Don’t give me those eyes - Imma e Calogiuri

di Heartlostinspace
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - L’incertezza ***
Capitolo 2: *** Partenze e ritorni ***
Capitolo 3: *** Mancanze ***
Capitolo 4: *** Al posto tuo ***



Capitolo 1
*** Prologo - L’incertezza ***


PROLOGO - L'INCERTEZZA


Fissò il suo riflesso dentro lo specchio per secondi che le parvero interminabili. Sondò i dettagli di quel viso, ne passò in rassegna ogni singolo tratto, con l'attenzione che in genere dedicava solo ad incartamenti e fascicoli processuali. Il giudizio fu implacabile: smunta, spenta, stanca... vecchia. Occhi troppo grandi, labbra troppo piccole. Naso troppo pronunciato, capelli ormai prossimi ad intonare uno straziante canto del cigno. Avrebbe dovuto decidersi, prendere finalmente un appuntamento da quel parrucchiere di cui parlava sempre Diana, quello da cui "te lo giuro, entri che sei tu, esci che sembri Monica Bellucci". Come no. La mente di Imma corse all'insopportabile walzer di pettegolezzi che le sarebbe senz'altro toccato tra uno shampoo, una tinta e un colpo di sole: realizzò che, a confronto con le signore della Matera bene annoiate dall'attesa del loro turno, persino Zazza sarebbe sembrato discreto, praticamente il Garante della privacy. Si protese in avanti, e iniziò a stendere la pelle del viso da una parte e dall'altra, desiderosa di far sparire rughe che quella mattina le parevano più profonde ed evidenti del solito, quasi a volerle ricordare, con incurante sprezzo, chi fosse. Intenta com'era, non si accorse di qualcuno che silenziosamente le arrivò alle spalle, fino a quando non sentì due braccia forti cingerle la vita. 

 

"Amò, che fai? È mezz'ora che stai in bagno, t'ho fatto il caffè, guarda che si fredda."

 

Imma fece per voltarsi, raccogliendo le energie per un sorriso che risultasse almeno credibile. 

 

"Piè, amò, no, scusa, è che mi sono incasinata per lavare sti capelli. Valentina? S'è svegliata? O pensa che solo perché è estate può fare la bella vi-"

 

Pietro la zittì poggiandole le dita sulle labbra, prima che la sua voce raggiungesse decibel che la figlia difficilmente avrebbe potuto ignorare. 

 

"Amò, e dai, sta in vacanza, no? Lasciala riposare. Le sto dietro io, tu non ti preoccupare, e poi stamattina deve andare in giro per negozi con mamma, vedrai come tra poco si sveglia, la conosci."

 

"E certo, portiamola in giro per negozi Pietro, dopo il debito in latino dì a tua madre di farle pure questo bel regalo, che tanto se lo merita, no? Poi? Prossimo passo? La vacanza a Ibiza, così completiamo la trasformazione in una di quelle quattro sceme che sta sempre a guardare su quel telefono che c'ha saldato alla mano? Come cazz si chiamano, le influenze, le influ..."

 

"Le influencers amò, le influencers. Che poi oh, sapessi quanto guadagnano queste..."

 

Imma lo incenerì con lo sguardo. L'imperturbabile flemma di suo marito, quella fiacca placidità di chi semplicemente accettava il corso delle cose, come se non lo riguardassero davvero, l'avrebbe mandata sempre fuori di testa. E, sia messo agli atti, lei ci aveva provato a capirlo, anzi, per un certo periodo aveva addirittura provato ad emularlo, cercando di fare di quella calma olimpica un approccio anche per la sua, di vita. Ma, prevedibilmente, aveva compreso che non esisteva niente di più lontano da lei, che le cose preferiva affrontarle di petto, e mai limitarsi a subirle. Homo faber fortunae suae, del resto, lo aveva imparato al liceo.

 

"Vabbè Pietro, lasciamo perdere, grazie per il caffè, scappo a vestirmi, che se non mi sbrigo qua finisce che per la prima volta nella storia la Moliterni arriva prima di me in ufficio, e questo me lo perdonerei anche meno che aver dato il mio numero di cellulare a tua madre."

 

Gli stampò un veloce bacio sulle labbra e, accompagnata dal suono di una risata esasperata, corse in camera, mentre un misto di panico e adrenalina iniziava a farsi strada dentro di lei, facendola sentire, come troppo spesso era capitato in quegli ultimi mesi, un'adolescente. Prese dall'armadio un vestito, lo stesso che aveva indossato qualche giorno prima, durante quella festa della Bruna i cui avvenimenti, ormai ne era certa, l'avrebbero tormentata finché avesse avuto fiato in corpo, e probabilmente pure oltre. Prima di indossarlo ne annusò il tessuto, convinta di poterci ancora trovare il suo profumo. Del resto, lei quel profumo lo sentiva ancora ovunque, come se ne fosse ubriaca: lo sentiva sulla pelle, lo sentiva nelle narici, lo sentiva nell'aria, lo sentiva soprattutto quanto tentava di dimenticarsene e quello tornava più forte di prima, a confonderla, a darle assuefazione, ad indebolirla. 

 

Si chiese, per l'ennesima volta in quei giorni, come sarebbe stato rivederlo dopo quello che era successo tra loro. Bramava di scoprire lo sguardo che le avrebbe dedicato, quale linguaggio avrebbero scelto i suoi occhi per portare avanti uno di quei loro dialoghi muti, talmente intensi da far sembrare le parole un fastidioso ed inutile riempitivo. Ma non era una cretina, neppure un'ingenua, ed aveva vissuto abbastanza primavere per sapere che, stavolta, le parole sarebbero servite, e che, con ogni probabilità, sarebbe stata lei a doverle pronunciare. "Ho sbagliato, non doveva succedere, io non lo so proprio perché siamo finiti a baciarci in ufficio come due ragazzini, dimentichiamolo e non parliamone più". Era questo che avrebbe dovuto dire al maresciallo, niente di più, niente di meno. Lo imponevano il suo ruolo, il suo matrimonio, ed anche una certa dose di orgoglio, che l'avrebbe portata, in qualsiasi circostanza, a sguainare la sua spada e a difendersi ben prima che qualcuno potesse anche solo pensare di sferrarle un attacco. E a lei sembrava di sentirlo già, il maresciallo Calogiuri, mortificato, imbarazzato, che balbettando tentava di dirle che per carità, erano stati bene, ma che forse era stato avventato, che si era lasciato trasportare, confondendo la riconoscenza con altro. No, decisamente Imma gli avrebbe evitato lo sforzo e l'imbarazzo. 

 

Sarebbe stata lei a mettere un punto a quella situazione, a riportare le cose alla normalità, sebbene fosse consapevole che di normale, di ordinario, tra di loro non ci fosse nulla, e questo anche quando non finivano avvinghiati tra le mura della procura. Perché la verità era che il loro rapporto viveva e si alimentava soprattutto di riguardi, di attenzioni, di piccoli momenti che, inutile negarlo, le facevano battere il cuore in una maniera che sospettava fosse pericolosamente simile a quella di una tredicenne alle prime cotte, le stesse cotte che lei, schiacciata da un onnipresente senso di responsabilità, aveva sempre pensato di doversi precludere. Bastava che le loro braccia si sfiorassero, durante uno dei loro viaggi in macchina, perché una scarica elettrica le attraversasse l'intera spina dorsale; bastava che si guardassero negli occhi, concentrati nella risoluzione di un caso spinoso, perché tutto quello che la circondava sparisse, per essere sostituito da un mondo, bellissimo, che condivideva soltanto con lui. 

 

Imma si fidava di Calogiuri, e si fidava a tal punto che era diventato la prima persona a cui pensava quando aveva un'intuizione, un dubbio, o quando cercava un confronto con qualcuno  che viaggiasse sulla sua stessa lunghezza d'onda. E la preoccupava, ma che diceva, la terrorizzava che da qualche tempo questo bisogno andasse oltre l'ambito professionale, per trasformarsi in desiderio di parlare con lui di quel film che aveva visto, di quel libro che aveva letto ed era certa gli sarebbe piaciuto, di quella cosa che le era successa e su cui avrebbero potuto ridere assieme. Aveva paura di sé stessa, la dottoressa Tataranni: di ciò che diventava quando lo aveva vicino, dell'assurdo senso di felicità che la coglieva non appena il pensiero di lui, di loro, faceva capolino nella sua mente, ma anche di quanto lui la rendesse fragile, preda di complessi che mai l'avevano sfiorata, neanche durante i primi mesi di relazione con Pietro, che pure era stato il primo uomo con cui avesse avuto a che fare. 

 

Per la prima volta in vita sua non si sentiva all'altezza, e avrebbe voluto essere diversa: con meno anni, meno rughe, tratti più aggraziati. E si interrogava, lasciava che il suo cervello si arrovellasse per ore intere sul significato di quei cambiamenti, sul perché lei, proprio lei, che mai in vita sua aveva lasciato che il timore del pensiero altrui la influenzasse, si fosse ridotta così. 

 

Dopo un'ultima sistemata, esasperata da quei pensieri che ormai da giorni non facevano che offuscarle la mente, afferrò la borsa che giaceva abbandonata sulla poltrona dalla sera prima, e a grandi falcate si diresse verso la porta di casa. Da quel 2 luglio erano trascorsi sette giorni, e da sette giorni Imma non metteva piede in procura, avendo usufruito di alcuni giorni di ferie arretrate che Pietro l'aveva convinta - o, per meglio dire, costretta - a prendere per festeggiare il settantesimo compleanno di sua madre, giù a Metaponto. Fece un respiro profondo, maledicendo quell'insopportabile arsura estiva, che non risparmiava neppure le prime ore del mattino. Si incamminò, risoluta, quasi a voler compensare con la sicurezza dell'andatura il disordine che aveva dentro. Avrebbe fatto quello che era giusto, per lei, per la sua famiglia, e anche per Calogiuri.

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Capitolo 2
*** Partenze e ritorni ***


"Imma! Eccoti qua, finalmente, giusto a te stavo pensando. Com'è che arrivi a quest'ora in ufficio, è successo qualcosa? Dopo una settimana di ferie, poi... quando lunedì Vitali mi ha detto che per un po' non saresti venuta, non ci potevo credere! La Tataranni che si concede qualche giorno di riposo, sarà stato un miracolo della Madonna della Bruna!"

 

Imma sbuffò vistosamente, mentre Maria Moliterni, vestita di tutto punto, ingioiellata che manco Elisabetta II, le si piazzò davanti, con lo sguardo indagatore di chi bramava di sapere qualcosa in più del perché non si fosse fatta vedere in procura in quei giorni, per poterne spettegolare in allegria con personale tecnico, amministrativo e, se le rimaneva tempo, pure con gli addetti alle pulizie. 

 

"Sì Maria, mi sono presa una pausa, che è, è diventato reato? E comunque stai serena, nessun intervento divino, la telefonata al Papa tienitela per un'altra volta, magari per quando in questa procura il miracolo avverrà sul serio e inizierete a fare quello per cui siete pagati dai contribuenti e pure profumatamente, ossia lavorare."

 

La Moliterni fece un sorriso tirato, sfoggiando il solito, fintissimo garbo che aveva affinato in anni di cene ed eventi aggrappata al braccio del marito prefetto. La responsabile d'archivio aveva fatto presto ad abituarsi alla mondanità tutta imballata e snob dell'alta società, e neppure agli inizi si era sentita un pesce fuor d'acqua, al contrario di Imma, che andava fiera della sua collezione di inviti rispediti - e manco tanto gentilmente - ai mittenti. Non ce la faceva, la dottoressa, non ce la faceva proprio: i convenevoli, la rigidità, le risate contenute, le occhiate di traverso, i pettegolezzi, il cibo in quantità ridicole. Pietro le aveva spiegato che si chiamava finger food, e che ormai era di moda, era chic. Avrebbe voluto dirglielo lei, in modo molto meno chic, dove avrebbero dovuto infilarsi quel dito.

 

"Imma, a sentire te in questa procura lavorate in tre: tu, la tua cancelliera e il maresciallo Calogiuri. Noi altri stiamo qua a girarci i pollici e ad acchiappare le mosche, non è vero? Se solo facessi uno sforzo, invece, ti accorgeresti che siamo una bellissima ed affiatatissima squ..."

 

"Sì sì, un'affiatatissima squadra, come no. Mi dispiace interrompere questa amabile chiacchierata, Maria, ma devo scappare, sono in ritardo. Nel frattempo, che ne dici di fare squadra procurandomi il fascicolo su quella storia di abusivismo edilizio di cui ti avevo parlato? Tra una cosa e l'altra sono passate due settimane, avrà fatto in tempo a trovarsi da solo e ad andare in autocombustione per la noia. Entro un'ora sulla mia scrivania, grazie." 

 

Imma non aspettò neppure una risposta, anche se un velenoso "mi eri proprio mancata, dottoressa" la raggiunse forte e chiaro mentre imboccava le scale. Il fragore provocato dai tacchi che sbattevano sui gradini la fece sentire di nuovo a casa, appagata e felice come mai era stata in quei giorni trascorsi in famiglia. Non poteva negarlo, non a sé stessa: il suo posto sarebbe stato sempre la procura. Era lì che si sentiva forte, sicura, era lì che dava il meglio di sé. Non ci sarebbe Imma, senza la dottoressa Tataranni. Il suo lavoro le concedeva un lusso a cui non avrebbe mai rinunciato: quello di non dover a tutti i costi smussare gli angoli più spigolosi del suo carattere per apparire più affabile, più conciliante, più sopportabile. In procura non doveva mordersi la lingua, non doveva  preoccuparsi delle reazioni altrui, era uno dei pochi contesti - o meglio, l'unico - in cui sentiva di andare bene così. E per carità, era consapevole che se avessero indetto un concorso per eleggere il più simpatico della procura probabilmente si sarebbe piazzata decima di undici (e solo perché esisteva Taccardi), ma aveva l'impressione che a nessuno lì importasse davvero, che nessuno pretendesse da lei qualcosa di diverso da impegno e risultati. In famiglia, invece, soprattutto negli ultimi tempi, le sembrava di dover sempre correggere qualcosa: le intemperanze, i modi di fare, la schiettezza, persino il senso dell'umorismo. Era come costretta a normalizzarsi, ad eliminare dalla sua personalità tutto ciò che fosse vagamente esuberante, che potesse apparire di troppo: peccato però che lei, senza quel troppo, non si sentisse Imma. 

 

Spalancò la porta del suo ufficio, desiderosa di riprendere a lavorare il prima possibile, ma a rivedere quella stanza il cuore prese a batterle in maniera forsennata, imponendole di ripensare, per l'ennesima volta, a quello che era successo lì dentro solo sette giorni prima. Chiuse gli occhi, travolta da una quantità di ricordi e sensazioni che la lasciarono senza fiato. Per un attimo le sembrò di essere tornata a quel pomeriggio dall'atmosfera magica, uno dei più belli della sua vita, e non potè fare a meno di chiedersi se quella genuina e infantile felicità l'avrebbe più provata, se delle parole avrebbero più avuto il potere di scombinarla come avevano fatto quelle di Calogiuri, se si sarebbe più sentita così viva. 

 

Non si era trattenuto, il maresciallo, e, a dispetto della nomea di ragazzo timido e di poche parole, aveva affrontato la situazione di petto, dimostrando un coraggio che lei non avrebbe mai avuto. Le aveva fatto una dichiarazione in piena regola, una di quelle che Imma pensava che non avrebbe mai ricevuto in vita sua, e l'aveva fatta impazzire che, parlandole, si fosse sforzato di guardarla dritta negli occhi: nonostante l'imbarazzo che stava provando, reso evidente dal rossore diffuso su guance e collo, aveva preteso che i loro sguardi si incatenassero, e l'intensità, la sincerità che aveva visto in quelle pozze azzurre avevano avuto su di lei lo stesso effetto dirompente e devastante di un'onda capace di spazzare via ogni cosa. Mentre lo ascoltava confessarle di essere geloso di qualsiasi cosa, di Pietro, della sua famiglia, di chiunque passasse del tempo assieme da lei, di essere arrivato ad invidiare persino l'aria che respirava, ad Imma era sembrato di star perdendo tutto: ragione, buonsenso, contatto con la realtà. C'erano solamente lei, Calogiuri, e i non detti di mesi che venivano finalmente a galla, senza più possibilità di scappare. 

 

E lei non era riuscita a trovare niente di inopportuno, niente di sbagliato in quello che stava accadendo, anzi, per la prima volta dopo troppo tempo aveva avuto l'impressione che tutto fosse al posto giusto, che loro due, assieme, fossero giusti. Quindi l'aveva baciato, perché non voleva fare altro da mesi, perché non sarebbe riuscita ad esprimere in nessun altro modo le emozioni che quelle parole avevano scatenato dentro di lei, perché in quel momento baciare il maresciallo le era sembrata la cosa più naturale al mondo. Con un ultimo sussulto, tuttavia, la sua coscienza le aveva imposto di staccarsi da quelle labbra quasi immediatamente, e di chiedere, anzi di ordinare a lui di dimenticare quanto successo. Mai era stata così contenta di vedere qualcuno audace a tal punto da disobbedire ad un suo ordine: Calogiuri si era precipitato sulle sue labbra con una foga che mai avrebbe potuto dimenticare, come un assetato a cui avevano tolto l'acqua assai prima che se ne fosse saziato, e lei, nel rispondere a quell'avventatezza con altrettanto trasporto, era solo riuscita a sperare che, quando sarebbe arrivato il momento di pagare il conto per quell'assaggio di paradiso - perché sarebbe arrivato, e lo sapeva - , qualcuno le avrebbe concesso un po' di clemenza.

 

"IMMA! Mi era sembrato di aver sentito la porta aprirsi, tu eri, che spavento mi hai fatto prendere mamma mia! Che ci fai là impalata, tutto a posto?" 

 

La voce di Diana la riscosse dallo stato di trance in cui era precipitata, e solo allora si accorse di essere effettivamente rimasta immobile sulla porta a fissare il vuoto. Calogiuri era davvero pericoloso. Si diresse verso la sua scrivania, con un passo che nelle intenzioni avrebbe dovuto essere determinato abbastanza da consentirle di fingere una certa serenità, e, dopo aver gettato malamente la borsa sulla prima sedia che le capitò a tiro, sprofondò nella sua poltrona. 

 

"Diana, e chi doveva essere, il lupo? Stavo guardando... stavo guardando quei quadretti là appesi, quelli vicino alla porta. Sembra li abbia dipinti Capozza al buio, mamma che brutti. Più che Matera sembra Cartagine dieci secondi dopo che c'hanno buttato il sale, ma hai visto che desolazione? Li dobbiamo levare di là eh, mettici pure delle nature morte al posto loro, quello che ti pare, ma levali."

 

"Ma veramente stanno là da dieci anni, tu giusto giusto oggi ti sei accorta che non ti piacciono? Ce li aveva portati quell'artista di Belluno, quello che aveva organizzato la sua mostra qua in procura, mò come si chiamava, non mi ricordo, Giorgetti, Gargetti..." 

 

"Crocetti Diana, Crocetti. E poi appunto, che ne può sapere uno di Belluno di come si dipinge Matera? Minimo l'aveva vista solo in foto. Dai Dià, una cosa ti ho chiesto, me la puoi fare sta cortesia sì o no?" 

 

"Agli ordini dottoressa, agli ordini. Comunque solo tu potevi tornare dalle ferie peggio di come sei partita, ma che hai?"

 

Imma alzò gli occhi al cielo, parzialmente sollevata dal fatto che Diana avesse distolto l'attenzione da quei benedetti quadri. Aveva detto la prima idiozia che le era venuta in mente, e cioè che stesse osservando le cornici appese al muro, un po' per evitare le domande della sua cancelliera, un po' perchè neanche lei era sicura di voler fare i conti con il fatto che sempre più spesso - e sempre più sconvenientemente -  si incantasse a pensare a Calogiuri come una quindicenne scema. E poi, comunque, a lei quei quadri veramente non erano mai piaciuti, quindi aveva preso due piccioni con una fava. 

 

"Beh, prova a starci tu per una settimana con una suocera che mette bocca su qualsiasi cosa tu dica, faccia, a momenti pure sul numero di volte in cui vai un bagno, e vediamo quanto ci torni rilassata a lavoro, Dià. Ho sognato di ucciderla in venticinque modi diversi, ci avessi passato assieme altri due giorni sarei arrivata a trenta comoda comoda." 

 

"Se c'era una cosa che quel bastardo del mio ex marito aveva di buono, è che la madre me la faceva vedere giusto a quelle due feste comandate, la povera anima di Cleo manco la conosce la nonna. E forse è meglio così sai, perché se ha cresciuto un tale pezzo di mer..."

 

"E no, e no, un'altra filippica sul tuo ex no, non c'ho la forza. E poi ora devi pensare al tuo nuovo amore, no? Non mi dire che Capozza non ti ha ancora accompagnato a portare le pasterelle a mamma sua!" 

 

Imma non riuscì a trattenere l'ironia, mentre Diana la fulminava con lo sguardo. Non si sarebbe mai abituata all'idea di lei assieme a Capozza, anche perché il modo in cui aveva scoperto di loro era stato talmente traumatico che solo il tempo e magari una botta in testa che favorisse una parziale perdita di memoria avrebbero potuto aiutarla. Certo però che anche lei, l'irreprensibile sceriffo di Matera, in quanto ad utilizzo improprio dei locali della procura...

 

"Vedo che le ferie ti hanno portato via il sorriso ma non il sarcasmo, mi sembrava strano non avessi fatto una battuta delle tue. E comunque no, io e Capozza ancora non abbiamo detto niente a nessuno, vogliamo andarci con i piedi di piombo, anche perché con la storia del divorzio Cleo è sconvolta, io a quella figlia porto solo guai, Imma!" 

 

"Ahhhhhh, Dià, senti, Cleo c'ha 17 anni, sono certa che preferisca due genitori divorziati ma sereni a due che rimangono insieme per il bene della famiglia e poi stanno là a litigare e a mettersi le corna un giorno sì e l'altro pure. Tu secondo me comunque sottovaluti tua figlia, è grande, vedrai che capirà." 

 

"No Imma, no, sei tu che sottovaluti la gravità di questa situazione, sei tu! Secondo te se tu e Pietro divorziaste come la prenderebbe Valentina, eh?" 

 

"Nel caso succedesse, mi auguro si mostri matura e pronta abbastanza da comprendere che il fatto che io e il padre non saremo più una coppia non avrà niente a che fare con il nostro ruolo di genitori ed il nostro rapporto con lei, che non cambieranno solo perché io e Pietro non saremo più legati sentimentalmente." 

 

Diana strabuzzò gli occhi, stranita, guadagnandosi uno sguardo interrogativo di Imma, che non capiva perché la sua cancelliera la stesse fissando come se improvvisamente le fossero spuntate altre quattro teste. 

 

"Mi aspettavo... mi aspettavo mi avresti risposto che tu e Pietro non vi lascerete mai, di solito è questo che mi dici quando ti chiedo qualche consiglio sulla separazione, che non me ne sapresti dare perché a te non è successo e non succederà."

 

Imma sentì un calore innaturale sulle guance, e mai come in quel momento sperò si aprisse una voragine sotto la sua scrivania. Che cretina. Se così stavano le cose, tanto valeva girare per Matera con il cartello Ho tradito mio marito, probabilmente avrebbe dato meno nell'occhio. Erano giorni che quei pensieri su lei, Pietro, Valentina ed un eventuale divorzio si insinuavano nella sua testa, subdoli, talvolta per poco tempo, altre volte in modo talmente insistente da farla impazzire. La sorprendeva però che fossero sfuggiti al suo controllo così facilmente, anche perché un conto era pensarle, certe cose, un conto era dirle a voce alta, di fatto dando loro una concretezza a cui Imma, e di questo era sicura, non era affatto pronta, e difficilmente lo sarebbe mai stata. 

 

"Dià, stai pure a formalizzarti mò? E non ti aiuto e non va bene, e ti aiuto e non va bene lo stesso, pure tu però deciditi! Volevi un consiglio? Te l'ho dato. Ora, con questo appuntamento de La posta del cuore abbiamo finito? Possiamo lavorare, per favore? Dimmi cosa c'è da fare, che qua che per festeggiare il compleanno di mia suocera mi sono procurata pure un sacco di arretrati, pensa che bella conquista che ho fatto."

 

Diana annuì e sparì nel suo ufficio, per riemergere poco dopo con un faldone di carte, la cui vista fece sbuffare Imma, annoiata come non mai dalla prospettiva di tutte quelle scartoffie da smaltire. Se c'era una cosa che odiava del suo lavoro, ecco, erano le incombenze burocratiche cui la costringeva: ci perdeva le ore, dietro quelle cartacce, ore che avrebbe senz'altro potuto impiegare in qualcosa di più utile, dal momento che le ingiustizie non stavano certo ad aspettare la burocrazia, anzi a dirla tutta se ne approfittavano. 

 

"Allora, ci sono tutti questi documenti da firmare, questi altri da controllare, diversi veramente andrebbero riscritti da capo. Vitali aspetta il resoconto dettagliato dell'intera inchiesta Romaniello e ti invita caldamente ad accontentare le richieste della stampa per quanto possibile, c'è la relazione sulle infiltrazioni mafiose nelle istituzioni che devi redigere per la conferenza in università, e poi cosa, ah sì, c'è il verbale del sopralluogo alla residenza estiva di Scaglione, quello che avevi chiesto alla pg."  

 

"In pratica sarò impegnata con 'sta carta straccia tutto il giorno, ho capito. Tu sollecita la Moliterni perché ti consegni il fascicolo su quell'inchiesta di abusivismo edilizio del 2013, ho necessità di controllarlo, sospetto che Romaniello ci abbia a che fare. Gliel'ho già ricordato salendo, ma a quella l'acqua la bagna e il vento l'asciuga, se non le stiamo dietro fa passare un'altra settimana." 

 

Per le quattro ore successive, Imma non proferì  parola, completamente assorbita dai doveri d'ufficio. Non si accorse neanche che era arrivata ora di pranzo, non fosse stato per Diana che, puntuale come un orologio svizzero, alle 12:30 aveva raccolto le sue cose e le aveva annunciato che si sarebbero riviste nel pomeriggio. Decise anche lei di fare una pausa, anche perché sentiva incombere un terribile mal di testa. Sperava quel malessere fosse dettato solo dalla necessità di mettere qualcosa sotto i denti, ma le sue occhiaie erano lì, profondissime, a ricordarle che veniva dall'ennesima di una lunga serie di notti insonni, e che quindi, con ogni probabilità, non se la sarebbe cavata così facilmente. Con un'associazione fin troppo rapida, la sua mente corse alla causa principale dei suoi problemi di sonno, e Imma non potè fare a meno di chiedersi il perché per tutta la mattina non si fosse fatto vedere. La ragione le suggeriva che fosse impegnato, forse la D'Antonio lo aveva coinvolto in uno dei suoi casi, approfittando della sua assenza per ottenere la tanto agognata redistribuzione delle risorse della pg per cui la tormentava ormai da mesi. 

 

Ma c'era una parte di lei, purtroppo prevalente, che quando si trattava di Calogiuri non voleva saperne di ragionare, preferendo piuttosto figurare scenari disastrosi utili soltanto a farle precipitare l'umore: ed ecco quindi che lo immaginava imbarazzato, costernato, impegnato a cercare il modo per non doverla incontrare, per non dovere più parlare di quel bacio, di cui si era tremendamente pentito, che avrebbe voluto cancellare dalla memoria di entrambi. Sì, stava senz'altro andando così. Altrimenti si sarebbe fatto vedere, sarebbe passato dal suo ufficio anche solo per un saluto, è così che avrebbe fatto uno geloso di tutto, pure dell'aria che respiri, ma quelle, concluse la dottoressa, dovevano essere tutte chiacchiere, i deliri di un giovane che aveva confuso la riconoscenza con chissà che altro.

 

Si passò le mani tra i capelli, sfinita, mentre un macigno le si depositava alla bocca dello stomaco, di fatto facendo svanire anche quel briciolo di appetito che fino a poco prima le era sembrato di avvertire. Si disse che avrebbe dovuto essere contenta, che il comportamento schivo di Calogiuri l'avrebbe liberata dalla responsabilità di decidere per entrambi, come del resto si era prefigurata di fare, ma la verità era che in quel momento non sentiva altro che amarezza, e tristezza. Era terrorizzata all'idea che tra loro sarebbe finito tutto, che quello che avevano sarebbe sparito di lì a poco, per trasformarsi nel più ordinario dei rapporti di lavoro tra un sostituto procuratore ed il suo sottoposto. Calogiuri per lei in quell'anno era stato un'oasi felice, il pensiero da cui si rifugiava quando aveva bisogno di emozioni positive, ma era stato anche una spalla nei momenti più difficili, l'unico da cui si sentisse realmente sostenuta e compresa, l'unico di cui potersi fidare. Lui le regalava una sensazione che mai aveva provato prima: la faceva sentire protetta. Imma in vita sua non aveva mai voluto la protezione di nessuno, men che meno quella di un uomo, ma le premure che Calogiuri le riservava la emozionavano, perché non erano quelle di un uomo spinto dal bisogno di esibire la propria mascolinità, ma sembravano dettate da un'affezione profonda, come se ogni volta fosse lì a dirle "guarda che sto qua, io ti guardo le spalle, e lo faccio perché ci tengo a te". 

 

Di fronte al peso di quelle consapevolezze, sentì gli occhi farsi lucidi. Scelse di darsi però un contegno, perché era in procura, perché sarebbe potuto entrare chiunque da un momento all'altro, ma soprattutto perché lei era Immacolata Tataranni, anni 44, con marito e figlia al seguito, ed il lusso di fare la ragazzina, nella sua situazione, non se lo poteva - e voleva - concedere. Esibì quindi l'aria più fiera che possedesse, e tornò a prestare attenzione ai documenti sparsi sulla scrivania, come se d'improvviso fossero diventati la cosa più interessante al mondo. Il lavoro, ecco, il lavoro l'avrebbe salvata, era su quello che avrebbe dovuto concentrarsi. 

 

Le capitò sottomano il verbale del sopralluogo effettuato qualche giorno prima nella residenza estiva di Scaglione, quello che lei stessa aveva richiesto, animata dalla tenue speranza che sarebbe saltato fuori qualche elemento che avrebbe potuto fornire ulteriore sostegno all'impianto accusatorio contro Romaniello. Vide che era stato effettuato da Capozza, Matarazzo e altri tre agenti della polizia giudiziaria, tra cui però non figurava Calogiuri. 

 

Ma come, manco il sopralluogo è andato a fare? 

 

Un moto di rabbia si impossessò di lei, all'idea che per le loro ragioni personali avesse potuto trascurare un impegno professionale così importante. Sapeva che le prove di cui disponevano contro Romaniello avrebbero potuto non essere sufficienti in sede processuale, sapeva che, soprattutto in quella fase cruciale, non potevano permettersi di lasciare le cose al caso: davvero era stato tanto infantile da fregarsene? Imma prese ad esaminare il verbale, incazzata come raramente lo era stata nei suoi confronti, e quello che lesse non fece altro che accrescere la sua furia, a quel punto diventata ingestibile: il verbale era approssimativo, con diversi punti oscuri, privo di qualsiasi riferimento tecnico, sembrava essere stato redatto da un novellino al suo primo giorno di lavoro. Afferrò il cellulare dalla scrivania e, accompagnata dal fragore dei suoi tacchi, che scandivano come i rintocchi di una campana la sequela di pensieri omicidi in cui si stava dilettando, si avviò verso gli uffici della polizia giudiziaria, risoluta a far loro ricordare quel giorno per molto, molto tempo. 

 

"E anche oggi vedo che ci ammazziamo di lavoro qui dentro, comodi prego, comodi, se disturbo passo dopo!" 

 

Non appena sentirono la voce squillante della dottoressa, Matarazzo e Capozza, gli unici ad essere di turno a quell'ora, si sollevarono in piedi. Capozza rimase con la pizza che stava mangiando a mezz'aria, Matarazzo invece mantenne la sua solita aria strafottente, cosa che fece acuire la furia di Imma. 

 

"Dottoressa... buongiorno! È che stavamo mangiando qualcosa, sa, vista l'ora, uno si appunta la fame..." 

 

Imma rivolse a Capozza uno sguardo che definire disgustato sarebbe stato un eufemismo, e, decidendo di non considerarlo oltre, iniziò a sventolare davanti agli occhi dei due agenti il verbale, desiderosa soltanto di avere sotto mano il colpevole di quello scempio.

 

"Chi di voi due ha redatto il verbale del sopralluogo a casa di Scaglione? In altre circostanze avrei tirato ad indovinare, ma oggi non sono molto dell'umore, purtroppo per voi aggiungerei. Allora?"  

 

"Sono stata io, dottores-"

 

Imma non diede a Matarazzo neppure il tempo di terminare la frase, perché strappò il foglio in due parti, che gettò stizzita sulla scrivania davanti a sé. L'agente le rivolse uno sguardo indecifrabile, un misto di supponenza e stupore, a cui la dottoressa non ebbe remora di rispondere con la più tagliente delle occhiate. 

 

"Matarazzo, sai perché il tuo verbale ha fatto quella fine? Perché è tra le cose più vergognose che io abbia letto in 15 anni di professione, ecco perché. Ma tu lo sai a cosa serve un verbale, ne hai la minima idea? Hai la minima idea di quanto sia importante che sia puntuale, dettagliato, ma soprattutto dotato dei tecnicismi necessari? Questo verbale a me potrebbe servire in udienza tra un anno, tra due anni, mi vuoi spiegare come farò ad utilizzarlo se già oggi che i fatti sono freschi l'ho letto tre volte e non ci ho capito niente? Sembra la prova di metà corso di un allievo della scuola carabinieri, voglio che sia chiaro che la prossima volta che una cosa del genere arriva sulla mia scrivania vi rispedisco da dove siete venuti, non vi salva manco il Padreterno. Stiamo lavorando al processo più importante degli ultimi vent'anni, in udienza rischio di vedermi smantellato l'intero impianto accusatorio perché tutto quello che abbiamo è estremamente attaccabile, e io che faccio? Sto in polizia giudiziaria a rimproverare gli agenti perché non sanno redigere i verbali. Ma vi rendete conto delle responsabilità che il lavoro che vi siete scelti comporta, sì o no?!?!"

 

Matarazzo sembrò risentire della lavata di capo, tanto che abbassò lo sguardo, imbarazzata, mormorando un "mi dispiace, dottoressa", cui seguì immediatamente quello di Capozza, che anche sembrava piuttosto scosso per quanto successo.

 

"Dottoressa, non è una scusa eh, assolutamente, abbiamo sbagliato, ma volevo dirle che l'agente Matarazzo avevo chiesto il mio aiuto per quel verbale, ma io non ho potuto assisterla, anche perché negli ultimi giorni qua è 'nu burdell, chi è in ferie, chi se ne va all'improvviso, siamo tre gatti, se non ci aiuta nessuno..."

 

"Capozza, ma per redigere un verbale ora ci vuole l'aiuto da casa? Ti senti, pure tu? E poi, se non mi sbaglio, sia io che Vitali abbiamo già messo in chiaro che per i prossimi tempi tutto ciò che è legato a Romaniello e alla sua cupola deve avere la priorità qua dentro, non mi pare un concetto di difficile comprensione. Ad ogni modo, Matarazzo, entro stasera voglio quel verbale sulla mia scrivania, e stavolta con tutti i crismi. Non hai il minimo margine di errore, intesi?"

 

"Agli ordini, dottoressa. Non intendo deluderla, a maggior ragione adesso che per forza di cose le fornirò la mia collaborazione sempre più spesso."

 

Imma rimase stranita dalle parole di Matarazzo: ebbe l'impressione che, dietro l'apparente gentilezza, ci fosse una certa dose di velenosa ironia, quasi come se qualcosa, in tutta quella situazione, le stesse procurando soddisfazione. Non ebbe però tempo di rimuginarci oltre, perché il suo telefono prese a squillare in maniera insistente, come del resto si addiceva alla mittente della chiamata. Uscì quindi da quell'ufficio, sebbene la sua rabbia fosse ancora ben lontana dal placarsi.

 

"Valentina, dimmi!"

 

"Mamma!!! Sono da poco tornata dalla mattinata di shopping con la nonna, adesso vado a pranzo da lei e poi pomeriggio esco con Bea! Ci vediamo stasera, ho già avvisato papà e mi ha detto che va bene, ma mi ha detto di avvisare anche te!" 

 

"E lo so io perché tuo padre ti ha detto di chiamare anche me, perché lui non sa dirti di no e aspetta che lo faccia io! Non se ne parla, Valentina, sei già uscita stamattina, pomeriggio ti chiudi a casa e studi. Le parole debito in latino ti ricordano qualcosa? Settembre è vicino e tu ancora niente hai combinato, l'uscita con Bea può aspettare."

 

"Ma che palle, mamma!!! Ieri era domenica e ho studiato tutto il giorno, tra l'altro con te che ti comportavi da  generale e manco mi hai fatto alzare la testa dal libro. È estate, ho 16 anni, avrò diritto anche io ad un po' di divertimento? Non esiste solo lo studio, io ho bisogno di fare esperien-"

 

"Le esperienze, come le chiami tu, le hai belle che fatte durante l'anno Valentì, altrimenti non staremmo qui con 40 gradi all'ombra a parlare di un debito in latino. Imparerai per il prossimo anno, pomeriggio non esci, ti fai venire a prendere da papà quando finisce il turno e te ne vai dritta a casa, e questo non è argomento di discussione."  

 

"Agli ordini dottoressa, agli ordini, come decide Lei, tanto decide tutto Lei, non è vero? Sarebbe bello però che ogni tanto si ricordasse che oltre ad un essere sostituto procuratore è anche una madre, ruolo di cui a quanto pare non Le frega niente!!!!!"

 

Valentina le attaccò il telefono in faccia prima ancora che potesse replicare. Non era la prima volta che le diceva una cosa del genere, ma le faceva sempre male come una pugnalata inferta in pieno petto. Quando Valentina era ancora una bambina, per placare il rimorso di non starle abbastanza vicina per via del lavoro, Imma si raccontava che una volta che fosse cresciuta sua figlia avrebbe capito i suoi sacrifici, sarebbe stata fiera di lei, felice di avere una madre a sua volta felice. La verità però era che, con gli anni, Valentina si era allontanata sempre più, finché il loro rapporto non si era ridotto ai minimi termini. Sua figlia la vedeva come un ostacolo, una sorta di minaccia alla sua libertà ed indipendenza, qualcuno che esisteva giusto per metterle i bastoni tra le ruote e ricordarle quanto studiare fosse importante. Non si sarebbe mai lamentata di quanto Pietro fosse bravo nel suo ruolo di genitore, né sarebbe stata gelosa del fatto che la loro figlia lo preferisse a lei, ma aveva l'impressione che, se solo suo marito fosse stato meno permissivo, se solo avesse avuto il coraggio di dirle qualche no, ecco, anche il rapporto di Imma con lei ne avrebbe giovato, perché non sarebbe stata costretta a fare in ogni momento della loro vita la parte del generale, come si sentiva spesso ripetere. 

 

Si portò la mano alle tempie, il mal di testa era ormai definitivamente esploso. Percorse velocemente la scalinata, con la sola intenzione di tornare nel suo ufficio e prendere qualche medicinale che le consentisse di arrivare fino a sera senza impazzire. Ma il destino evidentemente quel giorno le era avverso, perché nel corridoio che portava alla sua stanza si ritrovò a sbattere contro Vitali, che stava giusto in quel momento uscendo dal bagno. 

 

"Eccallà, è turnat o pendolino!"

 

Entrambi alzarono gli occhi al cielo, seppure per motivi diversi, ma Imma si sforzò, nonostante l'umore infernale, di sfoggiare il sorriso più cordiale che avesse. Non voleva inimicarsi Vitali, non adesso che le aveva dimostrato di stare dalla sua parte, mettendosi di traverso al suo trasferimento. Viveva il lavoro con una serenità e una flemma che avrebbe sempre detestato, soprattutto se unite a quella generale attenzione più per la forma che per la sostanza, ma era un uomo giusto, e di questo non ne dubitava. 

 

"Dottor Vitali buongiorno! Come vede ho ripreso servizio, e vado un po' di fretta. Se vuole scusar..."

 

"Si fermi dottoressa, dove scappa! A Matera il crimine non dilagherà se lei smette di correre da una parte all'altra come una trottola impazzita, gliel'hanno mai detto? Nu poc e tranquillità, Tataranni! Sarei venuto da Lei questo pomeriggio, ma già che è qua venga nel mio ufficio, così ne approfitto per parlarle di alcune cose."

 

Imma seguì Vitali con la stessa verve di un condannato a morte, mentre si chiedeva se quella giornata potesse andare peggio di così. Già immaginava di dover battagliare con il procuratore capo circa le dichiarazioni da fare alla stampa sull'inchiesta Romaniello: inutile dire che rimpianse persino la pila infinita di scartoffie che la attendeva sulla sua scrivania. 

 

"Dottore, io voglio mettere subito in chiaro una cosa: alla stampa, e in particolar modo a Zazza, in questo momento non intendo rilasciare alcuna dichiarazione. È una fase estremamente delicata, siamo alla ricerca di elementi che possano sorreggere il quadro accusatorio, una fuga di notizie è l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno. Non voglio dare alcun vantaggio a Romaniello e ai suoi avvocati, vantaggio che indubitabilmente trarrebbero se ci vedessero sbattuti in prima pagina mentre stiamo brancolando nel buio. Su questo punto non sono disposta a discutere."

 

"E invece lei si rende conto di quanto sia rischioso inimicarsi la stampa in un momento come questo? Ai giornalisti frega poco che si getti alle ortiche il lavoro di un anno intero, o che un criminale pericoloso come Romaniello rimanga impunito: vogliono lo scoop, e se per ottenerlo dovranno affossare lei lo faranno, lo capisce? Bisogna accontentarli, anche in minima parte, altrimenti se li vedrà schierati dalla parte di Romaniello in men che non si dica, è questo che vuole, dottoressa? Adda passà 'a nuttata, ma qualche sacrificio nel frattempo è necessario farlo."

 

"Dottore, fa questo lavoro da più tempo di me, quanto crede ci voglia perché, soprattutto qualcuno, distorca le mie dichiarazioni, alla ricerca di uno scoop, come dice Lei? Ci stiamo buttando volontariamente nella gabbia dei leoni, altroché, e, come al solito, i cocci saranno i miei!"

 

"Lei continua a non avere fiducia in me, dottoressa. Ho già pensato a questo problema e la soluzione c'è: rilasciamo una nota. Niente interviste, niente conferenze, niente dichiarazioni estemporanee, diramiamo una nota a tutte le redazioni e ne pretendiamo la pubblicazione integrale. Scripta manent, verba volant." 

 

"Solo se mi occuperò io di redigerla, e, stavolta davvero, è una condizione su cui non sono disposta a cedere." 

 

Imma dovette ammettere a sé stessa che l'idea di Vitali di rilasciare una nota fosse buona, così come erano giustificate le preoccupazioni circa il fatto che la stampa, vedendosi snobbata, si sarebbe schierata dalla parte di Romaniello. Ma voleva comunque essere lei a gestire ogni tipo di comunicazione: avrebbe scelto lei cosa scrivere in quella nota, magari facendosi aiutare da Calogiuri, l'unico che di quell'inchiesta ne sapesse quanto lei e di cui potersi fidare al 100%, nonostante la storia fresca fresca del sopralluogo, su cui aspettava di confrontarsi con lui e che, in ogni caso, non gli avrebbe perdonato facilmente. 

 

"Va bene dottoressa, va bene, avevo già in mente di chiederglielo, Lei mi ha preceduto. Farò finta che la richiesta sia motivata da un eccesso di zelo, ma so che in realtà è perché in questa procura Lei non si fida di nessuno, neppure di me, e me lo lasci dire, mi dispiace molto. Sempre, ma soprattutto quando si ha a che fare con inchieste e processi di questa rilevanza, il lavoro di squadra è essenziale. Non può fare tutto da sola, dottoressa Tataranni, a maggior ragione adesso che il figliol prodigo è andato via, e-"

 

"Scusi?!" 

 

Il cuore di Imma iniziò a galoppare, mentre sentì un brivido risalirle lungo tutta la spina dorsale. Sapeva che quando Vitali parlava di figliol prodigo si riferiva a Calogiuri, e la sua mente cominciò a ricollegare tutti i pezzi di quella mattinata infernale: lui che non si faceva vedere, lui che non aveva partecipato al sopralluogo a casa di Scaglione, Capozza che si lamentava del fatto che in pg fossero rimasti in pochi, Matarazzo che le diceva che loro due avrebbero dovuto lavorare sempre più spesso insieme... ecco perché aveva quel sorrisetto soddisfatto... dovette soffocare un conato di vomito, mentre stringeva sempre più spasmodicamente il bracciolo della sedia, come se da quell'appiglio dipendesse la sua vita. 

 

"Santo cielo, dottoressa, ma il maresciallo Calogiuri non l'ha informata? È partito, ha fatto richiesta per partecipare ad una missione in Centro America. Per carità eh, quando ho visto la sua domanda sono rimasto stupito anche io, gli ho chiesto anche il perché, ma lui non si è sbottonato più di tanto, mi ha solo detto che aveva bisogno di fare un'esperienza nuova, che per lui che veniva da una realtà di provincia sarebbe stata una grossa occasione, e non ho insistito oltre. Del resto, sò uajuncelli, c'amm a fà..." 

 

Imma cercò con tutte le forze di mandare giù il groppo che sembrava occluderle la gola, ma senza successo. Non poteva credere che se ne fosse andato senza dirle nulla, non poteva credere che non avesse ritenuto importante informarla, che l'avesse abbandonata. Perché era così che si sentiva in quel momento, abbandonata. Adesso era rimasta da sola ad affrontare qualcosa che sentiva essere più grande di lei, perché lui aveva preferito scappare come un codardo, un ragazzino che forse aveva fatto l'errore di sopravvalutare, di considerare un uomo. La furia si mischiò al dolore, come fossero sentimenti inscindibili, e Imma si disse che sì, magari ne sarebbe uscita con le ossa rotte, ma lei quella situazione l'avrebbe affrontata. Da sola, come sempre era stata, nonostante per un po' di tempo avesse coltivato il sogno, che altro non era che un'illusione, che in quel mondo qualcuno che la capisse, ma che la capisse davvero, esistesse, e che lei l'avesse incontrato.

 

"Dottore, voglio un sostituto."  

 

"Dottoressa, capisco lo choc della notizia, ma Calogiuri non è che in Centro America ci prende la residenza, tra due mesi torna a pieno servizio. Non so, forse è il caso di aspettare, vedere come va, fare di necessità virtù..." 

 

"Ma quale di necessità virtù, dottore! Io ho un maxiprocesso da preparare, mò facciamo dipendere la giustizia italiana dalle esperienze di Calogiuri? Dieci minuti fa ero in polizia giudiziaria a rimproverare degli agenti per come era stato redatto un verbale, lei veramente pensa che ci possiamo arrangiare così per altri due mesi? Vuole che io faccia lavoro di squadra? Bene, mi procuri un sostituto, e smuova pure mari, monti, pianure e colline, perché mi serve al più presto, che qua tra due giorni a fare i sopralluoghi mi tocca mandare la mia cancelliera. Buona giornata!"

 

Imma non aspettò neanche che Vitali replicasse, anche se le sembrò di sentire un esasperato "c'aggia fa cu chesta" quando fu appena fuori dalla porta. Raggiunse quasi correndo il suo ufficio, mentre i polmoni le briciavano per lo sforzo che aveva fatto nel parlare a Vitali come se tutto fosse normale, come se non si stesse rompendo in mille pezzi. Si chiuse la porta alle spalle, e, finalmente, si lasciò andare. Il suo corpo venne scosso da decine di singhiozzi, sulle labbra sentiva già il gusto amarognolo delle prime lacrime. Ce l'avrebbe fatta, sì, ce l'avrebbe fatta da sola, ma  questo non voleva dire che non le avrebbe fatto maledettamente male.

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Capitolo 3
*** Mancanze ***


Haiti

 

Ippazio si gettò sulla piccola branda che gli faceva da letto, sfinito al punto da non riuscire neppure a disfare le lenzuola. Era ad Haiti da poco più di due settimane, eppure in quel luogo aveva già visto più sofferenza che in tutta la sua vita. Il violento terremoto di qualche tempo prima si era lasciato dietro una infinita scia di desolazione e morte: innumerevoli vite erano state spezzate, sogni e speranze di chi era rimasto andati distrutti. Sembrava lo scenario di un film apocalittico: la gran parte degli edifici erano crollati, molti erano comunque inaccessibili, gli ospedali al collasso ormai da troppo tempo. C'era chi tra le macerie cercava ancora i propri cari, chi era rimasto senza un tetto sopra la testa, chi aveva perso anche quel poco che possedeva, chi avrebbe portato per sempre sul proprio corpo i segni di quella tragedia. Si sentiva minuscolo di fronte a tutto quel dolore, senza dubbio un privilegiato, ed era per questo che, ogni giorno, si faceva in quattro per essere di aiuto a più persone possibili: si occupava di distribuire pasti, coperte, beni di prima necessità, praticava le medicazioni, talvolta capitava anche si unisse alle squadre per la ricerca dei dispersi. La gratitudine che leggeva negli occhi delle persone a cui riusciva a dare una mano gli scaldava il cuore, ed era l'unica cosa che lo facesse andare avanti, che gli consentisse di non rimanere schiacciato dal peso di quella situazione. Qualche ora prima, durante il pranzo, aveva giocato assieme ad un bambino, costruendo per lui una pista per macchinine di fortuna che sembrava averlo reso l'esserino più felice del mondo: ecco, quegli occhi contenti era certo non li avrebbe mai più dimenticati. Non si era mai sentito utile come nel regalare a quel piccolo un sano momento di normalità, la stessa che gli era stata strappata in maniera tanto brutale ed improvvisa.

 

Certo, era difficile, non lo negava: quando si fermava, quando rimaneva da solo, il dolore di quelle persone sembrava piovergli tutto addosso, e persino addormentarsi diventava un'impresa. Stava succedendo anche quella sera: continuava a ripetersi che avrebbe dovuto fare di più, che mentre lui tentava di prendere sonno chissà quanti lì fuori avevano bisogno del suo aiuto. In cuor suo, però, sapeva che quel senso di colpa non aveva ragione di esistere: stava già facendo tutto il possibile, e, senza quelle poche ore di riposo che provava a concedersi, gli sarebbero certamente mancate le forze durante il giorno. Quindi, in quello che ormai era diventato una sorta di rituale notturno, provò a distrarsi, facendo vagare la sua mente alla ricerca di qualcosa che gli desse serenità, che lo aiutasse ad evadere da quella realtà per costruirsene, almeno momentaneamente, una più spensierata. Una chioma rossa si fece prepotentemente strada tra i suoi pensieri, facendolo sorridere all'istante. Era sempre così: ogni volta che si imponeva di pensare a qualcosa che lo rendesse felice, la sua dottoressa arrivava a prendersi la scena, con quell'esuberanza che aveva anche nella vita di tutti i giorni. Ippazio si immaginava di essere in auto con lei, e di ridere alle sue battute; o, ancora, di trovarsi nel suo ufficio, e di osservarla mentre, con quella sua espressione corrucciata ma bellissima, tentava di trovare il bandolo della matassa in un caso complicato. E magari fosse stato così avveduto da fermare qui il flusso dei suoi pensieri, magari si fosse trattato di una cosa così innocente: la verità era che, in quelle notti che parevano interminabili, il maresciallo amava soprattutto fantasticare su una quotidianità che non avevano, fatta di una casa in comune, traguardi condivisi, infiniti momenti di tenerezza e passione. Quante volte aveva pensato a come sarebbe stato bello addormentarsi abbracciato a lei, dopo averci fatto l'amore; condividere ogni momento, da un semplice pranzo al volo ad un film sul divano, consapevole che niente di quanto vissuto con lei avrebbe mai potuto essere banale, noioso, ordinario

 

A volte Ippazio si chiedeva se il signor De Ruggeri fosse consapevole della fortuna che gli era capitata: non riusciva ad immaginare niente di più felice di una vita trascorsa al fianco di Imma, con la possibilità di vedere il mondo attraverso i suoi occhi, e il privilegio di starle accanto, ascoltarla, viverla nella sua quotidianità, godere delle sue attenzioni, dei suoi baci, delle sue carezze. Era geloso di quell'uomo, della sua vita, anche se sapeva di non averne alcun diritto, perché se c'era qualcuno di troppo, in tutta quella situazione, se c'era un intruso, beh, di certo non era lui. Ippazio ricordava ancora quel giorno di qualche mese prima, quando li aveva visti assieme: era seduto al tavolo di un bar con un collega, e Imma e il marito passavano di lì, senza però accorgersi di lui. Camminavano, abbracciati, e il signor De Ruggeri doveva aver fatto una battuta perché lei rideva di gusto, uno di quei sorrisi sinceri e infantili che in procura non regalava mai a nessuno. Allora fu come ricevere un pugno in pieno stomaco: era da poco tornato da Roma, dove aveva realizzato di provare per la dottoressa qualcosa che andava ben oltre la semplice stima professionale, e subito era stato costretto a fare i conti con la realtà, quella in cui lei era felicemente sposata, innamorata del marito e mai, mai, gli avrebbe preferito un ragazzino senza arte né parte. 

 

Certo, poi era successo quello che era successo: le cose erano andate avanti, e qualche segnale pure lei gliel'aveva dato, specie nella grotta dei pipistrelli, che solo a pensare a quella vicinanza, all'angolo di paradiso che si erano ritagliati, in netto contrasto con l'orrore che avrebbero scoperto a pochi metri da loro, al maresciallo accelerava ancora il cuore. E, che lo mettessero pure agli atti, lui nonostante tutto aveva provato a lasciare perdere, si era più volte imposto di essere razionale, di rispettare i ruoli, ma ad un certo punto non ce l'aveva più fatta: il giorno della festa della Bruna, in quella procura che sembrava essersi svuotata appositamente per loro, le parole gli erano uscite fuori da sole, come per necessità, e a lui non era rimasto altro che pronunciarle, dimostrando in primis a sé stesso una dose di coraggio che non credeva di possedere. Aveva confessato  alla dottoressa che, se durante le indagini sulla morte del povero Don Mariano era sempre teso, sempre nervoso, beh, era perché geloso: di lei, di suo marito, della sua famiglia, di chiunque avesse la possibilità di starle accanto, fuori dal lavoro magari. Si era scoperto invidioso di qualsiasi cosa, persino della signora Diana e di chiunque altro potesse darle del tu, quando lui, quel tu, doveva accontentarsi di darglielo solo nei pensieri, dove si concedeva il privilegio di chiamarla Imma, nome che chissà se avrebbe mai pronunciato ad alta voce. E lo sapeva, sapeva che la gelosia era un sentimento infantile, che un po' lo sviliva anche, perchè era come ammettere di non essere abbastanza, ma Ippazio era davvero così che si sentiva: non abbastanza. Non abbastanza rispetto al signor De Ruggeri, che chissà che uomo straordinario doveva essere, perché Imma avesse scelto di passare la vita accanto a lui; e non abbastanza anche e soprattutto rispetto ad Imma, la donna più incredibile che avesse mai conosciuto, intelligente, bellissima, forte, risoluta, inarrivabile per chiunque, figuriamoci per lui, un ragazzo di provincia che senza di lei starebbe ancora a fare l'appuntato, e forse neanche quello. 

 

Però lo aveva baciato. Dopo avere ascoltato quelle parole, contro ogni pronostico, anziché dirgli che era impazzito, che certe cose non avrebbe neanche dovuto pensarle, Imma gli aveva preso il viso e lo aveva baciato. Era stato un contatto breve, labbra contro labbra, e il maresciallo neanche aveva avuto il tempo di realizzare che lei subito si era staccata, stravolta quanto lui, e gli aveva praticamente ordinato di dimenticare tutto. 

 

Dimenticare, dottoressa? Ma come faccio, se io di te, di noi, ho impressa nella mente ogni singola cosa? Ricordo ogni nostra conversazione, ricordo tutte le volte in cui mi hai guardato fiera per qualche mia intuizione; potrei descrivere alla perfezione le espressioni che fai quando sei concentrata, quando sei nervosa, so che abbassi lo sguardo per nascondere i momenti di commozione, perché sì, ti commuovi, e piuttosto spesso, anche se non ti piacerebbe sentirtelo dire. Saprei riconoscere il colore dei tuoi occhi tra mille, perché è diventato il mio preferito; so come prendi il caffè, persino la quantità industriale di zucchero che ci vuoi dentro, e che giustifichi sempre dicendo che la vita è già troppo amara, e non hai bisogno che a ricordartelo ci si metta pure quello che bevi. So che ti piace sentire il vento tra i capelli quando siamo in macchina, perché ti si stampa in viso un'espressione talmente beata che sembri una bambina: quando ti vedo così spensierata, penso sempre che sarei disposto a guidare per te per ore e ore. Ho imparato a conoscere i tuoi silenzi, perché sono anche i miei... e noi in quei silenzi ci siamo sempre capiti benissimo. Non ho mai dimenticato nulla: pensa che ricordo persino le volte in cui hai incontrato il mio sguardo, per caso, e subito hai distolto il tuo imbarazzata, perché sono i piccoli momenti a cui mi sono aggrappato per pensare che in questa follia non fossi da solo. Non mi serve un taccuino per te, dottoressa, perché le cose importanti non hanno bisogno di promemoria, e tu, per me, importante lo sei davvero. Hai idea di quante volte io abbia maledetto il fatto di essermi svegliato, perché significava aver interrotto un sogno in cui eri finalmente mia? Hai idea di quante volte io abbia desiderato averti tra le mie braccia, baciarti, fregandomene di tutto e tutti? Davvero tu credi che, adesso che è successo, potrei dimenticarlo? 

 

Era così che Ippazio avrebbe voluto risponderle, ma la verità è che aveva già parlato pure troppo, e poi in quel momento era talmente scombinato che non sarebbe stato in grado di pronunciare neanche una sillaba. Quindi era rimasto lì, a fissarle le labbra con tormento, quasi allucinato all'idea che lei gli avesse fatto una richiesta del genere, fino a quando non si era deciso ad azzerare quella distanza ormai diventata insopportabile, e si era avventato su di lei con foga, dimostrandole che no, quella volta non sarebbe stato disposto a cedere, a far finta che niente fosse successo. Il bacio che ne era seguito, pieno di istinto, passione, fame, coronamento di mesi passati a desiderarsi senza potersi neanche mai sfiorare, era stato per Ippazio la conferma di ciò che pensava da tempo: niente e nessuno avrebbe mai retto il confronto con Imma. Niente di quello che viveva con lei era paragonabile ad altre esperienze che pure aveva avuto, e il motivo era semplice: non aveva mai provato qualcosa che fosse lontanamente simile. Prima di conoscerla, credeva che sensazioni come il cuore che sembra esplodere nel petto, il fiato corto, le gambe di gelatina appartenessero soltanto ai racconti dei protagonisti di libri o film, quelli che le sue sorelle lo costringevano a guardare da piccolo: inutile dire che l'arrivo dell'uragano Tataranni nella sua vita aveva sradicato quelle stupide convinzioni una per una. La vicinanza della dottoressa lo sconvolgeva dalla testa ai piedi e, se all'inizio non aveva neppure il coraggio di sostenere il suo sguardo, vittima di una sorta di timore reverenziale e della proverbiale timidezza, adesso era arrivato al punto da non riuscire a toglierle gli occhi di dosso: la guardava, la guardava di continuo, attratto come una calamita, sicuro che al mondo non esistesse niente di più meraviglioso, almeno per lui. La dottoressa nella vita del maresciallo era onnipresente, perché ormai era arrivato al punto di pensarci anche mentre ascoltava una canzone, leggeva un libro, guardava una vetrina intravedendoci qualche abito particolare abbastanza perché potesse piacerle. 

 

Ippazio sapeva che il loro rapporto non poteva considerarsi esclusivamente lavorativo, e non solo per quel bacio che c'era stato: era per tutte quelle attenzioni che si dedicavano, per il modo in cui si spronavano a vicenda, per la fiducia sconfinata che riponevano l'uno nell'altra, era per quell'elettricità che li avvolgeva ogni volta che si trovavano vicini, e che era certo anche lei avvertisse.  C'era qualcosa di speciale tra lui e Imma, qualcosa che gli faceva desiderare di avere qualche anno in più, di averla conosciuta in circostanze diverse, di non essere chi era, insomma. Avrebbe voluto avere la possibilità di portarla a cena fuori come sua fidanzata, di regalarle dei fiori senza doversi nascondere dietro le insistenze di un venditore di rose, di farci lunghe passeggiate in cui poterle raccontare di tutto, di progettare una vita assieme a lei; ma non era uno sprovveduto, sapeva che con ogni probabilità non sarebbe mai successo, e che fantasticando in quel modo si stava facendo soltanto del male. Nei momenti di maggiore sconforto si convinceva semplicemente che quello non fosse il loro momento, la vita giusta da trascorrere assieme: magari ce ne sarebbe stata un'altra, una in cui avrebbe potuto amarla alla luce del sole e in cui sarebbero stati felici, in una casa tutta loro, come una coppia qualsiasi. Senz'altro avrebbero avuto litigi, incomprensioni, momenti no, ma era certo che li avrebbero superati, consapevoli che per un amore del genere ne sarebbe valsa la pena. 

 

In questa vita, invece, Ippazio aveva semplicemente optato per la strada più facile: se ne era andato di punto in bianco da Matera, praticamente era scappato, sebbene sempre più di frequente gli capitasse di chiedersi se allontanandosi non avesse fatto la scelta sbagliata, se non si fosse comportato da codardo, da ragazzino. La verità era che all'indomani di quel bacio, passata l'adrenalina, si era scoperto terrorizzato: non faceva che riproporsi nella sua testa l'immagine di Imma che gli diceva che era stato un cretino ad illudersi, perché tra loro non ci sarebbe mai stato nulla, e quel bacio era stato solo un contentino, il premio che si dà al ciuccio per tenerlo buono. Lo avrebbe guardato con compassione, come si guarda ad un adolescente non in grado di tenere a bada i suoi istinti, e con tono accondiscendente, quello che si usa con i bambini quando tocca spiegare loro le cose "da grandi", gli avrebbe detto che era troppo innamorata del marito, e che mai avrebbe potuto permettere che qualcosa di tanto irrilevante - come solo la cotta di un sottoposto poteva essere -  intaccasse il loro matrimonio e la loro famiglia. Chissà, magari sarebbe stata lei stessa a consigliargli di cambiare aria, e andandosene dai piedi di sua spontanea volontà le aveva soltanto fatto un favore, levandole l'impiccio di dover pensare a come liquidarlo. 

 

Non c'era spazio per lui nella vita della dottoressa, e questo Ippazio lo sapeva benissimo da sé, senza bisogno che fosse lei a spiegarglielo: almeno quella tortura voleva risparmiarsela. Per questo, quando aveva saputo del gruppo di carabinieri in partenza per Haiti, a sostegno della popolazione colpita dal terremoto, aveva colto la palla al balzo, pensando fosse una sorta di segno del destino: si era aggregato a loro senza troppe difficoltà, prendendo il posto di un collega a cui da poco era nato il primo figlio, e che certo non era entusiasta all'idea di doversi trasferire proprio in quel momento dall'altra parte del mondo. Imma in quei giorni era in ferie, e avrebbe scoperto di quella partenza soltanto quando lui sarebbe già stato in Centro America: inutile dire che al maresciallo era sembrata un'ottima cosa, per entrambi. Era convinto che la dottoressa sarebbe stata felice di esserselo levato di torno senza troppi imbarazzi, avrebbe capito e anzi apprezzato la sua scelta, e quando sarebbe tornato, due mesi dopo, tutto sarebbe ripartito da capo tra loro, come se niente fosse successo. Del resto, se l'alternativa era perderla, allora preferiva che il loro rapporto tornasse ad essere quello esclusivamente lavorativo dei primi tempi, e che Imma restasse nella sua vita almeno come suo superiore: sarebbe stata una strada in salita, probabilmente ci sarebbero stati momenti in cui si sarebbe maledetto per la situazione in cui era stato capace di infilarsi, ma resettare tutto gli sembrava l'unico modo per non dover rinunciare a lei. Non completamente, almeno. 

 

Accompagnato da quelle riflessioni, che ormai gli avevano riempito la testa, Ippazio sentì gli occhi farsi pesanti. Nell'ultimo pensiero lucido che riuscì a formulare, si augurò di incontrare Imma almeno nei sogni, come ormai sempre più spesso gli accadeva, probabilmente per via della mancanza che avvertiva. Perchè la vita avrebbe pure potuto mettersi di traverso, impedirgli di essere felice con l'unica donna che avesse mai veramente voluto, ma il suo cuore non ci pensava proprio a scrollarsela di dosso, anzi, finiva sempre più imbrigliato in quel sentimento, quasi come se ne dipendesse, come se ne ricavasse l'energia necessaria per andare avanti. E chissà, forse era così davvero, perché lui mai si era sentito vivo come da quando aveva conosciuto Imma. Si sarebbe sforzato di rinunciare ad averla accanto, ma nessuno avrebbe mai potuto pretendere che rinunciasse 

 ai suoi sentimenti, e quel pensiero in qualche strano modo lo confortava: forse tra loro due sarebbe cambiato tutto, ma nel suo cuore non sarebbe mai cambiato niente. 

 

 

 

Matera, tre settimane dopo

 

"Diana!! Dianaaaaaaaaaaaaaa!!!" 

 

Imma urlò con tutto il fiato che aveva, incurante del fatto che l'avrebbero sentita fino al piano inferiore. Era furiosa: aspettava dalla Moliterni il verbale di una vecchia aggressione da ore, per un controllo urgente, ma ovviamente non si era vista manco l'ombra, né del verbale, né della responsabile d'archivio. E del resto di che stupirsi? Quando il tuo angelo custode risponde al nome del prefetto puoi permetterti pure di passare l'intera mattinata al bar, a fare taglia e cuci con le amiche tue, che tanto a lavorare ci pensano gli altri scemi. 

 

Si voltò verso la stanza della sua cancelliera, ancor più stizzita per non aver ricevuto uno straccio di risposta, ma la trovò vuota. E ti pareva. Ormai a furia di frequentare Capozza si era presa pure lei i ritmi di quel lavativo, dieci minuti di pausa ogni due di lavoro. Ecco qua lo straordinario organico di cui blaterava sempre Vitali, una cosa di lusso proprio. Tutti quanti in miniera li avrebbe spediti Imma, altroché, a rimpiangere la bella vita che facevano sulle spalle dei contribuenti.

 

Arresa al fatto di dover provvedere da sola, e ormai al culmine della rabbia, marciò inviperita verso il piano inferiore, immaginando che le peggiori piaghe bibliche si abbattessero su quella procura di nullafacenti: mosche velenose, zanzare, locuste, rane, sciami d'api, ma sì, pure le cavallette, che già il pensiero di vederle saltellare nell'ufficio della Moliterni la metteva di buon umore. Di tutto dovevano mandare, di tutto, se avanzavano pure un paio di coleotteri, che sarebbero sempre serviti. 

 

In pochi istanti, complice un passo ancor più spedito del solito, si ritrovo davanti alla porta dell'archivio, che spalancò senza troppe cerimonie, provocando un tonfo infernale. Manco a dirlo, là dentro non c'era anima viva. Si addentrò tra gli scaffali, risoluta a trovare da sola quello che le serviva: del resto, se era capace la Moliterni a barcamenarsi tra quelle scartoffie, ci sarebbe riuscita pure lei.

 

Ed in effetti, dopo qualche minuto di ricerca, trovò senza troppe difficoltà il fascicolo che le interessava. Prese a spulciarlo, concentratissima, fino a quando la sua attenzione non fu richiamata dal rumore della porta, che qualcuno chiuse con una delicatezza che gli sembrò persino inusuale per gli abituali frequentatori della procura, compresa lei, che di porte lì dentro ne sbatteva eccome. Pensò che si trattasse della Moliterni di ritorno dalla sua mattinata di fatiche, quindi non si scompose più di tanto: anzi, meglio che fosse lì, così una bella lavata di capo non gliel'avrebbe risparmiata manco il padreterno. 

 

"Dottoressa?" 

 

Al suono di quella voce Imma sgranò gli occhi, esterrefatta. Il fascicolo cadde rovinosamente ai suoi piedi, provocando un allucinante baccano, che tuttavia, scioccata com'era, non sembrò neppure sentire. Non poteva essere vero, non stava succedendo. Non poteva essere lui, lui era in Centro America, non sarebbe tornato prima di un altro mese, non pote...

 

"Dottoressa! State bene? Vi siete fatta male?"

 

Calogiuri le comparve davanti, trafelato, un'espressione preoccupata stampata sul viso. Imma lo fissò, incapace di muovere un solo dito, mentre il cuore le batteva all'impazzata, e le gambe minacciavano di cederle da un momento all'altro. Era bello, persino più bello di quanto ricordasse. Indossava una camicia azzurra, dei jeans, e sembrava anche più abbronzato. 

 

"Tu... tu che cosa ci fai qua?" 

 

Imma dovette fare appello a tutte le sue energie per riuscire a pronunciare quelle quattro parole: in quello spazio tra gli scaffali in cui si trovavano cominciava a mancarle persino l'aria. Calogiuri, nel frattempo chinatosi per raccogliere i documenti caduti a terra - probabilmente per via di una deformazione professionale che gli imponeva di essere sempre ligio al dovere in sua presenza -, sentendo la sua voce alzò lo sguardo, e prese a fissarla in un modo talmente intenso che la fece tremare. 

 

Lo vide alzarsi, senza mai interrompere il contatto visivo, e muoversi lentamente verso di lei, che nel frattempo, quasi per spirito di conservazione, si spinse sempre di più verso lo scaffale, fino praticamente ad adagiarcisi.  

 

"Davvero non sapete perché sono tornato?" 

 

Calogiuri si avvicinò pericolosamente, a separarli adesso c'era una distanza irrisoria. Imma si sentì come ubriaca, i sensi annebbiati dal profumo di lui, lo stesso che in quelle settimane gli era mancato più di qualsiasi altra cosa. Dovette usare tutto il suo autocontrollo per trattenersi dal toccarlo, sebbene le sembrasse uno spreco non poter fare scorrere le mani su quel viso, su quel collo, lungo quelle spalle. Bramava un contatto fisico con lui, e le sembrò di impazzire mentre, con un tempismo a dir poco ironico, le immagini del loro bacio le si riproponevano in mente. Calogiuri dal canto suo non sembrò meno in difficoltà: i suoi occhi continuavano a posarsi sulle labbra di lei, pieni di desiderio, di fatto confermandole che sì, stavano decisamente pensando alla stessa cosa.

 

"Te ne sei scappato di punto in bianco..."

 

Imma faticò persino a riconoscere la sua voce,  roca com'era. Sentiva il respiro di Calogiuri accarezzarle il viso, e nel mentre continuava a bearsi di quello sguardo pieno di venerazione che lui le dedicava, e che lei non capiva cosa avesse fatto per meritare. Di una cosa, però, era certa: la faceva sentire bellissima.

 

"Ora sono qua però..."

 

Calogiuri non le diede neanche il tempo di rispondere, perché si avventò sulle sue labbra, dando applicazione pratica ai pensieri di entrambi. Per Imma risentire il suo sapore fu come tornare a respirare dopo interminabili minuti di apnea: gli prese il viso tra le mani, quasi lo sgraffiò nell'impeto, e ricambiò quel bacio come se da esso dipendesse la sua stessa esistenza. Si interruppero giusto per sorridere una sulle labbra dell'altro, e poi ripresero a baciarsi con ancora più foga: le loro lingue si rincorrevano in maniera febbrile, si esploravano con dedizione, rallentavano solo per il gusto di riacciuffarsi il secondo dopo, in un gioco che stava portando sull'orlo dell'esasperazione entrambi. Si stavano solo baciando, ma era tutto talmente erotico che non riuscivano a smettere di ansimare: le mani di Calogiuri, fino a quel momento incastrate tra i ricci di Imma, cominciarono a vagare con sempre meno inibizioni,  fino ad intrufolarsi sotto il suo maglione. Quando Imma sentì le mani di lui sul seno, portò la testa all'indietro, ansimando ancora più forte: non gliene fregava niente, che la sentissero pure, non riusciva a pensare ad altro che a lui, lui che la toccava, che la baciava, che esplorava ogni singolo centimetro di lei. Calogiuri, dal canto suo, vedendo il collo di Imma così esposto, non potè fare a meno di avventarcisi come un vampiro: era una parte di lei che lo aveva fatto sempre impazzire, e per questo iniziò a baciarlo, annusarlo, morderlo, in una lenta tortura che non avrebbe saputo dire se stesse provocando più piacere a lei o a lui stesso. Imma lo strinse ancora di più a sé, ormai al limite, ma risoluta a farlo impazzire anche più di quanto lui stesse facendo con lei: quindi riacciuffò le sue labbra, quasi rabbiosa, e nel mentre prese a sbottonargli la camicia, impaziente di far scorrere le mani su un corpo che fino a quel momento aveva solo potuto immaginare. Il maresciallo lasciò le sue labbra solo per osservarla, dedicandole uno sguardo eccitato e pieno di lussuria, assai lontano dall'innocenza che lo caratterizzava: la voleva, la voleva disperatamente, e lo dimostrò la veemenza con cui, qualche istante dopo, le sollevò la gonna e la afferrò per i glutei, inducendola ad allacciargli le gambe attorno alla vita. Imma sentì la sua erezione premuta contro la coscia, e, ormai priva di qualsiasi freno, si mosse su di lui, alla ricerca di un contatto che potesse appagare entrambi. C'erano decisamente troppi vestiti di mezzo, quindi in pochi istanti si liberarono della camicia e del maglione, che finirono sul pavimento senza troppe cerimonie. Si esplorarono con dedizione, Imma facendo scorrere senza sosta le mani sulle braccia, sulle spalle, sull'addome di lui, che erano stati per lei la dimostrazione di come spesso la realtà superasse la fantasia, Calogiuri affondando la testa nel suo seno, che passò minuti interminabili a mordere, leccare, baciare. Imma quasi perse il senno quando iniziò a giocare con i suoi capezzoli, e riuscì solo a pensare che voleva di più, ancora di più, voleva averlo dentro. A malincuore lo costrinse ad allontanarsi dal suo petto e, mentre lo baciava per zittire la sua protesta, condusse una mano fino ai pantaloni di lui, che sbottonò con urgenza. Calogiuri a quel punto si fermò e la guardò negli occhi, comunicandole un implicito "sei sicura?" che nonostante il momento le strinse il cuore, perché era l'ennesima premura che le riservava. 

 

"Calogiù, ti voglio..."

 

La voce di Imma era a metà tra un sussurro e un ansimo, tanto che non era neppure certa lui l'avesse sentita. Ebbe però la conferma che il messaggio fosse arrivato forte e chiaro quando lui la baciò come se la volesse divorare, stringendola ancora di più a sé, e dimostrandole che sì, probabilmente non era l'unica che arrivati a quel punto non sarebbe stata più in grado di fermarsi. Pur continuando ad averla addosso, abbarbicata alla sua vita, Calogiuri riuscì a strapparle i collant con un gesto secco, che causò un'esclamazione di stupore di Imma e un sorrisetto divertito sul viso di quell'impunito. Approfittarono del sostegno dello scaffale dietro di loro, cui Imma si aggrappò con una mano, per gravare meno sulle braccia di lui e facilitargli i movimenti. Calogiuri le scostò l'intimo ed entrò con due dita dentro di lei: Imma dovete fare appello a quel briciolo di autocontrollo rimastole per non urlare, mentre lo sguardo di lui si arrampicava vorace su di lei, come se fosse la cosa più bella e desiderabile del mondo. Temendo di essere sull'orlo della pazzia, Imma cominciò a muoversi sulla sua mano, mettendo a dura prova anche Calogiuri, cui persino il collo stava andando in fiamme. Lui la torturò, quasi come se la conoscesse da sempre, come se quella non fosse la prima volta che la toccava: Imma venne in pochi istanti, con un urlo che soffocò sulla spalla di lui. Si sentiva come in una bolla, preda di sensazioni che non aveva mai provato, neanche fosse il primo orgasmo della sua vita. Calogiuri però non aveva ancora finito: senza staccare mai lo sguardo da lei, e quasi sfidandola a sostenerlo, si portò alla bocca le dita con cui fino a pochi secondi prima le aveva dato piacere, sorridendo sfacciato: Imma pensò di non aver mai, davvero mai visto niente di più erotico in vita sua. 

 

"Lo sai che hai un sapore buonissimo..."

 

Calogiuri le disse quelle parole all'orecchio, con urgenza, ansimando, mentre con spinte studiate del bacino premeva la sua erezione contro di lei. Ancora lontana dall'averne abbastanza, e definitivamente sulla via del non ritorno, Imma decise che gli aveva lasciato condurre le cose già per troppo tempo: slacciò le gambe dalla sua vita, seppur a malincuore, e si inginocchiò all'altezza del suo bacino, desiderosa di vederlo impazzire, totalmente alla sua mercé. Con un unico gesto gli abbassò i pantaloni e i boxer, e... 

 

"Amò, amò!!! Svegliati, amò!!!" 

 

Imma si svegliò di soprassalto, e nell'immediato non comprese neanche dove si trovasse. Aveva il respiro affannoso, il cuore le batteva all'impazzata, e le ci volle qualche secondo per realizzare, sotto lo sguardo preoccupato di Pietro, che era a casa sua, nel letto che divideva con suo marito, e che si era trattato soltanto di un sogno. 

 

"Amò, ma stai bene? Ti contorcevi, mi sono spaventato, hai fatto un incubo?" 

 

Fece dei respiri profondi, alla ricerca di qualcosa di sensato da dire, e soprattutto pregando che dormendo non si fosse fatta sfuggire qualche parola di troppo, che l'avrebbe compromessa irrimediabilmente. Una volta si era salvata in calcio d'angolo, ma questa... 

 

"Mmmh sì, sì amò, stai tranquillo, era solo... un incubo, non ti preoccupare. Bruttissimo tra l'altro, mamma mia. Questa è stata la parmigiana che ci ha portato tua madre, quella ci fa mangiare pesante la sera e guarda i risultati, te lo dico io di non farle preparare niente!"

 

Imma sperò che quel diversivo funzionasse, sebbene il battito del suo cuore non volesse saperne di decelerare. Non poteva credere di aver fatto un sogno del genere, un filmino a luci rosse degno di Tinto Brass, e che fosse arrivata a contorcersi dal piacere grazie ad esso, per giunta mentre suo marito le dormiva affianco. Persino la versione di Calogiuri prodotta dalla sua mente era pericolosa, ed Imma si chiese se ormai non fosse arrivata ad un punto di non ritorno, se quanto successo non fosse l'ennesima prova che stesse camminando sul filo del rasoio. Non era la prima volta che sognava il maresciallo, specie in quell'ultimo periodo, ma erano stati sempre sogni confusi, poco nitidi, che le avevano lasciato più un senso di angoscia che altro. Questo invece era vivido, reale, e Imma ne aveva impresso in mente ogni dettaglio, tanto che quasi le sembrava di avvertire il tocco di Calogiuri sulla pelle, le scie bollenti lasciate dai suoi baci. E si sentiva in colpa perché non si sentiva in colpa, anzi, era infastidita da Pietro, che svegliandola l'aveva privata - sul più bello, poi - di quella realtà fittizia a cui invece avrebbe voluto rimanere aggrappata per più tempo possibile, anche perché, parliamoci chiaro, mica era scema, chissà quando le sarebbe ricapitato. 

 

"Ma dai amò, lo sai che mamma lo fa perché vuole rendersi utile. E poi la parmigiana secondo me me non c'entra, è che ultimamente sei troppo stressata, troppo nervosa. Che ti succede? Qualche problema a lavoro?" 

 

"Sì Piè, lo sai, è un periodo complicato, c'è il processo Romaniello in corso, è troppo importante e non posso permettermi il minimo passo falso, soprattutto adesso. Sono un po' agitata, ma passerà, te l'ho detto, non ti devi preoccupare. Lo sai che queste cose le gestisco, è il mio lavoro. Tranquillo, va bene?" 

 

Imma gli diede un bacio a fior di labbra, conscia di avergli detto soltanto una parte di verità, come del resto faceva ormai sempre più spesso. Fece per scostarsi, ma Pietro la riattirò a sé, stringendola. 

 

"Lo so che ce la fai Imma, lo so, non immagino nessuno che potrebbe gestire questa situazione meglio di te. E senti, visto che è ancora presto, e questo nervosismo in qualche modo lo dobbiamo fare passare, che dici di rilassarci un po' alla nostra maniera? È tanto che non ci prendiamo un po' di tempo per noi..."

 

Pietro le strofinò il naso sul collo, in un chiaro invito a prestargli attenzione, ma Imma si sentì improvvisamente a disagio, quasi infastidita all'idea che suo marito la sfiorasse. Non erano quelle le mani che voleva addosso, non era quello il respiro che avrebbe voluto sentire sulla sua pelle, non quella mattina, non con quello che continuava ad avere in mente. Si allontanò di nuovo, sforzandosi di apparire il più serena possibile, e sperò che il marito si sarebbe bevuto l'ennesima bugia. 

 

"No amò, non posso, stamattina no, ho un impegno prestissimo e sono già in ritardo, praticamente ho giusto il tempo di farmi una doccia. Facciamo un'altra volta, va bene?" 

 

Pietro la guardò con un'espressione indecifrabile, un misto di delusione e rassegnazione. Sentiva che Imma gli stava sempre più sfuggendo, era come se qualcosa negli ultimi tempi tra loro si fosse spezzato, sebbene non riuscisse proprio ad identificare il punto di rottura, l'ingranaggio che in quel loro meccanismo perfetto aveva smesso di funzionare. Gli faceva comodo darsi la spiegazione del lavoro, degli impegni, ma non era la prima volta che Imma aveva un periodo stressante in procura, e mai aveva percepito una tale distanza, e non soltanto fisica. Era come se sua moglie non lo vedesse, presa da chissà che altro, si sentiva come dato per scontato, ed era una sensazione che lo faceva stare malissimo. Negli anni si era sempre sforzato di essere all'altezza di Imma, di darle dei motivi per non stancarsi di lui, per non accorgersi di quanto in realtà avrebbe meritato di meglio, e adesso aveva l'impressione di non starci più riuscendo: forse Imma aveva realizzato che uomo mediocre fosse, lo considerava non più degno di lei, e l'abisso che ormai avvertiva tra di loro era il risultato di quelle considerazioni. 

 

Sentì la mano della moglie accarezzargli il volto, e d'istinto la prese nella sua, stringendola. Pensò che comunque, qualsiasi cosa non andasse tra loro, l'avrebbero superata: non gli importava quanto avrebbe dovuto lottare, lui ad Imma non avrebbe mai rinunciato. Avrebbe rispettato i suoi tempi, le distanze che stava mettendo tra loro, in attesa di rivedere uno spiraglio di luce ed intrufolarcisi silenzioso, come del resto aveva fatto anche quando si erano conosciuti. Avrebbe riparato qualsiasi meccanismo si fosse inceppato, con la stessa pazienza con cui riparava gli orologi da bambino, e si sarebbero lasciati alle spalle quel periodo, che in un matrimonio lungo come il loro era anche fisiologico, o almeno così ricordava di aver letto da qualche parte. 

 

"Vabbè... un'altra volta. Allora visto che devi andare ti preparo la colazione mentre fai la doccia, così non perdi tempo." 

 

"Grazie amò, mi faresti un favore. Niente di pesante però, vanno bene un caffé e delle fette biscott-"

 

Imma non fece in tempo a finire la frase, perché fu interrotta dal fastidioso trillo del suo cellulare, che segnalava una chiamata in arrivo. Lo afferrò dal comodino sbuffando, conscia che, considerata l'ora, dovesse trattarsi per forza di un'incombenza lavorativa, e questa volta reale, non come quella che aveva inventato su due piedi per distogliere Pietro dal suo progetto di tête-à-tête mattutino. 

 

"Sì, pronto?" 

 

"Dottoressa, buongiorno, scusate l'ora. Vi chiamo perché alle prime luci dell'alba hanno ritrovato il cadavere di una donna nei pressi di Miglionico, e Vitali vi ha assegn-"

 

"Sotto casa mia tra un quarto d'ora, fai veloce" 

 

Imma si precipitò fuori da letto, quasi inciampando tra le lenzuola. Pietro la osservò immobile, ormai abituato a quel tipo di scene: aspettò che si chiudesse in bagno, e quando sentì il rumore dell'acqua, segno che fosse appena entrata in doccia, si alzò per prepararle la colazione. Fece quello che le aveva chiesto, un caffè e qualche fetta biscottata, e provvide a preparare qualcosa anche per sé, pur consapevole che avrebbe mangiato da solo, con Imma che sarebbe scappata di lì e a poco e Valentina che chissà a che ora si sarebbe alzata dal letto. 

 

Come previsto, Imma riemerse una decina di minuti dopo, già pronta, con un vestito rosa e bianco che la fasciava perfettamente, e che le fece guadagnare un'occhiata ammirata da parte di Pietro, a cui il suo abbigliamento eccentrico era sempre piaciuto. Bevve il caffè in un sorso, quasi scottandosi, e ignorò le fette biscottate, lamentando la mancanza di tempo. 

 

"Amò grazie per la colazione, ma io mò devo proprio scappare, mi staranno già aspettando sotto. Mi raccomando, butta giù dal letto Valentina, non la fare dormire fino alle 10, prima di uscire svegliala e dille di mettersi a studiare, altrimenti campa cavallo. Ci vediamo stasera, buona giornata!" 

 

Imma stampò un bacio sulle labbra al marito e si precipitò fuori casa, con la mente già occupata da quello che avrebbe dovuto affrontare di lì a poco. Trovò la macchina di servizio ad attenderla e velocemente salì, consapevole che, per evitare che qualche elemento venisse trascurato, soprattutto nelle prime e fondamentali fasi delle indagini, sarebbe stato meglio non perdere troppo tempo, anche perché il cadavere era stato ritrovato già all'alba. 

 

"Dottoressa, buongiorno!" 

 

"Lorusso, buongiorno, dai, parti che abbiamo perso pure troppo tempo stamattina. Hai qualche informazione in più rispetto a quanto mi hai riferito al telefono?" 

 

"No dottoressa, purtroppo no, Vitali non mi ha detto molto. So soltanto che è stato ritrovato il cadavere di una donna e che è morta in casa, nient'altro, per saperne di più dobbiamo sentire i colleghi di Miglionico." 

 

Imma sbuffò, adagiandosi sul sedile. Osservò Francesco Lorusso, il nuovo rinforzo della polizia giudiziaria, arrivato due settimane prima, per esaudire la sua richiesta di avere un sostituto di Calogiuri. Veniva da Barletta, aveva 36 anni ed un passato nella procura di Bari. Chiunque avesse lavorato con lui gliene aveva parlato benissimo, ma Imma voleva saggiarne le capacità personalmente, e per questo motivo da giorni non faceva che metterlo alla prova, affidandogli alcuni tra gli incarichi più complessi che le capitassero tra le mani. Una cosa però aveva già avuto modo di appurarla: non c'era niente che avesse in comune con Calogiuri. Aveva disperatamente cercato delle similitudini, forse per un desiderio inconscio di sopperire alla sua mancanza, ma si era dovuta arrendere al fatto che fossero completamente diversi. Lorusso sul lavoro era molto sicuro di sé, delle proprie capacità, a tratti sfacciato, e questo si rifletteva anche nel modo in cui si approcciava ad Imma: le portava il rispetto che doveva ad un superiore, ma al tempo stesso le sembrava che non la temesse, che non ne fosse in qualche modo intimorito, nonostante lei sospettasse che anche lui, come tutti, prima di arrivare a Matera avesse ricevuto il consueto dossier su quanto fosse sconsigliabile lavorare al fianco dello sceriffo di Matera.

 

"Sapete dottoressa, io a Miglionico andavo spesso qualche anno fa, ci abitavano alcuni zii della mia ex moglie. È un bel posto, e ho notato che si conoscono tutti: magari chiedere in giro potrebbe aiutarci ad avere qualche informazione in più, anche sulla vita della vittima se ce ne fosse bisogno."

 

"Non so, dobbiamo valutare prima tutti gli elementi che abbiamo, fare un quadro chiaro della situazione. Fare domande potrebbe tornarci utile, ma dobbiamo ricordare che le voci di paese spesso sono un boomerang, a volte crediamo ci aiutino ma in realtà ci portano soltanto fuori strada, convincendoci di cose che sono frutto di pettegolezzi, quindi falsità. Bisogna fare attenzione." 

 

Lo vide annuire, blaterando un "e certo, avete ragione", per poi tornare a concentrarsi sulla strada davanti a sé. Avvertì un po' di nostalgia, perche quella era tra le prime cose che aveva spiegato pure a Calogiuri, che ormai era diventato esperto in pubbliche relazioni con gli anziani di Matera e dintorni. Nonostante fosse ancora furiosa con lui, per il modo in cui era andato via, le mancava, soprattutto in momenti come quello: le mancavano i loro viaggi in macchina, quando sembrava che tutto il loro mondo fosse dentro un abitacolo, le mancava il suo aiuto nelle indagini, le mancava averlo intorno in procura, e scandire la giornata lavorativa in base alle volte che sarebbe entrato nel suo ufficio. Al suo ritorno mancavano soltanto tre settimane, ma Imma temeva che tra loro niente sarebbe stato più come prima, e il pensiero le provocava un buco allo stomaco.

 

"Hai risolto poi la questione dell'asilo di tuo figlio?"

 

Imma provò a distrarsi, ricordando che qualche giorno prima Lorusso le aveva chiesto informazioni su degli asili vicino alla procura, dal momento che avrebbe dovuto tenere il figlio con sé per un paio di mesi, per via di un incarico che la ex moglie aveva ottenuto al Nord come insegnante. 

 

"Sì, dottoressa, sono andato in quell'asilo che mi avete consigliato voi, quello a pochi metri dalla procura, e per fortuna le iscrizioni erano ancora aperte. Da settembre Giuseppe potrà andare lì, e restarci fino alle quattro. I miei vicini mi hanno pure detto che quando ho i turni al pomeriggio posso lasciarlo da loro, tanto hanno un bambino della stessa età. Insomma, pare che la situazione si sia sistemata, speriamo di farcela." 

 

"Tranquillo, sarà solo questione di farci l'abitudine, e di adattare i tuoi ritmi a quelli del bambino. Sono certa che i tuoi colleghi ti verrano incontro anche con i turni, basterà che spieghi loro la situazione, sono dei bravi ragazzi." 

 

"Sì sì, infatti dottoressa, Capozza e Matarazzo mi hanno già detto di non farmi problemi, e anche gli altri colleghi. Dovrò fare qualche sacrificio, ma in fondo se non ne faccio per mio figlio per chi dovrei farli? La mia ex moglie voleva persino rinunciare all'incarico, rimanere a Bari, ma io gliel'ho impedito, non sarebbe stato giusto. Io mi sono trasferito qui senza alcun problema, perché lei non avrebbe dovuto farlo, solo perché è la madre? È giusto che anche lei pensi alla sua carriera, io e Giuseppe staremo benissimo." 

 

Imma annuì, realizzando che tutto sommato fosse un discorso meno maschilista di quanto ci si sarebbe potuti aspettare da un uomo. Quando lei, pochi mesi dopo la nascita di Valentina, si era rimessa a lavorare, lasciando che fosse Pietro ad occuparsi della bambina mentre era via, aveva dovuto affrontare il chiacchiericcio di mezza Matera, che le dava della madre snaturata, e descriveva Pietro come una sorta di martire, finito nelle grinfie di un'arpia che manco alla figlia voleva badare. Perché tra i prodotti più velenosi del patriarcato, pensò Imma, c'era senz'altro la convinzione per cui i figli rappresentassero un affare esclusivo della madre, mentre era socialmente accettato che gli uomini se ne stessero lì a guardare, fregandosene, come se la presenza di un bambino non li riguardasse fino in fondo, in quella generale tendenza a deresponsabilizzare il maschio - e, di contro, a colpevolizzare la donna per la qualsiasi - su cui lei aveva avuto modo di sbattere i denti sin da bambina.

 

"È bello che tu e la tua ex moglie vi sosteniate in questo modo, non capita poi così spesso. Ho visto cause di separazione che fanno le scarpe persino a Beautiful, siete fortunati."  

 

"E che non lo so, dottoressa? Diciamo che ci siamo lasciati serenamente, non ci stati grossi screzi tra noi. Anche per tutelare Giuseppe abbiamo preferito che il nostro distacco non fosse traumatico, dopo aver realizzato che non ci amavamo più semplicemente ognuno ha preso la sua strada. Non ci sono stati tradimenti, mancanze di rispetto, insomma, quelle cose che i rapporti li guastano irrimediabilmente, è avvenuto tutto in maniera abbastanza naturale, l'amore a volte finisce e tocca accettarlo." 

 

Imma si schiarì la voce, toccata da quella risposta più di quanto desse a vedere. Era vero, tradire una persona e sperare di non ricevere in cambio solo rancore ed astio era un'utopia: non si poteva ferire qualcuno e pretendere comprensione, immaginare di concludere una relazione - o, peggio, un matrimonio -  per un tradimento senza che il rapporto ne uscisse irrimediabilmente compromesso, distrutto. Sapeva che se gli avesse confessato qualcosa Pietro non l'avrebbe più guardata in faccia, lo sapeva benissimo, e non era pronta ad un'eventualità del genere. Suo marito era la sua casa, la sua famiglia, il suo rifugio quando tutto andava male, l'emblema della normalità, a volte forse monotona, ma capace di essere rassicurante come nient'altro. Il loro non era mai stato un sentimento travolgente, uno di quelli che ti rincretiniscono, ti tolgono il sonno, talmente totalizzante da spazzare via tutto, ragione compresa; era più che altro un legame che avevano costruito con il tempo, con la pazienza, passo dopo passo, un vestito su misura per entrambi, magari non tra i più luccicanti, ma estremamente confortevole. Immaginare una vita senza Pietro al suo fianco, o immaginare che lui la odiasse, la spaventava, la faceva sentire incredibilmente priva di punti fermi, gli stessi su cui aveva basato la sua intera esistenza.

 

"Dottoressa, comunque ci siamo quasi, è quella palazzina lì in fondo alla strada." 

 

Imma sospirò, osservando l'abitazione che le si stagliava di fronte, un condominio dall'aspetto severo, con le pareti ingrigite dal tempo e poche chiazze di colore, rappresentate da un paio di lenzuola stese ai balconi. Quanto meno, per le ore a venire, avrebbe avuto decisamente altro a cui pensare.

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Capitolo 4
*** Al posto tuo ***


Imma varcò il portone della palazzina, ignorando il crocchio di curiosi già ammassatosi all'esterno, alla ricerca di chissà quali dettagli su cui spettegolare. Odiava la morbosità che la gente mostrava in certe occasioni, l'arrogante pretesa di insinuarsi nelle esistenze altrui senza alcun riguardo, e odiava pure quelle rivoltanti trasmissioni televisive che passavano il tempo a sciacallare sui poveri morti ammazzati, trasformando gli spettatori in sedicenti Sherlock Holmes dediti anima e corpo alla risoluzione di delitti su Facebook. Per una come lei, che dopo quindici anni di carriera a quelle situazioni ci aveva ormai tristemente fatto il callo, smascherare l'ipocrisia di certi atteggiamenti era fin troppo semplice: se foste voi ad essere coinvolti in prima persona, avrebbe voluto chiedere a quei quattro pettegoli di paese che si era appena lasciata alle spalle, se le vittime fossero vostri parenti, vostri amici, quanto gradireste le chiacchiere, le accuse, lo strazio di sentenze pronunciate ovunque tranne che in tribunale? Chi di voi sopporterebbe di vedere la propria vita e quella dei propri cari passata al setaccio da sconosciuti annoiati in cerca di qualche diversivo, chi sarebbe disposto ad ascoltare in silenzio le elucubrazioni, i sospetti, le ricostruzioni da bar? Era certa che nessuno avrebbe tollerato una tale pressione, né del resto l'avrebbe meritata. Per questo motivo, soprattutto durante indagini relative a casi che avrebbero potuto suscitare un qualche interesse malsano nell'opinione pubblica, aveva sempre cercato di ridurre al minimo la fuga di notizie, proposito questo che si era tradotto in un rapporto complicato, praticamente tragico, con la stampa, nello specifico quella locale: Imma aveva perso il conto delle litigate furiose che aveva avuto con Zazza, il giornalista - per modo di dire, ché fosse stato per lei quello in una redazione manco i caffè avrebbe portato - che le aveva reso ogni singolo giorno da sostituto procuratore un inferno, per via del maledetto vizio, che lei sospettava fosse tipico della categoria, di distorcere le informazioni in nome di facili sensazionalismi. Si era sentita dire da quell'imbecille che con il suo atteggiamento ostile metteva distanza tra la popolazione e le istituzioni - nientemeno! - , che ometteva di proposito verità che i suoi concittadini avrebbero avuto il diritto di conoscere - diritto? Sciacallare è diventato pure un diritto mò? - , addirittura la sua presenza in procura era stata definita un deterrente per chiunque avesse avuto qualcosa da dire, come se il fatto che la gente a Matera e dintorni si trincerasse il più delle volte dietro un muro di omertà e ostinato mutismo fosse riconducibile esclusivamente ai modi del temibile sostituto procuratore Tataranni, considerati burberi al punto da valerle pure una sequela di simpatici nomignoli, tra cui svettavano, nella sua personale lista di preferenze, lo sceriffo di Matera e il generale dei Sassi.

 

"Dottoressa, buongiorno! Prego, seguitemi, da questa parte!"

 

Imma fece un cenno d'assenso al carabiniere che li stava attendendo, e, accantonato frettolosamente qualsiasi pensiero che non fosse relativo alle indagini, e che avrebbe rischiato soltanto di causarle qualche disattenzione, si incamminò per le scale assieme a Lorusso, il familiare tacchettio dei suoi sandali leopardati a scandire un incedere fin troppo lento, almeno per i ritmi a cui era abituata. Si guardò attorno, come sempre faceva nel tentativo di cogliere un qualche dettaglio che avrebbe potuto esserle di aiuto, e notò che, visto dall'interno, l'edificio risultava ancor più malconcio di quanto non sembrasse dalla facciata: pezzi di intonaco erano caduti qua e là dalle pareti, e i residui di muffa e umidità confermavano che negli ultimi due decenni almeno la ritinteggiatura non doveva essere stata tra le priorità. La scalinata che stavano percorrendo, poi, aveva senz'altro visto giorni migliori: nel tentativo di raggiungere il quarto piano, dove si trovava l'appartamento della vittima, furono costretti a fare lo slalom tra diversi gradini pericolanti, circostanza che Imma non mancò di annotarsi mentalmente, dal momento che, rifletté, nello stato in cui quelle scale si trovavano nessuno avrebbe potuto percorrerle velocemente, neppure un assassino desideroso di dileguarsi il prima possibile. 

 

Quello che la colpì, però, fu soprattutto il silenzio che avvolgeva l'intera palazzina, e che le sembrò piuttosto insolito, sebbene riconoscesse che le circostanze di quella mattina fossero particolari: tese l'orecchio, alla ricerca di un qualsiasi rumore che le confermasse la presenza degli altri condomini, ma non le sembrò di percepire nulla, neppure il vociare di un televisore, il rumore di un aspirapolvere, o di chissà quale altro elettrodomestico del demonio.  Scartò a priori l'idea che quella quiete fosse dovuta a chissà che complicato sistema di insonorizzazione delle pareti, che anzi era già tanto se si reggevano ancora in piedi, e le sembrò altrettanto improbabile l'ipotesi di vicini poco rumorosi, essendo questi creature mitologiche al pari di minotauri, centauri e tutto il resto appresso. 

 

"Scusi, ma quante famiglie abitano qui dentro? Questi appartamenti sono tutti occupati?" 

 

Imma si rivolse al carabiniere che li stava guidando, e che le aveva appena indicato l'ennesimo gradino a cui prestare attenzione per non procurarsi una storta, o, ancora peggio, rovinare i sandali che aveva indossato quella mattina per la prima volta, l'ennesimo regalo di Pietro, che negli ultimi tempi non faceva che viziarla, probabilmente nel disperato tentativo di attirare la sua attenzione. Avrebbe voluto avere la forza di dire al marito che non ce n'era bisogno, che non c'era niente che non andasse tra loro, che lei lo vedeva, come sempre, ma qualcosa le diceva che non sarebbe riuscita ad essere convincente: non si fidava di se stessa, del probabile tremolio che avrebbe spezzato la sua voce, ma soprattutto non si fidava dei suoi occhi, in cui temeva che Pietro, - tutt'altro che scemo - , avrebbe potuto scorgere l'evidenza delle sue menzogne. 

 

"No dottoressa, non tutti i locali sono occupati. È un condominio per lo più abitato da anziani, molti dei quali rimasti qui da soli dopo che i figli si sono trasferiti fuori regione per lavoro. Lo sapete pure voi come funzionano le cose, con le pensioni da fame che percepiscono non è che si possano permettere grandi lussi, e qui almeno gli affitti sono abbordabili. Ah, e c'è pure un appartamento occupato da una giovane coppia: poco fa abbiamo provato a contattarli, anche perché sono i dirimpettai della ragazza uccisa, ma ci hanno detto di essere in vacanza da giorni, cosa peraltro confermata da altri condomini." 

 

"Vabbè, un modo come un altro per dirci che qua nessuno ha visto e sentito niente, giusto?" 

 

Lorusso si inserì nella conversazione, ricevendo in risposta un'occhiata avvilita da parte di Imma, che, suo malgrado, era giunta alla stessa conclusione. Un omicidio consumatosi con ogni probabilità nella notte, un condominio occupato per lo più da anziani addormentatisi ore prima, i dirimpettai, gli unici che anche per via della vicinanza avrebbero potuto sentire qualcosa, con i piedi a mollo chissà dove: se la ricostruzione dei fatti si fosse confermata così in salita, venire a capo di quanto successo sarebbe stato tutt'altro che semplice. Non che questo ad Imma facesse paura, beninteso, anzi non poteva negare che in un certo modo la difficoltà la esaltasse: del resto, gli anni di esperienza le avevano ampiamente dimostrato che ogni assassino, anche il più attento, commette sempre almeno un errore, e, a dispetto di ogni complicazione, era più che certa che fosse accaduto anche quella volta.

 

Quando furono finalmente dinanzi all'appartamento della vittima, Lorusso si arrestò improvvisamente, come se gli avessero incollato i piedi al pavimento: il pallore che Imma scorse sul suo viso le fu sufficiente per intuire subito la natura del problema, a cui d'istinto reagì con uno sbuffo indispettito, perché no, quella mattina non aveva decisamente altro tempo da perdere. 

 

"Lorusso, Bari non sarà Caracas, ma non può essere la prima volta che vedi un cadavere. Forza, beviti un sorso d'acqua e cammina, ti aspetto dentro. Ti dò due minuti, fai veloce." 

 

Imma proseguì verso l'interno dell'alloggio, non dando il tempo al suo sottoposto neppure di formulare una risposta. Sapeva che certe reazioni fossero fisiologiche, e il cuore le si strinse a ricordare che anche Calogiuri, durante i primi mesi da appuntato, non aveva avuto un grande feeling con situazioni di quel tipo, salvo finire - suo malgrado - per farci il callo, come anni prima era successo a lei. Confrontarsi periodicamente con la morte non era facile, non lo sarebbe mai stato, ma Imma ricordava bene tutte le volte in cui, soprattutto agli inizi della sua carriera, aveva dovuto sforzarsi affinché nessuno percepisse segnali di difficoltà o cedimento da parte sua, consapevole che, in un ambiente tanto sessista come quello della procura, ogni occasione sarebbe stata buona per scatenare una sequela di commenti al vetriolo sul fatto che non fosse abbastanza forte, abbastanza pronta, abbastanza capace. Aveva perso il conto delle volte in cui avrebbe voluto sottrarsi al lavoro che si era scelta, fuggendo a gambe levate da un'abitazione, da un locale, da una spiaggia, luoghi apparentemente felici trasformatisi in alcune occasioni nel teatro dei più efferati crimini, ma non lo aveva mai fatto. Aveva piuttosto ingoiato il groppo che le si era formato in gola, e aveva dedicato anima e corpo affinché gli effettivi colpevoli venissero assicurati alla giustizia: del resto era questo l'unico modo che conosceva per regalare un po' di pace alle vittime, ai loro familiari, e pure a sé stessa. 

 

"Taccardi, buongiorno." 

 

Riuscì a muovere pochi passi all'interno dell'appartamento: varcata la soglia, la prima cosa che vide, nel piccolissimo salotto che si trovò davanti, fu proprio il medico legale, intento ad effettuare i primi rilievi sul corpo della vittima. Gli si accostò, mentre la figura di quella ragazza, giovanissima, riversa a terra le si imprimeva nella mente, provocandole una fitta al petto. Non poteva avere più di 27 anni. 

 

"Dottoressa Tataranni, qual buon vento. Pensi, ho riconosciuto il rumore dei suoi tacchi quando era ancora sulle scale. Finché indossa questi trampoli, sarei capace di trovarla tra mille persone." 

 

"Tocca vedere se io sarei disposta a farmi trovare da lei, Taccardi. Allora, che mi dice?" 

 

Imma si piegò in avanti, nel tentativo di scorgere qualche dettaglio utile sul corpo della vittima. Per carità, Taccardi per quanto antipatico e lento era bravo nel suo lavoro, e mai, proprio mai si sarebbe sognata di rubarglielo, ma un'occhiata da parte di qualcuno maggiormente predisposto alle indagini di certo male non avrebbe fatto. 

 

"Ma che vuole che le dica, dottoressa, la sciatica mi sta uccidendo. Sono in questa posizione da un quarto d'ora, non so neanche come farò a sollevarmi da qui. Stamattina mi hanno pure buttato giù dal letto, ormai non c'è più rispetto per nessuno. Certo, avessi saputo prima che avrei goduto della sua amabile compagnia sarei venuto qui di corsa." 

 

Imma gli riservò uno sguardo indicibile, un misto di ribrezzo e astio, mentre lottava con se stessa per soffocare l'istinto di levarsi un sandalo e tirarglielo contro, con buona pace di Pietro e dei soldi che ci aveva speso. Più passava il tempo, più era certa che Taccardi e la sua indolenza fossero una punizione divina pensata appositamente per lei. Un girone dell'inferno a misura Tataranni avrebbe avuto lui, sua suocera e la Moliterni ad attenderla sulla soglia, altroché. 

 

"Parlavo della vittima, Taccardi, non mi costringa veramente a spiegarle dove potrebbe andarsene stamattina per quanto mi riguarda, le basti sapere che è un posto che può raggiungere nonostante la sciatica, usi l'immaginazione. Allora, mi può dire qualcosa di concreto, o per farle fare il suo lavoro dobbiamo fare domanda in carta bollata?" 

 

Nel frattempo Lorusso, evidentemente incoraggiatosi rispetto a qualche minuto prima, li raggiunse. Imma notò che aveva ripreso il suo naturale colorito, e che era riuscito a lanciare anche qualche occhiata fugace al corpo della ragazza. 

 

"Sempre simpatica, dottoressa. Vabbè, allora, la vittima si chiama Greta Stigliano, 25 anni. È stata uccisa con un colpo secco qui, dietro la testa, vedete? Dal tipo di ferita sembra sia stata colpita con un oggetto molto pesante, spigoloso, ma perché io sia più preciso dovrete aspettare che faccia ulteriori riscontri. Non ho molto altro da dire, per adesso: è morta sul colpo, chi l'ha uccisa deve aver utilizzato una certa violenza. Non ci sono segni di colluttazione precedente, qualcosa che suggerisca che abbia provato a difendersi: è stata colpita alle spalle, e con ogni probabilità non se lo aspettava. Troverete tutto il resto nel referto dell'autopsia, per cui, preciso, ci vorranno almeno tre giorni."

 

Imma gli rispose con l'ennesima occhiata affilata, cogliendo la chiara allusione di quel medico da strapazzo alla sua abitudine di sollecitarlo con una certa insistenza per la consegna dei referti autoptici. E menomale che gli metteva fretta, ché se avesse dovuto sottostare ai suoi tempi biblici quei poveri morti avrebbero fatto in tempo pure a resuscitare. 

 

"Che mi può dire dell'orario della morte, invece? Anche solo orientativamente, per avere un'idea."

 

"È difficile dirlo, diciamo tra le ventitré e le tre del mattino? Come le ho già detto, sarò più preciso dopo l'autopsia. Io qua ho finito, vi saluto, come sempre è stato un piacere." 

 

Imma gli dedicò giusto un cenno del capo, mentre un sorriso falsissimo si sforzò di fare capolino sulle sue labbra. Lo seguì per qualche passo con lo sguardo, per poi scuotere la mano, stizzita, quasi come se avesse voluto scacciare definitivamente via un fastidioso insetto. Spostò poi nuovamente l'attenzione su Lorusso, che nel frattempo aveva iniziato a guardarsi intorno. Lo imitò, non potendo fare a meno di notare la modestia di quell'appartamento: era minuscolo, composto da un piccolo salotto, una cucina in cui a stento avrebbe potuto muoversi una persona, una camera da letto e un bagno. L'arredamento era semplice, praticamente essenziale, e l'austerità dei mobili lo rendevano poco adatto all'abitazione di una ragazza di 25 anni: Imma pensò che Greta dovesse essersi limitata a conservare ciò che aveva già trovato lì dentro, rinunciando per qualche motivo a dare la propria impronta alla casa. Magari era solo di passaggio, magari non aveva intenzione di rimanere troppo tra quelle quattro mura, e date le condizioni dell'edificio sarebbe stato del tutto comprensibile. Le uniche cose che contribuivano a dare un tocco di colore all'ambiente erano i fiori, tantissimi e coloratissimi, posizionati in diversi vasi sparsi qua e là per la casa, ed alcune piantine, il cui ottimo stato di salute le suggerì che Greta dovesse essere un'esperta in materia, o quanto meno avere un discreto pollice verde, a differenza sua. 

 

"Dottoressa Tataranni!"

 

"Maresciallo Ventura, buongiorno!"

 

Imma strinse calorosamente la mano dell'uomo sulla sessantina che vide venirle incontro, non mancando di ringraziare tutte le divinità che aveva imparato a conoscere durante gli anni del liceo, con il loro nome greco e latino, per averle risparmiato La Macchia, almeno quella mattina. Conosceva Ventura, ci aveva collaborato diverse volte, ed aveva avuto modo di constatare quanto quell'uomo si distinguesse  per discrezione e meticolosità, motivo per il quale in ambito lavorativo gradiva la sua presenza molto più di quanto facesse con quella dei tre quarti dei suoi abituali collaboratori. Il maresciallo, con la solita educazione, si introdusse a Lorusso, e, dopo aver accennato distrattamente qualcosa su alcuni amici che aveva alla procura di Bari,  fece cenno ad entrambi di seguirlo in un posto più appartato. 

 

"Avrei voluto incontrarvi ovunque tranne che in queste circostanze, dottoressa. Sapete, io conoscevo Greta personalmente, per le strade di Miglionico l'ho vista crescere. Credo possiate immaginare quanto sia difficile per me essere qui stamattina, non mi sembra vero."

 

Imma dedicò al maresciallo uno sguardo pieno di sincera comprensione, non potendo fare a meno di notare la commozione che gli aveva velato gli occhi non appena aveva pronunciato il nome della ragazza, così come la voce rotta che aveva inutilmente tentato di mascherare per tutto il tempo. Era vero, purtroppo immaginava benissimo come Ventura si sentisse: lei aveva provato le stesse cose quando aveva dovuto occuparsi dell'omicidio di Stella Pisicchio, la sua vecchia compagna di classe. Sentiva di dover essere lì, che mettere il suo lavoro al servizio di Stella, perché ottenesse giustizia, era l'unica cosa da fare, ma al tempo stesso per tutto il corso delle indagini era stata distrutta dai ricordi di quando erano adolescenti, felici, spensierate, e nessuno avrebbe mai potuto immaginare cosa la vita avrebbe loro riservato.

 

"Io... io capisco come si sente, davvero. Per questo dobbiamo fare il possibile per scoprire la verità, maresciallo. Cosa sappiamo di quello che è successo?"

 

"Beh, non molto, purtroppo. Non ci sono segni di effrazione, Greta deve aver aperto la porta volontariamente, conosceva il suo assassino. Noi siamo stati allertati da una sua amica, tale Silvia Riganò: le due si erano date appuntamento qui alle sette per una corsa mattutina, ma, non ricevendo risposta né al campanello né al cellulare, la ragazza si è insospettita, ci ha chiamati credendo Greta avesse avuto un malore. Una pattuglia è arrivata qui pochi minuti dopo, e... io davvero non riesco ad immaginare come sia accaduto. La conoscevamo tutti, e tutti le volevamo bene. Era una ragazza tranquilla, non aveva troppi grilli per la testa... lavorava nella grande serra poco fuori dal paese, quella della famiglia Ficara, avete presente?"

 

Imma annuì, spiegandosi finalmente la presenza in casa di tutti quei fiori e quelle piante, nonché le loro ottime condizioni: Greta non era semplicemente un'appassionata, ci aveva a che fare per mestiere. 

 

"Vabbè, vorrà dire che appena finiremo qui faremo un salto alla serra, vedremo se almeno loro avranno qualcosa di interessante da dirci. Lei cosa sa di questo lavoro, come si trovava?"

 

"Non ne so molto dottoressa, ci lavorava da un anno e sembrava felice, lei poi non era una scansafatiche, i Ficara sono brave persone, non credo ci fossero problemi. Certo, la paga non era granché, tra la posta abbiano trovato dei solleciti di pagamento, evidentemente Greta stava avendo della difficoltà. Più di questo, dottoressa, per adesso non è emerso." 

 

"E la sua famiglia? Genitori, fratelli, sorelle? Non aveva nessuno che le desse una mano?" 

 

"No, Greta era figlia unica. I suoi genitori sono morti quando lei aveva 5 anni, a causa di un incidente stradale appena fuori Miglionico. Sono certo sappiate di chi sto parlando, sua madre era Assunta Ruggieri, la sorella di Achille Ruggieri, l'impresario."

 

Imma sgranò gli occhi, non appena la sua infallibile memoria, venendole immediatamente in soccorso, le permise di inquadrare il fatto a cui il maresciallo aveva appena fatto riferimento. Ricordava perfettamente di quell'incidente, le era tornata in mente persino la fotografia dei genitori di Greta utilizzata dai notiziari e dai giornali di allora per parlarne. 

 

"E certo che ricordo, ora che mi ci fa pensare!  Successe una ventina di anni fa, fu un evento che sconvolse la comunità, anche perché i genitori di Greta erano giovanissimi. Assunta, la madre di Greta, qualche anno prima dell'incidente aveva messo su assieme al fratello Achille un'impresa edile, ma gli affari stentavano a decollare, l'impresa costava più di quello che fruttava, ed erano pieni di debiti. Dopo la morte di Assunta, però, forse anche per spirito di rivalsa nei confronti di quello che la vita gli aveva tolto, Achille si rimboccò le maniche, e le cose per lui iniziarono progressivamente ad andare meglio, almeno lavorativamente. Oggi la sua è tra le più famose e ricche imprese edili della Basilicata, hanno costruito i palazzi di mezza Matera."

 

Imma si rivolse per lo più a Lorusso, perché potesse anche lui, comprensibilmente ignaro di tutto, venire a conoscenza la situazione, mentre il maresciallo Ventura la guardava esterrefatto, non capacitandosi di come avesse fatto, in così pochi secondi, a ricostruire una vicenda risalente a vent'anni prima, quando probabilmente era ancora una studentessa universitaria. 

 

"Dottoré, siete un archivio, si fa prima a chiedere a voi che a consultare le carte!" 

 

Il commento di Lorusso suscitò la leggera risata di Ventura, che annuì concorde, mentre Imma tentò di minimizzare quel complimento con un gesto della mano, sebbene la sua capacità di ricordare perfettamente qualsiasi cosa fosse una dote che si teneva ben stretta, anche solo perché le permetteva il più delle volte di non farsi fregare, soprattutto da chi aveva l'abitudine di raccontare una marea di frottole.

 

"Pensavo che con voi il casellario giudiziario è inutile!"

 

Avvertì un pugno allo stomaco non appena sentì quella voce risuonarle di nuovo nelle orecchie: manco a dirlo, le era tornata in mente una battuta che Calogiuri aveva fatto praticamente un anno prima, dopo essersi anche lui meravigliato per uno dei sui soliti sfoggi di memoria. Di quel momento ricordava che era così arrossita da dover distogliere lo sguardo, lei che era abituata a guardare sempre dritto negli occhi i suoi interlocutori, al punto da intimidirli: con il senno di poi, i segnali che le si stava friggendo il cervello c'erano tutti, ma da mò che c'erano

 

Il lavoro, Imma. Pensa al lavoro. Non ti lasciare distrarre. Lui non è qui. 

 

"Vabbè, qualcuno ha avvisato Achille Ruggieri? Qua nessuno ha visto e sentito niente, non sappiamo neanche da dove partire, vorrei scambiare quattro chiacchiere almeno con lui, ammesso che sappia qualcosa della nipote." 

 

"E certo dottoressa, lo abbiamo chiamato una decina di minuti fa, abita appena fuori Miglionico. Starà arrivando."  

 

Imma si allontanò da Ventura e decise di dare un'ulteriore occhiata all'appartamento, dopo aver incaricato Lorusso di sincerarsi che gli altri condomini non si fossero effettivamente accorti di nulla di quanto successo quella notte. Stava giusto osservando i carabinieri requisire il cellulare trovato nella stanza di Greta, quando un urlo seguito da alcuni singhiozzi interruppe il silenzio che da qualche istante era calato nell'abitazione. Si precipitò in cucina, dove vide Achille Ruggieri che, in lacrime, se ne stava con i piedi piantati sull'uscio e lo sguardo fisso sul corpo della nipote, fortunatamente coperto da un lenzuolo. Accanto a lui c'era una donna, che Imma riconobbe come la moglie, Carla Benvenga: aveva un paio di occhialoni scuri e un fazzoletto tra le mani, che prontamente utilizzò per asciugare alcune lacrime che le erano scivolate sulle guance. Imma sospirò e se ne stette in disparte, consapevole di dover lasciare loro qualche minuto per elaborare quelle emozioni tremende. Non esisteva un modo giusto per approcciare ai parenti delle vittime, o, almeno, lei non lo aveva mai trovato: cercava sempre di essere il più rispettosa possibile del dolore altrui, di non pretendere che chi aveva davanti le fosse immediatamente d'aiuto, ma al tempo stesso si sforzava di mantenere un'aura di professionalità e distacco, convinta di poter trasmettere così la sensazione - che immaginava confortante - di avere di fronte qualcuno capace di svolgere il proprio lavoro, qualcuno che non si sarebbe fatto travolgere dalle circostanze.

 

Lasciò passare un paio di minuti, durante i quali fece mente locale su ciò che avrebbe voluto chiedere ad Achille Ruggeri e alla moglie: da quanto tempo non vedevano la nipote, in che rapporti erano? Greta gli raccontava quello che accadeva nella sua vita, loro se ne interessavano? E se sì, avevano notato qualcosa di strano nell'ultimo periodo? Imma sperava davvero che le dessero qualche elemento, qualcosa a cui appigliarsi e da utilizzare come punto di partenza, anche per scongiurare l'eventualità, che pareva piuttosto concreta, di dover brancolare completamente nel buio. Si concentrò quindi sull'elaborazione di domande secche, semplici ma non troppo incalzanti da sottoporre ai due coniugi, e fu solo quando li vide sciogliere l'abbraccio in cui si erano rifugiati qualche istante prima che si avvicinò a loro: si introdusse con gentilezza, presentandosi e porgendo le condoglianze, e la colpì il modo in cui entrambi misero repentinamente da parte le lacrime per assumere un'espressione formale, quasi professionale, forse inibiti dalla prospettiva di mostrarsi così vulnerabili di fronte ad un'estranea. 

 

"Perché non ci spostiamo da un'altra parte? Salendo ho visto l'entrata che dà sul terrazzo, se volete seguirmi ci mettiamo tranquilli e parliamo un po'." 

 

Imma pensò che la prima cosa da fare, per mettere il più possibile a loro agio Achille Ruggeri e la moglie, fosse allontanarsi da quell'appartamento e soprattutto da Greta: con il solito piglio sicuro, quindi, fece strada verso una porta che si trovava sullo stesso piano, tramite cui ebbero accesso ad un ampio spazio esterno, occupato da panni stesi, qualche attrezzo per pulire, e poco altro. 

 

"Signori Ruggeri, capisco il momento, e capisco che l'ultima cosa che vorreste fare è stare qui a parlare con me. Ma c'è qualcuno che ha ucciso vostra nipote a piede libero e ogni minuto che passa è un vantaggio che gli concediamo. Ve la sentite di rispondere a qualche domanda? In maniera totalmente informale, intendiamoci, serve più che altro a me per capire chi fosse Greta, che vita conducesse, per conoscerla meglio insomma."

 

Achille Ruggeri annuì e strinse la mano della moglie, come se da quell'appiglio fosse dipesa la sua intera esistenza. Imma osservò con una certa tenerezza la scena, non potendo fare a meno di notare che, da quando erano arrivati, non avevano smesso un attimo  di accarezzarsi, cercare uno le mani dell'altra, in una sorta di silenzioso rituale per darsi reciproco sostegno. Nonostante i maldestri tentativi di entrambi di mantenere un'aria austera ed imperturbabile, era evidente si amassero molto. 

 

"Allora, ditemi: in che rapporti eravate con Greta? La vedevate, la sentivate? E se sì, con che frequenza?"

 

"Io e mia nipote... Noi... Non ci vedevamo spesso, più che altro capitava che la sentissi al telefono, ogni tanto, e che scambiassimo qualche parola, come va, come non va, insomma le solite cose. Greta ormai è... era... è un'adulta, di certo l'ultima cosa che voleva era che le stessimo col fiato sul collo. Diciamo che... più che altro la controllavo da lontano, ecco." 

 

"E in che modo la controllava, signor Ruggeri?"

 

"A volte capitava che chiedessi informazioni al suo datore di lavoro, Giuseppe Ficara. Sa, quell'uomo è un mio amico di vecchia data, andavamo a scuola assieme. Il lavoro alla serra a Greta l'ho procurato io, sono io che ho consigliato a Giuseppe di assumerla, anche se questo lei non l'ha mai saputo, mi avrebbe odiato."

 

Imma scrutò con attenzione Achille Ruggeri, quasi a volergli scavare dentro l'anima. Greta desiderava indipendenza da quella che a tutti gli effetti era la sua famiglia, ma per quale motivo? Si trattava soltanto di un bisogno fisiologico di autonomia, dettato, forse, dall'ingresso nell'età adulta, o c'era qualcosa di più, una situazione di disagio, di malessere? 

 

"Perché, ditemi, Greta in genere non gradiva il vostro aiuto?" 

 

"Ci capisca, dottoressa, Greta era uno spirito libero, e non amava troppo l'idea di dover dire grazie a qualcuno per ciò che otteneva. Voleva costruirsi un futuro da sola, comprensibilmente, e se avesse saputo che mio marito era coinvolto nella sua assunzione in serra sarebbe andata su tutte le furie. Più volte le abbiamo proposto dei ruoli nella nostra impresa edile, e poco prima che iniziasse a lavorare per i Ficara, aveva accettato a sorpresa di aiutarci a curare il nostro sito internet: ha resistito quattro settimane circa, poi è scappata via dicendo che non faceva per lei, che non era il suo mondo."

 

A rispondere a quel punto fu la signora Benvenga, il cui piglio si dimostrò decisamente meno incerto di quello del marito, che infatti le rivolse uno sguardo pieno di gratitudine. Imma ebbe l'impressione che lui quasi non vedesse l'ora che la donna accorresse in suo aiuto. 

 

"Bene, capisco. E dal punto di vista economico, invece? A giudicare dal posto in cui ci troviamo, vostra nipote non doveva navigare in buonissime acque. Non vi ha mai chiesto una mano, o accennato a situazioni di difficoltà? I carabinieri tra la posta hanno trovato dei solleciti di pagamento, Greta negli ultimi tempi a stento riusciva a pagare le bollette. Non eravate a conoscenza della sua situazione, non avete mai pensato di aiutarla? Diciamocelo chiaramente, per voi i soldi non sono un problema." 

 

"Dottoressa, lei però così offende me e mio marito. Davvero crede che ci piacesse vedere Greta in queste condizioni? Abbiano tentato di tirarla via da questo buco per mesi, più volte le abbiamo offerto del denaro per studiare, formarsi, darsi delle possibilità. Ma lei era cocciuta, continuava a rifiutare, sosteneva di potercela fare da sola. Noi avremmo voluto farla crescere a casa nostra, desideravamo che lei e nostro figlio Alberto fossero come fratelli, ma dopo la tragedia dei miei cognati Greta fu affidata ai nonni materni, che l'hanno abituata ad uno stile di vita molto semplice, modesto: forse anche per questo lei ha sempre demonizzato i nostri soldi, o almeno è la spiegazione che io e mio marito ci siamo dati. Non accetto che si insinui che abbiamo ignorato le sue difficoltà, mi dispiace." 

 

Imma osservò stranita la reazione della donna, che ormai sembrava aver abbandonato completamente l'aria costernata di qualche minuto prima per assumere invece un atteggiamento severo, a tratti persino ostile, come se avesse avvertito l'esigenza di mettersi sulla difensiva. 

 

"Qua non si insinua niente, signora Benvenga, qua io faccio le domande e voi mi date le risposte, possibilmente concise perché nessuno ha tempo da perdere. Quindi, voi le offrivate il vostro aiuto e Greta non lo accettava, giusto? E allora, c'è qualcosa che mi possiate dire di vostra nipote? C'era qualcuno che la infastidiva, la preoccupava, nell'ultimo periodo vi sembrava tranquilla? Dovete dirmi qualsiasi cosa vi venga in mente, anche quella che vi sembra meno importante." 

 

I due coniugi si scambiarono un'occhiata incerta, e Imma ebbe l'impressione che entrambi sapessero perfettamente ciò a cui stava pensando l'altro. Quindi li incalzò, certa che fossero sul punto di dirle qualcosa di importante. 

 

"Dottoressa... ecco, forse qualcosa che dovrebbe sapere c'è. Io e mia moglie non vogliamo accusare nessuno, sia chiaro, non siamo a conoscenza di come siano andate le cose, ma... Greta aveva una relazione con un ragazzo, e  a quanto pare litigavano spesso. Noi abbiano scoperto tutto per caso: sa come sono i giovani, frequentano tutti gli stessi posti, e nostro figlio Alberto circa due mesi fa ci ha detto di averli incontrati in un locale, e di averli visti avere una violenta discussione... non era neppure la prima volta che litigavano furiosamente in pubblico, o almeno così hanno riferito ad Alberto gli altri ragazzi presenti. Ma le ripeto, dottoressa, noi davvero non vogliamo attribuire colpe a ness-..."

 

"Il nome di questo ragazzo? Lo conoscete?"

 

"Iacovone, Riccardo Iacovone. E, prima che lo chieda, sì, dottoressa, anche in questo caso abbiamo provato ad aiutare Greta, dopo aver scoperto di questa situazione le abbiamo parlato, abbiamo cercato di farle sentire la nostra vicinanza, ma lei ci ha detto di non preoccuparci, che litigavano perché avevano due caratteri molto forti ed erano gelosi l'uno dell'altra. Aveva anche aggiunto che in ogni caso quella relazione non era niente di così serio, che l'avrebbe chiusa di lì a poco, e questo ci aveva rasserenato."

 

Non appena prese forma nella sua mente l'idea che potesse trattarsi di un femminicidio, l'ennesimo, Imma sospirò afflitta. Congedò il signor Ruggeri e la signora Benvenga, ammonendoli di correre a riferirle qualsiasi altra cosa fosse loro venuta in mente, e, accertatasi che ormai nell'appartamento nessuna incombenza richiedesse più la sua presenza, recuperò Lorusso e si precipitò alla macchina, intenzionata a raggiungere il più velocemente possibile la serra dei Ficara.

 

     ***

 

"Quindi, dottoressa? Che pensate?" 

 

Il viaggio di ritorno verso la procura ad Imma sembrò durare un'eternità. Il mal di testa, ormai fedelissimo compagno delle sue giornate, era tornato più forte di prima, e le pochissime - e pressoché inutili - informazioni che erano emerse su Greta dalla visita alla serra dei Ficara avevano fatto sì che il suo umore ormai da qualche minuto fosse in discesa libera. 

 

"Non lo so Lorusso, non lo so. Ma ti pare possibile che su questa povera ragazza nessuno sappia niente? Ficara si è limitato a dirci che lavorava tanto e bene e che non dava mai problemi, manco fosse un'utilitaria, gli zii poi campa cavallo, me ne hanno parlato come di una sorta di estranea a cui ogni tanto si avvicinavano con qualche banconota in mano, sospetto più per lavarsi la coscienza che per vero interesse. Ma qualcuno che la conoscesse, che la conoscesse veramente dico, esisteva? Dobbiamo parlare urgentemente con quel Iacovone, il suo fidanzato, o forse ex, va convocato in procura prima di subito, anche perché è pure l'unica pista che abbiamo." 

 

"E ci sarebbe anche l'amica di Greta, Silvia Riganò, quella che ha allertato i carabinieri. Lei di sicuro saprà dirci qualcosa, no?" 

 

"Con lei avrei voluto parlarci stamattina, ma Ventura mi ha spiegato che dopo quello che è successo ha avuto un malore ed è stata portata in ospedale, quindi ci toccherà convocare in procura anche lei, non appena si sarà rimessa. Poco male, Calogiù, almeno facciamo contento Vitali, che io di sentire pure le sue lamentele non c'ho voglia." 

 

"Lorusso, dottoressa, sono Lorusso."

 

Imma lanciò un'occhiata confusa nella direzione del suo sottoposto, non capendo il motivo di quella puntualizzazione. Lo vide sorridere in risposta, cosa che non fece che accrescere il suo nervosismo. Ma pure scemo glielo avevano mandato? 

 

"Mi avete chiamato Calogiuri, parlando. Ma non vi preoccupate, lo so che è l'abitudine."

 

Sgranò gli occhi per un secondo, consapevole di essere stata colta in fallo e di poter fare molto poco per rimediare. Maledisse il brutto tiro che le aveva giocato la sua mente, ma provò comunque a dissimulare il suo stato d'animo con una piccola risata, carica di una tensione che sperò Lorusso non cogliesse. 

 

"Eh... qua con tutti questi nomi è un attimo che si fa confusione, state diventando troppi, e io sempre una sono." 

 

"I colleghi mi hanno detto che siete parecchio affezionata al maresciallo... spero di non farvelo rimpiangere, dottoré." 

 

Imma gli lanciò un'occhiata in tralice, infastidita all'idea che i suoi sottoposti spettegolassero su quanto fosse "affezionata" a Calogiuri. Avrebbe voluto rispondergli che in realtà lo stava già rimpiangendo, che anzi lo aveva rimpianto sin dal momento in cui aveva scoperto che avrebbe dovuto fare a meno di lui. Si era illusa che un sostituto trovato in fretta e furia sarebbe stato sufficiente a mettere a tacere il trambusto interiore che quella partenza improvvisa le aveva provocato, aveva davvero provato a convincersi che la rabbia che sentiva fosse legata solo a questioni lavorative, ma la verità era che si sentiva persa, ogni giorno di più. Non si era resa conto di quanto Calogiuri riempisse le sue giornate fino a quando non aveva fatto i conti con la sua assenza: le pesava non avvertire più quella familiare eccitazione ogni volta che metteva piede in procura, certa che di lì a poco lo avrebbe incontrato, le pesava non parlargli, non osservarlo di nascosto, mentre era assorto in chissà quali pensieri. Le pesava non avere accanto l'unica persona che aveva l'impressione potesse capirla davvero, e sarebbe stata disonesta se non avesse ammesso, almeno a se stessa, che le mancava il modo in cui, durante le loro interminabili giornate di lavoro, si rincorrevano a vicenda, attraverso sguardi fugaci, piccoli contatti solo in apparenza involontari, premure reciproche che talvolta cedevano il passo a momenti di imbarazzo, frutto della consapevolezza di essersi spinti troppo oltre in qualche circostanza. Flirtavano, così avrebbe detto Valentina, usando uno di quegli inglesismi di cui oramai abusava, e quei momenti ad Imma  iniziavano a mancare come l'aria.

 

"Ma quale affezionata e affezionata, Lorusso, manco fosse un cane! Semplicemente da quel gregge di lavativi con cui ho l'immensa fortuna di collaborare ne è uscito fuori uno che parla poco e lavora tanto, ecco perché ci vado d'accordo. Se fare lo stesso non ti costa troppa fatica, io e te non avremo alcun tipo di problema. Se invece preferisci continuare ad andare appresso a Capozza, ché tanto lo so che il gazzettino della procura è a firma sua, prima che ve ne accorgiate vi faccio spedire a Cernusco sul Naviglio, il più lontano possibile dalla mia vista. Insieme, ovviamente, sia mai che roviniamo questo nascente sodalizio."

 

Lorusso si schiarì la gola, visibilmente intimorito, dal momento che quella tutto gli sembrò tranne che una minaccia campata in aria. Era vero, era stato Capozza a parlargli di Calogiuri come del pupillo della Tataranni, ma aveva pensato fossero le classiche voci di corridoio, prive di qualsiasi fondamento: la dottoressa non pareva certo il tipo da avere delle preferenze, anzi, da quando lui era arrivato, gli era sembrato trattasse tutti allo stesso identico modo, e cioè come se stesse facendo un immane sforzo anche solo nel rivolgere loro la parola. Non poteva negare però che la reazione decisamente piccata a cui aveva appena assistito la pulce nell'orecchio un po' gliel'avesse messa: possibile che Capozza non avesse tutto questo torto, e che una certa predilezione per il maresciallo Calogiuri la Tataranni ce l'avesse davvero? 

 

***

 

"Dianaaaaaa! DIANAAAAA!" 

 

Imma aprì la porta del suo ufficio con eccessiva veemenza, costringendo i cardini ad un infernale cigolio. In modo non meno brusco la richiuse alle sue spalle, e a grandi falcate si diresse verso la scrivania. 

 

"E che c'è bisogno di gridare così, Imma? Qua sono, ancora ci sento." 

 

La cancelliera fece capolino dalla sua stanza, mentre Imma era già adagiata sulla sua poltrona, la testa curvata all'indietro, nel vano tentativo di trovare un briciolo di sollievo da quell'emicrania infernale. 

 

"Convocami tale Riccardo Iacovone, là nella cartellina c'è tutto quello che ti serve. Il prima possibile, hai capito? Non abbiamo tempo da perdere. E poi ho bisogno di una ricerca su Achille Ruggieri, l'impresario edile. Voglio sapere tutto, vita, morte, miracoli, abitudini, relazioni sociali, stato dell'attività, tutto, intesi?" 

 

"Oh Signore, Imma, QUEL Achille Ruggieri? Ma lo sai che ha costruito casa a mia suocera, un paio di anni fa? Lo dovevi vedere, che signore distinto, tutto a modo, elegante, mamma mia! Che è successo, è sospettato di qualcosa? Quello mica c'ha la faccia da criminale, è troppo raffinato." 

 

"Ah, quindi mò perché uno è raffinato non può essere un delinquente? Dove l'hai sentita questa, nell'ultimo episodio di Don Matteo? Comunque stanotte hanno ucciso sua nipote, una ragazza di 25 anni, si chiamava Greta Stigliano. Non sospetto di lui, ma ci ho fatto una chiacchierata che non mi ha lasciato buone sensazioni, voglio approfondire. E in ogni non c'ho quasi niente in mano, da qualcuno dovrò partire, pure se è raffinato."  

 

"Ti ha accompagnata Lorusso, stamattina?" 

 

Imma rivolse un'occhiata stranita alla sua cancelliera, non capendo il perché di quella domanda. Certo, Diana era sempre stata invadente, ma sospettava che in quel caso la sua curiosità avesse un doppio fine.

 

"E certo, chi sennò. Perché me lo chiedi?" 

 

"Ma tu mi vuoi dire che veramente non ti sei accorta di quanto assomigli a Luca Argentero?! Gesù, Imma, è uguale uguale! La prima volta che ce l'ho avuto davanti ho pensato di avere le allucinazioni, per poco non gli ho chiesto l'autografo per Cleo!" 

 

"Luca chi?! Diana, ma sei scema? Qua siamo quattro gatti, ancora bisogna capire se questo è capace di fare il mestiere suo o se ci hanno mandato Capozza bis, e tu riesci solo a pensare che assomiglia a Luca Argentario, o come cazz si chiama? Se ci assomiglia buon per lui, che mi frega a me!" 

 

"Sì, certo, siccome è venuto qua per lavorare allora ci tappiamo gli occhi, così va bene, dottoressa? Mò mi devi dire che ti costa ammettere che è vero, che ci assomiglia. Pure la Moliterni e Matarazzo l'hanno detto, mica sono l'unica. Per non parlare di Capozza, quello si è visto un sacco di film, è uno che ne sa, e infatti ci ha dato ragione." 

 

"Ah beh, se l'ha detto l'esperto fisionomista Capozza alzo le mani, largo alla competenza! Oh, Dià, mi raccomando, se chiamano per qualche altro morto ammazzato dì che non ci siamo per nessuno, ché Luca Argentero dentro la procura di Matera mica capita spesso, qua dobbiamo cogliere l'occasione. L'avete già allertato Carlo Conti? Non è lui che fa quel programma coi cosi, là, coi sosia?"

 

"Mai una volta che si possa fare un discorso serio con te Imma, mai! E pensare che tra un poco di tempo torna pure Calogiuri, che parliamoci chiaro, a Lorusso non c'ha niente da invidiare... o mi vuoi dire che manco questo hai notato? Per carità,  io e te siamo un poco avanti con gli anni, ma gli occhi per guardare ce li abbiamo pure noi, mò veramente vogliamo negare che pure Ippazio sia un gran pezzo di..."

 

Imma avvertì sulle guance un calore innaturale, che impiegò poco tempo a espandersi su tutto il viso. Si schiarì la gola, ormai paonazza, maledicendo quelle reazioni da adolescente in piena tempesta ormonale che ormai era incapace di controllare. La voce di Diana cominciò ad arrivarle sempre più ovattata: la udì sproloquiare di cinema, di occhi azzurri che avrebbero bucato lo schermo, di fisico statuario, ma, anziché richiamare la sua cancelliera all'ordine, come avrebbe dovuto fare, fu costretta a concentrare tutti i suoi sforzi nel tentativo di soffocare un infantile moto di gelosia, generatosi all'improvviso e capace di stringerle lo stomaco in una morsa.

 

"Diana, ma secondo te io... ma secondo te io mi metto a guardare a Calogiuri?!?! Ma che ti sei impazzita oggi?!?! Ma che mi frega se c'ha il fisico... gli occhi... la faccia... sì insomma la faccia da attore, quella che dicevi tu... c'avrà quel che c'avrà! Basta che si occupi di quello che gli chiedo quando glielo chiedo, poi per me può essere pure Alain Delon, fatti di chi se lo piglia. O di chi se l'è già preso, mò non è che sono informata sulla vita privata di Calogiuri io, è già tanto se sto appresso alla mia." 

 

"Ma beata chi se lo piglia Imma, beata, così dobbiamo dire! Comunque che io sappia adesso non sta con nessuna, non seriamente almeno. Anche se, anche se... tu lo sai che Capozza conosce i fatti di mezza procura, no? Quello c'ha una testa, si ricorda tutto, chissà come fa... vabbè, in confidenza mi ha detto che gira voce che Calogiuri se ne sia andato così in fretta e furia in Centro America perché ha combinato casini qua dentro con una, ti rendi conto? Ha quel faccino d'angelo e poi... È da un poco di giorni che cerco di capire chi potrebbe essere lei, ma per ora non sono riuscita a scoprire niente. La Matarazzo non è, quella gli muore dietro da mesi e mai niente è riuscita a combinare, lo so per certo... la Pasquelli si sta per sposare, mò posso credere che a due mesi dal matrimonio faccia saltare tutto? Non ce la vedo proprio, poi con Calogiuri a stento si parlano... forse qualcuna delle ragazze dell'amministrazione? O niente niente è la D'Antonio? Oh Signore Imma, immagina se fosse davvero la D'Antonio, che scandalo... stai a vedere che è lei davvero, anche perché chi rimane? Giusto io, tu e la Moliterni, ma noi a momenti gli veniamo nonne, capirai."

 

Imma si sentì sul punto di esplodere: le orecchie le fischiavano e, a giudicare dal bruciore che avvertiva sul viso, le guance dovevano essersi avvicinate ormai alle tonalità del rosso porpora. Se da una parte percepì un estremo sollievo nel constatare che Diana neanche contemplasse l'ipotesi che la protagonista di quel pettegolezzo potesse essere lei, dall'altra fu costretta a fare i conti per l'ennesima volta con un'amara consapevolezza: anche nell'assurda e decisamente remota ipotesi in cui lei e Calogiuri si fossero avventurati nella follia di stare assieme, difficilmente avrebbero avuto un futuro. Nessuno li avrebbe presi sul serio, sarebbero stati oggetto di battutine al vetriolo e di taglia e cuci per mesi, forse per anni, praticamente lo scandalo di Matera, e se lei alle malelingue ci aveva ormai fatto il callo, e con un poco di sforzo forse sarebbe riuscita ad ignorarle pure in quel caso, era invece sicura che Calogiuri ne avrebbe sofferto terribilmente, fino a maledire persino di averla incontrata. Si sarebbero distrutti a vicenda e lui avrebbe finito per odiarla, sarebbe arrivato al punto da non riuscire più a guardarla negli occhi senza pensare alle rinunce fatte per starle accanto, rinunce di cui senz'altro si sarebbe pentito in poco tempo, amaramente pure. Quello sarebbe stato il loro destino, né più, né meno: Calogiuri forse ci avrebbe messo più tempo a realizzarlo, perché giovane, inesperto, pure un poco idealista, ma Imma sapeva di avere ragione, e Diana le aveva appena fornito l'ennesima prova.

 

"Eh, ciao, perché non direttamente bisnonne? Comunque, non mi interessa, fatto sta che questo se è andato dall'altra parte del mondo senza avvisare e proprio quando in procura è scoppiato il pandemonio, vedrai quando torna come mi sente. Sempre se torna, certo, ché qua ormai mi aspetto di tutto, è un attimo che con tutte queste pretendenti ce lo ritroviamo a fare il tronista dalla De Filippi, tanto, tu mi insegni, il fisico ce l'ha."

 

"Mamma mia Imma come sei fiscale, e lascialo stare, è un ragazzino! Quello ha visto la possibilità di fare un'esperienza nuova e ne ha approfittato, e giustamente, mica può passare la vita tra Matera e Grottaminarda, a fare che cosa poi?"

 

"Non lo so, Diana, quello per cui è pagato? E Calogiuri non è un ragazzino, è un uomo e ha delle responsabilità in quanto maresciallo dei carabinieri. So perfettamente che in Centro America non ci è andato in vacanza, e ci mancherebbe pure aggiungerei, ma questo non significa che non meritassimo almeno di essere avvisati della sua partenza, qua dall'oggi al domani mi sono ritrovata a dovermi occupare del suo sostituto, e io già ho troppe cose a cui pensare, questa era una seccatura di cui avrei fatto volentieri a meno." 

 

"E c'hai ragione pure tu, Imma, lo so che è un momento complicato. Certo è strano che a te non abbia detto niente della partenza, ti è tanto affezionato... che poi pensavo, chissà come prenderà questa storia di Lorusso, magari si sentirà pure rimpiazzato, gli uomini fanno tanto i superiori ma appena li metti un poco in discussione crollano..." 

 

Imma guardò di traverso la sua cancelliera, nonostante quello che aveva detto non le sembrasse una totale sciocchezza. Avrebbe dovuto essere arrabbiata con Calogiuri per il modo in cui era scappato, quasi come un criminale, ed in effetti lo era; non avrebbe dovuto preoccuparsi minimamente della reazione che avrebbe avuto apprendendo della presenza in procura di un suo sostituto, ma la verità era che, come Diana, anche lei sospettava non gli avrebbe fatto piacere, e si chiedeva se questo avrebbe compromesso ancor di più il loro rapporto, fino ad un punto di non ritorno. La prospettiva di perderlo, di perdere quello che avevano prima di quel bacio e di quella partenza, ecco cosa la terrorizzava: non sopportava l'idea di vivere una vita in cui Calogiuri non ci sarebbe stato, o, peggio, l'avrebbe trattata alla stregua di un'estranea, ma temeva che gli ultimi avvenimenti li avrebbero portati esattamente in quella direzione. Quel timore doveva però restare nascosto, segregato, mai si sarebbe esposta al punto da confessare di sentire il bisogno che qualcuno facesse parte della sua vita, mai si sarebbe mostrata così vulnerabile.

 

"Per che cosa si dovrebbe risentire, Diana, sentiamo, perché la procura di Matera non si è fermata in attesa che lui tornasse in servizio? Peccato non averci pensato prima, avremmo potuto appendere un cartello all'ingresso con scritto ATTIVITÀ SOSPESE FINCHÉ IL MARESCIALLO NON TORNA, TANTE CARE COSE A VOI E FAMIGLIE. La prossima volta, dai." 

 

Diana scoppiò a ridere, arrendendosi all'idea che con Imma non l'avrebbe mai avuta vinta. Raccolse dalla scrivania tutto ciò che le serviva per adempiere ai suoi doveri d'ufficio, ma, prima di sparire definitivamente nella sua stanza, si voltò un'ultima volta. 

 

"Guarda che comunque non devi fingere che Ippazio non ti manchi, non con me."

 

                                   ***

 

"Amò!! Dai, facciamo tardi!"

 

Non appena la voce di Pietro la raggiunse in camera da letto, Imma sbuffò. Era  in piedi davanti allo specchio da qualche minuto, nel tentativo di darsi una sistemata dopo la doccia veloce che aveva fatto, ma l'entusiasmo era lo stesso con cui la Moliterni timbrava il cartellino al mattino. 

 

"E un attimo, Pié, sto arrivando!"

 

Lisciò il tessuto leggero della gonna rosa che aveva deciso di indossare quella sera, e a cui aveva abbinato - si fa per dire - una canotta blu dall'indefinita fantasia animalier. Si scrutò con attenzione, ma lo specchio non le restituì altro che l'immagine di un viso stanco, pallido, decisamente provato da quella interminabile giornata di lavoro. Avrebbe voluto soltanto starsene a casa, mangiare velocemente qualcosa e fiondarsi a letto, ma a rovinarle il programma e l'umore ci aveva pensato suo marito, che non aveva neppure aspettato che mettesse piede in casa per ricordarle che i suoi genitori li aspettavano per cena. Quella notizia aveva gettato Imma nello sconforto: il solo pensiero delle battutine di sua suocera - a cui avrebbe dovuto prontamente controbattere, anche perché, stanchezza o no, subirle in silenzio era fuori discussione - era sufficiente a sfinirla, mentalmente e fisicamente. In un impeto di rabbia, infastidita persino dal  riflesso della sua immagine nello specchio, indossò le immancabili zeppe, e con la solita camminata decisa, che in quel caso avrebbe potuto considerarsi una vera e propria dichiarazione di intenti, raggiunse un impaziente Pietro in salotto.

 

"Finalmente, amò. Stai benissimo." 

 

"Sì, non ti dico, con queste occhiaie poi. Ma non ci potevi andare da solo da tua madre stasera? Ti ho già detto che sono stanchissima, ho avuto una giornata pesante." 

 

"Tu ultimamente sei sempre stanca, Imma, diciamo che sta diventando un poco difficile starti dietro. E comunque lo sai come è fatta mamma, ogni volta che mi vede da solo mi chiede se stiamo in crisi, si preoccupa." 

 

"Quella non è preoccupazione Pietro, quella è speranza, tua madre se divorziassimo organizzerebbe una festa da cui prenderebbero appunti pure per quella della Bruna, non fare finta di non saperlo." 

 

"Ma tanto io e te non divorzieremo mai, quindi non c'è problema, nessuna festa all'orizzonte, non è vero amò?" 

 

Imma sorrise e stampò un bacio sulle labbra al marito, che sospirò beato, come se il solo fatto di averla così vicina gli procurasse sollievo. Si persero entrambi in quel contatto, sebbene per motivi completamente diversi: a Pietro quel riavvicinamento improvviso, il primo dopo interminabili giorni di distanza, quasi non sembrò reale, al punto da non riuscire a staccarsi da sua moglie; Imma invece si aggrappò a quel bacio come ne dipendesse la sua esistenza, alla disperata ricerca di un diversivo per spegnere completamente i pensieri, per mettere a tacere il vortice di riflessioni pericolose generate dalla domanda di suo marito, tutt'altro che retorica. Continuarono a baciarsi sulla porta di casa per qualche istante, come due ragazzini, fino a quando fu Pietro, a sorpresa, a mettere distanza tra di loro.

 

"Amò... qua se non ci allontaniamo finisce che da mamma non ci andiamo più. Però possiamo sempre riprendere il discorso appena torniamo a casa..." 

 

Imma fece l'ennesimo sorriso tirato, cercando di soffocare la terrificante consapevolezza di non avere poi chissà che voglia di "riprendere il discorso". Risoluta a non perdersi oltre in quelle riflessioni, che l'avrebbero costretta a conclusioni a cui non aveva alcuna intenzione di dare forma, né in quel momento, né mai, afferrò la borsa che aveva abbandonato sul divano e, dopo essersi accertata che Valentina li stesse attendendo già da nonni, seguì Pietro fuori casa. 

 

Sarebbero senz'altro state ore interminabili. 

 

 

***

 

"E vi pare questa l'ora di arrivare? Quella povera figlia di Valentina a momenti mi muore di fame!"

 

"Eh signora mia, esiste gente che per campare deve lavorare, a volte persino fino a tardi, anche se mi rendo conto che il concetto per certe orecchie possa suonare di difficile comprensione." 

 

"Sì sì, va bene, peccato che intanto che tu facevi la stacanovista in procura qua tutto si è freddato, mò che facciamo con la lasagna, la buttiamo?" 

 

"Mamma, ma che dici, che buttiamo! E poi è estate, non è che la dobbiamo mangiare per forza calda calda..."

 

"Oddio, comunque buttarla non mi pare una pessima idea, forse è la volta buona che non torniamo a casa col dolore di stomaco..."

 

Pietro lanciò un'occhiata in tralice ad Imma, terrorizzato all'idea che la battuta della moglie facesse da miccia all'ennesima, interminabile discussione a tema culinario tra lei e sua madre. Tirò un sospiro di sollievo solo quando si rese conto che quest'ultima fosse ormai sparita in cucina, troppo lontana per sentirli: non chiedeva molto, soltanto di poter trascorrere una serata tranquilla in famiglia, senza discussioni che lo costringessero a schierarsi da una parte o dall'altra. Odiava prendere posizione, soprattutto quando questo comportava dover fare torto a qualcuno: non era un caso che negli anni avesse accumulato una certa esperienza nel tenersi lontano da situazioni spinose, nella vita privata come sul lavoro, tutto sommato a proprio agio nel ruolo di spettatore silente, o di ignavo come era solita recriminargli Imma, che da sempre era insofferente al suo atteggiamento indolente e remissivo, lontanissimo dallo spirito battagliero con cui lei sceglieva di affrontare ogni aspetto della vita. Eppure Pietro non capiva cosa ci fosse di sbagliato nell'accontentarsi di un'esistenza che sì, forse qualcuno avrebbe potuto definire piatta, insignificante, senza infamia e senza lode per rimanere in tema, ma che gli assicurava una cosa a cui non avrebbe mai rinunciato: la serenità, frutto della placida consapevolezza che, qualsiasi cosa fosse successa, il mondo avrebbe continuato a girare pure senza di lui e le sue prese di posizione. Preferiva evitare gli scontri, i litigi e ogni altro genere di bagarre perché erano tutte minacce a quella quiete per il cui raggiungimento tanto si era impegnato, era questa era la verità: gli anni trascorsi all'ombra dell'ingombrante personalità di sua madre gli avevano insegnato l'importanza di assecondare chi sarebbe stato meglio non contrariare, e l'ironia della sorte aveva voluto che quel principio gli tornasse utile anche per stare accanto ad Imma, a cui Pietro si approcciava in punta di piedi, tentando di fatto di esserle il meno di intralcio possibile, certo che solo un simile atteggiamento avrebbe potuto mitigare le loro abissali differenze caratteriali. 

 

"Amò, per favore, possiamo cercare di evitare i soliti drammi con mia madre, almeno stasera? Dai, vieni, andiamo a sederci a tavola, c'ho una fame!"

 

Già ben oltre il limite di sopportazione, Imma alzò gli occhi al cielo e si rassegnò a seguire Pietro in salone, dove ad attenderli c'era Valentina, che, intenta a mostrare al nonno qualcosa sul cellulare, inizialmente non notò neppure la presenza dei genitori. 

 

"Valentì, buonasera. Possiamo sperare nella tua attenzione o per parlare con te dobbiamo concordare prima udienza via whatsapp?"

 

Non appena il  tono seccato della madre le giunse alle orecchie, Valentina sollevò lo sguardo, che non sembrava animato da emozione alcuna, fatta eccezione per l'onnipresente accenno di noia.

 

"Ti ho vista, mà, con quella maglietta orrenda ti vedrei pure al buio. Che vuoi?" 

 

Imma non fece in tempo ad aprire bocca che Pietro le prese la mano, supplicandola con lo sguardo di non dare seguito alla scenata che era certo - e a ragione - avesse in mente di fare all'indirizzo della figlia. Si vide però allontanare il braccio con un gesto stizzito, segno che il tentativo di calmare la moglie fosse andato tutt'altro che a buon fine. 

 

"Allora, innanzitutto che vuoi lo dici a tua sorella, non ti azzardare! Mi auguro tu abbia combinato qualcosa di concreto e non abbia perso il pomeriggio appresso a quel telefono, perché come l'ho comprato te lo distruggo, e poi altro che il modello dei narcotrafficanti che c'avevi prima, coi piccioni viaggiatori ti puoi arrangiare! Ti ho avvisata!" 

 

"Ma possibile che tu sappia parlare solo di studio, studio e ancora studio? Ma a quello che voglio fare io ci pensi mai? La mia vita non gira attorno ad un debito in latino, dottoressa!"

 

"E faresti meglio a cambiare approccio, Valentì, almeno finché non passi quell'esame, altrimenti a girare qua sarà ben altro, e ti assicuro che non ti conviene!"

 

Valentina sbuffò e incrocio le braccia al petto, non prima però di aver lanciato uno sguardo esasperato all'indirizzo del padre, nella speranza che intervenisse in sua difesa. Pietro tuttavia si limitò ad alzare le mani a mò di resa, guadagnandosi un'occhiataccia pure da parte di Imma, stizzita all'idea che per l'ennesima volta il marito l'avesse lasciata da sola a fare la voce grossa con la figlia. 

 

"E che è, manco sei arrivata e già ti sei messa a fare lo sceriffo? Valentina l'ho controllata io, ha studiato tutto il pomeriggio. E comunque ve l'ho già detto, il professore di latino è il fratello di un'amica mia, che ci vuole a metterci una buona parola..."

 

Imma quasi non ci vide più: rivolse alla suocera una smorfia oltraggiata, a cui questa rispose mantenendo il solito atteggiamento impettito, come se proprio non riuscisse a comprendere dove stesse il problema. Se c'era una categoria di persone che Imma tollerava meno dei lavativi, degli impiccioni, persino meno dei bugiardi, beh, quelli erano i raccomandati: aveva perso il conto delle volte in cui, nella vita, si era vista scavalcare da gente con neanche la metà delle sue competenze, ma che dalla propria aveva "lo zio", "il cugino", "l'amica", entità contro le quali anche il migliore dei curricula era costretto a soccombere.

 

"Il giorno in cui mia figlia beneficerà di una raccomandazione vorrà dire che io sarò morta, signora, e a meno che questa condizione non si realizzi di qui a un mese, temo per Valentina che l'esame di riparazione dovrà superarlo senza l'aiutino della nonna, che sfortuna." 

 

"Mò pure sfruttare le conoscenze è un problema, e ti pareva. Sediamoci a tavola, và, sempre che non sia diventato reato pure questo..."

 

"No, si figuri, quale reato. Certo, nel caso di avvelenamento dei commensali il discorso cambierebbe... corriamo il rischio?"

 

Imma si beccò uno sguardo raggelante da parte della suocera, a conferma di quanto con quella battuta avesse colto nel segno. Sorrise tra sé e sé, incurante del fatto che alla sua sinistra Pietro stesse scuotendo la testa, contrariato dall'ennesima discussione. Addentò uno spicchio della focaccia che si trovò davanti, dovendo riconoscere, suo malgrado, che non fosse affatto male. La cena per una ventina di minuti si trascinò tranquilla, tra convenevoli e  bicchieri di vino riempiti più che altro per spirito di sopravvivenza, fino a quando, in maniera del tutto inaspettata, la situazione precipitò.

 

"Ma avete saputo di Carmela, la figlia di Rosetta? Ha chiesto il divorzio al marito..." 

 

La signora De Ruggeri accompagno la notizia con una teatrale smorfia di disappunto, che indusse Imma a intervenire nonostante gli affari di tale Carmela non la interessassero minimamente. Contrariare sua suocera era ormai diventata una questione di principio, a maggior ragione su argomenti su cui era certa la donna nutrisse pregiudizi di natura neanche troppo velatamente misogina. 

 

"Signora, in Italia si può divorziare dal 1970, la avviso io perché forse negli ultimi cinquant'anni tra un pettegolezzo e l'altro le è sfuggito..."

 

"E che simpatica, Imma. Statti tranquilla, lo so bene, così come so che in in certi casi i divorzi possono essere solo una benedizione." 

 

La donna fece scorrere eloquentemente lo sguardo tra la nuora e il figlio e, offesa, si trincerò dietro un ostinato mutismo, che Imma accolse - quello sì - come un dono del cielo.

 

"Ma è vero che si sono mollati perché lei ha perso la testa per uno più giovane?" 

 

A sorpresa Pietro si inserì nella conversazione, e per poco Imma non si strozzò con il vino che stava sorseggiando. Si voltò a rallentatore verso di lui, sperando di aver capito male, pregando che il destino non le stesse giocando quello scherzo terribile, per giunta durante una cena che già aveva assunto contorni infernali, e che di certo non aveva bisogno di quell'ulteriore carico.

 

"Eh, se vostro onore qua anziché farmi la lezioncina di diritto mi fa parlare, vi posso pure finire di spiegare! Sì, quella svergognata ha lasciato tutto all'improvviso perché si è innamorata di un ragazzino, uno che lavorava assieme a lei, dentro il supermercato di famiglia... trent'anni, praticamente figlio le viene, mi hanno detto che la povera Rosetta manco di casa esce più per lo scandalo!" 

 

Imma prese ad osservare il contenuto del suo piatto come se si fosse trattato della cosa più interessante al mondo, incapace di sollevare lo sguardo anche solo di un millimetro. Avvertì una sensazione di calore su tutto il viso, mentre ogni singola parola pronunciata da sua suocera le rimbalzava in testa, costringendola ad un giro di associazioni fin troppo immediato.

 

"E scusa, così all'improvviso le è venuto sto innamoramento? L'ho vista assieme al marito qualche mese fa, sembravano affiatati, e chi se lo sarebbe immaginato..."

 

"Pietro, tu sei troppo ingenuo figlio mio. Chissà da quanto c'avevano la tresca quei due, evidentemente il marito li ha scoperti, no? Che poi dico io, all'età che c'hai che ci devi fare con un ragazzino di trent'anni? Che vergogna, che brutto mondo..." 

 

Imma non ci vide più. Mando al diavolo la razionalità, che le suggeriva di restarsene fuori da quella conversazione, di tenere saggiamente nascosto a marito, figlia e suoceri quanto l'argomento la pungesse nel vivo, e decise piuttosto di intervenire, considerando insopportabile l'idea di starsene zitta ad ascoltare quelle assurdità. 

 

"Ma scusate, com'è che quando sono gli uomini ad impegnarsi con donne più giovani nessuno sta qua a battersi il petto? Che è, signora mia bella, invochiamo la buon costume solo quando è la donna ad essere più adulta? Mi sbaglio, o tra lei e suo marito ci sono dieci anni di differenza? Quelli non fanno scandalo?"

 

La signora De Ruggeri rivolse ad Imma l'ennesimo sguardo carico di sdegno, oltremodo infastidita dalla velenosa insinuazione della nuora. Non riusciva proprio a capire cosa suo figlio ci trovasse in quella donna: era impertinente, antipatica, so tutto io, sgradevole, e a dirla tutta manco le pareva sto granché fisicamente, a maggior ragione con addosso quegli stracci dalle fantasie indefinibili che fin troppo generosamente chiamava vestiti. 

 

"E mò che c'entra questa cosa? Sì, io e mio marito abbiamo un poco di anni di differenza, dove sta il problema? È normale che l'uomo sia più avanti d'età rispetto alla donna, sempre così è stato, mò non va più bene? Che è, vogliamo fare la rivoluzione pure su questo? Ha preso piede st'altra idea strana?"

 

"Ma magari prendessero veramente piede queste idee strane di cui parla signora, magari, significherebbe che non mi dovrei più sorbire la misoginia dei suoi pettegolezzi mentre sto a cena, tanto per cominciare."

 

"E ti pareva che non tirava fuori la solita tarantella sulle donne, qua ormai più niente si può dire! Sto zitta, va bene? Non dico più niente, io d'ora in poi starò muta, ché tanto a questo mi avete ridotta, ospite pure dentro casa mia. Meglio stare qua ad ascoltare la dottoressa che ci parla del morto della settimana, non è vero?"

 

Imma rivolse alla suocera un ghigno divertito, non potendo fare a meno di sorridere dinanzi all'infantile nervosismo della donna, che se ne stava ricurva, con le braccia conserte e lo sguardo basso, probabilmente nella vana attesa che qualcuno si decidesse a darle manforte. 

 

"Ma si figuri, lungi da me urtare la sua spiccata sensibilità, non vorrei mai che sentendo parlare del mio lavoro le vada di traverso il lampacione. Magari le farò una telefonata quando avrò bisogno che le informazioni su un caso arrivino ad ogni orecchio di Matera e dintorni, che dice? Così mi risparmio pure la fatica di parlare con la stampa, tanto qua il gazzettino ce l'abbiamo domestico."

 

Imma ebbe giusto il tempo di terminare la frase che un rumore secco di posate sbattute sul piatto la fece sobbalzare, inducendola a spostare lo sguardo su Pietro, responsabile di quel baccano. Stranita, lo osservò alzarsi da tavola, e fu interrotta con un gesto secco della mano quando accennò a chiedergli delle spiegazioni. 

 

"Una cosa avevo chiesto, una, di passare una serata tranquilla. Ma in questa famiglia, a quanto pare, manco quello è possibile, per te e mia madre ogni occasione è buona per giocare a cane e gatto. Io me ne torno a casa, sono stanco. Vi aspetto in macchina."

 

Pietro non diede a nessuno il tempo di replicare, e nel giro di qualche istante riecheggiò in casa soltanto il rumore della porta principale che si richiudeva alle sue spalle. Imma e la signora De Ruggeri si scambiarono un'occhiata fugace, sentendosi entrambe colpevoli per quanto successo. Battibeccavano spesso, era innegabile, ma Imma sapeva di aver superato il limite quella volta, acciecata da una rabbia che non era riuscita a controllare come avrebbe dovuto: si era identificata in Carmela al punto da sentirsi in dovere di difenderla, di difendersi, e aveva fatto di tutto - forse troppo - per non trovarsi con le spalle al muro in quella discussione. Peccato che avesse completamente dimenticato di avere suo marito accanto. 

 

"Hai visto che hai combinato? Hai fatto arrabbiare persino papà, che non si arrabbia mai! Hai un talento, veramente!" 

 

Imma sbuffò all'indirizzo di Valentina, che ovviamente non tardò a prendere le difese del padre, addossando a lei qualsiasi colpa. Stava giusto per chiedere alla figlia perché non se la stesse prendendo anche con la nonna, responsabile almeno quanto lei di quella situazione, ma si morse la lingua giusto in tempo, consapevole del rischio di gettare soltanto altra benzina sul fuoco. Quindi si limitò a recuperare la borsa, e con una recalcitrante Valentina al seguito uscì anche lei da quella casa, in cui - si promise - avrebbe rimesso piede solo alle feste comandate. Forse. 

 

 

***

 

"Pié... è da quando siamo usciti da casa di tua madre che non apri bocca. Ti ho già chiesto scusa in macchina, lo so che a cena ho alzato i toni, ma mò non pensi di stare esagerando?"

 

Erano uno accanto all'altra, nel loro letto, ma Imma avvertiva come se ci fosse una barriera a dividerla da Pietro, tanto che rinunciò persino all'idea di allungare una mano verso il marito, gesto che in quel momento le sembrò inopportuno, fin troppo confidenziale per la situazione in cui erano. 

 

"Sto esagerando, Imma? Io? Ma tu veramente fai? Ti avevo chiesto una serata tranquilla, anche perché sono settimane che stai sempre nervosa, in questa casa l'aria è diventata irrespirabile. Non si può dire nulla ché subito salti in aria, pure stasera l'hai fatto! Mi spieghi che t'interessava a te di Carmela, di suo marito, dell'amante e tutto il carrozzone? Ti sei innervosita manco fosse tua parente stretta, ti rendi conto? Tu manco la conosci 'sta gente!" 

 

"Ma che c'entra 'sta Carmela, Pietro, è il principio! Vogliamo veramente fare una questione perché ho fatto notare a tua madre che sarebbe ora che lei e le comari sue la smettessero di vivere nel Medioevo? Nel caso non te ne fossi accorto a quel tavolo c'era tua figlia sedicenne, che è, la cresciamo facendole credere che vada bene mettere in croce una donna perché sceglie di frequentare uno più giovane, manco fosse chissà quale delitto? No fammi capire, tu preferiresti così?" 

 

"Ma che dici, Imma, ti pare che io voglia inculcare 'ste idee a Valentina, ma non scherziamo! Sto solo dicendo che ogni tanto per il quieto vivere si può pure stare zitti, fare finta di niente, lasciare correre insomma, e tu non lo fai mai, sempre sul piede di guerra stai!" 

 

"E certo, meglio girarsi dall'altra parte, non è vero? Stiamo sempre zitti, accettiamo tutto e abbassiamo la testa, tanto prima o poi qualche scemo che si prenda la briga di sporcarsi le mani al posto nostro arriva, giusto? Tu stattene qua fermo Pietro, bello bello nel tuo privilegio, aspetta che facciano sempre tutto gli altri, non ti incomodare!"

 

"Perché invece le cose le cambiamo discutendo con mia madre davanti al piatto della lasagna, no? Si è visto, mò con la scenata che hai fatto hai risolto tutti i problemi, vero? Dai, lasciamo perdere, sono stanco Imma, e non c'ho manco voglia. Buonanotte." 

 

Pietro si voltò dall'altra parte e spense l'abat-jour, chiarendo così l'intenzione di non portare avanti la conversazione. Imma osservò per qualche istante la sua schiena, irritata oltremodo dal fatto che il marito per l'ennesima volta fosse scappato da lei, dalla discussione che stavano avendo, anziché andare fino in fondo e cercare un chiarimento. In un gesto di stizza allontanò le lenzuola e, dopo l'ennesimo sbuffo, scese dal letto, risoluta a non condividere quello spazio ristretto con lui un solo istante di più. Uscì dalla stanza e si rifugiò in salotto, a quell'ora illuminato solo dalla fioca luce dei lampioni esterni. Si mise comoda sul divano e chiuse gli occhi, nel tentativo di riordinare quella intricata matassa di pensieri che ormai da settimane non accennava a darle tregua. Neanche a dirlo, in quella confusione a svettare furono due occhi azzurrissimi, gli stessi che aveva in mente quando a cena si era infervorata, gli stessi che non vedeva ormai da tre settimane e che le mancavano da morire: specchiarsi in quelle iridi per lei era sempre stato come osservare il mare, ne era terrorizzata e affascinata allo stesso tempo, divisa a metà tra la voglia di esplorarne ogni angolo, certa delle meraviglie che avrebbe trovato, e il terrore di perdercisi dentro, senza più possibilità di fare ritorno sulla terraferma. Quel sentimento che nutriva per Calogiuri per lei rappresentava un'enorme incognita: non immaginava in alcun modo dove l'avrebbe condotta, in realtà non riusciva a capire neanche fino a che punto fosse conveniente spingersi, continuamente tormentata dal pensiero che, se pure avesse ceduto, sarebbe stato altissimo il rischio di ritrovarsi in poco tempo con il cuore e la vita in mille pezzi. C'era una parte di lei, quella libera e spensierata, la stessa che per anni aveva ostinatamente combattuto, che le suggeriva di arrendersi, di smettere di opporre resistenza, di provare, per una volta nella vita, ad essere felice: quando capitava che le desse ascolto, Imma si ritrovava preda di desideri e slanci irrazionali, incompatibili con la vita che si era scelta, con le sue responsabilità, con ogni singolo punto fermo faticosamente costruito nel tempo. Stava succedendo anche in quel momento: forse per  la pesantezza della giornata, o forse per la nostalgia che ormai perennemente la opprimeva, si ritrovò a immaginare che su quel divano assieme a lei ci fosse Calogiuri, e che le sue braccia forti le cingessero la vita, in un abbraccio inizialmente tenero, ma che poco a poco, a furia di far vagare le mani una sul corpo dell'altro in maniera sempre più disinibita, si sarebbe trasformato in qualcosa di tutt'altro che innocente. Ormai, quando si trattava di lui, Imma neanche tentava più di fermare il flusso dei suoi pensieri: la sua mente precipitava costantemente in un vortice di immagini vietate ai minori, per cui, doveva ammetterlo, proprio non riusciva a provare rimorso. La vita sessuale con Pietro era stata sempre soddisfacente, per carità, si divertivano parecchio, ma nel corso degli anni si era vista costretta a sacrificare moltissime delle sue fantasie più spinte sull'altare del sesso tradizionale, l'unico che suo marito contemplasse. C'era qualcosa che le diceva che invece, con Calogiuri, sarebbe stato tutto diverso: sentiva che avrebbe potuto essere sé stessa senza inibizioni, senza filtri o sovrastrutture, e che qualsiasi esperienza vissuta assieme a lui, a partire dal sesso, avrebbe avuto per lei il sapore della libertà, una sorta di atto di amore nei confronti di quella parte di sé mai davvero venuta alla luce perché schiacciata dal peso delle responsabilità, delle pressioni, di una vita che fin da subito le aveva imposto rigore e disciplina come uniche strade per ottenere il riscatto che cercava. Calogiuri per Imma era come la prima boccata di aria fresca dopo interminabili istanti di apnea: non si capacitava di come avesse potuto farne a meno per così tanto tempo, di come avesse potuto rinunciare a sentirsi così viva come quando aveva attorno lui. L'incontro con lui le aveva fatto aprire gli occhi su quante cose avesse sacrificato, su quanto di bello avesse consapevolmente lasciato indietro, le aveva aperto una finestra da cui aveva visto una Imma che, se solo avesse voluto, avrebbe potuto essere felice, felice davvero, avrebbe potuto finalmente respirare a pieni polmoni. Era persino arrabbiata per questo, perché prima di conoscerlo, prima di essere travolta da quelle sensazioni a cui ancora faticava a dare un nome, non aveva mai avuto la percezione di quanto stesse vivendo a metà, di quanto l'ambizione esagerata in ambito lavorativo l'avesse spinta ad accontentarsi rispetto a tutto il resto, come se fuori dalla carriera, in cui porsi dei limiti non era mai stata un'opzione, avesse mollato la presa, si fosse in qualche modo adagiata, limitandosi a percorrere un sentiero preimpostato che agli  occhi di una ragazzina che aveva visto il mondo solo attraverso i libri aveva avuto il sapore dell'ineluttabilità. E invece Calogiuri ogni giorno, sconvolgendola dalla testa ai piedi, le dimostrava che un'altra vita sarebbe stata possibile, che un'altra Imma sarebbe stata possibile, e se da un lato questo riaccendeva in lei la speranza, dall'altro le provocava una fortissima rabbia, perché le sembrava di essere fuori tempo massimo per assecondare quei sentimenti, per riprendere il controllo della strada dopo anni di guida con il pilota automatico. Nei momenti in cui i rimpianti la assalivano, Imma si faceva mille domande, chiedendosi se forse sarebbe stato meglio non incontrarlo affatto, anziché vivere nel tormento di quello che avrebbe potuto essere ma con ogni probabilità non sarebbe stato mai; tuttavia subito rinsaviva, rendendosi conto che se avesse vissuto mille vite, mille volte avrebbe voluto imbattersi in lui, in quegli occhi limpidi, in quella timidezza che sapeva diventare risolutezza quando necessario, in quei modi di fare d'altri tempi che tradivano una bontà d'animo che riusciva sempre ad impressionarla, trasmettendole la folle speranza di un mondo migliore, più giusto, in cui le persone come Calogiuri non sarebbero state l'eccezione, ma la regola. Quando, dopo quel bacio, gli aveva detto che fosse pericoloso, non esagerava per nulla: non c'era mai stato nessuno, nessuno nella sua vita che la scombinasse così, che minacciasse così tanto quel muro di razionalità, rigore e intransigenza che si era costruita attorno, con il rischio di arrivare alla parte più emotiva e fragile di lei, quella che proteggeva neanche fosse il più inconfessabile dei segreti. Calogiuri era la falla in una corazza apparentemente indistruttibile, il suo vero tallone d'Achille: sarebbe bastato nascondere quella parte di sé, soffocarla sotto strati di noncuranza, e sarebbe tornata invulnerabile. Ma, e questo era il punto, lo voleva davvero? Sarebbe stata disposta a rinunciare per l'ennesima volta alla Imma che Calogiuri aveva avuto l'abilità di riportare alla luce, a spegnere di nuovo tutto, tornando alla normalità di sempre? Sarebbe riuscita di nuovo ad accontentarsi, lei che prima che lui le facesse toccare il cielo con un dito si era rassegnata a pensare che certe cose semplicemente non l'avrebbero riguardata mai?

 

***

 

Haiti

 

Dopo il pranzo svoltosi nello stanzone comune della caserma haitiana di cui erano ospiti, Calogiuri tornò velocemente in camera, con il solo desiderio di rilassarsi per l'ora successiva, prima di riprendere servizio. Tolse la divisa che indossava, la sostituì con una tuta e si sdraiò a letto, incredulo all'idea di poter trovare un po' di riposo dopo la mattinata faticosissima che aveva affrontato. Come ormai era abitudine iniziò a smanettare un po' con il cellulare, trovandosi ben presto immerso nella home di Facebook, uno dei pochi strumenti a disposizione per rimanere in contatto con chi era in Italia. Lesse distrattamente qualche post, e proprio quando, vinto dalla noia, fece per uscire, l'icona dei messaggi si tinse di rosso, segno che qualcuno gli avesse appena scritto. 

 

 

Giuseppe Capozza 

 

Uééééé, maresciallo Calogiuri! O forse dobbiamo chiamarti il sudamericano??????!!!!! 🤣🤣🤣 

 

 

Calogiuri sorrise all'indirizzo dello schermo, ormai rassegnato allo strano concetto di ironia che aveva Capozza. Rispose con un saluto, sinceramente contento di risentire qualcuno dalla procura. 

 

 

Giuseppe Capozza 

 

E allora????? Che combini oltreoceano????? È vero che pare un altro mondo??????? Quasi quasi mi trasferisco pure io, solo che mi sa che Diana mi trova pure là.... 🤣🤣🤣

 

 

Scosse la testa, pensando che non si sarebbe mai abituato all'idea di Capozza e la signora Diana assieme: lo aveva scoperto poco prima di partire, e il connubio gli era sembrato talmente strano che pensava lo stessero prendendo in giro.

 

 

Ippazio Calogiuri

 

Mi sa che ti sei dimenticato che non sto qua in vacanza, Capò. Si fa tanta fatica, sembra di essere sospesi nel tempo, ma è un'esperienza che rifarei altre mille volte, penso di stare crescendo molto come persona e come maresciallo. Tu invece, che mi racconti? Come va in procura?

 

Calogiuri iniziò ad avvertire una punta di nervosismo, anche perché quella domanda su cosa stesse succedendo in procura era tutt'altro che dettata da interessi lavorativi, almeno in quel caso. Sperava che Capozza, data la nota incapacità di farsi gli affari suoi, gli raccontasse qualcosa di lei... 

 

 

Giuseppe Capozza 

 

E che ti devo dire Calogiù, qua si lavora come muli dalla mattina alla sera, lo sai com'è la Tataranni..... Ultimamente poi è peggio del solito, pare indemoniata, con il dovuto rispetto ah, ma non si sopporta più.... 🤣🤣 A proposito, ma sai che ti ha già rimpiazzato? Mi sa che si è trovata un altro cocco..... 🤣🤣

 

Calogiuri dovette rileggere quel messaggio più e più volte prima di realizzarne il contenuto, mentre il cuore gli batteva nel petto ad un ritmo forsennato. Cercò di rimanere lucido, di non farsi prendere dal panico, ma la sua mente riusciva a formulare un unico pensiero: la dottoressa, la sua dottoressa, lo aveva rimpiazzato. Erano passare tre settimane, e aveva già trovato qualcuno che prendesse il suo posto. 

 

 

Ippazio Calogiuri

 

Che intendi? 

 

Scrisse un messaggio telegrafico, giusto due parole, sia per la fretta di avere spiegazioni, sia perché in quel momento, confuso come era, non sarebbe riuscito ad articolare niente di più sensato.  

 

 

Giuseppe Capozza

 

In procura è arrivato un tizio nuovo, da Bari... il tuo sostituto, a quanto si dice richiesto dalla Tataranni in persona. Dovresti vederlo, un marcantonio, tutte innamorate stanno qua... 🤣🤣🤣 È arrivato da un paio di giorni e già la dottoressa lo ha messo sotto, sempre appresso se lo porta, mi ricorda te!!!!! 🤣🤣🤣🤣

 

Calogiuri si sentì come in una bolla, incapace di reagire alle informazioni che gli erano piovute addosso. Se ne stette immobile, con il telefono in mano, mentre il fiato si faceva più corto e il battito cardiaco più galoppante, man mano che gli si materializzavano davanti agli occhi le scene di un'altra persona, anzi un marcantonio come lo aveva definito Capozza, che lavorava fianco a fianco con la dottoressa, prendendosi il suo posto. Sapeva che non aveva alcun diritto di essere geloso, lo sapeva benissimo, ma in quel momento non riusciva a pensare ad altro che alla possibilità che Imma avesse con quel carabiniere la stessa intesa che aveva con lui: chissà, forse presto si sarebbe resa conto che non c'era niente di speciale in un maresciallo di provincia timido e impacciato, che quella complicità che avevano e che consentiva loro di lavorare in totale sincronia avrebbe potuto averla pure con il marcantonio, e lo avrebbe messo da parte a cuor leggero. Anzi, chissà che non lo avesse già messo da parte, pure Capozza del resto sul punto era stato molto chiaro, dicendogli senza troppi giri di parole che lo aveva rimpiazzato.

 

 

Ippazio Calogiuri

 

Ma alla dottoressa non hanno detto che sarei tornato a Matera nel giro di due mesi?

 

Con quel briciolo di lucidità rimastagli, Calogiuri iniziò a contemplare l'ipotesi, senz'altro più confortante delle altre che si stava prefigurando, che la dottoressa potesse non sapere che in poco tempo sarebbe tornato a Matera. Del resto, lui era partito senza avvisarla: era perfettamente consapevole di aver sbagliato, di essersi comportato in modo infantile non dicendole nulla, di non essere stato neanche lontanamente professionale, ma sperava che, per l'ennesima volta, lei capisse le sue intenzioni senza bisogno di parole, e che anzi apprezzasse la scelta di allontanarsi per lasciarle spazio dopo quello che era successo tra loro. 

 

 

Giuseppe Capozza

 

E certo che lo sa, lo sa eccome. Ma, testuali parole, "la giustizia italiana non può perdere tempo appresso alle esperienze del maresciallo Calogiuri". O almeno così ha detto a Vitali, solo che poi la segretaria del procuratore capo ha notificato a mezza procura.... 🤣🤣🤣 Chi va a Roma perde la poltrona, ma chi va ad Haiti perde il posto a Matera city, Marescià 🤣🤣🤣🤣🤣

 

Calogiuri in un impeto di rabbia gettò il telefono ai piedi del letto, non curandosi neanche di rispondere a Capozza, che con quella battuta idiota lo aveva pure fatto innervosire. Sospirò stizzito, mentre un numero indefinito di sentimenti, dalla gelosia, alla frustrazione, alla tristezza, si facevano strada dentro di lui, come se fossero un groviglio inscindibile. Aveva messo in conto che la dottoressa avrebbe potuto reagire così, non era uno sprovveduto e sapeva di aver lasciato la procura, di aver lasciato lei, nel momento peggiore possibile dal punto di vista lavorativo, con il processo Romaniello che incombeva e le possibilità di esito positivo veramente esigue, se non fossero emersi nuovi elementi. Al tempo stesso però era intimamente convinto che allontanarsi fosse stata la scelta migliore possibile: era certo che la dottoressa dopo quel bacio lo avrebbe considerato un problema da risolvere, l'unica macchia di una vita irreprensibile, e Calogiuri non aveva alcuna voglia di sentirsi così. Lui quel bacio lo aveva desiderato più di ogni altra cosa al mondo, e non aveva dubbi sul fatto che fosse stato il momento più felice della sua vita. Non c'era bisogno di sporcarlo con parole e ragionamenti inutili, era consapevole che con ogni probabilità non sarebbe mai risuccesso, ma sentirselo dire da lei sì che lo avrebbe distrutto. Non sapeva neanche come avrebbe fatto a starle vicino, una volta tornato a Matera: a volte, nonostante fossero passate settimane, gli sembrava di sentire ancora il suo sapore, la consistenza dei suoi ricci sotto le dita, l'impronta delle mani calde di lei sul suo viso, e tremava. E d'altra parte, perché porsi ancora quei problemi? La dottoressa, come sempre, aveva provveduto a risolvere la questione per entrambi, facendo a meno di lui, rimpiazzandolo, e non faticava ad immaginare uno scenario in cui avrebbe avuto sempre meno bisogno del suo aiuto, mettendo la parola fine a qualsiasi rapporto tra loro, pure quello lavorativo. Aveva avuto il suo momento di felicità, ma per viverlo aveva forse perso tutto: una sorta di patto con il diavolo, che adesso non era più convinto fosse stata la migliore delle idee. Non aveva paura di dire che, da quando era entrata nella sua vita, la dottoressa, Imma, rappresentasse la parte migliore delle sue giornate: non gli serviva molto, a Calogiuri bastava bearsi della luce abbagliante che emanava per sentirsi appagato, completo, per avere la sensazione di trovarsi costantemente nel posto giusto. Aveva avuto senso, quindi, sacrificare tutto ciò per un solo momento di felicità, seppur purissima? O, forse, come sempre più spesso si ripeteva, sarebbe stato meglio niente?

 

 

Spazio autrice

 

Ciao a tuttə!!!!!!!!!!!!! 

 

Rieccoci qua. 

Per qualche tempo ho messo in stand - by questa storia, un po' per gli impegni, un po' perché quello che è successo tra Imma e Calogiuri nella seconda parte di stagione mi ha lasciato tanto amaro in bocca. Solo che poi mi sono detta che quei due sono talmente belli da meritare un po' di felicità, se non in tv almeno in una fanfiction che non sarà il massimo, ma è davvero scritta con tutto l'amore del mondo! Grazie a chi ha letto la storia in questo periodo, grazie a chi ci ha tenuto a scrivermi delle cose bellissime, e grazie in anticipo a chi leggerà e lascerà qualche commento a questo capitolo, che per farmi perdonare l'attesa è veramente luuuuuuunghissimo!  Con questo aggiornamento termina la fase introduttiva della storia, dal prossimo capitolo Calogiuri tornerà a Matera, e lì sì che inizierà il divertimento.... Più o meno 🙃

 

A prestissimo!

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