full metal fear

di devil_may_cry_wrath_92m
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** incubi notturni ***
Capitolo 2: *** una nuova missione ***
Capitolo 3: *** JACK IN THE BOX ***
Capitolo 4: *** PRELUDIO A UN' INCUBO ***
Capitolo 5: *** UNO STRANO TESTIMONE ***
Capitolo 6: *** RISONANZA ***
Capitolo 7: *** MORIRE DI PAURA ***
Capitolo 8: *** IL PRIGIONIERO ***



Capitolo 1
*** incubi notturni ***


Aveva sempre adorato i girasoli, non poteva farci niente gli piacevano troppo, gli ricordavano il caldo tepore dell’estate e la sicurezza della luce del sole. Peccato solo per due cose, la prima era che era notte e la seconda che si era persa nel bel mezzo di un bosco. Suo padre glielo aveva sempre detto di non uscire dalla base militare dopo l’imbrunire, che era pericoloso per una bambina di cinque anni, ma lei si era sempre detta che cosa poteva succedere ad Okinawa, soprattutto nei pressi di una base piena di soldati armati e poi uno dei figli degli ufficiali, con cui aveva stretto amicizia, gli aveva detto che oltre il bosco c’era un bellissimo campo di girasoli e quindi lei aveva fatto una cosa che non aveva mai fatto prima d’ora: disubbidire ai suoi genitori. Era uscita dalla finestra della sua camera che dava sul retro dell’edificio dove alloggiavano le famiglie degli ufficiali, ed era uscita da un buco nella recinzione che dava direttamente sul bosco. Nell’eccitazione “della grande avventura” non aveva però pensato a due cose: la sua totale mancanza di orientamento e la sua goffaggine; incespicò due volte di seguito finendo con la faccia a terra e dopo un quarto d’ora si era persa e quel che era peggio, era uscita dalla base che erano le sette di sera ma c’era ancora un po’ di luce ma adesso il buio era completo, per quel che ne sapeva potevano essere le nove o le dieci di sera, non che gli importasse molto in quel frangente. Voleva solo tornare a casa, ma quale era la direzione? Sentiva fruscii, rumori e aveva fatto quello che non avrebbe dovuto fare: farsi prendere dal panico; era scappata urlando in un’altra direzione perdendosi ancora di più , fu in quel momento che sentì qualcosa un rumore, ma questo era diverso dagli altri, sembrava come un gorgoglio e al tempo stesso una voce, flebile ma pur sempre una voce umana. La bambina, spaventata e desiderosa che qualcuno la trovasse si diresse verso quel rumore, scostò del fogliame e quello che vide la lasciò atterrita: una radura e in mezzo ad essa c’erano due persone, una era una giovane donna dai capelli neri, carnagione olivastra, con degli abiti che la madre della piccola avrebbe definito “succinti”, era piena di graffi sulle gambe e sulle braccia e il suo sguardo sembrava come in preda al terrore più completo ma anche sbarrato, vitreo, come rassegnato a quell’orrore indicibile che doveva aver dovuto affrontare, eppure quando vide la bambina sembrò risvegliarsi e le mormorò qualcosa che poteva essere un aiutami, solo che la bambina era troppo terrorizzata dall’altro individuo che era sopra la donna. Definirlo individuo era faticoso, era più una sorta di creatura uscita da un incubo era magrissimo, la pelle aveva un colore cadaverico e quella era l’unica cosa del suo fisico che la bambina ricordava il resto erano i suoi abiti. I pantaloni erano marrone scuro, cinti da una specie di corda, il braccio destro , magro e bianco cadaverico, era ricoperto da dei tubi che finivano in quella che si poteva definire la sua mano: un artiglio fatto con quelle che sembravano siringhe piene di un liquido arancione che brillava nel buio ma l’aspetto di quell’essere non era niente paragonato alla sua faccia. Non era proprio una faccia era più una sorta di maschera a forma di cappuccio, dove ci sarebbe dovuto essere il volto c’era un’ incrocio tra una maschera antigas e quello che sembrava la faccia di uno di quegli spaventapasseri che si mettono nei campi per spaventare gli uccelli. Tra i bocchettoni della maschera le “labbra” di quell’essere erano cucite e questo gli dava un ‘aspetto ancor più terrificante soprattutto per gli occhi, la bambina non sapeva se era per il buio ma sembrava che quell’essere non avesse gli occhi. Tutto questo era avvenuto in un’istante , la donna chiese con una flebile voce aiuto guardando la bambina, poi quella creatura alzò lo sguardo verso la nuova arrivata e piantò il suo artiglio nel petto della donna, la bambina sentì prima una specie di debole fischio proveniente dalla mano di quell’essere, poi le urla di quella povera donna; un grido straziante, di puro terrore e quando la bambina fuggì spaventata sentì dietro di lei oltre all’urlo della donna la risata beffarda di quel mostro. Correva e sentiva nelle sue orecchie quell’urlo e quella risata, poi inciampò e cadde per terra solo che questa volta non era incespicata per qualcosa ma per qualcuno. Accanto a lei a terra, c’era il cadavere di un uomo, giovane sui vent’anni e anche lui aveva lo stesso sguardo di orrore e paura che aveva quella povera ragazza, solo che lui era morto, il taglio sulla gola e il sangue che ne usciva ancora erano molto chiari su come era morto. La piccola lo guardò terrorizzata e fece per urlare solo che prima che potesse farlo venne presa, sollevata da terra e sbattuta contro un albero come se fosse stata una bambola di pezza. E a tenerla ferma c’era quella creatura, quel mostro che la fissava. I suoi occhi erano azzurri, prima erano nascosti dal buio e dalla sua maschera ma ora la bambina li vedeva chiaramente. “Non avresti dovuto” disse quella creatura, la sua voce era calma ,profonda ma al tempo stesso fredda come un pezzo di ghiaccio. La piccola sentì di nuovo quel fischio provenire dall’artiglio di quel mostro e capì che cosa stava per accaderle: sarebbe morta come quella povera donna. La creatura guardò la bambina, capelli lunghi di un ‘ insolito colore lillà, vestita con un’ incrocio tra una gonna e una saloppette. “Come ti chiami?” “M-mi chiamo Teletha Testarossa” A quel nome , il mostro sembrò sorpreso, poi scoppiò in un accesso di risa e disse: “Davvero?! Che fortunata coincidenza! Credo che sarà davvero divertente” alzò il braccio artigliato e fece per colpire la bambina ma in quel momento diverse voci che chiamavano la piccola cominciarono a frasi sentire, insieme a delle luci provenienti da delle torce. La creatura guardò verso quelle luci e Teletha notò che al collo aveva come una sorta di cappio la cui corda era stata tagliata all’altezza dei pettorali. Il mostro la lasciò cadere per terra la guardò dall’alto della sua statura, sembrava un falco che guardava un piccolo coniglietto prima di piombare su di lui e divorarlo “Ti è andata bene, non ti ucciderò ma se provi a raccontare ciò che hai visto stanotte, conoscerai la vera paura!” detto ciò la creatura prese da dietro la schiena un sacchetto, ne estrasse una polvere dello stesso colore della sostanza nelle siringhe e la gettò in faccia a Teletha prima che questa potesse fare qualcosa. All’improvviso tutto cambiò, gli alberi sembravano diventati dei mostri giganteschi e spaventosi che la guardavano ghignando, il cielo da nero sembrava diventato color rosso fuoco e sulla terra l’ombra di quell’essere ricopriva tutto. Poi l’ombra si staccò da terra e divenne una versione gigantesca di quell’essere solo che adesso i suoi occhi da due pozzi scuri e neri sembravano due tizzoni ardenti che bruciavano incastonati nelle orbite. La sua voce sembrava ora forte come una tempesta: “Tu non dirai a nessuno di me o di quello che hai visto o verrò a trovarti e a ucciderti mentre dormi!” La bambina lanciò un urlo e si raggomitolò su se stessa però chiese con un filo di voce: “M-ma tu chi sei?” “Sono l’uomo vuoto, sono il mostro sotto al tuo letto, sono l’uomo nero!” una risata beffarda e poi solo il rumore di un vento fortissimo fu quello che sentì Teletha. Poi fu la volta di una voce familiare che la chiamava: era quella di suo padre: “Teletha, Teletha!” ma lei non alzò la testa e non rispose, troppo spaventata da quello strano essere e dall’incubo in cui si sentiva intrappolata poi sentì un’altra voce che la chiamava, anche questa Teletha la conosceva ma questa voce la chiamava : “Colonello!” In quel momento, undici anni più tardi e nel suo alloggio sull’Isola di Merida, il colonello Teletha Testarossa, comandante in capo delle forze armate della Mithril nell’ oceano pacifico occidentale , si svegliò nel suo letto.

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Capitolo 2
*** una nuova missione ***


“Colonello si sente bene?” la voce del tenente colonello Richard Mardukas tradiva la sua apprensione. Era raro percepire da lui ansietà di solito era calmo e padrone di sé e delle sue emozioni ma non in quel momento, in quel frangente era accanto al letto del colonello e la scrollava, con uno sguardo preoccupato, per svegliarla “Sì, sì sto bene, grazie tenente colonello Mardukas” disse iTestarossa con il suo ritrovato sorriso. Mardukas, vedendo che il colonello stava bene e accorgendosi che lei indossava il pigiama mentre lui l’uniforme e che era entrato nei suoi alloggi senza chiederle il permesso, si mise sull’attenti e disse: “Le chiedo scusa per il mio comportamento, si senta libera di darmi la punizione che lei ritiene necessaria!” a quelle parole Tessa, il suo soprannome con cui molti suoi amici la chiamavano, disse con una leggera risata: “No, Mardukas non è successo niente. Anzi la ringrazio per avermi svegliata” Mardukas sciolse la posizione dell’attenti e disse: “Stavo venendo per consegnarle i rapporti sull’ultimo controllo dei motori del de Daanan, quando l’ho sentita urlare e mi sono preoccupato” “Non era niente, solo un brutto sogno” disse Tessa. Mardukas conosceva il suo colonello da molto tempo, era amico di suo padre dopo che lui gli aveva salvato la vita, e l’aveva vista diventare quella che era adesso: il colonello della Mithril e colei che aveva progettato uno dei grandi e potenti sottomarini della storia: il Tuatha de Danaan. Era suo vice da parecchio tempo e sapeva quando lei gli nascondeva qualcosa e quello era uno di quei momenti, qualsiasi cosa avesse sognato non poteva essere classificato solo come un brutto sogno. “Ero venuto anche per informarla che abbiamo ricevuto una richiesta di soccorso provenire da una nostra caserma nel Pacifico, sull’isola di Berlidaob” A quelle parole, il colonello si mise in piedi e mutò sguardo; quella che prima era una ragazzina sedicenne con un sorriso e uno sguardo dolce si mutò in un’ufficiale dallo sguardo serio e dal tono di voce marziale. “Si sa qualcosa ?” “Non molto il messaggio è confuso. Io, il maggiore Kalinin e il tenente Clouzot, la stiamo aspettando nella sala comunicazioni per farglielo sentire” “Sarò lì tra poco” Dieci minuti più tardi il colonello entrava nella sala comunicazioni indossava la sua uniforme un giacca e tailleur colore marrone chiara con il logo della Mithril sul braccio destro: una spada alata sopra uno scudo bianco. I suoi lunghi capelli color lillà erano raccolti in una treccia e sopra la testa portava un fiocco blu scuro. Nella stanza c’erano Mardukas, il maggiore Kalinin e il tenente Clouzot. Kalinin era un russo sulle soglie della sessantina, capelli lunghi e bianchi raccolti in un codino e una barba anch’essa bianca , Clouzot invece era sulla trentina, carnagione scura, capelli neri tagliati a spazzola e una uniforme militare verde oliva, in alto a sinistra sul suo petto capeggiava una spilla con su scritto SRT (Special response team) era a capo della squadra che di solito veniva usata sul campo per eliminare i vari obbiettivi, gruppi terroristi, distruggere fabbriche di droga eccetera, questo faceva la Mithril mercenari che non patteggiavano né per gli Stati Uniti né per l’Unione Sovietica, andavano dove c’era bisogno venivano da alcuni definiti i difensori della giustizia. Mardukas, si toccò gli occhiali che portava sul naso prima di fare il saluto come gli altri che erano nella stanza, quando il loro comandante entrò nella stanza lei ricambiò il saluto e poi domandò : “Aggiornatemi” Kalinin rispose: “Ebbene alle ore 00:30 è arrivato questo messaggio” premette un pulsante su una console lì vicina e dallo schermo a muro a destra dei presenti apparve l’immagine di una piccola isola e accanto ad essa uno schema vocale da cui partì una registrazione il suono era disturbato ma il messaggio era abbastanza chiaro: “Qui è il tenente Daniele Briash comandante della caserma dell’isola di Berlidaob, non riusciamo a capire che cosa succede ma sembra che qualcosa o qualcuno ci stia attaccando è cominciato tutto a mezzanotte in punto, all’inizio sembrava solamente una strana sensazione ma… ma a un certo punto è accaduto qualcosa … e … non riusciamo a capire cosa… abbiamo subito gravi perdite, i nostri uomini cadono uno dopo l’altro e…” a quel punto si sentì il rumore di una porta che veniva aperta e il messaggio continuò: “Tu?!... ma cosa? Come?…. NO,NO, NO AIUTO, AIUTOOOO AAAAAHHHH….” Qui il messaggio si interruppe . Tutti rimasero impassibili anche se qualcosa nei loro volti era cambiato. Mardukas, aveva stretto gli occhi, Kalinin si toccò la barba con fare pensoso solo Clouzot e Testarossa dimostrarono una leggera preoccupazione nei loro occhi. “Immagino che abbiate controllato con il satellite quello che è successo sull’isola” “Certamente” rispose Clouzot “e purtroppo non sono buone notizie. La scansione termica mostra solo un grande incendio ma nessuna forma di vita” Testarossa rimase sorpresa, c’erano almeno venti uomini nella caserma dell’isola di Berlidaob e qualcosa o qualcuno non bene identificato li aveva uccisi tutti in meno di mezz’ora ed era sparito. Come era possibile? Si domandò Testarossa, anche se il nemico avesse usato un AS (Arm Slave) era impossibile che un robot/esoscheletro di quasi sei metri sparisse in così poco tempo, un attacco a distanza? Possibile ma con che cosa? Troppe domande Testarossa doveva vedere di persona. “Preparate il de Danaan. Andremo a vedere cosa è successo” “Già fatto colonello, mancano le ultime procedure e saremo pronti tra cinque minuti” disse Mardukas Tessa non fu sorpresa, conosceva bene l’efficienza del suo vicecomandante e sapeva di poter sempre contare su di lui come su tutti gli altri membri del suo equipaggio.

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Capitolo 3
*** JACK IN THE BOX ***


Il de Daanann, un sottomarino che aveva dell’incredibile, unico nel suo genere, lungo duecento diciotto metri, dotato di una piattaforma di lancio da cui erano in grado di partire sia elicotteri da combattimento che gli AS, sistema di occultamento e venti camere di lancio per siluri. Poteva lanciare missili da lunga gittata come i cruse ai siluri harpoon, per non parlare di varie altre tipologie di granate oltre al fatto che i suoi motori lo rendevano oltre che il più veloce sottomarino esistente al mondo anche il più silenzioso, la sua capacità di arrivare alle spalle non visto a diversi sottomarini americani e sovietici gli avevano fatto guadagnare il nome di toy box. La sua ampiezza poteva garantire l’alloggio a ben duecentocinquanta persone e l’hangar ospitava ben sei arm slave oltre che alcuni elicotteri da combattimento. Tra i vari tecnici che si stavano occupando della manutenzione degli AS c’era un certo fermento, segno che la partenza degli AS era alle porte infatti anche tre piloti di quelle macchine si stavano preparando, la missione non richiedeva molti uomini quindi soltanto tre bastavano e avanzavano, i soldati scelti per andare a controllare cosa era successo in quella base erano il sergente maggiore Melissa Mao una sino- americana di venticinque anni, con i capelli neri tagliati a caschetto e gli occhi di un’ insolito colore viola era una veterana in quel lavoro ma il suo fisico provocante l’aveva purtroppo resa il bersaglio preferito del secondo soldato con cui doveva fare questa missione, Kurz Weber un tedesco di vent’anni con i capelli lunghi e biondi e gli occhi azzurri, un bel ragazzo ma ogni volta che apriva bocca era un fastidio, Mao sapeva però che sotto quella figura da pagliaccio c’era un’ ottimo soldato e un cecchino formidabile, ma in quel momento a causa di un commento sul suo sedere si era preso una gomitata nello stomaco che aveva fatto piegare il biondo in due il terzo del gruppo si limitò a ignorare questa consueta scenetta, Sosuke Sagara, questo era il suo nome era il più giovane del gruppo anzi, di tutta l’SRT, giapponese, sui sedici anni, capelli e occhi castani con una vistosa cicatrice sulla guancia sinistra, sguardo freddo e duro ma comunque considerato uno capace di sopravvivere anche se avesse fatto una maratona in un campo minato ed era vero, si erano perse le volte che quel ragazzo aveva rischiato di morire e ne era sempre uscito vincitore anche se la sua totale incapacità di capire le battute lo avevano fatto diventare una specie di zimbello sia Kurz che Mao lo chiamavano soldato sempre imbronciato ma lui non se ne curava. “Allora Voi due tutto chiaro?” disse Mao mentre si metteva il casco per pilotare il suo AS “Certo sorellina Mao” rispose Kurz usando il nomignolo con cui era solito chiamare Melissa “Sì , affermativo” rispose Sosuke con il suo solito fare da soldato “Entriamo, controlliamo cosa è successo e poi ci andiamo a fare un bicchierino” disse Kurz scherzosamente “Stupido! Cerca di non prendere questa missione sottogamba, non sappiamo chi dovremo affrontare” gli rispose piccata Mao “Andiamo sorellina! Sarà una cosa da niente per noi” “Una cosa da niente?! Venti morti, una caserma distrutta e tu questo lo chiami niente? Kurz a volte mi chiedo se tu abbia più palle che cervello” “Vuoi scoprirlo?” disse il biondo con un sogghigno malizioso un’ attimo prima che il calcio volante di Mao lo colpisse sotto il mento facendolo cadere a terra “Avete finito?” disse la voce metallica di Kalinin che aveva assistito a quello spettacolo. Mao fulminò Kurz con lo sguardo sapendo che al ritorno si sarebbe dovuta sorbire una lavata di capo per il comportamento del suo subordinato ma ebbe la freddezza di mettersi sull’attento come Sosuke e rispondere: “Sì signore ” “Bene, fate quello che vi è stato ordinato, entrate e scoprite che cosa è successo sull’isola di Berlidaob e tornate con qualche informazione in più” “Si signore” rispose Sosuke. “Uruz two arrivato” disse Mao all’interno del suo AS parlando alla radio collegata al centro comunicazioni del deDaanan “Uruz six arrivato” disse Kurz “Uruz seven arrivato” disse Sosuke i tre AS erano rilasciati nel mare e avevano proceduto a nuoto fino alla spiaggia dell’isola “Tutto tranquillo?” chiese la voce del colonello Testarossa nella radio “Per adesso nessuna sorpresa” gli rispose Mao “Uruz six, vedi niente?” “Per adesso no però… aspetta un momento” L’AS di Kurz si mosse verso la salita andando verso la base “Che cosa hai visto?” chiese Mao “Mi è sembrato di vedere qualcosa lassù” “Ti devo raggiungere?” “No penso che non ce ne sia bisogno” “Se succede qualcosa avvertici” “Ti preoccupi per me Sorellina? Sono onorato” “Idiota! Se ti succede qualcosa poi toccherà a me compilare le scartoffie al posto tuo” “Ah, ecco!” Sosuke non ci faceva caso ormai, sapeva che quel loro battibeccare era normale amministrazione, piuttosto era curioso di sapere che cosa era successo in quella base, poche erano le cose che avrebbero potuto sorprenderlo e venti soldati morti in meno di mezz’ora era una di quelle, soprattutto perchè conosceva il loro comandante, il tenente Daniele Briash, era al centro di reclutamento della Mithril con lui e sapeva che era uno in gamba quindi che cosa poteva averlo ucciso insieme ai suoi uomini? “Ma che diavolo?! …oh merda!” “Kurz che cosa succede?” dissero all’unisono Sosuke e Mao “Ragazzi, questa la dovete vedere” i due procedettero spediti verso la base e in poche falcate arrivarono dove era il loro compagno, nel bel mezzo della piazza della caserma davanti al pennone a cui era attaccata una bandiera con il logo dell’ONU, e alla base di essa c’era qualcosa che sembrava un corpo umano anche se quando Sosuke e Mao lo videro, una volta scesi dai loro AS, come il loro compagno, fecero fatica a definirlo corpo umano. Sembrava che qualcuno lo avesse preso inchiodato a due pali messi in croce, copertolo con un telo e come colmo dell’ironia messogli un cappello in testa, sembrava un macabro spaventapasseri. Quando gli levarono il cappello, i tre mercenari, videro con orrore che la testa era mancante, ma spostando il telo videro il suo nome sulla divisa militare DANIELE BRIASH. “Merda!” disse Mao “Già, quello che ho detto anche io e senza bisogno di spostare il cappello” “Chi può aver fatto questo?” “No la domanda giusta è come è riuscito a farlo” disse Sosuke alla sua compagna “E’ entrato, ha ucciso tutti, e ha avuto anche il tempo di fare questa macabra sceneggiata” “Credi che fosse un’ uomo solo Sosuke?” chiese Mao incredula “Le tracce non mentono. Guardate, a parte le impronte di stivali militari che corrispondono a quelli che abbiamo in dotazione noi non ci sono impronte di altre persone a parte queste” disse il giapponese indicando delle impronte più piccole rispetto a quelle dei grandi stivali militari “ Direi che calza il quarantadue, è di altezza media e trascina un po’ le gambe” “E un uomo solo ha fatto questo?!” disse Mao sempre più incredula , aveva visto molte cose strane nella sua vita ma che un’ uomo solo potesse ucciderne venti ancora non lo aveva visto “Sì sorellina Mao e ha fatto anche di peggio, Venite qui!” Kurz era entrato nella caserma e dal tono che aveva doveva essere successo qualcosa. Mao e Sosuke lo raggiunsero con due fucili che avevano preso dagli scomparti dei loro AS ma quello che videro li lasciò di stucco: l’intero corridoio di ingresso era lastricato di cadaveri e tutti erano di soldati della Mithril ma non riuscivano a capire come era possibile, alcuni sembrava che si fossero sparati un colpo in testa, altri avevano le budella di fuori e il coltello in mano sembrava suggerire che si fossero aperti il ventre da soli, un altro, che sembrava un tecnico, si era bucato il cranio con un trapano elettrico che era accanto a lui, c’erano delle donne ufficiali e anche queste erano morte. Avevano il volto tumefatto e ridotto in poltiglia, sembrava che fossero state prese a pugni chiaramente dagli uomini che erano sopra di loro e anch’essi erano morti con una pallottola nel cuore, sembrava che le donne prima di morire si fossero difese uccidendo i loro carnefici ma erano morte anch’esse a causa delle ferite. “Ma che cazzo?...” disse Kurz “Non lo so Kurz, che cosa è successo ma sarà il caso di chiamare la base” “Ehi Mao, e questo?” Sosuke aveva chiamato il suo superiore, indicando una scritta sul muro fatta con il sangue da un soldato morto lì accanto, la scritta era tremolante ma comunque chiara SCARECROW. “Spaventapasseri?! Ma che cosa vuol dire?” “Forse ha qualche attinenza con il cadavere del tenente che abbiamo trovato fuori? Anche quello era vestito come una spaventapasseri” chiese Sosuke “Sì forse” “Ehi ragazzi, venite a vedere!” Kurz aveva chiamato i suoi compagni e questi lo seguirono fino a quella che sembrava l’ufficio del tenente Briash, mente si avvicinavano sentivano come una sorta di musica, sembrava quelle musiche che si sentivano nei circhi o sulle giostre per bambini. Quando entrarono nell’ufficio si trovarono davanti a Kurz che stava fissando una sorta di scatola nera con una manovella che si muoveva da sola, era da quella scatola che proveniva la musica “Uruz six non toccare niente!” disse Mao al suo compagno “Non ho fatto niente, questo coso ha cominciato a suonare non appena sono entrato” “Come?” Mao si era messa davanti a Kurz e in quel momento la musica cessò, la scatola si aprì con un rumore metallico e dal coperchio uscì un pupazzo a molla, un Jack in the box, uno di quei babau che si usano per spaventare i bambini, uno scherzo, solo che né Sosuke né Mao né Kurz ridevano soprattutto vedendo come era fatto il pupazzo a molla ,uno spaventapasseri con tanto di falce da triste mietitore e sopra questa falce c’era un foglio : CIAO SIGNORI DELLA MITHRIL COME VA? QUESTO è IL MIO PRIMO AVVERTIMENTO”

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Capitolo 4
*** PRELUDIO A UN' INCUBO ***


LICEO JINDAI, TOKYO IL GIORNO DOPO: “Sosuke, qualcosa non va?” Domandò Kaname Chidori al suo compagno di classe, “No, nessun problema” gli rispose il mercenario senza nemmeno un cenno della testa. Kaname sospirò, portando una mano dietro la testa e toccandosi i suoi lunghi capelli di un’ insolito colore azzurro. Sapeva tutto del suo compagno, incluso che era un mercenario incaricato di proteggerla perché lei era una whisperd, una persona la cui mente conosceva segreti che potevano permettere lo sviluppo di armi tecnologicamente superiori perfino alle armi nucleari, sapeva anche della Mithril e che il superiore di lui era una whisperd e infine sapeva che lui gli stava mentendo. Conosceva tutto di Sosuke, incluso quando gli raccontava una panzana. “Bugiardo, quando menti non guardi mai qualcuno negli occhi” “No, ti sbagli stavo solo pensando…” “A cosa?” “Che sarebbe facile per un cecchino colpirti da q….” L’harizen, che Chidori aveva tirato fuori dalla sua uniforme, colpì Sosuke alla testa facendolo sbattere contro il banco su cui era seduto, con la fronte. I loro compagni non guardarono nemmeno, abituati a quel siparietto tragicomico che ormai conoscevano così bene; tutti quanti, inclusa Chidori, sapevano che Sosuke era un tipo fissato con la guerra che vedeva pericoli mortali ovunque e l’entità dei danni alla scuola da lui provocati era tale da far venire i capelli bianchi a chiunque, l’ultimo era stato la distruzione di tutti i sistemi elettronici nella scuola per mezzo di una macchina che produceva EMP e lui si era giustificato dicendo che l’aveva fatto per una delle sue solite paranoie da guerrafondaio, anche se ciò aveva permesso la cattura di uno che stava stalkerando Chidori. Per fortuna, sua, nessuno aveva scoperto che lui era un mercenario della Mithril, a parte Kaname ovviamente. Sosuke, aveva preferito essere colpito alla testa da Chidori, facendo credere che non fosse niente, piuttosto che rivelargli la verità sulla sua ultima missione. Odiava mentirle e odiava in particolar modo nasconderle che lui sapeva mentire molto bene se le circostanze lo richiedevano. “Come, niente?!” aveva esclamato Mao “Proprio così sergente maggiore” disse il colonello Testarossa. Dopo che i tre erano tornati dalla missione portando il jack in the box e il misterioso messaggio, questi erano stati analizzati e nel mentre i cadaveri dei soldati nella caserma erano stati portati nel laboratorio del sottomarino per essere analizzati, anche la caserma era stata controllata ma dato che era stata data alle fiamme si sperava di trovare qualcosa sui cadaveri e sugli oggetti riportati con sé e invece … niente. “La scatola, aveva un congegno telecomandato che l’ha azionata a distanza, nell’ufficio del tenente Briash è stata trovata una microtelecamera. Chiunque sia stato ci stava aspettando e ha allestito questo spettacolo per noi, però a parte questo non c’era niente. Niente impronte sulla scatola, sulla telecamera, nella caserma, il foglio è stato scritto con un computer e stampato con una stampante qualunque” “Quindi non abbiamo niente?” disse Kurz alzando le braccia al cielo “Niente, a parte la certezza che questo è solo l’inizio” disse Sosuke “Esattamente, sergente Sagara” disse Testarossa “E gli esami dei corpi?” disse Mao “La dottoressa Goldberry dovrebbe arrivare qui a momenti” in quel preciso istante, la porta della sala del brifing si aprì e una donna afroamericana, sui quaranta con indosso una uniforme da ufficiale della Mithril e un camicie da medico entrò. “Allora Peggy, hai scoperto qualcosa?” esclamò Weber con la sua solita enfasi, Clouzot, che era dietro di lui gli diede uno scappellotto dietro la testa per ricordargli che era compito del colonello rivolgere queste domande all’ufficiale medico. Il colonello si rivolse al tenete chiedendo con maggiore correttezza se gli esami dei cadaveri avevano portato a qualcosa ma la risposta lasciò tutti di stucco. “Mi dispiace, ma non ho idea di che cosa sia successo” “Cosa?” dissero Mao e Clouzot all’unisono “I cadaveri, quelli mutilati, Beh…. Era chiaro come fossero morti ma quello che era strano è proprio che erano morti suicidi. Ho controllato le loro cartelle cliniche e nessuno di loro aveva tendenze suicide o autolesioniste e anche quelli che hanno pestato le donne fino a ucciderle non avevano comportamenti violenti verso l’altro sesso. Ma quello che più mi ha lasciato perplessa…. Beh è meglio che vediate con i vostri occhi” Tutto il gruppo seguì la dottoressa Goldberry fino al suo laboratorio che fungeva anche da infermeria e lì trovarono il maggiore Kalinin e il tenente colonello Mardukas davanti a loro c’erano quattro tavoli coperti da dei teli azzurri e sotto i teli c’erano quattro cadaveri “Li ho informati di venire qui prima di andare da lei Colonello” disse il medico rispondendo alla domanda che il colonello stava per fargli. La dottoressa Goldberry si avvicinò ai tavoli e uno alla volta scoprì i cadaveri, due uomini e due donne, sui venticinque e sui trent’anni e uno di loro era Briash, la mancanza della testa permise a Sosuke, Kurz e Mao di riconoscerlo subito. Gli altri tre corpi avevano una cosa che macabramente li accomunava, i loro volti avevano conservato, grazie al rigor mortis, un’espressione di indicibile orrore, di terrore e di raccapriccio. “Beh, certo non hanno una bella espressione” disse Kurz anche se era chiaro che anche se faceva il buffone era impressionato come tutti, perfino Kalinin e Sosuke erano letteralmente a bocca aperta, loro avevano combattuto insieme in Afghanistan, avevano visto molte cose sui vari campi di battaglia ma questa…. “Ho fatto un’autopsia completa, ho controllato il loro sangue per vedere se gli avevano somministrato qualche droga ma niente che spieghi il perché il loro cuore si è fermato!” “Anche quello del tenente Briash?” “Sì tenente Clouzot, la testa del tenente Briash è stata asportata post mortem, lo conferma la mancanza di sangue che avrebbe dovuto esserci sui vestiti o sul telo, e chiunque gliela abbia tagliata sé l’è portata via,visto che la squadra che ha riportato i cadaveri non l’ha trovata” “Fulmini! Piuttosto macabro il nostro amico. Ma… un momento, hai detto che il loro cuore si è fermato?” disse Mao “Proprio così. E siccome non ho trovato tracce di nessuna droga nel loro sangue, sono senza parole. A quanto pare questi uomini e queste donne sono…. Letteralmente , morti di paura” “Morti di paura?! Ne è certa dottoressa?” disse Testarossa che fino ad ora era rimasta in silenzio ad ascoltare “Sì e non capisco cosa li abbia terrorizzati. Erano giovani e forti eppure i loro cuori si sono fermati a causa di grave shock” Dopo essere usciti dall’laboratorio tutti erano in silenzio e molto pensierosi. Chi o che cosa poteva, da solo, aver fatto quella mattanza? Che cosa poteva spingere venti soldati ad autoinfliggersi la morte, ma soprattutto come potevano quattro di quei soldati, persone giovani e forti, essere morti di paura? Dopo che era tornato al suo incarico di protezione di Chidori, a Tokyo , Sosuke aveva provato a non pensare alla sua ultima missione, ma tutto quello che aveva visto lo aveva lasciato sorpreso e pieno di domande di cui una spiccava maggiormente: quale sarebbe stato il prossimo avvertimento? Questo pensiero non lo lasciava neanche un minuto e fu solo quando sentì la voce di Chidori che lo chiamava che si era risvegliato da quei tristi pensieri. Ovviamente non aveva pensato al colpo in testa, ma ormai c’era abituato, anzi era meglio che fosse stato colpito, aveva bisogno di qualcosa che lo riportasse alla realtà e le botte di Chidori era il meglio che ci fosse. Kaname, a volte non capiva non capiva Sosuke. Lo conosceva abbastanza da definirlo un amico ma quando cominciava a dire quelle sciocchezze da guerrafondaio senza preoccuparsi dei suoi sentimenti, sembrava un’insensibile. Ovviamente sapeva che non lo faceva apposta, ma era questo che la faceva impazzire di più anche se non capiva perché o forse lo sapeva e non voleva ammetterlo. Forse doveva dirglielo che per lei, lui era più di un amico, era quasi riuscita a dirglielo ad Hong Kong ma poi il suo orgoglio glielo aveva impedito, e adesso non riusciva a dirglielo a causa del bacio datole da Leonard Testarossa. Quello era stato il suo primo bacio e glielo aveva rubato quel tipo, un ’individuo veramente rivoltante; sotto quei suoi modi gentili, Chidori sentiva solo una grande ipocrisia, come se lui volesse qualcosa da lei ma che cosa? “Piccola Kana tutto bene?” Chidori si risvegliò da quei pensieri quando la sua migliore amica Kyoko Tokiwa l’aveva chiamata con il suo soprannome, Chidori si voltò e guardò alla sua sinistra, una sedicenne, con occhiali e treccine la stava fissando con uno sguardo preoccupato “Ma certo che sto bene Kyoko perché?” “Beh… ecco… hai scritto delle cose strane sul tuo quaderno” “Ma… ma che cosa dici? Quali cose…” il volto di Chidori mutò in sorpresa mista a paura. La pagina del suo quaderno, su cui era, era piena di parole che lei non si ricordava di avere scritto. Non riusciva a capire, da quando in Corea del nord le sue abilità di whisperd si erano risvegliate aveva cominciato a capire cose che prima, lei che era negata per la scienza, non comprendeva ma mai aveva fatto questo, il suo quaderno era pieno di parole che non capiva perché la terrorizzavano, gli bastava sfiorare quelle parole, che sembravano come incise in un muro e lei sentiva crescere, la paura, l’ansia dentro di sé per qualcosa o qualcuno. “Chidori, che cosa c’è?” Sosuke si era avvicinato, richiamato dallo strano comportamento di Tokiwa e quello che vide su quel quaderno della sua compagna lo lasciò sorpreso. C’erano immagini di una strana cosa che poteva sembrare uno spaventapasseri ghignante e una parola ripetuta più e più volte: STA ARRIVANDO!

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Capitolo 5
*** UNO STRANO TESTIMONE ***


Era passato un giorno da questi eventi e ancora gli agenti investigativi della Mithril stavano ancora cercando prove sull’ isola, ma niente, avevano chiesto anche ad alcuni pescatori che transitavano nella zona se avevano visto una barca o una nave allontanarsi verso quell’ora di notte, ma nessuno aveva visto niente. “Io dico che stiamo perdendo tempo. Cosa vuoi che sappia quel vecchietto?” disse Kurz a Mao, anche loro erano stati mandati a fare delle indagini, perciò erano vestiti con abiti civili in modo da non dare troppo nell’occhio. Ma comunque non avevano cavato un ragno dal buco, l’unica notizia interessante che avevano scoperto è che forse c’era un pescatore che quella notte aveva assistito a qualcosa di strano sull’isoletta dove abitava e siccome quell’isoletta era poco distante a Berlidaob, i due avevano deciso di approfondire la cosa, anche se gli era stato detto che il vecchio Seiji, questo era il suo nome, non era molto affidabile dato che era sempre attaccato alla bottiglia, ma comunque, le persone con cui i due avevano parlato, dissero che Seiji era cambiato di molto da quella notte; era un tipo sempre allegro, un chiacchierone ma da ieri, a parte una visita in paese, non era più uscito dalla sua capanna sull’isoletta dove stava e agli inviti dei suoi amici di uscire a bere qualcosa con loro, aveva risposto in un modo che mai aveva usato prima d’ora ma che fece capire che non voleva essere disturbato. Kurz e Mao, a bordo della barchetta che avevano preso a noleggio, erano arrivati sulla spiaggia dell’isola di Seiji e stavano mettendo in secca la barca, quando vennero accolti dal “nuovo modo usato dal vecchio per accogliere i visitatori” ovvero un colpo di fucile che fece scattare i due mercenari a terra in un lampo. “Cavolo! Ma questo cosa pesca, squali?!” disse Kurz dopo aver sputato un po’ di sabbia che gli era finita in bocca “Si vede che si aspetta dei guai” disse Mao mettendo mano alla pistola che portava nella fondina ascellare sinistra. Prima di sparare però urlò in direzione della capanna del vecchio: “Ascolti, vogliamo solo parlarle!” la risposta fu: “Andatevene maledetti demoni, non mi porterete da lui!” e giù altri colpi, per fortuna erano tutti in aria. “Addio alla tranquilla chiacchierata e adesso?” disse Kurz, per tutta risposta Mao gli passò la pistola e gli disse: “Tienilo impegnato, io faccio il giro e lo prendo alle spalle” “Non farti uccidere” “Vale anche per te” rispose Mao con un sogghigno. Kurz salì e si sdraiò nella barca riuscendo a vedere e a colpire la finestra della capanna da cui partivano i colpi in modo tale che il vecchio non potesse sparare, non aveva avuto difficoltà a salire sulla barca lo aveva sentito prima, la sua era la voce di un’ ubriaco forse poteva anche fargli saltare il fucile di mano senza che Mao rischiasse troppo, ma conosceva la sua amica, orgogliosa come poche, ma era un lato di lei che adorava. Mao si mosse velocemente, fece alcuni passi verso il mare e poi andò a sinistra. In questo modo non era più visibile dalla capanna del vecchio. Strisciò lentamente nella sabbia bagnata per poi risalire quando fu all’altezza della baracca, a quel punto, vedendo che il vecchio stava rispondendo malamente al fuoco di Kurz, si mise in piedi e scattò verso la finestra. Kurz, vedendo Mao, smise di sparare e le permise di afferrare la canna del fucile del vecchio e strapparglielo dalle mani, contemporaneamente la mercenaria, scavalcò la finestra e saltò addosso a Seiji facendolo cadere a terra. “No, no, no, alla larga da me, mostro!” urlava il vecchietto tentando disperatamente da liberarsi di Mao, la quale oltre ad essere seduta sopra la sua grossissima pancia, gli stava stringendo i polsi. La donna non voleva essere troppo rude, quell’uomo avrà avuto una sessantina d’anni, lei ne aveva venticinque, era più atletica e forte di lui e fargli male non era nelle sue intenzioni, ma quando lui la chiamò mostro, gli strinse i polsi in modo tale che per il vecchio doveva sembrare che fossero in una morsa d’acciaio che si stringeva sempre di più, tanto urlava dal dolore. “Ehi, sorellina non esagerare” gli disse una voce amica alle spalle della donna. Kurz era lì con la pistola in mano che li fissava dalla finestra. Mao si calmò ,si alzò leggermente in modo tale da poter girare e ammanettare dietro la schiena, le braccia del vecchio. “Sei fortunato vecchio! Quello che ti è successo vorrei che capitasse a me, manette a parte ovviamente” Un’ attimo dopo il biondo era terra, con il segno del pugno della sua collega mercenaria in faccia. “Ora diamoci tutti una calmata! Non so per chi ci hai presi vecchio, ma non vogliamo farti niente, vogliamo solo parlare!” disse Mao facendo cadere a un centimetro dalla faccia del pescatore una banconota, vedendola, il vecchio sembrò calmarsi e Mao si rimise in piedi permettendo di rialzarsi anche al vecchio, seppur ancora ammanettato. Voltandosi, la mercenaria poté guardare in faccia quello strano testimone, grasso, con il collo taurino, stempiato, una barba incolta e il naso grosso e rubizzo che indicava che il passatempo preferito di Seiji più che pescare era controllare la schiuma delle birre nei bicchieri dei bar, Melissa scommise che se gli avesse tirato un cazzotto sul naso sarebbero usciti birra e sakè dalle orecchie. “Forse Kurz aveva ragione” si disse Mao, se quel tipo era la loro sola possibilità di capire cosa era successo sull’isola di Berildaob, stavano freschi. “Ascolta Seiji, questi sono mille yen e ne avrai altrettanti se ci dirai che cosa hai visto ieri notte sull’isola di Berlidaob” “io non sono andato all’isola di Belidaob” disse il pescatore visibilmente spaventato al nome di quell’isola. Era chiaro che mentiva e Mao era stanca di perdere tempo: “Raccontala a qualcun altro. Abbiamo parlato con quasi tutti i pescatori che girano in questa zona e ci hanno detto che solo tu eri vicino all’isola in questione, ieri verso mezzanotte” “Chi… è stato a parlare?” “Qui le domande le facciamo noi e ti avverto che siamo stanchi per essere stati fuori tutto il giorno a fare domande” disse Kurz, dalla finestra mentre puntava la pistola contro il vecchio. “Senti Mao, questo non parla che ne dici se lo ammazzo? Con la trippa che ha non faccio neanche tanta fatica a sforacchiarlo” “Ehi, un momento, senti bella non puoi permettere al tuo ragazzo di uccidermi” “ Bella?! Il mio ragazzo?! Kurz ammazzalo, da questo non ci caviamo niente, sicuramente era ubriaco” “No, non lo ero, io ho visto il demone fare la strage! Era per questo che vi ho sparato. Credevo che foste stati inviati da lui!” Kurz abbassò la pistola e si trattenne dal ridere. Il trucco aveva funzionato, anche perché non avrebbe potuto sparargli visto che la pistola era scarica. “Quale demone? Parla chiaro vecchio” “Toglietemi le manette e parlerò” “Va bene, ma se provi a fare il furbo e a mettere di nuovo mano al fucile giuro che ti gonfio quel culone di tante di quelle pedate da impedirti di usare le sedie per un mese intero” rispose la mercenaria. Il vecchio pescatore scrollò la testa, facendo capire che non intendeva nemmeno pensare a una mossa del genere. Mao gli tolse le manette e il vecchio si sedette su una sedia da giardino mezza sgangherata che cigolò pericolosamente sotto il suo peso. Seiji, prese una bottiglia di Sakè sul tavolo e se ne versò un bicchiere “Ehi, ci servi sobrio” disse il biondo “L’alcool mi aiuta a non ricordare e a tenere il pensiero del demone lontano da me?” “E’ la seconda volta che nomini questo demone, che cos’è?” chiese Mao “Ne ho parlato con alcuni poliziotti in paese ieri” “Che strano, a noi non hanno detto niente” disse Kurz “Forse perché non mi hanno creduto, ma in fondo chi mi crederebbe? Non ci credo nemmeno io!” “A che cosa?” Seiji si zittì, dubbioso e spaventato e guardò negli occhi i due mercenari, leggendo nei loro sguardi che era meglio se vuotava il sacco. Con un sospiro cominciò a parlare: “Ieri notte ero nella baia dell’isola di Berildaob. So che quella è una zona dove ci stanno dei soldati e che entro un certo limite è zona militare, ma lì c’è un posto dove si pesca bene se non ti fai beccare ed è stato allora che ho visto qualcosa” “Cosa?” domandò Mao “Una barca, una piccola barca a motore, guidata da un uomo solo, l’ho visto da lontano e mi è sembrato strano. Era ritto sulla barca ,magro, non so perché ma mi ha messo i brividi. Poi è sbarcato lì sulla spiaggia. Volevo dirgli di tornare indietro, che quella era zona militare ma ormai era sparito nel boschetto lì vicino” “E poi?” lo incalzò Mao, Seiji svuotò il bicchiere e se lo riempì di nuovo, il suo sguardo tradiva il terrore che provava nel ricordare quella notte. “Poi ho cominciato a sentire quelle urla. Erano spaventose, non ho mai sentito nessuno urlare così, poi c’è stata una esplosione e le fiamme si sono alzate in cielo . Non… non so perché invece di scappare mi sono voluto avvicinare all’isola per vedere cosa succedeva, sono sceso e mentre avanzavo nel boschetto verso la base militare ho … ho sentito le urla sempre più forti e… e… e voci, voci di uomini e donne che dicevano cose senza senso e quando sono arrivato l’ho visto!” “Chi hai visto?” domandò Mao, Seiji bevve e con un filo di voce disse: “Lui, il demone! Era lì davanti a me, illuminato dalle fiamme della base che aveva appena distrutto, aveva in mano una falce e con quella ha tagliato la testa a quel poveraccio privandolo sicuramente anche della sua anima, l’ho visto mettere sul quel cadavere mutilato quel panno e quel cappello e appendersi la testa di quell’uomo e ho visto la sua faccia. Non era la faccia di un essere umano, solo un morto o un demone possono aver quel volto e quegli occhi. Il volto era come ricoperto da un sudario, non aveva labbra e nemmeno il naso e i suoi occhi erano due tizzoni che bruciavano del fuoco dell’inferno, era un morto uscito da una tomba e il suo corpo era posseduto da un demone, ne sono certo! Sono scappato più veloce che potevo e dietro di me sentivo la sua risata, non la dimenticherò finché campo, una risata beffarda e spaventosa che solo un demone può fare” Seiji, era sudatissimo, mentre beveva ancora “Mi sono infilato a letto e ho avuto degli spaventosi, poi al mattino presto ho provato ad uscire e andare alla polizia ma…” “Ma non ti hanno creduto” concluse Mao “Esatto e… e… da ieri ho paura che quell’essere torni per me, non ho permesso a nessuno di avvicinarsi, ho caricato il fucile per difesa ed eccomi qui” Calò un grande silenzio e per cinque minuti nessuno disse niente, poi Mao si alzò, mise la seconda banconota da mille yen sul tavolo e disse: “Kurz andiamo” “Va bene” . “ Te lo avevo detto, tempo sprecato. Chissà che cosa si era bevuto ieri notte” disse Kurz al timone della barchetta “Non credo che fosse ubriaco” disse Mao seduta nel secondo posto del minuscolo natante “Cosa?! Andiamo sorellina, non dirmi che credi alla storia di Freddy Kruger che distrugge la caserma?” “Di certo c’è che qualcuno da solo ha attaccato e distrutto la caserma e questo di per sé è impossibile. Se poi tieni conto di come erano ridotti i cadaveri… qualche dubbio ti viene” “Wow, quindi dovremo affrontare un demone? Dovremo chiamare un’esorcista secondo te?” “Stupido! Non dico di prendere per oro colato quello che ci ha detto , ma qualcosa è successo su quell’isola ieri notte” “Già ma che cosa?” “Non lo so, ma sarà meglio tornare e fare rapporto al colonello” “Sempre ammesso che Tessa ci voglia credere. Questa è una storia che se la andiamo a raccontare al comando faremo ridere anche i muri, per fortuna la piccola Tessa è abbastanza gentile” “Non sempre” disse Mao con un sogghigno.

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Capitolo 6
*** RISONANZA ***


“Senti, ti ho detto che sto bene!” disse Chidori, esasperata. Era da ieri che si trovava Sosuke davanti a casa sua per accompagnarla a scuola. Va bene che facevano la stessa strada, ma trovarselo davanti alla porta di casa, con la sua cartella in una mano e la pistola nell’altra era troppo. Ieri, quando lo aveva visto davanti alla porta del suo appartamento in modalità “combattimento” gli aveva dato l’harizen in testa e urlatogli che non poteva andare in giro armato. Erano pur sempre in Giappone. “Chidori, quello che ti è successo l’altro giorno potrebbe ripetersi” “E allora pensi che con una pistola e il tuo fare da soldato non si ripeterà? Aaahh… a volte vorrei capire cosa passa in quella tua testa da fissato sempre in guerra” Sosuke non sapeva che cosa rispondere. Aveva ragione lei. Non era una cosa che si poteva risolvere con la sua esperienza da soldato, Chidori aveva scritto quelle parole STA ARRIVANDO più e più volte su quella pagina ma da allora non era successo più niente, solo che lui si sentiva così frustrato, c’era qualcosa di strano in quelle parole che avevano spaventato la ragazza e lui non sapeva come fare per proteggerla e poi c’era quello spaventapasseri che era stato disegnato insieme alle scritte… perché sembrava tutto collegato con ciò che Sosuke ava visto sull’ isola di Berlidaob? “Ascolta Chidori, se si tratta di qualcosa legato alla tua condizione di whisperd… ecco penso che dovresti parlarne con il colonello” “Con Tessa? Ma… non è una cosa facile da spiegare e soprattutto non posso parlarne con lei attraverso la tua radio” “Non pensavo a questo, ma potresti venire con me sull’ isola di Merida” A quelle parole , che per lei suonavano stranamente come un’ invito, Kaname diventò rossa. “Sull’ isola di Merida… con te?!” L’ultima volta che c’era stata, certo era stata coinvolta nel dirottamento del de Daanan da parte di quel terrorista di nome Gauron e aveva anche litigato pesantemente con Sosuke, ma poi si era tutto risolto per il meglio e i due si erano riappacificati e avevano passato anche un bel momento insieme sull’isola di Merida, pescando. Per Kaname era uno dei ricordi più belli che aveva con Sosuke e il pensiero di ripetere quella esperienza gli faceva battere il cuore a mille . “Certamente. Il colonello può aiutarti e inoltre la sezione ricerca può capire come mai…” Un pugno in testa, una ginocchiata nello stomaco e un calcio volante spedirono il mercenario lungo disteso per il corridoio del condominio, Sosuke si rialzò e guardò Chidori che in quel momento il suo sguardo sembrava quello di un oni sanguinario “Ma… mi hai fatto male Chidori” disse Sosuke, non si era nemmeno reso conto di quanto fosse stato insensibile e questo fece solo aumentare la rabbia della ragazza che gli urlò: “STA ZITTO, RAZZA DI STUPIDO! NON RIESCO A CREDERE DI AVER SPERATO CHE TU POTESSI CAPIRE QUELLO CHE STO PASSANDO. SPARISCI E CREPA!” e chiuse la porta, sbattendola in faccia al mercenario che si stava domandando che cosa avesse detto di sbagliato. “Razza di stupido! Non riesco a credere che non sappia dimostrare un po’ di tatto” Lei pensava al fatto che avrebbero potuto passare un po’ di tempo insieme e quel fissato invece pensava trattarla come una malata che aveva bisogno di una terapia mirata per stare meglio . Ovviamente, però, capiva che Sosuke gli aveva detto quelle cose solo per aiutarla. Aveva ragione lui, quello che gli era successo era una cosa legata al suo essere una whisperd e l’unica che poteva aiutarla era un’altra whisperd e quindi solo Tessa poteva aiutarla, solo che odiava questo: che Sosuke , nella sua insensibilità, avesse ragione. “Accidenti a quello stupido! Farò come vuole lui, però lo odio comunque!” Chidori, fece per tornare alla porta d’ingresso, quando cominciò a sentirsi strana. Stava tremando e provava come la sensazione di essere osservata, nella sua testa cominciò a sentire qualcosa, una voce che le diceva: “devi avvertirlo, devi dirglielo. Digli che sta arrivando!” “Chi… chi sta arrivando?” domandò Kaname, ma a quel punto si sentì come se il suo cervello venisse trafitto da mille pugnali, lanciò un urlò fortissimo e poi si raggomitolò per terra mentre continuava a dire: “Sta arrivando, sta arrivando!” Il rumore della porta d’ingresso che veniva spalancata e la sua voce ansiosa che la chiamava per cognome “Chidori!” bastarono perché la ragazza tornasse in sé. Kaname alzò la testa e vide Sosuke che cercava di aiutarla a rimettersi in piedi. “Sosuke, sei qui?” “Certo, appena ti ho sentita urlare sono tornato indietro, che cosa è successo?” Kaname non sapeva che cosa fosse successo, ma sapeva come fosse successo. Aveva sperimentato quella sensazione la prima volta con il Behemoth e la seconda sul de Daanan “Risonanza” mormorò la ragazza “Cosa?” “E’… è una sorta di collegamento con un’ altra whisperd. Tessa me ne ha parlato e l’abbiamo usato in due occasioni. Mi ha detto che è molto pericoloso da usare” “Quindi le scritte e adesso…” “Sì, sono l’opera di un’altra whisperd. Una donna dalla voce che ho sentito e il messaggio è per te?” “Quale messaggio?” “Non lo so. Mi ha solo detto di dirti che sta arrivando?” “Ma… ma chi sta arrivando?” Centra quello che è successo sull’isola di Berildaob?” Sosuke si accorse di aver detto troppo. Gli era stato ordinato di non parlare con nessuno di quello che era successo nell’ultima missione, ma con quello che era successo a Chidori non aveva pensato agli ordini, cosa che gli succedeva quasi sempre quando c’era di mezzo lei, e poi il suo istinto gli suggeriva che c’era un collegamento tra quello che era successo sull’isola e lo strano comportamento della ragazza. “Non lo so Sosuke, ma per quanto riguarda quel viaggio a Merida, accetto!” DA QUALCHE PARTE NELLA CAROLINA DEL SUD: “Non so che cosa fare signor Hunter. Mira da l’altro ieri si comporta così” disse la giovane infermiera che accudiva la ragazza. Gavin Hunter, di solito stava ad Hong Kong ma quando gli avevano detto che Mira stava male, aveva fatto preparare il suo jet privato ed era corso subito dalla ragazza in America. Era sotto la sua tutela e protezione da quando la squadra della Mithril del pacifico l’avevano liberata dal centro di ricerca in Russia ma comunque si era sinceramente affezionato alla ragazza. Quando gliela portarono era in uno stato pietoso, pelle e ossa, lo sguardo sbarrato dalla paura e continuava a mordere chi la toccava anche solo per farle una carezza. Dopo sei mesi era migliorata a tal punto che Hunter l’aveva fatta trasferire dalla clinica dove era ricoverata, in una casa isolata sulla spiaggia, ovviamente accudita da una infermiera, ma adesso sembrava essere tornata la ragazza terrorizzata che le avevano portato; Aveva riempito la stanza di strane scritte sul muro e sul pavimento e i disegni che aveva fatto erano inquietanti. “Mira che cosa c’è?” chiese Hunter alla ragazza che seduta per terra in mezzo alla stanza, continuava a battersi nervosamente la tempia destra: “Ho dovuto farlo” disse la ragazza con un filo di voce “Che cosa hai fatto?” “Ho usato la risonanza. Dovevo informarlo. Lui e lei, sono gli unici che possono fermarlo” “Fermare chi?” chiese Hunter “Lui” disse Mira indicando il disegno che aveva fatto per terra, quello di un uomo che dalla forma e dal vestito, sembrava un’ orrendo spauracchio. In quel momento Mira cominciò a camminare nervosamente su e giù per la stanza e a dire sempre più rapidamente: “STA ARRIVANDO, STA ARRIVANDO STA ARRIVANDO, STA ARRIVANDO” mordendosi contemporaneamente, il polso destro fino a farlo sanguinare. Hunter la bloccò e le impedì di farsi del male : “Chi sta arrivando?” Singhiozzando Mira disse: “Lo spaventapasseri!”

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Capitolo 7
*** MORIRE DI PAURA ***


HONG KONG VERSO LE CINQUE DEL POMERIGGIO: L’agente Tan era alla fine del suo turno e l’unica cosa che stava pensando era la birra gelata che l’aspettava al bar all’angolo. Davvero squallido si diceva, ma in quel momento era l’unica cosa che gli importava, solo quello gli importava da quando sua moglie era morta, uccisa durante l’attacco di quel misterioso AS alla città che aveva quasi scatenato una nuova guerra civile con la Cina del nord. Quasi gli dispiaceva che non fosse successo, almeno adesso sarebbe morto e non avrebbe più dovuto bere per dimenticare che l’unica cosa che lo aspettava era una casa vuota e silenziosa. Quanto avrebbe voluto morire, ma sembrava quasi che non potesse essere esaudito, da quando l’emergenza era passata e l’AS era stato distrutto, sembrava che i criminali fossero scomparsi, niente, neanche un teppista che faceva graffiti sui muri, la città sembrava in completa pace e il desiderio di Tan di morire per mano di qualcuno, sempre più distante. Era quasi arrivato al bar, doveva solo svoltare l’angolo quando accadde. Sentì come il rumore di un risucchio, poi una puntura e infine un dolore lancinante in tutto il corpo che lo fece cadere a terra. Dopo qualche istante, Tan aprì gli occhi e guardò chi lo aveva aggredito e rimase senza parole nel riconoscere chi lo aveva colpito. Quei capelli castani tagliati alla moda, il maglione rosso, e quel sorriso che lo accoglieva sempre quando tornava a casa, quella era Xian, sua moglie. “Tesoro” disse Tan “Tu…qui? Come è possibile?!” “Sono qui, amore mio e presto saremo insieme per sempre” sul volto di Tan comparve un’ espressione di orrore: gli occhi di sua moglie erano diventati due pozzi neri da cui sgorgavano copiosi rivoli di sangue e la sua mano destra si era trasformata in una specie di artiglio “NO, NOOO. CHE COSA SEI? VATTENE VIAAAA!” Tan prese la sua pistola, ma prima che potesse sparare, la sua mano venne tranciata di netto. L’urlo dell’agente si sentì a quasi un’ isolato di distanza. Isola di Merida il giorno dopo: Teletha Testarossa, erano nel suo ufficio quando la sottoufficiale addetta alle comunicazioni entrò con un rapporto in mano. Dopo il saluto militare, questa le mostrò cosa aveva scoperto. “E’ una notizia certa?” “E’ successo ieri ma le informazioni sono certe” Oltre al rapporto c’era anche una foto riguardante il caso: Un’agente della polizia di Hong Kong privo della mano destra, il volto contratto in una espressione di puro terrore e accanto a lui c’era un jack in the box aperto, con il pupazzo a forma di spauracchio armato di falce solo che questa volta il messaggio non era su un foglio, ma inciso con la punta di un coltello sul petto dell’uomo: SALVE SIGNORI DELLA MITHRIL COME VA? QUESTO è IL MIO SECONDO AVVERTIMENTO! “A quanto pare il nostro misterioso burlone ce l’ha proprio con noi!” disse Mao mentre guardava l’immagine sullo schermo della sala brifing insieme a Kurz , Clouzot, mentre Testarossa e Kalinin li aggiornavano su quanto era successo. “ Esatto, e il problema è che non riusciamo a capire quale sarà la sua prossima mossa” rispose Kalinin “Prima ha colpito una nostra caserma per mandarci un messaggio, ora uccide un agente di polizia e sempre per mandarci un messaggio e colpisce ad Hong Kong, una città in cui abbiamo recentemente svolto una missione. E’ chiaro che non è un caso” rispose Clouzot “No non lo è” disse Testarossa “Ha colpito in una zona dove noi siamo già stati per sfidarci apertamente. Mi chiedo che cosa farà adesso” “Nulla di buono scommetto” rispose Kurz “E mi dispiace che non siamo riusciti a cavare niente di sensato da quella ricerca a Berlidaob” “Beh, questo non è proprio esatto Kurz” gli disse Mao Il biondo alzò gli occhi al cielo: “Mao ancora quella storia? Quel vecchietto era ubriaco marcio” “Di che cosa state parlando?” disse Kalinin ai due Mao e Kurz guardarono il loro superiore sorpresi “Mi scusi signore, non ha ricevuto il nostro rapporto sulle indagini?” “No” Questa volta fu Mao ad alzare gli occhi e poi squadrò Kurz con uno sguardo omicida, era chiaro che si era dimenticato, come al solito, di compilare il rapporto e lei, impegnata con altre faccende , non aveva controllato il suo operato. Sospirando, la mercenaria raccontò ai suoi superiori ciò che avevano saputo da Seiji. Finito il rapporto il colonello parve visibilmente turbata, quell’incubo che aveva fatto gli era tornato in mente, ma scacciò via il pensiero giudicandolo sciocco e privo di importanza. In quel momento si sentì una voce provenire dall’altoparlante della stanza, era Mardukas: “Comandante, abbiamo ricevuto una richiesta di colloquio dalla struttura di contenimento della Mithril in Australia. Pare che uno dei detenuti voglia darci informazioni sulla persona coinvolta in tutto questo” “Di chi si tratta?” “Dell’ ex capitano Vincent Bluno” A quel nome, Weber e Mao assunsero un’espressione disgustata, Bluno era il bastardo che aveva fatto passare le informazioni al tunnel di Nanchino all’Amalgam, l’organizzazione contrapposta alla Mithril che cercava di rapire Chidori; in quell’occasione tre uomini della Mithril erano morti, uno era anche un’ amico dei due mercenari. Per fortuna ,grazie a Testarossa, la squadra era riuscita a salvarsi e poi avevano rintracciato e catturato Bluno in Sicilia. Dopo averlo torchiato avevano saputo il nome dell’organizzazione che l’aveva pagato per tradirli ma a parte ciò non sapeva niente altro, era stato rinchiuso in una struttura della Mithril e nessuno ne aveva saputo più niente, per quanto Weber , Mao e Clouzot ne sapevano poteva essere morto, non gli importava. “Che cosa sa e cosa vuole in cambio?” domandò Testarossa “Ha detto che vuole parlare con lei colonello e ha specificato che sa chi c’è dietro a tutto questo. Probabilmente, in cambio vuole la libertà o almeno il trasferimento in un prigione meno dura di quella in cui si trova” “Non è più a Sydney?” “No,, visto che non sapeva nient’altro riguardo all’ Amalgam, è stato trasferito in un carcere del Messico. Una zona così isolata che nessuno sa di essere sotto la nostra gestione” “come si chiama il posto?” “Santa Prisca” Testarossa, rimase in silenzio per qualche minuto toccandosi la lunga treccia che portava, poi disse: “D’accordo prepari il De Daanan, faremo rotta verso le coste messicane” “Signorsì” Il colonello guardò il maggiore Kalinin e gli chiese: “Pensa che sia una buona decisione?” “Ritengo che in questo momento ci servano tutte le informazioni possibili riguardanti il caso. Perciò se Bluno sa qualcosa tratteremo con lui” Clouzot approvò con un cenno della testa e anche Mao lo fece, seppur con amarezza, solo Kurz, con un movimento della mano, fece capire il suo disgusto nel trattare con quel giuda ma disse comunque: “La decisione spetta a lei colonello” Un’altra chiamata da parte di Mardukas sembrò sciogliere il clima di tensione che si respirava nella stanza: “Mi scusi comandante, ma l’aereo dei rifornimenti sta arrivando sembra con due ospiti inattesi” “Chi sono?” “Il sergente Sagara e la signorina Kaname Chidori”

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Capitolo 8
*** IL PRIGIONIERO ***


GOLFO DEL MESSICO ORE 15:30 Quando si trattava di velocità il de Danaan non aveva pari. Nessun sottomarino, nemmeno quelli americani potevano raggiungerlo, silenziosissimo e veloce come nessun altro, aveva attraversato l’oceano pacifico, passato il canale di Panama e raggiunto il golfo del Messico in mezza giornata. Per il fatto che nessuno avesse notato il suo passaggio, oltre alla tecnologia del sottomarino, bisognava ringraziare gli agganci che aveva la Mithril presso la marina americana e con il governo messicano. Se qualcuno aveva visto o notato qualcosa, tutti si erano voltati dall’altra parte. “Speriamo che quel verme sappia qualcosa” disse Mao sull’elicottero che stava portando lei, Testarossa, e Clouzot verso il carcere di Santa Prisca. Non sapevano molto di quel posto se non che era peggio di mille inferni, la prigione era mal gestita; troppo lontana da Città del Messico perché qualcuno venisse a fare dei controlli, il direttore era corrotto fino al midollo e lo stesso valeva per le guardie, lì vigeva la legge del più forte, era un miracolo che uno come Bluno fosse sopravvissuto. I “Gringos” era le persone più odiate nelle carceri messicane, forse era per questo che quelli della Mithril lo avevano sbattuto lì: la certezza che sarebbe morto dopo un giorno. Invece dopo un mese, era ancora vivo e voleva parlare con Testarossa. “Parlerà, Melissa. Non credo che ci abbia chiamati per farci perdere del tempo” rispose Testarossa fissando il panorama dal vetro accanto alla sua sedia. Era strana, molto pensierosa, non faceva altro che toccarsi la treccia nervosamente. La sua testa era da un’altra parte Mao e Clouzot lo sapevano, era come se questa storia la toccasse da vicino. “Benvenuti a Santa Prisca signori” disse il direttore del carcere, un certo Carlos Morelo. Nonostante il suo metro e sessantacinque di altezza, squadrava Clouzot, alto venti centimetri più di lui, con una indifferenza che faceva capire al tenente che non era benvoluto. Quanto a Mao e Testarossa, neanche le guardava, forse per una sorta di arroganza maschilista o forse perché erano straniere come il tenente oppure perché i tre erano entrati nel suo territorio, chi lo sa? Di certo c’era che quel posto non era adatto per i boy –scout. Le guardie indossavano uniformi sporche e trasandate, le mura interne del carcere erano malmesse e alcuni dei detenuti avevano delle grinte che avrebbero fatto tremare le gambe a chiunque. “Sa perché siamo qui. Ci accompagni da lui” disse Testarossa con fredda determinazione. Anche se indossava un semplice tailleur blu si percepiva il peso del comando stava mostrando al direttore, il quale dapprima sorpreso che una ragazzina osasse dargli ordini, quando la guardò negli occhi capì che faceva sul serio. “Prego, da questa parte” indicando un edificio dall’altra parte del cortile. Attraversarono la soglia e poi un’ altro paio di porte e si trovarono in una stana arredata con solo un paio di sedie e un tavolo. Seduto al tavolo c’era Vincent Bluno, indossava uno straccio, così si poteva definire l’uniforme da carcerato che aveva, tanto era lacera e strappata; l’unica cosa rimasta intatta era il numero che lo identificava come prigioniero. La sua faccia era piena di lividi, gli occhiali erano storti e i capelli biondi sporchi di terra. Tutti segni che indicavano che se la passava male lì. Cosa che ai due mercenari non fece che renderli felici. “Colonello, vedo che si è portata i suoi mastini. Paura che possa fare qualcosa?” Testarossa si sedette sull’altra sedia e gli disse: “Lei vuole dirmi qualcosa, di che si tratta?” “Ma come? Nessuna minaccia? Nemmeno chiedermi come sto dopo che mi avete spedito qui a morire?” Un attimo dopo la sua testa colpiva il tavolo, spinta dalla mano di Mao che gliela aveva afferrata: “Sta a sentire stronzo, vedi di dirci quello che vogliamo sapere, non abbiamo tempo per sentire i tuoi piangistei!” “Sergente maggiore Mao! Lo lasci!” disse Testarossa. L’ex marine, guardò con rinnovato disprezzo il traditore di Nanchino, poi lo lasciò andare. “Lei ci ha chiamato per darci delle informazioni su chi c’è dietro all’attacco alla nostra caserma sull’isola di Berlidaob perciò parli” Bluno rimase in silenzio per un’ attimo poi cominciò a parlare: “L’uomo che vi ha attaccato… io lo conosco o per meglio dire l’ho incontrato” “Quando?” “Lo stesso giorno in cui gli emissari dell’Amalgam vennero a propormi l’affare di Nanchino. Lui era con loro” “Cosa le ha chiesto e chi era?” “Ah, questo ve lo dirò una volta che mi avrete portato lontano da qui” “Ehi, bastardo! Non siamo la tua carta “esci gratis di prigione” . Dicci quello che vogliamo sapere o qui ti seppelliamo!” Questa volta la minaccia veniva da Clouzot . Anche lui si era stancato dell’arroganza di Bluno. “Tenente, io sono già sepolto. Sono condannato a marcire in prigione per il resto dei miei giorni ma voglio farlo in un carcere che sia più umano di questo schifo” “Lei ci dica quello che vogliamo sapere e vedremo di aiutarla” disse il colonello Bluno rimase in silenzio per un ’attimo poi disse: “Quando gli emissari dell’Amalgam vennero per chiedermi una consulenza, lui era presente. Mi chiese anche lui di fargli … un favore. Avrei dovuto fare in modo che alcune merci, arrivassero a Hong Kong senza che voi lo sapeste e così ho fatto” “Non ci ha detto molto. Che cosa le ha fatto portare in città e chi era questo lui?” Bluno cambiò espressione. L’ultima domanda lo aveva scosso. Era chiaro che non aveva problemi a parlare della merce che aveva trasportato ma aveva paura di parlare della persona che glielo aveva chiesto. “Mi dovrete proteggere. Io non so che cosa fosse quella roba, ma di quel tipo so che è spaventoso. Non so che cosa gli abbiate fatto, ma vi odia davvero. Lui non si fermerà fino a quando non avrà ottenuto quello che vuole” “E che cosa vuole?” domandò Testarossa “Potrei dire distruggervi, ma lui mi ha detto che non gli basta. Qualunque nemico abbiate affrontato niente può essere paragonato a questo” “Che cosa vuole?” richiese Testarossa con malcelata impazienza “Lui vuole umiliarvi, vuole che voi abbiate paura. Questo mi disse quel giorno” “Come era lui ? Di aspetto?” disse Mao “Lui… sembrava come uno…” “Uno spaventapasseri!” disse Tessa d’un tratto Bluno sorpreso rispose: “Sì… esatto. So che vi può sembrare assurdo ma… era vestito con una specie di spolverino o giacca marroni che gli davano l’aspetto di quegli spauracchi che vedi nei campi e la sua faccia… oh, quella non la dimenticherò finché campo. Era sfigurato. Le labbra, il naso, le orecchie non le aveva più! Ed era coperto in faccia da un cappuccio e una specie di maschera che sembrava….” “Un’ incrocio tra una maschera da spaventapasseri e una antigas” disse di nuovo Tessa. I suoi occhi erano sbarrati come se stesse vedendo qualcuno o qualcosa a cui non poteva credere che fosse veramente presente davanti a lei. Un’ incubo in carne e ossa. Continuò a parlare lei: “Per caso aveva una specie di cappio intorno al collo?” Bluno sempre più sorpreso disse: “Sì” “E la mano destra aveva qualcosa?” “Sì una specie di guanto che sembrava…” “Un’artiglio fatto con delle siringhe?” “Sì. Ma lei come fa a saperlo?!” Adesso tutti nella stanza stavano guardando Teletha. Mao si rivolse a lei per prima: “Colonello che cosa c’è?” “Era reale. Non era un’ incubo!” “Colonello?” disse Clouzot. Anche lui faticava a capirci qualcosa ma prima che potesse dire altro, il suo superiore si alzò e uscì dalla stanza.

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