E in mezzo scorre il fiume di jakefan (/viewuser.php?uid=112910)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** C'è qualcosa che devi dirmi, Mikasa? ***
Capitolo 3: *** Ninna nanna ***
Capitolo 4: *** Storia di noi due ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
xxx
- Mikasa, perché ti importa tanto di me?
Capitolo 123
Il fumo bianco sale dal campo di battaglia: prima nasconde il
Gigante che Avanza, e poi confonde Mikasa, che non vede più
niente. La testa sta per esploderle. Basta, basta, vi prego, non ce la faccio più.
Il profilo delle montagne. Una casa. Una panchina...
- Mikasa, stai con me! Devi riprenderti!
È la voce di Levi. Mikasa si aggrappa a quella voce che
già in passato l'ha salvata, con parole dure, con un ordine
preciso. Per un attimo il fumo nella sua mente si dirada: ricorda,
ritorna, sa dove si trova. Mikasa Ackerman. Levi Ackerman. Anche loro
sono immuni al fumo della bestia luminosa. Sono sul dorso di Falco e
stanno volando verso la fine. Sono rimasti solo loro due, lei e questo
Capitano che ha anche odiato, un tempo, eppure hanno così tanto
in comune. Da adesso, anche il fatto di essere gli ultimi. E’
tutto troppo veloce, ora che è rientrata nel tempo, e
troppo lento quando il mal di testa ritorna, così doloroso,
perché un secondo è lungo come l'eternità quando stai
male. Non ce la può fare. Potrebbe morire, andare in pezzi in
quel preciso momento, è come se un dolore di mille anni fosse
tutto concentrato in un punto nella sua tempia. Mikasa è
così forte, più forte ora anche di un Levi spezzato,
eppure non ce la fa. Tanto tempo fa ha promesso a qualcuno che non si
sarebbe arresa mai più, ma adesso è troppo troppo troppo -
Deve fuggire, non ha altra scelta.
- Basta, basta, vi prego, non ce la faccio più! Voglio… tornare a- a casa..
E poi è tutto silenzio.
Mikasa è sulla sponda di un fiume nero, non sa bene se
attraversarlo, se fermarsi, se andare via. L’acqua nera si fa
luminosa, la chiama e Mikasa s’ immergerebbe volentieri. Dovrebbe
farlo, l'acqua lava via tutto. Potrebbe lavare il suo dolore. Ma d'un
tratto non è più acqua, è prima un fiume
nebbioso non più nero, è luce opalescente che
finalmente ottunde, attenua, sfuma. C'è un grande albero sullo
sfondo, luci nel cielo, e il fiume è di sabbia, una sponda
tranquilla, poi di nuovo acqua. Ecco, potrebbe entrarci. Potrebbe
farlo.
Mikasa si lascia andare.
Buongiorno a tutti! Tanto tempo fa ho scritto un finale alternativo a una storia che mi aveva fatta arrabbiare.
Qui è diverso, la storia è perfetta così. Ma non
posso fare a meno di chiedermi, anche qui: e se... Se ci fosse una
possibilità diversa? Magari c'è stata, e noi non lo
sappiamo.
Non prometto di aggiornare regolarmente, ma di arrivare fino in fondo sì.
Se leggete e trovate interessante una possibilità diversa a partire da qui, fatemelo sapere con una recensione.
Baci dalla vecchia J, che dopo tanti anni ha ancora voglia di scrivere.
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Capitolo 2 *** C'è qualcosa che devi dirmi, Mikasa? ***
-
Per favore, Mikasa. Quando me ne
sarò
andato, dimenticami. Vai avanti, e
dimenticati di me.
Al
suono della voce di Eren, Mikasa
si sveglia. Il suo sguardo è
annebbiato, ma quando la nebbia svanisce e la visione si fa chiara,
appare una
linea di montagne, una valle sotto di lei. Mikasa riprende possesso del
suo
corpo: il dolore è svanito. Si ritrova seduta su un panca di
legno, contro una capanna di tronchi. Le va bene stare seduta
lì. Questa panca non è così
scomoda, e lei
tutto sommato si sente ancora stanca.
Ma
come è
arrivata qui?
No,
forse non è
la domanda giusta. C’è stato un sogno e la
realtà è
questa. C’è un ricordo di luci nel cielo scuro, un
grande albero, un fiume, la
sabbia. Ma sono ricordi, sogni, percezioni fumose che ora svaniscono.
Mikasa
vive qui. Da quanto, non lo sa. Forse da sempre.
Lei
vive qui con Eren.
Certo,
come ha fatto a dimenticarlo?
Da
anni Eren è
più alto di lei, non è più il suo
fratellino - ma che
scemenza, non lo è mai stato. È così
bello in questo momento, col suo sguardo
tranquillo, i capelli arruffati, più alto di lei di tutta la
testa, le spalle
forti. Il disegno della mascella, quella non l'ha presa da zio Grisha,
che ha
il mento più sfuggente. Qualche gene fortunato ha regalato a
Eren il suo
profilo di giovane uomo. Ma che scema a fare caso a queste cose, lei lo
vedrebbe bello comunque. Si tratta di Eren, che diamine. Le piacerebbe
anche se
fosse un mostro.
Il
profilo delle montagne è
così azzurro, oggi. Mikasa un attimo fa era seduta su
quella panca. Ora non lo è più. È in
piedi davanti a Eren e lui è così vicino
che ne sente il calore. Quelle parole stonate risuonano ancora.
-
Per favore, Mikasa. Quando me ne sarò
andato, dimenticami. Vai avanti, e
dimenticati di me.
Perché
deve dimenticarlo? Perché lui
vuole che
lo dimentichi?
E
soprattutto, perché
Mikasa ha la chiara, chiarissima sensazione che lui stia
per svanire?
Si
gira, le volta le spalle. Fa
qualche passo, si allontana da lei.
A
Mikasa il cuore batte forte da
scoppiare.
-
Ehi! Fermati! Cosa significa
dimenticami? Cosa vuoi dire?
Eren
si ferma.
Di
nuovo scende la nebbia, di nuovo
qualcuno chiama Mikasa da molto lontano e lei non capisce più
dove si trova, che cosa è un sogno, che cosa non lo
è.
La
voce di Levi. Mikasa, non adesso. Mikasa,
resta con me!
Solo noi possiamo farlo, andiamo!
Ed
Eren intanto svanisce.
Mikasa
grida, forte, più
forte del clamore della battaglia, delle urla dei giganti
puri, del vortice di vento che sostiene le ali di Falco.
La
nebbia si dirada di nuovo. Il
profilo di Eren ritorna definito.
-
C’è
qualcosa che mi devi dire, Mikasa?
Qualcosa
le si scioglie nel cuore,
il sollievo scende come l’acqua
calda della doccia lungo la schiena, sul corpo stanco, sulle ossa rotte
dopo la
battaglia. Non sta succedendo davvero, non può essere,
è così bello. Nel
mio mondo non c’è
posto per questo. Nel mondo che abbiamo conosciuto, se si sbaglia una
volta
sola è finita.
Eppure
Eren è
lì, gli occhi verdi stupiti, spalancati, la fissano in
attesa. C’è una bellezza in lui che molti vedono e
una che solo Mikasa vede, al
di là del viso e delle spalle forti e dei capelli lunghi che
porta ora legati,
ora sciolti, le ciocche che in quel momento gli incorniciano il viso.
Sembra
così stanco. C’è stupore negli occhi di
Eren, e tanta, tanta stanchezza.
Certo
che c’è
qualcosa che gli deve dire.
Non
gliel’ha
detto, quella volta, perché non sapeva bene cosa volesse
lui, perché aveva paura di metterlo in imbarazzo, di farlo
scappare, di
rovinare quel po’ di pace che si erano costruiti dopo tanta
sofferenza, loro
tre.
Bugiarda,
non è
questo il motivo. Non l’hai fatto per lui e Armin. Sei solo
vigliacca.
È
vero. Aveva paura. Solo una fottutissima, devastante paura.
Sarebbe
bastato che a Eren sfuggisse
anche solo una smorfia, l’incresparsi
appena accennato di un sorriso d’imbarazzo, o peggio di
compassione, e Mikasa
non ce l’avrebbe fatta a sopportarlo. È certa che
ne sarebbe morta, lì sul
posto. Perché è vero che una volta
gliel’ha quasi detto ma era diverso: era
sicura che stavano per morire e allora perché tacere, la
morte rende tutto più
facile, e soprattutto lei dopo non avrebbe dovuto convivere con un no.
È
stata solo paura, quel giorno in cui è stato lui a chiedere
e lei gli ha
risposto sei la mia famiglia. Le ha chiesto,
Mikasa perché
ci tieni tanto a me, cosa sono io per te, e
lei è
stata la più codarda dei codardi. Non poteva essere vero
che dopo tutti quegli anni, con tutta quella distanza tra loro,
fosse
cambiato qualcosa, e quando mai Eren gli ha lasciato sperare qualcosa?
C’è
stato perfino un momento in cui pensava che lui fosse innamorato di
Historia. E
allora, in nome di Rose, Maria e Sina, dove diavolo avrebbe mai potuto
trovare
il coraggio di dirglielo?
Ma
adesso c’è
questa domanda così precisa.
-
C’è
qualcosa che mi devi dire, Mikasa?
La
voce del Capitano Levi risuona
ovattata, come fossero sott’acqua.
Mikasa,
non adesso! Resta con me!
Mikasa,
dimenticami. E vai avanti.
Mikasa
non ha più
dolore. Qui, nell’acqua nera del fiume, sente che potrebbe
anche lasciarsi andare, scivolare giù e permettere che tutto
finisca, che l’acqua
scorra sopra di lei, che il suo corpo d’acciaio finalmente
riposi. Che cessi
questo suo essere spaccata in due, tra la verità e il
segreto e la visione, tra
quello che è giusto e quello che deve essere, tra due voci
che la chiamano, schiacciata
tra due mondi tra i quali scorre un fiume nero. Ma questo non
è da lei: lei non
si arrende e non abbandona nessuno. Non Eren, non i compagni, non i
bambini
sotto ai piedi dei giganti, non i cittadini inermi.
È
confusa,
Mikasa, e così stanca. Chi ha bisogno di lei? Chi le chiede
di restare? Chi
altro le pone domande da spaccarsi la testa e il cuore? Basta
basta basta…
Mikasa,
dimenticami.
No.
No!
-
Ma cosa vuoi, cosa vuoi tu, da me?
Eren, Eren! Io…
Non capisco più…
-
C’è
qualcosa che mi devi dire, Mikasa?
Mikasa
si sveglia esattamente a metà tra due mondi, e sa cosa deve
fare. Sa dove deve andare.
Ridotta alla radice della disperazione, senza più rami
né foglie, Mikasa è un
albero nudo che cerca di fermare una tempesta; non le resta
nient’altro che
opporsi al vento forte, e non più come foglia strappata e
inconsapevole. Dall’acqua
nera di quello che, lei lo sa, è il momento cruciale della
sua esistenza,
Mikasa sceglie. Dice l’unica cosa che è giusto
dire in entrambi i mondi, anzi
in tutti i mondi possibili.
-
Mikasa, perché
ti importa tanto di me?
-
Perché
ti amo, Eren. Io ti amo.
Ti
amo ti amo ti amo ti amo.
La
porta tra I mondi si chiude.
Eren
ora è
di fronte a lei, I contorni netti, i grandi occhi verdi
fissi nei suoi.
È
terrorizzato,
Mikasa lo sa. Lo vede nei suoi occhi.
Ma
non fugge più.
È
fermo
davanti a lei e ha gli occhi pieni di lacrime.
La
voce del capitano Levi ormai è
troppo lontana. Mikasa non la sente più.
Qualcuno
ripete ancora Mikasa, resta con me ma
non è
più Levi che parla.
È
la voce silenziosa di Eren.
Quando
lei si avvicina, le lacrime
scendono. Rigano il volto di lui, e ora anche quello di Mikasa.
Quando
lo bacia, stanca di bugie,
stanca di lottare, è
ormai
cera molle, sciolta nel fuoco troppo forte che l’ha fatta
andare avanti mentre
la bruciava dentro. Quando lo bacia, lui non se ne va. Apre le labbra
alle sue,
apre le braccia e le richiude strette attorno a lei, per tenerla
più vicina. E
piange.
-
Perché
piangi, Eren? Non dovevo dirlo? Sai, non mi sono mai data
pace per non avere mai avuto il coraggio. Dovevo dirlo, avrei dovuto
farlo
tanto tempo fa, al diavolo tutto. Ora l’ho detto. Dimmi,
perché piangi? Non sei
arrabbiato con me, vero?
Eren
la stringe, così che lei
non può vedere, sul viso di Eren, la smorfia di dolore,
la determinazione che si scioglie e va a farsi fottere, e continua a
scendere
in rivoli sulle guance,
-
Mikasa. Non si può.
In questo mondo, non si può,
-
E allora inventiamone un altro.
Eren
capisce improvvisamente una
cosa, di tutta questa faccenda.
Che,
tra tutti quanti, l’unico
che non è mai stato libero è lui. Lo schiavo
della
libertà.
Ma
ora potrebbe fare quello che gli
ha chiesto Mikasa, Ymir stessa gli ha messo questo potere nelle mani.
Potrebbe.
Potrebbe farlo.
L’odore
dei capelli di lei lo confonde. C’è qualcosa di
più importante che doveva fare,
vero? Qualcosa che non prevede l’essere qui con Mikasa?
È così difficile, a
volte, avere in sé tutti questi ricordi. Eren non sa di chi
sia questo nuovo
sentimento, se venga dal passato, forse è di suo padre per
sua madre? O è del
Gufo? O è proprio suo? Sta davanti o dietro di lui, nel
tempo?
Perché
ha detto a Mikasa di dimenticarlo? Non lo sa più. Non
ricorda neanche perché le
ha detto di gettare via la sciarpa, o perché addirittura
aveva chiesto ad altri
di gettarla via per lei.
Sa
una sola cosa, Eren. La cosa più
vera e semplice. C’è un presente, una persona
calda e
viva, un odore fresco di capelli puliti, due occhi pieni di un amore
che gli
sembra di non avere mai visto prima.
Al
diavolo tutto, è
proprio qui che vuole stare.
Tra
le braccia di Mikasa.
Finalmente.
A
casa.
Quando
si staccano, gli occhi sono
ancora umidi, ma Eren non piange più.
Ricorda vagamente che doveva fare qualcosa di importante. Lo
farà. Ma non
adesso. Un giorno, forse.
Adesso
quello che conta è
che Mikasa lo ha preso per mano, e lo sta portando dentro casa.
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Capitolo 3 *** Ninna nanna ***
Deep
in the meadow, hidden far away
A
cloak of leaves, a moonbeam ray
Forget
your woes and let your troubles lay
And
when again it's morning, they'll wash away.
Here
it's safe, here it's warm
Here
the daisies guard you from every harm
Here
your dreams are sweet and tomorrow brings them true
Here is the place where I love
you.
Hunger Games, Ninna nanna di Rue
È una casa di una sola, piccola stanza, con una stufa contro
la parete che sta di fronte alla porta. Sopra ci sono due fuochi e su
uno di questi borbotta, sommessa, una pentola di ghisa. Qualcuno ha
messo a bollire una zuppa profumata, chissà chi di loro due.
Quello che Mikasa ricorda è che, in quella casa sulla
montagna, lei si prende cura di Eren ed Eren di lei.
Al
diavolo. Se è un sogno, non voglio svegliarmi.
La mano di Eren
è inerte nella sua.
- Eren. Per favore.
Smetti di piangere.
- Ho smesso. Sto bene.
Non
pensava a questo, Mikasa, quando lo ha preso per mano e dolcemente lo
ha condotto oltre la piccola porta di legno. Il cuore ancora non si
è calmato dopo quello che è successo, dopo che
finalmente quel ti amo,
strozzato in gola da sempre, le è venuto fuori.
C’è stato come un attimo di ubriacatura, una sorta
di follia, uno di quei momenti di euforia in cui sei come pazza e credi
che tutto possa succedere. Era troppo bello, in effetti.
C’è stato un bacio vero di cui lei sente ancora il
sapore; conosce l’odore della bocca di Eren come se fosse sua
e ora finalmente ne ha appreso anche il sapore. Ecco, ecco la prova:
impossibile che Eren l’abbia baciata. Che non sia fuggito.
Eccola, la prova che è un sogno. Anche se il contatto delle
loro mani è vero. Il rumore della pentola sul fuoco
è vero. Il sapore, il sapore delle labbra è vero.
Mikasa realizza che
quando gli ha detto “Ti amo”, Eren non ha risposto
“Anch’io”. Anzi, ha detto Mikasa, non si può.
In questo mondo, non si può.
- Io…
Senti, ti chiedo scusa. Scusa, Eren, davvero. Ti ho detto…
Insomma, ho pensato che… Non lo so cosa ho pensato. Non
volevo. Ecco, siediti, facciamo che non è successo niente e
adesso preparo la tavola e…
- Mikasa, adesso
basta. Basta, cazzo, finiscila!
Pietrificata, lei gli
lascia la mano.
Mikasa non riesce a
fare il passo che vorrebbe. Dritto davanti a lei. Verso la porta. Un
passo, due, e tutto questo sarà finito.
Via, deve andare via.
- Eren, scusami. Ho
fatto casino di nuovo. Non dovevo dirlo, va tutto bene, guarda non
è successo niente, puoi sta-
- Non dirmi di stare
tranquillo, hai capito?
Mikasa si lancia in
avanti per scappare da quel disastro, ma Eren si mette tra lei e la
porta, e la prende per le spalle e la guarda negli occhi, e le lacrime
riprendono a scorrere.
- Dove cavolo vai? La
vuoi smettere? Vuoi smettere di proteggermi,
per favore? Io sono uno stronzo, non l’hai
ancora capito? Smettila. Di. Proteggermi.
- Non è
vero.
- Cosa, non
è vero?
- Che sei uno stronzo.
E' stata colpa mia.
- Ma santiddio riesci
a darmi retta una sola volta? Vuoi smetterla di fare mia madre?
Smettila con questo cazzo di scusa
scusa scusa Eren. Vaffanculo Eren, dimmelo, dai. Prova.
"Vaffanculo, Eren". È facile.
- Tu sei matto.
- Sei una stupida.
- Non ti mando
affan…
- Invece dovresti! Mi
stai stufando, hai capito?
- Ma sei
impazzito? Cominci a farmi pa…
- Adesso basta.
Con un guizzo Eren la
prende in braccio e se la butta su una spalla, come lei ha fatto tante
volte quando erano piccoli. Un sacco di patate. E mentre lui borbotta
con la voce ancora di lacrime che
stupida che sei che stupida Mikasa, lei a testa in
giù sulla sua spalla non capisce bene cosa stia succedendo.
Se chiunque altro avesse fatto questo, si sarebbe trovato a terra con
un braccio rotto; e invece ecco Mikasa Ackerman, la guerriera
più forte del genere umano, come un mucchio di stracci a
testa in giù. Un cencio che qualcuno lascia cadere - ma con
delicatezza - sul letto che sta poco lontano dalla stufa, in una nicchia
chiusa da una cortina.
Eren si stende accanto
a lei e la stringe forte. Forte. Più forte.
- Eren...
- Stai zitta, Mikasa.
Per favore.
***
È come se
si fosse rotto qualcosa. Un vaso di vetro, la chiusa di un torrente.
Tutto il contenuto è traboccato. Una porta spalancata in una
notte di tempesta. È qualcosa che erompe, a cui Eren non
dà un nome.
Non è
importante come si chiami: una bestia si è svegliata, un
animale ferito, un lupo che grida con la zampa in una tagliola. La
creatura ferita vuole solo aggrapparsi a Mikasa e che lei stia
lì, senza dire niente, lì e basta e stretta a
lui. L’odore di Mikasa è sapone da bucato, capelli
di seta e aria fresca di montagna. È anche il profumo buono
della zuppa, come quando erano piccoli, l'odore felice della cucina di
casa. Qualcosa di caldo e fresco allo stesso tempo, che scende
giù nella gola di Eren, un groppo che quasi lo
soffoca. Eren deglutisce, è come un gemito spezzato.
-…va tutto
bene?
- Taci, per favore.
Per favore. Così. Non hai paura di me, vero?
Certo,
come no. Potrebbe spezzarmi il collo, stiamo parlando di Mikasa, e
morirei prima di accorgermene. Idiota che sei, Eren Jaeger.
- Non ho paura.
Però mi stai un po’ spaventando. Cosa succede?
- Succede che adesso
io e te parliamo. Ti devo dire delle cose. Ma te le dico
così.
- Così come?
- Così. Qui
vicino.
Mikasa,
Mikasa.
Ripete il suo nome.
Piano. Non sa se lei lo sente oppure no.
E se la tira ancora
più contro, la schiena di Mikasa contro la sua
pancia. Non è così che dormono, loro due: quante
sono le notti che hanno passato vicini, sulla terra nuda o nelle
camerate, nelle tende in missione in inverno, ma mai così,
schiena di Mikasa contro pancia di Eren. Al massimo stavano faccia a
faccia, le ginocchia che si toccavano, oppure era Mikasa che si piegava
sopra di lui, come un guscio, per proteggerlo, mentre lui faceva finta
di dormire. Oh le volte che ha fatto finta di dormire. Qualche volta ha
avuto voglia di girarsi, insomma tutti lo prendevano in giro per questa
cosa di avere sempre Mikasa appiccicata, e lui che non ci combinava mai
niente. Era uno dei motivi per cui Jean non lo poteva soffrire. Aveva
voglia di girarsi a volte, Eren, ma non lo ha fatto mai. E sempre,
c’era sempre Mikasa tra lui e la notte.
Ora ha bisogno di tenerla stretta, di frapporsi lui, Eren, tra Mikasa e
la notte. Il naso nei capelli neri, nell’incavo del collo,
tra la sciarpa, la fottuta sciarpa, e la pelle. Odore di Mikasa e di
pace. Odore del sonno che arriva.
Dio,
come sono stanco.
Si aggrappa a lei
mentre il sonno lo prende, e per favore per favore non scappare. Non
la può perdere senza perdere se stesso, perché
poco fa si è rotto qualcosa. È successo quando
lei ha detto Ti amo.
Eren avverte i muscoli di lei rilassarsi. Aderisce di più,
la accoglie come una conchiglia, una culla, una madre.
Perché non si è mai accorto che Mikasa
è come una bambina? Quando è stanca è
come una bambina. Qualcosa di piccolo e tenero che si lascia andare.
Come gli ha detto, sua madre? Proteggi
Mikasa. La tiene contro il suo ventre. Eren chiude le
braccia e la stringe di più.
- Non ti pesa il mio
braccio? Dai, vieni qui. Così.
- No, va bene. Se va
bene a te. Io... non ce la faccio più. Ho sonno, Eren.
Sono co-così...
I respiri di lei,
ancora, ancora. Ora sono più lenti, e poi più
lenti, e regolari. Li conta, Eren, per addormentarsi.
- Ti
racconterò una storia, Mikasa. Ma adesso dormi, sei stanca e
anch’io non ce la faccio più. Dormiamo.
Dormi, Mikasa.
Te
la racconterò domani.
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Capitolo 4 *** Storia di noi due ***
- Ymir. È bello vederti sorridere.
- È bello rivederti, Eren Jaeger.
- Mi sono perduto, Ymir. È bello, qui. Potrei vacillare.
- Non lo farai, io lo so. Ti ho dato tutta la mia forza.
- Mi serve una luce, una direzione. Come riuscirò a…
- Trova in lei la forza.
- Ymir…
- Poniti questa domanda, Eren Jaeger. Chi o cosa io, la Progenitrice, ho amato più del mio Re?
Quando Mikasa apre gli occhi, la sua prima sensazione è quella del vuoto lasciato dal corpo di Eren. Ma per fortuna lui non è lontano. È seduto sul letto, i lunghi capelli che gli scendono sulla schiena nuda, e la guarda pensieroso. Forse è proprio questo che l’ha svegliata: sentire gli occhi di Eren sulla pelle. E' strano che il verde lucente dei suoi occhi sia ora scuro come un lago di cui non coglie la profondità.
- Sei sveglia. Hai dormito bene?
- Sì. Era tanto che non dormivo così.
È la pura verità. In guerra il sonno è sempre leggero, ma in questo luogo non c’è guerra. Non è la prima volta che dorme accanto a Eren, ma qui è… diverso.
Il ricordo del giorno prima non fa alcun male: è come se, una volta detto, quel ti amo disperato avesse lasciato un vuoto pronto a riempirsi.
Una sorta di attesa.
- «La stessa cosa sono il vivente e il morto, lo sveglio e il dormiente, il giovane e il vecchio: questi infatti mutando son quelli e quelli di nuovo mutando son questi»
- Co… come, scusa? Che vuoi dire?
- Niente, non importa. Ti ho promesso una cosa, ricordi?
- Hai promesso che mi avresti raccontato una storia.
- Giusto. Ti racconterò una storia, Mikasa. Una storia vera. Vieni con me.
Fuori, davanti all’alba rosata, Eren prende le mani di Mikasa. Chiude gli occhi e gli sfugge una parola - un sospiro, o forse un nome. Ymir misericordiosa. Aiutami.
- Guardami negli occhi, Mikasa. Stai con me. Fidati di me.
Le loro fronti si toccano.
In quel preciso momento il cielo, le montagne, il prato su cui entrambi posano i piedi nudi si dissolvono, tornano ad essere sabbia luminosa sulla riva di un fiume.
- Cosa… Eren! Dove siamo? Voglio tornare a casa. Alla capanna… Voglio andare alla capanna, a casa nostra! La pentola sul fuoco. Noi…
E poi Mikasa si sente cadere, mentre si trovano inermi al centro di tutto: è come se allo stesso tempo si trovasse fuori da sé, e con lei Eren, protagonisti e spettatori. Le loro vite scorrono in cerchio, vorticano rapide, come figure intraviste nelle pagine di un libro sfogliato troppo in fretta.
- Guarda. È il giorno della commissione d’inchiesta, dopo la battaglia di Trost. Zachary deve decidere cosa fare di me.
- Come… come è possibile? Quella… quella sono io! Siamo noi!
- Osserva, Mikasa.
Il giorno del giudizio. Io incatenato a quel palo, in ginocchio, pronto per l’esecuzione. Mi hanno trattato di merda, bella ricompensa per aver chiuso la breccia, ma non sapranno mai quanto avevano ragione. Quanto era giusta, già allora, la loro sentenza.
Avrebbero dovuto uccidermi subito.
Non sapranno mai quanto vicina sia stata la loro distruzione, quanto la mia rabbia li abbia sfiorati. Non lo sapevo nemmeno io.
Mikasa. Non avresti dovuto arrabbiarti così con Levi Ackerman.
Lo sai, vero, che se non siete morti tutti all’istante è merito suo? Siete vivi per la fiducia che riponevo in lui, per l’assoluto rispetto e la venerazione infantile, che in quel momento ha tenuto in catene me e la mia rabbia omicida. Dopo, gli hai portato rancore per anni, per il modo in cui mi ha picchiato, nonostante ci abbia salvati tutti. Adesso puoi immaginare cosa avrebbe potuto succedere?
Quello che davvero non sai è… In nome di Ymir, Mikasa, non sai qual è l’unica cosa di cui ho avuto davvero paura.
Ora devi saperlo.
Che ti facessero del male. Che ti uccidessero. Che ti togliessero da questo mondo.
Senza di te sarebbe diventato insopportabile. Io ho urlato, tutti mi hanno sentito e hanno pensato certo, sono cresciuti insieme, sono famiglia. Ma non hanno capito di cosa avevo davvero paura.
E neanche tu hai capito il mio terrore di perderti.
Mikasa.
Se ti avessero anche solo toccata, sarebbero morti all’istante.
Le pagine del libro scorrono, avanti e poi ancora indietro. Le immagini diventano nitide e poi nuovamente si dissolvono e poi tornano. L’ordine in cui Mikasa deve leggere, lo decide il cuore di Eren.
- Questo non lo voglio vedere, Eren. E nemmeno… questo.
- No, invece devi. È necessario. Non posso sopportare che… Ah, ti prego. Guarda e basta.
È più di un momento. Non riesco a mostrarti tutto, perché fa troppo male, in certi momenti. Qui, per esempio. Distretto di Trost. Qui ci avevano divisi, eravamo in due squadre diverse. Volevi stare con me a tutti i costi, per proteggermi, e io… ti ho urlato addosso, ti ho spinta via, credo anche di averti fatto male, forse una testata. Ma perché non mi hai detto quel che mi meritavo? Avresti dovuto. E invece no. Mi hai solo chiesto di non morire. La solita sciocca.
E guarda: qui siamo sulle mura. Tu stai sollevando pesi, spostando casse, stiamo lavorando duramente per andare avanti, tu sei quella che lavora più di tutti. E io un po’ ti odio, ma odio di più me, perché mi sento sempre inutile.
Era impossibile essere degni di te, Mikasa.
Non lo sopportavo più.
Io non volevo più essere il tuo fratellino minore, ma non per il motivo che pensi tu.
Non riguardava me, riguardava te. Era per come mi guardavi.
Io volevo essere forte come te, Mikasa. Anzi, più forte.
Io volevo che tu mi vedessi uomo.
Io volevo proteggerti, Mikasa. Io volevo proteggere te. Sempre.
Volevo che tu mi vedessi come un uomo.
Perché volevo essere il tuo uomo.
- Eren. Oh mio Dio. Non mi importava che tu fossi forte per me. Sei tu che mi hai resa forte, te lo ricordi? Sei stato tu. Se solo avessi immaginato che... Mi spiace, mi spiace così tanto…
- Lo stai facendo di nuovo, Mikasa.
- Cosa, sto facendo di nuovo?
- Quando la smetterai di chiedermi scusa?
Mikasa inclina la testa, la appoggia alla spalla di Eren. Restano così. Eren posa una carezza ruvida sulla guancia dove, un tempo, ha lasciato una cicatrice.
- Fa male. Il male che ti ho fatto. Mi devasta. E non posso nemmeno… Tornare indietro. Cambiare le cose.
- Perché, perché no? Non dire così, quale male, non mi importa niente! Se anche tu mi… Torniamo a casa, ti prego! Che altro ci serve? Per favore!
La mano di Eren avvolge la guancia di Mikasa. I suoi occhi si induriscono, mentre con il pollice sente la pelle più ruvida, dove la carne è stata tagliata.
- Basta parlare. Dobbiamo continuare. Vieni, Mikasa.
- Ti ricordi qui, dove siamo?
- Fermati, per favore, non ce la faccio. Quello… Non voglio rivederlo. Mi è bastato una volta. Non voglio!
- Guarda bene. Sto per…
- Lo so cosa stai per fare. Basta, Eren. Basta!
- Qui è dove te l’ho detto.
- Non voglio vedere. Non voglio. L’ho dimenticato, lo sapevo che mentivi, non voglio…
In questo mondo si soffre come nell’altro. Lo so. Ma devi guardare.
Le lacrime scendono, Mikasa geme, un pianto lungo da animale ferito, la ribellione di una bestia trascinata al macello.
- Qui è dove ti ho detto che ti ho sempre odiata.
Non so quando ho cominciato a capire. Se non fossi l’idiota che sono, l’avrei capito la prima volta che ho avuto voglia di picchiare Jean. Invece di picchiare lui, ho convinto te a tagliarti I capelli. Non mi piaceva come li guardava.
Sono ancora belli, Mikasa. Tu sei bella. Dopo tutto questo dolore, sei così bella.
Quanto ci ho provato, Mikasa, a staccarmi da te.
Cercavo pretesti, continuamente, ovunque. Ci ho provato in tutti I modi.
Sono andato via. Ho detto a Louise di gettare via la tua sciarpa. Ho chiesto a mio fratello cosa pensava di te, volevo che mi dicesse che non era niente, che non contava nulla. Non mi è piaciuto quello che mi ha detto.
Perché da quando ho capito cosa dovevo fare, il problema era tutto in quello: staccarmi da te.
Qui è dove ti ho detto che ti ho sempre odiata.
Guardami bene, Mikasa.
Guarda i miei occhi.
Mikasa non vuole, non ha la forza, e allora Eren l’afferra, le gira la testa mentre la tiene stretta a sé, e guardano l’Eren che picchia Armin, la Mikasa di quel momento distrutta. Allora la Mikasa tra le braccia di Eren singhiozza più forte. Non può fuggire. Le braccia forti di Eren la imprigionano, le alzano il viso, la costringono.
Finché lei le vede.
Lacrime.
Il demone sta piangendo. Mentre li distrugge, Eren piange.
Guardami. Ora sai tutto. Ora mi vedi?
Quando ti ho avvolto quella sciarpa, ero già innamorato di te.
C’è una bellezza di Eren che tutti vedono, e una che solo Mikasa vede. Questa durerà mille anni. Andrà oltre questo momento, andrà oltre lo spazio, resterà eterna perché il cuore di Mikasa è un luogo come i Sentieri, dove il tempo non conta nulla. È in una sorta di eternità sorpresa che questo giovane uomo sconosciuto, l’uomo che lei vede per la prima volta, le si avvicina, le prende una mano, se la posa sul cuore.
- Senti la mia pelle, Mikasa.
E sono di nuovo nella capanna. Seduta sul letto, Mikasa trema.
In ginocchio davanti a lei, Eren passe le mani nei capelli neri e fitti. Sono lunghi, di nuovo lunghi, come è possibile? Eren li fa scorrere fra le dita, se li gira attorno alle mani e li bacia; poi se ne libera, e lentamente le toglie la sciarpa.
- Questa non ti serve più. Sono qui. Siamo qui.
E' la voce vera di un Eren vero, di carne e sangue, che pronuncia le parole.
- Ti amo, Mikasa.
Quando la bacia, per Mikasa è come arrendersi, dolcemente, a qualcosa di eterno come la morte.
Apre la bocca.
Si lascia andare. |
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