Only need the light when its burning low

di My Pride
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Past tasted bitter for years ***
Capitolo 2: *** For all of the bruises ***
Capitolo 3: *** Looking in the mirror ***
Capitolo 4: *** Grace is just weakness ***



Capitolo 1
*** Past tasted bitter for years ***


Only need the light when its burning low Titolo: Only need the light when its burning low
Titolo del capitolo: Past tasted bitter for years

Autore: My Pride
Fandom: Super Sons, Batman
Tipologia: Long Fiction
Capitolo uno: 2874 parole [info]fiumidiparole 

Personaggi: Damian Wayne, Jonathan Samuel Kent, Bruce Wayne, Tim Drake, Dick Grayson, Jason Todd, Talia Al Ghul, Alfred Pennyworth, Barbara Gordon, Stephanie Brown, Cassandra Cain, Vari ed eventuali
Rating: Giallo
Genere: 
Angst and Hurt/Comfort, Emotional Hurt/Comfort, Smut, Avventura
Avvertimenti: Descrizioni di violenza, Slash


SUPER SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved.
 
    «Sta meglio?»
    La testa di Damian fece timidamente capolino nella stanza in cui si trovava Bruce, seduto accanto al letto che ospitava Talia.
    Era arrivata alla villa giorni prima, ferita e completamente coperta di sangue, ed era riuscita a sussurrare solo qualche parola scomposta prima di crollare tra le braccia di Bruce, il quale le era corso in contro non appena la donna aveva messo piede nella batcaverna. Issandola con attenzione e tenendola contro di sé, aveva chiamato immediatamente Alfred per far sì che si occupasse di lei, portandola lui stesso verso l’area medica per adagiarla in fretta sul lettino. Il fatto che fosse riuscita a spingersi fin lì era un vero e proprio miracolo. Aveva riportato ferita così profonde che persino Alfred aveva faticato a suturarle, dovendo persino farle una trasfusione.
    Talia era stata portata di sopra solo una volta che le sue condizioni sembravano essersi stabilizzate, per quanto Alfred avesse ritenuto opportuno collegarla a dei monitor cardiaci per assicurarsi di controllarla costantemente. Nonostante il volto tumefatto, il labbro inferiore spaccato e parecchi tagli che le deturpavano il viso, la sua espressione era apparsa tranquilla, e si erano fidati abbastanza da trasferirla in un luogo più accogliente quando lei stessa, con un fil di voce, aveva espresso quel desiderio. L’avevano realizzato solo perché si erano tranquillizzati, ma Bruce aveva comunque sentito una strana rabbia impossessarsi delle sue membra.
    Per quanto avessero avuto i loro diverbi, Bruce aveva digrignato i denti e piegato una sbarra alla vista del corpo ferito di Talia. Le dita della mano destra erano state tutte spezzate e Alfred aveva dovuto steccarle una per una prima di occuparsi del polso, rotto in più punti e fratturato; aveva dovuto operarla per impiantare una piastra d’acciaio e, una volta suturata, l’aveva fasciata stretta, passando in rassegna il resto delle ferite. Svariati colpi da taglio le avevano deturpato braccia e gambe, e la ferita al fianco aveva quasi rischiato di andare in suppurazione; il taglio all’altezza del seno era stato casuale ma, nel vedere i lividi, Bruce aveva richiesto ad Alfred un check up completo e aveva aspettato la risposta con il viso fra le mani. Il riscontro era stato negativo, ma ciò non lo aveva ugualmente rassicurato: chiunque fosse riuscito a fare una cosa del genere a Talia Al Ghul non era di certo da prendere sotto gamba. Ma, cosa più importante, aveva risvegliato in lui un senso di protezione nei confronti della donna che pensava fosse sopito per sempre.
    Tenere a bada gli istinti era stato difficile, ma ancor più lo era stato trattenere Damian quando era tornato dalla ronda con Jon. Aveva fermato la moto al centro della piattaforma e aveva cominciato a blaterare riguardo a degli stupidi trafficanti mentre si avvicinava e si sfilava la maschera di Redbird, sgranando gli occhi non appena aveva visto la madre in quelle condizioni; aveva gettato con forza il casco sul pavimento ed era corso verso il lettino urlando il nome di sua madre, giurando vendetta verso chiunque fosse stato nel prendere la mano sana di Talia tra le proprie.
    Quando aveva minacciato di voler uscire e di voler andare a “strappare le palle a quello stronzo per fargliele ingoiare” – Bruce biasimava molto l’influenza di Jason -, Alfred era stato purtroppo costretto a sedarlo, visto che persino Bruce aveva faticato non poco a tenerlo. Bloccare un ragazzino era sempre stato pressoché facile, impedire ad un diciannovenne di novantasei chili di pura massa muscolare – per di più in preda ad una furia che avrebbero osato chiamare omicida – di uscire per cercare il bastardo che aveva ridotto in quel modo la madre, era stato un altro paio di maniche.
    Erano passati due giorni prima che si sentissero sicuri di farlo avvicinare a Talia, motivo per cui adesso Damian aveva timidamente mostrato la propria presenza, restando sulla soglia mentre si torceva le mani. Ma non riuscivano a biasimarlo per la sua reazione. Nonostante tutto ciò che Talia gli aveva fatto, nonostante avesse ordinato di ucciderlo e in seguito non fosse stata esattamente una figura amorevole, restava pur sempre sua madre.
    Bruce si prese dunque un momento e sospirò, invitando il giovane ad entrare anziché restare alla porta. Vedeva ancora la rigidità delle sue spalle, ma almeno la rabbia sembrava essere scemata in parte. «È riuscita a mangiare qualcosa prima di riaddormentarsi», lo informò, sentendo il piccolo sospiro di sollievo che sfuggì dalle labbra di Damian.
    «Sei… sei riuscito a farti dire cos’è successo?»
Bruce scosse il capo. «No. Non voglio ancora stressarla più del necessario. Alfred dice che ha bisogno di riposo». Nel dirlo, abbassò lo sguardo sul viso della donna, scostandole qualche lunga ciocca di capelli dal viso. «E io glielo avrei dato in ogni caso. Non ho mai…» si prese un momento per umettarsi le labbra, sfiorando un angolo della bocca di Talia. «Non ho mai visto tua madre in queste condizioni. Chiunque sia stato, dovrà vedersela con me».
    «No. Quel bastardo è mio». Il ringhio che scaturì dalla sua gola e la voce gutturale con cui Damian proferì quelle parole furono quasi capaci di far rabbrividire Bruce, tanto che si girò a guardarlo con un’espressione indecifrabile.
    «Damian», lo richiamò, in particolar modo nel vedere il guizzo che corse furtivamente nei suoi occhi verdi. «Respira, ragazzo».
    Per quanto avesse digrignato i denti, serrando la mascella dura e squadrata, Damian dovette trarre un lungo respiro dal naso, cercando di frenare il battito impazzito del proprio cuore. «Giustizia, non vendetta», recitò come un mantra, e si passò ben presto entrambe le mani fra i corti capelli neri. «Ma… Dio, padre, desidero così tanto… così tanto…»
    «Non credere che non ti capisca», replicò Bruce, suonando per la prima volta molto comprensivo. Non voleva alimentare la furia del figlio, ma sarebbe stato ipocrita se avesse nascosto anche a sé stesso che non aveva pensato di fare qualcosa contro il suo codice morale. «Ma tua madre in questo momento ha bisogno che rimaniamo razionali. Dobbiamo starle accanto finché non si rimetterà in sesto e, quando ci avrà raccontato quel che ricorda, ci metteremo a lavoro. Ho già avviato una scansione di tutte le telecamere collegate al mainframe del batcomputer; se troveremo qualcosa di significativo, avremo già un punto da cui iniziare». Con un sospiro, Bruce allungò entrambe le mani verso di lei e le rimboccò le coperte. «Tua madre era a Gotham per un motivo. Qualunque cosa sia successa, è sicuramente successa qui. Le sue ferite erano troppo gravi per essere state inferte altrove. Non sarebbe mai riuscita a trascinarsi fino alla caverna».
    «La mamma ha molti nemici». La voce di Damian sembrava distante e ovattata, come chiusa in una scatola. «Adesso che è la Testa del Demone, chiunque proverebbe ad eliminarla pur di ottenere il potere. Se fossi stato al suo fianco, forse…»
    Bruce lo interruppe bruscamente. «Ragazzo», lo richiamò categorico. «Sei sconvolto e non ragioni con lucidità,  sai cosa avrebbe significato essere al fianco di tua madre».
    «Sì… sì, padre». Damian trasse un lungo sospiro. «E so che non dovrei nemmeno pensarci o avere compassione, dopo quello che mi ha fatto, ma… è mia madre. I legami di sangue sono più forti di quanto si creda».
    A quel punto, Bruce gli poggiò una mano su una spalla. «È del tutto normale, Damian. Siamo umani», replicò, stringendo un po’ la presa prima di battere il palmo della mano sul bicipide allenato. «Adesso vai, resto io con lei».
«Ma…»
    «Vai. Ti chiamo se cambia qualcosa. Promesso».
    Seppur ancora incerto, dopo aver fatto scorrere lo sguardo sul padre e sul volto della madre, Damian annuì, chinandosi verso la donna per sfiorarle la fronte con un bacio e sussurrarle qualcosa in arabo, indugiando accanto al suo viso per un lungo attimo; poi raddrizzò la schiena, rivolgendo un cenno di saluto col capo al padre prima di dargli le spalle e incamminarsi fuori, richiudendosi silenziosamente la porta alle spalle.
    Damian sembrava essere tornato tranquillo, ma Bruce ebbe la brutta sensazione che fosse solo la calma prima della tempesta.


***


    Gotham era finalmente sprofondata nel silenzio.
    Allo scoccare delle tre e mezza del mattino, con i suoni della città ormai affievoliti da tempo e un agglomerato di nuvole che prometteva pioggia mattiniera, Redbird poté prendersi un attimo di riposo, lasciandosi cadere seduto sul bordo del tetto della Wayne Tower. Era stata una lunga notte: si era fatto carico di qualunque crimine che la sua trasmittente riusciva a captare, anche di banali furtarelli che avrebbero dovuto interessare gli agenti del GCPD, tutto per tenere la mente occupata in qualche modo. Ma, per quanto fosse stato in parte utile, non era servito a smontare la rabbia che gli ribolliva dentro.
    Abbassò lo sguardo per fissarsi le mani, contemplando i palmi prima di guardare i dorsi. I guanti, già rossi di per sé, erano sporchi di sangue sulle nocche, e ammetteva a sé stesso di esserci andato più pesante del dovuto mentre pestava quei criminali. Alcuni di loro li aveva lasciati legati a testa in giù ad un palo, ed era certo che in quel momento Gordon lì avesse ormai trovati e stesse scuotendo il capo, tirando lunghe boccate dallaa sua sigaretta. Ormai sapeva che, quando un pipistrello era arrabbiato, finiva sempre in quel modo. Su quel punto lui e suo padre erano molto simili.
    Mordendosi il labbro inferiore, e pentendosene subito dopo quando si ricordò che era spaccato, Redbird si tolse un guanto per valutare i danni. Stavano già cominciando a formarsi dei lividi, ma erano un danno collaterale minore se pensava che almeno non aveva staccato a nessuno la testa dal collo. Aveva sentito qualche criminale parlare di un uomo che girava armato di katana, e aveva interrogato chiunque per sapere cos’altro avevano sentito, o se qualcuno fosse riuscito a vederlo in faccia. Un uomo munito di tali armi bianche era piuttosto raro a Gotham, ed era comunque l’unica pista che aveva ottenuto. E se l’assalitore di sua madre si fosse realmente rivelato lui… allora avrebbe pagato caro il suo affronto.
    «Ho sentito che ti sei dato da fare».
    La voce di Jon lo riportò parziamente alla realtà, anche se dovette sbattere più volte le palpebre al di sotto della maschera prima di riuscire a mettere a fuoco la sua figura. Reggeva un sacchetto di carta con il logo Bat-Burger, il mantello svolazzante nella placida brezza serale che rinfrescava in parte il viso accaldato.
    «Se vogliamo metterla così...» disse semplicemente, e Jon sospirò, gettandogli una rapida occhiata. Nonostante qualche ammaccatura e qualche livido, i criminali con cui si era scontrato avevano decisamente avuto la peggio. Ciò che lo preoccupava era il battito cardiaco di Damian, che appariva rapido e irregolare, quasi fosse in ansia. Ma poteva capirlo. «Cosa ci fai qui?» chiese Damian, e lui sollevò il sacchetto.
    «Ti ho... portato la colazione?» provò nel sorridere imbarazzato, ma l'occhiata che gli venne rivolta, maschera o meno, gli fece roteare gli occhi. «Il tuo... battito cardiaco ha avuto un'impennata». Si massaggiò dietro al collo con la mano libera, un po' colpevole. «So che è inquietante, che mi hai detto di non ascoltarlo in continuazione e tutto il resto, ma...»
    «No. Va bene. Avevo... avevo bisogno di compagnia. E avevo decisamente fame».
    Jon lo osservò per un lungo momento, poi rilassò le spalle. Il tono con cui Redbird aveva pronunciato quelle parole era mesto, e lui stesso ammorbidì l'espressione che si era dipinta sul suo viso mentre si librava accanto a lui. «Vegetariano per te, doppio bacon per me», canticchiò nel lasciarsi cadere seduto al suo fianco, porgendone uno al compagno che ringraziò sommessamente prima di scartare l'involucro del proprio panino.
    Cominciarono a consumare il loro pasto in silenzio, incuranti del venticello freddo che aveva cominciato a soffiare sulla città mentre l'alba colorava timidamente di rosa l'orizzonte, seduti l'uno accanto all'altro con mille domande che ronzavano nelle loro teste come un'alveare di api al sole. Jon sentiva bene i muscoli rigidi di Damian, il suo respiro pesante, il sangue che scorreva in tutto il suo corpo e il tamburellare del suo cuore, adocchiandolo di tanto in tanto solo per vederlo con lo sguardo perso sulla strada lontana e sottostante. Erano anni che non lo vedeva cos chiuso in se stesso, così distante nonostante fossero l'uno accanto all'altro.
    «...come sta tua madre?» chiese infine, un po' imbarazzato. Non avrebbe voluto alzare l'argomento, ma sapeva quanto ciò che era successo tormentasse il compagno. E, per quanto Talia Al Ghul avesse fatto molte scelte discutibili e avesse cercato di uccidere anche sua madre Lois, restava pur sempre la madre di Damian.
    Non ci fu risposta, o almeno non subito, prima che Damian abbassasse quel che restava del proprio panino per abbandonarlo sulle cosce, senza alzare lo sguardo. Si umettò le labbra e tergiversò, quasi stesse cercando le parole adatte, poi si concentrò verso uno stormo di falchi che si innalzò dall'edificio accanto. «Fuori pericolo», disse solo, e Jon sentì il sussulto che fece il suo cuore. «Alfred ha curato le sue ferite e le ha consigliato molto riposo. Entra ed esce dagli stati di incoscienza, ma a quanto pare stasera è riuscita almeno a mangiare».
    Scivolando al suo fianco, Jon allungò un braccio verso di lui e gli cinse le spalle sentendolo irrigidirsi sotto al suo tocco, ma non si allontanò. «Se... se hai bisogno...»
    «Lo so». Damian gli batté una mano sul bicipite allenato. «Ci sei tu».
    Tra loro cadde nuovamente il silenzio, rotto solo da un clacson che suonò in lontananza. La città stava cominciando a svegliarsi, e ben presto le strade avrebbero cominciato a popolarsi delle prime persone che si dirigevano a lavoro.
    «Sono un pessimo figlio?» chiese Damian di punto in bianco, e Jon gli gettò un'occhiata incredula.
    «Cosa?»
    Damian sospirò. «Sono un pessimo figlio?» ripeté, stringendosi nelle spalle. «Mi sono allontanato da mia madre e ho sempre ripetuto di non voler avere niente a che fare con lei o la Lega, a volte ho persino pensato di combatterla per intralciare i suoi piani. Adesso qualcuno l'ha quasi ridotta in fin di vita, e io... io non...» si interruppe, ma solo perché Jon gli poggiò immediatamente un dito sulla bocca prima di afferrarlo per le spalle, costringendolo a voltarsi verso di lui.
    «Ehi, no. No. Non pensarci nemmeno, D». Damian si ostinava a guardare altrove, e lui dovette usare un po’ della sua super forza per farlo voltare verso di sé quando gli afferrò delicatamente il mente. Incontrò il suo sguardo, per quanto fosse nascosto al di sotto della maschera. «Tua madre ha avuto innumerevoli volte la possibilità di stare al tuo fianco, ma ha sempre preferito una Lega millenaria al suo stesso figlio. Non puoi incolparti di quello che le è accaduto».
    «Ma…»
    «…ma è pur sempre tua madre e capisco che tu ti senta responsabile», continuò Jon senza dargli tempo di parlare.     «Lo capisco. Anch’io mi sentirei così se fosse mia madre. E sappiamo entrambi che stai pensando certe cose solo perché credi che tutto debba pensarti sulle spalle». Gli avvolse le braccia intorno ai fianchi, stringendolo contro di sé nonostante la breve lamentela che Damian si lasciò sfuggire. «Ma non è così, tua madre è adulta e ha fatto le sue scelte, in quanto figlio devi solo trovare il bastardo che le ha fatto questo e sbatterlo in prigione. Quindi piantala di fare il cazzone, okay?»
Per attimi che parvero interminabili, si sentì solo il respiro infranto di Damian contro la spalla di Jon e i rumori della città che si svegliava, i rombi delle auto, uno stormo distante di gabbiani e il martellante suono dei loro cuori. Poi, con una risata simile ad un singulto, Damian batté una mano sulla schiena di Jon. «…hai imprecato», sussurrò nel cercare di stemperare l’atmosfera lui stesso, e ci riuscì, visto che Jon ridacchiò.
    «Visto cosa riesci a fare?» replicò, provando ancora una volta a sorridergli. Poi si chinò, sfiorandogli a malapena le labbra con le proprie. «Non pensare più queste cose, piuttosto hai bisogno di riposo. Vuoi uno strappo?»
Damian parve rifletterci un attimo, poi scosse brevemente il capo. «Meglio che torni a casa anche tu. Dormi almeno un’ora o due, hai un esame», replicò, sentendo Jon imprecare ancora una volta, ma stavolta parve anche un po’ nervoso, tanto che Damian roteò gli occhi. «Te n’eri dimenticato», disse per lui con fare scettico, incontrando il suo sguardo colpevole.
    «…se dicessi di no?»
    «Saresti un pessimo bugiardo, J», rimbeccò nell’afferrarlo per il colletto della tuta prima di scansarlo e vederlo fluttuare oltre il bordo del tetto. «Vola a casa, ragazzone. Ci vediamo quando sei libero».
    Anche se in un primo momento indugiò, Jon gli volò nuovamente accanto, rubandogli un altro piccolo bacio a fior di labbra. «Per qualunque cosa… non esitare a chiamarmi, D».
    La voce dolce che usò fece sorridere Damian internamente, ma agitò una mano in risposta per non darlo a vedere; si salutarono con un ultimo bacio e la promessa che si sarebbero aggiornati presto su eventuali novità – dall’esame di Jon alle condizioni di Talia -, e Redbird restò ancora un po’ su quel tetto mentre vedeva Superboy sparire oltre l’orizzonte.






_Note inconcludenti dell'autrice
Allora. Dopo aver tergiversato un po', visto che non ero sicurissima di voler postare questa storia qui su EFP, alla fine lascio il primo capitolo della storia più angst e hurt/comfort che sto scrivendo in questo periodo. Non scrivevo roba così lunga dai tempi di FullMetal Alchemist (sento qualcuno reclamare ancora il mio sangue per una certa fic *tossicchia "Noi due senza un domani" e fugge via*), quindi... boh, spero che possa interessare in qualche modo
Potrebbe rivelarsi molto forte nei capitoli successivi, dunque il rating arancione mi sembra quello più consono per una cosa del genere
Commenti e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥



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Capitolo 2
*** For all of the bruises ***


2. Only need the light when its burning low Titolo: Only need the light when its burning low
Titolo del capitolo: For all of the bruises
Fandom: Super Sons, Batman
Tipologia: Long Fiction
Capitolo due: 4019 parole [info]fiumidiparole 

Personaggi: Damian Wayne, Jonathan Samuel Kent, Bruce Wayne, Tim Drake, Dick Grayson, Jason Todd, Talia Al Ghul, Alfred Pennyworth, Barbara Gordon, Stephanie Brown, Cassandra Cain, Vari ed eventuali
Rating: Giallo
Genere: 
Angst and Hurt/Comfort, Emotional Hurt/Comfort, Smut, Avventura
Avvertimenti: Descrizioni di violenza, Slash


SUPER SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved.
 
    Talia riprese del tutto conoscenza solo il quinto giorno.
    In un primo momento, la donna aveva sgranato gli occhi e si era drizzata a sedere e si era portata una mano alla cintola, come a voler afferrare la sua spada, ma era stata costretta a crollare nuovamente sul materasso quando le ferite le avevano impedito di raddrizzarsi come avrebbe voluto. Aveva imprecato a denti stretti e si era lasciata sfuggire un lamento, cercando di fare mente locale mentre si guardava intorno. E, quando aveva riconosciuto l’arredamento della camera… un po’ aveva sorriso. Tuttora si trovava a letto, la schiena poggiata sui cuscini e una tazza di the che le era stata gentilmente portata dal maggiordomo nonostante tutto in attesa di Bruce. Ammetteva di non ricordare di essere riuscita ad arrivare alla villa, non ricordava nemmeno di aver pensato di andarci, ma il suo subconscio l’aveva guidata nel solo posto in cui sarebbe potuta essere al sicuro. Era una crudele ironia.
    Sospirò, allungando debolmente una mano per afferrare la tazza e soffiare un po’ sul pelo del the. Zenzero e ginseng, con zucchero di canna e una fettina di limone, il suo preferito. E dubitava che Alfred, per quanto fosse un perfetto maggiordomo, conoscesse i suoi gusti a tal punto, quindi doveva essere opera del suo antico amore. Bruce ricordava ancora come beveva il the… che stranezza.
    Bevve un sorso, cercando di fare mente locale, con i ricordi ancora un po’ offuscati come se volessero proteggerla da qualcosa. Si rendeva conto di essere ridotta male, ed era certa che fosse stato anche peggio quando era arrivata al maniero.
    Fu un cigolio a distoglierla dai suoi pensieri e si voltò immediatamente verso la soglia sbattendo le ciglia con fare vagamente curioso. «Amato?» chiamò quando la porta si aprì silenziosamente, ma nell’incontrare lo sguardo di suo figlio entrambi tacquero, senza sapere cosa dire. Tra loro c’erano così tante cose non dette che faticavano ad articolare i pensieri, quindi fu Damian il primo a parlare.
    «Madre», esordì con un pizzico di rispetto, per quanto in quell’unica parola parve risuonare anche una vada nota di disprezzo.
    «Damian», replicò lei, squadrandolo mentre si avvicinava passo dopo passo, con la sicurezza di una tigre. «Non ci vedevamo da molto. Sei diventato un uomo degno del tuo nome».
    Damian non rispose, si limitò solo a prendere posto sulla sedia che in quei giorni era stata occupata da suo padre e osservò il viso di sua madre in silenzio. I lividi avevano cominciato ad assumere una brutta colorazione giallastra, ma le ferite stavano guarendo più rapidamente del normale. La fortuna di avere un corpo che era stato immerso innumerevoli volte nell’acqua di Lazzaro, probabilmente.
    «Cosa ti è successo?» chiese infine, la schiena rigida e composta mentre i suoi occhi verdi catturavano lo sguardo di quelli altrettanto verdi della madre, la quale scosse brevemente il capo.
    «Vorrei poterti rispondere, figlio mio. Ma temo di non ricordarlo ancora», ammise sincera. «Quel che è certo, è che chiunque sia stato…»
    «…pagherà», concluse rapidamente per lei, chiudendo una mano a pugno sulla coscia mentre Talia gli gettava un’occhiata curiosa. Non si vedevano da tre anni e lei di certo non era stata una madre esemplare, ma allungò la mano sprovvista di tazza verso il viso del figlio, poggiandola sulla sua guancia destra.
    «Mentre io guardavo dall’altra parte, sei davvero diventato uno splendido uomo», proferì. Vide Damian poggiare la mano sulla sua, sentendolo stringerla un po’, e sorrise brevemente.
    «Non era per questo che a dieci anni mi lasciasti a mio padre?»
    «Certamente. Anche se… c’è qualcosa di molto più morbido, nel tuo sguardo».
    Damian a quel punto lasciò cadere la mano, allontanando anche quella della donna mentre serrava la mascella. «Non potevi prioprio evitarlo, vero, madre? Dovevi proprio rovinare tutto ricordandomi quanto per te fossi inadeguato».
    «Non era ciò che intendevo», affermò lei in tono schietto. «Mi ricorda il modo in cui io stessa--» la sua frase fu interrotta dalla porta che si apriva nuovamente, poi la figura massiccia di Bruce fece il suo ingresso, gli occhi fissi su Damian e Talia, ma soprattutto sul sorriso che parve far capolino sulle labbra di quest’ultima.
    Adesso che poteva vederli così vicini dopo anni, era sconcertante rendersi conto come suo figlio avesse ereditato così tanto i tratti della madre. Pur essendo muscoloso, condivideva la sua stessa corporatura longilinea, il fisico asciutto e allenato era molto simile, lo si poteva notare anche attraverso i vestiti che indossavano; il volto affilato e gli zigomi alti facevano risaltare quegli occhi verdi e brillanti dal taglio orientale, e il tutto, unito alla sua pelle abbronzata, gli conferiva quella bellezza che anni addietro l’aveva conquistato in Talia.
    Dovette sbattere più volte le palpebre per riscuotersi dal bizzarro torpore in cui l’aveva gettato quella visione, volgendo lo sguardo verso il figlio. «Potresti lasciarci soli, Damian?»
    Come prevedibile, le folte sopracciglia del giovane si sollevarono. «Non sono un bambino. E, anche se lo fossi stato, avrei avuto diritto di sapere».
    «Lascia che resti, Amato». L’ultima parola parve provocare uno strano silenzio tra i tre, prima che la donna continuasse. «Se sei venuto ad interrogarmi», stavolta la voce divenne un po’ più dura, come a voler ristabilire i ruoli fra loro, «devo purtroppo informarti di avere ancora i ricordi molto confusi».
    «Il padre è rimasto qui tutto il tempo, in questi giorni», si intromise Damian, e Talia sbatté le palpebre prima di guardare Bruce dritto negli occhi, quasi a voler cercare la menzogna nelle parole del figlio.
    «Dunque non erano i deliri di una mente stanca».
    «No». Bruce finalmente si avvicinò, indugiando con una mano sospesa come a volerle carezzare i capelli, quei lunghi capelli scuri e lisci come la sera, ma si trattenne. Entrambi cominciarono a fissarsi con un’attenzione tale che Damian cominciò a sentirsi a disagio, nonostante fossero i suoi genitori. Sentiva un'atmosfera stranamente elettrica tra loro, parole non dette e sguardi fugaci, quell’aria un po’ imbarazzata di chi aveva tanto da dire ma non sapeva come esprimerlo, così si batté le mani sulle cosce e si alzò.
    «Forse sarà meglio che vi lasci davvero soli, dopotutto», dichiarò e, per quanto gli furono lanciate due lunghe occhiate, non vi prestò attenzione, facendo solo un breve cenno di saluto col capo per andare alla porta e chiudersela alle spalle. Si appoggiò con la schiena contro di essa e socchiuse le palpebre, sentendo solo qualche breve mormorio sconnesso prima di lasciar loro un po' di privacy.
    Per quanto non stessero insieme da secoli e non si fossero visti per tre anni, salvo qualche rara occasione in cui la madre ideava chissà quale piano malvagio - quindi mai per parlare come due persone normali, ma in fin dei conti loro non erano una ex-coppia comune -, era certo che in quel momento nessuno dei due avrebbe voluto averlo tra i piedi, e lui era ormai abbastanza grande, e soprattutto emotivamente comprensivo, da capire certe cose. Tra loro c'era stato amore, una volta, un amore che si era poi tramutato in un odio referenziale e poi mortale, una guerra in cui lui era stato la vittima prima di tornare alla vita; quando lui stesso aveva cercato la redenzione per le azioni che aveva compiuto in passato, e lui le aveva domandato perché l'avesse ucciso, lei gli aveva risposto che si sarebbe fatta la stessa domanda per l'eternità, smarrita nella visione di qualcun altro e nella bugia di non volerlo più. Aveva chiesto la redenzione, una possibilità di dimostrargli che sarebbe potuta essere la madre che era un tempo, e il suo combattere raramente a fianco di suo padre aveva fatto quasi credere a Damian che le cose si sarebbero potute sistemare... ma la ferita era ancora aperta e aveva appena compiuto dodici anni, all'epoca. Tuttora, seppur a modo suo avesse provato a stargli vicino, non riusciva a fidarsi del tutto della parola di sua madre.
    Frustrato, Damian si passò una mano fra i corti capelli scuri, allontanandosi. Una vocina fastidiosa nella sua testa continuava a dirgli di non abbassare la guardia, ma un bizzarro senso di sollievo si estese nel suo petto alla consapevolezza che sua madre aveva ripreso conoscenza e stava persino avendo una conversazione civile con suo padre. Ma voleva risposte, e soprattutto voleva mettere le mani sul bastardo che aveva osato toccare sua madre.
Stava per dare un pugno contro un muro quando il suo telefono squillò e le parole “I'm more than a bird, I'm more than a plane” risuonarono nel corridoio - okay, mettere il ritornello di “It's not easy” era stato un po' idiota, ma l'idea era stata dell'idiota in questione -, ma fu proprio la suoneria a fargli capire chi era prima ancora di leggere l'ID chiamante non appena afferrato il cellulare. «Ehi, J».
    «Ehi». Dato il suo tono di voce, Damian era certo che stesse sorridendo come suo solito, e la cosa gli fece sollevare un angolo della bocca in un sorriso. «Tutto bene?»
    Damian annuì, ma poi si rese conto che l'altro non avrebbe potuto vederlo, quindi si umettò le labbra e raccolse la calma che poco prima stava per perdere. Jon aveva un tempismo perfetto. «Mia madre si è svegliata».
    «Grande! Come sta?»
    «Spaesata, ma… abbastanza bene», ammise. «Non ricorda ancora cos'è successo, e anche le ricerche che stiamo facendo hanno portato solo a buchi nell'acqua».
    «Riuscirete a trovarlo, ne sono sicuro».
    Lo disse con una tale sicurezza che Damian sorrise sincero, stavolta. Ed era una fortuna che Jon non potesse vederlo, dato che provò a metter su la sua solita maschera scettica. «Che ottimismo, boyscout».
    «Oh, andiamo, lo dici come se Redbird e Batman non potessero risolvere un caso». Ci fu un tonfo metallico e il rumore di qualcosa che si schiantava al suolo, poi la voce di Jon tornò a farsi sentire allegramente. «Senti, mi occupo di questo ragazzone d'acciaio - e non mi riferisco ad un altro kryptoniano - e vengo lì, okay? So cosa ne pensa B dei meta a Gotham... ma tecnicamente sono mezzo alieno e sono il tuo ragazzo, se ne farà una ragione».
    Damian roteò gli occhi, sentendo l'ennesimo schianto che lo costrinse ad allontanare il cellulare dall'orecchio prima di riprendere. «Facciamo che ci vediamo alla nostra Fortezza. Ho intenzione di seguire delle piste al di fuori del raggio d'azione di mio padre, lì potremmo... lavorare indisturbati».
    «Ah-ah...» La voce che scaturì dalla sua gola parve divertita e, se Damian avesse potuto, era certo che avrebbe visto le labbra carnose di Jon incurvarsi in un sorrisetto furbo. «Ricevuto, D. Sarò lì entro dieci minuti. Ti aspetterò».
    Non si salutarono con un “Ti amo”, non era da loro, ma era sottinteso in tutti i gesti e le parole che facevano, quindi l'espressione tranquilla di Damian era un'ovvia conseguenza al semplice fatto che Jon esistesse... e basta. Per quanto avessero avuto i loro trascorsi, fosse sparito nel trentunesimo secolo e fosse tornato molto più vecchio, alla fine entrambi ci avevano fatto i conti e avevano ricominciato esattamente da dove avevano lasciato la loro amicizia, che era poi diventata qualcosa di più. E Damian non si pentiva affatto di averlo scelto e aspettato. Essere più piccolo e più basso di lui a volte ancora gli bruciava, ma c'erano momenti in cui la loro differenza d'altezza era tutt'atro che un impiccio.
    Scosse la testa per cacciare quei pensieri, non era una ragazzina alla prima cotta e per quanto amasse Jon non poteva deconcentrarsi in quel modo, andando in camera per preparare giusto uno zaino con qualche ricambio, cercando di evitare che Alfred il gatto si sdraiasse sui vestiti che abbandonava sul letto; non contava di stare via molto a lungo, ma quel tipo di operazioni richiedevano un po' di tempo ed era sempre meglio essere preparati. Non ci mise più di cinque minuti, anche se a lui ce ne sarebbero voluti un po' di più per raggiungere la baia, ma si erano dati appuntamento direttamente alla Fortezza, quindi chi sarebbe arrivato prima - sicuramente Jonathan, ma quello era un altro paio di maniche - avrebbe aspettato l'altro.
    Dopo una carezza alla testa pelosa del gatto, Lasciò la sua camera nel momento esatto in cui vide anche suo padre e sua madre uscire dalla stanza, con Pennyworth che sembrava stesse raccomandando proprio a quest'ultima di non fare sforzi mentre si incamminavano di sotto prima di lui. A quanto sembrava, il maggiordomo aveva reputato le sue condizioni abbastanza buone da farle sgranchire un po' le gambe.
    La cosa, lo ammetteva, lo rincuorava. Seguì con lo sguardo le figure dei suoi genitori, sentendo nuovamente nel petto quell'egoistico desiderio che, a dieci anni, aveva avuto nei loro confronti, sperando come il bambino che era che tornassero insieme e combattessero il crimine senza più lottare tra loro. Erano così inconsapevolmente vicini che Damian quasi si chiese se avessero ancora quella chimica che li aveva visti uniti la prima volta, che aveva spinto suo padre a farle molti regali e a viaggiare con lei a Parigi. No, non doveva pensarci.
    Scese anche lui con lo zaino in spalla, e non fece nemmeno in tempo a svoltare l'angolo che il suo cellulare squillò di nuovo. Stessa suoneria, stesso chiamante. «Hai appena chiamato, che c'è?» domandò non appena rispose, sentendo un po' di grida in lontananza.
    «Mhn... D... ecco... mi sa che ci vediamo tra un'ora, roba... roba da Super», disse dispiaciuto, e Damian fu abbastanza sicuro che si stesse mordendo il labbro inferiore. «Mi farò perdonare».
    «Sarà meglio», ironizzò Damian. Non era arrabbiato, i loro doveri venivano prima di tutto. Lui stesso si concentrava prima sulla missione e molte volte avevano dovuto rimandare uscite al cinema o semplici nottate insieme. «Ci vediamo dopo... habibi».
    Il canticchiare divertito di Jon gli giunse come un trillo di campane, prima che uno schiocco simile ad un bacio si facesse sentire al ricevitore e venisse salutato ancora una volta, scuotendo brevemente il capo. Non lo chiamava spesso “Amato”, soprattutto non in arabo, ma a Jon sembrava piacere molto la sua cadenza e la tonalità in cui lo diceva, quindi di tanto in tanto poteva accontentarlo.
    Non si rese nemmeno conto di essere arrivato davanti al salotto, gettando un rapido sguardo oltre la soglia solo per fare un breve cenno in direzione del padre. Lui e sue madre si erano accomodati sui divani, l'uno di fronte all'altra, e nonostante la lontananza quella scena aveva quasi un po' di... calore. Era strano. Non era abituato a vederli così, al di fuori del campo di battaglia. 
    «Padre», richiamò immediatamente la sua attenzione, aspettando che si voltasse verso di lui. «Sarò alla Fortezza se avrai bisogno di me. Non conto di restare a lungo».
    Sulle prime Bruce non parve convinto, ma il figlio aveva passato gli ultimi cinque giorni a tener d'occhio sua madre insieme a lui, a prendere a calci i criminali e a cercare informazioni, quindi poteva capirlo se sentiva il bisogno di cambiare un po' aria. «Comunicazioni aperte».
    «Come sempre».
    Damian si congedò con un altro breve cenno del capo, senza accorgersi che sua madre l'aveva osservato per tutto il tempo finché non era scomparso oltre la soglia ancora una volta.
    «Non mi avevi detto che Damian aveva trovato una donna», esordì lei non appena il figlio se ne fu andato, e Bruce arcuò un sopracciglio.
    «Ha diciannove anni, non è compito mio informarti sulle relazioni sentimentali di nostro... cosa?» domandò, sinceramente stupito dalla costatazione di Talia. Una donna?
    Talia agitò una mano in risposta, alzandosi dal divano solo per sedersi sinuosamente al suo fianco. «Ho sentito l'ultima parte della sua conversazione. In ogni caso, devo ammettere di essere piuttosto delusa dal fatto che non abbia ritenuto importante informarmi di aver scelto colei che porterà in grembo l'erede degli Al Ghul». Il suo bel viso assunse un cipiglio scocciato. «Inoltre qui in America il suo arabo è diventato dozzinale, ha sbagliato a pronunciare habibti».
    Bruce, solitamente così composto, stavolta dovette combattere con tutte le sue forze per non farsi sfuggire una parola di troppo quando Talia poggiò il capo sulla sua spalla. «Già», replicò, guardando altrove nel far finta di niente. «Dev’essere così».
    Se Damian avesse voluto parlarne alla madre, l’avrebbe fatto da solo.


***


    Massaggiandosi le tempie, Bruce stava facendo scorrere tutti i files che aveva nel bat-computer, seguendo le indicazioni che Talia gli aveva fornito.
    Dopo la chiacchierata che avevano avuto, l'aveva lasciata riposare ancora ed era uscito per raggiungere Lucius alle Wayne Enterprises per una riunione straordinaria, ma la sua mente era stata rivolta altrove per tutto il tempo, gettando persino sguardi alla città attraverso le grandi vetrate della torre. Aveva seguito poco o niente, preoccupato per l'uomo sconosciuto che era arrivato a Gotham e che aveva ridotto Talia in quelle condizioni, prima di dover tornare a concentrarsi per fare il suo lavoro.
    La chiamata che aveva ricevuto nemmeno un'ora dopo, però, l'aveva fatto trasalire. Dicendo di aver avuto un'emergenza in famiglia, si era scusato e aveva lasciato le redini della situazione a Lucius, promettendogli che gli arebbe spiegato tutto in un secondo momento prima di tornare alla villa direttamente in elicottero. Quando era tornato, aveva visto un Alfred letteralmente scompigliato da capo a piedi e con la giacca, solitamente impeccabile, stracciata in più punti, con il fucile alla mano e un paio di uomini vestiti di nero riversi per terra al suo fianco; il labbro inferiore era spaccato e aveva un taglio profondo sullo zigomo, ma tutto sommato sembrava che fossero stati quegli assalitori a passarsela peggio. Anche Tito aveva attaccato qualcuno, azzannando le loro gambe per proteggere chi era rimasto in casa. E Talia era lì, in piedi accanto a lui, con la vestaglia di seta macchiata di sangue e una spada spezzata in mano, il viso completamente sporco mentre cercava di raccogliere le forze. L'aveva raggiunta un secondo prima che crollasse sul pavimento, e si era accasciata fra le sue braccia ma senza svenire; si era solo limitata a poggiare una mano sul suo petto e ad artigliare con le dita la sua camicia, fissandolo con occhi dardeggianti di furore.
    Era stato Alfred a spiegargli ciò che era successo, ma solo quando erano riusciti a portare Talia in soggiorno e a calmarla una volta seduta sul divano, poiché per fortuna non era stata ferita ulteriormente. Gli aveva detto, cercando di mantenere la sua solita compostezza nonostante il tono un po' agitato, che lo avevano sorpreso mentre preparava il the, facendo saltare letteralmente in aria le enormi vetrate della cucina; lui si era difeso, calciando uno di quegli uomini allo stomaco prima di saltare il bancone e recuperare il suo fucile, sparando verso di loro dei dardi tranquillanti. Era riuscito a sedare quelli che l'avevano attaccato, ma un'esplosione aveva richiamato la sua attenzione ed era corso di sopra, trovando la “signorina Talia” a lottare con altri uomini. E, anche se la battaglia che ne era sussesguita non era durata molto, aveva comunque aperto un nuovo capitolo in tutta quella storia.
    Poi era stato il turno di Talia. Dopo aver bevuto un sorso del suo the al bergamotto, aveva sollevato lo sguardo verso di lui e l'aveva osservato con un'espressione così furibonda che persino Bruce era certo di non averla mai vista. E poi Talia aveva pronunciato un nome. Un singolo nome che l'aveva portato a fare quelle ricerche lì sotto dopo che la donna gli aveva spiegato come stavano le cose, con la memoria che tornava pezzo dopo pezzo.
    «Quando avresti voluto dirmi che Talia era alla villa?»
    La voce di Tim rimbombò nella caverna, riscuotendolo un po' dai suoi pensieri mentre si massaggiava un po' il mento. Sollevò giusto una mano, tornando a digitare qualcosa sulla tastiera. «Ciao anche a te, Tim» esordì in tono incolore, sentendo uno sbuffo da parte del figlio adottivo.
    «Sì, beh, ciao, Bruce. Quando avresti voluto dirmi che Talia era alla villa?» ripeté Tim, e stavolta ricevette uno sguardo veloce. Bruce sembrava stravolto, e aveva delle occhiaie profonde quasi quanto le sue quando gli mancava il sonno e funzionava solo a caffè.
    «Non sapevo nemmeno che saresti tornato».
    «Questo non risponde comunque alla domanda».
    Bruce si passò una mano fra i capelli, tornado a guardare l'enorme schermo come se stesse cercando le parole adatte. La sua schiena era ricurva, le spalle rigide, e aveva cominciato a picchiettare con un dito sul bordo della scrivania con un certo nervosismo. «Giorni fa è stata attaccata. Con le ultime forze che le restavano, è riuscita a trascinarsi fin qui». Vide Tim aprire la bocca per replicare, ma lo zittì immediatamente nell'alzare una mano. «L'uomo che l'ha ridotta in quello stato è ancora a Gotham».
    «Fammi capire, ci ha portato un altro criminale?» domandò Tim con un certo scetticismo, non molto incline a credere alle parole di Talia o a qualsiasi cosa si fosse inventata per piazzarsi nella villa. Per quanto lui fosse andato a vivere da solo, quella restava pur sempre casa sua.
    «Non è così facile come sembra, Timothy». Bruce gli scoccò un'occhiata, scrutandolo con attenzione. «Da quando Talia ha preso il posto di Ra's, le cose nella Lega sono andate solo secondo i suoi piani, senza rispettare le disposizioni che aveva dato inizialmente suo padre», spiegò, e Tim afferrò lo schienale dell'altra poltrona, trascinandola a sé per potersi accomodare e ascoltare attentamente. Bruce apprezzò quel silenzio, continuando. «E non tutti alla Lega hanno apprezzato le sue iniziative. Sembra siano pronti per spodestarla».
    «…e se fosse tutta una messa in scena? Magari lavorano insieme e stanno cercando di fregarti», osò Tim, lanciandogli un’occhiata. Quando si trattava di Talia, certe volte Bruce non era davvero così lucido come voleva sembrare.
    «Tu non hai visto com’era ridotta quand’è arrivata, Tim».
    «Sto solo dicendo--»
    Bruce sollevò una mano come per zittirlo. «So cosa stai pensando. Il fatto che io e Talia abbiamo avuto una storia non offusca la mia capacità di giudizio».
    «Senza offesa, Bruce, ma ci hai fatto anche un figlio». Venendo fulminato all’istante, sollevò entrambe le mani in segno di resa. «Sto solo dicendo», ripeté, guardandolo di sottecchi, «che Talia non è nuova a macchinazioni del genere. Ma poniamo il caso che di volerle concedere il beneficio del dubbio… abbiamo una pista?»
    Nonostante l’aria poco concordo che si era dipinta sul volto di Bruce, quest’ultimo scosse la testa brevemente. «È letteralmente fuori dai radar», replicò, ravvivandosi i capelli all’indietro. «Talia mi ha fornito qualche codice e mi sono infiltrato nel database della Lega per scaricare le informazioni su quest’uomo, basandomi sulla descrizione di Talia. Ho effettuato una ricerca facciale utilizzando le telecamere di sicurezza della città, ma non ha ancora dato i suoi frutti».
    «Credi ancora che non ci sia qualcosa di strano, in tutta questa storia?»
    La domanda di Tim era comprensibile. Bruce era sempre stato un uomo paranoico, diffidente nei confronti degli altri e restio a credere come oro colato a tutto ciò che gli si parava davanti... eppure, in quel momento, una parte di lui sembrava voler davvero dar credito alle parole di Talia.
    Fu quindi dopo un lungo attimo di esistazione che Bruce guardò con estrema attenzione il figlio. «Monitorerò la situazione», affermò. «E se Talia sta davvero tradendo la mia fiducia, non--» prima che potesse aggiungere qualcosa, fu il computer stesso a richiamare l'attenzione di entrambi e si voltarono immediatamente a fissarlo. Nei pressi di Crime Alley, proprio nel luogo in cui erano stati uccisi i suoi genitori, avevano trovato una corrispondenza. L'uomo che stavano cercando era stato visto lì, e avrebbero ancora potuto seguire le sue tracce.
    Bruce e Tim si gettarono una rapida occhiata, e l'uomo si alzò immediatamente per afferrare il mantello abbandonato precedentemente sulla sua poltrona. «Indossa l'uniforme, Red Robin», esordì, indossando il cappuccio. «Abbiamo un lavoro da fare»
.





_Note inconcludenti dell'autrice
Partiamo dalle cose che ho dimenticato (come sempre, ovviamente). Il titolo della storia è tratto dalla canzone Let her go di Passenger. E, anche se viene direttamente citata nella storia, la suoneria di Damian è Superman (It's not easy) dei Five for Fighting, canzone che in quel momento mi sembrava abbastanza adatta come suoneria personalizzata per Jon. Sì, io cerco sempre le canzoni più assurde.
La situazione comunque sta cominciando a venire poco a poco a galla e Bruce e Talia stanno ricominciando ad avvicinarsi, anche se... anche se Talia ancora non conosce la vera natura della relazione di Damian, lol. Non qui, almeno
Prossimamente, forse posterò di nuovo Swap (Bodies)
Commenti e critiche, ovviamente, son sempre accetti
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Capitolo 3
*** Looking in the mirror ***


3. Looking in the mirror Titolo: Only need the light when its burning low
Titolo del capitolo: Looking in the mirror

Autore: My Pride
Fandom: Super Sons, Batman
Tipologia: Long Fiction
Capitolo tre: 2537 parole [info]fiumidiparole 

Personaggi: Damian Wayne, Jonathan Samuel Kent, Bruce Wayne, Tim Drake, Dick Grayson, Jason Todd, Talia Al Ghul, Alfred Pennyworth, Barbara Gordon, Stephanie Brown, Cassandra Cain, Vari ed eventuali
Rating: Giallo
Genere: 
Angst and Hurt/Comfort, Emotional Hurt/Comfort, Smut, Avventura
Avvertimenti: Descrizioni di violenza, Slash


SUPER SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved.
 
    L'unico suono che si sentiva era il ritmico e costante bip proveniente dal loro computer.
    Erano andati alla loro Fortezza sottomarina esattamente tre ore addietro e, mentre Damian si occupava delle ricerche, Jon aveva sistemato un giaciglio con coperte e cuscini, giacché avrebbero passato la notte lì dentro a controllare costantemente la situazione. Avevano preso del cibo cinese e l'avevano consumato tra una chiacchiera e l'altra durante quella ricerca - per quanto Damian si fosse lamentato che non avevano sufficiente aerazione per far sparire quella puzza di maiale mushu e noodles, Jon aveva insistito e non erano riusciti a giungere ad una soluzione -, finché alla fine Damian non era crollato seduto su quel letto improvvisato con un lungo sbadiglio e Jon l'aveva raggiunto subito dopo, stiracchiandosi. Non avevano esattamente programmato di finire aggrovigliati nelle lenzuola senza più alcun vestito addosso, ma era praticamente ciò che era successo non più di una decina di minuti dopo.
    Voglioso, Jon si era goduto fino all'ultimo grido di Damian in preda all'estasi, quel rossore che gli aveva colorato le guance e i ritmici movimenti del suo bacino mentre si trovava dentro e sotto di lui, prima che Damian si accasciasse sul suo petto e restasse lì, ansimante e ad occhi chiusi per momenti che erano parsi interminabili, mentre i battiti dei cuori si stabilizzavano e i respiri si infrangevano l'uno sulla pelle dell'altro. Si erano dati una ripulita alla bell'e meglio, troppo stanchi per alzarsi e pensare anche solo lontanamente di farsi immediatamente una doccia, e tuttora si trovavano in quella posizione dopo essersi lavati.
    Jon stava giocherellando con qualche ciocca di capelli di Damian e, per quanto sbuffasse un po' infastidito di tanto in tanto, Damian stesso non aveva ancora fatto niente per allontanarlo. Se ne stava semplicemente acciambellato contro l'ampio petto di Jon come un grosso gatto, finalmente un po' tranquillo dopo lo stress che aveva accumulato durante quella settimana. I muscoli gli dolevano, il suo corpo era stanco, ma per niente al mondo si sarebbe mosso da quel piacevole torpore che aveva provocato in lui l'aver fatto sesso con Jon.   
    «Mhn... sai, D... ogni tanto potresti venire nel mio appartamento, invece di sgattaiolare qui quando vuoi che stiamo da soli», sussurrò Jon in uno stato di placido dormiveglia, con la testa ancora leggera come se si trovasse in una bolla, e sentì le labbra di Damian incurvarsi in un sorriso contro la sua pelle.
    «Il tuo appartamento non ha un super computer», gli rese noto in un soffio caldo sul suo capezzolo, provocando un piccolo lamento al giovane Superboy, il quale si portò teatralmente una mano alla fronte.
    «Gh... tradito con un super computer. Non posso competere».    
    «Non fare il melodrammatico, J». Damian roteò gli occhi al di sotto delle palpebre, pizzicandogli un braccio prima di tirar su la testa e ghignare nello spalancare gli occhi per fissarlo. «Ci sono cose che un computer non può fare».
    Jon fece per aprire la bocca e replicare ma, capendo a cosa si stesse riferendo, arrossì fino alla punta delle orecchie. «N-Non puoi dire certe cose, D, non è leale».
    «Hai quasi ventun anni, non fare il pudico con un diciannovenne», rimbeccò, stiracchiandosi con un grosso sbadiglio prima che Jon gli avvolgesse le braccia intorno ai fianchi per attirarlo contro di sé, godendosi il contatto con quella pelle calda e ancora un po' umida.
    «Non sono pudico... è che mi fai venire voglia di svegliarmi tutte le mattine così con te», borbottò Jon nell'affondare il viso nell'incavo del suo collo, e Damian sollevò una mano per poggiarla sul suo capo e intrecciare le dita in quella chioma disordinata. Lo capiva, capiva perfettamente come si sentisse e avevano parlato più volte di andare a vivere insieme, per quanto inizialmente Jon avesse buttato lì la scusa che in quel modo sarebbe stato più vicino alla Metropolis University che ancora frequentava. Dopo tutto quello che avevano passato negli ultimi anni, una vocina nella sua testa gli diceva che se lo meritavano.
    «Jonathan». Damian si umettò le labbra, cercando le parole adatte. Non era una decisione presa alla leggera, ci aveva pensato davvero molto, e forse quello era il momento migliore per parlarne. «Quando questa storia sarà finita... potremmo--» non fece in tempo ad arrivare al punto che venne interrotto dal ritmico suono dell'allarme da parte del computer, tanto che si drizzò a sedere talmente in fretta che Jon quasi cadde in avanti. «Merda, aspetta, lasciami», replicò nello scansare da sé quelle braccia, inciampando nei suoi stessi piedi e tra quelle coperte per precipitarsi al computer e dare un'occhiata a quanto aveva trovato.
    Jon sbatté le palpebre più e più volte, raddrizzando la schiena per lanciare uno sguardo a Damian da quella posizione. «Che succede?» chiese, sostando le coperte alla ricerca dei suoi pantaloni. Voleva indossare almeno quelli, per quanto Damian si fosse lanciato davanti al computer praticamente nudo. Non che là sotto facesse freddo o altro, ma Jon a volte invidiava quel suo lato tutt’altro che pudico.
    «Ha trovato una corrispondenza», affermò Damian nell’aggrottare la fronte, gettando un’occhiata dietro di sé; Jon si stava infilando i pantaloni saltellando sui piedi, e la scena sarebbe stata anche comica e lo avrebbe fatto scoppiare sicuramente a ridere, se solo Damian non fosse stato impegnato a lavorare su quella roba. «Lascia perdere i vestiti e vieni qui, J», sbuffò frettolosamente, e Jon borbottò qualcosa in risposta mentre si avvicinava coi pantaloni ancora a metà coscia.
    «Allora?» chiese Jon, vedendo Damian indicare un punto sullo schermo che corrispondeva ad Amusement Mile.
    «In quanto tempo puoi riuscire a portarci qui?» domandò di rimando Damian con serietà, e Jon strinse le palpebre per un momento prima di sparire e apparire al suo fianco con la sua uniforme addosso e quella del compagno sotto braccio.
    «Due minuti, se evitiamo l’uso del modulo. Vestiti», affermò nel porgergli il suo abito da Redbird, aspettando pazientemente che si vestisse.
    Damian ci mise meno di un minuto per indossare quella roba e sistemare la cintura multiuso alla vita, frettoloso più che mai prima di aggrapparsi a Jon e affidarsi completamente a lui in quel tragitto; in altri momenti avrebbe dovuto avere bisogno di una camera di decompressione ma, in quell’ultimo periodo, Jon aveva imparato ad usare così bene la sua super-velocità da riuscire ad evitare che i suoi polmoni si riempissero di anidride carbonica durante la risalita, persino i suoi abiti finivano sempre per bagnarsi il minimo quando Jon nuotava rapidamente verso l’alto e vorticava; ci misero esattamente venti secondi per arrivare in superficie e creare un piccolo tornado per asciugarsi, e Damian si scrollò giusto qualche goccia dai capelli prima di rinserrare la presa sulle spalle di Jon, il quale si librò svelto in volo per sovrastare la città.
    Ci misero esattamente due minuti, proprio come aveva supposto Jon, scrutando i dintorni con la vista telescopica e con un binocolo senza riuscire a vedere ancora nessuno. Chiunque fosse, sapeva come nascondersi. Jon non riusciva nemmeno a sentire un battito cardiaco che in quel momento sembrava stonare, né tantomeno qualcuno che appariva losco, niente che gli facesse pensare che, lì, avrebbe potuto esserci un assassino addestrato o roba del genere.
    «Chi è il tipo che cerchiamo, allora? Lo hai scoperto?» domandò ad un certo punto, librandosi intorno ad un edificio. Aveva sentito Damian armeggiare col guanto mentre controllava le strade col binocolo, e l’aveva sentito imprecare esattamente due secondi prima.
    Damian non disse nulla per un lungo momento, i denti affondati nel labbro inferiore come se stesse cercando le parole adatte da usare in quel momento. Ancora non riusciva a credere a ciò che aveva scoperto, e persino il suo viso era una maschera di totale indignazione. «Il suo nome è Zehro», disse infine. «Alla Lega lo hanno sempre chiamato Mr Zero. Era l'uomo più fedele alla causa di mio nonno. Ma non ha senso».
    Jon non ne capiva molto di quelle faide, ma sentiva benissimo che la cosa aveva fatto agitare Damian. Il suo cuore batteva forte e aveva stretto una mano sul mantello dietro la sua schiena, e riusciva benissimo a sentire il sangue corrergli nelle vene in preda all'adrenalina. «E non ha senso perché...?» lo spronò a spiegare, dato che sembrava dovergli tirare fuori dai denti le parole.
    «Perché attaccare mia madre significa dichiarare guerra alla stirpe degli Al Ghul. E non ha senso, visto che mia madre, seppur con i suoi metodi, ha sempre seguito la stessa strada di mio nonno. Non aveva motivo di ribellarsi».
    «Come hai fatto a trovarlo? Hai detto che tu e tuo padre ci avete lavorato per giorni senza successo».
    Damian tacque di nuovo per un lungo momento. Poi dalle sue labbra scappò un sospiro. «...potrei aver hackerato cose che non avrei dovuto hackerare».
    «D...»
    «Il nostro computer è collegato a tutti i mainframe di Gotham e Metropolis, inoltre ha un accesso quasi illimitato al computer satellitare della Lega e al bat-computer». Damian si fermò, ma Jon arcuò un sopracciglio e gli fece cenno di continuare nel muovere una mano in aria. «Ho fatto in modo che cominciassero simultaneamente una ricerca a tappeto, così da captare informazioni in tempo reale. Uno dei due computer deve esserci riuscito».
    «Perché Batman non l’ha trovato prima? E come fai ad essere sicuro che sia lui?» Jon sentì Damian muoversi sulla sua schiena, poi nella sua visuale comparve un’immagine olografica emanata dal guanto.
    «So che volto cercare. E se avessi lasciato fare a mio padre, non mi avrebbe permesso di agire come preferivo».
    «D...» ripeté Jon e, nel sentire l'esitazione nella sua voce, Damian lo frenò immediatamente.
    «Non ho intenzione di ucciderlo, Superboy». Il fatto che lo avesse chiamato col suo nome da eroe, voleva significare solo due cose: o era arrabbiato, oppure era deluso dal fatto che credesse che sarbebe arrivato a tanto.     «Voglio solo che paghi».
Anche se incerto, mentre continuava a controllare i dintorni, Jon infine sospirò. «Allora il tuo computer si sbaglia».
    «Cosa?»
    «Non ho visto nessuno con quella faccia, da queste parti».
    «Non dire idiozie, J, non--» cominciò Damian, zittendosi e sporgendosi a tal punto che quasi rischiò di cadere di sotto quando indicò un punto lontano davanti a sé. «Memorizza quel battito e seguilo, Superboy!» gli ordinò, e Jon schizzò come un razzo in quella direzione senza nemmeno fare domande, intimandogli di tenersi forte mentre volava a tutta velocità verso la sagoma che prendeva forma poco a poco davanti ai suoi occhi. Ma ne era certo: cinque secondi prima, lì, non c'era assolutamente nessuno. Che diavolo significava?
    Jon non conosceva quell’uomo, non l’aveva mai visto, eppure correva così veloce che ne rimase piuttosto stranito. Non era un meta-umano, non sentiva niente di strano in lui, eppure riusciva benissimo a tenergli testa mentre correva tra le strade e si insinuava nei vicoli, dissolvendosi letteralmente come nebbia ogni qual volta Jon credeva di essere ormai vicino. Ad un certo punto allungò un braccio e credette persino di essere riuscito ad afferrarlo, ma gli scivolò dalle dita e Jon sgranò gli occhi, incredulo.
    Non fece nemmeno in tempo a capire cosa stesse succedendo che qualcosa lo colpì violentemente alla testa e lo fece precipitare, stordendolo; fu ancora abbastanza lucido da girarsi in fretta su se stesso, tenendo Damian contro di sé per evitare che fosse lui a schiantarsi al suolo; la schiena sbatté pesantemente sull’asfalto sporco e bagnato, e sentì nelle orecchie la voce preoccupata di Damian senza capire bene cosa stesse dicendo, come se il mondo intorno a lui stesse unicamente fischiando. Dovette sbattere le palpebre più e più volte per riprendersi in parte e cercare di scacciare quel suono acuto che gli martellava i timpani, sentendo Damian afferrargli una mano per aiutarlo a rimettersi in piedi prima di essere spinto contro un muro.
    «Via da qui, Redbird!»
    La voce di Batman ruggì nella testa di Jon e lui ci mise un secondo di troppo a rendersi conto che si trovava sopra di lui e, nel sollevare lo sguardo, lo vide combattere contro un uomo che era l’esatto opposto di quello che stavano inseguendo: aveva la pelle completamente bianca che spiccava contro la luce della luna che si immergeva nel vicolo e, dal modo in cui si muoveva, stava perfettamente tenendo testa a Batman. Sembrava un fantasma, un fantasma bianco senza una vera forma.
    Jon barcollò un momento, notando con la coda dell’occhio anche la figura di Red Robin: era riverso a terra contro i sacchi della spazzatura, il suo bastone era spezzato a metà e una parte del suo viso era completamente sporco di sangue, ma non fece in tempo a muoversi che l’uomo chiamato Zehro gli piombò letteralmente addosso, colpendolo al viso con la sua spada; l’arma si spezzò, ma l’uomo non fece una piega, afferrando un’altra spada prima che l’urlo disumano di Damian richiamasse la sua attenzione.
    «Zehro!» gridò a denti scoperti, gettandosi contro di lui con la katana sguainata. Il suo viso era trasfigurato dall’odio e dalla rabbia, una furia omicida che Jon non aveva mai visto sul viso del suo amico, e Jon fu sicuro che, a dispetto di quanto gli avesse appena detto, Damian lo avrebbe ucciso se solo l’uomo, con un salto aggraziato, non si fosse allontanato dopo aver lanciato contro di loro degli shuriken. Batman aveva consigliato loro di andarsene, ma come avrebbero potuto? Con Red Robin fuori combattimento, Batman era solo contro due uomini che sapevano decisamente il fatto loro.
    Nel momento stesso in cui Jon provò a fare muovere un muscolo, però, qualcosa di affilato gli colpì la schiena, facendolo urlare a squarciagola; sentì la voce di Redbird fare eco alla sua, e si rese conto che stava perdendo sangue solo quando un altro colpo gli sfiorò il viso, lasciandolo interdetto. Cosa… cosa stava succedendo? Perché provava dolore? Perché tutto quel sangue?
    Guardò in alto giusto in tempo per vedere quell’uomo completamente bianco tenere Batman sollevato per il collo con una mano, mentre l’altra, luminosa, era rivolta verso di lui. Magia… quell’uomo stava usando la magia. Le forze stavano cominciando a venir meno e la vista si stava offuscando, ma si sforzò di muoversi per poter andare in soccorso di Batman e Redbird, seppur senza successo.
    Imprecò a denti stretti e si puntellò sulle ginocchia, venendo colpito da un altro colpo di magia che lo fece gridare a pieni polmoni, bruciandogli la schiena. Poté sentire la stoffa del mantello prendere fuoco, la carne sfrigolare e il dolore percorrere ogni singolo lembo di pelle, e fu quasi sul punto di vomitare alla nuova sfera di magia che lo costrinse ancora una volta in ginocchio. Nello stesso istante, vide Zehro colpire Damian dietro la nuca con l'elsa della sua spada, gli occhi di Damian rotearono all’interno e lui svenne, venendo preso al volo da Zehro che se lo caricò in spalla senza problemi.
    «D!» esclamò Jon, riuscendo a lanciare un segnalatore verso di lui prima che qualcosa lo colpisse alla testa e il mondo si offuscasse davanti ai suoi occhi
.





_Note inconcludenti dell'autrice
Era da una vita che non pubblicavo questa storia, però eccoci qui. Ultimamente mi sono concentrata molto di più sulle raccolte e questa l'avevo quasi dimenticata, eppure eravamo arrivati ad un bel punto
In questo capitolo qualche nodo comincia a venire al pettine e in parte si scopre chi c'era dietro all'attacco che era stato destinato a Talia... ma sarà davvero finita qui?
Questa è pratiamente solo la punta dell'iceberg, anche se sono riusciti a fare qualcosa: rapire Damian. Per quale motivo? Lo scopriremo solo leggendo!
Commenti e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥



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Capitolo 4
*** Grace is just weakness ***


4. Grace is just weakness Titolo: Only need the light when its burning low
Titolo del capitolo: Grace is just weakness

Autore: My Pride
Fandom: Super Sons, Batman
Tipologia: Long Fiction
Capitolo quattro: 2138 parole [info]fiumidiparole 

Personaggi: Damian Wayne, Jonathan Samuel Kent, Bruce Wayne, Tim Drake, Dick Grayson, Jason Todd, Talia Al Ghul, Alfred Pennyworth, Barbara Gordon, Stephanie Brown, Cassandra Cain, Vari ed eventuali
Rating: Giallo
Genere: 
Angst and Hurt/Comfort, Emotional Hurt/Comfort, Smut, Avventura
Avvertimenti: Descrizioni di violenza, Slash


SUPER SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved.
 
    Damian alzò debolmente le palpebre, sentendo il dolore irradiarsi dietro la sua nuca.
    Provò istintivamente a sollevare una mano per toccarsi, ma scoprì ben presto di non poterlo fare, giacché le sue braccia erano ancorate ad un muro da pesanti catene che gli avvolgevano i polsi a tal punto che, se avesse provato a divincolarsi, avrebbero scorticato la pelle già resa rossa dallo sfregamento. Dov’era? Cos’era successo? E perché era legato a braccia e gambe spalancate contro una parete?
    Damian deglutì, cercando di fare mente locale. La testa gli doleva ad ogni pensiero e la sentiva scoppiare, senza contare il sangue incrostato che gli appiccicava la pelle e i capelli. Sentiva il corpo invaso dal dolore, e fu solo quando la vista si abituò a quella penombra che si rese conto di non indossare la parte superiore della sua tunica - persino la sua cintura multiuso era sparita, e non riusciva a capire come avessero fatto a sfilargliela senza essere fritti da una scarica elettrica - e che il suo petto era ricoperto di lividi e tagli che avevano smesso di sanguinare da un pezzo, lasciando però strisce rossastre sulla sua pelle.
    Quanto tempo era passato da quando si trovava prigioniero lì dentro, ovunque fosse quel lì? Non lo sapeva, ma stava cominciando ad avere sprazzi di ricordi e… Damian allargò le palpebre, cercando di liberarsi. Jon. Suo padre. Drake. Stavano combattendo contro Zehro e un uomo che aveva visto solo di sfuggita, ma che era abbastanza sicuro di aver già visto da qualche parte, però… non riusciva proprio a ricordare dove. E, più si sforzava, più il dolore alla testa gli martellava il cervello senza sosta.
    Damian gemette, sentendo le palpebre pesanti. Aveva la gola secca e aveva come la sensazione che fosse riarsa, le labbra erano talmente screpolate che si erano spaccate in più punti e bruciavano, per non parlare delle escoriazioni alle caviglie nonostante la calzamaglia strappata che ancora indossava. Come stavano gli altri? Dov’erano? Erano lì insieme a lui? Sperava solo che stessero bene perché, dannazione, aveva il terrore che fosse successo loro qualcosa e se così fosse stato non avrebbe retto.
    «Vedo che finalmente ti sei svegliato».
    Quella voce inaspettata lo fece trasalire, e dovette sbattere le palpebre per cercare di mettere a fuoco la figura che si stava avvicinando a lui.
    «Zehro!» ringhiò nel riconoscerlo, strattonando le catene del braccio destro per cercare di afferrare l’uomo, ignorando il dolore intorno ai polsi e le catene che lo ferivano a sangue. Ma l’uomo rise.
    «Non agitarti, mio piccolo demone», esordì. «Rischi solo di farti male. E c’è qualcun altro che vuole avere quell’onore».
    «Vile traditore…!»
    Zehro si accigliò. «Proprio tu mi parli di tradimento, Ibn al Xu’ffasch?» La sua espressione si fece cupa. «Tu per primo hai tradito quella sgualdrina di tua madre alleandoti con Batman. E parli a me di tradimento?» Zehro schioccò la lingua, scuotendo brevemente il capo prima di guardarlo. «No, giovane demone. Io sto ristabilendo l’ordine naturale delle cose. Sto consegnando la Lega a chi è degno di guidarla davvero».
    Damian digrignò i denti, incurante del dolore. «Non mi interessano i tuoi sproloqui, Zehro! Dove sono mio padre e gli altri?!» sbraitò nel sentire un peso opprimergli lo stomaco non appena Zehro, guardandolo, rise nuovamente.
    «Non dovrai più preoccuparti di loro».
    Quelle parole caddero su Damian come un macigno, facendogli sgranare gli occhi. «Stai mentendo».
    «Non ci ricaverei niente nel farlo».
    «Non ti credo», esordì ancora Damian, anche se una parte della sua mente, stanca di tutto quel dolore, stava cominciando a crederci. Ma non voleva pensare di aver perso le persone a lui care. Non voleva pensare di aver perso suo padre, Drake... Jon.
    Quando Zehro allungò una mano verso la sua guancia destra, Damian trasalì automaticamente, cercando di ritirarsi per allontanarsi da quel tocco e da quelle dita che parvero bruciare sulla pelle come fuoco vivo.
    «Manderò le schiave a prepararti. Non vorrai presentarti al cospetto del tuo futuro signore in queste condizioni, vero?» domandò mellifluo, e Damian gli sputò in faccia; l’uomo assottigliò le palpebre, colpendolo con un mal rovescio che gli fece sputare sangue, stavolta. «Forse imparerai come comportarti, dopo la cerimonia», affermò Zehro in tono schietto, tirando fuori qualcosa dalla manica della sua casacca e, alla vista di quella siringa, Damian cercò di divincolarsi. «Più continui a muoverti, più ti entrerà in circolo in fretta», lo informò, bucandogli il collo.
    Damian strinse i denti alla sensazione di quell’ago che lo pungeva, sentendo il contenuto cominciare a scorrergli nelle vene; lottò per tenere gli occhi aperti, ma il vuoto si impossessò di lui e tutto divenne sfocato e confuso, suoni e parole senza alcun significato e immagini che danzavano come fiammelle davanti ai suoi occhi. Forse si addormentò, Damian non ne fu davvero sicuro, ma gli parve di sentire l’odore di sali da bagno e di un sapone profumato, qualcosa che sembrava vagamente olio d’oliva con un sentore di alloro; mani callose che non conosceva percorrevano il suo corpo e, per quanto lui cercasse di aprire la bocca e parlare, di agitare le braccia e scacciare tutte le presenze che gli ballavano offuscate davanti agli occhi, che non facevano altro che toccarlo e strofinare spugne sulla sua pelle, Damian non riusciva a spiccicare una parola, stordito.
    Riprese conoscenza solo tempo dopo, nuovamente solo. Con la testa chinata in avanti, gli ci volle un momento di troppo per sollevare lo sguardo, sbattendo le palpebre per mettere a fuoco i dintorni. Si trovava in una stanza circolare, con i polsi legati ai braccioli della sedia su cui era accomodato, e le enormi pareti di pietra riflettevano la tiepida luce delle torce che tremolavano; grandi armature medievali si ergevano ai lati di un trono dai soffici cuscini rossi e dorati, e una moltitudine di pellicce percorreva il pavimento alla sua destra, dove un tavolo contenente un cesto di frutta e una daga facevano bella mostra di sé. Lui stesso, quando si gettò un'occhiata, sembrava vestito bene, con una lunga tunica verde dai rifinimenti dorati che mettevano in risalto la sua carnagione scura. Era simile ad uno degli abiti che aveva indossato quando, a nove anni, aveva partecipato all'Anno di Sangue, ma... cosa voleva significare?
    Damian si rese conto di essere su una piattaforma intorno cui c’era solo il vuoto, e un moto di panico si impossessò delle sue membra quando capì che non avrebbe potuto fare nulla per liberarsi. Non riusciva a muovere un muscolo e, per quanto solitamente fosse un maestro nell’arte della fuga, in quel momento si sentiva come se tutte le sue forze lo avessero abbandonato. Strattonò un braccio con un'imprecazione, riuscendo solo a ferirsi maggiomente il polso mentre si guardava intorno, forse alla ricerca di una via di fuga. Alla sua sinistra c'era un'entrata, ma era al di là del vuoto su cui si trovava lui, troppo distante da raggiungere anche solo se avesse provato a saltare con tutta la sedia; uno stormo di pipistrelli gli volò contro, ferendogli il viso con le zampette e sbattendo le ali sulla sua faccia, e fu nel seguirne la risalita che Damian si rese conto dello stendardo che pendeva sulla sua testa come una spada di Damocle. Scritto in arabo, con lettere un po' sbiadite e un angolo del tessuto ormai bruciato e macchiato di sangue, c'era scritto il suo vecchio nome: Damian Al Ghul.
    «Lieto che tu mi abbia degnato della tua presenza, nipote».
    Damian trasalì. Per quanto simile alla voce di suo nonno, sapeva che non era lui. Razionalmente, la sua mente continuava a ripetergli che Ra’s Al Ghul era morto, che l’uomo che aveva parlato non era lui, e fu infatti con un’espressione stralunata che Damian fissò il volto albino di suo zio.
    «Dusan…» sussurrò con un fil di voce, incredulo. Era davvero come guardare un fantasma, poiché anche lui avrebbe dovuto essere morto. L’ultima volta che aveva visto Dusan Al Ghul, dopotutto, era stato quando lui aveva solo dieci anni.
    «Sono sorpreso», esordì l’uomo. «Quella droga avrebbe dovuto farti dormire ancora per qualche ora. Giusto il tempo di finire i preparativi per la cerimonia».
    Cerimonia. Ancora quella cerimonia. Cosa stavano architettando Dusan e… «Ti sei alleato con Zehro, Dusan?» domandò immediatamente Damian, cercando di liberarsi. «E come fai ad essere vivo?»
    «Dal nipote del Demone non mi aspettavo inutili domande sulla resurrezione». Dusan emise un verso disgustato dal fondo della gola. «La tua sola esistenza ha sempre disonorato gli Al Ghul. Ho vissuto secoli per guadagnare il rispetto di mio padre… ho provato persino ad offrire il tuo corpo per far sì che ringiovanisse… ma mi sono reso conto che mi sbagliavo, non era questa la strada da seguire».
    Dusan si avvicinò, fermandosi esattamente sul bordo del precipizio su cui si trovava Damian. Nessuno dei due parlò per un lungo attimo, osservandosi come se temessero che proferire anche una singola parola potesse innescare una reazione a catena. Infine, Dusan sollevò un angolo della bocca in un sorriso sardonico.
    «Quando sono tornato dalla morte e ho scoperto che Ra’s non l'avrebbe più fatto… ho provato ad avere la mia occasione. Ma ho scoperto che mia sorella, quell’inutile donna che tu chiami madre, aveva reclamato la Lega per sé». Il disprezzo nella sua voce era evidente tanto quanto quello che si leggeva sul suo viso. «Così ho creato una Lega tutta mia per spazzare via il passato e dar spazio al mio presente… una Lega che si sarebbe liberata della stirpe corrotta degli Al Ghul e sarebbe sorta dalle ceneri come una fenice... puoi chiamarci Lazzaro».
    Damian schioccò la lingua sotto il palato, arricciando il naso. «Se stai cercando di farti compatire, sappi che non funziona», affermò schietto. «Liberami e affrontami, codardo».
    «E rischiare che tu possa scappare esattamente come ha fatto quella vigliacca di tua madre?»
    «Sei stato tu?» Gli occhi di Damian si allargarono. Aveva pensato che il colpevole fosse Zehro, ma… non importava. Avrebbero pagato entrambi. Ringhiando, Damian si agitò sulla sedia, chiudendo le mani a pugno così forte che si conficcò le unghie nella carne. «Ti ucciderò, bastardo!» berciò, sputando saliva in preda alla rabbia.
    Dusan rise, rise talmente forte che la sua risata rimbombò contro le pareti di pietra. «No, non lo farai», disse poi con calma estenuante. «Il codice morale di tuo padre ha offuscato la tua mente. Non alzerai mai più una spada per uccidere».
    «Vuoi mettermi alla prova?!»
    «Damian Al Ghul non esiste più. L’araldo del Demone, il bambino prodigio che ha affrontato l’Anno di Sangue, non ha più alcuno scopo. È un guscio vuoto che potrà essere rimodellato come creta da un artigiano sapiente».
    Damian non avrebbe voluto, ma a quelle parole deglutì sonoramente. Uno strano peso aveva cominciato ad opprimergli il petto, ma non aveva il coraggio di dare ad esso un nome. «Non la passerai liscia, Dusan», affermò con la voce più sicura che riuscì a trovare, riuscendo solo a farlo ridere ancora.
    «Sei proprio come tua madre. Inutile. Sentimentale». Dusan sorrise nel vedere l'espressione stranita del nipote, avanzando di qualche altro passo, praticamente ad una spanna da lui. Se non fosse stato per il vuoto che lo circondava, Damian era sicuro che avrebbe potuto toccarlo. «Se avesse avuto la stessa furia che l'ha sempre mossa in passato, non sarebbe finita così».
    Fu un lampo, poi una grossa bestia si lanciò verso Damian e lo attaccò con enormi artigli, prima che il giovane potesse sollevare le gambe e provare ad allontanarlo da sé; Damian imprecò e cercò di prendere a calci il Man-Bat che lo stava assalendo, riuscendo a colpirlo in faccia con un calcio ben assestato. Un grido selvaggio scappò dalle labbra di quell'enorme pipistrello, e ben presto lo raggiunsero altri, i quali non esitarono nemmeno per un attimo: sotto lo sguardo indifferente di Dusan, lo attaccarono senza sosta e non gli diedero tempo di contrattaccare, tanto che Damian dovette cercare di nascondere almeno il viso nell’incavo della spalla mentre grossi artigli lo laceravano.
    Uno di loro colpì le corde che lo legavano e lui, una volta libero, cercò di contrattaccare con le poche forze che gli erano rimaste, ma qualcosa lo afferrò alla caviglia; le palpebre si allargarono, vedendo un Man-Bat sbattere furentemente le ali prima di tirarlo giù, oltre un precipizio. Damian annaspò, afferrando la sporgenza il più velocemente possibile mentre gli altri Man-Bat volteggiavano su di lui come avvoltoi con grida spaventose.
    «Non temere, nipote. Servirai una causa più grande».
    La presa venne meno, la voce di Dusan si trasformò in un'eco lontana tra le pareti della grotta; Damian sgranò gli occhi e si sentì risucchiato dalla gravità, precipitando inesorabilmente verso l'abisso.






_Note inconcludenti dell'autrice
Allora, beh... fine del capitolo abbastanza drastico, ma si capiranno molte cose andando avanti con la lettura.
Due note veloci:
Ibn al Xu’ffasch vuole letteramente dire Figlio del Pipistrello in arabo, ed è uno dei nomi con cui veniva chiamato Damian oltre ad Hafid.
Qui ovviamente Damian ha avuto il suo incontro con un vecchio parente (il fratellastro di sua madre, per intenderci) che ha intenzione di prendere il potere in qualunque modo, quando si dice per l'appunto parenti serpenti... la stirpe degli Al Ghul ha una vasta storia alle proprie spalle e non si salva quasi nessuno a quanto pare. Avevano già avuto un incontro tempo addietro (Damian aveva dieci anni canonicamente), quindi la si può vedere come una rivalsa
Commenti e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥



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