Enneagram

di Nitrotori
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Atto 1-1; (L'Arrivo) ***
Capitolo 2: *** Atto 1-2; (Festività) ***
Capitolo 3: *** Atto 1-3; (Risonanza) ***
Capitolo 4: *** Atto 1-4; (Isola) ***
Capitolo 5: *** Atto 1-5; (Nebbia) ***
Capitolo 6: *** Atto 1-6; (Sospetto) ***
Capitolo 7: *** Atto 1-7; (Collaborazione) ***
Capitolo 8: *** Atto 1-8; (Legame) ***
Capitolo 9: *** Atto 1-9; (Calibrazione) ***
Capitolo 10: *** Atto 1-10; (Stasi) ***
Capitolo 11: *** Atto 1-11; (Determinazione) ***
Capitolo 12: *** Atto 1-12; (Crisi) ***
Capitolo 13: *** Atto 1-13; (Abissale) ***
Capitolo 14: *** Atto 1-14; (Richiamo) ***
Capitolo 15: *** Atto 1-15; (La Verità) ***
Capitolo 16: *** Riepilogo - Atto 1 ***



Capitolo 1
*** Atto 1-1; (L'Arrivo) ***


Le terre di Alabathia: il Regno più grande e influente di tutto il continente di Ennealune, nonché superpotenza in assoluto nel campo bellico e tecnologico. Il Regno considerato il centro del mondo, il punto d'origine dove convergeva ogni conoscenza, ogni possibilità, ogni opportunità.

Alabathia era sede di grandi accademie, centri di ricerca e della Chiesa di Nona: dove la Dea Enneas, divinità della creazione e della luce del mattino, veniva adorata.

Nei libri di storia, così come nei romanzi, Alabathia veniva descritta come la città del Sole, dove la sua radianza proteggeva ogni angolo della città dalle malvagie influenze.

Vivace, attiva, strabiliante, erano questi gli aggettivi più consoni per descrivere la grande capitale. Luogo però decisamente alienante per Alphonse.

Proveniente da un umile villaggio di nome Stonefall, il giovane ma talentuoso minatore di appena diciotto anni, si guardava attorno spaesato nella piazza centrale della capitale. 

La grande fontana reale, raffigurante due cavalli alati, riempivano parte del suo spazio con la sua opulenza, accompagnato dal soverchiante rumore dell'acqua e dal generale chiacchiericcio della gente, proveniente dal mercato lungo la grande via principale.

Alphonse si sentì teso e fuori posto in quel luogo caotico, aprendo e chiudendo di tanto in tanto il suo elegante orologio da taschino, mentre controllava insistentemente l’orario che sembrava non passare mai.

Doveva incontrarsi con una guida del posto, per certificare la sua presenza nella Capitale. 

Aveva mandato una missiva all’apparato organizzativo dell’Unione, accennando che sarebbe venuto vestito con la sua normale divisa di lavoro: un completo di pelle rinforzato con spessi guanti e borchie di metallo, con lo stemma che certificava la sua appartenenza alla Comunità dei Minatori d’Elité. 

Un abbigliamento quindi riconoscibile, grazie al fatto che l'equipaggiamento della Comunità fosse di aspetto inusuale, e di qualità decisamente superiore rispetto al normale, per permettere a tali uomini di scavare il prezioso Silderium con più facilità.

Ed infatti, la guida assegnata al ragazzo lo riconobbe immediatamente.

"E' lei Sir Stonefall?" Una giovane voce femminile lo accolse.

Alphonse si voltò colto di sorpresa. Di fronte a sé vide una coetanea dai corti capelli castani. La prima cosa che saltò ai suoi occhi fu il vistoso scuro cappello da scolara e un’elegante divisa verde scuro con un fiocco rosso che legava la mantellina attorno alle sue spalle. La ragazza aveva il viso tempestato di lentiggini, grossi occhiali da vista e labbra carnose.

"S-Sì, sono io..." Le rispose Alphonse, riponendo una volta e per tutte il suo orologio da taschino. “Lei invece deve essere la guida dico bene?”.

La ragazza ignorò la sua domanda e aprì davanti a lui il grosso libro che si portava sottobraccio consultandolo attentamente, passandoci un dito sopra.

"I tuoi documenti sono arrivati stamattina alla Compagnia Marittima dell'Unione. Anche il carico delle merci è al sicuro nella stiva della nave. E prima che tu lo chieda, no non preoccuparti, il Silderium è stato posizionato con cura e tutto è stato eseguito alla lettera secondo le istruzioni della Comunità dei Minatori d’Elité".

La ragazza aveva una voce seria, priva di sorriso, molto meticolosa nei movimenti e nell'uso delle parole. Sembrava avere tutto sotto controllo, visto anche la grandezza del tomo che la ragazza si portava dietro con estrema naturalezza.

“Capisco” Disse Alphonse un po’ a disagio “Grazie mille per la vostra assistenza”.

"Non è me che devi ringraziare. Ad ogni modo... l'Hotel è da questa parte, seguimi".

Senza aspettare neppure un secondo, la ragazza chiuse il libro con un colpo secco e iniziò a camminare verso la direzione del mercato.

Solitamente Alphonse era abituato a dialoghi più informali, caratterizzati anche da una certa vivacità, che si era formato nel corso degli anni con i suoi colleghi. Lui a differenza degli altri era quello più timido e riservato, ma per via del cameratismo che si era sviluppato tra i minatori della comunità, era difficile essere accolti con freddezza.

Fu proprio per la diffidenza di quella ragazza che Alphonse si sentì piuttosto frastornato e alienato da tutto il resto, tanto che gli ci volle qualche secondo prima di rendersi conto che la stava perdendo di vista.

“Ehi! Aspetta…!” Esclamò allungando una mano, correndo verso di lei.

Mentre i due passeggiavano attraverso il vivace mercato, Alphonse decise di rompere il ghiaccio.

"Non mi hai ancora detto il tuo nome".

"Piper" Rispose lei concisa, senza smettere di camminare.

"Piper eh? Un nome facile da ricordare, piacere di conoscerti" Disse lui con voce amichevole affiancandosi a lei.

Ma non ci fu risposta da parte sua. Alphonse si chiese se fosse parecchio timida o forse semplicemente riservata. Di certo però non era l'accoglienza che si aspettava da una cittadina della Capitale.

"Ad ogni modo Piper, mi permetti una domanda?" Alphonse si forzò a fare un’altra domanda..

"Si?".

"E' la prima volta che vengo qui, di solito è mio padre che ha contatti con l'Unione, ma per qualche motivo il Principe ha deciso che dovevo essere io quest'anno a presenziare. Posso sapere perché proprio io? Non ho esperienza in questo genere di cose".

"Questo dovresti chiederlo direttamente a sua eccellenza" Rispose Piper. Questa volta si voltò leggermente verso di lui. "E' lui che si occupa di scegliere i rappresentanti".

"Oh capisco” Un contatto visivo! Era già qualcosa “E di te cosa mi dici?".

Piper però sospirò infastidita "Certo che hai proprio una bella parlantina eh? Potresti restare in silenzio?".

"Scusami... non volevo disturbare" Alphonse si ritirò un po'. Aveva cantato vittoria troppo presto.

Camminarono per un bel po’, senza che nessuno dei due pronunciasse una singola parola, finché non arrivarono nei pressi del porto, dove c’era un grosso edificio proprio all’incrocio tra la strada principale e l’ingresso che portava al cantiere navale. 

Sorprendentemente, anche lì c'erano un sacco di persone. Il porto era persino più caotico della via del mercato e la cosa sembrò indisporre Piper, che sospirò infastidita..

“Cielo,nemmeno qui c’è un po’ di tranquillità”.

“Beh, ci sono i preparativi per il viaggio di domani. Non mi sorprende l’andirivieni di persone” Disse Alphonse.

“Questo è l’Albergo dove alloggiano i rappresentanti” Piper guardò l’edificio “la tua stanza è al terzo piano, numero 113. Questa è la chiave. Questa sera ci sarà il banchetto, se ti interessa parlare con il principe”.

“E tu non vieni?” Alphonse sorrise cordiale.

La ragazza abbassò il capo “Ti sembro una a cui piacciono le feste?”.

Alphonse si passò una mano sulla nuca “Ad essere onesto no, e a dire il vero non ti biasimo, sono anche io allo stesso modo. Tuttavia sembra che tu abbia lavorato molto in questo periodo altrimenti non avresti quello sguardo crucciato, hai il diritto di rilassarti almeno un po’”.

Piper sembrò sorpresa dal ragionamento del ragazzo, ma lo stupore diventò subito irritazione.

“Cosa ti fa pensare di conoscermi così bene? Beh non importa, sono pur sempre una delle rappresentanti. Non credo posso sottrarmi dai miei doveri, anche se preferirei non esserci” Concluse infine lei.

“Aspetta…” Alphonse fu preso contropiede “Quindi anche tu sei una rappresentante?”.

Piper inarcò un sopracciglio “Certo. Non dirmi che non te ne eri accorto”.

“Come facevo a saperlo, non mi hai detto nulla…”.

Piper scrollò le spalle “Capisco. Beh ora lo sai. Se non hai altro da chiedermi, ti lascio a te stesso”.

“Grazie per avermi accompagnato” Alphonse sorrise e fece un inchino un po’ impacciato “Senza di te mi sarei di certo perso. Ci vediamo stasera allora!”.

Il sorriso però non venne ricambiato. Piper si congedò senza dire altro.

Il giovane minatore si chiese come mai quella ragazza fosse così chiusa, non era di certo abituato allo stile di vita della Capitale, ma da quel che aveva potuto vedere gli abitanti di Alabathia sembravano piuttosto vivaci e allegri.

 

Nel salone d’ingresso dell’Albergo, c’era un moderato trambusto. Nobiluomini ben vestiti parlavano tra di loro, sorseggiando lo squisito vino prodotto dai vigneti degli immensi giardini del Re. Osservando così tanto movimento anche all’interno dell’Hotel, Alphonse si rese conto che probabilmente il motivo per cui l’intera città era così tanto in fermento, era proprio in vista delle festività di quella sera. Si sentì abbastanza stupido per non averlo notato prima, aveva dato per scontato che nelle grandi metropoli ci fosse sempre quel genere di caos, ma forse si sbagliava.

E non c’era da sorprendersi, visto l’importanza della annuale adunata dell’Unione, realizzata per mantenere in rapporti d’amicizia il Regno di Alabathia con i vicini e rivali delle terre gelide del Nord: l’Impero di Baal’Thasia.

Per quel che sembrava un periodo infinito, i due regni si erano sempre dati battaglia, ma la guerra nel corso del tempo era cambiata e con l’arrivo dell’arcanismo e di tecnologie avanzate nell’ambito bellico, l’idea di andare in guerra era diventata piuttosto autodistruttiva, anche per chi ne usciva vincitore.

L’Unione fu dunque formata dopo il Grande Contratto, per evitare che le relazioni tra le due nazioni venissero di nuovo compromesse e per questo motivo ogni anno salpavano due gargantuesche navi dalle rispettive due capitali dei regni: la Fraternity e la Equanimity. 

All’interno delle Navi, v’erano doni, risorse di ogni tipo, tecnologie e quant’altro. Era inoltre un momento di amichevole competizione sportiva e di condivisione culturale tra le due nazioni.

A prendersi carico di questi compiti erano nove talentuosi individui, accuratamente scelti dal Principe in persona, per rappresentare la propria nazione.

Alphonse era uno di essi, anche se il ragazzo ancora riusciva a spiegarsi il perché non era stato scelto suo padre per quel compito così importante.

Certo, era inevitabile che la torcia del capo minatore degli scavi di Stonefall sarebbero un giorno passati nelle mani del suo primogenito, ma Alphonse trovò che era ancora troppo presto per un simile onore, aveva ancora così tanto da imparare.

“Chissà cosa ha spinto sua Altezza il Principe a scegliere me…” Si chiese Alphonse mentre fissava quei nobiluomini, che lo facevano sentire decisamente fuori posto.

“Uhm, perdona il disturbo!”

Una timida voce femminile attirò l’attenzione del giovane minatore. Egli si voltò e si trovò davanti a sé una graziosa giovane ragazza robustella, dall’aspetto assai peculiare. Era parecchio carina, di bassa statura, dai capelli a caschetto castani con un ciuffo che le copriva l’occhio sinistro. Vestiva con un comodo grembiule beige. dalle mani coperte completamente di fasce bianche. Una descrizione che Alphonse trovò piuttosto accurata, se non fosse che era impossibile non far cadere l’occhio su un suo palese tratto distintivo, che nonostante la ragazza cercava di nasconderne la presenza con un grembiule così grande, falliva nel celare il volume del suo enorme seno.

“Perdona il disturbo” La ragazza fece un breve e elegante inchino “Non ti ho mai visto da queste parti. Sei per caso il figlio di Arthur Stonefall?”.

Alphonse non sapeva come rispondere all’eleganza con cui la ragazza si era presentata. Per paura di fare un’orribile figuraccia, fece a sua volta un inchino, che però risultò essere un normalissimo inchino informale.

“O-Oh! Sì sono io. Ci conosciamo?” Chiese lui decisamente teso.

La ragazza rise appena, cercando di metterlo a suo agio “No, ma ho avuto il piacere di conoscere tuo padre in passato. Vi somigliate, sai? Certo lui ha la barba molto più folta e i capelli grigi e anche lui come te non è bravissimo con gli inchini” Rise ancora. 

Alphonse arrossì e non poté far altro che grattarsi una guancia tutto imbarazzato.

“Oh ma dove sono le mie buone maniere! Mi chiamo Leah Jonas Garbles, sono una delle nove rappresentanti, piacere di conoscerti” Di nuovo fece un inchino.

“Alphonse Stonefall, il piacere è tutto mio”.

Cercò il più possibile di non guardare dove non doveva per non dare cattiva impressione, complice anche il fatto che il giovane minatore non aveva avuto mai modo l’occasione di avere amicizie o contatti duraturi con il sesso opposto. Era sempre stata un po’ un suo punto debole, si imbarazzava piuttosto facilmente in loro presenza.

“In realtà Alphonse, ti stavo aspettando” Ammise la ragazza, ottenendo indietro la sua attenzione.

“Davvero? Come mai?” Chiese lui perplesso.

“Ho ricevuto una missiva da parte dell’amministrazione dell’Unione, una richiesta diretta del Principe. Non hai mai viaggiato su una nave vero? Questa è la tua prima volta”.

“Oh giusto,  in effetti ora ci penso, mi ricordo che mi avevano menzionato che avrei dovuto fare una specie di esame per verificare se avessi dei problemi con le navi”.

Leah annuì “Esatto. Io sono una farmacista, mi diletto nella creazione di medicine, antidoti, pozioni di vario effetto e intrugli. Mi occuperò io del test, sarà molto breve, per cui ti chiedo cortesemente di venire nella mia stanza, ho tutti i miei strumenti lì”.

Alphonse annuì “Certo, fai strada. Solo che non sono un amante delle siringhe”

Leah rise arrossendo un po’ “Non c’è nessuna siringa. Dovrai solo bere una pozioncina un po’ amara, ma niente che un ragazzo come te non possa sopportare”.

Leah però sembrò aver sopravvalutato Alphonse in base al suo aspetto. Essere alto un metro e novanta e avere un fisico muscoloso non era niente di fronte all’ansia di dover inghiottire una medicina ignota.

La stanza di Leah si trovava al primo piano. C’era una grossa valigia vicino al suo letto, la ragazza aveva al suo interno un kit per preparare delle pozioni, con delle erbe e liquidi misteriosi.

“Ti porti dietro tutto questo? Non ti pesa?” Chiese sorpreso Alphonse.

“Beh, ti mentirei se ti dicessi di no. Ma è il mio lavoro, non si sa mai quando possa essere necessario un mio servigio. Tengo molto a cuore la mia professione, quindi anche se pesa non ci faccio tanto caso”.

“Sei una ragazza in gamba” Ammise Alphonse affascinato dalla passione della ragazza.

“Le tue parole mi lusingano” Arrossì un po’ “Faccio solo il mio dovere. Ad ogni modo, ecco tieni bevi questo, non sederti però. Devo valutare se accusi vertigini”.

“Che cos’è?” Chiese Alphonse ansioso mentre osservava la boccetta di colore arancione.

“Estratto di Vanasidio” Rispose Leah alzando un dito “E’ un fiore innocuo, ma se bollito assieme ad un altro fiore chiamato Lessannio, genera un odore molto forte che causa vertigini quando il liquido si mischia con i succhi gastrici provocando una reazione simile al mal di male, sempre se ne soffri”.

“Oh capisco…” Alphonse era rimasto talmente scosso dai nomi delle piante da non aver sentito un’altra singola parola. Ma ad ogni modo attuando un pensiero logico, non aveva motivo di dubitare della spiegazione di Leah, quindi si fece coraggio e bevve l’intruglio tutto d’un fiato. Era veramente tanto amaro e sapeva di cavolo bollito. Alphonse non riuscì a nascondere uno sguardo disgustato.

“Bleah, che robaccia…” Disse tossendo appena.

“Mmm…” Leah ignorò la reazione e posò lo sguardo sui suoi occhi “Come ti senti? Le tue pupille non sono dilatate”.

“Mi gira un po’ la testa, ma non troppo” Rispose Alphonse.

Leah annuì convinta “Ok, allora sei a posto! Non soffri di mal di mare a differenza della sottoscritta, meglio per te immagino” Sorrise.

“Grazie per l’assistenza Miss Garbles”.

“Ti prego non essere così formale con me, chiamami semplicemente Leah. Oh giusto, prima che prendi congedo volevo chiederti una cosa”.

“Dimmi pure”.

Leah cambiò espressione, il sorriso che prima dominava il suo volto ora era sparito, lasciando solo uno sguardo malinconico. “Ecco… prima ti ho visto in compagnia di Piper”.

“Ah… la conosci?”

Leah annuì. “E’ l’archivista della biblioteca reale. E’ una ragazza molto in gamba, sempre impegnata a catalogare libri di grande importanza per le ricerche arcane. Il principe mi ha riferito che anche per lei è la sua prima volta su una nave, quindi spetta a me visitarla, ma non si è ancora presentata. Devo consegnare il rapporto visite al principe entro stasera, quindi…”.

“Vuoi che glielo chieda io?” Si propose Alphonse.

Leah annuì sorridendo “Scusami, dovrei essere io a occuparmi della cosa ma, onestamente non mi sento molto a mio agio con lei”.

Alphonse non se la sentiva di indagare ulteriormente sulla cosa. Conosceva Leah da pochi minuti, non gli sembrava il caso di scavare nella sua vita privata. Ma sarebbe stato altrettanto scortese da parte sua ignorare la richiesta di una ragazza.

“D’accordo, lascia fare a me. Spero di vederla però, da quel poco che sono stato in sua compagnia mi sembra una ragazza molto elusiva”.

“Non mi sorprende” Sorrise “Era così anche a scuola…”.

“Oh? Eravate compagne di classe?” Domandò Alphonse interessato.

Leah annuì con nostalgia “Eravamo molto legate al liceo. Lei era molto sulle sue proprio come adesso, ma prima parlavamo così tanto. Poi, lei è sparita per motivi sconosciuti e l’ho rivista solo tre anni dopo. Tuttavia dopo il suo ritorno ci sono state delle...complicanze tra di noi. Sono andata a trovarla diverse volte in biblioteca dopo il nostro litigio ma lei non mi voleva più vedere”.

Alphonse era particolarmente dispiaciuto per lei “Mi dispiace, perdere un’amica deve essere orrendo”.

“Già. Ti chiedo scusa Alphonse, coinvolgerti così all’improvviso con le mie noiose storie” La ragazza fece un inchino per scusarsi.

“Sciocchezze. Non preoccuparti” Alphonse le sorrise scuotendo il capo e le mani

“Sei molto gentile, proprio come tuo padre. Sono felice di averti conosciuto Alphonse”.

“Il piacere è tutto mio, spero di vederti alla festa stasera”.

Leah unì le mani con gioia “Ma certo! Non vedo l’ora di assaggiare le prelibatezze di questo Hotel!”.

“Eheh, affamata eh?” Si passò un dito sotto il naso “Non ti biasimo. A più tardi allora…”.

Leah si inchinò di nuovo, forse lo faceva troppo spesso “A più tardi”.

 

Alphonse si recò dunque nella sua stanza. A differenza della gigantesca valigia di Leah, il giovane minatore si era portato solo qualche vestito di ricambio e null’altro. La sua stanza si affacciava verso la strada ancora parecchio affollata e il pomeriggio iniziava pian piano a diventare tardo, mentre il cielo si tingeva gradualmente di un arancione tramonto.

Il viaggio da Stonefall ad Alabathia era durata tutta la notte e tutta la mattina, quindi si sentiva piuttosto stordito. Decise quindi di stendersi e prendersi un po’ di tempo per riposare gli occhi e i muscoli, non voleva di certo andare alla festa con le gambe doloranti. 

Qualche tempo dopo, qualcuno bussò alla sua porta. Alphonse si rese conto di essersi appisolato ed era conseguentemente passata un'ora abbondante. Il giovane minatore aprì la porta e ad accoglierlo dall’altro lato...

“Piper?”.

“Ah, quindi eri qui… bene”

La ragazza entrò senza nemmeno chiedere permesso, portandosi ancora dietro quell’enorme ingombrante libro.

“Hai dimenticato di dirmi qualcosa?” Chiese lui.

“Sono andata a prendere i tuoi documenti ufficiali per l'imbarco” Poggiò le carte sul mobiletto “Ti serviranno quando raggiungeremo la costa di Windhiled. L’ambasciata dell’Unione sa essere molto meticolosa con la burocrazia, quindi mi sono assicurata che tutto fosse in ordine, non voglio causare problemi a Sua Altezza”.

“Ah ti ringrazio, la burocrazia non è il mio forte” Alphonse sorrise con gratitudine.

Piper si aggiustò gli occhiali “Beh io vado a dopo…”.

“Ah Piper, aspetta devo dirti una cosa”.

La ragazza si voltò e rimase in silenzio davanti alla porta, in attesa che Alphonse dicesse qualcosa.

Lui si grattò la nuca sentendosi un po’ a disagio. “Senti, anche per te è la prima volta che sali su una nave vero? Mi è stato riferito che chi non ha mai viaggiato oltre oceano abbia bisogno di una piccola visita per verificare se abbiamo il mal di mare”.

Piper sogghignò stringendosi il grosso libro sul fianco “Fammi indovinare, Leah ti ha chiesto di venirmi a chiamare”.

“Ah…beh sì”.

Piper fece un grosso sospiro “Wow, lo sapevo. Ha seriamente mandato qualcun altro a chiamarmi, piuttosto che venire lei stessa. Piuttosto patetico da parte sua”.

“Mi pare di capire che il vostro rapporto è alquanto...difficile?”.

Piper fece un breve sorriso amaro. “A quanto pare ti ha ammaliato usando il suo corpicino attraente. Voi uomini siete proprio stupidi. Senti, lascia che ti dia un consiglio, non fidarti di lei”.

“Perché?” Alphonse aggrottò la fronte.

“Beh innanzitutto perché è piuttosto stupido fidarsi di qualcuno che conosci da meno di dieci minuti. Inoltre quella ragazza è pericolosa, ti userà per i suoi scopi e poi ti getterà via come carta straccia. Non sa fermarsi davanti a nulla quando incontra un ostacolo. Credimi quando ti dico che le dovresti starle alla larga, la conosco da tanti anni”.

“E cosa avrebbe fatto di così tanto orribile?” Chiese Alphonse serio in volto.

Piper scosse il capo “Non sono obbligata a risponderti. Perché non lo chiedi a lei? Ad ogni modo grazie del messaggio, non voglio recare problemi a sua altezza, quindi non temere mi sottoporrò all’esame”.

Piper si congedò senza dire un’altra parola.

“Accidenti che tipo…” Sospirò lui. 

Ma non era il momento di stare lì a ponderare sulla cosa. Consultandosi con il suo orologio da taschino si rese conto che doveva prepararsi per le festività. Solo il pensiero di togliersi la sua divisa da lavoro lo mandava in crisi.

“Beh, andiamo Alphonse, c’è sempre una prima volta a tutto” si motivò.



 

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Capitolo 2
*** Atto 1-2; (Festività) ***


Al calare della sera, le festività ebbero inizio. 

I popolani passeggiavano per le bancarelle lungo la via del mercato, acquistando dolci tipici, maschere scaccia sfortune e altro, mentre i nobili festeggiavano in lussuosi banchetti nei ristoranti e negli hotel più importanti della città.

La festa dell’Unione era il momento ideale per parlare di politica, economia e anche di argomenti delicati come la guerra e lo sviluppo bellico, dopotutto la pace nel mondo si sorreggeva interamente sul concetto di deterrenza. 

Nonostante Alabathia detenesse la supremazia bellica totale, c’era grande timore nell’usare le nuove armi, per paura di squilibrare e distruggere la natura stessa del mondo. Entrambe le superpotenze erano dunque troppo spaventate dalle terribili armi che gli arcanisti avevano costruito, studiando la più antica e pericolosa arte della storia del mondo: la Magia.

In quei rarissimi casi in cui una persona mostrasse i segni di una latenza magica, esso/a diventavano subito oggetto di preoccupazione, poiché chi controllava il potere magico, era in grado di piegare la natura del mondo.

Avere la possibilità di plasmare certi aspetti della realtà a proprio piacimento, era sempre stato considerato un potere troppo pericoloso, soprattutto nelle mani di individui dagli ideali distorti e non omogenei al pensiero collettivo. 

Gli arcanisti però, che non erano altro che scienziati dediti alla ricerca della natura del mondo, erano riusciti a rendere alcuni aspetti della Magia qualcosa di uso comune, sia nella tecnologia domestica, sia in quella bellica. Tutto grazie all’uso di un materiale chiamato Silderium: una roccia che custodiva dentro di sé immenso potere magico, scavata solamente in una manciata di miniere in tutto il regno. 

Qualche frammento di Silderium era sufficiente per tenere acceso qualsiasi strumento tecnologico per almeno due mesi.

La famiglia di Alphonse era conosciuta non solo per essere gli abitanti della terra che custodiva la più prosperosa miniera di Silderium al mondo, ma era famosa per ospitare i più abili minatori del regno, in grado di scavare tale minerale a chilometri di profondità.

Era una nozione comune a tutti che il Silderium fosse un materiale estremamente delicato da estrarre. Un colpo di piccone con eccessiva forza o al contrario con un polso debole, equivaleva a perdere prezioso materiale primordiale e ciò non era assolutamente ammissibile.

Alphonse cercò di distogliere l’attenzione dall’ansia che il suo lavoro di tanto in tanto gli recava’, perché in quel momento c’era qualcosa di decisamente più difficile dell’estrazione del Silderium, ovvero aggiustarsi il fiocco del suo elegante vestito.

“Gaaah… perché devo mettermi questo dannato fiocco” Disse esasperato Alphonse.

Mentre ci provava di nuovo però, qualcuno bussò alla porta della sua stanza. Alphonse aprì la porta aspettandosi Piper, invece…

“Leah?”

“Oh, sei occupato?” La ragazza si portò la mano tutta bendata sulla bocca.

“A dire il vero non riesco a mettermi questo dannato fiocco. Mi sta facendo uscire matto”.

“Posso?” Leah sorrise e con estrema semplicità riuscì a fare un nodo al fiocco. “Ecco qui, ti sta molto bene”.

“Accidenti grazie, mi hai salvato…”.

“Eheh, di nulla”

Alphonse notò che la ragazza aveva cambiato vestito. Era un altro tipo di grembiule, questa volta però molto più elegante, di colore viola acceso con un tema floreale. Si rese conto troppo tardi però che la stava fissando troppo a lungo e immediatamente si imbarazzò, distogliendo lo sguardo sul suo fiocco.

“Avevi bisogno di qualcosa?” Chiese poi Alphonse.

“Oh nulla di importante. Ho pensato che sarebbe stato cortese da parte mia accompagnarti alla festa, visto che questa è la tua prima volta”.

“Hai avuto un’ottima idea, da solo mi sarei sentito sicuramente un po’ perso. Sai non sono abituato a queste cose”.

“Lascia fare a me!” La ragazza era decisamente motivata, ed eccitata dall’idea di andare alla festa. 

Alphonse decise di lasciarsi trasportare un po’ da quella gioia, anche se avrebbe preferito non forzarsi troppo a farlo.

Nel salone grande dell’Hotel era stato allestito un gigantesco banchetto di prelibato cibo, bevande, vino e musica d’alta classe. L’idea che un umile minatore come lui potesse presenziare ad un evento così sfarzoso gli sembrò un po’ troppo irrealistico per essere vero. Eppure il cibo era lì, fumante, pronto per essere mangiato. Inutile dire che l’insieme dei vari odori risvegliò l’appetito del giovane ragazzo.

“Aaaahhh-- c’è così tanto cibo!” Leah deliziata da quella vista, incrociò le mani davanti a sé come in preghiera. 

“Cavoli, devi essere proprio tanto affamata. Serviamoci pure ti va?”

L’Appetito di Alphonse non sarebbe stato difficile da saziare, grazie alle moltitudini di piatti tipici, cibi freddi, caldi, dolci e frutta. C’era veramente l’imbarazzo della scelta, tuttavia Alphonse si sentì un po’ fuori posto a consumare senza remore tutto quel cibo, a differenza di Leah che era stata completamente conquistata dalla ingordigia.

Mezz’ora dopo l’inizio delle festività, c’era già qualche risata acuta dovuta all’eccesso di vino.

Mentre gustava del buon cibo, Alphonse si guardò attorno per cercare Piper, ma la ragazza non sembrava esserci.

“Aveva detto che sarebbe venuta…” Disse lui un po’ deluso.

“Dea misericordiosa! Alphonse sei tu?!”.

Improvvisamente una voce profonda e matura lo colse alla sprovvista. Un uomo possente, parecchio muscoloso, dai capelli corti color fuliggine e una barba disordinata, si presentò con un grosso sorriso stampato sui denti e un po’ di rossore in volto. 

Alphonse rimase sorpreso dalla possenza di quell’uomo, un suo bicipite era grosso quasi quanto la sua testa, ed era piuttosto convinto di averlo già visto da qualche parte.

“Cielo! Non dirmi che non ti ricordi di me. Certo eri alto più o meno così quando ti ho visto l’ultima volta, ma ricordo che eri scoppiato a piangere quando me ne sono andato dal villaggio”.

“Ah! Zio Orin! Sei davvero tu!” Alphonse rimase scosso, erano 12 anni che non lo vedeva.

“Ahahaha!” L’uomo scoppiò a ridere allegramente “Sono io ragazzo! Sono io! Ma guardati! Sei diventato un uomo ormai!”.

“E’ davvero bello vederti Zio. Non sapevo di trovarti qui…” Alphonse fece un sorriso cordiale.

“Ma come? Pensavo che il tuo vecchio ti avesse informato della mia presenza! Ah non importa, Arthur è sempre stato un po’ con la testa fra le nuvole. Ma parliamo di te Alphonse! Un gran bel balzo eh figliolo? Hai tutte le carte in tavola per diventare il suo successore in men che non si dica” Lo cinse con il braccio scuotendolo amichevolmente.

“D-Dici? Io penso sia troppo presto…” Ammise lui scuotendo il capo poco convinto “Non sono ancora al mio massimo”.

“Sciocchezze! So quanto tempo passi sotto quelle cave e quanto Silderium hai estratto solo in quest’anno. Le lampade magiche di Alabathia funzionano grazie a te ahahahah!”.

Alphonse si grattò il capo lusingato, anche se pensò che l’uomo stesse esagerando un po’, dovuto anche al fatto che il suo alito emanava un forte retrogusto di vino.

“Oh! Signor Armstrong!” Leah apparì subito dopo, aveva appena finito il suo pasto. “Vi trovo in forma”.

“Ahhh ecco la mia fanciulla preferita! Leah ti trovo splendida stasera”.

“Grazie mille” La ragazza fece un inchino di cortesia un po’ rossa per il complimento “Siete pronto per il viaggio di domani?”.

“Prontissimo come sempre!” Orin annuì “Questo è il mio settimo viaggio a Windyield. Dovrebbero farmi una casa direttamente all’ambasciata ahahah!”.

“Voi due sembrate conoscervi” Osservò Leah curiosa.

“Sì, Orin Armstrong è mio zio, il fratello maggiore della mia defunta madre” Spiegò Alphonse con un sorriso “Quando ero piccolo veniva spesso al villaggio a trovarmi, inoltre è un carissimo amico di mio padre”.

Orin si mise le mani sui fianchi e fece un grosso sorriso orgoglioso, mentre si perdeva nei ricordi.

“Il vecchio Arthur! Mi mancano le serate passate a sbronzarci in locanda. Bei vecchi tempi”.

Non c’era anima viva nel regno che non conoscesse il nome di Orin Hamilton Armstrong. Il più importante e famoso fabbro di Alabathia, responsabile per aver forgiato innumerevoli armi e armature ai Cavalieri Regali. Tuttavia quello che lo aveva realmente reso famoso, fu il suo miracoloso intervento durante il crollo della diga di Steepfall. 

Qualche mese dopo la nascita di Alphonse, ci fu un monsone di tremenda portata e la più grande diga di Alabathia rischiò di crollare, ma Orin riuscì a salvare la vita a innumerevoli innocenti, guadagnandosi lo status di eroe. Alphonse era molto fiero di avere uno zio così importante, senza contare che ricordava molto bene il periodo in cui veniva al villaggio.

“Zio sono davvero felice di poter collaborare con te” Alphonse fece un inchino.

“Avanti figliolo, non essere così formale con me! Sono felice anche io, ora però ti lascio in compagnia di Leah, è una ragazza speciale quindi trattala bene ok?”.

L’uomo se ne andò dritto verso il vino. Stava decisamente esagerando, ma Alphonse fu piacevolmente sorpreso di sapere che suo zio non era cambiato di una virgola.

“Rumoroso come al solito” Sospirò lei con un sorriso. “Non sapevo fosse tuo zio”.

“Hai collaborato a lungo con lui?” Chiese Alphonse curioso.

“Sì, beh per tre anni almeno” Rispose portandosi un dito sul labbro pensosa “Anche se ci vediamo praticamente solo durante questo evento. Però è pur sempre uno degli eroi di Alabathia, è un onore lavorare al suo fianco”.

Alphonse si chiese come mai suo zio non era più tornato al villaggio. All’improvviso non lo aveva più visto, probabilmente per il suo lavoro che lo teneva sempre in contatto con le alte sfere della monarchia. Tuttavia non aveva ricevuto neanche una lettera in tutti quegli anni, nessuna notizia.

“Qualcosa non va Alphonse?” Leah notò lo sguardo pensoso del giovane, ma lui subito scosse il capo sorridendo.

“No va tutto bene, piuttosto che sta succedendo? Improvvisamente è diventato tutto più silenzioso qui”.

I due si guardarono attorno e scoprirono il motivo di tale silenzio all’ingresso dell’Hotel. Il principe Harris Haiken Our Stator era appena arrivato.

Si trattava di un giovane ragazzo di diciannove anni, di media statura, dai capelli biondo platino e gli occhi azzurri. 

Vestiva con pregiate vesti bianche e un mantello blu scuro, ornato con dei ricami sacri dorati che simboleggiavano la Dea Enneas. Aveva un sorriso sincero sul volto liscio e immacolato, dall’aspetto innocente e importante.

Uomini e donne d’alto rango sociale, salutarono il principe con un inchino di cortesia e il ragazzo fece loro un gesto di stare comodi. 

Al fianco del principe c’era una bellissima donna in armatura d’argento, dai lunghi capelli rossi scuri come il sangue. Anche lei come il principe indossava un mantello con i ricami sacri. Il suo sguardo era ligio, serio e osservava attentamente gli uomini, pronta ad intervenire nel caso il principe fosse in qualsivoglia pericolo. Alphonse rimase ammaliato da lei.

“Chi è la donna al fianco del principe?” Chiese Alphonse sussurrando a Leah.

“Anglia Neyte Our Stator” Rispose Leah seria in volto “Il braccio destro del principe. Viene considerata quasi una dea tra i ranghi dei cavalieri del regno, a tal punto da aver ereditato il cognome della famiglia. Quella donna non è un essere umano comune, ha qualcosa di speciale…”.

Alphonse era d’accordo con lei, da quando era entrata nell’edificio la temperatura si era abbassata di qualche grado. La sua figura era così importante, così radiante, da oscurare persino quella del principe.

Improvvisamente, lo sguardo del principe si posò su quello di Alphonse e sorridendo si avvicinò verso di lui. 

Non era la prima volta che incontrava il principe Harris dal vivo, ma in presenza di quella donna tutto cambiava. 

“Buonasera Alphonse e buonasera anche a te Leah. Sono davvero felice di vedervi”.

Entrambi fecero un profondo inchino di cortesia. 

“Buonasera Sua Altezza” Leah mostrò lui profonda riverenza.

“Comodi, comodi, non siate così formali” Sorrise il principe “Siamo tutti colleghi allo stesso livello qui. Spero che il viaggio per arrivare alla Capitale sia stato abbastanza comodo Alphonse, so che oltrepassare le montagne di Stonefall in carrozza non è esattamente piacevole”.

“Beh, quel che conta è che sono qui” Sorrise lui grattandosi la nuca “Ad ogni modo Sua Altezza, mi chiedevo come mai avete scelto proprio me, di solito di queste cose si occupa mio padre”.

Harris incrociò le braccia e ricambiò il sorriso “Non vi sentite all’altezza?”.

“Onestamente non molto. Mio padre è molto più preparato di me, inoltre è stato rappresentante per ben tre anni…”.

“Ho saputo che Lord Arthur si è infortunato recentemente”.

“Oh sì, ma nulla di grave, nulla che potesse limitarlo a tal punto da non partecipare alla spedizione” Insisté Alphonse.

Harris sembrò apprezzare l’umiltà del giovane minatore, tuttavia era oltremodo contrariato dal suo modo di vedere la cosa.

“Sono stato io a richiedere la tua presenza all’Unione. Ho avuto modo di valutare i tuoi sforzi e il tuo duro lavoro svolto in questi anni nella miniera più importante del regno. Sono certo che sai bene quanto sia importante scavare il Silderium dalla roccia sotterranea, soprattutto in questi tempi di delicata stabilità politica, unita alle rivoluzioni tecnologiche. Il tuo nome è praticamente sulla bocca di tutti, e tuo padre ci ha parlato molto bene di te via missiva”.

“Mio padre…?” Alphonse fu sorpreso di sentirlo.

“Apprezzo molto la vostra umiltà, ma non è necessario negare la verità. Siete di fondamentale importanza, proprio come lo è la splendida fanciulla al vostro fianco”.

“Principe io…” Leah si sentì decisamente lusingata tutta rossa in volto.

“Non ho dimenticato cosa hai fatto per me e per il regno. Senza di te Alabathia sarebbe certamente piombato nel caos totale. Siete un’amica e una preziosa alleata, e lo stesso vale per te Alphonse, sono davvero felice che siete entrambi qui”.

“Mio Lord… gli ospiti attendono” Anglia chinò il capo e sussurrò gentilmente al suo orecchio.

“Oh certo, hai perfettamente ragione Anglia. Vi chiedo gentilmente di perdonarmi, ma devo incontrarmi con diversi esponenti del regno di Baal’Thasia. Ci vediamo più tardi o nel caso sulla nave domani mattina. Godetevi le feste”.

Harris fece un breve inchino di cortesia, e i due contraccambiarono con profonda riverenza.

Per un brevissimo istante, Alphonse incrociò lo sguardo con Anglia. Quella ragazza, con un singolo sguardo, aveva già inquadrato la persona che aveva di fronte a sé. Non disse nulla, né mostrò emozioni, semplicemente fu un breve ma intenso sguardo.

“Anglia mette un po’ paura vero?” Sorrise Leah “Mi chiedo come faccia il principe a vivere al fianco di quel blocco di ghiaccio”.

“La conosci?” Chiese Alphonse.

“Non proprio. Diciamo che ci ho avuto a che fare in passato, ma ne parliamo un’altra volta, ti va di continuare a mangiare?” Chiese Leah ancora parecchio eccitata dalla quantità di cibo ancora presente sui tavoli.

“Hai un appetito piuttosto spiccato Leah. Io sono già ampiamente sazio…” Rispose Alphonse reggendosi la pancia.

“Oh beh, peggio per te! Io vado a mangiarmi qualche dolcetto, se hai bisogno mi trovi lì…” La ragazza si congedò, lasciando Alphonse al tavolo delle bevande. Avrebbe voluto chiederle cosa aveva fatto di così importante da guadagnarsi tale profonda stima da parte del principe ma...

“Sei stato scaricato vedo”.

Il ragazzo si voltò e con sua sorpresa lì la vide.

“Piper! Sei venuta alla fine…”.

“Non per mia volontà, grazie tante” La ragazza incrociò le braccia, stavolta non portava il suo libro con sé “Il Principe mi ha sgridato, dicendomi che devo essere presente ad una cerimonia così importante, mah…”.

“Non ha tutti i torti sai? Hai già mangiato qualcosa?”.

“No… non ho appetito” Rispose disinteressata.

Ma in quel preciso istante, le sue parole furono tradite dal suo stomaco che gorgogliò.

Alphonse a sua volta si mise a braccia conserte fissando con occhi divertiti la ragazza.

Piper arrossì e abbassò lo sguardo. “non dire una parola o ti strozzo…”.

 

Piper infine mangiò qualcosa e i due ragazzi si misero a sedere su un tavolo libero. Forse fu proprio perché aveva messo qualcosa sotto i denti che ad Alphonse gli parve che la ragazza fosse di umore decisamente migliore rispetto alla prima volta che si erano visti.

“Hai avuto modo di conoscere gli altri?” Chiese Piper.

“Non proprio tutti, ma mio Zio Orin è tra i rappresentanti. Non lo vedevo da dodici anni almeno”.

“Orin Armstrong? Non sapevo fosse tuo zio” Piper sembrò sorpresa.

“All’inizio nemmeno lo avevo riconosciuto” Disse Alphonse.

“E Leah? Ho visto che ti ronza attorno di continuo” Piper incalzò con sguardo profondo.

“Beh, mi ha praticamente salvato la serata, visto che è riuscita senza problemi a farmi il nodo al fiocco. E’ una ragazza amichevole, non mi dispiace essere in sua compagnia”.

“Ohh…” Piper girò il dito attorno al bordo del bicchiere “Capisco, ti piacciono quel genere di ragazze eh? Scommetto che già vuoi portartela a letto”.

“Non essere sciocca!” Esclamò Alphonse incredibilmente imbarazzato “ E poi perché si deve finire subito a parlare di relazioni di quel tipo” Alphonse incrociò le braccia un po’ rosso in volto. L’argomento come al solito lo metteva pesantemente a disagio.

“Scherzavo, non te la prendere dai” Piper sogghignò divertita. “Quindi non vuoi prendere il mio consiglio alla lettera dico bene?”.

“Sul fatto di non fidarmi di lei? Preferisco avere un rapporto di fiducia con i miei colleghi di lavoro ed essere privo di giudizi innecessari. Qualsiasi errore compiuto non è affar mio”.

“Prendi molto sul serio il tuo lavoro eh?” Piper sospirò “Beh poi non dire che non ti avevo avvertito”.

Alphonse fece spallucce con un sorriso “Visto che sei così tanto chiacchierona stasera, perché non mi dici il motivo per cui sei così ostile nei suoi confronti”.

Piper smise di girare il dito attorno al bordo del bicchiere e abbassò il capo.

“Pensavo lo avevi già chiesto a lei. Perché devo dirtelo io?”.

“Perché dal tuo sguardo, sembra che tu voglia approfondire la cosa, ma qualcosa ti frena. Perché non ti togli di dosso quel peso che ti porti dietro?”.

Piper sembrò irritata dalla sua perspicacia e Alphonse si rese conto che forse aveva esagerato ad essere così diretto.

“E perché dovrei dirlo ad uno sconosciuto” Disse lei rilassando lo sguardo.

“Certo, non sei obbligata a dirmi nulla” Alphonse mise le mani avanti “Ma potresti parlare con lei, visto che la conosci da così tanti anni”.

“Non cambierebbe nulla. Ad ogni modo io me ne torno nei miei alloggi, ho mangiato a sufficienza”.

La ragazza si alzò in piedi.

“Sentiti libera di venire a parlare con me quando vuoi” Disse Alphonse “Non penso affatto di meritarmi la mia posizione tra di voi, ma farò del mio meglio essere un supporto a tutti voi”

“Lo terrò a mente” Aggiunse Piper con un breve sorriso “Fai una buona serata”

Piper fece un cenno e si congedò.

Alphonse la osservò andare via, sperando che le sue parole avessero potuto fare breccia su di lei.

 

L’ora iniziava a farsi molto tarda. Consultando l’orologio da taschino, notò che erano le due passate. Leah era assorta nei pensieri, mentre fissava alcuni dei nobili che chiacchieravano nel grande salone. Sembrava stesse aspettando qualcuno.

“Leah? Tutto bene?”.

“Ah! Alphonse… mi hai spaventata!”.

“Scusami, non era mia intenzione. Qualcosa ha catturato la tua attenzione?”

Leah tornò con lo sguardo pensoso “Mmm… a dire il vero no, ma stavo cercando qualcuno”.

“Qualcuno? Chi?”.

“Oh uhm…” Leah arrossì vistosamente “E’ un po’ una storia imbarazzante a dire il vero”.

“Un ragazzo che ti piace magari?” Ipotizzò Alphonse.

“Oh no, nulla del genere” Leah scosse il capo sempre più rossa “Oh cielo d’accordo, tanto vale che te lo dico, ma non qui, ti va di prendere una boccata d’aria? Nel giardino esterno si sta benissimo, inoltre è un luogo abbastanza privato”.

Alphonse annuì “D’accordo fai strada”.

Sul lato dell’Hotel c’era un giardino enorme, curatissimo, pieno di aiuole colme di fiori di vario tipo e colore, panchine per sedersi, e una grossa fontana di marmo. Il luogo ideale per una chiacchierata nel cuore della notte, sotto il maestoso cielo stellato e il rumore calmo del flusso d’acqua. Davanti a quel panorama, Leah decise di raccontare la sua storiella ad Alphonse.

“Qualche settimana fa, ero proprio indaffarata con i preparativi del viaggio di domani, stavo preparando tutte le pozioni per il trasporto e improvvisamente mi sono resa conto di aver finito alcuni ingredienti. Purtroppo il negozio di erboristeria è in un luogo un po’ isolato della città e quel giorno sono stata accerchiata da tre uomini” Leah sospirò “Purtroppo è molto comune che vengo importunata per strada”.

Alphonse scosse il capo dispiaciuto “E’ una cosa orribile...”.

“Ero spaventata, quegli uomini erano chiaramente dei malintenzionati e non avevo modo di difendermi, quando all’improvviso una cortina di fumo si sollevò coprendo l’intera visuale!” Leah strinse i pugni davanti a lei eccitata con le stelline agli occhi, sembrava diventata una bambina che aveva appena visto il suo supereroe “E lì è apparso! Il Vigilante!”.

“Vigilante?” Alphonse inarcò un sopracciglio.

“E’ da almeno un anno che quest’uomo va in giro per le strade a punire i malvagi e salvare gli indifesi! Il crimine in generale è diminuito tantissimo da quando questo viandante dell’Est è arrivato sul suolo di Alabathia. Un uomo alto, giovane, ha scacciato via quegli uomini con uno stile di combattimento che non avevo mai visto”.

Leah si alzò in piedi “Era… formidabile! Sono rimasta incantata dal suo movimento! Vorrei tanto incontrarlo e...beh ringraziarlo!”.

Alphonse portò una mano sul mento “E perché mai lo stavi cercando qui in un banchetto di nobili in un Hotel prestigioso?”.

“Beh ho saputo che anche lui è stato chiamato come rappresentante dal Principe. Persino Baal’Thasia vuole conoscere questa persona misteriosa e in qualche modo l’Unione è riuscito a rintracciarlo e so che ha accettato! Ma non so dove sia, non l’ho mai visto in volto, ho visto solo sentito delle voci a riguardo”.

Un misterioso Vigilante che pattugliava le strade del Regno, intervenendo là dove ce n’era bisogno. Sembrava il tipico racconto epico di un brillo menestrello.

“Beh, se ha accettato, allora lo incontrerai domani. Non sei felice? Potrai finalmente ringraziarlo come si deve” Disse Alphonse con un sorriso.

Leah annuì eccitata dall’idea “Non vedo l’ora di conoscerlo!”.

Alla fine di quel piacevole discorso su l'eroico vigilante dell’Est, i due iniziarono ad accusare la stanchezza.

Alphonse accompagnò Leah alla sua stanza.

“Ehi Alphonse, ti volevo ringraziare” Disse lei davanti alla sua porta.

“Per cosa?”.

La ragazza sorrise gentile “E’ la prima volta che sto in compagnia di qualcuno in queste grandi celebrazioni. Di solito sono sempre stata sola” Leah abbassò il capo “La verità è che faccio fatica a parlare con il prossimo, ho sempre paura di essere noiosa o di troppo. Nonostante molti rappresentanti del regno mi vedano come una specie di genio della medicina, sono anche a conoscenza delle opinioni spiacevoli che hanno su di me. Mi dicono alle spalle che sono volgare, che ovunque vado gli sguardi lussuriosi degli uomini mi seguono” Leah si emozionò un momento, ma cercò di trattenere le lacrime “Scusami, non dovrei dire queste cose, è solo che non sono abituata ad avere amici. Con te però sono stata bene, e hai uno sguardo così sincero. E’ facile parlare con te”.

Alphonse scosse il capo “Sono felice che ti sei aperta con me Leah. E’ vero che io non sono esattamente la persona più socievole del mondo, spesso e volentieri sto anche diciotto ore al giorno sotto terra a scavare, qualche volta mi dimentico persino com’è il cielo la mattina. Però posso immaginare che la vita in una metropoli così grande sia piuttosto difficile. Per quanto riguarda ciò che dicono di te, non penso ci sia nulla di male nell’essere attraenti. Di nuovo, non è esattamente una cosa che rientra nel mio campo di esperienza, ma essere di bell’aspetto non è sbagliato dico bene?”.

Leah chinò il capo sconsolata “Immagino tu abbia ragione…”.

Alphonse notò che la sua risposta non l’aveva convinta. Quell’argomento doveva affliggere molto la giovane ragazza.

“Adesso però ti lascio andare” Di nuovo il sorriso tornò sul suo volto “Se hai fatica a dormire, posso darti un leggero sonnifero, sai in occasioni come queste non è facile prendere sonno”.

“Non preoccuparti, ho il magnifico dono di addormentarmi appena poggio la testa sul cuscino” rispose Alphonse ridendo.

Leah curvò le spalle invidiosa “Wow… che fortuna, io ci metto un secolo”.

“Cerca di riposare ok? Libera la mente da pensieri e dubbi. Buonanotte Leah, a domani”.

La ragazza fece “ciao ciao” con la mano e chiuse la porta. Ora non restava altro che riposare fino al sorgere del sole.



 

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Capitolo 3
*** Atto 1-3; (Risonanza) ***


L’indomani arrivò piuttosto in fretta.

Alphonse si svegliò quando un raggio di Sole lo colpì dall’interstizio della finestra. 

Aveva riposato abbastanza bene e ora che stava per imbarcarsi verso una nuova e misteriosa esperienza, si sentiva stranamente carico di adrenalina.

Si alzò subito in piedi, si diede una sciacquata e si vestì con la sua divisa da minatore specialista. 

Si attaccò infine l’elmetto protettivo sulla cintura laterale e inserì il suo piccone richiudibile di acciaio rinforzato nel fodero che allacciò poi dietro la schiena.

Aveva con sé ogni strumento, ogni cosa potesse servirgli per scavare Silderium, ma era solo una formalità, un modo per dimostrare e rappresentare il servizio reso al Regno, oltre che una testimonianza della sua provenienza nella Comunità dei Minatori d’Elite.

Una rapida occhiata allo specchio e Alphonse fu soddisfatto del riflesso che vedeva.

“Bene, ci siamo”.

Uscìto dalla stanza vide subito Leah.

“Stavo venendo a chiamarti” Rise lei “Pensavo stessi ancora dormendo”.

“Per fortuna mi sono svegliato” Disse stiracchiandosi “Però hai avuto un’ottima pensata. Non è raro che mi svegli tardi”.

La ragazza osservò la sua divisa con interesse. La muscolatura del ragazzo era in bella vista, così come i suoi strumenti tutti incredibilmente ben preservati. Aveva davanti a sé uno dei migliori, se non IL MIGLIOR Minatore di Silderium di tutto il Regno.

“Che c’è? Ho qualcosa negli occhi?” Disse verificando un dito che non ci fosse alcun residuo.

“No, è solo che con quella divisa sembri diverso” Sorrise lei.

“Dici? Eppure la indosso ogni volta. Sono sempre io” rispose lui ricambiando il sorriso.

“No, non è quello che intendevo” Disse lei scuotendo il capo “Quello che voglio dire è che avevo dimenticato di quanto importante tu sia per questo Regno. Mi ero concentrata più su di te, che sulla tua professionalità”.

Alphonse si guardò “In effetti mi sono presentato a te con una banale tuta di lavoro. Quando sono vestito così invece, beh… di solito è perché ho intenzione di restare almeno una giornata intera sotto terra” Il ragazzo si guardò un palmo della mano “In un certo senso hai ragione sai? L’Alphonse che vedi senza divisa e quello con la divisa, non sono esattamente la stessa persona. Me ne rendo conto ogni volta che inizio a lavorare…”.

Leah notò che la voce del ragazzo era diventata piuttosto malinconica, ma poi come per scrollarsi di dosso ogni dubbio, Alphonse sorrise afferrandosi un pugno “Su andiamo! Facciamo colazione e dirigiamoci alla Nave, tutti aspettano”.

Leah annuì e non aggiunse altro, ma non poteva scrollarsi di dosso la sensazione di aver toccato un tasto dolente nel cuore del ragazzo.

 

Arrivati nel salone principale, sui tavoli trovarono delle pietanze degne della parola colazione. Tuttavia, sia perché la sera precedente avevano tutti quanti mangiato parecchio, sia per l’idea di viaggiare su una nave, i due ragazzi decisero di non esagerare e di andare sul leggero.

“Ne sei certa…?” Una voce attirò l’attenzione di Alphonse. Un tipo strano, dai capelli disordinati legati a coda di cavallo, vestito con una elegante divisa viola che sembrava appartenere a qualche prestigiosa accademia, stava parlando con Piper. Ma qualunque argomento trattasse il loro discorso, fu interrotto proprio dallo sguardo di Alphonse. Il tipo sembrò infastidito dall’interruzione, ma rimase composto e in silenzio osservando la situazione.

Piper si voltò a sua volta e fece un mezzo sorriso.

“Guarda un po’ chi si vede. La coppia del momento…” Commentò amara.

Leah iniziò a sentirsi terribilmente a disagio e restò in silenzio a capo chino. Alphonse notò subito che l’atmosfera si era fatta pesante, per cui cercò con tutto se stesso di salvare la situazione.

“Piper. Ti vedo in forma stamattina” Sorrise Alphonse “Spero tu abbia mangiato qualcosa, non vorrei che il tuo stomaco brontolasse all’improvviso”.

L’approccio di Alphonse però fu sbagliato. Piper si irritò, anche se si sforzò con tutta se stessa di rimanere impassibile.

“Alphonse Stonefall eh?” Il ragazzo a fianco a Piper fece un breve inchino, nulla di troppo sfarzoso. “Non abbiamo ancora avuto modo di conoscerci temo. Mi chiamo Simon Emelent, sono uno dei nove rappresentanti”.

Alphonse contraccambiò l’inchino e sorrise cordiale “Piacere di conoscerti Simon”.

“Volevo congratularmi con te. Grazie al tuo contributo la ricerca nel campo dell’arcanismo sta andando a gonfie vele. La cosa mi riempie di gioia”.

Alphonse sapeva bene che l’unico motivo per cui aveva lavoro era grazie all’argomento arcanismo. Non aveva mai visto un arcanista dal vivo, dopotutto era sempre stato suo padre a gestire le merci, ma da quel che aveva potuto capire si trattavano di individui singolari, alcuni di loro erano decisamente lontani dall’essere ritenute persone ordinarie, quasi fuori dalla realtà nonostante il loro obiettivo fosse il comprendere la natura del mondo. Simon era esattamente come Alphonse si immaginava le figure degli arcanisti: eccentrici, distaccati, privi di umiltà, questo era ciò che vedeva riflesso nel suo sorriso ambiguo. Fu molto difficile per lui trattenere qualsiasi giudizio affrettato, quel tipo non sembrava molto amichevole, né qualcuno con cui Alphonse avrebbe voluto lavorare.

“Felice di essere stato d’aiuto” Gli rispose con gentilezza.

“Ti sei scelto un compagno molto interessante con cui passare del tempo Leah” Sorrise Simon unendo le mani dietro la schiena. “Non ho mai avuto la possibilità di chiacchierare con un minatore di Silderium. Io ho studiato a lungo la roccia, so quanto sia difficile estrarla dal sottosuolo senza irrimediabilmente distruggerla. Magari parlare con te Alphonse potrebbe schiarire alcuni miei dubbi sulla mia ricerca. Chi lo sa, magari in futuro riusciremo a trovare un modo per rimuovere quelle radici dal tuo corpo Leah, proprio grazie alla mia ricerca”.

Il disagio di Leah aumentò a dismisura tanto da farla diventare pallida.

“Non è il momento di discutere di queste cose ok? Piuttosto, sarà meglio dirigerci alla nave. Si sta facendo tardi”.

Leah si congedò, non voleva più partecipare a quella discussione.

“A quanto pare non sembra gradire la mia presenza” Disse Simon scrollando le spalle “Magari Piper potresti provarci tu a farla ragionare”.

“No grazie…” E anche Piper se ne andò.

Simon rise appena scuotendo il capo, “Sono davvero complicate le donne vero Alphonse? Ma non voglio tediarti ulteriormente con la mia presenza, riesco a leggere il disagio nei tuoi occhi. Sembra proprio che tu non sia affatto abituato a questo tipo di ambiente, ma ogni cosa a suo tempo, non c’è fretta. Quando te la sentirai mi piacerebbe molto poter parlare di nuovo con te, magari davanti a una bella tazza di tè. Aspetterò con pazienza”.

“Certo senz’altro” Disse lui.

Simon accese di nuovo il suo sorriso e fece un inchino. “Con permesso” E si congedò.

Alphonse lo osservò andare via. Aveva molto per le testa, ma in quel momento la sua massima preoccupazione era per Leah. Quello che aveva detto Simon le aveva causato profonda agitazione. Che voleva dire con “rimuovere le radici dal suo corpo”? Alphonse non ne aveva idea, si sentì come se avesse messo piede in qualcosa di incomprensibile.

 

La colossale nave Fraternity: la nave più grande mai costruita dai cantieri navali di Alabathia, più grande persino di una nave da guerra. Un’arca di speranza, simbolo di pace e fraternità tra le due nazioni più grandi e influenti del mondo.

Alphonse restò a bocca aperta, mentre osservava tale maestosità davanti ai suoi occhi. La nave era così alta, così grande, che quasi non bastava sollevare il collo verso l’alto per vederne la cima. Si chiese se era davvero necessario costruire una nave così grande per un viaggio simile.

“Così è questa la Fraternity” Disse Alphonse sbigottito.

“Ah Alphonse, buongiorno”.

Il Principe Harris lo accolse con un sorriso, egli era in compagnia di Anglia, che gli restava incollato tutto il tempo senza mai togliergli lo sguardo di dosso un secondo. Alla vista di Alphonse la donna posò i suoi occhi di ghiaccio su di lui studiandolo attentamente, non era facile sostenere quello sguardo così intenso.

“Sua Altezza” Il ragazzo fece un inchino.

Harris gli fece un cenno di mettersi comodo “E’ arrivato il giorno finalmente, come ti senti?”.

“Un po’ teso” Ammise il giovane minatore “Non sono mai salito a bordo di una nave, né tanto meno in una così grande”.

“La Fraternity è l’orgoglio e la gioia del Regno” Affermò il principe con un sorriso orgoglioso, voltandosi verso di essa “Una dimostrazione di quanto i nostri ingegneri navali siano di grande talento. Non temere Alphonse, il tuo viaggio a bordo della Fraternity sarà sicuramente indimenticabile”.

“Ne sono convinto” Sorrise Alphonse.

“Ora che ci penso, sono stato piuttosto scortese, non ti ho ancora presentata la mia fedele compagna” Harris si voltò verso di lei indicandola con una mano “Lei è Anglia Neyte Our Stator, è anche lei come me e noi tutti, una delle nove rappresentanti”.

“Piacere” Anglia fece un saluto conciso, chinando appena la testa e tornò subito in posizione eretta alle spalle del principe.

“E’ di poche parole, ma è una donna di incredibile talento e dal cuore generoso. Non so che farei senza di lei” Harris fece un umile sorriso.

“Felice di lavorare con voi Lady Our Stator” Alphonse non sapeva come comportarsi con lei, le mostrò riverenza allo stesso modo del principe.

“Non essere così formale” Disse Anglia scuotendo il capo, la sua voce era decisa e fredda come il suo sguardo “Puoi chiamarmi Anglia. Io sono solo la spada del principe, niente più, non merito tale riverenza”.

“Andiamo Anglia, non sei mica un pezzo di ferro” Sorrise amichevolmente Harris.

La ragazza chiuse gli occhi e non disse altro. Per qualche motivo, Alphonse trovò improvvisamente Anglia molto meno minacciosa di quel che credeva. Forse era perché era riuscito finalmente a scambiare una frase con lei.

“Sua Altezza” Improvvisamente Piper si intromise. “E’ tutto pronto, il Capitano ha dato il via libera per salire a bordo, gli altri rappresentanti sono già saliti”.

“Molto bene Piper, ti ringrazio per tutto il duro lavoro. Mi scuso per la mia svista stamattina, sono stato incauto” Harris le mostrò uno sguardo dispiaciuto..

“Nessun problema. Ho tutto sotto controllo” Piper scosse il capo e chiuse il grosso libro rimettendolo sottobraccio. Lanciò un’occhiata verso Alphonse, poi se ne andò.

“Bene, sarà meglio salire” Il Principe si rivolse ad Alphonse, questa volta però fece qualcosa di molto diverso dal solito. Gli porse la mano, un gesto molto insolito per un nobile, figuriamoci un principe. Stringersi la mano era un gesto di fiducia e di amicizia, Harris si fidava di Alphonse e lui non riusciva a capire perché, cosa ci trovava di così tanto speciale in lui?

“Ci vediamo a bordo, non vedo l’ora di iniziare a lavorare con te” Gli disse con un sorriso.

Alphonse strinse la sua mano con vigore. “Anche io sono felice di lavorare con voi Sua Altezza”.

Era dunque giunto il momento, il viaggio di Alphonse stava per iniziare. Cosa avrebbe provato? Cosa avrebbe visto oltre quel vasto oceano? Cosa sarebbe successo a Windyield? Mai nella sua vita aveva provato tutte quelle emozioni contemporaneamente. Paura, incertezza, ansia, ma anche determinazione, eccitazione e curiosità. 

Guardò per un’ultima volta quella gigantesca nave, si aggiustò l’elmetto e poi salì a bordo, verso il mezzo che lo avrebbe condotto verso l’ignoto.

Mentre la nave salpava, un gran numero di cittadini si erano radunati nei pressi della banchina e salutavano l’equipaggio, mentre la bandiera del regno di Alabathia fluttuava al vento, visibile anche a lunga distanza. La grande spedizione annuale era appena iniziata.

Il tempo previsto per arrivare a Windyield era di dieci giorni, un tempo sufficiente per i nove rappresentanti di prepararsi al grande evento che si sarebbe tenuto sulla modesta isola di Windyield, dove era stata costruita l’ambasciata dell’Unione.

La Fraternity aveva con sé ogni genere di comfort possibile. Oltre a ospitare le innovative tecnologie arcane che muovevano la nave anche in mancanza di vento, a bordo c'erano i migliori tecnici e chef che il Regno poteva offrire. Anche se quello era chiaramente un viaggio che comportava grandi responsabilità per la podestà, era facile abbandonarsi al lusso e credere di essere in una splendida e meravigliosa vacanza.

“Mmm…” Leah era pensierosa quella sera, mentre fissava la sconfinata massa d’acqua tinta dal color mogano del tramonto. La nave aveva viaggiato già per parecchi chilometri e procedeva spedito nell’oceano, qualsiasi traccia della terraferma era sparita oltre l’orizzonte da un bel pezzo.

“Qualcosa non va?” Chiese Alphonse affiancandosi a lei, mentre osservavano il panorama.

“Stavo pensando, che ancora non ho visto quel vigilante”.

“Dovresti chiederlo al principe, anche se non l’ho più visto poi” Le disse.

“Sarà indaffarato con altro al momento. Meglio non disturbarlo…” Rispose lei, sorridendo.

Leah era davvero molto curiosa di conoscere il suo misterioso salvatore e Alphonse condivideva quella curiosità. Un combattente dell’Est che si faceva strada tra i vicoli malfamati della città, ed esercitava giustizia con le sue azioni, era certamente una cosa che gli interessava parecchio, tuttavia in quel momento non c’era spazio per quei pensieri nella testa di Alphonse, era troppo sbigottito dalla vista di quel panorama mozzafiato, qualcosa che non avrebbe mai immaginato di vedere in tutta la sua vita.

Egli rimase in religioso silenzio, ad ascoltare il rumore delle onde, ad assaporare l’aria fresca della imminente sera, mentre il vento gli accarezzava il volto. Quel silenzio però fu interrotto da una Leah ancora agitata per gli eventi di quella mattina.

“Alphonse, mi chiedevo se posso farti una domanda”.

“Certo, dimmi pure”.

“Cosa ti ha spinto a diventare un minatore? Sei felice del tuo lavoro?”.

Alphonse non ci aveva mai pensato. Amava davvero il suo lavoro? Forse sì, forse no, ma era quello che sapeva fare, era cresciuto in quel modo, in quell’ambiente, era difficile non poter diventare un minatore di successo quando avevi un padre così influente e talentuoso. Tuttavia non aveva deciso di diventare Minatore per seguire le orme del padre, lo aveva scelto per via della sua faticosità, che non gli permetteva di intrattenere pensieri superflui. Lavorare era per Alphonse un modo per fuggire dalla realtà, dai pensieri che lo soffocavano..

“Non saprei dirti se ne sono felice oppure no” Rispose Alphonse cercando di esternare al meglio le sue sensazioni “E’ il mio lavoro, l’ho sempre fatto, non riesco quasi mai a pensare a niente quando colpisco la roccia e non riesco a pensare alla mia vita senza un piccone tra le mie mani. Difficile dire se provo felicità però, di sicuro non sono triste o disprezzo ciò che faccio. Semplicemente lo faccio, è il mio dovere. Come ho iniziato invece beh…” Alphonse alzò il capo verso il cielo. “E’ una lunga storia in realtà, spero che la cosa non ti annoi”.

Leah sorrise e scosse il capo “No, mi piacciono le storie. Sempre se vuoi raccontarla”.

Alphonse annuì e ricambiò il sorriso “D’accordo, beh ho iniziato a lavorare nelle miniere quando avevo sette anni, un anno dopo la morte di mia madre. Lei aveva un male incurabile ai polmoni, e io e mio padre abbiamo osservato giorno dopo giorno la sua vita appassire nelle più atroci sofferenze. Quando morì, ero onestamente felice, finalmente aveva smesso di soffrire, ma la sua morte mi fece chiudere in me stesso. A scuola non parlavo con nessuno, non sopportavo vedere i bambini giocare allegramente nel parco, e li invidiavo quando li vedevo in compagnia delle loro madri. Mi sentivo solo, c’era mio padre con me, ma lui era sempre tremendamente impegnato con gli scavi, quindi non potevo far altro che restare solo”.

“E’ orribile…” Leah scosse il capo tremendamente dispiaciuta.

“Però fu proprio mio padre a darmi uno scopo. Abbandonò gli scavi per un periodo e restò a casa con me, e in quel periodo si dedicò anima e corpo alla mia istruzione. Non mi costrinse ovviamente, ma scelsi di imparare la sua arte. Mi insegnò ogni cosa, non solo a scavare pietre preziose dal terreno, ma anche a sorridere. Mi insegnò il valore del sorriso, di quanto fosse importante ridere in faccia alla disperazione e proseguire nella vita”.

“Tuo padre è una persona meravigliosa” Leah fece un gran sorriso “Ho avuto l’onore di conoscerlo di persona e non ho mai incontrato una persona più genuina di lui!” 

Leah però trasformò il suo sorriso in uno malinconico abbassando il capo “Non credo si possa dire lo stesso per me immagino, basta vedere in che modo Piper si rivolge a me”.

Alphonse si fece dunque coraggio, forse era giunto il momento di compiere quel passo.

“Leah, puoi dirmi cos’è successo? Come mai Piper ti tratta in questo modo?”.

Leah fece un grosso sospiro. Qualunque esperienza avesse vissuto, non sembrava affatto facile per lei raccontarlo con leggerezza.

“Piper è sempre stata così a dire il vero” Ammise Leah con gli occhi rivolti al passato “Ma per lo meno una volta chiacchieravamo spesso. Facevo fatica a restare al suo passo, visto che è sempre stata tremendamente più intelligente di me, ma mi affascinava sentirla parlare. Poi lei scomparve per un periodo. Non volle dirmi il perché, mi disse solo che al suo ritorno mi avrebbe spiegato ogni cosa e che dovevo fidarmi di lei. Quel periodo fu in realtà molto lungo. Non ebbi più notizie di Piper per tre lunghissimi anni, e durante la sua assenza io…”.

Leah chinò il capo. Parlarne diventava sempre più difficile per lei, Alphonse era ad un passo dal fermarla, non voleva costringerla, ma Leah riuscì a raccogliere il coraggio necessario per parlare.

“La verità è che noi due, eravamo molto più che semplici amiche. Non sono sempre stata così sai? Ero parecchio bruttina a scuola, molto magra, scheletrica e goffa, e non ero affatto femminile. Quasi tutti mi scambiavano per un maschio e tutti mi prendevano in giro. La cosa non mi dava pace, era diventata la mia ossessione. Non passava giorno in cui non maledicevo il mio corpo. Ma Piper era diversa, a lei non importava niente. Le piacevo così com’ero e grazie a lei avevo imparato ad accettare la cosa. Finché mi accettava lei, allora era tutto ok. Ma quando se ne andò, la mia determinazione vacillò. Pensavo che non sarebbe mai più tornata e straziata dalla sua assenza io… ho cercato un modo di placare il mio tormento”.

Alphonse restò tutto il tempo in silenzio e ascoltò la storia della ragazza.

“I Funghi Abestos sono funghi molto singolari” Continuò leii “Sono comuni in realtà, li puoi trovare in qualsiasi foresta del Regno, ma sono estremamente velenosi. Ma in quel veleno, c’è una proprietà unica, un reagente di tipo mutageno. Quei funghi sono chiamati anche Funghi della Bellezza, secondo le antiche storie sui manuali di farmacologia, i cacciatori prevalentemente uomini in tempi ancestrali, morivano ingerendo il fungo, e i loro cadaveri si trasformavano in bellissime figure androgine. Il fungo muta il tuo corpo in una versione più bella di ciò che sei, ma causa la morte in pochi minuti, la sua tossina è estremamente letale. Io però ero determinata, volevo estrarre solo la proprietà mutagena del fungo isolando il veleno. Ci ho lavorato a lungo e alla fine ci sono riuscita”.

Alphonse non sapeva esistesse un fungo simile, ma non gli fu difficile immaginare cosa Leah avesse fatto in seguito. Ciononostante la lasciò continuare, senza mai interromperla. 

“Il resto puoi immaginarlo” Sorrise Leah con gli occhi un po’ umidi “Sono riuscita a sintetizzare una versione di prova della pozione, ma doveva essere testata. Ero conscia del fatto che poteva essere rischioso, ma dovevo provarci. Ho bevuto la pozione e di conseguenza il mio corpo ha iniziato a mutare”.

Leah a quel punto si tirò su la manica del braccio togliendosi le bende. Il colore della cute era diventato violaceo e opaco come la cera, si vedevano tutte le venature, come se la pelle fosse diventata parzialmente trasparente e si vedevano i nervi e qualche accenno di ossa.

Alphonse restò senza parole, voleva dire qualcosa ma non gli uscirono le parole. Cosa avrebbe potuto dire poi? Non c’erano parole per poter descrivere ciò che stava guardando.

“Provai un dolore tremendo durante la mutazione” Disse lei guardandosi il braccio “Ma quando mi vidi allo specchio ero euforica. Ero tutto ciò che volevo essere, graziosa, attraente, femminile. Ero felicissima, ma in quel momento di euforia mi resi conto del mio fallimento. Il veleno non era stato debellato del tutto dalla pozione e la tossina prese immediatamente il sopravvento. Ogni parte del mio corpo si gonfiò come un pallone e iniziò a formarsi pus ovunque. Per un mese sono stata in coma, avvolta dalle bende e da soluzioni medicinali per rigenerare il tessuto della mia pelle. Persi anche gran parte dei miei capelli per lo shock provocato dalla tossina. Il mio stomaco, il mio intestino, i miei muscoli, funzionano ancora ma sono gravemente compromessi, ho anche perso la vista ad un occhio. Quando ripresi conoscenza il mio corpo era così. Purtroppo non c’è possibilità di guarire, la tossina ha formato radici molto profonde nel mio sistema nervoso, fino ad arrivare al mio cervello. E’ un miracolo che non sono diventata un vegetale. Ho pagato la mia mancanza di fiducia e la mia ossessiva ricerca della bellezza in questo modo”.

Alphonse scosse il capo addolorato da quella storia.

Leah si girò di spalle, evitando di guardarlo in volto, nascondendo con vergogna anche il braccio. “Se sei disgustato da me non ti biasimo. Tutto ciò che mi rende attraente agli occhi di uomini e donne, non è altro che una poltiglia di carne mutata.”.

“Non essere sciocca, non sei affatto disgustosa!” Esclamò Alphonse con vigore “Hai certamente fatto un’azione sconsiderata ma non significa che meriti disprezzo per questo, né per ciò che sei diventata”.

“Però ora Piper mi odia” Le sua voce si ruppe e le lacrime iniziarono a scenderle sul volto “Ho tradito la sua fiducia. Alla fine lei tornò dal suo viaggio e si rese conto che non mi ero fidata di lei. Che avevo dato per scontato che non sarebbe mai tornata. Me lo merito, mi merito il suo odio!” Esclamò singhiozzando.

“No non è vero” Alphonse lo affermò con estrema serietà “Non sono affatto d’accordo, hai sofferto abbastanza per il tuo errore. Non meriti altra sofferenza. Inoltre non so la natura del viaggio di Piper, ma se davvero ci teneva… allora non sarebbe partita”.

Leah si portò le mani sul viso e si lasciò andare al pianto.  Alphonse non poté far altro che restare al suo fianco e consolarla.

Piper aveva sentito tutto. Era nascosta lontano da occhi indiscreti e se ne andò con lo sguardo oscurato senza fare rumore, mentre il tramonto si spegneva al di là dell’orizzonte, lasciando spazio alla notte e al cielo stellato.

 

I giorni passarono. Il viaggio proseguiva in tutta tranquillità, tuttavia il tragitto era ancora molto lungo. Il tempo iniziava ad essere troppo e le cose da fare sempre di meno, e nonostante la nave offrisse molto lusso, non offriva intrattenimento. 

Alphonse stava facendo manutenzione ai suoi strumenti, era un processo lento e curato e non necessario visto che non avrebbe dovuto scavare nulla, ma decise ugualmente di farlo per passare il tempo.

Ricordò il giorno in cui aveva ricevuto la sua strumentalizzazione ufficiale. Fu suo padre ad occuparsi della cosa e fu un momento di festa, dove tutti i minatori della Comunità brindarono e lo acclamarono con gioia. 

Nonostante fosse un momento molto nostalgico della sua vita, non riusciva a ricordare se avesse provato effettiva felicità. Si ricordò del suo discorso con Leah e si interrogò.

“Sono davvero felice cosi?”.

Ma probabilmente stava solo pensando troppo, così tornò concentrato sul lucidare finché qualcuno bussò alla porta con una certa forza.

“Chi sarà mai?” Alphonse la aprì e vide Piper pallida in volto dall’altro lato.

“Alphonse, hai per caso visto Leah?…”.

“Leah? No. Che succede?” Chiese lui allarmato.

“Vieni senza fare storie…”.

Quello sguardo non prometteva nulla di buono, cos’era successo? Alphonse ebbe uno spiacevole presentimento, mentre i due si dirigevano negli alloggi al secondo piano.

Una delle porte erano aperte e all’interno c’era una stanza completamente messa a soqquadro, quasi come se fosse passato un tornado al suo interno.

Ad Alphonse però bastò una singola occhiata per capire a chi apparteneva quella stanza. C’era una grossa valigia molto familiare al giovane minatore, inoltre per terra c’erano pezzi di vetro e un liquido arancione sparso un po’ ovunque.

“Leah… dov’è Leah?!” Esclamò Alphonse.

“Non lo sappiamo” Ammise Piper cupa in volto “Al momento la stanno cercando. Una delle guardie ha dato l’allarme poco fa”.

Poco dopo però, un’altra guardia arrivò con il fiatone a fare rapporto.

“Miss Piper, la stiva! E’ una tragedia!”.

Non c’era tempo da perdere, tutto il gruppo arrivò nella stiva: nel luogo dove erano custoditi i materiali e le merci che sarebbero dovute essere scambiate con quelle di Baal’Thasia. Ma una volta lì furono accolti da uno scenario terribile.

La mente di Alphonse non riuscì a processare quello che stava vedendo, gli sembrava così innaturale, così scollegato dalla realtà.

Quattro guardie erano state uccise. C’era sangue ovunque, chiunque fosse stato doveva essere stato veloce ed efficiente.

Piper scossa si portò le mani sulla bocca. “Dea Misericordiosa, che cosa diamine è successo qui?”.

Il cuore di Alphonse accelerò riempiendosi di angoscia e adrenalina, e il disgustoso odore del sangue non aiutava. Se quelle guardie erano state uccise, allora Leah…

“Leah!” Esclamò il Minatore a gran voce, ma la ragazza non rispose. 

Il sangue gli si gelò nelle vene quando la vide per terra, a poca distanza di uno strano “Sarcofago”.

Alphonse accorse immediatamente al suo fianco, ma per grazia divina la ragazza era illesa. Aveva uno sguardo dolorante in volto, ma scuoterla e chiamarla per nome non portò a nulla, doveva aver perso i sensi.

“Che sta succedendo qui!?” Il Principe, accompagnato da Anglia arrivò tempestivamente sulla scena.

Con occhi tremanti, il giovane Principe si guardò attorno con orrore. Anglia aveva la mano poggiata sulla spada, pronta a sguainarla. Si guardò attorno, in cerca di un possibile colpevole, ma era difficile identificarlo in quella situazione. La stiva era vuota prima dell’arrivo di Piper e delle Guardie. Solo Leah era già lì, priva di sensi.

“Mio Lord, dobbiamo avvertire immediatamente il Capitano della Nave”.

Harris annuì deciso “Vai” Le ordinò..

La donna scattò, senza pensarci due volte.

“Leah! Rispondimi!” Alphonse di nuovo scosse il corpo della ragazza, ma non c’era verso. Mentre cercava di svegliarla, si rese conto che aveva sangue sulla sua mano. Alphonse se la guardò e notò una grossa ferita sul suo collo. Con molta probabilità era stata tramortita con un colpo contundente.

“Un momento, guardate…” Piper cercò di mantenere la calma e indicò le merci.

Le casse di legno con il simbolo della farmacia di Leah erano state aperte. C’era un gran numero di medicinali sottratti e alcuni distrutti, inoltre c’era anche un’altra cosa che saltò subito all’occhio: a fianco alle casse di medicinali c’era un’altro carico ben esposto.

Il Silderium dalle miniere di Stonefall, il materiale fornito dagli scavi che Alphonse, suo padre e il loro team avevano duramente estratto, stava pulsando di energia bianca.

“Ma che diavolo…” Harris era scosso e perplesso.

“COSA PENSATE DI FARE?!” Improvvisamente un grido alle loro spalle. Quella voce, quel vestito e l’aspetto da erdudita: Simon era appena arrivato, con gli occhi sgranati ben conscio della gravità di quella situazione.

“QUEL SILDERIUM E’ IN RISONANZA! VOLETE FORSE MORIRE? TOGLIETEVI DI LÌ, STA PER ESPLODERE!” Gridò.

Una sensazione di terrore avvolse i presenti mentre il Silderium cominciò a brillare con ancora più radianza, emanando un suono stridulo molto acuto. Il pericolo imminente diede l’illusione ad Alphonse che il tempo fosse rallentato. Immaginò vari scenari, ma tutti conducevano ad un triste destino. Non c’era il tempo di reagire, sollevare Leah e portarla al sicuro in un breve lasso di tempo era fuori discussione. Non c’era speranza alcuna, nessuno in quella stiva sarebbe sopravvissuto. 

Fece quindi l’unica cosa che in quel momento l’istinto gli dettò. Coprì il corpo di Leah con il suo per proteggerla, mentre il Principe sorpreso dalla radianza si coprì lo sguardo con le mani mentre gridava.

Uscire di lì sani e salvi era impossibile, il Silderium aveva raggiunto il punto di non ritorno.

Poco dopo, l’intera stiva fu inghiottita dalla luce e in seguito un tremendo boato provocata da una potentissima esplosione di energia, fu l’ultima cosa che i presenti udirono prima di essere investiti in pieno dall’impatto magico.

Prima di sprofondare in quella che sembrava la sua imminente morte, Alphonse sentì il metallo contorcersi e il legno frantumarsi, seguito da un violento tremore. 

Poi il nulla…



 

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Capitolo 4
*** Atto 1-4; (Isola) ***


Per un periodo indefinito, Alphonse restò privo di coscienza. 

Credeva di essere morto dopo quell’esplosione, ma solamente materializzare tale pensiero gli fece realizzare di essere ancora in vita.

Le sue orecchie fischiavano, ma riusciva a sentire il suono del mare infrangersi con una rinsacca d’acqua sull’umida spiaggia.

Una volta aperti gli occhi, Alphonse riuscì a percepire di nuovo tutti i suoi sensi. 

Era disteso sulla spiaggia, all’ombra di una fitta vegetazione, dove vi penetravano solo qualche raggio di sole.

Lentamente, confuso e disorientato, Alphonse si mise in ginocchio e si alzò in piedi barcollando, mentre si reggeva la testa dolorante.

Si sentiva uno straccio, come se fosse stato calpestato da una mandria di cavalli imbizzarriti.

Alphonse si guardò attorno preoccupato.

“Dove diavolo sono…?” Si chiese.

Soltanto ponendo quella domanda, gli permise di ottenere indietro i ricordi di ciò che presumibilmente lo aveva condotto in quel luogo. Il ricordo più vivido fu quella di una violenta esplosione nella stiva della Fraternity, inoltre ricordò che qualcuno aveva ucciso delle guardie e tramortito Leah distruggendo le sue medicine.

La domanda che venne naturalmente di seguito fu: dov’erano tutti gli altri?

“EHI! C'È QUALCUNO?!” Gridò.

La sua voce echeggiò nella foresta, ma non ci fu alcuna risposta. L’angoscia e la paura iniziarono a strisciare nel suo stomaco, era rimasto da solo?

Nonostante la debolezza, Alphonse fu inebriato di adrenalina e le sue gambe presero a camminare velocemente lungo la spiaggia, calpestando la sabbia umida.

Con il fiatone, scrutò attentamente nei dintorni, ma non c’era nessuno.

Stava per perdere ogni speranza, quando vide qualcuno accasciato al suolo vicino ad un albero. Avvicinandosi, la riconobbe dai suoi vestiti: Leah.

Alphonse si precipitò al suo fianco e la girò alzandole la testa.

“Ehi! Leah Svegliati!”

“Ngh...mh…” Gemendo debolmente, la ragazza aprì gli occhi lucidi.

“Alph..onse?” Leah era confusa e debole.

“Sono io, stai bene?”.

La aiutò a mettersi seduta e la giovane ragazza si portò una mano sulla testa.

“Cos’è successo… dove siamo?”.

“Eri collassata nella stiva della nave, siamo venuti in tuo soccorso e poi c’è stata un’esplosione di energia” Alphonse cercò di riassumere al meglio la situazione. “Non so altro, ho perso conoscenza e mi sono risvegliato qui. Onestamente pensavo di essere morto”.

Leah era molto debole e sembrava dolorante. C’era una ferita dietro la sua nuca, e il sangue aveva macchiato il suo grembiule. Appoggiandoci sopra una mano si ritrovò con del sangue sulla fasciatura delle mani. Alla vista del sangue Leah si indebolì ulteriormente...

“Sono stata una stupida” Disse lei stringendo i denti con un filo di voce “La mia stanza è stata saccheggiata, mi sono preoccupata del carico così sono scesa nella stiva…”.

Alphonse doveva fare qualcosa, doveva disinfettare la ferita in qualche modo. Si tolse la fascia rossa con lo stemma della Comunità dei Minatori d’Elite dal braccio e corse verso l’oceano immergendola nell’acqua salata. Poi tornò indietro e poggiò il panno dietro la nuca.

“Chi è stato?” Le chiese Alphonse con sguardo serio in volto “Chi ti ha attaccato?”.

“Non lo so…” Rispose Leah gemendo dal dolore “Non l’ho visto in faccia”.

Poi qualcosa si mosse dietro i cespugli. Alphonse si voltò di scatto e vide in piedi davanti a sé il Principe Harris. Era coperto di sabbia, con lo sguardo pallido e stravolto.

“Sua Altezza!”.

“Alphonse, Leah!” il ragazzo si avvicinò e si chinò vicino alla sua amica.

“Ha una brutta ferita dietro al collo!” Esclamò il giovane minatore.

“Ok ascoltami, ho visto una baita di legno a poca distanza da qui” Affermò Harris serio in volto “Dobbiamo portarla lì dentro e medicarla subito”.

Alphonse prese tra le braccia la ragazza e annuì “Faccia strada, io la seguo”.

Si addentrarono dunque nella foresta, senza allontanarsi troppo dalla costa. La vegetazione ovattava il suono delle onde e le ombre dava quasi l’impressione di essere in una parziale oscurità. Dopo un breve tragitto, sbucarono verso una piccola baia dove c’era una casetta di legno. 

Harris aprì la porta e lasciò entrare Alphonse. Dentro la baita non c’era niente se non un caminetto di legno spento e un letto logoro e vecchio. 

Tempestivamente la poggiarono sul materasso sporco, tamponando la ferita con il panno.

“La ferita per fortuna non è profonda” Disse il principe esaminando il collo da vicino “Alphonse, continua a tamponare la ferita, vado a procurarmi altre bende”

Il principe si strappò il mantello di pregiata fattura e corse all’esterno.

“Leah, riesci a sentirmi?”.

La ragazza sbatté gli occhi e annuì appena. Era pallida e sudava.

“Ora sei al sicuro, cerca di riposare”.

Fu quasi come un comando. Leah chiuse le palpebre e si lasciò andare al riposo. 

Intanto Harris tornò con altre bende umide, che usarono per fasciarle il collo.

Una volta finito, Harris si pulì il sudore dalla fronte e sorrise tirando un sospiro di sollievo.

“Ok, la ferita sembra essersi chiusa. Starà meglio, dobbiamo solo aspettare. Forse avrà bisogno di qualche punto di sutura, ma non posso farlo qui”.

Alphonse si alzò in piedi e decise di fare chiarezza sulla situazione.

“Sua Altezza, ha qualche idea su dove ci troviamo? Cosa è successo sulla nave? Dove sono tutti?”.

Harris si alzò dal cospetto di Leah e si portò una mano sul mento pensoso.

“Non lo so” Disse scuotendo il capo “Una cosa però è sicura, questa non è Windyield. A prima vista sembra una specie di isola deserta, ma già solo il fatto che esiste questa baita... mi fa pensare che non lo sia affatto. Per quanto riguarda i sopravvissuti, gli unici esseri viventi che ho visto siete voi due”.

In che modo erano riusciti a sopravvivere a quella esplosione? Come erano finiti su quell’isola illesi? Qualunque cosa fosse avvenuta sulla nave, non aveva causato danni o ferite. Leah era stata tramortita e ferita sulla Fraternity e dopo l’esplosione era nelle stesse condizioni di quando l’aveva trovata nella stiva.

“Se siamo illesi allora…” Alphonse pensò ad alta voce.

“Sì, lo penso anche io” Annuì convinto Harris “Non è escluso che in qualche modo siano tutti sopravvissuti. L’esplosione avrebbe dovuto ucciderci, invece siamo qui illesi”.

L’altro mistero era quella piccola abitazione. Sembrava essere abbandonata da parecchio tempo, visto la quantità di polvere presente al suo interno, tuttavia i materiali usati per costruire la struttura erano in ottime condizioni.

“Questa casa è certamente abbandonata, ma non logora” Disse Alphonse toccando le pareti “Di solito la pioggia e la neve danneggiano le strutture con il tempo, ma questa non sembra averne risentito”.

Harris passò il dito sul pavimento e si ritrovò con un mucchio di polvere in mano.

“A giudicare dalla polvere, è abbandonata da anni almeno”.

Tutto ciò era strano e bizzarro. Era come se per qualche ragione il tempo funzionasse in modo diverso su quell’isola. Alphonse si sentì improvvisamente alienato, era piuttosto facile percepire l’innaturalezza del vento che soffiava tra le foglie di quella misteriosa isola, ma non era semplice descriverlo a parole.

“Sono preoccupato per gli altri” Disse poi Harris passandosi una mano sul viso “Inoltre dovremmo procurarci del cibo, della legna e anche qualcosa da bere, soprattutto per Leah. Altrimenti dubito riusciremo a sopravvivere illesi alla notte”.

“D’accordo, vado in avanscoperta. Sua Altezza se non le dispiace resti al fianco di Leah, io tornerò appena possibile”

Alphonse si allacciò di nuovo il piccone che aveva poggiato momentaneamente sul muro, dietro la schiena

“Un momento Alphonse, sei sicuro di volerti addentrare la fuori da solo?” Il principe sembrava visibilmente preoccupato.

“Non si preoccupi, ho con me una bussola, inoltre suona strano ma sono molto bravo a orientarmi. Deformazione professionale immagino, visto che devo riuscire a non perdermi nei tunnel sotterranei della miniera di Stonefall” Gli sorrise cercando di rassicurarlo.

“Capisco” Harris annuì con fiducia “Sei un ragazzo in gamba Alphonse, ti aspetto qui allora”.

 

Era fondamentale agire in un certo modo quando ci si avventurava in una foresta come quella. Ogni dettaglio, ogni foglia calpestata era utile per ricordare il percorso fatto. 

Alphonse portava sempre con sé un coltello affilato per tagliare le corde durante il lavoro, e lo usò per intagliare dei segni sulla corteccia degli alberi per marchiare il suo percorso.

Mentre esplorava la mente di Alphonse elaborava un piano. Trovare del cibo nella foresta non sarebbe stato facile, tuttavia era perfettamente in grado di pescare e aveva numerose volte fatto delle sessioni di pesca nel grande lago di Stonefall.

La priorità però era trovare acqua, tuttavia si rivelò essere molto più complicato del normale. Gli alberi erano quasi tutti uguali, inoltre non sembrava esserci una fonte acquatica nelle vicinanze e ciò era preoccupante.

Non si fece però prendere dallo sconforto e decise di continuare ad avanzare.

Passò mezz’ora, Alphonse aveva camminato a lungo ma senza risultato finché a distanza sentì un rumore. 

Era il flusso costante di acqua proveniente da una piccola cascata. Alphonse corse verso il rumore con sguardo speranzoso e dopo un breve tragitto, giunse sul bordo di un piccolo laghetto dalle acque cristalline.

Subito bevette dalla riva e sorrise. L’acqua era potabile..

Poi avvenne tutto molto improvvisamente. Qualcuno sbucò dalla foresta ad una velocità così elevata che quasi non sembrava umano. 

Un ombra afferrò il braccio di Alphonse, che preso di sorpresa trasalì con un urlo ritrovandosi a faccia in giù sul terreno con un coltello dalla forma rombica alla gola.

“Chi sei?” Gli chiese minaccioso l’uomo. Alphonse aveva il viso puntato al suolo, non riusciva in nessun modo a vedere il volto del suo aggressore.

“Mi chiamo Alphonse Stonefall! La nostra nave è naufragata su quest’isola!” Esclamò spaventato.

“Alphonse dici? Il minatore?” Chiese lui senza togliere il coltello dalla gola.

“Sì! Sono io!”.

L’uomo allentò la presa e lo lasciò per terra. Alphonse di istinto si girò e lì lo vide, illuminato da un tiepido raggio di sole.

Era giovane dagli occhi a mandorla, i capelli neri e il volto aggraziato, vestito con un kimono azzurrino.

“Scusami” Disse poi riponendo quello che sembrava un Kunai “Non ero sicuro fossi uno di noi”.

Alphonse si alzò in piedi sospirando, si era preso un bello spavento.

“Hai un gran bel modo di introdurti alle persone, non c’è che dire” Gli disse, poi Alphonse guardandolo bene riconobbe alcuni dei tratti descritti da Leah. Era un uomo orientale, vestito in modo piuttosto inusuale, con delle tecniche di combattimento molto diverse da quelle di Alabathia.

“Un momento. Tu sei quel vigilante vero?” Gli chiese.

“Vigilante?” Si avvicinò ad Alphonse e allungò la sua mano per aiutarlo ad alzarsi “E’ così che mi chiamano? Il mio nome è Aoki Val Kurayami, per favore chiamami semplicemente Aoki”.

Alphonse si pulì lo sporco dalla divisa “Dicono che sei una specie di eroe e hai salvato la vita ad una persona che conosco”.

Lui però non sembrò essere interessato alla cosa. Sembrava un tipo molto sulle sue.

“Ho delle domande da farti” Aoki incrociò le braccia “Sei da solo?”.

“Non proprio. Leah e sua Maestà il principe però sono al sicuro” Alphonse indicò verso la direzione in cui era venuto “C’è una baita vicino alla spiaggia. Leah e il Principe sono lì”.

“Capisco” Aoki si portò una mano sul fianco e si girò verso Est. “Ho dato un’occhiata qui attorno arrampicandomi su un albero. A quanto pare c’è uno strano edificio da quella parte, forse riusciamo a trovare qualcuno lì” Aoki tornò a fissare Alphonse con uno sguardo profondo “Non mi sembri un tipo che sa combattere, quindi cerca di starmi dietro”.

Alphonse era preoccupato per il Principe Harris e Leah, avrebbe voluto semplicemente tornare indietro e avvertirli di aver trovato una fonte sicura d’acqua, ma l’idea di poter trovare altri sopravvissuti ebbe la meglio. Doveva proseguire, forse avrebbe avuto informazioni utili sulla loro bizzarra situazione.

“D’accordo, fai strada”.

 

A qualche isolato dal laghetto trovarono un misterioso edificio di modeste dimensioni a forma di Ziggurat, costruito su una zona piana, circondata da una fitta e ombrosa foresta.

Alphonse restò senza parole alla vista di quella architettura. Non aveva mai visto niente del genere in tutta la sua vita.

“Siamo sicuri di voler entrare?” Chiese Alphonse titubante “Potrebbero esserci delle trappole”.

“Se vuoi resta qui. Io sono abituato alle trappole…” Gli rispose Aoki, avanzando in modo molto sbrigativo estraendo di nuovo il suo strano coltello.

“Ok, ho capito… vengo anche io” Sospirò Alphonse, tuttavia prima che potesse fare un passo notò qualcosa che immediatamente attirò la sua attenzione. 

“Aoki, aspetta! Guarda lì!”.

La vegetazione si stava muovendo. Qualcuno stava arrivando dal lato Ovest della Foresta.. Alla fine la figura arrivò sulla piana e incrociò lo sguardo con loro. Una donna in armatura dai lunghi capelli rossi e scuri come il sangue.

“Anglia!” Alphonse corse verso di lei. Era calma e compassata come sempre, tuttavia c’era anche una forte preoccupazione accesa nei suoi occhi.

“Alphonse, e tu…” Disse con voce calma.

“Anglia stai bene?”.

Ma lei ignorò completamente la sua domanda “Dov’è il Principe?” Gli afferrò le spalle con una certa forza “Lo avete visto?”.

“Rilassati Anglia. Sua Altezza sta bene” Disse Alphonse tempestivamente e immediatamente lei lasciò la presa e si ricompose.

“Perdonatemi, ho perso la calma” Disse chiudendo gli occhi un po’ rattristata “Sono stata sgarbata, non vi ho chiesto nemmeno come state”.

Anglia non era molto brava a esprimere le sue emozioni e intenzioni. Essere il braccio destro del Principe primogenito, erede al trono del secondo Regno più grande di Ennealune, era un compito di una responsabilità inimmaginabile.

Il giuramento, l’allenamento, la psicologia costruita attorno alla figura del cavaliere protettore, aveva donato ad Anglia qualità di assoluta eccellenza, ma l’aveva oltremodo privata di comportamenti considerati “normali” nella società.

Quel che per Alphonse e altri era “normalità” per lei era l’esatto opposto.

“Ho segnato la strada con un coltello” Disse Alphonse indicando la foresta “Oltre la fonte d’acqua, seguila e arriverai alla baita dove riposa il principe. C’è anche Leah con lui”.

Anglia guardò Aoki. Lui immediatamente capì e annuì.

“Va’ qui ci penso io, terrò Alphonse al sicuro”.

Senza battere ciglio, il cavaliere scattò e si addentrò nella foresta.

“Bene, dove eravamo rimasti?” Aoki continuò verso l’ingresso di quel misterioso santuario e Alphonse lo seguì, seppur con un certo timore.

Fortunatamente il luogo sembrava spoglio di trappole, ma comunque entrambi esercitarono estrema cautela nel muoversi in quel posto.

All’interno della Ziggurat c’era una breve scalinata che portava sotto terra, oltre la soglia i due trovarono un largo e umido spazio completamente vuoto, illuminato da una serie di fessure sui lati del soffitto, dove la quale penetravano dei tiepidi raggi solari. Ogni passo, ogni piccolo rumore, provocava un forte eco che rimbombava all’interno di quella magnifica e misteriosa struttura ipogea.

Ma ammirare quel posto diventò immediatamente secondario, poiché al centro della caverna c’era qualcuno accasciato al suolo, la sagoma di Piper era illuminata da un raggio solare.

Alphonse scattò e arrivò immediatamente al suo cospetto, chinandosi e prendendola tra le braccia. Il suo corpo era caldo e per fortuna respirava, anche lei completamente illesa.

“Piper! Ehi Piper!”.

Fu necessario scrollarla giusto un po’ per farle riacquistare i sensi. La ragazza lentamente aprì gli occhi.

“Dove…?” DIsse con un filo di voce.

“Grazie al cielo stai bene…” Alphonse tirò un sospiro di sollievo.

Aoki ripose il Kunai e si guardò attorno. “Che razza di posto è questo? Sembra una tomba”.

Piper si alzò appena e indossò i suoi occhiali, mettendo a fuoco la sua vista. Quando vide quel luogo, diventò cinerea. Alphonse non aveva mai visto il volto di quella ragazza così turbato.

“Piper cosa c’è?”.

“Nulla…” La ragazza rifiutò l’aiuto di Alphonse e si alzò in piedi da sola scansandolo appena. “Dove sono gli altri? Non ditemi che siete solo voi due” Disse Piper agitata.

“No, il Principe e Leah stanno bene” Rispose Alphonse “Sono in una baita vicino al mare”.

“Una baita…” Piper si portò una mano sul viso “Una baita…” Ripeté..

L’uomo asiatico si avvicinò “Ehi, stai bene? Tieni bevi un po’ d’acqua”.

Le porse la sua borraccia e lei si servì subito senza fare storie.

Ci volle qualche minuto prima che Piper riuscisse di nuovo a stare in piedi. Il naufragio sembrava averla colpita psicologicamente molto più rispetto agli altri.

Intanto Aoki era andato in avanscoperta da solo. Si era addentrato nei nove corridoi che circondavano quella strana cripta.

“Hai trovato qualcosa?” Gli chiese Alphonse.

“Nulla” rispose lui “I corridoi sono vuoti, questa struttura ha una costruzione del tutto diversa da qualsiasi architettura che io abbia mai visto. Questi corridoi sono lunghi, irregolari e portano tutti a dei vicoli ciechi”.

“Quella luce abbagliante che ho visto nella stiva…” Disse Piper reggendosi la testa “Era il Silderium che brillava ricordo bene?”.

Alphonse annuì “Sì, era Silderium. Simon è piombato sul posto urlando di allontanarci perché stava per esplodere”.

“Sì così sembra, tuttavia…” Piper faceva fatica a parlare.

“Un momento, esplosione? Di cosa state parlando?” Aoki incrociò le braccia.

“Prima del naufragio, tu dov’eri?” Chiese Alphonse.

Aoki incrociò le braccia “Ero nella mia stanza, meditavo. Improvvisamente ho sentito un gran trambusto fuori, ma poco dopo essere uscito dalla mia cabina una luce ha inghiottito ogni cosa. Mi sono risvegliato a faccia in giù nella foresta poco tempo fa”.

Piper si alzò in piedi allarmata “La tua stanza era alla quarta sezione dico bene?”.

Aoki annuì “Esatto, mi hai condotta tu stessa lì”.

Improvvisamente la ragazza venne a corto di fiato. Si rese conto di qualcosa di molto importante.

“Non è stata un’esplosione” Disse Piper stringendo il libro sul suo petto “E’ stato un rilascio di energia magica”.

“Un momento, come sarebbe a dire?” Alphonse era confuso “Simon ha detto che stava per esplodere”.

“In quel momento era più semplice per lui dire così” Disse Piper seria “Doveva allontanare tutti quanti dalla stiva con poche spiegazioni, ma deve essersene accorto anche lui. Il Silderium non può esplodere, non è come una bomba. Tuttavia l’energia magica al suo interno può essere convertita e può manifestarsi in modo diverso a seconda di chi controlla quel processo. C’è solo una persona che può realizzare una cosa simile: un Mago.

Sia Alphonse che Aoki rimasero un secondo senza parole.

“Un Mago? Non dire assurdità” Affermò Aoki serio in volto “Non esiste un Mago da centinaia di anni ormai”.

Piper annuì “Ne sono consapevole, ma non c’è altra spiegazione. Nessuno può controllare così tanto Silderium tutto assieme. Nemmeno un Arcanista può farcela”.

“Quindi la nostra presenza qui, è dovuta ad una magia?!” Esclamò Alphonse.

“Sì non ho alcun dubbio a riguardo” Piper strinse il libro tra le braccia “Se solo Simon fosse qui, potremmo avere delle conferme più concrete, magari potrebbe aver notato qualcosa”.

Aoki scosse il capo sospirando “Non ci capisco niente di queste cose, ma a quanto pare abbiamo il nostro obiettivo. Dobbiamo trovare questo Simon”.

Alphonse stava per optare di radunare tutti i sopravvissuti in quel santuario, tuttavia qualcosa interruppe bruscamente i pensieri del ragazzo.

Piper si portò le mani sulla testa e scosse il capo violentemente “No, non può essere!”.

“Piper?”.

“Ngh, la mia testa! Che male!” La ragazza crollò sulle sue ginocchia stringendosi il capo..

“Piper! Cos’hai?!” Alphonse si chinò e le afferrò le spalle.

Qualcosa… qualcosa sta arrivando” Disse con il terrore dipinto in volto “Arriva!”.

Aoki percepì immediatamente che qualcosa non andava. Tirò fuori abilmente il kunai dal manico del Kimono e si mise in posizione di combattimento.

“Ha ragione, qualcosa non va” Affermò lui cupo in volto.

Alphonse teso come le corde di un'arpa si guardò attorno, incapace di percepire qualunque cosa. Ma poco dopo avvenne qualcosa di impensabile...

I presenti udirono un lieve sussurro, qualcosa di quasi di impercettibile che echeggiava nella testa dei tre presenti. La temperatura calò vertiginosamente e il vento iniziò ad ululare attraverso i perfetti corridoi di quel misterioso santuario.

La luce del giorno si ovattò e diventò tutto grigio.

Aoki guardò le fessure sul soffitto e subito si recò fuori. Alphonse fu riluttante a lasciare Piper da sola, ma qualunque forma di dolore l’avesse appena colpita, sembrava stesse lentamente decelerando.

“Torno subito” Le disse aiutandola a mettersi a sedere sulla scalinata, dopodiché salì fino all’esterno per vedere cosa stava succedendo.

Una intensa coltre nebbiosa aveva coperto ogni cosa, non si vedeva più niente, era come se l’intero mondo fosse stato inghiottito da una grigia e impenetrabile foschia.

“Ma che diavolo…” Alphonse rimase senza parole, fissando quello scenario con occhi scossi. 

Quella nebbia non era affatto normale, Alphonse quasi non riusciva a vedere le sue mani. Si sentì immediatamente disorientato e colto da una folle sensazione di terrore.

Aoki tirò fuori dalla tasca del suo kimono dei campanellini dorati. Fece un respiro profondo, poi suonò il campanellino una volta sola.

Alphonse non osò parlare, non sapeva cosa stava facendo, ma lo sguardo sereno e calmo di Aoki lo inquietava. Si chiese come faceva a restare impassibile davanti ad uno scenario simile?

“Torniamo dentro” Disse Aoki, facendolo tornare in sé “Saremo al sicuro dentro il santuario”.

Infatti, all’interno di quel luogo sotterraneo, ora molto più cupo e buio di prima, la nebbia non sembrava penetrare.

“Cosa sta succedendo!?” Esclamò Alphonse “Quella nebbia è innaturale!”.

“Con una nebbia simile, nessuno oserà muoversi” Affermò Aoki.

Immediatamente il pensiero di Alphonse andò verso Leah e il Principe, ma anche ad Anglia che si era già addentrata nella foresta. Non poteva già essere arrivata, neppure correndo. Con una nebbia simile, come avrebbe potuto fare?

“Cosa stavi facendo prima?” Gli chiese Alphonse, facendo allusione ai campanellini.

“Mi sono addestrato per più di un decennio nei monti nebbiosi di Kurayami. Grazie agli insegnamenti del mio maestro, so orientarmi molto bene nonostante la foschia. Riesco ad orientarmi facendo rumore con i campanelli. Il rumore attirerà l’attenzione di eventuali sopravvissuti, inoltre so muovermi molto più velocemente di chiunque altro”.

Alphonse aveva davanti a sé un mistero fatto persona. Così giovane, eppure così saggio e calmo. Non poteva non fidarsi di lui, ogni cosa uscita dalla sua bocca sembrava portare un enorme peso di esperienza.

“Resta qui con Piper” Gli disse infine “Prenditi cura di lei. Cercherò di fare in fretta e vi porterò del cibo e dell’acqua. Ma non aspettatevi un mio ritorno in brevi tempi. Cercate di resistere”.

Alphonse annuì “Conto su di te”.

Detto ciò, Aoki salì le scale e sparì oltre la foschia, mentre i suoi campanelli risuonavano nell’eterno grigio.

 

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Capitolo 5
*** Atto 1-5; (Nebbia) ***


Erano passate due ore da quando la nebbia aveva completamente avvolto l’isola.

Alphonse era in piedi, al centro di quel santuario, mentre apriva e chiudeva il suo orologio da taschino.

“E’ bizzarro vedere un minatore con un orologio così elegante” Disse Piper ancora piuttosto pallida in volto. Sembrava però aver recuperato un po’ di forze, abbastanza almeno da poter iniziare un discorso.

“Sì me ne rendo conto” Sorrise lui chiudendolo un’ultima volta per poi riporlo “Era di mia madre. Lo tengo sempre con me come portafortuna”.

Piper sembrò avere un'espressione distratta in volto, persa probabilmente in un pensiero non piacevole.

“Dov’è adesso?”.

Alphonse fece un grosso respiro, non era facile per lui parlare di sua madre 

“Morta, quando ero un bambino”.

Piper poggiò il libro sulle sue ginocchia

“Ho perso mia madre anche io” Disse a capo chino “Tuttavia per qualche motivo non ricordo bene il suo volto”.

“Eri molto piccola?”.

“Io e i miei genitori siamo rimasti coinvolti in un incidente” Raccontò con lo sguardo fisso verso i vaghi ricordi del suo passato “I dettagli dell’incidente non mi sono mai stati resi noti, e io ho perso la memoria da allora. Ricordo praticamente tutto della mia vita, ma l’incidente e le memorie che lo riguardano, assieme ai ricordi dei miei genitori, sono spariti nel nulla. Quando cerco di ricordare i loro volti, vedo solo forme opache. Secondo i medici è stato lo shock che ha isolato le mie memorie”.

Alphonse ricordò cosa aveva detto Leah sulla nave. C’era stato un periodo in cui Piper si era allontanata per anni, dedusse che la causa della separazione tra le due doveva per forza essere legata a quell’avvenimento.

“Non ti hanno detto nulla? Nemmeno dopo tutto questo tempo?”.

Piper scosse il capo “No. Non lo so perché, ma ogni dato relativo all’incidente è stato secretato e cancellato da ogni registro. Qualunque cosa sia successa è qualcosa che la famiglia reale vuole nascondere ad ogni costo.Tutto quello che mi è rimasto dei miei genitori è questo libro” Disse Piper poggiando le mani su di esso “Mi è stato consegnato quando ho ripreso conoscenza nei letti dell’infermeria. Lo uso principalmente solo per il mio lavoro però, non è un portafortuna o robe simili”.

Alphonse si mise seduto a fianco a lei, poggiando i polsi sulle ginocchia. Esitò prima di parlare, ma doveva rischiare.

“Prima quando hai ripreso conoscenza, mi è sembrato come se tu avessi riconosciuto questo luogo. Sei già stata qui?”.

Piper non rispose subito. Strinse i pugni sul libro e scosse il capo.

“Non lo ricordo” Disse lei con voce tesa “Per qualche strana ragione quando ho visto questo posto ho avuto una sensazione di Deja-vu, come se fossi già stata qui una volta, ma non so dire per esattezza se è davvero così”.

Alphonse ebbe un sospetto, ma nessuna prova a suo carico. Doveva continuare ad osare e scavare in un posto dove forse non avrebbe dovuto cercare.

“Possibile che questo posto sia legato all’incidente dei tuoi genitori? E magari tu eri qui quando è successo?”.

Delle immagini iniziarono a prendere forma nei ricordi della giovane archivista. Una forte emicrania la colpì e sudando si portò le mani sulle tempie. Alphonse si sentì un miserabile, sapeva bene che sarebbe successa una cosa simile, ma aveva deciso ugualmente di provarci. 

Piper tuttavia si calmò in fretta. Il suo respiro diventò regolare e togliendosi le mani dalla testa disse una sola cosa:

“Nulla. Ogni volta che tento di ricordare, tutto quello che vedo è una densa nebbia””.

Il giovane minatore si lasciò cadere seduto e sospirò, sollevato che Piper non avesse avuto un’altra crisi.

“Per ora cerca di riposare” Le disse con un sorriso “Non pensarci troppo”.

Ma lo stesso consiglio non lo applicò a se stesso. La nebbia di cui parlava, era la stessa che perseverava fuori?

Seguì poi un lungo periodo di silenzio. Né Piper, né Alphonse erano dei gran chiacchieroni, ma di nuovo fu lei a rompere il silenzio.

“Ho fame…” Sospirò con voce debole.

Alphonse sorrise “Lo hai ammesso stavolta”.

“Vero, hai ragione” Era stranamente docile, la Piper che aveva di fronte sembrava una persona completamente diversa da quella che aveva conosciuto.

“Sono sicuro che Aoki verrà a portarci del cibo” Disse fiducioso sorridendo.

“Sei ottimista. E se non verrà?”.

Alphonse scosse il capo “Non ho conferme ovviamente, ma non posso fare altro che credere in lui in questo momento. Non abbiamo altre opzioni…”.

Piper era veramente sorpresa dal suo comportamento.

“Come fai a sorridere in una situazione del genere? Siamo spiaggiati su un’isola deserta, senza cibo, senza una chance di soccorso. Per non parlare di quella strana nebbia che non accenna ad andare via…”.

“Proprio perché la situazione è disperata che cerco di sorridere” Alphonse si portò una mano sulla nuca “Non voglio portare negatività, dobbiamo avere fede”.

Piper sospirò “Per tua sfortuna io non sono credente. Non ho fede in nulla…”.

“Oh no, non parlo di fede religiosa” Si corresse scuotendo il capo “Parlo della fiducia nel prossimo. Quel tale Aoki, lui ha protetto Leah da un gruppo di brutti ceffi, è una persona che aiuta il prossimo. Non ci lascerà qui a marcire”.

Piper al sentir nominare Leah sembrò infastidita, ma quella espressione svanì subito dal suo volto. Non era il momento di tirare fuori vecchie ferite.

“Scusami” Si accorse dell’improvviso malumore di lei “Non volevo tirare fuori l’argomento”.

“Non fa niente” Rispose passiva “Non cambia nulla, non c’è giorno che non pensi a lei”.

Alphonse ebbe l’impressione che Piper volesse sfogarsi.

“Se vuoi parlarne, fai pure. Lei mi ha raccontato tutto, più o meno conosco la vostra storia”.

Piper aveva lo sguardo basso e le sue mani, di nuovo strette a pugno sul libro, iniziarono a tremare.

“Da quando mi sono risvegliata su quest’isola, sento come se quel vuoto che mi porto dentro volesse uscire fuori. Perché ho perso la memorie? Cosa mi è successo in quei tre anni di puro vuoto? La verità è che ho paura di ricordare cosa ha causato tale shock, ma per qualche ragione riesco ancora a ricordare che in quel vasto oblio, c’era il volto di Leah che mi rassicurava. Fino al giorno in cui mi sono risvegliata, lei era il mio solo ed unico pensiero”.

Gli occhi di Piper si riempirono di lacrime “Quando l’ho vista coperta di bende, con il corpo mutato, sapevo cosa aveva fatto. Leah aveva in programma di agire in quel modo da tanto tempo, ma sono stata io a fermarla. Sapevo che se avesse seguito quella strada, avrebbe incontrato un triste destino” Piper strinse i denti  “Non ricordo nemmeno il motivo che mi ha spinto ad andarmene. Ho abbandonato Leah, è lei che avrebbe tutto il diritto di odiarmi, quindi lo sto facendo io al suo posto. La tengo lontana da me, dalla fonte di tutte le sue sofferenze!”.

Alphonse poggiò la sua mano sulle sue, calmandola.

“Non è colpa tua” Disse lui con un sorriso rassicurante “Non l’avresti mai abbandonata, il motivo per cui sei partita era sicuramente di grande importanza. Leah mi ha detto che quando sei partita, le hai chiesto di avere fiducia. Lei sente di averti tradito, crede che tu la odi per quel motivo. Questa storia deve finire, perché continuare a soffrire così? Perché sopprimere i tuoi sentimenti in questo modo?”.

Piper aveva gli occhi tremanti.

“Fidati di me. Andrà tutto bene” Il ragazzo fece un grosso sorriso “La prossima volta che la vedrai, sii sincera con lei. Questo ciclo di dolore deve finire”:

Piper si tolse gli occhiali e si asciugò le lacrime con la manica della sua toga. “D’accordo… lo farò” Disse tirando su il naso e per la prima volta in assoluto, la ragazza gli fece un sorriso.

 

Purtroppo con il tempo, la situazione cominciò a diventare sempre più pesante da sopportare.

La nebbia era ancora onnipresente all’esterno, accompagnata da un’innaturale calma, tanto che sembrava quasi essere finiti in una dimensione alternativa.

Man mano che il tempo passava, la psiche dei due ragazzi si indeboliva sempre di più, sia per la fame, sia per quella insostenibile situazione.

Piper fu la prima a cedere. Cinerea in volto, iniziò a sudare a freddo e respirare faticosamente.

“Non ce la faccio più… mi sento soffocare” Disse lei con le lacrime agli occhi.

“Piper, cerca di calmarti…” Preoccupato, Alphonse cercò inutilmente di placare il suo tormento.

“Calmarmi? COME DIAVOLO FACCIO A CALMARMI!” Gridò allontanando la sua mano, scattando in piedi come una belva inferocita..

Ormai era chiaro che c’era qualcosa che non andava in lei, Alphonse se n’era accorto da un pezzo. Non era solo la mancanza di cibo a renderla così agitata, c’era qualcos’altro.

“Questo posto…” Disse Piper stringendosi i capelli “Perché sono qui? Perchè?!”.

“Piper…” Alphonse non sapeva cosa fare. Le parole non avrebbero aiutato e si rese conto di quanto fosse impotente davanti a quella situazione, che le speranze di uscirne fuori indenni era sempre più improbabile. 

Il dubbio si insinuò nel cuore del giovane minatore, erano stati abbandonati? Sarebbero morti di fame in quel posto?

Dopo quella fitta di rabbia repressa, Piper cadde in un apatico silenzio. Restò ad occhi aperti distesa sulla pietra, mentre fissava il vuoto.

Alphonse strinse i pugni, mentre era seduto su un gradino del santuario. Si sentì senza speranza, inutile, si chiese ripetutamente se ci potesse essere un modo per uscire da quella terribile situazione, ma cercare cibo o tornare al lago con quella nebbia sarebbe equivalso a perdersi, o peggio...

“Non voglio morire qui…” Si disse Alphonse alzandosi in piedi “Devo fare qualcosa, qualunque cosa”.

Nel suo corpo circolò di nuovo la determinazione, ma il problema restava: cosa avrebbe potuto fare?

Tornò all’esterno e fissò la nebbia. Gli bastò uscire dallo Ziggurat e fare un passo in avanti per rendersi conto che nella nebbia non riusciva a vedere neppure se stesso.

La determinazione di Alphonse durò molto poco, ben presto iniziò a sentirsi soffocare allo stesso modo di Piper. L’orrore di tale realtà agguantò il cuore del giovane ragazzo, facendolo respirare a fatica.

Voleva gridare a squarciagola, forse se urlava qualcuno lo avrebbe sentito.

Poi udì un rumore. Quel singolo movimento negli arbusti svegliò Alphonse da quella tremenda ipnosi.

Con gli occhi sgranati e il sudore freddo che colava dalla sua fronte, avanzò verso la fonte. Il rumore proveniva dalla foresta, sbiadita al di là della foschia.

“C’è qualcuno…?” Chiese con voce tesa.

Gli rispose solo il silenzio. Forse era solo un coniglio o qualche animale. Si mise in ginocchio e poggiò un orecchio sul terreno, cercando di concentrarsi. Sentì qualcosa provenire da Est, era appena percettibile ma sembravano dei passi. 

Si stava avvicinando…

Alphonse si alzò in piedi fissando verso la direzione dei passi, vedendo però solo la nebbia. Chi stava arrivando? Poi un fruscio di vento e infine un colpo violentissimo.

Alphonse crollò al suolo, perdendo i sensi. Alle sue spalle, ad aver assestato il colpo, c’era una figura vestita di bianco.

Impossibile distinguere il suo sesso, ogni cosa era coperta da un velo cinereo, che immediatamente si mimetizzò con la nebbia.

Alphonse con sguardo dolorante, restò tutto il tempo a terra, ignaro di ciò che sarebbe successo di lì a poco.

 

“...phonse!”.

Una voce ovattata perforò l’oscurità.

“Alphonse!”.

Con la testa dolorante e le orecchie fischianti, il giovane minatore riaprì gli occhi. A soccorrerlo era stato il Principe Harris.

“Alphonse stai bene?”.

“S-Sì” Confuso sul motivo per cui si sentiva uno straccio e per la quale era sdraiato al suolo, Alphonse si guardò attorno. Leah era chinata al suo fianco, mentre gli reggeva il capo e si assicurava che non ci fossero ferite. 

La ragazza era stranamente in forma, eppure aveva subito una brutta ferita al collo, come faceva ad essere di già così piena di energie?

“Cosa è successo?” Si chiese Alphonse alzandosi con i gomiti.

“Ti abbiamo ritrovato al suolo, ci siamo preoccupati!” Esclamò Leah.

Poi fu immediatamente lampante che qualcosa era fuori posto: la nebbia era sparita.

“La nebbia…” Alphonse era ancora più confuso di prima.

“Sì, la nebbia si è dissipata poco fa” Disse Harris cupo in volto “Un fenomeno decisamente bizzarro, non ho mai visto niente del genere in vita mia”.

Alphonse si portò la mano sulla nuca, non era ferito ma gli faceva un gran male.

“Qualcuno mi ha tramortito…” Disse dolorante.

“Ce la fai ad alzarti?” Chiese Harris.

Afferrando la mano del principe, Alphonse si rimise in piedi togliendosi di dosso il terriccio e le foglie secche. Gli girava un po’ la testa, ma tutto sommato stava bene.

“Che posto è questo?” Leah guardò la Ziggurat con occhi sorpresi.

Fu proprio quando gli occhi di Alphonesi posarono sulla misteriosa struttura, che realizzò un pensiero che lo riempì d’angoscia.

“Oh no, Piper!”

Alphonse non sapeva quanto tempo fosse rimasto privo di sensi, era strano che la ragazza non fosse uscita per controllare perché ci stava mettendo così tanto a tornare. Con il cuore in gola e preoccupato, corse verso l’ingresso.

“Alphonse! Aspetta!” Esclamò Harris, seguendolo assieme a Leah.

Una volta all’ingresso, scesero le scale verso il sotterraneo e come temeva, di Piper non c’era traccia alcuna.

Alphonse si guardò attorno con lo sguardo teso sul volto “Dov’è finita?”.

“Un momento Alphonse” Harris intervenne “Piper era qui con te? Cosa le è successo?”.

“Era distesa lì” Indicò il grosso scalino “Era in pessime condizioni. Ha iniziato a urlare e dare di matto, poi sono uscito fuori nel disperato tentativo di trovare  qualche sopravvissuto, e poco dopo sono stato tramortito”.

Leah indicò i corridoi “Forse si è rifugiata in questi corridoi”.

“Ok, dividiamoci, cerchiamola… non può essere andata da nessuna parte con quella nebbia” Affermò convinto Harris.

E così fecero. Leah andò nei corridoi a sinistra, il Principe a quelli destra, e Alphonse quelli adiacenti alla scalinata, chiamandola a gran voce. Purtroppo però non ci fu risposta, nonostante le loro voci echeggiavano con una certa potenza all’interno del santuario.

La luce che penetrava dal soffitto aveva di nuovo illuminato il sotterraneo, quindi era possibile muoversi in modo sicuro, tuttavia mentre Alphonse sii addentrava nel corridoio, notò che la visibilità man mano diminuiva.

Più avanzava, più si trovava in una zona d’ombra in cui era sempre più difficile vedere.

Alphonse era abbastanza abituato ai luoghi bui per via delle miniere, per cui aveva abituato i suoi occhi all’oscurità e gli bastò quel poco di luce per riuscire a proseguire.

Mentre avanzava però, un tremendo olezzo colpì lo stomaco del giovane minatore. C’era una puzza dolciastra, ferrifera, talmente forte da fargli venire la nausea.

Proveniva dal muro a fianco a quel corridoio, che conduceva ad un vicolo cielo. 

Alphonse proseguì in quella direzione e davanti a sé, vide una scena che sembrava essere uscita dalle viscere dell’inferno.

Con orrore, Alphonse urlò sgranando gli occhi e cadendo a terra per un capogiro dovuto dallo shock.

Al sentirlo urlare, Harris e Leah accorsero tempestivamente sul posto.

“Alphonse! Che succ…” Ma non appena gli occhi del principe e quelli di Leah si posarono su ciò che il giovane minatore osservava con orrore, rimasero pietrificati sul posto con gli occhi colmi di raccapriccio.

I resti di Piper erano all’angolo del vicolo cieco. C’era sangue ovunque, i suoi arti erano stati fatti a pezzi e la sua testa decapitata. Si poteva chiaramente vedere il suo sguardo vuoto, e gli occhi socchiusi senza vita della giovane ragazza, chiaro segno che aveva subito la mutilazione senza battere ciglio.

Quella scena lì ghiacciò tutti sul posto, Leah era diventata cinerea con le mani tremanti sulla bocca e le lacrime agli occhi, Harris si avvicinò titubante verso la scena, come per appurarsi che ciò che stava vedendo fosse reale. Nessuno di loro riusciva a credere a ciò che stavano vedendo.. 

Chi mai poteva essere stato a fare una cosa così orrenda?

Harris si portò una mano sulla bocca e fu colto da un conato di vomito. Tossì e sputò bile per il disgusto, ma questo gli diede la forza di reagire in qualche modo.

“Presto, togliamoci di qui…” Disse con voce rauca “Dobbiamo avvertire gli altri al più presto”.

Quel che seguì dopo, furono momenti di disperata confusione, il trauma subito pulsava come un secondo cuore nei loro petti e per ogni battito il dolore era sempre più acuto. Era come essere piombati in un orribile incubo di cui nessuno si sarebbe mai più svegliato.

 

Nel santuario sotterraneo si udivano solo i singhiozzi di Leah, che si reggeva il viso con le mani, seduta sui gradini dell’ingresso.

Alphonse aveva uno sguardo spento, mentre Harris restò anch’egli in religioso silenzio.

Poco dopo il ritrovamento del corpo mutilato di Piper, tutti i restanti sopravvissuti erano riusciti ad arrivare al santuario, anche grazie al fatto che la nebbia era sparita.

Alphonse vide un volto nuovo tra di loro: un ragazzo giovane, dai capelli castani disordinati, vestito con una vestaglia grigia, avvolta da una specie di mantello viola che fungeva anche da sciarpa. Aveva un’aria abbattuta, con il viso poggiato sui palmi delle mani.

“Non ci credo che sia successo tutto questo” Disse lui sospirando malinconico.

“Già… nemmeno io riesco a crederci” Orin si portò una mano sul volto scuotendo il capo.

Anglia, che restò al fianco del suo principe, aveva uno sguardo vigile e tetro in volto. Tutti avevano i nervi a fior di pelle.

Alphonse poi sentì dei passi.

Aoki e Simon arrivarono dal corridoio in cui Piper era stata uccisa. Nessuno dei due aveva un bell’aspetto, soprattutto Simon che mal sopportava la vista del sangue. Era pallido e si teneva una bocca sulla mano, sia dal disgusto, sia dal dolore. Simon conosceva bene Piper, erano colleghi e lui la stimava molto, era dunque molto provato dalla sua orribile morte.

Simon cercò di calmarsi e fece un grosso sospiro scuotendo il capo. "E' terribile. Piper…” Disse addolorato.

“Simon, hai scoperto qualcosa?” Chiese il principe speranzoso, rivolgendosi allo scolaro.

“In un certo senso sì” Rispose annuendo.

Tutti posarono lo sguardo su di lui, mentre Simon portò la mano sul mento intento a scegliere bene le parole da usare per descrivere meglio la situazione.

“Non sono riuscito ad avvicinarmi al corpo, ma Aoki ha notato che c’è una strana ferita da taglio sulla sua nuca, il che è abbastanza innaturale visto che il suo corpo è stato mutilato con violenza”.

“Quindi potrebbe essere stata attaccata alle spalle, pugnalata magari” Disse Orin, incrociando le sue grosse braccia muscolose.

Nessuno sapeva cosa dire, era tutto troppo terribile da accettare.

“Non è tutto” Simon mostrò uno sguardo cupo in volto “il Rigor Mortis non sembra ancora essersi presentato, quindi è morta meno di tre ore fa”.

“Meno di tre ore…” Harris ci pensò su “Quindi la sua morte potrebbe essere anche molto recente”.

Simon annuì “Il suo corpo è ancora parzialmente caldo e il sangue è ancora fresco, quindi sì. Ho esaminato anche eventuali tracce arcane, ma non ce ne sono. Nel delitto non sono state usate tecnologie o strumenti arcani”.

Alphonse iniziò a percepire nell’aria una sensazione piuttosto spiacevole. Seguendo i fatti, Piper era stata uccisa recentemente, colpita da una pugnalata alla nuca e nessuno oltre a lui era presente nel Santuario prima dell’arrivo di tutti.

Aoki posò lo sguardo sul minatore “Direi che il sospetto numero uno sia tu”.

Tutto il gruppo ora aveva gli occhi puntati su di lui. Alcuni di loro erano sconvolti, altri increduli, altri indifferenti.

“Hai qualcosa da dire?” Incalzò il vigilante dell’Est con una innaturale calma.

“Un momento! Io sono stato tramortito, qualcuno è arrivato qui durante la nebbia e mi ha aggredito. Prima di ciò, Piper era ancora viva qui dentro!”.

Harris intervenne in sua difesa “Dice il vero, lo abbiamo trovato privo di sensi”.

“Ok, questo posso anche accettarlo” Annuì Aoki “Ma prima di trovarlo, avete visto Piper? O avete scoperto il corpo subito dopo? Perché in tal caso è possibile che Alphonse avesse già ucciso Piper, e poi abbia finto di essere stato tramortito”.

Alphonse scattò in piedi allarmato, aveva il cuore in gola dall’agitazione.

“No! Io non ho ucciso Piper! Non avrei motivo di fare una cosa così orribile!”.

“Ok, adesso basta” Orin proruppe nel discorso con una certa veemenza “Quel ragazzo è mio nipote, lo conosco meglio di tutti quanti voi. Non sarebbe mai in grado di compiere un gesto simile, è assurdo".

Tuttavia Aoki affrontò il suo contro argomento con altrettanta insistenza.

“Lo dici solo perché sei emotivamente coinvolto. Vuoi difenderlo giusto? Proprio perché fa parte della tua famiglia”.

Orin diventò livido. “Questo non c’entra nulla! Guardatelo bene! Ha per caso una singola goccia di sangue addosso? Dopo che hai mutilato qualcuno, pensi davvero che ne esci pulito? E non mi pare ci siano vestiti di ricambio qui”.

Gli animi si fecero caldi, la tensione era alle stelle. Si poteva sentire l’ostilità nell’aria, che lentamente frantumava la loro fiducia nel prossimo. 

Alphonse rimase a capo chino con i pugni stretti. L'atroce morte di Piper aveva mandato l’intero gruppo allo sbaraglio, ma anche lui era una vittima delle circostanze. Come poteva dimostrare a tutti che non era l’assassino? Fu in quel momento che un orribile pensiero si materializzò nella sua testa, qualcosa di basilare ma che aveva fallito nel notare, ovvero che non era da escludere la possibilità che uno di loro fosse il vero assassino.

“Mio Lord, se posso…” Anglia prese parola. Harris si voltò verso di lei e annuì. “E’ innegabile che Miss Brooks sia stata assassinata. In vista di questo evento è mio compito assicurarmi che non vi venga fatto del male né a voi, né a nessun altro dei presenti”.

“E cosa suggerisci di fare?” Le chiese il principe.

La donna posò dunque lo sguardo su Alphonse, aveva gli occhi glaciali.

“Per il momento, finché non avremo altre informazioni, il sospettato deve essere isolato e tenuto sotto controllo”.

Alphonse ebbe la conferma definitiva che un buon numero di persone sospettavano di lui. Leah non aveva detto una parola, era rimasta in silenzio tutto il tempo, con lo sguardo spento fissò ai suoi piedi. 

Orin obiettò alla proposta di Anglia, altri invece sembravano concordare. Gli unici a non sembrare convinti furono il principe e l’uomo con il mandolino dietro la schiena.

“Anglia, apprezzo la tua opinione” Disse il Principe scuotendo il capo “Ma siamo davvero certi che tenere Alphonse isolato risolva le cose? Forse questo è ciò che l’assassino vuole non credi?”.

“Ne sono consapevole” Anglia annuì “Tuttavia, non è saggio lasciarlo vagare liberamente”.

“E’ un’assurdità!” Gridò Orin inferocito “Alphonse non farebbe mai niente del genere! Aprite gli occhi!”.

“Alphonse…” Harris si rivolse a lui. “Hai qualcosa da dire?”.

Il ragazzo prima teso, ora lasciò la presa dei suoi pugni.

Cos’altro poteva fare? Non aveva modo di cambiare le cose, non aveva prove. Magari c’erano, ma non riusciva a trovarle o capirle. Per cui si chiese nuovamente: cos’altro poteva fare? Era solo un minatore, tutto ciò che sapeva fare era scavare roccia preziosa, tutto ciò che voleva era tornare a casa e continuare la sua routine. 

Tutto ciò che Alphonse realmente desiderava, era una vita tranquilla. Non aveva chiesto lui di essere scelto per quel compito, non doveva neppure essere lì. E ora era morta una persona e non c’erano concrete speranze di fuggire da quella dannata isola.

Alphonse perse la forza di reagire. Tutte le sue debolezze, tutte le sue paure, tutto il suo tormento vennero fuori in quel momento.

“Se volete isolarmi fate pure” Disse con lo sguardo rivolto a terra.

“Alphonse!” Orin fu profondamente contrariato.

“Mi rendo perfettamente conto che sono il più sospetto, anche se continuerò a dire che sono innocente, non ho le prove per dimostrarlo” Mentre parlava ricordò quell’unico indelebile e recentissimo ricordo del sorriso di Piper “Così come mi rendo conto di non avere argomenti a sostegno della mia innocenza. E’ solo naturale che sospettiate di me. Quindi va bene così” Concluse placidamente.

Seguì il silenzio. Nessuno osò dire nulla, finché…

“Heheh…” Una risata amara provenne dal tipo con il mandolino “Patetico. Semplicemente patetico” Disse scuotendo il capo indignato “Quindi hai intenzione di arrenderti così? Se è così che vivi la tua vita, allora devi proprio essere un miserabile”.

Alphonse sentì il cuore gelarsi. Cos’era quella sensazione così spiacevole? Era rabbia? No, non c’era motivo di essere arrabbiati, perché aveva ragione. Ma era doloroso sentirselo dire, era doloroso essere tornato a pensare allo stesso modo di come pensava da bambino.

“Ascoltatemi…” Il tipo strambo saltò giù dallo scalino e atterrò per terra. “Riconosco le mie umili origini e so di non essere un gran cervellone, ma seriamente ce lo avete un cervello per pensare?” Si puntò il dito alla tempia “Qualcuno di noi ha ucciso Piper? Che assurdità. Guardate quel pesce lesso di un minatore, pensate davvero che è in grado di fare a pezzi il corpo di una donna, perché invece non consideriamo qualcos’altro? Per esempio: forse nessuno di noi è l’assassino. Forse quest’isola è abitata e i suoi abitanti hanno tolto di mezzo Piper”.

L’intervento improvviso di quell’uomo aveva lasciato un po’ tutti senza parole.

“Guardatevi attorno” Continuò lui gesticolando appena “Pensate davvero che questo posto sia deserto? Questo edificio, questa caverna, sono state indubbiamente costruite dalla mano dell’uomo, inoltre mi pare di aver capito che c’è una piccola baita sul bordo dell'oceano, dico bene?”.

Harris annuì “Sì, io e Leah, così come Alphonse, possiamo testimoniare a riguardo”.

“E allora non è del tutto escluso che quest’isola non sia abitata. Questo spiegherebbe anche come l’assassino si sia mosso nella nebbia. Forse gli abitanti di quest’isola sono così abituati che sanno muoversi attraverso quella foschia”.

Di nuovo silenzio. Nessuno disse nulla e il bardo sorrise appena allargando le braccia, proprio perché nessuno riusciva a negare quell’ipotesi.

“Ecco qua, e a quanto a te” Si rivolse ad Alphonse “Non so nemmeno chi tu sia, ma ti prego di non gettare la spugna così facilmente”.

Il giovane minatore alzò la testa, sorpreso dalle parole di quel menestrello. Ritrovò la forza di reagire in esse. La morte di Piper lo aveva atterrito, ma non era l’unico in quella stanza ad essere spaventato e confuso. 

“Ti ringrazio, hai perfettamente ragione” Gli sorrise.

Il Bardo, in tutta risposta, gli alzò il pollice contraccambiando il sorriso.

Alphonse per il momento sembrò essere stato scagionato. Ma nonostante le parole del menestrello, la maggior parte del gruppo era ancora incerto e sospettoso nei suoi riguardi.

Chi aveva assassinato in modo così brutale Piper? Perché fare a pezzi il suo corpo?

Il solo pensiero di avere le risposte a quelle domande, provocò in Alphonse un terrore che non si sarebbe mai aspettato di provare in tutta la sua vita.


 

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Capitolo 6
*** Atto 1-6; (Sospetto) ***


Ora che la situazione sembrava più calma, l’intero gruppo decise di confermare l’alibi di ciascun presente. Fu anche un modo efficace per tutti di fare il punto della situazione.

L’anello più debole del gruppo era senz’altro Alphonse, per il semplice fatto che era l’unico ad aver passato un tempo prolungato in compagnia di Piper. Nessuno di loro aveva i mezzi o le prove per incriminarlo in modo assoluto, ma era senz’altro la persona più sospetta agli occhi di alcuni.

Il primo a testimoniare fu Aoki, e ciò che rivelò fu molto preoccupante.

“Poco dopo aver lasciato Alphonse e Piper nel Santuario, ho fatto ingresso nella vegetazione per cercare altri sopravvissuti, ma ho finito per vagare senza meta e volontà” Spiegò lui portandosi una mano sul lato della testa “Nel momento in cui sono entrato nella nebbia è stato come vivere un sogno ad occhi aperti, semplicemente non ero me stesso, ho perso la via e nonostante io sia addestrato a vagare nelle intense nebbie del monte Kurayami, questa volta è stato diverso”.

A confermare la storia di Aoki, fu Anglia.

“E’ successa la stessa cosa anche a me” Spiegò lei “Poco dopo aver incontrato Alphonse e Aoki, mi sono immediatamente diretta verso la baita dove si trovava Sua Maestà. Poco dopo però, mentre avanzavo nella foresta, la nebbia mi ha avvolta. Ricordo molto poco cos’è successo in seguito. L’unica cosa che ricordo con chiarezza è una sensazione di smarrimento, camminavo senza meta e giravo attorno allo stesso punto senza nemmeno chiedermi perché lo facessi”.

Harris incrociò le braccia cupo in volto. Anche lui come tutti gli altri era rimasto nella nebbia.

“Io ho vegliato sul sonno di Leah. Era rimasta ferita, quindi mi sono occupato di lei in attesa del ritorno di Alphonse che era andato a cercare dell’acqua. Poi all’improvviso penso di essermi addormentato. Non so dire se è stata la nebbia o se semplicemente ero stremato per il naufragio, i miei ricordi sono nebulosi a riguardo”.

Fu poi il turno di Simon, che portandosi una mano sul mento iniziò a spiegare.

“Io ho ripreso i sensi simultaneamente a Sir Armstrong. Non abbiamo visto nessuna nebbia, il che significa che con molta probabilità siamo rimasti privi di sensi fino al momento in cui si è ritirata. tuttavia il luogo in cui ci siamo risvegliati è decisamente peculiare”.

Tutto il gruppo sembrò interessato alla cosa. Orin sospirò e si grattò la nuca ancora molto confuso riguardo a tutto ciò che era successo.

“Sì l’arcanista dice il vero. Ci siamo risvegliati a fianco ad un pezzo della Fraternity in mezzo alla foresta. Non so come diavolo sia possibile che sia finito lì. La buona notizia è che sembrano esserci delle casse illese utili per la sopravvivenza. Parlo di cibo, coperte e acqua. Sarebbe saggio andare a recuperarle prima che faccia buio.”

L'ultimo a dare conferma della natura misteriosa della nebbia fu l’enigmatico menestrello, di cui ancora non si sapeva il nome.

“Proprio come hanno detto gli altri, anche io ho vagato nella nebbia. Non ho ricordi, non so neppure cosa diavolo stavo facendo” Disse scrollando le spalle.

Una cosa era certa, attraversare la nebbia portava ad una deprivazione sensoriale, seguita da amnesia e confusione. L’unico luogo che sembrava far mantenere lucidità alle persone, nonostante la nebbia, era quel Santuario.

Questo frangente purtroppo non fece che avvalorare l’ipotesi che Alphonse potesse essere l’assassino. Tuttavia, anche lui si era addentrato nella nebbia e qualcuno lo aveva tramortito.

Alcuni fecero fatica a credere alle sue parole, ma nello stesso tempo non era escluso che l’isola potesse essere abitata da altre persone, vista la presenza di due edifici chiaramente artificiali.

In breve, non c’erano abbastanza elementi per avanzare un’accusa definitiva. Ma parte del gruppo rimaneva cauto e pronto ad agire nel caso Alphonse mostrasse dubbie intenzioni.

 

Il tempo passò. Il Sole stava iniziando a tramontare. 

Nessuno di loro aveva mai avuto una giornata tanto lunga e pesante in vita loro. Era come se il flusso temporale avanzasse più lento e pesante.

La morte di Piper aveva sconvolto gli animi di tutti. C’era un’atmosfera turbolenta nell’aria, nessuno parlava, ma purtroppo i loro corpi reclamavano cibo e riposo.

“Ehi Alphonse” Orin si avvicinò al nipote facendogli un sorriso “Ti va di venire con me? Devo prendere delle casse dal relitto e portarle qui. Ci serve cibo, acqua e altro…”.

Il ragazzo annuì, l’idea di rendersi utile lo fece subito sentire meglio. Non voleva restare in quella grotta un secondo di più, sgranchirsi le gambe era decisamente quello che voleva. Inoltre voleva vedere con i suoi occhi quel fantomatico Relitto.

“Qualcun’altro vuole venire?” Orin si rivolse al gruppo.

“Vengo io” Simon si propose aggiustandosi gli occhiali “Voglio controllare di nuovo quel Relitto”.

Orin incrociò le braccia dubbioso “Non sei un po’ troppo mingherlino per sollevare casse di quella portata?”.

“Oh no, a quelle pensateci voi. Ma è imperativo che io venga con voi, a meno che non vi interessa avere qualche possibile indizio su cosa ha portato un pezzo della nave così lontano dalla spiaggia, senza contare la possibilità che io possa scoprire nuove informazioni sul naufragio o sulla natura di questo luogo. Inoltre...”.

“Ok! Ok…” Orin portò le mani avanti esasperato interrompendolo “Non c’è bisogno che tiri giù un poema, vieni con noi e basta”.

I tre partirono dunque per il fantomatico relitto, sotto il cielo tinto di un opaco arancione.

Mentre attraversavano la vegetazione, Alphonse notò che non si sentiva un suono, né dei grilli, né di nessun tipo di uccello o animale. Trovò la cosa tremendamente innaturale, ma decise di non sollevare la questione.

“Prendiamo lo stretto necessario, poi torniamo al santuario” Disse Orin mentre camminava tra la vegetazione “Prenderemo il resto un’altra volta”.

“Ci servirà del fuoco” Aggiunse poi Alphonse “Inizia a fare freddo qui”.

“Per il fuoco non c’è problema” Intervenne Simon, scansando un ramo di un albero “Userò un po’ di energia arcana per accendere dei fuochi, riusciremo a riscaldarci per la notte”.

Dopo qualche isolato spuntarono le prime stranezze. Enormi detriti di legno avevano abbattuto alcuni alberi e più avanzavano più la magnitudo del danno aumentava. 

“Ci siamo quasi” Disse Simon con una certa pesantezza nelle parole.

Alla fine si ritrovarono davanti alla causa di tanto scompiglio: c’era un gigantesco e inconfondibile pezzo di nave che aveva demolito tutta la vegetazione nei paraggi. Sulla parete della nave c’era scritto “Fraternity”.

“Ma che diavolo…” Alphonse non credeva ai suoi occhi.

“Che roba eh?” Sospirò Orin mettendosi le mani sui fianchi “Il fatto che parte della nostra nave sia finita così lontana dalla spiaggia è onestamente qualcosa di talmente assurdo che lo trovo quasi privo di senso, se non fosse che ce l'ho davanti a me”.

Simon si guardò attorno con attenzione, tastando il terreno e concentrandosi a lungo.

“Che starà facendo?” Chiese Alphonse a suo Zio.

Orin fece spallucce “E chi lo capisce quello. Questi arcanisti hanno tutte le rotelle fuori posto, te lo dico io”.

Simon li aveva ovviamente sentiti e sospirò, ignorando la loro ingenua stupidità.

“Sembra esserci una piccola traccia magica, ma molto molto lieve” Disse aggiustandosi la base degli occhiali. Alphonse pensò che verosimilmente si trattasse di qualche rimasuglio dell’esplosione del Silderium, ma Simon non si espresse a riguardo.

Stava facendo buio, quindi dovevano muoversi. Salirono a bordo del relitto e raggiunsero la stiva: il luogo dove tutto aveva avuto inizio. Quel posto, così come l’intera nave, era stato completamente distrutto. Le spesse lastre di legno e metallo erano state tranciate di netto, come se metà della struttura fosse stata divorata da un gigantesco mostro marino. Molte casse erano precipitate verso il basso, poiché nonostante la stiva si trovasse nel livello più inferiore della nave, la sola base sottostante era sufficiente ad eguagliare un edificio di tre piani.

Nonostante lo stato di quel luogo fosse pietoso e le casse fossero tutte sparse qua e là, ogni altra cosa era rimasta lo stessa. C’erano ancora le macchie di sangue lì dove erano state trovate le guardie senza vita prima dell’esplosione. L’intera stiva, nonché l'intero relitto, non sembrava affatto essere stata coinvolta dalle maree degli oceani.

“E come se fosse caduto dal cielo…” Disse Alphonse scosso. “Non c’è traccia di acqua, né di altro”.

Orin indicò poi le casse, erano piuttosto grandi e rettangolari ed erano fatte di legno rinforzato. Alcune di loro avevano il simbolo dell’ Unità marchiato su di essi.

“Qui ci sono coperte, cibo e acqua a sufficienza. Io prendo l’acqua che è quella più pesante, al resto pensateci tu Alphonse”.

“Un momento…” Simon però li fermò. “La traccia qui è più intensa”.

“Beh, qui è avvenuta l’esplosione, forse è normale?” Alphonse si grattò la nuca pensoso.

“No non può essere il Siderium” Spiegò Simon incrociando le braccia “L’energia all’interno della roccia non lascia tracce, a differenza di una magia o altro che possa causare una conversione magica come l’arcanismo. Qui dentro c’è qualcosa che esula dall’esplosione del Silderium”.

Simon seguì attentamente la traccia, spostando rottami, pezzi di legno, casse rotte e altro che si parava dinnanzi a lui, finché non vide qualcosa che attirò la sua attenzione, sepolta sotto una parete di detriti.

“Bene bene, guarda un po’ cosa abbiamo qui”.

Alphonse e Orin si avvicinarono e lì i due videro qualcosa di molto bizzarro e singolare.

C’era una specie di enorme sarcofago rettangolare, costruito con del legno lucido pregiato ornato con delle finiture dorate. Era rigidamente chiuso con un meccanismo decisamente atipico.

“Un momento, ricordo questa cassa” Disse Alphonse, incapace di dargli un nome diverso “Quando abbiamo ritrovato Leah, il suo corpo privo di sensi era appena vicino ad esso”.

Simon si chinò e osservò da vicino ogni aspetto e dettaglio del misterioso sarcofago.

“Non c’è dubbio” Disse infine serio in volto “Questo sarcofago è chiuso con un incanto arcano avanzato”.

“Non puoi che ne so, fare uno dei tuoi trucchi e aprirlo?” Disse Orin facendo un vago gesto.

Simon sogghignò “Beh, con i giusti strumenti sarebbe facile. Li avrei pure, ma il problema è che non possiedo abbastanza energia arcana per ricaricare tali strumenti”.

Il leggendario fabbro fece un grosso sospiro “Quindi che si fa? Lo spacco a pugni?” Si scrocchiò le nocche.

“Nemmeno con la tua forza riusciresti a romperlo” Disse Simon disgustato dall’approccio poco ortodosso dell’uomo “E’ ben protetto da uno scudo. Ora come ora è impossibile aprirlo”.

Alphonse si chiese cosa potesse esserci al suo interno, come era finito nella stiva della Fraternity? Un pensiero gli balenò in testa, dopotutto era pur sempre il rappresentante della spedizione.

“Forse Sua Altezza ne sa qualcosa”.

Simon annuì “Probabile, dobbiamo chiederglielo di persona. Tuttavia…”.

“Tuttavia?” Orin cercò di farlo parlare, ma lui scosse il capo.

“Niente, dicevo che sarebbe meglio farlo il prima possibile”.

Orin allargò le braccia e le fece cadere sui suoi fianchi “Vedi? Manco finiscono le frasi questi qui, te lo dicevo io che erano tutti scemi” Disse rivolgendo il suo sguardo esasperato verso il nipote. “Ma dico io...” Borbottando sollevò la prima cassa.

Alphonse sorrise, suo Zio non era cambiato di una virgola e la cosa lo mise a suo agio.

Simon tuttavia sembrava turbato da qualcosa e qualunque cosa fosse decise che era meglio non parlarne.

 

Fecero giusto in tempo a tornare prima che facesse buio. Simon aveva già acceso diversi bracieri all’interno del santuario, portando luce nei vari corridoi e al centro.

“Così dovrebbe bastare" disse l’arcanista, mentre terminò di bruciare con il fuoco magico l’ultimo braciere.

Orin poggiò le casse per terra e distribuì cibo e acqua a tutti. Ma nel farlo, si rese conto che le provviste non erano poi così tante. Restare su quell’isola a lungo avrebbe inevitabilmente richiesto delle misure per procurarsi del cibo sul posto. Tuttavia, Orin ebbe l’impressione che cercare cibo sarebbe stato più complicato del solito, soprattutto quando l’isola in questione adorava coprirsi di una misteriosa nebbia allucinogena.

“Un sarcofago dici?” Intanto Simon stava parlando con Harris. Il principe sembrava assorto in un profondo pensiero “Piper mi ha accuratamente elencato tutti i rapporti legati alle merci imbarcate sulla Fraternity prima che lasciassimo il porto. Nei suoi tabulati non c’era nulla che riguardasse un sarcofago”.

“Capisco” Simon incrociò le braccia, anch’egli perso nei suoi ragionamenti mentali.

Alphonse, che stava consumando silenziosamente il suo pasto, sentì i due parlare. Anche Leah, seppur con sguardo passivo, stava ascoltando.

“Avete scoperto qualcosa?” Chiese il Aoki avvicinandosi ai due.

“Forse” Rispose Simon senza togliersi la mano sul mento “Ma vorrei prima vorrei confermare una cosa con voi tutti, consumate con tranquillità i vostri pasti, ne parliamo in seguito”.

E così fecero. Tutti mangiarono senza dire una parola. C’era una pessima atmosfera nell’aria, un terribile cocktail di dubbio, incertezza, paura e sconforto, dominavano quel luogo illuminato solo dai focolari magici, che emanavano una rilassante luce blu.

Alla fine dei pasti, tutto il gruppo si radunò attorno al focolare più grande, poiché con l’arrivo della notte il freddo iniziava ad essere pungente.

“La prima cosa di cui voglio discutere con voi è il naufragio” Simon era in piedi in bella vista, mentre gli altri erano rimasti seduti attorno al braciere “Vorrei cercare di capire meglio la dinamica dell’incidente. Da quel che ho capito, qualcuno ha saccheggiato la stanza di Leah la sera del naufragio. Lei preoccupata per la cosa ha raggiunto la stiva ed è stata aggredita, inoltre presumibilmente l’aggressore ha tolto la vita alle guardie che proteggevano il carico da mani indiscrete. E’ tutto giusto fin qui?”.

Simon rivolse i suoi quesiti maggiormente a chi quella sera era presente sulla scena. Alphonse e tutti gli altri annuirono, così che Simon potesse continuare il suo ragionamento.

“Quindi, poco dopo aver ritrovato Leah e i cadaveri, il carico di Silderium ha iniziato a brillare, chiaro segno che la pietra era entrata in una risonanza di serie. Ora questo dettaglio sottolinea una cosa molto grave...”

Fu Alphonse a rispondere “C’è la mano di un mago, dico bene?”.

Simon annuì “Esatto, sono sorpreso che tu lo abbia capito”.

“E’ stata Piper ad avanzare l’ipotesi per prima” Disse il giovane minatore abbassando il capo, ricordando il tempo passato con lei prima della sua tragica morte.

“Il punto è che non importa quanto bravo egli sia, un Arcanista non è in grado di causare una reazione a catena del genere” Aggiunse Simon “Esistono degli strumenti che simulano una reazione simile, ma sono per lo più di tipo bellico e richiedono una complessa preparazione, oltre che ad essere strumenti molto vistosi e ingombranti, tutte cose che la stiva quella sera era priva. Quindi l’ipotesi più plausibile è quella che sia stato un Mago ad operare tutto quel Silderium”.

Orin però era poco convinto.

“Un Mago? Ma esistono ancora gente del genere? Voglio dire, non è più stato segnalato un Mago ad Alabathia da parecchio tempo, credevo si fossero tipo estinti”.

Simon incrociò le braccia e annuì “Vero, i maghi sono scomparsi da diversi decenni, tuttavia, non è escluso che esista un mago latitante che sia sfuggito ai controlli. Qualcuno che appunto si è infiltrato nella nave e ha orchestrato tutto questo”.

Ci fu silenzio, non tutti sembravano convinti della cosa.

“Che ne pensa Sua Maestà?” Chiese il Bardo con un sorrisetto sardonico “Lui è l’organizzatore dell’evento no? Qualche idea? Possibile che sia salito un Mago sulla nave?”.

Harris però abbassò il capo. “Non saprei. E’ vero che sono stato io ad organizzare il vostro arrivo in città, così come ad organizzare alcune pratiche burocratiche dell’ambasciata, ma la maggior parte del lavoro, cosi le informazioni sui membri dell’equipaggio e tutto il resto, è tutto segnato nel libro mastro di Piper”.

“Libro mastro che è ora è sparito” Simon sogghignò amareggiato “Perché prendersi la briga di rimuovere il libro dal cadavere? A quale pro? E’ piuttosto scontato pensare che il suo assassino abbia nascosto o distrutto il libro. Probabilmente voleva celare ogni informazione scomoda”.

Calò il silenzio. Alcuni si guardavano tra di loro, altri restarono con lo sguardo fisso al suolo, ma tutti quanti avevano capito una cosa fondamentale. Se il libro era stato tolto dalla scena del crimine, significava che l’assassino doveva essere per forza il Mago.

“Leah” Improvvisamente Simon si rivolse a lei.

La ragazza trasalì. Era piuttosto tesa, pallida e scossa per tutto ciò che era successo. Faticava a restare concentrata e sembrava parecchio spaventata. Non era una sorpresa, tutti lo erano, ma lei stava mostrando i segni più intensi. Sembrava quasi sul punto di esplodere.

“So che per te non è facile in questo momento, ma ho bisogno di chiedertelo. Hai notato qualcosa? Qualsiasi cosa, anche  il minimo dettaglio può essere fondamentale”.

Leah si sforzò di ricordare. Le uniche cosa che ricordava era la sua stanza completamente messa a soqquadro e le medicine distrutte. No, c’era qualcosa che effettivamente aveva notato, quel singolo dettaglio che aveva intravisto prima di perdere i sensi.

“Le medicine” Disse Leah stringendosi le mani davanti al petto “Il carico di medicine nella stiva, non tutte le fiale sono state distrutte, alcune sono state rubate”.

“Rubate?” Orin perplesso incrociò le sue enormi braccia.

“Sì… è vero” Alphonse annuì confermando ciò che Leah stava dicendo “L’ho visto anche io. Alcune fiale erano assenti”.

La boccetta in cui era riposta la medicina in questione era molto simile a quella del test che Alphonse aveva fatto per verificare il suo mal di mare, ma il colore era diverso, ed erano inserite in serie all’interno di una grande cassa di legno. 

Fu dunque il bardo a sollevare la domanda che tutti si chiesero.

“Beh? Che medicina sarebbe?”.

“Ecco io…” Leah sembrò in difficoltà “E’ un medicinale sperimentale, qualcosa che ho sviluppato in totale segretezza. Non posso divulgare l’effetto della medicina”.

“Ehi andiamo signorina” lui fece un sorriso strano, fissando la ragazza con una certa maliziosità “Ti rendi conto in che situazione siamo? Che senso ha nascondere dei segreti adesso?”.

“Non è così semplice…” Leah scosse il capo.

“Perdonatemi” Harris intervenne deciso "Sarò io a spiegarlo, mi assumo io la responsabilità”.

“Sua Altezza…” Anglia era contrariata, ma Harris scosse il capo.

“Sir Moults ha ragione” Disse rivelando il nome del menestrello “Siamo in una situazione disperata, ogni informazione è vitale e non c’è motivo di tenerlo segreto”.

Anglia non aggiunse altro. Tutti si zittirono, lasciando anche Leah preoccupata e senza parole. Tuttavia il Principe le sorrise e poggiò una mano sulla sua spalla, come per rincuorarla.

“La medicina menzionata da Leah si chiama Curie, è una sorta di panacea che permette di guarire le ferite molto in fretta. Alphonse, ricordi quando ci siamo visti sulla spiaggia? Leah aveva una brutta ferita alla nuca”.

Alphonse annuì “Sì… infatti quando vi ho rivisti, ero piuttosto sorpreso nel vedere Leah con voi, era come se non fosse successo nulla”.

Il ragazzo posò lo sguardo su di lei, ma Leah abbassò gli occhi. Si stava sforzando di evitarlo, non aveva parlato con lui mezza volta dall’incidente. Era come se fosse spaventata da lui. La cosa rattristò parecchio Alphonse.

“Esattamente” Harris lo riportò sull’argomento “Vedete, Leah aveva con sé un campione della medicina. La teneva nascosta in una tasca e appena ho riconosciuto il contenuto, le ho subito fatto inghiottire l’intruglio. Dopo qualche minuto, Leah era di nuovo in piedi…”.

Ci fu un certo stupore generale. Una medicina miracolosa, qualcosa che avrebbe potuto cambiare la vita a molte persone. Non era dunque una sorpresa che qualcuno avrebbe voluto rubarlo. Tuttavia, come aveva appena detto il principe Harris, si trattava di un medicinale non ancora divulgato. Rubarlo significava essere a conoscenza di un segreto ben custodito, qualcosa che il Regno teneva al sicuro da orecchie indiscrete. C’era un’altra cosa poi da tenere in considerazione: rubare la medicina era un conto, ma perché causare un naufragio? A meno che il Ladro e il Mago fossero due entità distinte. Alphonse aveva il cervello pieno di informazioni, non sapeva come elaborarli e dare un senso a tutto.

“Quindi il saccheggiatore ha rubato alcune fiale di questa miracolosa medicina e poi ha distrutto il resto” Simon cercò di trovare un collegamento, ma non sembrò avere nessuna risposta pronta.

“E che motivo aveva?” Il giovane bardo si portò le mani dietro la nuca “Perché mai distruggere delle medicine? Tu hai qualche idea?” Di nuovo si rivolse a Leah.

“Uhm…” La ragazza aveva uno sguardo distratto, non sembrava in condizioni di fare un discorso sensato “No, onestamente non saprei”.

Alphonse osservò attentamente i due parlare, c’era qualcosa di strano in quel discorso, era davvero solo una medicina qualunque? Leah sembrò molto schiva nel parlarne, invece Harris aveva dato dettagli molto precisi, ma in quel caso perché Leah continuava ad avere quello sguardo preoccupato? Doveva esserci dell’altro, qualcosa che forse neppure il principe sapeva, oppure che stava deliberatamente nascondendo per proteggerla.

“Chi potrebbe essere questo fantomatico mago?” Chiese Anglia rivolgendosi a Simon “Hai qualche idea? Siamo sicuri che sia uno di noi?”.

“Non ho nessuna certezza” Rispose lui secco “Ma un modo per scoprirlo ci sarebbe”.

Tutto il gruppo posò lo sguardo su di lui. Simon sembrava avere dei dubbi, ma doveva comunque fare un tentativo.

“Illuminaci, cosa vuoi fare?” Domandò Aoki poggiando una mano sul fianco.

“Per farvela breve ho con me uno strumento in grado di rilevare le fluttuazioni energetiche di una conversione magica. Si chiama trapezoedro, lo usiamo come misuratore per calibrare vari strumenti. Ogni Arcanista ne ha uno, e non se ne separa mai. Sfortunatamente il mio trapezoedro ha solo una parziale carica, tuttavia ha abbastanza energia per essere usata una volta sola, inoltre senza una strumentalizzazione adatta ci metterò molto più del dovuto a calibrarlo”.

“Di quanto tempo parliamo?” Domandò Anglia.

“Una decina di ore, forse anche un giorno intero” Rispose Simon passandosi una mano sul mento. Solo l’idea di calibrare uno strumento così complesso in modo così rudimentale lo esasperava. Ma era l’unica cosa che poteva fare per assicurarsi di confermare la possibilità di una presenza di un mago nel gruppo. 

“Prima di iniziare il procedimento però mi piacerebbe dire una cosa” Simon nuovamente richiamò all’appello l’attenzione di tutti. “Durante la calibrazione dovrò concentrarmi a lungo e sarò completamente inerme, incapace di parlare o reagire. Se l’assassino è davvero tra di noi, e vuole mantenere segreta la sua identità, allora c’è una buona possibilità che tenterà di uccidermi. La misura del trapezoedro è corretta al 100%, non ci saranno errori nel determinare chi tra di noi è un mago e chi no. Quindi, quello che vi chiedo è di proteggermi. Sono l’unico qui che è in grado di operare il trapezoedro”.

Orin sogghignò scrocchiandosi le dita “Non preoccuparti, finché ci sarò io non ti metteranno un singolo dito addosso”.

Anglia annuì “Concordo, la tua protezione è assicurata”.

Anche Aoki era pronto. “Immagino che non dovrò far altro che essere la tua ombra”.

Simon annuì “Bene, conto su di voi ok?”.

L’unica chance di trovare l’assassino di Piper era quello di attendere che Simon calibrasse il trapezoedro. Nel cuore del giovane minatore c’era di nuovo speranza, ma anche tanta ansia e paura. 

C’era davvero un Mago tra di loro?

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Capitolo 7
*** Atto 1-7; (Collaborazione) ***


La prima notte sull’isola infine giunse. l’unico modo per vedere attraverso l’oscurità era tramite i focolari arcani che Simon aveva sparso qui e lì per tutto il perimetro dell’area. Il vento corrente arrivava dalle fessure poste sul soffitto e ululava attraverso i corridoi.

Leah era immersa in un sonno inquieto fatto di pensieri turbolenti, mentre la sua coscienza andava e veniva in un perenne stato di dormiveglia. 

Abitualmente stringeva i denti nel sonno, rigida come un sasso, mentre il suo corpo avvolto dalle coperte tremava. Il dolore di aver perso Piper l’aveva seguita fin nei recessi dell’incoscienza, tanto che riusciva a sentire il suo cuore battere nell’oscurità, intrappolato nel freddo abbraccio della paura.

Poi spalancò gli occhi. Davanti a sé c'era Piper completamente sfigurata e coperta di sangue che la fissava con sdegno, con gli stessi occhi vuoti che aveva visto riflesso nella sua testa decapitata.

“Sei stata tu ad uccidermi” Disse il suo fantasma puntandole il dito tremante contro “Sei stata tu. Assassina”.

Leah si paralizzò sul posto, non sentiva più il suo cuore battere, né riusciva a respirare. Ogni muscolo volontario e non si era arrestato. Si sentì morire, mentre suoni immondi e striduli penetrarono nei suoi timpani.

La testa di Piper si staccò dal corpo e cadde al suolo, rotolando verso di lei. La sua faccia aveva uno sguardo orribile, distorto, colmo di odio e rimpianto.

“Assassina!” Le gridò.

Leah si svegliò da quell’orribile incubo, scattando fuori dalle coperte con un grido.

Era diventata cinerea, madida di sudore nonostante il freddo e respirava a fatica. Le ci volle un po’ prima di rendersi conto che si era finalmente svegliata e tutta l’adrenalina iniettata improvvisamente nel suo corpo, le provocò una forte emicrania.

Poi dei passi, l’ombra di qualcuno arrivava dal corridoio. Egli coprì la calma luce blu dei focolai arcani, oscurando ancora di più l’angusto corridoio.

Leah era spaventata, chi poteva mai essere? Mille pensieri macabri iniziarono a strisciare nel suo stomaco, provocandole altro tormento. Il suo cuore tornò a pompare furioso e accelerava nel suo petto ad ogni eco dei suoi passi. Ma tutto il terrore e l’angoscia di quel momento terminarono istantaneamente, lasciandole solo sollievo alla vista del suo salvatore.

“Stai bene?” Le chiese Aoki. “Ho sentito urlare”.

La ragazza si portò le mani sul viso e scoppiò in lacrime. Tutto il dolore, la miseria e la paura si mischiarono in un cocktail di emozioni fuori controllo e fuoriuscirono dalle sue lacrime salate. Ora che finalmente era sveglia, si rese conto finalmente della verità che fino a quel momento negava con tutta se stessa. Era arenata su un’isola deserta senza una reale possibilità di fuga, e la sua più cara amica era stata brutalmente e inspiegabilmente uccisa. Era tutto vero, l’orribile realtà che stava vivendo non era un incubo, non era un illusione. 

“Ce la fai ad alzarti?” Aoki le allungò la mano.

Leah si asciugò le lacrime e annuì afferrandola con fermezza, riuscendo a sentire la sua mano asciutta e ruvida.

Ora che Leah era in piedi si sentì subito meglio. Aoki le fece cenno con la testa “Ti preparo del tè, così ti calmi un po”.

Nel corridoio dove il giovane vigilante teneva le sue cose, c’era una piccola stufetta arcana che Simon aveva acceso prima di coricarsi. Il giovane uomo dell’Est mise della polvere nella teiera e dopo una breve attesa versò in una tazza di coccio del tè fumante.

Leah era seduta su un gradino, con una coperta rossa attorno al corpo e gli occhi pesanti e irritati dalle lacrime. Fissava ipnotizzata il movimento irregolare della fiamma arcana, che bruciava continuamente illuminando l’intera area di un rilassante tenue azzurro. Quando Aoki sbucò dal corridoio, tornò con in mano una tazza e uno sguardo calmo sul volto. La ragazza si chiese come faceva a restare così impassibile davanti a quella situazione assurda.

“Attenta che scotta” Le disse porgendogli il tè.

“Grazie” Rispose lei.

L’aroma al limone e zenzero la aiutò a respirare meglio e calmare gli agitati sensi. Soffiò appena sul bordo del liquido bollente più volte e per poi sorseggiarlo lentamente.

Mente ingoiava il té, il calore la avvolse. Finalmente la sensazione di gelo che la faceva tremare si acquietò.

“E’ buono” Disse Leah facendo un sorriso ad Aoki, che rispose semplicemente rilassando il suo sguardo sempre serio. Era da tanto che Leah voleva ringraziarlo per averla salvata quel giorno. Non passava giorno che non pensava a quel eroico gesto, dispiaciuta di non poter in qualche modo ricambiare il favore. Ma ora che lo aveva davanti, che aveva finalmente l’occasione di ringraziarlo, le parole non volevano uscire dalla sua bocca.

Si sentì stupida, debole e si maledì.

“Sembra che tu voglia dire qualcosa” Disse Aoki mettendosi seduto vicino ad un focolare.

Leah arrossì appena, si maledì un’altra volta per essere così facilmente leggibile.

“Ecco…” Si sforzò con tutta se stessa, ma semplicemente non ci riusciva. Era così dannatamente difficile dire grazie?

“Non c’è di che…” Disse improvvisamente Aoki facendo un mezzo sorriso.

Nuovamente aveva capito cosa stava pensando. 

“Uffa, mi stai leggendo nel pensiero?” Leah gonfiò un po’ le guance.

“Sei facile da leggere” Rispose lui scrollando le spalle “I tuoi occhi e il tuo sguardo parlano al posto tuo”.

Per qualche ragione il commento diretto di Aoki la rilassò. Probabilmente aveva semplicemente paura di essere giudicata male, o di fare una figuraccia, un timore che si era radicato nel tempo in ogni occasione come quella.

“Non tenerlo dentro” Le disse Aoki col suo solito tono di voce severo e serioso “Qualunque cosa tu abbia nel cuore in questo momento, non tenerla dentro”.

Leah non riuscì a distogliere lo sguardo dai suoi occhi profondi. Quel ragazzo era molto difficile da decifrare, ma lei vide qualcosa di familiare in quello sguardo, così come il suo tono di voce. Anche Piper aveva quel modo di comunicare, era in grado di tirare giù la maschera e di scendere allo suo stesso livello, affinché anche lei potesse avere uno sguardo in grado di esprimere ciò che voleva.

In qualche modo Aoki era molto simile a Piper sotto quel punto di vista.

“Quando non riesci a trovare una via d’uscita, quando non puoi fare altro che fuggire di fronte ad una situazione disperata, non è giusto continuare a tenere dentro tutto il dolore” Disse lui “Siamo esseri umani, dobbiamo accettare anche emozioni negative come il dolore. Se vuoi piangere, se vuoi urlare, fallo. Io ascolterò in silenzio e sarò testimone del tuo tormento”.

Leah prese a cuore quelle parole e involontariamente iniziò a tremare e a singhiozzare. Grosse lacrime salate coprirono il suo viso e non la smettevano di scendere.

Pianse, lasciando scorrere tutto il dolore dentro di sé. Piangendo a sufficienza, si rese conto di quanto quel dolore in un certo senso stesse lenendo il suo animo ferito. 

Si stava tenendo tutto dentro da chissà quanto tempo, accettando passivamente gli errori commessi e dandosi per vinta. Non aveva mai avuto il coraggio di chiedere scusa a Piper o di parlarle, aveva sempre accettato il suo rancore come una giusta conseguenza per le sue azioni.

Dopo essersi calmata, Leah sentì l’enorme peso della stanchezza e del mancato riposo schiacciare il suo corpo. Le occhiaie, unite all’irritazione delle lacrime, aveva profondamente solcato il viso della giovane fanciulla.

“Il tuo pianto è in qualche modo nostalgico” Disse Aoki rivolgendo il suo sguardo verso la fiamma blu “Quando conobbi il mio maestro, lui mi portò sulla riva di un fiume. L’acqua era così cristallina che potevo vedere il mio riflesso sul flusso. Avevo il viso sfigurato dal pianto e dalla stanchezza proprio come il tuo in questo momento. Mi disse di guardare quella pietosa immagine fino a che non riuscivo più a vederlo. Restai lì, imbambolato a fissarmi senza mangiare o bere. Non mi ero accorto che pian piano stavo vedendo così tante cose nell’acqua, che ormai non riuscivo più a vedere il mio viso. Fu come sognare ad occhi aperti, come vedere i miei pensieri scorrere a nudo nell'acqua gelida di quel fiume. Quando fece notte, mi resi conto di non riuscire più a vedere niente, fu in quel momento che il maestro tornò a prendermi. Quando mi chiese cosa avevo visto nell’acqua, tutto ciò che potevo rispondergli era che avevo visto me stesso. Ma lui capì subito, capì che avevo realmente visto l’essenza stessa della mia anima, fu in quel momento che mi disse che non importava quali errori avessi commesso, l’acqua aveva già portato tutto via con sé a valle. Potevo correre disperato per tutta la vita a rincorrere l’impossibilità di recuperare ogni frammento del mio passato, oppure costruire nuove memorie, nuove esperienze” Aoki per la prima volta fece un sorriso amaro “Quella sera piansi di nuovo, ma questa volta non piangevo solo per il mio dolore e per chi avevo perso, piangevo perché avevo deciso di rendere giustizia a quel dolore, di accettarlo e di continuare la mia vita. E’ naturale piangere per qualcosa di perduto, per qualcosa che non tornerà mai più, nessuno dovrebbe trattenere quel dolore”.

Leah rimase senza parole. Il racconto di Aoki le entrò nell’anima, sentendosi in qualche modo legata anche lei a quella storia.

“Spero che questo possa aiutarti a superare il tuo dolore” Aoki si alzò in piedi “Cerca di riposare ok?” Detto ciò si congedò.

“Aspetta!” Leah si alzò, tenendo tra le mani la tazza ancora piena di Tè.

Il giovane vigilante si voltò di nuovo verso di lei, in attesa di una sua parola.

Lei sorrise un po’ timida “Io volevo ringraziarti. Avrei voluto farlo molto prima ma sono successe così tante cose. Mi hai salvata quel giorno in quel vicolo e oggi mi hai salvata di nuovo con le tue parole”.

“Ti sbagli” rispose lui indicandola "La prima volta ti avrò anche salvato, ma questa volta ti sei salvata da sola. Spero che non condannerai più te stessa per i tuoi errori e andrai avanti. Non inseguire il tuo passato fino a falle, non arriverai da nessuna parte”.

Leah annuì sorridendogli con gentilezza. “Grazie…”.

“Bevi, o si fredda” Disse infine Aoki riferendosi al té, le sorrise brevemente poi se ne andò silenziosamente senza più voltarsi.

Leah tornò seduta e bevve quel té. Era squisito e per qualche assurdo motivo si sentì come se un grosso fardello che pesava sulla sua anima si fosse improvvisamente alleggerito.

 

C’era assoluto silenzio all’interno del Santuario. Leah era riuscita infine ad addormentarsi, avvolta dalle coperte che la tenevano al riparo dal freddo pungente. Il suo sguardo appariva molto più rilassato così come il suo respiro, ora calmo e libero dagli incubi. 

Anche Aoki sonnecchiava con la schiena poggiata al muro. La maggior parte del gruppo dormiva, anche Alphonse che nonostante le terribili esperienze di quel giorno, era riuscito stranamente a riposare correttamente.

Qualcuno però non era riuscito a dormire quella notte, quel qualcuno era il principe Harris.

Alle prime luci del mattino sì affacciò nel corridoio dove dormiva Alphonse e in quel preciso istante, il giovane minatore aprì lentamente gli occhi.

“Scusami… ti ho svegliato?” Chiese Harris con un sorriso dispiaciuto.

“Sua Altezza?” Alphonse si alzò con i gomiti “Che succede?”.

Harris guardò verso il centro del Santuario, assicurandosi che non ci fosse nessuno.

“Devo parlarti, in privato…” Gli disse con sguardo serio. “Usciamo prima che qualcuno ci veda ok? Anglia ci sta aspettando al laghetto qui vicino. E’ della massima urgenza”.

Harris sorrise e si allontanò per lasciare ad Alphonse il tempo di prepararsi.

Quando il Sole iniziò timidamente a sollevarsi dall’orizzonte, la delicata luce dell’alba penetrò dai grossi interstizi sul soffitto della caverna, mischiandosi alle luci arcane dei focolari. 

L’aria era umida e fredda, non esattamente ideale per le ossa deboli. 

Alphonse si sentiva tutto intorpidito, mentre si alzava dal suo sacco a pelo. Indossò la sua divisa e uscì dal corridoio cercando di non fare rumore.

Vide Aoki riposare vicino all’ingresso, ma sembrava essere profondamente addormentato, nonostante stesse seduto. Harris stava aspettando vicino all’ingresso, indicò con il pollice alle sue spalle e fece un sorriso, per poi uscire.

Una volta all’esterno però, Alphonse fu accolto da uno scenario a dir poco inquietante. 

Non c’era un filo di vento, non si sentiva nessun suono, nemmeno gli uccelli cinguettavano al nascere del giorno. Gli arbusti degli alberi erano immobili, congelati in quella che sembrava un’eterna stasi. Il silenzio era così fitto, che il frantumarsi delle foglie secche al peso di ogni passo di Alphonse, echeggiava nei suoi dintorni quasi fosse il rumore più forte del mondo. Ancora una volta rimase sgomento davanti all’innaturale atmosfera che si palesava dinanzi a sé.

C’era ancora poca luce all’esterno, ma ce n’era abbastanza da potersi orientare e avanzare nella vegetazione.

“Da questa parte” Disse Harris dirigendosi verso il laghetto a pochi isolati dal Santuario. Anglia stava aspettando lì. Alphonse si chiese cosa avesse in mente il Principe, perché tutta quella segretezza? Per qualche ragione ebbe un brutto presentimento a riguardo, era convinto che qualunque cosa il Principe gli stesse per comunicare non sarebbero state buone notizie, complice il fatto che Harris sembrava tutt’altro che tranquillo. Stava mascherando la sua agitazione dietro il suo sorriso e per tutto il tragitto verso la piccola sorgente era rimasto in totale silenzio.

Una volta arrivati al laghetto, Alphonse vide Anglia nei pressi del bordo mentre fissava la piccola cascata d’acqua. Il lieve rumore del flusso tranquillizzò Alphonse, che fino a pochi momenti prima era immerso in un fitto e innaturale silenzio.

All’arrivo di Harris, Anglia si voltò e posò subito lo sguardo su Alphonse. Gli occhi gelidi e severi della donna sembravano persino più intensi del solito, sempre cauta e pronta ad agire di fronte ad ogni situazione. Era palese che non si fidava affatto di lui.

“Qui dovrebbe andare bene” Disse lui ad Anglia “Assicurati che non si avvicini nessuno”.

“Sua Altezza, siete certo che sia una buona idea?” Chiese lei. 

Harris annuì “E’ la cosa giusta da fare, lascia che sia io ad occuparmene”.

La donna non obiettò, fissò di nuovo Alphonse per poi farsi da parte.

“Sua Altezza che sta succedendo?” Alphonse si decide a chiedergli spiegazione, tutta quella tensione era diventata insostenibile.

Il Principe si voltò verso di lui e di nuovo fece un debole sorriso insicuro.

“Mi dispiace per la segretezza, quello che sto per mostrarti è qualcosa che vorrei non fosse visto da occhi indiscreti, non ora per lo meno. Con tutto quello che è successo non ho avuto l’occasione di farlo prima, ma ora che abbiamo un momento per parlare in modo indisturbato, credo sia il momento migliore”.

Harris tirò fuori da dietro il mantello un panno azzurro con dentro avvolto qualcosa. Alcune parti del tessuto erano sporche di una macchia scura e una volta scoperto, Alphonse si sentì le ginocchia cedere dallo shock.

C’era un coltello dalla lama sporca di sangue, con un familiare manico rinforzato. Di istinto, Alphonse portò le mani verso la fondina e notò che il suo coltello era assente. Ricordava di averlo usato per orientarsi nella foresta durante le sue prime ore sull’isola, ma in seguito era convinto di averlo inserito di nuovo nella fondina, e di non averlo più usato.

“Non è possibile io…” Alphonse balbettò, si rese conto che se avesse tentato di giustificarsi, sarebbe sembrata solo una scusa insensata. Quel sangue poteva appartenere solo ad una persona, e soltanto l’idea che il suo coltello fosse in quelle condizioni lo terrorizzava a morte.

“Sua Altezza io… deve credermi!” Il giovane Minatore pallido scosse il capo e cercò ugualmente di spiegarsi “Non sono stato io, qualcuno deve avermi preso il coltello!”.

Harris abbassò il capo e ripose il coltello nel panno.

“Quando abbiamo trovato i resti di Piper, ricordi che sono entrato per prima nel corridoio vero? Onestamente non so cosa mi è preso, semplicemente non riuscivo a credere ad una realtà così terribile e il mio corpo si è mosso da solo”

Alphonse lo ricordava, come poteva dimenticare quell’orribile scenario ormai marchiato a fuoco nella sua memoria. Il Principe Harris si era avvicinato per poi ordinare a lui e Leah di allontanarsi dalla scena in modo tempestivo.

“Mentre mi avvicinavo, ho notato qualcosa per terra” Disse Harris serio in volto “Era particolarmente buio, quindi era difficile confermarlo con esattezza, ma avevo notato qualcosa. Senza pensarci l’ho preso ed è stato in quel momento che ho riacquistato lucidità. Osservandolo da vicino ricordai quel coltello. Quando abbiamo portato Leah nella baita vicino alla spiaggia, ti sei proposto per cercare del cibo e dell’acqua, avevi detto che ti saresti orientato proprio con quel coltello, e nella mia testa è subito nato il sospetto. Ma è proprio questo il motivo che mi ha spinto di rimuoverlo dalla scena in totale segretezza”.

Alphonse restò in silenzio con il cuore in gola, mentre Harris cercava di dare espressione ai suoi dubbi e di far chiarezza nei riguardi di tutta quella difficile faccenda. Cosa l'aveva spinto a rimuovere una prova schiacciante dalla scena di un crimine?

“Alphonse. Rispondimi sinceramente. Non sei stato tu vero?” Quella fu una domanda cruciale, una domanda nata dal sospetto e dalla paura.

Il giovane minatore scosse il capo “No, non avrei mai potuto!” Esclamò addolorato “Non sarei mai capace di fare una cosa simile!”.

Harris fissò a lungo Alphonse come se i suoi occhi stessero giudicando la sua sincerità. Alla fine però, il principe rilassò lo sguardo e sorrise.

“Lo so. Io ti credo”.

Al sentire quella frase, Alphonse sentì la tensione lentamente morire.

“Ascoltami” Harris tornò serio portandosi la mano sul mento “C’è qualcosa che non mi torna in questa situazione. La morte di Piper è troppo inusuale. Lo stato del suo corpo, il modo in cui è stata uccisa, il luogo, e adesso salta fuori questo sospetto che tra di noi ci sia un mago. E’ tutto troppo strano, voglio dire… se veramente ci fosse un mago tra di noi, se veramente l’obiettivo del carnefice era quello di rubare il libro di Piper e far sparire le sue tracce, allora perché mutilare il suo corpo in quel modo? Non ha senso. Cosa lo ha portato ad agire in questo modo? Possibile che sia solo un modo perverso e abietto di infierire su un corpo inerme?” Harris abbassò il capo e strinse i pugni con forza “Tutta questa faccenda del mago dove ci porterà? E’ davvero così facile? Ho i miei dubbi che lo sia. Chiamami pure paranoico ma come posso non esserlo? Ci sono ancora troppi misteri, troppe incognite. Perché questo fantomatico mago ha sentito la necessità di causare un naufragio e portarci qui? Che scopo abbiamo su quest’isola? Possibile che voglia solo ucciderci tutti? Se si, allora perchè?”.

Pallido e spaventato, Harris si portò una mano sul viso “Ho il dovere di proteggervi, come rappresentante e futuro regnante è mio dovere proteggere i miei alleati! Non voglio vedere mai più qualcuno a me caro fare una fine del genere! Ho bisogno di capire, ho bisogno di rimuovere tutti i sospetti uno alla volta e scovare il manigoldo che ha tolto la vita a Piper”.

Il Principe si fece prendere dalle emozioni e dalla foga. I suoi occhi si erano inumiditi e togliendosi le lacrime ancor prima che potessero scendere, posò il suo sguardo su Alphonse.

“Ti prego Alphonse, aiutami a scoprire la verità…”.

“Io? Ma come potrei aiutare?” Chiese il giovane minatore colto alla sprovvista da una richiesta tanto importante.

“Tu sei innocente, so che posso fidarmi di te. E’ vero non ho conferme esatte, né prove assolute che tu non sia l’assassino, ma voglio fidarmi del mio istinto e di te. Se stasera Simon non troverà nessun mago tra di noi, allora abbiamo bisogno di essere preparati. Ho bisogno di più occhi e orecchie dappertutto, di qualcuno come te che può facilmente muoversi e entrare nel cuore delle persone. Noi tre possiamo venirne a capo, ne sono certo! Non posso coinvolgere nessun altro. Solo Anglia e te. Ti prego, voglio vendicare la morte di Piper!”.

“Sua Altezza…” Alphonse non sapeva cosa dire. Si sentì pervaso da una strana sensazione di determinazione, tanto che il suo intero corpo si irrigidì. Non aveva avuto molto tempo a disposizione per conoscere Piper, ma ricordava bene quel sorriso sincero sulle sue labbra prima di morire. Era una ragazza colma di sofferenza, colma di insicurezze e paure. Perché una persona così genuina era dovuta morire in un modo tanto atroce? Il responsabile l’avrebbe pagata cara.

“Voglio aiutare, farò il possibile” Disse infine Alphonse posando lo sguardo sul principe. 

Harris sorrise con sollievo e annuì “Sono felice che posso contare su di te, sapevo di non sbagliarmi”.

“Cosa posso fare però? Avete un piano?”.

“La prima cosa da fare secondo me è capire di chi fidarci e chi no, e cercare di capire meglio le dinamiche dell’incidente” Disse Harris pensoso “Tu sei restato da solo con Piper finché qualcuno non ti ha tramortito. Questo individuo apparentemente riesce a viaggiare attraverso la nebbia senza subire alcunché, ha rubato il tuo coltello e ha ucciso Piper con esso facendo a pezzi il suo cadavere, poi ha lasciato il coltello sul posto così che tutti avrebbero infine sospettato di te. Chi potrebbe secondo te fare una cosa così?”.

Alphonse ci pensò su per qualche secondo, poi ebbe un’idea.

“Da quel che ho capito Aoki riesce a navigare nella nebbia grazie al suo addestramento. Lui afferma di essersi perso come tutti gli altri, ma è la verità? Potrebbe essere stato lui”.

“Mmm, però è stato lui stesso ad affermare dei suoi allenamenti. Se davvero riuscisse a navigare attraverso la nebbia, allora avrebbe mantenuto quel dettaglio segreto dico bene?”.

Il ragionamento di Harris filava. Aoki non avrebbe mai lasciato trapelare un’informazione del genere, visto la sua intelligenza e scaltrezza.

“Beh, possiamo fare un passo in avanti e dire che possiamo togliere Leah dalla lista. Dopotutto è stata con voi tutto il tempo” Disse Alphonse.

Harris tuttavia non era d’accordo, aggrottò la fronte e scosse il capo “No, a dire il vero è falso”.

Alphonse non si aspettava una risposta così, Harris sospettava di lei?

“Ovviamente non sto dicendo che sospetto di lei, sarebbe alquanto assurdo per Leah compiere un gesto così crudele, soprattutto nei riguardi di una persona a lei così cara. Tuttavia quando ho riaperto gli occhi dopo la nebbia è stata Leah a svegliarmi. Quindi avrebbe potuto in linea teorica avere un margine di azione. Ma ripeto, solo l’idea che Leah possa essere l’assassino lo trovo a dir poco paradossale”.

Alphonse tuttavia sapeva che tra le due non correva buon sangue. Un ipotetico movente poteva anche esistere, ma non c’erano prove e soprattutto Harris aveva ragione: il pensiero che una ragazza come Leah potesse agire in quel modo, era completamente assurdo.

“Restano Lord Armstrong, Simon e Sir Moults”.

“Sir Moults, intendi quel tipo con il mandolino?” Chiese Alphonse.

Aveva avuto una prima impressione positiva nei suoi riguardi, visto che era stato lui a mettere una buona parola per permettergli di essere temporaneamente scagionato da ogni accusa. Inoltre era stato lui ad avanzare l’idea che potessero esserci altre persone sull’isola.

“Qualche idea su di lui?” Chiese Harris curioso.

"Più che su di lui, mi chiedo se quello che ha detto sia vero, ovvero la possibilità che ci siano altre persone su quest’isola”.

“Non è da escludere. Onestamente, se i risultati di Simon stasera porteranno alla luce che non ci sono maghi tra di noi, le chance che esista un’altro o più sopravvissuti, o addirittura abitanti veri e propri aumenterà. Tuttavia…” Harris si guardò attorno e vide la foresta attorno a se rimanere immobile “Certamente ti sarai accorto che questo luogo è fuori dal normale. Non sembra esserci nessuna attività animale e tutto sembra così innaturale”

“Sì, l’ho notato” Rispose Alphonse teso “Mi viene difficile credere che ci siano persone qui oltre a noi, tuttavia quella baita e il Santuario, non siamo di certo i primi ad essere stati qui”.

Harris era d’accordo “Assolutamente. Ad ogni modo, sarà meglio riprendere questa discussione dopo l’esame di Simon. Vediamoci qui ogni mattina a quest’ora ok? Cerca di non farti vedere, nessuno deve sospettare di nulla”.

I misteri dell’isola erano numerosi, così come le circostanze della loro presenza su quell’ignoto suolo, in aggiunta all’inspiegabile morte di Piper. Alphonse decise di collaborare con il piano del giovane erede al trono, ma si domandò se il sotterfugio fosse davvero la soluzione ideale per scoprire la verità. D’altro canto però, restare con le mani in mano era altrettanto sbagliato, nonché un’opzione che Alphonse mal sopportava.

Mentre fissava sovrappensiero la cascata d’acqua, notò Harris sussurrare qualcosa a Anglia, poi si avviarono verso il Santuario.

Invero, c'era un’altra cosa che preoccupava Alphonse. Chiunque avesse ucciso Piper aveva cercato di scaricare la colpa su di lui, inoltre perché Harris si fidava così tanto del fatto che non fosse lui l’assassino? Come era giunto realmente a quella conclusione?

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Capitolo 8
*** Atto 1-8; (Legame) ***


Mentre Harris faceva ritorno al Santuario assieme ad Anglia e Alphonse, udirono un alterco che echeggiava dall’uscio dell’ingresso del Santuario.

“Adesso basta! Smettila!” La voce infastidita di Leah fu la prima cosa che udirono, e una volta all’interno la videro in piedi a debita distanza vicino ad uno dei focolari arcani, mentre si stringeva a sé, come se volesse proteggere se stessa.

“Okok, scusa...” La persona con cui stava litigando era Alic Moults: l’enigmatico menestrello di cui Harris e Alphonse stavano discutendo poc'anzi.

Quell’uomo non aveva mai volontariamente detto il suo nome, era stato il Principe a portare alla luce la sua identità. C’era però attorno a lui un velo di mistero, che fosse solo la sua personalità o no era altrettanto un’incognita, ma qualunque cosa si celasse dietro quello sguardo, c’era sicuramente un individuo potenzialmente pericoloso, furbo, in grado di rendere l’impossibile possibile. Alphonse non poteva fare a meno di non avere un po’ di rispetto nei suoi confronti, anche grazie al fatto che lo aveva tirato fuori dalla spirale senza fine di sospetti, ma invero era anche spaventato da lui, e dalle sue potenzialità.

“Che succede qui?” Chiese Harris avvicinandosi alla scena.

Leah di istinto si mise dietro il Principe, aveva uno sguardo spaventato e infastidito.

Alic sospirò, portandosi una mano sulla fronte “Non esageriamo su, ho solo fatto un’osservazione”.

“Sir Moults, può spiegarmi cosa succede?” Harris era abbastanza protettivo nei confronti di Leah, per questo motivo apparì piuttosto freddo nei riguardi del cantastorie di fronte a sé.

“Ah Sua Altezza! Mi dispiace che deve assistere a tutto questo, deve esserci stato un malinteso” Si grattò la nuca sorridendo appena per quella situazione imbarazzante “Vede io sono un galantuomo a cuore, volevo solo fare un complimento alla ragazza spaventata dietro di lei”.

Alphonse e Anglia restarono ad osservare in silenzio, mentre Leah puntò il suo dito accusatorio contro Alic, e lui sentendosi minacciato, alzò le mani in segno di resa spalancando gli occhi come un cane spaventato.

“Smettila di fissarmi! Non guardarmi proprio!” Leah era tutta rossa in volto, sia dall’imbarazzo che dalla rabbia.

“Oh andiamo! Cosa c’e di male nel dire di essere rimasto sbalordito dall’enormità del tuo seno?!” Esclamò a sua volta Alic convinto di essere nell’assoluto giusto “Voglio dire, Dea Misericordiosa! Avete mai visto in vita vostra delle mammelle così grosse in tutta Alabathia? Io no! Volevo solo complimentarmi!”.

“Mi scusi” Harris sembrò irritato, seppur si mantenne sempre composto “Potreste darci un taglio? Questi commenti sono fuori luogo, state causando profondo disagio in Leah”.

“Seriamente? Nessuno mi capisce qui?” Il menestrello si lamentò allargando le braccia depresso e demotivato "Ma a parte quello, cosa sono quei musi lunghi? Capisco bene che sia morta una persona, ma non possiamo rimanere così per sempre dico bene? Finiremo per impazzire! Ci vuole un po' di allegria qui! Soltanto vedere tutta questa serietà mi farà venire la depressione”.

“Sir Alic Moults” Harris scandì bene il suo nome, quasi volesse sottolineare la sua fama distorta oltre che richiamarlo all’ordine “Conosco bene la sua storia. Per quanto i suoi talenti siano riconosciuti per tutto il regno per la sua meravigliosa voce da usignolo e dal suo spiccato umorismo, so anche di tutte le sue malefatte, come ad esempio che è stato espulso dalla prestigiosa accademia dei Bardi di Alabathia per essere andato a letto con la moglie del Principale, durante il grande ballo per giunta”.

Alic si scompigliò i suoi già disordinati capelli ridacchiando “Ah sì quello. Le voci corrono in fretta eh?”.

“Ma che razza di villano!!” Esclamò Leah ancora più irritata di prima.

“Oh suvvia! Quella donzella mi ronzava attorno per tutto il tempo! Mi ha praticamente pregato di invitarla nella sua camera. Difficilmente si resiste al mio fascino!” Esclamò con vigore il cantastorie.

“Fascino?! Io vedo solo un pervertito e niente più!” Leah diventò furente, nessuno dei presenti l’aveva mai vista così alterata. Sembrava quasi buffo da vedere e Alphonse dovette soffocare una risata.

“Per quanto ancora dovrai restare offesa per il mio commento di prima?!”.

Harris gli lanciò un’occhiataccia e anche Anglia stava perdendo la pazienza.

Alic si accorse che la situazione diventava sempre più tesa, così si arrese sbuffando, incrociando le braccia e girando lo sguardo offeso a sua volta. 

“D’accordo, va bene, hai vinto ok? Ti chiedo scusa, mi sono lasciato un po’ troppo andare. E’ che proprio non ho potuto fare a meno di notarlo”

“Ho detto di smetterla razza di villano! Non continuare a sottolinearlo!” Esclamò Leah ormai livida di rabbia “O vuoi che accidentalmente ti finisca del lassativo nei pasti?!”.

Harris sospirò sconsolato “Volete darci un taglio? Cerchiamo di andare d’accordo ok?”.

Alla fine gli animi si calmarono e la questione sembrava al momento risolta. Per lo meno Leah sembrava aver ottenuto indietro un po’ di vigore rispetto al giorno prima. Alphonse voleva parlare con lei, cercare un po’ di chiarire la sua posizione, poiché si era accorto che il loro rapporto si era molto raffreddato dalla morte di Piper. Il giovane minatore, che mal sopportava inutili tensioni, voleva chiarire al più presto con lei e stringere di nuovo quello che prima sembrava un bel legame di amicizia.

Tuttavia, Alic intervenne di nuovo portando al secondo posto ogni altra cosa.

“Ehi, mi chiedevo una cosa” Disse lui rivolgendosi ai presenti “Abbiamo seriamente intenzione di lasciare il corpo di quella ragazza in quel vicolo? Odio dover essere indelicato ma… se resterà lì a lungo beh…”.

Harris sospirò “Sì hai ragione. Immagino che nessuno se la sia sentita”.

Improvvisamente calò il silenzio. Di nuovo tornò la tristezza e nei loro volti, fu però Anglia questa volta a parlare.

“Sua Altezza, lasciate che me ne occupi io”.

“Anglia? Ne sei certa?” Disse il Principe sorpreso.

“I cadaveri non mi impressionano. Posso occuparmene io”.

Harris annuì e si girò verso Alphonse “Ti di aiutarmi a scavare? Così possiamo seppellirla e renderle omaggio”.

Il ragazzo annuì a testa bassa “Sì certo, nessun problema…”.

Il principe era preoccupato per Leah, si voltò verso di lei ma la ragazza, seppur addolorata, sembrava decisa a reagire.

“Leah, stai bene…?”.

“Sì, non si preoccupi Sua Altezza” Lei fece un inchino e si sforzò di sorridere. Il suo volto era ancora scavato dalle lacrime, ma per fortuna le parole di Aoki avevano parzialmente cicatrizzato tutto il dolore che aveva dentro, permettendole di continuare a vivere e di farlo anche per Piper. Era questo il suo modo per ripagare il favore nei suoi confronti.

 

Mentre Anglia si occupava dei resti di Piper, Alphonse e Harris scavarono una fossa per poter seppellire quel che restava del suo cadavere. Alla fine del lavoro, Alphonse decise di restare fuori e prendere una boccata d’ossigeno. Nonostante il silenzio tombale inquietava il cuore del giovane minatore, per lo meno all’esterno si riusciva a respirare aria buona e fresca. 

Stava iniziando a stancarsi dell’umidità all’interno del Santuario e dell’odore onnipresente della terra bagnata mischiata a muffa.

Si mise a sedere su uno dei gradini all’esterno della Ziggurat, mentre osservava il cielo privo di nuvole.

La sua mente era occupata da diversi pensieri, sia nei riguardi del piano del principe Harris, ma maggiormente per Leah e del modo in cui la ragazza lo evitasse.

Alphonse sogghignò con amarezza, si sentì patetico, dopotutto non era di certo impossibile per lui ritagliarsi del tempo per parlare con lei e chiarire qualora ce ne fosse l’occasione. La verità era che anche lui stava cercando di evitarla. Dopo aver notato il suo bizzarro comportamento, dovuto evidentemente dal sospetto nato dopo la morte di Piper, Alphonse non aveva fatto nulla per chiarire la sua posizione, troppo spaventato dal giudizio della giovane ragazza.

Mentre immaginava i più orribili degli scenari, spaventato dall’indifferenza e dal possibile odio della ragazza, Alphonse ricordò le parole di Alic. Stava di nuovo accettando le circostanze senza reagire, senza impegnarsi o per lo meno provare a cambiarlo.

Il giovane minatore si sentì una feccia, un vero schifo, un patetico vile codardo. Se ne rendeva perfettamente conto, eppure era ancora lì immobile con il cuore e lo stomaco che tremavano di paura. Cosa avrebbe dovuto dirle? Anche se avesse provato a risolvere le cose, non sapeva quali parole usare.

“Non sono stato io! Sono innocente!” Si immaginò la scena nella sua mente, e scuotendo il capo si sentì doppiamente stupido. Ma dopotutto quello era solo un’altra scusa per scappare da ciò che il cuore realmente gli dettava. 

“Alphonse? Hai preso l’abitudine del vecchio vedo, sempre assorto nei pensieri” Orin con una risata sbucò dall’uscita del Santuario.

“Zio, cavolo mi hai spaventato” Sospirò Alphonse, preso alla sprovvista.

“Scusa figliolo, scusa” Con un grosso sorriso e una strana vitalità, l’uomo si avvicinò a lui. “Che c’è che non va? Qualcosa ti turba? Hai il viso torvo…”.

Alphonse trovò in parte quella domanda piuttosto strana e fuoriluogo.

“Beh per iniziare è morta una persona. Poi siamo bloccati qui, in questo posto. Mi chiedo se resteremo qui in eterno”.

Orin spense il sorriso e fece a sua volta un grosso sospirò “Lo so, sto cercando di sorridere e di prenderla sul leggero, ma non ho dimenticato. Però buttarsi giù non porta a nulla dico bene? Una soluzione la troveremo, sempre se hai la volontà di reagire!”.

Alphonse alzò il capo sorpreso. Quelle parole erano molto simili a quelle che suo padre gli aveva pronunciato tanti anni prima, durante il periodo più brutto e oscuro della sua vita: dopo la morte di sua madre..

“Sai Alphonse, immagino che anche tuo padre te l’abbia detto ma, ogni volta che ti guardo mi porti alla mente Lucia. Somigli veramente tanto a tua madre sai?Anche nei modi e nella gentilezza, che tanto la caratterizzavano. Sarebbe fiera nel vedere che tipo di persona sei diventato”.

Alphonse si alzò in piedi tenendo il capo chino, evitando di guardare negli occhi suo Zio. “Ah sì? Secondo me rimarrebbe delusa”.

Orin aggrottò la fronte “Perchè dici così?”.

“Tutte le volte che si è presentato un problema, tutto ciò che ho fatto nella mia vita è fuggire. Ho accettato ogni torto, ogni critica, ogni dispiacere, ho accettato persino colpe che non mi sono mai appartenute. A lavoro, nella vita privata e anche adesso in questo preciso istante, tutto ciò che ho fatto è stato accettare passivamente ogni cosa, ogni sguardo dubbioso, ogni sospetto. Anche quando è morta mamma, per fuggire dal dolore mi sono chiuso in me stesso, ho imbracciato il piccone e mi sono annullato per il lavoro, per il mio villaggio, per il regno di Alabathia. Ho passato la mia intera esistenza a mettere da parte me stesso, a non valutare me stesso, a non affrontare mai le mie paure”.

Orin restò in silenzio, ad ascoltare lo sfogo di suo nipote, che continuò a buttare fuori tutto il dolore che era rimasto sopito nel suo cuore.

“Vuoi sapere la verità Zio? L’unico motivo per cui passo giornate intere a battere la roccia è perché finché sono in una cava buia, lontana da tutti, continuamente a lavoro, ho la scusa perfetta per fuggire da ogni cosa. Io non dovrei essere qui… non meritavo questo privilegio, non merito la stima del Principe o del Regno”.

Alphonse fece fatica a trattenere le lacrime, sentì la gola annodarsi e gli occhi inumidirsi.

Orin comprendeva il dolore di suo nipote. Il suo problema lo sentiva estremamente vicino a se e per questi motivi riuscì ad empatizzare moltissimo con lui. 

L’uomo poggiò la sua grossa mano sulla spalla del nipote e gli fece un gran sorriso.

“Se c’è una cosa che ho capito è che tutti fuggiamo. Ci sono modi e modi per farlo, ma nel bene o nel male tutti quanti fuggono. Per quanto riguarda me, fuggire è la cosa che mi è sempre riuscita meglio, mi ha allontanato da persone alla quale volevo bene, da una vita che desideravo diversa. Non sei da solo figliolo, non sei l’unico che vive questo disagio. Ma questo non vuole essere un modo per te di giustificarti affinché tu possa girare le spalle nuovamente dai tuoi problemi, ma deve essere un modo per darti la forza di agire. Quando pensi che i tuoi problemi siano insormontabili pensa a tutte le persone che sono nelle tue stesse condizioni e invece di compatire, sfrutta quella consapevolezza. Non sei solo Alphonse, se riesci a prendere consapevolezza di questo allora potrai trovare la forza di cambiare le cose e donarla anche a chi come te è rimasto intrappolato”.

Alphonse rimase senza parole, incidendo a fuoco quelle parole nel suo cuore come null’altro. Orin girò le spalle del nipote verso di lui e gli mostrò un sorriso orgoglioso.

“Lascia perdere cose come stima o riconoscimento. Quello che conta davvero è ciò che vuoi tu. Non hai nulla da dimostrare a nessuno, non hai da vivere per le aspettative di nessuno. Se sei fuggito fino ad ora, non devi vergognartene. Puoi ricominciare, puoi farlo ora, puoi smetterla di battere Silderium solo per fuggire dai problemi, puoi farlo per ciò in cui credi, o puoi anche mollare tutto e fare altro. Chiediti che cos’è che vuoi, abbraccia l’idea che non sei da solo e usa quella forza per guidarti”.

Le parole di suo Zio, donarono ad Alphonse una nuova determinazione. Orin era in grado di toccare l’anima delle persone con le sue parole, forgiandole in persone migliori allo stesso modo di come forgiava il miglior acciaio del regno. Alphonse aveva dinanzi a sé un percorso arduo da superare, ma non era solo in quella impresa. 

“Zio Orin…grazie” Alphonse fece un inchino di cortesia e Orin scoppiò a ridere.

“Oh andiamo figliolo! Non serve che mi mostri così tanta riverenza, mi metti a disagio”.

Alphonse sorrise, alleggerito nel cuore e nell’anima dopo quella chiacchierata con suo Zio.

Orin gli diede una pacca sulla spalla mostrandogli il più grosso sorriso che aveva mai fatto. Per chi non lo conosceva davvero, Orin Armstrong appariva essere minaccioso, burbero e severo. Ma invero, sotto quell’aria austera, si celava un uomo buono, di incacolabile saggezza, dal cuore tenero ma forte.

Purtroppo però il momento di serenità tra i due terminò in fretta. Harris uscì dal Santuario con uno sguardo grave sul volto.

“Eccovi, presto venite, Anglia ha scoperto qualcosa”.

Orin e Alphonse si guardarono per un breve istante, poi tornarono dentro.

Al centro del Santuario c’erano tutti tranne Simon, che continuava a calibrare il suo Trapezoedro in un buio angolo di uno dei corridoi. C’era di nuovo un’aria pesante all’interno di quella cava ipogea, più del solito. Qualsiasi cosa Anglia avesse scoperto, non era niente di buono.

“Anglia, procedi pure” Harris si affiancò al suo braccio destro e la donna obbedì.

“Ho esaminato i resti di Piper. Il Rigor Mortis non si è ancora presentato”.

Tutto il gruppo restò senza parole.

“Ehi andiamo, non è possibile” Disse Alic “E’ morta da quasi due giorni”.

“Se non ci credi, puoi guardare tu stesso” Rispose schietta Anglia “Il sangue è ancora fresco, il suo corpo non mostra alcun segno di decomposizione”.

Leah era sconvolta. Oltre a provare un tremendo dolore nel riesumare l’argomento, non si spiegava come fosse possibile. Ma proprio in quel momento, sentì di avere un dovere nei confronti di tutti.

“Anglia, posso chiederti una cortesia?”

Tutto il gruppo si voltò verso Leah, anche Harris posò il suo sguardo preoccupato su di lei.

“Di cosa si tratta?”.

“Ho bisogno di un campione del suo sangue”.

“E di grazia, a cosa ti servirebbe?”.

Leah tolse dal suo viso quell’espressione abbattuta e diventò seria “Voglio fare dei test. Il sangue di Piper non si è ancora seccato dico bene? Vorrei mettere a confronto il suo sangue con il nostro e dal processo potrei trarne informazioni utili”.

Nessuno sembrò obiettare a quella richiesta.

“Capisco, quindi ti serve il nostro sangue dico bene?” Orin incrociò le sue grosse braccia. “Spero non stiamo parlando di una grande quantità. Il cibo scarseggia, privarci del nostro sangue equivarrebbe a indebolirci tutti quanti”.

“Oh no, solo una piccola fialetta è più che sufficiente" Sorrise Leah “Nulla di esagerato”.

“Urgh, devo proprio farlo per forza?” Alic diventò pallido. 

Aoki tirò dunque fuori il kunai dalla fondina “Ok, ci penso io. Tranquilli non vi ferirò in modo grave”

Le parole di Aoki non aiutarono, Alic voleva mettersi a piangere, ma Leah lo fulminò con lo sguardo. Ancora non lo aveva perdonato per il suo “complimento” indesiderato al suo seno.

“Siete crudeli vi dico. Crudeli!”.

 

Leah prelevò il sangue di tutti i presenti, lasciando momentaneamente fuori solo Simon, per osservare da vicino le proprietà e differenze tra il loro sangue e quello di Piper. Leah aveva numerose volte lavorato a stretto contatto con l’argomento durante lo sviluppo di Curie, quindi era la persona più esperta e adatta per trarre conclusioni concrete.

Intanto Anglia portò i resti di Piper avvolti da un grosso panno, nella buca scavata da Harris e Alphonse. 

Tutto il gruppo si radunò attorno a quella improvvisata tomba in totale silenzio, mentre Anglia la seppelliva. Leah pianse in silenzio davanti a quell’umile rito per darle gli ultimi saluti. Alphonse aveva i pugni stretti, ora più che mai non avrebbe mai perdonato chiunque avesse compiuto un simile disgustoso atto. Harris la pensava allo stesso modo, il suo sguardo era colmo di rabbia e dolore.

“Troveremo chi ti ha fatto questo” Disse il principe stringendo il pugno “E’ una promessa Piper”.

Nessuno disse altro. Restarono tutti lì in silenzio a lungo, rivolgendo una preghiera alla Dea Enneas, per poi uno alla volta congedarsi.

Gli unici a rimanere lì il più del dovuto furono Leah e Alphonse. L’ultima volta che erano rimasti da soli in quel modo era stato sulla Fraternity, con gli occhi puntati ad un brillante avvenire colmo di possibilità e successo. Ma in un batter d’occhio, tutta quella speranza si era tramutata in disperazione, desolazione, dolore e morte.

Leah però non aveva più lacrime da versare, doveva reagire e superare quell’immenso dolore, solo così poteva davvero rendere onore alla sua tragica morte.

C’era però una cosa che Leah non sapeva, qualcosa che Piper aveva rivelato solo ad Alphonse in un momento di debolezza. Era giusto che lei sapesse…

“Prima di morire, Piper mi ha detto una cosa…” Alphonse le parlò per la prima volta dopo quel che sembrava un’eternità. Leah sorpresa si voltò verso di lui, ma Alphonse non distolse lo sguardo, decise di affrontarla e di dirle tutto ciò che aveva dentro. “Mi ha detto che il motivo per cui ti trattava con freddezza, era perché non riusciva a perdonarsi per averti abbandonata quel giorno. Le tue azioni, ciò che è successo al tuo corpo, lei attribuiva la colpa solo a se stessa. Lei non sopportava il tuo perdono, non sopportava il fatto che tu nonostante tutto, al suo ritorno avessi deciso di tornare a parlarle. Non lo ha mai accettato, perché voleva che tu la odiassi…”.

Leah era sconvolta, non sapeva cosa dire. Alphonse però continuò a parlare, fissando quella triste tomba. Fu lui a piangere al posto suo, i suoi occhi si erano inumiditi e una lacrima scese lungo la sua guancia.

“Lei ti voleva bene. No… lei ti amava. E volevo davvero che questo ciclo di odio non voluto, di sensi di colpa mal riposti finisse per voi. Ma non avrei mai pensato che…” Alphonse si sentì le gambe molli, un dolore inimmaginabile lo travolse rompendogli la voce “Non avrei mai pensato che sarebbe successa una cosa così orribile! Perché?! Perché ora devo vivere con il ricordo di quel sorriso colmo di speranza, strappato in questo modo?!” Alphonse si portò le mani sul volto.

Piangendo, il giovane minatore lasciò scorrere tutto il dolore soppresso, mentre le sue lacrime bagnarono i suoi guanti. Leah si sentì disgustata da se stessa, si avvicinò a lui e lo abbracciò. Il calore della giovane fanciulla e il suo buon odore lo avvolse calmando il suo tormento.

“Non potevi fare nulla…” Disse Leah mordendosi il labbro. “Non potevi saperlo. La colpa è solo di quel mostro assassino, non tua”.

Alphonse rivolse il suo sguardo a lei e Leah gli poggiò una mano sulla guancia umida in una sottile carezza. “Non possiamo cambiare le cose. Ma possiamo trovare il responsabile e fermarlo” La ragazza aveva uno sguardo e una voce determinata. “So che assieme possiamo farcela”

“Quindi non sospetti di me…?” Chiese Alphonse sorpreso. “Ero convinto che credessi fossi io l’assassino”.

Leah scosse il capo “Sono stata una sciocca e una stupida. I miei sospetti sono nati dal mio cuore affranto e dalle mie insicurezze. Quella non ero io, mi dispiace Alphonse… non ci sono giustificazioni per la mia crudeltà”.

“Smettila” Sorrise Alphonse tirandosi su il naso e dandosi una sistemata “Sono io che devo chiederti scusa. Volevo parlarti prima, chiarire prima, ma ero troppo spaventato dal tuo giudizio. Devo proprio essere patetico ai tuoi occhi”.

“No sciocchino” Lei sorrise, per poi rendersi conto di essere molto vicino a lui. Lei diventò tutta rossa e tolse le mani dal suo volto. Tutta la seriosità di prima diventò ora timidezza. “Non esiste che una persona come te possa aver fatto una cosa così crudele. Alphonse io credo in te”.

Alphonse si sentì sollevato e annuì. Si tirò su il naso, cercò di riprendersi dal pianto asciugandosi le lacrime con l’avambraccio e mostrò a Leah uno sguardo di rinnovata determinazione: "Troviamolo assieme ok? Troviamo il mostro che ha fatto questo a Piper”.

Leah a sua volta assentì seria in volto “Per qualsiasi cosa, sarò sempre al tuo fianco”.

La giovane farmacista strinse i pugni davanti a sé.

Una nuova forza, una nuova speranza li avvolse. Alphonse si sentì come nuovo, rinnovato nel sapere che Leah fosse tornata ad essere una sua alleata. 

 

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Capitolo 9
*** Atto 1-9; (Calibrazione) ***


Mentre Alphonse e Leah tornavano nel Santuario, il giovane minatore decise di farle una domanda per chiarire un dubbio che da un po’ continuava ad assillarlo.
“Ehi Leah, posso farti una domanda?”.
La ragazza si voltò e con un sorriso annuì. “Certo, di che si tratta?”.
Nonostante Leah avesse dimostrato di essere in grado di superare il dolore, Alphonse comunque si sentì piuttosto a disagio a portare a galla nuovamente i ricordi di una persona a lei cara. Ma ormai aveva lanciato il sasso, doveva proseguire…
“Riguardo Piper, c’è una cosa che non riesco a togliermi dalla testa da un po”.
“Ovvero?” Leah spense il sorriso.
“Mi chiedevo cosa sapessi del libro che si portava sempre dietro. Essendo sparito dalla scena del crimine, probabilmente quel libro è di vitale importanza o comunque una prova fondamentale per dimostrare la colpevolezza del suo killer. Da quanto tempo si porta dietro quel libro? Tu la conoscevi da più tempo di tutti no?”.
Leah ci pensò bene e non le ci volle molto per rispondere. “Piper è sempre stata attaccata ai libri di qualsiasi tipo e grandezza. Ma sono abbastanza sicura di non averla mai vista portarsi dietro quel libro prima che lei partisse”.
“Quindi, Piper ha iniziato a portare con sé quell'enorme libro solo dopo essere tornata, giusto?”.
Leah annuì “Può testimoniarlo anche Simon in realtà. Anche lui, come me, conosce Piper da parecchi anni. Sono sempre stati compagni e colleghi, anche prima delle loro attuali posizioni. Se devo azzardare un’ipotesi, Piper ha iniziato ad avere con se quel libro quando ha iniziato a lavorare come archivista del regno”.
Alphonse si portò una mano sul mento in riflessione.
“Capisco. Lei è diventata archivista dopo essere tornata vero?”.
Leah confermò: "Esattamente. Purtroppo non le ho mai chiesto nulla del libro, poiché la nostra relazione si era arenata, ma prima del viaggio lei aveva spesso dei libri in mano, ma nulla che somigliasse a quello strano che si portava sempre dietro”.
Qualunque contenuto avesse quel libro, era evidente che Piper ne avesse ottenuto possesso dopo il suo rientro dal misterioso viaggio che aveva causato la morte dei suoi genitori. Alphonse pensò che si trattasse di una specie di cimelio di famiglia, un memento che Piper si portava sempre dietro, tuttavia il giovane minatore ricordava bene che Piper non avesse più memoria dei suoi genitori.
“Forse se lo portava dietro per cercare di ricordare?” Pensò tra sé e sé "O forse il motivo per cui quel libro è sparito dalla scena del crimine è perché in qualche modo collegato all’incidente di cui lei e i suoi genitori sono stati vittime, e per estensione alle vicende in cui siamo coinvolti”.
“Mi spiace” Disse poi Leah abbassando il capo “Non so in quale altro modo posso aiutarti”.
“No, va benissimo” Sorrise Alphonse “Ti chiedo scusa per aver sollevato la questione”.
Leah gli puntò il dietro contro con rimprovero “Hai il brutto vizio di dire continuamente scusa. Non c’è nulla di cui devi scusarti! Puoi chiedermi quello che vuoi” Infine rilassò lo sguardo e sorrise.
Alphonse a sua volta si grattò la nuca sorridendo “Hai ragione”. E stava per dire di nuovo scusa, ma si fermò in tempo.
Quel breve momento di serenità tra i due però fu bruscamente interrotto. Le gambe di Leah cedettero e fu solo grazie ad Alphonse, che a sua volta si sentì improvvisamente indebolito, a sorreggere il suo corpo.
Si udì un sussurro. Questa volta fu più facile percepire quell’incomprensibile bisbiglio. Simultaneamente si sollevò una brezza di vento gelido, che ululò attraverso i fori della caverna del Santuario, irrigidendo le loro ossa e tendini, ormai sotto stress accumulato dalle numerose intemperie psicologiche e fisiche che quell’isola forniva.
L’intera foresta all’esterno si coprì di nebbia avvolgendo gradualmente tutta l’isola in un inquietante candore. La visibilità era nulla, il mondo era svanito all’interno di quella eterna foschia.
“Leah, stai bene?” Chiese Alphonse un po’ intorpidito.
“Sì…” Rispose lei reggendosi il capo.
Poi un tremendo grido li raggelò. Tutto il gruppo, attirati dall’urlo, scattarono verso il centro della caverna.
“Quell’urlo!” Esclamò Harris teso “Simon!”.
L’unico che mancava all’appello era proprio il giovane arcanista. 
Alla svelta, tutti accorsero verso il corridoio dove alloggiava e lì trovarono qualcosa che li pietrificò con sgomento sul posto. Un’ immensa luce bianca che emanava un sottile suono stridulo, proveniva da oltre la tenda dove Simon si era segregato per calibrare il Trapezoedro.
Orin le scansò tempestivamente e lo trovarono in stato confusionale, quasi privo di sensi, accasciato sul bordo del muro di pietra.
Leah entrò nella tenda e lo distese per terra per controllare le sue condizioni di salute.
“Simon! Rispondi!” Esclamò lei preoccupata.
Le sue pupille erano dilatate, ma per fortuna la voce della talentuosa farmacista lo riportò alla realtà. Nello stesso istante, la radianza che proveniva dai frammenti di cristallo puro sparsi per terra appassì del tutto, facendo piombare l’intera caverna nel silenzio.
Simon si mise a sedere e si portò una mano sulla testa, affaticato da qualunque cosa fosse appena successa.
“Che cos'è appena successo?” Chiese turbato Aoki.
Simon non rispose. Combattendo l’emicrania iniziò a cercare disperatamente tra le sue cose.
“Dove diavolo l’ho messo?” Si disse tra sé e sé. “Dopo aver tirato fuori della carta e un gessetto di cera nero in mezzo a tutti i libri e tutti gli aggeggi dalla sua sacca, iniziò a disegnare qualcosa sulla ruvida superficie della pergamena: un cerchio magico a nove punte, qualcosa che nessuno di loro aveva mai visto.
“Ecco qua…” Disse Simon e poi si accasciò di nuovo al suolo, questa volta privo di sensi e stremato dallo sforzo. Per disegnare quel cerchio aveva fatto appello a tutta la sua forza di volontà e alla sua immensa dedizione alla ricerca.
Qualunque cosa Simon avesse appena disegnato su quel foglio di carta, avrebbe portato delle risposte importanti, o forse nuovi intricati misteri, almeno questo era il pensiero collettivo che albergava nelle menti del gruppo.

Simon non accennava a risvegliarsi. Le sue forze erano venute a meno e Leah si stava occupando di lui, osservando qualsiasi possibile sintomo potesse manifestarsi.
“Come sta?” Gli chiese Alphonse.
Leah poggiò una mano sulla fronte di Simon. “Non ha la febbre e il battito è debole. Qualcosa lo ha stremato enormemente, e ha bisogno di riposare. Con molta probabilità resterà in queste condizioni fino al calar del sole”.
Alphonse incrociò le braccia preoccupato “Qualche idea a riguardo?”.
Leah scosse il capo “No. Ma mi chiedo perché ha urlato in quel modo. Cos’era quella luce di prima?”.
Alphonse aveva un vivido ricordo di quella scena. Non aveva mai visto una luce tanto intensa in vita sua, se non in quella indimenticabile esplosione di radianza che era avvenuta prima del naufragio. Ma la cosa che più di tutte aveva attirato la sua attenzione erano quei nove frammenti di cristallo.
“Di nuovo quel numero…” Disse Alphonse pensoso “Quei frammenti di cristallo al suolo, che sia il trapezoedro?”.
“Come sarebbe a dire è quasi finito?!”
Improvvisamente la voce di Alic echeggiò lungo il corridoio. Anche Leah voltò lo sguardo e lì lo videro davanti ad Orin, che fissava lugubre le casse di rifornimento con sguardo pensoso..
“Di questo passo non resisteremo a lungo” Disse il fabbro “Non c’è abbastanza cibo e nei dintorni non abbiamo trovato nulla”.
“Sulla nave!” Esclamò Alic con un sorriso nervoso “M-Magari sulla nave c’è qualcos’altro!”.
“Certo, una seconda occhiata non fa male” Ammise Orin grattandosi la nuca “Ma non possiamo continuare a pregare di trovare cibo dalle casse del relitto. Ci serve una fonte sicura di viveri, o moriremo tutti di fame”.
La dura verità lì colpì come una frusta dentata, il cibo stava finendo e dovevano fare qualcosa alla svelta.
“Qualcuno ha qualche idea?” Chiese disperato Alic. “Avete per caso visto qualcosa? Qualsiasi cosa?”.
“Onestamente no” rispose Aoki “Ma con questa nebbia non possiamo esplorare liberamente. Inoltre separarci è molto rischioso, non dimentichiamoci che potrebbe esserci un assassino tra di noi”.
“E’ rischioso, ma non impossibile” Orin si voltò verso il gruppo, prima che lo sconforto potesse prendere il sopravvento. In passato aveva gestito crisi molto grandi, come durante il crollo della diga di Steepfall. “Se entro i prossimi giorni non troviamo del cibo, passeremo la prossima settimana a digiuno. Saremo tutti più deboli e la possibilità di trovare del cibo scarseggierà sempre di più, azzerando completamente le nostre possibilità di sopravvivenza. Dobbiamo agire e in fretta…”.
Orin però sorrise determinato e guardò tutti i presenti “Ma non è tutto perduto, abbiamo tempo. Dobbiamo sfruttare questa risorsa per esplorare in modo approfondito quest’isola. Ma non posso farlo da solo, ho bisogno della vostra collaborazione, solo così potremmo avere una chance di successo. Da domani mattina partiremo alla ricerca di cibo non temete, farò in modo che nessuno di voi sarà in pericolo, avete la mia parola”.
Le parole di Orin rincuorò lo spirito appesantito del gruppo. Bisognava concentrarsi maggiormente sulla cosa più importante per assicurare una qualsiasi possibilità di fuga da quell’isola infernale. La strada sarebbe stata ardua, lunga, piena di difficoltà e ostacoli, ma insieme avrebbero potuto farcela.
Condividere un fardello, non sentirsi soli di fronte alle difficoltà, Alphonse finalmente capì cosa aveva portato la salvezza a Steepfall in quella fatidica sera. Collaborazione e unione, da solo suo Zio non avrebbe mai potuto salvare la diga quella notte, e a rendere quel miracolo tale, erano state le azioni di coloro che credevano che il loro contributo, preso singolarmente, potesse essere insufficiente. Il risultato finale non era garantito, ma senza la ferma decisione di agire, senza mai arrendersi, azione per azione, quel risultato non avrebbe cambiato il suo esito in positivo.
Alla fine il gruppo consumò il suo pasto, lasciandone un po’ per il povero Simon che continuava ad essere privo di sensi negli alloggi di Leah. Ma al calar del Sole, quando anche la nebbia finalmente si era ritirata, Simon riaprì gli occhi.
“Oh! Simon!” Esclamò Leah mettendosi in ginocchio davanti a lui “Come ti senti?”.
“Mi sento come se una mandria di cavalli mi avesse investito” Rispose lui reggendosi la testa “Cosa mi è successo?”.
Tutto il gruppo accorse sul posto quando sentirono la voce di Simon. Alphonse spiegò lui cos’era successo per filo e per segno, menzionando il suo urlo, la forte luce, i nove frammenti di cristallo e lo strano cerchio magico che aveva disegnato sulla pergamena prima di perdere definitivamente le forze.
Simon passò in rassegna ai suoi ricordi e annuì “Sì… ricordo tutto. Per fortuna le mie memorie non sembrano essere compromesse”.
“Allora sarebbe ora che tu ci dessi delle risposte” Disse Alic incrociando le braccia “Si può sapere cos’è successo?”.
Simon si sollevò con i gomiti e si mise seduto anche con l’aiuto di Leah che lo aiutò a stare comodo.
“Prima di poter parlare…” Simon si portò una mano sullo stomaco che brontolava “Spero ci sia rimasto qualcosa da mangiare”.
Orin allungò lui il suo umile pasto e l’appetito del giovane arcanista fu immediatamente saziato, per quel poco che ahimé restava delle scorte. Fu però sufficiente a metterlo in decenti forze per affrontare il discorso che stava per iniziare.
Simon sospirò “Dunque… da dove inizio?” Si chiese pensoso “Iniziamo dall’urlo. Durante la calibrazione, un'immensa potenza magica mi ha avvolto e ha iniziato ad entrare in risonanza. Il fenomeno è molto simile a quello che è avvenuto sulla Fraternity, e infatti quando il flusso si è arrestato, il mio Trapezoedro si è frantumato”.
“Se non sbaglio hai spiegato che l’unica persona a poter causare una simile reazione è un mago dico bene?” Chiese Aoki “Vuoi dire che è stato un mago a distruggere il Trapezoedro?”.
Simon si aggiustò gli occhiali “Ecco perché ho specificatamente detto che è molto simile a ciò che è avvenuto sulla Fraternity, non del tutto identico. Un mago può portare in risonanza una piccola o una grande quantità di Silderium, anche in base a che tipologia di potere egli esercita. Ma il Trapezoedro non è composto di Silderium, non esiste cristallo che possa immagazzinare la completa energia presente all’interno di un frammento di materiale grezzo. Se io tentassi di trasferire troppa energia dal minerale madre al cristallo, esso si distruggerebbe istantaneamente, allo stesso modo di come è successo al mio Trapezoedro”.
“Ma qui non c’è Silderium” Disse Alphonse perplesso “Infatti se non ricordo male, il tuo compito era solo di calibrare lo strumento, non di caricarlo”.
Simon annuì “Esatto, caricarlo senza materiale è impossibile. Eppure mentre calibravo il Trapezoedro, esso è esploso davanti a me”.
Tutto il gruppo si guardò confuso.
“Vuoi dire che qualcosa lo ha caricato? Qualcosa di simile al Silderium?” Chiese Harris.
“Esatto. Mentre calibravo il cristallo, il mio corpo è stato violentemente scosso da un’incredibile fonte di magia, ed è stato proprio lì che ho avuto modo di vederlo: quel cerchio magico”.
Harris che già sapeva che avrebbe tirato fuori l’argomento, lo aveva già prelevato dai suoi alloggi e lo aveva consegnato nelle mani dell’arcanista. Lui aprì la pergamena e la osservò attentamente.
“Allora?” Alic era impaziente di saperne di più, ma Simon si era zittito all’improvviso, finché non decise di parlare.
“Capisco, quindi è di questo che si tratta…” Disse Simon facendo un sogghigno, per poi posare di nuovo lo sguardo sui presenti. “Questo simbolo è tremendamente simile ad un simbolo che tutti gli arcanisti dovrebbero conoscere: l’Enneagono. Viene anche comunemente chiamato il Cerchio Bianco. Fu mio nonno Evans Emelent a studiare l’argomento durante la Grande Guerra, portando alla nascita dell’Arcanismo Moderno. Mio padre portò avanti le sue ricerche, diventando un ricercatore dell’Enneagramma. Chi studia l’Arcanismo, dedica la sua vita a cercare di comprendere e dare un senso all’esistenza stessa, l’Enneagramma è l’insieme di tutte le risposte che mio nonno riuscì a trarre dai suoi studi sulla natura del mondo, e nei suoi scritti, oltre ad esserci un simbolo molto simile a questo, ci sono numerose prove che il nostro mondo sia legato al numero dispari Nove. L’Ennagono è una sorta di paradosso, una ricetta perfetta se così si può dire, che racchiude al suo interno tutto ciò che è necessario per creare la vita”.
Simon mostrò la pergamena al gruppo.
“Per ogni punta dell’Enneagono abbiamo i Quattro elementi: Fuoco, Terra, Acqua e Vento. Poi subito dopo abbiamo la Tria Prima: Sale, Zolfo e Mercurio. E infine l’unione degli opposti: Sole e Luna, Luce e Oscurità. Nove elementi, nove principi raccolti in una singola ed unica struttura, nonché lo schema assoluto di tutto il creato”.
“Mi hai completamente perso” Orin si grattò il capo e anche gli altri sembravano non aver capito.
Simon girò la pergamena e iniziò a disegnarci sopra una croce.
“I Quattro elementi: Tutto ciò che vediamo, tutto ciò che è tangibile in questo universo è composto dall’unione di alcuni o tutti questi elementi. Il ciclo che mantiene il mondo vivo, fertile, in grado di preservarsi, è dovuto al fatto che una stella di medie dimensioni si trova ad una distanza adeguata per permettere la vita. Il calore di questa stella, il fuoco, fa evaporare l’acqua ed esso si tramuta in pioggia, che riversandosi sulla terra, trascinato dai venti, la rende fertile. E’ tutto chiaro fin qui?”.
Tutto il gruppo annuì.
Simon dunque passò al seguente schema.
“La Tria Prima: Sale, Zolfo e Mercurio, sono i componenti principali di ogni forma di vita organica, compresi animali e uomini. Senza questi tre componenti, non esisterebbe forma di vita biologica”.
Alic fece il conto con le dita e sentendosi intelligente batté il pugno sul palmo della sua mano.
“Ah! Quindi mancano gli opposti! Senza Sole e Luna, non esisterebbe giorno e notte, odio e amore, bene e male, dico bene?”.
Simon assentì “L’unione degli opposti significa che l’intero creato si basa su una costante dualità che esiste solo perché né esiste a sua volta una sua controparte, di conseguenza, senza questa dualità non è possibile generare la vita. Ad esempio l’unione tra una donna e un uomo genera la vita, questo è solo uno dei tanti esempi di l’unione degli opposti”.
Alic ridacchiò pensando “all’unione” dei sessi e Leah gli tirò un grosso cazzotto sulla schiena.
“AHIO! C’e n’era davvero bisogno?!”.
“Quindi…” Aoki riprese il discorso dopo il teatrino comico “Se hai visto l’Ennagono mentre calibravi il Trapezoedro, cosa sta a significare?”.
“Onestamente, non so dare una risposta precisa” Rispose Simon scuotendo il capo ancora incredulo “Questo simbolo è molto simile a quello che mio nonno ha scritto sui suoi testi, ma questo Ennagono ha delle diversità che non riesco a comprendere. E’ la prima volta che vedo una cosa del genere in tutta la mia vita.” Simon mostrò loro uno sguardo serio “Ho dedicato la mia vita alle ricerche e agli scritti lasciati da mio nonno e mio padre, venire a capo di questo mistero è un mio dovere come membro della famiglia Emelent. Mio nonno prima di morire era sulla soglia di scoprire uno dei grandi misteri dell’Ennagono. Mio padre me lo accennò una volta, poiché esistono solo fogli e disegni confusi a riguardo, ma se ciò che era scritto su quei fogli corrisponde ad una verità tangibile, in grado di essere dimostrato, allora stiamo parlando di una magia antichissima, probabilmente responsabile dell’intero creato. E una magia, non può esistere senza un mago”.
Nel pronunciare quella frase, il gruppo si irrigidì sul posto. Credere alle parole di Simon era molto difficile, ma tutti, compreso Simon, si trovarono davanti a diverse incontrovertibili  e bizzarre realtà, che doveva esserci per forza qualcosa di tremendamente potente e antico in opera. E c’era solo una cosa, un solo pensiero che ora albergava tra di loro, ma solo uno riuscì ad avere il coraggio di parlare.
“Quindi, quest’isola è la dimora della Dea Enneas? E’ lei è la Maga che ha generato la vita?” Affermo Aoki “E’ questo che stai dicendo?”.
Tutti si voltarono sconvolti verso di lui. Anche se la totalità dei presenti avevano pensato alla stessa cosa, ancora faticavano ad accettarlo.
“Nove corridoi, nove sopravvissuti, nove frammenti del trapezoedro e un misterioso ennagono” Aoki elencò tutti i vari riferimenti al numero nove. “Non c’è spazio a dubbio che questo posto sia legato in modo diretto alle regole dell’Enneagramma”.
Simon si alzò in piedi facendosi leva con il muro di pietra alle sue spalle.
“Il mondo è stato generato da una magia” Disse Simon chiudendo gli occhi pensando a suo padre “Non è stata una casualità, ma il volere di qualcuno, questo è quello che credeva mio padre e per estensione mio nonno. L’Arcanismo ha avuto origine dalla Chiesa di Nona, ma con il tempo si è divisa da essa, poiché i monaci ecclesiali credevano che il mondo fosse venuto alla luce per mera casualità. Ma mio nonno era assolutamente convinto, aveva dedicato ogni momento della sua ricerca a dimostrare l’esistenza di colui o colei che avesse generato la vita. Se riuscissi a comprendere con assoluta certezza la natura di questo Ennagono, forse potrei essere io a completare la teoria di mio nonno” Simon aprì gli occhi e si mostrò più determinato di sempre. “Abbiamo bisogno di più informazioni, io ne ho bisogno. Ma prima dobbiamo sopravvivere o tutto questo sarà invano”.
Orin annuì “Hai ragione, ma ora che il tuo aggeggio è distrutto, il rituale per capire se tra di noi c’è un mago è andato a rotoli no?”.
Simon sogghignò. “Non importa, anche con il Trapezoedro in frantumi il cristallo è comunque stato calibrato per funzionare correttamente. Basterà distribuire i vari frammenti ad ognuno di noi e possiamo procedere”.
Leah mostrò uno sguardo sollevato “Quindi possiamo davvero farlo? Finalmente possiamo toglierci questo dubbio”.
La maggior parte del gruppo sembrò rallegrato dalla cosa, tuttavia lo sguardo di Harris mostrava preoccupazione. Era rimasto in silenzio tutto il tempo, mentre meditava su ogni singolo dettaglio.
Alphonse si chiese cosa avesse per la mente…

 

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Capitolo 10
*** Atto 1-10; (Stasi) ***


Leah stava sistemando il piccolo antro dove teneva le sue cose. Mettere in ordine la aiutava a tenere la mente occupata, lontana dai pensieri che voleva tenere a distanza.

Mentre allungava il suo sacco a pelo per la notte, qualcuno le fece visita.

“Disturbo…?”.

Era Simon, ancora visibilmente pallido, ma per fortuna le sue condizioni di salute miglioravano a vista d’occhio.

“Ciao Simon, hai bisogno di qualcosa?” Leah si alzò in piedi e lo accolse.

“No, volevo solo ringraziarti per esserti presa cura di me” Rispose lui sistemando i suoi occhiali “Te ne sono riconoscente".

“Ho solo fatto il mio dovere” Sorrise umilmente lei “Non serve che mi ringrazi”.

Simon non era molto bravo in quelle situazioni, ma si fece coraggio e decise di togliersi un dente marcio che si portava dietro da un po’.

“Ascolta, c’è una cosa che volevo chiederti. In realtà è da un po’ che volevo farlo, ma non ho mai avuto occasione”.

“Di che si tratta?” Chiese lei.

“Tu mi odi, vero?” Simon distolse di poco lo sguardo, forzandosi di guardala di nuovo negli occhi “Non ti sono mai andato a genio, nemmeno quando andavamo a scuola”.

Leah gli mostrò uno sguardo neutrale. “Odiare è una parola un po’ troppo estrema” Disse lei “Ma di certo non brillavi e non brilli di simpatia. Se devo proprio essere onesta, ti ho sempre visto come un narcisista pallone gonfiato”.

Simon sogghignò “Sì beh, non sei l’unica che me lo dice. Tendo a mostrare una certa superiorità o arroganza in pubblico, dovrei davvero darci un taglio”.

“Come mai questa domanda Simon? Dove vuoi arrivare?” Leah voleva arrivare al nocciolo della questione, anche se aveva notato che Simon era decisamente in difficoltà.

“Quando ti ho proposto di aiutarti con le tue condizioni fisiche, ero molto serio” Disse lui “Non lo voglio fare per curiosità scientifica o per soddisfare il mio ego, anche se sembra difficile da concepire. La verità è che io voglio davvero aiutarti…”.

Simon strinse i pugni “Non mi importa cosa pensi di me. Puoi odiarmi, denigrarmi o considerarmi una persona terribile, quello che vuoi, non fa differenza. Ma almeno prima di sparire definitivamente dalla tua vita, voglio toglierti di dosso il tuo attuale malessere”.

Leah era rimasta senza parole, non aveva mai visto Simon esternare i suoi sentimenti in quel modo. Lo aveva sempre visto con quel sorrisino da superiore stampato in bocca e mai in vita sua avrebbe immaginato di vederlo a capo chino, far fatica a formulare una frase. 

“Quello che ti è successo è anche colpa mia” Disse infine Simon “Quando tutti a scuola ti prendevano in giro, io non ho fatto nulla per aiutarti. Ero lì, che osservavo in silenzio tutto il tempo. Volevo intervenire, volevo proteggerti, ma al tempo non ne ebbi il coraggio” Il ragazzo scosse il capo con vergogna.

“Sono passati tanti anni da allora e sono diventato una persona rispettabile, con un certo potere e influenza. Ho rinunciato a tutto per la ricerca e non mi pento delle mie scelte. Sono cresciuto, ho lasciato tutto alle mie spalle e l’ho fatto senza sforzo, ma c’era solo una cosa di cui non sono mai riuscito a liberarmi: la mia impotenza quei giorni, mentre quei buoni a nulla dei nostri compagni ti trattavano male”.

Leah ricordava quei giorni in modo piuttosto nitido. La prendevano in giro per il suo aspetto, perché pur essendo una ragazza sembrava un ragazzo. Ogni occasione era buona per sottolineare la sua stranezza, per il modo in cui parlava, si vestiva, i suoi gusti diversi dalle altre bambine, ogni cosa era una scusa per darle addosso.

“Non importa Simon” Disse Leah chiudendo gli occhi tranquilla, spegnendo dalla sua mente tutti i ricordi spiacevoli “Come hai detto poco fa, ormai è tutto passato”.

“No, non è vero…” Disse lui facendo un passo avanti “Non è tutto passato!”

Leah nuovamente non seppe cosa dire.

“Lo so, ormai è troppo tardi per dire queste cose, non sono più la stessa persona e neanche tu, ma non posso tenermi questa cosa per me in eterno o mi sarà solo d’intralcio. Il motivo per cui voglio aiutarti così tanto è perché avrei voluto che tu sapessi quando invero io ti apprezzassi” Simon arrossì un po’ “Ma sono sempre stato uno smidollato a scuola, pensavo solo ai voti e a nient’altro, ma forse se ti avessi detto cosa provavo, cosa pensavo, avresti agito diversamente”.

Simon scosse il capo “E’ molto egocentrico quello che sto dicendo, me ne rendo conto. Dopotutto io non sono proprio nessuno, forse non sarebbe cambiato nulla, ma è una cosa mi porto dietro da tanto e non sono mai riuscito ad ammetterlo. Mi dispiace di cuore Leah, mi dispiace che tu abbia sofferto. Ti prego… lascia che io ti aiuti”.

Leah arrossì a sua volta “Ti ringrazio Simon” Gli sorrise “Ti chiedo scusa per averti chiamato narcisista pallone gonfiato. Mi sbagliavo su di te…”

Simon sogghignò divertito “Non ti preoccupare, non hai tutti i torti dopotutto”.

Leah abbassò il capo timida “Beh, se vuoi aiutarmi puoi farlo… ma come pensi di fare? Ormai il mio corpo è mutato in modo permanente”.

Simon si aggiustò gli occhiali “Ho saputo da Piper che in realtà il 70% del tuo corpo è completamente oscurato da una membrana violacea. Ho modo di pensare che il colore della pelle sia dovuta dalle radici del fungo Abestos. In questo momento, tu hai nel tuo corpo quelle radici e se riuscissimo a disintegrarle con l’arcanismo, forse la tua pelle potrebbe tornare al colore originale. Dubito che possiamo fare qualcosa per il tuo fisico, ma per lo meno possiamo guarire la tua pelle”.

Leah era sorpresa e speranzosa a riguardo “Pensi che sia possibile?”.

Simon annuì “Sì, tuttavia ho bisogno di esaminare il tuo corpo se è possibile”.

Leah a quel punto strizzò gli occhi “Non ci provare nemmeno Simon”.

Il ragazzo sospirò e scosse il capo “Non fare voli pindarici con quella mente peccaminosa, mi basterà vedere il tuo braccio e niente più”.

“Io peccaminosa?! Sei tu che hai detto che vuoi esaminare il mio corpo!” E gli puntò il dito contro.

“E io non ho mai detto né inteso altro” Simon si aggiustò gli occhiali “Su ora tirati su quella manica, ci vorrà solo un secondo”.

Leah non era ancora convinta, ma se era solo il braccio non le sembrò poi così terribile.

Era dunque finalmente giunto il momento della verità.

Gli ultimi raggi di Sole erano già appassiti al di là dell’orizzonte, facendo calare sull’isola una fitta e immobile tenebra, illuminata solo dalla luce argentea della Luna.

All’interno del Santuario c’era una palpabile agitazione.

Simon, che aveva pian piano ripreso colore e forze, fece radunare tutto il gruppo al centro della caverna, attorno ad una luce arcana azzurra.

Il giovane arcanista aveva radunato tutti i frammenti all’interno di un panno viola e aprendolo li distribuì uno ad uno a tutti i presenti.

Ne restava tristemente solo uno, con la morte di Piper uno dei frammenti rimase purtroppo vacante. Simon, che avrebbe gestito il processo arcano, si prese carico del secondo pezzo di cristallo purificato e una volta che i preparativi furono ultimati, guardò uno alla volta tutto il gruppo.

“Bene, sedetevi a cerchio attorno a questa fiamma” Disse “Dovete essere distanti tra di voi di almeno mezzo metro, massimo uno”.

I presenti fecero come ordinato. Simon si occupò di aggiustare le distanze in modo preciso e alla fine si mise seduto anche lui.

“Bene, chiudete gli occhi e non apriteli per nessun motivo” Disse loro “Tenete il cristallo ben stretto tra le vostre mani e non lasciatelo cadere e soprattutto, cosa più importante, non muovetevi. Respirate lentamente e restate immobili. Sarò io a dirvi quando potete muovervi liberamente, è tutto chiaro?”.

Tutti annuirono.

“Molto bene, chiudete gli occhi” Tutti chiusero le palpebre e restarono completamente immobili. A sua volta Simon li chiuse e tutto tacque, mentre rilassava il suo corpo.

Il silenzio era assoluto, finché la fiamma al centro iniziò a bruciare più intensamente. 

Simon si concentrò e usò la sua latenza arcana per veicolare l’energia della fiamma ai vari frammenti. Era un processo lento, delicato e decisamente più complicato con un trapezoedro frantumato, ma non impossibile.

Alla fine, Simon riuscì a equalizzare l’energia all’interno dei frammenti che diventò calda al tatto, mentre la fiamma al centro ritornò a dimensioni modeste. Era il momento di scoprire le carte, Simon fece girare l’energia a cerchio creando un circuito. 

L’energia arcana girava e girava ed entrava da cristallo in cristallo. Secondo le leggi dell’Arcanismo e per estensione della Magia, l’energia grezza del Silderium era naturalmente attratta maggiormente da chi possedeva le composizioni biologiche di un Mago, un po’ come una falena attratta dalla fiamma.

Decelerando l’energia si sarebbe fermata naturalmente verso tale individuo. Ma avvenne qualcosa che Simon non poté prevedere. L’energia non si fermava, continuava a girare senza sostegno passando di individuo in individuo, compreso lui stesso.

Simon osservò attentamente il fenomeno e a malapena riuscì a contenere lo stupore. Cosa stava succedendo? Era come se l’energia fosse attratta da tutti, creando un circolo infinito.

Alla fine, interruppe il processo forzatamente e aprì gli occhi, invitando gli altri a fare lo stesso.

“Allora?” Chiese Alic nervoso “Chi è il Mago?”.

Simon però ponderò bene la cosa prima di rispondere. Cos’era successo esattamente? Possibile che ci fosse stato un errore? Ma il giovane arcanista era assolutamente convinto di aver fatto i processi giusti. Il risultato era semplicemente il più bizzarro e inaspettato.

“Simon… non tenerci sulle spine” Disse Leah “Dicci chi è”.

Lui si aggiustò gli occhiali schiarendosi la gola “Il modo più corretto per rispondervi è: tutti e nessuno

Tutto il gruppo rimase senza parole.

“Tutti e Nessuno?” Alic si alzò in piedi “Che razza di risposta è? C’è o non c’è un mago?”.

Simon spiegò con calma cos’era successo e il bizzarro fenomeno che aveva caratterizzato il rituale. Alla fine della spiegazione, tutto il gruppo era ancora più confuso e scoraggiato.

“Quante possibilità ci sono che un mago possa interferire con il rituale?” Chiese Aoki serio.

“Dipende dal mago e dalle sue potenzialità” Rispose Simon “Non è difficile pensare che se un mago possa portare in risonanza un gran numero di energia all’interno del Silderium, non possa anche influenzare il flusso del Rituale, tuttavia lo trovo strano…”.

“Cosa c’è di strano?” Chiese Orin incrociando le braccia.

“Se io fossi il mago, farei di tutto pur di scaricare la colpa a qualcun altro. Se davvero il mago in questione è in grado di influenzare il movimento dei flussi di energia, allora sarebbe stato facile puntare il dito contro un’altra persona, invece non è stato così”.

“Simon tu cosa pensi?” Chiese Harris serio in volto “Qual’è la tua opinione in merito?”.

Simon ci pensò su a lungo, cercando di fare il punto della situazione e di tutto ciò che era successo fino a quel momento.

“Ci sono troppe cose che ancora non sappiamo. Non abbiamo gli strumenti adatti per capire o provare con assoluta certezza qualsiasi teoria. Le domande si stanno accumulando sempre di più, ma se devo seguire il mio istinto allora rispondo che è difficile che ci sia un mago tra di noi”.

“Ma non possiamo nemmeno escluderlo completamente” Disse Aoki “Alla fine questo rituale è servito solo ad alimentare i nostri dubbi”.

“Beh qualcosa però l’abbiamo scoperto” Aggiunse Leah “Se davvero c’è un mago tra di noi, allora è in grado di influenzare il flusso di energia. Mi pare di aver capito che non tutti i maghi ne sono in grado”.

Simon annuì “Esatto, i maghi hanno poteri diversi e variegati. Con questo rituale abbiamo identificato la possibile natura del suo potere”.

“E questo cosa ci aiuta a capire?” Chiese Alic depresso “Nulla dico bene?”.

Purtroppo non c’era nulla di concreto tra le loro mani, solo tante incertezze e dubbi. Il silenzio perdurò a lungo, presagendo l’arrivo un altro periodo indefinito in cui potevano solo farsi strada tra tenebre e misteri.

Alla fine tutti si congedarono nei loro corridoi, ma Alphonse nonostante la stanchezza non riuscì a dormire. Aveva troppi pensieri per la testa, troppe informazioni da elaborare. Cosa stava succedendo su quell’isola? Perché tutto sembrava non avere senso? Era come se le leggi della natura fossero completamente diverse dal normale.

Ora più che mai sentiva l’urgenza di tornare a casa e di porre fine una volta e per tutte a quel terribile incubo. Si sentì il cuore stringere da una morsa di terrore e ansia, non voleva restare lì un secondo di più.

Alla fine, Alphonse scattò dal suo stato di dormiveglia, quasi come se fosse stato percosso da una forte scossa. Soltanto stare sdraiato lo disturbava, aveva bisogno uscire da quel buco il più velocemente possibile.

 

Simon era in piedi davanti alla tomba di Piper. Una fiamma di luce arcana fluttuava a fianco a lui, illuminando sufficientemente l’area. Restò a fissare quella triste lapide per parecchio, mentre il silenzio assoluto dell’isola lo avvolgeva.

Poi dei passi…

Alphonse era sveglio nel cuore di quella notte e si stava avvicinando.

“Simon? Che ci fai sveglio?” Chiese il giovane minatore.

“Credo di aver dormito anche troppo” Rispose lui con un mezzo sorriso “Sono rimasto privo di sensi per metà giornata e mi ha completamente squilibrato gli orari di riposo. E tu invece?”.

“Semplicemente non riesco a dormire” Ammise lui “Troppi pensieri”.

“Non sei abituato a situazioni molto complesse, vero? Agli inizi era così anche per me, quando ancora non sapevo di voler essere un arcanista. Quando ho scoperto la mia vocazione, la mia vita è diventata molto più complicata. Certo… non mi aspettavo di finire su un’isola deserta, né di perdere un’amica e collega nel modo più terribile e disumano possibile, su quel fronte indubbiamente siamo in due a soffrirne".

“Conoscevi bene Piper?” Chiese Alphonse.

“La rispettavo molto” Rispose lui “Era una ragazza molto intelligente, parlare con lei era molto stimolante, aveva spunti di riflessione interessanti e spesso dai nostri discorsi riuscivo a trarre nuovi indizi o approcci per le mie ricerche. La sua morte è stata un grande shock per me, come per tutti del resto. Tuttavia non credo fossimo così tanto vicini da considerarci addirittura amici. Non ci siamo mai confidati sulle nostre vite, era più una relazione professionale che di amicizia. E tu invece?”.

Alphonse fece un sorriso malinconico “Non ho avuto modo di conoscerla bene. Ma in quel breve periodo in cui ero assieme a lei, ho visto una ragazza spaventata, tormentata dai sensi di colpa. L’ho vista sorridere una volta però” Alzò il capo verso il cielo “Era un sorriso pieno di speranza per il futuro, un sorriso fiducioso. In quel momento di difficoltà si era fidata di me, e delle mie parole”.

Alphonse tornò con la mente a quel momento.

“Ho cercato di rassicurarla, di placare il suo tormento. Anche io ero terrorizzato dall’idea di restare bloccato lì, ma ero riuscito ugualmente a consolarla. Col senno di poi mi chiedo se darle quella speranza sia stata una buona idea”.

“Cos’altro avresti potuto fare?” Chiese Simon voltandosi verso di lui “Le hai donato pace in un momento difficile, non dovresti pentirti di tale scelta. Piuttosto mi chiedo cosa abbia causato tanto tormento in lei. Di solito non si faceva mai controllare dalle emozioni. Onestamente è piuttosto insolito immaginarla spaventata per qualcosa, a meno che non sapesse qualcosa: una verità terribile sepolta nella sua coscienza, qualcosa che quest’isola ha risvegliato in lei”.

Quelle parole criptiche crearono in Alphonse una profonda inquietudine. Il motivo dello sgomento di Piper era effettivamente un mistero, così come il contenuto e la natura del libro mastro che portava sempre con sé.

“Alphonse, c’è una cosa che vorrei chiederti” Simon improvvisamente mutò il suo sguardo in uno riflessivo. “Secondo te, quanti anni aveva Piper?”.

“Uh?” Il giovane minatore era confuso dalla natura di quella domanda “Non sai quanti anni aveva?”.

“Non è questo il punto, lo chiedo a te per un motivo logico. Sai dirmi quanti anni aveva Piper?”.

Alphonse ci pensò su. “Beh, così su due piedi, direi diciassette?”.

Simon sogghignò come se avesse voluto dire “lo sapevo”, chinandosi verso il basso dove c’era la tomba. “Si ho avuto anch'io quell’impressione” Disse poggiando la mano sul terreno. “In realtà però Piper aveva 22 anni. La stessa età mia e di Leah. Eppure di aspetto era molto vicino a quello di una ragazzina, dico bene?”.

“Dove vuoi arrivare?”.

“Ci fu un periodo in cui Piper rimase via dal regno per tre anni” Spiegò lui “Sono certo che tu ne hai sentito parlare da Leah, dico bene?”.

Alphonse annuì, ricordando la storia.

“Normalmente cosa succede quando non vedi una persona per tre anni?” La domanda retorica di Simon suscitò interesse in Alphonse.”Noti dei cambiamenti, si cresce, si invecchia, questa è la risposta più logica. Il fatto è che Piper non è cambiata di una virgola dal giorno in cui è partita fino a quella in cui è tornata. E’ un po’ come se il tempo per lei si fosse congelato”.

Quella singola frase causò in Alphonse uno spasmo di adrenalina. Tutto il suo corpo rabbrividì, rendendosi finalmente conto della natura di quelle domande e ora tutto aveva più senso, così come il motivo per cui Simon stava insistendo a toccare il terreno attorno alla tomba di Piper. 

Quel luogo era illeso, eppure doveva esserci un rigonfiamento di terreno dovuto allo scavo, invece la terra era piatta e stava già ricrescendo erba. Sembrava quasi che la terra si fosse rigenerata e fosse tornata al suo stato originale.

“Non può essere…” Disse Alphonse sconvolto da quella rivelazione.”E’ per questo che il corpo di Piper non ha subito il Rigor Mortis? Quindi se tutto resta immutato, se tutto si rigenera, allora anche noi…?”

“Sì, penso sia’ l’unica possibile spiegazione. Il motivo per cui Piper non è cambiata per niente in tre anni vuole dire che è già stata qui su quest’isola” Rispose Simon serio “E non è tutto temo, penso di sapere chi altri era su quest’isola assieme a lei in quel periodo”.

“Chi?” Chiese Alphonse sempre più agitato.

“...Mio padre” Annunciò il giovane arcanista “Lui è scomparso nello stesso periodo in cui anche Piper è stata via, con l’unica differenza che mio padre non è mai tornato, quindi questo mi porta a pensare ad un’altra cosa” Simon si alzò in piedi, aveva la mano sporca di terriccio e se la fissò a lungo. 


“Lui potrebbe essere qui, da qualche parte”




 

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Capitolo 11
*** Atto 1-11; (Determinazione) ***


Due Anni Prima…

 

La spada di Harris volò via dalle sue mani per l’ennesima volta, cadendo sul perfetto e curato cortile della reggia reale. Tutto ciò che si udiva in quella splendida giornata primaverile, era il cinguettare degli uccelli e il suono calmo del flusso d’acqua proveniente dalla fontana reale.

Furono attimi di assoluto stupore in cui il giovane Principe era rimasto disarmato e senza parole, di fronte alle abilità impareggiabili del suo leale braccio destro.

Anglia abbassò la guardia e sorrise placida. Era molto raro per il cavaliere esternare così tanto le sue emozioni, evidentemente traeva piacere nell’essere la sua istruttrice.

“State bene Sua Altezza?” Chiese lei.

“Mi hai battuto un’altra volta” Disse lui sospirando “Cosa sei? Una specie di divinità della guerra? Non riesco a leggere i tuoi movimenti.E ti prego basta con questo “Sua Altezza”, puoi chiamarmi Harris”.

“Il mio dovere è proteggervi. E’ normale che sono brava” Ammise lei senza spegnere il suo sorriso, ignorando completamente la seconda parte della frase.

Harris strizzò gli occhi e sbuffò “Sei sempre la solita” Poi le fece un buffo sorriso e afferrò di nuovo la sua spada con la speranza di coglierla di sorpresa “Un’altra volta!”.

La determinazione di certo non gli mancava, ma l’esito era sempre lo stesso per via della sua prevedibilità. Anglia vinceva sempre, non tanto per le sue eccellenti doti di spadaccina, ma perché conosceva bene i pensieri del suo principe, ed era facile trovare il suo punto debole.

Alla fine della giornata però, vincere o perdere non aveva importanza per il giovane principe. Non amava il pensiero di dover togliere la vita ad una persona, di allenarsi per poter uccidere più persone possibili in guerra. Il mondo era in pace, ed era questo ciò che contava e avrebbe fatto di tutto pur di mantenere quello stato per sempre.

“Siete migliorato” Disse poi Anglia, mentre era in ginocchio a fianco a lui, durante una pausa. Harris era disteso sull’erba e osservava il cielo e le sporadiche nuvole muoversi.

Lui sorrise “E tu sei sempre invincibile. E non ti azzardare a dire “devo esserlo per proteggerti” ormai sei un disco rotto”.

Anglia sorrise appena pensando “da che pulpito”, visto la sua insistenza a sottolineare ogni volta quanto lei fosse dedita anima e corpo al suo giuramento di cavaliere.

“Stavo pensando, ci sono anche tante altre cose da fare che tenermi sotto controllo in ogni momento, no? Non hai altri hobby o passioni oltre che ad essere un cavaliere?” Chiese Harris alzandosi da terra.

“Difficile da dire” Rispose lei “Non ci ho mai pensato”.

“Allora pensiamoci insieme!” Esclamò lui sollevandosi da terra e mettendosi seduto “Non fraintendermi, apprezzo molto che tu sia sempre al mio fianco e ti considero una preziosa amica e alleata, come so che un cavaliere del tuo calibro ha prestato un delicato giuramento, ma mi rattrista vederti senza altri interessi”.

Anglia ascoltò il suo principe attentamente “Cosa consigliate?”.

“Un buon libro!” Disse lui convinto alzando un dito “Hai mai sentito parlare della Leggenda dei Nove?”.

“Leggenda dei Nove?” Anglia era perplessa. “Ho paura di non conoscere questa storia”.

Harris si a gambe incrociate, si schiarì la voce, e iniziò a farle un breve riassunto per incuriosirla.

 

La Leggenda dei Nove parla di una gloriosa e epica storia, dove un tempo vi erano nove possenti eroi, tutti fratelli e sorelle, nati dall’amore tra il Primo Uomo e la Prima Donna. La Dea decise di benedire i nove eroi dividendo la sua anima in nove pezzi e ognuno di loro ricevettero una porzione del suo potere, con lo scopo di compiere atti straordinari e infine passare la torcia alle generazioni future. Ma solo uno di loro, solo il più umile e coraggioso ricevette il Frammento di Luce: il nucleo divino che sarebbe servito per governare sugli uomini e costruire un impero degno per accogliere i figli della Dea. 

Ma gli altri otto erano invidiosi di quel potere e fu così indetto un torneo dove si sfidarono a duello! Fu un duello senza esclusione di colpi! Alcun durarono addirittura giorni interi! E nonostante i sentimenti negativi, nessuno di loro si abbassò a sporchi trucchi poiché l’unico modo per ottenere il Frammento Divino, era tramite il coraggio e la determinazione.

 

Harris si alzò in piedi e afferrò la spada “Anglia tu mi ricordi molto uno dei nove eroi della storia!” Esclamò con un grosso sorriso. “Impavida, intrepida, dal cuore forte. Sono certo che ti piacerà molto!”.

Il cavaliere sorrise a sua volta “Sì, sembra molto interessante. Sono molto curiosa sul sapere chi possa aver vinto quel torneo. Mi avete convinto”.

Harris era felice di aver trovato una compagna di lettura, oltre che ad un’ottima insegnante di scherma. 

Quelli erano giorni pacifici, giorni in cui era più facile per entrambi sorridere, finché non avvenne quella tremenda tragedia, in cui le loro vite cambiarono per sempre.

Presente

 

Ai primi barlumi dell’alba del giorno seguente, Anglia si recò all’esterno del Santuario, per dirigersi verso la piccola sorgente acquatica nella foresta. Durante il tragitto, il cavaliere si perse nei ricordi del suo passato al fianco del suo principe, e la sua mente restò distratta fino all’arrivo.

Lì, vicino al piccolo laghetto di acqua cristallina, vide Harris illuminato dai tenui barlumi malinconici del nascere del giorno. Anglia notò nuovamente quanto diverso fosse il suo sguardo e il suo comportamento, rispetto al passato.

Non lo biasimava, lei più di tutti riusciva a comprendere bene quel dolore. Tuttavia Anglia non poteva fare a meno di palesare una forte tristezza nel vederlo così, schiava di quei dolce passato, di quei indimenticabili pomeriggi quando Harris esternava tutti i suoi pensieri a lei.

Un tempo per lei, leggere i pensieri del suo Principe era cosa da poco, ma ora era l’esatto opposto. Non aveva la più pallida idea di cosa stesse pensando in quel momento.

Ma un cavaliere doveva obbedire e basta, questo era il suo giuramento. Restare ancorati al passato, alla speranza di un ritorno ai vecchi fasti, indeboliva la sua mente già gravemente provata. Era troppo tardi per tornare indietro, quel che era successo… era successo.

Quando Harris vide Anglia avvicinarsi, lui sorrise, ma quel sorriso non era minimamente lo stesso di un tempo. In quel sorriso c’erano dubbi, insicurezze, dolore, confusione e anche un pizzico di malizia. 

Da dove provenisse quella negatività, lo sapeva solo lui. Lo teneva per sé, sigillato nel suo cuore, incapace di fidarsi completamente del prossimo, anche se faceva del suo meglio per nasconderlo.

Anglia però aveva paura che il suo principe potesse crollare sotto il peso delle sue responsabilità e della sua fragile psiche. Ma nonostante ciò, la giovane soldatessa restò in religioso silenzio. Non era più nella posizione di contestare le sue scelte, poteva solo servire.

Poi, il silenzio venne rotto dal rumore dei passi sull’erba. Alphonse si era avviato dal Santuario poco dopo Anglia, ora erano tutti e tre riuniti nello stesso posto dove avevano stretto il loro patto di collaborazione.

Quella riunione però fece fatica ad iniziare. Nessuno dei tre disse una singola parola, finché non fu Harris a decidere di rompere il ghiaccio.

“Alphonse, sembri avere qualcosa da dire” Disse Harris facendo lui quello stesso sorriso “Non trattenerti, qualunque cosa si tratti la affronteremo insieme".

Il giovane minatore non era ancora riuscito a metabolizzare la scioccante scoperta di Simon, ma prima o poi sarebbe venuta fuori, assieme alle varie prove a sostegno di quella verità.

Decise quindi di informare il Principe e Anglia di ciò che Simon gli aveva detto quella notte.

Harris ascoltò da inizio a fine tutto ciò che Alphonse aveva da dire e rimase sconcertato.

“Questo è…Dea Misericordiosa” Disse lui profondamente scosso “Quindi è questo il motivo per cui i resti di Piper non hanno manifestato il Rigor Mortis”.

“L’idea è quella sì…” Rispose Alphonse “Non sappiamo ancora se la cosa riguardi solo Piper, ma il sangue ottenuto da Leah potrebbe confermare ogni sospetto. Dovremmo parlarne con lei e aggiornare il gruppo della scoperta”.

Harris si portò la mano sul mento pensoso e preoccupato.

“Invece riguardo il rituale, come sospettavo non ha portato risultati” Disse lui “Troppo facile no? Se davvero esiste un mago nel gruppo, allora si sta certamente prendendo gioco di noi”.

Harris scosse il capo esasperato “Le risorse stanno finendo e il morale è a terra. Di questo passo noi…”.

“Abbiate fiducia in mio Zio” Disse Alphonse deciso.

Harris e Anglia restarono senza parole di fronte allo sguardo determinato del giovane minatore.

“Possiamo ancora farcela, dobbiamo solo collaborare e aiutarlo come possiamo. Stiamo parlando di un eroe che ha salvato migliaia di vite. Solo lui può tirarci fuori da questo disastro”.

Per qualche ragione, Harris sembrò turbato dalle parole di Alphonse ma subito corresse la sua espressione e sorrise.

“Ammiro molto la tua risolutezza Alphonse. Hai perfettamente ragione, abbiamo ancora qualche asso nella manica da usare. Tuttavia, ti ho chiamato qui per parlare di una cosa che Anglia ha scoperto esaminando il corpo di Piper”.

Quella notizia era arrivata in maniera esageratamente improvvisa, a tal punto che Alphonse inizialmente non sembrava aver capito di cosa si stesse parlando. Anglia aveva esaminato quel che restava del corpo di Piper prima di seppellirlo? Per quale motivo?

Ma prima che Alphonse potesse sollevare la questione, Harris fece spiegare ad Anglia quali fossero i risultati di quella fantomatica scoperta.

“E’ successo per caso” Disse lei sempre seria e ligia in volto “C’era uno strano simbolo attorno al collo di Piper, qualcosa di simile a questo” La soldatessa si era presa la briga di disegnarlo su un pezzo di carta. 

Sfortunatamente né loro, né Alphonse sapevano di cosa si trattasse.

“Magari è un tatuaggio?” Disse il giovane minatore pensando alla cosa più ovvia, ma visto gli sguardi preoccupati dei due evidentemente la spiegazione più facile era quella sbagliata Doveva esserci dell’altro.

“Purtroppo stiamo parlando di una bruciatura” Disse Harris “Il che lo rende assai sospetto, quale oggetto può causare una bruciatura lasciando un simbolo simile? E’ troppo innaturale”.

“Forse sarebbe meglio consultarci con Simon” Propose Alphonse “Lui potrebbe saperne qualcosa”.

Harris però sembrò avere dei dubbi sulla cosa.

“No, per ora meglio di no” Disse improvvisamente “Lasciamo che questa informazione resti segreta per il momento. Almeno finché non abbiamo un quadro completo sulle fiale di sangue in possesso di Leah”.

“Ma potrebbe essere un indizio fondamentale” Avanzò Alphonse “Non sarebbe meglio comunicarlo prima?”.

Harris si voltò verso Anglia e la donna sembrò essere d’accordo, facendo un cenno della testa.

“D’accordo, mi fido del tuo giudizio. Anglia ti consegnerà il foglio con il simbolo in questione, sei libero di usare questa informazione come desideri”.

Fu in quel momento che Alphonse decise di confrontarsi con il Principe.

“Sua Altezza, ho notato da un po’ un certo disagio provenire da lei” Disse serio in volto “Temo che lei non sia stato del tutto sincero con me, che mi stia nascondendo qualcosa”.

Harris se lo aspettava e sorrise.

“Immagino che io non sia poi così bravo a mantenere una facciata” Disse con una certa malinconia sul volto.

“Sua Altezza, mi dica tutta la verità, la prego… altrimenti non penso di poterla aiutare”.

Ma Harris spense il suo sorriso e confrontò a sua volta il giovane minatore.

“Conoscere la verità non ti porterà conforto o una soluzione al problema. Ho i miei motivi per tenere segreta la faccenda e non temere, quando sarà il momento ideale ho intenzione di rivelarlo a tutti, non solo a te. Ma per ora sapere questa informazione porterà solo più disagio che altro. Ti prego Alphonse, fidati di me”.

Lo sguardo stanco di Harris preoccupò il giovane minatore. Si chiese perché tenersi sulle spalle quel fardello da solo. 

 

Le conferme al sospetto di Simon arrivarono quando Leah esaminò più volte le fiale di sangue.

Non era cambiato assolutamente nulla, nemmeno con il tempo e i dovuti test. I filatteri erano rimasti immutati.

“Non ci sono dubbi” Disse lui aggiustandosi gli occhiali “Lo stesso fenomeno si applica a tutti quanti noi, ecco perché il corpo di Piper non presentava il rigor mortis. Il tempo funziona in modo diverso su quest’isola, anzi non penso sia esattamente così che funziona”.

“Ma com’è possibile?” Chiese Leah sconcertata “Cosa può causare questo fenomeno?”.

Simon prese un gesso dai suoi averi e iniziò a usare la liscia e scura parete rocciosa come se fosse una lavagna.

“Sua Altezza e Alphonse hanno scavato una buca per seppellire i resti di Piper. Ma nell’arco di una giornata, il luogo in cui è stata scavata la buca, che normalmente dovrebbe essere visibile sul terreno, è tornato in realtà al suo stato originario”.

Aoki si portò una mano sul mento “Quindi non è il tempo ad essere fermo, il tempo si riavvolge”.

Simon annuì “Ci sei quasi. L’isola è perennemente bloccata in una specie di loop temporale, di conseguenza nulla marcisce, e tutto ritorna al suo stato originale una volta che il loop si ripete”.

“Un momento” Alic fece spallucce “Non ha senso. Se così fosse, allora perché abbiamo fame? Perché possiamo comunque interagire con tutto ciò che ci circonda? Se fosse un loop, allora noi dovremmo ripete le nostre azioni all’infinito dico bene?”.

Simon allora sottolineò il verbo “riavvolgere”.

“La risposta ai tuoi dubbi è qui. Aoki ha detto giustamente che il tempo si riavvolge, ed è la conclusione più appropriata, la stessa alla quale inizialmente ero arrivato anche anche io. Ma non è il tempo a riavvolgersi, è la struttura stessa del mondo”.

Simon indicò lo schema sul muro “Se fosse un loop temporale, allora questa spiegazione che ho disegnato sulla parete dovrebbe sparire, giusto? Ma basta guardare la posizione di tutti gli oggetti che ci sono in questo luogo, per capire che non si sono mossi di qui dal momento in cui abbiamo messo piede in questo Santuario. Quindi è la struttura del mondo a rigenerarsi, preservando tutto in modo perfetto, impedendo anche l’invecchiamento”.

Alic scosse il capo “Ti rendi conto di quanto assurda sia questa cosa? Come farebbe quest’isola a rigenerarsi e preservare tutto nel tempo?”.

Simon pensò a molte cose in quel momento, ma nulla gli sembrò immediatamente logico, tranne per una cosa.

“La magia bianca che ho visto” Disse portandosi una mano sul volto “Se solo potessi replicare ciò che è successo, forse potrei riuscire a capire qualcosa”.

Leah però era contraria e scosse il capo “Assolutamente no! Hai quasi rischiato di morire Simon!”.

“Me ne rendo conto. Ma se riuscissi a capire il funzionamento di quel sigillo, se riuscissi a stilare una formula, forse potrei dare delle risposte, cielo potrei persino scoprire cos’è davvero l'Enneagramma e…”.

“Falla finita” Orin a quel punto intervenne zittendolo. Alphonse non aveva mai visto suo Zio con quell’espressione. Di solito era sempre sorridente e arzillo, ma questa volta aveva uno sguardo duro e infastidito “Tutto questo non ha importanza adesso. Stiamo qui a perder tempo, quando invece dovremmo concentrarci su cose molto più importanti”.

Il suo intervento duro lasciò tutti senza parole.

“Anche se riuscissimo a capire le diavolerie magiche che stanno avvenendo su quest’isola, il problema principale resta. Siamo senza cibo, senza via di fuga. Dobbiamo agire ORA, o non riusciremo a sopravvivere nei prossimi giorni. Questa non è una spedizione accademica, qui ci sono in gioco le nostre vite. Magia Bianca, tempo che si ripete, sono tutte idiozie! Dateci un taglio e iniziamo a pensare a cose più importanti”.

Harris incrociò le braccia “Mi trovo d’accordo. Simon, per il momento mettiamo da parte l’aspetto accademico e concentriamoci sul sopravvivere”.

Il giovane arcanista seppur infastidito dalla cosa, si aggiustò gli occhiali e annuì “D’accordo, quindi qual è il piano?”.

A quel punto tutta l’attenzione si posizionò su Orin. Nei suoi occhi c'era la stessa determinazione, la stessa forza d’animo che lo aveva guidato a salvare le persone di Steepfall. 

Non avrebbe arretrato di un millimetro, avrebbe fatto di tutto pur di salvaguardare la vita dei suoi compagni e di suo nipote. Lo spirito eroico di Orin brillò come il suo sorriso, che nuovamente apparve sul suo volto. Doveva avere in mente qualcosa, ora non restava altro che ascoltare quale fosse.

Dividersi era pericoloso, questo lui lo sapeva bene, non solo perché l’identità del Killer era ancora ignota, ma anche per l’imprevedibilità della nebbia e dei suoi effetti. E la soluzione per anticipare l’arrivo della nebbia, arrivò da un’inaspettata fonte…

“Bene, Alic… di pure loro cos’hai scoperto”.

“Uh? Io?” L’uomo confuso si indicò con il dito.

“Hai scoperto tu come capire se sta arrivando la nebbia oppure no, dico bene?”.

Tutto il gruppo era sconvolto. Perché quell’informazione stava saltando fuori solo ora?

“Uhm…” Alic si sentì osservato e iniziò a ridacchiare come uno scemo “Ecco, ne siamo davvero certi? Potrebbe essere completamente sbagliato”.

Ma Orin lo fissò in malo modo e il bardo di sentì minacciato dalla possente presenza nerboruta al suo fianco.

“Ok, ok… ho capito, non serve che tu mi prenda a pugni o altro ok? Anche se potrei prenderci gusto sai? Ti conviene cambiare approccio”.

Orin scrocchiò le dita “Vogliamo testarlo davanti a tutti?”.

“VA BENE! OK!” Alic lo fermò e tutto il gruppo si chiese in quale bizzarra relazione erano quei due.

A quel punto Alic illustrò la sua monumentale scoperta.

“Il fatto è questo, il suono all’interno di questo luogo e quello all’esterno l’ho percepito in modo diverso”..

“Ma non mi dire” Disse Aoki amaro. “Questa dopotutto è una caverna”

“No, non è solo per quello, fin lì ci arrivo anche io!” Esclamò lui “Io parlo proprio della vibrazione in sé”.

Nessuno però riusciva a seguirlo, gli sguardi dei presenti erano più confusi che altro.

“Ok, mettiamola su questo piano” Alic ricominciò da capo e biascicò più del dovuto, non era abituato a spiegare cose complesse “Ho un orecchio più allenato del vostro e sono un maestro a suonare il liuto. Semplicemente mi sono reso conto che in alcuni momenti della giornata, percepisco i suoni del mio liuto in maniera diversa dal solito, e questo avviene solo all’esterno, mai all’interno. Ci sono momenti che il suono è normalissimo, altre volte… è diverso, non so come altro spiegarlo”.

“L’identità del suono è differente?” Chiese Simon perplesso.

“Esatto!” Alic indicò Simon “Proprio come dici tu. Ho pensato che magari il liuto fosse semplicemente scordato e dovevo accordarlo, ma lo faccio periodicamente. E casualmente poco dopo che mi rendo conto che il suono è diverso, ecco che arriva la nebbia. Non può essere una coincidenza no?”.

Sorpresi dalla cosa, il gruppo non poté far a meno di provare una certa rabbia nei suoi confronti.

“Perché diavolo non l’hai detto prima?!” Esclamò Leah mettendosi i pugni sui fianchi, con sguardo inquisitorio, pronto a stampagli le nocche sul braccio.

“Perché non sono convinto sia giusto!” Rispose lui con vigore alzando le mani all’avvicinarsi minaccioso di Leah. “Voglio dire, non ho conferme che sia effettivamente così!”.

“Però hai conferme sulla tua abilità di menestrello dico bene?” Chiese Orin.

“Quello sì. Non ci sono dubbi, il suono è assolutamente diverso, la musica è la mia vita, so bene di cosa parlo”.

“Perfetto, allora non c’è bisogno di provarlo”.

Simon si trovò d’accordo “Ok, quindi possiamo capire quando sta arrivando la nebbia, ma come facciamo a comunicare a tutti quanti quando tornare al Santuario?”.

Aoki a quel punto tirò fuori dalla tasca un fischietto. “Possiamo usare questi. Li usavo quando mi addestravo nelle foreste di Kurayami con il mio maestro. Io non ne ho più bisogno, ma se volete emettere un suono molto forte, udibile a chilometri di distanza, potete usare questo fischietto”.

Orin sorrise compiaciuto “E’ perfetto. L’idea quindi è molto semplice. Io e Alic andiamo verso il Relitto e cerchiamo in quelle parti in modo approfondito. Alphonse, Leah e Aoki, voi dirigetevi verso la spiaggia. Conosco mio nipote e so che è in grado di pescare, mentre Leah tu dovresti sapere quali erbe sono commestibili oppure no, dico bene?”

La ragazza annuì “Nessun problema”.

“Aoki, tu invece dovrai proteggerli, Alphonse e Leah non possono affrontare i pericoli da soli. Dovrai essere lì per assisterli. Per quanto riguarda Alic, ci penserò io a farlo rigare dritto e a proteggerlo”.

Il menestrello ridacchio grattandosi il capo “Suvvia non c’è n’è bisogno”.

A quel punto Orin si rivolse ai restanti.

“Sua Altezza e te Anglia, voi restate qui assieme a Simon. Il ragazzo non è ancora in grado di muoversi troppo per via della sua convalescenza”.

Sia Anglia, che Harris non ebbero obiezioni a riguardo.

“Nel caso stia arrivando la nebbia, useremo il fischietto di Aoki per comunicarvi che dovete immediatamente lasciare tutto e tornare al Santuario” Disse infine Orin “E’ tutto chiaro?”.

Il gruppo era pronto ad agire, coeso e coordinato. Tutti i loro ruoli erano stati assegnati e ottimizzati per la realizzazione di un singolo solido obiettivo: trovare cibo, sopravvivere il più possibile, e trovare un modo per scappare da quell’isola infernale.


 

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Capitolo 12
*** Atto 1-12; (Crisi) ***


Il gruppo si divise in due.

Il Gruppo A, formato da Aoki, Leah e Alphonse, avrebbe perlustrato la spiaggia e le zone limitrofe, in cerca di pesce o erbe commestibili. Il giovane minatore si era preparato tutti gli utensili per prepararsi una lancia usando il robusto ramo di una pianta.

Il Gruppo B, formato da Orin e Alic avrebbero invece fatto ritorno al relitto, per cercare con attenzione in tutte le cabine e nel caso avessero avuto sfortuna, avrebbero esplorato la zona attorno.

Simon, Anglia e Harris rimasero invece al Santuario, poiché Simon non era ancora in grado di fare sforzi per via della sua convalescenza.

Il tempo stringeva, dovevano agire in fretta prima dell’arrivo della nebbia.

Dopo venti minuti a passo rapido, il Gruppo A era già arrivato nei pressi della baita. Una volta sul posto, i tre si coordinarono su chi Aoki avrebbe dovuto proteggere.

“Và con Leah, la foresta è più pericolosa rispetto alla spiaggia” Disse Alphonse al vigilante.

“D’accordo, se succede qualcosa fa un fischio” Rispose lui.

Leah sorrise al giovane minatore, augurandogli buona fortuna, poi si divisero. Alphonse restò dunque solo, lì dove tutto era iniziato. Ma non c’era tempo per rievocare vecchi ricordi, doveva trovare del cibo e in fretta.

Usò la baita come base per preparare i vari strumenti e realizzò una lancia usando un coltello che suo zio gli aveva prestato. Mentre affilava la punta, Alphonse ripensò al suo coltello trovato accanto a Piper sulla scena del crimine. Chi poteva essere stato e perché? C’era però una cosa che quell’azione gli confermò in modo indiretto: se l’assassino di Piper era davvero un mago, allora la sua magia da sola non gli permetteva di agire indisturbato e dovevano esserci dei limiti, o per lo meno dei dettagli facilmente tracciabili a lui, altrimenti perché mai prendersi la briga di scaricare la colpa su qualcun’altro?

Aveva deciso di collaborare con Harris per cercare la verità sul mago, ma nell’ultimo periodo il giovane principe si comportava in maniera strana. I suoi sguardi, il modo in cui sussurrava ad Anglia senza farsi sentire, la furtività con la quale agiva e scopriva segreti senza dirlo a nessuno, non era affatto normale. 

“Perché tutta questa segretezza, perché Harris non si fida di nessuno?” Pensò Alphonse. “Che segreto stanno cercando di nascondere quei due?”

Ma più si inoltrava in quella spirale di pensiero, più Alphonse si sentì intrappolato in un ciclo vizioso di ansia e dubbi. L’unico modo che aveva per distrarsi da quei pensieri, era di iniziare a pescare.

La lancia era pronta, abbastanza appuntita da poterci infilzare un cervo, quindi uscì dalla baita e si recò verso la spiaggia togliendosi gli stivali.

L’acqua era gelida, ma doveva resistere e farsene una ragione, l’unico modo per vedere qualche pesce era inoltrarsi ulteriormente nelle acque e così fece, ma immediatamente dopo, quando la sensazione di gelo aveva ormai diviso il suo corpo, Alphonse si rese conto che qualcosa non andava. Fu solo una sensazione, che si trasformò in un pensiero persistente, come se qualcosa nella sua mente fosse scattata.

Si guardò attorno e notò che l’acqua era immobile, piatta, allo stesso modo di come se fosse versata in un bicchiere. Non c’era un accenno di vento e il silenzio era così totale, che il giovane minatore riusciva persino a sentire il rumore del suo cuore battere.

Non era normale, nulla di quello che stava vivendo lo era, ma questa volta riuscì chiaramente a percepire che stava avvenendo qualcosa di decisamente strano intorno a lui.

Voleva uscire dall’acqua, ma si rese conto di essere paralizzato. Conscio di non riuscire a muoversi, Alphonse fu conquistato dal terrore, qualcosa stava strisciando intorno alla sua caviglia, qualcosa di viscido e liscio.

Voleva urlare, tirarsi fuori di lì, ma era incapace di fare o dire qualsiasi cosa se non pensare.

“E’ un sogno… sto sognando” Finalmente si rese conto della stranezza che lo attanagliava. Il modo in cui si era ritrovato in quella situazione era troppo improvvisa e la sola consapevolezza di essere in un mondo onirico, arrestò il suo corpo completamente. Quando ci era finito in quel sogno e come? Ma purtroppo non ebbe il tempo, né l’autocontrollo di pensare razionalmente in quel mondo irrazionale. Quella cosa attorno alla sua caviglia salì sul ginocchio sinistro e poi un secondo tentacolo su quello destro, avvinghiandosi con estrema forza.

Il cuore gli batteva così forte da fargli vibrare il cervello. Era in balia di qualsiasi cosa fosse quella creatura, incapace di svegliarsi, o di muovere un muscolo. Poi una forza incredibile lo trascinò sott’acqua, senza dargli neppure il tempo di trattenere il respiro per l’enorme stupore.

Si chiese incredulo come fosse possibile, fino a pochi istanti prima si trovava in piedi sulla sabbia e ora invece stava affogando in un abisso oscuro di eterna acqua. Quella era un’ulteriore prova che nulla di tutto ciò che stava vivendo poteva essere reale, eppure perché era così lucido? Perché quel sogno lo stava vivendo in modo così vivido? 

E se non lo era? Se lo stava vivendo sul serio? Il pensiero lo terrorizzò, ma non tanto quando quella cosa che lo stava trascinando sul fondo: un ammasso di fauci, fatto di denti, occhi viola, che si muovevano in modo psicotico.

Alphonse inghiottì una quantità d’acqua enorme, i suoi polmoni stavano per cedere, eppure nonostante stesse affogando e sprofondando tra le fauci, era perfettamente conscio.

“No… non può essere vero” Si disse Alphonse in preda alla più oscura agonia che avesse mai provato in vita sua “Non può essere reale, nulla di tutto questo lo è”.

E con quell’ultimo pensiero il suo intero corpo fu centrifugato tra le fauci di quell’orribile mostro.

 

Erano passate due ore da quando il Gruppo A si era diviso. Leah purtroppo non aveva trovato una singola pianta commestibile, ben presto lo sconforto prese il sopravvento.

“E’ inutile…” Disse la ragazza scuotendo il capo “Possiamo esplorare quando vogliamo, ma non troveremo nulla qui. La flora è del tutto identica, come se ci fosse uno schema ben preciso, quasi non sembra vera”.

“Cosa suggerisci di fare allora?” Le chiese Aoki serio “Magari Alphonse ha avuto più fortuna?”.

“Lo spero” Disse lei.”Sarà meglio ricongiungerci con lui allora”.

Aoki fissò a lungo il volto di Leah, così tanto invero che la ragazza arrossì appena.

“Perché mi fissi così? Ho detto qualcosa di strano?”.

“No, sono solo sorpreso. Nel tuo volto non vedo più gli stessi dubbi che avevi prima. Hai più sicurezza, nonostante la situazione".

Leah si gongoló un pochino "Oh mi dai troppo credito. In realtà sono piena di dubbi e paure in questo momento. Ma ho deciso di reagire… non voglio più accettare passivamente tutto ciò che mi circonda. Voglio essere d'aiuto, ovviamente nei limiti delle mie capacità".

La determinazione di Leah rilassó lo sguardo di Aoki, ma immediatamente mutò la sua espressione in una seria e compassata.

Egli si voltò, per evitare che gli occhi di Leah potessero scoprire I suoi tormentati pensieri.

"Andiamo, Alphonse potrebbe avere bisogno di noi".

"Ah…! Aspettami!" Esclamò Leah notando il passo accelerato di Aoki.

E così tornarono indietro verso la spiaggia. Leah non aveva detto una singola parola, scoraggiata dal risultato e dall’innaturalezza di quell’isola. C’erano solo alberi e erba, niente animali, niente uccelli, niente insetti, oltre a loro non esistevano altre forme di vita. Se l’ecosistema di quel luogo era così vuoto, allora come potevano avere una chance di trovare del cibo sulla terraferma?

Distolta l’attenzione per un secondo da quei macabri pensieri, Leah notò che Aoki improvvisamente si era arrestato

“Che succede?” Gli chiese.

Sh…” Lui la zittì e si portò il dito sulla bocca, guardandosi attorno con attenzione. C’era solo silenzio in quella fitta foresta e Leah si sentì improvvisamente agitata. Ma quel silenzio non durò a lungo, era molto debole ma entrambi riuscirono a sentirlo chiaramente. Un urlo, qualcuno stava urlando di dolore.

“Alphonse…” Aoki riconobbe il suo timbro vocale e scattò senza pensare verso la vegetazione.

“Aoki aspetta!” Leah non riuscì a stare al suo passo, ma iniziò ugualmente a correre verso la spiaggia.

Grazie alla sua velocità, Aoki riuscì a giungere in fretta alla baita. Alphonse non era in vista, doveva essersi spostato lungo le coste e infatti, a diversi metri lo trovarono agonizzante sulla spiaggia mentre si dimenava.

Aoki si precipitò verso di lui, ma i suoi movimenti erano rapidi, imprevedibili e innaturalmente violenti.

“Alphonse!” Leah arrivò subito dopo con il fiatone e alla vista del ragazzo completamente uscito di senno, si sentì il cuore stringere.

Alphonse aveva la schiuma alla bocca e gli occhi girati, mentre sferrava manate e pugni, come se stesse lottando contro qualcosa.

“Che diavolo gli è successo?!” Esclamò Aoki tirando fuori il kunai.

“Dammelo”.

“Cosa?”

“Tienilo fermo, al resto ci penso io” Disse Leah seria in volto “Sbrigati!”.

L’autorità con la quale Leah gli aveva ordinato quel compito, lo lasciò interdetto per un breve istante. Doveva avere in mente qualcosa. Aoki dunque non perse tempo, riuscì a trovare un'entrata immobilizzando i suoi arti. Alphonse cercò di liberarsi esibendo una mostruosa forza, posando lo sguardo sclerotico su di lui. Aoki si rese conto che non avrebbe resistito a lungo, qualunque cosa Leah avesse in mente di fare, doveva farlo in fretta.

La ragazza si tirò la manica del grembiule su e staccò la molletta che teneva le fasce ben salde sul suo braccio e si slacciarono mostrando la sua pelle.

Aoki rimase scosso, la cute della ragazza era completamente viola, come se l’intero arto fosse coperto da un orribile livido, con le vene ben visibili e gonfie. La mutazione causata dalla tossina del fungo Abestos aveva sfigurato il suo corpo in modo così grottesco, che la giovane farmacista aveva deciso di nascondere quello scempio dietro delle bende. 

Noncurante la ragazza prese il Kunai e tagliò una vena, mordendosi il labbro inferiore.

“Che cosa stai facendo?!” Esclamò Aoki allarmato.

Leah però non gli rispose, si avvicinò ad Alphonse e gli aprì la bocca tenendogli la mascella ferma con il polso libero. Poi fece scendere i rivoli di sangue che uscivano dalla ferita nella sua bocca.

Aoki restò in silenzio, perplesso e scosso dalle azioni della giovane farmacista e rimase ancora più sgomento quando Alphonse improvvisamente si calmò, arrestandosi e perdendo i sensi.

“Che cosa hai fatto?” Le chiese Aoki liberando Alphonse dalla sua morsa.

Leah si poggiò una mano sulla ferita e abbassò il capo.

“La medicina che ho sviluppato, la panacea in grado di curare ogni ferita, è stata sviluppata usando il mio sangue. Come vedi il mio corpo è mutato perché ho ingerito un estratto di Fungo Abestos. L’ho fatto perché detestavo il mio aspetto, perché volevo un corpo più femminile, più attraente, per far cessare i pregiudizi che tutti avevano su di me”.

Leah si avvolse il polso con le fasce, per nascondere lo stato orribile del suo corpo.

“Ho cercato un modo per guarire, ma non ci sono riuscita e ora mi ritrovo in questo modo. Quindi ho fatto esperimenti sul mio sangue e ho scoperto che è in grado di sanare qualsiasi ferita. Anche quelle mentali…”.

Aoki spalancò gli occhi “Com’è possibile?” Le chiese incredulo.

“Ora non c’è tempo per altre spiegazioni” Rispose lei poggiando una mano sulla fronte di Alphonse “Dobbiamo portare Alphonse subito al sicuro. Tuttavia prima di andare, ho bisogno di un favore”.

“Di che si tratta?” Chiese Aoki.

“Non dire a nessuno ciò che hai visto. Se si venisse a sapere che il mio sangue ha proprietà curative allora io…”.

“Non preoccuparti, il tuo segreto è al sicuro con me”.

Leah si sentì sollevata dallo sguardo fiducioso del vigilante, tranquillizzata anche dal fatto che Alphonse sembrava essersi calmato del tutto.

Aoki a sua volta calmatosi dopo tale evento, si alzò in piedi e un rumore lo fece voltare di scatto verso il bordo dell’oceano. Notò qualcosa di sottile strisciare in mezzo alla rinsacca d’acqua. Fu per un brevissimo istante, talmente veloce che non era sicuro l’avesse davvero visto.

Ad ogni modo, Alphonse aveva subito un duro colpo. Il sangue di Leah lo aveva calmato, ma il suo battito era debole e il colore della sua pelle era pericolosamente pallida. Aveva bisogno di cure e di riposo.

Le ricerche del Gruppo A, terminarono in modo brusco e inaspettato.

 

Aoki e Leah trasportarono tempestivamente Alphonse al Santuario. Per fortuna, il vigilante dell’Est aveva le spalle ben robuste, ed era in grado di trasportare un corpo adulto e correre a discreta velocità.

Leah era sfinita, correre non era decisamente la cosa che le piaceva di più per diversi scomodi fattori, ma la situazione era fin troppo delicata. Portare Alphonse al sicuro era una priorità assoluta per lei, non avrebbe più perso nessuno, non più, né tanto meno Alphonse..

Purtroppo però, le cose si complicarono quando i due raggiunsero il Santuario. 

Una volta dentro, videro uno scenario che ghiacciò il loro sangue.

Simon e il Principe erano entrambi al suolo, con le espressioni doloranti.

“Oh no…” Leah corse subito verso i due.

Aoki sdraiò momentaneamente Alphonse accanto al muro e aiutò Leah.

“Che è successo qui?!” Esclamò lui.

“Sua Altezza! Simon!” La giovane farmacista controllò i loro battiti e per fortuna entrambi erano vivi. Simon era svenuto, mentre Harris sembrò avere ancora i sensi attivi, mentre gemeva debolmente di dolore.

“Sua Altezza, cos’è successo?!” Chiese Leah, esaminando da vicino le sue condizioni precarie. Non aveva ferite, ma c’era un grosso livido sulla nuca, lo stesso metodo che il suo misterioso aggressore aveva usato sulla nave, oltre ad aver presumibilmente aggredito anche Alphonse in passato.

Harris aprì debolmente gli occhi e non appena vide Leah si aggrappò al suo braccio.

“Dov’è Anglia?” Chiese lui.

Aoki si guardò attorno e si rese conto che non c’era traccia della donna.

“Qui non c’è. E’ stata lei?!”.

“No…” Harris scosse il capo stringendo i denti “Lei è corsa dietro all’aggressore, era vestito di bianco”.

La presa sul braccio di Leah si indebolì e Leah lo adagiò cautamente sul terreno.

“Aoki aiutami a portarli nei miei alloggi, hanno bisogno di stare tutti sdraiati su qualcosa di comodo”.

Il vigilante annuì ed eseguì l’ordine. Uno alla volta, tutti i feriti furono trasportati nel corridoio dove Leah riposava. Furono tutti e tre adagiati su dei materassi in modo da poterli tenere sotto controllo.

“So a cosa stai pensando” Disse poi Aoki, anticipando la ragazza “Anglia deve cavarsela da sola, non posso lasciarti da sola qui”.

Leah era indubbiamente preoccupata per lei, ma Aoki aveva ragione. Non si trattava solo di lei, ma anche di tre persone ferite.

In tal caso, c’era solo un modo per risolvere la cosa più velocemente. Leah stava di nuovo per tirarsi su la manica, ma Aoki la fermò.

“No… non farlo”.

“Devo!” Esclamò lei “Se guariscono in fretta, possiamo cercare Anglia!”.

“No, non ce n’è bisogno. Rifletti, non abbiamo certezza assoluta di trovarla, non sappiamo nemmeno dove cercare” Aoki le poggiò una mano sul polso. “Se devi usare il tuo sangue per aiutare qualcuno, fallo quando è davvero necessario, non in modo cieco”.

Leah si morse il labbro e abbassò il capo.

“Hai ragione, scusami…”.

Ma nonostante la situazione piuttosto complicata, a renderla ulteriormente complessa fu l’arrivo di Alic. 

“AIUTO!” Esclamò a gran voce con tono grave. Aoki e Leah accorsero subito all’ingresso e lo videro con le mani sulle ginocchia, affaticato e sudato.

“Alic! Che succede?!” Esclamò Leah allarmata.

“Orin…” Non riusciva a parlare per via del fiatone “Orin è scomparso. Stavamo setacciando la nave e… lui si è allontanato e poi… è svanito. Ho provato a chiamarlo, ma non mi rispondeva”.

Aoki e Leah si guardarono entrambi tesi in volto. Due membri erano scomparsi, Anglia e Orin. E ora avevano una conferma che c’era un’altra persona su quell’isola: con molta probabilità si trattava del vero assassino di Piper.

“Usa il fischietto” Disse improvvisamente Aoki, rivolgendosi ad Alic “Forse se sentono il rumore riescono ad orientarsi e tornare indietro”.

“Buona idea!”

Il bardo uscì dunque fuori e suonò il fischietto. Il suono era potente, soave ed echeggiò nel silenzio assoluto. Ma fu in quel momento che Alic si rese conto di qualcosa.

“Ehi… il suono di questo fischietto. Voglio dire, non l’ho mai sentito prima d’ora ma sembra strano”.

“Non sembra… lo è” Ammise cupo Aoki in volto “Il suono è diverso, non è così distorto”.

“Oh no… la nebbia!” Esclamò Leah.

“Già, sta arrivando”.

Con l’arrivo della nebbia, sia Anglia che Orin sarebbero rimasti dispersi a vagare nella confusione generata dalla foschia, questo riduceva ulteriormente le già esigue possibilità di trovarli.

“Non abbiamo scelta per ora, dobbiamo tornare dentro e aspettare che vada via” Disse Aoki.

E in quel preciso istante si udì quel sussurro, accompagnato da una leggerissima folata di vento. I loro corpi si sentirono improvvisamente rigidi e pesanti.

Leah si portò una mano sulla testa, reggendosi solo grazie alla parete rocciosa davanti all’ingresso.

“Perché succede sempre così?” Si chiese lei.

“Non lo so…” Aoki sentì le gambe pesanti come piombo. Alic invece era così spaventato da essersi metto le mani sulle orecchie tremante come una foglia.

“Non ne posso più di questo dannato posto! Voglio andare a casa!” Gridò.

Ma eccola che infine arrivò, quella eterna nebbia bianca a coprire nuovamente l’intera isola e farla svanire in un mondo che pareva non esistere più.

Soltanto fissare quel bianco assoluto, confondeva i sensi e soffocava le loro menti.

“Entriamo, stare qui non è una buona idea” Disse Aoki.

Entrambi accolsero il consiglio del vigilante e rientrarono.

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Capitolo 13
*** Atto 1-13; (Abissale) ***


“Cerca di calmarti, spiegaci cos’è successo. Perché sei così spaventato?”.

Aoki era in piedi davanti ad un tremante Alic, pallido e scosso.

“Perché sono così spaventato?! Come faccio a non esserlo!” Esclamò esasperato “Ogni cosa su quest’isola è completamente fuori di testa! Ogni singolo maledetto rumore che sento sembra vuoto, ogni cosa che vedo sembra ignorare ogni logica! Non posso essere il solo ad averlo notato! Non ne posso più di questo posto!”.

Leah riusciva a comprendere quello che il bardo stava dicendo. L'innaturalità della flora locale, l’assenza totale di fauna, il silenzio onnipresente. Mentre esplorava aveva indubbiamente provato la stessa angoscia condivisa ora a gran voce da Alic.

“Capisco come ti senti” Gli disse Leah “Ma non può essere solo questo ad averti spaventato. Cos’hai visto?”.

Alic deglutì e cercò di calmarsi.

“Io l’ho visto… ho visto Orin allontanarsi verso la foresta” Ammise lui abbassando il capo e scuotendolo “Ho provato a chiamarlo, più volte, ma mi ha ignorato. C’era qualcuno con lui, non l’ho visto in modo perfetto per via dell’ombra della foresta, ma ho visto delle vesti bianche”.

Leah e Aoki si guardarono, la descrizione combaciava: era lo stesso individuo di cui aveva parlato Harris, lo stesso aggressore.

“Volevo seguirlo, ma mi sono spaventato” Disse Alic con le lacrime agli occhi e la voce rotta “Sono un codardo lo so! Ma in quel momento ho sentito che c’era qualcosa di sbagliato nell’aria. Da quando sono arrivato al relitto, ho iniziato a sentirlo continuamente, all’inizio in modo debole poi sempre più forte. C’era come un costante riverbero, era monotono e vuoto, e proveniva nei dintorni della zona. Orin sembrava quasi ipnotizzato, non si è mai voltato quando l’ho chiamato”.

“Quindi dopo che hai perso contatto visivo con Orin, sei scappato giusto?” Confermò Aoki.

“Sì… sono scappato” Ammise lui, tenendo la testa bassa.

Aoki sospirò “Non mi piace per niente” Disse infine “Se Orin è assieme a quella persona, la sua incolumità potrebbe essere in pericolo”.

Leah strinse i pugni sul petto, l’idea che potesse succedere qualcosa ad Orin la terrorizzò.

C’era anche da chiarire perché aveva deciso di seguire quella figura incappucciata. Alic diceva che era come ipnotizzato, come se fosse sotto l’effetto di qualche incantesimo.

“E se fosse una magia?” Disse lei realizzando “Orin potrebbe essere stato controllato da una magia!”.

“Sì, l’ho pensato anche io” Ammise Aoki “Ma non possiamo averne la certezza, tuttavia mi preoccupa anche quello che ha detto riguardo il riverbero”.

Alic sembrò molto scosso a riguardo “Quel suono sembrava volesse entrarmi nell’anima”.

“Mentre tornavi al Santuario, è lì che l’hai sentito?”.

Il menestrello scosse il capo “No, solo nella prossimità del Relitto”.

Quindi questo confermava che l’origine di quel suono da lui percepito fosse causato da qualcuno o qualcosa nelle vicinanze. Molte idee attraversarono la mente di Aoki, come ad esempio che la magia usata dalla figura incappucciata non avesse preso di mira Orin, ma tutti coloro che erano in zona. L’unico motivo per cui Alic non era stato sottomesso era per via del suo talento nel riconoscere i suoni, unito alla sua rocambolesca fuga dopo aver visto Orin svanire nella foresta. Ma era davvero così? Senza prove effettive tutto ciò che si poteva fare era speculare.

“E ora che si fa?” Chiese Alic portandosi di nuovo le mani sulla testa “Cosa posso fare?”.

“Niente” rispose Aoki incrociando le braccia “Uscire è fuori discussione, ed è anche inutile. L’unica cosa che possiamo fare è aspettare. Una volta che la nebbia si sarà diradata, inizieremo le ricerche”.

Nonostante la situazione critica, Alic aveva sempre mostrato un lato vivace e a tratti fastidioso. Questa volta però avevano di fronte un uomo spaventato, vittima di emozioni difficili da esternare. Leah non poté far a meno di provare tenerezza per la sua fragilità, dopotutto anche lei era molto simile.

“Stai bene?” Aoki si rivolse a lei, notando che era sovrappensiero.

“Sì… sto bene”.

Aoki annuì poi portò lo sguardo verso il corridoio e rimase sorpreso. Qualcuno si era svegliato: Harris.

Leah immediatamente si precipitò verso di lui, mentre Aoki aggiornò Alic su quello che era successo ad Alphonse e tutti gli altri.

“Leah…” Harris era ancora pallido, ma abbastanza in forze da sollevarsi con i gomiti.

“No, Sua Altezza resti sdraiato, ha bisogno di riposo”.

Lui obbedì e girò lo sguardo vedendo Simon e Alphonse al loro fianco. Il giovane minatore aveva i pugni stretti e lo sguardo dolorante, nonostante avesse perso i sensi sembrava perso in un incubo senza fine.

“Cosa gli è successo? Cosa sta succedendo dannazione!” Frustrato, il principe si lasciò andare ad un attacco di emozioni, ma Leah gli prese la mano.

“Non si agiti la prego. Andrà tutto bene, ho preso le necessarie precauzioni”.

Harris spalancò gli occhi turbato e fissò il polso della ragazza, notando la macchia di sangue sulle bende.

“Non si preoccupi” Sorrise lei un po’ indebolita “Io sto bene. E’ solo un taglietto e il mio sangue ha fatto effetto. E’ abbastanza nostalgico non trova? Dopotutto è così che ci siamo conosciuti”.

Harris sospirò e sorrise appena. “Già… mi hai salvato allo stesso modo”.

Leah annuì contraccambiando il sorriso. Fu proprio in quel periodo che Leah diventò così famosa nel regno. Tutti parlavano della miracolosa ragazza che aveva salvato il primogenito erede al trono, da una brutta forma di meningite.

“Mi ricordo che ci fu un gran trambusto” Disse lei, cercando di distrarlo un po’ “Tutti parlavano di avvelenamento, ma in realtà il problema era ben più grave. Io a quel tempo non sapevo nemmeno cosa stavo facendo. Avevo solo recentemente scoperto le proprietà curative del mio sangue, ma non sapevo con certezza che avrebbe funzionato”.

Harris strinse la mano della giovane farmacista.

“Devi promettermi una cosa” Disse lui serio in volto “Non farlo, non importa le circostanze, non usare il tuo sangue”.

Leah fu sorpresa dalla cosa.

“Puoi nasconderlo quando vuoi, ma so molto bene che la cosa ha un enorme peso sulle tue forze fisiche e mentali. Riesco a sentirlo solo tenendo stretta la tua mano”.

Leah abbassò il capo e sorrise “Sono sorpresa che si sia reso conto di una cosa così. Ma se non avessi agito, non so cosa sarebbe successo ad Alphonse”.

Harris girò lo sguardo verso di lui. Qualunque cosa lo avesse ridotto in quello stato, aveva sconvolto in modo grave la sua psiche.

“Si riprenderà?” Chiese Harris.

Leah si alzò e si avvicinò ad Alphonse prendendogli la mano. Era molto fredda e non era un buon segno.

“Ha bisogno di tempo. Le ferite non sono fuori, ma dentro. Non so cosa lo abbia ridotto in queste condizioni e temo che anche se si risveglierà, si porterà i postumi di questo trauma per sempre”.

“Cosa te lo fa dire?”.

Leah ricordò con chiarezza il modo in cui Alphonse stava agonizzando al suolo e le ricordò in modo fin troppo vivido il giorno in cui aveva ingerito l’estratto di fungo di Abestos. 

Il dolore e l’agonia provata quel giorno l’aveva scossa nel profondo dell’animo in un modo inimmaginabile. Un dolore del genere portava con sé un enorme peso e si sarebbe manifestato periodicamente in tanti modi diversi, forse per tutta la durata della sua vita.

“Non lo so” rispose infine lei, poggiando una mano sulla fronte del ragazzo “E’ solo un’impressione che ho. Spero con tutto il cuore di sbagliarmi”.

 

La situazione era critica. Il cibo era ormai quasi del tutto finito, c’erano ben due dispersi e tre feriti, tra cui uno in pessime condizioni.

Simon riuscì ad riaprire gli occhi, sfortunatamente però essere stato aggredito durante il periodo di convalescenza lo aveva indebolito ulteriormente, tanto che non riuscì a dire una singola parola.

Le speranze di riuscire a sopravvivere si affievolivano con il passare del tempo. Leah fece del suo meglio per nasconderlo, ma privarsi del sangue, seppur in poca quantità, l’aveva atterrita.

Per fortuna Aoki riuscì a darle man forte, grazie anche alla sua esperienza nelle terre pericolose di Kurayami. Ma anche lui iniziava a esibire i primi segni di cedimento. Era da molto che non riposava correttamente, e la mancanza di cibo non fece che peggiorare la cosa.

Leah rimase al fianco di Alphonse e si asciugò le lacrime. Aveva promesso di non piangere, ma non voleva morire in un posto del genere. I rimpianti della sua vita, il peso dei suoi errori, la speranza che pian piano moriva, si stringeva attorno al suo collo come un collare bloccando ogni pensiero positivo.

Le ore passavano. Il silenzio era assoluto. Alphonse di tanto in tanto muoveva il capo e faceva dei versi. Simon riposava, anche lui era piuttosto pallido. Harris invece era riuscito a mettersi in piedi, ma aveva uno sguardo atterrito.

Aoki sedeva a terra con i pugni stretti, facendo tesoro delle poche energie rimaste per mantenersi pronto ad agire, mentre Alic non aveva detto una parola. Era rimasto tutto il tempo seduto, con la testa china. Qualche volta sogghignava, forse stava perdendo la ragione, o forse stava cercando di pensare a qualcosa di allegro per tirarsi su.

Passò altro tempo, nulla cambiò, se non una sensazione. Aoki alzò la testa verso l’alto e vide dagli interstizi sulla soffitta della caverna che la nebbia si era ritirata.

Si alzò dunque in piedi e nello stesso istante, Leah arrivò al centro del Santuario.

“Dovremmo cercare quei due, ma non possiamo lasciare tutti da soli” Disse lui.

“Vai pure…” Leah aveva ancora gli occhi irritati dal pianto “Qui resto io”.

“No, è troppo pericoloso”.

“Aoki” La ragazza lo chiamò per nome e abbassò il capo “Stiamo morendo e tu sei l’unico che ancora può fare qualcosa. Vai, riporta qui Anglia e Orin”.

Il vigilante dell’Est non ebbe altra scelta che concordare, bisognava fare qualcosa. L’unico indizio che aveva era il luogo in cui Orin era sparito.

“Fa attenzione ok?” Aoki poggiò una mano sulla spalla di lei.

Leah sorrise debolmente “Non preoccuparti per me, posso ancora fare qualcosa qui”.

Alic, sentendo i due parlare, si rese conto che Aoki stava per andarsene. Di scatto si posizionò davanti a lui. “Se hai intenzione di andare, vengo con te”.

“No, mi rallenteresti è basta. Resta qui…” Disse schietto lui.

“Io posso aiutarti!” Esclamò insistente Alic indicandosi con l’indice “Posso identificare quel suono, forse possiamo capirci qualcosa assieme. Non ti rallenterò, te lo giuro…”.

Aoki doveva ammettere che la questione del suono poteva essere utile per trovare indizi utili, quindi alla fine decise di accettare la proposta di Alic.

“Va bene, ma stammi dietro. Non abbiamo bisogno di altri problemi” Gli disse duro.

Alic annuì una sola volta deciso, qualcosa nei suoi occhi sembrava cambiato, mostrando una maturità innaturale rispetto al suo solito atteggiamento “Hai la mia parola, andiamo…”.

 

Arrivati al relitto, Alic iniziò a guardarsi attorno, come se stesse cercando qualcosa.

“Cosa c’è?” Gli chiese Aoki.

“Il rumore è sparito” Rispose il bardo indicando il relitto. “Era vivido, molto molto forte soprattutto in quella zona lì. Ma ora è scomparso”.

Aoki esaminò la zona e nulla gli sembrò diverso dal solito. Quella zona della foresta era stata completamente abbattuta dalla prua della Fraternity, quasi fosse piovuta giù dal cielo neanche fosse una meteora.

Aoki esaminò poi la zona in cui Orin si era addentrato.

“Era qui, ne sono sicuro” Disse Alic indicando il terreno.

Il giovane vigilante dell’Est si chinò e tastò la terra. Non c’erano tracce, era praticamente impossibile determinare la presenza di qualcuno in quella fitta boscaglia.

Se la teoria di Simon era corretta, allora quell’isola era soggetta ad una specie di preservazione o rigenerazione infinita, quasi come se il tempo si riavvolgesse e si ripristinasse ad una versione precedente. 

La flora attorno alla nave suggeriva che qualsiasi cosa, fatta eccezione per gli alberi, sembrava essere stata rigenerata dopo l’impatto.

“Potrebbe essere ovunque…” Disse Aoki tirando fuori il Kunai, marchiando con un taglio la corteccia di un albero “Ma tanto vale cercarli, fino a domani non c’è pericolo che arrivi la nebbia. Ovviamente, sarà meglio fare ritorno prima che faccia buio”.

“Sei tu il capo” Rispose Alic alzando un pollice.

I due si addentrarono dunque nella foresta. Alic cercò di urlare il nome di Orin, ma senza alcuna risposta. Avanzarono a lungo e non trovarono altro che alberi su alberi che si spaziavano quasi tutti allo stesso modo in una precisione inquietante. Sembrava quasi che quel mondo fosse frutto dell’immaginazione metodica e matematica di una mente precisa e maniacalmente ordinata. La perfezione con la quale la flora era distribuita destabilizzò il giovane vigilante, abituato alle caotiche conformazioni rocciose, alla natura disordinata, ribelle e imprevedibile. Più si guardava attorno, più i suoi occhi non riuscivano a credere a quanto aliena gli sembrasse quella realtà.

Proseguirono per un tratto che sembrò quasi finito e Alic iniziò a sentirsi soffocato dalla onnipresente vegetazione.

“Non è che ci siamo persi?” Si chiese terrorizzato dall’idea.

“Rilassati, ho tracciato il percorso” Rispose freddamente Aoki.

Poi finalmente notò qualcosa. Il Vigilante si bloccò e si chinò toccando il terreno, c’era una traccia di un piede, era piuttosto recente.

“Cos’è?” Chiese Alic.

“Qualcosa ha calpestato quest’erba. Un piede, sicuramente non molto grande dalla forma irregolare”.

“Non molto grande eh? Allora non è Orin”.

Ma fu proprio quella affermazione a far rendere conto il menestrello le implicazioni dietro quella scoperta.

“Se non è Orin allora…” Non voleva completare la frase, c’era solo ansia e paura dipinta sul suo volto, tanto che lo fece sbiancare.

“Già, potrebbe essere una traccia dell’aggressore in bianco. Proseguiamo”.

“Sei impazzito?! Se lo incontriamo cosa facciamo?!” Esclamò lui.

“Non ho paura di affrontarlo. Se la cosa dovesse essere un problema per te, allora puoi tornare indietro” Gli disse schietto e severo.

Alic frustrato sbuffò “Ok, ho capito…ti seguo”.

Aoki seguì attentamente le tracce che si propagavano in modo irregolare nella vegetazione, finché non arrivarono ad una parete rocciosa che si sollevava molto in alto.

Lì fecero una scoperta inaspettata: una grotta molto buia e spoglia, e al suo interno un corpo seduto.

“Ma quella è…!” Alic indicò la figura.

Era indubbiamente Anglia, ma sembrava ferita. Aoki accorse immediatamente al suo fianco e la osservò da vicino.

“Tu…” Disse lei affaticata dalla perdita di sangue.

“Chi ti ha fatto questo?” Le chiese lui, osservando la brutta ferita da taglio sul suo fianco.

“Una figura in bianco. Ha aggredito sua Altezza e Simon ed è fuggito” Rispose stringendo i denti “Ho cercato di inseguirlo, ma mi ha teso un’imboscata. Sono fuggita qui dentro e ho cercato di chiudere la ferita, ma devo aver perso i sensi”.

Alic era scosso e pallido in volto “Oddio, sangue…” e corse via con le mani sulla bocca per vomitare.

Aoki scosse il capo esasperato e tornò ad Anglia “Hai perso molto sangue, ma sembra che tu sia riuscita a cicatrizzarla. Resta immobile, andrò a chiamare aiuto”.

Anglia però afferrò il suo braccio.

“Sua Altezza, sta bene?”.

“Sì è risvegliato. Ha subito un brutto colpo, ma è vivo”.

“Devi trovare quella figura… è fuggita verso nord”.

Aoki si alzò in piedi e annuì “D’accordo, andrò a vedere. Manderò Alic a cercare aiuto, ma tu non devi muoverti di qui, se ci tieni alla vita”.

Lei abbassò il capo e annuì.

Aoki uscì all’esterno e vide Alic chino a sputare bile.

“Quando hai finito di vomitare, torna indietro al Santuario”.

“Eh? Io?” L’uomo si alzò in piedi un po’ spaesato.

“Ha chiuso la ferita, non è in immediato pericolo, ma potrebbe infettarsi. Devi muoverti, vai al Santuario e porta Leah qui”.

Aoki stava per andarsene, quando il bardo lo fermò.

“Aspetta! E tu dove vai?!”.

“Non curarti di me, io devo cercare quella figura in bianco. Mi sei solo d’intralcio, quindi sbrigati e fa come ti ho detto se vuoi renderti utile”.

Detto ciò, il vigilante scattò nella vegetazione e in un battito di ciglia svanì nel nulla.

“Ok…” Nervosamente Alic si sfregò le mani “Devo tornare al Santuario, semplicissimo! Devo solo, seguire le tracce. Puoi farcela, andiamo…”.

Incitandosi, il bardo andò verso la direzione opposta pregando la Dea di non perdersi nella vegetazione.

 

Senza più avere Alic a rallentarlo, Aoki scattò da albero in albero per raggiungere più velocemente la sua destinazione. Non ci volle poi molto, poiché riuscì a vedere l’oceano dal lato opposto.

C’era però qualcosa di diverso in quel posto. La spiaggia sembrava molto più arida e grigia rispetto a quella a Sud, dove c’era la piccola Baita. Quel luogo appariva quasi spettrale, spoglio, con rocce di vario tipo e grandezza sparse ovunque, complice anche il fatto che il Sole stava lentamente tramontando, proiettando la fitta penombra della foresta sulla costa.

Aoki si avvicinò e mise i piedi sulla sabbia guardandosi attorno. Non c’erano tracce sul terreno, trovare la figura in bianco sarebbe stato difficile. L’acqua era immobile, schiumosa, non c’era vento e non c’era rumore.

Avanzò lungo la costa a passo lento per un po’, guardandosi ripetutamente attorno e alle sue spalle, poi lo vide.

Era nascosta dietro un’enorme roccia, ma ora poteva vederlo. C’era qualcosa di largo e bianco per metà spiaggiato lungo il bordo dell’oceano.

Aoki aumentò il passo tirando fuori il kunai per sicurezza. Più si avvicinava, più non riusciva a capire cosa diavolo fosse quella cosa per terra, ma subito dopo essersi avvicinato con sufficienza, gli fu lampante che non fosse qualcosa di normale.

Aoki rallentò e rimase scosso, avanzando con cautela. 

Vide enormi fauci, contorte e racchiuse di una sacca di gonfia carne rossa, formata da migliaia di denti aguzzi. Quella disgustosa e deforme bocca era chiusa a fiore al centro del suo corpo, dove spuntavano nove enormi tentacoli bianchi, simili a quelli di un gigantesco polpo.

Ma la cosa più orribile di tutte, era quello che c’era ai piedi di quella creatura. 

Un corpo umano, completamente fatto a pezzi, un corpo che Aoki conosceva bene: Orin Armstrong, il leggendario fabbro ed eroe di Steepfall, era ora un cumulo di carne senza vita.

C’era sangue ovunque, mai nella sua vita aveva visto uno spettacolo tanto orribile, così tanto orrido infatti che per la prima volta in tutta la sua vita, sentì la necessità di sputare via bile dalla sua bocca.

Soltanto vedere quella creatura immobile, abbracciare i suoi tristi resti, in quell’oceano di sangue, lo riempì di un terrore così intenso, tanto che sentì la sua sanità mentale venire a meno soltanto guardando quello scenario.

Poi qualcosa lo distrasse. La penombra della foresta si fece più fitta, l’acqua diventò grigia e il cielo si scurì. Lui si avvicinò a passo lento verso il bordo della spiaggia, mentre un udì una serie di sussurri incomprensibili provenire dall’immensità dell’oceano. 

I suoi occhi, ormai testimoni di una realtà che piano piano si stava scomponendo in una folle spirale di orrori e innaturalezze, furono testimoni di qualcosa che ignorava ogni logica possibile.

Il cielo divenne così buio e denso, che quasi gli sembrò che proiettasse gli abissi marini, mentre una melma simile al catrame iniziò a sanguinare giù dall’alto. I sussurri divennero così forti, tanto che il giovane Vigilante si portò le mani alle orecchie. I suoi timpani facevano male e iniziò ad urlare.

Ma non perse il contatto visivo, non riusciva a distogliere lo sguardo.

Dal melmoso cielo scese giù una creatura immonda, con migliaia di occhi che si muovevano in varie direzioni e tentacoli che si agitavano sinuosi nel cielo.

Aoki crollò in ginocchio e con gli occhi spalancati e le iridi tremanti, iniziò a ridere. Rideva a crepapelle mentre la pazzia lo conquistava. Non c’era più speranza di sopravvivenza in quel posto, solo la prospettiva di una morte orribile.

 

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Capitolo 14
*** Atto 1-14; (Richiamo) ***


Le più atroci delle verità si nascondono in un’altrettanta atroce oscurità.

Ma l’unico modo che l’uomo ha per vedere attraverso le tenebre è tramite la luce.

In quell’unico barlume di speranza, inghiottito quasi completamente da una prospettiva di morte e desolazione, si può raggiungere la risoluzione.

… O magari è solo una fugace illusione, un’effimera speranza, un’ingenua preghiera che tutto possa andare per il verso giusto.


10 anni prima…

 

Non tutti avevano accettato alla leggera l’alleanza tra Alabathia e Baal’Thasia. Le tensioni politiche tra le due nazioni si erano alleggerite, ma l’odio causato dal conflitto non era facile da lenire.

Baal’Thasia era la nazione che aveva subito più perdite e la pace era desiderata da molti. C’era però chi non aveva dimenticato, chi aveva sofferto inimmaginabile sofferenza nella guerra e non aveva nessuna intenzione di riporre le armi.

Le ribellioni interne a Baal’Thasia erano di fatto la ciliegina sulla torta di sangue. L’odio aveva creato odio nuovo, non solo verso Alabathia, ma verso il popolo di Baal’Thasia che aveva riposto le armi e desiderava la pace, mancando quindi di rispetto alle innumerevoli vite perse.

Il villaggio in cui viveva Anglia era stato raso al suolo dalla resistenza di Baal’Thasia, uomini che avevano deciso di continuare a combattere e di schierarsi non solo contro Alabathia, ma contro la nuova politica di pace instaurata dal regno sconfitto.

La giovane ragazza vagò per giorni con una spada in mano, senza mangiare e senza bere, finché non crollò al suolo durante una tempesta di pioggia, mentre cercava di attraversare il confine.

Anglia non aveva idea di quanto tempo fosse passato, non sapeva neppure se era ancora viva o meno, ma sentì a distanza il nitrito di un cavallo e gli zoccoli fermarsi a poca distanza da lei.

Un uomo alto, dai lunghissimi capelli biondi, dalla folta barba e lo sguardo più gelido delle nevi d’inverno, scese dal cavallo e si fermò davanti a l'esile corpo della ragazzina, ormai ridotta a pelle e ossa.

“Cosa abbiamo qui? Un randagio?” Disse chinandosi. Anglia però, nonostante ormai non avesse più forze, si alzò in piedi con la sua sola forza di volontà e fissò negli occhi l’uomo dinanzi a sé, stringendo l’elsa della spada, pronta a difendersi.

Era accompagnato da un plotone di cavalieri in armatura d’argento, con il vessillo sventolante del regno di Alabathia. Uno degli ultimi si allarmò, ma l’uomo biondo fece cenno con la mano, bloccandolo.

“Hai fegato ragazzina, come ti chiami?” Le chiese.

“Anglia” Rispose lei senza mostrare cenno di paura.

L’uomo biondo tirò fuori la spada dalla sua faretra e la puntò sulla sua gola..

“Le tue mani sono sporche di sangue Anglia” Disse duro l’uomo “Per cosa hai ucciso? Qual’è la tua ragione di esistere?”

La ragazza, che tremava stremata, lasciò cadere la spada dalle mani e strinse saldamente la lama della spada dell’uomo. Si tagliò e il sangue caldo scese dalla sua mano, macchiando gli stracci che indossava, già sporchi dei resti dei suoi nemici.

“Capisco…” Disse l’uomo “E’ questo ciò che hai visto in quell’inferno vero Anglia?”

Uno dei generali scese dal cavallo e si affiancò a lui.

“Mio Re, cosa ne facciamo di questa ragazzina?” Chiese chinando il capo in sua presenza.

“Viene con noi. La sua vita mi appartiene adesso…” Rispose.

Anglia aveva tentato di proteggere il suo popolo, fallendo miseramente. Era rimasta sola e aveva lasciato ai suoi piedi solo i cadaveri di chi aveva minacciato i suoi cari.

Ma l’illusione di aver salvato le persone alla quale voleva bene restò, marchiando in modo indelebile la sua anima, ora forgiata come un’affilata lama pronta a fendere i suoi nemici.

Da quel giorno Anglia diventò un cavaliere e si addestrò giorno e notte, senza riposo, diventando la migliore combattente e fedele servitrice del Re Eckor Haiken Our Stator, prestando il massimo giuramento e rituale sacro, che la nominò come Cavaliere Reale del Vessillo Dorato.

Sei anni dopo il suo rigido e implacabile addestramento, la donna fu chiamata al cospetto del Re ancora una volta.

“Anglia, ho una missione per te…” Disse l’uomo, mentre era seduto sul suo immenso e opulente trono.

Anglia che non era più una bambina, ma una donna, era ora vestita con le vesti da cavaliere di massimo rango, inginocchiata in modo elegante a capo chino, con estrema riverenza.

“Di che si tratta, mio Re?” Chiese lei.

Ektor si alzò in piedi e fece cenno al suo sovrintendente “Portalo qui…”.

Qualche minuto dopo, un giovane ragazzo suo coetaneo entrò nel grande salone. Aveva gli occhi di suo padre, con l’unica differenza che il gelo riflesso nelle sue iridi, mostravano una calda gentilezza.

“Harris, lei è Anglia” Disse suo padre, senza mai abbandonare la severità nel suo tono di voce “Da oggi in poi, lei sarà al tuo fianco in ogni momento e ti proteggerà”.

Harris senza parole, si voltò verso l’ elegante donna in armatura a capo chino, che non si era mossa di un millimetro dalla sua posizione.

“Hai qualche obiezione Anglia?” Ektor sorrise appena verso il cavaliere.

“No Mio Re. Ogni suo desiderio è il mio…” Rispose prontamente.

Harris si avvicinò a lei, ma Anglia non osò alzare in capo, non aveva alcun diritto di guardarlo.

“Piacere di conoscerti Anglia” Disse lui cortese, allungando la sua mano.

Anglia non ebbe altra scelta che tirare su il suo volto e guardarlo per la prima volta. Il principe e figlio primogenito del Re di Alabathia era di fronte a lei, con la sua mano tesa e un sorriso sincero, radioso come il sole che lo illuminava dai vetri a mosaico sparsi ovunque nel salone reale.

Il cavaliere non abituato ad un gesto tanto amichevole, restò ipnotizzata davanti a lui e il suo corpo si mosse senza volontà. Poggiò la sua mano in armatura sulla sua e nuovamente chinò il capo.

“L’onore è tutto mio, Sua Altezza”.

Deliziato, Ektor fece un sorriso soddisfatto “Anglia, sarai tu ad insegnare l’arte del combattimento a mio figlio. Sei la migliore guerriera di questo regno, ti do dunque la responsabilità di salvaguardare la vita dell’unico erede al mio trono e di insegnargli tutto ciò che sai”.

Anglia, seguì il galateo dei Cavalieri Reali e si staccò la spada dalla faretra poggiandola al suolo, mentre con l’altra mano si coprì il cuore dove c’era il simbolo del regno di Alabathia.

“Sarà fatto, Mio Re”.

Harris prese dunque la spada di Anglia ora al suolo e la estrasse dalla faretra, puntando la lama verso di lei.

La donna alzò il capo e si tolse via il guanto d’arme. C’era ancora la cicatrice del suo giuramento sul palmo della sua mano e allo stesso modo di come era avvenuto dieci anni prima, strinse la lama lasciando scorrere il suo sangue su di esso.

In quel preciso istante, Anglia divenne tutt’uno con quella spada, con quel giuramento, diventando a tutti gli effetti l’estensione fisica del Principe Harris.

 

Presente

 

Grazie alle tracce lasciate da Aoki, Alic riuscì a restare sul percorso e a non perdersi lungo la fitta vegetazione che si estendeva da ogni lato. Soltanto vedere quei segni sulle cortecce lo tranquillizzava, poiché senza di loro era come camminare in un corridoio di specchi.

Mentre avanzava però, calpestò qualcosa di duro sul terreno.

“Ma che diavolo…?”.

Alic si chinò e prese tra le mani quello che sembrava una boccetta di vetro dall’aria sospetta.

“E questo cos’è?” Si chiese esaminandolo da vicino.

C’era un’etichetta attorno alla boccetta, Alic pulì via il terriccio da esso e quello che vide scritto su di esso lo perplesse. 

“Curie? Dove ho già sentito questo nome?” Si chiese.

La boccetta era piena di un denso liquido arancione dall’aria sospetta. Fu in quel momento che Alic ricordò.

“Ora ricordo, questa è la medicina di cui parlavano, ma cosa ci fa qui per terra? Non erano state rubate?”.

Come al solito però, Alic realizzò in ritardo cosa ciò volesse dire. La persona che era sospettata di aver rubato le fiale di Curie dalla Fraternity, era la stessa che era responsabile del naufragio. Questo voleva dire una sola cosa…

Pallido in volto, Alic deglutì “Non può essere, allora… questa boccetta appartiene all’assassino? Ma cosa ci fa qui?”.

Poi un passo…due passi…tre passi. Una mano sbucò dalle ombre e Alic si voltò urlando dalla paura. Lo spavento lo fece cadere di fondoschiena sul terreno, ma mentre strisciava via terrorizzato, si rese conto di chi avesse davanti.

“TU?!” Gridò con voce stridula.

Anglia era in piedi, con la mano che si reggeva la ferita sul fianco.

Alic si rialzò prontamente e mise la boccetta nella tasca, avvicinandosi a lei.

“Mi hai SPAVENTATO A MORTE! Ti ha dato di volta il cervello?!”.

Anglia però non rispose, si guardò la mano sporca di sangue per poi poggiarla nuovamente sulla ferita.

“Non dovresti essere qui…” Disse Alic “Vuoi forse morire dissanguata?!”.

“Devo tornare alla Ziggurat” Rispose lei resistendo al dolore, pallida in volto. Aveva perso molto sangue, ma riusciva ugualmente ad avere le forze di restare in piedi. La sua forza di volontà ancora una volta non mostrò pari.

“Non essere sciocca! Non puoi muoverti in quelle condizioni!” Esclamò Alic.

Anglia però lo afferrò dalla sciarpa con veemenza “Non ho tempo per starti a sentire, devo tornare da Sua Altezza!”.

Alic sorpreso e spaventato dallo sguardo assassino della donna, si arrese immediatamente.

“Ok! Ok! Ho capito… ora lasciami però”.

Anglia mollò la presa e Alic sospirò esasperato “Forza andiamo”.

Non c’era tempo da perdere, la ferita di Anglia andava disinfettata al più presto.

Durante il tragitto, Anglia non disse una parola. Alic di tanto in tanto si voltava verso di lei e le fissava la ferita con un certo disgusto verso tutto quel sangue. Era praticamente un cadavere che camminava, ma non mostrava segni di cedimento. Il giovane menestrello si chiese come un essere umano potesse avere una tale forza di spirito.

“Stai bene?” Le chiese “Non voglio sembrare offensivo ma… mi sembri una specie di zombie”.

“Ho vissuto di peggio” Rispose lei impassibile.

Finalmente dopo un discreto tragitto a piedi, riuscirono a tornare al Relitto. Alic si guardò alle spalle e fissò il primo marchio lasciato dal kunai di Aoki. Fissò poi la foresta e si chiese cosa ne era stato di quel misterioso Vigilante.

“Non preoccuparti per lui” Disse Anglia “Ho la sensazione che sia molto simile a me. Sa cavarsela da solo”.

Alic si convinse grazie alle parole del Cavaliere e quindi imboccarono la strada opposta per tornare verso il Santuario.

Una volta nei pressi della Ziggurat però, le forze di Anglia cedettero. 

“No, no… andiamo!” Esclamò Alic predendola sotto braccio “Non cedere ora! Siamo arrivati”.

Anglia era in pessime condizioni, quando Leah la vide moribonda e sorretta da Alic, immediatamente intervenne.

“Anglia! Dea Misericordiosa…portala qui!” Esclamò la farmacista, indicando il corridoio e senza fare domande iniziò ad esaminare la ferita.

“S-Sua Altezza…” Disse lei con gli occhi lucidi. “Ho fallito di proteggervi”

“Sta bene” Le rispose Leah con un sorriso cercando di rassicurarla “E starai bene anche tu, ma devi restare immobile, mi hai sentito?”.

Anglia deglutì, ormai prossima a perdere i sensi e annuì debolmente.

Leah tornò indietro con una garza e del disinfettante e si occupò di lei.

Alic si asciugò il sudore dalla fronte e si mise seduto. Mai nella sua vita si era sentito così tanto stanco… e affamato. Ora che era seduto, si lasciò andare ad una risata amara.

“Che diavolo di senso ha tutto questo?" Disse mentre Leah avvolgeva la ferita di Anglia con una garza. “Tanto moriremo tutti qui, è tutto inutile”.

Finita la medicazione, Leah sdraiò Anglia assieme agli altri, che nel frattempo aveva perso i sensi.

La stessa stanchezza di Alic, affliggeva anche la giovane farmacista. Stava lottando senza sosta, senza mai arrendersi, ma riusciva a comprendere i sentimenti di Alic. Senza cibo, non c’era speranza alcuna di sopravvivenza.

Leah si avvicinò agli approvvigionamenti e prese gli ultimissimi viveri rimasti. Non bastava per tutti, quindi erano purtroppo giunti al limite.

“Alic, dov’è Aoki?” Gli chiese lei, poggiando sconsolata il cibo nella scatola.

“Non lo so” Rispose lui “Ha deciso di continuare a esplorare per capire dov’è andato l’aggressore”.

“La ferita di Anglia, qualcuno l’ha pugnalata…”.

Alic annuì “E’ stato lui o lei, non so di chi stiamo parlando. Ha pugnalato Anglia ed è fuggito a Nord. Aoki mi ha detto di tornare indietro per Anglia, ma lei ha deciso di venire con me”.

Alic poggiò la testa sul muro e sospirò “Ma ripeto… che senso ha cercarlo? Non abbiamo più le forze per fare nulla, il cibo è finito, moriremo qui…”. Le lacrime scesero dalle sue guancie. “Merda, non voglio morire… non adesso”.

La disperazione lo agguantò, portandolo a piangere.

Leah non sapeva cosa dire. Voleva reagire, voleva cambiare le cose, ma Alic aveva ragione… nessuno aveva più le forze di fare nulla.

La ragazza poggiò una mano sulla sua spalla. “Non sei solo” Gli disse.

Per quel che bastava, Alic riuscì a consolarsi con quelle parole.

 

In quella eterna nebbia di incertezza e confusione, Alphonse camminò senza meta e senza domande. La vegetazione attorno a lui era monotona, così come il rumore dei suoi stivali che calpestavano il terreno.

Un passo alla volta e ad ogni battito di cuore, Alphonse vagò in un loop infinito, in una strada che portava da nessuna parte. 

Ma il torpore che ovattava la sua mente fu interdetto per un breve momento, facendolo fermare. Si voltò alla sua destra e vide una confortevole luce. Per qualche strana ragione, Alphonse provò una strana nostalgia nel vedere quel barlume nell’oscurità e per la prima volta, in chissà quanto tempo, si incamminò in una direzione differente.

Ci volle poco, ma riuscì ad arrivare davanti alla fonte di quella luce: una modesta casa di legno a due piani… la sua casa.

Alphonse si guardò attorno e vide il panorama che era abituato a vedere ogni giorno. Montagne innevate nel cuore dell’inverno, un vasto terreno ondulato che scendeva fino a valle, dove venivano coltivate ogni genere di verdure.

Vide il lago dove ogni tanto andava a pesca con suo padre e suo zio, quando era più piccolo e infine, l’ingresso della miniera, ben visibile dalla via principale del villaggio.

Alphonse tornò a posare lo sguardo verso la sua dimora e si chiese se suo padre fosse a casa in quel momento.

La porta d’ingresso era socchiusa, così poggiando una mano sull’uscio di legno entrò, accolto dal familiare cigolio della porta e dalla cucina. Tutto era in ordine, ma una strana foschia grigia ovattava i colori di quelle mura. 

“Papà? Sei a casa?” Alphonse si guardò attorno, ma gli strumenti di suo padre, di solito appoggiati vicino al camino, non c’erano. Alphonse avanzò verso il corridoio al centro e poggiò lo sguardo verso le scale. C’era quella stessa tenue luce provenire dalla stanza sulla sinistra, lì dove c’era la camera da letto di suo padre.

Lentamente salì le scale e si voltò verso la porta anch’essa socchiusa, che portava alla camera da letto. Una volta aperta, Alphonse vide una sedia a dondolo, la stessa in cui sedeva sua madre durante i suoi giorni di malattia. La sedia dondolava appena, mentre le tende della camera si muovevano sinuose al vento.

La finestra completamente spalancata, mostrava il panorama di Stonefall e al fianco della sedia, c’era una lanterna ad olio poggiata sul tavolino, che illuminava l’intera stanza.

Alphonse fermò la sedia con la mano e poggiò lo sguardo verso il panorama esterno alla finestra. 

C'era qualcuno in piedi che fissava verso di lui, una donna dai lunghi capelli neri e le vesti bianche.

Il giovane minatore non credeva ai suoi occhi, quella donna… era sua madre.

“Mamma?”

Immediatamente Alphonse scattò verso il corridoio, scese le scale e uscì fuori di casa. 

Fece il giro e vide sua madre allontanarsi verso la foresta. 

“Aspetta!” Alphonse corse verso di lei, ma più correva più lei si allontanava. Nuovamente fu inghiottito dalla nebbia e i sensi del ragazzo appassirono.

Vagò in quella nebbia per un’altrettanto tempo non definito, girovagando senza sosta nel denso e oscuro bosco, quando una forte luce gli fece ottenere indietro sensi. Vide sua madre in piedi, a distanza, che lo fissava con sguardo spento, mentre i suoi capelli sottili come aghi, si muovevano eleganti e sinuosi al vento.

“Mamma! Aspetta!” Esclamò Alphonse allungando la mano, ma la donna si voltò e continuò a camminare, sparendo nella luce.

Lui corse a perdifiato e una volta varcata quella radianza, si ritrovò in una spiaggia desolata, dal cielo ovattato, l’oceano spento e piatto e alla sua sinistra…sangue.

Tantissimo sangue a fianco ad una mostruosa creatura pallida dalla pelle umida e porosa, con al centro una disgustosa fauce rossa, piena di denti aguzzi.

In piedi, voltato di spalle, con lo sguardo rivolto verso l’oceano, vide Aoki.

Alphonse scosso, con gli occhi sbarrati e il fiatone, cercò di avvicinarsi… ma il suo corpo fu trascinato via a grandissima velocità all’interno della foresta. 

Tutto si riavvolse, sbiadendo in una luce bianca.

 

Alphonse spalancò gli occhi, svegliandosi di soprassalto. Le sue iridi si strinsero e iniziò a respirare con fatica, quasi come se fosse emerso da una lunga apnea. Sentì il suo corpo pesante come un macigno, ma riuscì ugualmente a sollevarsi con i gomiti.

“Alphonse!” Esclamò Leah avvicinandosi a lui “Alphonse stai bene?!”:

Ma il ragazzo non rispose. Si guardò attorno e vide il caos totale…

Pezze sporche di sangue, Anglia ferita, Simon e Harris entrambi fuori gioco. Poi il giovane minatore posò lo sguardo ancora scosso su di lei. Leah era pallida, affaticata, ma ancora in piedi.

“Cos’è successo?” Si chiese Alphonse, ma in sua risposta arrivò un forte mal di testa.

“Alphonse, cerca di riposare…” Leah lo aiutò a sdraiarsi.

Alphonse aveva ancora le immagini del sogno vivide nella sua mente, così come le fauci di quella creatura, così simili a quelle che aveva visto negli abissi marini mentre veniva divorato.

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Capitolo 15
*** Atto 1-15; (La Verità) ***


Arrivò la notte. Il buio coprì ogni angolo dell’isola, facilitando il torpore negli animi stanchi dei sopravvissuti. La mancanza di cibo pesava enormemente sulle loro resistenze, ed era solo questione di tempo prima che l’intero gruppo crollasse sotto il peso della debolezza.

In quei momenti però, era la forza di volontà che dominava ogni altra cosa.

Alphonse non riusciva a dormire, nonostante l’enorme stanchezza, qualcosa gli impediva di chiudere gli occhi.

Quel sogno era ancora perfettamente vivido nella sua mente, portandolo a riflettere e a perdersi in un oceano di pensieri. La sua mente pulsava, sia dalla fame, sia dal bisogno di avere risposte.

Ma alla fine la fatica prese il sopravvento. Fu come se qualcuno lo avesse spento e lentamente ogni pensiero si sgretolò, diventando incomprensibile e fumoso.

Prima di chiudere gli occhi però, vide qualcuno in piedi davanti a lui: Harris.

Cosa ci faceva in piedi? Ma Alphonse non ebbe le forze di fare nulla, chiuse gli occhi e la sua coscienza vagò nuovamente nel vuoto.

 

Riprese i sensi la mattina seguente e al suo fianco c’era Leah.

“Come ti senti?” Gli chiese lei con un sorriso debole.

La ragazza aveva una pessima cera, ma era ancora in piedi. Si stava sforzando di sorridere, ma sapeva bene quanto quella situazione fosse disperata.

“Sto bene” Rispose il giovane minatore, cercando di sorridere a suo modo.

“Ecco tieni..:”

Leah gli consegnò un piatto di coccio, con sopra tutto quello che restava del cibo. La ragazza aveva già distribuito equamente i viveri e ora, non ne rimaneva più niente.

Alphonse mangiò quel poco che c’era sul piatto, e lo aiutò per lo meno a recuperare un po’ di forze.

“Dove sono gli altri?” Chiese Alphonse guardandosi attorno.

“Per fortuna Simon, Sua Altezza e Anglia stanno bene. Affamati, come tutti, ma stanno bene” Rispose lei. “Anglia ha perso molto sangue, ma… oh giusto, tu non sai cos’è successo”.

Alphonse scosse il capo, i suoi ricordi più vividi erano quando stava pescando e poi…non voleva pensarci di nuovo. Soltanto ricordare quell’incubo gli causava forti dolori di testa.

Leah lo aggiornò sugli ultimi eventi, comunicandogli anche che suo zio Orin era scomparso.

“Dobbiamo trovarli…” Disse Alphonse preoccupato.

Leah annuì “Ne stavamo giusto discutendo, stavamo aspettando te…”

La ragazza allungò la sua mano e Alphonse la afferrò alzandosi in piedi. Probabilmente quello sarebbe stato l’ultimo giorno della sua vita, doveva fare qualcosa… qualsiasi cosa.

Una volta riunito assieme a tutto il gruppo, Alphonse posò lo sguardo su Harris. Ricordava a malapena cos’era successo dopo il suo risveglio, ma lo aveva visto in piedi mentre lo fissava.

“Stai bene Alphonse?” Chiese Harris decisamente pallido e indebolito.

Il giovane minatore sorrise appena “Potrebbe andare meglio”. Poi rivolse lo sguardo a tutti gli altri “E voi?”.

Simon si portò una mano sulla testa “Stordito, ma sono ancora in piedi”.

Alic invece fece semplicemente un cenno con la testa, come per dire in modo sbrigativo “Sì, sto bene” anche se chiaramente la sua espressione non palesava molta fiducia.

Anglia era in pessimo stato. Aveva un viso cinereo, quasi come se da un momento all’altro potesse collassare al suolo, ma al contrario di ciò che Alphonse pensava, il prode cavaliere era ancora in piedi, al fianco del suo Principe.

“Dobbiamo trovare Sir Armstrong e Aoki” Disse lei seria in volto “Non sono al sicuro lì fuori e dobbiamo muoverci prima dell’arrivo della nebbia”.

“Qualche idea?” Harris si rivolse al gruppo, ma nessuno rispose.

Fu in quel momento però, dopo una breve esitazione, che Alphonse alzò la mano.

“Io ho un’idea…”.

Tutto il gruppo si voltò verso di lui, pronti ad ascoltare la sua proposta.

“Dobbiamo seguire Aoki” Propose “Leah mi ha aggiornato su tutto ciò che Alic ha raccontato. Anglia è stata trovata ferita in una grotta dico bene? E sei stata tu a mandare Aoki nella direzione dove è fuggito l’assassino”.

Anglia annuì “Immagino che tu voglia seguire le sue tracce, dico bene?”.

In realtà il vero motivo per cui aveva avuto quella idea era perché aveva visto Aoki nei suoi sogni, ma cosa voleva significare? Cos’era quella strana e immonda creatura spiaggiata? E tutto quel sangue…?

“Alphonse, sei sicuro di stare bene?” Leah preoccupata, si avvicinò.

“Sì… sto bene” Rispose lui con un sorriso “Ho solo un po’ di mal di testa, tutto qui”:

Mentì. Ma non sapeva neppure come descrivere il dolore che provava. Sentiva come se il suo cranio fosse pieno e volesse esplodere. Anche semplicemente produrre un pensiero richiedeva enorme sforzo. Ma non poteva permettersi di mostrarsi debole, doveva lottare fino allo stremo, nella speranza di poter risolvere quella situazione.

“Siamo al nostro limite…” Disse Alic scuotendo il capo.

“Lo so, ma dobbiamo proseguire” Alphonse cercò di motivare il gruppo “Anche se tutto quello che ci aspetta è la morte, per lo meno moriremo facendo tutto il possibile fino alla fine. Credo sia quello che anche mio Zio direbbe in questa situazione” Alphonse strinse un pugno, con quel poco di forza che gli restava.

“Sono d’accordo con Alphonse” Harris diede voce ai suoi pensieri “Aoki è un nostro compagno, così come lo è Sir Armstrong. Non possiamo semplicemente arrenderci e restare qui ad aspettare la fine”.

Alic allargò le braccia e le fece cadere sui fianchi “Ok, come volete. Non che io abbia altre opzioni”.

Tutto il gruppo decise dunque di incamminarsi verso la grotta in cui Anglia era stata ferita.

Da lì in poi, sarebbero andati verso un territorio ignoto.

 

Arrivati sul posto, Anglia indicò alla sua destra.

"È andato da quella parte"

Tutto il gruppo decise quindi di muoversi verso la zona interessata, facendo molta cautela. Nessuno di loro si era mai spinto oltre quella soglia, poteva dunque esserci qualsiasi cosa.

Dopo aver camminato per almeno dieci minuti, giunsero sul lato opposto dell'isola.

L'atmosfera era completamente diversa dal lato in cui era situata la baia. Il cielo era grigio, le acque più scure e mosse, la sabbia più chiara e tutto sembrava arido e privo di vita.

Alphonse sorpreso fece qualche passo in avanti e fissò quel macabro e desolato panorama.

Era già stato lì, nel suo più recente sogno.

Aveva visto Aoki girato di spalle, a fianco ad una grande quantità di sangue.

Improvvisamente con allarme, Alphonse voltò lo sguardo alla sua sinistra.

"C'è qualcosa lì" Disse Leah tesa.

E fu in quel momento che l'intero gruppo, fu testimone dell'ennesimo scenario di pura follia e orrore, che si aggiungeva alle loro già fragili menti.

Una misteriosa e immonda creatura marina, dalla pelle pallida, con migliaia di fauci simili ad una gigantesca deforme bocca, giaceva immobile e presumibilmente morta accanto ad una larga pozza di sangue, dove c’erano i resti di Orin.

Quel che seguì dopo quella macabra scoperta, furono attimi di disperazione e di raccapriccio.

Alphonse stava osservando le maciullate tristi spoglie di una persona alla quale voleva molto bene, il fratello maggiore della sua defunta madre, la quale dipartita aveva lasciato nel cuore del giovane minatore un’insanabile cicatrice, che si sarebbe portato dietro per tutta la vita.

Nuovamente nel cuore di Alphonse si creò un vuoto incolmabile, che peggioró ulteriormente la sua stabilità mentale.

Con sguardo oscurato, non versò lacrime, né gridò con orrore come alcuni dei suoi compagni. Quello che c'era dentro di lui in quel momento era oscurità, una rabbia crescente e furibonda, come quella di una mandria di rinoceronti imbizzarriti.

Ciò che avevano di fronte era l'esatta copia della scena del crimine di Piper. Entrambi erano stati fatti a pezzi nello stesso modo. Un modo perverso e brutale di assassinare una persona, apparentemente senza un reale motivo se non quella di spudorata crudeltà.

Mentre Leah singhiozzava e piangeva la morte di un prezioso compagno, Anglia si avvicinò al cadavere per esaminarlo.

Lo sguardo del cavaliere mentre calpestava la pozza di sangue era all'apparenza impassibile e freddo. Ma invero la donna aveva i pugni stretti, mentre cercava indizi.

"Chi è stato…?" Chiese Alphonse con voce vuota. Il suo tono era così duro e freddo, che arrestò il pianto di Leah, che stupita e con occhi arrossati, fissò preoccupata il giovane minatore.

"Guardate…" Improvvisamente, Harris prese qualcosa dalla sabbia, a poca distanza della costa, vicino alla creatura.

Quello che aveva in mano, lasciò tutti senza parole. Era impossibile non riconoscerlo, si trattava del kunai di Aoki, completamente sporco di sangue.

La sua assenza, più un'arma sporca di sangue vicino al cadavere della vittima, era l'ennesima coincidenza che faceva eco a quello di Piper.

Ma Alphonse non era lucido in quel momento, quel kunai valeva come mille verità, ed ogni singola di esse urlava "colpevole".

"Quindi è stato lui?" Chiese Simon, portandosi una mano sul mento. Non sembrava molto convinto.

"Il coltello è vicino al cadavere no?" Rispose Alic "A meno che tu non stia suggerendo che sia stato divorato e sputato da quello schifo per terra, direi che è una prova incontrovertibile"

"Anglia...hai trovato qualcosa?" Chiese il principe.

La donna rivolse lui uno sguardo e ciò bastò a lui per capire che qualcosa c'era.

Harris abbassò lo sguardo e Alphonse poco tollerò quel ennesimo sotterfugio, spingendolo ad agire, noncurante delle conseguenze che ne sarebbero derivate.

"Facciamola finita con i segreti" Disse duro verso Harris "Che cos’è quella creatura? Quali sono questi segreti che tanto tieni a cuore? CHE COSA DIAVOLO STA SUCCEDENDO?!"

L'improvviso intervento di Alphonse lasciò senza parole il giovane principe, che tornó a fissare Anglia. La donna scosse il capo, ma Harris sembrò combattuto. 

"Mio zio è morto" Disse Alphonse insistendo a denti stretti, indicando lo stato di assoluto orrore in cui era ridotto il suo cadavere "Qualcuno o qualcosa lo ha ridotto così, e la stessa cosa vale per Piper. Non mi importa se stiamo tutti per morire, io voglio sapere la verità"

Leah, così come tutti gli altri, ora pendevano dalle labbra del principe.

"D'accordo" disse infine lui chiudendo gli occhi "Alphonse ha ragione, forse è meglio smetterla con questi segreti"

"Sua Altezza!" Anglia era fermamente contraria, ma Harris scosse il capo.

"No Anglia, è giusto così. Fidati di me".

Il cavaliere non ebbe scelta che assecondare i desideri del suo Principe, nonostante fosse ben conscia che rivelare le informazioni in suo possesso avrebbe potuto causare gravi instabilità nel regno.

"Chiedimi tutto quello che vuoi" disse Harris, volgendo il suo sguardo serio verso Alphonse "Risponderò a tutte le tue domande".

Alphonse finalmente ebbe dunque l'occasione di conoscere tutta la verità è iniziare a dare un senso a tutta la loro insensata situazione.

 

La tensione era palpabile. Harris avrebbe messo a nudo ogni verità in sua conoscenza e Alphonse era più che determinato a portare tutto alla luce.

"Cosa nasconde quest'isola? Quali sono i suoi segreti?" Chiese lui.

Harris cambiò espressione e fissò Alphonse negli occhi.

"Tutto quello che so è che quest'isola è stata in passato soggetta a numerosi studi da parte delle migliori menti del regno di Alabathia. La natura degli studi mi è ignota, ma mio padre aveva personalmente incaricato queste persone di studiare e scoprire i segreti di quest'isola"

"Ci è riuscito!?" Simon, che finalmente aveva compreso perché suo padre fosse scomparso, si fece avanti.

"Purtroppo della spedizione solo una persona è riuscita a tornare indietro. Grazie agli strumenti arcani di avanguardia forniti ai ricercatori, riuscirono a mandare un segnale di aiuto. Purtroppo quando la flotta di soccorso arrivò, trovarono solo una persona al punto di estrazione".

"Piper…" Disse Alphonse.

"Esattamente, proprio lei" Annuì Harris "Dopo il suo ritorno, la sfera nobiliare iniziò a preoccuparsi dell'esito della spedizione e mio padre diventò paranoico. Era spaventato dall'idea che l'incidente potesse trapelare, così divulgò una storia non ufficiale, dichiarando che la nave e il suo equipaggio erano naufragati e quindi dispersi. Per assicurarsi il totale silenzio a riguardo, tutti i partecipanti del progetto e la stragrande maggioranza della sfera nobiliare, fu sottoposta a ipnosi arcana".

"Ipnosi Arcana?" Era la prima volta che Leah sentiva una cosa simile e lo stesso valeva per gli altri, tranne per Simon che conosceva bene il suo funzionamento.

"Mio padre ha sviluppato le funzioni principali dell'ipnosi arcana" disse Simon "Fu grazie a quella ricerca che gli fu permesso di accedere ai ranghi alti dell'accademia".

"E come funziona?" Gli chiese Alic.

"Per evitare di dilungarmi troppo in dettagli complicati, si tratta di indurre una magia simulata che controlla forme di vita, in particolar modo la mente umana. Un’ipnosi arcana può essere usata per modificare i ricordi di una persona o rimuoverle, e il processo viene ufficializzato con un marchio magico lasciato sulla pelle del ricevente".

"Un momento…" Alphonse in quel momento ricordò. "Un marchio magico sulla pelle? Ma allora Piper…".

Il giovane minatore rivolse lo sguardo al principe e Harris annuì.

"Mio padre usò l'ipnosi arcana su Piper per rimuovere ogni ricordo che riguardava la spedizione. Lo stesso vale per tutti coloro che hanno direttamente o indirettamente partecipato al progetto. Incluso Sir Armstrong".

Tutti rimasero sgomenti di fronte a tale rivelazione e più di tutti Leah.

"Posso vedere quel marchio?" Chiese lei.

Alphonse tirò fuori il foglio che le aveva consegnato Anglia. La giovane farmacista riconobbe subito quel glifo.

"Mio padre ne aveva uno…" confessò "Quando gli chiesi cos'era lui mi ha risposto semplicemente che si trattava di una bruciatura che si era fatto con del liquido bollente durante la sintesi di un medicinale".

"Sì Leah, anche tuo padre ha partecipato al progetto" ammise Harris "Sir Armstrong ha fornito strumenti e utensili per i ricercatori, mentre Sir Garbles ha realizzato una guida di sopravvivenza consegnata a tutto l'equipaggio. Mio padre ha fatto cancellare la memoria a tutti coloro che avevano anche solo sentito del progetto".

Alphonse, così come tutti gli altri, arrivarono quindi alla stessa conclusione. Due delle vittime uccise sull'isola portavano con sé un glifo magico sulle loro carni che avevano cancellato le loro memorie. Quindi l'assassino stava togliendo di mezzo tutti coloro che conoscevano il progetto in questione. Ora però la vera domanda era: chi? Chi era l'assassino? Harris sembrava avere una risposta concreta anche a quel quesito.

"Ho i miei sospetti riguardo il responsabile di tutto questo" Disse Harris chinando il capo "C'è solo una persona che potrebbe avere un movente per l'esibizione di tale atrocità e odio. Quella persona è Aoki".

Alcuni si aspettavano una risposta così, altri no, come ad esempio Leah.

"Perché proprio lui?" Chiese Alphonse.

"Aoki è uno dei sopravvissuti di un orribile capitolo della storia di Alabathia. Un altro dei segreti mai divulgati dalla sfera nobiliare e da mio padre".

“Sua Altezza, non lo faccia!” Esclamò Anglia pallida.

“Devo Anglia! Non posso tirarmi indietro… non posso più nascondere la verità” Esclamò Harris.

Per Harris era un argomento delicato, non era facile per lui parlare di una cosa così triste e orribile.

"Durante la grande guerra, quando l'arcanismo era in fase di evoluzione, mio padre cercò di allacciare dei contatti con le remote terre di Kurayami. A quel tempo, lo Shogun aveva in atto una severissima politica isolazionista, di conseguenza la popolazione era tecnologicamente e socialmente arretrata. Mio padre non si fece problemi a minacciare l'invasione, poiché l'isola era ricca di materiali indispensabili per la riuscita della guerra, oltre che a possedere diverse miniere di Silderium, alcune così grandi da far impallidire quella di Stonefall. Per evitare la distruzione del suo popolo, lo Shogun accettò di aprire un dialogo. Mio padre promise loro ricchezze e benessere e con il tempo Kurayami prosperò, diventando una fedele alleata del Regno, di fatto garantendo ad essa la supremazia in campo bellico. Con la sconfitta di Baal'Thasia, furono costruiti dei centri di ricerca per lo studio arcano, finché quello stesso luogo di studio si trasformò in un orribile luogo di inimmaginabile crudeltà e sofferenza. Avvenne tutto quattro anni fa, quando iniziarono misteriose sparizioni sull'isola. Il mistero rimase tale per diversi mesi, ma alla fine mio padre scoprì che dietro le sparizioni c'era una singola persona: Theodore Emelent"

Simon impallidì, quel nome ribombó nella sua mente come un terribile frastuono. Theodore Emelent era suo padre.

"Mio padre era…"

Harris annuì "È una dura realtà, ma è tutta la verità. Theodore era ossessionato dallo scoprire la vera natura del mondo e aveva trovato pane per i suoi denti sull'isola di Kurayami. Vedete, gli abitanti dell'isola erano in grado di manipolare il Silderium, proprio come fa un mago o un arcanista, senza però essere nessuno di quest'ultimo.

Il mistero di tale fenomeno, unito alla sua sete di conoscenza, lo portò a compiere azioni mostruose. Non si fermò davanti a nulla, né di fronte a bambini, né di fronte a donne o anziani"

"No…" Simon scosse il capo sconvolto e incredulo. "Non può essere, queste sono menzogne!" Esclamò "Mio padre era il miglior ricercatore del regno, è solo grazie alle sue ricerche che Alabathia è prospera!"

"A discapito di chi…?" Chiese Harris duro.

Simon impallidì.

"La nostra prospera terra, il nostro prospero regno" Recitò disgustato il giovane principe "La verità è che le fondamenta del nostro glorioso regno è che esso è macchiato del sangue di innumerevoli innocenti".

Leah scosse il capo indignata "Tutto questo è orribile! L'imperatore non è intervenuto?!".

"Sì, quando era ormai troppo tardi" rispose Harris amareggiato "Scoprí gli esperimenti quando tutto era già compiuto. Mio padre ha fatto cose orribili durante la Grande Guerra, ma non ha mai ordinato che si conducessero esperimenti sugli esseri umani".

"E che ne è stato di Theodore?" Chiese Alphonse.

"Nulla" rispose Harris stringendo i pugni "Theodore Emelent era troppo importante per il regno. Fu sanzionato per le sue azioni, ma fu ugualmente libero di esercitare le sue ricerche normalmente. Ormai il danno era fatto, mio padre non riuscì a placare le voci e mettere tutto sotto silenzio, così la verità venne fuori".

Quel che Harris spiegò successivamente, furono i fatti che seguirono la divulgazione degli esperimenti.

"Ci fu una rivolta. Gli iracondi abitanti di Kurayami, maestri della spada e delle tecniche di assassinio dichiararono guerra all'accademia e per estensione a tutta Alabathia. Furono massacrati e uccisi migliaia di giovani studenti e di arcanisti ignari delle malefatte del suo rettore. Purtroppo, per isolare il conflitto, mio padre ordinò alle sue flotte di placare la guerra e di salvaguardare la vita di tutti gli arcanisti. Il risultato di questa invasione fu la totale distruzione di Kurayami. Aoki è di fatto l'unico sopravvissuto del massacro delle sue genti".

La verità su Aoki, sulla sua storia e delle sue origini, ne schiarì una seconda.

"Quindi è tutto chiaro adesso" Disse Alic pensoso "È stato Aoki a mandare in Risonanza il Silderium sulla Fraternity. Voglio dire...lui è naturalmente in grado di farlo, e questo spiegherebbe anche perché Simon non è riuscito a trovare nessun mago durante il rituale".

"Vuoi forse dire che Aoki ha ucciso Piper e Sir Armstrong?" Chiese Leah sconvolta e incredula, ancora parecchio provata per la storia di Harris.

"È l'ipotesi più plausibile" Confermò il principe. "Tuttavia perché bersagliare due persone che hanno partecipato ad una spedizione segreta? Questa parte non riesco a spiegarla, ma solo lui potrebbe avere un movente valido".

"Un momento! Non stiamo forse correndo troppo?!" Esclamò Leah "Non ci sono prove sia stato lui".

"Ma abbiamo qui il suo coltello, non troppo distante dal suo cadavere. Non penso ci sia spazio a dubbi" rispose Alic.

Ma Alphonse sapeva, così come sapeva Harris. I due si guardarono, il principe vide nei suoi occhi una profonda e preoccupante oscurità.

Il coltello poteva essere stato messo lì per incastrare Aoki, ma Alphonse era carico di rancore e apparentemente non in grado di compiere un giudizio lucido.

C'era qualcosa che sussurrava dentro di lui, all'inizio era incomprensibile, ma diventava progressivamente più chiaro.

Erano parole colme di un cieco odio, parole che cercavano di scatenare la sua collera.

FINE ATTO 1


 

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Capitolo 16
*** Riepilogo - Atto 1 ***


Alabathia e Baal’Thasia, due superpotenze un tempo perennemente in guerra, organizzano uno scambio culturale per mantenere la stabilità e la pace.

Durante il viaggio verso l’ambasciata di Windyield, la nave Fraternity naufraga su un'isola misteriosa, alla quale si salvano solo i nove rappresentanti inviati da Alabathia.

Riunitosi con Harris e Leah, Alphonse va alla ricerca di approvvigionamenti nella foresta, qui fa l’incontro con Aoki Van Kurayami che lo porta ad un misterioso edificio a forma di Ziggurat, dove all’interno trovano una dei nove priva di sensi. 

La ragazza di nome Piper spiega che l’esplosione che ha causato il naufragio è opera di un Mago: entità ormai estinte nel mondo.

Successivamente l’isola viene avvolta da una fitta foschia, isolando i tre rappresentanti all’interno della Ziggurat. 

Aoki decide di affrontare la nebbia per cercare superstiti, lasciando Alphonse e Piper da soli.

Parecchie ore dopo, ormai allo stremo delle forze, Alphonse decide di uscire all’esterno, ma viene aggredito da una figura in vesti bianche. Al suo risveglio, dopo essere stato soccorso da Harris e Leah, trovano il cadavere di Piper fatto a pezzi.

Il sospetto dell’omicidio ricade su Alphonse, sospetti deviati dal bardo Alic Moults che argomenta la possibilità di non essere su un’isola deserta.

Timorosi per la loro incolumità, Orin Armstrong organizza una spedizione nel luogo in cui lui e un arcanista di nome Simon Emelent, si sono risvegliati dopo il naufragio. 

Arrivati al relitto della Fraternity, Simon scopre un misterioso sarcofago sigillato.

Simon non possiede gli strumenti per sbloccare l’incanto, quel che ha però è un cristallo chiamato trapezoedro, in grado di scoprire latenze magiche.Tuttavia esso necessita una calibrazione, il che rende Simon vulnerabile agli occhi dell’assassino, portando quindi Orin e Aoki a tenerlo d’occhio.

Titubante, Harris convoca Alphonse in segreto proponendogli una collaborazione per scoprire chi c’è dietro al naufragio. Alphonse accetta dopo che Harris gli mostra di aver rimosso il suo coltello dalla scena del crimine in segno di fiducia.

Subito dopo, scoprono che il rigor mortis non si è presentato sul cadavere di Piper, Leah decide dunque di esaminare il suo sangue nella speranza di scoprire nuovi dettagli.

Con l’arrivo della nebbia, Simon assiste ad una anomalia che distrugge il suo trapezoedro, ma fortunatamente riesce ugualmente a calibrarlo. Quella anomalia viene causata da un sistema magico chiamato Enneagramma: la ricetta usata per dare origine alla vita.

Dopo il rituale, che porta ad un nulla di fatto, Simon si accorge che l’isola si trova in una

"stasi temporale” realizzando che il tempo, nonché la dimensione, sono bloccati in un loop.

In carenza di cibo, Orin organizza una seconda spedizione, sfruttando il talento di Alic per anticipare la nebbia, ma durante la spedizione Alphonse resta vittima di un'allucinazione mortale e viene salvato dal sangue curativo di Leah. Inoltre l’assassino ne approfitta per aggredire Harris e Simon, illesi solo grazie ad Anglia che lo insegue.

Con l’arrivo della nebbia, Alic torna indietro per avvertire che Orin è scomparso, così Aoki decide, una volta ritirata la nebbia, di avventurarsi all’esterno per cercarlo.

Seguendo le tracce, Aoki raggiunge una baia dove scopre la carcassa di una creatura mostruosa, giacente a fianco al cadavere di Orin. In quel momento Aoki subisce una allucinazione che lo porta alla follia.

Alphonse al suo risveglio, scopre della scomparsa di Orin e tutti vanno alla sua ricerca facendo a loro volta la macabra scoperta.

Distrutto e infuriato, Alphonse scatena la sua rabbia su Harris che fino a quel momento aveva mantenuto riserbo su alcune informazioni vitali, informazioni che il principe decide di condividere, rivelando che l’isola è stata anni prima soggetta a studi da parte di membri  della comunità scientifica di Alabathia, e che il probabile assassino di Orin e Piper fosse Aoki, per via del suo odio nei confronti del Regno che aveva giocato con le vite del suo popolo, prima di sterminarlo.

 

Continua in Atto 2.




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