Una ragione per non morire

di Vallyrock87
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Vento di cambiamento. ***
Capitolo 3: *** Perseguitato dal passato. ***
Capitolo 4: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Come sempre un ringraziamento alla mia beta  MoonSuckerlove

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Sin dal primo momento in cui posiamo il nostro sguardo sul mondo, percorriamo una strada costruita già in precedenza da qualcun altro per noi, fino a che non iniziamo ad avere facoltà cognitive sufficienti per potercela costruire da soli. O almeno è così che dovrebbe essere per tutti; esiste una remota possibilità che ci sia qualcuno non totalmente soddisfatto del percorso che ha intrapreso, perché qualcun altro ha deciso perfino che cosa sarebbe diventato, contro la sua volontà.

Per alcuni il percorso potrebbe essere tortuoso sin da subito, non sempre si può nascere sotto a una buona stella. A volte si inciampa sui propri passi, e se per qualcuno non è difficile rialzarsi e affrontare il domani, altri invece se ne rimangono a terra impossibilitati a mettersi di nuovo in piedi. Molto spesso la strada principale si può ramificare in tante altre, e la scelta su quale sia quella più giusta da percorrere diventa poi più difficile di quanto possa sembrare.

Molto spesso è intrecciata a un filo rosso quanto il sangue; quel filo rosso viene chiamato destino, che molto spesso può essere beffardo, può far sì che la strada di due individui, che oltremodo potrebbero essere preda e cacciatore, i due lati della stessa medaglia, il bianco e il nero, si incontri senza che né uno né l'altro possano evitarlo.

Come per esempio il poliziotto, sempre ligio al proprio dovere, pronto a salvare la vita al prossimo, ad assicurare alla giustizia i malviventi. Un uomo che ambisce a fare quel mestiere per il resto della propria esistenza, mettendoci passione, anima e corpo. Un uomo che un giorno si ritrova a mettere tutto in discussione a causa di una persona che incontra sul suo cammino. Una persona che il destino ha voluto per lui, che ha voluto incontrasse in un preciso momento della propria vita, quando aveva deciso di stare lontano dai sentimenti e, forse, era quasi sicuro di non riuscire a provare nulla di simile.

Poi c'è il ragazzo, colui che è stato costretto per un periodo della propria vita a essere ciò che non voleva essere, al quale viene messo sulla propria strada qualcuno che sicuramente lo avrebbe potuto fare pentire dei propri sbagli. Il suo filo e quello del poliziotto sono intrecciati, indissolubilmente; il nodo di quel legame è difficile da sciogliere.

Tuttavia, a volte il dolore e la diffidenza possono essere determinanti per il rapporto che instauriamo con gli altri. Quando si tratta di un dolore emotivo, questo è difficile da cancellare, anzi forse non si riesce mai del tutto a dimenticarlo o a spazzarlo via. La paura di potersi affezionare a qualcuno ci fa prendere le distanze da quella persona, nonostante si possa provare dolore a stargli lontani. Ma la paura è un demone che si aggrappa con tutte le sue forze alla nostra anima e ci fa ritirare la mano dalla fiamma quando ci avviciniamo troppo al fuoco, perché il dolore di una bruciatura la nostra coscienza lo conosce bene, dopo averlo provato per la prima volta. L'informazione viene incanalata in un angolo del cervello, e quando sta per succedere di nuovo si accendono molteplici campanelli d'allarme che ci fanno desistere dal riprovare nuovamente la spiacevole sensazione che quel dolore può provocare.

È possibile, però, che poi quel sentiero lastricato da sogni e desideri, lo si percorra insieme ad un'altra persona, e che la sua strada si congiunga alla nostra per continuare a intraprenderla al suo fianco, mano nella mano. A volte semplicemente serve un motivo in più per proseguire il proprio cammino, quando la vita di ogni giorno diventa monotona, insipida, noiosa. Una spinta per poter tornare a vivere e non lasciare perire la propria anima. Una ragione per non morire.

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Angolo Autrice

Buonasera a tutti, posso dirvi con certezza che questa breve storia avrà quattro capitoli, compreso questo. 

Di solito il legame tra i personaggi che descrivo è sottointeso, ma questa volta ho voluto che fosse un po' più esplicito, quindi l'ho voluto descrivere in questo breve prologo.

Spero che questo inizio vi sia comunque piaciuto, lasciate un commento e una stellina.

Alla prossima =)

 

 

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Capitolo 2
*** Vento di cambiamento. ***



Come sempre un ringraziamento alla mia beta MoonSuckerlove

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La volta scorsa mi sono dimenticata di avvisarvi che questa come altre storie appartengono a una serie dedicata a San valetino, intitolata: Sant Valentine's day di cui fanno parte anche altri fandom come My hero academia e Inuyasha. 
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Sono Erwin Smith e sono un ispettore di polizia, il mio compito è quello di dare un contributo alla comunità assicurando i criminali alla giustizia. E non si tratta soltanto di piccoli delinquenti di strada, a volte sono veri e propri boss della criminalità organizzata difficili da catturare, e si rischia di rimetterci la pelle. Io un paio di volte ho rischiato seriamente di non tornare più da una missione importante. Tempo fa, quando ero soltanto un semplice poliziotto, persi il mio partner; per me fu devastante e, per quanto il mio superiore mi avesse detto di rimanere a riposo, io non ce la feci a restarmene a casa con le mani in mano, mi avrebbe soltanto fatto rimuginare sull'accaduto. Queste sono cose che possono accadere nel mio lavoro, questa è la realtà, non un film dove il protagonista la maggior parte delle volte ne esce fuori illeso; nella vita reale il protagonista può anche morire.

Forse è per questo motivo che non avrei mai voluto legarmi sentimentalmente a qualcuno. La mia paura è sempre stata quella di lasciare dietro di me troppa sofferenza, ho sempre creduto che, quando si muore, per coloro che se ne vanno sia tutto semplice, perché tu sei morto, non sei più nulla, soltanto cibo per vermi. Ma per chi rimane è tutto un altro paio di maniche, la morte può annientare anche coloro che sono ancora in vita. Vivere fuori morendo dentro è la cosa più devastante che possa esistere, io non vorrei questo per i miei cari, morire con la consapevolezza che per loro sarebbe dura. Amo il mio lavoro, non credevo che avrei mai potuto pensare di lasciarlo, ma a volte si devono fare delle scelte anche se possono essere dolorose.

Molto probabilmente si pensa a tutto questo, perché non si è mai incontrato qualcuno che potrebbe cambiare le carte in tavola, stravolgendo totalmente la tua vita. Nel periodo in cui non ero legato a nessuno in senso romantico, di tanto in tanto mi recavo in qualche nightclub gay e intrattenevo rapporti con uno dei tanti ragazzi del club che mi venivano mandati nella dark room, a seconda di come lo volessi quella sera. Forse era un modo un po' squallido per sfogare i propri istinti primordiali, ma sono pur sempre un essere umano, fatto di carne e ossa, come tale avevo le mie esigenze.

A volte quei ragazzi mi facevano pena, credo che non fossero molto felici di fare un lavoro del genere; vendere il proprio corpo per denaro non è una delle cose più dignitose che possano esistere, per questo la maggior parte delle volte gli lasciavo una cospicua mancia. Pensavo che il mio contributo potesse aiutarli a uscire da quel posto e trovare qualcosa di migliore. Una sera mi ritrovai a parlare con uno di loro, infrangendo una delle regole; ovvero che non si poteva parlare o vedere l'altro in faccia. Il ragazzo si chiamava Eren, aveva degli occhi che non avevo mai visto prima; un verde smeraldo raro da poter trovare negli occhi di qualcuno, il che lo rendeva unico. Quella sera Eren mi sembrava spaventato, così preferii metterlo più a suo agio parlando con lui, nessuno a parte noi avrebbe mai saputo di questo. Lui mi raccontò che non avendo trovato altro lavoro e, visto che la sua famiglia aveva dei problemi economici importanti, quello era stato l'unico impiego che si potesse permettere.

Quella sera fu una delle più strane che avessi mai potuto passare in un posto simile: con Eren parlai soltanto, non feci nulla. Dalle sue labbra seppi che Eren aveva dei sogni, avrebbe voluto vedere il mare un giorno, e forse vivere per sempre in quella enorme distesa di acqua e sale; Eren sognava di diventare un marinaio, come nelle storie che fin da piccolo aveva letto, e forse sognava di vivere qualche avventura straordinaria. Quelle parole mi scossero nel profondo, facendomi riflettere su ciò che volevo fare della mia vita, per la prima volta dopo molto tempo. Pagai comunque Eren quella sera dandogli anche più del dovuto e, da quella volta non tornai più in uno di quei nightclub.

Mi chiesi spesso se fosse davvero così che volevo vivere, se a causa del mio lavoro avrei voluto davvero non affezionarmi mai a nessuno. Era davvero giusto forzare il destino? O dovevo lasciare che le cose avvenissero e basta, senza preoccuparmi di cosa sarebbe successo domani? Le domande più importanti che mi posi furono: voglio davvero privarmi dell'amore? Non conoscere che cosa sia questo sentimento; nei cuori e sulla bocca di tutti? Allora non avrei potuto rispondere con sicurezza a questi innumerevoli quesiti; ora credo di poter dare una risposta negativa a quelle domande.

***

Qualche tempo dopo aver parlato con Eren ed essere uscito per l'ultima volta da uno di quei posti, stranamente, una mattina mi sveglia tardi. La cosa fu insolita perché non facevo mai tardi a lavoro, sono sempre stato tremendamente fiscale in queste cose e non transigo mai nemmeno su un ritardo dei miei sottoposti. Inoltre, non feci colazione a casa quel giorno, scesi velocemente le scale del palazzo in cui vivevo e mi diressi nella prima caffetteria che mi si parò davanti, invece di andare direttamente in centrale. Mentre aprivo la porta a vetri in metallo facendo tintinnare il campanello che segnalava l'arrivo di un eventuale cliente, notai che il locale, non molto grande, era quasi completamente deserto, soltanto un paio di ragazzetti erano seduti a un tavolo in un angolo, quasi nascosti, parlavano a bassa voce come se temessero di disturbare qualcuno.

Ciò che mi colpì di più di quel luogo fu il fatto che fosse tutto immacolato, pulito quasi all'inverosimile e soprattutto in un ordine maniacale. In quel posto era tutto dannatamente bianco tanto da farti quasi venire male agli occhi. Dopo essermi ridestato dall'ammirare quel locale mi avvicinai al bancone e mi accomodai su uno degli sgabelli, ormai rassegnato al fatto che non avrei fatto in tempo a recarmi a lavoro quel giorno. Per mia sfortuna non c'era nessun barista, quasi pensai che il locale fosse abbandonato a sé stesso. Mentre aspettavo che arrivasse qualcuno a servirmi, presi una brioche dall'espositore sul bancone e iniziai a mangiarla, sbriciolando un po' sul piano in marmo. Il mio stomaco urlava alla sola vista del cibo.

- Hey, stai sporcando tutto il bancone. Avevo appena finito di pulire. – disse una voce talmente fredda e apatica da farmi venire i brividi. Alzai gli occhi e ne incontrai un paio del colore del mare in tempesta, ammesso che si potesse considerare un colore quello della tempesta.

Nel giro di poco tempo, furono il secondo paio di occhi che ebbero un certo effetto su di me, ma quella volta fu diverso rispetto a quando conobbi Eren. C'era qualcosa in quell'uomo minuto e di piccola statura, (che in quel momento sembrava più alto di me, soltanto perché la pedana dietro al bancone e il fatto che fossi seduto, gli consentiva di potermi guardare da quell'altezza), che mi diceva che in un certo senso fossimo simili. Aveva i capelli del colore dell'inchiostro, non molto lunghi, gli arrivavano appena a sfiorare le orecchie ed erano rasati ai lati e sulla nuca. Nonostante la sua altezza, da quello che potevo vedere, sembrava avere un fisico tonico e asciutto. Mi guardava con aria severa e aveva le braccia incrociate al petto.

- Oh, e dai Levi non vorrai mica che i clienti mangino in una bolla di vetro. – disse un ragazzo dai capelli biondo cenere, apparso da una porta che si trovava di fianco al bancone. Sembrava essere molto più cordiale del primo ed era decisamente più alto.

- Tsk se fosse possibile sì. – gli rispose il ragazzo che avevo capito si chiamasse Levi. Il biondo alzò gli occhi al cielo e continuò a portare fuori da quello stanzino una cassa contenente alcune bibite. Lasciò a Levi il compito di rimettere a posto le bevande e si rivolse a me regalandomi un sorriso gentile.

- Mi dica pure. – mi disse. Ordinai il mio cappuccino e restai lì ad osservare Levi che ormai aveva la mia piena attenzione.

Pensai che se fosse stato un militare, sicuramente sarebbe potuto essere un capitano. Avrebbe incusso timore a chiunque e di sicuro sarebbe stato rispettato. Chissà perché non è mai entrato in polizia? Mi domandai. Ma forse semplicemente le ambizioni delle persone, a volte, sono totalmente diverse da ciò che ci si può aspettare. Levi mi sembrò una persona che potesse nascondere, dietro alla sua freddezza e alla sua algidità, un grande dolore. Credo che questo faccia parte anche del mio lavoro; analizzare le persone e capire che cosa nascondono.

Finii la colazione e mi recai a lavoro. I miei sottoposti mi guardarono in modo strano visto il mio ritardo, chissà forse pensavano che mi fosse accaduto qualcosa. Poco prima di entrare nel mio ufficio, venni bloccato da un agente dai capelli biondo cenere.

- Signore, eravamo preoccupati per il suo ritardo. – mi disse Jean, uno dei migliori che avessi alle mie dipendenze.

- Mi sono soltanto svegliato tardi tutto qui.- Cercai di scusarmi rivolgendogli un sorriso. Ma il ragazzo aggrottò la fronte, mi accorsi che alle sue spalle, anche tutti gli altri erano in piedi ad attendere una spiegazione che fosse più convincente di quella che gli avevo appena dato.

- Mi scusi se mi permetto, ma è strano, di solito lei è sempre puntuale, e questo lo esige anche da noi. Si sente davvero bene? – mi chiese Jean che sembrava davvero preoccupato.

- Sì, potete stare tranquilli, è solo stanchezza. – gli risposi. Il ragazzo, nonostante non fosse sicuro delle mie parole, annuì e tornò di nuovo alla sua postazione. Così fecero anche tutti gli altri e io mi diressi nel mio ufficio, chiudendomi la porta alle spalle.

Seduto sulla sedia da ufficio, mi soffermai a pensare alle mie stesse parole, quelle che avevo rivolto poco prima a Jean: Forse sono davvero stanco, di tutto questo, della mia vita. Durante la mia carriera mi sono successe molte cose, mi sono preso un paio di pallottole, ho dovuto seppellire un partner. Forse ho bisogno di una vita più tranquilla e magari di realizzare i miei sogni come Eren, avere una persona di cui innamorarmi, magari sposarmi, comprare quell'Harley che ho sempre desiderato. Credo di aver dato tutto a questo lavoro, soprattutto me stesso. Potrebbe essere arrivato il momento di lasciare il posto a qualcun altro e ritagliare un po' di spazio per me.

Amo il mio lavoro ma, come per ogni cosa credo sia arrivata l'ora del suo tramonto. Non mi dimenticherei mai dei ragazzi e forse anche delle indagini e dei vari casi che ho risolto, nonostante tutto. Avrebbero sempre un posto nel mio cuore, ricorderei tutto ciò che sono stati per me; oltre a essere dei semplici agenti sotto il mio comando, sono anche la mia famiglia, è come se fossi una specie di fratello maggiore.

***

Dopo quella mattina, nei giorni successivi presi l'abitudine di andare a fare colazione alla caffetteria, passando anche la sera per un caffè. Non saprei dire se fosse la presenza di Levi ad attirarmi lì o semplicemente il posto, però in quel luogo c'era una strana pace, per me, che mi faceva stare bene.

Durante il tempo in cui stavo lì, mi perdevo a osservare Levi. Con quell'aria seria e quegli occhi apparentemente inespressivi contornati da una lieve ombra di occhiaie, a me sembrava essere davvero bello. Molto spesso mi sorprendeva a osservarlo e, alzando un sopracciglio, sventolandomi la mano sotto agli occhi, mi riportava alla realtà.

- Oi, biondino ti sei incantato? – mi diceva con la testa di lato e uno sguardo che, se non fosse stato sempre così apparentemente gelido, avrei scommesso che in quell'occasione potesse assumere un'aria divertita.

- Oh no, pensavo. – Era la scusa più banale che trovavo, anche se pensavo che lui non mi credesse davvero. Subito dopo aver detto quelle parole, poggiavo un gomito sul bancone, mettevo il mento sul palmo della mano e, senza più nascondermi, continuavo ad osservarlo.

- Allora, Levi, raccontami un po' di te. – gli dissi una volta in cui il locale era completamente vuoto e lui stava asciugando gli ultimi bicchieri, che aveva appena tolto dalla lavastoviglie.

- Non c'è niente di interessante da sapere sulla mia vita. – mi rispose come se fosse scocciato dalla mia domanda.

- Ci sarà pure qualcosa di interessante che parla di te, penso che tutti abbiamo fatto qualcosa che valga la pena di essere raccontato no!? – insistetti, curioso di sapere se sarei riuscito a rompere quello strato di ghiaccio dietro cui sembrava ripararsi.

- Io non sono tra quelli, sempre se quella che ho vissuto io si possa definire vita. – disse con una punta di rammarico che sembrò trasparire dalle sue parole; evidentemente non era riuscito del tutto a mascherarlo.

- Penso che ogni passo della vita, brutto o bello che sia, è importante, perché fa di noi ciò che siamo, ci definisce o ci maledice a seconda dei casi. Ognuno ha una vita che è degna di essere vissuta. Ognuno di noi ha le proprie convinzioni, persino un delinquente, nonostante abbia scelto la via sbagliata e in ogni caso siamo responsabili delle nostre scelte. Tutti hanno una storia da raccontare. – gli dissi continuando a guardarlo. Lui si era fermato qualche secondo interrompendo ciò che stava facendo e mi fissava con un sopracciglio alzato.

- Tsk. La mia non vale la pena di essere raccontata. – mi disse tornando ad asciugare i bicchieri.

Sbuffai sconsolato, era ormai da un po' di tempo che cercavo di intavolare un discorso con lui, ma sembrava davvero un osso duro, peggio di qualsiasi indiziato che spesso mi ritrovavo a interrogare. Mi alzai dallo sgabello, pagai e me ne uscii per tornare a casa. Perso nei miei pensieri, mi dicevo che comunque quella sera eravamo riusciti a parlare molto più di come facevamo di solito. Avevo anche notato che da un po' di tempo, quando in caffetteria non rimanevano altri clienti, quel ragazzo biondo, che avevo capito in seguito si chiamasse Furlan, lasciava sempre soli me e Levi. Che avesse capito qualcosa che nemmeno noi comprendevamo?

Tornato al mio appartamento, davanti a un bicchiere di ottimo Scotch, mi misi a pensare a Levi; chissà che tipo di segreti nasconde. Forse ha semplicemente avuto una vita difficile e nulla di che. Eppure, per qualche strano motivo sentivo il bisogno di sapere ogni cosa che lo riguardasse, mi sentivo quasi come un tossico bisognoso della sua dose giornaliera ma la mia droga era Levi, sicuramente nulla di così pericoloso come quella sostanza disgustosa.

Nei giorni a venire, io e Levi ci eravamo avvicinati sempre di più. Sembrava essersi sciolto maggiormente nei miei confronti; non che facesse grandi discorsi, ma perlomeno i suoi atteggiamenti verso di me erano mutati. Penso che iniziasse a considerarmi come un amico, o almeno era questo che continuavo a ripetermi. In ogni caso, aveva smesso di ignorarmi quando entravo, ora mi salutava con un cenno del capo e per uno come lui penso che fosse un grande passo avanti.

Una di quelle sere però, quando mi recai alla caffetteria, trovai soltanto Furlan dietro al bancone. Ne rimasi molto deluso. Senza nemmeno rendermene conto il mio sguardo cercò Levi in ogni parte del locale. Sentivo l'aria mancare; sconcertato da quella mia reazione, mi chiesi che cosa mi stesse succedendo, non era da me comportarmi in quel modo. Guardai infine verso il bancone e vidi Furlan osservarmi incuriosito, dalla sua espressione sembrava aver capito chi stessi cercando.

- Se cerchi Levi, questa sera è dovuto uscire prima, aveva degli impegni. – mi disse. Stranamente quelle parole mi rincuorarono, e mi andai a sedere sullo sgabello sentendomi più leggero.

Chissà perché poi mi ero fatto prendere dal panico. Quando ormai mi ero rilassato, ordinai a Furlan il caffè come facevo di solito. Questa volta al posto di Levi c'era Furlan a pulire le stoviglie, così mi persi nei miei pensieri, dei quali Levi era protagonista.

- Sai Erwin, da quando frequenti questo posto Levi sembra essere molto cambiato. – Furlan mi ridestò dai miei pensieri, e io mi sporsi maggiormente sul bancone prestandogli attenzione.

- Credo di avere visto dei cambiamenti in lui da quando l'ho conosciuto. – gli dissi. Pensando a quanto fosse molto più distaccato nei primi giorni in cui ci eravamo conosciuti, rispetto a ora.

­- Io credo che sia merito tuo. Sai, di solito lui non si interessa mai a nessuno, ma da quando hai varcato la soglia per la prima volta sembra che tu abbia risvegliato il suo interesse. Da quando poi hai iniziato a tornare, vedo che ogni mattina con lo sguardo aspetta di vederti arrivare, e qualche volta si è lasciato scappare qualche frase impaziente. Penso che si sia preso proprio una bella cotta. – mi disse Furlan, e quelle parole mi diedero una sensazione di sollievo o non so che altro fosse.

- Non credevo di avere questo potere su di lui. Insomma, non credevo di essere io il motivo di un tale cambiamento. – gli dissi. Avrei potuto pensare che il motivo di quel mutamento fosse un altro, poteva essere anche una banalissima coincidenza.

- Io credo che potresti chiedergli di uscire a cena una di queste sere. Penso gli farebbe piacere e soprattutto gli farebbe bene. – mi disse Furlan sporgendosi al bancone, in tono più confidenziale.

- Mh, sarà dura convincerlo, non credo che sarà così accondiscendente. – gli dissi, pensando che sicuramente il suo orgoglio non sarebbe stato d'aiuto.

- Puoi sempre provarci, tanto cos'hai da perdere? – mi disse Furlan. Già: cos'avevo da perdere, in fondo? E, poi avevo deciso di lasciare la polizia. Levi sarebbe potuto essere l'inizio di una nuova vita.

***

Nei giorni successivi cercai di farmi avanti con Levi, ma lui non sembrava volerne sapere. Se era vero ciò che mi aveva detto Furlan, doveva avere un certo interesse verso di me. Ma evidentemente era troppo orgoglioso per ammetterlo perfino a sé stesso. Così, dopo averci provato per qualche tempo, notai che Levi aveva iniziato a staccarsi da me. Nonostante mi dessi la colpa, non riuscivo a comprendere fino in fondo la ragione della sua chiusura, in poche parole eravamo tornati al punto di partenza.

Una sera mi trovai di nuovo da solo con Furlan. Ero sconsolato soprattutto perché arrivai alla conclusione che, essendo rimasto da solo per tanto tempo, non sapevo proprio cosa fare, ero totalmente negato nelle relazioni di coppia. Come di consueto mi accomodai al solito sgabello e sbuffai.

- Salve Erwin. – mi accolse Furlan. Mi sorrideva, ma lo sguardo che mi rivolse sembrava compassionevole.

- Buonasera Furlan, - gli risposi contraccambiando il sorriso. Con una mano tra i capelli me li tirai nervosamente, credendo che quel semplice gesto potesse calmarmi.

- Ultimamente Levi mi sembra essere tornato quello di un tempo. – mi disse, e sembrava sinceramente dispiaciuto.

- Già, l'ho notato, non capisco cosa passi per la testa a quel ragazzo. – gli dissi anche io con una punta di dispiacere nel tono di voce.

- Levi ha avuto una vita difficile, ha tanti problemi e non vuole coinvolgere altri nei suoi tormenti. Però, credevo che con te si sentisse pronto. Evidentemente, mi sbagliavo. – mi disse ancora una volta dispiaciuto.

- Anche io credevo di aver trovato finalmente qualcuno che potesse comprendermi.- dissi stupendomi delle mie stesse parole. Non so che cosa di Levi mi avesse convinto di questo, ma nel mio cuore sapevo che era così.

- Credo di avere un'idea. – esordì a quel punto Furlan, destandomi dai miei pensieri e facendomi sobbalzare sullo sgabello.

- E che cosa avresti in mente? – Gli dissi curioso di conoscere la sua idea. Di sicuro Furlan lo conosceva meglio di me e avrebbe saputo che cosa potesse stupire Levi.

- Tra pochi giorni è San Valentino. Tu non sei mai riuscito a tirarlo fuori da questo posto. Beh, il vostro appuntamento avverrà proprio qui. – mi disse facendo sembrare la sua idea la più pazzesca che potesse esistere. Decisi di fidarmi di lui e di sottostare alle sue idee.

Nei giorni successivi ci organizzammo, cercando di non farci scoprire da Levi, per preparare tutto per la serata di San Valentino. Sarebbe stato il nostro primo appuntamento, forse non il più bello, visto che avremmo cenato con panini o cose simili, ma probabilmente sarebbe stata un'idea originale.

Da quando avevo conosciuto Levi, era nata in me l'idea di vivere una vita normale, senza più sparatorie, senza più la morte a far parte della mia vita. Una speranza di poter ricominciare qualcosa di nuovo e forse stupendo. Levi era la mia ragione per non morire, nonostante fossi ancora in vita.

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Angolo Autrice.

Eccoci col secondo capitolo, vi ricordo che a questo punto ce ne rimangono due alla fine di questa breve storia =)

Per ora eccovi il POV di Erwin =) nel prossimo ci sarà quello di Levi ovviamente e peenso che lì ci sarà un maggiore Angst. E la presenza di Kenny nei prossimi due capitoli sarà importante =)

Come sempre spero vi sia piaciuto, fatemi sapere con un commento o una stellina =)

Alla prossima =)

 

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Capitolo 3
*** Perseguitato dal passato. ***



Crediti fanart: redwarrior3
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Come sempre un ringraziamento alla mia beta Moonsuckerlove

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Sono Levi Ackerman, la mia vita non è stata una passeggiata. Mia madre mi ha cresciuto da sola; mio padre se la diede a gambe levate nel momento in cui venne a conoscenza della gravidanza di mia madre. Nonostante il suo stipendio da cameriera però, siamo sempre riusciti ad andare avanti. Io da bambino non avevo molti giocattoli, perché lei non se li poteva permettere, ma non ero un moccioso che faceva i capricci e mi andava bene qualsiasi cosa. Mia madre mi ha sempre sorriso nonostante tutto, eppure nei suoi occhi, simili ai miei, non riuscivo a vedere quella scintilla che avrebbero dovuto avere se lei fosse stata felice. Kuchel si faceva in quattro per me e io che ero solo un bambino, sapevo quanto si affaccendasse per noi e lo so tutt'ora, nonostante ora sia arrivato il mio turno di lavorare per mantenerci entrambi, visto che lei non può più farlo e la causa di tutto è stato il lavoro stesso.

Durante la mia infanzia non avevo una figura paterna a cui fare riferimento, ma poi arrivò mio zio Kenny nel momento in cui io ero alle soglie della pubertà. Di certo non era un uomo che ci sapeva fare con i mocciosi come me, tuttavia, per quanto potesse avere dei modi rudi, cercava di mettercela tutta per aiutare sua sorella. Quando ero solo un ragazzino, lui me lo disse diverse volte e dal suo tono potevo capire quanto fosse dispiaciuto.

- Moccioso, mi dispiace di non poter essere uno zio premuroso nei tuoi confronti, ma non ci so proprio fare. Io sono un tipo poco raccomandabile, i mocciosi non sono il mio forte. – mi disse Kenny.

- Tsk. Non ho mai avuto bisogno di una figura paterna, figurarsi ora. – gli risposi. Ma potei vedere sul suo volto rugoso e contornato da una leggera barba incolta, l'accenno di un sorriso. Sembrava sollevato dalla mia risposta.

Dopo poco tempo che Kenny era con noi si rivelò avere dei giri poco legali con bande nella zona in cui vivevamo, ed ecco spiegato perché si fosse trasferito da noi. Io lo scoprii una sera quando mi portò con lui, ero solo un ragazzino ma capivo che quello non era ciò che sarei voluto diventare. Kenny però per farmi stare zitto mi minacciò, dicendomi che ormai, visto che ero andato con lui non avrei mai potuto uscire da quel giro. Così per anni bazzicai quegli ambienti che, solo a guardarli, mi davano il voltastomaco. Mio zio mi insegnò a usare un coltello per difendermi, questo era ciò che mi diceva, ma io sapevo che se ce ne fosse stato motivo, mi avrebbe usato come arma contro chiunque e sicuramente mi avrebbe messo nei guai, salvandosi la pelle, fregandosene di me e di mia madre.

A quel tempo lo odiavo; lo odiavo perché mi aveva costretto a fare quelle cose contro la mia volontà. Odiavo spacciare e rapinare la povera gente, però purtroppo dovevo starmene zitto e ubbidire, altrimenti ci avrei rimesso la pelle. Non sapevo come uscire da quella situazione, ero soltanto un ragazzino e anche se non lo davo a vedere avevo paura.

Mi liberai di quella scomoda situazione, quando ci fu una retata nel magazzino abbandonato dove si radunavano tutti quelli della nostra banda. Per nostra fortuna né io né Kenny eravamo presenti quella sera, e se ci penso non saprei spiegare per quale caso fortuito. Forse soltanto una banale coincidenza. Da allora Kenny sparì e non si fece più vedere. Io potei tornare ad essere un banale ragazzino che andava a scuola, però qualcosa in me dopo quella esperienza, era cambiata, non ero più il Levi Ackerman di una volta. Nonostante non ci avessero presi quella sera, vivevo nel terrore che prima o poi i nostri nomi sarebbero saltati fuori.

Riuscii a finire la scuola e, durante quel periodo, non mi feci molti amici a parte un paio: Furlan Church e Isabel Magnolia, ancora non mi so spiegare per quale motivo seguissero un tipo come me, però la loro compagnia non mi dispiaceva. Isabel è una ragazza solare piena di vita e da quando mi conosce ha preso a chiamarmi fratellone, che stranamente non mi dà fastidio se è lei a dirlo. Furlan invece è un ragazzo con la testa a posto, responsabile e attento, anche se quando c'è da ridere e scherzare non si tira indietro, a differenza mia che ho perso l'entusiasmo perfino in quello. Lui è sempre stato il collante della nostra compagnia, se lui non ci fosse io non saprei cosa fare. Furlan per me è un amico unico e insostituibile.

Una volta finita la scuola Furlan mi propose di aprire una caffetteria insieme, e dopo averci pensato per bene, decisi di accettare la sua proposta. Ma proprio nel momento in cui credevo che le cose potessero andare per il meglio, ecco che alla porta dell'appartamento dove vivevamo io e mia madre, si ripresentò Kenny come era successo qualche anno prima. Fortuna volle che fui io ad aprire la porta, se fosse stata mia madre sicuramente l'avrebbe fatto entrare subito senza troppi problemi. Solo che, nel momento in cui provai a richiudere la porta, lui la bloccò mettendo un piede in mezzo.

- Avanti figliolo fammi entrare, mi dispiace per tutto ciò che è successo. – mi disse Kenny e sembrava davvero pentito, eppure io non riuscivo a credergli.

-Vai al diavolo Kenny, noi non vogliamo più avere niente a che fare con uno come te. – gli dissi quasi ringhiandogli contro, ma nel momento in cui incrociai i suoi occhi e vidi la sua tristezza qualcosa dentro di me si ruppe, anche se sapevo che non avrei dovuto cedere, sarebbe stato troppo facile altrimenti.

- Levi dammi un'altra possibilità, giuro che non ti porterò più in posti simili, sono cambiato, ti prego! – mi disse Kenny supplichevole. Non volevo e non dovevo dargliela vinta così facilmente, si sarebbe dovuto riconquistare il mio rispetto e la mia fiducia poco alla volta.

- Mi dispiace ma non posso perdonarti, per ora. – gli dissi con decisione prima di chiudere la porta e lasciarlo fuori. Kenny non insisté più e io dall'interno dell'appartamento sentii i suoi passi che si allontanavano.

Kenny tornò altre volte, sembrava fermamente deciso a dimostrarmi che era cambiato, ma io avevo deciso di parlargli soltanto fuori dalla porta di casa e, per qualche strano segno del destino, riusciva sempre andarsene prima che mia madre rientrasse dal lavoro. Purtroppo, un giorno, mentre io ero fuori con Furlan a cercare un locale dove poter aprire la nostra caffetteria, Kenny suonò alla porta di casa mia e questa volta fu mia madre ad aprirgli. Lei provava un affetto smisurato per il fratello e io non le avevo mai detto delle sue visite; così, quando tornai a casa, lo trovai seduto sul divano del piccolo salottino di casa nostra, e mia madre ai fornelli a preparare la cena. Kenny si irrigidì quando mi vide varcare la soglia del salotto, ma si sforzò di farmi un sorriso, il che mi sembrò strano da parte di uno come lui che un tempo non avrebbe mai sorriso a quel modo.

- Che cazzo ci fai qui! – gli urlai contro; lui a quel punto divenne più serio e il suo sguardo si rabbuiò, pensai che fosse consapevole che non lo avrei accettato tanto facilmente.

- Abbassa la voce, non ho detto nulla a tua madre, lei crede che sia la prima volta dopo anni che vi vengo a trovare. Non vorrai che venga a sapere anche del resto, non è così? – disse Kenny a bassa voce in modo che nostra madre non ci sentisse.

- Finalmente sei riuscito a entrare nel nostro appartamento, ma non ti lascerò restare qui. – gli dissi con decisione anche se avevo abbassato la voce per non farmi sentire da mia madre.

- Puoi stare tranquillo, non resterò per la notte. Ritornerò al mio alloggio. – mi rispose Kenny, il suo tono sembrava essere tranquillo. Io aggrottai la fronte quando lo sentii affermare di avere un appartamento, era strano per uno come lui che di solito era abituato a vivere a scrocco da qualche amico o addirittura per strada se non riusciva a trovare niente altro, visto che per qualche strano motivo era sempre al verde.

- Tsk, è inutile comunque che tu sia gentile con me, non ti perdonerò mai per ciò che mi hai fatto passare. Per me lo zio Kenny è morto anni fa. – gli dissi, per poi lasciare la stanza e dirigermi al piano di sopra, farmi una doccia rigenerante e cambiarmi.

Quella sera la cena si svolse nella tranquillità più assoluta. Kenny parlava con mia madre raccontandole di ciò che era successo negli anni in cui si era allontanato da noi. Io non credevo che tutto ciò che le raccontava fosse la verità, sicuramente aveva omesso qualcosa visto che mia madre non doveva sapere dei suoi loschi traffici. Però, quella stessa sera, venni a sapere che Kenny era intenzionato ad aprire un locale non molto lontano da dove abitavamo noi, fu in quel momento che mio zio si rivolse a me per la prima volta in tutta la serata. Mi chiese se volessi lavorare per lui, e io cercai di contenere la mia rabbia, se avessi accettato sicuramente sarei rimasto di nuovo invischiato in chissà quale altro suo giro losco di cui non volevo più fare parte. Così gli risposi che non mi interessava, visto che anche io stavo per aprire la mia attività insieme a un amico. Perciò Kenny non insisté più e quella sera lo vidi tornare a casa sua senza chiedere di rimanere a dormire da noi.

Ci vollero un bel po' di ricerche per trovare il posto ideale per aprire una caffetteria, e soprattutto parecchio lavoro per sistemare quel posto. Riuscimmo a ottenere un prestito dalla banca tramite i genitori di Furlan che ci fecero da garanti. L'ambiente non era molto grande, ma era abbastanza da poter ospitare un numero sufficiente di clienti. Dipingemmo i muri di bianco e anche l'arredamento che avevamo scelto era dello stesso colore, fatta eccezione per l'attrezzatura da bar dietro il bancone e il bancone stesso.

Il giorno dell'inaugurazione molte persone vennero a visitare la nuova caffetteria, tra i quali, oltre a molti curiosi, anche i genitori di Furlan, mia madre, Kenny, della cui presenza mi stupii e poi anche Isabel che ormai faceva coppia fissa con Furlan. Non si vedeva, ma ero contento per loro, insomma, Isabel era sicuramente la donna giusta per Furlan. L'inaugurazione alla fine andò bene e da quel momento riuscimmo ad avere il nostro giro di clienti, anche se Furlan mi rimproverava sempre quando li redarguivo perché sporcavano. La mia mania per le pulizie è qualcosa che mi porto dietro da diverso tempo; non so dire se è a causa dei posti in cui mi portava Kenny o di qualcos' altro che sono diventato così maniacale quando si tratta di igiene; però, non riesco a sopportare il disordine e la sporcizia.

Passarono alcuni anni e gli affari andavano discretamente bene con la caffetteria, ma purtroppo la vita che non pensavo potesse essere peggiore di come lo era stata in passato mi aveva riservato un'altra dura prova. Mia madre a causa del duro lavoro e dello stress che si era accumulato nel corso degli anni, si ammalò e io dovei fare in modo che avesse una persona sempre al suo fianco per assisterla. Fu in quel periodo che rivalutai Kenny che si rese parecchio utile aiutandomi con mia madre. Non riuscivo a crederci, ma potevo osservare con i miei occhi quanto l'amore per sua sorella e il dolore nel vederla in quelle condizioni, lo rendesse triste oltre che sofferente. Kenny si trasferì definitivamente da noi dopo la malattia di mia madre e io, in quella occasione, non mi opposi.

Una volta al mese, però, la persona che doveva assistere mia madre prendeva sempre una giornata libera, oltre ai soliti due giorni di riposo settimanali, per problemi di cui non mi sono mai impicciato. In quell'occasione, visto che Kenny la sera doveva tornare al lavoro, e visto che cadeva sempre in un giorno della settimana in cui lui non riusciva mai a trovare nessuno che lo sostituisse, mi occupavo personalmente di mia madre. Furlan se la sarebbe cavata bene anche da solo per una sera al mese.

Nel periodo in cui mia madre si ammalò, avevo perso le speranze di poter riuscire a vivere una vita serena e tranquilla. Quando si ha vissuto una vita come la mia, immersa nella sofferenza non si crede più alle favole, o a poter riuscire a raggiungere una pace interiore in cui quella sofferenza e le preoccupazioni non esistono più; ma nel momento in cui tutte le speranze sembrano perse alla fine succede qualcosa che ti fa ricredere facendoti toccare un sentimento di cui prima non conoscevi l'esistenza. In quel periodo credevo che la soluzione al dolore che stavo provando fosse soltanto la morte, ma poi incontrai due occhi del colore del cielo, un cielo sereno, senza nuvole che mi portarono in un'altra dimensione a me sconosciuta.

Il giorno in cui conobbi Erwin Smith io e Furlan eravamo nel magazzino a prendere un paio di casse di bibite per rifornire i frigoriferi del bar. Dalla stanza dove eravamo sentimmo il campanello della porta suonare segnalando che era entrato qualcuno, ci mettemmo qualche minuto prima di tornare nella sala principale. Fui il primo a varcare la soglia che divideva il locale dal magazzino, quando notai un tipo biondo con delle sopracciglia enormi, seduto al bancone; stava mangiando una delle brioche che sicuramente aveva preso dall'espositore, sbriciolandola sul piano di marmo che prima di andare in magazzino avevo finito di pulire. Non sopporto chi sporca senza avere il minimo rispetto, in quel momento sentii i miei nervi tendersi alla vista di quello scempio.

Salii sulla pedana del bancone, che mi faceva sentire più alto di lui, e incrociai le braccia al petto. Lo rimproverai facendogli notare che avevo appena finito di pulire. Lui sobbalzò leggermente, tsk, non mi aveva nemmeno sentito entrare. Ma quando lo vidi alzare la testa, incrociai quegli occhi celesti e provai una strana sensazione alla bocca dello stomaco: rimanemmo a guardarci per un tempo indefinibile, credo di essere rimasto incantato per la prima volta in tutta la mia vita. Provai delle sensazioni che non sapevo né riconoscere né descrivere. A ridestarci da quel momento fu Furlan che mi rimproverò del fatto che volessi che i clienti non sporcassero nulla. Se fosse possibile dare a tutti una bolla dentro cui mangiare senza sporcare niente, di sicuro sarebbe il mio metodo.

Lasciai Furlan a servire il soppracciglione e io mi misi a sistemare le bibite nei frigoriferi sotto il bancone. Lo sentii ordinare un cappuccino e mentre io ero chino a continuare il mio lavoro, sentivo il suo sguardo addosso. Quando finii di fare di sistemare le bevande mi dedicai ad altro; nel frattempo arrivarono anche altri clienti e mi misi a servirli, senza mai smettere di sentirmi lo sguardo di quell'uomo addosso. Non capivo perché continuasse a fissarmi e soprattutto perché non provassi fastidio, nonostante il suo sguardo mi facesse sentire a disagio.

Quando finì la sua colazione, lo sconosciuto se ne andò. E io mi trovai gli occhi di Furlan che mi fissavano, sembrava divertito. Mi chiesi per quale motivo mi stesse osservando a quel modo... chissà cosa stava tramando... così lo guardai a mia volta con le braccia incrociate al petto.

- Che cazzo hai da guardare? – gli dissi con i miei modi poco gentili. Lui per tutta risposta scoppiò a ridere, io alzai un sopracciglio non capendo il motivo della sua reazione.

- Credo che il biondo dalle sopracciglia folte potrebbe cambiare molte cose, e forse anche ammorbidire il caratteraccio che ti ritrovi. – disse l'ultima parte sussurrandomela all'orecchio.

- Tsk. Questo non succederà mai. – dissi cercando di assumere un tono neutrale. Ma Furlan alzò un sopracciglio, nuovamente divertito.

- Vedremo, vedremo. – disse. Facendomi intuire che non credeva ad una sola delle mie parole.

***

Da quella mattina quell'uomo tornò di nuovo alla caffetteria, diventando un cliente fisso e iniziando a frequentare il locale anche di sera. Venni a sapere che si chiamava Erwin Smith, anzi me lo disse lui direttamente, una delle tante volte che aveva provato a intavolare un discorso con me. Mi sentivo costantemente osservato in ogni movimento che facessi. Quegli occhi limpidi e gentili sembravano volermi scrutare l'anima e io mi sentivo sempre più strano, quelle sensazioni a me sconosciute alla fine erano cresciute, ma ancora non avevo idea di che cosa fossero.

Mentre mi osservava sembrava essere perso in chissà quale limbo, così, molto spesso, gli sventolavo le mani davanti agli occhi cercando di risvegliarlo. Lui si ridestava e ogni volta che gli chiedevo se si fosse incantato mi rispondeva sempre che era sovrappensiero. Non ci credevo molto, e soprattutto non capivo quale interesse potesse trovare in me; a parte le mie disgrazie non avevo nulla che potesse interessare alle persone.

Una delle tante sere che si era fermato a prendere un caffè prima di tornare a casa mi domandò di parlargli di me, ma io non credevo che la mia vita valesse la pena di essere raccontata. Forse Erwin voleva soltanto conversare con me, come provava a fare da diverso tempo a questa parte. Mi chiedevo spesso perché fosse così insistente e perché lui volesse conoscermi, a me bastavano i miei amici e mio zio con cui i rapporti sembravano essersi ristabiliti negli ultimi tempi. Kenny sembrava davvero aver messo la testa a posto, il locale che aveva aperto andava piuttosto bene e poi pareva prendersi davvero cura di mia madre, nonostante vederla in quello stato l'avesse fatto invecchiare, dimostrando più della sua reale età. Non c'era più traccia dei suoi loschi traffici illeciti, almeno per ciò che ne sapevo, se era ancora nel giro sicuramente aveva pensato bene di non coinvolgermi e io gliene fui immensamente grato.

Conoscevo Erwin da poco meno di un mese, quando arrivò il giorno in cui restavo a casa per prendermi cura di mia madre. La prima sera in cui non ci saremmo visti, nonostante ci fossimo già incontrati al mattino, la cosa mi sembrò strana: non capivo se vedere Erwin fosse diventata un' abitudine oppure ci fosse dell'altro. Mi sfilai il grembiule e salutai Furlan.

- Allora io me ne vado. – gli dissi facendogli un cenno con la testa. Furlan mi guardò con un ghigno malizioso stampato in faccia. Chissà che diavolo aveva in mente.

- Non hai nessun messaggio da lasciare al signor Smith? – mi disse alzando e abbassando repentinamente le sopracciglia.

- Fottiti. – gli risposi alzando il dito medio. Ma il mio gesto non fece altro che farlo ridere ancora più forte del solito.

Nei giorni successivi Erwin iniziò a invitarmi a uscire per una cena, ma io non so per quale ragione iniziai ad avere paura di quelle richieste. Non volevo che un'altra persona entrasse a far parte della mia vita e soprattutto che venisse a conoscenza del mio passato. Uscire con Erwin avrebbe comportato aprirsi maggiormente con lui, e io non volevo che tutta la merda che avevo passato quando ero adolescente tornasse a galla dopo che finalmente me ne ero liberato. Così ripresi le distanze da lui; negli ultimi tempi avevo iniziato a parlare più spesso con Erwin, non che facessi chissà quali discorsi, soprattutto perché io non sono mai stato un tipo dalla parlantina facile, ma avevo lasciato che si avvicinasse un po' a me. A causa della mia paura, feci in modo che il nostro rapporto, (ammesso che si potesse considerare come tale), tornasse al punto di partenza. Era come se fossimo di nuovo due completi sconosciuti.

Però, mi sembrava di vedere la delusione nello sguardo di Erwin e anche in quello di Furlan. Il mio migliore amico mi parlò un giorno in cui eravamo rimasti soli e il locale era semideserto.

- Si può sapere che ti sta succedendo? – mi chiese quasi con rimprovero Furlan. Io lo osservai corrucciando la fronte, non capendo a cosa si stesse riferendo. – Oh, andiamo! Non fare il finto tonto sai benissimo che cosa intendo. – Mi disse questa volta più serio del solito.

- Se ti riferisci a Smith. Non sono affari che ti riguardano. – Gli dissi sperando che non proseguisse a torturarmi con quell'argomento.

- Andiamo Levi, sei come un fratello per me, tutto quello che ti riguarda è un affare mio, soprattutto se può farti stare bene. – mi disse Furlan. E sembrava sincero, ma mi chiesi se in quel mare di dolore che mi era rimasto dentro io, Levi Ackerman, potessi davvero avere la possibilità di stare bene, ormai credevo di avere perso le speranze che per qualcuno come me potesse esistere la felicità. Non credo nemmeno di aver mai saputo cosa fosse.

Molto spesso mi chiedevo se si potesse essere morti nonostante si continui a vivere. Mi domandavo se avessi potuto vivere una vita diversa da quella per la quale ero destinato: in quel caso avrei potuto essere felice? Vivere una vita normale come può essere? Ci possono essere delle ragioni per non morire e queste ragioni possono essere racchiuse semplicemente in un paio di occhi del colore del topazio? Avevo saputo che Erwin era un ispettore di polizia, e il mio passato era riaffiorato come un uragano che spazza via qualsiasi cosa. Se fosse venuto a conoscenza di ciò che avevo fatto quando ero solo un adolescente, sicuramente niente mi avrebbe impedito di finire dietro le sbarre. Ma perché in fondo credevo che Erwin potesse essere la mia ragione per restare a galla? Una ragione sopra tutte le altre per non morire, e non si trattava della sola sopravvivenza, c'era qualcosa di più, qualcosa che di sicuro avrebbe rivoluzionato la mia vita e, che di sicuro non poteva essere nulla di negativo come fino a ora avevo pensato di ogni situazione in cui mi ero trovato.

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Angolo Autrice

Ed eccoci qui con il POV di Levi, domani pubblicherò l'epilogo, così da concludere questa brevissima storia ;)

Come sempre spero che vi sia piaciuta, mettete una stellina o, se volete lasciate un commento che comunque mi fa sempre piacere parlare con voi =)

Alla prossima =)

 

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Capitolo 4
*** Epilogo ***


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Crediti fanart: maino_merry
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Come sempre i ringraziamenti vanno alla mia beta Moonsuckerlove
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Durante i giorni dei preparativi, Erwin, mentre era chiuso nel suo ufficio, volle fare qualche ricerca sul conto di Levi; non era una vera e propria indagine, soltanto voleva capire che cosa fosse ciò che affliggeva il ragazzo dagli occhi in tempesta e che tanto tormentava i suoi pensieri. Non scoprì molto, ma almeno riuscì a sapere che non era schedato tra i loro archivi come un criminale, e ciò lo rese più sollevato. Però ci fu un particolare che gli saltò all’occhio; Erwin non capiva perché Levi si trovasse comunque nel loro database nonostante non avesse precedenti e, scavando più a fondo, scoprì che un suo parente era stato indagato a causa di alcuni traffici illeciti in cui pareva essere coinvolto: un certo Kenny Ackerman, che a quanto pareva risultava essere suo zio. A causa di Kenny, anche Levi era stato tenuto sotto controllo per un certo periodo, ma poiché la polizia alla fine non aveva scoperto niente sul conto di Levi e neanche di Kenny, il caso venne archiviato per insufficienza di prove.

Erwin seppe che Kenny aveva aperto un locale non molto distante da dove abitava Levi. E non chiudeva fino a tarda sera, così uno di quei giorni dopo essere andato a prendere un caffè alla caffetteria, prima di tornare a casa, Erwin fece una piccola deviazione per dirigersi al locale dello zio di Levi. Alla fine, il suo lato investigativo aveva preso il sopravvento e soprattutto voleva capire che tipo fosse questo Kenny di cui aveva letto soltanto nei fascicoli.

Il locale da fuori sembrava molto grande; aveva un piccolo portico davanti all’entrata, e una scritta luminosa sulla facciata che recitava: Kenny’s – grill & Bar. Erwin pensò che la scarsa fantasia fosse il punto debole di Kenny, tuttavia, quel posto gli ricordò un bar in stile texano che aveva visto in un famoso telefilm. Non appena varcò la soglia, dopo aver sorpassato la passatoia in legno del portico, si rese conto che richiamava proprio lo stesso bar, con il medesimo stile country, e Erwin si chiese se per caso lì facessero anche lo stesso chili piccante di C-D in Walker Texas Ranger. Il locale era avvolto in una semi oscurità, illuminato soltanto da luci basse che richiamavano molto l’atmosfera texana, all’interno era ancora più grande di come sembrava all’esterno, le pareti erano adornate di varie stampe incorniciate di indiani e ranger. Alcuni oggetti come pistole, sicuramente finte, erano appese accanto alle stampe, vicino al bancone vi erano alcune selle al posto degli sgabelli e qualche tavolo somigliava a delle carrozze. Dalle casse sparse per la sala usciva musica country, bassa al punto giusto in modo da creare l’atmosfera, l’odore di legno impregnava l’aria, mista a quella di alcool e caffè, il pavimento era fatto di un materiale che poteva sembrare pietra.

Erwin notò che al bancone vi era un uomo, che portava sulla testa un cappello da cowboy non molto grande e aveva un accenno di barba che gli contornava il viso rugoso; stava parlando animatamente con uno dei clienti mentre puliva i bicchieri con un panno, che sicuramente aveva appena tolto dalla lavastoviglie, la sua risata sguaiata risuonava per tutto il locale. Erwin non sapeva chi fosse quell’uomo ma il suo intuito da detective gli fece supporre che fosse lui il Kenny che cercava, così si avvicinò al bancone.

Nel momento in cui Kenny vide quel tizio avvicinarsi, il suo sesto senso sembrò suggerirgli che quello con molte probabilità fosse uno sbirro, e per poco non sentì le gambe cedere; era pulito da diversi anni, ormai, eppure per un istante credé che quel poliziotto fosse lì per lui, pensò che il suo passato che lo tormentava ormai da diverso tempo fosse venuto a galla e che alla fine gli avrebbe presentato il conto, ed era ciò che aveva sempre temuto; smise improvvisamente di ridere e si fece più serio. Si avvicinò al biondino; Kenny era teso, peggio di una corda di violino, ma cercò di far finta di niente e sperò che non trasparisse nessuno stato d’animo dal suo volto, in grado di tradirlo.

- Salve, il mio intuito mi dice che voi siete un poliziotto, o sbaglio?– esordì Kenny sporgendosi verso lo sconosciuto con un braccio piegato sul bancone, e un sorriso sghembo dipinto sul volto. Erwin dal canto suo non si scompose, di certo non era andato lì sotto copertura e sicuramente non avrebbe dovuto nascondersi, e poi era abituato a non essere il benvenuto.

- Salve. Più precisamente sono un ispettore di polizia. Avete un buon intuito signor Ackerman. – Disse Erwin rispondendo al saluto, senza preoccuparsi di lasciar trasparire il fatto che conoscesse il cognome di Kenny. Quel sorriso sghembo sparì dal volto di Kenny, che si rizzò in piedi e fece qualche passo indietro, come se uno schiaffo lo avesse colpito in pieno volto, sicuro che se erano arrivati sino a lui, le sue paure erano fondate.

- Che cosa vuoi da me, sbirro? - disse Kenny accantonando il tono cordiale che aveva avuto fino un attimo prima.

- Assolutamente nulla. Ho soltanto un certo interesse per vostro nipote Levi e volevo capire quali fossero le preoccupazioni che lo affliggono. Ho fatto delle ricerche ed è saltato fuori che siete stato indagato qualche tempo fa per una certa questione, così volevo sapere chi foste e se avessi potuto saperne di più sul conto di Levi. – disse Erwin, parlando con un tono pacato, senza lasciare trasparire alcuna minaccia, e rendendosi conto in quel momento che gli occhi di Kenny richiamavano molto quelli del nipote. Kenny dal canto suo rimase allerta; i poliziotti di solito non gli ispiravano nulla di buono, forse il suo era soltanto istinto di conservazione, però non si fidava di nessuno di quei maiali.

- Senti, razza di damerino, lascia stare mio nipote! Non permetterò che uno come te gli faccia del male, ha già provato abbastanza sofferenza, non ne merita dell’altra. – lo minacciò Kenny puntandogli un dito sotto il naso. Istintivamente Erwin alzò le mani come se Kenny lo tenesse sotto tiro con una pistola, in realtà Erwin voleva soltanto fargli capire che era andato lì con intenzioni pacifiche.

- Non ho alcuna intenzione di fargli del male, voglio soltanto capire se anche lui è un poco di buono quanto lo siete voi. In realtà spero che forse questo possa togliermi un peso dal cuore. – si confessò sinceramente Erwin. Kenny a quel punto sembrò confuso, che cosa voleva realmente quell’uomo, forse soltanto fare conversazione?

Così chiamò l’unico ragazzo che lavorava per lui durante la settimana, che in quel momento stava servendo ai tavoli, e gli chiese se poteva sostituirlo per qualche minuto. Poi indicò a Erwin di seguirlo nel retro, dove avrebbero potuto parlare più tranquillamente. Kenny aprì la porta in legno dell’ufficio scostandosi di lato per permettere a Erwin di entrare nella stanza, ed entrò dopo di lui chiudendosi la porta alle spalle. Kenny fece cenno a Erwin di sedersi a un tavolo che era posto al centro della stanza, lui lo seguì subito dopo.

- Perché vuoi sapere se mio nipote è un delinquente o meno? Come ti sentiresti sapendolo? – gli chiese Kenny, questa volta con un tono più calmo rispetto a poco prima, nonostante avesse i sensi in allerta, la sua sfiducia nei confronti di quell’uomo non era scemata del tutto.

- Non lo so di preciso, forse perché in un certo senso non posso credere che lui lo sia stato un tempo, Levi non sembra il tipo da commettere qualche cosa di sporco come… - Erwin vene interrotto bruscamente da Kenny.

- Come me? – gli chiese Kenny finendo la frase per lui. Poi prese un lungo respiro; il biondino era un ottimo ispettore a quanto pareva. Kenny prima di continuare a parlare emise una risatina nervosa. – Nella mia vita ho commesso una miriade di stronzate e una di queste fu quando coinvolsi un ragazzino, con ancora i denti da latte, nei miei casini. Me ne pento ogni giorno della mia vita. Io minacciai Levi, la prima sera in cui lo portai con me. Avevo una paura fottuta che quel ragazzino, nonostante fosse mio nipote, potesse mettermi nella merda denunciandomi alle autorità. Ora mi rendo conto che a Levi non importava un cazzo di ciò che facevo e di certo non mi avrebbe consegnato alla polizia, semplicemente se ne sarebbe fregato. Quando presero la banda con la quale ero invischiato, me ne andai, temevo che sicuramente sarebbero risaliti anche a me; ancora mi chiedo per quale strano disegno del destino, né io né Levi eravamo al magazzino quella sera. Non fu facile cancellare le mie tracce e sparire per un po’, ma in qualche modo me la cavai e riuscii a sopravvivere. Aspettai finché le acque non si furono calmate e poi feci l’ennesima stronzata della mia vita: tornai senza preavviso, ancora mi maledico per non essere sparito definitivamente dalla circolazione, e non scorderò mai lo sguardo di Levi quando mi vide davanti alla porta di casa sua. Gli dissi che avevo messo la testa a posto, che ero cambiato, ma lui non mi credé. Come biasimarlo, sicuramente io se fossi stato al posto suo avrei fatto la stessa cosa. – Kenny si stupì perfino di sé stesso, a nessuno aveva mai detto ciò che si teneva dentro da tanto, forse troppo tempo, eppure quel biondino dagli occhi del colore del cielo lo aveva convinto a confessarsi, mandando al diavolo ogni suo senso di allerta visto chi si ritrovava davanti. Erwin lo aveva ascoltato con attenzione, quasi rincuorato dal fatto che Levi fosse stato forzato a commettere i crimini per cui era stato tenuto d’occhio.

- Per ciò che mi avete confessato potrei tranquillamente mettervi le manette ai polsi e rinchiudervi in galera a vita, ma credo che non lo farò, inoltre non ho nemmeno uno straccio di prova, sarebbe la vostra parola contro la mia. - gli disse Erwin. Kenny per un attimo ebbe un fremito, ma poi guardò negli occhi l’altro e si sporse verso di lui.
- Se davvero avete intenzione di rendere felice mio nipote, datemi retta, lasciate la polizia. Levi non ha bisogno di pensare che da un momento all’altro potrebbe non tornare più a casa, ha già troppi pensieri per la testa, non ne diventate uno in più da sopportare. Se Levi tiene davvero a voi, non vi dirà mai che sta soffrendo, perché Levi è fatto così. – gli consigliò Kenny che per qualche motivo sentì il bisogno di suggerirgli quelle parole, ma Erwin sapeva che se anche Levi non glielo avesse mai detto, lui avrebbe percepito la sua sofferenza perché glielo avrebbe letto negli occhi, non sapeva di preciso da dove gli uscisse questa sua certezza, sapeva semplicemente che era così.

- In un certo senso sono stanco della mia vita da poliziotto, sento che ho dato tutto a questo lavoro. E se fare il bene di Levi significa lasciare ogni cosa per ricominciare una nuova vita, è quello che ho intenzione di fare. – disse Erwin risoluto, senza nemmeno una punta di dispiacere nello sguardo. Kenny annuì comprensivo e soprattutto soddisfatto dalle parole che aveva appena udito.

- Ci conto. – disse soltanto Kenny, prima di alzarsi e lasciare solo Erwin in quella stanza, che dopo qualche minuto uscì da quell’ufficio e si accomodò nuovamente al bancone, per ordinare un bicchiere di Whiskey e poi tornarsene a casa.

 
***

Dopo l’incontro con Kenny, Erwin si preparò alla serata con Levi, aiutato da Furlan che sembrava convinto nella riuscita della cena, mentre lui non ci sperava proprio per niente. Non credeva che Levi sarebbe stato così accomodante da sedersi al tavolo con calma senza dire niente, accettando quel forzato invito a cena; anzi, pensava che lo avrebbe mandato a fare in culo senza troppe cerimonie. Ma in fondo se avesse saputo che era andato a trovare suo zio senza permesso, pensò che se lo sarebbe meritato eccome. Tuttavia, dopo l’incontro con Kenny, Erwin si sentiva molto più leggero di prima, non poteva sopportare l’idea che Levi in passato avesse fatto qualcosa di losco, e sapeva che non avrebbe accettato facendo finta di niente, che quel passato scomodo non fosse mai esistito. Non poteva, il suo istinto da poliziotto gli diceva che non avrebbe potuto rinunciare al suo lavoro, anni e anni di fatiche, per qualcuno che avrebbe meritato di stare dietro le sbarre, non avrebbe mai potuto vivere con questo peso sullo stomaco e sulla sua anima.

Erwin sapeva di provare qualcosa per Levi, e che quel qualcosa lo aveva spinto a voler cercare un lavoro diverso da quello che, sicuramente, lo avrebbe portato a morte certa. Non avrebbe potuto buttare tutto alle ortiche così. In ogni caso, sapeva di avere sbagliato, che fare una cosa del genere a Levi era come una pugnalata alle spalle. Ma, in qualche modo, aveva dovuto a tutti i costi sapere la verità, perché quel dubbio lo avrebbe tormentato per il resto dei suoi giorni.

Arrestare Levi sarebbe stato un duro colpo per lui e ne avrebbe sofferto. Forse Levi lo avrebbe odiato a vita, ma lo stesso Erwin lo avrebbe fatto; si sarebbe odiato. Tuttavia, sapeva che non sarebbe mai riuscito ad avere il coraggio di rinchiudere Levi in cella, il suo cuore sembrava avere il dominio sul suo spirito di poliziotto. Quel traguardo che si era posto da quando aveva incontrato quegli occhi in tempesta così profondi e sofferenti lo spingevano a desiderare qualcosa di più, di meglio per sé, di scoprire che cosa volesse dire amare veramente qualcuno. Gli incontri occasionali che aveva avuto gli sembravano talmente sporchi da farsi ribrezzo da solo. Si disse che se non avesse mai incontrato Eren, molto probabilmente, non si sarebbe mai trovato a domandarsi che cosa stesse facendo della sua vita, e se non avesse mai incontrato Levi, con ogni probabilità, non si sarebbe mai ritrovato a domandarsi se avesse potuto avere la chance di sognare una nuova vita, più tranquilla di quella che aveva avuto fino a quel momento.

Levi era stato una ventata d’aria fresca, gli aveva riempito i polmoni, gli aveva fatto assaporare qualcosa di meglio, qualcosa che lui ancora non conosceva bene ma che avrebbe voluto conoscere, saggiare, scoprire. Levi nemmeno sapeva tutto ciò che gli stava facendo provare, eppure Erwin era determinato a conquistarlo, a provare ad avere almeno una possibilità con lui.

Attendendo la sera di San Valentino, si sentì agitato come mai lo era stato prima di allora. Molti pensieri vorticavano nella sua mente; domande che forse durante la sua intera vita non aveva mai avuto modo di porsi: E se Levi mi rifiutasse? E se mi mandasse davvero a quel paese, che cosa succederebbe? Che cosa ne sarebbe di me?

Erwin si rese conto che, per la prima volta in vita sua, si sentiva legato indissolubilmente a qualcuno e, per la prima volta sentiva un senso di vuoto dentro di sé al solo pensiero di doversi separare da quella persona. Capì che quel suo desiderio di cambiamento era dovuto a qualcosa più forte di qualsiasi altro sentimento avesse mai provato.

Mentre era intento nei preparativi, Erwin ordinò alcune composizioni di fiori, su consiglio di Furlan, certo la loro forse sarebbe stata una cena semplice, anzi forse la più semplice e la meno romantica di tutte, ma almeno ci sarebbero stati lui e Levi, questo sarebbe bastato. Al diavolo le cene in un ristorante di lusso a mangiare qualcosa di forse troppo sofisticato per uno come lui, o come Levi. Nel suo cuore, non vedeva l’ora che arrivasse quel giorno, era talmente agitato che temeva che Levi si sarebbe accorto che stava tramando qualcosa alle sue spalle, con la complicità di Furlan.

Finalmente, il tanto desiderato giorno di San Valentino arrivò, e Erwin come suo solito da un po’ di tempo a questa parte, si recò alla caffetteria. Nel momento in cui varcò la soglia, vide soltanto Furlan intento a decorare il locale per l’evento, come avevano concordato; il ragazzo aveva mandato Levi a comprare qualcosa al minimarket lì vicino, con una scusa. Levi di malavoglia e sbuffando si era tolto il grembiule ed era uscito.

- Erwin dammi una mano, Levi non ci metterà molto a tornare. Non sapevo che scusa inventarmi e l’ho mandato al minimarket qui vicino a prendere due sciocchezze. – gli disse Furlan, che sembrava più agitato di lui.

- Certo, sta tranquillo riusciremo a sistemare tutto prima che ritorni. – gli disse Erwin prendendolo per il polso e cercando di calmarlo, trovando la scena quasi comica, visto che lui non era messo meglio di Furlan.

Le varie composizioni floreali che Erwin aveva comprato, e che Furlan aveva nascosto nel magazzino in modo che Levi non le vedesse, vennero posizionate sul bancone e sparse qua e là per la stanza insieme anche ad alcune candele. Uno dei tavoli della sala da caffè venne imbandito e al centro venne posizionata un’altra composizione floreale, insieme a un paio di candele. Un nastro rosso a cui erano appesi alcuni cuori decorativi, adornava il bancone. Erwin si guardò intorno e si sentì le mani sudate e la gola secca, era tremendamente nervoso, per la prima volta in vita sua.

- Ora credo che sia meglio se ti vai a cambiare, Levi tornerà da un momento all’altro. - Furlan lo ridestò dai suoi pensieri; qualche giorno prima Erwin aveva lasciato nella caffetteria uno smoking che avrebbe indossato per l’evento. Limitandosi solamente ad annuire, Erwin scomparve dietro la porta del piccolo magazzino della caffetteria. Afferrando una catenella, accese la luce della piccola stanza, non illuminava molto, ma tanto gli bastava almeno per vestirsi. Una volta che si fu cambiato e sistemato come poteva uscì dalla stanza tornando nella caffetteria, Furlan lo guardò e gli andò vicino sistemandogli il farfallino bianco che era storto.

- Direi che sei perfetto, magari sistemati un po’ i capelli. – gli fece notare Furlan e Erwin si passò una mano tra la chioma bionda cercando di guardarsi nello specchio dello scaffale dietro al bancone, dove erano posizionate le bottiglie.

Nel retro della cucina, Furlan sentì la porta aprirsi e capì che Levi era tornato con la spesa. Fece segno a Erwin di prepararsi e poi lui sparì dietro la porta. Levi era appena rientrato e stava posando le borse sul tavolo, quando vide entrare Furlan con una strana espressione.

- Che cosa sta succedendo? – chiese Levi piuttosto sospettoso. Sentiva che c’era qualcosa di strano nell’aria, che quella richiesta di uscita per andare al minimarket fosse stata soltanto una scusa. Assottigliò gli occhi, come se volesse scrutare nella mente di Furlan.

- Oh! nulla. Perché fai questa domanda? – chiese Furlan con voce tremante. Aveva cercato di contenere il nervosismo ma alla fine non ci era riuscito; anche lui come Erwin sembrava piuttosto agitato. Levi non credé alle parole dell’amico e aggrottò la fronte; c’era qualcosa che gli stava sfuggendo. Però, si limitò a mettere a posto la spesa prima di rivolgersi nuovamente a Furlan.

Levi gli andò vicino con fare minaccioso, Furlan indietreggiò fino a sbattere le natiche contro il piano d’acciaio di una delle dispense posizionate vicino a una delle pareti. Furlan deglutì rumorosamente; Levi quando voleva sapeva incutere parecchio timore. Levi, nonostante la sua altezza, riuscì ad afferrare per il colletto della camicia il suo migliore amico e avvicinare il viso a quello di Furlan.

- Non prendermi per il culo, sai che non ti conviene. Dimmi che cosa sta succedendo, altrimenti non mi vedrai più per parecchio tempo. – lo minacciò Levi. In realtà non lo avrebbe fatto sul serio, ma era un modo come un altro per scoprire che cosa l’amico gli stesse nascondendo. A quel punto, però, Furlan si rilassò e gli rivolse un sorriso gentile.

- Perché non vai a vedere con i tuoi stessi occhi? – gli propose Furlan indicandogli la porta che dava sulla caffetteria. Levi guardò l’amico perplesso: Che cosa c’era di strano nella caffetteria? Così mollò la presa sul colletto di Furlan e si diresse verso la porta che portava nell’altra sala.

Quando Levi la aprì si trovò davanti una scena che lo lasciò di stucco; Erwin lo accolse vestito nel suo smoking nero che calzava perfettamente su quel corpo possente, accentuando ancora di più la sua eleganza. Levi si ritrovò a pensare che fosse bellissimo, ma un attimo dopo si diede dell’idiota per aver formulato un pensiero simile. Dopo tanto tempo di insistenza quel biondino aveva trovato lo stratagemma per portarlo fuori a cena. Levi si voltò a guardare Furlan, che gli rivolse uno sguardo colpevole; maledetto lo aveva incastrato.

- Se fossi in te non lo rifiuterei ancora. – gli sussurrò all’orecchio il suo amico. Levi in quell’istante avrebbe voluto trovarsi in tutt’altro luogo, non di certo lì davanti a Erwin, ed era piuttosto sicuro di essere arrossito, nonostante non avesse uno specchio in cui potersi guardare.

Levi osservò il locale intorno a sé e notò che era stato allestito di tutto punto, capendo che, decisamente, il suo allontanamento non era stato un caso… Da quanto tempo quei due stavano architettando tutto questo? … eppure, avrebbe dovuto capirlo che qualcosa stava bollendo in pentola. Cercò di tornare indietro con la mente, per capire se gli fosse sfuggito qualche particolare che avrebbe potuto indicargli che loro stavano tramando alle sue spalle, ma non ricordò nulla nei loro atteggiamenti che potesse sembrare anche minimamente sospetto.

-Almeno dagli una possibilità. – lo incalzò ancora Furlan, vedendo che non aveva ancora mosso un passo. Levi sembrò ascoltare quelle parole, e si avvicinò a Erwin, che sembrava ancora più agitato di prima.

- Tsk. Alla fine, ci sei riuscito, eh biondino!?- disse Levi, che intanto cercava di mascherare la sua felicità, perché alla fine non poteva di certo dire che quella sorpresa non gli facesse piacere, ma di sicuro non lo avrebbe detto a Erwin, era delizioso tenerlo sulle spine.

- Beh, sai com’è, ho la testa dura. Sono un poliziotto: fino a quando non risolvo un caso non mi posso dire soddisfatto. – gli disse Erwin scherzosamente. I due in quel momento si guardarono intensamente, ma dopo poco, però Levi distolse lo sguardo.

- Io direi che potete sedervi no!? Questa sera sarò io il vostro cuoco e il vostro cameriere. – disse Furlan interrompendoli e cercando di stemperare la tensione che si stava creando.

I due si ridestarono dal loro momento e rivolsero uno sguardo a Furlan, mentre Erwin fece un cenno di assenso col capo, dandogli il via libera per preparare la loro cena. Non era niente di speciale, ma Furlan aveva pensato di cucinare degli hamburger con patatine. Erwin e Levi mentre aspettavano si erano accomodati al tavolo che poco prima, Erwin e Furlan avevano preparato.

Si guardarono negli occhi senza parlare, Erwin, non sapeva cosa dire, ma fu Levi a prendere parola per primo questa volta, ed Erwin si stupì di quell’iniziativa, presa così d’improvviso da parte di Levi.

- Kenny mi ha detto che sei andato nel suo locale una di queste sere. – esordì Levi. Erwin sgranò gli occhi a quella rivelazione. Credeva che Kenny non avrebbe mai detto del loro incontro al nipote, invece si era sbagliato di grosso.

- Che cosa ti ha detto? – gli chiese Erwin. Aveva pensato che, di certo, se Levi fosse venuto a conoscenza di ciò che aveva chiesto a Kenny, non avrebbe più avuto nessuna possibilità con lui e forse la sua vita sarebbe tornata a essere un buco nero, senza nessun tipo di avvenire.

- Questo conferma che ci sei andato sul serio, nemmeno mi hai chiesto come facessi a sapere che eri tu. – gli disse Levi, e a Erwin venne il sospetto che l’altro lo stesse mettendo alla prova. Ma capì di essersi tradito nel momento in cui Levi glielo aveva fatto notare. Un particolare, però, fece in qualche modo mettere tutti i sensi di Erwin sull’attenti; Levi sembrava stranamente calmo, avrebbe potuto pensare che si sarebbe arrabbiato, che non avrebbe mai più voluto vederlo, invece quella calma lo disorientava.

Erwin però non sapeva che Levi aveva parlato con Kenny e che lo zio gli aveva detto che avrebbe dovuto almeno tentare un approccio con quell’uomo, di lasciarsi andare, perché anche lui si meritava di stare bene e di essere felice, un po’ come tutti. Erano state parole che avevano spiazzato Levi in un primo momento: non si sarebbe mai aspettato che colui che avrebbe dovuto considerare come uno zio e, che in passato gli aveva fatto del male, potesse formulare tali affermazioni facendogli credere di volere il suo bene. Ma Levi aveva visto negli occhi dello zio molta sincerità, allora si era deciso a dare un’ opportunità a Erwin, per questo non sembrava minimamente turbato o arrabbiato.

- Ora conosci la mia storia, o almeno una parte. Era ciò che volevi no!? – Aggiunse alla fine Levi vedendo l’altro in evidente difficoltà.

In quel momento dalla porta della cucina apparve Furlan con un paio di piatti con gli Hamburger, li servì ai due e poi gli portò un paio di birre ghiacciate, per poi lasciarli soli e tornarsene a casa, dove lo aspettava Isabel, lasciando a Levi il compito di chiudere il locale. La porta d’ingresso lo era già, aveva chiuso anticipatamente perché non voleva che qualche cliente potesse rovinare la sorpresa.

Erwin e Levi rimasero soli, la serata prosegui tranquillamente i due non parlarono molto, l’aria sembrava tesa o forse ancora più in imbarazzo ora che erano rimasti solo loro due. Finché Erwin, che si sentiva un po’ in colpa per come aveva indagato sul conto di Levi, si inginocchiò davanti a lui. Levi aggrottò la fronte davanti a quel gesto. Erwin gli prese una delle mani tra le sue e poi fissò quei suoi zaffiri in quelli tempestosi di Levi, che avvertì uno strano calore invadergli il petto a quel contatto fin troppo ravvicinato per i suoi gusti.

- Levi, mi dispiace di avere ficcato il naso nella tua vita, ma io ho guardato nei tuoi occhi e ho visto la tua sofferenza, volevo scoprire che cosa ti turbasse. Così sono andato a cercare tra i file del nostro archivio, ma di te e tua madre avevamo soltanto i dati anagrafici, poi scavando più a fondo, ho scoperto che eri stato sospettato insieme a Kenny di aver fatto cose poco pulite: quando l’ho saputo ho creduto di morire. Non volevo pensare che tu fossi un delinquente, c’era qualcosa che mi diceva che non era da te, così mi sono presentato da Kenny e ciò che mi ha detto mi ha fatto stare meglio. Per qualche strana ragione non volevo perderti. E mi dispiace di non aver rispettato la tua privacy, mi rendo conto che ciò che ho fatto è sbagliato e spero che tu vorrai perdonarmi. – Gli disse Erwin tutto d’un fiato, quasi non prese nemmeno una pausa. Levi si sentì strano, nonostante sapesse che ciò che aveva fatto Erwin era sbagliato e si fosse arrabbiato quando Kenny glielo aveva detto, ma in quel momento, davanti a Erwin non si sentiva per niente adirato. La ragione era che per la prima volta si sentiva importante per qualcuno, nessuno si era mai interessato a lui in quel modo.

Levi si guardò intorno, per osservare le decorazioni del locale e la tavola imbandita davanti a lui. Nessuno aveva mai fatto niente per lui che si potesse anche solo considerare romantico, certo la sua freddezza e la sua indifferenza nei confronti degli altri non poteva attirare molte persone. Ma Erwin, per qualche strano scherzo del destino si era avvicinato a lui e Levi gli aveva dato il permesso di entrare in un primo momento, nella sua vita, anche se poi, forse per paura o perché era qualcosa di nuovo per lui, lo aveva allontanato. Gli occhi di Levi infine si posarono di nuovo su Erwin, non disse nulla ma si protrasse verso di lui e lo baciò, le mani di Levi erano posate sul viso di Erwin, mentre le braccia di Erwin erano posate attorno alla vita di Levi. Il bacio si era fatto più intenso e le loro lingue si erano unite abbracciandosi. Entrambi vennero pervasi da sensazioni diverse e ancora più nuove del solito, a Levi parve di sentirsi più leggero e Erwin desiderò che quel momento non finisse mai. Nell’istante in cui si staccarono, entrambi si guardarono con occhi lucidi, le mani di Levi erano ancora sul viso di Erwin e i pollici gli carezzavano delicatamente gli zigomi.

- Questo vuol dire che sono stato perdonato? – chiese Erwin, sapendo di stare ponendo una domanda retorica.

- Sei un cazzo di stupido biondino, non credo di avercela mai realmente avuta con te. – disse Levi prima di impossessarsi nuovamente delle sue labbra. Erwin sorrise sulla bocca di Levi prima di rispondere nuovamente a quel bacio.

Più tardi Erwin confessò a Levi che avrebbe lasciato la polizia per vivere una vita più tranquilla, e nonostante le proteste di Levi, Erwin lo avrebbe fatto lo stesso, gli disse che lo stava facendo per il suo bene, che non voleva vederlo stare male per lui. E fu precisamente ciò che fece qualche mese più tardi. Mentre Levi continuò a lavorare alla caffetteria. Quella stessa sera di San Valentino sentì il bisogno di confessare una cosa che Erwin nelle sue ricerche non aveva scoperto. Levi si stava prendendo cura anche di sua madre malata ed ecco spiegato il motivo per cui una sera al mese Erwin non lo trovava alla caffetteria. Dopo ciò che aveva scoperto Erwin si sentì in dovere di esternare a Levi il suo dispiacere, anche se l’altro non voleva la sua commiserazione. Fu così che di tanto in tanto anche Erwin aiutava Furlan e Levi nella caffetteria.

Qualcosa di nuovo per entrambi era cominciato, una nuova vita che sicuramente li avrebbe portati lontano, questa volta insieme. Levi nonostante mantenesse sempre la sua aria di indifferenza, dopo aver conosciuto Erwin si sentiva più vivo che mai, e il suo viso sembrava decisamente più rilassato di prima. Quella nuova vita che si prospettava per entrambi non gli sarebbe poi sembrata così male come si era sempre immaginato prima di conoscerlo.
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Angolo Autrice
Bene siamo arrivati alla conclusione di questa breve storia. Spero che chi la letta, la leggerà in futuro ecc... la possa apprezzare.
Grazie mille a tutti.
Ci sentiamo nella prossima storia che scriverò =)

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