E in mezzo scorre il fiume

di jakefan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** C'è qualcosa che devi dirmi, Mikasa? ***
Capitolo 3: *** Ninna nanna ***
Capitolo 4: *** Storia di noi due ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


xxx
- Mikasa, perché ti importa tanto di me?
Capitolo 123




Il fumo bianco sale dal campo di battaglia: prima nasconde il Gigante che Avanza, e poi confonde Mikasa, che non vede più niente. La testa sta per esploderle. Basta, basta, vi prego, non ce la faccio più.
Il profilo delle montagne. Una casa. Una panchina...
- Mikasa, stai con me! Devi riprenderti!
È  la voce di Levi. Mikasa si aggrappa a quella voce che già in passato l'ha salvata, con parole dure, con un ordine preciso. Per un attimo il fumo nella sua mente si dirada: ricorda, ritorna, sa dove si trova. Mikasa Ackerman. Levi Ackerman. Anche loro sono immuni al fumo della bestia luminosa. Sono sul dorso di Falco e stanno volando verso la fine. Sono rimasti solo loro due, lei e questo Capitano che ha anche odiato, un tempo, eppure hanno così tanto in comune. Da adesso, anche il fatto di essere gli ultimi. E’ tutto troppo veloce, ora che è rientrata nel tempo, e troppo lento quando il mal di testa ritorna, così doloroso, perché un secondo è lungo come l'eternità quando stai male. Non ce la può fare. Potrebbe morire, andare in pezzi in quel preciso momento, è come se un dolore di mille anni fosse tutto concentrato in un punto nella sua tempia. Mikasa è così forte, più forte ora anche di un Levi spezzato, eppure non ce la fa. Tanto tempo fa ha promesso a qualcuno che non si sarebbe arresa mai più, ma adesso è troppo troppo troppo -
Deve fuggire, non ha altra scelta.
- Basta, basta, vi prego, non ce la faccio più! Voglio… tornare a- a casa..

E poi è tutto silenzio.
Mikasa è sulla sponda di un fiume nero, non sa bene se attraversarlo, se fermarsi, se andare via. L’acqua nera si fa luminosa, la chiama e Mikasa s’ immergerebbe volentieri. Dovrebbe farlo, l'acqua lava via tutto. Potrebbe lavare il suo dolore. Ma d'un tratto non è più acqua, è prima un fiume nebbioso non più nero, è luce opalescente che finalmente ottunde, attenua, sfuma. C'è un grande albero sullo sfondo, luci nel cielo, e il fiume è di sabbia, una sponda tranquilla, poi di nuovo acqua. Ecco, potrebbe entrarci. Potrebbe farlo.
Mikasa si lascia andare.









Buongiorno a tutti! Tanto tempo fa ho scritto un finale alternativo a una storia che mi aveva fatta arrabbiare. Qui è diverso, la storia è perfetta così. Ma non posso fare a meno di chiedermi, anche qui: e se... Se ci fosse una possibilità diversa? Magari c'è stata, e noi non lo sappiamo.
Non prometto di aggiornare regolarmente, ma di arrivare fino in fondo sì.
Se leggete e trovate interessante una possibilità diversa a partire da qui, fatemelo sapere con una recensione.
Baci dalla vecchia J, che dopo tanti anni ha ancora voglia di scrivere.

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Capitolo 2
*** C'è qualcosa che devi dirmi, Mikasa? ***


- Per favore, Mikasa. Quando me ne sarò andato, dimenticami. Vai avanti, e dimenticati di me.

 

Al suono della voce di Eren, Mikasa si sveglia. Il suo sguardo è annebbiato, ma quando la nebbia svanisce e la visione si fa chiara, appare una linea di montagne, una valle sotto di lei. Mikasa riprende possesso del suo corpo: il dolore è svanito. Si ritrova seduta su un panca di legno, contro una capanna di tronchi. Le va bene stare seduta lì. Questa panca non è così scomoda, e lei tutto sommato si sente ancora stanca.

Ma come è arrivata qui?

No, forse non è la domanda giusta. C’è stato un sogno e la realtà è questa. C’è un ricordo di luci nel cielo scuro, un grande albero, un fiume, la sabbia. Ma sono ricordi, sogni, percezioni fumose che ora svaniscono. Mikasa vive qui. Da quanto, non lo sa. Forse da sempre.

Lei vive qui con Eren.

Certo, come ha fatto a dimenticarlo?

Da anni Eren è più alto di lei, non è più il suo fratellino - ma che scemenza, non lo è mai stato. È così bello in questo momento, col suo sguardo tranquillo, i capelli arruffati, più alto di lei di tutta la testa, le spalle forti. Il disegno della mascella, quella non l'ha presa da zio Grisha, che ha il mento più sfuggente. Qualche gene fortunato ha regalato a Eren il suo profilo di giovane uomo. Ma che scema a fare caso a queste cose, lei lo vedrebbe bello comunque. Si tratta di Eren, che diamine. Le piacerebbe anche se fosse un mostro.

Il profilo delle montagne è così azzurro, oggi. Mikasa un attimo fa era seduta su quella panca. Ora non lo è più. È in piedi davanti a Eren e lui è così vicino che ne sente il calore. Quelle parole stonate risuonano ancora.

- Per favore, Mikasa. Quando me ne sarò andato, dimenticami. Vai avanti, e dimenticati di me.

Perché deve dimenticarlo? Perché lui vuole che lo dimentichi?

E soprattutto, perché Mikasa ha la chiara, chiarissima sensazione che lui stia per svanire?

Si gira, le volta le spalle. Fa qualche passo, si allontana da lei.

A Mikasa il cuore batte forte da scoppiare.

 

- Ehi! Fermati! Cosa significa dimenticami? Cosa vuoi dire?

Eren si ferma.

 

Di nuovo scende la nebbia, di nuovo qualcuno chiama Mikasa da molto lontano e lei non capisce più dove si trova, che cosa è un sogno, che cosa non lo è.

La voce di Levi. Mikasa, non adesso. Mikasa, resta con me! Solo noi possiamo farlo, andiamo!

Ed Eren intanto svanisce.

Mikasa grida, forte, più forte del clamore della battaglia, delle urla dei giganti puri, del vortice di vento che sostiene le ali di Falco.

La nebbia si dirada di nuovo. Il profilo di Eren ritorna definito.

 

- C’è qualcosa che mi devi dire, Mikasa?

Qualcosa le si scioglie nel cuore, il sollievo scende come l’acqua calda della doccia lungo la schiena, sul corpo stanco, sulle ossa rotte dopo la battaglia. Non sta succedendo davvero, non può essere, è così bello. Nel mio mondo non c’è posto per questo. Nel mondo che abbiamo conosciuto, se si sbaglia una volta sola è finita.

Eppure Eren è lì, gli occhi verdi stupiti, spalancati, la fissano in attesa. C’è una bellezza in lui che molti vedono e una che solo Mikasa vede, al di là del viso e delle spalle forti e dei capelli lunghi che porta ora legati, ora sciolti, le ciocche che in quel momento gli incorniciano il viso. Sembra così stanco. C’è stupore negli occhi di Eren, e tanta, tanta stanchezza.

Certo che c’è qualcosa che gli deve dire.

Non gliel’ha detto, quella volta, perché non sapeva bene cosa volesse lui, perché aveva paura di metterlo in imbarazzo, di farlo scappare, di rovinare quel po’ di pace che si erano costruiti dopo tanta sofferenza, loro tre.

Bugiarda, non è questo il motivo. Non l’hai fatto per lui e Armin. Sei solo vigliacca.

È vero. Aveva paura. Solo una fottutissima, devastante paura.

Sarebbe bastato che a Eren sfuggisse anche solo una smorfia, l’incresparsi appena accennato di un sorriso d’imbarazzo, o peggio di compassione, e Mikasa non ce l’avrebbe fatta a sopportarlo. È certa che ne sarebbe morta, lì sul posto. Perché è vero che una volta gliel’ha quasi detto ma era diverso: era sicura che stavano per morire e allora perché tacere, la morte rende tutto più facile, e soprattutto lei dopo non avrebbe dovuto convivere con un no.

È stata solo paura, quel giorno in cui è stato lui a chiedere e lei gli ha risposto sei la mia famiglia. Le ha chiesto, Mikasa perché ci tieni tanto a me, cosa sono io per te, e lei è stata la più codarda dei codardi. Non poteva essere vero che dopo tutti quegli anni, con tutta quella distanza tra loro, fosse cambiato qualcosa, e quando mai Eren gli ha lasciato sperare qualcosa? C’è stato perfino un momento in cui pensava che lui fosse innamorato di Historia. E allora, in nome di Rose, Maria e Sina, dove diavolo avrebbe mai potuto trovare il coraggio di dirglielo?

Ma adesso c’è questa domanda così precisa.

- C’è qualcosa che mi devi dire, Mikasa?

 

La voce del Capitano Levi risuona ovattata, come fossero sott’acqua.

Mikasa, non adesso! Resta con me!

 

Mikasa, dimenticami. E vai avanti.

 

Mikasa non ha più dolore. Qui, nell’acqua nera del fiume, sente che potrebbe anche lasciarsi andare, scivolare giù e permettere che tutto finisca, che l’acqua scorra sopra di lei, che il suo corpo d’acciaio finalmente riposi. Che cessi questo suo essere spaccata in due, tra la verità e il segreto e la visione, tra quello che è giusto e quello che deve essere, tra due voci che la chiamano, schiacciata tra due mondi tra i quali scorre un fiume nero. Ma questo non è da lei: lei non si arrende e non abbandona nessuno. Non Eren, non i compagni, non i bambini sotto ai piedi dei giganti, non i cittadini inermi.

È confusa, Mikasa, e così stanca. Chi ha bisogno di lei? Chi le chiede di restare? Chi altro le pone domande da spaccarsi la testa e il cuore? Basta basta basta

Mikasa, dimenticami.

No.

No!

- Ma cosa vuoi, cosa vuoi tu, da me? Eren, Eren! Io… Non capisco più…

- C’è qualcosa che mi devi dire, Mikasa?

 

Mikasa si sveglia esattamente a metà tra due mondi, e sa cosa deve fare. Sa dove deve andare. Ridotta alla radice della disperazione, senza più rami né foglie, Mikasa è un albero nudo che cerca di fermare una tempesta; non le resta nient’altro che opporsi al vento forte, e non più come foglia strappata e inconsapevole. Dall’acqua nera di quello che, lei lo sa, è il momento cruciale della sua esistenza, Mikasa sceglie. Dice l’unica cosa che è giusto dire in entrambi i mondi, anzi in tutti i mondi possibili.

- Mikasa, perché ti importa tanto di me?

- Perché ti amo, Eren. Io ti amo.

 

Ti amo ti amo ti amo ti amo.

La porta tra I mondi si chiude.

Eren ora è di fronte a lei, I contorni netti, i grandi occhi verdi fissi nei suoi.

È terrorizzato, Mikasa lo sa. Lo vede nei suoi occhi.

Ma non fugge più.

È fermo davanti a lei e ha gli occhi pieni di lacrime.

La voce del capitano Levi ormai è troppo lontana. Mikasa non la sente più.

 

Qualcuno ripete ancora Mikasa, resta con me ma non è più Levi che parla.

È la voce silenziosa di Eren.

Quando lei si avvicina, le lacrime scendono. Rigano il volto di lui, e ora anche quello di Mikasa.

Quando lo bacia, stanca di bugie, stanca di lottare, è ormai cera molle, sciolta nel fuoco troppo forte che l’ha fatta andare avanti mentre la bruciava dentro. Quando lo bacia, lui non se ne va. Apre le labbra alle sue, apre le braccia e le richiude strette attorno a lei, per tenerla più vicina. E piange.

- Perché piangi, Eren? Non dovevo dirlo? Sai, non mi sono mai data pace per non avere mai avuto il coraggio. Dovevo dirlo, avrei dovuto farlo tanto tempo fa, al diavolo tutto. Ora l’ho detto. Dimmi, perché piangi? Non sei arrabbiato con me, vero?

Eren la stringe, così che lei non può vedere, sul viso di Eren, la smorfia di dolore, la determinazione che si scioglie e va a farsi fottere, e continua a scendere in rivoli sulle guance,

- Mikasa. Non si può. In questo mondo, non si può,

- E allora inventiamone un altro.

 

Eren capisce improvvisamente una cosa, di tutta questa faccenda.

Che, tra tutti quanti, l’unico che non è mai stato libero è lui. Lo schiavo della libertà.

Ma ora potrebbe fare quello che gli ha chiesto Mikasa, Ymir stessa gli ha messo questo potere nelle mani. Potrebbe. Potrebbe farlo.

L’odore dei capelli di lei lo confonde. C’è qualcosa di più importante che doveva fare, vero? Qualcosa che non prevede l’essere qui con Mikasa? È così difficile, a volte, avere in sé tutti questi ricordi. Eren non sa di chi sia questo nuovo sentimento, se venga dal passato, forse è di suo padre per sua madre? O è del Gufo? O è proprio suo? Sta davanti o dietro di lui, nel tempo?

Perché ha detto a Mikasa di dimenticarlo? Non lo sa più. Non ricorda neanche perché le ha detto di gettare via la sciarpa, o perché addirittura aveva chiesto ad altri di gettarla via per lei.

Sa una sola cosa, Eren. La cosa più vera e semplice. C’è un presente, una persona calda e viva, un odore fresco di capelli puliti, due occhi pieni di un amore che gli sembra di non avere mai visto prima.

Al diavolo tutto, è proprio qui che vuole stare.

Tra le braccia di Mikasa.

Finalmente.

A casa.

 

Quando si staccano, gli occhi sono ancora umidi, ma Eren non piange più. Ricorda vagamente che doveva fare qualcosa di importante. Lo farà. Ma non adesso. Un giorno, forse.

Adesso quello che conta è che Mikasa lo ha preso per mano, e lo sta portando dentro casa.

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Capitolo 3
*** Ninna nanna ***



Deep in the meadow, hidden far away
A cloak of leaves, a moonbeam ray
Forget your woes and let your troubles lay
And when again it's morning, they'll wash away.

Here it's safe, here it's warm
Here the daisies guard you from every harm
Here your dreams are sweet and tomorrow brings them true
Here is the place where I love you.

Hunger Games, Ninna nanna di Rue


È una casa di una sola, piccola stanza, con una stufa contro la parete che sta di fronte alla porta. Sopra ci sono due fuochi e su uno di questi borbotta, sommessa, una pentola di ghisa. Qualcuno ha messo a bollire una zuppa profumata, chissà chi di loro due. Quello che Mikasa ricorda è che, in quella casa sulla montagna, lei si prende cura di Eren ed Eren di lei.

Al diavolo. Se è un sogno, non voglio svegliarmi.
La mano di Eren è inerte nella sua.
- Eren. Per favore. Smetti di piangere.
- Ho smesso. Sto bene.
Non pensava a questo, Mikasa, quando lo ha preso per mano e dolcemente lo ha condotto oltre la piccola porta di legno. Il cuore ancora non si è calmato dopo quello che è successo, dopo che finalmente quel ti amo, strozzato in gola da sempre, le è venuto fuori. C’è stato come un attimo di ubriacatura, una sorta di follia, uno di quei momenti di euforia in cui sei come pazza e credi che tutto possa succedere. Era troppo bello, in effetti. C’è stato un bacio vero di cui lei sente ancora il sapore; conosce l’odore della bocca di Eren come se fosse sua e ora finalmente ne ha appreso anche il sapore. Ecco, ecco la prova: impossibile che Eren l’abbia baciata. Che non sia fuggito. Eccola, la prova che è un sogno. Anche se il contatto delle loro mani è vero. Il rumore della pentola sul fuoco è vero. Il sapore, il sapore delle labbra è vero.
Mikasa realizza che quando gli ha detto “Ti amo”, Eren non ha risposto “Anch’io”. Anzi, ha detto  Mikasa, non si può. In questo mondo, non si può.

- Io… Senti, ti chiedo scusa. Scusa, Eren, davvero. Ti ho detto… Insomma, ho pensato che… Non lo so cosa ho pensato. Non volevo. Ecco, siediti, facciamo che non è successo niente e adesso preparo la tavola e…
- Mikasa, adesso basta. Basta, cazzo, finiscila!
Pietrificata, lei gli lascia la mano.
Mikasa non riesce a fare il passo che vorrebbe. Dritto davanti a lei. Verso la porta. Un passo, due, e tutto questo sarà finito.
Via, deve andare via.
- Eren, scusami. Ho fatto casino di nuovo. Non dovevo dirlo, va tutto bene, guarda non è successo niente, puoi sta-
- Non dirmi di stare tranquillo, hai capito?
Mikasa si lancia in avanti per scappare da quel disastro, ma Eren si mette tra lei e la porta, e la prende per le spalle e la guarda negli occhi, e le lacrime riprendono a scorrere.
- Dove cavolo vai? La vuoi smettere? Vuoi smettere di proteggermi, per favore? Io sono uno stronzo, non l’hai ancora capito? Smettila. Di. Proteggermi.
- Non è vero.
- Cosa, non è vero?
- Che sei uno stronzo. E' stata colpa mia.
- Ma santiddio riesci a darmi retta una sola volta? Vuoi smetterla di fare mia madre? Smettila con questo cazzo di scusa scusa scusa Eren. Vaffanculo Eren, dimmelo, dai. Prova. "Vaffanculo, Eren". È facile.
- Tu sei matto.
- Sei una stupida.
- Non ti mando affan…
- Invece dovresti! Mi stai stufando, hai capito?
- Ma sei impazzito? Cominci a farmi pa…
- Adesso basta.
Con un guizzo Eren la prende in braccio e se la butta su una spalla, come lei ha fatto tante volte quando erano piccoli. Un sacco di patate. E mentre lui borbotta con la voce ancora di lacrime che stupida che sei che stupida Mikasa, lei a testa in giù sulla sua spalla non capisce bene cosa stia succedendo. Se chiunque altro avesse fatto questo, si sarebbe trovato a terra con un braccio rotto; e invece ecco Mikasa Ackerman, la guerriera più forte del genere umano, come un mucchio di stracci a testa in giù. Un cencio che qualcuno lascia cadere - ma con delicatezza - sul letto che sta poco lontano dalla stufa, in una nicchia chiusa da una cortina.
Eren si stende accanto a lei e la stringe forte. Forte. Più forte.
- Eren...
- Stai zitta, Mikasa. Per favore.

***

È come se si fosse rotto qualcosa. Un vaso di vetro, la chiusa di un torrente. Tutto il contenuto è traboccato. Una porta spalancata in una notte di tempesta. È qualcosa che erompe, a cui Eren non dà un nome.
Non è importante come si chiami: una bestia si è svegliata, un animale ferito, un lupo che grida con la zampa in una tagliola. La creatura ferita vuole solo aggrapparsi a Mikasa e che lei stia lì, senza dire niente, lì e basta e stretta a lui. L’odore di Mikasa è sapone da bucato, capelli di seta e aria fresca di montagna. È anche il profumo buono della zuppa, come quando erano piccoli, l'odore felice della cucina di casa. Qualcosa di caldo e fresco allo stesso tempo, che scende giù nella gola di Eren, un groppo che quasi lo soffoca. Eren deglutisce, è come un gemito spezzato.
-…va tutto bene?
- Taci, per favore. Per favore. Così. Non hai paura di me, vero?
Certo, come no. Potrebbe spezzarmi il collo, stiamo parlando di Mikasa, e morirei prima di accorgermene. Idiota che sei, Eren Jaeger.
- Non ho paura. Però mi stai un po’ spaventando. Cosa succede?
- Succede che adesso io e te parliamo. Ti devo dire delle cose. Ma te le dico così.
- Così come?
- Così. Qui vicino.
Mikasa, Mikasa.
Ripete il suo nome. Piano. Non sa se lei lo sente oppure no.
E se la tira ancora più contro, la schiena di Mikasa contro la sua pancia. Non è così che dormono, loro due: quante sono le notti che hanno passato vicini, sulla terra nuda o nelle camerate, nelle tende in missione in inverno, ma mai così, schiena di Mikasa contro pancia di Eren. Al massimo stavano faccia a faccia, le ginocchia che si toccavano, oppure era Mikasa che si piegava sopra di lui, come un guscio, per proteggerlo, mentre lui faceva finta di dormire. Oh le volte che ha fatto finta di dormire. Qualche volta ha avuto voglia di girarsi, insomma tutti lo prendevano in giro per questa cosa di avere sempre Mikasa appiccicata, e lui che non ci combinava mai niente. Era uno dei motivi per cui Jean non lo poteva soffrire. Aveva voglia di girarsi a volte, Eren, ma non lo ha fatto mai. E sempre, c’era sempre Mikasa tra lui e la notte.
Ora ha bisogno di tenerla stretta, di frapporsi lui, Eren, tra Mikasa e la notte. Il naso nei capelli neri, nell’incavo del collo, tra la sciarpa, la fottuta sciarpa, e la pelle. Odore di Mikasa e di pace. Odore del sonno che arriva.

Dio, come sono stanco.
Si aggrappa a lei mentre il sonno lo prende, e per favore per favore non scappare. Non la può perdere senza perdere se stesso, perché poco fa si è rotto qualcosa. È successo quando lei ha detto Ti amo. Eren avverte i muscoli di lei rilassarsi. Aderisce di più, la accoglie come una conchiglia, una culla, una madre. Perché non si è mai accorto che Mikasa è come una bambina? Quando è stanca è come una bambina. Qualcosa di piccolo e tenero che si lascia andare. Come gli ha detto, sua madre? Proteggi Mikasa. La tiene contro il suo ventre. Eren chiude le braccia e la stringe di più.
- Non ti pesa il mio braccio? Dai, vieni qui. Così.
- No, va bene. Se va bene a te. Io... non ce la faccio più. Ho sonno, Eren. Sono co-così...
I respiri di lei, ancora, ancora. Ora sono più lenti, e poi più lenti, e regolari. Li conta, Eren, per addormentarsi.
- Ti racconterò una storia, Mikasa. Ma adesso dormi, sei stanca e anch’io non ce la faccio più. Dormiamo.
Dormi, Mikasa.
Te la racconterò domani.

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Capitolo 4
*** Storia di noi due ***


- Ymir. È bello vederti sorridere.
- È bello rivederti, Eren Jaeger.
- Mi sono perduto, Ymir. È bello, qui. Potrei vacillare. 
- Non lo farai, io lo so. Ti ho dato tutta la mia forza.
- Mi serve una luce, una direzione. Come riuscirò a…
- Trova in lei la forza.
- Ymir…
- Poniti questa domanda, Eren Jaeger. Chi o cosa io, la Progenitrice, ho amato più del mio Re?


Quando Mikasa apre gli occhi, la sua prima sensazione è quella del vuoto lasciato dal corpo di Eren. Ma per fortuna lui non è lontano. È seduto sul letto, i lunghi capelli che gli scendono sulla schiena nuda, e la guarda pensieroso. Forse è proprio questo che l’ha svegliata: sentire gli occhi di Eren sulla pelle. E' strano che il verde lucente dei suoi occhi sia ora scuro come un lago di cui non coglie la profondità.
- Sei sveglia. Hai dormito bene?
- Sì. Era tanto che non dormivo così.
È la pura verità. In guerra il sonno è sempre leggero, ma in questo luogo non c’è guerra. Non è la prima volta che dorme accanto a Eren, ma qui è… diverso.
 Il ricordo del giorno prima non fa alcun male: è come se, una volta detto, quel ti amo disperato avesse lasciato un vuoto pronto a riempirsi.
Una sorta di attesa.
- «La stessa cosa sono il vivente e il morto, lo sveglio e il dormiente, il giovane e il vecchio: questi infatti mutando son quelli e quelli di nuovo mutando son questi» 
- Co… come, scusa? Che vuoi dire?
- Niente, non importa. Ti ho promesso una cosa, ricordi?
- Hai promesso che mi avresti raccontato una storia.
- Giusto. Ti racconterò una storia, Mikasa. Una storia vera. Vieni con me.

Fuori, davanti all’alba rosata, Eren prende le mani di Mikasa. Chiude gli occhi e gli sfugge una parola - un sospiro, o forse un nome. Ymir misericordiosa. Aiutami.
- Guardami negli occhi, Mikasa. Stai con me. Fidati di me.
Le loro fronti si toccano. 
In quel preciso momento il cielo, le montagne, il prato su cui entrambi posano i piedi nudi si dissolvono, tornano ad essere sabbia luminosa sulla riva di un fiume.
- Cosa… Eren! Dove siamo? Voglio tornare a casa. Alla capanna… Voglio andare alla capanna, a casa nostra! La pentola sul fuoco. Noi…
E poi Mikasa si sente cadere, mentre si trovano inermi al centro di tutto: è come se allo stesso tempo si trovasse fuori da sé, e con lei Eren, protagonisti e spettatori. Le loro vite scorrono in cerchio, vorticano rapide, come figure intraviste nelle pagine di un libro sfogliato troppo in fretta.

- Guarda. È il giorno della commissione d’inchiesta, dopo la battaglia di Trost. Zachary deve decidere cosa fare di me.
- Come… come è possibile? Quella… quella sono io! Siamo noi!
- Osserva, Mikasa.

Il giorno del giudizio. Io incatenato a quel palo, in ginocchio, pronto per l’esecuzione. Mi hanno trattato di merda, bella ricompensa per aver chiuso la breccia, ma non sapranno mai quanto avevano ragione. Quanto era giusta, già allora, la loro sentenza.
Avrebbero dovuto uccidermi subito.
Non sapranno mai quanto vicina sia stata la loro distruzione, quanto la mia rabbia li abbia sfiorati. Non lo sapevo nemmeno io.
Mikasa. Non avresti dovuto arrabbiarti così con Levi Ackerman.
Lo sai, vero, che se non siete morti tutti all’istante è merito suo? Siete vivi per la fiducia che riponevo in lui, per l’assoluto rispetto e la venerazione infantile, che in quel momento ha tenuto in catene me e la mia rabbia omicida. Dopo, gli hai portato rancore per anni, per il modo in cui mi ha picchiato, nonostante ci abbia salvati tutti. Adesso puoi immaginare cosa avrebbe potuto succedere?
Quello che davvero non sai è… In nome di Ymir, Mikasa, non sai qual è l’unica cosa di cui ho avuto davvero paura.
Ora devi saperlo.
Che ti facessero del male. Che ti uccidessero. Che ti togliessero da questo mondo.
Senza di te sarebbe diventato insopportabile. Io ho urlato, tutti mi hanno sentito e hanno pensato c
erto, sono cresciuti insieme, sono famiglia. Ma non hanno capito di cosa avevo davvero paura.
 E neanche tu hai capito il mio terrore di perderti.
Mikasa.
Se ti avessero anche solo toccata, sarebbero morti all’istante.


Le pagine del libro scorrono, avanti e poi ancora indietro. Le immagini diventano nitide e poi nuovamente si dissolvono e poi tornano. L’ordine in cui Mikasa deve leggere, lo decide il cuore di Eren.

- Questo non lo voglio vedere, Eren. E nemmeno… questo.
- No, invece devi. È necessario. Non posso sopportare che… Ah, ti prego. Guarda e basta.

È più di un momento. Non riesco a mostrarti tutto, perché fa troppo male, in certi momenti. Qui, per esempio. Distretto di Trost. Qui ci avevano divisi, eravamo in due squadre diverse. Volevi stare con me a tutti i costi, per proteggermi, e io… ti ho urlato addosso, ti ho spinta via, credo anche di averti fatto male, forse una testata. Ma perché non mi hai detto quel che mi meritavo? Avresti dovuto. E invece no. Mi hai solo chiesto di non morire. La solita sciocca.
E guarda: qui siamo sulle mura. Tu stai sollevando pesi, spostando casse, stiamo lavorando duramente per andare avanti, tu sei quella che lavora più di tutti. E io un po’ ti odio, ma odio di più me, perché mi sento sempre inutile.
Era impossibile essere degni di te, Mikasa.
Non lo sopportavo più.
Io non volevo più essere il tuo fratellino minore, ma non per il motivo che pensi tu.
Non riguardava me, riguardava te. Era per come mi guardavi.
Io volevo essere forte come te, Mikasa. Anzi, più forte.
Io volevo che tu mi vedessi uomo.
Io volevo proteggerti, Mikasa.
Io volevo proteggere te. Sempre.
Volevo che tu mi vedessi come un uomo.
Perché volevo essere il tuo uomo.


- Eren. Oh mio Dio. Non mi importava che tu fossi forte per me. Sei tu che mi hai resa forte, te lo ricordi? Sei stato tu. Se solo avessi immaginato che... Mi spiace, mi spiace così tanto…
- Lo stai facendo di nuovo, Mikasa.
- Cosa, sto facendo di nuovo?
- Quando la smetterai di chiedermi scusa?

Mikasa inclina la testa, la appoggia alla spalla di Eren. Restano così. Eren posa una carezza ruvida sulla guancia dove, un tempo, ha lasciato una cicatrice.
- Fa male. Il male che ti ho fatto. Mi devasta. E non posso nemmeno… Tornare indietro. Cambiare le cose.
- Perché, perché no? Non dire così, quale male, non mi importa niente! Se anche tu mi… Torniamo a casa, ti prego! Che altro ci serve? Per favore!
La mano di Eren avvolge la guancia di Mikasa. I suoi occhi si induriscono, mentre con il pollice sente la pelle più ruvida, dove la carne è stata tagliata. 
- Basta parlare. Dobbiamo continuare. Vieni, Mikasa.

- Ti ricordi qui, dove siamo?
- Fermati, per favore, non ce la faccio. Quello… Non voglio rivederlo. Mi è bastato una volta. Non voglio!
- Guarda bene. Sto per…
- Lo so cosa stai per fare. Basta, Eren. Basta!
- Qui è dove te l’ho detto.
- Non voglio vedere. Non voglio. L’ho dimenticato, lo sapevo che mentivi, non voglio…

In questo mondo si soffre come nell’altro. Lo so. Ma devi guardare.

Le lacrime scendono, Mikasa geme, un pianto lungo da animale ferito, la ribellione di una bestia trascinata al macello.
- Qui è dove ti ho detto che ti ho sempre odiata.

Non so quando ho cominciato a capire. Se non fossi l’idiota che sono, l’avrei capito la prima volta che ho avuto voglia di picchiare Jean. Invece di picchiare lui, ho convinto te a tagliarti I capelli. Non mi piaceva come li guardava.
Sono ancora belli, Mikasa. Tu sei bella. Dopo tutto questo dolore, sei così bella.
Quanto ci ho provato, Mikasa, a staccarmi da te. 
Cercavo pretesti, continuamente, ovunque. Ci ho provato in tutti I modi.
Sono andato via. Ho detto a Louise di gettare via la tua sciarpa. Ho chiesto a mio fratello cosa pensava di te, volevo che mi dicesse che non era niente, che non contava nulla. Non mi è piaciuto quello che mi ha detto.
Perché da quando ho capito cosa dovevo fare, il problema era tutto in quello: staccarmi da te.
Qui è dove ti ho detto che ti ho sempre odiata.
Guardami bene, Mikasa.
Guarda i miei occhi.


Mikasa non vuole, non ha la forza, e allora Eren l’afferra, le gira la testa mentre la tiene stretta a sé, e guardano l’Eren che picchia Armin, la Mikasa di quel momento distrutta. Allora la Mikasa tra le braccia di Eren singhiozza più forte. Non può fuggire. Le braccia forti di Eren la imprigionano, le alzano il viso, la costringono.
Finché lei le vede.
Lacrime.
Il demone sta piangendo. Mentre li distrugge, Eren piange.

Guardami. Ora sai tutto. Ora mi vedi?

Quando ti ho avvolto quella sciarpa, ero già innamorato di te.

C’è una bellezza di Eren che tutti vedono, e una che solo Mikasa vede. Questa durerà mille anni. Andrà oltre questo momento, andrà oltre lo spazio, resterà eterna perché il cuore di Mikasa è un luogo come i Sentieri, dove il tempo non conta nulla. È in una sorta di eternità sorpresa che questo giovane uomo sconosciuto, l’uomo che lei vede per la prima volta, le si avvicina, le prende una mano, se la posa sul cuore. 
- Senti la mia pelle, Mikasa.
E sono di nuovo nella capanna. Seduta sul letto, Mikasa trema.
In ginocchio davanti a lei, Eren passe le mani nei capelli neri e fitti. Sono lunghi, di nuovo lunghi, come è possibile? Eren li fa scorrere fra le dita, se li gira attorno alle mani e li bacia; poi se ne libera, e lentamente le toglie la sciarpa.
- Questa non ti serve più. Sono qui. Siamo qui.

E' la voce vera di un Eren vero, di carne e sangue, che pronuncia le parole.
- Ti amo, Mikasa. 
Quando la bacia, per Mikasa è come arrendersi, dolcemente, a qualcosa di eterno come la morte.
Apre la bocca.
Si lascia andare.

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