L'Inferno non è un posto per prede

di Tubo Belmont
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Part 1 ***
Capitolo 2: *** Part 2 ***
Capitolo 3: *** Part 3 ***



Capitolo 1
*** Part 1 ***


 

Il sole del Medio Oriente era probabilmente quello più caldo dell’Universo. Era convinta che nemmeno su un altro pianeta ne avrebbe trovato uno più impietoso.
La gamba dalla pelle scura, fuori dall’ombra delle mura rocciose ancora in piedi, stava letteralmente cuocendo come un pezzo di carne sui ferri.
Aveva un pensiero non esattamente sano, quello di staccarsela per poterla assaggiare, ma probabilmente era anche dovuto al trauma ferita alla testa, spaccata come una noce di cocco.
Il sangue gli copriva la parte superiore della faccia come la maschera di un bandito – una di quelle comprata ad un mercatino dell’usato a cinque centesimi – e, tra quello e l’incredibile debolezza che le pervadeva il corpo, aprire gli occhi era impossibile. Riuscì comunque a stringere il manico del karambit dalla lama viola, quando sentì una voce.
“S-sei… morta?” roca e debole pure quella, ma per niente preoccupata.
“Nah…” sibilò lei invece, riuscendo finalmente ad aprire gli occhi verdi “Non ancora, almeno…”
Assieme alla sua voce, dalla bocca uscì anche un rivoletto di sangue.
Davanti a lei, sopra ad un cumulo di macerie e con la schiena appoggiata alla parete, sedeva una donna che doveva avere sì e no la sua stessa età – forse qualche anno in più – dai lunghi e folti capelli biondi che le ricadevano sulle spalle e dall’unico occhio azzurro – la pupilla lievemente appannata – che la scrutava.
A parte la palese differenza nell’aspetto fisico, le loro condizioni erano più o meno identiche.
Anche se, a dirla tutta, era un po’ difficile pensare a quale delle due fosse messa peggio.
La bionda aveva l’occhio destro serrato, con una lunga cascata di sangue che scendeva dalla palpebra chiusa; un secondo karambit viola conficcato in una spalla sanguinante e la vita – avrebbe TANTO voluto non dover rovinare quegli addominali – sotto alla giacca mimetica aperta, squartata per orizzontale, facendo fuoriuscire un bello spettacolo di sangue e budella.
Tirò un sorriso: sembrava quasi la gonnellina estremamente erotica di una danzatrice del ventre.
Eccitante.
“M-mi faresti il favore di lanciarmi il karambit?” tossicchiò la donna dagli occhi verdi, sentendo un dolore fortissimo allo stomaco. Il grosso machete che l’aveva letteralmente inchiodata al muro si stava facendo sentire “N-non me ne separo mai... se andassi all’Inferno, vorrei almeno portarmeli dietro.”
Senza esitazione – ma non senza un grugnito dolorante ed estremamente infastidito – la bionda afferrò il manico del coltello, lo sfilò lentamente dalla ferita – che riprese a sanguinare copiosamente, anche se sembrò sbattersene palesemente i coglioni – e lo lanciò all’interlocutrice. L’arma scivolò fino alla gamba sfrigolante, di cui utilizzò il piede per avvicinarla a se.
“T-ti ringrazio.” Guardò il machete della sua ormai ex avversaria, la cui lama candida – sembrava quasi ceramica. O avorio? – ormai era macchiata da schizzi rossi come un quadro di Pollock. Era conficcata nel suo fianco quasi fino al manico ed era abbastanza convinta che la lama fosse incastrata nel muro alle sue spalle “ti ridarei la tua ma… non credo di essere per niente nelle condizioni di fare un simile sforzo…”
La bionda, debolmente, scosse la testa “Non importa…” sorrise lievemente, puntando il grosso Bolas alla sua sinistra “Sono a posto così…”
Una delle due palle di ferro era ricoperta di sangue e… materiale non specificato. Probabilmente il risultato di quello che era successo quando quella stessa palla si era fatta strada tra i suoi capelli porpora fino al cranio. Come facesse ad essere ancora cosciente era un mistero.
“Prendila come vuoi…” la rossa sorrise, mostrando la dentatura troppo affilata per appartenere ad un semplice essere umano “… ma quello è stato decisamente un bel colpo… complimenti.”
“Io non avrei creduto invece di vederti ancora scalciare subito dopo” tornò a guardarla con l’occhio buono “Se avessi la certezza di sopravvivere, oggi, racconterei questa storia a chiunque mi capiti.”
“L-lusingata.” Tossicchiò.
Orgoglio e onore tra mercenari?
Orgoglio e onore tra mostri?
Una cosa era certa: se devi morire senza amici, senza ideali ed in un paese sperduto e sconosciuto, è sempre bello farlo in compagnia.
E se dall’altra parte della spada, ad agonizzare ed annegare nel suo stesso sangue c’è un mostro simile a te, è ancora meglio.     
Ancora-ancora meglio se si tratta di una bella ragazza.
“P-potrei farti solo una domanda?”
La bionda sbuffò “No credo di avere fretta…”
“Prima di chiudere bottega e prendere un biglietto di sola andata per l’aldilà…” un colpo di tosse, che bagnò il terreno con qualche gocciolina scarlatta “… posso sapere il nome di chi mi ci ha mandato?”
La bionda la guardò, senza mutare la sua espressione noiosamente e stoicamente seria, per poi rispondere con voce roca “… il mio nome… non credo di averne avuto uno normale…”
Era forse imbarazzata?
“Oh, e andiamo!” si irritò la rossa, pentendosene quando la testa gli ricordò che un pezzo della scatola cranica si stava mischiando col cervello “Stiamo per crepare entrambe… che c’è da vergognarsi se il tuo nome fa schifo?”
L’altra chiuse l’occhio ed inspirò rumorosamente, per poi buttare fuori con un sussurro “R-Rengar…”
La rossa la guardò, interdetta “Seria?”
L’altra non rispose e distolse lo sguardo. Forse se tutto il sangue non fosse stato sparso per il pavimento, sarebbe anche arrossita.
“Come quello di League of Legends?” a quel punto scoppiò a ridere, sbrattando sangue ovunque.
“Idiota.” Sibilò l’altra “Il nome me l’hanno dato i promotori dell’esperimento che mi ha creata. Non è colpa mia se hanno una fantasia del cazzo.”
“No, mi hai fraintesa!” smise di ridere, il sangue che le sporcava i denti e il mento “Sono perfettamente conscia di quanto faccia schifo. Anche io faccio parte dell’Enter-Beast, in fin dei conti.”
Rengar la guardò, sorpresa.
“Andiamo.” Le fece l’occhiolino, sorridente “Un normale mercenario non sarebbe mai in grado di sopravvivere ad un colpo simile, non trovi?”
La bionda chiuse gli occhi e, per la prima volta da quando si erano accasciate l’una di fronte all’altra, sorrise “In realtà lo immaginavo. Dannazione… pensare che avrei incontrato…”
“Oh, le coincidenze non son finite!” l’interlocutrice sghignazzò “I-io sono Kha’Zix, per la cronaca.”
Rengar smise di sorridere ed ammutolì.
Quindi si passò una mano sulla faccia “Non ci posso credere.”
Kha’Zix, dopo aver piegato il collo verso l’alto, si passò il braccio sugli occhi, estatica “Tra un milione di coincidenze… è forse il destino? Chissà…”
Morire sapendo di aver combattuto contro uno dei più potenti esseri avesse mai affrontato su quella terra e sapendo che quello stesso essere se lo sarebbe portato dietro nella tomba – assieme ad altre decine e decine di islamici bastardi, ma dettagli – era forse una delle sensazioni più epiche avesse mai provato in vita sua.
Restarono immobili per un po’.
La morte, per qualche strana ragione, ci stava mettendo veramente tanto ad arrivare.
“Senti…” Rengar ruppe il silenzio “dovremmo darci l’auto-eutanasia, oppure aspettiamo di crepare di merda? Mi sto sinceramente rompendo il cazzo.”
 “Che…?” la rossa la guardò da sotto il braccio “Nah. Non ti preoccupare, il mio datore di lavoro aveva comunque intenzione di rastrellare questa zona appena-”
Un rombo terrificante scosse la terra sulla quale si trovavano.
Kha’Zix sollevò la testa verso l’alto, sorridente “Ecco, appunto.”
Il raid di droni che seguì subito dopo cancellò ogni singola traccia di quel paesino abbandonato da tutte le mappe.
 
[…]
 
Rengar, con indosso il suo accappatoio nero, girò la pagina sistemandosi un po’ meglio gli occhiali dalla montatura rossa sul naso, per poi sorseggiare un goccio di vino dal bicchiere di cristallo.
Non era mai stata una lettrice accanita, da viva. L’unico libro che avesse mai studiato e imparato a memoria durante tutta la sua adolescenza era stato “Come Uccidere in Maniera Estremamente Conveniente e Permanente il Tuo Nemico” scritto dallo scienziato argentino – sicuramente nazista – che aveva dato via al Progetto. Non che avesse effettivamente avuto bisogno di leggerlo, dato che glielo avevano letteralmente tatuato nel cervello a suon di sedute e proiezioni alla quale l’avevano costretta a partecipare per completare la sua ‘Trasformazione’ in super-mercenaria.
Tra quello e gli esperimenti – estremamente dolorosi – non sapeva quale fosse peggio.
Forse il saggio, dato che risultava piuttosto banale e aveva capito che, seguendolo, l’efficienza era pure ridotta. Non che si fosse mai lamentata: quando cresci come un’arma, l’unica cosa di cui te ne frega qualcosa è essere sicura che il generale – a volte anche dittatore – di turno muoia di brutto e che i tuoi acquirenti siano disposti a sganciare una buona somma per comprarti.
Inoltre, la sua vita era sempre stata piena di lavoro fino alla fronte, quindi aveva anche avuto poco tempo per recuperarsi i grandi classici della letteratura.
Da viva.
Da morta, invece, la solfa era un po’ diversa.
Visto che all’Inferno, in teoria, non hai un padrone e nemmeno ordini da seguire – se non la legge della giungla, ma a quel tipo di vita era già abituata – aveva dovuto reinventarsi.
Neanche troppo.
Era difficile trovare lavoro all’Inferno?
Dipendeva: se la gente è disposta a pagarti per ciò che sai fare meglio, tanto di guadagnato.
E lei era piuttosto brava – ok, parecchio – nell’uccidere la gente e molte persone anche disposte a sborsare somme a cinque zeri avevano bisogno di levarsi da davanti personaggi scomodi.
Quindi, ora che era riuscita a mettersi in proprio, perché non comprarsi una villa – appartenuta, guarda caso, ad uno dei vari tizi a cui aveva tagliato la testa – e cercare di viversela in pace tra un omicidio/guerra di bande e l’altra? Quindi, oltre alla sua immancabile sete di sangue – che, benché fosse stata una sua ragione d’essere per tutta la sua esistenza, le era pur sempre stata imposta – aveva scoperto anche di essere appassionata di caccia.
Caccia Infernale, per la precisione.
Fuori da Pentagram City esistevano orrori indescrivibili che il solo vederli prima di diventare un demone le avrebbero sciolto il cervello come un pupazzo di neve al sole. Ora le teste di molti di quegli orrori adornavano le pareti di casa, tra cui quella di un… ahem, qualcosa – l’unica certezza era che avesse tre occhi rossi – si trovava esattamente alle sue spalle, sopra al camino acceso.
Comunque, tralasciando mansioni che comprendevano il neutralizzare altri esseri viventi, aveva anche deciso di dare una possibilità alla lettura, e visto che in casa aveva allestito una libreria grande quanto metà villa era stato un colpo vincente. Ora, non capiva esattamente come funzionava; se gli stessi autori una volta trapassati erano arrivati all’Inferno oppure se qualche malato di mente pazzo omicida fosse fan di ogni singolo scrittore mai esistito e avesse deciso di rendere omaggio replicando ogni singolo romanzo, non poteva saperlo.
Ma che fosse il primo tipo o l’altro, era grata fossero morti.
Da viva sicuramente non avrebbe mai pensato di dirlo: ma l’Inferno era una delle cose migliori che le fossero mai capita-
Sussultò quando sentì uno schianto particolarmente forte provenire dal corridoio adiacente, che la costrinse ad interrompere la lettura. Serrò le palpebre, masticò una bestemmia e si tolse gli occhiali, appoggiandoli assieme a ‘Lo Squalificato’ di Osamu Dazai sul lungo tavolo di legno lucido.
Poi si alzò e andò a controllare.
 
“Che cosa stai facendo?” domandò la padrona di casa, appoggiata allo stipite della porta con le braccia incrociate.
Ciò che aveva davanti sembrava una scultura d’arte moderna.
Una di quelle dove non sai da dove cominciare a guardare per capire cos’hai davanti.
In ordine le si presentavano: la gigantesca testa di una creatura simile ad un alce con un enorme occhio nero al centro della fronte e che al posto della bocca aveva una grottesca esibizione di tentacoli verdi; una corda spezzata che penzolava da una delle corna della creatura, dondolando mogiamente avanti e indietro con una tristezza incredibile; il resto della corda, legata attorno al collo di un cadavere rannicchiato a terra.
Ok, a dir la verità quello non era un vero e proprio cadavere: per la precisone si trattava di un’altra ragazza, dall’insolito colorito violaceo della pelle, che faceva pendant con il caschetto sbarazzino che aveva in testa di un viola leggermente più acceso, da cui spuntavano un paio di lunghe antenne dello stesso colore abbandonate sul pavimento. Considerato lo scarsissimo capo d’abbigliamento che indossava – pantaloni attillati ed un top rosso molto osé – sembrava una di quelle ospiti che… raccogli per strada.
“…Urgh…” mormorò il ‘cadavere’.
Rengar alzò gli occhi al cielo è sbuffò “Hai di nuovo tentato di suicidarti?”
“Lasciami in pace…” rispose l’altra, con un tono di voce molto più che depresso.
“Quante volte te lo devo dire ancora: se vuoi crepare” si avvicinò al trofeo di caccia e cominciò a slegare la corda “Primo, puoi chiedermelo direttamente e ti accontento; secondo, fallo fuori da casa mia.” Si avvolse la corda attorno alla spalla “Inoltre, a meno che tu non abbia trovato nella discarica qua vicina una corda fatta di materiale angelico, dubito che saresti morta definitivamente impiccandoti. Inoltre hai ovviamente preso la corda peggiore che io abbia mai visto.”
Visto che quell’altra non reagiva, la padrona di casa digrignò i denti dai canini pronunciati in un sorrisetto sornione “O magari sei semplicemente ingrassa-”
Nel giro di nemmeno mezzo secondo, la donna morta si era rialzata da terra ed aveva puntato il dito chitinoso sotto al mento di Rengar, digrignando la dentatura da squalo e affilando lo sguardo smeraldino “Ti sfido… prova a concludere quella frase, e do fuoco a tutta la fottuta libreria!”
Rengar storse il naso “… si può sapere da quanto è che non ti fai una doccia?”
 
“E quindi sei annoiata perché non trovi più nessuno di abbastanza forte con cui misurarti.”
“Aaaaah…” si lamentò la viola, anche lei con indosso un accappatoio e con la testa accasciata sul tavolo. Sembrava avesse il peggior mal di pancia mai provato.
“Ed hai tentato di ucciderti. Di nuovo. Impiccandoti al corno di un mostro imbalsamato.”
“Eeeeeh…”
Il mondo era bello proprio perché era vario, così dicevano almeno.
E Rengar era abbastanza sicura che se tutte le persone fossero state come lei il mondo sarebbe sicuramente esploso.
Kha’Zix un po’ si avvicinava al suo carattere, ma aveva qualche differenza.
Tra tutte: non era in grado di lasciarsi alle spalle la gioia e la gloria del massacro.
Quando erano esplose in quella zona di guerra, la loro rinascita come demoni infernali era cominciata prima con un po’di confusione – capita quando riaprendo gli occhi scopri di averli ancora entrambi, di avere braccia e gambe ricoperte di pelliccia bianca e anche la coda di un leone. Capita anche quando scopri di essere diventata viola e di avere le braccia di un insetto – poi con calma si erano rese conto di trovarsi nella, a quanto pareva, New York infernale, sotto un cielo rosso come il sangue decorato da un gigantesco pentagramma satanico.
Inizialmente avevano deciso di provare ad ambientarsi.
Non troppo difficile, dato che in vita entrambe avevano visto luoghi frequentati da gentaglia ben peggiore, anche se sicuramente con meno corna in testa.
Dopo nemmeno mezzo secondo, tuttavia – per la precisione, dopo essersi accorte l’una di avere a disposizione artigli in grado di lacerare probabilmente l’acciaio e l’altra di avere letteralmente due lame ricurve di membrana sotto gli avambracci –, avevano realizzato qualcosa:
 
Se siamo morte…
Non ha senso trattenersi.
 
Se le erano date di santa ragione.
Per veramente tanto tempo.
Benché non fossero in grado di tenere a mente la quantità di ore o di giorni, avevano dato per scontato di essersi menate per almeno sei mesi.
Purtroppo però, benché accendere quella fiamma fosse stato intrigante, all’inizio, poco dopo la stessa era andata mogiamente a dissiparsi. Senza fraintendimenti: è bello potersi picchiare in eterno con chi ti ha ammazzato, ma dopo un po’ ti annoi. Soprattutto quando, dopo che una delle due muore, la stessa ritorna dopo qualche tempo, ancora più incazzata di prima.
Un ciclo infinito di morte, rinascita, botte e rimorte.
Persino due bestie assetate di sangue come le due super mercenarie, dopo un po’, si sarebbero rotte le scatole.
Ma Rengar, appunto, si era data da fare per organizzare la monotonia a modo suo.
Quell’altra psicopatica no.
Letteralmente, sembrava che l’unica singola cosa che la tenesse avvinta fosse il misurarsi con altri psicopatici, rischiare di morire, ripeti. Forse spinta da compassione – in fin dei conti, nemmeno le rovinava il lavoro – aveva deciso di portarsela dietro durante tutti i suoi compiti di pulizia infernale. Ma purtroppo, erano pochi gli avversari con cui si misurava che le dessero effettiva soddisfazione. Aveva tentato più volte di cercare di combattere contro degli Overlord, ma Rengar glielo aveva sempre impedito.
In primis, perché poteva considerarsi l’essere più potente del mondo ma quelli schioccavano le dita e tu cessavi di esistere in tutte le dimensioni. In secondo luogo, i loro incarichi raggiungevano i sei zeri, e perdere clienti di quel tipo sarebbe stato decisamente un colpo durissimo.
Una volta erano state effettivamente chiamate per far fuori un Overlord caduto in disgrazia, che aveva rotto i coglioni al Demone della Radio – il quale non aveva voglia di sporcarsi le mani poiché impegnato in un progetto… alberghiero – e quindi doveva essere tolto di mezzo. E per la prima volta Kha’Zix era riuscita a percepire di nuovo quel brivido, misurandosi contro una creatura uscita da un romanzo di Lovecraft – Rengar poteva confermarlo. Aveva letto ogni singolo suo romanzo e chiacchierato assieme a lui all’interno di un night. Alla domanda sul perché si trovasse lì all’Inferno, l’autore aveva risposto che era a causa del nome del suo gatto – e rischiando di sparire dalla faccia dell’esistenza per davvero.
E alla sua sconfitta sarebbe anche potuto tornare dopo la morte, se non avesse detto alcune particolari cose che avevano reso la donna mantide particolarmente… irritata.
Morale della favola: l’Overlord decaduto non sarebbe più tornato.
E se Rengar era impegnata a contare la cifra che le permetteva di mantenersi una delle più grandi ville di Pentagram City senza problemi, Kha’Zix era intenta a piangere disperata per aver perso le staffe ed essersi rovinata l’intrattenimento per almeno altri dieci anni.
E dunque eccola lì, a piagnucolare come un cucciolo di lupo con la zampa spelata coricata sul tavolo.
Era una scena a dir poco pietosa.
La padrona di casa sospirò “Senti… tra poco vado al Lusten a bermi qualcosa. Vestiti e accompagnami.”
L’altra non rispose subito.
“… offri tu?” mugugnò poi.
Rengar digrignò i denti “Vivi da me come un parassita. Mi tocca a prescindere pagare pure per te.”
In realtà, la sua compagnia non le dispiaceva troppo.
Era un ottimo cane da guardia ed i modi variegati con cui a volte tentava di ammazzarsi la intrattenevano.
Prima che però, stizzita, Kha’Zix potesse rispondere a tono, il telefono vintage nero alla fine del lungo tavolo squillò rimbombando per tutta la stanza. Senza dire nulla, la leonessa sbuffò e si avviò verso l’apparecchio, alzando la cornetta e portandoselo all’orecchio.
La discussione andò all’incirca così:
“Sì?”
“Uh-uh.”
“Ok.”
“Oggi?”
“Quanto?”
“Facciamo cinquantamila?”
“Vada per quarantacinque, allora.”
“Ci accorderemo bene di persona.”
Il tutto senza mutare di una virgola la propria espressione, con Kha’Zix che la studiava da sotto un braccio.
Quando Rengar posò il telefono, la guardò con gli occhi eterocromatici “Abbiamo un incarico. Vatti a dare una sistemata.”
L’altra alzò la testa di scatto, eccitata “Dobbiamo far fuori un Overlord!?”
“Per quarantacinquemila? Ma figurati…”
“Allora non vengo.” Però non riuscì a risbattere la testa sul tavolo, visto che la donna leonessa le aveva afferrato con forza le orecchie e adesso la stava trascinando con forza verso la camera da letto, sorda ai suoi lamenti.
 
Rengar, dopo essersi sistemata i lunghi capelli bianchissimi in graziosi dred, s’infilò i pantaloni larghi scuri, e poco dopo gli stivali.
Avvolse i prosperosi seni nelle bende e si mise addosso la sua immancabile giacca mimetica verde.
Quindi, dopo essersi legata i bolas comprati da poco al fianco, si voltò verso l’oggetto appoggiato contro al materasso dell’enorme letto a baldacchino: una gigantesca Claymore, dall’elsa che sembrava essere stata estratta dai resti di un vulcano esploso dopo un’eruzione, riposta in un grosso fodero similmente nero. La leonessa afferrò l’elsa e, con una delicatezza quasi sacrale, estrasse lentamente l’arma dalla sua protezione, ritrovandosi innanzi lo sguardo azzurro e dorato riflesso sulla lama bianchissima, di puro acciaio angelico. Inspirò a fondo, rinfoderando l’arma e issandosela dietro la schiena, pronta per partire.
“Oi, miss Templare” la richiamò alla realtà Kha’Zix, completamente rivestita e seduta scompostamente su una poltroncina lì vicino, le lambe di membrana che si alzavano ed abbassavano come polmoni “E’ davvero necessario fare tutta sta scena ogni volta che dobbiamo andare ad ammazzare qualcuno? Sei imbarazzante.”
L’altra si voltò verso di lei con una vena pulsante sulla fronte “ALMENO io non mi vesto da battona!”
 
[…]
 
Le due mercenarie attraversarono il lungo vialetto invaso da erbacce, rampicanti e, in qualche occasione, ossa di dubbia provenienza.
Ai loro fianchi, l’esteso e terrificante cortile di alberi morti ed erba alta, costellato di sculture funeree che Rengar non aveva avuto voglia di sistemare.
Alle loro spalle, l’immensa villa di quattro piani vittoriana, dalle pareti candide ricoperte dall’edera e dalle centinaia di finestre che ricordavano gli occhi spalancati di un colossale mostro morto. Il tetto spiovente dalle tegole dorate rifletteva la luce sanguinea del cielo di Pentagram, mandando bagliori sinistri.
Dopo essersi chiuse alle spalle il cancello di ferro nero con un catenaccio – non che ci fossero stati problemi se qualcuno avesse tentato di rubare. Rengar avrebbe trovato il ladruncolo di turno a prescindere e l’avrebbe pestato senza troppi problemi – scesero dalla collina sulla quale sorgeva la casa e, in poco tempo, furono per le strade della città infernale.
Senza troppo contare i vari aspetti delle anime dannate che abitavano l’Inferno, ovunque ti girassi, tra i palazzi più e meno decrepiti, c’era sempre e comunque lo stesso identico spettacolo: gente che spacciava, barboni, prostitute, gente che chiedeva l’elemosina; gente che rubava l’elemosina; gente rubava l’elemosina a chi chiedeva l’elemosina; gente che s’impasticcava e che rubava l’elemosina; gente di facili costumi che rubava a chi chiedeva l’elemosina; gente che bullizzava chi chiedeva l’elemosina; Kha’Zix che rubava l’elemosina e qualcuno che se ne usciva da un vicolo buio, gettando in strada un coltello inzuppato di rosso.
Insomma, era un qualsiasi sobborgo di una grande città, solo con più mostri e furry.
Dopo aver strattonato la compagna lontano da un povero Imp talmente tanto ubriaco che nemmeno si era accorto delle zampe chitinose della ladra dentro al cappellino appoggiato a terra, Rengar e Kha’Zix raggiunsero finalmente la loro destinazione.
Destinazione che, assolutamente, non ti aspetteresti mai di trovare a Pentagram City.
Che non ti aspetteresti mai di trovare all’Inferno in generale, a dire il vero.
Dietro ad un alto muretto, ricoperto di graffiti con parole che un buon cristiano non ripete nemmeno nel sonno, s’innalzava un immenso edificio di mattoni marroncini, lungo decine e decine di metri, dal tetto spiovente di tegole nere e con una facciata che ricordava quella di una chiesa, affiancata da due torrioni che puntavano verso l’alto.
Sembrava in tutto e per tutto un convento, ma se si guardava sopra al grosso portone di legno, si poteva vedere la gigantesca insegna rossa sopra la quale, a caratteri cubitali bianchi, era scritto ‘Orfanado de la Soledad’. Tra tutti i luoghi e tra tutte le persone che potevano richiedere l’aiuto di due macchine da guerra su gambe, il proprietario di un orfanotrofio infernale era decisamente l’ultimo che la donna leonessa si sarebbe mai aspettata. E considerata la gente di merda che girava per le strade della città, non poteva fare a meno di chiedersi come un edificio simile fosse ancora in piedi.
Comunque, la sua mansione non era porsi domande sul datore di lavoro, ma su chi avrebbe dovuto ammazzare in sua vece. Senza troppi discorsi, le due mercenarie superarono il cancello d’entrata, spalancato, salirono i pochi gradini che le separavano dal portone, e poi Rengar afferrò il grosso battacchio, nella bocca del leone in rilievo sul legno, e lo sbatté ripetutamente.
“Però… sfarzoso per essere un contenitore per poppanti…” commentò la mantide, incrociando le braccia chitinose.
Prima che Regnar potesse dirle di darci un taglio, il portone si aprì con un cigolio inquietante e grave, rivelando quello che probabilmente doveva essere stato il mandante della chiamata: un demone piuttosto alto, che indossava una tunica monacale nera, con tanto di collarino bianco, tanto lunga da strisciare a terra e da coprirgli i piedi. La pelle rossa s’indovinava dalle mani scoperte, le cui dita erano irte di artigli neri come la pece, e dal viso sporco di lentiggini violacee. Dai lunghi capelli bianchi che gli scendevano sulle spalle spuntavano un paio di lunghe corna da caprone, arrotolate all’indietro. L’aspetto non era tanto diverso da quello di altri demoni… se non fosse stato per il particolare della benda azzurra che gli copriva gli occhi.
Da sotto la benda, e lungo le guance, scendeva una scia non esattamente piacevole da vedere che doveva essere sangue solidificato.
Benché la presentazione per niente convincente ed inquietante del parroco lasciasse un po’ a desiderare, lo stesso accorgendosi della presenza delle due donne snudò un sorriso di denti candidi – e affilati come quelli di un lupo – e mormorò, con una voce così gentile da sembrare irreale “Oh! Le mercenarie! Non fatevi problemi, entrate pure.”
Mentre il demone si avviava verso l’interno dell’edificio, Kha’Zix si piegò appena verso la compagna, mettendosi una mano aperta a fianco della bocca per non farsi sentire “Ma come cazzo ha fatto a capire che eravamo le mercenarie se i suoi occhi hanno più perdite di-”
La leonessa le tirò uno scappellotto che le fece piegare il collo in avanti.
 
[…]
 
Padre Mendoza, così si chiamava il proprietario dell’orfanotrofio, era un uomo estremamente delizioso ed educato. Cosa ci facesse all’Inferno non sembrava dominio pubblico, ma era stato subito rapido nel dire che si trovava lì perché aveva colpa, ed era convinto che si trattava di una missione affidatagli da Dio in persona quella di prendersi cura delle piccole anime dannate giunte all’Inferno, o già nate al suo interno. Perché sì, i Demoni scopavano, e a volte davano vita a delle creature. Il più delle volte, a creature per nulla ben volute.
Inoltre, la ‘Divinità Suprema’ faceva effettivamente schifo sul punto di vista della giustizia: bambini non battezzati, o pagani, o sulla quale erano state commesse atrocità indicibili o che avevano deciso di uccidere per autodifesa, finivano tutti lì. Certo, esistevano anche le mele marce, ma non ce n’erano molte.
E sicuramente non avevano bisogno della protezione di un orfanotrofio per sopravvivere a Pentagram.
Però Rengar era sicura di non aver mai visto un orfanotrofio così ben tenuto all’Inferno.
Inoltre, il salone nella quale le aveva fatte accomodare era gremito da bambini demoniaci che giocavano allegramente ed in totale serenità, sotto la luce variopinta delle vetrate colorate. La mercenaria albina trovò ogni cosa estremamente surreale. Ed era innegabile che una scena simile scaldasse il cuore, un pochino.
Ma come da copione, lei non si trovava sicuramente lì per pensare a quanto fosse carino il fatto che persino all’Inferno qualcuno di non totalmente stronzo esistesse.
“Suppongo non siate qui per sentire questo vecchio prete che vi parla di se stesso” disse Mendoza, sempre sorridente “perciò, arriviamo subito al sodo.”
Il sorriso del prete svanì, mentre si piegava in avanti, posava i gomiti sul tavolino circolare e assumeva un’espressione serissima “Ho saputo che siete tra le migliori del vostro campo e che accettate qualsiasi tipo di somma per un lavoro fatto bene, benché si tratti puramente di eliminare un demone particolarmente potente. Mi sbaglio?”
“Non sbagli.” Rengar incrociò le gambe, accomodandosi meglio sulla poltrona rossa, mentre la sua compagna, seduta a sua volta, si guardava attorno muovendo a scatti la testa.
“Bene.” sospirò “dovete sapere che non è semplice gestire un orfanotrofio, soprattutto a Pentragram City. Ho perso il conto delle volte in cui mi sono dovuto sporcare la mani per proteggere i bambini che tengo al sicuro dietro queste mura.”
Rengar immaginava che Mendoza fosse pericoloso. La gente di Pentagram doveva aver tentato più e più volte di fare la bulla con lui, ma le condizioni dell’orfanotrofio ed il fatto che nessuno stesse lanciando uova marce contro le sue mura quando erano arrivate lì era sicuramente segno che quel demone non era solo un buon pastore come pochi se ne trovano.
Doveva essersi fatto un nome, in giro, se non come Overlord, sicuramente come qualcuno a cui non devi rompere le palle. E ringraziò il maledetto bastardo che l’aveva mandata lì sotto che Kha’Zix non avesse indagato ulteriormente su come un uomo cieco avesse percepito con così tanta facilità la presenza delle due predatrici.
Non voleva perdere un cliente perché quella pazza aveva tentato d’iniziare una rissa.
“Ma i miei occhi non arrivano ovunque…”
“AH, BUONA QUESTA!”
Kha’Zix batté il cinque al prete, che aveva alzato la mano ammiccando un sorriso.
La leonessa sbuffò spazientita.
“… dicevo, a volte non basta essere estremamente attento, per evitare che qualcuno dei tuoi protetti si faccia del male. Sono pur sempre un uomo che gestisce questo posto senza alcun aiuto, e qualche volta capita che io mi distragga…”
“Arriva al dunque.” Si vedeva lontano un miglio quanto si sentisse colpevole di quello che stava per rivelare, ma non erano lì per perdere tempo.
Mendoza sospirò rassegnato, poi guardò dritta in faccia la mercenaria “Sei dei miei bambini sono scomparsi. Sono uscito una volta per svolgere una mia… mansione, e quando sono tornato, non li ho trovati nei loro letti. Nessun segno d’infrazione. Nessuna forzatura. Sono scomparsi come se non fossero mai esistiti.” Digrignò i denti, sbattendosi una mano sulla fronte “Se solo fossi stato più attento, maledizione…”
“Frena.” Kha’Zix puntò subito le mani avanti “Tu… ci hai chiamati per una missione di… recupero di mocciosi?”
Si alzò in piedi, stizzita “MA E’ PER CASO UNO SCHERZO!?”
“Kha’Zix. Siediti.” Fece la leonessa, perentoria, senza nemmeno guardarla.
“Con tutto il dovuto rispetto: adoro i bambini, ma se questo incarico riguarda solamente il recupero di dei poppanti da un qualche pedofilo di merda, io mi chiamo fuori. Micina, puoi farcela anche senza il mio aiuto. Io me ne ritorno a deprimermi in beata solitudine.”
Rengar non tentò nemmeno di fermarla mentre si allontanava con passo pesante verso l’uscita. Uno dei ragazzini, di preciso una bambina con un vestitino azzurro, gli occhioni neri – completamente neri, come quelli di un bimbo da film horror – come i lunghi capelli e le antenne da falena, la seguì con lo sguardo e con un’espressione preoccupata.
“Lungi da me! Fosse stato questo il mio problema, me ne sarei occupato da solo” Mendoza si era seduto comodo sulla sedia, alzando le braccia con un sorrisone. Il modo in cui quell’uomo cambiava umore con così tanta facilità un po’ le ricordava l’altra sclerata con cui aveva a che fare.
Tornò tuttavia serio, guardando Rengar.
Doveva aver capito che con lei almeno poteva avere un discorso serio.
“Vedete, un semplice rapitore di bambini sarebbe entrato, avrebbe rapito un bambino o anche più di uno, e lo avrei letteralmente fatto sparire dalla faccia dell’Inferno pochi secondi dopo.” Si portò le mani sotto al mento “Questo con cui abbiamo a che fare si è comportato come una specie di spettro, senza lasciare alcuna traccia, è entrato in casa mia ed ha rapito i bambini.”
“Hai il tono di una persona che potrebbe conoscere l’identità del rapitore.”
“In realtà sono sicuro di quale sia la sua identità. Ha già tentato di convincermi di lasciargli avere alcuni dei miei piccoli per i suoi… progetti. Ma tutti gli ambasciatori che ha mandato non si trovano più da nessuna parte, adesso.” Si piegò ulteriormente in avanti  “avrai sentito parlare del Corvo Scarlatto, giusto?”
Rengar sgranò gli occhi.
“WOAH! SCUSAMI!?” Kha’Zix piovve dal cielo sopra alla poltroncina vicino a quella dell’altra mercenaria, che la guardò di sottecchi. Lo schianto fece voltare tutti i bambini verso gli adulti, ma Mendoza fece segno loro di tornare a giocare con un sorriso.
“Sei entrato in una diatriba con il ‘Wanna Be Overlord’ più famoso di Pentagram? Quello che vuole crearsi un esercito di super fedeli alla fede del suo ‘Dio Senza Nome’ per rovesciare l’Inferno e Lucifero in persona? QUEL CORVO SCARLATTO!?”
Mendoza sorrise “Sei molto preparata sull’argomento, vedo!”
“M-ma questo cambia tutto allora! Ti ho giudicato male, vecchio: il Corvo è sulla mia lista di gente che voglio combattere da quando sono all’inferno!” si coricò quasi sulla poltrona, estatica. Poi guardò con un’espressione spazientita la leonessa “Certo… ci avrei anche combattuto assieme prima, se questa qua non mi vietasse di intervenire contro avversari che non fanno parte di un contratto.”
Rengar sospirò e scosse la testa rassegnata.
“Comprendo che avrei potuto occuparmene io direttamente… ma questo demone non è una semplice anima dannata arrivata all’inferno per un overdose. Già in vita era un folle, talmente tanto da causare un suicidio di massa che al giorno d’oggi farebbe impallidire quello di Jonestown. Se io lo affrontassi e morissi, questi bambini non avrebbero più nessuno. Ed io non posso permettermi che ciò accada” guardò la leonessa negli occhi. Quella ne percepì l’animosità, benché non avesse pupille in cui specchiarsi “Vi prego di sconfiggere il Corvo e di riportare indietro i bambini. Vivi. È vi pagherò lautamente a riguardo.”
Fu Kha’Zix a rispondere per lei, alzandosi con un sorriso smagliante “Scherzi? Una battaglia contro il Corvo io la faccio anche gratuitamente.”
“Non. Succederà.” Ringhiò Rengar, mostrando i denti.
Quindi si alzò dalla poltroncina, imitata dal parroco, con cui si scambiò una portentosa stretta di mano “Ci pagherai ad incarico svolto. Se le cose dovessero andare male, non ha alcun senso lasciare così tanti soldi con un paio di cadaveri.”
Mendoza sorrise. Sembrava quasi commosso “Avevo sentito dire che voi siete le mercenarie più accondiscendenti dell’Inferno. Sapevo che sareste state ben disposte ad accettare questo incarico, anche se abbastanza banale.”
“Nah, vecchio, non sopravvaluti le nostre intenzioni.” Kha’Zix fiancheggiò Rengar da destra, passandole un braccio lungo le spalle “Adoriamo solamente ammazzare la gente, non importa chi-”
D’improvviso, la donna sentì i suoi pantaloni che venivano tirati.
Dal basso.
Kha’Zix abbassò lo sguardo, incuriosita, e lo stesso fece Rengar, vedendo la stessa bambina con gli occhi horror che prima stava spiando la scena. Teneva con una manina candida un lembo delle braghe della mercenaria e l’altra la teneva davanti alla bocca, timidamente.
“Uhm?” la mantide inarcò un sopracciglio.
“L-la riporterete indietro?” squittì la piccola, muovendo appena le antenne da falena.
“… chi?” Kha’Zix piegò la testa di lato.
“Sylvie, per favore, non disturbare le nostre ospiti.” Mormorò Mendoza, mettendo una mano sulla spalla della bimba.
Per favore, non mangiare la testa della mocciosa pensò invece Rengar, che già aveva la mano sui bolas.
“I-io e Prill abbiamo litigato… l-litighiamo sempre…” gli occhi della bimba cominciarono a riempirsi di lacrime “… m-ma io non voglio che le succeda qualcosa di brutto! Ho detto che vorrei che finisca sotto un camion, ma non intendevo davvero!”
Alla faccia! Ripensò Rengar, portandosi una mano sotto al mento.
“S-signora mantide, la prego…” la ragazzina strinse di più i pantaloni della mercenaria, stropicciandoli tutti, cominciando a piangere sul serio “… s-se lei è così forte… deve salvarla! E’ la mia migliore amica! L-la prego…”
Kha’Zix non disse una parola, si limitò a guardare quella cosina tutta lacrime che adesso aveva appoggiato la testa sulla sua gamba, singhiozzando.
Senza alcun preavviso poi, si abbassò sulle ginocchia, facendo allontanare Sylvie.
Qundi, sollevò un braccio chitinoso.
Rengar inarcò un sopracciglio, quando la compagna posò la mano sul capo della bimba carezzandola con una dolcezza di cui non la credeva capace nemmeno per mezzo secondo.
“Mocciosa, ti posso garantire che davanti ai tuoi occhi hai le predatrici più pericolose di tutto l’Inferno.” disse la donna, con un sorriso smagliante “Ancora prima che tu possa sbattere le palpebre, la tua amichetta sarà di nuovo qua davanti a te.” Puntò il dito alle sue spalle “Anche io litigo con questa faccia da cazzo un sacco di volte, ma questo non vuol dire che non siamo amiche!”
“D-davvero?” la bimba sgranò gli occhioni.
“Certo! Ehi, non pensare di essere una brutta persona se dici cose brutte quando sei incazzata. Se però la cosa ti turba, ti garantisco che presto potrai chiedere scusa alla tua amica di persona.”
E Rengar sgranò gli occhi.
Non era stato il loro arrivo all’Inferno.
Non era stata la loro metamorfosi in creature che non dovrebbero esistere in natura.
No… la cosa che la sconvolse di più, fu quel sorriso inspiegabilmente genuino e dolce e quello sguardo ricolmo d’istinto materno che si dipinse sul volto della sua psicopatica coinquilina mentre cercava di consolare la ragazzina.
… dunque ci sono diverse cose che ancora non conosco su di te, uh?
Sylvie, dal canto suo, sorrise timidamente.
“S-signora mantide…”
“Dimmi.”
“Cosa vuol dire faccia da cazzo?” domandò innocentemente la bimba, con un dito sulla boccuccia.
Silenzio di tomba.
Per pochi secondi.
“Oh, è un modo di dire!” Kha’Zix chiuse gli occhi e alzò un dito verso l’alto, pronta a spiegare “Vedi-AHIA!”
“Qua abbiamo finito…” Rengar la tirò per le antenne, imbarazzata.


E DOPO MILLENNI... ecco che ritorno a pubblicare. Credo... credo di aver passato uno dei più terribili ed agghiaccianti blocchi dello scrittore che io abbia mai provato.
Dovuto un po' a pigrizia, un po' a giochi che non dovrei nominare sennò ho paura che un porca puttana di ciccione fatto di tronco spawni in giardino, ed un po' per paturnie completamente mie. Ma ora ho deciso di seguire, innanzitutto, il consiglio dell'UOMO che più in assoluto mi ha dato man forte su efp, e che ora è annichilito dalla pigrizia a sua volta (hang on buddy, we're coming for you) di creare una storia decisamente meno lunga - saranno tre capitoli di dubbia durata - giusto per sbloccare questa angoscia che mi sta consumando da dentro del non riuscire più nemmeno a pubblicare mezza sillaba.
Quindi ti ringrazio, Ghostro. Passerò sicuramente a Raidarti, ma domani.
Ed in secondo luogo, devo ringraziare in assoluto Manu per avermi dato la possibilità di creare un piccolo spin off sulla sua incredibile fic di Hazbin Hotel.
A chiunque sia giunto alla fine di sto capitolo vi prego, VI PREGO andate a leggervi Radioactive (1 e 2), merita mooooolte più recensioni e praises di quante ne abbia. Io ringrazio chinque sia arrivato fin qui! E ci vediamo al prossimo capitolo, che giuro non ci metterà due anni ad uscire!
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(Son tre capitoli, quanto potrà andar male la cosa...?) ultime parole famose

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Capitolo 2
*** Part 2 ***


 

“Scusami, esattamente” cominciò Rengar, mentre si avviava con la compagna verso la loro prossima destinazione “Cos’è questa storia dell’amicizia?
“Come?” la ragazza mantide, che la fiancheggiava con gli occhi chiusi e le braccia dietro la nuca, la scrutò con l’occhio destro, quindi ghignò sorniona “Ma dai, davvero ci hai creduto a quella cazzata? Come potrebbero mai essere amiche due persone che tentano di ammazzarsi a vicenda da così tanto tempo?” ridacchiò divertita “volevo solamente cercare di tranquillizzare la mocciosa, tutto qui. Ho detto la prima cosa che mi è venuta in mente per farla stare brava.”
La leonessa guardò Kha’Zix, che aveva serrato nuovamente gli occhi e adesso, mentre camminava, aveva anche cominciato a canticchiare un motivetto che non conosceva. Sospirò, per poi tornare a puntare gli occhi in avanti a sua volta.
Pentagram City, generalmente, era il covo del caos, e non era difficile voltarsi verso qualsiasi direzione e vedere una sparatoria, un pestaggio, un paio di tossicodipendenti che si sniffavano cocaina mischiata a frammenti di vetro. Però… era ovvio che si stessero avvicinando sempre di più al territorio del Corvo Scarlatto: le abitazioni diventavano sempre più fatiscenti, con pareti dall’intonaco divelto e con finestre sbarrate; le strade erano sempre più dissestate, tenute ancora peggio di quelle che passavano per la città; la spazzatura – assieme a qualche resto umano – si accumulava in fondo ai vicoli o agli angoli delle case, probabilmente disabitate; le anime dannate si facevano sempre più meno frequenti. Le poche che scorgeva, non appena incontravano il loro sguardo, squittivano impaurite ed andavano a nascondersi. Le altre, probabilmente, o erano state massacrate ed utilizzate per i rituali di sangue che si tenevano nelle vicinanze, o si erano unite all’impietoso culto di quel signore del crimine.
Non era sorpresa: si stavano in fin dei conto avvicinando alla dimora di uno dei più pericolosi e potenti esseri che l’Inferno potesse ospitare. C’erano alcune voci secondo cui gli stessi Sterminatori, che ogni anno arrivavano a Pentagram con le loro Armi Angeliche benedette per svuotare le strade della megapoli più sovraffollata dell’aldilà, si tenessero alla larga da quel quartiere.
A quanto pareva, in tutto l’Inferno, lei e quella psicopatica della sua partner erano le uniche abbastanza folli da addentrarsi laggiù.
“Non ti facevo così, lo sai?” ruppe improvvisamente il silenzio la leonessa, voltandosi verso Kha’Zix.
Quella, dopo averla guardata inarcando un sopracciglio, sbuffò annoiata “Oh andiamo… ti sei veramente offesa?” alzò gli occhi al cielo “E va bene: mi ospiti in casa tua gratis, paghi per tutto l’alcool che consumo e mi permetti di accompagnarti nelle tue missioni di sterminio. Forse, in fin dei conti, siamo amiche. Ma molto sotto la superficie di odio che-”
“Idiota, non mi riferivo a quello.” Ribatté Rengar, sopprimendo l’istinto di tirarle un coppino dietro al collo “Non mi aspettavo che ci sapessi fare così bene con i bambini. Mi hai sorpresa.”
A quel punto, la viola sgranò gli occhi “Oh… giusto.”
Si fermò.
Oh mamma. E adesso che ha? Pensò la leonessa, dopo essersi fermata a sua volta ed essersi voltata a guardarla.
Kha’Zix sembrò fuggire lo sguardo della compagna, cosa che la rese ancor più sospettosa. Si grattugiò poi una guancia con l’artiglio chitinoso, sfoggiando un leggero sorriso “Ecco, vedi… per farla breve, una mia vecchia amica mi ha chiesto di mantenere una promessa a nome suo, tutto qui.”
Rengar la guardò per un secondo, poi si voltò e riprese a camminare “Perfetto. Non perdiamo altro tempo.”
“EHI!” esclamò la mantide, correndole dietro “Non vuoi proprio sapere la storia?”
“Non mi interessa.”
“Oh andiamo, questo è il tipico momento in cui tra amiche ci si rivelano le cose più scomode e il rapporto diventa più saldo! Non vuoi aumentare il grado della nostra amicizia?”
“Non è mai stato in programma. Inoltre, questo è solo il momento in cui raggiungiamo il nostro bersaglio, lo ammazziamo, e poi torniamo a casa.”
“…sai che c’è? Fanculo.” La mantide s’accigliò.
“Perfet-”
“Te la racconto lo stesso!”
“… vuoi morire?”
“E’ tutto cominciato all’interno di uno dei laboratori dell’Enter Beast…”
“… mi ha bellamente ignorato.” Rengar sospirò pesantemente, rassegnata all’idea che, volente o nolente, avrebbe dovuto ascoltare la storia strappalacrime dell’altra donna.
 
[https://www.youtube.com/watch?v=gIKUY-7kwYc]
 
“… anche se, in realtà, più che in un luogo, la storia comincia con una persona.” Kha sorrise “Son sicura che ti sarebbe piaciuta un sacco!”
“Una persona con il tuo stesso carattere? Ne dubito.”
“Oh ma smettila! Comunque, non ho mai detto che avesse il mio stesso carattere. Lei...” il ghigno della mantide si fece improvvisamente un po’ più malinconico “… lei era decisamente migliore di me.”
A quel punto, Rengar cominciò ad ascoltare per davvero.
“Il suo nome… cavolo…” si grattò la testa, infastidita “… il suo no-OH! Giusto! Si chiamava Lucy… ed era la Mercenaria più bella e abile che avessi mai conosciuto.” Guardò la compagna, con gli occhi sbrilluccicosi “Tu non hai una vaga idea, Micina! Era letteralmente un mostro! Non ho mai saputo quale DNA di quale predatore gli abbiano impiantato nel corpo. Qualcosa mi dice che si trattasse di un ibrido tra più rapaci notturni possibili. Un vero e proprio Mostro di Frankenstein!  La cosa assurda, però, era il modo in cui combatteva: a differenza mia o tua, sul campo di battaglia non si scatenava. Lei danzava. Aveva un controllo delle due spade che si portava sempre dietro che la faceva sembrare una direttrice d’orchestra. Un passo, e volavano arti e sangue. Un altro, ed una dozzina di nemici non aveva più la testa. E lo faceva sempre con un sorriso dolcissimo stampato sulle labbra.” Si mise una mano sotto al mento, pensierosa “C’è molta probabilità che questo fosse dovuto ad un qualche squilibrio, ma chi può dirlo.”
“Vai avanti.”
“Giusto, giusto. Vedi, Lucy sul campo di battaglia sarà anche stata una divinità della morte reincarnata… ma quando era da sola, con noi, con i compagni a cui era stata affidata, si comportava in maniera decisamente diversa: era solare, sempre allegra, sempre pronta a scherzare e a consolare chiunque E lo stesso… lo stesso…” Rengar la vide stringere i pugni “… lo stesso, con i Candidati per il Gu.”
La leonessa chiuse gli occhi, inspirando intensamente.
Quella… non era la memoria più felice che aveva.
Cavolo, ne aveva vista di merda e spazzatura lungo il corso della sua vita da macchina dispensatrice di morte, ma il Processo del Gu era in assoluto la cosa peggiore: il Gu, secondo le leggende giapponesi, è uno dei veleni più potenti al mondo, ottenuto rinchiudendo all’interno di una giara una quantità malsana di creature velenose, costrette dunque ad ammazzarsi e divorarsi a vicenda. La superstite, si dice, abbia in se un concentrato di veleno tale da stendere persino le belve più feroci e giganti, per questo viene conservata, ed utilizzata per avvelenare armi e intrugli.
Il Processo per l’Enter Beast funzionava praticamente allo stesso modo: centinaia di bambini, dentro cui era stato innestato il DNA di un predatore mortale, venivano sigillati in un enorme stanza, osservati da dietro un’enorme schermo di vetro mentre erano costretti ad ammazzarsi brutalmente a vicenda.
Il superstite, sarebbe stato il nuovo super soldato da mandare sul campo.
Rengar ci era passata.
Kha’Zix ci era passata.
E benché fossero sopravvissute, erano le uniche memorie che non ricordavano come gloria dei bei tempi andati.
“Dovevi vedere come trattava quei bambini, Micina.” Tornò a parlare Kha’, con una voce decisamente meno roca ed eccitata del solito “non erano solo pezzi di carne da macello costretti a pestarsi a sangue per il divertimento di quegli scienziati malati, erano i suoi figli. Dal primo all’ultimo. Leggeva loro le favole della buonanotte, giocava con loro e, benché probabilmente tre quarti di coloro che conosceva sarebbero sicuramente morti, insegnava loro le bellezze del mondo. E tutto questo nonostante i superstiti la odiassero, poiché per quanto lei promettesse loro quanto sarebbero stati al sicuro, nulla di tutto ciò che diceva era effettivamente vero.” Smise di sorridere “Forse, però, fu proprio per questo che si stancò…”
“… ha tentato di scappare?” domandò la leonessa, sapendo quale fosse già la risposta.
“Non ha tentato: c’è riuscita.” L’altra sorrise, soddisfatta “che macello, quel giorno, ai laboratori! Non ho mai visto così tanti cadaveri di scienziati e militari in una sola giornata. Avremmo potuto intervenire, noi super soldati.” La guardò facendole l’occhiolino “ma vuoi davvero impedire ad un falco di spiccare il volo?”
Rengar chiuse gli occhi, allargando appena un sorrisetto “Non me lo sognerei nemmeno.”
Kha ridacchiò.
Poi tornò seria “Purtroppo, bastarono troppi pochi anni: dopo la sua fuga, fu ritrovata in un paesino sperduto del Congo. Un luogo dimenticato da Dio e dagli uomini. Ad insegnare in una scuola di mocciosi.”
“Deve essere stata dura” la leonessa chiuse gli occhi “Avranno sicuramente mandato qualcuno a farla fuori. E visto ciò che era per te, sicuramente-”
“Mandarono me, Micina.” Kha la guardò con un sorriso pieno di tristezza “Sono stata io ad ucciderla.”
La leonessa non poté fare a meno di guardarla con occhi sgranati.
“A volte, incontri direttamente il tuo mito, ci parli assieme, e rimani deluso.” La mantide serrò le palpebre “Non fu quello il caso: benché sapesse fossi lì per eliminarla, benché sapesse che avrebbe abbandonato quei poveri ragazzini che la trattavano come una santa, non mise nemmeno un minimo di astio, odio, o disperazione nei fendenti che si scambiò con me. Sono quasi sicura di essere riuscita a vincere solo per suo volere. Era stanca, e benché fosse pronta a morire, voleva tentare di farlo lasciando dietro di se un ricordo degno.” Si guardò le mani aperte, malinconica “quando la tenetti tra le mie braccia, gorgogliante e con uno dei miei karambit infilati nel cuore, lei non smise di sorridere. Mi mise una mano sulla guancia, e mi domandò, come ultimo desiderio, di fare tutto il possibile per provare a proteggere l’innocenza di quei bambini.”
“… e ci sei riuscita?”
Kha si voltò verso di lei, sorridente “Ho… ho fatto del mio meglio. Ho tentato di giocare con loro, di farli divertire e di fargli capire che, per quanto breve, una vita deve essere vissuta. All’inizio, lo facevo solo per lei… ma poi mi sono affezionata anche io a quei maledetti mocciosi. Cavolo… mi chiedo se qualcuno di loro sia mai giunto qui.” inspirò a fondo, per poi guardare il cielo “… mi chiedo a volte, se incontrerò mai quella danzatrice dei campi di battaglia. Se mai rivedrò quel sorriso…”
Rengar non seppe cosa dire.
Come poteva?
Se non avesse conosciuto Kha’Zix da così tanto tempo, avrebbe creduto avesse una gemella depressa esattamente identica. Ma indubbiamente, quella che aveva davanti era la stessa persona di sempre. A volte la vedeva, senza essere scoperta: a differenza sua, che aveva indurito il suo spirito ed era diventata completamente indifferente a qualsiasi tipo di sofferenza la circondasse, quell’altra, con la scusa di andare a fare quattro passi, andava a sedersi su uno dei monumenti nel giardino della villa, a non fare nulla.
Si fermava, semplicemente a… pensare.
A guardare il cielo, con un’espressione talmente afflitta che quasi la faceva commuovere.
Kha’Zix, una delle creature più potenti e pericolose che avesse mai incontrato, morta per mano sua, finita all’Inferno per scontare la pena in merito a tutta la morte e distruzione che aveva causato…
Chissà, forse il motivo per cui voleva assolutamente combattere e rischiare la vita, era perché almeno il brivido della caccia le impediva di ricordarsi quanto triste e priva di compiacimento fosse la sua vita precedente?
Non tentò di consolarla, quando finì di parlare.
Non ne sarebbe stata capace.
Bastava solo il silenzio.
“OH! Guarda!” Kha tornò all’improvviso quella di sempre, puntando con un sorriso un po’ più inquietante l’enormità che si trovava davanti a lei “Ridendo e deprimendoci, siamo finalmente arrivate!”
Scossa dall’esclamazione della compagna, la leonessa si voltò a sua volta.
E subito, i suoi pensieri tornarono quelli di prima tutto quel discorso, ed il suo sguardo quello di un predatore a caccia.
Era quasi impressionante come pure il cielo stesso sembrasse fuggire quel luogo: sopra ad un promontorio che superava di diversi metri l’altezza degli edifici di Pentagram City, avvolta da nubi tetre ed inquietanti, che vorticavano come mostri che tentavano di azzannarsi la coda a vicenda, sorgeva una delle cattedrali più grandi avesse mai visto in vita sua.
E ne aveva viste: tra i libri che collezionava, ne aveva presi diversi di fotografie di monumenti e luoghi importanti nel mondo dei vivi.
Quell’opera architettonica era però talmente enorme e terrificante che risultava impossibile attribuirla alle mani di architetti umani, costruita su mattoni nerissimi, lucidi che riflettevano persino l’immagine sbiadita della città: s’innalzava verso l’alto, per chissà quante decine di metri, se non centinaia. Archi rampanti svettavano ai lati del corpo principale come le zampe di un ragno gigantesco. Ai fianchi del tetto spiovente, spuntavano decine e decine di torri appuntite, svettanti verso il pentagramma nascosto dalle nuvole come baionette. Innumerevoli e altissime finestre dalle vetrate rosse come il sangue costellavano i muri laterali, come il rosone, che brillava davanti alla facciata principale come l’occhio di una creatura uscita dalle viscere della mente malata di un paziente schizofrenico. Ai lati della facciata, partivano due torri colossali, molto più grandi di quelle attorno al tetto.
E da quelle torri sventolavano gli stendardi, ricamati su stoffa rossissima, che recavano il simbolo del Corvo: un gigantesco globo nero, che pareva sciogliersi verso il basso, al cui centro si apriva una grossa pupilla verticale.
Un monumento maestoso, che rappresentava esattamente chi lo aveva commissionato: innalzato sopra a tutto e tutti, per poter vedere ogni singolo essere vivente e non dall’alto verso il basso. Un simbolo di superbia e ambizioni estremamente alte per una semplice anima dannata.
Eppure il Corvo, dietro quelle mura, aveva sicuramente accumulato tanto di quel potere da poter rovesciare l’esistenza dell’Inferno stesso.
O almeno, così si diceva in giro.
Tutto ciò che importava, ora, era una cosa sola: doveva essere eliminato.
“Direi che è il momento di rimboccarci le maniche, Micina…” sibilò Kha, mentre i suoi occhi mandavano bagliori famelici e le lame di membrana sotto gli avambracci si sollevavano appena.
Rengar non disse nulla.
Si limitò a portare il braccio alle sue spalle e ad estrarre l’enorme spadone.
 
[…]
 
[https://www.youtube.com/watch?v=3Nbw8h-tDR8]
 
L’interno della cattedrale era immenso e maestoso, diviso in tre navate principali separate tra loro da due muraglie di colonne portanti, che presentavano rilievi di scheletri e diavoli intenti ad attorcigliarsi tra loro in una specie di disgustosa orgia di violenza e morte sulla loro superficie. le pareti oscure erano illuminate da candelabri di ferro nero, grandi come elefanti, che proiettavano ombre spaventose in giro per tutto l’ambiente. Da ogni pilastro, partiva una picca di metallo che puntava verso la navata centrale, da cui scendeva lo stendardo del Corvo. Diverse panche di legno, esposte lungo il pavimento, ospitavano un paio di centinaia di demoni, tutti di dimensioni diverse.
Il loro aspetto, tuttavia, era celato da una divisa militare bianca come la neve, orlata d’oro, e da un copricapo appuntito che copriva del tutto il loro volto, fatta eccezione di un paio di buchi che servivano per vedere fuori – che a volte erano tre… o sette – e delle corna che spuntavano dalla stoffa.
Alle spalle dei fedeli raccolti in preghiera, ai lati del gigantesco portone che sembrava realizzato in ossidiana, svettavano le colossali statue di due creature simili a giganteschi leoni con delle ali da pipistrello e la testa di un aquila, sollevate sulle zampe anteriori che parevano in procinto di scagliarsi l’una contro l’altra. Innanzi a loro, dove avrebbe dovuto esserci l’altare, vi era invece una grottesca e terrificante esibizione: un’enorme scultura dorata di un albero secco, privo di foglie, sui cui rami acuminati erano infilzati i cadaveri freschi di alcuni demoni. Alcuni corpi gocciolavano ancora il sangue sul pavimento.
Infine, dietro quest’ultima esibizione di blasfemia pura, appeso alla parete che guardava in avanti tutta la navata principale, svettava nella sua immensa mole un gigantesco ritratto, raffigurante un individuo incappucciato di cui era impossibile distinguere il volto a causa dell’oscurità sotto il cappuccio rosso, con la tunica vescovale ricoperta di gioielli e collane.
“Poco… manca ancora poco…”
Ad aver parlato, era stata la gigantesca figura in piedi innanzi alla scultura dell’albero. Figura che non poteva essere un demone comune: indossava a sua volta lo stesso abbigliamento degli altri cultisti ma, a differenza loro, la sua era rossa come il fuoco, orlata di blu, e più che una divisa era un vero e propri mantello, talmente lungo e largo da coprire braccia e gambe, senza lasciare che nulla fosse scoperto. Il copricapo appuntito, invece, era privo di qualsiasi foro.
Altra particolarità, era il fatto che questo fedele fosse alto poco meno di dodici metri.
“Il profeta del nostro Dio Senza Nome” parlò a voce alta, rivelando da sotto il mantello due muscolose braccia squamate di verde, alzando le dita irte di artigli neri verso l’alto “ha annunciato, poco prima di ritirarsi in preghiera, che quello di oggi sarebbe stato il giorno decisivo per la venuta del nostro signore! Molto presto, gli innocenti macchiati dal peccato saranno sacrificati al suo regno, e il Dio sceglierà il suo nuovo avatar per spedire una volta per tutte quest’indegna realtà nell’Abisso di Sangue, assieme a tutti i suoi re empi e maledetti.” Alzò le braccia al cielo “GIOITE! Poiché presto brinderemo in nome del nostro nuovo sovrano: il Corvo Scarlatto!”
Ed i fedeli esultarono.
Si alzarono in piedi, rivelando gli AK-47 fissati sui loro fianchi, ed applaudirono inneggiando il Dio Senza Nome, il nome del loro profeta, e alcuni anche quanto avrebbero voluto scoparselo.
Il giubilo continuò per un bel po’ di tempo.
“Ma quindi il suo nome è proprio Corvo Scarlatto?” domandò Kha’Zix, in piedi infondo alla navata centrale, facendosi sentire bene da tutti “Mamma mia… qualcuno era un perdente alle scuole elementari ed ha continuato ad esserlo pure da morto.”
Il giubilo s’interruppe, lasciando spazio ad alcune esclamazioni interrogative.
Tutti i presenti si voltarono verso la direzione della voce, incontrando lo sguardo minaccioso e il sorriso sornione della mercenaria, che se ne stava immobile al centro della navata a braccia incrociate “chiedo scusa per l’intrusione. Stavo cercando il bagno, non volevo certamente interrompere questo raduno di KKK casa e chiesa.”
“Oh! Il bagno sarebbe per-” il compagno tirò un coppino ad un cultista che si trovava al suo fianco, facendogli piegare il collo in avanti.
“Tu…” il gigante mosse il braccio, puntandola con un artiglio “… come diavolo hai fatto ad entrare?”
“Ah!” la mantide puntò dietro le sue spalle con  il pollice “ho preso l’entrata più alta!”
Tutti i presenti guardarono la facciata, inorridendo: il loro meraviglioso rosone era sfondato, come se una palla di cannone ci fosse andata a finire contro con immane potenza. Il gigante trattenne il fiato: la loro cattedrale era una delle strutture più alte di tutto l’Inferno. Che razza di gambe aveva quella psicopatica per saltare così in alto? “… chi diavolo sei?”
“Oh… sono contenta che tu me lo abbia chiesto…” puntò il pollice verso di se, ghignando allegra “Io sono-”
L’immenso portone di ossidiana s’abbatté al suolo a pochi centimetri dalla donna, sollevando un considerevole nuvolone di polvere, facendo sobbalzare e urlare alcuni fedeli e facendo sussultare il gigante. Kha’Zix, dal canto suo, era scattata in avanti su una gamba e si era voltata di scatto, con il cuore in gola. Quando la nuvola si fu diradata, Rengar fece la sua entrata in scena, la spada poggiata sulla spalla e cinque grosse teste di demone infilzate su di essa, che la facevano quasi sembrare uno spiedino gigante.
Innanzi all’immagine dei guardiani posti innanzi al portone della chiesa ora diventati solo teste mozzate, i mormorii preoccupati dei cultisti si accentuarono.
Alcuni posero la mano destra sull’arma.
“Finito di perdere tempo?” domandò la leonessa, raggiungendo la compagna ancora tremante e guardandola con un sopracciglio inarcato.
“S-sei…” Kha allungò le braccia lungo il corpo e le sbraitò direttamente in faccia “MA SEI PER CASO UNA DFICIENTE!? Mi hai quasi fatto diventare un pancake! Per non parlare dello spavento che mi hai fatto prendere!”
L’altra donna alzò gli occhi al cielo “Che fighetta che sei…”
“M-mercenari…” il gigante mormorò, muovendosi appena indietro.
“Uh…?” Rengar guardò il suddetto, piegando la testa di lato “Lo hai capito dalla spada o dai testoni mozzati?”
“FEDELI!” ruggì dunque, puntando le due “Queste intruse hanno osato invadere il sacro territorio del Corvo Scarlatto! Fate in modo che non escano mai più da qui! Non permettetegli d’interrompere il nostro rituale!”
Come fossero state spade, i cultisti estrassero le loro armi e le puntarono in avanti.
“OH SI’! finalmente un po’ di… EHI!”
Rengar, masticando una bestemmia, scrollò lo spadone verso il basso, liberandolo dal peso delle teste, lo rinfoderò ed afferrò per un braccio la compagna, già pronta a gettarsi nella mischia, probabilmente inconscia della muraglia di proiettili, sicuramente angelici, che adesso le stava sbarrando la strada. Fu abbastanza veloce da salvare entrambe da un linciaggio collettivo, portandosi assieme a quell’altra dietro ad una delle due sculture mostruose che fiancheggiavano il portone, mentre una quantità immane di proiettili crivellava la roccia.
 
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“Ah, mi sembra di essere tornata a El Paso contro quel Cartello!” esclamò la mantide, tutta eccitata.
“Sei stupida?” Rengar la guardò con sdegno, digrignando i denti.
“Co- MA TU SARAI STUPIDA!” Kha la puntò col dito, offesa.
“Gettarti contro più di un centinaio di uomini armati DA SOLA è sinonimo di suicidio! Ti ricordo che questi bastardi hanno molto probabilmente armi magiche nel loro arsenale. Se uno di quei proiettili ti buca il cervello, ciao ciao per sempre!”
“Oddio, come la fai lunga!” esclamò alzando le braccia il cielo la viola, quasi sopraffacendo il rumore dei proiettili che sfioravano il loro riparo o che vi ci si abbattevano contro.
Rengar digrignò i denti, cominciando a spremersi le meningi “Dobbiamo escogitare un piano…”
“Bene, mentre tu pensi al piano…” Kha ghignò malvagia.
“… no.” tentò di bloccarla quell’altra.
“IO VADO A DIVERTIRMI!” ed uscì dalla sua barriera, gettandosi definitivamente nella mischia.
“IDIOTA!” esclamò la leonessa, preoccupata.
Ma subito dopo, fu costretta a ricredersi.
Generalmente, portare un coltello in una sparatoria è un’idea del cazzo. Era la regola più comune per le risse. Kha’Zix questa regola la rompeva e la sniffava: benché ci fossero almeno duecento fucili d’assalto che facevano fuoco su di lei, la donna insetto schivò ogni singolo proiettile, eseguendo dei micro scatti quasi impercettibili all’occhio umano e correndo con la schiena così bassa che la maggior parte dei proiettili le passavano sopra la schiena senza nemmeno sfiorarla. Qualcuno la colpì di striscio, ovviamente, ma nulla di grave o letale. Semplicemente, lasciando cicatrici che avrebbe mostrato con goliardia a qualche curioso durante una bevuta.
Quando finalmente raggiunse i primi cultisti, cominciò il vero massacro: con un bagliore violaceo, le lame chitinose scattarono in avanti, trasformando le braccia della demone in vere e proprie falci mortali, che cominciarono a tagliare ogni singola cosa s’abbattesse su di loro con la stessa efficacia di una lama al laser. Decapitò subito due demoni, per poi voltarsi di scatto e sfondare la testa di un altro con un calcio, quindi si voltò nuovamente in avanti, infilzando le lame nelle spalle di un cultista un pochettino più basso rispetto a lei. Dopo averlo puntato con occhi famelici ed aver sorriso come una squilibrata, la sua bocca si deformò, allargandosi decisamente troppo per le capacità di un essere umano, ed esibendo una sequela di fauci agghiacciante. Il cultista non fece tempo ad urlare che già la sua testa era stata staccata dal resto del corpo.
Kha’Zix ingoiò senza nemmeno masticare e, tornata normale, riprese a falciare quanti più nemici poteva, ridendo come una bambina a cui stavano facendo il solletico e lasciandosi una scia di luce verde dagli occhi ogni qual volta il suo sguardo cambiava direzione.
 
“M-maledetto mostro!” esclamò uno dei cultisti mentre le sparava contro, nonostante ogni suo singolo proiettile venisse schivato, deviato o colpisse un suo compagno “C-come diavolo fa a-”
Inavvertitamente, il demone si era avvicinato troppo all’entrata della scultura.
“Chiedo scusa.” Disse Rengar, afferrandolo da dietro la collottola, nascondendolo dietro la statua assieme a lei e appendendo alla stessa con lo spadone, facendo spuntare la lama dall’altra parte della scultura.
Senza perdere tempo, raccolse ogni singola munizione e l’arma del cultista.
“Ok, brutta stronza.” Mormorò, cambiando il caricatore “Facciamo a modo tuo.”
Approfittando del fatto che praticamente ogni singolo nemico era troppo impegnato a non morire contro al tornado viola e verde che era la sua partner, Rengar salì sopra ad una delle spalle della statua gigante, puntò l’AK-47 verso la folla e, reggendola con una sola mano senza problemi, cominciò a fare fuoco.
Molti cultisti si ritrovarono il corpo ricoperto di buchi sanguinanti o con la testa esplosa senza nemmeno accorgersene e, i pochi che se ne rendevano conto, venivano linciati poco prima che potessero sparare verso di lei. Quando finì il primo caricatore, Rengar lo sostituì subito col secondo, riposizionandosi e ricominciando a sparare, accumulando ancora di più cadaveri rispetto a prima.
 
Nel frattempo, la mantide continuava a falciare ogni cosa le si parasse davanti. In alcuni casi esagerava anche, sollevando i cadaveri di alcuni demoni già morti da terra e cominciando ad infilzarli a mezz’aria ulteriormente. Man mano, le fila dei nemici si facevano sempre meno numerose, e la sua vicinanza verso la zona altare diventava sempre più insignificante. Finito di decapitare un altro demone, Kha si voltò verso quella direzione, incontrando le canne di sette fucili d’assalto puntate su di lei.
La mantide ghignò “CORAGGIO!” quindi aprì le braccia in segno di sfida, mostrando la dentatura da squalo.
Quei soldati non ebbero vita lunga.
Non per colpa sua, tuttavia.
Qualcosa di enorme li falciò sul posto, separando la vita dalle gambe e tentando di prendere con se persino il corpo della viola. Quella, però, fu molto più reattiva e con un balzo all’indietro schivò la gigantesca arma: un enorme tridente completamente rivestito d’oro, con un grosso teschio nel punto esatto da cui si diramavano i tre spuntoni e con il lungo rilievo che ricordava un tentacolo che avvolgeva l’asta.
“Maledetta eretica…” il gigante cominciò ad avvicinarsi, minaccioso, afferrando l’arma con la seconda mano “molti fedeli sono caduti per mano tua, oggi…” d’improvviso, la parte inferiore dell’enorme cappa rossa si rigonfiò, rivelando una ventina di grossi tentacoli verdastri, simili a code di serpente, ognuno dei quali reggeva una grossa ascia da guerra placcata d’oro “… ti spedirò nell’oblio personalmente.”
Kha’Zix rise estatica.
Adorava quel cazzo di lavoro “Oh…? Sembra che io abbia incontrato il boss di fine livello, eh?”
Il colosso ruggì furioso, roteando su se stesso e affondando il tridente in avanti. Kha chiuse le lame a X davanti a se, parando il colpo ma venendo comunque spedita a strisciare in avanti, lasciandosi una scia di polvere dietro. Quindi, affilando lo sguardo e senza smettere di sorridere, scattò in avanti non appena il mostro ebbe ritirato la propria arma. S’avvicinò abbastanza per essere accolta dai tentacoli armati, che sollevarono le gigantesche asce verso l’alto e le abbatterono al suolo, sollevando un enorme nuvolone di polvere. La mantide però era riuscita a passare in mezzo a due di quelle grosse appendici, ed una volta voltato lo sguardo mentre ancora si trovava a mezz’aria, aveva menato un fendente orizzontale verso il basso, recidendone un terzetto.
Il demone gigante ruggì di dolore, per poi scattare all’indietro rapidamente e tentare di colpire con un fendente l’avversaria, che riuscì tuttavia a parare anche quel colpo. Ma con quella parata, arrivò anche l’urto, che la scagliò contro ad una delle colonne portanti della cattedrale, abbattendola e facendola crollare in una tempesta di polvere e macerie. Kha, andatasi ad abbattere contro al muro destro della cattedrale, si mise una mano sulla nuca, scuotendo la testa e sputando un grumo di sangue sul pavimento, per poi rialzarsi già di nuovo pronta a combattere.
Venne tuttavia preceduta dalla manona del cultista gigante, che la afferrò e sollevò da terra senza il minimo sforzo, scagliandola verso il soffitto della cattedrale. Kha si schiantò contro di esso con una violenza inaudita. Tossicchiò, sentendo tutto il corpo pervaso da un dolore delizioso, per poi precipitare verso il basso, dove già il colosso la aspettava con l’enorme tridente puntato contro di lei.
Vedendola piombare verso il basso apparentemente priva di sensi, il demone rise soddisfatto ed affondò in avanti, tentando d’impalarla al volo. La mercenaria però riaprì gli occhi all’ultimo e bloccò lo spuntone centrale del tridente con le sole forze delle sue lame, sorridendo compiaciuta. Il cultista non riuscì nemmeno a realizzare ciò che stava accadendo che, dopo averlo guardato ed avergli fatto l’occhiolino, Kha’Zix aveva già cominciato a tagliare l’oro della sua arma, con fendenti che si lasciavano dietro un arco d’energia viola ogni volta che venivano scagliati. I colpi si fecero sempre più veloci e frequenti che il corpo della mercenaria parve trasformarsi in una vera e propria sfera di lame ed archi di luce viola, che divorò in pochissimi secondi tutta la parte superiore dell’arma del cultista gigante.
“M-ma che diavolo…?” non si rese nemmeno conto che la sfera aveva già raggiunto le sue dita e le sue mani, maciullandogliele come se fossero finite in un tritacarne. E non si rese nemmeno conto di come tutta la parte superiore del suo corpo venisse disintegrata da quella stessa sfera, in una tempesta di stoffa rossa, budella, sangue e ossa.
Morì in modo orribile, senza nemmeno rendersene conto.
Arrivata esattamente a metà della vita quella sfera di fendenti s’interruppe, tornando ad essere Kha’Zix, ricoperta di sangue e ghignante, a mezz’aria. Ciò che rimaneva della staffa dorata del tridente s’abbatté al suolo con un rumore assordante, e lo stesso fecero i vari tentacoli ancora stretti attorno alle mannaie che, dopo essersi sollevati all’unisono verso l’alto in un muto grido, s’abbatterono al suolo a loro volta, facendo afflosciare il resto del mantello rosso che li ricopriva.
Kha atterrò a sua volta e, col fiatone, si guardò attorno, spettatrice del massacro che aveva causato.
Dopo essersi resa conto che più nessuno sembrava in grado di muoversi, cominciò a sghignazzare.
Per poi scoppiare in una risata fragorosa, letteralmente da farsi venire le lacrime agli occhi, serrare le palpebre e gettarsi a terra di schiena, cominciando a disegnare un angioletto in mezzo al sangue e alle interiora come fosse stata una bimba che giocava sulla neve.
“… fottuta psicopatica.” Mormorò Rengar, gettando a terra l’AK-47 scarico.
In verità, trovò quella scena piuttosto adorabile.
Ma prima di ammetterlo ad alta voce si sarebbe decapitata con la propria spada.
 
“Mi hai visto?” cominciò Kha’Zix, dopo aver raggiunto la compagna saltellando, ricoperta di sangue come un cane che aveva giocato nel fango per tutto il giorno “sono stata brava? Hai visto quanta gente ho ucciso? Sono brava, SONO BRAVA!?”
Concluse la frase che il suo viso contorto da un’espressione folle era praticamente appiccicato a quello serissimo della compagna di massacri. I loro nasi praticamente si stavano sfiorando.
Rengar sbuffò, mettendo una mano sulla faccia dell’altra mercenaria e allontanandola, con gli occhi al cielo “Sì Kha’Zix, sei stata brava…”
Quanta pazienza.
La mantide rise di gusto a palpebre serrate, afflosciandosi sul corpo della leonessa e cincedole appena la schiena con le braccia “Oh mamma… sono così felice…”
“Sei anche ubriaca, a quanto pare.” Mai conosciuta, in vita sua, una persona in grado di inebetirsi al profumo del sangue.
Rengar se l’allontanò di dosso, mettendola in piedi.
L’altra la guardò con un ghigno confuso, inclinando la testa di lato.
“Ora ascoltami bene, è una domanda importante.” Affilò lo sguardo “Hai lasciato in vita qualcuno?”
All’improvviso, l’ilarità abbandonò completamente il viso della compagna, che si voltò di lato “… in… vita…?”
“Kha’Zix” disse Rengar con voce calma, ma in procinto di esplodere “hai lasciato in vita qualcuno a cui poter estorcere le informazioni per sapere dove trovare il Corvo o i mocciosi che ha rapito, come ci eravamo messe d’accordo prima di entrare?”
Kha gonfiò la guancia, allontanando sempre di più lo sguardo da quello della compagna, cominciando a sudare freddo e con entrambe le mani intrecciate dietro la schiena.
“DOVREI FARTI LA MANICURE ALLE LAME, IDIOTA!” ruggì la leonessa, adirata.
“M-MOSTRO!” Kha’Zix sconcertata scattò all’indietro.
Rengar però si calmò subito, passandosi una mano sulla faccia “Fortuna che ESISTO.” Quindi fece segno all’altra di seguirla “Vieni, imbecille…”
Kha tornò a sorridere, raggiungendola saltellando.
 
“Dunque, non ho voglia di perdere tempo.”
Due cultisti sopravvissuti – che probabilmente avrebbero voluto essere morti, dato che entrambi non avevano più i piedi ed uno era rimasto senza un braccio – si trovavano appoggiati contro alla scultura dell’aquila-leone e guardavano impauriti una Rengar incombente su di loro, a braccia incrociate e con gli occhi policromatici che brillavano nella penombra. Appoggiata con la schiena sull’altra statua, Kha li scrutava come una iena che attende pazientemente di prendere una parte di boccone dal pasto di una leonessa.
“Ditemi semplicemente dove si trovano i mocciosi che avete rapito e dove si trova il vostro carissimo pontefice. E potrei decidere di lasciarvi andare.”
“Ma come, li risparmi?” domandò la mantide, delusa.
“MA VUOI STARE ZITTA!?”
Per tutta risposta, uno dei due cultisti, uno dall’aspetto di toro dal pelo nero – che adesso aveva un occhio ed un corno in meno – sputò a terra un grumo di sangue e ghignò come un bastardo “M-maledetta puttana… davvero ti aspetti che io, un fedele al culto del Dio Senza Nome, riveli l’ubicazione del mio signore…?”
Rengar, che già aveva capito come sarebbe finita quella storia, alzò la testa al cielo con un lamento annoiato.
“GLORIA ETERNA!” gridò il cultista, estasiato “GLORIA ETERNA AL-”
La sua testa esplose sotto allo stivale della mercenaria, che s’abbatté contro la statua di pietra con talmente tanta violenza da distruggerne un pezzo. Una delle ali da pipistrello crollo, mentre il corpo del cultista decapitato scendeva verso terra. Il suo compagno, decisamente più giovane e dall’aspetto di un capretto bianco con due piccole cornine che svettavano verso l’alto, fu annaffiato dal sangue e dalle cervella del più anziano e sussultò con un lamento impaurito.
Il rimbombo del corno del demone toro che rimbalzava un paio di volte dopo essere precipitato in terra, scandì la prossima frase della mercenaria “Tu” posò il piede insanguinato, puntando lo sguardo minaccioso verso di lui “dove-”
“Sotto alla scultura dell’albero dorato si trova un passaggio segreto che porta verso la camera segreta del Corvo Scarlatto. Sul fianco sinistro della cattedrale invece dovrebbe trovare una porta che conduce alla camera dove avvengono i sacrifici di sangue. I bambini sono riuniti lì.” Il cultista parlò a macchinetta quasi senza nemmeno prendere fiato, senza distogliere lo sguardo terrorizzato.
Kha chiuse gli occhi e si allontanò dalla scultura con un sorriso enigmatico.
“Molto bene. E’ raro al giorno d’oggi trovare leccapiedi traumatizzati così collaborativi.” Rengar voltò le spalle al giovane demone, che sospirò sollevato.
Poi la leonessa sospirò spazientita “Sì, puoi pensarci tu.”
“C-come…?” il demone capretta si ritrovò la testa completamente imprigionata tra le fauci della donna mantide, che applicando poca più pressione sul collo la staccò dal resto del corpo in perfetto stile Venom. Con una fontana di sangue che usciva dal moncherino del collo, anche l’ultimo sopravvissuto crollò a terra, sollevando una nuvoletta di polvere.
“Madonna che macello…” disse la leonessa, guardando la compagna che ingoiava il boccone come un pitone.
“Dici che questo finirà sui miei fianchi…?” mormorò Kha’Zix, tirandosi un pezzo dei pelle sulla pancia con un’espressione preoccupata e pulendosi del sangue che le era rimasto sul mento.
“Smettila di comportarti come una che si preoccupa della propria linea. Fosse così, non mangeresti le teste dei demoni che uccidi.”
“Mi hanno disegnata così!” Kha alzò le braccia al cielo e sorrise sorniona.
Rengar scosse la testa spazientita, per poi cominciare ad avviarsi verso la navata centrale “Molto bene, per fortuna i nostri obbiettivi non sono troppo lontani: vatti ad occupare dei mocciosi, io penso al Corvo.”
Si bloccò, sentendosi tirata da qualcosa.
Come voltò lo sguardo, incontrò la compagna di massacri che teneva saldamente la sua coda da leonessa, lo sguardo basso ed un’espressione mortalmente seria.
“Di un po’…” alzò lo sguardo, che mandò bagliori smeraldini e terrificanti “… potresti ripetere? Forse ho un pezzo di cervella nell’orecchio e non ho sentito bene.”
Rengar la guardò, poi liberò la coda con uno strattone e si voltò del tutto e minacciosamente verso di lei “Hai qualche problema, per caso?”
Kha chiuse gli occhi e ridacchiò, scuotendo impercettibilmente la testa.
Poi tornò a guardarla serissima “Ci puoi scommettere che ho qualche problema.”
La leonessa passò la mano sull’elsa della spada.
La mantide fece danzare lievemente le lame chitinose.
“Non capisco dove sta scritto che devi essere tu a massacrare il Boss Finale.” Sibilò Kha’Zix, affilando lo sguardo.
“Ma come?” Rengar sguainò la gigantesca spada, il cui sibilo si sentì rimbombare per l’edificio semivuoto “Non eri affezionata ai bambini? Non sei quella che ci sa fare di più?”
“Non lo metto in dubbio.” L’altra snudò il sorriso, liberando del tutto le lame chitinose “Ma anche io ho delle priorità. E non mi conosci per un cazzo se non capisci qual è sulla mia lista la principale tra il salvare un manipolo di poppanti e il poter combattere contro un demone potentissimo.”
“… quindi siamo ad un punto morto…?”
“… credo proprio di sì.”
Restarono a guardarsi per qualche secondo, in silenzio.
Scattarono poi all’unisono, facendo scontrare le proprie lame tra loro, fronteggiandosi l’una con un’espressione marziale e minacciosa, l’altra con un sorriso pieno di follia ed una luce famelica negli occhi.
Lo scontro tra le due generò un’onda d’urto tale da spostare le panche, far volare diversi cadaveri da qualsiasi parte e spegnere alcuni dei giganteschi candelabri. Alcuni stendardi s’agitarono spasmodicamente.
Le due mercenarie, d’altro canto, restarono a guardarsi negli occhi per qualche minuto.

Per poi allontanarsi l’una dall’altra con un lamento e lo sguardo rivolto verso il cielo.
“Ma cazzo…” si lamentò Rengar, passandosi una mano in faccia.
“Non c’è assolutamente più gusto… ma proprio zero…” piagnucolò invece la mantide, coprendosi gli occhi col braccio.
Difficile ravvivare una fiamma, una volta che questa si è spenta del tutto.
“Senti…” Rengar, che si stava massaggiando l’occhio, si avvicinò alla compare mentre ritirava la spada “Che ne dici se troviamo un altro modo per risolvere la faccenda? Magari più veloce di un combattimento, dato che non sappiamo se il Corvo se la sta dando a gambe o se i bambini sono effettivamente in pericolo.”
“Uhm…” Kha si passò un dito sotto al mento, poi schioccò le dita con un sorriso sornione “Chi sputa più lontano?”
“Mi rifiuto categoricamente.”
“OK! Allora quale idee hai tu, genia?” rispose l’altra, stizzita.
“Non saprei…” si mise a rimuginare.
Dopo essere rimaste a pensare per conto proprio qualche secondo, tornarono a guardarsi.
E rimasero ferme per qualche secondo.
Scattarono nuovamente l’una contro l’altra, il pugno alzato destro.
Il quasi scontro scatenò una seconda onda d’urto.
Non forte come la prima, ma che comunque fece staccare uno degli stendardi.
Le due mercenarie si erano fermate poco prima di scontrare le proprie mani tra loro, ed i loro sguardi erano puntati su queste ultime: Rengar che mostrava la mano spalancata, e Kha con l’indice e il medio puntati in avanti.
La leonessa la guardò allibita, e l’altra ricambiò lo sguardo con un occhiolino ed una linguaccia.
“… sculata disgraziata che non sei altro.” Borbottò l’albina, allontanandosi di scatto ed avvicinandosi con passo pesante verso la porta che avrebbe portato verso i bambini.
Kha’Zix, dal canto suo, saltellò tutta contenta mostrando il simbolo di vittoria con le dita
 
[…]
 
Dopo aver trovato il passaggio segreto sotto all’albero di cadaveri – che Kha si era occupata di abbattere con una poderosa testata – e superato un lungo corridoio di scalini e torce che portava verso il basso, la mercenaria trovò la stanza segreta del Corvo.
Sembrava una singola navata, decisamente più piccola rispetto a quelle in superficie, con alte colonne doriche ed un paio di giganteschi lampadari di ferro nero dalle fiamme rossastre. Altre piccole candele si trovavano sparse intorno a tutto l’ambiente, assieme a gioielli e cianfrusaglie che sarebbero state ottime all’interno di un museo.
Alcune candele, si trovavano all’interno di teste cave ed in avanzato stato di decomposizione di alcuni demoni, meno fortunati dei cultisti che il Corvo aveva deciso di prendere sotto la propria ala. Quelli che probabilmente erano i corpi dei suddetti demoni, si trovavano inginocchiati ai lati del lungo tappeto rosso che attraversava la navata, con le mani giunte e legate tra loro da del filo spinato, a mostrare un grottesco e malsano atto di preghiera.
Sul presbiterio, una scultura agghiacciante, che sembrava quasi uno di quei disegni creata da un’intelligenza artificiale: un’accozzaglia di tentacoli, bocche dai denti aguzzi e braccia femminili, le quali erano spalancate e tenevano in mano piccoli cerini accesi, lavorati nella cera rossa.
E infine, davanti a quella scultura macabra, una figura incappucciata e piegata in avanti.
Raccolta in preghiera.
Kha sorrise soddisfatta, ed incrociò le bracca.
“Il Corvo Scarlatto. Presumo.”
La figura si alzò da terra lentamente.
E voltò i tre giganteschi occhi verso di lei.
 
“Ah… Benvenuta.”

 
ATTENZIONE, HO PUBBLICATO IL SECONDO CAPITOLO. 
Non mi sarei mai aspettato di riuscire a pubblicare il secondo capitolo! PENSA TE!
No beh in realtà, ero abbastanza impuntato a farlo, ed ero abbastanza convinto che, volente o nolente, almeno prima di domenica, ce l'avrei fatta.
E signori, oh... non mi sta facendo schifo! Sono soddisfatto finalmente di quello che scrivo da una marea di anni! 
Anche se, devo ammetterlo, che se non fosse stato per tutte le bellissime recensioni che mi avete lasciato, probabilmente di motivazione ne avrei avuta molta di meno...
Perciò ragazzi, è grazie a voi se sono uscito da questo terrificante blocco!
Ora, vi dico: avevo deciso di scrivere una storia di tre capitoli... però temo che potrebbero salire a 4. No tranquilli, ho già tutto in testa. Semplicemente, non voglio creare l'ultimo capitolo un mappazzone enorme. Voglio dire, mi mancano ancora il Boss Finale (lo dico subito, Ghostro: è dedicato a te ;) ) e l'epilogo, quindi mi sà li dividerò in due.
Grazie ancora per essere giunti fino a qui, e ci vediamo al prossimi capitolo in cui, spero, dimostrerò di non aver perso lo smalto nel creare combattimenti 'seri'.
alla prossima!

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Capitolo 3
*** Part 3 ***


 

Sotto la cattedrale, dopo un lungo passaggio segreto affiancato da torce di ferro nero, si trovava un’immensa camera circolare, che nella sua forma ricordava uno stadio. Le pareti ricurve ospitavano un cerchio di armature rosse come il sangue, dall’elmo che ricordava la testa di un drago, tutte intente a reggere tra le mani di ferro una lunga lancia da cui scendeva il drappo rosso del Corvo, accompagnato da un grosso turibolo adornato da sfarzosissimi motivi floreali, che dondolava mogiamente dall’origine della picca disperdendo l’incenso profumato di sangue per l’ambiente.
Sotto un tetto a cupola, da cui pendeva un quintetto di enormi lampadari di ferro nero, un immenso catino dorato, attorniato dalle sculture di figure maschili e femminili dall’espressione sofferente, piegati sulle ginocchia mentre tentavano di sorreggerlo, pieno fino all’orlo di sangue denso.
Con i piedini che sfioravano il sangue, legato con una spessa catena dorata che partiva da un grosso argano appeso al soffitto, pendeva mogiamente un ragazzino che vestiva di un camicetta azzurra ed un paio di jeans chiari. La testa era rivolta verso il basso, ma a causa del sacco di iuta che gli copriva la testa – su cui era disegnata una stilizzata e maledettamente inquietante espressione piatta – era impossibile capire quali fossero le sue vere emozioni.
Ah… mio piccolo orsacchiotto…” disse una voce disgustosa dal fondo destro della sala, facendo voltare il bambino in quella direzione.
Con una mano guantata di nero sopra all’enorme leva che avrebbe fatto scendere la catena, un demone deforme che pur indossando la divisa bianca dei suoi confratelli al piano di sopra, se la ritrovava irrimediabilmente deformata da una grottesca gobba che si gonfiava alle sue spalle come un tumore fatto di carne, pelle e venature violacee. Il copricapo era a sua volta rovinato, lasciando intravedere la pelle raggrinzita e rossiccia della mandibola, che contornava un sorriso malato irto di denti affilati e giallognoli, ed un grosso occhio bianco, privo di pupilla e chiazzato di macchioline rosse.
“Non avere paura d’immergerti nella Vasca della Rinascita, piccolo mio” ridacchiò, accarezzando la leva come se fosse stata un cane “il nostro signore, il Corvo Scarlatto, ti ha donato il suo sangue.” Alzò la mano libera al cielo, con sguardo sognante “Presto… riemergerai come nuovo!”
Il bambino col sacco in testa lo guardò per un po’, senza replicare.
“BILLY!” squillò una voce alle sue spalle, costringendolo a voltarsi di nuovo.
“N-non lo ascoltare!” ad aver parlato era stata una bambina dietro alle sbarre di una grossa gabbia di ferro nero. Gli occhioni rossi, che facevano pendant con i lunghi capelli che le arrivavano fino alla gonnellina del vestitino nero, erano spalancati per la preoccupazione “A-andrà tutto bene! V-vedrai, presto padre Mendoza arriverà a prenderci!”
Billy, il bimbo con il sacchetto in testa, guardò verso il basso, poi guardò lei, poi tornò a guardare in basso.
“Mah…” sussurrò con voce flebile, tornando a guardarla “… non è che sia poi così tanto preoccupato, in realtà?”
“B-Billy?” mormorò interrogativa la rossa, stringendo un po’ di più i guanti neri attorno alle sbarre della cella.
“Voglio dire, è un po’ come quando si stava sull’altalena. Quella a forma di ruota.” Il bambino cominciò a rimuginare, voltando lo sguardo verso l’alto “Uhm… più che preoccupato, sono annoiato. Il tizio continua a parlare da tipo mezz’ora da quando mi ha legato qua sopra e non ha ancora fatto calare la catena. Che ha davvero una presa salda, per essere dorata. Pensavo fosse più malleabile, l’oro, che fosse più facile da rompere. Magari è solo ferro dipinto, chi lo sa…” guardò nuovamente la bambina “Dì un po’, credi che stasera ci sarà nuovamente la pizza? È da un po’ che Mendoza non prende la pizza…”
BILLY!” questa volta la ragazzina abbandonò completamente la sua espressione preoccupata, digrignando i denti dai canini pronunciati come quelli di un vampiro “Ti rendi conto della situazione in cui ti trovi, porca miseria!? Stai penzolando imprigionato da una catena sopra ad una vasca di sangue!”
“Oh lo so! Lo so!” Billy guardò verso il basso, inclinando la testa di lato “E da un po’ che voglio farmi un bagno, da quando l’ho vista in realtà. Non ho portato il costume, però… che disdetta…”
“Signor cultista” la bambina si voltò verso il demone deforme, con la testa inclinata di lato ed un sorriso nervoso “Mi può per favore far uscire da questa gabbia così quel BASTASTARDO LO ANNEGO CON LE MIE MANI!?”
Gli altri quattro bimbi all’interno della gabbia, due maschietti e due femminucce, si strinsero tra loro e si ritrassero impauriti, guardando la rossa con occhi sgranati.
“Non essere arrabbiata!” Billy la guardò “Aspetta il tuo turno! Quando ho finito io tocca a te!”
“IO TI STACCO LA TESTA!” gridò l’altra, isterica.
“I-Inès…”
Si voltò di scatto, ancora ringhiante. Dietro di lei, una bimba dall’aspetto molto peculiare: la sua pelle sembrava in tutto e per tutto la corteccia di un albero e le sue mani sembravano rami. I capelli parevano un cespuglietto di petali di ciliegio, così come lo sembrava il vestitino rosa che indossava. Un viso preoccupato contornava due occhi completamente neri, dall’iride gialla.
“Prill…” Inés si calmò un po’.
“F-forse è meglio che Billy non si renda conto di quello che sta succedendo.” Mormorò la bimba di legno, un po’ preoccupata “M-magari è ancora più spaventato di noi…”
“Ho capito, però…” Inés guardò il bambino appeso, ancora un po’ adirata ma anche un po’ triste.
“Ah? No, so perfettamente perché siamo qui” Billy guardò verso le due, che ricambiarono lo sguardo “Ci hanno rapiti e adesso stiamo per essere sacrificati per un culto di cui non ricordo il nome, il fatto è che non m’interessa.”
“MA ALLORA SEI UNO STRONZO!” Inés, con Prill che disperatamente tentava di trattenerla, cominciò a strattonare la gabbia, appesa alle sbarre come un gorilla.
“SILENZIO!” la voce del cultista interruppe la scarica d’insulti della bimba demoniaca, che si voltò a guardarlo con occhi impauriti “Mocciosi rompiscatole come voi… che causate tutto questo fracasso…” si passò una mano sul viso disgustoso “… siete solo buoni per essere carne da macello.
Quell’ultima e minacciosa frase fece ritrarre Inés, che si portò le mani alla bocca con gli occhi pieni di lacrime.
Il cultista la guardò con un sorriso sadico.
“Ehi.”
Poi voltò la testa verso il bambino appeso che adesso lo stava guardando, immobile.
Smise di ghignare come un ratto.
“Non è carino rivolgersi in quel modo ad una signorina” Billy inclinò la testa di lato ancora un po’ “fallo di nuovo, e ti strappo il cuore dal petto.”
La freddezza con cui quel moccioso mascherato disse quelle parole fecero sfuggire al torturatore un gemito impaurito. Poi però quello stesso riprese a sorridere, afferrando la leva dalla quale dipendeva il destino del ragazzo “Credi di farmi paura, stronzetto? Sei un moccioso di merda appeso ad una catena che blocca ogni tuo movimento, quale minaccia potresti mai costituire per m-”
Un Bolas dalle palle di ferro nero percorse in pochissimi secondi lo stanzone circolare nella sua interezza, abbattendosi sulla catena dorata e distruggendola. Il bimbo, completamente libero, cadde nel sangue sollevando un alto schizzo.
“M-ma cosa…” il cultista sgranò l’unico occhio visibile.
Lo stesso Bolas curvò inspiegabilmente la traiettoria, andando a schiantarsi contro alla serratura della gabbia dietro l’enorme catino. La porta di ferro si aprì con un cigolio e tutti i bambini chiusi all’interno sorrisero estasiati.
Guarda te cosa mi tocca fare…
Il cultista si voltò verso l’uscio ad arco che portava dal corridoio alla stanza del sacrificio, sconvolto.
Certo, ti do vitto e alloggio gratuiti, ti permetto di disturbarmi mentre lavoro… e questo è il ringraziamento? Ma guarda che cazzo…” continuò a mormorare Rengar, completamente sorda e indifferente a tutto ciò che la circondava, lo sguardo basso ed un’espressione che era lo scazzo fatto e finito.
“Tu… hai interrotto il mio sacrificio!” gridò il torturatore, adirato.
I bambini, che erano andati ad aiutare un Billy un po’ intontito dalla caduta ad uscire dal catino gigante, si voltarono inorriditi verso di lui, guardando come la gobba avesse cominciato a pulsare in maniera inquietante.
Lo sapevo… lo sapevo! Dovevo tagliarle la testa quando ne ho avuto l’occasione tutte quelle volte… che stupida…” continuò la leonessa, liberando lentamente la claymore dal suo fodero.
“TI PENTIRAI DI CIO’ CHE HAI FATTO!” la gobba del cultista esplose e quattro gigantesche zampe, che sembravano quelle di un granchio, emersero dal pus e dal sangue. Con un ruggito agghiacciante, l’abominio piantò le zampe a terra, che lo sollevarono a penzoloni, quindi cominciò a correre verso la mercenaria con uno stridio acuto.
Anzi, meglio! Avrei dovuto venderla ad un mercato nero di bestie esotiche” Rengar sorrise sadica “magari pagavano pure bene…
Con una sola mano, lanciò la claymore verso il cultista, dove s’infilzò fino all’elsa nella sua fronte. La creatura collassò a terra senza emettere un lamento, strisciando al suolo in avanti dopo essere inciampata mentre correva scompostamente con quelle quattro zampe da crostaceo gigante.
“…Bah, quando sono irritata penso davvero a cose assurde.” Concluse la mercenaria, afferrando l’elsa che spuntava dal cadavere della sua ultima vittima, che aveva terminato la propria corsa davanti a lei, estraendola e malo modo e facendo fuoriuscire tutte le cervella del demone.
I bambini, tutti tranne Billy che era più concentrato su un piccolo scarafaggio che camminava sopra la sua scarpa, guardarono sconvolti la loro salvatrice.
“Dunuqe, siete voi i mocciosi di Mendoza?” domandò la leonessa, dopo aver ritirato la spada ed aver incrociato le braccia con un sopracciglio alzato.
 
[…]
 
Marasmus Flynch, ora il Corvo Scarlatto.
A pensarci bene, pure lei con un nome simile se lo sarebbe fatto cambiare.
 
[https://www.youtube.com/watch?v=FVbZfxysGMo]
 
Per il suo lavoro, Rengar aveva collezionato fascicoli e dati su praticamente ogni singolo abitante dell’Inferno. Alcuni reperiti tramite commercio illegale d’informazioni, altri che venivano presentati sotto gli occhi di tutti in forum come ‘il Condannato della Settimana’. Tra la maggior parte dei casi da manicomio che erano usciti fuori, quello di Flynch era in assoluto ciò che più aveva sollecitato Kha’Zix a prendere parte a questa serie di lavori di sterminio. Con un astuto gioco di manipolazione che lei poteva solo sognarsi, era stato in grado, a soli dodici anni, di far ammazzare i propri genitori.
Spingendoli ad uccidersi tra loro.
Come in un rifacimento della Guerra dei Roses.
Dopo essere finito in un orfanotrofio per bambini con problemi, dove aveva deciso fosse una buona idea convincere i mocciosi suoi compagni a uccidere gli inservienti nel sonno e divorarli poi a colazione, aveva cominciato la sua giovanissima carriera da Serial Killer. A soli sedici anni, era il più prolifico assassino minorenne in circolazione: sessantasette vittime, perlopiù bambini più giovani e qualche senzatetto. Poi, raggiunti da poco i ventitré anni, era iniziato il vero e proprio impero del Corvo Scarlatto.
 
Only Blood Will Tell
 
Un culto di auto-masochisti e lesionisti, ossessionati dal sangue, dall’omicidio e dal caos. Un po’ come lo strano culto di youtube ‘Blood over Intent’, ma a differenza di quei quattro buffoni questa era una cosa effettivamente seria. Non gli ci era voluto molto a questo fenomeno per diventare di fama mondiale. Universale, nel caso dopo la sua morte avessero scoperto altre Galassie abitate. Un culto militarizzato e folle, più potente e pericoloso persino di Al Qaida.
E Marasmus era il capo di tutta la baracca.
Il suo ‘Corvo Scarlatto’, il profeta che avrebbe fatto scendere sulla terra il nuovo e impietoso dio.
Ovviamente, solo un manipolo di stronzate… stronzate a cui più di millecinquecento persone credevano. Non sapeva esattamente cosa fosse successo al mondo, dall’Inferno, visto che il tempo in quel luogo era completamente fottuto. Sta di fatto che questo fantomatico culto, nel mondo dei vivi, era diventato talmente tanto ingestibile da venire trattato come una vera e propria minaccia mondiale.
Eppure, benché il corvo fosse praticamente nato col mondo che gli leccava le suole delle scarpe, il giorno X di data XXXX, Marasmus, assieme alle sue migliaia di folli adepti, aveva compiuto il più grande suicidio di massa che il mondo avesse mai visto. Non vi sono molte notizie al riguardo. Ma basta solo pensare che, i pochi abbastanza fortunati per assistere ad un evento di quelle proporzioni e poterlo poi raccontare, hanno descritto quello che vedevano come affacciarsi direttamente sulle porte dell’Inferno.
Certo, col senno di poi sarebbero tutti rimasti delusi vedendo come questo fosse totalmente diverso da quello che immaginavano.
Ma fu una cosa molto poetica da dire, ai tempi.
Marasmus, faceva parte dei morti suicidi.
Anzi, si dice che sia stato esattamente lui il primo a compiere l’atto, gettandosi su quattro spade affilate che lo impalarono come il trofeo di una pesca sportiva.
Gli altri lo seguirono subito dopo.
Molti dei loro, chissà, magari erano anche già stata falciati una seconda volta dalle Mercenarie.
Marasmus, il Corvo Scarlatto, invece si trovava lì, esattamente davanti a lei.
Con… una certa delusione, Kha aveva constatato che, effettivamente, quello era solo un testosteronico nome d’arte: davanti a lei, si trovava ‘solo’ un uomo. Un uomo piuttosto alto, chiaro – gli arrivava al collo – che indossava una lunga e spessa cappa rossa come il sangue, munita di cappuccio e orlata d’oro e di blu, decorata da collane, gioielli dorati e sfarzosi e rubini che parevano essere stati scolpiti nel sangue. Sotto il cappuccio, una maschera inquietante, quasi del tutto composta da ceramica bianca, a parte tutta la parte che ricopriva il mento e la bocca, verniciata d’oro. La maschera delineava perfettamente ogni angolo del viso – pensava – del suo portatore: due labbra sottili di una bocca chiusa in un’espressione neutrale, un nasino piccolo e all’insù.
Però… un po’ dubitava che i tre giganteschi occhi verticali rispecchiassero la realtà: tre enormi e lunghi occhi pitturati con vernice nera, dalla piccola pupilla centrale, fissi in avanti, aperti come uno strano trifoglio. Il Corvo, come si accorse dell’intrusa – anche se ne era certa, quello se ne era già accorto prima della sua presenza – sbuffò divertito.
“Ah… Benvenuta.” Fece una piccola ed impercettibile riverenza in avanti. La sua voce era vellutata e pacata, esattamente quella che ti aspetti dal manipolatore più in gamba di tutto il creato “Qui per uccidermi, suppongo?”
“Non ti vedo particolarmente sorpreso.” La Mercenaria fece un passo in avanti “E sicuramente non sei assolutamente spaventato.”
“Uhm…” l’uomo mascherato guardò uno dei cadaveri senza testa ai suoi fianchi “la paura… ti piace, non è vero? Quando sei in grado di incuterla nelle tue vittime, negli occhi di chi ti guarda.”
“E’ sicuramente una bella sensazione.”
“Mi ricordo di una volta…” continuò Flynch, mettendosi a rimuginare come un veterano di guerra “… ho costretto uno dei miei adepti più giovani a sterminare tutta la sua famiglia, in modo tale da cancellare ogni suo singolo legame col mondo terreno. Al rifiuto, gli ho suggerito di ripensarci bene, perché nel Mondo del Dio Senza Nome non c’è spazio per i codardi. E perché, il mio Dio, conosceva modi molto peggiori della morte per punirli.” Voltò lo sguardo fasullo verso la mercenaria. Per qualche strano gioco di prestigio che non conosceva, le ombre calarono su quella maschera e le piccole pupille dipinte brillarono come fanali rossi “ha consegnato le teste di sua sorella e dei suoi genitori su un piatto d’argento. Ma non dimenticherò mai il volto terrorizzato che mi ha mostrato quando gli ho parlato delle alternative…
Kha’Zix.
La mostruosa, terrificante Kha’Zix.
Che aveva ucciso così tanta gente che non avrebbe potuto riempire cinque volte la Bibbia con solo i nomi.
In quel momento, la terrificante mercenaria, sentì un brivido che le correva lungo la schiena.
Riuscì a trattenersi solo per poco.
Voleva godersi quel momento dall’inizio alla fine.
“Senti ma… questo Dio Senza Nome…” la mantide alzò una mano, come una scolaretta.
“Uhm?”
“E’ reale oooo…”
“Oh! Tutta una cazzata! Me lo sono inventato durante una partita a Dungeons and Dragons con alcuni adepti!” il Corvo ridacchiò “però, ehi… ha funzionato benissimo. Non sarei qui a parlare con te, altrimenti.”
Dio, Grazie.
“Se posso essere sincera: sono super mega intenzionata a prenderti le braccia, staccartele e ficcartele negli occhi, e non so con quale forza riesco a trattenermi.”
“E senza nemmeno invitarmi a cena!” rise nuovamente il Corvo.
“Ma… se posso farti un’ultima domanda…” un altro passo in avanti, con le lame chitinose che ballavano ed un sorriso esaltato e quasi disgustoso che balenava sul suo volto violaceo “… perché tutto questo?”
“Perché, mia cara?” l’uomo scosse la testa con veemenza, ridacchiando di nuovo. Non una risata di scherno, ma genuinamente divertita “Tu… perché uccidi la gente, Kha’Zix?”
C-conosce il mio nome? Ho deciso: stasera mi tocco.
“Per quale motivo un vulcano erutta? Per quale motivo uno tsunami annega migliaia di persone? Per quale motivo un terremoto fa crollare migliaia di palazzi? Per quale un ordigno nucleare distrugge tutto quanto?” finalmente, Marasmus rivelò le sue braccia: lunghe braccia di un brutto grigio scuro, ricoperte di tagli rossastri, con mani dalle dita irte di artigli neri. Le puntò verso la mercenaria, come ad accoglierla in un caldo abbraccio “Noi non siamo uomini. Non siamo mostri. Siamo calamità. E un tempo, le calamità erano considerate l’ira degli dei. Ma… forse, io non sono una calamità… forse… io le calamità le genero.” Nascose le braccia nuovamente sotto la cappa “forse… io sono un dio?”
Al momento, per me lo sei. Cazzo che edgelord. Lo adoro.
“Mia cara… noi divinità abbiamo un potere inimmaginabile… perché metterlo al servizio degli esseri umani? Perché non usarlo solo per nostro diletto? Perché non creare un culto di morte e distruzione solo per vedere il mondo che ti nomina come la terza venuta dell’Anticristo? Perché non togliersi la vita per scoprire se l’Inferno esiste veramente…?”
Allargò le braccia di nuovo.
E finalmente la cappa rossa cadde, rivelando un corpo magro, sì, ma tonico e muscoloso, ricoperto di tagli e graffi rossi come le braccia. Le gambe erano coperte solo da un paio di bermuda neri, completamente stracciati. La testa si rivelò completamente priva di qualsiasi capello, se non qualche pelucchio che spuntava qua e là sulla nuca, e due lunghe orecchie appuntite che svettavano all’indietro.
Flynch alzò la testa al soffitto, allargando le braccia.
Poi puntò gli occhi finti verso la mercenaria “… perché non incontrare un’amica con cui poter danzare?”
“Vecchio bastardo di merda che non sei altro…” Kha’Zix si piegò in avanti, umettandosi le labbra “Se il mio cuore non appartenesse già a qualcun altro, ti chiederei di sposarmi qui seduta stante. Siamo pure già in chiesa.”
L’uomo rise divertito, poi si mise ritto sulle gambe e alzò il braccio destro verso l’alto come un saluto marziale. Quindi sollevò l’altro braccio, sguainando l’unghia dell’indice, che portò verso l’avambraccio dell’arto alzato, infilzandolo. Quindi, con un rumore carnoso e disgustoso, cominciò a solcare a fondo, provocando un lungo e rossissimo taglio che colò una quantità surreale di sangue verso il basso, formando una pozzanghera che via via andava ad allargarsi sempre di più.
 
[https://www.youtube.com/watch?v=cI5V_8RErzI]
 
Da quella pozzanghera, poi, con un sonoro gorgoglio cominciò ad emergere una lunga asta rossa, dal pomolo a forma di occhio con la pupilla ferina e con un il lungo rilievo di un serpente a sonagli che si attorcigliava attorno a tutto il suo perimetro. Marasmus – la cui ferita si era richiusa subito dopo – afferrò con la mano destra l’asta. Poi, con un verso animalesco, tirò con quanta forza aveva, spaccando addirittura il pavimento e sporcando di scarlatto l’ambiente. La gigantesca testa del serpente, costituita da un teschio che ricordava quello di un cavallo, vomitava dalle fauci la lama ricurva e nera come la pece di un’enorme falce, che rifletteva le luci soffuse della cappella sotterranea.
Il Corvo sollevò l’arma verso l’alto, per poi sbattersela sulla spalla sinistra. Doveva essere considerevolmente pesante, dato che lo schianto piegò appena il Demone di lato, generando una vistosa ragnatela di crepe scure partendo da sotto il piede nudo.
“Coraggio, mercenaria.” Puntò il braccio sinistro in avanti, facendo segno di avvicinarsi con le dita “Balliamo.”
Kha’Zix digrignò i denti e snudò le lame “Hai detto la frase più bella che io abbia mai sentito in tutta la mia cazzo di non-vita!”
In un secondo, i piedi di entrambi si erano staccati da terra.
Un secondo dopo, la lama della falce si era scontrata pesantemente con quelle incrociate della mantide, che ora sorrideva estatica. Prima esplosero le scintille, poi un’onda d’urto così potente che cambiò in un attimo l’ambiente circostante: i cadaveri decapitati volarono contro le pareti, sporcandole di sangue. I pilastri si divisero i mille parti uguali precipitando in mezzo alla polvere, mentre i due Demoni al centro si scambiavano una sequenza sempre più potente e violenta di fendenti, che facevano rimbombare il suono delle armi che si scontravano tra loro per tutta la cappella sotterranea. Solamente i candelabri non vennero intaccati da questa mostruosa dimostrazione di potere, che ora cominciava a presentarsi anche sui muri e sul soffitto sotto forma di profondissimi solchi.
Dopo una deviazione, una delle tante, Kha’Zix e il Corvo si allontanarono l’uno dall’altra, andando all’indietro eseguendo una specie di piroetta. Poi, senza esitazione, piegarono le gambe e ripartirono l’uno contro l’altra: la mercenaria, con il bagliore smeraldino degli occhi che seguiva i movimenti della sua testa come i fari di un’automobile, gettò le braccia in avanti in un doppio affondo di lame. Dal canto suo, Marasmus fece roteare la falce sopra la testa, per poi bloccarla verso l’alto e farla precipitare in avanti.
Le punte delle armi s’incontrarono in una potentissima cacofonia che generò un’altra terribile onda d’urto. Questa volta, però, la giovane mercenaria venne sbalzata all’indietro, roteando a mezz’aria ed andando a sbattere contro all’arco del portale da cui era entrata nella cappella segreta. Precipitò a terra, di faccia, per poi tirarsi su con le braccia e passarsi una mano sulla nuca dolorante, masticando un’imprecazione.
Sollevò dunque lo sguardo, per vedere ciò che stava combinando il nemico: lo vide con il braccio destro alzato. Ed un enorme cuore pulsante che pareva interamente fatto di sangue che fluttuava a mezz’aria, emettendo un sinistro bagliore vermiglio.
Senza pensarci due volte, la mercenaria si piegò in avanti, pronta per scattare. Quando tuttavia lo fece, esattamente nello stesso momento, Marasmus chiuse la mano alzata a pugno e il cuore esplose. La donna sgranò gli occhi, costringendosi a fermarsi a metà strada, con la polvere che veniva spinta in avanti come una nuvola spettrale, per poi scattare verso sinistra, evitando una decina di enormi aghi rossi come il sangue che si conficcarono tutti a terra nello stesso momento, aprendo una ragnatela di crepe sul pavimento.
Quando il cuore era esploso in una cacofonia carnosa, infatti, in mezzo al sangue erano comparse almeno un centinaio di enormi spine, lunghe quanto un braccio di un uomo adulto, che non ci avevano messo nemmeno un secondo per convergere tutte verso di lei come missili rintraccia calore.
E quelli li conosceva bene.
Ne aveva cavalcato qualcuno fino a far esplodere una base nemica, una volta.
Ma quelli erano più piccoli e taglienti di un missile del cazzo, perciò fu costretta a darsi alla fuga, seguita a ruota da quegli spuntoni che andavano ad infilzarsi un po’ ovunque. Rimbalzò sulle pareti, a terra, sul soffitto, a volte girandosi di scatto e deviando all’ultimo quei proiettili di sangue che si erano avvicinati troppo. Continuò a saltare un po’ ovunque, lasciandosi sempre al proprio centro il Corvo, che da sotto la maschera osservava l’operato dell’avversaria come se fosse stato uno spettacolo degno di essere gustato. Quindi, osservò tutti gli spuntoni conficcati nel terreno, mentre ancora la mercenaria scappava dai pochi che ancora le stavano dietro al culo.
Appoggiò la falce a terra e alzò nuovamente il braccio destro.
Schioccò le dita, facendone rimbombare il suono tutt’intorno alla stanza.
“OH GRANDISSIMO FIGLIO DI-” esclamò la mercenaria, mentre ogni singolo spuntone – quelli che la inseguivano compresi – attorno a lei cominciava a brillare di un intenso rosso sangue. Per poi esplodere furiosamente, gettando tutto l’ambiente in una luce rossa e accecante, provocata dalle fiamme che erano state sprigionate dagli spuntoni. Il Corvo rise, battendo le mani mentre del fumo rosso circondava tutto quanto. Della mercenaria non vi era più nessuna traccia.
O così fu solo per qualche secondo.
Con qualche livido e qualche taglio, ma sempre sorridente e con una luce ancora più folle negli occhi brillanti di verde come quelli di un predatore nella notte, Kha’Zix fece la sua comparsa sfondando una di quelle nuvole rosse come un siluro, piombando sul nemico dal lato destro. Quello, rapidissimo, afferrò la falce, roteò su se stesso e la pose verso di lei, colpendo entrambe le lame con la propria e spingendo l’avversaria ad andare a sbattere contro alla scultura del suo finto dio, che crollò all’indietro sollevando un nuvolone di polvere.
“La tua abilità nel combattimento, per quanto priva di qualsiasi tipo di grazia, è lodevole…” Marasmus fece roteare la falce e l’appoggiò sopra la propria spalla, indicando l’avversaria “I miei accoliti devono essere stati una noia mortale, per te e la tua compagna.”
Kha’Zix, in piedi sopra alla statua crollata, piegò le gambe e appoggiò un gomito sul ginocchio, sorridendo sorniona “Non c’è bisogno di scusarsi. Se qualcosa si può tagliare, io lo considero automaticamente una soddisfazione.”
“Uhm…” il Corvo abbassò la propria arma, cominciando a camminare in un semicerchio senza allontanare lo sguardo dalla nemica, pronto ad agire in qualsiasi momento “… per quale motivo ancora combatti sotto commissione? Non è meglio fare solamente quello che vuoi?”
La mantide si grattò la testa.
“Vivi comunque ancora a casa della tua compagna, non è vero?”
“Sul serio. E’ stato qualche hacker ad aggiornarmi la pagina o sei solo un fottutissimo stalker pazzo?”
“Voglio farti una proposta, mercenaria” disse con la sua voce suadente il corvo, fermandosi esattamente davanti a lei ad una decina di metri di distanza, per poi sollevare il braccio sinistro in avanti come ad invitarla a stringergli la mano “Perché non entri in società con me? Riconosco quello sguardo. E lo sguardo di una persona che ha bisogno di sfogare ogni singolo minuscolo istinto omicida che si porta dentro… senza alcun freno.”
Kha’Zix si piegò appena in avanti, sorridente e con un’aria interessata.
“Seguimi, e ti darò esattamente ciò che vorrai.” Marasmus ridacchiò “l’Inferno non è un posto piccolo, e sicuramente molta gente non vede l’ora di morire per mano di una bella ragazza. Chiaramente, dovrai giurarmi fedeltà assoluta, ma non vedo per quale motivo la cosa dovrebbe intaccarti.”
La mantide si passò una mano sotto al mento, puntando lo sguardo verso il basso e facendosi pensierosa.
“Uhm…”
“Dunque… abbiamo un patto?”
Rimasero in stallo ancora per un po’, poi la mercenaria tornò a sorridere, chiudendo gli occhi e alzando le mani verso l’alto “La cosa ironica è che, se ci fossi stata soltanto io, mi sarei gettata immediatamente tra le tue braccia come una donna innamorata… ma come ho già detto, ho già promesso la mia fedeltà ad un’altra persona, anche se quest’altra non lo sa.”
Smise di sorridere all’improvviso, puntando lo sguardo luminoso di verde e gelido verso il Corvo.
“…Inoltre…”
Non la vide nemmeno muoversi. Abbassò lo sguardo, che quella si trovava già ai suoi piedi, piegata in avanti quasi a gattoni, con le lame tese ai lati del proprio corpo, pronta a colpire “… gli adulti che maltrattano dei bambini per divertimento mi fanno veramente schifo.”
Le lame della mercenaria s’incrociarono tra loro, prima che Marasmus potesse reagire, e la mano tesa in avanti schizzò verso l’alto portandosi dietro una spirale sanguigna. Senza dare l’idea di esserne minimamente intaccato, il Corvo eseguì una giravolta all’indietro e, imbracciata la falce con una mano sola, menò un fendente in avanti, incontrando nuovamente le lame della mantide e scatenando un’altra esplosione di scintille.
“Un vero peccato…” mormorò il demone, mentre gli occhi finti della sua maschera prendevano a brillare di rosso nella penombra come poco prima “… ci saremmo sicuramente potuti divertire molto insieme, a vedere l’Inferno bruciare.”
“Mi spiace ma, se l’Inferno smette di esistere…” Kha’Zix tornò a sorridere e ad affilare lo sguardo “… allora non avrò più un parco giochi per me e la mia amica.”
Si staccarono l’uno dall’altra, come all’inizio dello scontro, per poi ripartire all’assalto con ancora più foga e rabbia rispetto a prima in un amplesso gelido come l’acciaio e violento come se tutte le guerre che il Mondo abbia mai visto fossero esplose nello stesso identico momento.
Dopo un urto particolarmente violento, poi, che creò un solco orizzontale sul soffitto e uno sul pavimento perfettamente perpendicolari, i due avversari s’allontanarono di nuovo l’uno dall’altro.
Scattarono così velocemente che, per una frazione di secondo, i loro corpi divennero invisibili all’occhio umano.
Un bagliore di scintille apparve per un secondo, assieme al rumore delle lame che si scontravano.
Riapparvero entrambi i combattenti, immobili, uno all’estremità opposta.
La polvere che si era sollevata dopo l’ultimo scontro, intanto, si adagiava lentamente al suolo.
E infine, quando anche l’ultimo granello atterrò placidamente, la lama chitinosa destra di Kha’Zix esplose in mille pezzi, come un bicchiere di cristallo che cade a terra. La mercenaria, dolorante e ansimante, crollò sulle ginocchia, portandosi l’altra mano al braccio ferito, che adesso colava sangue sul pavimento. Alle sue spalle, girato di schiena a sua volta, Marasmus scrollò l’arma verso il basso.
“Arto-per-arto” si voltò lentamente verso di lei, quel bagliore vermiglio che tornava nei suoi occhi “sembri sconvolta, mercenaria. Davvero pensavi che avrei usato fin da subito la mia massima potenza in una danza?” ridacchiò “avrei tanto voluto poterti prendere sotto l’ala del Corvo… ma hai dovuto insistere a fare di testa tua senza la minima possibilità di dialogo e, per quanto me ne rammarichi, hai ottenuto esattamente ciò che meritavi.” Girò tutto il corpo, avanzando piano verso il corpo della nemica “coraggio ora, finiamola qui. Nonostante non abbia portato via un tuo braccio, sembra comunque che non ci sia molto altro che tu possa fare per combattermi. Non con una lama sola, almeno.”
Kha’Zix smise di respirare affannata, quindi chiuse gli occhioni verdi e ridacchiò debolmente “per una lama… distrutta…” voltò lo sguardo verso di lui, che brillava nella penombra come un tizzone ardente “… pensi davvero che io sia pronta a gettare la spugna…?”
Marasmus si fermò, rimettendosi in guardia.
“Voi fottuti Demoni benedetti con tutta la forza del mondo e che guardate dal basso verso l’alto noi poveri stronzi come se foste chissà quale gran cosa… dannazione, se quella stronza mi lasciasse fare…” si alzò da terra e si voltò verso di lui, con la testa e le braccia ciondolanti in avanti. Alzò di scatto dunque il collo, rivelando il sorriso e l’espressione più terrificante che il Corvo avesse mai visto in vita sua, oltre a quando si guardava allo specchio “… vi avrei già seppelliti tutti dal primo all’ultimo.”
“Hai ancora intenzione di scalciare, mercenaria?”
“Ci puoi scommettere. Come hai detto tu…” piegò le ginocchia, mettendosi in guardia con la lama ancora intera puntata in avanti “… NE HO ANCORA UNA DI LAMA!”
Partì all’assalto, lasciandosi dietro un turbinio di polvere.
“La stessa tecnica di prima… che ingenua.” Marasmus roteò l’arma verso le sue spalle, puntando la falce verso l’alto “… cosa ti fa pensare che possa finire in modo diverso, ora che ti ho mostrato che questo combattimento era in mano mia fin dall’inizio…?”
Kha’Zix, arrivata a pochissimi centimetri di distanza, menò un affondo in avanti. Un affondo che a Marasmus bastò solo fare un paio di passi indietro per schivare. Afferrò la falce con tutte le sue forze, alzando la lama verso l’altro e descrivendo un arco, per poi abbattersi sulla lama rimanente dell’avversaria.
Questa esplose esattamente come aveva fatto la gemella poco prima. I frammenti fluttuarono a mezz’aria e, per un attimo, almeno nella mente di Kha’Zix, il tempo sembrò rallentare.
“Forse… ti ho sopravvalutata.” Il Corvo afferrò nuovamente il manico nero della falce, sollevandola verso l’alto per il colpo decisivo “Ora-”
Esattamente ciò che voleva.
Kha’Zix accentuò il sorriso folle.
Quindi snudò le fauci ed afferrò la scheggia più grande della sua lama con i denti da squalo, quella della punta, per poi scattare con tutte le proprie forze verso il corpo completamente scoperto e privo di difese del corvo. Quello non poté fare assolutamente nulla per impedire il seguito di quell’azione: la scheggia s’infilzò nell’incavo della spalla, verso il collo, con una facilità disarmante. Quindi la mantide premette ancora di più, infilzando sempre più a fondo, mentre il sangue cominciava a spruzzare dal corpo del nemico e le sporcava il viso. Grugnì rabbiosa, dunque, e diede un’ultima poderosa spinta dall’alto verso il basso.
Il Corvo restò immobile per un attimo, bloccato in piedi con la falce rivolta verso l’alto.
Quindi questa cadde a terra con un tonfo sordo, e Marasmus abbassò le braccia, molli lungo i fianchi “… i miei complimenti, mercenaria. Allora, non mi ero sbagliato sul tuo conto.”
La parte superiore del corpo del Demone cominciò a scivolare di lato, mentre sul petto e fino alla vita si apriva un lungo taglio obliquo. Il sangue cominciò a scendere lentamente dalla ferita. Quindi, il pezzo superiore si staccò del tutto, sbattendo al suolo, facendo partire una potentissima fontana di sangue che bagnò il soffitto e l’ambiente circostante di rosso. le budella saltarono fuori da Marasmus come stelle filanti.
Kha’Zix si alzò da terra, dove il percorso del suo ultimo attacco l’aveva portata.
Quindi sputò verso destra il frammento di lama con una smorfia disgustata, mentre la fontana di sangue la sporcava tutta. Si ripulì del liquido che aveva in faccia.
“Io invece sono costretta a ricredermi: eri pericoloso soltanto perché la tua combriccola di amici di stava dietro al culo come un seguito di cuccioli dietro mamma chioccia. Da solo, non valevi nemmeno due pagine di fumetto. Idiota.”
Le gambe di Marasmus cedettero, finalmente, e ciò che rimaneva del suo corpo crollò a terra in un rumore carnoso e scalpicciante.
“Nonostante ciò, tuttavia, saresti potuto essere un ottimo giocattolo, ma…” Kha’Zix s’inginocchiò a terra e afferrò una delle schegge delle sue lame. Il taglio, per un secondo, brillò di una strana luce “… ho deciso di affilare le mie lame con lo spadone di Micina per fare in modo che ogni cosa che tagliassero non sarebbe più tornata di nuovo. Perciò spero che tu e i tuoi amici possiate godervi il Nulla assoluto in pace, fottuto rapitore di mocciosi.”
 
Quando risalì, finalmente, verso la navata centrale della Cattedrale, barcollava come una catapecchia nel pieno di una terribile tempesta. Le gambe tremavano e le ferite facevano male. Il Corvo magari non si era rivelato del tutto all’altezza delle sue aspettative, ma aveva dato battaglia. Inoltre, chissà… se avesse utilizzato solo la propria forza bruta per vincere, magari l’avrebbe costretto a ricorrere addirittura ad altri metodi.
Metodi che purtroppo, e per fortuna, non aveva permesso di far uscire allo scoperto: l’esplosione l’aveva conciata peggio di quanto credesse. A giudicare dal male che sentiva in tutto il corpo, forse all’esterno dava l’impressione di star bene. All’interno, tuttavia, forse più di qualche osso era diventato polvere. Inoltre, le sue lame chitinose erano andate a farsi benedire e per una come lei perdere due arti così importanti era come perdere due braccia nello stesso momento.
Certo, per qualche strana ragione, tutto sarebbe presto tornato come era prima… ma ci sarebbero voluti perlomeno alcuni non-giorni. Non-giorni che sicuramente sarebbero stati non poco dolorosi. Raggiunto l’ultimo scalino, trovandosi davanti l’immensa navata della chiesa, s’abbandonò ad una debole imprecazione e cadde in avanti.
Salvo poi essere sostenuta appena in tempo da un paio di braccia muscolose e forti.
“Gesù… sei conciata piuttosto male.” Mormorò la voce della sua immancabile compagna “Direi che sei assolutamente fuori allenamento.”
La mantide sorrise, alzando gli occhi di smeraldo verso l’espressione impassibile della leonessa “Non ti conoscessi, direi quasi che sei preoccupata per me.”
Quell’altra non rispose, limitandosi a sospirare rassegnata e farsi passare una mano dietro al collo, aiutandola a stare in piedi. Mentre avanzava sostenuta dalla compagna, la mercenaria era sul punto di domandare come stessero i bambini per cui aveva sacrificato le sue fidate lame. Poi vide i sei pargoletti da incubo – soprattutto quello col sacco in testa – che, timidamente, uscivano dalla porta contro al muro della chiesa, tutti che si tenevano per mano.
La mercenaria tentò il sorriso più rassicurante che poteva e che, a giudicare dalla reazione non esattamente lusinghiera dei piccoli interlocutori a cui era rivolto, dovette risultare solo agghiacciante.
“Allora…” sibilò con voce roca “… pronti a tornare a casa, biscottini?”
 
[…]
 
[https://www.youtube.com/watch?v=FtuwltmTp9I]
 
Non appena la vide, Sylvie si staccò dalla divisa di Padre Mendoza e corse verso il gruppetto di persone che si erano presentate davanti al cancello dell’orfanotrofio.
Dall’altra parte, Prill lasciò la manina di Inés e corse verso l’amica, in lacrime.
Per un attimo, sicuramente lo percepirono in ogni singolo locale, bordello, laboratorio di metanfetamina o edificio dedito al riciclo di denaro sporco: quando quelle due bambine s’incontrarono nuovamente abbracciandosi con forza nelle lacrime, l’Inferno diventò per un qualche secondo un posto felice.
“Beh, chi l’avrebbe mai detto…” Kha’Zix, che già era tornata in grado di camminare sulle sue gambe, osservò la scena sorridente “a quanto pare, nonostante la clamorosa delusione che è stata la battaglia, mi sono potuta godere questo spettacolo.”
Rengar la guardò, poi incrociò le braccia e grugnì impercettibilmente. Sorrise, tuttavia, senza farsi vedere, osservando quel manipolo di mocciosi che si riuniva intorno alle due amiche del cuore sotto il non-sguardo amorevole del prete, dal volto adornato di un caldo sorriso.
 
Dopo essere rientrate all’orfanotrofio, con i mocciosi che come uno sciame di mostriciattoli demoniaci avevano costretto la mantide a farsi bendare qualsiasi singola ferita ed a farsi incerottare anche il minimo graffio – l’altra mercenaria era stata sorda alle disperate richieste d’aiuto della compagna, voltandole le spalle con un sorriso malevolo – Rengar e Mendoza si erano accomodati allo stesso tavolino dell’inizio di quella mattinata, con il secondo che offriva un buon bicchiere di un qualche liquore dal nome impronunciabile alla prima.
“Supponevo che per voi un compito simile non si sarebbe rivelato tanto diverso da una camminata nel parco” disse il prete, sorseggiando una goccia di quel liquido “ma accidenti… addirittura tornare con tutti i bambini salvi poche ore prima di pranzo? Ero convinto fosse solo un modo di dire.”
Rengar, seduta sulla poltroncina con le gambe incrociate, non lo guardò nemmeno prima di rispondere, troppo impegnata a tenere gli occhi fissi sulla compagna assalita dai mocciosi, che in sei le bendavano le braccia, incerottavano… e pettinavano, sordi agli uggiolati della suddetta. Per qualche motivo, ripensò a quando l’aveva vista afflitta su quella statua e non poté fare a meno di pensare a quanto quella Kha’Zix fosse diversa da quella che adesso si trovava innanzi ai suoi occhi.
“Non lo darà a vedere. Sicuramente non in questo momento” chiuse gli occhi e bevve a sua volta “ma quella cosa lì in mezzo è probabilmente tra le creature più pericolose che esistono qua all’Inferno.” si voltò verso il prete “Non capisco come può fidarsi a lasciarla così vicino a quei mocciosi. Sono certo che abbia capito cosa intendo da quando siamo entrate qua, non è vero.”
L’uomo ridacchiò con la bocca chiusa, facendo roteare il liquido nel bicchiere “Mia cara, non ho occhi per guardare, ma si da il caso che io capisca perfettamente quando qualcuno può rappresentare – o meno – una minaccia per i miei ragazzi” diede un sorso “la sua amica è spaventosa, forse a prima vista, ma dubito alzerebbe mai un dito nei loro confronti. Inoltre, sembra che sia già ben voluta da tutti.”
Indicò col bicchiere e Rengar effettivamente vide come ora, dopo aver finito di curarla e pettinarla, tutti i bambini le si erano seduti attorno a guardarla, attenti, mentre probabilmente raccontava la storia del suo scontro, gesticolando animatamente e sicuramente ingigantendo il tutto e – sperò – togliendo le parti più violente. 
“Dannazione…” ringhiò l’albina “MAGARI si comportasse così anche a casa…”
“Da quanto siete amiche voi due, esattamente?”
La leonessa bevve un sorso “amiche… è difficile anche per me pensare ad una parola simile…” posò il bicchiere sul tavolino di legno “… considero più che altro il nostro rapporto una rivalità non tossica. Con lei che fa la sanguisuga a casa mia.”
L’altro rise “E’ perché non l’ha ancora cacciata di casa, se posso?”
Rengar lo puntò con il dito “E’ questo il problema, prete” si coricò di nuovo sulla poltrona “… non voglio.”
L’uomo rise. Doveva essere il suo intercalare tra una frase e l’altra, pensò la leonessa “eh, la capisco, mercenaria… a volte prendersi in casa qualcuno di problematico è sempre un terno all’otto” indicò i suoi bambini. Adesso, Billy e Inés si trovavano appollaiati sulle gambe di Kha’Zix, che ancora non aveva finito di raccontare "tutte le creature che vedi… sono giunte qua per motivi differenti e tristi: Prill era perseguitata a scuola e si è tolta la vita; Sylvie è morta di fame a causa di una famiglia negligente, maledicendoli dal profondo del suo cuore; Inés… è finita in un circolo di prostituzione minorile e tra le mani di un cliente troppo violento. E così via” si voltò verso Rengar, mostrando i denti affilati “… il cliente è dieci metri sotto l’orfanotrofio in una stanza segreta, se lo vuole conoscere! Passo sempre del tempo assieme a lui… quando sono frustrato.”
Sì. non voleva sapere come lo passava il tempo, ma era contenta che quel tizio avesse già incontrato la punizione divina da parte di un prete. Bevve un altro sorso “E di Sacchetto-in-testa che mi dici?”
“Billy… oh!” l’uomo si grattò la testa, ridacchiando imbarazzato “Beh ecco… lui ha dato fuoco al suo orfanotrofio, uccidendo tutti al suo interno, se stesso compreso.”
Rengar guardò il prete, interdetta “… per sbaglio mi auguro-”
“Voleva vedere come urlavano i bambini mentre bruciavano. E’ finito in orfanotrofio perché ha spaccato la testa dei suoi genitori con un martello.” Come cazzo faceva a dire tutte ste cose sorridendo come un ebete andava oltre alla sua natura “Sì ecco… forse alcuni bambini che vedi lì meritano effettivamente di essere all’Inferno… ma non ti devi preoccupare. Billy è un vero ometto, e Inès lo tiene a bada.”
Rengar si voltò verso i mocciosi e, notando quanto Billy fosse attento alla storia, capì che probabilmente la persona più in pericolo lì in mezzo fosse la sua collega. Ma non disse nulla, dato che l’ultima cosa che voleva era vedere quella pazza azzuffarsi con un moccioso.
“… siamo sicuri che non potessero salvarsi da soli?”
“Nel dubbio” si versò dell’altro liquore “il punto è che, in un certo senso, non siamo assolutamente diversi: ci facciamo carico di… personaggi piuttosto problematici e, anche se all’inizio ci vien voglia di gettare tutto all’aria, ci affezioniamo irrimediabilmente e diventa davvero difficile non volerli vedere felici ogni singolo giorno della loro vita.”
Riguardo a quell’ultima frase, Rengar tornò un’ultima volta a guardare il viso estatico della sua compagna che, ora che aveva finito la storia, adesso si era messa a giocare con quel manipolo di anime innocenti e probabilmente ex piccoli omicidi pazzi che le salivano sulla schiena ridendo.
Vedendo quell’espressione che non le vedeva addosso nemmeno quando rischiava di morire contro chissà quale Mostro Demoniaco e sentendo per un attimo il suo cuore saltare un battito, non poté che dare ragione al prete.
 
“Dobbiamo andare.” disse Rengar, rivolta ad una  mantide che adesso era addirittura stata costretta a farsi truccare da Prill e Sylvie. Non che sembrasse la cosa le desse fastidio.
“AAAAAAAWWWWW… davvero?” esclamarono i mocciosi.
Kha’Zix compresa.
Rengar sbuffò spazientita ed alzò gli occhi al cielo.
“Coraggio, piccoli miei, le signorine devono tornare a casa. Magari qualcun altro ha bisogno d’aiuto come voi, da qualche altra parte dell’Inferno” Mendoza si voltò verso      Kha’Zix, intenta a togliersi i vari elastici attorno ai capelli “sono sicuro verranno ancora a trovarci, uno di questi giorni…”
“Mi stai per caso dicendo se tornerò a trovare questi mocciosi piccole pesti!?” sibilò la mantide, togliendosi l’ultimo elastico “Che diavolo… certo che tornerò!”
I bambini esultarono, allegri.
Nel frattempo Rengar, che nella mano sinistra teneva un piccolo sacchetto contenente il guadagno della loro ultima missione, si voltò verso il Prete per stringergli la mano “Mendoza, sa chi chiamare dovessero esserci altri problemi.”
L’uomo strinse con vigore, poggiando la mano libera sulla spalla della donna “che il Dio che ci ha maledetto la benedica, mia cara. Fate un ritorno sicuro a casa.”
 
[…]
 
“Sono del tutto certa che tu sia un difetto di fabbrica.”
Tornate a casa, dopo essersi entrambe fatte una doccia ed essersi sedute al tavolo principale della villa, Rengar si era rimesse a leggere il libro che aveva dovuto interrompere prima di andare a lavoro e quell’altra psicopatica… si era coricata sul tavolo con la testa a piagnucolare.
Quando, esattamente, le loro giornate erano diventate così monotone?
“Se non volevi perdere un altro potenziale avversario/compagno di giochi, perché hai affilato le lame con la mia spada? E soprattutto, CHI TI HA DATO IL PERMESSO DI FARLO!?”
“N-non lo so, va bene!?” Kha’Zix aveva alzato la testa, con i lacrimoni agli occhi ed un disgustoso grumo di muco che le scendeva dal naso “M-mi sono incazzata: questo pazzo faceva tutto il figo ma era solo bravo a parole e poi ha fatto un solo attacco diverso dal muovere la falce a destra e a manca come un idiota! Inoltre, quale infame rapisce dei bambini per sfruttarli – a parte i nostri scienziati/padri –? Ho perso la pazienza…”
E tornò a piagnucolare.
Un po’ perché la scena stava diventando penosa, un po’ perché voleva finire quel dannatissimo libro, l’albina sospirò rassegnata e si tolse gli occhiali “Senti… devi trovarti un hobby. Ma veramente eh! O comunque, devi distrarti da sta cazzo di ossessione per la battaglia. Non voglio vederti poi uscire a cazzo durante un’Epurazione e trovarti impalata dalle lance di uno Sterminatore…”
Kha’Zix sbatté la testa sul tavolo.
Lo fece più di una volta.
“COSA. DOVREI. FARE. ALLORA!?”
“Credi che i tavoli di questo tipo crescano sugli alberi, cretina?”
“IO ESISTO SOLO PER COMBATTERE E DISTRUGGERE, MICINA!” si voltò verso di lei, lacrimante. E questa volta, a Rengar, non parvero solo scenate da mocciosa dell’asilo “I-in che altro sono brava io, spiegamelo. Avrei decisamente molte meno serate in cui mi metto a piangere da qualche parte…”
E io ti ringrazierei immensamente…
Rengar la guardò mentre tornava a piagnucolare sul tavolo “Vedi? Hai già detto una cazzata.”
“Come sempre…”
“Onestamente, fossi in te, smetterei di fare l’idiota e parlerei con Mendoza. Sicuramente non potrebbe che essere contento ad avere una pseudo macchina da guerra viola come aiutante.”
Kha’Zix ridacchiò “Eh certo. Almeno non sarei più qua a tormentarti ogni vo-”
Non la sentì nemmeno avvicinarsi. Rengar aveva appoggiato il libro, aperto, era scattata verso di lei e, in uno strano miscuglio tra delicatezza e irruenza, aveva afferrato il volto piangente della compagna, costringendola a guardarla. La mantide, costretta a specchiarsi in quelle pozze di colori così in contrasto tra loro, che la scrutavano serissimi ma non minacciosi, percepì uno strano brivido lungo la schiena. Totalmente diverso da quello che provava quando l’albina voleva combattere contro di lei “Sicuramente. Però, se devo essere sincera, vederti depressa sta diventando… pesante. E ti preferisco quando sei fastidiosa e allegra, qua dentro.”
“… perché mi dici una cosa simile? Non vuoi più portarmi a combattere?”
“Dico che ti serve un’altra valvola di sfogo. Come io vado a caccia e leggo, tu devi staccare un attimo la spina dalla tua stupida ossessività. So che combattere tra noi è diventato stagnante, ormai, e che all’inferno ci son solo buffoni e clienti che ASSOLUTAMENTE” lo sottolineò per bene “non vanno uccisi. Ma ci sono dei mocciosi del cazzo che sono in un posto di merda per colpa – quasi sempre – non loro. Probabilmente dovresti diventare la loro Lucy, sapendo che puoi voler loro bene senza che questi poi diventino parte di un esperimento del cazzo.”
Kha’Zix, lì immobile, guardò la sua amica come un capitano che guarda la luce del faro dopo aver attraversato un mare in burrasca immerso, nella nebbia. Ne aveva dette di cazzate, durante il combattimento contro quel Corvo da strapazzo. Tranne una.
“Dici che dovrei… provare?”
“Io dico che devi farlo. Punto.” Rengar non accennava a mollare la presa.
“… se non ti conoscessi così bene, direi che sei preoccupata per me.” Disse Kha’Zix, prendendo le proprie mani nelle sue.
“… sei la persona che ho ucciso. La persona che mi ha ucciso. Io invece sono una cazzo di egoista: perché so che vederti stare così di merda fa stare di merda pure me, e mi da fastidio.”  
L’Energia non può essere distrutta o creata, ma solo trasformarsi.
Forse, la fiamma della loro furia funzionava allo stesso modo: dopo ogni volta che si erano attaccate, massacrate e il giorno dopo era tornate a fare lo stesso, la fiamma della loro rivalità non si era sopita. Ma era diventata qualcosa di diverso.
Qualcosa che adesso era culminato in quel bacio incredibilmente passionale, esattamente come ogni volta che ognuna puntava le proprie armi contro all’altra. Esattamente come quelle braccia che adesso accerchiavano l’una e l’altra come i tentacoli di una piovra. Si poteva quasi anche dire che la violenza era rimasta, visto il modo in cui si stringevano l’una all’altra, senza la minima intenzione di mollarsi.
Era amore, quello?
Una versione molto… particolare, dello stesso?
In un cassetto nascosto, inarrivabile, della sua immensa libreria, c’era una collezione di romanzi rosa. Letti avidamente nei momenti in cui la sua compagna non era nei paraggi. Perciò, nonostante avesse vissuto nella violenza per tutta la vita, si era fatta una cultura anche su quel tipo di sentimento.
Ed era… abbastanza difficile confrontarlo con ciò che provava ora.
Amore… nah, col cazzo.
L’amore è per gli esseri umani e i Demoni.
Loro due erano mostri.
Quello che provavano l’uno per l’altra era un sentimento molto più potente che forse nemmeno aveva ancora un nome. Una certezza, però, l’albina ce l’aveva: quel passo era il passo decisivo verso qualcosa da cui non sarebbe più stata in grado di tornare indietro.
Eh cazzo… forse mi sarei dovuta svegliare prima…
Si staccarono dopo nemmeno sapevano quanto tempo. Un filo trasparente di saliva teneva unite le due bocche aperte. La leonessa era rossa in viso, ma quell’altra sembrava sul punto di esplodere: benché la pelle fosse viola pareva aver assunto un colorito più scuro ancora, e gli occhi erano lucidi e languidi.
Quell’espressione fece ridere Rengar con malizia “Coraggio, continuiamo il discorso…” si avvicinò al suo orecchio, mormorando poi a bassa voce “… in camera.”
L’altra non rispose. O almeno, non lo fece con frasi di senso compiuto, mentre la leonessa la caricava tra le braccia muscolose come una principessa, portandosela dietro.
 
[…]
 
“Il Corvo è morto. La tua carissima ragazza è decisamente promettente come dicevi.”
Mendoza, dopo aver messo a nanna i piccolini – terribilmente esausti dopo quella giornata intensa – era intento a chiacchierare con qualcuno al telefono, sorridente.
“Son sicuro che ha preso tutto da te.”
L’interlocutore rise. Una risata cristallina e amabile.
Poi disse qualcos’altro.
Mendoza smise di sorridere.
“… uhm… quindi qualcuno lo ha scoperto. Proprio come temevamo. Dannazione… perché gli Overlord non hanno mai fatto nulla per tenerlo nascosto?”
Era un uomo di chiesa, lui, ma avrebbe volentieri bestemmiato in quel momento.
Sul fondo dell’Inferno si nascondeva qualcosa di maledettamente potente e pericoloso, e quegli imbecilli trombavano Imp o aiutavano povere anime pie a costruire alberghi per far diventare buoni i Demoni. Perché toccava sempre a chi dovrebbe avere meno responsabilità a pensare a quei casini.
“… Hai già parlato con Melony? So che conosce qualcuno che potrebbe, quantomeno, metterci una piccola pezza prima che tutto vada letteralmente a puttane.”
Dottor Mendoza” rispose la donna dall’altra parte del telefono “Il linguaggio!
L’uomo si passò una mano sul volto, sospirando. Quella stronza continuava ad ostinarsi ad affibiargli il titolo che aveva in vita, durante il progetto Enter Beast. Nonostante avesse voltato pagina da quando era crepato, proprio non gliel’avrebbe perdonata, eh?
“Scusami, hai ragione.” Sospirò “E’ stata una giornata pesante. Ho fatto fatica a mettere a dormire i mocciosi…” che, per fortuna, non sarebbero stati parte di un esperimento.
Anche se Billy ha potenziale…
Scosse la testa, maledicendo i suoi pensieri da scienziato.
“Contatterò Melony. Quantomeno per dirle di stare pronta. Buona notte, Lucy.”
E chiuse la chiamata, appoggiandosi al comodino e sospirando, pinzandosi il naso con le dita.
Una marea di Overlord-Wanna-Be e adesso pure una cazzo di minaccia dormiente che potrebbe finire per distruggere ogni cosa semplicemente scorreggiando… onestamente, avrebbe preferito essere torturato per l’eternità come diceva Dante Alighieri – con cui aveva avuto una bevuta in un Night. Alla domanda sul perché si trovasse lì, aveva risposto che era per l’aver mandato gli omossessuali all’Inferno. E perché Virgilio aveva chiesto un’ordinanza restrittiva – piuttosto che avere tutte queste ansie e responsabilità.
Ma alla fine, per proteggere quei pargoletti, doveva anche pensare a proteggere l’Inferno, no?
Però avrebbe tanto avuto bisogno di un aiuto.
Quando squillò il telefono, sussultò e quasi gli uscì una maledizione al dio che lo aveva spedito lì sotto. Afferrò il telefono, sperando non si trattasse di una chiamata tipo ‘UN CAZZO DI TENTACOLO GIGANTE E’ APPENA USCITO DA SOTTO TERRA’.
“O-oh! Signorina Kha’Zix, qual buon-” poi si fece sospettoso “… perché sta ansimando così tanto? Sta per caso facendo del jogging notturno?”

Ed infine... finalmente... sono riuscito a concludere questa Fic che mi ha fatto dannare come non ho nenanche idea di che paragone fare...

Due storie in un anno concluse? Devo essere impazzito. Sì, indubbiamente. COmunque sia, ora direi che è il momento di paracularmi: ammetto che... il finale mi soddisfa e, allo stesso tempo, non lo fa: avrei voluto scrivere un combattimento finale decisamente più lungo e epico e soffermarmi su alcuni punti un po' di più, ma il mio cervello del cazzo, a quanto pare, ha fatto incetta di ispirazione solo per poco altro. E questo poco altro, beh, eccolo qui. Però... non posso dire di non essermi divertito a scrivere ancora di queste due psicopatiche. Alla fine, era pur sempre una storia di violenza sfrenata e di cafonaggine... e a me piace scrivere questo tipo di storie! Inoltre, questa è una fanfictio di una fanfiction che, ribadisco, dovreste assolutamente recuperare. Adesso. Radioactive è scritta da Manu, un mio carissimo lettore, a cui ho offerto le mie creature e a cui ho ridato un piccolo siparietto tra le mie storie anche per riurcire a rimettermi in carreggiata per scrivere. Le sue storie sono... a dir poco uno spettacolo, e vi costringo con una maledizione ad andare a leggervele. Subitamente! Ma detto ciò, a tutti quelli che mi hanno seguito fino a qui... vi ringrazio, veramente tanto, per non aver perso la speranza! Ora, finalmente, potrò dedicarmi del tutto alla mia storia principale, che spero che i lettori giunti fin qua vorranno dare un assaggio anche a quella.
Detto ciò, miei carissimi tutti, alla prossima!

 

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