i Draghi Tiranni, gli Imperatori dell'Infinito e dell'Eternità

di AlsoSprachVelociraptor
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo:L'isola dei Draghi Tiranni ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Cruel Fire Tyrant ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Laky il Terribile ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - Un piano di distruzione ***



Capitolo 1
*** Prologo:L'isola dei Draghi Tiranni ***


La storia che state per leggere è una Fanfiction di One Piece un po' speciale.

È infatti il remake "ironico" di una vecchissima fic scritta da me in persona ben 12 anni fa e scritta nel corso di due anni, tra il 2010 e il 2011!

In 12 anni One Piece è cambiato parecchio, e anche io sono cambiata. 

Nel 2010 era apparso per la prima volta Sabo, di cui mi ero follemente innamorata a prima vista. Nel 2010 ho letto Eragon e iniziato la saga della Ragazza Drago, e nello stesso anno Bad Romance di Lady Gaga mi era stata inviata tramite bluetooth sul mio Samsung Corby giallo con sfondo il logo della Tecktonik a scacchi in fiamme.

Erano altri tempi.

Ma questa storia, che in origine si chiama "NON PER NOI. STORIA DEGLI IMPERATORI DRAGHI TIRANNI" tutto in maiuscolo, la considero un pinnacolo di arte trash dei primi anni 10, troppo prezioso per venir dimenticato.
 

Una specie di My Immortal nostrano, se così si può definire.

Revisitandola negli anni 20, modificando il meno possibile e rendendola leggermente più fruibile, voglio presentarvela, e sperare che vi divertiate a leggerla tanto quanto mi sono divertita io a scriverla due volte, in una dozzina d'anni di distanza.

In questa storia ogni arco filler dell’anime verrà considerato come canon, e tutto ciò che succede dopo il 3D2Y non è calcolato, per il semplice motivo che quando ho iniziato a scriverla il timeskip doveva ancora avvenire!

In questa revisione appariranno tuttavia alcuni personaggi presenti solo nell’opera dopo il timeskip, solo per il puro gusto di incasinare un po’ le cose. :)

Ho voluto mantenere lo stile originale della storia, ovvero aggiungendo a caso dei flashback (che si capirà sono flashback perchè scritti in corsivo, come nell'originale) e degli avvenimenti onirici, azioni che succedono solo in sogno (e saranno scritto in grassetto perchè andava di moda così su EFP negli anni 2000) per mantenere quell'aria di primi anni 2010, dove ogni storia aveva dei flashback non in ordine temporale sbattuti a casaccio dentro ai capitoli. Bei tempi.
Non prendete troppo seriamente questa storia. Leggetela come una strampalata avventura per due risate, come un disaster movie dell'Asylum. Assaporate il delizioso cringe stagionato dodici anni. Inoltratevi con me in questo viaggio nel tempo, sperando che vi divertiate tanto quanto mi sono divertita io a ritrovare questa gemma, e riscriverla.
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“Terra! Terra!” gridò il vicecapitano, appollaiato sull’albero maestro della loro nave, la Shining Future.

Evelynn Sorriso Smagliante corse sul ponte della nave, stupita tanto quanto la sua nuova timoniera e navigatrice, Lulabelle. “Terra? Qui?”

Con un balzo, il vicecapitano atterrò sul ponte di legno tirato a lucido (come del resto tutta la nave) come un fazzoletto di pizzo trascinato dalla dolce brezza del mare, di fronte alla sua capitana e timoniera. Chiffon, il ragazzo dai capelli bianchi candidi come la neve e gli occhi caldi e dolci, aveva un ampissimo sorriso sul viso. “Sì! Si tratta di un arcipelago vulcanico, formato da più isole che, probabilmente, un tempo erano vulcani…

Lulabelle aveva una cartina in mano, e il log pose sul suo delicato polso puntava tutt’altro, anche se era calibrato per portarli alla prima isola sul loro tragitto. “È possibile che… i vulcani siano ancora attivi, e le isole siano abbastanza recenti. Quando hanno disegnato questa mappa, ancora non erano ancora spuntate dall’oceano. Io vi starei alla larga...”

“Allora sbarchiamo!” gridò Evelynn fuori di sé dalla gioia. “E diamo loro un nome!”

“Magari potremmo renderle la nostra base!” disse il fratello minore di Evelynn, Kean, dai capelli morbidi e setosi dello stesso colore miele della sorella. 

I pirati dal Sorriso Splendente erano partiti da poco per il Grande Blu, ma già erano famosi per la gioia che emanavano, e per la bellezza di tutti i loro componenti. I folti boccoli viola di Lulabelle, uniti ai suoi occhi color mare sul suo viso del colore dell’ebano, Evelynn e Kean, alti e biondi e splendidi, dal sorriso magico che poteva far sciogliere ogni cuore, e Chiffon, dalla pelle morbida e i capelli boccolosi e platino e le movenze da ballerino eleganti.

La Shining Future attraccò sulla spiaggia dalla sabbia di un magenta intenso.

“Polvere di granati!” disse Lulabelle la studiosa, saltando a terra e atterrando sulla sabbia, che si sollevò attorno a lei in una tempesta scintillante.

“Perfetta per noi!”

“La mia isola sarà quella, a me piace il colore verde!” disse Evelynn, più gioviale del solito, indicando la seconda isola per grandezza, dopo quella su cui erano attraccati.

L’isola, quella principale e probabilmente la più vecchia, era una larga isola vulcanica a forma di mezzaluna formata da basalto nero e granati, e ricoperta in buona parte da una fitta savana e dal clima secco. E, cosa più importante, sovrastata da un enorme vulcano.

E da dentro la caldera, un paio di enormi iridi colore della fiamma li stava fissando...

“Ok, farò quello che mi hai detto.” brontolò la ragazzina, il cappotto pesante sul viso coperto, gli occhi arancioni che andavano a fuoco per l’irritazione del momento- Ray odiava i nobili.

Ma se voleva comprarsi la libertà, ripagare il debito di quell’uomo che l’aveva cresciuta ma che aveva fatto tanto bene quanto male, quella era l’unica possibilità di libertà, libera dai Draghi Celesti, dai pirati, dai rivoluzionari… fare la mercenaria, stare agli ordini di quei maledetti nobili, e prendere i loro soldi.

L’uomo, un nobile di Goa -un piccolo regno nel Mare Orientale-, alto e pieno di sé, le stava dando un ruolo che spesso i nobili le affibiavano- controllare che il suo erede si comportasse bene.

Solo che, in questo caso, il ragazzino doveva anche trovarlo, e riportarglielo indietro, in quella villa che puzzava di candeggina. Odori che le riportavano in mente una brutta parte della sua infanzia.

“I soldi me li darai quando te l’avrò trovato. Non ho bisogno di anticipi, solo i soldi che mi servono per dormire qui.”

L’uomo sorrise sotto gli spessi baffi neri. “Oh, se è di tuo gradimento, puoi soggiornare nella nostra villetta degli ospiti.” disse ruffiano.

“No. No, preferirei di no.” si affrettò a dire Ray. Non avrebbe mai più vissuto in mezzo alla nobiltà. Non sarebbe mai più stata rinchiusa in una gabbia dorata. “Voglio mescolarmi meglio nella folla. I soldi per una camera in una locanda sarà sufficiente."

Il nobile sorrise ancora di più nel sapere che, per ora, i suoi soldi erano al sicuro. 

“Mio figlio… quello sciagurato! Lui è scappato, l’ultima volta che l’ho visto è stato qualche giorno fa, per le vie della città bassa. Le causerà un sacco di guai, ne sono sicuro.”

“Vorrà dire che mi pagherai di più.”

Il nobile continuò con una smorfia contrariata. “Ha dieci anni, è alto circa un metro, biondo occhi azzurri, gracile e, da quanto ho visto, estremamente veloce e atletico. Aveva un’arma contundente tra le mani, come un bastone. Stia attenta.”

Stavolta, fu il momento per Ray di sorridere, sfoderando gli enormi canini inferiori. “Oh, non preoccuparti, ho affrontato peggio che dei bambinetti scapestrati.”

Le fu consegnato un sacchetto di monete d’oro, il simbolo di un fiore a sei petali disegnato su esso, e fu scortata fuori dalla villa.

Quando Outlook III si sporse dalla finestra del suo studio per osservare un’ultima volta quella misteriosa mercenaria, lei era già sparita.

Senza nessun preavviso, il vulcano sopra la ciurma del Sorriso Smagliante eruttò con una violenza tale da far spiccare il volo a tutte le strane creature primitive che abitavano la savana.

“Dobbiamo tornare alla nave!” gridò Lulabelle, che era l’unica della ciurma a non avere poteri straordinari.

“Tranquilla, ho la situazione in pugno!” gridò Kean, mettendo le mani a cerchio davanti alla sua bocca e soffiando forte. Dalle sue dita ricoperte da guanti speciali di sua invenzione si generò una bolla di sapone, gigantesca, che presto inglobò tutti e quattro.

Quando un piroclasto scagliato dal vulcano si abbattè su di loro, venne schivata dalla fortissima bolla di sapone, e rimbalzò via.

Un rumore dietro di loro. Onde fortissime, che si abbattevano contro la loro nave di ridotte dimensioni.

“Uno tsunami?!” continuò Lulabelle, quasi in lacrime dal terrore. 

Forse uno tsunami sarebbe stato meglio, perchè dalle onde sbucò una testa da rettile, irta di spine e corna, e poi un lunghissimo collo. E poi spuntò un’altra testa, e un’altra, e ora erano nove teste di drago, tutte attorno alla nave.

I quattro ragazzi rimasero inermi, terrorizzati.

Le nove teste del drago, grosse tanto da inghiottire senza nessun problema qualsiasi dei componenti della ciurma di giovani pirati in un sol boccone, aprirono le loro fauci da coccodrillo piene di affilati e conici dentacci e si avventarono sulla barca, spaccano il legno come se fosse carta, distruggono la loro splendida nave.

“No!” gridò Evelynn, facendo esplodere la bolla per la forza con cui si mosse, correndo piena d’ira verso il drago.

Come osava quella stupida creatura marina distruggere la sua nave!? Evelynn non era solo il capitano della sua ciurma, ma aveva costruito quella nave grazie all’abilità del frutto del diavolo che aveva mangiato da ragazzina, il paramecia Ki-Ki-no-Mi, che le consentiva di creare rami e manipolare il legno.

Creò una passerella sotto ai suoi piedi, che la sollevò dall’oceano fino a una delle teste del drago. Tra le sue mani tremanti dalla rabbia creò un giavellotto di legno, affilato e seghettato, che scagliò contro la gola del mostro, proprio sotto la mascella.

Il giavellotto si conficcò tra le scaglie. O almeno così sembrò a Evelynn, che si accorse dell’errore fatale quando vide che, in realtà, l’asta si era conficcata in un sottile strato di ghiaccio che ricopriva interamente il drago. Il giavellotto venne ricoperto di ghiaccio, e si spezzò in mille frammenti.

Due teste attaccarono Evelynn, e lei riuscì a schivarle, ma un potentissimo getto di acqua congelata, che arrivava da altre teste del drago, la colpì in pieno. Evelynn si sentiva debole, e le articolazioni avevano smesso di funzionarle- l’acqua si stava congelando sul suo corpo, e le stava chiudendo naso e bocca.

Tentò di evocare un ramo dalla sua mano, ma quello uscì storpio, nudo, come un rametto congelato in inverno di una pianta morente. Le unghie iniziarono a raschiare le labbra ormai congelate, tentando di aprire la bocca, ma non c’era verso.

“Jaki! Quella vale più da viva che da morta!” arrivò una voce, forte e bassa, dalla savana. A cavallo di quello che sembrava un dinosauro, un uomo alto e vestito di blu fece la sua comparsa- colui che aveva parlato. Portava un grosso cilindro nero, vecchio e rattoppato sul viso, solo i capelli biondi e ricci facevano capolino da sotto esso, e il viso, così come il suo corpo, era per metà ricoperto da grosse cicatrici, ben visibili anche sotto il giaccone blu.

“Mi stai dicendo che questa mocciosetta ha una taglia sulla testa?! Ma non farmi ridere, Biondo.” ringhiò il drago, tutte le sue teste che parlarono all’unisono.

“20’000’000 Berry per Evelynn Sorriso Smagliante. Non è un granchè, ma è qualcosa.”

 In preda alla disperazione, intontita dal freddo estremo, la passerella di legno di Evelynn crollò, e lei cadde a peso morto verso la superficie dell’oceano- ma prima che potesse cadere del tutto, la coda irta di spine del drago la frustò così forte da farla rimbalzare sulla spiaggia, immobile, e libera dal ghiaccio che si era rotto nel colpo di coda- ma immobile comunque.

“Sorellona!” gridò Kean, correndo verso di lei, mentre Chiffon si voltò verso l’alto uomo biondo, smontato dal suo destriero preistorico.

“Chi siete? Cosa volete da noi!” ringhiò Chiffon, un’espressione di puro odio sul viso tanto bello e armonioso.

“Cosa volete voi! Siete sulla nostra isola!” gli rispose l’uomo, estraendo la sua arma, un lungo tubo di metallo ai cui estremi si protendevano pesanti spunzoni da mazza ferrata, dalla schiena.

Chiffon saltò in aria, leggero come una piuma, e si avventò sull’uomo che lo colpì con forza con la propria arma, ma Chiffon sembrò diventare bi-dimensionale, come se fosse una coperta nel vento, e si aggrovigliò al tubo e al braccio destro dell’uomo, e strinse quanto forte poteva.

Ma l’uomo non reagì.

“Hm, tu devi essere Chiffon, l’uomo-tela.” Disse cautamente, estraendo dalla tasca dei suoi pantaloni azzurri un foglio accartocciato. Erano le taglie della ciurma del Sorriso Smagliante.

“1’000’000 per Kean Bolla di Sapone, 15’000’000 per Chiffon Pizzo Umano e solo 300,000 per Lulabelle l’Esploratrice. Forse con tutte le taglie assieme riusciamo a ri-colorare la nave…” borbottò l’uomo, poco interessato alla presa mortale di Chiffon al suo braccio. Quando se ne accorse, fece una smorfia annoiata. “Tu non li vali, 15’000’000 berry.” e il suo braccio esplose in un tripudio di metallo, provenienti dal suo avambraccio robotico. Chiffon venne strappato in più punti, gridando dal dolore.

Cadde a terra, strappi di tessuto nella sua pelle grondanti di sangue, mentre l’uomo appoggiava un piede sulla sua schiena per tenerlo fermo. 

Lulabelle era a terra, in lacrime, e Kean, giovane com’era, non riusciva a muoversi. Sua sorella maggiore svenuta, il loro combattente più forte sconfitto senza nessuna fatica.

Le sue mani generarono altre bolle, che lanciò verso l’uomo biondo. “Bombe di sapone!” gridò, le lacrime agli occhi, ma non lo raggiunsero nemmeno.

Un altro terremoto scosse l’isola. Il drago dalle nove teste scomparve sott’acqua, e l’uomo biondo si buttò a terra.

Una ventata di aria bollente arroventò la sabbia di granati, investendo i quattro pirati del Sorriso Smagliante. Era aria bollente, calda come un forno, che risvegliarono Evelynn dal quel torpore gelato con un grido di dolore, bruciò i bordi sfrangiati di Chiffon e ustionò sia Kean che Lulabelle.

Kean, appena poté aprire di nuovo gli occhi, si beccò un forte pugno nello stomaco, le nocche del pugno ricoperte da spine. Poi uno sul viso, sul mento, sul petto, in una sequenza troppo rapida. Kean non seppe cosa gli fu addosso, e quando si accorse che quella davanti a lui era un’enorme donna-pesce con otto braccia, grossa il doppio di lui e dalla pelle rossa come il sangue e gli occhi blu mare che lo deridevano, era già a terra, mezzo svenuto.

“Buon lavoro, Vell!” la complimentò l’uomo biondo, che aveva già stretto il corpo di Chiffon con una catenella di agalmatolite. 

Evelynn si era rialzata, e, zoppicante e col fiato corto, cercò di avventarsi sull’uomo biondo. Riuscì a generare solo un fuscello vicino agli stivali scuri dell’uomo, prima che una morsa le stringesse l’intero corpo- e si accorse che la coda spinosa del drago blu d’acqua dalle nove teste era attorno a lei, a stringere sempre di più.

“Allora gli accordi sono che io riscuoto la taglia della capitana- che ho sconfitto io- e voi vi tenete il resto?” fece la stessa voce del drago, che ora non era più un drago.

Era un ragazzo, sui venticinque anni, dai capelli verdi scuro con ciocche blu e gli occhi blu ghiaccio e mutevoli come le onde del mare, e portava dei segni verde acqua sugli zigomi, tra l’occhio e la linea della mandibola, quasi a formare il disegno di denti di drago. Le sue mani erano squamose e dalle dita palmate, dita che culminavano in forti artigli e ricoperti da squame blu e brillanti, e dalla sua schiena spuntava una lunga coda che stava cingendo il corpo martoriato di Evelynn, e dalle squame blu della coda permeava ghiaccio, che stava lentamente ricoprendo di nuovo il suo corpo.

“Quanti berry hai detto che vale questo, Biondo!?” gridò tutta felice la donna-pesce, prendendo Kean, svenuto e intontito per la collottola e sollevandolo.

“E tu cosa farai, con i soldi ricavati dalla taglia di quello che hai sconfitto?”

Il biondo si sollevò il cappello a cilindro dal viso, rivelando un volto giovanile e pallido, per metà straziato da una vistosa bruciatura, per l’altra metà rivelava un bellissimo ragazzo, dai tratti affilati e il sorriso un po’ imbarazzato. “Beh… io pensavo di comprare un regalo per Ray... “

Vell rise così forte che le uscì dell’inchiostro dal naso. “Tipico!”, e il ragazzo biondo arrossì ancora più di prima, l’unica guancia sana che andava in fiamme.

Quando Lulabelle sentì la mano fredda e squamosa del drago- ora umano- sulla spalla, gridò e si accasciò a terra. “No! Ti prego, non farmi del male!” gridò disperata. “Io- io sono l’ultima arrivata nella ciurma, ti prego, io non ho poteri-!!”

Sul volto del ragazzo c’era un sorriso, le labbra tirate in una dolce risata. Dalle mani generò una rosa di ghiaccio, bellissima e trasparente come il cristallo, che porse tra le mani tremanti della ragazza.

“Non ti preoccupare, non ti faremo nulla. Io mi chiamo Jaki Michaelson, sono il Comandante della Prima flotta della squadra dei Draghi Tiranni.”

Massì, Lulabelle li aveva già sentiti, i Draghi Tiranni. Mercenari al soldo di piccoli regni ribelli, cacciatori di taglie, non dalla parte del Governo Mondiale né dei pirati, né dei Rivoluzionari.

“Tu sembri una ragazza razionale e intelligente.” le disse Jaki con i modi più raffinati che Lulabelle avesse mai provato, baciandole il dorso della mano con le sue labbra gelide. “Ti andrebbe di fare parte della nostra associazione? Ci servono, persone sveglie come te. Qual è il tuo ruolo?”

Lulabelle esitò. Era ancora terrorizzata, paralizzata dalla paura, le ginocchia infossate nella sabbia di granati viola e rossi. La coda di Jaki teneva ancora in pugno la sua capitana- o ex?- Evelynn, mentre lui la fissava con quegli occhi blu oltremare, dalla pupilla verticale come quella di una creatura degli abissi…

“Io… sono una navigatrice.” rispose, timidamente. “Ho studiato gli oceani tutta la mia vita…”

“Oh, nella mia flotta ho assolutamente bisogno di una navigatrice esperta!” disse Jaki, per poi rivolgere una smorfia compiaciuta verso il ragazzo biondo sulla spiaggia. “...anche la flotta del Capo ne avrebbe bisogno, eh?”

“Ehi, io sono un ottimo navigatore!” protestò lui. La donna-pesce, al suo fianco, si mise una delle otto mani sotto al mento. “In effetti un navigatore più esperto ci sarebbe utile… ma il capo Ray non sostituirebbe mai e poi mai il suo amato Sabo nella sua flotta!”

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - Cruel Fire Tyrant ***


Ray aveva trovato il ragazzino- si trovava nella foresta del Monte Colbo. Aveva sentito il suo odore, il profumo di nobiltà mischiato con terra umida e animale selvatico.

Il padre del ragazzino aveva menzionato dei banditi di montagna, e lei li aveva seguiti. Nel fitto della foresta del monte Colbo, strisciando nel putridume del Grey Terminal, vista da nessuno.

Aveva seguito uno dei ragazzini, uno che il padre nobile aveva visto assieme al figlio- non le aveva dato una grande descrizione, solo che avevano i capelli neri ed erano armati alla bell’e meglio come il figlio, ma questo bastava e avanzava. Quale bambino si aggirava per quella gigantesca discarica?!

Ray si nascose tra le fronde di uno di quegli alberi, pronta ad agire. L’avrebbe catturato, e riportato al padre, e Ray avrebbe avuto i suoi soldi. Un’altra missione, una come tante altre.

“Perchè ci hai mentito?” fece uno dei due ragazzi mori, girato di spalle rispetto a dove Ray si trovava. Non lo vide in viso. 

“Io…”

Quello seduto sulle radici di un grosso albero combaciava alla perfezione con la descrizione del nobiluomo. Il ragazzino si sfilò il cilindro nero, rivelando i ricci e corti capelli biondi, e Ray seppe che davanti a sé aveva proprio la sua preda.

Come avrebbe agito? I bimbetti mori si sarebbero potuti spaventare, nel vedersi arrivare addosso una creatura come lei- o, se nella sua forma umana, l’avrebbero potuta riconoscere in futuro. Potrebbe ucciderli, ma se questi ragazzini avessero dei genitori che potrebbero rintracciarla?

Avvinghiata a un ramo, aspettò il momento propiziatorio per prendere il ragazzino e strapparlo via da quella odiosa giungla.

“Io non vi ho mentito. Io... “ il ragazzino biondo strinse il capello tra le mani, stretto, strettissimo, le dita arrossate dallo sforzo e il viso paonazzo. “Io mi vergogno così tanto di essere nato nobile!”

Ray sembrò raggelarsi sul posto. Spalancò occhi e orecchie, si lasciò trasportare dalla sua storia, un racconto di una misera vita nella nobiltà- un destino già deciso, violenze fisiche e mentali e delusioni ogni giorno della sua vita, e quella sensazione di essere già morti dentro…

I due bimbetti mori se ne andarono, lasciandolo da solo, a piangere e disperarsi in solitudine.

Ray decise di uscire allo scoperto. I fruscii nella pianta diventarono rumorosi movimenti dei rami, e Ray scese con un balzo, ora umana. Prima che il bambinetto potesse parlare, Ray gli fu addosso, una mano sulla sua bocca e l’altro avambraccio sulle sue clavicole, a tenerlo a terra. Era un bambinetto nobile di dieci anni, magro e pallido, e la sua forza era davvero infima a confronto con quella di Ray, tredicenne e allenata fin dall’infanzia al combattimento.

“Mi ha mandato qui tuo padre. Però...” tentò di parlargli Ray, e a quelle parole il ragazzino sotto di lui ebbe un sussulto, il suo corpo sembrò esplodere dalla rabbia. Riuscì in qualche modo a divincolarsi dalla sua presa, rotolare su un lato e afferrare il tubo di cui il padre l’aveva avvertita. Con un gesto troppo veloce e diretto per un bambino di quell’età glielo sferrò addosso, e anche se era più veloce di Ray, i suoi riflessi erano ben più sviluppati. Allungò una mano e afferrò il tubo di ferro tra le dita, ricoperte da qualcosa di duro e gialle come il sole… scaglie.

Ray strinse la presa sul tubo, e piegò il ferro sotto le sue dita ad artiglio, e lo strappò dalle mani del ragazzino con una forza disumana, buttandoselo alle spalle.

“Mi lasci parlare?!” gli ringhiò contro, ma il ragazzetto biondo scartò ancora e si tuffò dietro di lei, per recuperare il tubo e colpirla di nuovo.

Ray era stanca di questi giochetti.

Sabo aveva preso in mano il tubo, ma sentì una corda attorno alla gamba, stringersi, più forte di qualsiasi corda avesse mai provato, e sollevarlo di peso, a testa in giù, a un metro da terra.

Era una coda, gialla e squamosa e irta di spuntoni viola, e proveniva proprio da sotto la pesante felpa della ragazza davanti a lui.

“Una mercenaria.” disse Ray, fulminandolo con i suoi occhi arancio come il fuoco. “Tuo padre mi ha pagata per riportarti a casa, in quella villona nella Città Alta. Ma… non so se voglio farlo.”

“E perchè non dovresti?!” ringhiò a denti stretti Sabo, che sentiva il sangue affluire alla testa e le squame abrasive contro la pelle nuda del polpaccio.

Venne fatto cadere a terra, e la coda scomparve così com’era comparsa. 

Gli occhi della ragazzina, da sotto il cappuccio alzato che portava sempre a nascondere il viso, divennero più tristi.

“Perchè ti capisco. So perchè sei scappato. So qual è la vita da cui ti sei voluto allontanare, perchè sto cercando anche io di scappare, di trovare la mia libertà.”

Sabo fece per rialzarsi, e la ragazza, con una mano che ora pareva umana, lo aiutò. Era più alta di lui, di qualche anno più vecchia, e il viso adombrato dal cappuccio alzato celava un volto affilato, capelli neri e indomiti e strani segni viola sotto l’occhio e sopra la linea della mandibola.

Rimasero a guardarsi negli occhi per un po’, come se fossero davvero le uniche persone che avrebbero capito l’un l’altro.

“Io mi chiamo Sabo.” esordì il ragazzino biondo, guardandola dal basso verso l’alto come se davanti a lui vi fosse un’effige sacra da venerare. 

“Ray.”

Ray, che bel nome, pensò Sabo, sentendosi il cuore un po’ più caldo. Ma così com’era arrivata, Ray, con uno scatto della testa, scomparve. Saltò in alto, e in meno di una frazione di secondo era ormai un puntino giallo e viola nel cielo blu.

“Sabo?! Cosa sono stati quei rumori?” intervenne Ace, tutto trafelato. “Cosa t’è successo?”

Sabo rimase a guardare l’amico, con una faccia un po’ intontita, un segnaccio sulla gamba e un sorriso ebete sulle labbra. “Io… una bestia! Mi aveva attaccato, ma l’ho lasciata fuggire…”

-È mattina! Forza gente! Il sole splende, gli uccellini cantano, e voi vi svegliate!-

Sabo entrò nella camera in cui tutti  i componenti della flotta principale dei Draghi Tiranni dormivano, sbattendo con violenza le pentole che stringeva tra le mani.

Dalla propria branda tutta stropicciata, Zeus, tenendosi una mano tra i capelli color cenere più stropicciati della coperta sotto di lui, si svegliò e guardò male il vice-capitano. “Ah, cazzo… perchè non vai a svegliare Ray così?” si lamentò il ragazzo.

“Ovvio che no!” gridò Sabo, assicurandosi di svegliare tutti i sottoposti, le mani sui fianchi e un’espressione offesa sul viso. “Lei merita molto, molto di meglio di questo!”

“Un bel bacino!” borbottò Urielle a suo fratello gemello Faust, entrambi appena svegliati dal frastuono del ragazzo biondo, che divenne completamente paonazzo, compresa la parte ustionata del suo viso.

“Idioti!” gridò, imbarazzatissimo ma vagamente offeso, punto sul vivo. “Io intendevo una sveglia-! Se s’incazza, lo sapete che sono guai per tutti, ma specialmente per voi sottoposti!” 

Detto ciò, sbatté a terra le vettovaglie e si sbatté la porta alle spalle, abbastanza rumorosamente da svegliare tutti i sottoposti una volta per tutte.

La nave su cui stavano sorvolando le acque era la Cruel Fire Tyrant, la gigantesca nave personale di Ray. Stavano tornando alla loro isola dopo un viaggio di aiuto ad Amazon Lily, un’isola abitata da una razza di draghi chiamati strisciadraghi, molto simili a serpenti, che vivevano in simbiosi con amazzoni dell’isola.

Sabo tornò nella sua cabina da notte personale, che era collegata a quella di Ray da una porta. Prima di varcare quella soglia, Sabo voleva sembrare il più bello ed elegante possibile per la sua amata capitana!

Sfilandosi la sua vestaglia da notte con un braccio solo, si attaccò il braccio robotico metallico nell'incastro alla sua spalla mutilata, e preparò un paio di camicie eleganti (ma da notte) sul suo letto appena rifatto.

Quale di queste avrebbe dovuto scegliere? 

A righe? A pois? Colore uniforme?

Scelto ciò andò nella camera (comunicante con la sua) di Ray e le si avvicinò in punta di piedi. Stava ancora dormendo nel suo letto gigantesco, fumo nero che usciva dalle narici ogni volta che russava nel sonno.

Era una ragazza di circa ventitré anni, dai capelli neri che brillavano di rosso sangue ogni volta che venivano colpiti dalla luce calda del sole, e la pelle pallida. Il viso, sgraziato e contorto in una perenne smorfia contrariata anche nel sonno, era solcato da una profonda, enorme cicatrice sul naso, e da sotto gli occhi e sopra la mandibola spuntavano quattro triangoli (due per lato) purpurei che quasi disegnavano i canini di un animale sul suo viso.

Più che una ragazza, Ray sembrava una bestia selvatica, un qualcosa di poco umano e molto pericoloso. Sabo doveva proprio essere un pazzo a essersi innamorato di una come lei.

Ma era così, anche se, piano piano, il sentimento era diventato nascosto.

Si sedette sul bordo del suo letto, bollente.

Si piegò su di lei e le diede un leggero bacio sulla guancia, la sua pelle rovente come tizzoni di legno nel camino. Lei ringhiò, mostrò i lunghi e grossi canini, ma non aprì gli occhi. Così Sabo la baciò ancora sulla guancia, sapendo che lei non sopportava assolutamente nessun contatto fisico amorevole!

“Smettila, se vuoi vedere un’altra alba sorgere…” ringhiò lei, e finalmente un suo occhio si aprì, l’iride arancione e brillante come fiamme dell’inferno.

Sabo le sorrise. “Buongiorno, capitano.” disse sorridendo, e anche sul viso di Ray si formò un minuscolo, nascosto sorriso. “Capitano… phui, non mi chiamavi così da anni. Ma come ti viene in mente…”

Ray si strappò le coperte di dosso, già pronta all’azione. Si aiutò a saltare in piedi stringendo una mano squamata, dalle squame gialle come i raggi del sole, sul braccio metallico d’oro e di ottone di Sabo. “Ho fame, andiamo a fare colazione. Sai cosa ci sarà oggi?”

Sabo si alzò, al suo fianco. Ray era una donna decisamente alta, di 1 metro e 90, ma arrivava alla spalla di Sabo, ragazzo altissimo e filiforme di 2 metri e 10. “Mmmh...penso latte e biscotti, ma non lo so di certo.” rispose il ragazzo.

Quando i due arrivarono alla sala da colazione/pranzo/merenda/cena, trovarono la tavola imbandita mentre Vel, una donna-pesce calamaro vampiro dalle otto braccia, stava contemporaneamente preparando le uova sode e le salsicce, apparecchiando, mettendo i piatti sul tavolo e fermando Uriella e Faust dal rovesciarsi tutto il latte addosso mentre se lo versavano nelle tazze.

Ray si sedette al tavolo mentre Sabo le aggiustava la sedia.

“Buongiorno, Ryrrys!” cantarono in coro i componenti del suo gruppo: Zeus, i gemelli Uriella e Faust, e Vell.

Ryrrys era il nome completo di Ray, non tutti infatti potevano chiamarla con quel soprannome.

Vell versò alla capitana e a sé stessa il latte speciale non di mammifero, mentre a tutti gli altri il latte normale di mucca.

Ray era completamente carnivora, e non mangiava né semi né frutta né verdura, dunque inzuppò una salsiccia fritta dentro il latte mentre tutti gli altri si versavano dei cereali o biscotti. Sabo la trovava adorabile.

Ma come al solito, ogni colazione finiva in un bordello: i due gemelli alati iniziavano a bisticciare, il caratteraccio ingenuo di Vell si offendeva per le velate prese in giro dei due demoni-angeli-lunariani-skypeiani, Ray si arrabbiava così tanto che finiva per mordere con forza le posate, piegare il metallo e spaccarlo in mille pezzi, e poi ingoiarlo mentre Sabo la pregava di non mangiarsi altre posate. 

E poi via, nella sala degli allenamenti, ad allenarsi a combattere, a sconfiggere ogni avversario che si fosse posto davanti a loro.

Le ali dei due gemelli alati venivano tarpate, manette venivano messe alle braccia di Vel, e il braccio robotico di Sabo veniva tolto, lasciato con solo il braccio sinistro a difendersi da tutti gli altri.

Ray non si tirava indietro e le suonava pesantemente a tutti i componenti della sua ciurma, senza mai tirarsi indietro dallo sconfiggerli, pretendendo che fossero sempre più forti, che andassero sempre oltre ai loro limiti, ma c'era un motivo per questo suo atteggiamento…

Il bandito stava tenendo il ragazzino biondo per un braccio, a diversi metri d'altezza. Sabo gridò e si dimenò, ma il bandito, alto almeno tre metri e spesso come il tronco di un albero, lo scosse con talmente tanta violenza da zittirlo immediatamente.

"Ah, finalmente ti ho preso, piccolo nobile! Tuo padre mi ha pagato per riportarti a casa, e così lui mi darà un titolo nobiliare!" Sbraitò il brigante.

Non si accorse di un fruscio tra le fronde, e non si accorse dell’ombra dorata alle sue spalle che si avventava su di lui veloce come un lampo, la lunga lama contorta che squarciava la sua pelle sporca.

Sabo fu scaraventato a terra, e prima che riprendesse i sensi, fu tutto finito.

La felpa gialla ricoperta di sangue e spada in pugno, un kopis dalla lama damascata d’oro e di bronzo, ecco la ragazzina dell'altro giorno- Ray.

"Che ci fai qua da solo? Non lo sai che è pericoloso?" ringhiò lei, gli occhi di brace puntati su di lui, e Sabo che ogni secondo in più che veniva fissato da quegli occhi si sentiva più succube di essi.

"Io… ti stavo cercando."

"Me? Perché?"

Sabo esitò. Mi piaci sarebbe stata la risposta vera, ma sapeva, in cuor suo, di non poter esternare quel sentimento così infantile, una cotta leggera e momentanea che però l'aveva quasi fatto uccidere.

"Sei forte, e misteriosa. È quello il potere di un Frutto del Diavolo? Come fai a essere così forte?" chiese Sabo, e Ray lo guardò esitante, e poco convinta.

Si guardò a destra, a sinistra, e poi si sedette su un masso lì vicino, invitando il biondo a fare lo stesso al suo fianco.

Sabo le si sedette vicino, coscia contro coscia, e questo lo fece arrossire un po', guance rosse sulla sua pelle di porcellana.

"Io devo essere forte. Io mi alleno ogni giorno, e ogni giorno devo essere più forte del giorno precedente, perché se lascio perdere mi verrà tolto tutto, compresa la libertà.

Sospirò.

"Spero un giorno di essere abbastanza forte da potermi liberare dalla associazione a cui mia madre mi ha affidata, tanto tempo fa. Posso solo contare su me stessa."

"Non hai nessuno che ti possa aiutare?" le chiese Sabo.

Ray negò. "Non ho famiglia, né amici. Io non voglio bene a nessuno. Io non ho nessuno per cui lottare."

Le sue iridi di fiamma passarono per un istante sul ragazzino biondo, aizzando un incendio sulle sue guance. "...per ora. Ora fila via, altri briganti verranno a cercarti."

Dopo l'allenamento, Sabo era distrutto. Era sempre quello che si allenava più di tutti, Ray esclusa, e quello che sapeva per cosa stava lottando, e lottava assieme a lei, sempre al suo fianco, per sempre.

Dopo ogni allenamento, in qualsiasi parte del mondo si trovassero, Ray volava via verso mete ignote, ad allenarsi ancora, tuffandosi in un vulcano e spuntando nel mondo misterioso da cui proveniva ed era nata, un mondo diverso, un periodo diverso, dove anche il tempo scorre diversamente e le creature estinte non lo sono davvero.

La squadra di Ray era formata da dimenticati, creature e persone relegate dalla vita a un ruolo secondario, ma che Ryrrys aveva saputo far risplendere di luce propria.

Sabo, ex nobile creduto morto da tutte le persone che erano state importanti nella sua vita, salvato da lei per ben due volte, e lui le deve sia la vita che la libertà.

Vell, donna-pesce venduta da bambina ai Draghi Celesti e liberata in un raid dell’Armata Rivoluzionaria di cui anche Ray faceva parte, e amiche fin da allora.

Zeus, orfano misterioso e amico di Ray fin dall’infanzia, dove hanno vissuto le durezze della vita da Rivoluzionari forzatamente.

Uriella e Faust, esperimenti del Governo Mondiale per creare la creatura suprema, un mix di lunariani e skypeiani, liberati da Ray che ha acconsentito che facessero parte del suo gruppo.

E Jaki, altro Drago e cugino di Ray, che risiedeva ad Amazon Lily assieme alle sue sorelle Kuja, dove si stavano recando.

E la stessa Ray, dall’aspetto umano ma di tutt’altra razza, dai poteri eccezionali e il passato oscuro, tra abbandoni e debiti con l’Armata Rivoluzionaria.

Tutti loro avevano sofferto tanto nella loro vita, ed era per questo che erano un gruppo affiatato di cacciatori di taglie, sempre pronti all’avventura.

Sabo, dopo una bella doccia rinfrescante dopo ore e ore di allenamento, amava prendersi del tempo per sé e rilassarsi, leggendo i libri che Ray gli faceva recapitare ogni volta che chiedeva. Al castello di Ray, all’isola vulcanica dove abitavano e avevano la loro base, Sabo aveva una biblioteca personale, strapiena di libri che arrivavano fino al soffitto. Per quel viaggio si era preso su solo pochi libri, ma che comunque occupavano una gran parte della scrivania personale della sua camera.

Aveva promesso da bambino che sarebbe diventato il miglior navigatore che avesse mai solcato i mari, e per Ray, lui lo sarebbe diventato. Lui doveva dare il meglio di sé per la sua amata capitana, avrebbe dato la vita per lei, se fosse stato necessario.

Mezzo svestito, a mostrare il suo atletico ma sfigurato fisico muscoloso e longilineo, si mise a studiare, le dita robotiche che scorrevano lentamente e delicatamente sul libro su cui stava compiendo delle ricerche mentre prendeva appunti. 

Tutto ad un tratto ci fu una forte esplosione fuori dalla sua porta, sul ponte della nave. Strano, di solito quando Ray tornava cercava di fare attenzione a non rompere niente.

Quando sentì i suoi compagni di ciurma gridare, allora si decise a rivestirsi, e correre a vedere cos’era successo. Si infilò i jeans chiari e gli stivaloni con tante fibbie, il frak blu intenso con delle catene dorate a tenerlo chiuso, e il suo solito cilindro nero con occhialoni fracassati dall’incidente che aveva avuto tredici anni prima coi Nobili Mondiali.

Prese al volo il lungo bastone d’oro e ottone e attivò i tubi e piccole ciminiere che espellevano vapore e rendevano il suo braccio metallico più forte.

Sul ponte della nave però non c’era nessun nemico, ma degli alleati sofferenti.

Uriella, la dottoressa di bordo, stava curando coi suoi poteri angelici l’enorme drago piumato riversato sul ponte, una grossa ferita sul fianco sanguinante. Vell stava aiutando una ragazza a rialzarsi in piedi, il volto tumefatto e la lunga treccia castana, a cui era appesa alla fine una mazza chiodata, tutti scompigliati. Stava piangendo, e si teneva il cappello a cono davanti agli occhi arrossati.

“Vinn! Il mio Vinn-!” gridava la ragazza, che poi cadde a terra, sconvolta dal dolore. Portava una lunga tunica caratteristica di alcuni sperduti regni del mare Orientale, completamente ricoperti di sangue.

“Apis!” gridò Sabo, avvicinandosi a lei. “Apis, cos’è successo?”

Ehecatlas Wyndaz, detto Vinn, era un’altro dei cugini di Ray, e un drago a sua volta, ma non quello riverso sulla nave, che infatti era Ryu, l’amico di Apis e uno dei servitori di Vinn, il Drago dell’Aria.

Apis era la fidanzata di Vinn, e di solito erano inseparabili, così come lo erano Jaki e la sua fidanzata Scilla, e Ray con Sabo stesso.

“Ci hanno attaccati sulla nostra isola, l’hanno rasa al suolo, e Vinn…” la ragazza scoppiò a piangere ancora più rumorosamente, mentre l’angelo Uriella la portava sotto cabina. 

“Ma chi è stato?” chiese Sabo all’amica, che però stava per svenire per le ferite riportate.

“I Falsi Draghi…” sussurrò. “...i Draghi Celesti!” e poi svenne.

Il sangue gelò nelle vene di Sabo, mentre una grossa nave si avvicinava alla Cruel Fire Tyrant…

…la gigantesca nave dei Nobili Mondiali, che tredici anni prima aveva segnato la fine della sua vita passata.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 - Laky il Terribile ***


La sua barchetta era stata colpita dall’enorme bazooka del Drago Celeste, e a bordo della sua gigantesca nave, l’uomo stava ricaricando l’arma.

Sabo stava per morire, lo sapeva.

Uno scoppio, e un altro enorme proiettile proiettato verso di lui.

Il proiettile lo stava per colpire, e per lui sarebbe presto stata la fine…

Nel suo campo visivo, in un istante, apparve un flash dorato. 

I suoi grossi e spaventati occhioni blu saettarono in alto e a sinistra, e quello che vide non ebbe nessun senso per lui.

Era un drago!

Ora aveva proprio visto tutto nella sua breve, bizzarra esistenza.

Il drago volava ad altissima velocità, veloce tanto quanto il proiettile, ed entrambi collisero con Sabo in un’esplosione di luce e rumore e fuoco e puzzo di carne bruciata.

Quando riaprì gli occhi, Sabo non sapeva se era vivo o meno. Tutto il mondo appariva rosso, come coperto da un velo di sangue e dolore e fuoco. Sopra di lui non c’era più il drago, ma c’era Ray. 

Ray… 

La ragazza doveva avere solo qualche anno in più di lui, e il suo viso non era mai stato bello e aggraziato ma ora, con quell’enorme squarcio sul naso che andava da guancia a guancia e il viso ricoperto di sangue, suo e probabilmente anche di Sabo stesso, sembrava ancora più mostruosa, e agli occhi stanchi e doloranti di Sabo, ancora più affascinante.

“Come stai?” chiese lei, il tono di voce affaticato, adagiata al suo fianco e tenendosi sollevata sui gomiti, entrambi gli avambracci così scuri di lividi e sanguinolenti da non poter capire se fossero rotti in mille pezzi o integri.

Sabo, dal canto suo, non sapeva davvero come stava. Si sentiva la testa leggera, e uno degli occhi, non capiva quale, bruciava così tanto da sembrare che stesse ancora andando a fuoco assieme alla sua barca. Non riusciva a muovere il corpo, e tentando di alzarsi sentì fitte in tutta la parte destra del corpo e del viso. Gridò dal dolore, la parte destra del viso avvolta da un dolore lancinante. Alzò il braccio sinistro, l’unica parte del torso che sembrava ancora collaborare, e se la portò sulla faccia, dove sentì pelle di una consistenza sconosciuta imbevuta di sangue, e nulla che di solito si trovava su una faccia, come occhio e orecchie e capelli.

“..mi…mi hai salvato?” sussurrò a Ray, che rimase a guardarlo con tristezza. “Eri tu… eri tu quel drago? È questo il tuo potere Frutto del Diavolo…?” chiese Sabo, con quel poco di lucidità che gli era rimasta. 

Ray si tirò indietro, e, avvolta da una luce come quella di una fiamma, cambiò forma e si trasformò proprio in quell’essere mistico che aveva visto prima di venire colpito dal Nobile Mondiale.

Era una viverna, dalle squame di un giallo vivo e gli artigli di un viola purpureo intenso. I suoi occhi da rettile erano color fuoco e segnati dal dolore, e le ali spezzate in più punti, schegge di ossa che spuntavano tra le squame ferite.

“Io non ho mangiato nessun Frutto del Diavolo. La realtà è che io sono un drago che può trasformarsi in umana, e il mio nome è Aragophis D. Ryrrys, e lavoro per l’Armata Rivoluzionaria. Questi sono i miei segreti.” disse, parole umane che uscivano dalla sua bocca da rettile.

“Io avevo promesso di salvarti, e manterrò la mia promessa… ma come hai fatto a cacciarti in una situazione del genere, ricciolino?”

Sabo allungò l’unica mano che riusciva a muovere verso quella creatura, verso Ray, la sua amata Ray, e le sfiorò il muso ferito con le sue dita sporche di sangue, sporcando quelle bellissime scaglie colore dell'oro. Sabo stava sanguinando copiosamente, la spiaggia diventata cremisi sotto il suo corpicino febbricitante e martoriato, eppure si sentiva felice.

Raramente Ray lo chiamava con nomignoli, ma ogni volta che lo faceva, il suo cuore batteva più veloce, e la sua mente si perdeva in labirinti. Ricciolino. Che nomignolo carino. Che dolce melodia la tua voce, Ryrrys. Che splendido nome. Spero un giorno di poter conquistare il tuo cuore, e di poterlo dire apertamente, di poter esprimere la mia adorazione e il mio amore per lei ai quattro venti… Non dovrebbe essere di molto più grande di me, no? Non conosco le età dei draghi, né i loro standard di bellezza… Ho proprio avuto un colpo di fulmine per lei, e poi ho degli occhi meravigliosi, celesti, fantastici, come può dirmi di no? Poi... Quel giorno di marzo... Quel “bacio“...

“Qual è la tua età vera?” riuscì a mormorare Sabo, mentre, avvolta di nuovo da quella luce calda, Ray tornava la sua solita Ray, i capelli neri dai riflessi color sangue e spettinati che coprivano il viso sempre più pallido e dolorante. Si stese al suo fianco, il suo corpo bollente a scaldare, anche se di poco, quello freddo e bagnato di Sabo.

“Sono nata durante l'era Cretacea, 125 milioni di anni fa, ma ho tredici anni. È lunga da spiegare.”

Vedendo l’espressione attonita sul viso straziato di Sabo, Ray quasi sorrise. “Ma non ti preoccupare, per conquistarmi ti rimangono ancora molti anni.”

Sabo sentì le sue guance andare a fuoco, e un sorriso farsi strada sulla parte del viso che riusciva ancora a muovere.

“Perchè, non ti ho già conquistato?” mormorò Sabo con le ultime forze, le palpebre sempre più pesanti sugli occhioni azzurri. 

Vide un sorriso formarsi sulle labbra sottili di Ray, due grossi canini spuntare dal labbro inferiore. E poi il suo sorriso si spense, e guardò in alto, in un movimento che Sabo non poteva compiere.

“Vi ho trovati.” disse la voce di un uomo, il timbro basso e misterioso. “Ho visto lo spettacolino che hai messo su al porto di Goa. Che ti è preso? Non ti avevo mandato qui per farti vedere da tutti, Ryrrys.”

Ray digrignò i denti, ma incassò quel colpo. Ora aveva cose molto più importanti a cui pensare.

“Salvalo, Dragon.”

La nave sparò da dei cannoni speciali degli uncini che si ancorarono alla Cruel Fire Tyrant, tenendola ferma mentre degli strani soldati, ricoperti di cristalli che ne bloccavano un po’ i movimenti, invadevano la loro nave.

Assieme a loro, un volto familiare per Sabo.

Un ragazzo dall’aspetto giovane, i capelli biondo cenere tagliati in una frangia scompigliata sul viso abbronzato e più lunghi ma altrettanto spettinati al lato della testa, e vestito di arancione.

“Laky il Terribile?!?” si chiese sconcertato Sabo, che lo conosceva bene. Laky era un amico d’infanzia di Ray, un pirata che era stato salvato dalla Marina dalla stessa Ray, in un intervento dell’Armata Rivoluzionaria che lei gestiva da giovanissima. Lucky era uno dei pirati più forti che Sabo avesse mai incontrato, e il suo potere non derivava solo dal suo Frutto del Mare ancestrale.

Che ci faceva coi Nobili Mondiali!? Lui li odiava!

Gli occhi di Laky, solitamente viola e spensierati, quel giorno erano completamente bianchi, come annebbiati da una strana nebbia, e cristallini, come quella che ricopriva il suo corpo.

Una singola lacrima scorse lungo la sua guancia. “Biondo… Diavolo… scappate…!!!” riuscì a dire a malapena, prima che le sue braccia si alzassero come sollevate da un burattino e contro la sua volontà.

Faust, il gemello di Uriella che era rimasto sulla prua della nave assieme a Sabo, ad assistere a quella scena. Nei suoi occhi rossi come il sangue c’erano lacrime scintillanti.

“Io non voglio tornare a essere uno schiavo!” gridò con rabbia. Aprì le ali da pipistrello, nere come la pece sulle sue spalle ed evocò del fuoco nero dalle mani. “Sabo, dobbiamo combattere!”

Sabo era d’accordo, ma non se la sentiva di combattere Laky. Non solo perchè era suo conoscente, ma anche perchè sapeva il suo livello di combattimento, ben superiore a quello di Sabo.

“Hai ragione, dobbiamo proteggere la nave di Ray, e la nostra libertà!” rispose Sabo a Faust.

Laky fece uno sconclusionato passo in avanti, mentre i suoi arti iniziavano a mutare, diventando grossi il doppio, e molto muscolosi, ricoperti da una cortissima peluria tigrata viola e arancione.

“Scappate… questi cristalli… il Governo Mondiale… hanno ucciso Vinn, e uccideranno anche Jaki e Ray!” 

E prima che perdesse il controllo, Laky disse questo.

Due enormi canini a sciabola uscirono dal suo labbro superiore, e si trasformò in un enorme mezza-bestia-mezzo-umano, un ibrido tra un gigante e un Inostrancevia (antico gorgonopside vissuto durante il Permiano).

Con un colpo di mano quasi spezzò l’albero maestro, gigantesco com’era, e la nave si stava piegando da un lato sotto il suo peso.

Faust gli lanciò contro le sue fiamme nere olografiche che gli bruciarono le gambe ma con un colpo di coda colpì il diavoletto che quasi cadde in mare.

Un gigantesco pugno artigliato fece per colpire Sabo, talmente velocemente che non riuscì a schivare, ma prima che potesse venire colpito la mano enorme di Laky fu fermata da un lampo di luce.

Dal lampo di luce, che era un portale di teletrasporto, uscì un ragazzo dai capelli arancioni e azzurri e le giunture meccaniche: un cyborg!

Il cyborg parò il colpo di Laky di coda con un muro digitale e brillante che evocò al suo fianco, proteggendo sia Faust che Sabo.

“Tu chi sei?” chiese Sabo, che non conosceva tutti gli amici di Ray ma sapeva che ne aveva un sacco e di molto misteriosi.

Il ragazzo si voltò, e i suoi occhi erano meccanici, con delle rotelline che giravano al posto della pupilla. “Io sono Never, e sono un Temporale. Io e la mia razza di cyborg biologici viaggiamo nel tempo e ci occupiamo che la continuità temporale sia a posto. Sono amico di Arapophis Soraya.”

Arapophis Soraya?, si chiese Sabo. Un nome familiare, ma che Sabo non conosceva…

“Quest’isola così bella e rigogliosa è completamente disabitata, pur essendo in una rotta abbastanza frequentata, e con così tante risorse naturali preziose!” spiegò Masked Deuce, della flotta di Picche, mentre analizzava la spiaggia su cui erano approdati. “La spiaggia è ricoperta di pepite d’oro! Pazzesco, dev’esserci qualcosa sotto di pericoloso…”

Il suo capitano scese dalla nave, calandosi il cappello arancione sul viso pallido e lentigginoso. 

“Non importa quale pericolo si celi su quest’isola, io col mio nuovo potere del Frutto del Diavolo non temo più nulla e nessuno!” disse sicuro di sé Portgas D. Ace, il bellissimo e giovane capitano dei pirati di Picche.

Erano passate solo poche settimane da quando aveva ingerito il suo Frutto del Diavolo, e ancora non sapeva controllare alla perfezione quel fuoco che riusciva a generare, ma sapeva usarlo abbastanza bene di già, dato che si era già fatto una fama per la sua potenza smisurata.

L’isola era bella e abbastanza grossa, con un grosso vulcano al centro, e tutt’attorno una folta foresta pluviale piena di animali strani, che sembravano delle grosse lucertole, piumate o squamate.

“Vado a caccia, ho visto delle specie di mucche-lucertole che gironzolavano qua e là, e poi ci faremo una bella cena!” disse Ace ai componenti della sua ciurma, che erano ormai affamati e avevano quasi finito le scorte di cibo, e per questo si erano fermati lì. Ma nessuno sembrava convinto, se non Ace.

Il ragazzo moro si inoltrò nella foresta, estremamente fitta e rumorosa, piena di animaletti selvatici dalle forme primitive che lo guardavano con confusione. Ace era abituato a cacciare, lo faceva da quando era piccolo, e non aveva altro modo per mangiare.

Si accovacciò dietro una felce e aspettò che una di quelle mucche-lucertole, dalla cresta strana sulla testa, passasse di fronte a lui.

Ed eccola, Ace diede fuoco al suo pugno e scagliò un hiken devastante contro la bestia, che in meno di un istante fu cotta a puntino.

Aveva un profumino delizioso, e Ace non poté fare a meno di uscire dal suo nascondiglio e dare un morso a questa prelibatezza! Avrebbe cacciato un'altra mucca-lucertola per la sua ciurma, non c'era problema, questa poteva mangiarsela tutta lui.

Ma dal fitto della foresta, un lampo rosa.

Ace riuscì a schivare quel raggio rosa e verde solo per una frazione di secondo, grazie ai suoi nuovi riflessi dati dal Frutto del mare.

Cos'era stato?

Davanti a lui atterrò una lucertola enorme, rosa e grigia e verde, senza zampe se non per due enormi ali che fungevano da zampe anteriori.

Non era una viverna, era un anfittero!

"Chi osa distruggere la mia isola con i suoi disgustosi poteri inferiori?" ringhiò con voce di donna il drago, gli occhi verdi smeraldo fissi su Ace.

"Io sono Ace Pugno di Fuoco, lucertolone!" Urlò Ace su tutte le furie, e attaccò il drago con la sua mossa che gli aveva dato nome, il pugno di fuoco.

Il drago rise. "Il fuoco non può far niente all'aurora!" e con un colpo di coda annullò il potere del fuoco, e sparò un raggio di aurora su Ace, che si bruciò una spalla.

"Sicuro?" Disse Ace, trasformandosi in fuoco. Il drago tentò di afferrarlo con la sua coda, ma era già diventato intangibile. Tirò fuori il coltello e cercò di accoltellare il drago all'occhio, ma riuscì solo a ferirgli la sopracciglia.

Il drago lo colpì con un'altra aurora, e capirono entrambi di essere alla pari.

"Ok, basta! Uno scontro ne risulterà solo l'inutile morte di entrambi!" Gridò il drago.

"Troppo tardi, io non mi tiro mai indietro!" Gli rispose Ace, tutto gasato per lo scontro.

In un lampo di luce rosa, l'anfittero scomparve.

Al suo posto, ad afferrare il polso di Ace, c'era una ragazza.

Doveva avere vent'anni, due in più di Ace. Era una bellissima ragazza, dai capelli rosa e brillanti come le scaglie del drago e gli occhi verde smeraldo come l'aurora, con due segni grigi sulle guance e il sopracciglio sporco di sangue dove Ace aveva colpito il drago.

Aveva i capelli corti e la frangia, e due ciocche più lunghe davanti alle orecchie. La mano che teneva il polso di Ace era squamata, le squame rosa brillante, e una coda irta di spine spuntava dalla sua schiena.

"Tu sei il drago?" Chiese Ace sconcertato.

"Sì, io sono la draghessa guardiana di quest'isola, appartenente all'elemento del Fuoco, e il mio nome è Arapophis Soraya. E tu chi sei, umano così forte?"

Ace sorrise, lasciando andare il coltello e prendendo la mano di Soraya.

"Io sono Portgas D. Ace."

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 - Un piano di distruzione ***


Never stava ancora proteggendo i tre ragazzi dall’enorme Inostrancevia-umano ibrido che era Laky ora, grazie al frutto del diavolo che aveva ingerito, lo zoan antico Inu-Inu-no-Mi modello Inostrancevia alexandri, ma i cristalli sul suo corpo lo rendevano ancora più forte del solito, e poi erano arrivati anche dei marines che avevano invaso il ponte della nave!

Sabo scattò verso di loro, vapore nerissimo che usciva a sbuffi rumorosi dal suo braccio meccanico mentre colpiva a destra e a manca gli uomini del governo vestiti di bianco, i suoi nemici giurati.

Zeus, il ragazzo biondo e silenzioso che di solito se ne stava in background senza agire e fare niente, decise questa volta di saltare in prima riga, fulmini che si spargevano potenti dalle sue mani.

“Cielo, oscurati! Tempesta, irrompi!” gridò Zeus, e il cielo, che prima era sereno, si riempì di nuvole nerissime, e i fulmini caddero sull’enorme Laky. Zeus aveva mangiato un frutto del diavolo da ragazzino, il paramecia ramu-ramu-no-mi che gli donava il potere di creare tempeste e controllare il meteo. Stava funzionando, ma ancora per quanto? I cristalli sembravano assorbire l’elettricità, e Laky non era rimasto fulminato come avrebbe dovuto!

“Possiamo solo aspettare che Ray torni, e tenere questo bastardo occupato mentre arriva!” disse Faust, mentre Sabo controllava il simbolo che pulsava di colori del fuoco sulla pelle del suo polso. “Sta arrivando! L’ho chiamata!” 

Era un ottogramma, una stella a otto punte che era il simbolo della draghessa, e c’era anche sulla loro bandiera che sventolava coraggiosa sull’albero maestro della nave che resisteva all’invasione nemica.

Intanto anche Vell la donna-pesce e Uriella la sorella gemella di Faust si erano unite alla lotta, lanciando fiamme bianche (il potere angelico di Uriella) e tirando tantissimi pugni con le sue tantissime braccia (Vell) al gigantesco ibride umano-gorgonopside davanti a loro, ma niente sembrava funzionare!

“Hohohohoohoo!” rise un drago celeste, un Finto Drago, dalla balaustra della nave nemica. “Il nostro piano di distruzione sta andando a buon fine! Arapophis, il drago imperatore del fuoco sta arrivando, e quando sarà qui la uccideremo come abbiamo fatto a Ehecatlas, il drago imperatore dell’aria, e poi useremo questa nave per dirigerci all’isola di Amazon Lily e uccidere anche Coamgaldasz, il drago imperatore dell’acqua!!!”

La nave dei Finti Draghi si aprì come una trappola e si rivelò essere in realtà non una barca, ma una scatola per trasportare un’enorme arpione fatto della stessa sostanza di cui erano fatti i cristalli che ricoprivano il corpo di Laky!

“No! è uguale al marchingegno che ha ucciso Vinn!” gridò Apis in un pianto disperato.

Sabo con orrore notò un’ombra infuocata volare a grande velocità verso di loro… e il sangue gli si gelò nelle vene, al pensiero che quell’enorme arpione avrebbe presto squarciato il corpo della persona che lui più amava al mondo, e per colpa sua..!

“Sabo? Sabo! Perchè..?!”

Sabo rimase a guardare la ragazza davanti a lui, la grande rivoluzionaria Ray, la potente draghessa Arapophis, l’assassina spietata e mercenaria senza nome, che ora aveva gli occhi arancioni lucidi e pieni di dolore. Non seppe che dire, bofonchiò qualcosa.

“Io… io… non è come pensi, io…!”

“Taci, niente bla bla bla inutili! Io voglio solo sapere il perchè!” gridò la ragazza, i denti appuntiti digrignanti.

Sabo abbassò lo sguardo. “Io non volevo davvero scappare, io… io volevo solo vedere la spiaggia-”

“No!” lo zittì lei. “Basta con le bugie! Tu volevi scappare, dopo tutto quello che ho fatto per portarti qui-!”

Ray si sedette sulla spiaggia, di fronte a Sabo, che aveva i piedi a mollo nell’oceano e il legno della barchetta su cui stava per salire tra i polpastrelli. “Io ti ho portato sulla mia isola ad allenarti lontano da Baltigo, perchè sapevo che odiavi quel posto ma… io non te l’ho mai chiesto. Io non ti ho mai chiesto se eri felice, qui con me… sono stata egoista, e me ne sono accorta solo ora. Potrai mai perdonarmi?”

Sabo lasciò andare la barca, sentendo la voce della potente Ray incrinata.

“No, io- io non avrei mai- volevo solo fare un giro, ma poi sarei tornato-!”

“Se vuoi essere libero, vai. Non ti obbligherò a rimanere qui. Prendi le scorte, prendi una barca migliore di quella. Io sarò felice per te, e cercherò di proteggerti a distanza. Ma io sarò felice solo quando tu sarai felice. Se la libertà è la tua felicità, sii libero.”

Ray gli sorrise, una delle rare volte, ed era un sorriso triste, e amaro. “Non preoccuparti per Dragon, ci penserò io a lui.”

Ray… così feroce e sanguinaria, ma dall’anima sofferente e frantumata…

Sabo lasciò andare la barca, avvicinandosi a Ray, guardandola occhi negli occhi. Le iridi che andavano a fuoco di Ray contro l’unica iride rimasta a Sabo, dello stesso colore cristallino del mare tropicale attorno alla sua isola privata.

“Ma Ray...- disse Sabo avvicinandosi. “tu mi rendi felice. Stare con te è la mia vera felicità.” rispose sinceramente.

Non l’avrebbe mai abbandonata, non l’avrebbe più ferita.

L’enorme ombra della viverna si avventò sopra la nave. La viverna, dagli artigli viola e il corpo giallo come il sole, era talmente grossa che la sua apertura alare copriva tutte e due le navi, entrambe gigantesche.

Ray, la viverna, con le sue corna da ariete si scagliò contro Laky e lo spinse così violentemente da farlo accasciare sul ponte della nave, e con la sua poderosa coda irta di spine lo frustò con una tale violenza che il rumore dell’impatto fece male alle orecchie di tutti.

Laky fu talmente scosso che inciampò sulla propria coda e cadde con un tonfo nell’oceano, ma afferrò la coda di Ray, trascinandola sotto i flutti con lui, mentre con le ali, che erano le sue braccia e aveva gli artigli su esse, cercava di graffiarlo e farsi lasciare andare.

“Puntate l’arpione ammazza-draghi su Arapophis, ora che è bloccata!” gridò il finto drago.

Sabo a quelle parole impazzì dalla rabbia, e fuori di sé dall’odio saltò sulla nave dei nobili mondiali. Il braccio destro, completamente robotico, si aprì meccanicamente e divenne grosso almeno il doppio, sbuffando fumo nero e dall’odore acre mentre sentiva, all’attaccatura della sua spalla, che stava bruciando per il sovraccarico di energia che ci stava mettendo dentro, ma non era importante.

Con un pugno buttò a terra un’intera fila di marines che lo stavano attaccando, e poi, usando la sua grande e quasi sovraumana agilità (sviluppata grazie ai crudeli ma efficaci allenamenti di Ray), schivò tutti i colpi.

Con il suo bastone di ottone che diventava anche una mazza o un’alabarda all’occasione affondava ogni nemico attorno a lui, e grazie all’occhio robotico a sostituire quello che aveva perso tredici anni prima proprio per colpa dei nobili mondiali riusciva a prevedere ogni mossa!

Facendo fuori tutte le guardie, Sabo si avventò contro colui che aveva tra le mani il bottone che avrebbe scagliato l’arpione contro Ray, e lo stesso uomo che aveva tentato di ucciderlo anni prima!

L’ora della sua vendetta era arrivata, e le bruciature e le amputazioni sul corpo di Sabo tornarono a bruciare come magma bollente contro la propria pella quando fu faccia a faccia con l’uomo che tentò di distruggerli la vita, e stava tentando ancora.

“Jalmark, ti ricordi di me?” ringhiò Sabo, l’ira nel suo sguardo azzurro cielo. 

Ma quando il falso drago, il falso nobile Jalmark si voltò verso il ragazzo, Sabo si accorse con orrore che non era più lui.

Era un uomo di una certa età, tredici anni prima, dal viso cadente e grassoccio, e lo sguardo disgustato, occhi scuri e vitrei. Ma questo Jalmark… non era un falso drago, non era nemmeno umano.

Sabo aveva vissuto fin troppo a contatto con dei veri draghi per non accorgersi di averne uno davanti.

Jalmark sembrava più grosso di anni fa, come se fosse stato riempito dall’interno, e qualcosa stesse usando la pelle di Jalmark come una tuta per nascondersi sotto essa. La pelle di Jalmark era tutta ricoperta da suture, soprattutto attorno alla bocca e alle mani, e i suoi occhi brillavano ed erano cangianti, passando dal verde all’oliva al giallo al marrone, lo stesso colore dei cristalli attorno al corpo di Laky, e brillanti nello stesso modo.

Il non-Jalmark sorrise, tirando le suture ai lati della sua bocca. “Bel Marchio dell’Imperatore che hai sul polso.” gli rispose, e Sabo si portò istintivamente la mano robotica a coprire il polso sinistro, su cui il Marchio, il simbolo dell’unione tra lui e Ray, baluginava come il fuoco.

“Ma tu chi sei!?” gridò Sabo. 

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