Staying Up All Night (Thinking Of Nothing At All)

di sasdavvero
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Stay ***
Capitolo 2: *** Gentle ***



Capitolo 1
*** Stay ***


NOTA: questa storia è in un AU che non ho ancora pubblicato (lo stesso di Need e Empty Promises), è anche su AO3

Ho scritto queste tre storie prima del canon dell'AU (che non so ancora quando pubblicherò), quindi ci potranno essere dei dettagli che non coincidono, è normale, non fateci caso

_________

“Resta.”

“Ti prego, resta.”

Dabi aveva perso il conto di quante volte avesse sentito quell’implorazione.

Troppe, troppe volte.

Non che non restasse, restava, sempre, sempre si coricava di fianco a lui, lentamente, esitante, sdraiato sul lato a guardarlo, mentre lui rimaneva immobile, imbambolato a guardare il niente senza l’ombra di alcuna espressione sul suo volto.

Non aveva mai visto Hawks dargli uno sguardo, quando era così.

A volte, Dabi faceva fatica a restare.

Di solito era quando arrivava a casa e non c’era il minimo rumore, il minimo movimento, nel grande appartamento.

Quando tutto era immobile.

E Dabi sapeva sempre dove trovarlo.

Faceva fatica a restare perché non gli era mai piaciuto vederlo così, completamente fermo, sdraiato in quel letto troppo grande per lui, a guardare il vuoto per giorni e giorni, senza curarsi del mondo che andava avanti senza di lui.

Forse quello era uno dei pensieri che lo tenevano ancorato a quel letto.

Non gli erano mai piaciute le frasi che sussurrava con quella voce spezzata, senza emozione, quando i suoi occhi, sempre a guardare lontano, brillavano dell’oscurità della stanza.

Ma gli piaceva ancora meno quando—

“Fottimi.”

Dabi non osava muoversi.

“Per favore.”

“Voglio— sentire qualcosa.”

“Qualunque cosa.”

“Per favore.”

Silenzio.

“Hawks—”

“Dabi.”

Dabi sospirò. “Non voglio fottermi un corpo senza vita, Hawks, non cambierà nien—”

“Sta’ zitto e fallo.”

“Ma perché non—”

“Ti prego.”

Dio mio.

Dio mio.

Sentiva benissimo come si stesse sforzando a parlare, sputando respiri tra i suoni e rendendo la sua voce ancora più in pezzi, e Dabi—

Dabi odiava vederlo così.

Odiava vederlo così più di ogni altra cosa al mondo.

Quindi si allungò alla sua spalla e lo aiutò a stendersi sul letto, lentamente, con attenzione, come se avesse potuto romperlo più di quanto non fosse già, se non fosse stato cauto.

Non osava pensare a cosa potesse essere peggiore di questo.

“Non cambierà niente,” riprovò, mentre si metteva sopra di lui, mentre spostava le sue gambe ai lati dei suoi fianchi, abbassandosi un poco su di lui e scostando i capelli dal suo viso.

Hawks gli diede uno sguardo. “Lo so, lo so, solo…”

Non finì la frase.

Dabi sospirò.

Si abbassò ancora un poco, e gli diede un piccolo bacio in fronte.

“Sei sicuro, amore?”

Amore.

Dio, ha sempre avuto paura di chiamarlo così.

Come a constatate un’innegabile verità.

Una verità che lo spaventava.

Hawks lo guardava, disse solo:

“Baciami.”

E così Dabi fece, perché era quello che voleva, e Dabi aveva sempre voluto dargli più di quanto avesse potuto.

Più di quanto avesse potuto.

Più di quanto—

“Non devi fare niente se non vuoi.”

Dabi si immobilizzò.

Poteva a malapena, a malapena, sentire il suo soffice, leggero respiro sulle sue labbra.

“Non voglio forzarti,” sussurrò Hawks.

“Non mi stai forzando—”

“Hai detto che non vuoi ‘fotterti un corpo senza vita’—”

“Lo sto facendo per te,” Dabi prese un lungo respiro. “Lo sto facendo per te, perché tu mi hai chiesto di—”

“E perché non sai dire no—”

“A malapena hai la forza di parlare, non provare a discutere con me—”

“Sei te che stai già alzando la voce—”

“Sta’ zitto. Sta’ zitto. Dio. Dio—” gli tremavano le mani mentre afferrava il bordo della sua maglia, tirandolo leggermente.

“Cosa vuoi che faccia?” chiese Dabi, tentando di nascondere la disperazione della sua voce. “Cosa? Dimmelo e lo farò— lascia—”

Lascia che ti aiuti.

Voglio aiutarti in ogni modo che posso.

In ogni modo possibile.

Hawks lo fissava.

“Non penso che tu possa aiutarmi, ora.”

Quell’impercettibile, contrastante parola era lì, fluttuava nell’aria testa della stanza.

Vattene.

“Non me ne andrò, non— sei te quello che mi implora sempre di restare, non me andrò, Hawks, non ti lascerò da solo.”

Non quando so esattamente cosa faresti se me ne andassi.

Hawks non rispose per qualche secondo.

“Allora resta.”

“Ti prego, resta.”

E così fece.

Dabi si mosse, rompendo quella posizione in cui erano, e si risdraiò sul letto, spostando lentamente l’altro in modo da ritrovarsi faccia a faccia.

A fissarsi.

Dabi lo portò più vicino, più vicino, Hawks non fece resistenza, fece scivolare le braccia alla vita di Dabi, appoggiando la testa al suo petto.

Inspirò.

Espirò.

Dabi sapeva di carne in putrefazione e fumo, Hawks era talmente abituato al suo odore che non ci faceva più caso.

“Hai mangiato qualcosa quest'oggi?” chiese Dabi poco dopo.

“Mhm.”

“E come interpreto questo mhm?”

Hawks si avvicinò di più e basta.

Dabi sospirò.

“Dopo ti cucino qualcosa, okay?”

“Mhm.”

“Okay,” e continuò a massaggiargli lentamente i capelli, a muovere dolcemente le dita sulla sua schiena.

Dolcemente.

Così dolcemente.

Aveva così tanta paura per lui.

Così tanta paura.

“Sei freddo,” mormorò Hawks.

“Lo so.”

Una pausa.

“Sei morto.”

Dabi sospirò.

“Lo so.”

“Com’è la morte?”

“Non lo so,” Dabi non sapeva cosa dire.

Tentò di elaborare un po’.

“Non lo so, non è che sia tutta ‘sta sensazione, non mi ricordo il giorno in cui sono morto o come mi ha fatto sentire, non so se questa si può chiamare morte, no? Perchè sono… vivo, da un certo punto di vista, provo ancora cose e ho i bisogni che hanno tutti, certo, ci sono a malapena, ma un po’ li sento, non lo so.”

“Vorrei essere come te.”

Dabi soppresse uno sbuffo. “No, non vorresti davvero esserlo, ‘sta merda è un inferno per me, non l’augurerei al mio peggior nemico.”

Hawks si avvicinò un poco.

“Che peccato.”

“Già, un vero peccato.”

E rimasero sdraiati così per chissà quante ore, senza parlare, ma ad un certo punto il respiro di Hawks si era fatto un po’ più gentile, un po’ più calmo, regolare, e Dabi era solo sollevato che riuscisse a riposarsi per un po’.

Finiva sempre così, come se niente fosse stato risolto e come se tutto fosse rimasto uguale.

Dabi sperava solo che aiutasse, questo suo restare.

Sperava solo che Hawks potesse sentirlo, potesse essere un po’ sollevato dalla sua presenza.

Anche solo un poco.

Anche solo un poco.

 

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Capitolo 2
*** Gentle ***


NOTA: menzionate cicatrici idk se è un trigger ma eh

_________

 

Ultimamente, Dabi era stranamente gentile con lui.

Così gentile, Hawks voleva urlargli contro Non mi rompo se sei un po’ più scortese, un po’ più duro con me.

Ma non… non gli dispiaceva troppo la gentilezza, la dolcezza dei suoi tocchi, delle sue labbra sulla sua pelle e delle sue parole nelle sue orecchie.

Non gli dispiaceva, e non sapeva se gli mancasse la sua violenza o solo l’idea che si era fatto di lui nella sua testa.

Fare sesso con Dabi era sempre stato… bello, in un modo o nell’altro.

Andava avanti da anni, Hawks non si ricordava quando fosse iniziato, ma pensava che fossero stati troppo giovani per soffocarsi in qualcosa così.

Troppo giovani, troppo puri, o forse no, forse la corruzione di quel mondo era già stata impressa su di loro, Hawks non ne era sicuro, ma pensava che non avrebbero trovato conforto l’uno nel corpo dell’altro in quel modo, come se quella forma di evasione fosse l’unica cosa importante, se non fosse stato quello il caso.

Hawks non si era aspettato che continuasse davvero, ma non si lamentava nemmeno.

C’erano state volte dove Dabi ancora era duro con lui, aspro, violento, ancora gli tirava i capelli e lo faceva sanguinare un po’ troppo, un po’ troppo, volte in cui ancora Dabi gli sputava addosso insulti, gocce di saliva sul suo viso e sospiri che riempiono la stanza, solo per farlo eccitare, solo per farlo venire, volte in cui Hawks non vedeva l’ora di rivederlo solo per fotterlo come meglio riusciva, solo per dargli una dose della sua stessa violenza, solo per vederlo tremante, senza fiato, implorante di essere peggiore.

Che masochista.

Eppure… tutto era cambiato.

Tutto era cambiato e Hawks non sapeva se sentirsi sollevato o incazzato.

Si sentiva più incazzato, ad essere sinceri.

Incazzato in quel modo che conosceva bene, quella rabbia che si prova quando si rivela una parte di sé a qualcuno, solo per ritrovarsi quel qualcuno a comportarsi in un modo totalmente diverso.

A fingere.

A fingere.

Era quello, una finzione, Hawks si ripeteva che era una finzione solo per sentire un po’ di rabbia, un po’ di qualcosa, un po’ di tutto, in mezzo a tutto quel niente che si era abituato a sentire.

Anche se non aveva mai sentito su di lui quella finzione che tanto disperatamente si costringeva a credere ci fosse.

Ora Dabi baciava le sue cicatrici e sussurrava parole dolci nelle sue orecchie, accarezzava la sua pelle dolcemente, sfiorandolo leggermente, così leggermente, era così gentile, con lui, Hawks si sentiva vibrare solo per quello, per quel dolce piacere che era in grado di fargli provare, completamente fuori di sé, così…

Ubriaco.

Così fuori, così in trance, era così piacevole, lui, che lo sfiorava e lo fotteva con così tanta calma, era così ansimante, lui stesso, mantra nella sua testa, dio, dio, dio, che Hawks aveva paura, a volte.

Paura del potere che Dabi aveva su di lui.

Ma non riusciva mai a sentirsi tanto arrabbiato quanto pensava sarebbe stato.

E Dabi non era mai sembrato falso in quelle volte e Hawks si chiedeva quale fosse la verità, il vero lui, quello gentile, o quello violento?

Realizzò poi che come lui stesso era in grado di passare tra l’essere una fredda macchina per uccidere a vibrare dall’euforia delle piccole cose in un lampo, così Dabi poteva andare dall’urlare finché aveva aria nei polmoni, curdo, violento, a sorridergli dolcemente e baciargli la fronte mentre gli accarezzava una guancia.

Era quel dualismo lì, no?

Molte persone lo hanno.

E ormai Hawks non lo trovava più così strano.

Ma Dabi non era gentile con lui solo quando facevano sesso.

Dabi restava.

Restava quando gli diceva di restare e quando gli sussurrava di andarsene, restava e non lo forzava a parlare, Hawks non voleva mai parlare, quando era così, ma si sdraiava nel letto con lui e non lo toccava se non voleva essere toccato e lo abbracciava se voleva essere abbracciato e gli cucinava quei pasti semplici e buoni, buoni, per poterlo far alzare dal letto e lo aiutava a sistemare la stanza quando non aveva nemmeno la forza di stare in piedi e—

A Dabi importava di lui.

Gli importava troppo.

Hawks era ben consapevole della cartella sulla sua scrivania, della cartella con quasi nessuna informazione, della cartella su di lui, con sopra un singolo ordine.

Il solito.

Realizzava di avere ancora quella cartella nei momenti peggiori, e ancora non capiva come avesse mai fatto Dabi a diventare una Minaccia di Priorità Elevata agli occhi della Commissione.

Anche se in verità lo sapeva.

Lo sapeva, quella era probabilmente l’unica ragione per cui Dabi stava ancora con lui.

Non l’unica, Hawks non era così cieco da credere alla sua testa quando gli diceva:

Resta solo perché puoi curarlo.

Perché non poteva, poteva solo ridurre i danni della sua possessione, ma niente di più.

Non che volesse curarlo.

Non che volesse perderlo.

E non era un bello spettacolo, la Sua possessione, non lo era per niente, odiava vedere Dabi così, in trappota tra muri di luce, in uno stato catatonico col rosso e il nero che sgorgavano da ogni parte di lui, con le braccia piegate in modi innaturalli, con quei rumori molli, rumori inquietanti che faceva ad ogni movimento, mentre lo fissava con quegli occhi neri finché non stava di nuovo urlando, di nuovo, voce distorta, spezzata, disperata,  implorandolo di liberarlo, di fidarsi di lui, di aiutarlo.

Hawks non era il tipo di persona che aiutava le Creature Maligne, quindi se ne stava seduto su uno sgabello vicino a lui, leggendo qualsiasi cosa sul telefono, finché l’effetto della possessione non svaniva.

A volte, Hawks faceva fatica a restare.

Faceva fatica a restare perché non gli piaceva per niente vedere Dabi piangere come mai prima, urlare e tremare, coperto di sangue e quella sostanza nera corrosiva.

Faceva fatica a restare, perché si sentiva sempre come se il suo aiuto non fosse abbastanza.

Non poteva salvarlo.

Davvero, non poteva, lo sapevano entrambi.

Ma il modo in cui Dabi si aggrappava a lui quando lo aiutava a lavare via tutto gli faceva credere che il suo aiuto fosse accettato, che fosse apprezzato, che volesse che restasse.

E sapeva che Dabi glielo avrebbe detto, se non avesse più voluto il suo aiuto.

Sperava solo che aiutasse davvero, sperava che, quando Dabi si coricava di fianco a lui, freddo, freddo, era sempre stato freddo come un cadavere, e si addormentava sfinito, la sua presenza lo aiutasse a calmarsi.

Sperava sapesse che sarebbe rimasto per lui.

Sperava sapesse che anche lui lo aiutava, a volte.

Sperava.

Sperava.

Sperava.

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