Killel

di Dian87
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


«Dai, spingi, Trude, non manca molto.» incitò la levatrice. «Mi sembra di vedere la testa.»

«Non ce la faccio…» mormorò la partoriente, con le lacrime agli occhi.

I bambini erano silenziosi, in piedi accanto al letto dove la madre stava cercando di dare al mondo il loro decimo fratello. Erano rimasti soltanto in cinque, dato che le malattie e i cattivi raccolti avevano falciato diversi di loro. La maggiore si attorcigliò una ciocca di capelli attorno al dito e quella di età subito inferiore si morse il labbro mentre la madre gridava di nuovo, spingendo.

«Locis, Maja, venite.» disse la levatrice, prendendo la donna e sollevandola. «Ora lasceremo che Degom aiuti Hetii e faccia uscire meglio il bambino.» spostò lo sguardo sugli altri due maschi.

«Andate a chiamare vostro padre, non ci vorrà molto affinché possa decidere se tenere o meno il nascituro.»

I due bambini corsero verso la porta della stanza e svanirono dietro alla pesante coperta che divideva quella stanza dal resto. Trude si appoggiò al letto e alla donna per mettersi seduto, mentre il pancione le ostacolava ogni movimento. Una contrazione la fece piegare e spinse più forte che poté.

La levatrice la sorresse e poi l'aiutò a mettersi in piedi, divaricandole le gambe.

«È il momento.» disse, lasciando che le figlie la prendessero per le braccia e prese un piccolo asciugamano ed un coltello dalla corta lama in mano, inginocchiandosi tra le sue cosce.

«Quando lo senti, spingi più forte che puoi. Le ave ti aiuteranno.»

«Adesso…» mugugnò la donna.

Un istante dopo, un fagotto rosso di sangue e con dei giri di cordone ombelicale attorno al collo vagiva nel sicuro dell'asciugamano, la placenta era ancora attaccata al fianco e alla gamba sinistra.

La donna sollevò lo sguardo verso la porta e vide il marito torreggiare su di questa.

«Un'altra femmina?» chiese lui, piegando in una smorfia di disgusto le labbra. «Che me ne dovrei fare?»

La levatrice porse il fagotto all'uomo e lo mise ai suoi piedi. «È nata nonostante queste condizioni.» lo informò, mentre la bambina continuava a vagire. «E sembra essere più sana di tutti i bambini che ho visto finora. »

Osservò con lo stesso disgusto la bambina, che agitava i pugni e cercava di trovare un capezzolo da ciucciare.

«Se sopravvivrà il suo primo anno, allora avrà un nome.» concesse, voltandosi e lasciando a terra la figlia.

 

***

 

«Affatt!» pianse la bambina. «La mia bambola!»

I capelli biondo cenere le ricadevano liberi sopra ai vestiti, arrivando alla cintura. Davanti a lei, un bambino con i capelli dello stesso colore ma tagliati molto corti, stava tenendo in alto una bambola.

«Dillo per bene e io te la darò.»

«Affatt, per favore.» pianse ancora, aggrappandosi al braccio del fratello. «Dammela.»

«Bambini.» la voce di una donna attraversò il cortile ed entrambi si fermarono.

Con i capelli raccolti in due lunghe trecce, la madre li stava guardano con aria seria.

«Venite qui, subito.»

I bambini palleggiarono lo sguardo dalla madre alla tinozza che aveva accanto alla lunga casa, una casa dal tetto ricoperto di terra ed erba e solo poche finestre chiuse dagli scuri. La bambina fu la prima a correre, lasciando a malincuore la bambola nelle mani del fratello, e a raggiungere la madre mentre l'erba le inumidiva i piedi scalzi. Il fratello, invece, lanciò alle sue spalle la bambola e camminò tranquillamente verso la madre, con le mani agganciate alla cintura.

«Hlara, vai al fiume e lava questa cesta.» le ordinò Trude, concedendole soltanto una breve occhiata. «Arfast, tu devi raccogliere la legna.»

Hlara abbassò lo sguardo sulla tinozza e sospirò lievemente. Sapeva che qualsiasi discussione sarebbe stata accompagnata dalle strilla della madre e le cinghiate prima di lei e dopo del padre. Prese un lato della tinozza e cominciò a trascinarla senza dire una singola parola. Arfast, invece, prese una cesta di vimini e si incamminò lungo il sentiero che portava verso un piccolo boschetto all'interno di una conca poco distante.

Le mani della bambina erano già piene di calli e vide il piccolo panetto di sapone in mezzo ai vestiti sporchi.

Da quando aveva imparato a camminare, la madre l'aveva portata al fiume e le aveva dato come compito il lavare le cose di tutta la famiglia e se, per caso, qualche vestito avesse avuto anche la minima macchia allora sarebbero state cinghiate. Non che per lei cambiasse qualcosa, per qualsiasi sgarro lo scotto era la cinghia.

Sospirò lievemente.

Sapeva che la colpa di qualsiasi cosa era sua, i genitori non facevano altro che ripeterle come il giorno in cui era nata aveva danneggiato sua madre, come non fossero nati altri bambini in quella casa sempre per colpa sua.

Lanciò un'occhiata alla bambola che Arfast aveva lanciato e poi una alla madre il cui sguardo le stava fulminando la schiena.

Non era altro che una bambola di stracci, una di quelle che Gunhild aveva abbandonato tempo prima perché aveva perso una gamba ed un braccio. I capelli della bambola erano radi per tutte le volte in cui la sorella li aveva tirati ed il vestito non era altro che un pezzetto di stoffa annodato. L'aveva preso dalla cesta del fuoco, quando la sorella aveva ottenuto una nuova bambola come regalo di Vetrarsólstöður dagli avi e aveva deciso che quella non era adatta a lei.

Aveva preso delle cinghiate per aver sottratto qualcosa che sarebbe servito per scaldarsi, ma l'aveva stretta così tanto che alla fine le avevano concesso di tenerla.

"Potrei andarmene ora, non lo saprebbero mai." pensò, raggiungendo il greto sassoso del fiume.

Alcuni cespugli si trovavano poco distanti da lei e la bambina sospirò. La terra era così spaventosa, di notte, e c'erano tutte quelle bestie pronte ad azzannarla. Almeno la maggior parte stavano a riposare durante il giorno e si muovevano maggiormente con le tenebre.

"Di giorno, però, mi vedrebbero di sicuro… e se chiedessero ai Dragersønnene di recuperarmi?" lanciò un'occhiata nervosa al cielo. "Perché dovrebbero farlo?"

Scosse lievemente la testa e si avvicinò al greto del fiume. Era così placido, nulla sarebbe mai cambiato un quel mondo così noioso, nemmeno il corso del fiume.

I panni erano sempre troppi e dopo un po' la bambina cominciò a canticchiare una melodia senza parole.

Uno schiocco la fece voltare.

Non era sicura che si trattasse di un rametto che si rompeva, ma il suono sembrava molto simile a quello, e davanti a lei vide un uomo con lunghi capelli mori ed il viso barbuto, la cosa che le risultava strana era il lungo abito verde che l'uomo stava indossando.

«Non volevo spaventarti.» sorrise l'uomo, porgendole la mano per rialzarsi.

Hlara non si era nemmeno resa conta di essere finita con il sedere a terra e accettò la mano. Era così lieve e soffice nella sua, segnata dai calli dei lavori più duri.

«Sto cercando la casa di Sigbrand, mi potresti aiutare?» il tono dell'uomo era molto gentile.

Osservò con attenzione gli occhi grigio-azzurri dell'uomo e alzò soltanto il braccio, indicando la direzione della casa.

«Molto gentile, potrei sapere il tuo nome?»

Molte risposte passarono davanti alle labbra della bambina.

«Hlara.» fu l'unica cosa che lei riuscì a sussurrare.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Anno 952 dell’era di Enidi

Il freddo sole di asox era basso sull’orizzonte e la giovane donna era appoggiata al parapetto. Sotto di lei una cinquantina di novizi si trovava irregimentata. Erano tutti immobili, con un bastone di due metri appoggiato alla spalla destra, vestiti con una corta tunica marrone.

Sorrise lievemente, osservando i più fragili di loro tremare nel vento freddo.

«Franziskyra?» una voce giovane tossì alle sue spalle.

«Dimmi.» la ragazza non si voltò nemmeno, unendo le mani e intrecciando le dita.

«Gli Anziani hanno richiesto la tua presenza.» disse la voce, con un timbro maschile. «Dicono di andare subito.»

Franziskyra abbassò lievemente il capo e la coda di un biondo cenere le cadde oltre la spalla sinistra.

«Va bene, Jari.» rispose. «Hai sentito qualche informazione in più?»

Ruotò lievemente la testa e vide il ragazzino dai corti capelli castani che scuoteva il capo. Soltanto una decina di anni prima avevano deciso di affibbiarle quel ragazzo e non era mai riuscito ad ottenere qualche informazione in più, a volte sembrava che nemmeno ci pensasse.

«Va bene, va bene.» sbuffò, dandosi una lieve spinta per staccarsi dal parapetto. «Andate ad allenarvi al golfo di Ipseeks.» aggiunse per il ragazzo. «Voli a pelo d’acqua e acrobazie a bassa quota…» lo vide irrigidirsi. «e stavolta vedi di non dimenticare la lama o, quanto son veri gli avi, non vengo a tirarti fuori dai guai anche stavolta.»

Jari abbassò il capo contrito e Franziskyra cominciò ad allontanarsi.

Si sistemò il kyrtill verde, la cui passamaneria sulle maniche ritraeva una svastica di Aurinko gialla ripetuta incessantemente su un fondo celeste e si strinse lievemente i cordoncini al collo. Entrò nel forte e iniziò a salire le scale che correvano lungo la parete.

Hanno chiamato anche te, Evreirth? chiese al drago, mentre passava accanto agli arazzi dei draghi delle ere.

Non ancora, rispose lui cos’è successo?

Jari è venuto a dirmi che gli Anziani mi vogliono svoltò al pianerottolo, prendendo il corridoio di destra.

Franziskyra fece un cenno di saluto a Sumar, l’äyräkkäche faceva parte della sua nidiata i cui capelli bianchi sistemati dietro alle orecchie appuntite erano stati il sogno di molti novizi e novizie e gli occhi praticamente privi di iride e pupilla quanto erano bianchi si stavano soffermando sulla decina di pupilli che lo seguiva.

«Poi venne l’età di Indryss, che guidò il lato draconico; cos’avvenne durante quegli anni?» stava chiedendo l’äyräkkä ai ragazzi di diverse razze che erano stati accettati nell’ultima cinquantina d’anni, ma lanciò comunque un’occhiata a Franziskyra e le fece un cenno con la mano di saluto.

Sorrise, proseguendo il cammino. Sumar era sempre stato perfetto nel ruolo di insegnante e aveva sempre tenuto al fatto che tutti i suoi pupilli conoscessero la storia del Þrándheimr dalla notte dei tempi.

Lanciò un’occhiata alla finestra che si apriva in fondo al corridoio, il cui scuro era stato lasciato aperto per far entrare aria e luce, e svoltò nuovamente per trovarsi sovrappensiero davanti alla porta della sala degli Anziani.

Direi che il messo si è perso commentò Evreirth, annoiato.

Io sono arrivata lo avvisò lei ti aggiornerò più tardi.

La porta davanti a lei non era minimamente intarsiata quanto quella che portava al nido. Sull’anta destra, alta quanto una persona normale, era stato inciso un drago che si avvolgeva nelle sue spire con il muso rivolto verso sinistra, sull’altra anta, invece, stava in piedi un guerriero vestito di un’armatura completamente liscia, nulla a che vedere con le armature finemente decorate con draghi che i cavalieri come lei usavano.

Aprì l’anta con il guerriero ed entrò. Dinnanzi a lei otto scranni erano occupati da altrettante persone. In ognuna i capelli erano ormai sbiancati dal tempo, il viso era poco più di una maschera di cuoio di varie tonalità solcato da profonde rughe. Le lunghe tuniche candide giungevano fino al pavimento, nascondendo i piedi, e le maniche erano appoggiate ai braccioli, soltanto un rigonfiamento indicava dove si trovavano le braccia per quelli che ce le avevano ancora.

«Anziani.» salutò, battendo i tacchi, portando un braccio di traverso sul petto e chinandosi lievemente avanti. «Sono venuta il prima possibile.»

«Franziskyra di Evreirth.» la voce provenne dalla mummia dinnanzi a lei.

Le labbra si erano mosse appena. Franziskyra osservò l’anziano, il cui viso era solcato da una profonda cicatrice orizzontale che sembrava però aver lasciato attaccato il naso e sul lato destro della fronte ospitava una voglia a forma d’edera color vinaccia. Non aveva mai saputo se effettivamente aveva perso il naso o se era stato ricostruito in qualche maniera dai guaritori. Gli Anziani, semplicemente, erano.

«Abbiamo una missione da assegnarti.» continuò la donna alla sua destra, i cui occhi verdi lattiginosi erano posati su di lei con quelli di tutti gli altri. «È giunta una richiesta da Haleflamme, dal regno di Riippuva.»

«Il re ha richiesto il supporto dei Dragersønnene nella ricerca del principe ereditario e della sua compagnia. Si sono diretti a nord-ovest della città e non hanno fatto più ritorno.» la voce proveniva da quello più vicino alla sua destra, ma lei non si voltò ad osservarlo guardando dritta davanti a sé. «Doveva provare il suo valore e tornare alla città con una scoperta degna del suo rango.»

«Da quanto tempo mancano le comunicazioni?» chiese Franziskyra, iniziando a pensare ad un piano di volo per il drago.

«Da un ciclo di Taas.» rispose quello più vicino alla sua sinistra. «Sarebbero bastati pochi giorni per arrivare al luogo che aveva designato come partenza.»

Franziskyra annuì lentamente.

«Non sono giunte altre notizie dal messo. Ti fermerai alla stazione di Reykjarholl a raccogliere informazioni più aggiornate dal rievyötpaun[1].» parlò di nuovo il primo anziano, quello dalla cicatrice. «Sei congedata.»

Franziskyra batté i tacchi e indietreggiò fino a raggiungere la porta lasciata aperta e la chiuse davanti a sé.

C’è un principe da trovare disse mentalmente al suo drago.

Il mio messo si è decisamente perso commentò Evreirth, con una lieve nota scocciata nella voce mentale.

[1] rievyötpaun: custode della sosta (molense)

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Il tuono esplose in tutta la sua forza.

«Vai al pozzo e segui chiunque tu trovi.» ordinò Trude, aprendo la porta di casa con forza.

I lineamenti della madre erano contratti dall'odio più puro e Hlara strinse a sé la bambola che in quegli anni aveva perso l'altro braccio per via del fratello Arfast.

«Ma…» mormorò la bambina, con le lacrime agli occhi, mentre un fulmine cadeva su un albero lontano davanti allo scuro rettangolo della porta.

«Niente "mamma" né "madre".» uno schiocco risuonò quando la mano della donna colpì la guancia della bambina. «Ora esci da questa casa.»

Gunhild si avvicinò alla sorella e le mise un vecchio mantello rattoppato sulle spalle. Si chinò lievemente su di lei con i capelli sciolti che le cadevano in avanti, appena più scuri di quelli della bambina.

«Vai, ingrata.» le sibilò in un lieve movimento di labbra. «È già tanto che i nostri genitori ti abbiano concesso di vivere tanto a sotto questo tetto.»

Trude mostrò un sorriso soddisfatto e Hlara lanciò un'occhiata al padre. L'uomo era mollemente seduto presso il focolare con i due fratelli maggiori che ascoltavano una delle sue storie e le ignoravano completamente. Locis era al suo telaio e filava con movimenti precisi e veloci una lunga tela candida, assorta nel proprio mondo. I capelli di questa sorella erano raccolti in due trecce e racchiusi in delle sfere metalliche che riflettevano i raggi del fuoco e gli occhi grigi guardavano con delicatezza il lavoro dinnanzi a sé.

Hlara strinse a sé la bambola ed il mantello e sentì un tuono scuotere l'intera casa.

Si voltò verso la porta e avanzò di qualche passo. Si voltò un'ultima volta verso la casa calda, per quanto non sicura in tutto quel tempo, e si calò il cappuccio sulla testa.

La pioggia la sferzava e penetrava attraverso tutti i buchi di quel mantello. Il vento cercava di strapparglielo ogni pochi passi.

Un altro tuono.

Si voltò, stringendo con ancora più forza il mantello, ma non era stato un tuono: era la porta che si era chiusa alle sue spalle.

Con la sinistra tenne la bambola ed il mantello, mentre la mano destra teneva il cappuccio sulla testa. Prese il sentiero davanti a sé e lo seguì con le labbra strette in una fessura. I fulmini cadevano sempre più vicini e i tuoni l'assordavano, le lacrime erano confuse tra le gocce di pioggia e trascinate via dal vento.

Vide un fulmine dirigersi verso la macchia di cespugli dove aveva passato tanti anni a pulire i vestiti e udì come un piccolo scoppio.

Cominciò a correre, ignorando il terreno fangoso e vide la sagoma rettangolare del pozzo. Forse, chiunque fosse stato lì, l'avrebbe potuta portare in un posto asciutto, in un posto dove, quanto meno, le percosse non sarebbero state all'ordine del giorno e non sarebbe stato necessario sognare la morte di tutti gli appartenenti di quella casa.

«C'è nessuno?» gridò la bambina, guardandosi attorno. «Sono qui!»

Strinse più forte la bambola, ma il pianoro era pieno soltanto del fragore del temporale. L'acqua era gelida e la ragazzina si rannicchiò alla base del pozzo. Cosa poteva fare? Aveva soltanto sei anni e sapeva già che sarebbe morta senza un riparo in asox…

Si guardò attorno. A parte i fulmini nulla illuminava i dintorni.

Il tremore continuava a scuotere il suo corpo, senza un riparo sarebbe morta e senza la sua famiglia che l'aveva in ogni caso nutrita fino ad allora non avrebbe avuto alcuna speranza. Era condannata…

Si alzò.

"Non mi vogliono? E allora io andrò a trovarmi una nuova casa." pensò, testarda. "Sì, ce la posso fare… so lavorare tanto, in qualche modo ce la farò… come nelle fiabe…"

Strinse meglio la bambola e si avviò.

Non seppe mai per quanto tempo camminò, ma si ritrovò alla base di una cengia di pietra. Lo spazio era a malapena sufficiente per riuscire a stare accucciate in un punto dove la ghiaia drenava un po' d'acqua. Si accucciò, prendendosi le ginocchia con le braccia, e cominciò a tremare.

Non c'era nessuna persona ad aspettarla, non c'era sicuramente mai stata ed era stata solo una maniera per farla sparire in pieno asox. Strinse le labbra, cercando di trattenere un singhiozzo. Non gliel'aveva sempre detto la mamma che soltanto i deboli piangevano? Che una donna era la colonna portante della casa e che tutti dipendevano da lei? E che chi piangeva non era nemmeno degno di sopravvivere?

Si passò un braccio sporco di terra sul viso. Il graffio della terra le bruciò la pelle e passò le mani sul viso nella speranza di pulirsi un po'. Dove avrebbe potuto trovare un rifugio in quel tempo?

«C'è spazio per entrambi?»

La voce la trasse dai suoi pensieri e Hlara sollevò lo sguardo verso l'individuo. I fulmini illuminavano brevemente il suo viso nascosto dal cappuccio di lana pesante, materiale di cui era fatto tutto il mantello che aveva indosso. Sembrava decisamente caldo e asciutto lì sotto. Il viso sembrava essere gentile, con i capelli mori bagnati e attaccati al volto ed il pizzetto che grondava acqua.

Hlara annuì lentamente e si fece più piccola, spostandosi lateralmente e raggiungendo il bordo dove qualche goccia le arrivava addosso.

«Grazie.» rispose l’uomo, appoggiandosi alla parete e tirando indietro la testa. «Sapresti dirmi in che direzione si trova la casa di Sigbrand Singasvensson?»

La bambina strinse le labbra, ma alzò semplicemente un braccio per indicare la direzione da cui era venuta.

«E quanto tempo ci vorrà?» l’uomo si avvolse meglio nel mantello, lasciando però un angolino aperto.

Scosse la testa, stringendo forte le gambe con le braccia.

«Capisco, i troll ti hanno mangiato la lingua.» un lieve tono di derisione si sentiva nella sua voce.

«Non è vero…» mugugnò lei, quasi nascosta da un tuono.

I capelli erano completamente fradici ed erano completamente attaccati alla testa e al collo. Un tremito scosse interamente la bambina, ma nessun lamento uscì dalla sua voce.

«Oh, allora parli…» sorrise lui. «non è un po’ freddo per una bambina?»

«Non sono una bambina.» ribatté lei, sollevando la testa e puntando il piccolo naso verso di lui.

«E chi sei?»

«E tu?» lo sguardo di lei si posò con stizza su quello di lui.

«Evreirth… spero che non ci voglia molto ad arrivare a quella casa.» sospirò. «Odio viaggiare con la pioggia.»

La bambina fece un mezzo sorriso.

«Dimmi, bambina, conosci una certa Hlara Sigbranddottir?»

Gli occhi della bambina si allargarono di sorpresa e la bocca si socchiuse mentre la bambina non sapeva come rispondere. Forse era vero, ci sarebbe stato davvero qualcuno ma il temporale l'aveva fatto ritardare.

«Cosa vuoi da lei?» chiese la bambina, sospettosa, tirandosi via il mantello e lasciandolo cadere accanto a sé.

L'uomo la osservò con attenzione. Notò la bambola malconcia stretta tra le mani e gli abiti rattoppati che le cadevano troppo grandi sulle spalle, per quanto fossero intrisi d'acqua. Il lieve sorriso sparì dal suo volto.

«È stata notata dai Dragensønnene e sono venuto a prenderla.»

 «I Drag…» le parole le morirono in bocca. «sono io, Trude mi ha mandato al pozzo.»

***

Salì gli ultimi gradini della torre, silenziosa. Soltanto il ticchettio dei tacchi degli stivali morbidi le stava facendo compagnia e sollevò lo sguardo verso la porta di legno dinnanzi a lei.

La porta cigolò appena quando la spostò e si infilò all'interno. La luce di Taas, pallida, era molto debole e quella dorata di Ähdö quasi la nascondeva del tutto. La maggior parte degli scuri era accostata, ma da uno solo, rivolto a sud, la luce delle lune entrava dorata. Una figura era appoggiata sulla parete, sul montante sinistro, e sembrava essere assorto nei suoi pensieri.

Franziskyra sorrise e chiuse la porta alle sue spalle. Appoggiò per bene le punte dei piedi, facendo attenzione a non battere i talloni, mentre si dirigeva verso l'uomo. Allungò le mani per portarle al viso di lui.

L'uomo si voltò velocemente. L'avvolse tra le braccia e le baciò la fronte, sollevandola leggermente.

«Sei il solito, Evreirth.» ridacchiò, appoggiandosi a lui e circondandolo a sua volta con le braccia.

Evreirth appoggiò il mento sulla testa di lei, con un lieve sorriso in volto. «Come ogni volta in cui tenti di eguagliare Draumr.» ridacchiò, dandole un bacio sui capelli. «Come guerriera brava… ma non sei affatto un'infiltrata.»

Franziskyra appoggiò l'orecchio sul suo petto, sentendo il lieve e lento battito del cuore dell'individuo accanto a lui, e chiuse gli occhi.

«Alla fine è arrivato il tuo messo?» chiese, in un lieve sussurro.

«Si sarà perso nel nido.» sbuffò, sollevandola come una bambina e portandola sul ripiano dov'era seduto, sistemandola sulle proprie gambe. «I cuccioli sanno dimenticarsi le cose in pochi istanti. Cosa ti hanno detto?»

La ragazza si accoccolò per meglio sulle gambe dell'uomo, sistemando con un gesto la treccia biondo cenere sulla spalla destra. Sollevò lo sguardo su di lui, osservando il familiare volto umano dai lunghi capelli neri ed il pizzetto ben curato, il volto che lui sceglieva ormai da quasi un secolo di conoscenza.

«Il principe duerg di Riippuva si è perso nella missione per provare il suo valore.» riassunse in poche parole. «Dobbiamo trovarlo e, se necessario, salvarlo.»

«Comodo…» sbuffò, portando lo sguardo sulla piccola falce di Taas e su Ähdö quasi piena. «sarà un piacere arrancare nelle sale dei duerg…»

Franziskyra ridacchiò, osservando la reazione di Evreirth. «Vorrà dire che ti lascerò a Reykjarholl e dovrò fare da sola…» disse, con un tono tra il pensieroso e l'ironico. «forse è per questo che non ti hanno mandato ad avvisare…»

Evreirth abbassò lo sguardo su lei. «Pensi che ti lascerò sola in quella terra di tappi?» chiese, lievemente risentito. «Non ti libererai di me tanto facilmente, cucciola, poi chi ti verrà a salvare?»

«Come mai potrei fare senza il mio drago in spendente armatura?» rise Franziskyra, una risata cristallina e divertita.

Evreirth la fulminò con lo sguardo, ma poi si concesse un lieve sorriso mentre la giovane appoggiava la testa sulla sua spalla.

 «Cosa sarei stata senza di te?» chiese, con un lieve sorriso in volto.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Evreirth osservò la ragazza addormentata tra le sue braccia.

Avevano deciso di restare in un angolo di quella torre, una sorta di rituale che condividevano da tanto tempo e che nessuno dei due quasi ricordava più come avesse avuto inizio. Era cambiata da quello scricciolo bagnato che aveva trovato sotto alla cengia e che aveva sorpreso nel dirle che cercava proprio lei, ma nei due anni in cui aveva aspettato quel momento non era cambiata così tanto.

Franziskyra si accoccolò meglio tra le braccia di Evreirth, il capo chinato in avanti.

L'odore della giovane era sempre quello della bambina vista al fiume, una piccola cosina sorpresa di trovarsi qualcuno davanti e con l'animo profondamente ferito. Ricordava ancora le note tristi della sua canzone e sorrise chiudendo gli occhi e ascoltando la canzone che proveniva da lei in quel momento: decisa, combattiva, poteva quasi dire epica.

Una lama di sole si affacciò dal bordo della finestra e dorò i capelli biondo platino della giovane. Si chinò un po' più avanti per vedere il volto della ragazza e vide il sorriso beato con cui stava dormendo. Era un peccato contro gli avi svegliarla. Franziskyra socchiuse gli occhi e la giovane vide la mano di Evreirth davanti a lei. Spostò lo sguardo appannato verso l'uomo e si appoggiò meglio contro la sua spalla.

«È già mattina?» chiese la giovane, ancora rincretinita dal sonno.

«Sì, cucciola.» rispose con un lieve sorriso. «Hai dormito bene?»

Annuì, accoccolandosi un po' meglio, ma poi sospirò. Allungò la mano e gli accarezzò il pizzetto, grattandolo delicatamente, e con la coda dell'occhio guardò l'espressione serena dell'uomo.

«Sarà meglio prepararsi, allora.» commentò a malincuore, grattandogli un po' di più la guancia, non abbastanza da dargli fastidio con le unghie quasi inesistenti.

Evreirth le prese la mano e la baciò, silenzioso. Ricordava ancora le mani ruvide di lei e gli anni di addestramento le avevano rese callose in una maniera lievemente diversa.

A fatica Franziskyra si alzò e porse la mano ad Evreirth. La prese e strinse la sua mano, contrasse i muscoli e si sollevò, abbracciandola un'ultima volta prima di lasciarla andare. Rassettandosi il kyrtell, Franziskyra raggiunse la porta e scese.

Mentre attraversava la porta, l'espressione della ragazza cambiò, diventando quella di un austero cavaliere. Davanti a lei avrebbe visto i novizi correre lungo il corridoio con le pergamene sotto braccio e i calamai chiusi all'interno di alcuni piccoli sacchetti di pelle macchiati da anni di utilizzo, il turbinio di tuniche marroncine che si sarebbe aperto per permetterle la camminata senza intralcio.

***

Uscì dall'edificio e scese lungo i sentieri, osservando le consuete porte delle varie strutture di Dragerhekker e la ragazza osservò un gruppo di bambini che stavano giocando a tirarsi palle di neve. Sorrise lievemente e continuò a camminare senza rallentare.

***

Il cammino con l'uomo era stato molto lungo, Hlara aveva camminato per numerosi giorni e altrettanti era stata trasportata sulla schiena dall'uomo che l'aveva presa con sé. Si erano fermati in alcune locande dove i cavalieri riposavano e si scambiavano le informazioni su cose che lei non conosceva. Tutti, però, guardavano con attenzione l'uomo che sotto al mantello indossava un lungo abito verde smeraldo con i simboli di Aurinko come passamaneria e ben pochi gli rivolgevano la parola, ancora di meno parlavano con lei.

«Siamo arrivati.» disse l'uomo, scuotendo appena la bambina che dormiva sulla sua schiena.

La piccola socchiuse le palpebre e gli occhi di un azzurro molto chiaro cercarono di focalizzarsi sulle cose che avvenivano davanti a sé.

«Dove?» mormorò, con la voce impastata dal sonno.

La sera prima Evreirth non aveva trovato una di quelle case dove ripararsi e avevano trovato una tana di un tasso abbandonata da tempo. La bambina si era fatta molto piccola per non togliere troppo spazio all'uomo e si era rannicchiata contro di lui, addormentandosi in un istante, e si era svegliata solo in quel momento. Il freddo si era infiltrato sotto al mantello nuovo che indossava sulle spalle, verde come il vestito che l'uomo stava indossando.

Una piana di neve e ghiaccio si stendeva davanti a loro e una roccia saliva dal terreno, anch'essa coperta per buona parte di neve. C'erano diversi picchi e le sembrò di vedere diverse macchie muoversi su di queste, ma sulle due più grosse sembravano esserci dei rettangoli chiari e dei rettangoli più piccoli ma molto più scuri.

Si strinse un po' di più all'uomo, facendo sbucare appena il naso da sopra la sua spalla.

***

«Adesso andremo lì.» le disse, appoggiandola al suolo e sistemandole per bene il cappuccio. «Quello è Dragerhekker, il nido dei draghi.» la bambina sollevò la mano e stropicciò gli occhi, cercando di capire cosa stava dicendo. «Se ne sarai capace, quella sarà la tua casa finché vorrai.»

***

Socchiuse la porta dell'armeria.

«Poi ho sentito che Gudrun ha raggiunto la camerata della nidiata di Gils.» stava commentando una voce maschile dall'altra parte.

«Non ci posso credere… una persona seria come lei?» chiese un'altra, questa volta la voce sembrava femminile. «Quanto tempo ci ha messo prima di tornare dalla nidiata?»

«Mai a sufficienza per dare da parlare a due novizi pigri.» la voce di Franziskyra era tagliente e la giovane aprì con decisione la porta.

Accanto a lei, seduti vicini su una panchina, i due ragazzi che stavano parlando molto vicini si erano bloccati e avevano voltato la testa nella sua direzione. Il viso rosa pallido della ragazza e gli occhi che sembravano effettivamente di ghiaccio fece scorrere un lungo brivido lungo la schiena dei due giovani.

Lui era un ragazzo ben piantato, con dei capelli tagliati molto corti castani e lo sguardo nero, nervoso, non si staccava da quello di Franziskyra. I lineamenti di lei erano molto delicati e le lunghe orecchie, assieme agli occhi che sembravano bianchi, la identificavano come appartenente agli äyräkkä.

«Chi sono i vostri draghi?» chiese Franziskyra con un tono molto rigido.

«Zymry.» rispose il ragazzo, con un filo di voce.

«Riamuth mi ha dato il permesso di rilassarmi quando non c'è bisogno di me.» la äyräkkä si alzò in piedi e puntava lo sguardo serio e orgoglioso diritta negli occhi di Franziskyra. «In che modo possiamo esservi utile, Franziskyra di Evreirth?»

Il cavaliere continuò a mantenere lo sguardo gelido su di lei e mantenne il silenzio per un attimo. Non erano i suoi pupilli, aveva sempre odiato dover occuparsi di ragazzini troppo giovani per essere cavalieri ma ormai scelti per i loro compiti, il loro comportamento le dava sui nervi.

«Devo partire.» disse soltanto. «Sapete quali sono i vostri compiti.»

Osservò il ragazzo entrare in un'altra stanza ed emergere poco dopo con parte dell'armatura. Appoggiò il discreto peso su un tavolo e tornò a prendere il resto. L'äyräkkä, invece, raggiunse un'altra porta ed emerse poco dopo con una lunga spada. La lama da drago era lunga due metri, con l'elsa coperta da pelle di squalo ed un pomolo che ricordava la testa di un leone. La ragazza la appoggiò alla tavola ed entrò nella stanza delle armature per recuperare ancora un ultimo pezzo.

Il giovane emerse di nuovo con gli ultimi pezzi dell'armatura e appoggiò gli stivali metallici accanto ad una gamba del tavolo. La giovane, invece, raggiunse direttamente Franziskyra e la aiutò ad indossare un gambeson verde. Franziskyra cominciò ad allacciare gli alamari sul petto mentre lei regolava le cinghie sulle spalle, era un tocco nervoso e per nulla abituato a quei gesti.

"Devono imparare." pensò, mantenendo un'espressione impassibile. "Sono dell'ultima nidiata."

Appena finito con cinghie ed alamari, il giovane le allacciò il pettorale, che assicurò con il suo simile sulla schiena tramite una cinghia stretta al massimo. Franziskyra tacque, notando l'assenza di un passaggio, e lasciò che le assicurassero bracciali e gli spallacci che ricordavano delle ali di drago ricurve su se stesse.

Cominciò a guardare la porta che avrebbe condotto alla piattaforma dove Evreirth la stava sicuramente aspettando, già bardato per il volo.

"Dev'essere più facile per lui." pensò, con una leggera irritazione. "Alla sistemazione dei draghi vengono assegnati novizi più esperti."

Qualcosa che non va? percepì la voce mentale del drago.

Non vedo l'ora di essere in volo commentò lei, trattenendo a stento un sospiro e alzando le braccia per farsi sistemare cubitiere.

Si sistemò da sola le manopole, aprendo e chiudendo più volte le mani per essere sicura di averli inseriti correttamente. Cosciali e gambiere furono gli ultimi pezzi dell'armatura ad esserle sistemati. I ragazzi indietreggiarono, lei mise la spada in spalla e prese l'elmo che era stato lasciato sul tavolo.

«Non possiamo mai sapere quando ci sarà una mobilitazione generale.» disse infine, mettendo l'elmo sotto braccio e dirigendosi verso la terza porta.

I due ragazzi alzarono lo sguardo al cielo, vedendosi chiudere la porta davanti. Franziskyra lasciò andare un sospiro e spostò gli occhi sul corridoio. Il percorso era stato scavato nella roccia e saliva con una lieve pendenza, proseguendo diritta verso un cancello che separava l'area adibita al drago.

Gli stivali metallici l'accompagnavano con un ticchettio al suolo e quando fu a pochi passi dal cancello questo si sollevò senza che dovesse fare nulla. Fece un cenno di saluto al novizio che si trovava accanto all'apertura con un accenno di sorriso e poi spostò lo sguardo sui due novizi che stavano terminando di controllare le cinghie della sella.

Uno di loro si trovava disteso sotto alla pancia di un drago dalle scaglie verdi brillanti e stava controllando che fosse bene infilata nei due passanti di cuoio. L'altro, invece, stava controllando che le cinghie sul lato sinistro della sella da drago fossero in buone condizioni un'ultima volta.

«Franziskyra.» la salutò il giovane. «Quando tornerete, ricordate a chi sarà di turno di cambiarvi le cinghie per la lama.»

«Grazie, Thorir.» il cavaliere annuì appena, accennando ad un mezzo sorriso.

Spostò infine l'attenzione sul drago. Il muso squadrato osservava con attenzione l'orizzonte settentrionale, con lo sguardo perso nel vuoto. Dalla sua posizione non poteva vedere gli occhi dorati e cosa stessero puntando veramente, ma poteva sentire da parte sua l'ebbrezza di una giornata di volo. Accarezzò la pelle squamata della zampa anteriore sinistra e gli diede un colpetto.

Sono qui disse, mentre i ragazzi si allontanavano dal drago per raggiungere il collega che si trovava vicino all'apertura e la ragazza fece forza sulla staffa per issarsi su quella superiore ed arrivare così alla sella.

Si chinò a legare prima la lama e poi gli stivali alle cinghie ad essi dedicati. Stava cominciando a tirarsi su quando uno scossone la fece appiattire sulla sella con una mano sul pomolo e l'altra a tenere l'elmo. Sotto di lei la piattaforma era svanita e i grandi campi innevati del Þrándheimr scorrevano sotto di lei.

Sei uno stronzo! esclamò la giovane, mentre il vento le fischiava tra i capelli. Almeno aspettare che mi sia messa l'elmo!

Percepì una sensazione divertita provenire dal drago e si tenne bassa, presso le spine del dorso, per infilare l'elmo ed evitare di avere tutta l'aria in viso che la faceva lacrimare.

Ma che diamine ti è saltato in mente? gli chiese ancora, finendo di allacciare l'elmo e rigirando la cinghia all'interno.

Era necessario rispose lui, con tono calmo e poi ti eri già legata.

Il drago prese quota e la ragazza cominciò a sentire il cambiamento nella temperatura e nel proprio respiro. Un respiro lento, misurato, che ricalcava quello del drago con le maestose ali aperte nell'aria di asox. Una corrente d'aria li portò più in alto e la giovane si concesse di guardare i dintorni. La rocca di Dragerhekker era alle loro spalle e intravedeva i boschi verso sud, ma verso nord soltanto poche macchie riuscivano a vivere una addosso all'altra in conche o lungo i fiumi.

Sarà un viaggio lungo l'avvisò Evreirth vuoi dormire?

Grazie rispose lei ma preferisco farti compagnia.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Il drago osservò con attenzione il suolo e anche il cavaliere si sporse un po'.

Non riesco a vedere la sosta disse Franziskyra ormai ci dovremmo essere sopra.

Ho dovuto fare una deviazione quando ho visto quelle nuvole rispose lui, abbassandosi di quota e continuando a scrutare con attenzione non volevoche tu venissi fulminata.

Di' la verità… non volevi venire fulminato tramite me rise lei, inarcando un po' la schiena per stiracchiarsi un po', soprattutto il collo.

Le sembrò di vedere un rettangolo più scuro con un'ombra che si allungava molto e trasmise l'immagine a Evreirth. Abbassandosi, anche il drago riuscì a notarlo e individuò un pascolo ben recintato e un'asta che ospitava uno stemma da cinque colori: nero, bianco, blu, giallo e argento.

Entrambi sorrisero nel vedere lo stemma dell'ordine ed Evreirth studiò con attenzione la zona in cui atterrare. Le ali cominciarono a battere lentamente, ruotando per rallentare il volo, e il drago si avvicinò con delicatezza al suolo. I colpi d'ala attenuarono la caduta, ma nonostante tutto ci fu uno scossone quando la creatura giunse a terra.

Il sole ormai stava calando a occidente e la porta si aprì, rivelando soltanto una sagoma robusta illuminata da un caminetto alle sue spalle.

«Ci sono altri in volo?» chiese l'uiks, dirigendosi verso di loro, con una voce però più acuta di quanto potesse far prevedere il corpo muscoloso e squadrato.

«No, Torunn.» rispose Franziskyra, chinandosi per slacciare le cinghie che le tenevano gli stivali saldati alla sella. «Stavi aspettando qualcuno?»

La figura scosse lievemente il capo. «Non mi piace l'idea di qualcuno che si accampi là fuori.» rispose, con una vigorosa scrollata di spalle e avvicinandosi al drago e al suo accompagnatore. «Un orso o un branco di lupi possono avere la meglio su chiunque, se non è vigile.»

Franziskyra riuscì a liberarsi una gamba e dall'altra parte giunse Torunn. Si arrampicò sulle prime staffe e poi sciolse con pochi gesti le cinghie alla gamba. Con un salto Torunn ritornò a terra e attese che Franziskyra avesse recuperato la spada e scivolasse dal suo lato per prenderla tra le braccia ed evitare che si facesse male.

«Cosa farai, Evreirth?» chiese Torunn al drago. «Abbiamo messo da parte un bue per te, ma, se preferisci, c'è qualcosa di caldo all'interno.»

Entrerò, Torunn il tono del drago era gentile e la sagoma si modificò velocemente.

Le corna si riassorbirono nella testa e vennero sostituite da una massa di capelli corvini, gli occhi variarono dal dorato al grigio, le squame si fusero in una pelle rosea e tutto l'equipaggiamento svanì, sostituito da una lunga veste verde.

Torunn sorrise lievemente, annuendo.

«Le vostre trasformazioni sono sempre un piacere per gli occhi.» sorrise Torunn, appoggiando Franziskyra a terra, con una punta d'invidia. «Cambiare l'aspetto per essere più collegati a quello che siete.»

Franziskyra batté una mano guantata sulla spalla dell'uiks, osservandolo ora alla luce che usciva dalla porta. Il viso era rasato perfettamente, con una punta di trucco sulle guance per renderle più rosate di quanto sarebbe stato normale per la sua carnagione, e le labbra portavano il rossetto. Anche gli abiti marroni, per quanto adattati al suo corpo, avevano una foggia femminile.

«La vostra razza è sempre piena di sorprese anche per me.» le rispose Evreirth, anche se il drago in forma umana cominciò a fregarsi una mano sul braccio cercando di cacciare una lieve sensazione di disagio. «Come se la cava, Ilron?»

Torunn li guidò all'interno e Franziskyra chiuse con cautela la porta alle sue spalle. L'interno era desolatamente vuoto, soltanto un tavolo era stato preparato con alcuni piatti e delle posate ed una figura si trovava seduta su una sedia davanti al caminetto, immersa in una pesante coperta.

«Sempre peggio, purtroppo.» lo sguardo dell'uiks finì sul focolare e sulla figura rachitica lì seduta. «Non vede nulla e non prova nemmeno a volare, dice che il suo tempo è passato ed è ora che i giovani si sgranchiscano le ali. Anche l'udito è peggiorato e, con esso, il suo umore.»

Evreirth lanciò un'ultima occhiata alla figura rachitica e scosse lievemente il capo con un sospiro. Franziskyra sollevò lo sguardo su di lui e gli mise la mano sulla spalla, stringendo lievemente.

«Torunn, hai già preparato una stanza?» le chiese, spostando lo sguardo su di lei e, al suo cenno affermativo, volse lo sguardo verso di Evreirth. «Vai da lui.» gli sussurrò.

Gli diede qualche pacca sulla spalla e seguì l'uiks verso le scale che si trovavano in fondo alla sala. Fece vagare lo sguardo sull'interno della sala, ai tavolini sparsi, alla porta chiusa che collegava alla cucina e alle scale che conducevano ad un primo piano per nulla illuminato. Sulle pareti erano appesi arazzi che rappresentavano cavalieri sui loro draghi e, in quella più lunga opposta al lato dove salivano le scale, un enorme arazzo in cui era raffigurato l'intero Þrándheimr con tutte le soste sparse sul territorio, ognuna ad un giorno di viaggio dalle altre.

Torunn accese una candela e la guidò all'interno di una stanza dove era stato preparato un grande letto con un baldacchino formato da pesanti coperte, un tavolo con un paio di sedie e un supporto per appoggiare l'armatura. La prima cosa che andò ad appoggiare fu l'elmo sul supporto e poi si voltò verso Torunn che aveva appena appoggiato la candela sul tavolo.

«Non saprei come fare senza di te.» disse, con un lieve sorriso in volto.

Torunn le si avvicinò, posandole la mano sulla spalla. «Ti affideresti soltanto ad un altro rievyötpaun .» rispose, scuotendo la testa dai lunghi capelli rossi raccolti in un'unica treccia con un nastro verde ad evidenziarne una ciocca. «Com'è successo ai miei tempi… almeno questo è un luogo tranquillo e le informazioni possono correre, non si annoia di certo.»

La ragazza sorrise lievemente e annuì.

«Vado a controllare che sia ancora caldo, vieni giù quando hai fatto.» la salutò, voltandosi ed uscendo dalla stanza.

Franziskyra appoggiò contro la parete la lama ancora da drago nel fodero. Si avvicinò alla finestra, pensierosa.

"Come sono cambiati i tempi." pensò, togliendosi sovrappensiero i guanti e appoggiandoli sul tavolo al suo fianco. "Ora si vede che sta meglio, non come quando mi hanno assegnato a lei."

Sorrise lievemente al pensiero di quanta impressione le avesse fatto la prima volta quell'uomo muscoloso dal viso oscurato da pensieri costanti, pensieri che non era mai stata in grado di capire fino a quando non glieli aveva detti. Entrare nei Dragensønnene era stata la sua via di salvezza e gestire quella sosta la realizzazione della sua vita.

Percepì uno scricchiolio nelle assi e voltò appena il viso per osservare l'apertura della porta. Una sagoma un po' più alta di lei si stava avvicinando e vide nella luce della candela il viso di Evreirth. Lui si chiuse la porta alle spalle, silenzioso, e mosse i suoi passi verso di lei. Sentì la mano appoggiarsi sullo spallaccio e gli appoggiò la mano sulla sua.

«Ti ha riconosciuto?» gli chiese, sentendo la mano scivolare via da quella di lei e cominciare ad armeggiare con le cinghie dello spallaccio di destra.

***

Evreirth sciolse la cinghia, facendola appoggiare sulla schiena. Si appoggiò delicatamente a lei per sciogliere anche quella della parte anteriore. C'era qualcosa di profondo che si agitava dentro di lui e lo sentiva chiaramente, era più forte di qualsiasi risposta.

«Ormai è quasi svanito.» il tono era triste. «Ilron è davvero agli sgoccioli e non riesco a capire quando avverrà.» continuò comunque a lavorare e lo spallaccio gli rimase in mano.

Franziskyra sollevò la mano per portarla alla guancia di lui, sentendo la consistenza morbida sotto ai suoi polpastrelli.

«Resta qui, Ev,» gli sussurrò, sollevando lo sguardo verso di lui e sentendolo muoversi per appoggiare lo spallaccio sul tavolo. «soprattutto in questo caso: non sai quanto gli manca. So che, se dovesse avvenire mentre siamo in Haleflamme non te lo perdoneresti.»

«E lasciarti andare sola?» il turbamento valicava il confine della condivisione delle emozioni e stava colorando anche la sua voce. «Non sappiamo cos'è successo laggiù…»

Franziskyra si voltò verso di lui, con lo sguardo triste ma serio.

«È tuo padre, Evreith.» gli ricordò. «Io ci metterò tanto ad arrivare e ti lascerò le indicazioni per raggiungermi ad ogni rievyöt.» fece una pausa, accarezzandogli la guancia. «Dovresti contattare i tuoi fratelli e aspettarli qui per il suo ultimo volo.»

Evreirth appoggiò la mano sulla guancia di lei, accarezzandogliela meditabondo. «Quando sei diventata un drago più dei draghi stessi?» le chiese, accennando ad un sorriso.

Le mani del drago scesero a sciogliere anche l'altro spallaccio e la liberarono del peso dell'armatura, che venne appoggiata sul sostegno senza sciogliere il resto delle cinghie. Con la coda dell'occhio guardò Franziskyra sedersi sulla sedia e iniziare a sciogliere le protezioni dalle gambe e appoggiarle contro la parete, accanto alla lama da draghi.

Le prese i capelli tra le mani, passando le dita per districare i nodi che si erano formati in quella giornata, e ne aspirò il profumo. Un brivido corse lungo la schiena di lei.

«Non posso lasciarti andare sola.» sussurrò, appoggiando le labbra nell'incavo del collo di lei. «Contatterò gli altri al prossimo rievyöt e ti raggiungerò quando sarà possibile, ma non mi piace mandarti da sola.»

«Chi vuoi mai che affronti un dragersønnene?» rispose lei, con un lieve sorriso in volto.

Lo sguardo di Evreirth, però, era molto serio.


Note:

Uiks: donna nata nel corpo di un uomo (molense)

Rievyöt: custode della sosta (molense)

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