Un Tuffo nel Fiume

di Robin Stylinson
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Venerdì 31 gennaio 2020
La notte dell'omicidio 


La farmacia di Rivermountain non era molto grande, la città poteva contare poche anime e per le spese più grosse gli abitanti sarebbero andati sicuramente a Blawind, il paese adiacente. 
Elisabeth era un po’ agitata: da qualche giorno aveva deciso di fare il grande passo e togliersi un peso dallo stomaco per tornare in pace con se stessa, non riusciva più a vivere sapendo ciò che era successo, nonostante fossero passati più di vent’anni. Nell’ultimo periodo aveva passato diverso tempo in chiesa per pregare e pensare ma nulla le aveva dato conforto, aveva anche fatto visita ad un vecchio amico al cimitero di Blawind sicura che, dopo aver chiesto perdono, tutto sarebbe ritornato come prima, come se non fosse successo niente e il suo trascorso cancellato da qualsiasi memoria esistente, ma non aveva funzionato. 
Elisabeth Hill era alta e snella, forse un po’ timida per avere una cinquantina d’anni ma a lei non creava disagio. Non era una persona che attirava l’attenzione, in città la definivano anonima e anche un po’ scialba. I capelli neri e lisci erano raccolti in una crocchia mentre il viso acqua e sapone riportava pochissime rughe a definire il tempo che era trascorso. 
La donna era l’unica a gestire la piccola farmacia e qualche volta rimaneva aperta anche di notte grazie a Lauren, la figlia, nel caso qualcuno ne avesse avuto necessità, o anche solo per aiutare le farmacie delle piccole cittadine limitrofe. Quella sera però, Elisabeth avrebbe abbassato la serranda verso le ventitré per poi tornare a casa dalla sua famiglia e godersi l’ultimo riposo prima della visita allo sceriffo prevista per la mattina seguente. 
Nella farmacia aleggiava il profumo dolciastro di medicinali che caratterizzava tutti gli ambienti medici. Il negozio era assorto nel silenzio più assoluto mentre in città il vento gelato invernale ululava e il suo lamento veniva spezzato dai rami degli alberi. 
Elisabeth era assorta nei suoi pensieri seduta su uno sgabellino vicino alla cassa quando il rumore della porta la fece scattare in piedi: qualcuno stava entrando. 
La donna non poteva immaginare che la persona davanti a lei sarebbe stata l’ultima a vederla viva e che lei non avrebbe più rivisto la luce del sole. 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Mercoledì 29 gennaio 2020
Due giorni prima dell'omicidio


Artur Rosa l'aveva liquidato con poche parole: Wood Wood era stato licenziato e al capo della polizia non importava che cosa volesse fare da quel momento in poi, non era più un suo problema.
Wood aveva ribaltato una sedia e imprecato infinite volte, ma poi aveva lasciato il commissariato e si era precipitato a casa a fare i bagagli, o meglio, a riempire un borsone con qualche vestito preso dall'armadio totalmente a caso mentre la rabbia gli offuscava i pensieri. 
Dopo aver preparato la valigia, Wood si dedicò all'alcol che teneva nel mobiletto accanto al frigorifero in cucina. L'uomo aveva aperto l'antina di legno e aveva iniziato a passare in rassegna tutte le bottiglie che possedeva: molte si assomigliavano, il colore del liquido era trasparente ed erano quasi tutte prosciugate per metà. Wood si passò una mano nel capelli immaginandosi l'alcol scendere senza ostacoli nel suo stomaco per poi afferrare una delle bottiglie, svitare il tappo e bere senza nemmeno l'ausilio di un bicchiere. Solo dopo due ore, una bottiglia di gin e due pacchetti di sigarette si era deciso a chiamare un taxi, controvoglia. 
Bergamo in inverno era fredda e grigia per colpa dell'umidità e della nebbia mattutina ma a Wood Wood non dispiaceva, rispecchiava perfettamente il suo umore malinconico ma doveva lasciarsela alle spalle e andarsene per un po', magari cambiare totalmente Stato ed era quello che aveva intenzione di fare.
Il viaggio in taxi durò più del previsto a causa delle diverse soste chieste dal passeggero per alleggerirsi lo stomaco. Ubriacarsi di prima mattina o essere totalmente sbronzo per tutta la giornata era una delle caratteristiche di Wood così come fermarsi a vomitare ogni cinque passi, ma a lui non importava, aveva perso tutto, gli restava solo il lavoro e adesso aveva mandato a quel paese anche quello. 
L'autista accostò il taxi vicino al marciapiede dell'entrata dell'aeroporto e scese dall'auto per aiutare il suo cliente che faceva fatica anche solo a stare seduto composto sui sedili: l'uomo aveva i lineamenti del viso molto duri e scuri al punto da ricordare la Turchia, parlava benissimo l'italiano e non sembrava per niente infastidito da quella situazione, piuttosto sembrava provasse pena per Wood e questo lo irritava parecchio, non voleva la carità di nessuno. Il tassista appoggiò l'unico bagaglio sul marciapiede mentre l'ex detective cercava di uscire dall'auto con un po' di contegno, pagò l'uomo che l'aveva aiutato, si sistemò gli occhiali da sole e si appoggiò al primo muro che trovò davanti a sé. L'aria fredda del mattino gli accarezzava la pelle facendogli venire i brividi per tutta la schiena e si strinse nelle spalle per cercare di stare il più al caldo possibile mentre si accendeva una sigaretta, l'ennesima di quella giornata appena iniziata. 




Wood era agitato, non aveva potuto permettersi la prima classe e si era accontentato di qualsiasi posto pur di lasciare l'Italia. Aveva dovuto aspettare delle ore prima di poter trovare un posto libero su un volo per il Wyoming e per di più non era nemmeno un diretto ma doveva fermarsi in tre città diverse per fare scalo rendendo così il viaggio tremendamente lungo. 
Wood era riuscito ad atterrare su suolo americano dopo poco più di ventitré ore, dieci bicchierini di scotch e infinite maledizioni.
Appena l’aereo aveva toccato terra, si era precipitato giù dagli scalini per poi correre all’uscita dell’aeroporto alla ricerca di un qualsiasi taxi. Con sé non aveva altro che un piccolo borsone che aveva potuto tenere tranquillamente nelle cappelliere senza doverlo imbarcare in stiva, evitando così tutta la coda al ritiro bagagli una volta arrivato a destinazione.
L’aria del Wyoming era leggera nonostante fosse inverno. Wood, in piedi sul marciapiede in mezzo a una folla di gente irrequieta e agitata, si accese una sigaretta e fece un lungo tiro fino a quando i polmoni non furono saturi di fumo e lui finalmente si tranquillizzò. Aveva all’incirca trentacinque anni, gli occhi azzurri e i capelli scuri e corti, aveva il fisico allenato, la faccia scavata di chi ne aveva passate tante e si era arreso a qualsiasi vizio lo facesse stare meglio. All’uomo bastò alzare un braccio per far fermare un taxi proprio accanto a lui:
«La conosci la Baita Margherita?» chiese Wood al tassista.
«Certo! Sono sessanta dollari per la corsa» rispose l’uomo al volante.
Wood imprecò ma accettò il passaggio, si mise la sigaretta tra i denti e aprì la portiera posteriore per caricare il suo borsone.
«Non si fuma nel mio taxi» l’ammonì l’autista prima che il passeggero potesse salire. 
Wood roteò gli occhi e si lasciò sfuggire un’altra parolaccia, lasciò cadere la sigaretta per terra e, senza nemmeno calpestarla per spegnerla, salì sul taxi. 




Il luogo che Wood doveva raggiungere era situato appena fuori un piccolo paesino dello Stato. Si ricordava perfettamente il nome del paese, ci era cresciuto, ma non voleva pensaci e non gradiva nemmeno sentirlo nominare lontanamente. La Baita Margherita era del padre, dove aveva vissuto per più di sessant’anni, fino a quando non era rimasto coinvolto in una sparatoria mentre era in vacanza a Miami e non era più tornato a casa. La baita prendeva il nome dalla madre di Wood, Margherita, una signora italiana tutto pepe e simpatia. I suoi genitori si erano incontrati a Barcellona in giovane età, alloggiavano nello stesso albergo insieme a diversi amici e quando si erano ritrovati faccia a faccia, da soli, all’interno dell’ascensore, si erano accese le scintille e insieme erano diventati un fuoco fino a quando Margherita non dovette tornare in Italia e John in America ma continuarono a scriversi imperterriti per diversi anni finché lei non si trasferì in Wyoming. La loro storia d’amore sembrava perfetta: si sposarono ed ebbero un bambino, Christian Wood, ma un bel giorno tutto cambiò. I continui tradimenti di John fecero scappare Margherita in Italia portandosi appresso il figlio appena undicenne. Wood vedeva il padre una volta l’anno ma quando compì vent’anni, decise di non trascorrere più un minuto in Wyoming con lui, la sofferenza che aveva causato alla madre era troppa e la povera donna non era più riuscita a farsi una vita, aveva trovato qualche lavoretto per sopravvivere finché Wood non riuscì a diplomarsi e ad entrare nelle forze dell’ordine, poi si era lasciata andare piano piano fino a quando l’Alzheimer non si era impossessato di lei e al figlio non era rimasto altro da fare che portarla in una casa di riposo. Quando il padre di Wood morì a lui non importò particolarmente, tanto che non andò nemmeno al funerale per poi pentirsene. 
Il paesaggio che circondava Wood era da togliere il fiato, sembrava una cartolina: pochi palazzi, poche casette, la strada era quasi deserta ed era tutto circondato tutto da alberi e da montagne, rendendo il posto incantato e degno di una favola, ma queste cose gli davano il voltastomaco, aveva passato diversi anni a cercare di dimenticare la sua infanzia e quel posto, invece, era stato costretto a tornare, anche a causa del suo licenziamento. Wood non era più un detective, non era più nemmeno un poliziotto, non era niente se non un semplice cittadino di una qualsiasi città lui avesse voluto. La morte del padre era arrivata forse nel momento giusto: Wood aveva preso la palla al balzo e, nonostante tutto l’odio per quel posto e per il genitore, aveva deciso di tornarci, sistemare la baita e provare a starsene isolato per un po’, o almeno fino a quando non gli sarebbe venuta in mente un’idea geniale per rimettere in sesto il proprio disastro di vita. 



Il viaggio in taxi non era stato molto lungo e Wood sapeva benissimo che, nel paesino di Rivermountain, l’avevano vista tutti quella macchina gialla. D’altra parte non arrivavano mai turisti in quel piccolo posto sperduto e dimenticato anche da Dio, quindi la notizia avrebbe fatto il giro di tutte le bocche di tutte le pettegole una volta scoperto che il taxi era diretto alla Baita Margherita. 
Lo chalet era fatto interamente in legno: aveva un porticato con una sedia a dondolo, il tetto era spiovente e il tutto si confondeva perfettamente con la natura. Dopo essere arrivato davanti alla casa del padre ed essere sceso da taxi, Wood si avviò lentamente verso la porta d’entrata, anch’essa in legno e ricamata con delle incisioni. Wood aveva il suo borsone tra le mani e lo lasciò cadere ai suoi piedi, proprio davanti all’entrata, e decise di entrare senza pesarci troppo. 
La casa era come se la ricordava: interamente in legno, con le travi a vista e un piccolo soppalco usato come camera da letto. In mezzo al salotto che fungeva anche da cucina, vi era un enorme lampadario ma l’uomo sapeva che non sarebbe servito granché poiché le enormi vetrate della casa facevano entrare tutta la luce sufficiente per evitare di schiacciare l’interruttore. La baita era ricoperta da tappeti e coperte con motivi che ricordavano le fantasie degli indiani americani, l’odore del legno entrava prepotente nelle narici ma non dava alla testa, anzi, dava un senso di calore a cui Wood non voleva proprio cedere.  

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Giovedì 30 gennaio 2020
Un giorno prima dell'omicidio

Il sole non era molto caldo ma era alto nel cielo e la temperatura era piuttosto piacevole per essere pieno inverno. Wood era arrivato da poco più di dodici ore alla Baita Margherita ma ancora non riusciva ad ambientarsi, o forse non voleva. Il padre sembrava essere diventato un accumulatore seriale di gingilli e soprammobili, ma soprattutto di posaceneri pieni zeppi di mozziconi. Wood si mise le mani nei capelli: avrebbe dovuto ripulire tutto, gettare nella spazzatura quasi tutte le cose che abitavano quella casa, ma non aveva voglia, voleva solo riposare, chiudere gli occhi e dimenticare tutto quello che era successo fino ad allora e così fece. Si buttò di peso sul divano facendone uscire una massa informe in polvere che lo fece tossire, sbuffò per il fastidio e imprecò. Accanto al sofà c’era un piccolo comodino con sopra una vecchia lampada, probabilmente non funzionava da parecchi anni, e al suo fianco vi era uno dei tantissimi posaceneri ricolmi di qualsiasi cosa ma Wood passò oltre: allungò uno mano verso il cassetto del mobile e, senza nemmeno guardare, vi infilò dentro una mano e iniziò a frugare. La sua ricerca diede i frutti sperati e trovò diversi pacchetti di sigarette che fumava il padre, ne prese uno già aperto e ne tirò fuori una. L’ex detective accese la sua sigaretta e fece due lunghi tiri quando sentì qualcuno bussare alla sua porta. 
Wood si alzò di malavoglia con la Lucky Strike tra i denti, si avviò verso l’ingresso e quando girò la maniglia rimase piacevolmente sorpreso.
«Da quanto tempo, Christian» disse lo sceriffo Doe con un sorriso a trentadue denti.
«Sceriffo!» esclamò poi Wood invitando l’ospite a entrare ma Doe rifiutò, non aveva molto tempo. 
Il capo della polizia, Lewis Doe, aveva circa sessant’anni ma era ancora un bell’uomo, i muscoli erano appena accennati e s’intravedevano attraverso la camicia di flanella che gli fasciava le braccia. La barba e i baffi bianchi erano ben curati e sul capo portava il suo bellissimo cappello da cowboy nero da cui non si separava mai.
«Sono contento di vederti in città» continuò Doe. 
«Non so per quanto mi fermerò.»
«Mi dispiace per tuo padre, eravamo grandissimi amici. Se hai bisogno di qualcosa non esitare a chiamarmi, sono qui per te.»
«Grazie, sceriffo» concluse Wood indeciso se aggiungere altro o chiudere semplicemente la porta quando Doe, cercando di levarlo dall’imbarazzo che si era creato, gli disse:
«Vieni a cena da me, stasera. Mia moglie ne sarà felicissima, non vede l’ora di rivederti.»
«Grazie, ma devo rifiutare. Sono appena arrivato e ho troppe cose da sistemare» rispose Wood.
«Avrai tutto il tempo domani, sarà solo una cena. In un modo o nell’atro dovrai mettere qualcosa sotto i denti.»
Wood ci pensò un attimo, in fondo non aveva tutti i torti e nella dispensa del padre c’erano soltanto fagioli e scatolette di tonno. Un pasto caldo fatto in casa era migliore delle vecchie scatolette di legumi scadute. Alla fine l’uomo sospirò in segno di resa e disse a Doe di averlo convinto.
«Si cena alle sei e mezzo!» terminò poi lo sceriffo salutando il nuovo arrivato toccandosi il cappello e abbassando leggermente il capo.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Wood aveva passato tutto il pomeriggio a dormire per via del jet lag e di tutte le cose che lo avevano disturbato durante il volo. Si svegliò quasi per miracolo attorno alle sei del pomeriggio e si disse che forse era meglio darsi una sistemata, o almeno cambiarsi la t-shirt che puzzava di sudore. 
Una volta tornato presentabile, prese il portafoglio che aveva appoggiato nel borsone ancora da disfare: suo padre doveva avere una piccola Jeep e avrebbe raggiunto la casa dei Doe con quella. Cercò le chiavi ovunque finché non le trovò attaccate a un chiodo in camera, non voleva sapere che cosa ci facessero le chiavi lì, gli importava solo di riuscire ad arrivare alla cena in tempo.
Wood uscì di casa e si diresse sul retro della baita quando si accorse che non vi era nessun’auto ma, bensì, una moto da cross. Suo padre aveva una moto? Non gli importava nemmeno quello e, dopo essersi infilato il casco che aveva trovato sulla sella, vi salì a cavalcioni e provò a farla partire. Gli ci vollero diversi minuti, la moto era ferma da molto tempo, ma alla fine partì. 
Rivermountain era una cittadina piuttosto piccola, la sua baita era lontana da tutte le altre abitazioni ed era immersa nel verde, ma era sempre parte del paese. Wood percorse le strade sterrate in alcuni minuti per poi incontrare l’asfalto: era arrivato alla civiltà. La casa dei Doe era vicina al fiume, un corso d’acqua che divideva Rivermountain da una grande prateria oltre la quale si trovava Blawind. 
L’uomo era leggermente in anticipo e per strada si accorse di non avere nulla con sé, neanche una bottiglia di whiskey da offrire al padrone di casa. Era stato stupido a non pensarci ma, sulla destra della carreggiata, vide lo spaccio di Don ancora aperto e decise di fermarsi per cercare almeno una bottiglia di buon vino. Wood accostò, le strade erano deserte, la gente in città si aggirava principalmente a piedi, così nessuno si sarebbe opposto se per qualche minuto la moto da cross rimaneva ferma a ridosso del marciapiede e si accorse di come le cose lì erano diverse, più semplici, forse, rispetto all’Italia e alla grande città di Bergamo. Per un momento quel pensiero lo fece sorridere e si rallegrò al pensiero che a Rivermountain nessuno gli avrebbe fatto una multa per sosta vietata.
Wood entrò nello spaccio e vide Don al bancone: aveva circa la stessa età dello sceriffo ma era più paffuto, la barba rasata, capelli spazzolati all’indietro e impomatati, portava dei pantaloni cachi molto giovanili con delle enormi tasche sui lati all’altezza delle ginocchia e una t-shirt bianca a maniche lunghe che aderiva al petto. Era il tipico uomo che non voleva invecchiare e, nonostante portasse molto bene la sua età, si vedeva perfettamente che ormai non era più così giovane come voleva far credere. 
«Christian Wood?» chiese sorpreso Don appena vide il giovane nel negozio. 
«Si» rispose lui. 
«Quindi eri tu stamattina nel taxi! Ci avrei giurato!» 
Wood si infastidì sentendo le parole del commerciante, avrebbe voluto andarsene al più presto ma non voleva nemmeno sembrare maleducato. In fondo Don l’aveva visto crescere, come la maggior parte delle persone della cittadina, ma lui era cambiato. 
Tutti loro erano cambiati. 
Tutto era cambiato e non si poteva tornare indietro.
«Starei cercando una bottiglia di un buon vino» tagliò corto Wood per cercare di svignarsela il prima possibile. Avrebbe voluto chiedere anche del whiskey ma si trattenne. 
«Ci penso io» rispose Don sparendo per qualche secondo nel retrobottega per poi ricomparire con una bellissima, e forse anche buona, bottiglia di vino rosso. 
Wood ringraziò Don per la cortesia e gli passò una banconota da cinquanta dollari ma il commerciante non la prese. 
«Offre la casa» concluse il commerciante. 
Wood lo ringraziò nuovamente e gli augurò una buona serata quando, prima di uscire, incrociò lo sguardo di una donna bionda ritratta in una fotografia, non ricordava chi fosse ma sapeva di conoscerla. La fissò per qualche istante ma poi uscì dallo spaccio per andare a casa dei Doe. 
La donna vista in foto gli ricordava Aurora, la sua ex ragazza. Con lei era tutto perfetto, Wood toccava il cielo con un dito tutte le volte che passava del tempo con lei ma poi le cose cambiarono: l’uomo aveva iniziato a passare più tempo in compagnia delle sue bottiglie di alcolici che con lei, lo stipendio non gli bastava più e tutte le volte che si presentava a casa di Aurora, appestava l’aria con l’odore di fumo che ormai si era impregnato persino nella sua anima. I litigi erano all’ordine del giorno ma Wood le aveva promesso di cambiare, di mettere la testa a posto e le aveva anche giurato che l’avrebbe sposata. Lo voleva davvero, desiderava passare il resto della vita con lei ma qualcosa non era andato per il verso giusto e nel giro di pochi mesi venne a galla una scomoda verità che mandò Wood in pezzi. Aveva cercato di tenere duro il più possibile ma qualcosa dentro di lui si era rotto e, immancabilmente ubriaco, aveva fatto la cosa più stupida del mondo: si era fatto licenziare perché non sapeva tenere a freno l’animale che era nato dentro di lui. 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Venerdì 31 gennaio 2020
Il giorno dopo l'omicidio

La cena a casa dei Doe era andata bene: Wood aveva mangiato di gusto tutto quello che Arabel, la moglie dello sceriffo, aveva preparato e Doe si era detto soddisfatto della scelta del vino. Alla fine della serata Wood si era congedato tornando alla Baita Margherita senza troppe difficoltà.
 
*

Il sole era appena sorto quando Wood decise di scendere dal letto per cercare di darsi da fare. La casa era un disastro e lui voleva soltanto finire il prima possibile per andarsene e farsi una nuova vita tutta da zero. 
«Non c’è nemmeno una bottiglia di scotch in questa maledetta casa» esortò Chris dopo aver rivoltato l’intera baita. Suo padre era conosciuto per essere un grandissimo bevitore mentre in quella casa non c’era nemmeno una bottiglia di alcol, ma a Wood non interessavano le domande, tanto meno le risposte, lui voleva i fatti, le cose: sarebbe andato a comprare qualsiasi tipo di alcolico ci fosse stato allo spaccio, così, dopo essere salito in sella alla moto da cross, partì di nuovo per la città. 
Il negozio di Don sembrava completamente diverso con la luce del mattino, le pareti esterne non avevano più il colore caldo del sole che stava tramontando ma, bensì, un colore smorto, si vedevano tutte le macchie e tutte le imperfezioni che poteva avere un muro con più di quarant’anni. Chris entrò nello spaccio e non salutò, come la sera precedente. Iniziò ad aggirarsi per gli scaffali, voleva trovare gli alcolici da solo senza dover scambiare nuovamente due chiacchiere con il proprietario, fino a quando un colpo di tosse lo fece ripiombare con i piedi per terra cancellando tutti i pensieri che aveva avuto fino a quel momento.
«Chris?»
Wood guardò la donna un po’ interdetto: non era molto alta e aveva un fisico mingherlino, i capelli le arrivavano appena sopra le spalle ed erano tinti di biondo cenere, gli occhi erano scuri e il sorriso che gli rivolgeva era storto e forzato dalle circostanze.
«Sono Kelly» continuò poi la donna e a Wood si accese una lampadina. Era la proprietaria dell’unico negozio di abbigliamento di Rivermountain.
«Certo, mi ricordo di te» rispose Wood cercando di sorriderle e di non sembrare troppo menefreghista. «Come stai?»
«Io sto bene, e tu? Come mai sei tornato in città?» 
«Per mio padre» disse Wood un po’ arrabbiato. «E tu perché non te ne sei mai andata?» chiese poi, quasi per ripicca, lasciando di stucco Kelly.
«Sono rimasta per amore. Ho sposato Robert, ormai quest’anno sono venticinque anni che siamo sposati. Poi ho avuto un figlio, Peter, e non abbiamo più voluto andarcene. In fondo, questa è una cittadina tranquilla per crescere un figlio.»
Wood annuì e sorrise.
«A presto, allora» terminò immediatamente Chris per cercare di levarsela di torno. 
Kelly capì subito ciò che intendeva l’uomo che aveva difronte e, ricambiando un sorriso cortese, si allontanò per avvicinarsi a Don e pagare le due sciocchezze che doveva acquistare.
Wood e Kelly avevano avuto una storiella quando erano alle superiori e Robert era sempre stato geloso, aveva fatto di tutto per mettergli i bastoni tra le ruote fino a quando Wood non aveva deciso di andare in Italia con la madre a seguito della separazione tra i suoi genitori. Kelly non sembrava averne sofferto molto, non gli aveva mandato nemmeno una lettera e lui non si era di certo preso la briga di scriverle qualcosa: lui era affascinante e poteva avere chi voleva, lei viveva a migliaia di kilometri di distanza e sicuramente se ne sarebbe fatta una ragione o si sarebbe fatta qualcun altro, come poi successe. Kelly non era una ragazza che amava stare da sola, era sempre in compagnia di qualche bel ragazzo e Wood era semplicemente stato un altro che aveva conquistato e lui le era caduto ai piedi fino al giorno in cui non si era semplicemente stancato di lei ed era partito. L'uomo si rammaricò di non essersi fermato qualche secondo di più a parlare con lei, tutti in quella cittadina conoscevano il Signor Wood eppure lei, nonostante sapesse della sua recente scomparsa, non si era nemmeno presa la briga di fargli le sue condoglianze, aveva solo pensato a dirgli di Robert e del figlio.  
Wood continuò a girare tra i pochi scaffali dello spaccio quando finalmente trovò ciò che stava cercando: whiskey, vodka, rum e scotch. Era tentato di comprarli tutti ma la moto da cross aveva posto per una sola bottiglia e si trovò in mezzo ad un grosso dilemma. Ci pensò per diversi secondi, prese la bottiglia di vodka e si avviò verso la cassa, ma poi ebbe un ripensamento.
Vodka? Forse è meglio del whiskey o dello scotch, pensò, così decise di tornare indietro e rimettere al suo posto la bottiglia per poi penderne una di scotch. 

 
*

Erano le otto di sera ed era tutto il giorno che Christian beveva. 
La mente annebbiata di Wood rendeva tutto molto più bello ma molto più difficile, persino la baita, Baita Margherita, sembrava essere diventato il suo covo, il suo rifugio. Chris sapeva che la mattina seguente gli sarebbe passato tutto, avrebbe ripreso a odiare se stesso e tutta quell’immensa casa fatta d’immondizia, a partire dal nome. 
Ormai erano ore che l’ex detective cercava di sistemare le cose del padre in modo che il giorno seguente potesse buttare quelle inutili e tenersi qualche ricordo ma non riusciva ad arrivare a una fine. Suo papà aveva accumulato così tante cose che non sapeva più da che parte girarsi, non sapeva cosa fosse stato importante per il vecchio e cosa potesse essere importante per lui, non sapeva quali oggetti erano legati a ricordi particolari e non conosceva nemmeno cosa avesse spinto il padre a conservare una vecchia paperella di gomma gialla. In fondo a uno degli armadi, Wood trovò un enorme scatolone che cercò di estrarre senza danneggiarlo. La scatola di cartone era pesantissima e l’uomo fece fatica a toglierla dall’armadio, tanto che per un momento pensò che fosse incastrata da qualche parte o che lo spirito del padre la trattenesse per non fargli buttare altra mercanzia che lui aveva ritenuto preziosa al punto di conservarla.
Wood, grazie alla forza datagli dall’alcol, tirò con foga lo scatolone creando così un piccolo squarcio dal quale iniziarono a uscire carte, fotografie e fascicoli. Wood si detestò per averlo rotto e si sedette per terra, proprio ai piedi del letto, dove qualche minuto prima aveva appoggiato la bottiglia di scotch. Era quasi finita, gli rimaneva un sorso scarso e decise di berlo prima di raccogliere le fotografie uscite dallo scatolone. Il liquido aveva un retrogusto di fumo ma a Wood piaceva sentirlo scendere per la gola e si gustò l’ultima goccia. 
Wood diede un’occhiata veloce alle fotografie. Erano istantanee che ritraevano ragazze, donne, bambini, appartenute ai casi seguiti dal padre, anche lui agente di polizia, e conservati dopo la nascita del digitale.
Le pareti e le fotografie iniziarono a girare in un turbinio improvviso e Wood capì che forse era meglio smettere di fare qualsiasi cosa lui stesse facendo per cercare di riposarsi qualche minuto. Chiuse gli occhi  per cercare di riprendersi sperando di non avere un altro episodio di paralisi del sonno ma si addormentò beatamente, proprio ai piedi del letto con accanto la bottiglia vuota e mille istantanee sparse per terra.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Sabato 1 febbraio 2020
Un giorno dopo l'omicidio 

Il sole entrava timido dalle finestre della baita mentre Wood era ancora disteso a terra. Un frastuono assordante interruppe la quiete facendolo sobbalzare ancora addormentato sul pavimento: aveva dormito senza nessun intoppo L'uomo scattò in piedi intontito e cercò di capire da dove provenisse quel rumore strepitante che non voleva tacere quando realizzò che doveva essere il cellulare: non ricordava dove l'aveva lasciato la sera prima e i fumi dell’alcol non lo aiutavano. Wood non riusciva a tenere gli occhi aperti e i piedi saldi per terra e, con gesti sconclusionati, iniziò a buttare all’aria tutte le foto che c’erano sul pavimento senza trovare nulla. Si avvicinò poi al letto con un balzo incerto che lo fece quasi inciampare nelle sue stesse caviglie, alzò le coperte e i cuscini ma constatò che anche lì vi era traccia del cellulare, poi, un ricordo non troppo lucido gli diede la forza per prendere un respiro profondo e ricomporsi: il telefonino era nel borsone. Lo aveva ficcato lì insieme al portafoglio prima di salire a bordo dell’aereo e poi non lo aveva più preso, si era detto che tanto non lo avrebbe  chiamato nessuno,  non ci sarebbero stati  messaggi, SMS o vocali in segreteria. 
Wood l'aggeggio infernale tra le mani e constatò che il numero sullo schermo non era memorizzato in rubrica. Alzò gli occhi al cielo e sbuffò, riconobbe il prefisso della città e contò fino a tre prima di decidersi a rispondere svogliatamente.
«Pronto?»
«Christian, sono lo sceriffo Doe. Mi servirebbe il tuo aiuto.»
«Che cosa è successo?» Chiese Wood pigro e con voce piatta. 
«C’è stato un omicidio.»
«Un omicidio? A Rivermountain?» Wood era incredulo e allo stesso tempo divertito. «È uno scherzo, vero?» disse poi accennando una finta risata.
«Purtroppo no.»
«Ed io cosa c’entro con tutto questo?» Wood era tornato serio, voleva riagganciare e tornare a dormire, gli occhi si erano fatti pesanti e in testa gli martellava una forte emicrania.
«Tu sei uno dei detective più famosi d’Italia, vorrei che mi aiutassi con le indagini.»
Christian trasalì. Come faceva a dirgli che era stato licenziato? Sicuramente Doe avrebbe voluto sapere anche il motivo della perdita del lavoro ma Wood non poteva dirglielo, il disonore non faceva parte della famiglia e tantomeno di quella città troppo rispettabile perché avesse un assassino in circolazione.
«Scusami, ma io…» cercò di dire Wood ma fu interrotto immediatamente dall’interlocutore che stava dall’altra parte del telefono. 
«Io non me ne intendo di omicidi, siamo una cittadina tranquilla, qua non ci sono nemmeno furti. Mi devi aiutare, è nostra responsabilità proteggere il nome di Elisabeth» concluse Doe.
«Elisabeth?»
«È morta.»
Dopo le ultime parole dello sceriffo, Wood riattaccò senza nemmeno salutare, s’infilò il telefono nella tasca dei jeans e, fregandosene del fatto che indossasse ancora i vestiti della sera prima, si precipitò fuori per prendere la moto. 
Prima di salire in sella, sentì il telefono vibrare nella tasca posteriore dei pantaloni e decise di guardare se fosse ancora Doe: un messaggio dello sceriffo diceva di recarsi in farmacia, il luogo del delitto. 
Wood era ancora leggermente annebbiato dall’alcol e ringraziò mentalmente il capo della polizia per avergli detto dove doveva andare perché lui non ci aveva nemmeno pensato, era partito in quarta senza avere tutte le informazioni. Doveva rimettersi in riga e pensare a lungo prima di agire: non aveva più il distintivo da detective ma era certo che ciò non eliminava totalmente le sue capacità investigative. Forse lo scotch poteva inibirle per qualche ora ma a Wood bastava mandare a quel paese i postumi e concentrarsi. 
Quando  arrivò alla farmacia il mal di testa si era fatto martellante, avrebbe voluto bere un po’ di acqua ma non era né il luogo né il momento per farlo. 
Una folla di curiosi, tutti paesani, era accalcata fuori dalla piccola farmacia, al suo interno vi erano due ombre che aleggiavano leggere nell'aria e Wood si chiese chi fosse la persona che volteggiava attorno alla figura di Doe nel locale.
Il detective cercò di farsi largo tra le persone per raggiungere lo sceriffo e quando riuscì a entrare dalle porte scorrevoli della farmacia, lo vide subito: il corpo di Elisabeth era per terra coperto da un lenzuolo bianco che percorreva tutte le sue curve lasciando ciò che era successo all’immaginazione dell’ex detectiveIl detective cercò di farsi largo tra le persone per raggiungere lo sceriffo e quando riuscì a entrare dalle porte scorrevoli della farmacia, lo vide subito: il corpo di Elisabeth era per terra coperto da un lenzuolo bianco che percorreva tutte le sue curve lasciando ciò che era successo all’immaginazione dell’ex detectiveIl detective cercò di farsi largo tra le persone per raggiungere lo sceriffo e quando riuscì a entrare dalle porte scorrevoli della farmacia, lo vide subito: il corpo di Elisabeth era per terra coperto da un lenzuolo bianco che percorreva tutte le sue curve lasciando ciò che era successo all’immaginazione dell’ex detective. Wood non salutò né Doe né la ragazza al suo fianco ma si limitò ad abbassarsi all’altezza del cadavere per sfiorare con le dita il lenzuolo. Alzò un lembo di quello straccio bianco e guardò in faccia la vittima: sembrava riposare in pace, la faccia era rilassata e non aveva più quel rossore che l’aveva sempre caratterizzata. Il viso era pallido, freddo, le occhiaie blu erano accentuate, gli occhi chiusi e le labbra carnose non erano più così tanto belle come una volta. Wood, nonostante sapesse che Elisabeth era morta da diverse ore, decise lo stesso di appoggiarle due dita sul collo per sentire la mancanza del battito cardiaco. La sua esperienza gli aveva insegnato che niente è scontato, tutto può succedere e non va lasciato nulla di intentato, anche se sembra poco importante, come guardare negli occhi la vittima. 
L’odore della morte aleggiava nell’aria e Wood l’aveva sentito così tante volte che ormai ci aveva fatto l’abitudine. 
La farmacia non sembrava disordinata: sul pavimento vi erano diverse siringhe, la borsa della vittima svuotata per terra e alcune tracce di sangue che ad una prima analisi sembravano apparterese esclusivamente ad Elisabeth ma non era da esclusere l'eventuale appartenenza ad una pesona ancora ignota e sospettata. 
Wood fece il punto della situazione provando a collegare tutti gli elementi per avere un quadro chiaro della situazione. 
«Deve essere morta ieri sera tra le sette e le undici, molto indicativamente» disse Wood coprendo nuovamente il cadavere con il lenzuolo per poi alzarsi e girarsi verso Doe. 
«Non so come si conduce un’indagine per omicidio, ma ho visto molti polizieschi» rispose Doe toccandosi il cappello.
Wood annuì e trovò quell'affermazione fuori luogo.
«È una cittadina tranquilla questa, l’assassino non credo sia stato uno di loro» continuò poi Doe. 
«Fidarsi è bene…» disse di rimando la ragazza accanto allo sceriffo. 
Wood si girò verso di lei con fare interrogativo, come a chiederle chi fosse e perché aveva parlato senza che nessuno le dicesse che poteva farlo, poi si ricordò della seconda ombra volteggiante che vide prima di entrare nella farmacia. 
«Sono Storm» disse la ragazza allungando una mano verso l'agente. «Sono il vice sceriffo.» Wood guardò la mano destra della ragazza ma non la strinse. 
«Ha ragione» continuò poi il detective tornando a guardare Doe. «…Non fidarsi è meglio.» 
Storm abbassò la mano, delusa per il mancato gesto di piacere da parte di Wood. 
«Cerchiamo definire e precisare gli aspetti principali della vicenda.» Wood prese posizione con tono autorevole. «Abbiamo il range di tempo in cui l’hanno uccisa. Adesso dobbiamo capire chi è stato, il perché e il come. Non per forza in quest’ordine.»
Storm si attivò subito e cercò di creare il quadro più completo dell’omicidio cercando di informare Wood su tutto quello che avevano scoperto con le indagini preliminari: nulla era stato rubato dalla cassa, la vittima era stata colpita ripetutamente all’addome, i polsi e le caviglie riportavano dei segni di abrasione creati dallo sforzo della vittima per liberarsi dopo essere stata legata e accanto al corpo erano state rinvenute delle strisce di tessuto ricavate dal camice della vittima usati per fermarle gli arti. Inoltre, sparpagliate per terra, avevano trovato diverse pastiglie, psicofarmaci, tutte provenienti dallo stesso flacone, uno spray al peperoncino, il cellulare di Elisabeth e diverse siringhe vuote. 
«Avete già un medico legale?» chiese Wood alla fine di tutto il riepilogo.
«Chiamerò lo sceriffo di Blawind, lui saprà aiutarci» rispose Doe. 
«Perfetto» continuò Chris. «Adesso, signorina Storm, imbusti tutte le prove e poi le porti in centrale, quando avrà finito ci occuperemo di mandarle al laboratorio.»
La vice sceriffo annuì.
«Mi raccomando: un sacchetto per ogni prova anche se è piccola o insignificante. Non si deve contaminare niente. E indossi un paio di guanti.» 
Storm annuì di nuovo per poi andare a prendere i guanti di lattice proprio dietro il bancone della farmacia mentre Christian si girò verso Doe.
«Lei ed io, sceriffo, inizieremo con gli interrogatori.»
«Da chi vuoi partire, Wood?»
«Dal sospettato principale, ovviamente.»

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Thomas Hill, il marito di Elisabeth, aveva una pompa di benzina in paese. Era sempre stata della sua famiglia e adesso l’aveva presa in gestione lui, dopo aver realizzato anche una piccola officina meccanica. Thom era un uomo alto e magro e dopo la notizia della morte della moglie, sembrava avesse il viso ancora più scavato. La casa dove abitavano era piccola, un appartamentino sopra la pompa di benzina, ma nonostante la bassa metratura, era accogliente ed emanava un senso di calore.
«Mi dispiace per la vostra perdita» si affrettò a dire lo sceriffo. 
Accanto a Thomas c’era Lauren, la figlia. Era poco più bassa del padre e assomigliava in modo terrificante alla madre, infatti era identica a Elisabeth quando era giovane. La ragazza, che doveva avere tra i diciassette e i diciotto anni, era in lacrime e veniva sostenuta dal padre che cerava di rimanere lucido per farle forza.
«Non vorrei farlo, ma è la routine» continuò Wood cercando di spiegare il disagio per l’accaduto. «Vorrei potervi far elaborare il lutto in tutta calma, ma dobbiamo trovare al più presto l’assassino di Elisabeth e per fare ciò, dovrei farvi alcune domande» concluse poi.
Gli Hill mossero entrambi la testa in un sì appena accennato per acconsentire.
«Sapete chi ha ucciso Elisabeth?» disse Doe.
La domanda spiazzò gli interlocutori che aveva davanti e Lauren iniziò a piangere più forte.
«No, non lo sappiamo» replicò quasi immediatamente Thomas infastidito. «Perché dovremmo saperlo?» concluse.
«Mi dispiace per la franchezza dello sceriffo, ma sono domande che purtroppo dobbiamo farvi. Vogliamo davvero aiutarvi» disse Wood rivolto al signor Hill. «Dovrei chiedervi se avete un alibi per ieri sera. Dove eravate tra le sette e le undici?»
«Eravamo a casa, entrambi» rispose Thom. «Abbiamo cenato insieme, poi Lauren è andata a letto verso le undici e mezzo.»
«La mamma doveva arrivare, ieri sera la farmacia non sarebbe rimasta aperta per la notte. Ero troppo stanca per aspettarla sveglia, così sono andata a dormire» continuò Lauren quasi impietrita con il viso rigato dalle lacrime. 
«E lei?» chiese Wood a Thomas.
«Mi sono appisolato sul divano. Stamattina mi ha svegliato mia figlia, ero ancora sul sofà. Elisabeth non era rientrata e pensai che forse non l’avevamo sentita rincasare ed era uscita presto per delle commissioni.»
«Non avete nessun sospetto? Può esserci di mezzo un amante?» chiese infine lo sceriffo rivolto a entrambi. Thom scosse la testa sconsolato.
«Mia moglie non ha nemmeno amiche, era tutta lavoro e casa, non avrebbe avuto il tempo di avere anche un amante» precisò con la voce rotta il marito. 
«Rachel è incinta» sputò poi Lauren.
«Rachel?» chiese Wood confuso.
«L’ho scoperto da mia mamma.»
Rachel era la figlia di Clive e Holly: lui faceva il pompiere ed era uno dei pochissimi uomini di colore della città mentre la moglie, dalla pelle bianchissima, era una casalinga. La ragazza era fidanzata con Peter da diversi anni nonostante la loro giovane età che era pressappoco quella di Lauren.
«Questo cosa c’entra con la morte di tua madre?» continuò Wood. Gli fischiavano le orecchie, sapeva perfettamente che quella confessione avrebbe complicato un caso già fin troppo complicato da intricato con una dopo sbronza. 
«Rachel voleva abortire ma mia mamma non ha voluto darle le informazioni a riguardo, lei era contro queste cose» disse Lauren. 
Wood aveva lo sguardo spento e perso nel vuoto ma sapeva perfettamente qual era il prossimo passo. 
«Grazie per le informazioni che ci avete dato» concluse poi lo sceriffo facendo il suo solito gesto con il cappello.
Wood ripensò a una frase che gli aveva detto il marito di Elisabeth: la donna non aveva amiche. Magari Thomas voleva intendere che le sue amiche vivevano in altri stati e che lei non poteva permettersi di andare a trovarle. Se così non fosse stato e lei non avesse avuto realmente delle amiche, i due agenti non avrebbero trovato nemmeno una persona che conosceva i segreti più nascosti e i potenziali problemi che viveva tutti i giorni la vittima. Quel pensiero rattristò Wood, in fondo, anche uno scapestrato come lui poteva contare almeno su un amico, pure se lo aveva licenziato perché superiore di grado rispetto a lui. 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Mercoledì 15 gennaio 2020
Quindici giorni prima dell'omicidio
 

Quella mattina Rachel si era alzata di malumore e con una nausea fortissima. 
Si era vestita di fretta, aveva indossato il suo cappotto rosa preferito, una sciarpa, il berretto ed era uscita di casa per incamminarsi verso la fermata del pullman che si trovava oltre il fiume. L’aria gelida di gennaio che le pungeva il naso, la nebbia invernale era calata su quasi tutto il paese e l'assenza del sole rendeva tutto molto cupo ed inquietante, a tratti ricordava un film dell'orrore.
Il liceo di Blawind distava pochi chilometri da Rivermountain ed era frequentato da tutti i ragazzi del paese, compreso Peter, il fidanzato di Rachel. 
La struttura era imponente, grigia e anche un po’ malinconica, ma nonostante tutto era accogliente. Gli adolescenti lo erano di menò, sempre pronti a giudicare e a puntare il dito, attratti da quell'irrefrenabile voglia di sapere tutto di tutti, di mettersi nei guai e affrontare sprezzanti il pericolo senza pensare a conseguenze. Rachel questo lo sapeva benissimo, lei per prima si era ritrovata in mezzo ad una tempesta, una peripezia che doveva e voleva affrontare da sola: era incinta. 
La ragazza lo aveva scoperto da poco, la pancia ancora non si vedeva e nessuno, a parte i suoi genitori, ne era a conoscenza, ma sapeva che doveva informare il padre del bambino il prima possibile per decidere che cosa fare e prendere in considerazione tutte le opzioni. 
Rachel era entrata a scuola da poco quando in lontananza vide una figura alta e massiccia accanto alla macchinetta del caffè e decise di avvicinarsi, sicura che fosse la sua dolce metà.
«Dobbiamo parlare» gli disse subito Rachel. Il ragazzo aggrottò la fronte e si girò perplesso a guardarla.
«Non si saluta?» le chiese poi lui. 
Rachel scosse la testa e fece spallucce, aveva altri pensieri in quel momento e non aveva voglia di scherzare. 
«È successo qualcosa di grave?» chiese poi lui guardando Rachel dritta negli occhi.
«C’è un posto in cui possiamo parlare da soli?»
Il ragazzo sempre più preoccupato prese Beth per un braccio e la trascinò nella prima aula vuota che trovò.
«Mi vuoi dire che cosa diavolo sta succedendo?» le chiese nuovamente a bassa voce incrociando le braccia sul petto.
«Sono incinta» rispose lei senza mezzi termini con la voce tremante. Aveva il cuore in gola, non sapeva come avrebbe reagito alla notizia ed era piuttosto spaventata. Nonostante si sentisse un'adulta, non aveva ancora compiuto i diciotto anni. Alla scoperta della gravidanza aveva pensato di essere ancora una bambina per poter intraprendere quel viaggio e aveva avuto un attacco di panico.
«Cosa?»
«Hai capito perfettamente.»
«Sei sicura che sia…»
«Sì.» 
Il ragazzo si mise le mani nei capelli e imprecò, aveva il cuore in gola e sembrava che volesse esplodergli nel petto tant’è che Rachel lo vedeva pompare sotto i suoi muscoli pronunciati. 
«Adesso cosa facciamo?» gli chiese la ragazza impaurita. «Vuoi che abortisca?» continuò poi. Voleva che rispondesse di sì, ma voleva anche che rispondesse di no. Rachel aveva troppa confusione in testa che per un momento si maledì per non essere stata più prudente. 
Il ragazzo non rispose immediatamente e si avvicinò a Rachel per stringerla in un forte e caloroso abbraccio. La ragazza aveva affondato il viso contro il suo corpo e a ogni respiro sentiva il suo profumo invadergli le narici. «Risolveremo le cose insieme.» 
Dopo quelle parole Rachel scoppiò a piangere, sollevata per quanto gli era appena stato detto.

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Sabato 1 febbraio 2020
Un giorno dopo l'omicidio 



Wood e Doe si erano congedati dalla famiglia Hill e avevano ripreso il loro cammino verso l'abitazione di Rachel e dei suoi genitori.
Lungo il tragitto a piedi i due uomini non parlarono e Wood si perse nei suoi pensieri. Era molto legato ad Elisabeth, quando era piccolo lei lo accudiva e gli faceva da babysitter, per lui era come la sorella maggiore che non aveva mai avuto. La ricordava con affetto ma anche con un po' di malinconia, domandandosi se fosse possibile commettere un omicidio per un mancato aborto. In cuor suo sapeva che la risposta era negativa ma non dimenticava ciò che aveva raccolto con la sua esperienza. Il primo insegnamento che aveva imparato quando era diventato detective, fu che esistevano solo tre tipi di movente che potevano portare una persona ad uccidere: i soldi, l’amore o la vendetta. Niente era stato preso dalla cassa e non era comparso nessun amante, almeno per il momento, e per di più non aveva amiche, quindi la ragione che aveva determinato la morte di Elisabeth doveva quasi certamente essere un regolamento di conti. 
La cosa gli sembrava assurda ma, nel corso degli anni in polizia, aveva imparato a non stupirsi più di nulla, quello che passava per la mente delle persone era sempre più folle e lui non voleva scervellarsi sulle ragioni che portavano una persona a compiere certi atti di violenza gratuita, voleva solo far giustizia. 
La famiglia Child viveva poco lontano dalla caserma dei pompieri. Wood si accorse che in realtà a qualsiasi cosa pensasse in paese, un'abitazione, un negozio o la chiesa, era vicino a lui, ovunque si trovasse, talmente era piccola la cittadina: le case, le botteghe e tutte le attività sembravano le une a ridosso delle altre e la grandezza della città ricordava un villaggio in miniatura. 
Una volta raggiunta la destinazione, Wood si affrettò a suonare  al campanello, sperava di trovare in casa Rachel perché secondo Doe, a quell’ora della mattina, la ragazza doveva già essere a scuola. L'aria invernale aveva congelato i due uomini, il freddo sembrava penetrare nelle ossa e non staccarsi più. 
Una signora bassa e tarchiata gli aprì la porta. Aveva i capelli corvini sopra i quali vi erano appoggiati un paio di occhiali da vista. Dalla casa uscì una vampata di calore che fece riacquistare un po' di vitalità e colore a Wood. 
«Si?» chiese lei. Doveva essere Holly.
«Signora Child? Siamo il detective Wood e lo Sceriffo Doe» disse l'uomo presentando entrambi, sapendo già che la signora davanti a loro conosceva lo sceriffo.
«È successo qualcosa?»
«Possiamo entrare, Holly?» chiese gentilmente Doe e la signora si fece da parte. Una volta che Wood e Doe furono entrati, la signora richiuse la porta dietro le proprie spalle lasciando che la casa creasse una bolla di calore attorno agli ospiti. 
La casetta era accogliente e profumava ancora di caffè. La stanza in cui entrarono i due agenti doveva essere probabilmente il salotto ed era arricchito con degli spruzzi di colore qua e là: il divano era ricoperto con un lenzuolo fiorato mentre le pareti avevano due colori differenti, rosso e arancione, la tv era appoggiata su un mobiletto di legno alto poco più di un metro ed era completamente bianco. In giro per il salotto vi erano diversi gingilli, come li chiamava Wood, e nessuno di essi aveva un singolo granello di polvere. 
«Possiamo parlare con sua figlia?» disse Wood arrivando dritto al punto.
«Certamente, è in camera sua, ma cosa è successo?» chiese nuovamente la donna, visibilmente turbata.
«Non preoccuparti Holly» continuò lo sceriffo. «Sappiamo che è stata a contatto con Elisabeth e vorremmo farle qualche domanda, magari sa chi è stato a farle quello che ha fatto.»
La signora Child fece un respiro profondo e si tranquillizzò, almeno in apparenza, per poi condurre i due agenti verso la stanza della figlia. 
Quando arrivarono davanti ad una porta bianca immacolata, la signora Child bussò energicamente.
«Tesoro? Lo sceriffo vorrebbe parlarti» disse poi al legno che le separava. 
«Va bene» disse una voce dall’altra parte senza una vera e propria intonazione, quasi apatica.
«Se avrete bisogno di me, sarò in cucina» concluse la signora congedandosi da Doe e Wood che la ringraziarono per la comprensione. 
I due agenti aspettarono che Holly se ne fosse andata e poi entrarono nella camera di Rachel senza bussare. Quando aprirono la porta, la ragazza gli dava le spalle ed era seduta alla scrivania che cercava di trafficare con il suo PC. La cameretta era piuttosto piccola ed era tinteggiata di rosa come il resto del mobilio: una piccola scrivania era stata messa in un angolo mentre sul lato opposto si trovava il letto incorniciato da un armadio a incastro color pastello. La stanza era ordinata, non vi era nessun tipo di soprammobile e a Wood sembrò un po’ spoglia per essere la stanza di una teenager. 
«Ciao Rachel» disse Doe attirando la sua attenzione.
«Salve, sceriffo» continuò la ragazza girando su se stessa grazie alla sedia con le rotelle. Rachel era molto magra, aveva i capelli ricci e neri che le scendevano morbidi sulle spalle, gli occhi sembravano color nocciola nella penombra della camera mentre la pelle caffellatte era coperta da un paio di jeans alla moda e una maglietta a maniche lunghe color panna. 
«Lui è il detective Wood» continuò Doe. «Vorremmo farti qualche domanda, se ti va.»
«Va bene» disse lei, ancora indifferente, per poi fare segno ai suoi ospiti di accomodarsi sul suo letto. Doe e Wood accettarono la cortesia e si sedettero per cercare di metterla più a suo agio. 
«Come stai?» chiese Wood per rompere il ghiaccio.
«Che cosa volete sapere?» domandò di rimando la ragazza con aria scocciata.
«Abbiamo saputo che sei incinta» continuò Wood senza mezzi termini cercando di non perdere la pazienza. I ragazzi di quell’età lo facevano innervosire, era stato adolescente anche lui ma non aveva mai mancato di rispetto a un adulto e tanto meno si era mai permesso di trattare qualcuno con sufficienza o come se fosse stupido. 
«Sì, è vero.» Rachel si arrese immediatamente. 
«E sappiamo anche che volevi abortire.»
«Ho solo chiesto informazioni, ancora non avevo deciso che cosa fare.»
«Ed Elisabeth non ha voluto aiutarti.»
«Tutto giusto» terminò poi sarcasticamente la ragazza alzando le sopracciglia.
«Vorremmo sapere dove ti trovavi ieri tra le sette e le undici di sera» continuò Wood senza quasi respirare.
«State pensando che l’ho uccisa io?»
«Ti abbiamo solo chiesto dove ti trovavi in quel lasso di tempo» la rimproverò lo sceriffo.
«Ero a cena con Peter. Vi giuro che io non c’entro niente con quello che è successo a Elisabeth!» Di colpo la ragazza sembrava spaventata e da strafottente divenne improvvisamente molto collaborativa. «All’inizio non volevo tenere il bambino e se lei non mi avesse aiutata, ci sarebbe stato qualcun altro disposto a farlo.»
«Ti ha chiesto Peter di abortire?» chiese lo sceriffo Doe.
«No» concluse poi Rachel visibilmente agitata.
«Se ci hai detto la verità, non andrai nei casini» disse Wood per cercare di tranquillizzarla ma sapeva già che prima di scagionarla del tutto doveva chiedere conferma a Peter dell’alibi della sua ragazza. 
I due agenti ringraziarono Rachel e la lasciarono alle sue cose da adolescente, uscirono dalla camera e si chiusero la porta alle spalle per poi dirigersi verso la cucina per congedarsi anche con la signora Child. 
Una volta lasciato l’appartamento, Wood e Doe si guardarono e a entrambi bastò una sola occhiata per capire che stavano pensando la stessa cosa: Rachel nascondeva qualcosa.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Gli alibi di tutti i soggetti interrogati si somigliavano, qualcuno era già stato provato, altri erano in attesa di essere confermati, come quello di Rachel. I due poliziotti erano consapevoli del fatto che Peter aveva saltato la scuola come tutti gli altri ragazzi, l’omicidio di Elisabeth li aveva sconvolti e avevano stabilito che per un giorno le lezioni non erano fondamentali. 
A pochi passi da casa Child, gli agenti trovarono casa Bulltap. 
I genitori di Peter erano al lavoro: il padre, Robert, faceva il pompiere con Clive, il padre di Rachel, mentre la madre era Kelly, la proprietaria del negozio di vestiti. Wood se la ricordava perfettamente, l’aveva incontrata la sera precedente allo spaccio di Don. 
Quando Wood suonò al campanello, Peter aprì immediatamente. Probabilmente era stato avvertito da Rachel del loro arrivo e sembrava piuttosto tranquillo. Il ragazzo era piuttosto alto e magro, pareva ricurvo su se stesso e stretto nelle spalle, aveva i capelli corti di un colore castano molto chiaro, gli occhi spenti erano verdi ma il sorriso era più che perfetto e bianchissimo. 
«Entrate» disse subito il ragazzo ai due agenti. 
Peter doveva avere circa diciotto anni e portava i vestiti tipici del luogo: un paio di jeans un po’ larghi, stivali in pelle a punta, una camicia a quadri rossi di flanella ma completare l’outfit gli mancava soltanto un cappello come quello che portava lo sceriffo. 
«Immagino che Rachel ti abbia telefonato» disse Wood al ragazzo mentre si accomodavano in soggiorno. 
«Mi ha scritto un SMS.»
Wood e Doe si sedettero su due sedie di legno senza imbottitura mentre Peter si accomodò sul piccolo divano a due posti color cammello davanti a loro. A differenza della casa di Rachel, lì non aleggiava l’odore del caffè ma bensì di legno ed incenso ricreando un’atmosfera piuttosto rustica.
«Dove ti trovavi ieri tra le sette e le undici di sera?» gli chiese subito Doe mentre Wood si guardava attorno. 
«Sono andato a cena con Rachel e poi abbiamo deciso di andare al cinema.» 
Il particolare del film era stato omesso dalla ragazza, ma se fosse stato vero, ci sarebbero stati sicuramente dei testimoni che potevano confermare la loro presenza a una delle diverse proiezioni. Per quel momento, potevano ritenere l’alibi dei due ragazzi valido, anche se Rachel sembrava nascondere qualcosa e non avevano ancora verificato se effettivamente i due ragazzi avessero detto la verità riguardo alla sera precedente e al film sul grande schermo. 
«Sapevi che Rachel voleva abortire?» continuò poi Wood tornando alla realtà e guardando il ragazzo dritto negli occhi.
«Cosa?» chiese Peter.
«Immagino che tu non lo sapessi, allora» concluse il detective, validando anche le parole di Rachel quando aveva detto che non era stato il ragazzo a chiederle di abortire.
«Rachel è incinta?!» chiese Peter stupefatto.
Dopo quella domanda calò il silenzio facendo calare la temperatura della stanza al di sotto dello zero raggelando tutti i presenti.
«Tu non lo sapevi?» continuò lo sceriffo per cercare di allentare la tensione che si era appena creata.
Peter scosse la testa in un no, era pietrificato e sembrava potesse svenire da un momento all’altro. 
«Mi dispiace che ne sei venuto a conoscenza così, in queste circostanze» continuò Doe. «Noi abbiamo finito per ora, con le domande. Stai bene?»
Peter agitò la testa in quello che doveva sembrare un sì.
Wood si alzò dalla sedia senza dire nulla e si avviò verso l’uscita, odiava tutta quella situazione, e ancora di più non sopportava tutti questi drammi adolescenziali. 
«Dovresti parlare con Rachel» continuò poi Doe alzandosi anche lui dalla seduta per mettere una mano sulla spalla del ragazzo. Doe si sentiva in colpa per aver rivelato al ragazzo una cosa che non spettava a lui dire ma non poteva immaginare che Peter fosse all’oscuro di tutto. 
Il ragazzo non si mosse di un millimetro.
Doe raggiunse Wood fuori dall’abitazione e fece un respiro profondo prima di ricominciare a parlare al detective.
«Adesso come ci muoviamo?» chiese lo sceriffo.
«Dobbiamo vedere se qualche genitore non ha preso bene la notizia della gravidanza di Rachel» gli rispose Wood. 
Il detective avrebbe voluto che fosse stato uno di loro a compiere l’omicidio in modo da chiudere il caso il prima possibile ma prevedeva un caso più complicato di quello che appariva, tutto considerato non aveva nessun indizio tra le mani e senza quelli non avrebbe avuto nemmeno delle prove. 
«E cosa c’entrerebbero i genitori dei ragazzi con Elisabeth?» chiese di rimando Doe.
«Se qualcuno non ha preso bene la gravidanza di Rachel, vuol dire che voleva farla abortire e l’hanno mandata da Elisabeth. Quando qualcuno di loro ha scoperto che lei non voleva aiutarla, si è infuriato e in uno scatto d’ira, l’ha uccisa. Un po’ come una ripicca: tu non aiuti Rachel e io ti faccio del male.»
«Sono tutte supposizioni, però.»
«Per ora sì, rimangono solo idee.»


La giornata d’indagini era completamente volata. Wood e Doe non avevano nemmeno pranzato e l’orario della cena si stava avvicinando. I due agenti decisero di rimandare gli interrogatori al giorno seguente, erano entrambi stanchi e non sarebbero riusciti a dare il loro meglio, non sarebbero nemmeno riusciti a captare qualche messaggio nascosto o magari avrebbero confuso l’irritabilità di un tester possibilmente colpevole con il dolore provato per la morte della compaesana. Wood continuava a chiedersi perché Rachel non aveva detto a Peter della gravidanza. A Wood balenò per la mente un’idea assurda e proprio provò a scartarla ma lei continuava a saltellare da una parte all’altra del cervello e non lo lasciava tranquillo, così decise che l’avrebbe verificata senza fare delle domande troppo esplicite, in fondo tutto poteva essere e se Wood avrebbe svelato quel segreto, sarebbero stati un passo avanti. 

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Domenica 2 febbraio 2020
Due giorni dopo l'omicidio


Wood aveva dormito come un bambino. La sera precedente, prima di rientrare a casa, si era ripromesso di non fermarsi allo spaccio per comprare dell’alcol, non poteva affrontare un’indagine per omicidio ancora ubriaco come era avvenuto il giorno precedente e per molti anni quando viveva in Italia. 
Il sole era già alto nel cielo plumbeo tipico delle giornate invernali e Wood doveva darsi una mossa perché aveva un appuntamento con lo sceriffo Doe per incontrare il padre di Peter, Robert, proprio alla stazione dei pompieri. 

Il cielo era grigio e triste sopra le teste di Rivermountain, tutti i colori erano spenti e la città sembrava avvolta da una busta di plastica rendendo l’atmosfera inquietante.
Wood arrivò di corsa con la moto e vide lo sceriffo in piedi sul marciapiede che lo aspettava in tranquillità. Wood era riuscito ad arrivare in orario, o meglio, aveva ritardato di qualche minuto ma a Doe non sembrava importare particolarmente. 
I due agenti decisero di entrare nella stazione dei pompieri e di andare in cerca Robert, ma la caccia fu breve perché lo trovarono subito. Il signor Bulltap era alto e aveva le spalle larghe, portava la divisa dei pompieri e sembrava essere pronto a soccorrere chiunque ne avesse avuto bisogno.
«Robert!» lo chiamò Doe avvicinandosi. L'uomo gli allungò la mano destra e lo sceriffo la strinse con vigore. 
«Lewis» disse di rimando il pompiere. «A cosa devo la vostra visita?» 
«Volevamo farle alcune domande a proposito di suo figlio e della sua ragazza» continuò Wood come se si volesse intromettere tra i due amici.
«Peter ti ha detto che Rachel è incinta?» gli chiese Doe.
Robert rimase scioccato dalla notizia, aprì la bocca per cercare di dire qualcosa ma per qualche secondo non uscì nulla.
«Lo ha scoperto anche lui ieri sera» continuò lo sceriffo.
«Ieri sera ero in servizio e ho attaccato immediatamente stamattina con il doppio turno insieme a Clive, non sono riuscito a vedere mio figlio.» Robert aveva il cuore a mille e sembrava impacciato nel dare delle spiegazioni. 
Il collega appena nominato da Robert fece subito capolino confermando ciò che aveva appena detto il suo amico pompiere. Così facendo, avevano appena consegnato ai due agenti i loro alibi senza nemmeno accorgersene. Wood non fece nessuna provocazione e tanto meno fece notare l’accaduto ai due che sembravano in buonafede. 
«Piacere, Clive» disse l’uomo allungando una mano a Wood. Aveva la pelle scura, i capelli corti e la barba appena accennata. Il fisico era massiccio e superava di almeno dieci centimetri in altezza Robert. 
«Wood.» Il detective ricambiò il gesto e strinse la mano al pompiere vigorosamente. «Era a conoscenza della gravidanza di sua figlia?» chiese poi senza mezzi termini. 
«Sì, ne ero a conoscenza.»
«Perché non me lo hai detto?!» Robert gli schioccò uno sguardo torvo e a tratti arrabbiato. 
«Mi aveva detto Rachel di non dirlo a nessuno. Prima voleva dirlo a Peter, e ha quanto ho sentito, lo ha fatto solo ieri sera.»
Né Wood né Doe dissero niente riguardo a Peter e al fatto che erano stati loro ad informarlo della gravidanza. 
«Sua moglie o lei eravate contrari alla gravidanza?» chiese Wood.
«Assolutamente no. Perché me lo chiede?» rispose Clive.
«Rachel voleva abortire» sentenziò Doe. 
«Non ne sapevamo niente!»
«Voi due siete stati tutta la notte in caserma?» chiese nuovamente Wood indicando Robert e Clive muovendo blandamente l’indice e il medio su e giù.
I due annuirono e Robert disse ai due agenti che avevano giocato a carte tutta la sera, per cercare di ammazzare il tempo, poi, verso l’una di notte, avevano ricevuto una chiamata da Blawind, la città vicina, perché una signora era rimasta chiusa fuori casa e non sapeva come rientrare. Clive lasciò il nominativo della signora a Doe il quale rispose che avrebbero certamente controllato. 
«Grazie per la vostra collaborazione» concluse poi Wood salutando i due pompieri con un gesto appena accennato del capo. 
Doe ringraziò a sua volta e salutò i due uomini che aveva davanti per poi seguire a ruota il detective. 
Gli agenti uscirono dalla caserma dei pompieri, non potevano di certo dirsi soddisfatti di quel poco che avevano scoperto ma non avevano nemmeno la possibilità di lamentarsi: non avevano preso il colpevole ma erano riusciti ad escludere due possibili sospettati dalla loro lista. 
Non restava che interrogare Kelly e Holly per cercare di sistemare tutti i tasselli della storia: se anche loro fossero state innocenti, tutti i sospetti sarebbero caduti nel vuoto o forse avrebbero dovuto indagare su tutti i cittadini del paese, senza fare distinzioni. 




La mattinata era completamente volata, il sole sembrava spegnersi lentamente e più lui moriva, più il cielo diventava livido e carico di elettricità. Wood e Doe si stavano dirigendo da Kelly dopo aver fatto una breve sosta da Don per prendere qualcosa da stuzzicare mentre raggiungevano il negozio di abiti. Il paese era piccolo ed era inutile spostarsi con dei mezzi che non fossero i propri piedi, così il detective e lo sceriffo mangiarono durante la loro breve passeggiata per non perdere ulteriore tempo. 
Arrivati davanti al negozio di abiti country, si fermarono qualche minuto per finire i tramezzini comprati una decina di minuti prima. Wood notò che il negozio di Kelly aveva anche un nome: Emperors. Doe si accorse del punto di domanda che il ragazzo aveva dipinto in faccia e gli disse: «Nessuno sa perché si chiami così, l’emporio.»
Wood guardò lo sceriffo negli occhi e fece un respiro profondo come a voler dimenticare tutto, sembrava quasi rimpiangere di aver preso il volo per il Wyoming. 
«Sarà meglio entrare e parlare con Kelly» continuò poi Wood pulendosi la bocca dalle briciole che gli erano rimaste ai lati delle labbra. 
«Lei saprà aiutarci di sicuro» disse poi Doe.
«Come fai a dirlo?»
«Lei sa sempre tutto.»
Wood capì all’istante che Kelly era considerata la pettegola del paese. Non commentò ciò che gli aveva appena detto lo sceriffo ma voleva verificare queste dicerie lui stesso. 
Wood spinse la porta dell’Emperors e il suono di un campanello lo accolse all’interno del negozio, subito dopo entrò anche Doe, mentre Kelly, da dietro il bancone della cassa, li salutava. L’interno era realizzato completamente il legno ed era ricco di appendiabiti dai colori più disparati e di mensole piene zeppe di stivali a punta variopinti. Le luci venivano assorbite dal mobilio scuro rendendo l’atmosfera un po’ cupa ma accogliente e calorosa, nell’aria aleggiavano diversi aromi che rievocavano la stagione autunnale, dei pini sempreverdi, della pelle e cuoio.  
«Sceriffo, che piacere vederla! E Wood, sono contenta che sei passato a trovarmi» disse la donna facendogli l’occhiolino beffarda. «Come posso aiutarvi?»
«Rachel è incinta» le disse subito Wood senza nemmeno pensarci. 
«Lo sapevo» rispose la bionda. La teoria della pettegola sembrava essere confermata.
«Davvero?» continuò Wood facendo finta di non sapere nulla riguardo la sua reputazione accennatagli quasi di sfuggita da Doe qualche istante prima.
«Sì. Ero in farmacia dietro di lei quando ha chiesto ad Elisabeth come funzionasse l’aborto.»
Wood non si aspettava quella risposta e Doe rimase senza parole. 
«Ovviamente non l’ho detto a Peter, sapevo che non era informato della gravidanza. Altrimenti me lo avrebbe detto lui che Rachel era incinta.»
I due agenti sembravano perplessi, dovevano condurre una sottospecie di interrogatorio e invece Kelly stava facendo tutto da sola.
«Scommetto che volete sapere dove fossi durante l’omicidio.»
«Tra le sette e le undici di sera, per essere precisi» specificò Wood.
«Ero al cinema, da sola. Ho visto Rachel e Peter in sala, ma loro non hanno visto me. Ero seduta su una poltrona in un angolo, lontano da tutti. Comunque la sala era quasi deserta, a parte mio figlio e la sua ragazza, c’erano altre due coppiette, ma sono certa che non fossero di Rivermountain» rispose Kelly lasciando sottintendere che poteva trattarsi di amanti. 
Tutto ciò che Kelly aveva detto sembrava veritiero, ma un buon agente deve sempre cercare conferma di un alibi.
«Ti ha vista qualcuno al cinema?» chiese poi Wood.
«Sì, Camilla. Lei gestisce le proiezioni ed è una mia cara amica.»
Wood la ringraziò per la collaborazione e salutò la donna cercando di sorriderle ma con un risultato scarso. Doe si congedò da Kelly toccandosi il cappello ed uscì dal negozio seguito dal detective che già stava pensando alla prossima mossa: Camilla avrebbe dovuto confermare o smentire l’alibi della signora Bulltap.
Secondo Wood, andare al cinema da soli, era più che sospetto. “Perché mai qualcuno dovrebbe andare al cinema da solo?” si chiese. La risposta era abbastanza ovvia: o qualcuno ci aspetta già in sala seduto su una poltrona rossa di velluto e ci tiene il posto per poter goderci il film insieme o perché si vuole avere un alibi a tutti i costi.

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Wood, negli anni dell'adolescenza, aveva deciso di iscriversi alla facoltà di medicina: non si impegnava anche se le materie scientifiche erano il suo forte. Aveva studiato due anni a Roma per poi lasciare tutto e ricominciare da capo studiando criminologia a Bologna per prendere una laurea magistrale come operatore della sicurezza e del controllo sociale a seguito di esami teorici e di prove con la criminologia applicata. La sua innata passione e predisposizione per gli ambiti fisico, biologico e chimico, lo avevano aiutato ad entrare nella polizia scientifica diventando una figura professionalmente molto formata e preparata che offriva le sue competenze tecniche per permettere analisi scientifiche dei reperti trovati suoi luoghi dei crimini.
Una cosa che lo aveva colpito particolarmente quando studiava nel capoluogo emiliano, era stata la passione di un suo professore verso i crimini efferati dei più famosi serial killer della storia: Wood ricordava bene la lezione sulla Syndrome E - Sindrome Evil - e ne era rimasto molto affascinato: Itzhak Fried, neurochirurgo della University of California, Los Angeles, nel 1997 aveva pubblicato un articolo dove sosteneva che la trasformazione di individui non violenti in serial killer era dettata da diversi fattori e sintomi, suggerendo che tali individui fossero affetti da una malattia, ovvero la Sindrome E, arrivando a caratterizzare i "sette sintomi del male" dopo vari studi sulla corteccia pre frontale.
Violenza ripetitiva compulsiva; credenze ossessive; rapida indifferenza alla violenza; stato emozionale piatto; separazione della violenza dalle attività quotidiane; obbedienza all’autorità; convinzione che chi appartiene al proprio gruppo sia virtuoso, fanno parte della Sindrome E ma i fattori di rischio più evidenti sono il sesso maschile e l'età di mezzo - tra i 15 e i 50 anni - ma questo non andava ad escludere automaticamente le donne. 
Ma oltre a questo, Wood ricordava anche che l'Università di Copenaghen aveva individuato il Fattore D - Dark - che caratterizzava certi tipi di individui rendendo quest'ultimo complementare della sindrome E. Il detective aveva letto l'articolo “The Dark Core of Personality” su una rivista di psicologia e ricordava molto bene gli elementi che caratterizzavano gli individui che mettevano i propri obiettivi e interessi sopra ogni altra cosa: egoismo, machiavellismo, disimpegno morale, narcisismo, psicopatia, sadismo, malignità.
Dopo un volo nei ricordi, Wood si stava chiedendo se per quello che era successo a Rivermountain doveva prepararsi a cercare un individuo del genere: non tutti i killer rispondevano allo specchietto che si creava automaticamente nella mente del detective e non tutti coloro che uccidevano lo premeditavano, capitava spesso che avvenissero in modo colposo e accidentale, ma Wood non escludeva mai nessuna pista. Fino a quel momento avevano avuto solo dei sospettati, nessuna prova e nessun indizio, non avevano ancora avuto risposta dalla scientifica e il detective sapeva che non poteva di certo contare su dei risultati veloci in una cittadina di campagna sperduta in mezzo alle colline. 




Era primo pomeriggio e il sole sembrava giocare a nascondino tra i rami sempreverdi degli alberi e le nuvole scure. L’aria gelata abbracciava tutta la città costringendo chiunque camminasse a stringersi nei giacconi ritraendo il collo nell’incavo delle spalle per sentire meno freddo.
Wood stava perdendo la pazienza, erano due giorni che giravano la città per cercare di capire che cosa fosse successo ad Elisabeth ma tutto sembrava ridursi al gioco del gatto e del topo: gli sembrava di star inseguendo un fantasma che nemmeno esisteva, ma Doe era sicuro di sé e sapeva che prima o poi sarebbe arrivato l’indizio che gli serviva per smascherare il colpevole. Dopotutto, in quella cittadina non succedeva mai niente e l’omicidio della farmacista aveva scombussolato tutti.
I due agenti erano arrivati davanti al cinema quando Wood decise di accendersi una sigaretta prima di entrare a fare l’ennesimo interrogatorio, era la prima che riusciva ad accendersi in santa pace dopo la cena a casa Doe.
«Non dovresti fumare» lo ammonì Doe.
«Lo so» rispose Wood prendendo una lunga boccata dalla stizza. «Abbiamo novità dal laboratorio?»
«Non ancora, purtroppo. Le prove sono arrivate solo l’altro giorno e la forense è sobbarcata di lavoro. Per non parlare del fatto che a nessuno interessa della morte di una farmacista, per loro è una rapina come un’altra, non gli importa se è stata uccisa. Ci vorrà più tempo del previsto.»
Wood annuì e lasciò cadere la sigaretta per terra per poi calpestarla. Ne aveva fumata solo metà e senza un goccio di alcol non riusciva a godersela. 
Doe entrò nella hall del cinema aprendo le porte di vetro facendo strada al detective dietro di lui. In quel luogo regnava il silenzio e non vi era una sola cosa fuori posto. Il pavimento era interamente realizzato con il parquet e le pareti erano colorate di beige, le luci venivano tenute soffuse per cercare di creare la giusta atmosfera e l’odore di pop-corn al burro sembrava essersi impregnato nell’ambiente circostante. 
Wood iniziò a guardarsi attorno per cercare di capire dove potesse essere Camilla ma non riusciva a farsi nessuna idea, non era né alla biglietteria né dietro il bancone degli snack. Wood si stava perdendo nella sua immaginazione quando vide una figura scura arrivare dal corridoio che avevano di fronte. La donna aveva i capelli castani e mossi, i vestiti erano monocromatici e sembrava una persona piuttosto sciatta ma il detective cercò di non giudicare in quanto anche gli altri potevano dire la stessa cosa di lui.
«Buongiorno sceriffo. Immagino che sia qui per Elisabeth.»
La voce che Doe e Wood stavano facendo domande ed interrogatori ai cittadini di Rivermountain si era sparsa a macchia d’olio e ogni cittadino si sarebbe aspettato una loro chiamata o una loro visita.
«Stiamo cercando di verificare gli alibi di più persone in modo da poter depennarle definitivamente dalla nostra lista» disse Doe con cortesia a Camilla.
«Dalla lista dei sospettati?»
«Esattamente» concluse Doe annuendo.
«Si ricorda se la sera dell’omicidio Rachel e Peter sono venuti ad una qualsiasi proiezione?» le chiese Wood senza nemmeno presentarsi. Sapeva già che ormai in città lo conoscevano tutti, almeno di nome, soprattutto perché aiutava lo sceriffo riguardo l’omicidio.
«Sì, erano venuti a vedere un film d’amore. In sala con loro c’erano altre coppie, non ricordo chi fossero però» rispose Camilla con tranquillità. Finalmente Wood poteva eliminare Peter e Beth dai sospettati e la cosa lo sollevava terribilmente, non avrebbe potuto accettare che due ragazzini avessero potuto commettere un omicidio, anche se il detective aveva ancora una domanda che gli martellava in testa. Doveva solo trovare il momento giusto per riuscire a dargli una risposta senza creare ulteriori casini. 
«La stessa sera, lei si è vista con Kelly?» Wood continuò l’interrogatorio, più risposte avrebbe avuto in quel momento dell’indagine e meno domande avrebbe dovuto fare in futuro.
«C-certo» rispose Camilla agitandosi e diventando paonazza. 
«Va tutto bene?» le chiese Doe.
«È tutto okay» rispose prontamente la donna cercando di far sparire ogni turbamento.
«Quindi, conferma che Kelly era qui la sera dell’omicidio?» continuò Wood guardandola di sottecchi.
«Confermo. Siamo state tutta la sera a chiacchierare dentro la cabina di regia. È da dove partono le proiezioni» si giustificò Camilla leggermente più tranquilla, come se si fosse tolta un peso dallo stomaco, ma Wood si ricordò che Kelly aveva detto qualcosa di diverso e non aveva accennato a nessuna chiacchierata e a nessuna sala regia. 
«La sua amica ci ha detto qualcosa di leggermente diverso poco fa. Ha detto che è stata tutta la sera seduta a guardare un film in sala, non a chiacchierare con lei» Wood e Doe si guardarono insospettiti, molto probabilmente una delle due mentiva. Camilla avvampò nuovamente e le gote divennero rosse, color del fuoco, per l’imbarazzo.
«Certo, è vero. Mi sono confusa, siamo molto amiche e ci vediamo spesso. Ieri sera ero in cabina di regia da sola, Kelly mi ha raggiunta quando è finito il film, ci siamo salutate e poi lei è tornata a casa, io invece ho iniziato a sistemare le sale per poi chiudere tutto.»
«Ed è tutto?» chiese poco convinto Wood.
«Sì» concluse Camilla che stava tornando di un colorito normale.
«Va bene. Se avremo altre domande, torneremo» disse poi Doe cercando di affrettare i saluti. Wood sapeva perfettamente che cosa stava facendo: stava cercando di liquidare Camilla come se non fosse successo niente perché lui aveva un disperato bisogno di parlare in privato con il collega. 
Wood stette al gioco, salutò la donna e la ringraziò per la disponibilità. Camilla sorrise quasi forzatamente e si congedò immediatamente sparendo nuovamente da dove era arrivata.
Doe e Wood uscirono prontamente dal cinema e, prima di proferire anche una singola parola, si. guardarono alle spalle per accertarsi che la sospettata non li stesse spiando per origliare la loro conversazione. 
«Chi delle due mente?» chiese subito lo sceriffo a bassa voce.
«Non ne ho idea, ma secondo me nascondono qualcosa tutte e due.»
«Cosa facciamo adesso?»
«Proviamo a vedere se il marito di Kelly sa qualcosa di questa storia» concluse poi Wood. «Hai il suo numero di telefono?»
«Certo. Dammi un minuto.» Doe estrasse il cellulare dalla tasca e cercò il numero di Robert, schiacciò il tasto “chiama” e passò il telefono a Wood che lo appoggiò stretto contro l’orecchio destro. 
Pochi secondi dopo, il pompiere prese la linea. 
«Sono Wood, mi scusi se la disturbo nuovamente.»
«Mi dica, agente.»
«Volevo parlarle di sua moglie. Sa se per caso lei o la sua amica Camilla avevano qualche motivo per fare del male ad Elisabeth?»
«Sta scherzando? Certo che no!»
«Sapeva che sua moglie la sera dell’omicidio si è incontrata con Camilla al cinema?»
«Detective Wood, è tutto okay. Mia moglie si vede spesso con la sua amica, non è di certo una novità che fossero insieme anche quella sera, sono amiche da una vita.»
«Va bene. Mi scuso ancora per il disturbo.»
Robert riappese il telefono senza nemmeno salutare. 

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


La giornata era stata parecchio lunga e travagliata ma era volata in un batter d’occhio. Tutte le sere Wood doveva tornare alla Baita Margherita e tutte le sere doveva imporsi di non fermarsi a comprare nessun tipo di alcolico, tutte le sere doveva rientrare in quella casa che non riusciva a sopportare perché continuava a ricordargli i fallimenti del padre che, poi, erano stati anche i suoi. 
Cercava di risolvere un caso di omicidio in una cittadina che aveva più case che abitanti e per di più lo stava facendo da detective, cosa che ormai non era più. Wood stava provando a districarsi tra le sue infinite domande e le mille risposte, per lo più inutili, che gli dava la gente ma non pareva venirne a capo.
In un momento di sconforto, decise che il giorno seguente avrebbe confessato tutto a Doe: avrebbe ammesso che era stato licenziato, che non era più un detective per colpa dell’alcol e della sua dipendenza, e non solo, gli avrebbe anche rivelato che il posto gli era stato tolto dopo che aveva aggredito il sospettato di un’indagine. Doe avrebbe risposto che i detective sono soliti a queste cose e che nessuno perde il posto per quel motivo, e lui avrebbe risposto che essere ubriachi, gridare assassino e rompere in testa ad una persona una bottiglia di rum vuota, non era proprio nelle mansioni di un agente. Gli avrebbe anche detto che l’uomo che aveva aggredito lo avevano arrestato, ma che il suo superiore non aveva potuto fare niente per tenere Wood nella squadra.
Ormai si era deciso, avrebbe ammesso tutto e avrebbe scelto di farsi chiamare per nome, il cognome Wood era troppo formale, inoltre aveva anche scelto di lasciare tutto, lasciare la Baita Margherita, lasciare il Wyoming e lasciare l’indagine.


 

Lunedì 3 febbraio 2020
Tre giorni dopo l'omicidio

La notte di Wood era stata piuttosto tormentata, piena d’idee e di incubi fino a quando non era suonata la sveglia. Durante la notte aveva avuto un episodio di paralisi del sonno. Forse era stato lo stress, forse erano stati i pensieri della sera precedente ma era stato tremendamente orribile. Quel disturbo del sonno era un mistero: nel momento in cui gli sembrava di essersi svegliato, si ritrova sempre impossibilitato a muoversi, avendo appunto una vera e propria paralisi che, oltre a non farlo muovere, non gli permetteva nemmeno di parlare o addirittura urlare. Wood aveva letto che la paralisi poteva subentrare nella vita di chiunque in modo inaspettato, inoltre questa poteva continuare in modo regolare tutte le notti o in modo anomalo, presentandosi solo qualche volta per poi sparire per sempre. Ma questo non era il suo caso: gli incubi ad occhi aperti erano iniziati da bambino e puntualmente si presentavano dopo un avvenimento poco piacevole, come la separazione dei genitori, la perdita della compagna o il licenziamento. Al contrario di quanto aveva pensato, la morte del padre non gli aveva generato nessun genere di ansia e la paralisi del sonno non era comparsa ma da qualche giorno era tornata a tormentarlo.
Si alzò di colpo e tutti i pensieri della sera precedente e le figure della notte erano come svaniti, Wood aveva cambiato idea: si sistemò in fretta e furia ed uscì di casa con la sua moto per raggiungere lo sceriffo. Stavolta si erano dati appuntamento a casa della mamma di Rachel, Holly.
Quando Chris arrivò sul posto vide Doe davanti a lui con la sua solita postura eretta ed inconfondibile.
«Lo so, sono in ritardo anche stamattina» disse poi Wood ma lo sceriffo non lo rimproverò.
«Andiamo» concluse poi Doe.
Quando bussarono a casa Child, trovarono solo Holly. Quel giorno i ragazzi erano tornati a scuola, a Blawind. 
«Gradite del caffè?» chiese la casalinga. Gli agenti scossero la testa e Wood iniziò con le domande.
«Signora Child, anche lei è amica di Kelly e Camilla?»
«Mi chiami pure Holly» disse con uno strano ghigno sul volto, sembrava che stesse per scoppiare a ridere. «Comunque no, non sono loro amica» dichiarò con disprezzo la donna.
«C’è un motivo specifico per questa risposta così sprezzante?» chiese Wood.
«No, semplicemente non le ritengo mie amiche, non potrei mai esserlo.»
Wood alzò le sopracciglia e inclinò leggermente la testa come per incoraggiare Holly a continuare a parlare.
«Sono troppo libertine per i miei gusti.» 
Da quell’affermazione Wood capì che immediatamente che le disprezzava. Non aveva mai sentito il termine libertino usato nella vita quotidiana: lo aveva semplicemente letto nei libri di letteratura seicentesca dove la vita dedita al libertinaggio consisteva nell'abbandonarsi ai piaceri, soprattutto quello sessuale, e tal volta con sperpero e spreco di denaro in sesso e divertimenti. Quello stile di vita era condotto per lo più da uomini di commedie del XVI secolo, non da donne sposate e con figli. Wood non sapeva se Holly, con quel termine, intendesse dire "prostitute"  o affibbiare alle due donne uno stile di vita diverso dal suo ma non necessariamente con una condotta disordinata. 
«Ritiene Kelly responsabile della gravidanza di sua figlia?» chiese immediatamente Wood alla donna dopo aver analizzato la risposta che gli aveva dato precedentemente. 
La signora Child arrossì per l’imbarazzo e il disagio che si era creato divenne palpabile. Wood aveva fatto centro: la donna riteneva la madre di Peter responsabile della condizione di Rachel perché, da adulta, avrebbe dovuto insegnare lei al figlio determinate cose, come tenerselo nelle mutande. Il detective immaginava la collera per ciò che era avvenuto, ma non capiva come Holly non riuscisse a farsi un esamino di coscienza e pensare che non era né colpa di Kelly né colpa sua, ma solo colpa dei ragazzi e una scarsa informazione sulla sessualità. Elisabeth aveva preso molto a cuore il tema dell'educazione sessuale e si era offerta di parlare ai ragazzi e alle ragazze più piccoli che frequentavano il liceo di Blawind per informare ed insegnare ai giovani la sicurezza riguardante i rapporti sessuali, ma le mamme di Rivermountain e Blawind si erano opposte ed Elisabeth non aveva potuto fare altro che zittirsi e tornare con la coda tra le gambe verso la sua farmacia. Forse era stato proprio per quello che non aveva voluto dare le informazioni a Rachel riguardo l'aborto. Doe si ripromise di parlarne con Wood una volta salutata Holly. 
«La sera dell’omicidio dove si trovava signora Child?» continuò Wood mentre Doe era sovrappensiero. 
«Ero a casa. Prendo dei sonniferi abbastanza pesanti e mi addormento come un sasso, infatti alle dieci ero già a letto.»
«I suoi familiari potranno confermare la sua versione, immagino.»
«Certamente.»
«E ci riconferma anche che era a conoscenza della gravidanza di sua figlia.»
Holly annuì.
«Non sapeva nulla riguardo ad un eventuale aborto che aveva deciso Rachel?»
«Assolutamente no.»
Doe e Wood erano al punto di partenza, non sapevano più da che parte sbattere la testa, anche l’alibi di Holly sembrava essere veritiero. Dopotutto, non aveva nessun motivo per fare del male ad Elisabeth, ma al contrario poteva averne per nuocere a Kelly o al figlio, cosa che per fortuna non era accaduto, non sembrava una madre che voleva occultare a tutti i costi la gravidanza della figlia per evitare qualche tipo di scandalo. 
Dovevano anche cercare di capire che cosa nascondevano Camilla e Kelly e perché non gli dicevano la verità. Erano state loro a commettere l’omicidio? Se sì, perché? Wood continuava a chiedersi che movente si potesse avere per uccidere una farmacista. 
Wood decise di riprovare a parlare con Kelly, dopotutto se era la pettegola del paese qualcosa doveva pur sapere e se anche non sapeva nulla riguardo all’omicidio, sicuramente avrebbe avuto qualche segreto da raccontare e sapeva anche che non avrebbe resistito all’idea di raccontarlo a qualcuno. 
Doe seguì senza obiezioni Wood e si ritrovarono nuovamente davanti all’Emperors. Durante la loro camminata, lo sceriffo informò l'uomo di ciò che era successo lo scorso inverno e del no categorico delle mamme ad avere come materia a scuola "educazione sessuale" perché, a detta loro, avrebbe incentivano gli adolescenti a fare sesso, e a Wood venne da ridere, perché non vi era affermazione più sbagliata: i giovani facevano già sesso ma senza le dovute precauzioni.
I due agenti entrarono e trovarono Kelly nella stessa postazione del giorno precedente.
«Buongiorno sceriffo. Buongiorno Wood.»
«Possiamo fare ancora due chiacchiere?» chiese Wood cercando di ammiccare. Sapeva di essere affascinante e sapeva perfettamente che Kelly sarebbe caduta ai suoi piedi se solo lui ci si fosse messo d’impegno, così sfoderò uno dei suoi migliori sorrisi, e anche il primo da quando era atterrato in Wyoming.
Kelly abboccò immediatamente ricambiando il sorriso e gli occhi le presero a luccicare.
«Potete chiedermi tutto quello che volete» continuò la donna.
«Conoscevi qualcuno che potesse fare del male ad Elisabeth?» le chiese Wood dandole del tu per entrare più in confidenza. 
«Sicuramente Rachel potrebbe essere una sospettata.»
«E perché?
«Beh, il mio Peter è un bravissimo ragazzo, lei un po’ meno. Sicuramente voleva abortire perché è incinta di qualcuno che non è mio figlio, ed è anche per questo che non gli aveva detto di aspettare un bambino.»
Bingo!
Wood aveva ottenuto la risposta alla domanda che gli girava nella testa da un po’ e non aveva nemmeno dovuto chiedere, la pettegola della città aveva fatto il lavoro al posto suo. 
«Spiegati meglio, Kelly» continuò poi Wood guardandola dritto negli occhi soddisfatto per ciò che gli era appena stato detto.
«Beth è amata da tutti in paese e con amata intendo contesa. Gli amici di mio figlio hanno sempre fatto di tutto per conquistarla e corteggiarla. Infatti è anche per questo che Caroline e Lauren la odiano.» 
Caroline e Lauren erano le altre due ragazze che vivevano in quel posto dimenticato da Dio. La prima era la figlia di Andrea, un uomo divorziato che per vivere e mantenere la figlia, andava a lavorare e più di cento kilometri casa, invece la seconda era la figlia della farmacista, Elisabeth, vittima di un omicidio che stavano cercando di risolvere. 
«E se il bambino di Rachel non è di Peter, di chi potrebbe essere?»
«Non lo so, ma so che lei è una poco di buono» concluse poi Kelly sostenendo lo sguardo di Wood. 
«Le altre due ragazze sono fidanzate?»
«Lauren è single, a lei interessa solo studiare per poter entrare al college e lasciare questo posto, e anche Caroline non è fidanzata ma ha una cotta pazzesca per Jo, il figlio di Adrian, te lo ricordi? Adesso è il pastore della città. Ha anche un altro figlio, Glenn, che è il gemello di Jo ma sono totalmente diversi.» "Eterozigoti" pensò Wood che stava riuscendo nel suo intendo e Kelly non poteva tenere a freno la lingua.
«Secondo te possono essere stati dei ragazzi ad uccidere Elisabeth?»
Kelly sembrò sorpresa da quell’affermazione ma continuò dicendo che lei non poteva saperlo perché era da Camilla, come gli aveva già detto il giorno prima.
«Sì, mi ricordo. Ieri abbiamo parlato con la tua amica e ci ha detto che in realtà siete state tutta sera nella stanza della regia. Adesso lo sceriffo ed io dobbiamo andare, ma grazie infinite per la chiacchierata Kelly.» Wood le fece l’occhiolino ed uscì dal negozio senza salutare seguito a ruota da Doe che si congedò con il solito gesto del cappello.
I due agenti si scambiarono uno sguardo d’intesa e s’incamminarono verso un punto a caso del paese mentre Wood, durante il percorso, si era voltato diverse volte per lanciare uno sguardo all’Emperors e tenere sotto controllo la situazione. 
Quando i due furono abbastanza lontano dal negozio, ma non troppo per vedere che cosa succedeva, decisero di appostarsi dietro all’angolo di una casa cercando di non farsi vedere da nessuno.
Erano passati solo pochi minuti da quando Wood e Doe avevano lasciato il negozio di Kelly e solo una manciata di secondi da quando avevano deciso di nascondersi per cercare di spiare le mosse della donna quando la videro uscire di corsa dall’Emperors.
Dove era diretta?
Con ogni probabilità, stava correndo al cinema. 
Kelly aveva il passo spedito, Doe e Wood cercavano di starle dietro ma allo stesso tempo di non farsi vedere.
Come previsto, Kelly era andata alla sala proiezioni ma non fece in tempo ad entrare perché Camilla le corse in contro sul marciapiede. La fortuna era dalla parte degli agenti: grazie alla tempestività della seconda donna ad uscire dal cinema, Wood e Doe riuscirono ad assistere a tutta la scena nascosti dietro un piccolo muretto senza destare nessun sospetto. 
Le due donne iniziarono a litigare a bassa voce e questo impedì agli agenti di sentire ma ormai le avevano smascherate e non c’era più tempo da perdere. Lo sceriffo e il detective lasciarono il loro nascondiglio e si diressero verso le due donne.
«Ormai sappiamo tutto» disse di prepotenza Wood come per accusarle dell’omicidio di Elisabeth.
«Ci hanno scoperte» continuò poi Camilla rivolgendosi a Kelly. «Nessuno doveva sapere che eravamo amanti!» concluse poi a bassa voce.
Doe e Wood rimasero spiazzati da quell’affermazione. Si sarebbero aspettati di tutto, ma mai che Camilla e Kelly fossero amanti. 
«Scusate, ho capito bene?» chiese Wood per accertarsi di non aver sbagliato.
Le due donne si scambiarono uno sguardo confuso, poi Kelly continuò: «Non avevi appena detto di sapere tutto?»
«Sì, vi stavo per incriminare per l’omicidio di Elisabeth perché ci avevate mentito. Cosa c’entra questa storia?»
«Sicuramente non c’eravamo concordate su cosa dire in caso qualcuno venisse ucciso in città!» sbottò Camilla.
Kelly cercò di tranquillizzarla e iniziò a spiegare a Wood cosa fosse successo realmente quella sera. 

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Sabato 31 gennaio 2020
La notte dell'omicidio


 

La sera era calata prepotente sulla città e l'inverno sembrava diventare sempre più freddo ad ogni minuto che passava. 
Kelly aveva attraversato la città a perdifiato creando diverse nuvolette attorno a lei con il respiro, indossava un cappotto rosso e un berretto bianco fatto a maglia che le aveva regalato la sua innamorata per Natale. Camilla la stava aspettando al cinema, come tutte le sere, pronta per passare qualche ora con la sua amata amica. 
Erano appena passate le ventidue quando la donnina bionda sui cinquant’anni aveva valicato l’ingresso del piccolo multisala per poi aprire la prima porticina nera sulla sua destra che portava direttamente in sala regia. 
«Eccomi» disse Kelly dopo aver salito una miriade di scalini. L’ambiente che si aprì davanti a lei era quasi totalmente al buio eccetto i diversi monitor che si trovavano davanti a Camilla. La donna era seduta su una sedia girevole, di fronte a sé disponeva di diversi mixer, video e le registrazioni delle telecamere che erano puntate sull’ingresso del cinema e nelle sale proiezioni. 
«Eccoti finalmente» disse poi la donna vestita esclusivamente di nero come la tappezzeria.
Kelly le si avvicinò con passo svelto e, abbassandosi alla sua altezza, la abbracciò dal dietro. Nella stanza regnava il silenzio e un odore stantio sembrava essersi appicciato alle pareti rendendo fastidiosa l’aria. 
Camilla si alzò dalla sua sedia, si girò vero Kelly per stamparle un bacio sulle labbra, le accarezzò i capelli e la strinse forte a sé, tanto che il profumo al gelsomino dell’amica le entrò violentemente nelle narici. 
«Come è stata la tua giornata?» le chiese poi.
«Come tutte le altre» rispose Kelly.
«E Robert?»
«È al lavoro.»
La donna bionda si staccò dall’amante e il suo sguardo venne catturato da uno dei monitor: la ripresa della telecamera di sorveglianza era puntata su suo figlio Peter e sulla sua fidanzata Rachel. Il video segnava le ore ventidue, trentatré minuti e quarantuno secondi.
Kelly avrebbe dovuto aspettare il termine della proiezione prima di poter lasciare il cinema senza essere vista dal figlio. 

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