosa si dicevano lui e l'alto ufficiale di Camelot, che poi tanto alto non era e zoppicava pure. Era impensabile restare chiuso lì a far nulla quando c'era tutto un mondo fuori da quella torre marcia e puzzolente, quando l'aria era fresca e il sole filtrava dalle assi del tetto come a sfidarlo.
Armelle, le braccia cariche di lenzuola, intuì la rabbia che provava e, invece di distrarlo, puntualizzò la sua posizione:
- Cerca di capire bene questo: lui non è tuo padre... non metterti in testa di essere importante solo perché ti fa due moine!
Haliesin sentì il volto e le mani bruciare. Gridò: - Vi odio! - e scattò giù per i gradini pericolanti.
Fu una decisione che avrebbe rimpianto per tutta la vita; quegli istanti tremendi sarebbero rimasti come un marchio d'infamia nella sua mente sconvolta.
Voleva solo correre da Conn, farsi rassicurare che quelle di sua madre erano bugie, che gli voleva bene davvero, che non era solo il figlio di una serva per lui, che...
- Torna qui subito, Hal, te ne farò pentire!
Armelle si sporse per afferrarlo e inciampò, ruzzolando pesantemente fino in fondo alla scala con un grido spezzato. Haliesin venne travolto e finì in un groviglio di lenzuola che attutirono la sua caduta.
Nulla trattenne lui dal continuare a urlare, fissando il corpo immobile della madre con occhi che non erano già più quelli di un bambino.
Nulla poté far cessare quell'assordante pianto senza lacrime. Non vi riuscirono né Maryel, né Aline - tantomeno le sorelle di Conn, distolte dal telaio e dalla loro eterna apatia; per le due donnette non si trattava di una tragedia, solo di un fastidioso contrattempo.



- Voi... siete sposato? - Le sopracciglia di Conn erano così sollevate da rendere i suoi occhi ancora più tondi.
- Ma naturalmente, - rispose tranquillo Garanwyn, ordinando con un gesto secco alle reclute di rompere le righe - vi pare che la mia stirpe dovesse restare senza eredi? Sono il signore di Anjou, ho riconquistato le terre sul continente in nome di mio padre - continuò, soffocando la commozione - e intendo lasciarle ai miei figli.
Conn ricordava la guerra contro Sir Dinas, ma non si era mai curato del ducato di Neustria se non quando gli arrivava il vino novello dal continente.
- Anche voi... - continuò il luogotenente, cercando di apparire sereno.
- Non ho rapporti con mia moglie, come vi ho già spiegato, - replicò seccamente Conn. - perciò non credo di averla tradita in alcun modo. Lei ama il ricordo di qualcuno che non potrà tornare. - Si morse le labbra, improvvisamente consapevole che le parole appena pronunciate potevano sembrare rivolte a lui. - Perdonatemi.
Garanwyn scosse la testa, rassicurandolo in silenzio. Si erano allontanati dal campo abbastanza da poter conversare senza noie, ma non tanto da potersi concedere atteggiamenti troppo amichevoli.
- Non avete lottato abbastanza - dichiarò, scandendo le sillabe in modo che Conn non potesse fraintendere. La reazione dell'altro fu immediata: sul suo volto comparse un'espressione indispettita ed era palese che avesse bisogno di un chiarimento.
"Non ho lottato? Per Aline? Cosa ne può mai sapere, lui, di come ho affrontato il suo rifiuto? E in definitiva, che cosa gli importa? Perché dovrebbe desiderare un avvicinamento tra me e mia moglie quando io e lui..."
 Ma quella schermaglia d'amore avrebbe dovuto aspettare. Giunse loro la notizia di quanto era accaduto al castello; Conn era visibilmente fuori di sé dallo sgomento. Non rallentò il passo finché non ebbe tra le braccia il corpicino tremante di Haliesin, coperto di lividi ma disperatamente vivo.
- Hai soltanto me, adesso - mormorò con le lacrime agli occhi, mentre una calda sensazione si faceva avanti nel suo animo. Sir Bedivere avrebbe potuto spiegargli di che cosa si trattava. - Sei... mio.
Quando si dice l'ironia della sorte. Armelle aveva dato la vita per il suo obiettivo: tenere Hal lontano dal duca... eppure morendo aveva apposto il sigillo che li consacrava, indissolubilmente, padre e figlio.


Le navi da guerra dei Sassoni, nel frattempo, erano già salpate.

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Capitolo 20
*** Senza guardarsi indietro ***


Prima o poi dovrò affrontare la realtà, dovremo farlo tutti e due, era il pensiero che gli martellava nelle tempie in una solida armonia con gli zoccoli del cavallo al galoppo e i battiti dei due cuori vicini. Stringeva Hal, avvolto in una coperta, il visino seminascosto nell’incavo del suo collo. Se l’avesse stretto appena più forte, gli avrebbe fatto male. Appena meno forte, sarebbe potuto scivolare a terra, sconvolto com’era.

Pioveva sulla sabbia già bagnata dalla precedente marea. Le impronte degli zoccoli si riempivano di pioggia dietro di loro, ma Conn ap Griflet non si guardava indietro.

La realtà erano i soldati ormai addestrati e pronti a morire per difendere il regno dai Sassoni.
La realtà che il bambino portava con sé e Conn non conosceva era che pure Armelle era morta per difendere tutto ciò che possedeva: suo figlio. Per difenderlo da lui, dai quelli che considerava i capricci di nobile infatuato da una passeggera idea di paternità.
Se l’avesse saputo, ah! forse avrebbe potuto convincerla che le sue erano idee bislacche. Le avrebbe donato una fattoria, l’avrebbe assecondata, non rivedendo mai più il piccolo Haliesin.

L’avrebbe fatto?
Davvero?

Si accorse che le piccole braccia stavano lentamente ricambiando la sua stretta. Sempre più veloce, il cavallo galoppava sulla striscia di sabbia e li portava lontano dal dolore.

 

Né Garanwyn, né Aline erano realmente l’amore nella sua vita, ormai ne era certo. Li amava e ne era riamato, ma c’erano dighe tra loro che impedivano ai sentimenti di fluire e saltare vivaci come sulle pietre di un torrente. 

Era stanco di essere la seconda scelta, questa era la verità. Non era Sir Lucan, non era Sir Amren. Era Conn ap Griflet, un cavaliere, un duca, un uomo d’armi e adesso un padre.

Se fosse caduto per mano dei Sassoni, le cronache non avrebbero riportato le sue passioni carnali per il messaggero del re, né le fantasie romantiche da nido d’amore dedicate alla moglie e alla piccola Cailleagh.

Re Constantine non si fidava affatto delle sue capacità, nevvero? Gli avrebbe dimostrato che si sbagliava. L’orgoglio, quello sì, gli scorreva dentro senza freno, e non vedeva l’ora di mettersi alla prova contro il nemico…
Al fianco di Garanwyn. Pensando ad Aline. Sognando il futuro di Haliesin e Cailleagh.
Ma più di ogni altra cosa, salvando Lindsey e la Britannia.



Una donna si pettina i capelli che tendono ormai al grigio.
Ogni colpo di pettine è un caro ricordo della bambina che è stata: la figlia di re Lot, la sorella dei più grandi cavalieri di Orkney, la moglie di Colgrevance… la moglie di Bedivere.
La zia… e la madre di Amren.

La duchessa davanti allo specchio si pettina nella sua stanza, nella reggia della capitale del regno d’Oriente…
E la leggenda si confonde, si snoda e si districa e s’ingarbuglia e di nuovo si scioglie.

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