L'Ultima Sfida

di Manucom69
(/viewuser.php?uid=1143482)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un padre ***
Capitolo 2: *** Due giorni prima ***
Capitolo 3: *** Rivoluzione ***
Capitolo 4: *** 14 luglio ***
Capitolo 5: *** La ruota del destino ***
Capitolo 6: *** Un nuovo giorno ***
Capitolo 7: *** Conseguenze ***
Capitolo 8: *** Attese ***
Capitolo 9: *** A giudizio ***
Capitolo 10: *** Tornare a respirare ***
Capitolo 11: *** Ritorno a casa ***



Capitolo 1
*** Un padre ***


15 luglio 1789
La stanza buia, immersa in un silenzio irreale, rotto solo dai brevi canti delle civette e degli allocchi.
La giornata era stata molto calda, non solo per i fatti accaduti quel giorno; l’afa di luglio era stata interrotta da una breve pioggia, che invece di portare ristoro, aveva acuito ancora di più la calura e l’umidità estiva. Le finestre erano aperte sul giardino, il cielo buio assorbiva qualsiasi possibilità di luce emanata dalle poche stelle, così insolito per un cielo estivo. Solo ogni tanto un refolo di vento arrivava a rinfrescare la mente e la fronte imperlata di sudore. Seduto sulla sua poltrona di velluto rosso, davanti al camino vuoto, la pipa sul tavolino, la giacca abbandonata sul pavimento, insieme allo jabot, la camicia aperta sul petto, il Generale fissava la parete con gli occhi persi nel vuoto e le mani chiuse a pugno davanti alla bocca. Una bottiglia di Bordeaux vuota giaceva ai suoi piedi, il bicchiere, scagliato contro il muro, in mille pezzi. Il viso stanco e affranto, gli occhi arrossati dal pianto, l’uomo ripensava alle parole di un suo sottoposto giunto a palazzo per informarlo degli ultimi avvenimenti: “Generale, mi duole informarvi che il colonnello Oscar François de Jarjayes ha disertato e si è unito ad una cinquantina di soldati della Guardia Metropolitana di Parigi, assaltando la Bastiglia”. Aveva poi girato i tacchi e se n’era andato, lasciandolo lì, nell’atrio, confuso e stordito, senza nemmeno dargli il tempo di replicare, di chiedere, di sapere che cosa ne fosse stato di lei. Se si fosse aperto un baratro sotto di lui in quel momento gli sarebbe sembrato meno insolito… eppure… eppure… Quel biglietto, quelle parole “Qualsiasi cosa accada, state pur certo che non avete cresciuto un pusillanime, padre” sapevano di addio. Aveva guardato il quadro di quella figura singolare che era stata la figlia, raffigurata come il Dio Marte, Signore della Guerra e aveva stretto i pugni, il generale Jarjayes e le aveva gettato contro tutta la sua rabbia e la sua frustrazione: “Non ti perdonerò mai!”, creando scompiglio nella casa e andando a rinchiudersi nel suo studio. A nulla erano valse le suppliche della moglie di aprirgli la porta e che, per carità, le dicesse cosa fosse accaduto. Era rimasta davanti a quella porta piangendo e implorandolo, finché Nanny l’aveva raccolta sfinita e prostrata e se n’erano andate in preda alla disperazione. Il generale sobbalzò al rintocco della pendola, girò lo sguardo… le tre di notte. Tentò di alzarsi, ma la testa era pesante e per poco non inciampò nella giacca, facendolo ricadere sulla sedia come un sacco vuoto. “Oscar… mio dio, Oscar! Che hai fatto?”, non riusciva a togliersi quella domanda dalla testa, lo aveva tormentato per ore, chiedendosi adesso che ne sarebbe stato di loro, della famiglia Jarjayes, delle sue altre figlie. Era quella la punizione per aver deciso di allevare l’ultima delle sue figlie come un maschio? Di farne l’erede della nobile famiglia Jarjayes? Sarebbe stato cacciato all’inferno, ad espiare le proprie colpe? Gli occhi si inumidirono ancora una volta, la mano a coprirsi il viso e a tentare di ricacciare indietro quelle lacrime… era adirato con lei, ma l’avrebbe voluta lì, magari a prenderla a sberle ancora una volta, ma lì, con lui e che gli spiegasse una buona volta cosa diamine le fosse passato per il cervello! Lui era… lei era stata il suo orgoglio: nessun uomo avrebbe potuto essere più determinato, più leale, più inflessibile di Oscar. Ma negli ultimi tempi era cambiata. Da quando era diventata il Comandante di quelle guardie scalcinate, era cambiata. Era cambiata talmente che solo poche settimane prima aveva rischiato di ucciderla con le sue stesse mani, quelle mani che l’avevano accolta appena nata, che l’avevano addestrata ad essere un soldato ed un uomo integerrimo! Un uomo… sorrise Jarjayes. Che stupido! Come aveva potuto non pensare che un giorno quell’uomo avrebbe potuto anche rivoltarsi al proprio volere paterno. Per lui era stato facile. Era rimasto solo, il giovane Jarjayes, quando aveva incontrato la sua adorata Georgette, non aveva dovuto chiedere il permesso a suo padre per innamorarsi di lei. Solo al Re e quando questi glielo aveva negato, aveva deciso che avrebbe abbandonato tutto per lei… abbandonato tutto! Oscar! Anche tu? Ti sei innamorata anche tu, dunque? Hai sciolto il tuo cuore di donna per lui? Lui che quella sera aveva messo la sua vita nelle mani del Generale, lo aveva sfidato e gli aveva dichiarato il suo amore per lei. E solo un paio di giorni prima lo aveva salutato, augurandogli di non morire, che gli affidava ancora una volta la figlia… Non riusciva a darsi pace, mille e più domande gli affollavano la mente, forse era colpa del troppo vino, pensò. Che ne sarebbe stato di tutti loro? Doveva parlare al Re e alla Regina, sì, doveva andare da loro, a rischio della propria vita.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Due giorni prima ***


L’aurora li colse abbracciati. Dopo l’amore si erano addormentati stretti l’una all’altro in quella piccola radura fatata, che li aveva riparati da un gruppo di rivoltosi in cerca di armi. Centinaia di lucciole vorticavano intorno come tante stelle cadenti e Oscar, dopo aver chiesto ad André di ritornare a casa perché consapevole che ormai la sua vista era sempre più precaria e dopo che lui si era rifiutato di abbandonarla a se stessa, si era finalmente dichiarata, aveva lasciato andare il fiero comandante per aprirsi alla donna meravigliosa e innamorata che era, aveva accantonato la sua abituale ritrosia e aveva deciso di aprire il suo cuore all’uomo che aveva imparato ad amare giorno dopo giorno, standogli accanto in quei mesi: non più il colonnello e il soldato, non più il comandante e l’attendente, non più la contessa e il servo, ma solo una donna e un uomo, Oscar e André, riuniti ora in una sola anima, a cui la vita aveva concesso poco tempo per assaporare la felicità completa. Fu il canto dell’allodola a svegliarlo. E non poté essere risveglio più felice! Lei era lì accanto a lui, la testa appoggiata sul suo petto circondato dai suoi meravigliosi capelli color dell’oro più fino, a fargli da coperta e a riscaldargli il cuore. Oscar, colta da un brivido, si strinse ancor più ad André, che la avvolse in un abbraccio protettivo. Il suo occhio vagò su quel corpo di donna e non poté trattenere la sua mano dall’accarezzarle la schiena nuda, con gesti lenti e amorevoli… Oscar mugugnò un buongiorno, aprì un occhio e con la mano scostò i capelli che le ricoprivano il viso.
“Buongiorno” - ricambiò André. “È ancora buio, puoi dormire un altro po’, se vuoi”
“Uhm… mi piacerebbe, ma forse… sarebbe meglio andare…” - rispose lei, mentre allungava la mano ad accarezzargli la guancia. André le prese la mano e la strinse nella sua. “Hai avuto freddo?” - le chiese
“No, non con te accanto”. Oscar alzò il viso verso quello dell’uomo e lo guardò con gli occhi persi d’amore e un sorriso le si allargò sul volto. “Ti amo” - gli disse. “Ti amo anch’io Oscar”. Gli occhi azzurri annegarono in quell’unico occhio smeraldino e le loro labbra chiesero un ultimo bacio, prima che il dovere li riportasse ai loro rispettivi ruoli. Si rivestirono aiutandosi l’uno con l’altro per non perdere il calore del momento: fuori li attendeva una giornata cruciale e Oscar in cuor suo sapeva che stava giocandosi il tutto per tutto, come ufficiale e come donna. Per la prima volta cavalcarono fianco a fianco, perché da quel momento in poi non ci sarebbero più state barriere fra loro a dividerli come in passato. Untiti, per sempre. La luce si era fusa nell’ombra e l’ombra l’aveva accolta, in un abbraccio indissolubile.
 
La caserma di Rue Chaussée d’Antin era un edificio di mattoni intonacati lungo e basso all’angolo con Rue des Capucines e Rue du Dépôt dove, il giorno prima vi era stata una scaramuccia con i soldati del Reggimento del Royal-Allemand, comandato dal principe di Lambesc e incaricato di contenere il malcontento popolare, primi segnali della tensione presente in città. Parigi infatti stava ribollendo come mosto in un tino, pronta ad esplodere da un momento all’altro, dopo che il re aveva fatto arrivare in città più di 30.000 soldati, provenienti dai vari eserciti, anche stranieri, pronti ad attaccare il popolo non appena avesse osato ribellarsi. La situazione era critica e lo stesso ordine era arrivato anche alla Compagnia B dei Soldati della Guardia Francese, comandati da Oscar. Ma lei non avrebbe mai potuto imporre ai suo soldati di sparare contro il popolo, sapeva, che se lo avesse fatto, si sarebbero rifiutati e forse persino rivoltati contro di lei. E non lo avrebbe fatto, non ora, perché aveva capito da che parte stare. 
In caserma Oscar radunò gli uomini, parlò loro col cuore e non si vergognò di dire loro che adesso lei era la donna di André e che rimetteva a lui ogni decisione. Se Oscar col suo comportamento, la sua devozione e il suo carisma aveva conquistato i suoi uomini, adesso li aveva in pugno. Era passata dalla loro parte e loro avrebbero dato la vita per lei e per il popolo. E nessuno di loro avrebbe potuto sparare sulla folla. Non l’avrebbero fatto e lei non l’avrebbe permesso. Oscar diede loro l’ordine di prepararsi e andò in ufficio a sbrigare le ultime pratiche: le sue dimissioni dall’esercito… Guardò quel foglio bianco e tutta la sua vita le passò davanti: l’accademia militare, le ore passate ad esercitarsi con la spada con suo padre prima e con André poi, la nomina a capitano delle Guardie Reali, l’incontro con la Delfina di Francia, la nomina a colonnello, la richiesta a Sua Maestà di passare ad altro incarico, l’arrivo fra i soldati della Guardia… trentatré anni vissuti come un soldato ed ora, diceva addio a tutto quanto, voleva vivere, Oscar, voleva provarci, finalmente, e non aveva più paura perché accanto a lei c’era il suo angelo custode. Scrisse un breve, laconico messaggio: “Io, Oscar François de Jarjayes, colonnello della Compagnia B dei soldati della Guardia Francese, rassegno le dimissioni dall’esercito con effetto immediato”. Lo firmò e ne preparò uno simile per André, lasciandoli sulla scrivania, in modo che il colonnello d’Agoult, il suo vice, li avrebbe trovati soltanto l’indomani. Rassettò la scrivania, posò un ultimo sguardo su quella stanza che la ospitava da più di un anno e si alzò, si girò ancora un’ultima volta e poi uscì, consapevole che non avrebbe più messo piede in quell’edificio. 
 
Un odore acre e pungente si stava propagando velocemente per la città. La maggioranza dei caselli daziari alle porte di Parigi era stato dato alle fiamme da una moltitudine di disperati che chiedevano a gran voce il pane e si stavano dirigendo verso i magazzini in cui era conservato il grano; fra questi vi era anche il convento di St. Lazare nel Faubourg de St. Denis vicino alla caserma dei Soldati della Guardia.  Soltanto il giorno prima in Piazza delle Tuileries, il reggimento del Royal Allemand aveva attaccato un gruppo di rivoltosi che, armati di sole pietre, riuscirono però ad allontanarli; era lo stesso reggimento che poco dopo avrebbe avuto una scaramuccia con i Soldati della Guardia. La compagnia di Oscar aveva ricevuto l’ordine di presidiare e di allontanare i rivoltosi, ma lei e un plotone di soldati avevano deciso di unirsi alla causa del popolo. Era preoccupata, nel profondo del suo cuore sapeva che in caso di scontri con gli altri reggimenti, i suoi soldati o lei stessa avrebbero potuto avere la peggio. Lei non aveva paura di morire, ma non avrebbe sopportato che… no! Non voleva nemmeno pensarlo, non poteva pensare ad un’eventualità del genere! Non adesso, che si erano appena ritrovati, che tutto poteva iniziare! Dio, perché! Perché doveva essere tutto così complicato, perché aveva aspettato così tanto tempo! Oscar scosse la testa, cercando di scacciare dalla sua mente quei pensieri come si scaccia una mosca fastidiosa. “Tutto bene comandante?” - Le chiese Alain, che si era accorto dei turbamenti scesi come un velo sul volto della donna. Oscar annuì soltanto, mentre guardava dritto avanti a sé. I reggimenti sparavano alla folla, che chiedeva loro di andarsene. Oscar fermò il cavallo e parlò ai suoi soldati, chiedendo loro di mantenere la calma, qualsiasi cosa fosse successa, di non reagire alle provocazioni.
Lungo il tragitto infatti, una moltitudine di uomini e donne armati di forconi, bastoni, fucili e ogni oggetto che potesse fungere da arma, seppur rudimentale, sciamavano lungo le strade ostacolando il passaggio ai soldati, che dovettero procedere in fila indiana con i cavalli al passo. Oscar li osservava attentamente: le occhiate torve dei cittadini li intimorivano: sapevano che al minimo gesto obliquo da parte loro, ogni movimento sbagliato, avrebbe potuto significare uno scontro. Il sole era già alto e caldo in quella mattina di luglio e avrebbe arroventato gli animi dei parigini, pronti ad esplodere. D’altronde ormai cos’altro aveva da perdere il popolo? Calpestato nella dignità, privato della libertà, vessato da tasse inique, non aveva più altra scelta se non quello di ribellarsi. Fa paura la fame ma un popolo affamato fa ancora più paura.
Arrivati al convento di St. Lazare la situazione era caotica. I cittadini protestavano, lanciavano bastoni e sassi contro i soldati, sperando di mandarli via. Un uomo, alto e corpulento, con gli zoccoli ai piedi e gli abiti logori, si fece avanti quale portavoce dei compagni dietro di lui, chiedendo ai soldati di lasciarli passare, che il re non poteva tenersi il grano tutto per sé! Fu raggiunto subito dalla moglie e dalfiglioletto, che, preoccupati, lo dissuasero dal continuare. Fu un attimo… uno dei soldati, un po’ troppo precipitoso, si mise in posizione di tiro, col fucile puntato sull’uomo, pronto a far fuoco, il dito sul grilletto, prese la mira. Lo sparo rimbombò nella piazza, mille occhi conversero tutti in un unico punto. Il flebile urlo di un’anima innocente caduta a terra a squarciare l’aria… Un’altra vittima portata via da un gesto vigliacco, dalla solerzia dell’odio di classe, dalla sollecitudine dell’obbedienza. Cadde a terra tra i mille occhi che si fecero carichi d’odio, tra le lacrime di un padre ammutolito dal dolore e le grida di una madre, a cui avevano strappato l’ultimo e più prezioso bene. La folla si strinse intorno a loro, triste presepe, incredula. La rabbia montava, qualcuno al grido di “Ammazziamoli!” aizzò la folla che cominciò a correre verso il reggimento, lanciando le loro povere armi, mentre quelli risposero col fuoco. E la prima linea cadde, sorpresa, perché forse quel fuoco davvero non se l’aspettava, non credeva che i soldati avrebbero usato i fucili contro i bastoni, ma il popolo non si arrese, ormai l’onda di piena era giunta ed era inarrestabile. E come un’onda si propagò a cerchi concentrici lungo le strade della città. 
Oscar alzò il braccio destro in segno di attacco, la prima linea della cavalleria preparò i fucili, pronti a sparare non appena il loro comandante avesse abbassato il braccio. Presi alla sprovvista, i soldati nemici cessarono il fuoco e si prepararono al contrattacco.  
“Chi siete?” - la voce stentorea del loro comandante, gli occhi strabuzzati dalla sorpresa - “Ditemi il vostro nome e grado!” - 
“Il mio nome è Oscar François, non ho più titolo, né grado”, così dicendo Oscar si strappò lo stemma della sua nobiltà dal petto e lo gettò a terra, tra lo stupore dei suoi soldati e lo sconcerto degli avversari. “Ordinate ai vostri soldati la ritirata, o darò l’ordine di sparare ancora!” - la voce calma e fredda, come acqua sul fuoco a stemperare gli animi. “Voi siete un nobile! Come potete puntare le armi contro di noi!” - esclamò quello sempre più esterrefatto e incredulo.
“Io e i miei soldati abbiamo deciso di combattere accanto al popolo, per la Libertà e per il bene della Francia!” - La folla, riscossa da un simile discorso, fu pronta a reagire insieme a quello che rimaneva della Compagnia B, che continuavano a tenere i fucili puntati. Forse per lo stupore, forse per non subire perdite, forse per la determinazione di quel biondo comandante, non rimase altro che eseguire quanto ordinato da Oscar e si ritirò in buon ordine. I cittadini, come attirati da una malìa, si mossero, lenti, verso il reggimento, che si volse verso di loro. Ancora increduli per quanto avevano visto e udito, guardavano tutti verso quel gruppo di Soldati. Le voci dapprima sommesse, poi sempre più forti: “Ma è proprio vero? Siete dalla nostra parte?” - chiesero dubbiosi - “Non ci credo! È una trappola!” - urlò qualcun altro. Di nuovo un brusio e le mani strinsero le pietre. Un paio di Soldati risposero che sì, potevano fidarsi di loro, perché anche loro facevano parte del popolo. Oscar si accorse del pericolo e, consegnate le proprie armi ad Alain, fu lesta a scendere da cavallo e andare in mezzo a loro. André, sgomento, le chiese cosa stesse facendo: sapeva che avrebbe avuto difficoltà a proteggerla in quel frangente. I suoi soldati, pronti comunque ad intervenire in caso di pericolo. In un attimo Oscar si trovò attorniata e stretta da decine di persone che la guardavano sospettosi. Se uno di loro l’avesse attaccata, non avrebbe avuto scampo. Un brivido le corse lungo la schiena, ma doveva farsi accettare da quelle persone e, soprattutto, far accettare i propri soldati o tutto sarebbe stato inutile. Non aveva paura di morire, ma non avrebbe sopportato farlo invano. Lei e i suoi soldati avevano disertato per combattere accanto al popolo e ora lo pregava di crederle. Trasse un sospiro di sollievo quando, dalla folla, uscirono Bernard e Rosalie che le andarono incontro dicendo a quella gente che potevano fidarsi di lei e dei suoi bravi Soldati della Guardia. Il clima si distese, dalla diffidenza si passò all’euforia, mani tese che si strinsero, saluti, abbracci. André salutò Bernard, che sperava ardentemente che l’uomo, che a causa sua era stato ferito all’occhio sinistro quando vestiva i panni del Cavaliere Nero, si unisse alla causa e ne fu felice, Rosalie si gettò fra le braccia di Oscar, salutandola calorosamente. 
Le porte del convento vennero aperte, mentre la folla si precipitò dentro, assaltando i magazzini da cui prelevarono ben 52 carri di grano. Ben presto tra il popolo si sparse la voce che una cinquantina dei Soldati della Guardia, capeggiati da Oscar François era passato dalla loro parte.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Rivoluzione ***


Il resto della giornata proseguì in una sorta di attesa: i reggimenti presidiavano le strade della città impegnati a tenere sotto controllo la folla che ormai andava ricomponendosi per evitare perdite inutili; i Soldati della Guardia capeggiati da Oscar scorrevano silenziosi cercando di disperdere i facinorosi e chi tentava di approfittarsi della situazione tumultuosa. Al tramonto, quando la maggioranza dei reggimenti si ritirava per la notte stabilendosi lungo le porte di Parigi, tornarono verso la piazza dove sostava il gruppo di Bernard, che nel frattempo aveva costruito le barricate, come suggerito da Oscar al mattino. Erano stanchi, ma sollevati all’idea di essere ancora tutti insieme. Cercarono un ricovero per i cavalli e per riposare. La serata era calda e umida, l’aria densa si appiccicava alla pelle e rendeva insopportabili le divise; la calma era tornata sulla città infuocata, i soldati, seduti sui gradini di una chiesetta adiacente la piazza cercavano di ristorarsi. Oscar e André non si erano rivolti la parola per tutto il giorno, non era tempo per l’amore, ma lei si era accorta che Alain gli era sempre appresso, qualcosa non andava. Alain e André erano seduti vicini, accanto ad un fuoco, li raggiunse e si sedette accanto a loro. Era stanca, spossata e sentiva che la febbre le era salita di nuovo.
“Giornata impegnativa, eh Comandante?” - Alain ruppe il silenzio e la tensione.
“In fondo è andata bene, non abbiamo perso nessuno” - disse Oscar girandosi verso André. Come attirato dal suo sguardo si girò verso di lei e le sorrise. “Come va l’occhio, André?” - “Come al solito, tranquilla!” - le prese la mano fra le sue e lei appoggiò il capo sulla sua spalla. Con una mano le accarezzò il viso e si accorse che era calda: “Sei calda, hai ancora la febbre… dovresti riposarti, ti stai strapazzando troppo e…” André non riuscì a terminare la frase, ché Oscar fu colta da una tosse irrefrenabile, che la scosse violentemente. Andrè e Alain si spaventarono, ma lei li allontanò.
André fu colto da sconforto e cominciò a chiamarla. Già un paio di giorni prima non gli aveva voluto dire nulla, quando l’aveva raggiunta sulla terrazza di palazzo Jarjayes, e lui le aveva chiesto di dirle cosa gli stesse nascondendo. 
“Va tutto bene, André, va tutto bene… è… è solo un po’ di tosse, tranquillo” - Si pulì la bocca con la manica, lasciandosi dietro una leggera striatura rossa. Alain stava per aprir bocca, ma Oscar lo fulminò con uno sguardo. “Meglio riposarsi allora, non credete?” - disse brusca. Si alzò ed entrò in chiesa, sedendosi su una panca e coprendosi con il mantello.
“Beh, amico… di sicuro stanotte la passerai con me! Sono quasi commosso!” - disse Alain ad André battendogli la mano sulla spalla e mettendosi a ridere… 
“Non ci contare, amico” - gli rispose di rimando con una gomitata - “La raggiungo e dovrà darmi delle spiegazioni…”
“Dì un po’… non avrai intenzione di profanare la chiesa!” - esplose in una grassa risata. “André…” - lo richiamò “riposatevi, domani sarà una giornata lunga”
“Anche tu Alain, grazie!” 
La chiesa era modesta, piccola, ma fresca, la differenza di temperatura con l’esterno fece tirare un sospiro di sollievo ad Oscar, che ora fissava il crocefisso. Davanti all’altare erano allineate un paio di bare solitarie, estremo giaciglio di chi quel giorno non ce l’aveva fatta. Un sottile profumo d’incenso permeava ancora l’aria e la donna riprese a respirare regolarmente. Pensieri cupi le traversarono la mente, ma si disse anche che quando tutto quello fosse finito, si sarebbe ritirata a vita privata. Doveva… Voleva provare almeno a guarire, sarebbe stata quella la sua futura battaglia, l’ultima della sua vita, probabilmente. Una mano, calda e gentile, si appoggiò alla sua spalla e lei trasalì. “Sembri pensierosa… sei preoccupata per domani?”, le chiese André con voce calma andandosi a sedere di fianco a lei. “Stavo pensando che domani sarà una giornata faticosa… chissà cosa succederà!”, tergiversò. “Hai paura?” André le mise pollice e indice sul mento e le voltò un poco il viso, in modo che fosse costretta a guardarlo. “Guardami!” - la sua voce adesso era diventata più dura e l’occhio, avvezzo ormai al buio sembrava brillare. “Voglio sapere cosa mi stai nascondendo… che cos’è quella tosse?” - Lei lo guardò, indecisa se confessarsi o meno; poi trasse un sospiro: “Ho la tisi, André” - glielo disse con tono incolore, come se non fosse importante, abbassando però lo sguardo. Se lei gli avesse sparato dritto al cuore, non avrebbe potuto fargli più male! 
“La tisi? Ma... ne sei sicura, Oscar?” - la voce prese a tremargli, le mani andarono a cercare quelle di lei, diacce, mentre gli occhi le si riempirono di lacrime. Il cuore batteva nelle tempie, Oscar percepì il respiro dell’uomo farsi più veloce, l’occhio sbarrato dal terrore… “Non è possibile… Oscar! È per questo che sei andata dal dottor Lassonne? Cosa ti ha detto?” - le parole gli uscivano allarmate dalla bocca, senza che lui potesse fermarle. Oscar alzò nuovamente lo sguardo su di lui, cercando il sostegno che sempre era stato nei momenti di sconforto e di dolore, gli si avvicinò e lo abbracciò, appoggiando il capo nell’incavo della spalla e si abbandonò ad un pianto liberatorio. André la circondò con un braccio, mentre con l’altro le accarezzava i capelli, chiuse gli occhi e appoggiò la sua guancia sul suo capo e restarono così, stretti l’una all’altro per alcuni minuti, con i cuori in tumulto, mentre la sua mano le accarezzava la schiena. Fu lei a rompere il silenzio, dopo essersi ricomposta: “Mi ha detto che se abbandonerò l’esercito e mi ritirerò a vivere in un luogo tranquillo, potrei avere qualche speranza di farcela…” 
André le afferrò le spalle e la allontanò da sé per guardarla in viso, poi appoggiò la sua fronte a quella di Oscar e sospirò. Chiuse gli occhi. “Allora domani ce ne andremo subito!”. Oscar sorrise, sapeva che lo avrebbe detto: “Se tutto andrà bene, potremo andarcene via fra pochi giorni… stamattina ho rassegnato le nostre dimissioni, adesso niente potrà più dividerci André… Io… vorrei tanto tornare ad Arras e vorrei… vorrei tanto diventare tua moglie”, prendendogli la mano, gli disse quella frase tutto d’un fiato, con la paura di non riuscire a pronunciarla…. André, colto di sorpresa a quelle parole, la abbracciò con tutta la forza che aveva, la prese in braccio e la baciò. “Sposiamoci! Qui, adesso!” Oscar spalancò gli occhi: “Cosa? André, ma…” Lui le mise due dita sulle labbra. “Aspettami!” La riadagiò sulla panca e corse fuori… Oscar si guardò intorno, incredula a ciò che le sue orecchie avevano sentito… aspettarlo! E cosa avrebbe dovuto fare di grazia? Sola, in quella chiesa!? Sposarsi mentre tutto intorno era dolore? Con quelle bare? Le sembrava la cosa più assurda che avesse mai udito! Si portò una mano alla fronte e guardò nuovamente il crocefisso. Un sorriso le dipinse il volto… era dunque quella la felicità? Il cuore che scoppia nel petto, la voglia di mettersi a saltare! Oscar si alzò, poi si fece il segno della croce e ringraziò il Signore… per quanto poco o tanto le avesse concesso di vivere, avrebbe deciso di vivere pienamente. 
André uscì di corsa verso Alain e i compagni che stavano giocando a carte su una cassetta rovesciata a fare da tavolino. “Ho bisogno di un paio di testimoni” - disse tutto d’un fiato. Quelli si bloccarono e alzando lo sguardo dal gioco, lo guardarono come ammattito. “Cosa hai detto? E a che diavolo ti servono due testimoni?” - replicò un allibito Alain, strabuzzando gli occhi. “Secondo te?… ah e devo anche cercare un prete” 
“André ma sei impazzito? Che vuoi fare?”
“Indovina? Su forza! Andiamo?” André prese Alain sotto braccio e stessa cosa fece con Lasalle, che guardò i compagni e alzò le spalle, si recarono sul retro della chiesa, verso la canonica, dove cominciò a battere sulla porta a suon di pugni. Una voce semi addormentata brontolò dal di dentro. La porta si aprì con un cigolio di cardini e catenacci, mentre un ometto, non tanto alto e un po’ robusto, con un lume in mano guardò il trio da sotto in su e con cipiglio arruffato protestò per i modi e l’ora: “Oh che succede? Che fate a quest’ora? È morto qualcuno?”
“No, padre, anzi… mi devo sposare… subito!”
“Ma che siam matti? Adesso? E non potete aspettare domani?”
“Domani potrebbe esser tardi, padre…” 
L’uomo fissò André nell’occhio, lo squadrò da capo a piedi e altrettanto fece con i due testimoni. Non avevano certo un bell’aspetto curato, la barba che si affacciava su quei visi stanchi e smunti, impolverati e sudati, le giubbe slacciate a prendere aria, avevano tutta l’aria di essere dei soldatacci, meglio non andare troppo per il sottile… “Aspettate qui, torno subito…”. Dopo alcuni minuti, il prete tornò vestito e con un librone sotto braccio. “Andiamo!” E si incamminò davanti a loro.
“Che mi venga un colpo Comandante! Non mettete certo tempo in mezzo, quando vi decidete!” - disse Alain ad Oscar con fare sornione, non appena la vide… “Certo siete la sposa meno sposa che abbia mai visto!” - e scoppiò in una fragorosa risata. Il prete, ancora più costernato nel vedere la donna soldato, si guardò intorno, per capire se tutto ciò non fosse solo uno scherzo, provò a protestare, ma dovette ben ricredersi, quando i due sposi lo convinsero che si trattava di una cosa seria… in fondo nessuno di loro avrebbe saputo dire se sarebbero arrivati all’indomani sera… La cerimonia fu relativamente breve, Oscar e André non riuscivano a staccare lo sguardo l’uno dall’altra, continuando a sorridersi per tutto il tempo. Fu solo quando dovettero firmare il registro, che si riebbero… “L’abbiamo fatto sul serio!” - esclamò André guardandola stupito e sfoderando uno dei suoi sorrisi malandrini. Poi prese Oscar in braccio e uscì sul sagrato dove il resto dei soldati li accolse con fischi e urla di giubilo! Fu Alain a ristabilire l’ordine e, comandando l’”Attenti!”, tutti i soldati si disposero su due file alzando le spade a formare un ponte sotto il quale dovettero sfilare gli sposi, tenendosi per mano.
“Beh! Ci vorrebbe proprio qualcosa da bere per festeggiare!” - urlò François - “Ehi Jean, perché non andiamo a vedere se qualche locanda è aperta?” 
“Ma non tornate troppo tardi!” - esclamò Lasalle.
“Allora vecchio mio! Non credi che dovresti festeggiare questa notte?” - Alain diede una pacca sulla spalla ad André. “Se vuoi ti presto casa… in fondo non è lontana da qui… è tutto tranquillo ora e ormai è buio” - gli disse sottovoce e facendogli l’occhiolino. Oscar lo sentì e arrossì… era stanca e dormire in un letto, anziché in terra, non le sarebbe dispiaciuto, ma si sentì anche in imbarazzo, sapeva che avrebbero fatto battutacce sul loro conto. André accettò volentieri e di buon grado e con uno scatto fulmineo lo abbracciò. “Grazie… davvero! Ti sono debitore” - 
“Sì, ma non farci troppo l’abitudine” - gli rispose Alain con uno strano luccichio negli occhi, poi lo abbracciò a sua volta e si salutarono. 
Recuperati i cavalli, i due novelli sposi, felici e increduli, galopparono verso la loro prima notte di nozze, mentre Alain raggiunse i compagni, con un misto di gioia, invidia e un pizzico di gelosia.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 14 luglio ***


Non era certo un avanzamento sociale quello che André Grandier cercava. Non il lusso, né tantomeno la bella vita. E non era nemmeno un capriccio, o il desiderio di un momento. No, André Grandier amava. Amava Oscar François di un amore vero, puro, costante e sincero. Niente e nessuno era riuscito ad ostacolarlo, poiché lui non amava un nome, o un simbolo, né uno status, o un corpo o un titolo, no… lui amava quella figura altera e apparentemente fredda, amava la donna fragile e spinosa, a volte scostante e silenziosa. Lui la amava al di sopra di tutto e di tutti, perché era lei, perché era fredda ma appassionata, altera ma giocosa, fragile ma coraggiosa, spinosa ma delicata, scostante ma disponibile, scorbutica ma amorevole. Lui la conosceva aldilà della maschera di impassibilità e rigore che aveva dovuto indossare insieme a quella maledetta divisa, perché Oscar era molto di più. Solo lui conosceva l’ardore che albergava nel suo animo nobile e giusto, la passione che metteva nello svolgere il proprio lavoro, o nel suonare il suo adorato pianoforte, o nell’esercitarsi con lui nella spada o la pistola, perché Oscar François de Jarjayes non era solo il suo Comandante, ma era l’amica di una vita, la sorella da proteggere, il suo mèntore e il suo maestro, era la donna che lui amava da sempre e che avrebbe amato per sempre, perché l’amore non si sceglie. L’amore accade; a volte è un accidente, a volte una benedizione, a volte entrambe le cose. E André non esitava mai a mettere la sua vita in pericolo pur di salvare quella della sua Oscar. E per lei, lui era solido come roccia, un porto ampio e sicuro a cui approdare nei giorni di tempesta, un porto tranquillo nei giorni di bonaccia in cui sostare. Era la sua certezza, il suo specchio, il suo sole intorno a cui ruotare e quando lei si voltava lui c’era sempre. E quando lui non c’era lei si sentiva incompleta perché silenziosamente lui si era insinuato in lei. Presenza costante, che lei, un tempo non lontano, aveva voluto allontanare da sé. Ma può la terra vivere senza il sole? Può girare su se stessa se non ha il suo asse? Può la luce dire di essere luce se manca l’ombra e può il giorno dirsi tale se non ha la notte? Perché lui era questo: sole intorno a cui girare, asse intorno a cui ruotare, ombra presso cui ristorare e notte presso cui riposare. L’aveva capito tardi che lo amava ma mai rivelazione fu più felice e più naturale: lei non poteva esistere senza di lui, perché lui era il suo tutto e solo lui era l’Amore. Così pensava Oscar mentre le luci del sole mattutino del 14 luglio filtrando dalla finestra di quella piccola stanza, l’avevano svegliata. Non vi erano più tornati dall’anno prima, quando avevano cercato Alain e l’avevano trovato al capezzale della povera sorella, morta suicida, per un dolore troppo grande. E lei? Si chiese… Cosa avrebbe fatto se André le fosse venuto a mancare? Sentiva che non avrebbe potuto vivere un minuto di più, ora più che mai… allungò una mano e fu sollevata nello scoprirlo accanto a sé. Allungò anche una gamba e la intrecciò alla sua; si avvicinò e scoprì quanto era bello, sereno, mentre dormiva. Si morse un labbro e sorrise al pensiero che ora quello era il suo uomo, che era suo… marito! Oddio, che follia il loro matrimonio! Rise fra sé… non era stata forse una follia la sua intera vita? Lo guardò di nuovo, fissò la sua schiena forte e muscolosa, le braccia nascoste sotto al cuscino, le spalle ampie e ripensò alla loro notte d’amore, così diversa da quella precedente, più consapevole e appassionata. Arrossì ricordando il calore dirompente che l’aveva travolta, alle braccia che l’avevano avvolta, ai baci che l’avevano percorsa tutta, alle parole piene di passione con cui André l’aveva amata; si abbassò a posare un bacio sulla sua spalla, percorse con le dita il solco della colonna, fino a raggiungere la collina delle natiche e andò ad appoggiarvi la guancia, ripercorrendo a ritroso la carezza con le dita; solo allora venne catturata da uno strano brusio proveniente dall’esterno. Si alzò di malavoglia e si infilò la camicia, andò alla finestra e la aprì per capire cosa stesse succedendo e un vociare forte, ma indistinto la colpì, riuscendo a captare solo “Bastiglia”. La strada sotto casa era tranquilla, doveva essere successo qualcosa più lontano. “Oscar! Che succede?” - un assonnato André la cercò a fatica sforzando l’occhio, intravvedendola poi vicino alla finestra. Si sentiva bene, si sentiva vivo, rinato, con lei e per lei. Era davvero felice André Grandier quella mattina ed era grato alla vita per avergli fatto esaudire il suo sogno più proibito. La raggiunse e si nascose dietro di lei, abbracciandola e baciandola sulla nuca. “Buongiorno… Madame Grandier!” - le sussurrò all'orecchio, facendola voltare e baciandola. Un brivido di piacere la percorse al sentirsi appellare con quel nome. “Buongiorno… Madame Grandier… suona bene, non trovi?" - gli sorrise lei, mettendogli le braccia intorno al collo e baciandolo a sua volta. "Che succede?" - tornò a chiedere lui - "Non lo so, ma sarà bene andare…” Dalla finestra vide arrivare Alain e François. “Presto, André, dobbiamo vestirci. Alain e François sono qui!”. Richiuse i vetri e finì di vestirsi, altrettanto fece André, ringraziando di essere uno preciso e ricordandosi dove avese messo i vestiti; quindi le si avvicinò nuovamente e la strinse a sé ad infondersi coraggio. Un bussare alla porta li separò, Oscar andò ad aprire e si trovò di fronte ai due soldati che li salutarono visibilmente agitati. “Stanotte Bernard vi cercava, Comandante.” Spiegò Alain – “Gli ho raccontato brevemente quanto accaduto e sono andato io con lui, spero non vi dispiaccia…” Oscar negò con la testa e l’uomo continuò “È giunta notizia che, da ieri sera, i cannoni della Bastiglia sono stati puntati sulla città e oggi… oggi il popolo ha deciso di attaccarla!”. “Attaccare la Bastiglia?” Oscar e André si guardarono, poi François aggiunse: “In migliaia si sono recati all’Hôtel des Invalides per prendere armi, molte armi, Comandante…” “ma le munizioni e la polvere da sparo sono alla Bastiglia” lo interruppe Oscar – “È così. Inoltre, Bernard mi ha riferito che ieri sera c’è stata un’assemblea elettorale in municipio e si è deciso di formare una Milizia Cittadina, per mantenere l’ordine, dal momento che noi… abbiamo disertato e ormai lo sa tutto l’esercito… ecco…” - Alain offrì due coccarde blu e rosse, i colori della città di Parigi, ai due amici, che lo ascoltavano esterrefatti - “le appunteremo anche noi sulle nostre divise, anche se ormai, non serviranno più. So che non dovrei chiedervelo, data la situazione, ma… Verrete con noi, non è vero?”. Oscar e André si cercarono nuovamente con gli occhi, poi si sorrisero e annuirono. “Certo! Potete contarci!” - rispose André. “Bene, allora, cosa stiamo aspettando?” – fece Alain di rimando... I quattro amici si avviarono giù per le scale, recuperarono i cavalli e se ne andarono verso quella che sarebbe stata ricordata come la giornata più memorabile di tutta la Rivoluzione. Una moltitudine di persone li travolse lungo le strade principali e in breve si riunirono con il resto degli ex Soldati della Guardia raggiungendo insieme la Bastiglia. La situazione non era delle migliori: il marchese De Launay aveva giurato di non aprire il fuoco sulla città a meno che non fosse stato il popolo a sparare per primo, per prender tempo. Intanto aveva fatto sollevare il ponte levatoio e i soldati presenti alla guarnigione si misero dietro alle feritoie pronti a sparare, causando diverse vittime e feriti. Il popolo era confuso, non sapevano usare bene le armi e non sapevano come far funzionare i cannoni. Ci fu un’euforia generale quando videro i Soldati della Guardia andare verso di loro. “Ci penseremo noi a far funzionare i cannoni!” - Urlò il Comandante. “Soldati! Preparatevi a sparare!” Alain, François, Jean, Lasalle, Hulin, Elié e gli altri soldati disertori, si posizionarono dietro ai cannoni, André di fianco ad Oscar pronto a proteggerla, come sempre. Gli altri si erano disposti su due file con i moschetti, pronti a sparare e a darsi il cambio. “FUOCO!” - Gridò Oscar brandendo la spada, e un boato si propagò in tutta l’area, mentre le palle dei cannoni andavano a colpire le mura della fortezza! “FUOCO!” – Gridava Oscar, gridava con quanto fiato aveva in gola per farsi sentire, certo, ma anche per via di una strana euforia, che si era impadronita di lei; si sentiva bene e forte, come non le capitava da tempo; ordinò al popolo di preparare carri di fieno sotto al ponte levatoio e di incendiarli, in modo da farsi scudo con il fumo e poter così assaltare il ponte e farlo cadere. “Una volta abbassato faremo irruzione! Non cessate il fuoco! Mirate ai cecchini!” Oscar si muoveva in continuazione, eccitata dalla furia della battaglia, sembrava davvero la dea della guerra… André faceva del suo meglio per proteggerla, con la vista che non lo aiutava, peggiorata anche a causa del fumo denso dei cannoni e dei carri di fieno. Sudava freddo ora, André, aveva paura per lei, ma anche per sé, non avrebbe proprio voluto lasciarla sola, ora che era sua, finalmente sua e per di più sua moglie! Il desiderio di una vita si era avverato e… no, non poteva proprio lasciarla sola… Fu un momento, un istante che passò come un lampo, un luccichio lo colpì all’occhio e, alzando lo sguardo, capì che qualcuno da lassù stava mirando a loro. “Lassù!” – fece in tempo ad urlare verso i compagni, poi si voltò di scatto e d’istinto si buttò sopra Oscar, alla sua destra, rovinando a terra sopra di lei. Sentì una fitta alla schiena e un’altra alla gamba, sentì la donna sotto di lui, poi, tutto… fu buio. Oscar, che non si era accorta di nulla, rimase sorpresa nel trovarsi André sopra di lei; le aveva avvolto la testa con un braccio e il corpo con l’altro, ma capì subito che qualcosa non andava, non sentiva la forza dell’uomo, ne sentiva solo il peso. Lo chiamò, ma non ottenne risposta. Spaventata, lo chiamò con più voce, ancora e ancora, ma André non si mosse. Allora percorse nuovamente la sua schiena con le mani e si accorse, con orrore, che si erano macchiate di sangue…

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** La ruota del destino ***


Il tempo sembrava essersi sospeso. Il suo cuore sembrava essersi sospeso, le sue mani erano rimaste sospese davanti ai suoi occhi, sbarrati e sospesi anch’essi e fissi sul capo moro… non sentiva più nulla Oscar, non avvertiva alcun rumore, solo la sua voce che urlava il nome di André. Alain, accortosi di quanto accaduto, comandò ai soldati di continuare a sparare e coprire il Comandante, correndo subito da lei. “Comandante! Comandante!” – la chiamò – “Alain aiutami! André è ferito! L’hanno colpito!” – Alain prese l’amico per le spalle e lo alzò leggermente, Oscar sgusciò via dal corpo, provò ad alzarsi, ma le gambe le tremavano e dovette appoggiarsi al suo secondo. André era pallido, inerme, giaceva a terra come un sacco vuoto, non rispondeva ai richiami. La donna si guardò le mani insanguinate e come una furia si gettò su quel corpo esanime urlando nuovamente il suo nome. “Dobbiamo spostarlo da qui, o sarà e saremo un bersaglio troppo facile”, gridò Alain, anche lui tremante, spaventato e arrabbiato. La donna si fece forza, e aiutò Alain a sollevare l’uomo prendendolo sotto le spalle, cercando di alzarlo e trascinandolo al sicuro, lontano dal fuoco nemico. Rosalie, che si trovava poco lontano, li vide e corse loro incontro, indicando il posto dove stavano medicando i feriti e li accompagnò. Oscar non riusciva a pensare, tremava tutta, lo guardava fisso, il capo reclinato, trascinava i piedi… lei si sentiva ancora il peso del corpo di André su di sé e non poteva, non voleva! credere che fosse… no! Non riusciva proprio a dirla quella parola maledetta! André non poteva morire, non ora, sarebbe stato troppo crudele, perché la vita avrebbe dovuto accanirsi in tal modo su di loro? “André, fatti forza! Coraggio, non mollare!” – sentì Alain incitare l’amico. “Eccoci, adagiatelo qui, piano. Vado a chiamare il dottore…” Rosalie sparì nel vicolo e ne ritornò subito dopo con un uomo di mezza età, con i vestiti macchiati di sangue, segno che André non sarebbe stato né il primo, né l’ultimo ferito di quella giornata. “Sono il dottor Aubin, cosa gli è accaduto?” – chiese con voce ferma, prendendo subito a tastare il polso di André, mentre Oscar cercava di spiegargli quanto fosse successo poco prima. “Il polso è veloce e il respiro affannoso… aiutatemi a girarlo e fate attenzione”. Esaminò attentamente la ferita, poi guardò entrambi seriamente e disse loro di portare immediatamente il ferito all’Hôtel-Dieu, lì lui, con i suoi pochi strumenti, non avrebbe potuto fare nulla, se non tamponargli la ferita. Con poche e semplici mosse gli tolse la giubba e strappò la camicia, ne fece bende con alcune delle quali lo pulì dal sangue, versò del liquido trasparente estratto da una bottiglietta di vetro marrone, che teneva nella valigetta e tamponò tutto attorno. Prese altre bende e lo fasciò. Il proiettile era penetrato nella carne, il buco che aveva lasciato era profondo. Solo dopo si accorse anche della ferita alla gamba; tagliò lungo il bordo esterno del pantalone e la medicò: il proiettile lo aveva solo sfiorato. Prese altri pezzi della stoffa della camicia, li strappò, ne fece altre bende e fasciò stretta la coscia di André. Oscar era paralizzata, controllava tutto ciò che faceva il medico e non si accorse nemmeno che Rosalie le teneva la mano e quando Aubin ebbe terminato il suo lavoro, si sentì impotente. “Comandante, vado a prendere i cavalli” – quella frase la ridestò. Annuì e si avvicinò ad André, gli prese la mano e se la avvicinò al viso, pregandolo di non lasciarla sola e mentre lo guardava, ripensò ai momenti che avevano appena vissuto insieme, a quella felicità appena trovata e già sfuggita. Non riusciva a darsi pace e pregava in silenzio quel Dio a cui solo poche ore prima aveva aperto il suo cuore, chiedendo clemenza. Ma se quello fosse stato il prezzo da pagare per la sua salvezza, se Dio in cambio si fosse preso il suo André, allora… allora non lo avrebbe accettato! Sarebbe morta lei, piuttosto… Perché André? Perché? Non aveva forse già sofferto abbastanza per lei? Prese a baciargli la mano, mentre non riusciva più a trattenere le lacrime. Aveva gli occhi chiusi e non si accorse che alcuni dei soldati le si erano fatti intorno per sapere. Qualcun altro invece la chiamò per portare buone notizie: “Comandante! Comandante! Sulla Bastiglia sventola la bandiera bianca! Si sono arresi! Comandante!” – “Finalmente! Ce l’abbiamo fatta!” – rispose Oscar cercando di farsi forza, con lo sguardo sempre fisso sul marito. “Hulin, prendi tu il comando, io attendo Alain e andrò con André, dobbiamo portarlo all’Hôtel-Dieu, dovrà essere operato”. “Va bene Comandante, agli ordini!” – Hulin e gli altri soldati fecero il saluto militare e corsero nuovamente alla Bastiglia. Poco dopo arrivò Alain con i cavalli, caricò André davanti a sé e corsero verso il vecchio ospedale che si trovava sull’Île de la Cité; il cuore in gola, Oscar correva avanti, implorando di non trovare ostacoli lungo la strada e voltandosi di quando in quando per vedere se Alain riuscisse a seguirla… sembrava una furia, galoppava intenzionata a farsi strada senza badare se sul loro cammino avessero trovato soldati o gente comune. Arrivarono all’Hôtel Dieu. Il pomeriggio caldo e afoso stava lasciando il posto alle nubi che all’orizzonte si erano fatte dense e scure: prometteva pioggia, dopo una giornata infuocata. L’aria greve, immobile e tesa, Oscar con umore plumbeo percorreva in su e in giù il lungo corridoio dell’ospedale, la marsina slacciata, spettinata, sudata, gli occhi cerchiati dal pianto, lucidi, sentiva la febbre salirle di nuovo; cercò aria affacciandosi ad una delle finestre che davano sulla piazza, ma, nonostante il temporale in arrivo, sentì solo più calore, riverberato dalle pietre del selciato e dei muri. Si sentiva soffocare. Quanto tempo era trascorso da che André era sparito dietro alla porta dell’aula di anatomia? “Madamigella Oscar? Siete proprio voi?” Si sentì chiamare e voltandosi, con suo stupore si trovò di fronte al dottor Lassonne. Era in maniche di camicia e il volto stravolto. “Dottore! Voi qui?” chiese Oscar sorpresa – “Ho risposto alla richiesta d’aiuto del mio amico Desault… sembra che oggi tutti abbiano bisogno di un chirurgo…” – le disse il medico a sottolineare la criticità di quella giornata. “Dottore, vi prego! Fatemi avere notizie di André! È lì dentro da almeno un paio d’ore!” – lo supplicò. Il dottore osservava Oscar, la marsina strappata e macchiata di sangue, il viso stravolto… abbassò lo sguardo, annuì ed entrò, per uscirne qualche minuto dopo... “L’operazione sta finendo ed è andata bene, il proiettile è stato estratto… purtroppo il polmone destro era collassato ed è stato necessario intervenire per ripristinarne la funzione… inoltre André ha perso molto sangue… bisognerà vedere come andranno le prossime ore. La situazione è abbastanza critica, mi dispiace Madamigella Oscar…” A quelle parole Oscar crollò a terra e, coprendosi il viso con le mani, pianse, chiamando André. Il medico le pose una mano sulla spalla, si chinò e la rassicurò: “Fatevi coraggio, Madamigella Oscar, il vostro André è forte… Voi, piuttosto… ” Oscar alzò il viso e lo guardò: “Ho dato le dimissioni…” bisbigliò. Il dottore le strinse la spalla e la guardò mesto, sentendo tutto il dolore di quell’anima in pena; si chiese quante volte ancora avrebbe dovuto vederli così, su un letto, moribondi e quante volte ancora avrebbero sfidato la sorte prima di soccombervi. “Andate via! Lasciate Parigi… Madamigella Oscar, vi prego, datemi retta!” Avevano le maniche di camicia arrotolate fino al gomito, l’aria stanca, di chi non riposava da un po’, quando uscirono sulla soglia il dottor Desault e il dottor Corvisart , in prestito anche lui dall’Hôpital de la Charité. Il dottor Lassonne li avvicinò e indicò loro in direzione di Oscar. “L’operazione è stata molto delicata ma è riuscita…” – disse il più anziano dei due. Alain, che fino a quel momento era rimasto appoggiato al muro con gli occhi chiusi, si fece vicino e chiese se il suo amico si sarebbe salvato. “Non lo sappiamo… la ferita era profonda. Siamo riusciti a ripristinare il polmone collassato, ma dobbiamo comunque aspettare… se supererà la notte e non subentrerà un’infezione, potrebbe farcela. In ogni caso, dovrà rimanere qui in ospedale almeno per qualche giorno, non può muoversi e dobbiamo tenerlo in osservazione… Con permesso” e i due medici scomparvero nuovamente dietro alla porta. Dopo alcuni minuti, che a Oscar parvero interminabili, uscirono due uomini robusti con una portantina su cui era adagiato André, bendato di tutto punto. Attraversarono corridoi ai cui lati giacevano altri feriti di quella giornata, sdraiati su pagliericci improvvisati e Oscar si augurò che anche ad André non toccasse la stessa sorte, ma l’uomo venne trasportato in una camerata e adagiato su un letto. Oscar gli sedette accanto, gli scostò i capelli dal viso accarezzandogli la fronte, scendendo poi sulla guancia, resa ruvida dalla barba appena accennata; si chinò a baciargli le labbra, erano calde e sentì su di sé il suo respiro tornato regolare. “Non puoi lasciarmi, André, non puoi. Ora anche l’amore ci unisce, hai capito? Ti prego… non lasciarmi!” – Salì a baciargli l’occhio ferito, poi l’altro, infine la fronte, sulla quale vi appoggiò la guancia e rimase lì, con gli occhi chiusi, fino a quando entrarono nello stanzone, spoglio, con una decina di letti per lato, e solo un crocifisso ad abbellire il muro al di sopra della porta, un paio di suore, per distribuire un misero pasto agli altri astanti. Le due sorelle, pensando che si trattasse di un uomo, le si avvicinarono immediatamente con una certa contrarietà e le chiesero di uscire, ma non appena Oscar si voltò provando ad opporsi, le due donne ristettero, ma furono irremovibili. Era il regolamento. Oscar era stufa di regolamenti e avrebbe volentieri estratto la sua spada e puntata dritta al viso delle due, ma si ricordò dov’era e, a malincuore, uscì. Fuori nel corridoio Alain la aspettava seduto su una panca, la testa appoggiata alla parete e gli occhi chiusi. Era stanco, non dormiva da due giorni, ma non se la sentiva proprio di lasciare da solo il suo Comandante… già… il suo Comandante: cosa avrebbe fatto adesso? Era così diversa dalla donna che aveva conosciuto poco più di un anno prima… Cosa avrebbero fatto adesso tutti loro? Cosa ne sarebbe stato delle Guardie Francesi? Tutta la Compagnia B aveva disertato, alcuni dei suoi compagni erano morti in quella drammatica giornata, altri feriti e il suo migliore amico era steso in un letto e non si sapeva se sarebbe sopravvissuto. Oscar gli si sedette accanto e gli sorrise, quasi come attirato da una calamita non poté fare a meno di passarle due dita su una guancia: “Siete molto stanca, dovreste andare a riposare…” – “Anche tu Alain… siamo tutti stanchi. Hai notizie dei tuoi compagni?” – “No, purtroppo no…” – Come avessero seguito un richiamo lontano, Oscar e Alain furono raggiunti da uno sparuto gruppo di soldati, insieme a Rosalie e a Bernard. “Comandante! Alain!” François, Jean, Lasalle e un altro gruppetto si fecero attorno, ansiosi di conoscere le sorti di André e raccontarono di come Hulin fosse entrato alla Bastiglia e avesse tentato in un primo momento di negoziare e poi di salvare il marchese de Launay dalla folla che invece lo aveva accusato e poi portato al Palais Royale e di come Hulin fosse stato coraggioso. Fu Alain a rassicurarli sulle condizioni di André. Lei si scusò, aveva bisogno di aria e di rimanere sola, era stanca, sfinita, svuotata; le emozioni di quella giornata erano state troppe, anche per lei. Era piovuto e l’aria era stata rinfrescata dal temporale ma quando uscì sulla piazza, venne investita dalla calura che saliva dal selciato e, subito dopo dall’aria umida e fresca. Voltandosi, si ritrovò davanti l’immensa cattedrale di Notre-Dame, strinse i pugni e levò il viso al cielo. Inspirò, ma il fiato le si spezzò e cominciò a tossire. Sfinita, andò alla rimessa dove vi trovò César e galoppò lungo la Senna, in preda alla rabbia e al senso di colpa, per non essere stata in grado di proteggere uno dei suoi uomini, il più prezioso, il più amato… Lasciò che i pensieri e il cavallo corressero, il suo incubo peggiore si era concretizzato; pensava ad André, a quanto tempo aveva sprecato, a come sarebbe potuta essere diversa la loro vita se si fosse resa conto prima di amarlo… Aveva appena passato i giardini delle Tuileries quando si ritrovò circondata da una folla esaltata che si dirigeva verso Palais Royale. Faticò a rimanere in sella e si spostò da un lato per non rimanerne travolta e chiedendosi cosa mai avessero da esultare a quel modo, fin quando, con orrore, vide teste di uomini infilzate sulle picche e fra queste riconobbe quella del marchese De Launay... si portò le mani alla bocca per reprimere un grido. Qualcuno la notò per via dell’uniforme e, pensando fosse una guardia si avvicinò pericolosamente. Oscar, notata la minaccia, spronò César, che partì in direzione opposta. Questa volta la folla era troppo presa dall’impresa eroica per occuparsi di un singolo soldato, per giunta male in arnese e tirò dritto per la propria strada. Era sera ormai, il cielo, tornato sereno, si andava tingendo dei colori infuocati del tramonto, i piccioni volavano alti alla ricerca di un posto per passare la notte, Oscar si fermò in un vicolo terrorizzata, era ancora viva dentro di lei la sensazione di panico che le era presa un anno prima, non troppo lontano da lì, a St. Antoine… un nodo alla gola e la fatica del respiro, sudava… si tolse la marsina, la appoggiò davanti a sé, guardandola come si guarda una cosa vecchia e inutile: ormai non le sarebbe più servita, non era più il Comandante, non comandava più niente e nessuno… si abbandonò sul collo del suo bianco cavallo, in preda allo sconforto... Alain, che l’aveva seguita ed era stato pronto ad intervenire, la osservò da lontano: la guardò e, per la prima volta, le sembrò piccola, fragile e indifesa, senza André accanto. La raggiunse e le poggiò una mano sulla spalla… Oscar sentì il calore benefico diffondersi e si immaginò che André l’avesse finalmente raggiunta e per poco voltandosi non gli parve davvero lui… “Oh… sei tu Alain…” – una sfumatura di delusione le sfuggì quando lo riconobbe. Il soldato le sorrise e le disse che Rosalie l’avrebbe attesa a casa e che aveva l’ordine di accompagnarcela. Contrariamente a quanto si sarebbe aspettato, lei non protestò, si lasciò guidare fino a casa Chatelet e non si stupì dell’accoglienza affettuosa che la aspettava. Rosalie le aveva preparato una cena, un bagno caldo e dei vestiti puliti, anche se di seconda mano; non riuscì a mandar giù che un paio di cucchiai della zuppa, aveva solo sete, molta sete. Bussarono alla porta chiedendo di Bernard, perché al Municipio era successo qualcosa. L’uomo uscì di corsa insieme ad Alain. Rosalie aiutò poi Oscar a svestirsi e non poté fare a meno di notare quanto la sua benefattrice fosse cambiata, ma non osò chiederle nulla; la aiutò poi a lavarsi e a rivestirsi, con una delle sue camicie da notte e la accompagnò al letto, ma appena la donna si sdraiò la tosse tornò stizzosa a mozzarle il respiro. Oscar tentò di tranquillizzare la ragazza, ma più cercava di parlare, più il fiato le veniva a mancare e quando vide un rivolo di sangue vicino alla bocca, Rosalie si spaventò. “Voi non state per niente bene! Lasciate che vada a chiamare un dottore!” – Oscar non ebbe nemmeno la forza di ribattere, continuando a torcersi e a squassarsi. Quando Madame Chatelet tornò con il dottor Aubin, trovarono la donna semi-incosciente sul letto. Il medico si sorprese nell’accorgersi che l’ufficiale del pomeriggio e la donna sul letto fossero la stessa persona, come gli sembrò fragile in quel momento! Le prese subito il polso e si accorse che era molto accelerato, ne tastò la pelle e si accorse che era secca, la osservò, il volto pallido e scavato, la fronte calda… e quel rivolo di sangue che le usciva dalla bocca gli fece intuire cosa le stesse accadendo. “Temo sia molto malata”, sentenziò il medico. Rosalie lo guardò, smarrita. Aubin chiamò Oscar e le passò i sali sotto al naso fino a quando si riebbe. Volle sapere del suo stato di salute e se stesse facendo qualcosa per curarsi e quando ebbe la conferma dei suoi sospetti, le intimò di lasciare subito ciò che stava facendo o non avrebbe avuto scampo. Oscar gli ripeté quanto già aveva saputo dal dottor Lassonne pochi giorni prima. Visto lo stato di prostrazione in cui si trovava la donna, Aubine si fece dare da Rosalie un bicchier d’acqua in cui versò poche gocce di laudano per farla riposare. Se ne andò, con la promessa che sarebbe tornato l’indomani mattina.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Un nuovo giorno ***


Si era addormentato, infine, e si era risvegliato di colpo su quella poltrona, trafitto dai raggi del sole, con la testa pesante. Si guardò intorno, la stanza sottosopra, gli ci volle un po’ per ricordare cosa fosse accaduto. Preso dalla furia si alzò di scatto, andò alla finestra e chiamò lo stalliere per farsi preparare il cavallo. Prese la marsina, se la infilò e la lisciò, poi uscì dallo studio di gran carriera e, senza salutare anima viva, se ne partì alla volta di Versailles. Il sole era già alto e l’uomo galoppava lungo la strada che lo avrebbe condotto alla Reggia. Aveva fretta, temeva che potesse accadere il peggio. Nonostante il caldo di luglio penetrasse fin dentro le ossa, sentiva freddo: la fronte imperlata di sudore e una morsa di gelo a stringergli il cuore e le membra. Un unico pensiero fisso: “Fa ch’io arrivi in tempo!”. In realtà nemmeno lui sapeva cosa aspettarsi: Sua Maestà sapeva? Era già al corrente di quanto accaduto? Come avrebbe agito? E i ministri e i consiglieri sapevano? Ma più di tutti temeva il Generale Bouillé. Già una volta si era trovato a dover affrontare un simile episodio, ma allora lui era ben deciso a vendicare l’oltraggio arrecato da quella figlia ribelle… adesso invece voleva trovarla e capire… Arrivò alla Reggia trafelato, percorse i corridoi che portavano alle stanze private di Sua Maestà quasi correndo, bussò all’anticamera, attendendo che il valletto venisse ad aprirgli e a lui chiese di poter essere ricevuto, ma gli venne comunicato che il Re si trovava presso l’Assemblea Nazionale e non avrebbe saputo dirgli quando sarebbe tornato. Non gli rimase che attendere… Il medico tornò a casa Chatelet e trovò Oscar ancora addormentata; sembrava che non dormisse da mesi. Era sudata, ma la fronte era fresca, il battito regolare. Non volle svegliarla e lasciò a Rosalie alcune bottigliette con le istruzioni per il loro utilizzo, insieme ad una bottiglia di latte, con la preghiera che al suo risveglio non andasse da alcuna parte, sarebbe passato più tardi, dopo aver effettuato altre visite. Raccomandò a Rosalie di tenere ben arieggiata la stanza e la casa e che non si avvicinasse troppo alla malata, dato il suo stato interessante e se ne andò. La sera del 14 luglio, mentre si recavano al Municipio, Alain e Bernard, incontrarono la folla, che, inferocita, aveva arrestato il prévôt des marchands Monsieur Jacques de Flesselles, accusato di tradimento e di cospirazione con la nobiltà per affamare il popolo parigino. Lo stavano conducendo al Palais Royal per essere processato. Al Municipio li accolse Robespierre, che raccontò loro quanto successo: Parigi non aveva più il suo sindaco. Poco dopo li avrebbe raggiunti la notizia che anche Monsieur Flesselles sarebbe stato ucciso e quindi decapitato, proprio come il marchese De Launay… Alain, stanco e stufo anche di avere notizie di quel tenore, lasciò Bernard e si diresse verso casa, dove trovò il letto in cui avevano dormito Oscar e André ancora sfatto: ripensò allo sguardo limpido e finalmente felice con cui l’amico lo aveva accolto il mattino, a quello vivace del suo Comandante, alla gioia che poteva leggere sui loro volti… Con l’animo sconvolto prese a togliere le lenzuola, buttandole a terra, gettò i cuscini contro il muro e prese ad inveire, battendo i pugni sul povero materasso nudo e incolpevole e vi si buttò sopra, lasciando finalmente uscire le lacrime trattenute per troppo tempo. Il sonno lo colse così, steso sul povero giaciglio con ancora i vestiti addosso. La luce del mattino fendeva la penombra della stanza, andando ad illuminare il letto e il muro di fronte alla finestra, a cui era poggiato un semplice tavolino su cui era un catino pieno d’acqua. Ma non fu tanto la lama di luce che impertinente gli lambiva gli occhi, quanto lo scalpiccìo degli zoccoli e lo stridìo delle ruote dei carri sul selciato, a risvegliare Alain; il quartiere cominciava a ripopolarsi per tentare di dare una parvenza di normalità al tempo… Cosa sarebbe accaduto oggi? – Si chiese mentre con i palmi si stropicciava gli occhi. Si guardò al piccolo specchio appeso sopra al tavolino: aveva avuto decisamente aspetti migliori, persino le sbronze più sonore non lo avevano ridotto in quello stato; decisamente l’ultimo anno lo aveva segnato parecchio. Fu tentato di girare quel bugiardo, poi si disse che il suo aspetto non sarebbe migliorato se, nel radersi, si fosse pure tagliuzzato. Si diede allora una rinfrescata, cambiò la camicia e, per la prima volta da quando era entrato nei Soldati della Guardia, non indossò la divisa. Si tagliò una fetta di pane, che fece abbrustolire sulla stufa con una fetta di formaggio, scaldò il poco latte rimasto e poi decise di recarsi all’ospedale per avere notizie di André, sicuro che lì avrebbe incontrato anche il suo Comandante… rimase molto stupito quando invece non trovò nessuno. André giaceva nel letto, ancora pallido, ma vivo, seppure in uno stato di torpore. All’Assemblea Nazionale c’era un gran fermento. Le notizie dei fatti del giorno prima li avevano sconvolti. Prima il conte Mirabeau aveva incitato gli animi proclamando il trionfo della Libertà, poi aveva messo in guardia dalle possibili derive violente e distruttive che avrebbe potuto prendere la folla armata. Toccò poi all’astronomo Bailly e quindi a Robespierre, uno dei pochi presenti a quella giornata terribile e indimenticabile, prima che venisse data parola a Sua Maestà Luigi XVI, che chiese aiuto ai deputati per superare la crisi. «Beh, sono io ad essere tutt'uno con la nazione; sono io che mi fido di voi. Aiutatemi in questa circostanza per garantire la salvezza dello Stato. Questo mi aspetto dall'Assemblea Nazionale... e contando sull'amore e sulla fedeltà dei miei sudditi, ho ordinato alle truppe di lasciare Parigi e Versailles.» Il discorso del re fu colto con entusiasmo. I deputati dell’Assemblea decisero infine di inviare una delegazione a Parigi, per tentare di rimettere le cose al loro posto. Poco distante da quella sala, un altro uomo in quel momento stava percorrendo in su e in giù il suo ufficio, guardando di tanto in tanto fuori dalla finestra, come se stesse attendendo l’arrivo di qualcuno. Si sedette allo scrittoio, solo dopo averlo visto arrivare. Pochi minuti e l’uomo bussò alla porta. “Generale Bouillé! L’abbiamo cercato ovunque, ma il Colonnello Jarjayes sembra essere svanito nel nulla!” Il Generale emise una sorta di grugnito, poi sbatté il suo bastone a terra: “Avete cercato anche negli ospedali? Può essere stato ferito!”. “Sette dei suoi uomini sono morti, durante l’assalto, Generale e uno ferito, gravemente”. “Chi è?” “Soldato semplice André Grandier, Signore” Il Generale si sfregò il mento cercando nella sua memoria… Quel nome non gli ricordava nulla in particolare, poi via via cominciò ad insinuarsi nella sua testa. “Bene, continuate a cercare!” e mentre liquidava il suo sottoposto, si alzò e si recò all’appuntamento con il Consiglio. Avrebbe dovuto parlare col Generale Jarjayes e interrogarlo riguardo alla figlia… questa volta non avrebbe potuto essere perdonata, un nobile che tradisce a quel modo va punito con la pena capitale! Il generale Jarjayes attendeva pazientemente guardando fuori da una delle finestre dell’anticamera, per quanto chi l’avesse osservato bene, avrebbe potuto vedere il tamburellare delle mani conserte dietro la schiena e un leggero movimento delle spalle, ne avrebbe udito i sospiri e notato il viso teso e preoccupato. Si riscosse quando udì la porta che si apriva. “Il Re è disposto a ricevervi” – gli comunicò il valletto di camera. “Generale Jarjayes! A cosa dobbiamo la vostra visita? Mi è stato riferito che aspettate da diverso tempo…” “Vogliate scusarmi Maestà… ecco… Si tratta dei fatti accaduti ieri a Parigi…” “Mi è stato riferito, sì e stamane all’Assemblea Nazionale abbiamo convenuto di recarci di persona fra un paio di giorni…” Strano, pensò il Generale… a quanto pare non gli è stato riferito nulla di particolare… “E non vi hanno riferito null’altro, Maestà?” “Della caduta della Bastiglia? Tutto il popolo sembra vi abbia preso parte… Purtroppo ho saputo anche che il marchese De Launay e Monsieur Flesselles sono stati decapitati e le loro teste esposte sulle picche… a quanto pare non si tratterebbe di una rivolta… ma di una rivoluzione!” rispose preoccupato “Sì Maestà, proprio così…” – anche il Generale Jarjayes fu sorpreso da quelle affermazioni: il Re non aveva fatto il minimo cenno ad Oscar… era possibile che non ne sapesse ancora nulla. “Maestà… credo sia mio dovere informarvi che a capo dei rivoltosi c’era… ecco…” – difficile pronunciarsi, difficile esternare quel nome… era come strapparsi via un pezzo di sé e darlo in pasto ai cani. Trasse un profondo sospiro, abbassò il capo e chiuse gli occhi… “Generale, vi vedo molto preoccupato… che cosa è successo? Forse…?” “Sì, Maestà!” tuonò poi alzando il viso e guardando l’altro negli occhi. “A dare gli ordini di assaltare la Bastiglia mi hanno riferito ci fosse mio… mia figlia, Oscar!” Luigi XVI guardò il generale come se non avesse ben capito. “Oscar?” ripetè. “Ma… ne siete proprio sicuro?” “Così mi hanno riferito, Maestà. Ne sono profondamente addolorato” – disse stringendo i pugni. “E sono pronto a pagarne le conseguenze…” Bussarono alla porta. Venivano a chiamare il Re al Consiglio che il Generale Bouillé aveva indetto. Fu invitato a partecipare anche il Generale Jarjayes Come in un deja-vù, il Generale Jarjayes assistette rimanendo neutrale. Bouillé e gli alti comandi militari decisero che il Colonnello Oscar François de Jarjayes andava arrestato e sottoposto al Tribunale Militare. La sua colpa era grave e tale sarebbe stata giudicata. Il Re sul momento decise di non esprimersi, guardava di sottecchi quel padre, che teneva il volto abbassato e i pugni chiusi sulle cosce, che poi intervenne: “Ebbene, vi aiuterò a cercarla e se la troverò la porterò dritta all’Abbazia”. Così fu convenuto e il Consiglio, dopo quasi un’ora di discussione, fu sciolto. La testa pesante, le ci volle un po’ per capire dove fosse, l’avambraccio a coprirsi gli occhi, provò ad alzarsi, ma le prese un capogiro e tornò a sdraiarsi, si sentiva davvero debole. André… voleva solo alzarsi e andare da lui, perciò si fece forza e pian piano raggiunse la cucina, dove trovò Rosalie intenta a ricamare un lenzuolino. “Oscar! Perché non mi avete chiamata? Vi avrei dato una mano ad alzarvi!” Oscar la tranquillizzò e andò a sedersi accanto a lei, che le disse del dottore e le preparò subito quanto da lui ordinato, le scaldò il latte e le comandò di berlo, insieme a un po’ di pane. “Che cos’è?” Le chiese Oscar, sentendo il sapore acidulo di ciò che aveva mandato giù. “Latte spezzato con acqua acciaiata, così ha scritto il dottore; mentre questa è una tisana raddolcente ed ingrassante, leggermente acidulata con spirito di vetriolo. Ha detto di berla tutta”. Oscar mandò giù con una smorfia. Dovrete berla due volte al giorno per almeno un paio di mesi, poi si vedrà… e adesso un po’ di zuppa, questo ve lo dico io. Vi ho vista ieri mentre vi lavavo… siete dimagrita troppo!” “Sto male, Rosalie…” “Lo so, il dottore me l’ha detto… ma voi siete forte e sono sicura che ce la farete!” e così dicendo le prese le mani e gliele strinse forte. Oscar le sorrise e la ringraziò; poi volle sapere tutto della sua protetta, quindi, sentendosi più in forze, le disse che sarebbe andata all’ospedale da André, ma Rosalie glielo negò, almeno finché non l’avesse visitata il dottor Aubin. Oscar protestò, ma non riuscì a spuntarla; si rese conto una volta di più, che Rosalie sapeva farsi valere, quando voleva. Il dottor Aubin arrivò nel primo pomeriggio e fu contento di trovare l’ammalata in piedi. Le chiese di visitarla e le fece diverse domande, a cui Oscar rispose senza reticenze. Il dottore le disse che doveva curarsi assolutamente, non aveva tempo da perdere e che doveva prendersi più cura di sé. Le disse anche che non avrebbe potuto rimanere molto in quella casa, perché avrebbe potuto contagiare la sua ospite. Oscar rimase di sale. Volle sapere dal medico se anche per André ci sarebbero state conseguenze e lui non poté far altro che annuire, ma che se anche lui avesse seguito le cure non avrebbe avuto particolari problemi. Oscar gli raccontò allora anche del problema alla vista dell’uomo, gli raccontò di come aveva perso l’uso dell’occhio sinistro e di come pian piano anche il destro si stesse spegnendo. Il dottor Aubin le disse che ne avrebbe parlato con un collega dell’Hôtel Dieu per sapere se si potesse intervenire in un qualche modo. “Vorrei andare da lui adesso… io…” “Madame Chatelet mi ha detto che è vostro marito… è molto che siete sposati?” Oscar sgranò gli occhi e arrossì. “No… ecco… da un paio di giorni, in effetti…” “Capisco… Va bene, vi accompagnerò io all’ospedale con la carrozza, le strade sono più tranquille, ma ci sono ancora i soldati a presidiarle; meglio non rischiare inutilmente… meglio che lasciate qui le vostre armi…”. Oscar annuì. Si rivestì, senza indossare la marsina, ma tenne ben nascosto il suo piccolo pugnale negli stivali e la pistola sotto la camicia. “Meglio comunque essere previdenti” – rise lei. Trovarono le strade molto trafficate, molti parigini si stavano dirigendo ancora verso il Municipio. Dalla carrozza Oscar osservava tutta quella folla e si chiese cosa mai ancora stesse succedendo di nuovo. Se André fosse stato lì con lei, non avrebbe esitato a saltar giù e andare a vedere… Arrivarono finalmente all’ospedale e il dottore la accompagnò. Alain, dopo aver atteso un po’ al capezzale dell’amico se n’era tornato verso casa. André era ancora incosciente. Il dottor Aubin lasciò Oscar dal marito per andare a cercare qualcuno dei suoi colleghi ed avere informazioni. Il volto pallido, gli occhi chiusi, il respiro leggero, André giaceva sul letto immobile, coperto dal lenzuolo fino a metà torace, la parte superiore coperta dalla fasciatura. Oscar gli si sedette accanto, gli prese la mano e se la portò al viso, coprendo il palmo di baci. Lo chiamò, gli raccontò della sua notte a casa di Rosalie e del dottor Aubin, gli riappoggiò il braccio sul letto e gli diede un bacio sulla fronte. “Tornerò domani, ma tu non farmi brutti scherzi…” faticò a staccarsi da lui, non riusciva a distogliere lo sguardo; fu il dottore a chiamarla. “Ha superato bene la notte, ci sono speranze. Probabilmente però gli ci vorrà qualche giorno per risvegliarsi, il suo corpo ha dovuto combattere una dura battaglia…” – le sorrise. “E avete saputo altro? Per l’occhio, intendo…” chiese Oscar con un velo d’ansia. “Purtroppo, finché non si sveglia non potranno visitarlo e appurare i danni che ha subito…” “Sì… giusto…” “Madame… avete un posto dove andare? Oscar sorrise e negò. “Ho lasciato la mia casa e tutto ciò che avevo…” “Siete davvero una donna coraggiosa… Beh, se non vi offendete, potrei ospitarvi io per qualche giorno, almeno finché non sapremo qualcosa in più per vostro marito… Pensateci…” “Dottore, ve ne sono grata, ma… al momento non ho da pagarvi… dovrò trovare un modo per sdebitarmi”. “Sono sicuro che lo farete… Vogliamo andare?” Ma non riuscirono a fare molta strada; attraversato Pont du Notre Dame si ritrovarono inghiottiti nel corteo che stava accompagnando i delegati dell’Assemblea Nazionale verso l’Hôtel de Ville. “Che sta succedendo?” Chiese Oscar allarmata… guardò fuori dal finestrino e vide una folla di parigini eccitati… Fu lui a riconoscerla e la chiamò “Comandante! Comandante!” Lasalle, Elié e Hulin stavano unendosi al corteo. “Lasalle!” gridò di rimando lei “Che succede?” I tre si avvicinarono alla carrozza “Alcuni delegati dell’Assemblea Nazionale stanno andando al Municipio per portare le parole del Re” le spiegò Hulin. Oscar guardò il dottore che non poté fare a meno di notare la luce viva di quegli occhi, che ora ardevano pieni di forza. “Madame, non stancatevi troppo… e… vi raccomando di tornare da Madame Chatelet a prendere le vostre medicine”. Il dottor Aubin capì che non sarebbe riuscito a trattenerla. Oscar lo rassicurò e scese per unirsi ai suoi soldati. “Ci saranno anche gli altri?” Chiese. Lasalle le disse che François e Jean erano andati a chiamare Alain e che si sarebbero incontrati al Municipio, ma non si aspettavano così tante persone. La delegazione era composta dal Marchese de La Fayette, dall’astronomo Bailly, dal cardinale Clermont-Tonnerre e dall’Abate Sieyès; ognuno di loro parlò al popolo, portandogli la richiesta del Re di riportare la pace in città. Furono accolti da un plauso fragoroso. Il gruppetto di Oscar fu raggiunto da alcuni degli ex soldati della guardia, fra cui Alain, Jean e François e si diedero pacche sulle spalle, mentre tutti vollero sapere di André. Certo Oscar spiccava, sia per l’altezza che per il fisico magro, ma soprattutto per i suoi capelli biondi, lunghi e sciolti, un’imprudenza che le sarebbe costata cara…

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Conseguenze ***


L’aria dolce del pomeriggio ben si armonizzava con l’aria festosa che invadeva le strade di Parigi. Il piccolo gruppetto scherzava sul fatto che fosse la prima volta che il loro Comandante fosse in borghese, ma con abiti maschili e che tra lei e André sarebbe sempre stata lei a portare i pantaloni! Mancò poco che Oscar si infuriasse, ma il clima di festa la rendeva più conciliante. Intanto, la folla acclamava i delegati giunti dall’Assemblea Nazionale e reclamava nuove figure, che fossero portatrici dei loro valori, a sostituzione dell’ex sindaco Flesselles e del luogotenente generale della polizia, De Crosne, che si era dimesso e aveva abbandonato la città. Da qualche giorno si andava formando tra i parigini una nuova milizia cittadina e quando fu il momento di eleggere il nuovo comandante fra i vari nomi si fece anche quello di Oscar, come comandante dei Soldati della Guardia e come colei che li aveva guidati alla presa della Bastiglia, ma lei, guardando in viso i suoi, negò e fece loro segno di tacere: “Non guardate me – rispose lei, ancor prima che i suoi uomini potessero chiederle apertamente se avesse voluto accettare l’incarico – “ho dato le dimissioni due giorni fa!” - Due giorni, solo due giorni, pensò. C’erano momenti in cui quei due giorni le parevano un’infinità, come se il tempo si fosse fermato a quel mattino del 13 luglio e tutto il resto fosse accaduto molto lentamente, e si sentiva come sospesa fra la realtà e il sogno; in altri, invece, le sembrava che tutto fosse scorso molto velocemente, come se fosse stata inghiottita da un vortice e non riuscisse più a fermarsi. “Due giorni in cui tutto è cambiato, la mia vita è cambiata, Parigi è cambiata!… André, come vorrei che fossi qui, con me… con noi e potessi vedere tutto questo, ne saresti felice!” – pensò. Abbozzò un sorriso nell’incontrare gli occhi di Alain che la scrutavano, sornioni. Poiché nessuno sembrava farsi avanti, la folla allora acclamò a gran voce il marchese de La Fayette, che, naturalmente, accettò di buon grado l’incarico e subito dopo Monsieur Bailly venne proclamato nuovo sindaco di Parigi. Ci furono scrosci di applausi e i cittadini, felici, esultarono festanti. Ci volle un po’ per calmare gli animi, la folla urlava ancora i nomi di Oscar e di Pierre Augustin Hulin perché approvassero le nuove nomine. Oscar si ritrasse e mandò avanti Hulin, che venne accolto da eroe. “Alain, perché non vai con lui?” Gli chiese Oscar. Alain, che non lesinava far baldoria e spacconate, era però restio a comparire in simili frangenti e si limitò ad un’alzata di spalle. “In fondo – disse poi – è stato Pierre a portare avanti la battaglia e a vincerla… Credo sia giusto così!”. Oscar annuì e tutti insieme si godettero lo spettacolo di Hulin che ratificava le nomine delle due cariche pubbliche. “Ma guarda, guarda chi abbiamo l’onore di avere qui… Il Colonnello Oscar François de Jarjayes!” – disse una voce gelidamente melliflua, che la fece agghiacciare. Si voltò di scatto. Stessa cosa fecero Alain e gli altri. Di fronte a loro un uomo alto e segaligno, con un sorriso sghembo sulla faccia che impugnava una pistola e quattro soldati appartenenti al regio esercito, stavano ritti, con i fucili pronti. “E così ci rivediamo… Sembra proprio che oggi siate molto acclamato anche voi Colonnello – continuò quello – peccato rovinarvi la festa…” –Alain si mosse verso di lui, ma il braccio di Oscar lo bloccò. “Che cosa volete da me, Colonnello Labonne?” – chiese fintamente incredula, ma ben sapendo in cuor suo cosa significasse quella frase. “Devo arrestarvi, in nome del Re, per alto tradimento e diserzione”. “Cosa?” – urlò Alain, che la guardò stranito, mentre Lasalle, Jean e François cercavano di raccapezzarsi. “Comandante! Cosa significa?” – la guardarono increduli e poi si guardarono a loro volta presi da sgomento. Le guardie si pararono di fronte e li bloccarono. Intorno la folla era troppo eccitata da ciò che stava avvenendo di fronte a loro per rendersi conto di ciò che succedeva lì a due passi. “Perquisitela!” ordinò ai suoi l’altro. Ma Oscar risparmiò loro il compito e consegnò la pistola che portava in cintura, nascosta sotto la camicia, poi, sicura che tutto sarebbe andato a posto, rassicurò i suoi uomini e mentre la portavano via pregò Alain di cercare Bernard, ché lui avrebbe saputo cosa fare… Alain si maledì per essere uscito in borghese, li inseguì e volle sapere dove la stessero portando. “Alla prigione dell’Abbazia… Questa volta non sfuggirà al tribunale militare!” – e così dicendo strattonò Oscar fino alla carrozza e la fece salire con malagrazia. Oscar si voltò un’ultima volta e guardando il suo secondo gli fece promettere che si sarebbe preso cura di André, poi la carrozza partì. Alain si sentì impotente, avrebbe voluto correre dietro alla carrozza, ma sapeva che non avrebbe ottenuto nulla. Guardò i suoi compagni, poi cercò tra la folla il volto sempre più famigliare di Bernard. “Non potete arrestarmi! Non ho agito da militare, avevo già rassegnato le mie dimissioni!” – urlò Oscar in faccia al Colonnello, che la guardava ora con aria sardonica. “Questo starà al Tribunale deciderlo. Io ho solo eseguito l’ordine del Generale Bouillé… A quanto pare, voi preferite disobbedire…” Oscar era furiosa. Furiosa e impotente. E arrabbiata con se stessa per essere stata così imprudente e si chiese dove fosse finita tutta la sua capacità di previsione, dopotutto era un militare esperto, avrebbe dovuto considerare un risvolto simile. La verità era che pensava di avere più tempo, che lei e André sarebbero riusciti ad andarsene da Parigi. Sapeva che la città sarebbe stata pericolosa per loro due, che avrebbero dovuto andarsene, ma non pensava che l’avrebbero raggiunta così presto e che ora, probabilmente, non avrebbe rivisto più il suo André. Proprio in quel momento intravvide dalle grate del blindato l’Hôtel Dieu e le si strinse il cuore. André! Che ne sarebbe stato di lui se lei fosse stata giudicata colpevole? Si morse un labbro per trattenere le lacrime che già le pungevano gli occhi e si costrinse a rimanere calma, anche se le costava moltissimo… le sembrava di aver intrapreso il suo personale viaggio verso l’inferno e il Colonnello Labonne era il suo Caronte. Intanto l’altro, piazzatosi di fronte a lei, la osservava da sotto in su con aria soddisfatta. Lui sì che era un perfetto servitore del Re, non quello strano essere che sedeva in fronte a lui. Peccato ci fossero due guardie, perché avrebbe voluto saggiare quella pelle diafana e sottile e sapere se davvero Oscar François de Jarjayes fosse una vera donna. Oscar teneva gli occhi chiusi per non guardare in faccia quell’essere viscido che già aveva avuto la sfortuna di incontrare il mese precedente. Si ricordava bene quella giornata: pioveva ed era stato dato l’ordine di non far passare i membri del Terzo Stato dalle porte principali dell’Assemblea, da dove potevano entrare solo i rappresentanti dei primi due ordini. A loro era stato riservato un ingresso secondario, però ancora chiuso. Oscar si era opposta a questa decisione, ma il Colonnello Labonne continuava a chiamare i soli rappresentanti del clero e della nobiltà lasciando tutti gli altri sotto la pioggia. Nonostante Robespierre le avesse detto che avrebbero pazientato, Oscar sentì crescere dentro di lei una tale rabbia contro ciò che lei giudicava un sopruso bello e buono, che non esitò a scaraventare giù per la scalinata il Colonnello Labonne e far aprire le altre porte principali ai suoi soldati! E adesso lui aveva l’opportunità di farle pagare un simile affronto! Si sporse verso di lei e sarebbe riuscito a toccarle la guancia se Oscar non avesse aperto gli occhi fulminandolo con lo sguardo. “Cosa pensavate di fare Colonnello Labonne!” Gli urlò Oscar alzandosi di scatto. Le guardie intervennero prontamente, rimettendo Oscar a sedere. “Niente di che, solo sapere se davvero siete una donna!” – sogghignò. Oscar ribolliva di rabbia, quell’uomo aveva il potere di irritarla a tal punto che se avesse avuto ancora la pistola gli avrebbe piantato volentieri una pallottola in testa per togliergli finalmente quella smorfia dalla faccia, ma sarebbe stata anche la sua fine e benedì il fatto di essere disarmata. “Fareste meglio a tenere le mani a posto” – gli rispose lei, gelida. Fortunatamente il viaggio fu breve. Oscar fu fatta scendere e portata nei sotterranei del carcere e, con malagrazia, le fu mostrata la cella: “La vostra nuova magione, Colonnello” – le disse quello, mentre le indicava con la mano quel piccolo cubicolo in cui sarebbe dovuta rimanere e la spinse dentro chiudendo la porta dietro di lei. L’odore di umidità, muffa e urina la colpì e si coprì il viso con il braccio. Trattenne a stento un conato. Almeno, si disse, era sola… Una branda appesa al muro, tenuta da catene e una misera finestra in alto sulla parete erano gli unici oggetti presenti. Con le gambe pesanti raggiunse il suo giaciglio, su cui vi era quello che una volta doveva essere stato un materasso. Lo buttò a terra e si lasciò cadere sul nudo legno, con le mani sugli occhi, pensando e ripensando a cosa avrebbe dovuto fare e sperando che Bernard le fosse venuto in soccorso. Nel frattempo, Alain, François, Jean e gli altri, raggiunsero Hulin a cui raccontarono l’accaduto e decisero di dividersi: Alain e Lasalle sarebbero andati a cercare Bernard, Hulin con gli altri avrebbe parlato con La Fayette. Si diedero appuntamento per la sera in un luogo convenuto e decidere quindi come meglio intervenire… nessuno di loro era disposto a lasciare da solo il loro Comandante. Il Colonnello Labonne, invece, raggiunse il Generale Bouillé nel suo ufficio a Versailles che fu molto soddisfatto della notizia. “Molto bene, Colonnello Labonne, ottimo lavoro. Sapevo che avrei potuto contare su di voi. Vediamo se avrà ancora voglia di fare la rivoluzionaria una volta davanti al Tribunale Militare. Certe insubordinazioni non sono tollerabili. Spero che questa volta le Loro Maestà non la perdonino, sarebbe davvero troppo disonore per l’Esercito. Mi dispiace per il Generale Jarjayes, ma nemmeno la sua famiglia potrà essere perdonata. Ora più che mai dobbiamo essere fermi e dare l’esempio, per eventuali altri disertori… “

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Attese ***


Rosalie, intenta a preparare la cena, si stava domandando come mai né Oscar, né Bernard, né Alain fossero ancora arrivati a casa. Col caldo di luglio si sentiva stanca, le gambe pesanti e faceva più fatica a fare le scale. Pensare che mancavano ancora 4 mesi al lieto evento. Si scostò i capelli per prendere un po’ d’aria sul collo. Era riuscita a trovare un bel pezzo di carne, che aveva diviso con la vicina e ne aveva fatto un arrosto, cosa non da poco, visti i tempi incerti, i prezzi assurdi che avevano colpito le derrate, il pane in particolar modo, ma anche la carne e la frutta. Chissà se sarebbe riuscita a tornare al lavoro? Sapeva che il marito avrebbe preferito che lei rimanesse a casa, data la sua situazione, ma lei proprio non riusciva a starsene con le mani in mano! Nonostante gli anni trascorsi a palazzo Jarjayes, in cui era stata educata come una ragazza nobile, lei, che poi nobile lo era veramente, non aveva mai dimenticato da dove provenisse e non le importava nulla se la sua vera madre fosse la miglior amica della Regina. Rosalie amava cucinare, ricamare, prendersi cura del suo piccolo appartamento, che con tanto amore e sacrifici lei e Bernard erano riusciti a rendere piuttosto confortevole e carino. Niente mobili lussuosi, ma semplici, solidi ed essenziali, eppure di buon gusto, proprio come era lei. Il loro era un appartamento al terzo piano di una palazzina di cinque, luminoso, non troppo grande, se paragonato a quelli dei nuovi quartieri borghesi che andavano sviluppandosi, certo non aveva niente a che fare con i palazzi nobiliari del Marais, ma a lei bastava: un salottino, la sala da pranzo e la cucina, un piccolo disimpegno, tre camere da letto e un ripostiglio, che lei aveva voluto trasformare in una sorta di sala da bagno, unico lusso che si era voluta concedere, facendovi posizionare una piccola vasca zincata, insieme ad una toilette in ferro battuto, un paravento e un tavolino sormontato da uno specchio. Vi erano poi un paio di balconcini in ferro battuto, uno che dava sul salottino e l’altro sulla loro camera da letto. La pendola nel salottino, che era divenuto anche lo studio di Bernard, rintoccò otto colpi lunghi. Mille pensieri cominciarono ad affollarsi nella sua testa; si affacciò più volte alla finestra sul cui davanzale facevano bella mostra di sé alcuni vasi di erbette aromatiche. Finalmente lo vide sbucare dall’angolo della strada e gli corse incontro. “Bernard! Finalmente! Cominciavo ad essere preoccupata!” “C’era molta gente anche oggi – la rassicurò lui – Sai… abbiamo un nuovo sindaco e un nuovo Comandante della Guardia Nazionale… non indovinerai mai chi sono…” Rosalie lo guardò interrogativa, con i suoi profondi occhi azzurro cielo. “Oscar, per caso?” “No, anche se mi sarebbe piaciuto molto! In effetti l’hanno acclamata, ma lei non l’ho vista. È rimasta qui, non è vero? Sarebbe bene che non andasse troppo in giro…” “No, è uscita insieme al dottor Aubin poco dopo pranzo. Si è fatta accompagnare all’ospedale, da André” – replicò la donna. “Capisco… Allora? Non sei curiosa?” – Rosalie annuì. “Allora: Jean-Silvayn Bailly è il nostro nuovo sindaco…” “Il presidente dell’Assemblea Nazionale?” – lo interruppe lei. “Proprio lui!” “E il Comandante della Guardia?” “Il marchese de La Fayette!” “Veramente?” - Bernard annuì… “E Robespierre? Che ne pensa?” “Al momento non si è espresso, augura loro un buon lavoro e spera che facciano gli interessi dei cittadini. Anche se mi è sembrato piuttosto fiducioso…” Entrando in casa Bernard fu colpito dal profumo dell’arrosto che arrivava fino al pianerottolo. “I vicini penseranno che abbiamo assaltato la macelleria del cittadino Dupuis” – disse Bernard ridendo. “In realtà è stato proprio lui a regalarmelo, perché ha detto che era rimasto invenduto da troppo tempo e, piuttosto che gettarlo via, ha preferito darmelo. Mi ha dato anche qualche osso, così ho potuto fare un po’ di brodo… farà bene a Madamigella Oscar! Ho dato metà della carne a Madame Martin, visto che ha sei bocche da sfamare! Almeno stasera mangeranno qualcosa di sostanzioso. Povera donna, speriamo che il marito si rimetta presto” – e così dicendo richiuse la porta dietro di sé. “Bernard! Bernard!” – una voce lo stava chiamando dalla strada. L’uomo si affacciò alla finestra e si meravigliò nello scorgere la figura trafelata di Alain. “Sali!” – gli urlò di rimando il primo. Alain raggiunse l’appartamento a grandi falcate, era visibilmente agitato. “Bernard, devi fare qualcosa… Oscar è stata arrestata!” – A Rosalie cadde il coperchio che aveva in mano e le sue mani tremarono vistosamente. “Cosa?” – fu Bernard a chiedere, guardando preoccupato la moglie, che fece prontamente sedere. “Cosa… cosa le è successo?” – Volle infatti sapere subito lei, con la voce rotta dal pianto. “Eravamo anche noi al Municipio ad ascoltare i delegati dell’Assemblea, quando le si è avvicinato il Colonnello Labonne e l’ha arrestata con l’accusa di alto tradimento… mi ha chiesto di avvisarti perché tu avresti saputo cosa fare… che intendeva?” Bernard fece una smorfia e gli raccontò di come Oscar, qualche settimana prima, gli avesse chiesto di radunare la folla davanti alla prigione dell’Abbazia per salvare i suoi soldati. Alain se ne ricordò subito. “Quindi pensa che se riuscissi a radunare la folla nuovamente, lei potrebbe avere salva la vita?” “Sì, credo di sì, almeno è quello il suo intento…” Scese il silenzio fra loro per qualche momento, poi Bernard, come colto da un’intuizione improvvisa si riebbe: “Ma certo! Dopodomani!” - Alain e Rosalie lo guardarono interrogativi e lui proseguì: “Il Marchese de La Fayette ha detto che Sua Maestà il Re ha espresso il desiderio di ritornare a Parigi per parlare al popolo… quale momento migliore? Potremmo aizzare un po’ di folla affinché il Re sia costretto a liberarla!” “Già! Ottima idea! Con lo spauracchio di nuovi disordini, non dovrebbe essere difficile!” – lo incoraggiò Alain. “Speriamo solo non sia troppo tardi…” “Non sai altro?” – chiese ansiosa Rosalie. “Solo che è stata portata anche lei alla prigione dell’Abbazia… domani cercherò di avere maggiori notizie…” “Ti ringrazio Alain…” Il Generale Jarjayes era rientrato a Palazzo e, seppure stanco, per la notte in bianco e per quelle giornate dense di avvenimenti, aveva deciso di dare le notizie che riguardavano Oscar e André alla moglie e a Nanny. Dopo il Consiglio, il generale Bouillé aveva voluto parlargli in privato; gli aveva raccontato per filo e per segno ciò che aveva saputo, dei soldati di Oscar uccisi in battaglia e del soldato ferito. Jarjayes ne volle conoscere i nomi e quando venne fatto quello di André, impallidì. Istintivamente si portò una mano a coprirsi la bocca e il generale Bouillé non poté fare a meno di notarlo, ma fece finta di nulla, ormai Oscar era stata arrestata. Madame Georgette de Jarjayes e Marron Glacé Montblanc erano in ambasce già dal giorno prima, da quando quel soldato aveva bussato alla loro porta e aveva dato la notizia dell’assalto alla Bastiglia al Generale. Sedute sull’ottomana nello studio del Generale, le due donne si guardarono negli occhi, terrorizzate all’idea di cosa potesse accadere o di cosa fosse potuto accadere ai loro due ragazzi ed entrambe non seppero trattenere le lacrime, cercandosi le mani e stringendosele per farsi forza. “Andrò all’Abbazia” – disse loro il Generale – “Magari riuscirò a parlare con Oscar…” “Ma perché? Perché l’hanno arrestata?” – Madame Jarjayes era ancora all’oscuro dei fatti realmente accaduti, le notizie che correvano di bocca in bocca fra la servitù erano poche e confuse: c’era chi sosteneva che Oscar avesse tentato di arrestare i ribelli, chi diceva che addirittura fosse morta, che André fosse morto, tanto che per poco a Nanny non venne un colpo e solo il ritorno del Generale mise un po’ di calma in quel caos che lui stesso, con la sua reticenza, aveva contribuito a generare. Il Generale andava su e giù per lo studio tenendosi le mani alle tempie. “Ha assaltato la Bastiglia con i suoi soldati!” - tuonò il Generale – “Sapete che significa?” Nanny e Madame si guardarono inorridite e si portarono le mani alla bocca. Nanny abbassò il volto, si sentiva in un qualche modo responsabile: aveva capito che tra il nipote e la “sua” bambina c’era molto di più di un semplice rapporto padrone-servo. Se non altro sapeva bene ciò che passava nel cuore del nipote, una vita trascorsa a ricordargli quale fosse il suo posto e i suoi doveri per tenerlo lontano da lei, ma quei due si erano sempre attratti l’un l’altra, anche se inconsapevolmente. E se suo nipote non faceva mistero dell’affetto che provava per lei e lo aveva gridato in faccia al Generale, lei lo cercava sempre e non solo come suo attendente… lo cercava quando aveva bisogno di sfogarsi, quando aveva bisogno di conforto, quando voleva parlare, leggere, duellare… lui era sempre la prima persona a cui Oscar si rivolgeva per ogni situazione, ma non avrebbe mai potuto pensare che anche lei avrebbe potuto un giorno ricambiarne i sentimenti. “Significa che Oscar dovrà affrontare la Corte Marziale, ecco che significa! E probabilmente verrà condannata a morte!” – Al Generale si spezzò la voce e si lasciò cadere sulla poltrona esausto, mentre Madame Jarjayes tremava e Nanny cominciò a singhiozzare. “La mia bambina! La mia bambina!” Poi come colta da un pensiero improvviso con occhi supplici guardò il Generale: “E André? Generale che sapete di mio nipote?” – nessuno aveva accennato a lui e l’angoscia aumentava man mano non aveva sue notizie. Il Generale le si avvicinò e, per la prima volta in vita sua, prese quelle mani nodose, che un tempo avevano cullato tutte le sue figlie, che avevano diretto quella casa con piglio sicuro e deciso, fra le sue. Nanny si allarmò e spalancò i suoi occhi, ancora vispi. “André… André è stato ferito e per quanto ne so, si trova all’Hôtel Dieu” “Oh mio Dio!” – Nanny si alzò di scatto, tremava tutta. “E come sta? Come sta?” – chiese disperata. “Purtroppo questo non lo so, Nanny, mi dispiace” – per poco non le venne un mancamento. Madame la fece sedere e il Generale le versò un bicchierino di cordiale che teneva nella parte superiore del trumeau. “Ti prego, adesso non dirmi ancora che è tutta colpa mia! Sai quanto io tenga a tuo nipote, farò in modo di avere sue notizie al più presto…” – la donna annuì, tirando su col naso. “E per quanto riguarda Oscar… ciò che il generale Bouillé mi ha riferito non lascia adito a molti dubbi… Oscar ha scelto la sua strada e… non comprende noi, maledizione! È finita… la famiglia Jarjayes è finita!” – si incamminò verso la finestra con il volto scuro e tirato. Madame Jarjayes si alzò e raggiunse lo raggiunse. “Non c’è modo di salvarla?” – Madame guardò il marito dritto negli occhi “Georgette…” “Perché tu vuoi salvarla, non è vero Augustin?” “Non credo di avere molte possibilità… agli occhi dell’Esercito è una traditrice!” – si voltò di scatto, gli occhi lucidi e furiosi. “Come ha potuto?” “Non avrebbe mai fatto qualcosa in cui non credeva, ne sono certa. Ho fiducia in lei…” “Come puoi dire una cosa simile? Lei ha tradito tutto ciò in cui noi crediamo, tutto ciò che le ho insegnato!” “E non sei stato tu, forse, a insegnarle ad essere giusta e leale? Che un nobile e un ufficiale non devono mai approfittarsi del proprio ruolo e della propria posizione? Non è così? O forse le hai insegnato che un soldato deve solo eseguire gli ordini? Che non deve provare sentimenti?... Vuoi dire che tu non provi sentimenti, Augustin? Ho forse sposato un uomo di pietra? Forse non sei stato tu a crucciarti per la perdita che avevi arrecato all’arciduca Francesco Stefano? Non hai forse voluto dare il suo nome a tua figlia?” Madame Jarjayes sembrava un fiume in piena, anni di silenzi e di sopportazioni nel veder crescere la sua ultima splendida figlia come un uomo, sottoposta a duri allenamenti con la spada, la pistola, e addestramenti all’arte militare, sottratta alle più tenere cure materne, prerogativa delle sue sorelle, che Madame aveva voluto educare personalmente. “Smettila Georgette! Sai benissimo a cosa mi riferisco… Se venisse giudicata colpevole di tradimento ne pagherebbero le conseguenze anche le altre nostre figlie, saremmo tutti disonorati!” “Oscar non potrebbe mai disonorarti Augustin. Mi chiedo se tu abbia mai provato a comprenderla…” Aveva assunto un tono dimesso. Madame Jarjayes sentiva nel profondo che la figlia doveva aver avuto le sue buone ragioni per agire in quel modo. Nonostante fosse un militare, Oscar aveva una spiccata sensibilità verso le ingiustizie e questo la madre lo sapeva bene. A quelle parole il Generale guardò la consorte con sguardo severo, ma non riuscì a reggerne lo sguardo. Sì, ci aveva provato a comprenderla, quella figlia, quando forse ormai era troppo tardi. Da lei aveva preteso molto di più che se fosse stata davvero un uomo, perché lei doveva diventarlo, un uomo. E c’era riuscita, altroché se c’era riuscita! Per anni era stata il suo orgoglio, ne conosceva bene il valore, nonostante avesse sempre avuto quel carattere un po’ troppo indomito, ma poi Oscar aveva cominciato a recidere i fili, uno alla volta, fino all’ultimo decisivo taglio netto… “Tua figlia non voleva essere un tuo burattino, è questa la verità!” Madame Jarjayes aveva colpito nel segno; il Generale strinse i pugni, gli sembrò di cadere nel vuoto e si lasciò andare pesantemente sulla sedia… Intanto Oscar, chiusa in quella umida cella, ripensava ad André. Chissà se si era risvegliato? E cosa avrebbe provato nel non trovarla lì con lui? Lo conosceva bene, sapeva che avrebbe potuto mettere nuovamente in pericolo la sua vita, che avrebbe potuto fare qualsiasi pazzia per lei. Ricordava come aveva rinunciato al suo occhio sinistro, pur di tirarla fuori dai guai, quando lei, pur di ritrovare il Cavaliere Nero, si era intrufolata a Palais Royal, residenza del duca d’Orleans e frequentato da giovani desiderosi di cambiare il corso della storia. Allora aveva solo sentito nominare i Philosophes, ne conosceva solo un paio e aveva letto anche lei La nouvelle Eloïse di Rousseau, ma non l’aveva entusiasmata più di tanto. Era stato grazie a quei giovani e ad André prima e ai suoi soldati poi, che aveva ripreso in mano quegli autori, suscitando anche le ire di suo padre, che li giudicava “immondizia” e ora quell’immondizia era stata sparpagliata per le strade e, come il letame maturo, aveva concimato pensieri e parole dando vita a nuovi frutti e il popolo affamato li aveva raccolti a piene mani e se ne era cibato. Ma se non si è accorti e i frutti sono acerbi i mal di pancia possono essere anche violenti… E suo padre? Sicuramente aveva già saputo, il generale Bouillé non avrebbe perso tempo ad informarlo di ciò che quella figlia ribelle aveva combinato! Davvero un bel guaio, Oscar! Cosa avrebbe fatto? Si mise a sedere e si premette i pugni sulla fronte. Lei aveva creduto che non lo avrebbe più rivisto, se n’era andata da casa senza un saluto, come una vigliacca, gli aveva lasciato poco più di un biglietto. E ora… sicuramente ci sarebbe stato anche lui in tribunale… sarebbe stata in grado di sostenerne lo sguardo? Cosa si sarebbero potuti dire? Sarebbe stato più furioso? O più deluso? Meglio una morte onorevole che una vita disonorata! Oscar non poté trattenersi dal sorridere amaramente pensando a ciò che suo padre le aveva detto molte volte – “Una vita disonorata… Che cos’è l’onore, padre?” Pierre Augustin Hulin e il suo amico fidato André Elié erano riusciti a fermare il marchese de La Fayette in tempo, prima che rientrasse a Versailles dopo l’acclamazione e gli spiegarono ciò che era successo al loro ex comandante, il Colonnello Oscar François de Jarjayes. La Fayette, che conosceva Oscar dai tempi in cui lei era stata il Capitano delle Guardie Reali e lui sottoufficiale dei Moschettieri e poi suo Comandante per un breve periodo, prima che lui si imbarcasse per la sua avventura americana, ne conosceva il valore e ne apprezzava il coraggio, perciò si disse ben disposto ad aiutarla e avrebbe parlato l’indomani con suo cugino, il generale Bouillé…

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** A giudizio ***


Aveva dormito male su quel tavolaccio di legno. 

Si era pentita di non avere la sua uniforme con sé, la notte era stata umida e fredda là sotto e la tosse non le aveva dato tregua. Avrebbe voluto un po’ d’acqua, ma non c’era alcuna sentinella alla porta a cui chiedere. Evidentemente non si aspettavano una fuga. Sicuramente il dottor Lassonne e il dottor Aubin avrebbero disapprovato la sua sistemazione. Sorrise amaramente fra sé a quel pensiero, poi fu vinta dalla stanchezza e forse anche dalla febbre e si addormentò. 


Il suo sogno fu interrotto bruscamente dallo stridìo della porta in ferro e dal rumore delle chiavi che aprivano il chiavistello. 
Un soldato le portò del latte e una bottiglietta, un tozzo di pane e dell’acqua, poi se ne andò senza dirle nulla e richiudendo la porta. Oscar si avvicinò a quella parca colazione, prese il vassoio di legno e lo appoggiò sulla panca, guardando quella bottiglietta con curiosità. Sotto alla bottiglia del latte vi era un bigliettino sul quale riconobbe la grafia di Rosalie. “Vi ho portato le medicine. Sono nella bottiglietta. Vi prego di prenderne dieci gocce tre volte al giorno. Vostra Rosalie”. 
“Cara e dolce Rosalie… le prenderò per te, anche se temo non mi serviranno”. 

Oscar mise alcune gocce dalla bottiglietta alla tazza d’acqua e la bevve, poi una volta vuotata vi spezzò il pane e vi versò sopra il latte e mangiò. Cercò poi il pitale e se ne servì. 
Scrutò la cella, cercando di capire se sarebbe mai riuscita ad uscire di lì, ma non aveva appigli, il soffitto era troppo alto e la finestrella troppo piccola per potervi passare. L’unico modo che avrebbe avuto per fuggire, sarebbe stato dalla porta principale, un’impresa impossibile, senza armi… si sentì in trappola ed era troppo sfinita, persino per pensare: si rendeva conto che la malattia le stava togliendo energie preziose. 


Sobbalzò nel sentire la porta che si apriva e sentì la guardia che diceva a qualcuno che avrebbe avuto solo cinque minuti. 
L’uomo si coprì il volto con la mano per l’odore nauseante che lo colse non appena entrato. Fece fatica a mettere a fuoco la figura seduta nemmeno illuminata dalla luce che entrava dalla finestra, poiché questa gli preferiva il muro opposto. Lo stesso fu per Oscar poiché la figura che era entrata era in controluce rispetto al soldato; ma avrebbe riconosciuto la figura del padre anche nel buio completo. Il busto eretto e fiero, nonostante l’età non più giovane, le spalle larghe, per un attimo avrebbe voluto credere che fosse André, che veniva a soccorrerla ancora una volta. 
Il cuore le rimbalzò in petto dalla sorpresa e dall’emozione. 


“Padre!” – l’uomo le si avvicinò e lei avvertì nitidamente l’odore del tabacco da pipa, che tanto le piaceva da bambina. 


“Oscar!... come… come hai potuto?” – la voce solitamente stentorea del Generale sembrava essere scesa di pari passo alla profondità della cella, tutto ciò che si era ripetuto nella mente mentre si recava a Parigi, la rabbia e il rancore di quelle ore, si erano rimescolate in uno strano sentimento non appena aveva varcato quella soglia e aveva visto lei, rannicchiata sulla panca, in disordine e le era sembrata più piccola e fragile di quando l’aveva tenuta fra le braccia appena nata. 


Il cuore gli rimbalzò nel petto e avrebbe voluto correre da lei, abbracciarla, sollevarla (quanto doveva essere leggera!) e portarla via da quel tugurio! La mente si confuse e le parole non trovarono la giusta via, così disabituate a trovarsi ad un bivio, quando tutto era sempre stato pianificato e soppesato, mai un’incertezza, anche nel momento in cui aveva sentito che forse era stato tutto sbagliato, anche quando avrebbe voluto che la figlia seguisse un’altra strada, perché era proprio questo il momento che lui aveva temuto. 


Oscar sentiva il suo sguardo su di lei, non voleva che la vedesse così e allora raccolse le gambe fra le braccia e lo guardò: “Mi dispiace, padre, ma non potevo fare altrimenti” disse con fare risoluto - “e non dovete preoccuparvi… avevo già dato le dimissioni e ho rinunciato a tutto, l’onore della famiglia Jarjayes è salvo”. 


La rabbia tornò prepotente nel Generale e le avrebbe dato volentieri uno dei suoi ceffoni se solo ne avesse avuto la forza, ma preferì invece stringere i pugni. 
“Sei una sciagurata!” gli urlò anche se invece le avrebbe voluto dire che sarebbe andato tutto bene e che l’avrebbe tirata fuori da lì, a tutti i costi. 
“Immagino che sia così, per voi, e non posso darvi tutti i torti. Ma io non potevo permettere che venisse sopraffatta la libertà!” 
Si era alzata in piedi adesso. ”Un uomo… non è niente senza la libertà! È soltanto una marionetta!” 
Si girò di fronte al padre con i pugni alzati, pronta allo scontro, e gli occhi, accesi dal fervore, fronteggiavano quelli così uguali ai suoi. 
“La libertà! È questo dunque che vuoi? Essere libera? Ah! Nessuno è libero a questo mondo, Oscar, nemmeno io lo sono… nemmeno il Re!” ribatté freddamente il Generale.


Oscar lasciò cadere i pugni, sapeva che quell’argomento sarebbe stato spinoso e forse suo padre non avrebbe nemmeno capito. Trasse un profondo sospiro e gli diede le spalle, ma fu colta subito da un impeto di tosse che la fece piegare su se stessa. Il Generale fece per avvicinarsi, ma lei scosse la testa e con tutta la lunghezza del braccio lo tenne a distanza. 


“Oscar! Che ti prende?” Le corse incontro e la sollevò, allarmandosi non appena notò lo sbuffo di sangue che Oscar aveva sulla mano. Prese il fazzoletto dalla tasca interna della sua marsina e glielo porse.
“Grazie…” 

“Che cos’hai, Oscar? Dimmelo!” - La aiutò a sedersi sulla panca e lei lo guardò con occhi tristi e rassegnati. “Ho la tisi, padre. Non mi resta che qualche mese di vita, se non mi curerò, ma a questo punto direi che saranno anche troppi, visto quello che mi spetterà a breve, perché so cosa deciderà il tribunale militare… per loro sono solo una traditrice… e anche per voi, lo so. Ma io sono pronta, non ho mai avuto paura di morire… ma adesso…” - Oscar si voltò di scatto verso il padre. “Dovete promettermi una cosa…” – Il Generale la guardò perplesso. “Cosa?” 
“Dovete prendervi cura di André come lui ha fatto con me per tutti questi anni… Mi ha sempre seguita e protetta e ora si trova all’Hôtel Dieu in fin di vita per colpa mia…” - le si spezzò la voce mentre ripensava a ciò che era accaduto durante quei momenti concitati alla Bastiglia, a come André le si era gettato sopra per proteggerla e al sangue che aveva imbrattato la sua mano. Se la guardò e ora era il suo stesso sangue che l’aveva sporcata e si affrettò a pulirsela nelle coulottes. 
“Lo ami?”

Lei trasalì a quella domanda e si sentì arrossire, ma non esitò: “Sì padre, lo amo… e… l’ho sposato!” 


Il sangue gli pulsava veloce nelle vene e le mani ebbero un tremito… era davvero così, dunque! Oscar aveva rinunciato a tutto per lui, per amore, per essere libera di amarlo, di amare quell’uomo che lo aveva sfidato apertamente e si era dimostrato più forte di quanto egli stesso avesse mai creduto possibile… 


Si sentì mancare… “Dunque è così?! È questa la tua scelta? … Allora… era davvero un addio quelle righe che ci hai lasciato!”

La donna abbassò la testa, capiva il dolore del padre, ma non era pentita, non avrebbe rinnegato nulla. “Sì padre, ma credo che ormai non abbia più alcuna importanza…”
“E va bene… come vuoi. Sei sempre stata una ragazza matura e responsabile, non posso negarlo, e altrettanto cocciuta e ribelle, ma non avrei mai creduto che saresti giunta a tanto… evidentemente mi assomigli più di quanto io stesso sia disposto ad ammettere” 

Abbassò lo sguardo sulla figlia e suo malgrado non poté fare a meno di sorridere. Le era di fronte in tutta la sua imponenza eppure Oscar notò il leggero tremore delle mani, quelle mani che l’avevano sostenuta da bambina, quando la sottoponeva agli allenamenti e lei a volte cadeva stremata, le ricordava forti e brucianti sulle sue guance, quando osava ribellarsi alla sua autorità. Non ricordava un gesto d’affetto, una carezza, un abbraccio. Nemmeno una pacca sulla spalla in segno cameratesco, come tante volte aveva visto fare tra i suoi soldati. Se fosse stata davvero un uomo… 

“Dimmi solo una cosa, potrebbe essere importante… quando ti sei sposata con André?” - Oscar lo guardò stranita, per un momento non capì, poi rispose: “La sera del 13 luglio… ma perché…?” 

Il soldato bussò alla porta per ricordare che i minuti a disposizione erano passati e il Generale fu invitato ad uscire. 
“Addio Oscar, vedrò cosa potrò fare, ma non posso prometterti nulla…” 

In quel momento si rese conto che probabilmente quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe potuto parlare alla figlia. Oscar annuì alle sue parole. 
“Addio. Vi prego! Portate i miei saluti a mia madre e a Nanny”. 
Le tremava la voce e le lacrime pungevano per uscire, ma cercò di trattenersi. Non voleva mostrarsi fragile davanti a lui, era già stato imbarazzante aver dovuto confessare di essere malata, no, proprio non voleva… Ma era come se le lacrime avessero vita propria e lei non riuscì a trattenerle mentre lo vedeva scomparire nella luce della porta. “Padre!” lo rincorse “Promettete che aiuterete André!” – Non sentì la risposta e quando il rumore del catenaccio le fece capire che era di nuovo sola, si portò le mani al volto e sospirò.

Correva, correva veloce al galoppo, con il cuore lacerato e un groppo in gola per quella figlia e non poteva fare a meno di sentirsi in parte responsabile. Si maledisse, non avrebbe voluto che finisse così, gli sembrava che tutto gli si fosse ritorto contro. Le parole di Oscar gli battevano in testa “Libertà… un uomo non è niente senza libertà! Libertà! Libertà!” Cosa mai era la libertà di cui Oscar andava parlando? Nessuno poteva dirsi libero a questo mondo! “A casa!” urlò al cavallo… 

Le ore di quella giornata trascorsero lente per Oscar, che non si dava pace, pensando che quelle potevano essere le sue ultime sulla terra. A volte sperava che Alain e Bernard riuscissero a radunare la folla e che per la paura di nuovi tumulti sarebbero riusciti a liberarla; il momento successivo ne disperava la riuscita, poi si riaccendeva un barlume di speranza confidando forse nella clemenza della Regina, ma sapeva che questa volta lei l’aveva fatta troppo grossa perché potesse esserle perdonata e poi pensava al suo André, che non l’avrebbe mai più rivisto, che sarebbe morta senza di lui e lui… cosa avrebbe fatto lui? Le aveva detto che non avrebbe potuto vivere un minuto in più senza di lei e questo la angosciava! Pensare di essere la causa del suo dolore, della sua possibile morte, perfino! Tutto questo le era intollerabile! “Oh, ma perché ci mettono tanto? Il Generale Bouillé sarà compiaciuto, starà gongolando pensando a quanto mi starà facendo star male?! Maledetto!” 

Le venne portato il rancio, questa volta migliore rispetto alla sera prima, uno stufato di carne con patate e carote a cui aggiunse le medicine che le aveva portato Rosalie. “Chissà se avranno deciso qualcosa e chissà se ne sarò informata o decideranno di condannarmi senza che io possa scagionarmi…”. 

Oscar fece uno sforzo enorme per mandar giù tutto quello che aveva nel piatto, ma lo doveva a Rosalie, al bene che nutriva per lei, che si era prodigata nel farle avere le medicine che aveva lasciato a casa sua. E i pensieri corsero a quegli anni in cui la sua protetta visse a palazzo Jarjayes e che poteva nonostante tutto dire felici. Sorrise ripercorrendo quelle giornate fatte di allenamenti, studio, cavalcate tutti insieme, le lezioni di ballo, di etichetta e ricordando quanto fosse felice nel rientrare a casa dopo aver svolto impeccabilmente i suoi uffici alla Reggia e André sempre al suo fianco… quanto era stata stupida pensare di volerlo allontanare perché doveva dimostrare a se stessa di essere un vero uomo… non era forse stata allevata come un uomo da quando era nata? E non si era sentita simile a lui da quando era arrivato a palazzo e ne era diventato il suo attendente? Un uomo forse soffre di meno? “Sciocchezze! Siamo esseri umani, cosa importa essere uomo o donna!” si disse scuotendo la testa. E le tornò in mente una frase che l’aveva tormentata per mesi: “Oscar sarà sempre Oscar” - era ciò che le aveva detto André in quella famigerata notte quando le aveva rivelato di amarla da sempre. “Oh Signore! Fa che io possa rivederlo!” fu la sua preghiera prima di addormentarsi. 

Voci concitate, pugni sbattuti sul tavolo, un piccolo consesso di militari, fra cui il generale Bouillé, il generale Jarjayes, il generale La Fayette, il Colonnello d’Agoult e il Colonnello Labonne, stava decidendo del destino di Oscar François de Jarjayes, senza riuscire a risolversi. Il Generale Bouillé era il suo superiore e aveva già dovuto ingoiare il rospo quando la Regina aveva salvato Oscar dall’accusa di tradimento e aveva dovuto rilasciare i suoi dodici soldati, uno smacco completo per il capo supremo dell’esercito e ora questo! Non solo doveva fronteggiare il Generale Jarjayes, che, per la prima volta da quando lo conosceva, si era messo di traverso e voleva salvare la figlia a tutti i costi, che diavolo gli era saltato in mente? Un traditore è un traditore, cosa c’era di diverso dalla volta precedente? Quando era stato proprio lui a voler punire la figlia con le sue stesse mani! Ci mancava anche quella testa calda del cugino eroe dei due mondi! Quanto si gongolava per le sue idee liberali! Che se ne tornasse in America! ll generale Lafayette era contrario alla pena capitale per l’ex Comandante dei Soldati della Guardia, non era così che avrebbe voluto cominciare il suo nuovo incarico di Comandante della Guardia Nazionale, dove si erano arruolati quasi tutti gli ex soldati di Oscar e sapeva bene quanto fosse stimata e anche amata, con le mani lordate del suo sangue. Come avrebbe potuto guidarli e farsi rispettare da loro! Si oppose tenacemente e forse, fu grazie anche a questa presa di posizione che Jarjayes si sentì rinfrancato e cercò di portare avanti le istanze per scagionare la figlia. “La Francia non si può permettere un simile assassinio adesso! – protestava La Fayette – Come fate a non capire? Ci sarebbe un’altra sollevazione popolare non saprei come tenere a bada i suoi ex soldati! Mi si rivolterebbero contro! Il popolo non accetterebbe un simile atto, sarebbe una specie di martire per loro! È solo perché non si è presentata che non è stata eletta lei Comandante della Guardia Nazionale, il popolo l’ha acclamata!”
“È una traditrice!” – gridò Bouillé
“Per il popolo è un eroe!” – gli urlò di rimando La Fayette. Si stavano fronteggiando da una parte all’altra del tavolo, in piedi con i volti tirati dall’alterco, in tensione, come se fossero pronti a battersi in un vero duello. Ecco lo spiraglio che aspettava! Forse poteva esserci una via di fuga. Jarjayes approfittò per intromettersi in quella discussione, spalleggiato anche dal Colonnello D’Agoult. “Oscar non ha agito da militare, ma da cittadina, come si dice adesso e nemmeno da Contessa, quindi, per rigore di logica, andrebbe semmai giudicata da un Tribunale Civile!”
“Cosa? Che state dicendo generale Jarjayes?” - Bouillé si voltò di scatto verso di lui
“È vero generale Bouillé… ecco, queste sono le dimissioni dall’esercito di Oscar François de Jarjayes e sono datate 13 luglio…” – ammise il Colonnello d’Agoult, allungando il foglio al suo superiore.
“E perché non mi sono state recapitate prima?” – Bouillé era fuori di sé. Un impiccio a cui non aveva pensato e non aveva calcolato. “Le ho trovate soltanto ieri nel tardo pomeriggio, mentre sistemavo la corrispondenza arrivata… evidentemente erano finite in mezzo alle altre scartoffie” – mentì D’Agoult. 

Aveva avuto come uno strano presentimento e aveva preferito tenersele per sé. Ora sapeva che aveva fatto la scelta giusta. Aveva sempre ammirato quella donna, da quando era arrivata in Caserma un anno prima. Era stata l’unica a prendersi veramente cura e a darsi pena per quei soldati, da tutti considerati soltanto avanzi di galera e morti di fame, niente per cui valesse lo sforzo preoccuparsene. E lui aveva preso a volerle bene, come a una figlia e si era preoccupato per lei, quando aveva capito che era malata. Adesso non avrebbe lasciato nulla di intentato per salvarle la vita.
Bouillé si lasciò cadere sulla sedia, ma non voleva darsi per vinto, doveva trovare un altro modo. “Quello che ha fatto è un oltraggio alla nobiltà! Schierarsi dalla parte del popolo!” – tentò di nuovo. 
“Mi dispiace generale, ma anche in questo caso devo dire che mia figlia sapeva ciò che faceva… ha rinunciato al suo titolo e al suo grado di fronte al Principe di Lambesc… ci sono centinaia di testimoni. Inoltre…” – aveva l’attenzione di tutti, che aspettavano le sue parole con apprensione – “Inoltre?” – chiese Bouillé infastidito. “Inoltre ora non è più Oscar François de Jarjayes, ma Oscar François Grandier… perciò, di fatto, non è più mia figlia…” 
Il generale Bouillé strabuzzò gli occhi, ma non si diede per vinto. “E va bene, vorrà dire che porteremo questo caso davanti al Re! La seduta per ora è tolta!”

Era forte lo schiamazzo che proveniva dall’esterno dell’Abbazia, la prigione in cui era stata portata due giorni prima, migliaia di persone stavano protestando e chiedevano a gran voce la liberazione di Oscar. Alain e il caporale Hulin, insieme alla neonata Guardia Nazionale badavano affinché non ne nascessero tafferugli o peggio, scontri con i soldati che presidiavano la prigione. “È davvero troppa gente! Non so per quanto tempo riusciremo a tenerla a bada senza intervenire” – disse Alain cercando l’approvazione del caporale. “Già! Sarebbe bene mandare a chiamare il Generale La Fayette!” – gli rispose quello guardandosi intorno. 
“Alain! Prendi tu il comando, io correrò a Versailles ad avvertire il Generale!”
“D’accordo!”

Alain incrociò lo sguardo di Bernard che si era messo nuovamente alla testa del corteo inneggiando alla liberazione dell’ex Comandante e si scambiarono un muto segno d’assenso. La folla era radunata davanti al piazzale della prigione, pronta, ad un eventuale segnale da parte di Bernard, ad attaccare: qualcuno aveva fucili, ma la maggioranza aveva pietre, prese in gran parte dalle rovine della Bastiglia. Ai lati erano posizionati i soldati che cercavano invece di contenerla. 

Hulin arrivò a Versailles trafelato, sapeva dove avrebbe trovato il Generale La Fayette, memore del colloquio che aveva avuto il giorno prima nell’ufficio del nuovo Comandante e proprio mentre il generale Bouillé rimandava la seduta, un valletto bussò alle porte annunciando l’arrivo del caporale Hulin.
“Generale La Fayette! A Parigi c’è bisogno del vostro intervento! Migliaia di persone si sono radunate davanti alla prigione dell’Abbazia e chiedono la liberazione di Oscar François!”

A quelle parole il generale Bouillé impallidì, il generale Jarjayes ebbe un sussulto, il generale La Fayette si inorgoglì, si girò verso i suoi pari e li salutò con un inchino. 
“Andiamo! Non possiamo permettere che la visita di Sua Maestà di oggi pomeriggio venga turbata da altri disordini. Sarà bene decidere in tempo. Sapete già qual è il mio pensiero: se volete davvero che il popolo si calmi, non toccategli i propri eroi…” e detto ciò uscì.

Il generale Bouillé comandò allora che fosse fatto venire urgentemente re Luigi XVI, la situazione gli stava fuggendo di mano…
Anche stavolta Sua Maestà si mostrò titubante nel dover scegliere la sorte di colei che per tanti anni aveva servito fedelmente la Corona e preferì conferire con la moglie ed agire di concerto con lei. Maria Antonietta fu molto turbata dalla scelta di Oscar, volle ascoltare tutte le parti in causa e quando toccò al generale Jarjayes rimase scossa dalle parole che Oscar aveva pronunciato: “Libertà!” - la sua amica aveva voluto scegliere la libertà, per sé e per il popolo. Sapeva bene a cosa si riferisse… la libertà! Se anche lei avesse potuto essere una donna libera! Il suo pensiero andò immediatamente all’uomo che avrebbe voluto amare con tutta se stessa come una donna comune, libera dai vincoli che la sorte le aveva imposto. E ripensò alle parole di Oscar quando era venuta a chiederle di allontanare le truppe da Parigi, a come lei stessa si era rifiutata di cedere alle richieste del ministro Necker che aveva prontamente fatto allontanare. E ora avrebbe dovuto ritornare sui suoi passi, seguire le indicazioni dell’Assemblea Nazionale, richiamare Necker e allontanare le truppe. Con un moto di stizza strinse le labbra e gli occhi, in un certo senso sentiva come se Oscar avesse dichiarato guerra a lei in primis. Guardò poi gli occhi buoni del consorte che attendeva un suo cenno, ma qual era la cosa giusta da fare? La cosa giusta! Cosa avrebbe fatto la sua amica? Pensando a lei la decisione fu presto presa…
 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Tornare a respirare ***


Il cielo azzurro, striato di nuvole bianche e sottili, sembrava in attesa. Il caldo di luglio era stato mitigato da un temporale notturno e ora la brezza spingeva da terra ad asciugare l’aria umida proveniente dall’oceano. Parigi, ancora una volta in pochi giorni, si apprestava ad accogliere una folla turbata e incuriosita, pronta ad esplodere al minimo segno contrario alle proprie aspettative. Il popolo aveva marciato alla guida di Bernard Chatelet, protestando per l’ingiusta incarcerazione di Oscar. Era stato difficile per i Soldati della Guardia Nazionale, costituiti per la maggior parte da persone poco avvezze all’arte militare, tenere a bada i parigini senza usare le armi: Bernard si era raccomandato con Alain che non si arrivasse allo spargimento di sangue o non avrebbe saputo come controllare la rabbia del popolo, un vero fiume in piena sempre pronto ad esondare, in quei giorni. E anche nel pomeriggio c’era molta tensione, si attendeva con apprensione l’arrivo del Re e si attendevano da lui risposte pronte e decise. Il corteo si faceva largo tra le strade e quando giunsero davanti al complesso dell’Abbazia, il Re fu accolto nuovamente da proteste e dalle richieste di scarcerazione del loro Comandante. 
 
Oscar si sentiva in gabbia, un animale ferito pronto ad attaccare chiunque si fosse avvicinato troppo; l’ansia di sapere l’attanagliava, perché ci mettevano tanto? Ormai non sapeva più cosa pensare, nessuno le diceva alcunché e nessuno aveva più potuto vederla. Le voci dall’esterno si fecero sempre più vicine e Oscar capì che qualcosa stava nuovamente accadendo e il suo cuore sperò che Bernard e i suoi ex soldati fossero riusciti ad intercedere per lei. Un rumore di passi la fece trasalire e i battiti del suo cuore accelerarono notevolmente quando sentì armeggiare alla porta di ferro che la separava dal resto del mondo. “Oscar François de Jarjayes!” – lesse il soldato – “siete stata condannata” – Oscar deglutì e le orecchie si ottusero – “all’esilio a vita. Avete trenta giorni di tempo per lasciare la Francia!” – Il soldato arrotolò la pergamena e sparì dietro la porta. 
Oscar dovette appoggiarsi al muro per non cadere. Chiuse gli occhi… era salva! Era salva! Tremava e non si accorse che i soldati adesso erano due e le si erano avvicinati per portarla via di lì e quando si affacciò alla soglia rimase sorpresa nell’incontrare la figura di suo padre, gli occhi stanchi e provati, che la prese in consegna e la accompagnò fuori. Non serviva parlare, entrambi sapevano che avrebbero avuto tempo dopo. Quando Oscar uscì si levò un coro che la travolse insieme a quella luce azzurra che le ferì gli occhi; si difese nascondendo il viso dietro la spalla del Generale per avere il tempo di riabituarsi alla libertà. 
“Congratulazioni Comandante, ce l’avete fatta!” – esclamò un Alain impettito in sella al suo cavallo; le allungò la mano, memore di quanto era successo a lui e ai suoi soldati giusto all’inizio del mese e Oscar accettò volentieri quella mano tesa e la strinse con commozione.
“Grazie a te Alain!” – poi, girando il viso verso quel drappello di persone che erano lì per lei, si accorse che la carrozza reale si era mossa per continuare il suo viaggio verso l’Hôtel de Ville affiancata dal marchese de La Fayette che, quando la vide, le porse il saluto militare.
“Comandante, avete visto? Ci siamo riusciti! È anche grazie al marchese de La Fayette, che ha interceduto per voi presso il tribunale, che siete salva!” – Hulin, Elié, Jean, François, Lasalle, Alain, Bernard e gli altri le si erano fatti attorno, felici, lasciando stupito il generale Jarjayes, che mai, in vita sua, aveva avuto una tale accoglienza dai suoi stessi soldati e istintivamente le aveva cinto le spalle, quasi temesse potesse finire inghiottita, presa da quelle mani festanti che volevano stringere la sua. Oscar era commossa da tanto affetto dimostratole, ma si sentiva esausta, provata da quei giorni di prigione, ma ancor più dalla malattia, aveva solo voglia di riposare. La testa le girava e, all’improvviso, la terra cominciò a vorticarle intorno e tutto le fu scuro.
 
Freddo, come poteva avere freddo a luglio? E dov’era? Un cielo rosso cupo la sovrastava, due figure stavano camminando davanti a lei immerse in quel rosso, un uomo a dorso di un asino e una bambina davanti a lui che tirava la bestia tenuta per una cavezza. Capiva che lei faceva fatica, Oscar voleva aiutarla, ma non poteva, era troppo lontana. Allora si mise a chiamarla con quanta voce aveva, ma non sentiva alcun suono, sentiva uno strano ronzio alle orecchie e si accorse che tutto il suo corpo tremava. Dove andavano? Chi erano?
 
“Sta delirando” – disse il dottor Aubin ad un Generale sempre più angustiato – “la febbre è molto alta… passatemi altro ghiaccio. Dobbiamo farla assolutamente scendere…” 
Aveva portato la figlia a casa di Bernard, la più vicina all’Abbazia, tenendola in braccio. Si era reso conto di quanto fosse leggera e si chiese da dove mai tirasse fuori tutta quella forza. Oscar in duello era agile e veloce, sfruttava i colpi dell’avversario a proprio vantaggio, facendo roteare le spade per poi dare la stoccata finale e vincere. Era una mossa che lui stesso le aveva insegnato fin da bambina. La guardava, il viso pallido, il capo abbandonato e istintivamente la strinse forte a sé, mentalmente pregando che non morisse proprio ora… Come arrivarono a casa Chatelet, Rosalie, senza perdersi d’animo, mandò di corsa Alain a chiamare il dottor Aubin, il quale, non appena vista la donna, disse che l’unico modo per far scendere la febbre era trovare del ghiaccio: ma dove, in quel periodo dell’anno? Sicuramente a Versailles e a palazzo Jarjayes ne avrebbero trovato, ma erano luoghi troppo lontani dalla città e avrebbero impiegato troppo tempo per procurarsene. Fu il Generale ad avere l’idea: il posto più comodo dove avrebbero potuto trovarne doveva senz’altro essere la ghiacciaia di Palais Royal. Si offerse di andare, insieme ad Alain. Tornarono circa un’ora dopo con un discreto bottino: due lastre spesse avvolte nella paglia e chiuse in una cassa di legno. Le strade fortunatamente erano poco affollate: la maggior parte delle persone erano ora attorno al Re. Il dottor Aubin ordinò agli uomini di fare le lastre a pezzi, che vennero avvolti a loro volta in stracci di cotone e posti accanto al corpo febbricitante di Oscar: sulla fronte, alle tempie, sui polsi, ai fianchi, fra le gambe e sotto le ginocchia, alle caviglie. Nulla doveva restare intentato per salvarle la vita. 
“Oscar! Mi senti? Oscar!” Quella voce accalorata le proveniva da lontano, voleva rispondere, ma non poteva. 
La bambina si era fermata e ora guardava l’uomo ora guardava in direzione di Oscar. Oscar notò qualcosa davanti a sé e si avvicinò: era un involto che sapeva di dover dare alla bambina, ma era pesante e man mano le si avvicinava diventava sempre più pesante e all’improvviso si trovò con le mani sporche di sangue, guardò l’oggetto e si accorse che in mano aveva un cuore, guardò meglio e vide che il cuore era il suo…
 
Oscar si svegliò di soprassalto, con gli occhi sbarrati dallo spavento, ansante e madida di sudore, si guardò le mani e si tastò il petto, sospirando sollevata quando si rese conto che si era trattato di un incubo, lasciandosi poi ricadere indietro sui cuscini e chiudendo gli occhi, mentre il generale Jarjayes, che si era destato sentendo i suoi movimenti, la chiamò, le toccò la fronte e fu con sollievo che poté constatare che la temperatura era decisamente scesa. Anche Rosalie, che era rimasta sulla poltrona accanto al letto, si svegliò.
“C’è mancato poco che ti perdessimo” – le disse il Generale – “Avevi la febbre molto alta. Tieni, ora bevi questo, tutto…” – le parlava come se fosse stata di nuovo bambina, con il tono fermo e deciso, che Oscar conosceva bene. Ingollò tutto il contenuto del bicchiere con una smorfia. “Ho freddo” – disse poi. “È il ghiaccio che il medico ti ha fatto mettere per far scendere la temperatura” – le spiegò. “Forse ora possiamo toglierlo, prima che si sciolga del tutto”. “Sì, ci penso io” – e Rosalie si diede da fare, allungando gli involti man mano al marito o all’amico, poi se ne andarono. 
“Come ti senti?”
“A parte lo spavento del sogno… meglio… Ma cosa mi è successo? All’improvviso tutto è diventato scuro intorno a me”
“Sei svenuta. Avevi la febbre molto alta. Il dottor Aubin temeva che ti fosse venuta una polmonite e nelle tue condizioni, non te la puoi permettere…” – il tono divenne quasi scherzoso, cosa davvero rara per le orecchie di Oscar. 
“Grazie”
“…?”
“Per avermi aiutata…”
“Dopotutto, sei sempre mia figlia” 
Oscar intuì il sorriso sul volto paterno. “E così… sono stata esiliata? O anche quello me lo sono sognata?” – la sua voce si tinse di una punta di amarezza.
“Non l’hai sognato, è così. Sua maestà la Regina, ti ha protetta un’altra volta, da chi invece avrebbe voluto per te la pena di morte. Ma La Fayette, si è opposto tenacemente ad un simile verdetto, non voleva averti sulla coscienza, suppongo. Sì, certo, ha addotto motivi molto più politici, ma sono sicuro che il fatto di aver preso il tuo posto come Comandante della nuova Guardia Nazionale, abbia avuto il suo peso. In fondo quel posto ti spettava di diritto…”
“E… voi?” – trattenne il fiato e strinse il lenzuolo
“Che vuoi sapere, esattamente?” – la guardò dritto negli occhi e lei rimase ferma. Non si scansò, non li abbassò, accettò la sfida.
“Ho portato le tue ragioni, se è questo che vuoi sapere”
“Non ci sono conseguenze per la famiglia Jarjayes?”
“No, ho spiegato che hai lasciato tutto e hai agito come Oscar François Grandier…” – scivolò su quel nome, come se scottasse – “…e come cittadina, non come Comandante dei Soldati della Guardia, il colonnello D’Agoult ha mostrato la lettera delle tue dimissioni e quelle degli altri soldati, pertanto si è convenuto che tu hai agito da civile e non da militare e che quel tribunale non poteva giudicarti. Bouillé in un estremo tentativo di fartela pagare, ha ricorso al giudizio di Sua Maestà…” – emise un sospiro. Oscar lo guardò esterrefatta. Seguì un lungo silenzio. Il generale Jarjayes andò alla finestra che dava sul cortiletto interno della palazzina e inspirò l’aria fresca della notte, profumata dai caprifogli che tenaci si avvinghiavano ai graticci posti a ridosso dei muri; la brezza entrava leggera nella stanza, alzando ritmicamente le leggere tende di mussola. Tutto intorno era silenzio, ormai anche la folla che nel pomeriggio aveva assistito festante ed esultante al discorso di Sua Maestà, era sciamata alle proprie case; solo il frinire dei grilli e il canto di un merlo solitario, padrone assoluto dell’unico albero di tiglio posto in mezzo al giardino, spezzavano la tranquillità di quelle ore.
“Dunque… ho il vostro perdono?” – si morse un labbro… perché quella domanda? Davvero le era venuta spontanea e si meravigliò di se stessa. 
Il Generale si sentì rimescolare dentro, non sapeva se l’avesse perdonata, tutto era accaduto rapidamente, gli eventi erano precipitati e lui aveva solo pensato che voleva salvare sua figlia. L’aveva salvata… ma per quanto tempo? Trasse fuori la pipa dalla tasca interna della giacca e la mise in bocca senza accenderla. Era in fondo una questione di gesti, e ciò gli bastò a tenere a bada quei sentimenti che ultimamente faceva sempre più fatica a gestire. Era dalla notte in cui avrebbe voluto ucciderla che qualcosa in lui si era smosso: sentiva che Oscar non gli apparteneva più, era come se gli fosse scivolata via dalle mani, i suoi pensieri non erano più i suoi stessi pensieri… non poteva più trattenerla, ormai e questo lo spaventava.
“Domani ti riporterò a casa e quando ti sarai ripresa del tutto dovremo partire”
“Aspettate! No… io… non posso tornare a casa, non adesso… non senza André! Sono due giorni che non ho sue notizie! Io devo andare da lui. Lo capite, vero?” 
Il generale annuì. Oscar respirò di nuovo. 
 
Si risvegliò che era giorno inoltrato, si sentiva meglio, e dormire su un vero letto fu già un conforto; le due notti trascorse in cella le avevano lasciato un indolenzimento alle ossa e un senso di oppressione che avrebbe faticato a levarsi di dosso. Dopo il freddo e i tremori era arrivato il caldo e si era ritrovata scoperta e un po’ sudata. Ma si sentiva bene. Si appoggiò una mano sulla fronte: era fresca. Si guardò intorno alla ricerca di suo padre, ma si ritrovò sola, la finestra rimasta aperta, mandava i suoni di gente indaffarata e qualcuno che cantava. Si alzò e si stirò, la schiena dura, si piegò in avanti per tenderla. “Accidenti Oscar, sei proprio messa male!” – si disse, constatando che a fatica le mani avevano raggiunto i piedi. Poi raggiunse il lavabo, si diede una rinfrescata e si rivestì. Ancora una volta Rosalie le aveva fatto trovare vestiti puliti, la sua camicia che aveva indossato i giorni scorsi, già lavata e stirata e le coulottes. Attirata da un tonfo che si ripeteva a intervalli regolari, si affacciò alla finestra e notò una giovane che stava battendo su un asse alcuni indumenti, per poi immergerli nella tinozza sottostante. Notò allora i caprifogli fioriti e ne inspirò il profumo. Era un buon profumo ed era quello della libertà.
“Buongiorno Oscar” – la voce di Rosalie le giunse allegra dalla porta. “Ho sentito dei rumori e sono venuta a vedere. Sono felice di vedervi in piedi! Avrete fame!”
Oscar si voltò e la raggiunse. “Sì, ho molta fame!”
“Questo è un buon segno! Ho preparato qualcosa da mangiare”
In quel momento Oscar si ricordò di aver lasciato le medicine all’Abbazia. “Non preoccupatevi… vi avevo dato solo alcune gocce, giusto il necessario per pochi giorni. Il resto è in queste boccette sul tavolo”
“Grazie Rosalie… per tutto. Devo averti dato molto disturbo in questi giorni” – disse Oscar abbassando la testa.
“Non ditelo nemmeno per scherzo. È solo una minima parte di ciò che voi avete fatto in tutti gli anni che sono rimasta a casa vostra! E poi mi fa piacere prendermi cura di voi…”
“Come stai? Come procede?” – le chiese imbarazzata indicando il ventre della giovane.
“Io sto bene e questa peste non la smette di scalciare! Ormai dovrebbero mancare poco più di due mesi” – rispose lei sorridente. 
“Mio padre?”
“È tornato a casa. Ha detto che ha molte cose da sbrigare… E ha detto che aspetta anche voi. Mi dispiace molto Oscar per quello che vi aspetta…” – un luccichio fece brillare gli occhi di Rosalie. 
“Non devi preoccuparti per me. Mi sarebbe potuta andare molto peggio… Anzi, devo ringraziare anche Bernard. È anche merito suo, se sono di nuovo libera”
“Dove andrete? Cosa farete adesso?” – la voce della ragazza aveva preso un tono preoccupato. Oscar alzò le spalle, non ci aveva ancora pensato. Un altro e più importante pensiero le turbava la mente:
“Per caso… hai notizie di André?” – avrebbe voluto farle quella domanda da subito, ma sapeva che non sarebbe stato gentile da parte sua.
“Alain è andato in ospedale ogni giorno… la situazione non è cambiata, non si è ancora risvegliato…” – si morse un labbro e la guardò con apprensione scrutando ogni minima variazione di espressione sul suo volto, che si fece ora rabbuiato, ora più disteso. 
“Forse è meglio così” – sentenziò Oscar. Aiutò Rosalie a sparecchiare e a risistemare il tavolo, poi si congedò e decise di recarsi lei stessa da André. 
“Ne siete sicura? Ve la sentite? È una buona mezzora a piedi, sotto il sole…”
“Sì Rosalie, non posso attendere un minuto di più.”
“Promettetemi che tornerete stasera…”
“Preferisco non prometterti nulla, ma se non potrò rimanere con lui, allora… tornerò”
“Tenete questa… me l’ha data Alain, pensa che vi potrebbe essere utile” – così dicendo aprì un cassetto della credenza e ne tirò fuori una pistola già carica.
“Alain pensa sempre a tutto. Benedetto ragazzo!” – disse mentre si infilava la pistola in vita, nascosta sotto la camicia.
 
Camminò per la città di buon passo, voltandosi di quando in quando per assicurarsi di non essere seguita; si sentiva strana, euforica e triste allo stesso tempo, avvertiva che qualcosa di lei non era più la stessa, che tutta la sua vita precedente non era più la stessa, ma come se fosse rimasta sotto alle macerie della Bastiglia, mentre ora sentiva che voleva vivere, vivere pienamente come non le era stato possibile ancora fare, per tutto il tempo che le fosse stato concesso. Era quasi mezzogiorno e il sole alto nel cielo riscaldava le strade e si rifletteva sui muri, abbacinando la vista. Rosalie aveva insistito perché portasse con sé le medicine e indossasse un cappello dei suoi, ma Oscar scelse un semplice tricorno nero di Bernard. Vi raccolse sotto i capelli, per farsi riconoscere il meno possibile e si era avviata. Arrivò all’Hôtel Dieu poco dopo mezzogiorno. Chiese informazioni alla sorella guardiana: André era ancora nella stessa stanza in cui lo aveva lasciato. Oscar percorse il corridoio che separava le due file di letti col cuore in gola, era emozionata e terrorizzata allo stesso tempo. Come lo avrebbe trovato? Guardava i letti di entrambe le file e le sembrava di non riconoscere in quelle figure emaciate quella più amata; alcuni di loro dormivano, altri erano svegli e si lamentavano sommessamente, altri la guardavano con curiosità: era raro che qualche parente o amico venisse a trovarli. Oscar si aggirava ormai convinta di aver capito male e di aver sbagliato stanza, quando finalmente lo vide, il suo André, ancora pallido, ma con la barba fatta, le bende pulite e gli occhi sempre chiusi. Dormiva di un sonno profondo, il respiro si era fatto regolare, ma non accennava a risvegliarsi. Gli si sedette accanto, si tolse il cappello, lasciando cadere i lunghi capelli biondi sulla schiena e suscitando in qualcuno dei pazienti presenti un moto di sorpresa, poi appoggiò il suo viso su quel petto ampio e forte e ne ascoltò i battiti, che erano lenti, ma regolari. Rimase lì per un po’ con gli occhi chiusi e le mani intrecciate a quelle di André, finché sentì la presenza di qualcuno e li riaprì. Un uomo dal viso tondo e paffuto, con gli occhi e le labbra sottili e il naso grosso la stava fissando. “Buiongiorno” – la salutò – “Sono il dottor Desault e voi? Chi siete?” Non l’aveva riconosciuta.
“Oscar François… Grandier… sono sua moglie” – disse alzandosi. Era la prima volta che pronunciava quel nome e cognome per intero e perdipiù ad un estraneo. Il medico nascose un moto di sorpresa, poi come a rincorrere un lontano ricordo, la guardò nuovamente: gli ci volle un po’ per sovrapporre la figura che aveva davanti a quella del militare di qualche giorno prima, meravigliandosi di non aver riconosciuto in lei una donna, solo perché vestita in abiti non consoni.
“Come sta? Si riprenderà?” – lo incalzò lei. 
“L’operazione è andata bene e la ferita si sta rimarginando. Non ci sono segni tali da lasciare intendere ad un peggioramento, ma solitamente, per queste operazioni così complesse, attendiamo il risveglio del paziente…”
“Ma perché non si sveglia? È da quattro giorni ormai che è in queste condizioni…”
“Probabilmente il suo fisico, nonostante sia di robusta costituzione, era già debilitato. In effetti anche noi ce lo stiamo chiedendo. È davvero strano, giacché il paziente ha superato le ore di osservazione e non ci sono segni né di setticemia, né di tetano, il ché ci fa ben sperare… “
“Forse se lo portassi a casa…”
“Glielo sconsiglio, Madame… preferiremmo che rimanesse qui, sarebbe un azzardo trasportarlo adesso, almeno fino a quando non si sveglierà…”
“E se non dovesse… ?” Oscar non riuscì nemmeno a terminare la frase, era un’ipotesi che non voleva nemmeno prendere in considerazione.
“In tal caso, se entro un paio di giorni non dovesse risvegliarsi, avrà il mio permesso”
“E sia… Posso rimanere qui con lui, vero?”
Si era sdraiata accanto al suo André con la testa appoggiata nell’incavo della sua spalla e un braccio a circondargli il torace e a prendergli la mano, che giaceva immobile lungo il fianco. Gli chiese perdono per non aver potuto essere lì, accanto a lui, e gli raccontò tutto quello che le era successo in quei giorni, come se potesse sentirla. Presto però la stanchezza, o forse l’emozione, ebbe il sopravvento e si addormentò. 
Un uomo cavalcava a dorso di un asino trainato da una giovane fanciulla. Faceva fatica, ma era forte e non avrebbe permesso a nessun altro di farlo. L’uomo era ferito, doveva fare in fretta, non voleva che gli accadesse nulla di male. La strada era impervia e in leggera salita lungo quello che sembrava il crinale di un monte. Videro una donna che si avvicinava da lontano: la fanciulla si fermò e la guardò con un sorriso. Il vento scompigliava loro i capelli e le vesti, il sole tingeva le chiome di rosso. Man mano che la donna si avvicinava potevano scorgerne i contorni e poi i lineamenti… per l’uomo fu una sorpresa constatare che assomigliava alla fanciulla, che ora aveva lasciato la cavezza e si era girata verso quella figura esile ed eterea che stava andando loro incontro. L’altra sembrava spaventata, aveva in mano un involto che sembrava pesarle molto, ora arrancava e ansimava, stille di sudore le imperlavano il volto, chiuse gli occhi e allungò le mani che la fanciulla le afferrò per sostenerla, poi prese l’involto e lo dischiuse… “Ora è tutto a posto” – le disse e si voltò verso l’uomo ferito, mentre la donna si dissolse nel nulla. L’uomo prese il cuore e se lo mise nel petto…
 
André aprì lentamente l’occhio, era tutto molto annebbiato intorno a sé, scuro e silenzioso… ma dov’era? L’ultima cosa che rammentava era il luccichio di una baionetta e Oscar che urlava, poi il nulla. Avvertiva una fitta al fianco destro e dietro la schiena e faceva fatica ad inspirare profondamente; sull’altro lato sentiva un respiro più leggero che non era il suo, scaldargli il cuore. Cercò di muoversi con cautela per vedere il viso amato (avrebbe riconosciuto il suo profumo in mezzo a mille persone), ne riuscì ad intravvedere un po’ dell’oro dei capelli e allora cercò di allungare il braccio senza svegliarla e le cinse il fianco. Oscar a quel contatto fu percorsa da un brivido e si riscosse: André la stava guardando.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Ritorno a casa ***


La luce calda del tramonto tingeva i muri di un bel color ocra e dalle finestre lasciate aperte entrava l’aria tiepida di luglio a riscaldare gli animi afflitti degli ammalati. E per un paziente in particolare, non vi fu balsamo migliore della vicinanza della propria amata. 
 
“André! Ti sei svegliato! Finalmente!”
“Oscar!”
“Oh André! Ho avuto così paura che non ti risvegliassi più!”
“Oscar… la mia Oscar. Ho avuto così paura che i fucilieri ti colpissero…” – le stava accarezzando il viso che lei aveva avvicinato per farsi vedere meglio.
“Come ti senti, André?” 
“Bene, ora che sei qui, con me… Ma dove sono?”. Oscar gli prese la mano fra le sue e ne baciò il dorso, facendola scorrere sul suo viso e cercando di trattenere le lacrime che invece spingevano per uscire. Provò ad inspirare ma il fiato le si spezzò. “Sei all’Hotel Dieu, ti abbiamo portato qui dopo che sei stato ferito… Oh André!” 
“Perché stai piangendo, Oscar?”
“Ho temuto così tanto di perderti…” 
“No, non potevo morire proprio adesso, ti pare? Ora che anche l’amore ci unisce…” E il suo occhio sembrava sciogliersi in quelli di lei che lo guardava con infinita tenerezza.
“Hai ragione, André… come sempre” – sorrise felice, lasciò che le lacrime scorressero libere e si allungò verso di lui, con la mano gli liberò l’occhio nascosto e la fronte andando a baciarli ora l’uno, ora l’altra sulla quale appoggiò la sua guancia – “Ma non farlo più!” – André rise di cuore, ma dovette fermarsi, perché un dolore acuto lo trafisse. “André, che succede?” – Oscar si alzò a guardarlo in viso allarmata. “Nulla, solo una fitta qui al fianco… va tutto bene, davvero” – la guardò per darle conferma che non le stesse mentendo solo per tranquillizzarla, poi ne cercò la mano e gliela strinse - “Dovrai raccontarmi tutto quello che è successo dopo…”
“Ma certo, avremo tempo! Tutto il tempo che vorrai, André…” Si portò le mani alla bocca e girò il viso dall’altra parte, non voleva farsi vedere così provata, voleva essere forte per lui, ma gli eventi di quegli ultimi giorni l’avevano sconvolta.
“Ora sarà meglio che vada ad avvisare il medico che ti sei svegliato!” – disse alzandosi e asciugandosi gli occhi.
Il dottor Desault fu molto sollevato dal fatto che André si fosse svegliato, lo visitò accuratamente e quando Oscar gli chiese quando avrebbe potuto tornare a casa, il medico le disse che sarebbe stato meglio per lui rimanere ancora qualche giorno in ospedale, almeno fino a quando non gli avessero tolto i punti. Oscar allora gli parlò dei problemi alla vista e il medico si procurò una candela e la fece passare davanti all’occhio di André, che riusciva a vederla, seppur sfuocata. Gli sembrava di vederci un po’ meglio, forse il riposo aveva giovato al suo occhio malandato. Il dottore gli disse che l’indomani avrebbero potuto fare un ulteriore controllo con un suo collega e invitò poi Oscar ad andare a riposarsi. Una sorella entrò poco dopo con un po’ di zuppa e di acqua per rinfrancare il corpo del ferito. 
Oscar e André si guardavano come se non si fossero mai visti prima, come se l’amore e la lontananza li facesse scoprire l’un l’altra per la prima volta, sempre gli stessi eppure rinnovati nell’animo e nel cuore; ora sapevano che non sarebbero sopravvissuti l’una senza l’altro, che un filo sottile, delicato ma infrangibile li avrebbe uniti per sempre. Oscar non voleva lasciarlo, ma il dottore era stato categorico, entrambi avevano bisogno di riposare e si sarebbero potuti vedere l’indomani. Così dopo che André ebbe terminato la sua cena leggera, furono costretti a separarsi dicendosi mille volte “a domani” e “buonanotte”, con il bisogno reciproco di tenersi e di non lasciarsi per paura che il domani potesse portare nuove afflizioni. 
Arrivò a casa Chatelet quasi senza accorgersene, i suoi pensieri erano tutti rivolti a lui e come tutti gli innamorati passava dalla felicità allo sconforto, presa da pensieri cupi, per poi tornare a volare… non pensava a ciò che sarebbe stato, le bastava sapere che André era vivo! Vivo! 
Alla piccola compagnia si era aggiunto anche Alain, che indossava la nuova divisa della Guardia Nazionale. 
“Comandante!” – esclamò lui appena la vide
“Comodo Alain… non sono più il tuo Comandante… puoi chiamarmi anche solo Oscar…” – lui la guardò di sottecchi, un po’ rassegnato, un po’ a disagio per la situazione che si era venuta a creare fra i soldati. I suoi commilitoni avrebbero tanto voluto che Oscar fosse rimasta con loro, ma sapevano che sarebbe stato impossibile, prima di tutto per lei… ormai, anche fra loro, la sua malattia non era più un segreto. Anche il Colonnello D’Agoult non aveva ripreso servizio. Annuì. “Che notizie ci portate?” – chiese poi. 
“André si è risvegliato!” – sorrise anche con gli occhi. 
“Allora dobbiamo festeggiare!” – disse Alain. “Bernard, Rosalie, avete del vino?” Rosalie si affrettò alla dispensa. Aveva una bottiglia di buon Borgogna e la portò in tavola. Fu un momento di pura convivialità, Oscar si sentì felice, serena, come non le capitava da diverso tempo ormai. Il calore di quel momento le fece dimenticare le tribolazioni che ancora la aspettavano, per quella sera il pensiero del futuro poteva essere accantonato, ben sapendo che presto sarebbe spuntato nella sua testa come un tarlo; ma contrariamente al suo essere, quella sera era solo per loro quattro. Fra battute, risate, ricordi, racconti della giornata, le ore scivolarono via in fretta. Alain fu il primo che, a malincuore, si dovette ritirare, ché l’indomani lo aspettava una giornata di addestramento. “Mi manca la vostra pazienza, com… Oscar” – arrossì leggermente nel pronunciare il suo nome - “Ma farò tesoro dei vostri insegnamenti”. 
“Sono sicura che sarai un ottimo Comandante anche tu, un giorno” – gli rispose dandogli una pacca sulla spalla. 
Oscar andò a letto col cuore leggero, con una nuova speranza nel cuore. Si svegliò di buon’ora, Rosalie le fece trovare tutto pronto, medicine comprese, che le fece mandar giù nemmeno fosse stata una bambina piccola, chiacchierarono del più e del meno per ritardare il momento dei saluti, poi Oscar le chiese dei cavalli e seppe che il Generale li aveva portati con sé per accudirli: anche loro avevano combattuto una dura battaglia. Alla fine si salutarono, con la promessa di rivedersi prima che lei lasciasse il Paese e la ringraziò per tutto ciò che aveva fatto per lei. Oscar si incamminò a cercare una carrozza a nolo che la riportasse a palazzo Jarjayes, ma non prima di recarsi a salutare André. Dovette aspettare fuori dalla porta, in attesa che uscissero i medici, o gli inservienti, o le suore che prestavano le prime cure, insieme ad altre donne venute anche loro a trovare i propri cari; la guardavano di nascosto, curiose nel trovarsi accanto ad una figura così singolare. Non le era mai capitato di sentirsi a disagio, donna fra altre donne, eppure tutte distinguibili, nei loro abiti femminili, mentre lì, con tutti quegli occhi puntati addosso, le prese un leggero imbarazzo: si guardò, indossava la camicia di cotonina bianca e leggera per l’estate (quella che teneva sotto l’uniforme), i suoi pantaloni blu fermati al ginocchio da un nastro di tonalità appena più scura, calze di seta bianche nascoste nei suoi stivali, bianchi anch’essi… davvero un’insolita mise per una donna, pensò qualcuna, di questo passo dove andremo a finire, pensò qualcun’altra, altre invece erano troppo impegnate a pregare per i loro cari, per badare a lei.
Finalmente le porte si aprirono, ne uscirono un paio di medici seguiti da altrettante suore che avevano portato la colazione ai pazienti, pronti ad andare nelle stanze attigue. Oscar riconobbe il medico che le aveva parlato il giorno prima e volle avere notizie. “Vostro marito sta bene. Più tardi lo visiterà anche un mio collega per vedere se si può fare qualcosa per quell’occhio, come mi avevate chiesto, anche se mi sembra di capire che sia piuttosto malandato.” 
“Vi ringrazio dottore” – si salutarono con un cenno e Oscar entrò.
 
La carrozza la stava lentamente riportando a palazzo Jarjayes, Oscar teneva gli occhi chiusi, pensierosa; temeva il momento in cui avrebbe varcato nuovamente la porta di casa, dopo che se n’era andata quasi come una ladra, lasciando quel laconico biglietto… cosa avrebbe detto a sua madre? A Marie? E suo padre? Sarebbe stato lì ad accoglierla? Scosse la testa per allontanare tutte quelle domande, sentiva salire l’ansia e strinse i pugni dicendosi di rimanere calma, che tutto sarebbe andato bene; sorrise al pensiero che la nonna la stesse aspettando col mestolo in mano per tirarglielo in testa! Quell’immagine ebbe il potere di tranquillizzarla, sapeva che la stavano attendendo con gioia. 
La carrozza si fermò davanti al cancello in ferro battuto che recava lo stemma della casata dei Jarjayes su entrambi i battenti, scese e si rese conto che non aveva soldi con sé, quindi chiese al cocchiere di aspettare e si avviò verso casa, ma non fece in tempo a fare due passi che venne travolta dall’abbraccio della sua governante. “Oh bambina! Bambina mia! Sei tornata finalmente! Siamo state così in pena!” E la voce le si spezzò in un pianto disperato. Ben presto altro personale della servitù si radunò fuori. Oscar tentò di liberarsi dall’abbraccio della nonna che quando si riprese, bofonchiò qualcosa ad una delle inservienti che corse a prendere il denaro per pagare la corsa. Ma fu il richiamo di sua madre che la fece girare e fattasi largo la raggiunse. Non avrebbe mai pensato di essere così felice nel rivederla: aveva anche lei il viso provato da quei giorni di attesa angosciante, il non sapere l’aveva prostrata più del ricevere una cattiva notizia, fino a quando il generale Jarjayes le aveva rassicurate entrambe e che presto sia lei che André sarebbero tornati. “Madre!” – Oscar la guardava con gli occhi lucidi, bloccata dalla timidezza e dalla reverenza. Fu Madame a fare il primo passo, prendendole la mano fra le sue e guardandole quel viso scarno e stanco, provato da quei giorni e dalla malattia. “Oscar!” – e allora come un richiamo ancestrale la donna più giovane le si buttò fra le braccia e la strinse, la strinse cingendole le spalle e abbandonandovi il capo. “Sei tornata, sei tornata!” – e Madame fece una cosa che non aveva mai fatto, che non aveva mai potuto fare in trentatré anni: le prese il volto tra le mani e le diede un bacio in fronte, delicato e leggero, che fece arrossire la figlia, ma che le fece bene al cuore; poi la invitò ad entrare in casa. Oscar si guardò intorno come se non mettesse piede in quel luogo da anni, tutto le sembrava nuovo e antico al tempo stesso e lei non poteva fare a meno di sentirsi quasi un’estranea. Tutto quel lusso, nonostante non fosse sfacciato, ma piuttosto semplice per il suo rango, le sembrò di troppo, la metteva in soggezione e ripensò invece con calore alla piccola casa di Rosalie e Bernard, al lettino che la aveva ospitata e che presto avrebbe avuto come ospite un esserino ben più piccolo di lei, a quell’intimità così riservata che le aveva procurato sollievo e tenerezza. Le venne servito un tè caldo “per rinfrancarti lo spirito” – le aveva detto Marie – con qualche biscotto e subito il pensiero corse all’infanzia, ai giochi, agli allenamenti con suo padre e poi con André e, nel chiudere gli occhi, una lacrima scappò sulla guancia. 
“Avremo tempo per parlare bambina mia, ora vai a riposare, sembri davvero molto stanca”
“Dov’è mio padre? Pensavo l’avrei trovato qui…”
“Tuo padre è dovuto partire con urgenza per Arras… ci sono stati disordini fra i contadini, ma ti fa sapere che sta pianificando il tuo… viaggio” – madame non riuscì a pronunciare la parola esilio -  “e tornerà in tempo per accompagnarti.”
“Capisco…” – Arras! Avrebbe tanto voluto potervi tornare. Lei e André vi avevano trascorso estati felici e spensierate da quando erano bambini. Spesso si svegliavano presto per poter guardare sorgere l’alba e lei era sempre la prima a svegliarsi, presa da un’incredibile agitazione e correva in camera di André a svegliarlo, mentre lui, pieno di sonno, si girava dall’altra parte, fino a quando lei non cominciava a saltargli sul letto… e allora lui, vinto da quel turbine biondo, si doveva arrendere e si alzava, spinto fuori dalla camera. Ma che soddisfazione poi rientrare in casa con il profumo del pane appena cotto e dei biscotti caldi e friabili tuffati nella tazza del latte! Qualche volta erano anche andati nei campi a raccogliere il fieno, o a correre per i prati a piedi scalzi, a giocare nel ruscello e provare a prendere i pesci con le mani e la sera rientravano stanchi, bagnati e a volte sporchi di fango, affamati e con i piedi rotti, che la nonna doveva rimettere in sesto senza far loro mancare loro i suoi rimbrotti e indirettamente, anche al Generale che aveva permesso che una bambina si comportasse in tal modo! Ma lui, invece, approvava. Oscar doveva imparare a comportarsi come un ragazzo e poi come un uomo e la vicinanza di André la aiutava molto. Condivideva quella libertà e quei giochi, perché tutto la fortificava e apprendere fin da piccola il lavoro duro non poteva che giovare al giovane rampollo. Oscar sorrise fra sé, per poi rabbuiarsi subito al ricordo dell'ultima volta che vi era stata... quanto tempo era passato? Un'eternità, pensò. E la mente andò alla povertà che vi aveva trovato, al piccolo Sugane... chissà quanto era cresciuto! Ormai era sicuramente un giovane uomo... e chissà che ne era stato di tutti loro? E ora? Cosa poteva essere successo? Scosse la testa, si sentì nuovamente impotente, come allora. Lì non avrebbe potuto fare nulla e solo il ritorno di suo padre le avrebbe dato risposte.
 
“Ecco, tieni… tuo padre ti ha lasciato questo biglietto”. Madame Jarjayes le allungò un foglio, scritto con la grafia che lei ben conosceva, piccola, ferma, tutta inclinata verso destra e con ben pochi svolazzi, che si concedeva solo nella firma.
Oscar, figlia mia, se stai leggendo questo biglietto, vuol dire che sei tornata e non posso che esserne felice. Sono dovuto partire in tutta fretta perché ad Arras sembra che i contadini stiano cercando di ribellarsi ai loro padroni. Non so cosa troverò, spero di poter rimettere le cose a posto e in fretta. In ogni caso tornerò in tempo per accompagnarti a Ginevra da tua sorella Victoire. Le ho mandato una lettera per avvisarla. Tuo padre.
In poche righe le aveva già pianificato (ancora una volta! – pensò lei) il futuro. Ma in quel momento non aveva voglia di discutere, forse suo padre aveva scelto per il meglio… Ginevra, appena al di là del confine, sul lago Lemano. Buffo… era la patria di Rousseau, uno degli autori che suo padre detestava, chissà se lo sapeva!
“Grazie madre. Ora, se non vi spiace, andrei a riposare un po’…”
“Ma certo cara. Oscar…”
“Sì?”
“Spero tu non sia arrabbiata con tuo padre, per aver deciso un’altra volta al posto tuo… sembra che non possa fare a meno di considerarti ancora una ragazzina…” – le sorrise dolcemente.
“No, madre… a dire il vero non avevo ancora pensato al da farsi. Ne avrei voluto parlare con lui, ma, per il momento non credo di essere in grado di decidere alcunché. Perciò… va bene così”. Madame Jarjayes sembrò sollevata da quella risposta. “Sai” – aggiunse “l’ho rimproverato per questa sua decisione, avrei voluto che ne parlasse prima con te”.
“Grazie madre” – e si accomiatò. Raggiunse la sua camera e si fermò davanti alla porta appoggiandovi la fronte: era emozionata e le tremava la mano, poi si fece forza ed entrò. Tutto era rimasto come l’ultima volta che l’aveva lasciata, sicuramente suo padre ne aveva proibito a chiunque l’ingresso: il letto ben fatto, la sua camicia e i pantaloni sul manichino e là, in fondo, vicino alla vetrata che dava sul balcone, i suoi amici: il pianoforte e il suo violino. Si avvicinò e alzò il coperchio, con la mano destra cominciò a sfiorarne i tasti con gli occhi chiusi, prese un bel respiro e si sedette e cominciò a suonare, prima come se dovesse riprenderne confidenza, come se, dopo diverso tempo, lui fosse diffidente e non volesse lasciarsi avvicinare troppo, poi via via, dopo essersi annusati a vicenda, le dita cominciarono ad essere sempre più veloci e la melodia andò perfezionandosi spandendosi in tutta la casa. E la casa si fermò ad ascoltarla. Dopo giorni di angoscia, di dubbio, di tensione, di occhi bassi, di passi veloci e silenziosi, finalmente si tornava a sorridere, a respirare, a guardarsi negli occhi; qualcuno osò anche fischiettare, mentre chi si incontrava si faceva un cenno d’intesa. Tutti sapevano che sarebbe stato per poco, sapevano che poi il silenzio sarebbe tornato, ma non così greve come in quei giorni, dove il tempo sembrava non passare mai, dove si sperava non dovesse passare mai, per la paura di qualcosa di ineluttabile; ci sarebbe stato, il silenzio, ma sarebbe stato un po’ più leggero, si sarebbe avvertita meno la fatica perché le cose sarebbero andate avanti, come sempre…

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4023241