Bésame Mucho - Traduzione Italiana

di AngelDeath
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Storia originaria di George DeValier.

Capitolo 1 tradotto da George DeValier su EFP,  io l'ho solo riportato qui per avere tutti i capitoli della storia.

Primavera, 1939

"Lovino!"

Lovino non si girò al grido di Feliciano, che correva dietro a lui urlando il suo nome. Mantenne gli occhi sulla stradina serrata, i pugni contratti, i denti digrignati dall'irritazione. Il sole brillava vivacemente nel cielo e una tiepida brezza soffiava, portando il leggero e sottile profumo della primavera. Lovino lo notò a malapena. La sua mente stava ancora rimuginando sugli eventi di quella mattina al mercato. Ogni giorno, la stessa storia.

'Feli, tesoro, oggi ho tenuto veramente il meglio per te!' ... 'Oh, non mi avevi detto di avere un fratello così carino, Lovino!' ... 'Altri pomodori? Per te subito, Feliciano!' Lovino era abituato a sentirsi invisibile accanto al fratello. 

Ma a volte diventava semplicemente troppo. A volte, sperava che sarebbe successo qualcosa, qualcosa di importante, qualcosa in cui lui avrebbe potuto fare la differenza e non essere più l'ombra del suo sempre "carino", sempre "adorabile", sempre eccezionale fratellino.

"Lovino, aspettami! Lovi... ARGH!"

Lovino si voltò per trovare Feliciano con la faccia spalmata sulla strada. Gli si contrasse un poco lo stomaco mentre tornava indietro correndo e si accovacciava rapidamente accanto al fratello. "Feli, tutto a posto?"

Feliciano si mise lentamente in ginocchio, spazzolandosi i vestiti, e sorrise vivacemente. 

"Non dovresti camminare così veloce, Lovino, le mie gambe non sono lunghe come le tue e non riesco a seguirti, e poi tu non mi senti mai quando ti chiamo e poi accadono incidenti come questo, ma è tutto a posto perchè non credo di essermi fatto male, guarda, mi sono solo sbucciato un poco il ginocchio, pensi che debba vedere il dottore?"

Lovino alzò gli occhi al cielo e tese una mano a Feliciano per aiutarlo a rimettersi in piedi. 

"Non essere sciocco, starai bene." 

Perchè non era mai capace di arrabbiarsi troppo con suo fratello? 

"Mi dispiace se camminavo veloce." Una volta in piedi, Feliciano continuò ad aggrapparsi a Lovino, facendo oscillare le loro mani mentre proseguivano per la strada. Lovino scosse la testa, esasperato. Tutti, vedendolo, avrebbero pensato che il suo fratellino di quattordici anni fosse in realtà un bambino. Non c'era da stupirsi se i compaesani al mercato lo consideravano sempre così dannatamente "carino". Lovino era più vecchio di solo un anno e già si riteneva quello adulto, assennato e responsabile. Ma lasciò che Feliciano continuasse a stringergli la mano mentre percorrevano la strada e giravano nello stretto vicolo che portava alla loro piccola fattoria.

"Siamo a casa, nonno!" gridò allegramente Feliciano spalancando la porta principale.

"Bentornati, ragazzi!" Nonno Roma si alzò dalla sedia. Lovino si bloccò quando si accorse dell'uomo seduto di fronte a lui. Moro, vestito in modo trasandato, con una carnagione olivastra e grandi occhi brillanti, il giovane li sorprese con un sorriso allegro e luminoso.

Lovino lo guardò con prudenza.

"Chi diavolo sei tu?"

Roma gli lanciò uno sguardo truce. "Bada a come parli, ragazzo." Lovino incrociò le braccia e lanciò un'occhiata imbronciata al soffitto. 

"Questo è un mio amico. Antonio Fernandez Carriedo."

Feliciano lo guardò con aria confusa. "Antonio... Fernando..."

"Dovresti scriverlo." disse Lovino.

"Chiamatemi Antonio." l'uomo si alzò. 

Lovino fece un passo indietro.

Roma sorriso fieramente avvicinandosi ai nipoti. "Antonio, questo è Lovino, il maggiore, e questo è il piccolo Feliciano."

Antonio tese una mano a Feliciano, che la strinse cautamente. "È un piacere conoscerti, Feliciano!" Antonio parlava italiano con un accento insolito.

"Ciao! Parli in modo strano."

Antonio rise. "Mi dispiace per l'accento. Vengo dalla Spagna, non sono abituato a parlare italiano."

Feliciano lo fissò attonito. "Dalla Spagna? Wow! Combatti coi tori? Tutti gli spagnoli combattono coi tori. L'ho letto una volta in un libro e c'erano le immagini, ma era molto triste perchè venivano uccisi ed era orribile e ho finito per piangere un sacco perchè era terribilmente crudele e sbagliato e... e... ed era atroce..." Feliciano sbattè le ciglia gonfie di lacrime e tirò su col naso "Nonno, non credo che il tuo nuovo amico mi piaccia." Lovino gli tirò un calcio al piede.

Antonio scoppiò nuovamente in una risata fragorosa e allegra. Per qualche strana ragione Lovino sentì il cuore sobbalzare al suono. "Feliciano, non tutti gli spagnoli combattono con i tori. Te lo giuro, non ho mai toccato un toro in vita mia."

Feliciano si sciolse in un enorme sorriso di sollievo. "Oh, bene. Allora è tutto a posto, e mi dispiace molto aver detto che non mi piaci, sono sicuro che in realtà sei veramente una brava persona."

Antonio rise e Roma scrollò le spalle con fare comprensivo. Lovino picchiettò il piede per terra e alzò nuovamente gli occhi al soffitto. 

Eccoci di nuovo. 

Un altro stregato dal piccolo e dolce Feliciano. 

"Certo che sei proprio adorabile, eh?" disse Antonio. Feliciano inclinò il capo e fece sfoggio di un sorriso accecante. Lovino socchiuse gli occhi e distolse lo sguardo. Quando lanciò un'occhiata ad Antonio trovò una sua mano tesa verso di lui. Spalancò gli occhi, incapace di riflettere, e nascose le mani dietro la schiena. Antonio ritirò immediatamente la mano e sorrise semplicemente. "E piacere di conoscere anche te, Lovino."

Lovino tentò di obbligarsi a dire qualcosa. Qualsiasi cosa. 

Apri la bocca. Ora, maledizione. 

"Che diavolo sei venuto a fare qui?" Roma gli mollò uno scapellotto dietro la testa e lui sussultò.

"Non essere maleducato, Lovino. Antonio è qui per affari."

Lovino fissò il pavimento, bruciando d'imbarazzo. "Affari? Riguardo la fattoria?" 

Tentò di strofinarsi la nuca senza farsi notare.

"Qualcosa del genere. Ragazzi, andate a preparare la cena mentre noi finiamo di parlare. Non vogliamo annoiarvi!"

"Possiamo fare la pasta?" chiese Feliciano con entusiasmo.

"Mi sembra un'ottima idea!" disse Roma sorridendo con indulgenza. Feliciano saltellò allegramente nell'altra stanza, ma Lovino rimase fermo dov'era per un attimo, fissando con sguardo attento ora Roma ora Antonio. Non sapeva cosa riguardasse quell'incontro, ma era pronto a scommettere che non avesse niente a che fare con nessun 'affare'. Ed era anche pronto a scommettere che nonno Roma non gli avrebbe detto nulla a riguardo. Anche se Lovino si sentiva un adulto in confronto a Feliciano, lui non l'aveva mai trattato diversamente da come si tratta un bambino.

"C'è qualcosa che non va Lovino?" chiese Roma. Il suo tono era affabile, ma i suoi occhi gli lanciarono un chiaro avvertimento.

"No" mormorò Lovino "Vado ad aiutare Feliciano." Uscì dalla stanza senza guardarsi indietro. Nel momento in cui cui chiuse la porta della cucina, comunque, afferrò velocemente un bicchiere da vino, poggiò il bordo contro la porta e piazzò l'orecchio sullo stelo. Feliciano alzò lo sguardo dal fornello dove stava cominciando a far bollire l'acqua.

"Non penso che tu possa farlo, Lovino."

"Taci," disse Lovino prima di aggiungere velocemente "...e non dirlo al nonno."

Lovino non riuscì a sentire molto della conversazione, specialmente con Feliciano che sbatteva pentole e piatti dietro di lui. Ma qualche frase filtrò attraverso la porta; qualcosa riguardo un'alleanza italiana con la Germania, riguardo ad un'occupazione fascista in Cecoslovacchia, riguardo voci di una guerra, riguardo un posto chiamato Guernica*. 

Lovino era rapito. 

Aveva sentito delle voci al villaggio recentemente, ma niente di questo genere. 

Niente che suonasse così serio. 

Così importante. 

Lovino ascoltò il cadenzato accento spagnolo di Antonio con crescente interesse, fino al punto da non essere più sicuro se fosse ciò che Antonio stesse dicendo a incantarlo o il suo modo di parlare, intenso, solenne e alle stesso tempo in qualche modo ancora allegro. La voce di nonno Roma improvvisamente crebbe in volume e Lovino sentì perfettamente le sue parole attraverso la porta.

"Dimmi perchè non ti sei arruolato, Antonio. Non potresti fare nell'esercito con le tue capacità?"

"A volte i soldati fanno grandi cose. E io, fra tutti, rispetto il desiderio di fare il proprio dovere nei confronti della patria. Ma ho visto ciò che può fare l'esercito. Ho visto le conseguenze della cieca obbedienza agli ordini. I soldati uccidono persone innocenti, Roma. E io morirei prima di farlo."

Il battito di Lovino pulsò fra l'orecchio e il bicchiere. Si sentiva un po' senza fiato. Ogni parola di Antonio era stata intrisa di estrema passione. Non assomigliava a nulla che avesse mai sentito.

"Penso di potermi fidare di te, Spagnolo." Roma suonava soddisfatto.

"Lovino, pensi che dovrei aggiungere più-"

Lovino agitò freneticamente una mano verso Feliciano. "Ssh, zitto!"

"E io di te, Roma. Vi darò tutte le informazione che sarò in grado di acquisire. Speriamo, comunque, che questa incursione tedesca venga fermata prima che sia troppo tardi."

Lovino tentò di respirare attraverso la miriade di emozioni che lo soffocarono. Non sapeva esattamente di cosa esattamente suo nonno e Antonio stessero parlando, ma sembrava esattamente ciò per cui aveva sperato. Qualcosa di diverso, qualcosa di nuovo, qualcosa che potesse finalmente cambiare quella vita ordinaria e noiosa in cui non succedeva mai nulla e in cui si sentiva invisibile e ignorato. Sentendo Roma e Antonio salutarsi, Lovino tolse il bicchiere dalla porta e, quasi senza pensare, socchiuse la porta per dare una sbirciata. 

Nonno Roma stava rovistando in mezzo ad una pila di fogli sul tavolo e gli dava le spalle. Antonio, invece, stava in piedi di fronte a Lovino e i loro occhi si incontrarono immediatamente. Lovino divenne di ghiaccio quando Antonio gli indirizzò un gran sorriso, uno scintillio nelle iridi chiare, prima di fargli l'occhiolino.

 Lovino spalancò gli occhi e sbattè la porta, appoggiandosi ad essa, il cuore che gli batteva forte nel torace. Aveva il fiato corto al punto che stava quasi ansimando.

Feliciano alzò lo sguardo dalla pentola bollente e sorrise. Sembrava apparentemente ignaro di ciò che era successo alle sue spalle. "Il nuovo amico del nonno è molto simpatico, non trovi?"

"No," disse Lovino, freneticamente, cercando di convincere sé stesso che il perchè del suo cuore impazzito e delle guance in fiamme fosse nelle entusiasmanti parole che aveva origliato e non in quel stordente abbagliante o in quell'occhiolino destabilizzante. "Non credo proprio. Oh, dai, Feliciano, hai cucinato troppa pasta di nuovo..." Lovino andò ad aiutare Feliciano con la cena, e cercò di dimenticare i brillanti occhi verdi di Antonio.

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Lovino cominciò lentamente ad abituarsi alle visite di Antonio nelle settimane successive, ad ascoltare attraverso le porte in cerca di qualche indizio su cosa stesse succedendo, a quel piccolo sussulto, così fastidioso e frustrante, che gli stringeva il torace ogni volta che Antonio faceva loro visita, a quella crescente sensazione di eccitazione che provava ogni volta che sentiva Antonio e Roma parlare dell'aggravarsi delle cose e di voci riguardo l'imminente guerra. Ma allo stesso tempo, Lovino non riuscì ad abituarsi neanche un po' al perenne sorriso allegro di Antonio, a suoi scarmigliati capelli scuri e ai brillanti occhi verdi, alla sua risata pronta e al suo buon umore e al modo in cui scompigliava sempre i capelli di Feliciano e lo chiamava carino. Lovino si ripeteva che non gli importava. 

Quasi finiva per crederci. 

Ma poi Antonio gli sorrideva, o gli faceva correre gli occhi addosso passandogli affianco e Lovino si accigliava e distoglieva lo sguardo, sentendosi per tutto il tempo insicuro e confuso e arrabbiato perchè proprio non riusciva a capire la ragione per cui si provasse quelle sensazioni.

Ormai era diventato tutto abbastanza usuale e ordinario fino al mattino in cui, finalmente, tutto apparì chiaro ai suoi occhi. Lovino sedeva nel basso muretto del giardino, il sole brillante che batteva incessantemente, pensando alla conversazione che aveva appena origliato. Antonio aveva un modo di parlare che faceva suonare tutto importante, ma le sue parole mentre discuteva prima con nonno Roma erano suonate più gravi del solito.

"Sei ancora convinto della causa, Roma? Farò tutto il possibile per aiutarti. Ma sarai un partigiano, lotterai contro il governo della tua stessa nazione."

"Un governo che non si preoccupa della libertà del suo popolo. Si, sono convinto."

"E sai cosa rischierai?"

"So fin troppo bene cosa sto rischiando. Ma se esiste qualcosa per cui valga rischiare tanto, è questo."

Lovino se ne era andato prima che la conversazione volgesse al termine, sentendo il bisogno di prendere una boccata d'aria. Il piccolo giardino era pezzato della luce brillante del sole e delle ombre degli alti alberi che circondavano il muro, l'aria calda e soffocante prometteva una lunga estate, Lovino fece oscillare i piedi e guardò senza vedere le file di rosmarino davanti a lui. Quelle parole risuonavano ancora nella sua testa... 

"So fin troppo bene cosa sto rischiando." Nella sua mente vorticavano centinaia di pensieri. 

Sapeva che nonno Roma e Antonio stavano progettando qualcosa. Ma adesso si chiedeva cosa fosse esattamente, e che cosa significasse per loro. 

Cosa il nonno stesse rischiando... cosa stesse facendo... che significato aveva tutto quel parlare di guerra e Germania e invasioni? 

Improvvisamente quella familiare sensazione di eccitazione si tinse leggermente di paura.

Lovino si voltò quando Antonio aprì la porta sul retro e uscì in giardino. 

Il cuore gli balzò fastidiosamente in gola. Si ritrasse con cautela, ma Antonio non lo notò. Oltrepassò invece rapidamente le aiuole inondate di luce prima di appoggiarsi al muro vicino al cancello, dall'altra parte del cortile. Aveva uno sguardo leggermente ansioso, e decisamente esausto. Tirò fuori una sigaretta dalla tasca, l'accese, e ne stava inspirando il fumo quando Lovino saltò giù e gli si avvicinò. 

Antonio alzò bruscamente lo sguardo, poi sorrise. "Lovino."

Lovino lo fissò con diffidenza. Non sapeva mai come comportarsi in sua presenza. 

Era più destabilizzante di quanto avrebbe dovuto essere. Lovino incrociò le braccia. 

"Sai, vi ho sentiti parlavi col nonno."

Antonio assunse un'espressione di educata curiosità. "Oh?"

"Ci sarà una guerra, non è vero?"

L'espressione di Antonio divenne un po' incerta. Prese un tiro dalla sigaretta ed espirò il fumo lentamente. "Probabilmente."

Lovino annuì con aria pensierosa. "Giusto. Bene. Suppongo dovrò entrare nell'esercito quindi."

Antonio rise con dolcezza, fissando Lovino con quei suoi occhi luminosi. 

"L'esercito?" Inclinò la testa leggermente "Mi sono appena reso di non avertelo mai chiesto... quanti anni hai, Lovino?"

Lovino rifletté per un attimo sulla sua risposta. Per un attimo pensò di mentire. Poi capì che probabilmente non importava molto. "Quindici." biascicò con stizza.

Antonio inarcò le sopracciglia, prima di distogliere rapidamente lo sguardo. "Quindici," mormorò.

 Scosse la testa e trasse un alto lungo tiro dalla sigaretta. Fissò il cielo per qualche istante. 

"Non potrai arruolarti per un po', immagino. E quando sarai grande abbastanza, sai almeno per cosa combatterai?"

Che strana domanda... 

"Per l'Italia, ovviamente."

"Hmm." Antonio riflettà a lungo prima di parlare, forse per via della differenza fra le lingue. Lovinò si rifiutò di ammettere che lo affascinava. Perchè non era vero, dannazione. Antonio soffiò fuori un'altra boccata di fumo. "A volte, entrare nell'esercito non è la maniera migliore per servire la propria patria. A volte, per fare ciò che è giusto, devi alzarti e combattere per ciò che loro ritengono sbagliato."

Lovino deglutì pesantemente. Antonio aveva detto una così simile poco prima. Lotterai contro il governo della tua stessa nazione... "Non capisco cosa intendi dire."

"Capirai." Antonio scrollò la cenere sul terreno e la fissò. "La guerra non è eccitante, Lovino. Mi auguro sinceramente che tu non faccia l'errore di credere che lo sia prima di averla realmente provata sulla tua pelle."

Lovino ridusse gli occhi ad una fessura, studiando Antonio, ripensando a tutto ciò che aveva ascoltato nelle ultime settimane. Riguardo la guerra civile in Spagna e il fascismo e quel posto che continuava a nominare, quel posto chiamato Guernica... 

"Perchè sei qui? Veramente."

Antonio riflettè nuovamente. "Cerco di lottare per ciò che è giusto, penso."

"Pensi?"

"Lo spero. Sfortunatamente, non sono mai stato il migliore a separare giusto da sbagliato. Penso di essere stato sempre troppo coinvolto per riconoscere veramente la differenza. Ma questa volta... sì, questa volta sono sicuro di essere dalla parte giusta. Devo esserlo."

Lovino tentò invano di ignorare il nodo che gli aveva stretto lo stomaco. Quindi provò rabbiosamente a sopprimerlo. "Non ho chiesto la storia della tua vita, bastardo."

Antonio sembrò vagamente divertito. "No. Perdonami, Lovino." 

Inspirò profondamente un'altra boccata, gli occhi ancora fissi al terreno. Cadde un silenzio soffocante. Lovino non era sicuro se fosse il momento di andarsene. Per qualche ragione non stette a pensarci, o non volle farlo. Giocherellò nervosamente con le mani dietro alla schiena per un attimo. Antonio non riprese a parlare, quindi Lovino ruppe il silenzio.

"Mi dai una sigaretta?"

Antonio rise. "No."

"Fottiti, bastardo."

Antonio lasciò cadere la sigaretta e la schiacciò. 

Poi finalmente alzò lo sguardo, i suoi occhi incontrarono quelli di Lovino, bruciandone le iridi. Lovino sentì l'irritazione morirgli sulle labbra. La bollente immobilità del giorno lo stava lentamente sopraffacendo. Non riusciva a muoversi, non riusciva a respirare, né tanto meno riusciva a distogliere lo sguardo da quei brillanti occhi verdi che lo scrutavano. 

Antonio fece un passo in avanti, si fermò, scosse la testa, e ridacchiò fra sé e sé. "Quindici" mormorò prima di voltarsi e uscire dal cancello sul retro. 

Lovino lo guardò, il cuore scalpitante, non sapendo se sentirsi sollevato o no.

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Solo un paio di giorni dopo Lovino stava incollato alla porta, origliando Antonio che informava Roma che sarebbe stato via per un paio di mesi. Lovino fu sorpreso, infastidito e infine infuriato per quanto arrabbiato e deluso la notizia lo fece sentire. Era stupido. Non gli sarebbe dovuto interessare, non gli interessava, perchè diavolo avrebbe dovuto interessargli...?

"Le cose si stanno muovendo velocemente, Roma. Più velocemente di quanto mi aspettassi. Ovviamente tornerò regolarmente, ma da ora è tutto nelle tue mani. Sarò solamente il tuo informatore."

Roma rise raucamente. "A volte suoni molto più vecchio della tua età. Non dimenticare che stai parlando col più giovane ufficiale italiano ad aver raggiunto il grado di Capitano. Sono capace di portare un gruppo alla vittoria."

La voce di Antonio nuovamente divenne allegra e spensierata . "Come ogni studente della Grande Guerra, sono ben consapevole dei suoi traguardi militari - Maggiore Roma Vargas, eroe della campagna dell'Isonzo. Per quale altro motivo pensi che io sia così desideroso di lavorare con te?"

"Va bene, basta adularmi, ragazzino." Ma Lovino potè sentire la soddisfazione nella voce di Roma. Il nonno amava sempre quando la gente parlava della sua celebrata carriera militare. "Fa' il tuo lavoro, e io farò il mio."

Il resto della conversazione sfociò in un mormorio, troppo basso per essere sentito e quando infine la stanza divenne silenziosa Lovino pressò l'orecchio più possibile contro la porta.

 Erano andati via? Il loro incontro era finito? Tentò di cogliere un rumore di passi ma non sentì nulla fin al momento in cui la porta si spalancò all'improvviso. Lovino gridò dalla sorpresa e perse l'equilibrio, cadendo dritto fra le solide braccia di Antonio.

"Ciao, Lovino!"

"Ma... cos... non mi toccare, bastardo!" Lovino sentì il volto ardere d'imbarazzo e si rimise freneticamente in piedi, spintonando Antonio e indietreggiando fino ad urtare il muro dietro di lui.

"Perchè mi sembra sempre di trovarti ad origliare?" Antonio gli indirizzò un sorrisetto divertito.

"È casa mia." disse Lovino, indignato. 

"E non stavo origliando, stavo..." Non aveva la più pallida idea di cosa dire. "Stavo... oh, vattene."

Antonio annuì. "Molto bene." Si diresse verso la porta, ma in quel momento, Lovino sentì la propria mano precipitarsi ad afferrare la camicia di Antonio. Era totalmente certo di non aver mai avuto intenzione di farlo. Antonio abbassò lo sguardo, sorpreso quasi quanto lo stesso Lovino. I suoi occhi schizzarono via nervosamente.

"Te ne stai andando."

Antonio sorrise di nuovo. "Non stavi origliando, eh?"

Lovino gli lanciò un'occhiata. "È l'unico modo che ho trovato per scoprire cosa fate. Altrimenti nessuno mi dice niente."

"Sì, Lovino, parto per un po'. Ma non ti preoccupare. Tornerò presto, verrò qui abbastanza di frequente."

"Non sono preoccupato!" sputò fuori Lovino, indignato.

"Certo che no." Antonio era troppo vicino. Lovino cercò di ignorare la contrazione dello stomaco, il modo in cui il suo respiro cominciò ad accelerare, perchè non gli importava, Antonio non lo faceva sentire così e oh Dio, il suo profumo era ipnotizzante, NO! "Bene," continuò Antonio "Penso che sia fino-"

"Non sprecare i tuoi addii con me, bastardo, vai a trovare il mio "carinissimo" fratello e saluta lui, invece." Lovino sussultò nel momento stesso in cui le parole gli uscirono di bocca. 

Merda, perchè l'aveva detto? 

Non era uscito così imbronciato com'era suonato alle sue orecchie, vero...?

Antonio rise semplicemente. "Oh, Lovi." 

Antonio si avvicinò di un passo e Lovino si schiacciò ancor più contro il muro dietro di lui. 

Poi Antonio si chinò e appoggiò lentamente una mano sul suo fianco. 

Lovino spalancò gli occhi. Il suo battito prese ad impazzire, i palmi delle mani cominciarono a sudare, e il retro del suo collo bruciò di un calore che presto si espanse all'intero corpo.

 Poi sentì il respiro bollente di Antonio contro l'orecchio. 

"Feliciano è carino, Lovi. Ma tu sei bello."

Lovino rimase stordito. 

Bello. 

Antonio l'aveva chiamato bello. Non carino, non adorabile, non dolce; qualcosa molto più di ognuno di questi appellativi. Antonio aveva detto a lui, a lui solo, sussurrando nel suo orecchio in modo che nessun altro potesse sentire, parole pronunciate soltanto per lui. 

Questo era troppo. Lovino poteva pensare ad un solo modo per affrontare la spiazzante e sconosciuta sensazione che gli scorreva sotto pelle. 

Lo picchiò dritto sulla mascella. "Non chiamare i ragazzi belli, pervertito!"

Lovino si voltò e scappò via dalla stanza furibondo, fingendo di non sentire Antonio ridere dietro di lui.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Storia originaria di George DeValier.

Capitolo tradotto dalla sottoscritta, ne detengo i diritti di traduzione.

Piccola menzione : Un Grazie a RossoSangue66 che mi ha fatto ritrovare la voglia di 'completare' questi pochi capitoli. 

Buona lettura.

CAPITOLO 2

Autunno, 1939 

In un paesino in Italia

"Non andare troppo avanti, Feliciano!" Lo richiamò nonno Roma. Era una soleggiata mattina d'autunno e il villaggio era pieno di vitalità mentre Lovino e il nonno Roma camminavano tranquillamente lungo le strade acciottolate. Negli ultimi mesi, l'esistenza quotidiana e immutabile del villaggio che Lovino aveva vissuto in tutta la sua vita si era capovolta. 

Già non c'erano abbastanza prodotti al mercato. La gente sussurrava agli angoli delle strade, mormorii e pettegolezzi e malelingue invasero il paesino. Nonno Roma passava tutto il tempo alla vecchia Cantina Verde parlando con la gente invece che stare nei campi. Ma oggi, con il sole che splende e le strade affollate, è sembrata di nuovo quasi una giornata normale in paese. 

Era un bel cambiamento. 

La gente si fermava spesso per dare il buongiorno a Roma o per salutare allegramente Feliciano, anche se Lovino non si stupiva che nessuno gli dedicasse un saluto. Tutti e tre erano diretti alla cantina, e come al solito Feliciano continuava ad agitarsi per niente, saltellando e correndo avanti. 

"Non posso farci niente se camminate così lentamente!" 

Ha richiamato Feliciano. "Sbrigati, dobbiamo fermarci alla fontana, Lovino e io ci fermiamo sempre alla fontana quando veniamo in paese, ho anche una monetina e so già cosa mi auguro e oh, ciao Antonio!"

Lovino è quasi inciampato. Il suo battito accelerò quando vide Antonio che camminava tra la folla e salutava allegramente. 

"Buongiorno Feli ! Rom". 

Il sorriso di Antonio si illuminò. " Lovino ". Lovino distolse subito lo sguardo.

Antonio era andato e tornato spesso dal villaggio negli ultimi mesi, ma questi ultimi giorni erano stati i più lunghi in cui era rimasto da quando era entrato per la prima volta nelle loro vite in primavera. 

Lovino aveva passato le giornate cercando senza successo di ignorare sia Antonio sia il modo in cui lo faceva sentire. Anche se Antonio non aveva detto niente per provocare Lovino e potergli assestare di nuovo un pugno, ma riusciva ancora a far battere il cuore di Lovino a disagio e causare un rossore indesiderato e imbarazzante che si diffondeva su tutto il collo. Soprattutto quando credeva di sorprendere Antonio che lo fissava... non ne era mai abbastanza sicuro, però, poiché lo spagnolo distoglieva sempre lo sguardo velocemente. Antonio era così amichevole, così felice, così diverso da tutti gli altri che ignoravano sempre Lovino in favore del suo fratellino. Anche il modo in cui Antonio pronunciava il nome di Lovino era diverso. Lovino non era sicuro di come capirlo: un uomo adulto non dovrebbe farlo sentire così. Era frustrante e confuso, e solo un po' spaventoso... ma anche, segretamente, curioso ed eccitante.

Roma si fermò brevemente e strinse affettuosamente la mano di Antonio in segno di saluto. "Antonio! Stai andando in cantina solo adesso? Le tue stanze sono proprio di fronte, vero?"

'Lo sono, ma è una mattina così bella che ho dovuto fare una passeggiata. Se stai andando da quella parte ora, vi raggiungerò." Continuarono a camminare con Antonio accanto a loro; 

Lovino lo ignora, Feliciano gli salta intorno eccitato.

"Antonio, vieni con noi alla fontana? Io e Lovino getteremo monetine come dice il nonno a Roma e esprimiamo desideri e..."

''Farai , Feliciano, io non faccio quel genere di cose'', disse in fretta Lovino . 

Feliciano si voltò e lo guardò in modo strano. " Sì che lo fai."

Lovino cercò di non farsi bruciare le guance. "Lo facevo, quando ero un bambino!"

"Ma l'hai fatto la scorsa settimana, ricordo, hai sempre desiderato una chitarra come te... ow! Perché mi hai preso a calci, Lovino ?''

Antonio rise forte. "Sembra divertente, Feliciano! Penso che lancerò una moneta anch'io!"

"Cosa desidererai?" chiese Feliciano con entusiasmo.

"Ah, ma se dici a qualcuno quello che desideri, non si avvererà." Antonio fece l'occhiolino a Lovino. Il giovane ricambiò lo sguardo.

La faccia di Feliciano cadde. "Veramente? Ma dico sempre a Lovino quello che desidero, e i miei desideri si avverano sempre..."

"È perché hai voglia di pasta," disse Lovino , leggermente esasperato. "Ogni volta che desideri la pasta, e poi torniamo a casa e mangiamo la pasta, e ne rimani ogni volta sorpreso su come il tuo desiderio si sia avverato."

"Ma non riesco mai a pensare a nient'altro che voglio!"

Lovino alzò gli occhi al cielo al nonno Roma, che si limitò a ridere affettuosamente. Fra tutte le offerte di questo mondo, Feliciano sceglierebbe naturalmente un piatto di pasta.

''Non ascoltare tuo fratello Feliciano'', disse allegramente Roma. "Ci sono cose peggiori che potresti..."

La strada divenne improvvisamente silenziosa, la voce di Roma svanì mentre si avvicinava il suono pesante e uniforme della marcia. Lovino non vide chi fosse, prima che nonno Roma gli si mettesse davanti e usò il braccio per spingere Lovino indietro dalla strada.Accanto a loro Antonio fece lo stesso con Feliciano. 

Tutti sulla strada si ritrassero mentre i passi in marcia si avvicinavano. Lovino sbirciò intorno alla spalla di Roma mentre file di militari vestiti di nero marciavano lungo la strada, le loro armi ben in mostra, il suono dei loro stivali che riecheggiava sinistramente sugli edifici silenziosi e il movimento dei loro occhi sembrava soffocare il sole. Lovino tremò suo malgrado , guardandoli sfilare con uno strano misto di rabbia, paura e incertezza. Accanto a lui Feliciano aveva gli occhi serrati mentre si aggrappava, tremante, al dietro della camicia di Antonio. Quando finalmente le truppe raggiunsero la fine della strada e svoltarono nella piazza del paese, Lovino sospirò profondamente e guardò dal nonno Roma ad Antonio. 

I loro volti erano vuoti.

"Chi sono?" chiese piano Feliciano, con voce tremante.

" Fasci di Combattimento ," disse Antonio piatto . " Camicie nere ".

"Nessuno", ha detto subito la Roma. " Lovino , porta Feliciano in cantina. Tornate indietro».

"Come mai?" chiese Lovino con rabbia. "Dove stai andando?"

'' Lovino'' , disse ammonitore Roma. ''Porta Feliciano in cantina. Non arriveremo molto dopo''.

"Sono le forze governative, no?" chiese Lovino con insistenza, ignorando il comando di Roma finché poteva. Lovino sapeva che nonno Roma si era sempre opposto al governo fascista. Ma queste cose non sembravano mai di grande importanza nel loro angolino d'Italia, dove il discorso del governo e dei suoi movimenti era praticamente inesistente. O lo era stato, fino a poco tempo fa. "Sono quelli fascisti, quelli che sono d'accordo con Germ..."

"LOVINO!" Lovino è saltato all'urlo della Roma, e Feliciano ha addirittura sussultato .

 Roma chiuse gli occhi, si lisciò la fronte, poi forzò le sue labbra in un sorriso. Si sporse leggermente in avanti e parlò a bassa voce. "Hai ragione, Lovino , certo. Ma di queste cose non si parla per strada. Ora ti occuperai di tuo fratello, vero?"

Lovino strinse gli occhi. Quello era giocare sporco... ovviamente Lovino si sarebbe preso cura di Feliciano. Guardando di sottecchi il fratello, Lovino si accorse che era terrorizzato. Sospirò stancamente tra sé e sé e prese la mano di Feliciano. Feliciano vi si aggrappò immediatamente. "Bene. Saremo alla cantina.»

"Bravo ragazzo", ha detto Roma. Lovino lanciò un'occhiata veloce ad Antonio, imbarazzato, ma avvertì appena l'espressione dell'uomo prima di voltarsi.

"Dai, Feliciano, andiamo a prenderci un po' di quella limonata che ti piace."

Feliciano lo seguì con entusiasmo. Lovino si è allontanato a malincuore, ma non prima di aver sentito le parole della Roma alle sue spalle. "Sono qui, finalmente. Ciò significa che hanno una lista di cittadini".

"Non preoccuparti, Roma". La voce delle parole di Antonio ha trasmesso un brivido sconosciuto lungo la schiena di Lovino . "Ti darò quella lista."

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Lovino sedeva da solo e ignorato nella cantina, facendo oscillare con noncuranza i piedi da un tavolo e incrociando le braccia imbronciato. Feliciano sedeva a un tavolo in un angolo, così assorto nell'immagine che stava disegnando che aveva appena alzato lo sguardo per un'ora. Lovino fissò la porta chiusa della stanza accanto, in silenzio furioso mentre nonno Roma e Antonio continuavano una conversazione privata che a Lovino fu, ancora una volta, negata di sentire. 

Era stufo di non sentirsi mai dire niente, di essere trattato come un bambino. Nonno Roma aveva già spiegato che erano una resistenza, ma Lovino non sapeva nemmeno cosa significasse se non che non gli era mai permesso parlarne e non gli era mai permesso di sapere esattamente cosa stesse succedendo. Ma voleva sapere. Voleva sapere quali fossero queste "informazioni" che Antonio portava sempre con sé. 

Voleva sapere dove andava Antonio quando scompariva per settimane intere. Ma più di ogni altra cosa, Lovino ardeva dalla curiosità di sapere cosa facevano nonno Roma e Antonio e il resto della Resistenza quando facevano queste 'missioni' che sembravano così importanti, missioni che trascorrevano giorni a pianificare con mappe e armi e segretezza.

Lovino guardò da Feliciano alla porta chiusa. 

Sicuramente suo fratello non se ne sarebbe accorto se fosse andato ad ascoltare... 

La curiosità di Lovino ebbe presto la meglio su di lui. Lovino ormai era abbastanza abituato, ma se nessuno gli aveva mai detto niente, che altra scelta aveva? Saltò giù dal tavolo e corse verso la porta per cogliere quella che sembrava la fine della conversazione.

"Entra e siediti, Antonio. Hai le informazioni false per loro?"

"Ho tutto. Non preoccuparti, Rom. Ho già avuto a che fare con quest'uomo , mi ci vorranno solo pochi minuti per ottenere quella lista.

"Bene. Perché i minuti sono tutto ciò che hai. C'è una macchina per te alla fine della strada. Quello segnato in rosso."

Lovino non si è fermato a pensare. Se lo facesse, potrebbe iniziare a ragionare con la sua coscienza. Potrebbe costringersi a fermarsi e analizzare la situazione. Potrebbe rendersi conto che era una cosa incredibilmente stupida da fare. Ma si è rifiutato di fare nulla di tutto ciò. 

È semplicemente scappato dalla cantina, è corso fino alla fine della strada e si è fermato quando ha visto un veicolo parcheggiato da solo con un piccolo panno rosso appeso alla finestra. Era più un camion che un'auto, il telaio sul retro completamente soffocato da una copertura di tela scura. Con il cuore che batteva forte , la pelle in fiamme, ma la sua mente ancora rifiutava di ragionare, Lovino si precipitò e si arrampico sul pesante materiale. Poi, deciso a non pensare a quello che stava facendo, salì sul retro del camion e si gettò addosso la copertura.

L'oscurità lo avvolse e un forte, sgradevole odore metallico sopraffece i suoi sensi. Lovino lottò per controllare il battito cardiaco accelerato e il respiro aspro e pesante. Ha lottato per mantenere la calma.

Stava per vedere cosa stava succedendo. 

Stava per essere coinvolto in questo. Stava per costringere tutti a dirgli finalmente cosa esattamente faceva una Resistenza. 

Ma con solo oscurità davanti ai suoi occhi, e tutto silenzioso tranne che per il sangue che pulsava nelle sue orecchie, la mente di Lovino iniziò finalmente a riflettere. 

Che diavolo aveva fatto? 

Cosa stava facendo? 

Perché diavolo era seduto qui nel retro di questo camion che stava per partire per solo Dio sa dove, per quale motivo? 

Forse non è stata una buona idea dopotutto...

Un profondo ruggito gutturale squarciò il retro del camion, il veicolo tremò mentre il motore prendeva vita. La paura salì nella gola di Lovino . 

Afferrò con urgenza la copertura, ma era troppo tardi. Il camion partì e Lovino non poté far altro che stare seduto al buio, desiderando che il suo cuore frenetico si calmasse, cercando di smettere di pensare di nuovo. 

Per fortuna il viaggio non fu lungo, anche se Lovino era sicuro che sembrava più duraturo di quanto non fosse in realtà . Non era sicuro se sentirsi sollevato o terrorizzato quando il camion finalmente si fermò e il motore si calmò. 

E quando ha sentito la voce di Antonio proprio accanto a lui, Lovino non sapeva se voleva saltare fuori dal camion e aggrapparsi a lui disperatamente o semplicemente saltare fuori dal camion e scappare via. Decise che la cosa migliore da fare era restare dov'era fino a quando tutta questa faccenda non fosse finita. Nessuno avrebbe mai saputo che era qui...

"Tutti i civili sono fuori dall'edificio?"  la voce di Antonio gli arrivò alle orecchie. Lovino la trovò stranamente rassicurante, poi si sentì subito arrabbiato per averlo fatto.

"Tutti fuori", rispose una voce sconosciuta. ''Solo le due camicie nere là dentro. Hai venti minuti, Carriedo . Venti minuti e farò saltare in aria questa macchina".

Lovino era sicuro di aver sentito il cuore fermarsi nel petto. 

Non riusciva a respirare. 

Tanto per fare parte della Resistenza per questo...

"Avrò quello che mi serve per allora," disse Antonio.

"Bene", rispose la voce dello sconosciuto. "Non sarò in vista. Quindi non fare tardi, capito?"

"Capito." Lovino aspettò finché poté, il cuore che batteva forte, il sudore che gli saliva ai bordi dei capelli. Alla fine, sapendo che non poteva restare nel camion, e sperando che lo sconosciuto se ne fosse andato, Lovino bussò freneticamente contro la parete accanto a lui. Solo un secondo dopo la coperta volò via sopra di lui, sbatté le palpebre alla luce improvvisa del sole, e Antonio imprecò ad alta voce. " Mierda ! "

"Per favore, non farmi saltare in aria", sussurrò Lovino .

"Ma che... ay Dios mio ... dannazione, Lovino , devi scendere da questa macchina." Antonio afferrò Lovino per un braccio e lo aiutò a scendere dal camion. La sua espressione era completamente scioccata. "Cosa diavolo stai facendo qui?" 

Con i piedi inciampati a terra, Lovino si accigliò con rabbia e si preparò un feroce attacco verbale. "Volevo solo vedere cosa stavi facendo, nessuno mi dice niente, io..."

"Ascoltami." Lovino si zittì al tono agghiacciante e ammonitore nella voce di Antonio. Non l'aveva mai sentito prima. "Non so cosa stavi pensando, ma devi fare quello che dico ora, capito?" 

Lovino raccolse tutta la sua irritazione nonostante fosse spaventato a morte per cercare di sembrare indignato. "Chi diavolo pensi..."

" Lovino , sono terribilmente serio." E poi Lovino tacque di nuovo. Antonio non aveva mai parlato così prima. 

Era come una persona diversa. "Stai zitto," continuò Antonio. "Non dire una parola. Stai affianco a me. E promettimi che farai tutto quello che dico, senza domande".

"IO..."

"Promettimelo." Gli occhi di Antonio erano duri, la sua voce imperiosa. Lovino inghiottì un'altra protesta.

"Prometto." Lovino fu quasi sorpreso dalle sue parole, ma non sembrava avere altra scelta per fare o dire diversamente.

Qualcuno è apparso alla porta dell'edificio accanto a loro e ha urlato con rabbia. " Carriedo , ti unisci a noi o cosa?" Lovino si rese conto con stupore che era una camicia nera , una delle forze governative fasciste appena arrivate in quella parte d'Italia. La camicia nera guardò Lovino in modo strano prima di scomparire nell'edificio, e alla fine Lovino capì la stupidata che aveva fatto, o meglio la cazzata che aveva fatto . Il terrore gli annebbiò la mente e rimase fermo, rifiutandosi di muoversi anche quando Antonio gli prese la mano e tirò.

''Starai bene, Lovino . Non permetterò che ti succeda niente". 

Antonio gli strinse la mano e per un attimo tornò quel sorriso allegro, quel luccichio nei suoi occhi. Lovino fu leggermente confortato nel vederlo, ma si tirò indietro dalla presa di Antonio.

"Io... io aspetterò fuori..."

Antonio sembrava quasi dispiaciuto. "Questo è troppo sospetto. Mantieni la tua promessa e starai bene".

"Dio mio." Lovino si fece il segno della croce, vecchia nervosa abitudine, e Antonio gli strinse di nuovo la mano.

La stanza sembrava un pub abbandonato. 

Un bancone dall'aspetto malconcio correva lungo la parete laterale e alcuni tavoli rotti e sedie rovesciate ricoprivano il pavimento. La camicia nera che li avevi accolti dalla porta si sporse su un tavolo coperto di carte, e un altro si appoggiò allo schienale di una sedia, guardandoli con circospezione. Lovino si aggrappò alla mano di Antonio, preoccupato di cosa pensassero le camicie nere o lui stesso, finché Antonio lo lasciò andare e lo fissò freddamente. Il suo intero comportamento cambiò in un istante. 

"Vai a sederti al bancone, ragazzino."

Gli occhi di Lovino si spalancarono per un brevissimo momento, sorpreso e infuriato, prima di ricordare la sua promessa. Si diresse allo sgabello più vicino alla porta, pregando che tutto finisse in fretta.

" Carriedo , non ti vedo da un po'." La camicia nera in piedi fece un cenno ad Antonio, che ricambiò con cautela il sorriso. Lovino ebbe la sensazione che quello fosse l'ufficiale superiore.

''Sai come stanno andando le cose, amico mio. Trovo che il mio tempo sia sempre più pressato in questi giorni, quindi devo fare in fretta. Sorprendente vederti giù in questo modo, comunque."

L'ufficiale roteò gli occhi. "E' un maledetto insulto essere spediti qui nel buco di culo d'Italia. Arrestare patetici aspiranti membri della resistenza. È uno scherzo."

Antonio rise, ma non era la risata spensierata, gioiosa che Lovino conosceva. 

Era freddo e crudele, e lo spaventava. "In realtà è per questo che sono qui, come sono sicuro che tu sappia. I miei superiori richiedono quella tua lista. Dobbiamo distruggere questa neonata Resistenza prima che le cose si spingano troppo oltre".

La camicia nera seduta lo schernì e incrociò le braccia davanti a lui. "E proprio perché - vorrei sapere, e devo ancora esserne informato - dovremmo darti questa importante informazione? È nostro compito schiacciare anche questa resistenza".

Antonio allargò le mani in modo pacifico e sorrise. 

Era freddo e senza gioia come la sua risata. "Amico Mio. Siamo tutti dalla stessa parte qui. Tu lavori per il bene più grande, io lavoro per il bene più grande. E come può attestare il mio amico qui presente", Antonio annuì all'ufficiale, "I miei superiori sono sempre bravi a premiare coloro che ci aiutano a raggiungere i nostri scopi. Inoltre, non mi aspetto che tu me lo dia per niente." 

Antonio prese un grosso rotolo di carta da dentro la camicia, si avvicinò agli uomini e lo gettò sulla massa di carte che già ingombrava il tavolo. 

"Credo che queste informazioni ti procureranno abbastanza favore e rispetto agli occhi dei tuoi superiori, anche se non sei tu a smaltire questa resistenza". I due uomini presero immediatamente le carte e iniziarono a sfogliarle.

Lovino si trovò trafitto mentre guardava. Quello non era l'Antonio che conosceva, quello con la risata pronta e gli occhi scintillanti e la generosità travolgente, che portava sempre regali, raccontava storielle stupide e giocava agli sciocchi giochi di Feliciano.

Ma d'altronde Lovino non conosceva per niente Antonio. 

Era solo ora, che vedeva il vero carattere dell'uomo? 

Era combattuto tra una paura esasperante e una strana, sconosciuta curiosità affascinate. Tutti i suoi pensieri furono bruscamente interrotti, tuttavia, quando la camicia nera seduta lo fissò con uno sguardo cupo e curioso. "Chi è questo ragazzo, Carriedo ?"

Il polso di Lovino pulsava così forte che si sentiva stordito; il suo collo bruciava di un calore nauseabondo. Cercò disperatamente di reprimere il panico crescente. Antonio aveva detto che non avrebbe lasciato che gli accadesse nulla. Lovino non aveva altra scelta che fidarsi di lui.

"Non è nessuno," disse Antonio in fretta, sorridendo in quel modo crudele, falso.

"Nessuno?" La camicia nera sembrava sospettosa. 

"Nessuno, che è seduto qui ad ascoltarci parlare di questioni top secret?"

Antonio guardò dalla camicia nera a Lovino . Lovino ricambiò lo sguardo, con gli occhi spalancati, con quella paura irreale che rifiutava di placarsi. 

Gli occhi di Antonio non tradivano alcun accenno di emozione. 

"Solo qualcosa che ho raccolto nel villaggio vicino ", disse dolcemente, fissando di nuovo la camicia nera . "Ora possiamo fare in fretta? Non pago questo ragazzo più del dovuto".

Entrambe le camicie nere risero consapevolmente, i loro sguardi che diventavano beffardi e sempre più sgradevoli. Le spalle di Lovino si irrigidirono, il calore al collo si diffuse in modo ripugnante. Si ritrasse dal bancone dietro di lui, rimpiangendo lo stupido impulso che lo aveva portato lì, desiderando follemente di poter in qualche modo tornare indietro e uscire da tutto questo. 

Cercò di gridare ad Antonio senza parole. 

Portami fuori di qui, bastardo ... smettila di comportarti così... oh Dio, fa' in modo che smettano di guardarmi così... 

"Beh, ora sappiamo perché hai così tanta fretta!" disse la camicia nera , alzandosi e prendendo a calci la sedia dietro di lui, gli occhi selvaggi fissi su Lovino . Lovino si morse il labbro così forte che sentì il sapore del sangue.

"Esattamente. Quindi facciamola finita, d'accordo. Quella lista?" Antonio afferrò le carte nella mano dell'ufficiale, ma l'uomo le ritrasse rapidamente e guardò Lovino con aria acuta . Il suo sorriso fece rabbrividire Lovino , quella voce fredda che gli strisciava sotto la pelle.

"Non credo che le informazioni che ci hai fornito siano un prezzo equo per questa lista. Forse c'è qualcos'altro che puoi scambiare invece."

Le spalle di Antonio si irrigidirono. Lovino notò che il suo sguardo si abbassava sottilmente, quasi impercettibilmente, per osservare le armi ai lati degli uomini. Lovino si chiese follemente se Antonio fosse armato. 

Il suo momentaneo di riflessione durò solo un secondo, e Antonio alzò lo sguardo e sorrise ancora una volta. "Non vedo perché no. Che ne dici di incontrarmi alla locanda  e possiamo continuare questo scambio? Sarò in viaggio non appena avremo concluso la nostra attività".

"Perché andare così lontano?" chiese l'ufficiale, facendo un passo avanti minaccioso. "Qui è un posto buono come un altro. Ci sono stanze al piano di sopra.''

L' intero corpo di Lovino si contrasse. 

Si ritrasse il più possibile, la sbarra del bancone che premeva a disagio nella sua schiena.

I pugni di Antonio si strinsero, poi si rilassarono. Anche l'altra maglia nera fece un passo avanti. Lovino non capiva cosa stesse succedendo, non voleva capire. Ancora una volta, tutto ciò che poteva fare era fidarsi di Antonio. Antonio ruppe la tensione dando una pacca sulla schiena al superiore e ridendo forte. "Beh, siamo tutti amici, no? Cerca solo di non metterci troppo tempo". Lovino si disse che Antonio stava recitando una parte. 

Non era proprio da lui... Antonio non intendeva questo...

''Ah, non credo, è abbastanza carino. Inoltre, hanno tutti lo stesso aspetto da dietro". Gli occhi dell'ufficiale attraversarono Lovino dall'altra parte della stanza.

"Il fatto che sia giovane, aiuta sempre", ha aggiunto l'altra maglia nera . 

I loro risate minacciose e malate, fecero accapponare la pelle a Lovino. Antonio rise con loro, fece scivolare un braccio sulla spalla dell'ufficiale; e poi, rapidamente e facilmente, aveva in mano la lista. La mise subito in tasca e si allontanò.

"Sono contento che siamo riusciti a trovare un accordo. E per favore, insisto anche che tu vada per primo." 

Lovino non riusciva a respirare. 

Non ce l'avrebbe fatta... sarebbe andato nel panico, avrebbe iniziato a urlare, sarebbe scappato... 

"Ma prima," continuò Antonio, "Si gela qui dentro. Non si gela qui dentro? Ehi, ragazzino".

Antonio lo stava guardando, gli  stava parlando. 

Lovino lo fissò supplichevole, ma il volto di Antonio era vuoto. 

"Corri fuori e prendi la mia giacca dalla macchina."

Lovino non ci ha pensato due volte. Si mise in piedi e corse. 

Una volta fuori, all'aria aperta, si fermò, il sollievo lo inondò. Essere fuori da quella stanza orribile e soffocante, lontano da quegli sguardi vili e quelle risate rivoltanti. Ma ora non aveva idea di cosa fare. Correre? Aspettare? Lovino guardò impotente la strada deserta; lacrime di rabbia e frustrazione iniziano a salire. 

Pregò silenziosamente Antonio di sbrigarsi. Il suo respiro era troppo veloce, le sue mani tremavano, la sua mente era ancora troppo vicina al panico... 

Lovino quasi singhiozzava di sollievo quando Antonio uscì rapidamente dalla porta, gli afferrò la mano e praticamente lo trascinò per la strada.

"Continua a camminare, non fermarti." Il viso di Antonio era fisso in un'espressione fredda e rigida che Lovino non aveva mai visto prima, gli occhi d'acciaio fissi in lontananza, la bocca tirata quasi in un ringhio. 

Sono quasi scappati mentre si precipitavano via dall'edificio.

"Cosa è appena successo?" chiese Lovino , gelida paura che ancora gli scorreva nelle vene. "Che cosa hai fatto?"

"Continua a camminare."

"Cosa sta succedendo? Cosa volevano?"

"Non è niente, Lovino ." Ma Lovino non aveva mai visto lo spagnolo spensierato e allegro sembrare così furioso.

"Ma cosa..." Improvvisamente un'enorme esplosione esplose da dietro, il rumore assordante si abbatté sulla strada deserta. L'aria divenne brevemente calda e pesante. Il corpo di Lovino sobbalzò per lo shock. 

Si guardò alle spalle e vide l'auto in pezzi e l'edificio in fiamme, con la parete anteriore distrutta. Le gambe di Lovino si indebolirono; inciampò, ma subito Antonio lo tirò su e continuò a tirarlo lungo la strada. 

"Oh mio Dio," ansimò Lovino senza fiato. "Dio mio..."

Un'auto vuota aspettava proprio dietro l'angolo. Antonio ha aperto la portiera del passeggero, aiutando Lovino a salire in macchina prima di salire al posto di guida e partire a tutta velocità. 

Lovino si strinse al bracciolo, la mente congelata per lo shock, tutto il suo corpo tremante. Niente era reale, niente poteva essere reale, era stato tutto troppo veloce, troppo surreale, troppo...

"Stai bene, Lovino . Respira e basta. Sei al sicuro, sei con me e ora va tutto bene".

Lovino cercò di fare come diceva Antonio, cercò di respirare, ma aveva il petto troppo stretto e la gola troppo secca. "Quegli uomini... erano ancora lì dentro..."

"Sì."

"Hai detto... hai detto che non avresti mai potuto uccidere nessuno..."

"Ho detto che non avrei mai potuto uccidere una persona innocente. Quegli uomini non erano innocenti, Lovino . È difficile, lo so, è difficile da capire. Ma attraverso la loro morte abbiamo salvato molte persone oggi". 

Le nocche di Antonio erano bianche mentre stringeva il volante, i suoi occhi ancora troppo freddi e troppo duri. A Lovino non piacevano affatto. 

Voleva che Antonio sorridesse, ridesse, dicesse qualcosa di sciocco e idiota nel suo allegro accento spagnolo. Questo lato di Antonio lo terrorizzava. 

Ma allo stesso tempo, Lovino trovò la sua curiosità un po' placata. Questo era quello che faceva la Resistenza , quello che faceva Antonio ... questo era quello che Lovino aveva voluto sapere. 

Lovino si costrinse a respirare con calma, e rilassarsi.

"Loro... pensavano che lavorassi per loro", disse Lovino dolcemente.

"Molte persone pensano che lavori per loro".

"Cosa c'è scritto su quel foglio che hai chiesto?"

"È un elenco di abitanti dei villaggi locali sospettati dal governo".

Lovino inghiottì un'ondata di nausea, poi si costrinse a fare la domanda a cui non era sicuro di volere la risposta. "Cosa hanno fatto... quegli uomini... hanno detto che volevano qualcosa in cambio..."

Antonio ha schiacciato il piede sull'acceleratore. 

Lovino afferrò il lato del sedile mentre l'auto schizzava in avanti. 

''Non era niente, Lovino . Non pensarci più ''.

Lovino si costrinse a rimanere in silenzio per il resto del breve tragitto in auto. Antonio ha parcheggiato l'auto nello stesso punto da cui era partito il camion. Lovino lo seguì lungo la stradina e su per le scale di fronte alla cantina fino al suo appartamento in affitto. "Devo solo mettere via queste carte," disse velocemente Antonio. "Poi ti accompagno a casa, ok? Stai bene, Lovino , adesso va tutto bene.

Stava andando tutto così veloce, e Lovino era così confuso, si sentiva come se un turbine gli stesse attraversando la testa. 

Antonio non era ancora se stesso. La stanza girava mentre Antonio conduceva Lovino veloce attraverso la porta d'ingresso delle sue squallide stanze in affitto, parlando senza sosta per tutto il percorso, ripetendosi; sembrava stranamente come se stesse combattendo con se stesso. "Devo solo mettere queste carte in cassaforte... Mi ci vorrà solo un attimo, poi ti accompagno subito a casa... Va tutto bene adesso, Lovino ... Lascia che le metta via e partiamo subito... 

L'accento di Antonio si faceva più pesante mentre parlava, e Lovino lottava per capire cosa diceva, perché parlava così freneticamente, perché tutto era vorticoso e confuso e perché...

Il mondo finalmente smise di girare quando Antonio lasciò cadere le carte in un mucchio, si voltò e tirò con forza Lovino tra le braccia. Lovino si bloccò, con le braccia lungo i fianchi, la mente in una foschia calda e vorticosa.

"Non farai mai... MAI... di nuovo una cosa del genere, capito?" 

Antonio ha quasi urlato le parole.

Lovino non poteva muoversi.

 La sua mente era insensibile. 

Non sapeva se Antonio fosse arrabbiato o turbato o fosse completamente impazzito. "IO..."

"Mio Dio, Lovino , quello era... non farlo..." 

Lovino sentì le braccia di Antonio premute saldamente intorno alla sua schiena, che lo trattenevano, lo circondavano; sentì il suo petto che si sollevava contro la sua guancia e il suo respiro caldo contro i suoi capelli. 

La voce di Antonio era più gentile quando parlò di nuovo. "Per favore, non farlo mai più."

Lovino non aveva idea di cosa fare. Perciò molto lentamente, esitante, alzò le mani e le appoggiò contro le braccia di Antonio. Perché quella brutta esperienza era finita, e nonostante tutto, Lovino si sentiva al sicuro così. 

"Va bene", rispose dolcemente. 

Ma Antonio non si mosse. 

La stanza era così silenziosa, così immobile, silenziosa tranne che per il suono dei loro respiri rapidi nell'aria pesante. L'intero orribile pomeriggio si dissolse finché non ci fu nient'altro che quello. Un nodo attorcigliato nello stomaco di Lovino ; un brivido gli palpitò in gola. 

Non sapeva se poteva staccarsi dalle braccia forti di Antonio, e non sapeva se voleva. Quindi si strinse più forte, girò la testa e sentì le labbra e il respiro di Antonio così vicini sopra di lui. Il suo battito aumentava così velocemente che non riusciva a respirare attraverso di esso, la sua pelle bruciava come se fosse piena estate, e sentiva il cuore di Antonio battere contro il suo orecchio quasi veloce quanto il suo.

Lovino iniziò ad avere le vertigini, insicuro, proprio mentre le braccia di Antonio si stringevano intorno a lui.

E poi i loro corpi erano così vicini l'uno all'altro, uniti dal petto ai fianchi. Antonio disse il suo nome, quasi in adorazione, così Lovino si fece più vicino, finché non lo disse di nuovo e sembrò dolorante. 

La spirale stretta e calda nel petto di Lovino gli attraversò la spina dorsale e si avvolse alla base dell'intestino, allargandosi più in basso, fino a quando non fu quasi ansimante per le sensazioni sconosciute ma estasiate che inondavano il suo corpo. E le labbra di Antonio erano così vicine e il suo respiro così caldo; le sue braccia così ferme e il suo odore così prepotente... 

Lovino non poteva muoversi, non poteva pensare, poteva solo premersi contro di lui, sentendo quella calda sensazioni stringersi, avvolgerlo, muoversi verso qualcosa... 

Lovino ansimò forte, sussurrò piano... " Oh ..."

"Dannazione, no, BASTA !" Lovino barcollò all'indietro quando improvvisamente Antonio lo spinse via con forza. 

Ci volle tutta la sua forza e il suo equilibrio per evitare di cadere a terra. Quando tornò in sé, la stanza era fredda, buia, silenziosa. 

Antonio era in piedi dall'altra parte della stanza, le mani sulla testa, dando le spalle a Lovino . Una vergogna confusa si diffuse lentamente dal cervello ancora annebbiato di Lovino , fino a quando non fu completamente inghiottito da un'umiliazione bruciante e nauseante. 

Antonio lo aveva allontanato. 

Lovino si era lasciato trasportare, aveva frainteso. 

Antonio doveva essere disgustato, sgomento. 

Lovino poteva sentire il suo respiro dall'altra parte della stanza. 

"Devi andare, Lovino ." La voce di Antonio tremava. 

"Subito. Devi andartene subito". 

Lovino si coprì la bocca e barcollò all'indietro, mortificato. "Io... mi dispiace ..." Lovino si strozzò con quella parola, sbattendo le palpebre con rabbia silenziosa. Il suo imbarazzo si trasformò bruscamente in rabbia bollente. Socchiuse gli occhi e strinse i pugni. 

"Bastardo, come osi!" 

Come osa Antonio allontanarlo così? 

Come osa far sentire Lovino così? 

Come osa trasformarsi completamente in questa persona che Lovino a malapena riconosceva ? 

La furia di Lovino si intensificò quando Antonio non si voltò. Urlò più forte che poteva, abbastanza forte da cercare di affogare la brutta, nauseante umiliazione che gli bruciava la pelle, che gli faceva venire voglia di correre e nascondersi per sempre. "Ti odio! Vattene dal mio paese, via dalla mia vita! Non vorrei mai, mai più rivederti! Capisci? Ti odio, completo bastardo !"

Lovino corse fuori dalla stanza. 

Si rifiutò di riconoscere le lacrime nei suoi occhi, l'angoscia nel suo petto. Si concentrò solo sulla sua rabbia. Corse lungo la strada, fuori dal villaggio, e cercò di convincersi che non era arrabbiato; non era deluso; non era inesorabilmente e completamente distrutto. No, era solo pazzo, furioso, rancorso. Lovino odiava Antonio Carriedo . 

Doveva. Perché era troppo doloroso pensare a cosa significasse se non l'avesse fatto.

——————————

Lovino non ha visto Antonio per una settimana. 

Stava volutamente lontano dalla cantina, e Antonio non veniva alla cascina. 

Lovino si disse che era contento. Ma per giorni, quando chiudeva gli occhi, non vedeva altro che quegli sguardi disgustosi sui volti della camicia nera , quell'edificio in fiamme, quella macchina distrutta. 

Tutto ciò che udì nel silenzio fu quell'enorme palla di fuoco di un'esplosione; Il respiro di Antonio. 

Tutto ciò che sentiva, nelle prime ore buie, quando non riusciva a dormire e non poteva impedire alla sua mente di correre, erano le braccia di Antonio intorno a lui; il suo respiro sul collo; quella sensazione di beatitudine che Lovino non riusciva a spiegare... e poi le mani di Antonio che lo spingevano via con forza. 

Nonno Roma sembrava intuire che qualcosa non andava, anche se non faceva domande. 

Ma per fortuna, Feliciano era ignaro come sempre.

" Lovino , non è giusto, tocca a me!" Feliciano corse al fianco di Lovino , cercando di calciare il pallone da sotto i suoi piedi. Lovino lo tenne abilmente lontano, quasi ridendo mentre si faceva strada fuori dal giardino sul retro e intorno al lato della casa.

"Devi prendere la palla da solo, come imparerai se no?" Lovino ha gridato di rimando prima di calciare il pallone in avanti e inseguirlo.

Il sole pomeridiano splendeva luminoso sull'erba ben tagliata e la brezza autunnale era sorprendentemente fresca mentre soffiava a raffiche, scuotendo gli alberi nei campi circostanti. Lovino era effettivamente grato a Feliciano per quella stupida distrazione. 

Per la prima volta in una settimana, pensava a malapena ad Antonio.

"Ma Lovino , sei più veloce di me, non è giusto!"

''Niente è giusto, Feliciano. Ora andiamo, so che puoi correre più veloce di così. Vieni a rubarmi questa palla!" Tenendo la palla davanti a sé, Lovino corse dietro l'angolo della casa, fuori dall'erba, sulla stradina; e quasi andò a sbattere contro Antonio. Lovino soffocò un grido di sorpresa. Il cuore gli balzò in gola a disagio e si fermò di scatto, la palla che volò dimenticata lungo la strada. Il sudore gli saliva alla fronte e le sue spalle si irrigidivano mentre faceva un cauto passo indietro.

"Buongiorno Lovino !" La voce di Antonio era allegra come sempre, il suo sorriso semplice e gioioso di nuovo al suo posto. Sembrava di nuovo se stesso, non quell'Antonio sconosciuto che aveva parlato in modo così sinistro alle camicie nere , che si era comportato in modo così strano mentre conduceva Lovino nella sua stanza in affitto. Lovino sentì la familiare torsione nervosa dello stomaco, ma questa volta provò anche rabbia. Si limitò a scuotere la testa, impassibile, mentre Feliciano usciva di corsa dal giardino e correva verso Antonio, ridendo senza fiato.

"Antonio! Mi hai portato un regalo? Cosa mi hai portato?"

"Certo, Feli , non lo faccio sempre? Per te ho..." Antonio posò la valigia grande che portava e si tirò sulla spalla un piccolo tamburo circolare dalla borsa. Feliciano sbatté le palpebre con aria interrogativa. "È un tamburello!" Antonio ha spiegato con un sorriso. "Suonalo. Tipo così." Antonio agitò il tamburo, facendo tintinnare allegramente i dischetti di metallo. Il viso di Feliciano si illuminò e prese il tamburello dalla mano di Antonio, scuotendolo subito selvaggiamente e scoppiando a ridere.

"Oh! È fantastico!"

Lovino chiuse brevemente gli occhi. Proprio quello di cui Feliciano aveva bisogno: un altro modo per fare rumore. Perché Antonio doveva essere sempre così dannatamente ignaro? 

''Dì grazie, Feliciano'', disse stancamente Lovino .

"Grazie, Antonio! Lo mostrerò al nonno!" Feliciano corse in casa, agitando per tutto il tragitto il tamburello, lasciando Lovino solo con Antonio. 

Incerto e inquieto, Lovino fece qualche passo indietro, poi si voltò per seguire Feliciano.

" Lovino ".

Lovino si fermò, il cuore che batteva traditore. "Cosa."

"Vado via per un po'." Antonio ha detto quelle parole troppo facilmente. Lovino si rifiutava di pensare o sentire qualcosa. Lo ha rifiutato, dannazione .

"Oh. Bene. Il nonno è dentro, sono sicuro che vorrà saperlo''.

Ancora una volta, Lovino rimase ad ascoltare una conversazione che non avrebbe dovuto sentire. Aveva cercato di andarsene, si era detto che voleva andarsene, ma alla fine non riuscì a trattenersi premendo un bicchiere di vino contro la porta della cucina e cercando di capire le parole che gli passavano davanti. Finora era riuscito a capire solo che Antonio se ne stava andando. Ma poi, c'era da aspettarselo... Antonio andava e veniva spesso da mesi. 

Perché questa volta era diverso?

"Non capisco", ha detto Roma. "Proprio quando le cose stanno precipitando..."

"Stai andando bene. I membri che hai qui sono leali, abili e devoti, e avrai bisogno di loro. Temo che il tuo tranquillo angolino d'Italia sia diventato una posizione troppo strategica per essere ignorata da qualsiasi parte".

"Ecco perché abbiamo bisogno di un informatore più che mai. È solo che non vedo perché te debba andare vai ora, quando abbiamo davvero bisogno di te."

"Posso aiutare meglio la causa a distanza. Il controllo delle camicie nere sta crescendo troppo e già iniziano a circolare voci di un'occupazione. Prima che le cose vadano troppo oltre, devo stabilire una via di fuga per la Spagna".

Roma si fermò un attimo. "Sì, certo, è vero. Comunque ci rivedremo''.

"Sì. Ma non per un po'. Dovrebbe volerci almeno un anno. Più probabilmente due o tre».

Il bicchiere di vino cadde a terra e si frantumò. 

Lovino non voleva ascoltare più nulla. Si sentiva come se fosse stato preso a pugni allo stomaco, il sangue che gli scorreva freddo sotto la pelle in fiamme. Corse fuori dalla porta della cucina sul retro, attraverso il giardino soleggiato e sulla strada. 

Si diresse lungo la strada che portava alle montagne, incurante del vento freddo, quelle parole che gli echeggiavano nella testa... un anno, come minimo. 

Più probabilmente due o tre... Lovino non si fermò finché non raggiunse una staccionata rotta a lato della strada. Ci cadde addosso , respirando pesantemente, le mani tremanti e il petto che si sentiva come se stesse per crollare. Due o tre anni. Era una vita. Per sempre. 

Non dovrebbe far così male... era arrabbiato con Antonio, si disse Lovino . 

Furioso. 

Lo odiava. 

Ma era inutile. 

Non importa quante volte Lovino l'abbia detto, non l'ha fatto. Non odiava affatto Antonio. E questo lo ha solo fatto arrabbiare di più. Che potesse sentirsi così per qualcuno che continuava a ferirlo. 

Lovino si sedette contro il recinto, guardando il cielo azzurro scurirsi, le foglie marroni che cadevano dagli alberi vicini e spolveravano l'erba verde sottostante. Quindi era questo. Non avrebbe più rivisto Antonio, se non per anni. Questa era la fine dell'intero capitolo stupido e inutile. 

Supponeva, in un certo senso, di essere quasi sollevato. Nonostante quanto male stava provando. Lovino iniziò a sentirsi assonnato mentre guardava una foglia caduta danzare nel vento. Si contorse e girò, sospinto da un'unica folata d'aria, volando su e cadendo di nuovo sullo sfondo delle montagne lontane. Lovino sentiva che la sua testa cominciava a cadere, i suoi occhi cominciavano a chiudersi...

" Lovino ".

Lovino sobbalzò e sussultò, poi alzò di scatto lo sguardo. Antonio rimase a guardare in basso, posando a terra borsa e valigia. Lovino scosse il sonno dalla sua testa e si tirò su, ignorando il modo in cui il suo cuore faceva quella stupida cosa che svolazzava. "Vattene via!"

"Per favore." Qualcosa nel modo in cui Antonio lo disse fece esitare Lovino . Lo fissò diffidente per un momento, sollevò le ginocchia e le avvolse tra le braccia.

"Pensavo che te ne andassi."

"Infatti. Sto prendendo la strada attraverso le montagne. La mia macchina è su questa strada. Non pensavo che sarei stato abbastanza fortunato da trovarti lungo la strada!"

"Stai zitto." Era una risposta stupida, infantile, ma Lovino non riusciva a pensare ad altro da dire. Antonio lo ignorò.

"Beh, sono contento di averlo fatto." Antonio si sedette lentamente contro la staccionata, lasciando una cauta distanza tra loro. "Non ti ho ancora dato il tuo regalo."

Lovino lo guardò con circospezione. "Perché avresti un regalo per me? Tu mi odi. Ecco perché te ne vai''.

Antonio sembrò leggermente stupito, poi rise e scosse la testa. "Oh, questo è molto lontano dalla verità."

Lovino aggrottò le sopracciglia. "Quindi non te ne vai a causa mia?"

'Vado via. Ma non perché ti odio.''

"Non ha senso, bastardo."

"Forse capirai un giorno."

Lovino tacque. Ne dubitava molto. 

Antonio prese la custodia accanto a sé, l'aprì e, con grande sorpresa di Lovino , tirò fuori una chitarra. "Questo è per te."

Lovino si limitò a fissarla, colpito ancora dallo stupore. Erano anni che desiderava una chitarra , ma aveva rinunciato a ogni speranza di acquistarne una ora che era iniziata la guerra. Non riusciva a credere, dopo tutto, che Antonio gliene porgesse uno così facilmente. 

"Oh." Lovino toccò la chitarra, poi guardò il viso sorridente di Antonio e lasciò cadere la mano. Lanciò ad Antonio uno sguardo interrogativo, non sapendo cosa chiedere, come chiedere. 

''La settimana scorsa'', spiegò Antonio, ''in paese Feliciano ha detto che hai gettato una monetina nella fontana e desideravi una chitarra''.

Lovino scrollò le spalle, leggermente imbarazzato. "L'ho detto solo per far sì che Feliciano smettesse di tormentarmi".

"Oh, quindi non vuoi una chitarra?" Antonio iniziò a rimetterlo nella custodia. Lovino si allungò senza pensarci per fermarlo.

"No, la voglio, io..." Antonio sorrise trionfante e Lovino si sentì la guancia arrossarsi. 

Perché Antonio faceva sempre queste stupidaggini?

Lovino guardò per terra e borbottò: "Non so suonare".

"Imparerai. È facile. Ascolta." Antonio ha tenuto la chitarra in posizione e ha strimpellato alcuni accordi finché una melodia lenta e lirica ha iniziato a fluire dalle corde. Sorrise a Lovino . "Questa è una nuova canzone che ho sentito di recente. Mi ha fatto pensare a te". 

Lovino non ha avuto il tempo di registrarlo completamente prima che Antonio iniziasse a cantare. Lovino non capiva le parole spagnole, ma la voce di Antonio era meravigliosa; leggero e cadenzato e che scorre così facilmente sulle note. Suo malgrado Lovino ne rimase affascinato, ipnotizzato , avvolto nelle ricche armonie che derivavano dalla chitarra e dalle labbra di Antonio. Lovino non credeva di aver respirato l'intera canzone, guardando le dita di Antonio accarezzare le corde e le sue labbra formare quelle belle parole, fino all'ultimo verso che Lovino quasi credeva di aver capito...

''Bésame mucho, love me forever and make all my dreams come true''

Bésame mucho , amami per sempre e realizza tutti i miei sogni ." 

Per un breve momento Lovino si chiese se Antonio avesse cantato il verso in italiano; ma no, deve aver capito male. Lovino non disse nulla, ma prese con cura la chitarra quando Antonio gliela consegnò. "Quando ti vedo di nuovo, puoi suonare qualcosa per me!" 

Lovino passò la mano sul legno levigato, il cuore che batteva più veloce, la mente impazzita di emozioni confuse e contrastanti. "Probabilmente la metterò nella mia credenza e non lo guarderò mai più."

Antonio alzò allegramente le spalle. "Fai quello che vuoi, è tua!"

Ma Antonio doveva essere arrabbiato con Lovino . Non avrebbe dovuto presentarsi tutto allegro e felice e dargli una chitarra e cantare per lui e confonderlo ancora di più e... 

"Cosa ho fatto di sbagliato?" Lovino fece una smorfia non appena si rese conto che le parole erano uscite. Non avrebbe dovuto dirlo. Dannazione, lui doveva stare zitto. 

Antonio scosse la testa, la sua espressione improvvisamente seria. 

"Non hai fatto niente di male..."

Lovino non avrebbe voluto dirlo, eppure non riusciva a smettere... 

"Lo so che non avrei dovuto nascondermi in macchina quel giorno, non volevo proprio fare un casino, io..."

"No, Lovino , ascolta. Io devo chiedere scusa a te. Mi dispiace tanto." Antonio fece per allungare la mano, poi la ritirò velocemente e rise tremante tra sé e sé. "Venticinque anni e ancora non so come reagire correttamente, vero? Per tutto questo tempo, sono stato così fuori luogo. Non avrei mai dovuto farti correre a casa da solo l'altro giorno, dopo quell'esplosione, dopo quello che io..." Antonio sospirò e si passò una mano sugli occhi. 

Lovino non riusciva a seguire ciò che Antonio stava cercando di dire. " Lovino , non hai fatto niente di male. Sono stato io. Ecco perché me ne vado''.

"Ma tornerai." Lovino ha cercato di far sembrare che non gli importasse. Cercò di convincersi che non gli importava.

"Dopo che avrò stabilito una via di fuga per la Spagna e fatto qualche contatto in più, sì, tornerò. Potrebbero volerci alcuni anni. Ma questa guerra non finirà tanto presto''.

"No." Lovino alzò gli occhi al cielo che si oscurava, sentendo addosso gli occhi di Antonio. Rimasero così, in silenzio tranne che per il rumore del vento, finché Antonio finalmente parlò di nuovo.

"Devo andare. La mia macchina mi sta aspettando".

"Va bene." Lovino teneva gli occhi al cielo, le mani strette alla chitarra.

"Ci vediamo presto, Lovino . Rimani al sicuro. Non fare niente di stupido. Promettimelo.»

Lovino finalmente guardò Antonio, che sorrise di nuovo allegramente. Lovino corrugò la fronte e soppresse quel nodo nello stomaco. "Perché continui a chiedere queste stupide promesse?"

Antonio rise mentre si alzava e prendeva la sua borsa. Sorrise a Lovino , i suoi capelli castani che ondeggiavano al vento, i suoi occhi luminosi più verdi dell'erba. 

Adios , mi corazón ." 

Poi si voltò e se ne andò. 

Lovino osservò Antonio che tornava sulla strada, facendo dondolare la borsa, fischiettando stonato mentre procedeva. Lovino lo guardò allontanarsi, in Spagna, in pericolo, chissà dove. Lontano per anni.

 Lovino lo osservò finché non scomparve dietro un bivio. 

E si chiese perché facesse così dannatamente male .

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Storia originaria di George DeValier.

Capitolo tradotto dalla sottoscritta, ne detengo i diritti di traduzione. 

 

 

Estate 1934

Nella campagna francese

"Si sta facendo tardi. Probabilmente dovremmo iniziare a tornare in città". 

Francis pronunciò le parole con riluttanza.

Antonio si portò al naso un rametto di lavanda e inspirò profondamente. 

Il luminoso sole pomeridiano discendeva lentamente nel cielo che si oscurava sopra di lui; l'erba verde, folta e morbida, sembrava una coperta sotto di lui.

“Qua, prendi un altro sorso prima”, ha detto Gilbert, passando una bottiglia di vino a Francesco sopra la testa di Antonio. Il liquido rosso scintillava mentre un raggio di sole filtrava attraverso il vetro.

''Bene'' disse Francis, prendendo la bottiglia. "Ma non possiamo stare su questa collina tutta la notte."

"Perchè no?" chiese Antonio. "Mi sento come se potessi restare qui per sempre."

Francesco rise. "Sono abbastanza sicuro che potresti, pigro bastardo."

"Non posso credere che la settimana sia quasi finita", ha detto Gilbert. 

"Come fa ad essere sempre così dannatamente veloce?"

Antonio scosse la testa, senza una risposta a quella domanda. Negli ultimi cinque anni, da quando aveva compiuto quindici anni, i momenti più belli della vita di Antonio erano state quelle brevi settimane dell'anno che riusciva a trascorrere con i suoi due migliori amici. 

Parlare, ridere, litigare, flirtare, bere, visitare la città... se solo la vita potesse essere sempre così.

"La prossima volta, a casa mia, sì?" continuò Gilberto. “Ludwig mi ha chiesto quando potrà vedere voi ragazzi un’altra volta.”

"Come sta il piccoletto?" chiese Antonio. "Gli è piaciuto quel modellino di aeroplano che gli ho inviato per il suo compleanno?"

“Non più così poco. Dodici anni e la piccola merda è quasi più grande di me. Ma amava l'aereo. È appeso al soffitto con tutti gli altri''.

''Va bene'' disse Francis. “Facciamo dicembre, d'accordo? Non c'è niente come il Natale in Germania".

“Sì,” concordò Antonio. “Case di pan di zenzero e alberi di Natale luminosi e candele e neve…”

“ Gluehwein e grappa e birra…”

“Uomini muscolosi in lederhosen e bariste tettone in dirndl scollati… Ahh,” Francis sospirò drammaticamente. "Sì, questo dicembre mi innamorerò in Germania."

Antonio torse il collo e guardò Francis di traverso. “Non ti innamorerai. Dormirai con gente".

Francis lo guardò con disprezzo. "Sì, e mi innamoro di tutti quelli che condividono il mio letto."

''Non è amore, Francis. Quello è il sesso".

“Chi sei tu per dirmi cos'è l'amore e cosa non lo è? 

Mi sono innamorato mille volte e lo farò altre mille".

"Urgh", disse Gilbert ad alta voce. "Posso prometterti con sicurezza che non mi innamorerò mai."

Antonio guardò di nuovo il cielo blu scuro e respirò il profumo caldo e pulito della lavanda. “Mi innamorerò solo una volta.”

“Che noia terribilmente, mon cher . Non avrei mai pensato di sentirti fare dei moralismi ".

“Non sto moralizzando . Puoi dormire con chi vuoi - bonne chance; cuidare ; viel Spass . Sto semplicemente dicendo che credo che tu ami veramente una volta sola".

Francesco schernì. "E come dovresti riconosce a questo vero amore da tutti gli altri?"

“Beh, non lo so ancora. Ma lo farò quando accadrà. Sarà qualcosa come, quando la guardi, questa persona, e la vedi davvero, davvero. Potrebbe essere immediato, o potrebbe non essere la prima volta che guardi. E potrebbe essere sconvolgente, ma potrebbe anche essere solo una realizzazione silenziosa . Ma è quando lo guardi e ti rendi conto , al di là di ogni dubbio, che è la cosa più bella che tu abbia mai visto in tutta la tua vita”.

Francis sussultò in una finta rivelazione. "Penso che sia successo con quella barista ieri sera..."

Gilbert sbuffò. “Siete entrambi pazzi. Questa stupida idea dell'amore non esiste nemmeno”.

Antonio scrollò le spalle. “Ridi quanto vuoi. Ma accadrà. Quando lo vedrò... lo saprò".

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Primavera 1942 

Un villaggio in Italia

L'aria era calda e immobile, il sole pomeridiano basso e dorato tra le nuvole arancioni mentre Lovino e nonno Roma camminavano allegramente lungo la strada di campagna verso casa. Feliciano saltellava eccitato intorno a loro. Qualcuno gli aveva regalato un bicchiere di vino, che non mancava mai di renderlo ancora più insopportabilmente allegro ed energico del solito. 

Ma oggi era tutto a posto. 

Oggi a Lovino non dispiaceva. Perché oggi è stata una buona giornata per un'Italia libera.

O partigiano, portami via”, cantava Roma, il suo chiassoso baritono quasi echeggiava nei campi intorno a loro. 

O bella, ciao! Bella, ciao! Bella, ciao, ciao, ciao!''

Feliciano è sempre stato il cantante migliore. Lovino cantava solo quando era ubriaco. Il che probabilmente aveva qualcosa a che fare con il motivo per cui si è unito a suo fratello che cantava allegramente il ritornello al Nonno Roma. 

“O partigiano, portami via…”

“Che mi sento di morir!”

Si dissolsero tutti in selvagge risate. La missione quella mattina era andata alla perfezione - un camion carico di armi e informazioni vitali fatto esplodere - e il pomeriggio era stato passato a bere, cantare e festeggiare nel retrobottega della Cantina Verde. 

A Lovino era stato effettivamente concesso di partecipare alla missione questa volta. Naturalmente, non aveva fatto altro che stare con nonno Roma dall'altra parte della strada mentre dava il segnale, ma era lì. Ne ha fatto parte. Non era sicuro se fosse il vino o l'esilarante adrenalina che ancora scorreva nelle sue vene a renderlo così esuberante.

"Qual è il prossimo passo, nonno?" chiese Lovino con entusiasmo quando riuscì finalmente a controllare la sua risata. "Una base? Una via di rifornimento ? Un luogo segreto in città?"

“Oh, Lovino ,” sospirò Roma, sorridendo e battendo una mano sulla spalla del nipote. "Non possiamo semplicemente festeggiare oggi?"

"Ma dobbiamo pensare in anticipo, sì?" Il sole si affievoliva dietro gli alberi mentre svoltavano nello stretto vicolo che conduceva alla casa. "È quello che dici sempre, e oggi ti ho mostrato che posso assumermi più responsabilità, e penso davvero che sia ora che io..."

Lovino si fermò lentamente mentre guardava la strada verso la porta d'ingresso. C'era qualcuno in piedi davanti a lui. Lovino si sentì improvvisamente accaldo e stordito mentre tutto iniziava a vortica nella sua testa e il tempo rallentava fino a fermarsi. Feliciano ansimò rumorosamente, e Roma fece qualche passo frettoloso in avanti, tenendo la mano sopra gli occhi e strizzando gli occhi. "È questo…"

“Antonio!” gridò Feliciano, schizzando su per il viottolo e gettando le braccia al collo dello spagnolo ridente. Roma rise e lo seguì, dando una pacca sulla schiena ad Antonio, baciandogli le guance in un saluto esuberante. Lovino rimase immobile, stordito, al di là di ogni pensiero o sentimento, guardando da lontano il vivace saluto. 

Il suo intero mondo si è diviso, si è girato, si è capovolto. Aveva perso da tempo il conto dei giorni trascorsi dalla partenza di Antonio. Tutto ciò che sapeva davvero, ora, era che non si era davvero aspettato che sarebbe tornato. Lovino impiegò troppo tempo per muoversi, per costringersi a camminare lentamente lungo il viottolo.

"È così bello vederti qui finalmente!" disse Roma, con la sua voce alta che si diffondeva per la strada.

Il sorriso di Antonio brillava lungo il viottolo, illuminava la campagna. "È bello essere qui, Roma".

“Perché sei stato via così a lungo? Dove sei andato? Che cosa hai visto? Oh, oh, mi hai portato dei regali?"

" Certo che l' ho fatto, Feli !"

Antonio finalmente alzò lo sguardo e sorrise dolcemente quando Lovino finalmente raggiunse la soglia. 

Aveva lo stesso identico aspetto che Lovino ricordava... e suscitò la stessa identica reazione. Ancora quel palpitare nel suo cuore, nel suo stomaco; ancora questo fastidioso dolore che non riusciva a sopprimere, non riusciva a controllare. Ancora quella rabbia che Antonio aveva lasciato, che non era tornato. 

Dopo tutto questo tempo - quasi tre anni. Tre anni e non era cambiato nulla. Antonio sorrise allegramente, allegramente, poi alzò gli occhi al cielo e rise. “Niente a fatto."

Per un breve, folle momento Lovino pensò che Antonio gli avesse letto nel pensiero. Poi incrociò le braccia e si accigliò. "Nient'affatto cosa?"

Antonio si limitò a scuotere la testa, i suoi occhi verdi scintillavano mentre sorrideva con quel sorriso esasperante, perfetto, terribile, meraviglioso. "Niente."

Roma aprì la porta, prese Antonio sottobraccio e lo condusse in casa. “Entra, entra! Non restiamo tutto il giorno sulla soglia!”

Feliciano balzò attraverso la porta, Lovino lo seguiva lentamente, ancora stordito e un po' confuso. Antonio ha sorriso per tutto il tempo: mentre Roma prendeva le sue borse e gli offriva da mangiare e praticamente lo costringeva a sedersi a tavola, mentre Feliciano rideva e faceva infinite domande, mentre tutto andava troppo veloce per la testa di Lovino e lui faceva fatica a capire che Antonio era effettivamente seduto davanti a lui, nella sua casa, nella sua vita. Che lui fosse davvero qui , dopo tutto questo tempo, non più solo un intangibile sogno nella sua memoria, ma davvero qui, sorridendo e ridendo e rispondendo alle domande di Feliciano e spazzolandosi i capelli all'indietro e annuendo e guardando Lovino così sottilmente, così brevemente...

Roma ha messo sul tavolo due bottiglie di vino. “Vado a prendere dei bicchieri…”

“Li prendo io,” quasi gridò Lovino prima di precipitarsi velocemente in cucina. Una volta solo nella stanza emise un respiro profondo e tremante e si appoggiò alla panca, fissandosi le mani davanti a sé. 

Tre anni e pensava di aver superato tutto questo. 

Ma questa reazione... era più forte di quanto ricordasse. 

Questo gli fece perdere l'equilibrio; questo era spaventoso e inaspettato e così intenso da essere doloroso. 

Come poteva Antonio essere così meraviglioso, la sua voce ancora così allegra, i suoi occhi ancora così caldi e scintillanti?

 Come ha potuto infrangere così facilmente tre anni di tentativi di dimenticare?

La memoria spontanea è tornata rapidamente alla ribalta. Ricordi che Lovino aveva cercato di sopprimere, che aveva rievocato cento volte nella sua testa. Antonio che si chinava verso di lui e sussurrava che era bello; tenendogli la mano e dicendo che lo avrebbe protetto; cantando in spagnolo e porgendogli una chitarra e guardandolo sotto il sole e chiamandolo il suo ' corazón '. 

E naturalmente quel momento, quel momento che è vissuto fisso nella memoria di Lovino , quello che ha ripetuto più e più volte nelle prime ore buie da solo. 

Antonio che lo teneva stretto: la sensazione delle sue braccia e del suo respiro, il tocco delle sue mani, quelle sensazioni che risvegliava e sensazioni che evocava che non se ne sono mai veramente andate. 

E poi, quelle stesse mani che lo spingevano via. 

Lovino si rese conto che era ancora arrabbiato per questo, dopo tutti quei anni. 

Ormai Lovino era praticamente senza fiato, indifeso contro i ricordi e le emozioni che lo assalivano senza sosta. Perché adesso Antonio era tornato. Nella stanza accanto. Era qui, era tornato, e questo era di nuovo reale, e Lovino non sapeva come...

“ Lovino ?”

"Santa merda!" Lovino sobbalzò e si voltò. Feliciano squittì. "Non avvicinarti di soppiatto alle persone, Feliciano!"

Feliciano alzò le mani in segno di difesa . " Ma non l'ho fatto, io..."

"Cosa diavolo vuoi?"

"Hai detto che avresti preso gli occhiali e sei qui da quindici minuti."

"Oh. Bene, bene, io sono...” Lovino aprì l'armadietto e prese i bicchieri di vino. "Sto venendo ora."

Feliciano inclinò la testa. “Tutto bene, Lovino ? Sembri…"

"Sto bene!" Lovino chiuse sbattendo l'anta dell'armadio e tornò precipitosamente in soggiorno.

Seduto al tavolo mentre Antonio, Roma e Feliciano parlavano allegramente e facilmente, Lovino si sentiva completamente smarrito. 

Non sapeva come comportarsi, dove guardare, cosa fare con le mani. 

Cercò qualcosa su cui concentrarsi e si versò un bicchiere di vino davanti a lui, seguito velocemente da altri due prima che Roma gli prendesse la bottiglia e gli dicesse di rallentare. Lovino fissò il tavolo, imbarazzato, senza altra scelta che ascoltare l'accento spagnolo allegro e cadenzato di Antonio. Era ovvio che davanti a lui e a Feliciano,  Antonio parlava solo di argomenti poco importanti. Evitava di parlare della guerra, chiacchierando invece di cose stupide come le diverse auto che avevano in Belgio e il clima strano in Spagna. Ha fatto loro regali dai posti in cui era stato: cioccolato dalla Svizzera, vino dalla Francia, libri di poesie dall'Inghilterra. E per tutto il tempo Antonio rivolgeva a Lovino solo le più piccole occhiate, i più piccoli sorrisi, mentre rideva e scherzava e dava tutta la sua attenzione a Feliciano e a Roma. Lovino iniziò a chiedersi se lo stupido bastardo si fosse accorto che era lì.

 Non che ne fosse turbato, o ferito, perché non lo era, e non gli importava, lui...

“E come sei stato, Lovino ? Hai imparato a suonare la chitarra?"

Lovino si bloccò. 

E fissava. 

Antonio lo stava guardando. 

Sorridendogli. 

In attesa che parlasse. 

E oh Dio, il suo cervello si era appena spento e non riusciva a pensare a una sola cosa da dire, non poteva...

Roma fece un largo sorriso. “ Lovino è fortunato che il suo vecchio nonno abbia imparato a suonare nel corso della sua vita. Ha ereditato il mio talento naturale, ovviamente. È un vanto, non è vero Lovino ?"

Antonio lo stava ancora guardando dritto negli occhi. Lovino non riusciva ancora a parlare. Perché questo nervosismo, questo nodo stretto alla gola, al petto e allo stomaco che gli rendeva impossibile dire o fare o pensare qualsiasi cosa... Lovino si guardò le mani. 

"No", riuscì a soffocare. "Non proprio." Avrebbe potuto prendersi a calci da solo. Fortunatamente, Antonio ha cambiato rapidamente argomento.

"Cosa ne pensi del libro, Feli ?"

Feliciano inclinò la testa mentre sfogliava con aria interrogativa il libro di poesie inglesi che gli aveva regalato Antonio. "Dice che le poesie sono romantiche ma parlano solo di montagne, rose e persone che sparano ai gabbiani".

Antonio rise forte. Lovino strinse i denti. “'Romantico' si riferisce a un movimento artistico”, ha spiegato Antonio. "Non si tratta sempre di amore."

"Oh." Feliciano sembrava deluso.

Antonio sorrise a Lovino . "Ma le poesie d'amore sono anche le mie preferite , Feli ." Lovino lo ignorò e prese la bottiglia di vino.

Nonno Roma costrinse Antonio a restare a cena e la serata continuò allo stesso modo: Feliciano e Roma chiacchieravano, Antonio rideva e faceva loro domande. Lovino fissava il tavolo in silenzio, la nuca in fiamme e lo stomaco che si agitava per la rabbia, la gelosia e la frustrazione. Mangiava a malapena, alzava appena gli occhi, parlava a malapena per tutto il pasto; ma poi Antonio, Roma e Feliciano non avevano bisogno di aiuto nella conversazione. E Lovino era abituato a essere ignorato, dopotutto.

Dopo quella che sembrò tutta la notte, e solo un istante, Antonio finalmente posò il bicchiere e si alzò in piedi. “Temo di avervi disturbati troppo a lungo. È ora che torni nelle mie stanze in città''.

Lovino non sapeva se la sensazione nel suo petto fosse sollievo o delusione . Ma poi Roma si alzò in fretta e afferrò la spalla di Antonio. “Sciocchezze, amico mio. Hai bevuto troppo vino per fare il viaggio in sicurezza. Stanotte starai qui''.

Lovino prese una profonda boccata d'aria e subito si strozzò. Tossì, sputacchiò, ansimò, poi prese una bottiglia di vino e bevve qualche sorso per cercare di schiarirsi la gola. Infine, riprendendo fiato, Lovino alzò lo sguardo, gli occhi gonfi, il vino che gli gocciolava dalla bocca, e scoprì che tutti lo fissavano.

"Wow", disse Feliciano. " Tutto bene?"

Le guance di Lovino bruciavano per l'umiliazione. Fece alcuni respiri profondi, sbatté la bottiglia e diede un calcio alla sedia dietro di sé mentre si alzava.

 "Stai zitto. Che diavolo state guardando? Vaffanculo !”

“ Lovino !” gridò Roma, ma Lovino lo ignorò e si precipitò fuori dalla stanza.

Lovino ha rifiutato di parlare con Feliciano quando tornò in camera da letto chiedendo che cosa ha fatto di sbagliato, perché fosse stasera così irritabile, perché non era felice di vedere Antonio come lui e il nonno Roma, perché lui continuava fissando con rabbia in quel modo ... 

Lovino semplicemente lo ignorò e si gettò la coperta sulla testa, intento a un lunghissimo sonno la mattina dopo.

Ma non riusciva a dormire. 

Ovviamente non riusciva a dormire.

Come diavolo faceva a dormire quando Antonio era nella dannata stanza accanto ? 

Era tutto così stupido, e si era solo reso dannatamente ridicolo tutta la notte, ed era così arrabbiato con se stesso che si comportava in questo modo, si sentiva così, e perché non poteva impedire ai suoi pensieri di correre così e dannazione tutto ciò di cui aveva bisogno un po' d'aria.

Lovino si alzò dal letto e si infilò una maglietta. Controllò che Feliciano dormisse prima di lasciare la stanza e dirigersi verso la cucina. 

Spinse la porta nel giardino sul retro, inciampò un po' e si rese conto di essere ancora un po' ubriaco. La notte era calda, il giardino illuminato dalla luce di una luna quasi piena. 

L'aria notturna era profumata di giglio e rosmarino. Lovino si avvicinò direttamente alla parete di fondo, vi si appoggiò e fissò il cielo stellato. Sembrava più calmo qui fuori; quasi come se potesse finalmente cominciare a pensare con chiarezza. Ma proprio mentre iniziava ad abbassare lo sguardo, si accorse, con la coda dell'occhio, che qualcuno si trovava a pochi metri da lui. Una scossa brusca gli attraversò la testa e Lovino trasse un profondo respiro affannoso, quasi gridando mentre si portava una mano al petto per lo spavento.

"Scusa, sono io, scusa!" Riconoscere Antonio ha quasi peggiorato lo spavento di Lovino . 

Questa notte poteva diventare più imbarazzante? 

"Scusa, Lovino , ti ho spaventato?" Lovino guardò Antonio come se fosse pazzo, e cercò di regolare il suo respiro. Il volto di Antonio si è improvvisamente corrugato per la preoccupazione. “Sul serio, Lovino , tutto bene?”

"Stupido bastardo, dannazione, che diavolo stai facendo, mi hai spaventato a morte, chi diavolo c'è nei giardini degli altri a mezzanotte, voglio dire oh mio Dio, davvero!"

Antonio trattenne un sorriso e prese fiato tra i denti, alzando le spalle in segno di scusa. "Scusate." Si grattò la testa e poi gli porse un pacchettino. "Vuoi una sigaretta?"

Lovino guardò l'offerta con circospezione, il suo respiro si fece un po' più facile. 

Socchiuse gli occhi. "Sì." Allungò una mano e ne prese uno. 

Fissò Antonio che si metteva una sigaretta tra le labbra, accendeva un fiammifero, lo accendeva, poi porgeva la luce a Lovino . Lovino portò incerto la sigaretta alle labbra. Antonio gli tenne il fiammifero, sorridendo, con gli occhi scintillanti dietro la fiamma.

"Non dirlo a tuo nonno."

Lovino non aveva idea del perché quelle parole gli mandassero un brivido dolorante, formicolante, eccitato lungo la schiena e sulla pelle. ''Comunque non sono affari suoi'' disse Lovino in tono irriverente. "Ho diciotto anni, posso fare quello che mi piace." Lovino bevve un sorso dalla sigaretta e subito si dissolse in un attacco di tosse.

“Non inalare,” disse Antonio. Sembrava quasi che stesse ridendo.

Lovino lottò ancora per riprendere fiato prima che i suoi polmoni finalmente si schiarissero. Guardò Antonio, gli occhi umidi per la tosse. "Perché rimango sempre senza fiato intorno a te?" dannazione . Non era uscito molto bene. "Io... tu... voglio dire... cosa ci fai qui?"

Antonio ha risposto troppo facilmente. “Avevo bisogno di aria. È una bella notte, non è vero?"

“No, voglio dire cosa ci fai qui? Perché sei tornato adesso?"

Questa volta Antonio si fermò. “Era il momento giusto. Che con i tedeschi che prendono il controllo, e...” Antonio si fermò, poi sospirò, poi scosse la testa quasi incredulo, guardando solo Lovino . “Ma è così bello rivederti, Lovino . E tu sei così cresciuto!”

Lovino si ritrasse contro il muro, sentendo il bisogno di nascondersi agli occhi di Antonio. "Beh, è quello che succede in tre anni."

Antonio annuì e prese un tiro dalla sigaretta. Sorrise a terra. "Mi sei mancato."

Lovino poteva improvvisamente sentire il cuore che gli batteva forte nel petto. 

"Non ho nemmeno pensato a te." 

Quella era, ovviamente, una bugia totale. Non era passato giorno in tre anni che Lovino non avesse pensato ad Antonio. Mentre gli altri ragazzi del paese parlavano di ragazze, mentre nonno Roma scherzava sul fatto che si sarebbe fatto una ragazza, mentre lui cominciava a capire cosa ci si aspettava da un uomo e da una donna... tutto ciò a cui Lovino riusciva a pensare era Antonio.

“Questo è comprensibile,” disse piano Antonio. "Pensavo che mi avresti dimenticato."

 Lovino non lo disse, ma era impossibile. 

E avrebbe dovuto saperlo: ci aveva provato.

"Perché ci hai messo così tanto tempo?"

"Beh, ero molto impegnato."

“E non potevi venire a fare un saluto? 

Non una volta, in tre anni?"

Antonio sembrava sorpreso. "Beh, io..."

“Ero così confuso quando te ne sei andato, lo sai. Non ero sicuro di aver fatto qualcosa di sbagliato, ma hai detto di no, ma hai anche detto che te ne sei andato a causa mia, e non ho mai capito bene il motivo''.

Ci fu una pausa molto lunga mentre Antonio lo fissava, mentre Lovino elaborava lentamente ciò che aveva appena detto. 

Per poco non è scappato, ma poi Antonio ha risposto. 

“ Lovino , mi dispiace tanto. Penso di averti detto una volta che non sono mai stato molto bravo a separare il giusto dallo sbagliato, che mi sono sempre sentito troppo per capire la differenza''.

 Antonio si interruppe di nuovo, come se stesse riflettendo se continuare. 

Lovino attese in silenzio, il cuore che batteva, le mani tremanti.

 La notte era così calma e silenziosa intorno a loro; come se fossero da qualche parte molto lontano, molto tempo fa, dove cose del genere si potevano dire l'un l'altro. Antonio fece un respiro profondo prima di continuare. 

“Beh, ecco perché me ne sono andato. Perché quando ero intorno a te, non potevo fermare i sentimenti che mi hanno travolto. Mi hanno urlato contro, hanno superato tutto, hanno oscurato ogni senso di ciò che era appropriato e...” Antonio chiuse gli occhi, corrugò la fronte, prese un tiro dalla sigaretta. "Non dovrei dire questo."

Oh no. 

Non poteva fermarsi lì, non quando Lovino era così al limite; il suo cuore batte forte, la sua testa annebbiata, le sue ginocchia che tremano... 

"Quali sentimenti?" Lovino glielo chiese sottovoce, spaventato dalla risposta. "Cosa intendi?"

Antonio aprì gli occhi. 

Erano molto più scuri al chiaro di luna. 

“Non sono uno che gioca a cose del genere, quindi sarò onesto con te. Hai il diritto di sapere. Provo... dei sentimenti per te, Lovino . Ho sempre provato qualcosa. Mi chiedevo se andare via avrebbe cambiato qualcosa. Ma ovviamente non è stato così".

Lovino si aggrappò al muro dietro di lui, il sudore che gli saliva sulla pelle. Questa conversazione stava andando da qualche parte che non era sicuro di voler seguire. "Sentimenti?

"Sì. Sentimenti molto forti. Sentimenti romantici."

Lovino sussultò e distolse lo sguardo. Non si aspettava questo. Sentiva che sarebbe caduto da un momento all'altro. "Vuoi dire... come si sente un uomo per una donna?"

Antonio parlava lentamente. "Qualcosa del genere. Ma gli uomini possono sentirsi così anche nei confronti degli uomini".

Ora il cuore di Lovino sembrava essere stato schiacciato, il suo intero mondo si era capovolto. "La gente dice che è sbagliato."

"Le persone hanno paura di ciò che non capiscono".

“Allora, perché ... se i tuoi sentimenti non sono sbagliati... perché te ne sei andato, allora?”

Antonio prese un altro respiro tremante tra i denti. ''Avevi quindici anni, Lovino . Anche adesso sei ancora…” Antonio si interruppe e sospirò frustrato. “Anche adesso non dovrei dirlo, sono ancora così fuori luogo. Ma non potevo più stare lontano. Ogni notte negli ultimi tre anni ho pensato a te. E vederti ora... mio Dio, ma quanto mi sei mancato, è... è stupendo".

Lovino scosse la testa, tutto irreale e lontano. 

Non riusciva a comprenderlo.

Che qualcuno potesse dire queste cose su di lui, potesse sentirsi in questo modo per lui... Nessuno ha mai detto cose del genere di lui. 

Diavolo, non piaceva nemmeno a nessuno. 

Antonio deve essere confuso; non poteva significare questo. 

Dev'essere un errore, Lovino deve aver frainteso... Rimase fermo, la notte silenziosa intorno a lui, la sigaretta dimenticata che gli ardeva lentamente tra le dita.

''Non ti chiedo niente, Lovino . È solo che, come ho detto... hai il diritto di sapere".

Lovino era oltremodo sbalordito. Era semplicemente insensibile. “Io… io non…” Lovino non parlò a se stesso, non ad Antonio, ma solo perché non riusciva a fermare le parole che gli uscivano dalle labbra. "Non so cosa dovrei..."

"No" disse Antonio in fretta, severamente. "Non dovresti fare niente."

Respirando nel silenzio, Lovino finalmente alzò lo sguardo su Antonio: i suoi occhi verdi così scuri al chiaro di luna, il suo viso sempre allegro e appassionato così simile all'immagine impressa nella memoria di Lovino . 

Si chiese cosa significassero esattamente le parole di Antonio. 

Quali possibilità c'erano, cosa poteva significare... e all'improvviso non riusciva a respirare. 

"Oh."

 Lovino deglutì, lasciò cadere il mozzicone di sigaretta, si voltò...

 Appoggiò una mano al muro per sorreggersi, e lo ripeté, incapace di fermarsi. "Oh, oh…"

“ Mierda ”. Antonio era improvvisamente proprio accanto a lui, il viso contorto dall'angoscia. Quando la mano di Antonio quasi sfiorò il suo viso, Lovino quasi gridò. Si allungò per trattenerlo, per spingerlo via, non lo sapeva nemmeno, e poi si accontentò di sprofondare a terra. 

Antonio lo seguì, parlando in fretta. “Lascia perdere , Lovino , non era niente. Non è mai successo, va bene? Faremo finta che non sia mai successo e che io non abbia mai detto quelle cose, va bene?" 

Lovino scosse la testa, poi si fermò, poi annuì, rifiutandosi per tutto il tempo di guardare Antonio. Cercò di calmarsi pensando a quanto era stupido , che stupido si stava rendendo, quanto doveva considerarlo ridicolo Antonio. 

Perché ha sempre reagito così in modo esagerato? 

Tutti pensavano che Feliciano fosse sciocco e nervoso, ma Lovino era altrettanto stupido. Era almeno grato che probabilmente fosse troppo buio perché Antonio vedesse le sue guance bruciare per l'imbarazzo.

"Vuoi che me ne vada?"

Lovino alzò gli occhi mentre Antonio faceva la domanda lentamente, a malincuore. 

E si rese conto ... no. No, non l'ha fatto. 

Perché qui fuori, da solo, nel cuore della notte, sembrava ancora un altro tempo e luogo. 

Quindi forse andava bene abbassare la guardia solo per un momento. "No."

Antonio si sedette lentamente contro il muro. Lovino si coprì il viso con la mano, imbarazzato, ma Antonio gli sorrise. Lovino si passò una mano sugli occhi, guardò le stelle e la luna luminosa, quasi piena. Tutto sembrava così diverso qui.

"Sei così bello al chiaro di luna." Antonio disse le parole così piano che Lovino fu sicuro che non era destinato a sentirle. Si accigliò e alzò lo sguardo al cielo.

"Non dire bugie così stupide."

''Non è una bugia, Lovino . Sei davvero la cosa più bella che abbia mai visto…” 

Antonio fece una risata breve, sommessa, quasi un sospiro. "In tutta la mia vita."

———————

Era la prima riunione della Resistenza da quando Antonio era tornato, e la cantina era piena. Feliciano si sedette disegnando in un angolo e Lovino si sedette sul tavolo accanto a lui, facendo oscillare nervosamente le gambe mentre l'incontro si avviava a buon punto. 

Ma Lovino ha a malapena destato un'occhiata al nonno mentre la Roma ha tenuto il consueto discorso su attività recenti e vigilanza costante. 

Gli occhi di Lovino , invece, erano fissi su Antonio. 

La notte prima sembrava un sogno. 

Lovino non era nemmeno sicuro che fosse successo. Sicuramente non poteva essere reale. Sicuramente Antonio non poteva davvero pensare quelle cose su Lovino , non poteva sentirsi così per lui. 

Antonio era uno stupido bastardo , certo, ma nessuno era così stupido . Lovino scelse di credere di aver immaginato la maggior parte di tutto, e di aver frainteso il resto. Perché era più facile da affrontare. 

Ci volle qualche istante a Lovino per rendersi conto che Antonio lo stava fissando. E sorridendo. 

Lovino diventò rosso vivo e si concentrò sull'immagine che Feliciano stava disegnando accanto a lui. Con i pensieri che correvano veloci e frenetici nella sua testa e i nervi tesi, Lovino non poté prestare attenzione all'incontro finché non si accorse che Antonio stava parlando.

“I tedeschi hanno utilizzato diverse vie di rifornimento, ma nessuna così importante come questa. Questa ferrovia è il loro collegamento più diretto con l'Austria e viene utilizzata per trasportare rifornimenti vitali alle basi…”

Lovino inclinò la testa di lato, si morse il labbro e perse di nuovo completamente la concentrazione.

C'era qualcosa di diverso in Antonio quando parlava così. Qualcosa di eccitante e appassionato e confuso e così... attraente. Tutti nella stanza pendevano dalle sue labbra.

“Il nostro obiettivo è semplice. Se perdono questa linea ferroviaria, ritarderemo i tedeschi di mesi. Questa linea deve essere distrutta".

Nella stanza si diffusero sussurri e mormorii. "Non abbiamo mai tentato niente del genere prima", ha detto uno degli uomini.

"No. Ma la situazione non è mai stata così grave. Questo è solo l'inizio. Da qui i nostri attacchi contro i tedeschi aumenteranno... così come il pericolo».

Un brivido percorse la pelle di Lovino a quelle parole. 

Eppure era sorpreso da quanto quelle parole lo preoccupassero. Perché questo era quello che faceva Antonio, tutto il tempo, e Lovino iniziò a rendersi conto di quanto fosse in realtà pericoloso. E quanto lo spaventava tutto ciò.

Nei giorni successivi Antonio è tornato rapidamente a far parte delle loro vite. 

Era proprio come ricordava Lovino . Antonio che andava e veniva di continuo, facendo loro stupidi regali e ninnoli, restava a cena dopo aver parlato in privato con nonno Roma. 

Lovino stava conoscendo di nuovo Antonio e cercava disperatamente di non cadere in quel doloroso bisogno e desiderio. Ma era così dura quando Antonio gli sorrideva così, quando lo guardava dall'altra parte della stanza, quando Lovino riusciva a pensare solo a quelle parole che gli aveva detto in giardino, a quella confessione che sconvolse la vita. Quando si ritrovò a chiedersi se forse, solo forse, ci fosse un modo in cui la confessione potesse diventare qualcosa di più. Ma Antonio era già partito prima, e se ne sarebbe andato di nuovo, o alla fine si sarebbe reso conto di com'era veramente Lovino e che aveva commesso un errore enorme a provare quei sentimenti sciocchi e fuorvianti per lui.

La sera prima della missione, Antonio e nonno Roma hanno parlato in salotto fino a tarda sera. Feliciano era già a letto, ma Lovino sedeva in silenzioso in cucina, nauseato dall'attesa, spaventato e insicuro, lo stomaco che si contorceva nervosamente e la testa che gli martellava... 

Alla fine, incapace di sopportarlo, Lovino balzò in piedi e si precipitò nella stanza. Antonio e Roma alzarono gli occhi sorpresi. "Voglio venire con te."

Antonio sorrise, ma la Roma aggrottò la fronte e scosse la testa. "No. È troppo pericoloso''.

Lovino incominciò subito ad arde di rabbia. 

Non solo Roma lo trattava ancora come un bambino, ma lo faceva davanti ad Antonio. Lovino lo fissò, le mani strette a pugno. "So cosa sto facendo, nonno, io..."

“ Lovino , non stiamo avendo questa conversazione ora. La risposta è no. Oltretutto…"

''Non devo combattere'', insistette Lovino disperatamente. "Sicuramente hai bisogno di qualcuno che guidi la macchina o qualcosa del genere..."

"I piani sono già stati fatti e non abbiamo spazio per un altro".

"Ma ascoltami..."

“NO, Lovino !” 

Roma lo guardava come se fosse un seccatore, un bambino birichino, e la vista di Lovino si offuscava di rabbia. Il battito gli martellava la testa. Strinse i denti e i pugni, furioso e umiliato. Si morse il labbro così forte che sentì il sapore del sangue, poi guardò la Roma con aria di sfida.

“Potrei entrare nell'esercito domani se volessi, lo sai. Scommetto che non penserebbero che io sia troppo giovane".

Roma sembrava esasperato. "Non dire queste sciocchezze, Lovino ."

"Non è stupido, è la verità!" Poi con rabbia, senza pensare, volendo ferire e far arrabbiare Roma, Lovino ha gridato: “Come ti piacerebbe se andassi a unirmi ai fascisti? Sono sicuro che avrei più libertà con loro che in questa casa!”

Roma ha reagito subito. Batté il pugno sul tavolo prima di alzarsi, furioso, e fare un passo arrabbiato verso Lovino. 

Poi improvvisamente, in modo sconvolgente, Antonio si alzò e si mosse tra loro. 

Tutti si sono fermati. 

Ci fu una pausa pesante e silenziosa mentre registravano ciò che era appena successo. 

Anche Antonio sembrava sorpreso mentre Lovino lo fissava con gli occhi spalancati, Roma che lo fissava con un'espressione di confusione e rabbia. E poi Antonio rise.

“Se vuoi azione, Lovino , non ti consiglio di arruolarti nell'esercito italiano. Credo che reclutino in base alla velocità con cui puoi scappare con una battaglia che infuria alle tue spalle. Tristemente diverso dai tempi della Grande Guerra, Roma, no? Il che mi ricorda, volevo chiederti della tua famosa tecnica di evasione prima della sesta battaglia dell'Isonzo. Stavo pensando a come potremmo usare questa mossa geniale in un ambiente più piccolo. Sono sicuro che hai qualche idea."

Roma socchiuse gli occhi, li spostò velocemente tra Antonio e Lovino . Ma Antonio ha continuato a sorridere felicemente, e alla fine Roma ha annuito leggermente e ha fatto un passo indietro. 

“È interessante che tu lo dica. Vattene, Lovino ''.

Ancora furioso, ma ora anche confuso e irritato e molto stranamente, leggermente lusingato, Lovino corse fuori dalla stanza, attraverso la cucina, e in giardino. Aveva voglia di urlare. Invece si avvicinò al muro, lo prese a calci, poi si girò e vi si appoggiò pesantemente contro. 

Che diavolo era appena successo? 

Perché Antonio si era messo così tra lui e Roma, quasi a volerlo... proteggere? 

Era ridicolo, non aveva bisogno di protezione da suo nonno. Ma poi Antonio sembrava averlo fatto senza pensarci, automaticamente. Lovino si portò le mani alla testa come per impedire che esplodesse. 

Non poteva affrontare questo. 

Non era mai stato bravo a gestire le sue emozioni, ma ogni volta che Antonio era nei paraggi diventava mille volte più confuso. 

Sapeva anche Antonio cosa aveva fatto a Lovino ? 

Se lo facesse, si fermerebbe? E, soprattutto, Lovino lo vorrebbe?

Chiudendo gli occhi, Lovino sentì la sua pelle rinfrescarsi nella leggera brezza serale, il suo polso iniziare a rallentare e a tornare normale. Si rifiutò di ammettere a se stesso cosa stava aspettando. Ma lo stomaco gli doleva nervosamente, la testa che gli girava in attesa di qualcosa che non riusciva ad afferrare del tutto.

Alla fine, il rumore di passi si avvicinò e Lovino aprì gli occhi per vedere Antonio che gli sorrideva. Il polso di Lovino accelerò di nuovo, ma si limitò a ricambiare la fronte. "Bene. Avrei fatto meglio a chiederti di stare attento domani.''

"Lo farò."

"E io... ti vedrò dopo la missione."

"Sì." Gli occhi di Antonio brillarono al chiaro di luna e rise piano. 

"Per favore, non andare ad arruolarti nell'esercito nel frattempo." 

Lovino lo guardò torvo e aprì la bocca per rispondere, ma trattenne le parole e guardò per terra. "Volevi dire qualcosa?" chiese Antonio allegramente.

"No!"

“ Bene , allora. Arrivederci, Lovino ”. Antonio si voltò per andarsene, e il petto di Lovino si riempiva di panico e di dubbio.

“Aspetta, Antonio, io…” Antonio si voltò lentamente, speranzoso. 

Lovino si sforzò di ricambiare lo sguardo. 

Accidenti , è stato così difficile.

 “Ho pensato alle tue parole. Qui, in giardino, l'ultima volta. Quando mi hai detto...''

Ma non riuscì a finire la frase.

“Ricordo,” disse piano Antonio.

“Beh... questo è tutto. Ho solo... pensato a loro."

Antonio sorrise. "Va bene."

Lovino guardò torvo Antonio, timoroso di come avrebbe potuto interpretare le parole.

 “Questo non vuol dire niente, sai, non vuol dire che io…” E Lovino si era scavato una buca. 

Che stupidaggine da dire... 

Si accigliò amaramente e incrociò le braccia con violenza. "Ora puoi andare."

Antonio rise di nuovo, il viso così bello e spensierato nella luce soffusa. 

Poi prese la mano di Lovino e la sollevò lentamente. 

Lovino sentì il tocco attraversargli ogni parte, lo sentì infuocare nella sua testa e bruciargli nelle vene e fermargli il respiro. 

Cercò di tirare indietro la mano; non poteva costringerlo a farlo. 

Era la prima volta che Antonio lo toccava da quando era tornato... la prima volta in tre anni. 

E poi tutto il mondo si è girato quando Antonio ha portato la mano di Lovino alle sue labbra e l'ha baciata dolcemente, sorridendo con gli occhi scintillanti. “ Adios, mi corazón . "

Lovino poté solo aggrottare le sopracciglia e ritrarre la mano. 

Non sapeva cos'altro fare. 

Antonio rise, annuì e uscì dal cancello sul retro, fischiettando. 

Non appena se ne fu andato, Lovino rimase senza fiato, un sorriso indesiderato che si allargava in modo incontrollabile sul suo viso. La sua testa era leggera per la vertigine e quasi scivolò su per casa, le risate quasi traboccanti, tutta la rabbia e l'imbarazzo svaniti nell'incontenibile felicità di quel momento. Andò a camminare attraverso la porta sul retro, solo per fermarsi di colpo, bruscamente, il sorriso che scese immediatamente dalle sue labbra. Nonno Roma lo fissò sulla soglia, la sua espressione cupa.

"Nonno."

Gli occhi scuri della Roma si spostarono verso il cancello sul retro, poi di nuovo su Lovino . 

“ Lovino , non sarai mai solo con Antonio, mi capisci?”

Lovino trattenne un sussulto, poi cercò di sembrare confuso. "Ma nonno, cosa..."

Roma ha quasi urlato le parole. "Mi capisci?"

Lovino respinse una protesta e si limitò ad annuire, gli occhi a terra, il cuore che cadeva in piedi. "Sì, nonno."

"Bravo ragazzo. Adesso vai a letto''.

Rabbia.

Umiliazione.

Frustrazione inutile. 

Lovino annuì di nuovo. "Sì, nonno."

———————————

“Era inaspettato. Un piccolo gruppo di guardie della stazione. Erano sorpresi quanto noi. Li abbiamo abbattuti ma abbiamo perso alcuni dei nostri, e siamo dovuti scappare immediatamente…”

Lovino era arrivato presto alla cantina per incontrare nonno Roma e ascoltare i risultati della missione della notte precedente. 

Non era sicuro di cosa aspettarsi. Un tranquillo debriefing, una stanza vuota, differente dalla quella dove avevamo festeggiato allegramente l'ultima volta. Invece rimase ad ascoltare mentre Roma spiegava cosa era andato storto, perché avevano fallito. Ma Lovino non aveva bisogno di sapere tutto questo. Perché la maglietta del nonno Roma era rossa di sangue, perché i membri della missione sembravano logori e con gli occhi spenti, perché erano state poste pattuglie extra per le strade fuori, perché la gente sedeva negli angoli con lo sguardo assente e arrabbiato. Aveva solo bisogno di sapere una cosa.

“Antonio,” chiese, la voce leggermente incrinata. "Come sta Antonio?"

Lovino ha fatto finta di non notare lo sguardo rapido e tagliente che Roma gli ha lanciato. Si limitava a fissare il muro, aspettando la risposta. 

“Il proiettile gli ha solo sfiorato il fianco. Era abbastanza profondo, comunque. Ha perso molto sangue".

Un terribile brivido caldo percorse la schiena di Lovino. L'aria intorno a lui diventava densa e lenta, la sua testa intrappolata in un luogo nebbioso dove tutto era troppo buio e troppo veloce. "Dove si trova?" riuscì finalmente a soffocare, la gola secca.

Roma non ha risposto. Dopo una lunga pausa, uno dei membri disse: 

"La stanza laterale è diventata il nostro piccolo ospedale".

Lovino non aspettò più di sentire altro. Troppo perso nelle sue emozioni terrificanti per pensare a quello che stava facendo, attraversò di corsa la stanza fino alla porta laterale, ignorando il grido che lo seguì.

"Aspetta, sta dormendo..."

Lovino non si è fermato. 

Spalancò la porta, poi si ritrasse immediatamente all'odore di sangue che lo investì. 

Antonio giaceva su un materasso macchiato di rosso, gli occhi chiusi, il viso bianco, il petto che si alzava e si abbassava uniformemente. Bende insanguinate avvolsero il suo corpo e ricoprirono il terreno; ciotole metalliche e strumenti erano posati al centro del tavolo. 

Il corpo di Lovino era pietrificato; la sua testa infuocata. Una paura inorridita gli rotolò nello stomaco mentre un centinaio di pensieri orribili e insopportabili lo assalivano. 

E se fosse questo? E se Antonio morisse? E se Lovino avesse solo capito come si sentiva giusto in tempo per perdere tutto...

 Cosa avrebbe fatto, cosa avrebbe potuto fare, oh Dio, cosa avrebbe dovuto fare! 

Era terrorizzato, in preda al panico e tutto ciò che voleva era urlare.

" Starà bene, Lovino ." Lovino non si voltò al suono di nonno Roma che parlava proprio dietro di lui. Teneva gli occhi su Antonio, sul suo viso pallido, addormentato, sul fianco insanguinato. 

"È ferito, sì, ma sopravviverà".

Lovino si sentiva stordito, malato. 

Le pareti si chiudevano su di lui - il suo respiro troppo veloce, il suo battito caldo e martellante - ed era tutto troppo. 

Doveva uscire. 

Si voltò e corse attraverso la stanza, incurante degli sguardi lanciati verso di lui. 

Ha ignorato le urla di nonno Roma dietro di lui.

I suoi piedi battevano sulle pietre dure ed era ancora tutto così irreale, così pesante, strano e soffocante, ma più di ogni altra cosa era terrificante. 

Questa paura strisciante, rotante, inorridita che affollava la sua mente, scuoteva il suo corpo, soffocava i suoi polmoni. 

Non poteva sopportare questa paura.

Lovino raggiunse la fine della strada prima che la nausea nel suo stomaco si alzasse e lo sopraffacesse. Cadde contro il muro, si appoggiò con una mano alla fredda pietra, poi si chinò e vomitò sul marciapiede.

Lovino non poteva occuparsene. Non ne valeva la pena. Niente valeva questa sensazione - di preoccuparsi così tanto verso qualcuno che la sola idea che se ne andassero o morissero lo lasciava in un caos frenetico, malato, tremante, bruciante e congelato, con questa sensazione che il suo petto si sarebbe squarciato, l'oscurità l’avrebbe fagocitato e sarebbe crollato in un urlo rompendosi in mille pezzi.

La realizzazione fu improvvisa, sbalorditiva. Se amasse Antonio, avrebbe tanto da perdere. 

E un giorno lo avrebbe perso. 

Perché quello che ha fa Antonio è troppo pericoloso. 

Un giorno Lovino sarebbe stato distrutto... e non avrebbe potuto sopportarlo.

 Non poteva più sopportare tutto questo. 

Lovino si asciugò la bocca e barcollò per la strada, ignorando gli sguardi preoccupati e disgustati dei pochi passanti. Ed è arrivato alla decisione. Sarebbe stato più facile chiudere il suo cuore adesso, fermare questa stupida piccola infatuazione prima che andasse oltre. E inoltre, guardatelo: un disastro rotto, un patetico codardo, un debole senza valore, impotente e senza amici che era ancora trattato come un bambino. 

Starebbe male, e farebbe solo un favore anche ad Antonio .

Lovino si rifiutò di tornare in cantina nei giorni successivi. Invece ha trascorso il suo tempo a casa, a volte avventurarsi al mercato del villaggio con Feliciano. Sapeva che nonno Roma stava iniziando a preoccuparsi per lui, ma Lovino lo ignorò facilmente. 

Non chiese di Antonio, sebbene ardesse dal desiderio di saperlo; fortunatamente Feliciano ha risolto quel problema con le sue continue, insistenti domande sul benessere di Antonio. 

Lovino fu disperatamente sollevato nel sentire che Antonio stava recuperando anche meglio del previsto, anche se non chiese mai né si comportò come se fosse minimamente interessato. Roma continuava ad organizzare missioni, ma Lovino non chiedeva più di andare... non poteva sopportare di vedere Antonio. 

E c'era sempre quella voce dentro di lui; una vocina, stupida, insistente che gli diceva quanto fosse stupido, quanto egoista, quanto completamente idiota... una voce che sapeva che stava mentendo a se stesso.

Lovino ha cercato di convincersi che se non avesse visto Antonio, allora quei sentimenti sarebbero andati tutti via, e tutto sarebbe tornato alla normalità. Ma anche se lo pensava , sapeva che non sarebbe mai potuto accadere. E naturalmente non poteva evitare Antonio per sempre. Così, quando un pomeriggio entrò in cucina e sentì Antonio parlare con nonno Roma in soggiorno, tutto ciò che aveva cercato così duramente di reprimere tornò indietro, inghiottendo, riversandosi in ogni parte di lui.

“Questa è stata solo una battuta d'arresto. Vedremo molti di questi ostacoli nei prossimi mesi. Ciò che conta è quanto velocemente reagiamo, quanto presto possiamo rimetterci in piedi. Alcune vite non significano nulla per i fascisti... non possiamo permetterci che significhino di più per noi".

Fino a poco tempo, Lovino avrebbe ascoltato avidamente. 

Ma oggi è fuggito dal suono della voce di Antonio, è corso nel giardino soleggiato, si è nascosto in un angolo lontano dietro un letto di salvia e rosmarino. 

Era infantile, lo sapeva, ed era sciocco. Eppure, era tutto ciò che riusciva a pensare di fare.

Questo non dovrebbe cambiare nulla, cercò di dirsi Lovino. 

Non era ancora interessato ad Antonio. 

Non gli importava. 

Non ne valeva ancora la pena. 

Oh Dio, stava ancora mentendo. 

Non importava come avesse cercato di cambiarlo, ogni pensiero che aveva avuto per settimane, tutto l'evitare, l'aspettare e l'ignorare, era stato tutto legato a un uomo, a un desiderio, a una paura. E quando Antonio uscì dalla porta di servizio ed entrò in giardino, Lovino sentì la sua determinazione rafforzarsi, indebolirsi, svanire, scomparire. Il sole di inizio estate splendeva, luminoso e caldo, costringendo l' inadeguato nascondiglio di Lovino alla vista ardente. 

Antonio semplicemente si avvicinò a lui, sorrise in un modo che Lovino non poteva sopportare di vedere.

"Mi sei mancato la scorsa settimana."

Lovino non ha risposto. Distolse lo sguardo da quel sorriso, appoggiò le braccia sulle ginocchia, giocherellando con un rametto di rosmarino.

Antonio lasciò un silenzio perché Lovino rispondesse, prima di riempirlo lui stesso. "Stai bene?"

Lovino annuì. Sapeva che doveva essere lui a chiederlo ad Antonio. Ma non lo fece - non poteva. Anche se il sollievo di vedere Antonio in piedi sano e ben davanti a lui indeboliva il suo corpo , Lovino non poteva assolutamente dire le parole. Antonio aspettò in silenzio per alcuni secondi che cominciarono a sembrare ore, finché Lovino sbottò: “Il nonno ci ha detto che stavi bene. Feliciano era preoccupato''.

“Lo era?" La voce di Antonio era quasi divertita. "E tu?"

Lovino riusciva a malapena a sopportare quella pressione. 

Perché Antonio non poteva lasciarlo in pace, perché doveva stare qui a sorridere e a fare queste domande Lovino di cui non aveva modo di rispondere...

 Cosa si aspettava Antonio? Cosa voleva?

 Lovino sentì il sudore iniziare a formasi sul suo collo. Avrebbe dovuto andarsene prima di perdere il controllo e urlare. "Sono felice che tu stia bene." Scattò in piedi. "Devo andare ora."

" Lovino , aspetta."

Perché non aveva altra scelta che fermarsi... perché non aveva altra scelta che aspettare che Antonio continuasse?

''Mi hanno detto che sei passato dalla cantina. Quando sono stato ferito''.

Lovino strinse i denti, fissò gli occhi sulla porta della cucina dall'altra parte del giardino. "Sì."

Antonio gli si avvicinò. Il respiro di Lovino si fece più veloce, anche quando scostò di scatto la testa. "Sono stato felice di sentire che tu... che eri preoccupato."

"Ero preoccupato per la causa". Lovino l'ha detto troppo in fretta.

"Certo." Antonio l'ha detto troppo facilmente.

Lovino si mise le mani in tasca e girò il piede a terra. 

Questa conversazione è così difficile. Non sapeva cosa dire, cosa voleva che dicesse Antonio, cosa voleva dire lui stesso. Alla fine si costrinse a riportare lo sguardo su Antonio, ma lo sguardo negli occhi di Antonio gli riportò troppi ricordi. 

Delle parole dette anni fa... 

Forse un giorno capirai ... 

Di quelle dette solo settimane fa... 

Ho... dei sentimenti per te, Lovino …

Il ricordo fece vibrare nelle vene di Lovino un fremito eccitato e struggente . Si sentiva così vicino a cedere... Ma non c'era niente in cui cadere. Lovino non poteva sentirlo, non poteva accettarlo. Doveva smetterla adesso. Lovino chiuse gli occhi ed espirò tutte le sue inutili speranze, i suoi desideri infranti. Poi li aprì e parlò. 

“Ti ricordi, Antonio... la prima notte dopo che sei tornato. La nostra conversazione in questo giardino. Le parole che mi hai detto''.

"Sì." L'espressione di Antonio era quasi speranzosa. Ma questo faceva troppo male, così Lovino distolse lo sguardo.

" Beh io solo... io solo... voglio che tu sappia che... io..." 

Oh Dio stava per dire questo... Cercò di convincersi che lo stava facendo tanto per Antonio quanto per se stesso. "Non provo quei sentimenti per te."

Antonio sbatté le palpebre sorpreso. "Oh." Strinse gli occhi confuso, la sua espressione incerta. “Ma Lovino …”

"Devi saperlo." Questo era meglio per lui, meglio per Antonio, meglio per tutti...

"Mi dispiace, ma in qualche modo, stavo iniziando a pensare..."

"No!" Lovino non poteva permettere ad Antonio di indebolire la sua determinazione. 

“Guarda, è facile da capire. Non provo niente per te. non lo farò mai. Quindi smettila. Smettila di fissarmi, smettila di darmi cose, e smettila di chiamarmi il tuo ' corazón ' perché so cosa significa!” Lovino quasi inciampò nelle parole. 

Questo faceva così male... faceva così male a dire queste cose, a vedere lo sguardo sul viso di Antonio, ma Lovino cercò di convincersi che avrebbe fatto più male ad ammettere la verità, quindi continuò ad andare avanti. 

“Non sono come te, Antonio. Non provo niente per te, perché non è normale e francamente... francamente è anche abbastanza disgustoso". 

Lovino poteva vedere le parole colpire Antonio. Sussultò brevemente, il suo viso divenne bianco e i suoi occhi caddero a terra. "Oh. Vedo."

“Ti aspetti troppo. E manifesti troppo chiaramente i tuoi sentimenti. Quindi io... io sono...'' Lovino esitò, ma si affrettò a proseguire. "Ti sto chiedendo di nasconderli."

Antonio annuì, le mani a pugno e la mascella serrata. Poi fece un piccolo sospiro, un'alzata di spalle e sorrise a Lovino .

 “Ci proverò, Lovino . Mi sforerò di comportarsi in modo più appropriato, in futuro.” 

Lovino sbatté le palpebre rapidamente, respirò attraverso le lacrime che salivano e lo schiacciamento nel suo petto, e sentì lo sguardo luminoso e il sorriso di Antonio come un coltello. 

Antonio chinò leggermente la testa. Il suo accento si fece più forte mentre parlava.

 “Mi scuso per qualsiasi angoscia che ti ho causato. È stato imperdonabile da parte mia. E mi scuso anche per aver scambiato i miei desideri egoistici con la realtà". Antonio girò sui tacchi, e Lovino dovette trattenere un singhiozzo, dovette trattenersi dal protendersi per fermarlo. Antonio si fermò brevemente al cancello sul retro.

 “Ma Lovino . Non mi scuserò mai per amarti.”

Quando Antonio uscì dal cancello, Lovino si lasciò cadere contro il muro, si prese la testa tra le mani e alla fine lasciò che le lacrime si formassero. Cercò di convincersi che era giusto, che stava proteggendo il suo cuore, che si stava proteggendo dal dolore.

 Ma non riusciva a fermare il pensiero che gli urlava stupidamente, insistentemente. 

Com'è possibile che qualcosa ferisca più di questo?

———————

Natale, 1934 

Un villaggio in Germania

"Allora, Antonio, cosa succede se questa tua persona decide che non prova lo stesso per te?"

Gilbert gemette forte. “Stiamo davvero parlando di nuovo di questo?”

"Oh silenzio, bevi il tuo vino di colla."

GLUEHWEIN!” gridò Gilbert prima di bere un altro profondo sorso del liquido. Il tavolo davanti a loro era coperto di piatti vuoti e bottiglie piene a metà e carta colorata stropicciata , gli ultimi resti di un pranzo di Natale davvero magnifico. Nessuno festeggia il Natale come i tedeschi.

“Bene,” disse Antonio, cercando di pensare a un modo per rispondere alla domanda di Francesco. ''Questo è il rischio, no? Non puoi impedirti di amare qualcuno e non puoi controllare come si sente quella persona. Se non ti ama…” Antonio si strinse nelle spalle. "Non ti ama".

Francesco sembrava sgomento. “Ma è terribilmente deprimente! Stai cercando di dire che ti innamori solo una volta, e se quella persona non ti ama, allora è l'unica possibilità che hai?"

“Non è giusto, non è vero. Ma cosa puoi fare?"

"Quello che puoi fare è passare una settimana a piangere su di loro - mangiare troppo, bere troppo, fare sesso sporco, sporco e favoloso con estranei - e poi dimenticarli per sempre".

Gilbert agitò il bicchiere davanti al viso di Antonio. "No, quello che puoi fare è diffondere voci che li seguiranno per sempre, così la piccola merda non dimenticherà mai che hanno incasinato il ragazzo sbagliato."

Antonio alzò gli occhi al cielo. “Non sto parlando di amare qualcuno aspettandosi qualcosa in cambio. Sto parlando di amare qualcuno per quello che sono. Per il modo in cui parlano, sorridono, litigano; per quello che dicono e per quello in cui credono; a causa di tutte le cose meravigliose, fastidiose, belle, frustranti, stupide, adorabili e imbarazzanti che fanno e che sono. Perché sono l'unica persona al mondo che ti fa finalmente capire quanto un essere umano possa essere perfetto e intricato. E se non mi amano non cambia nulla, perché io non lo amerò così lui mi ama, io lo amerò perché non ho altra scelta”.

"Antonio". Gilbert scosse la testa e sospirò frustrato. "Sei uno stupido bastardo melodrammatico."

Antonio gli rivolse un sorriso selvaggio. 

“Ma dai. Con battute del genere, nessuno sarà in grado di resistermi a lungo".

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Storia originaria di George DeValier.

Capitolo tradotto dalla sottoscritta, ne detengo i diritti di traduzione.

Autunno 1943

Italia

Antonio stava sognando. 

Doveva sognare. 

Non c'era modo che qualcosa di così meraviglioso, qualcosa di così bello, qualcosa che aveva bramato, bramato e desiderato per così tanto tempo potesse accadere in questo modo, potesse essere qui tra le sue braccia.

Sembrava di nuovo come quel pomeriggio di tanto tempo fa nelle sue stanze in affitto di fronte alla cantina rivoluzionaria. Il mondo era piccolo, silenzioso, immobile; e in esso esisteva una sola persona. 

Lovino - bello, complicato, schiocco, frustrante, perfezione, Lovino . 

Lovino ,che si stringeva alle braccia di Antonio con mani leggere e ferme, premendogli con forza incerta, gli occhi troppo scuri e il respiro troppo affannoso. 

Antonio lo voleva. 

Antonio bruciava per lui. 

Per il tocco colpevole della sua pelle, per il profumo dei suoi capelli, per la pressione dei suoi fianchi e l'oscurità nei suoi occhi. Ma no, questo non era giusto, e Lovino non capiva; ma era così bello, così caldo e morbido e senza fiato, così dannatamente luminoso e scuro e seducente e Antonio non sapeva se era abbastanza forte per fermarlo...

Ma questo non era quattro anni fa. 

Perché quando Lovino guardò Antonio attraverso ciglia scure e pesanti, invece del bel ragazzo di quindici anni di quel pomeriggio infuocato, il suo viso arrossato era quello del giovane bello, ancora complicato, ancora frustrato, ancora perfetto per il quale Antonio bruciava ancora . 

Così questa volta, quando Lovino gemette, Antonio non lo spinse via. Perché se questo era un sogno, allora andava bene arrendersi e lasciarsi andare e al diavolo le conseguenze. 

E se non lo fosse... oh, se non lo fosse...

E così Antonio cedette. 

Tirò a sé Lovino , gli afferrò i fianchi stretti e li strinse ai suoi. 

Lovino gettò indietro la testa e il suo gemito divenne una parola. “Antonio…” Antonio non poteva star sognando, perché questo era troppo reale, questo era troppo perfetto. 

Sentiva ogni tocco di Lovino come una corrente elettrica, si perdeva in questo bisogno pulsante, crescente, ardente... 

I capelli di Lovino , le labbra di Lovino , la sua pelle, il suo respiro, le sue mani, il suo collo, gli occhi scuri di Lovino ...

Ma Antonio si svegliò come sempre. 

Con il cuore che batte e il respiro affannato, con il fiato palpitante e le lenzuola madide di sudore. Con un gemito di delusione che, ancora una volta, era stato solo un sogno. Giaceva disteso nel lettino, le membra flosce e languide; gli ultimi brividi di piacere svaniscono lentamente dalla sua pelle febbrile. Sbatté le palpebre per mettere a fuoco e il suo petto ansante iniziò a rallentare quando la luce del sole irruppe attraverso le tende e illuminò la stanza noiosa e sporca in affitto.

Antonio si passò una mano tra i capelli sporchi e madidi di sudore e, suo malgrado, sentì una risata crescente salire nel suo petto mentre guardava le lenzuola bagnate aggrovigliate intorno alle sue cosce. Chiunque penserebbe che fosse ancora un adolescente. Ridacchiò dolcemente e balzò in piedi, corse ad aprire le tende e sorridere allegramente alla dorata mattina italiana. 

Oggi è una bellissima giornata.

 Perché oggi Antonio era diretto a sud. E sud significava solo una cosa.

Lovino .

—————————

Lovino sedeva contro il muro del giardino, strimpellando distrattamente la sua chitarra, canticchiando tra sé e sé mentre una leggera pioggia dorata di scure foglie autunnali cadeva nel giardino. Feliciano era partito prima per il mercato e Lovino non era sicuro di dove fosse andato nonno Roma. Il nonno era sempre insolitamente cupo in questo periodo dell'anno, a volte scomparendo per ore – solo qualche anno fa Lovino aveva saputo che quella era la stagione in cui sua madre e sua nonna erano morte. 

Così qui Lovino sedeva, in giardino - cosa a cui ormai era abituato - da solo. Solo con i suoi pensieri e le sue paure e i suoi ricordi. 

Tutti loro si rivolgono alla fine, inevitabilmente, verso la stessa vecchia ossessione.

Era passato più di un anno dalla bugia di Lovino ; un anno dalla sua falsa, struggente, dichiarazione che ha cambiato la vita ad Antonio. 

Un anno di crescente presenza tedesca nel villaggio, di crescenti contrattacchi, di bombe, esecuzioni e sospetti. 

Un anno in cui Lovino si buttò nella Resistenza , per quanto gli fu concesso; accompagnando nonno Roma in ogni missione possibile, ascoltando attentamente ad ogni incontro, vegliando e cercando di prendersi cura di Feliciano. 

Un anno di Antonio che va e viene, trascorrendo qualche giorno in città nelle stanze di fronte alla cantina, rimanendo giusto il tempo di dare le informazioni che sapeva e magari organizzare un bombardamento o un diversivo. 

Giusto il tempo per lacerare il cuore di Lovino , per riportare a galla il dolore.

Eppure Lovino continuava ostinatamente a ripetersi la stessa cosa. Quel piccolo dolore che sentiva non era niente comparato al dolore che avrebbe provato se si fosse arreso, niente per i guai che avrebbe causato tra lui e nonno Roma. E se Antonio fosse morto domani avrebbe spezzato ancora Lovino, nulla sarebbe servito per la devastazione che avrebbe provato se si fosse permesso di amarlo, di sapere tutto ciò che potevano essere, di sentire tutto ciò che aveva da perdere.

 No. 

Questo dolore era preferibile.

Eppure, Antonio guardava Lovino . Gli sorrideva ancora, gli faceva ancora domande educate con attenzione; come stava, come stava gestendo il pericolo crescente, come stava andando con la sua chitarra. Il volto di Antonio si illuminava ancora quando Lovino entrava nella stanza; pronunciava ancora il nome di Lovino in modo diverso. 

Eppure, dopo tutti questi anni, Antonio confondeva Lovino , e ancora non riusciva a capirlo. Come poteva Antonio essere così gentile quando Lovino era stato solo orribile con lui? 

Cosa poteva mai vedere Antonio in lui? 

Quanto durerà tutto questo? 

E perché Lovino non voleva che finisse? 

Lovino ricordava a malapena com'era la vita prima della guerra, prima che la vita fosse solo sabotare i soldati tedeschi e aspettare Antonio.

Lovino continuò a strimpellare la sua chitarra, guardando le sue dita scivolare sulle corde, sentendo il suo vago mormorio trasformarsi lentamente in parole. 

Lovino non canterebbe per nessuno. Ma a volte si sorprendeva a cantare da solo, e prima che se ne rendesse conto , Lovino si rese conto che stava suonando e cantando la canzone che aveva sentito per la prima volta da Antonio anni prima. Cantò le parole piano, piano, come se anche in questo giardino vuoto temesse che qualcuno potesse sentirlo e ridicolizzarlo.

“ Dearest one, if you should leave me,

Each little dream would take wing and my life would be through.

Bésame mucho, love me forever and make all my dreams come true''

Lovino si perse nelle parole e nei ricordi, sorrise nelle sue tranquille fantasie, alzò lo sguardo, e per un attimo fu certo di sognare. 

Perché Antonio era in piedi davanti a lui. 

In piedi calmo e tranquillo, foglie che volano nel vento intorno a lui, sorridendo gentilmente, i suoi occhi scintillanti verdi come l'erba - l'immagine stessa del ricordo di Lovino del momento in cui era partito per la prima volta, tanti anni prima. Lovino tacque, smise di suonare e si limitò a fissarlo. I momenti passarono in silenzio, finché alla fine Antonio parlò. 

“Canti così bene, Lovino ! Mi hai fatto vergognare.”

Lovino si spinse i capelli dietro l'orecchio in un gesto nervoso, imbarazzato. Antonio era andato via solo da poche settimane, e Lovino fu sconvolto dalla sua improvvisa apparizione. 

"Non mentire."

Gli occhi di Antonio si addolcirono. "Non ti mentirei mai, Lovino ."

Lovino si sentì in colpa alle parole, al ricordo della propria straziante bugia.

 "Sei tornato di nuovo." 

Era una cosa inutile da dire, ma che altro c'era?

"Sì." Antonio guardò attentamente per terra accanto a Lovino . "Posso?"

Lovino annuì e Antonio si sedette. 

Lovino girò la testa appoggiandola al muro, guardando Antonio. 

E si sono semplicemente guardati l'un l'altro. 

E non era scomodo, strano o sbagliato guardare solo quegli occhi verdi. 

Il cuore di Lovino accelerò come sempre, ma non sentì il vecchio impeto spaventoso e vertiginoso. Solo un lieve gonfiore, un battito quasi confortante, caldo e gentile come le foglie che danzano nel vento. Era come un sollievo - come se avesse aspettato così a lungo qualcosa che fosse finalmente arrivato. Ma alla fine, questo è esattamente ciò che è stato. Lovino si riprese prima di ricambiare il sorriso di Antonio, e guardò la sua chitarra. "Il nonno non è a casa."

"Aspetterò. Se va bene così".

Lovino annuì e passò le mani sulla chitarra. Il silenzio durò troppo, finché non sentì che doveva riempirlo. "Feliciano è al mercato".

"Ah, ci va spesso?"

Lovino annuì di nuovo. Una conversazione così insignificante e senza senso, eppure era la cosa meno sola che Lovino si fosse sentito da settimane. Lovino di solito non si sedeva accanto ad Antonio con tanta calma, ma era troppo pieno di sollievo e di tranquilla felicità anche solo per provare a scattare, a litigare o a fare smorfie. 

Forse si stava stancando. E già, non voleva che Antonio partisse. 

"Forse puoi restare a cena stasera." Dannazione, non aveva intenzione di dirlo davvero. 

E il respiro di Antonio si è fermato? Lo coprì immediatamente con una risata.

“ Lovino !” gridò divertito. “Come sei gentile a chiedere! mi piacerebbe restare!”

“Non eccitarti, bastardo,” brontolò Lovino , frustrato, anche se il suo cuore accelerava. 

"Sono solo sicuro che il nonno vorrà parlarti."

"Beh, certo!"

Oh, Lovino lo odiava – il modo in cui Antonio era d'accordo con lui in quel modo allegro e irriverente. 

Odiava il modo in cui quelle parole gli bruciavano nelle vene, il modo in cui quella risata gli torceva lo stomaco. 

Odiava come non riuscisse ancora a controllare l'effetto che Antonio aveva su di lui. "Allora", disse distrattamente, cercando di sembrare che non gli importasse. 

"Quanto rimarrai questa volta?"

"Dipende."

"Su cosa?"

"Su di te."

Le guance di Lovino bruciavano e la sua spina dorsale formicolava. 

E Antonio sembrava stesse cercando di non ridere. “Oh,” disse Lovino , agitato e cercando di nasconderlo. "Hai cose importanti da fare altrove?"

“Ho cose importanti da fare ovunque. Compreso qui. Ma non voglio metterti a disagio". 

Lo sguardo di Lovino alla fine si alzò, ma Antonio si limitò a sorridere. 

Quel sorriso che provocava tutto, che lo inondava di un'emozione insopportabile; paura e confusione, speranza e desiderio. 

Quel sorriso smagliante che diventava sempre più difficile da sopportare con ogni visita di Antonio. 

"Sei stato bene?" Lovino annuì, in silenzio. 

Antonio portava sempre la loro conversazione nel silenzio. 

“Mi dispiace di aver appena perso il tuo compleanno. Pensare che hai vent'anni!'' 

Antonio sospirò drammaticamente. “Gli anni passano sempre più velocemente.”

Loro lo facevano. 

Lovino espirò bruscamente, un sommesso suono di divertimento. 

Il mondo che si muove intorno a loro, eppure questa sensazione è sempre la stessa, quel qualcosa di immobile e non detto tra di loro. 

Quel qualcosa che Lovino non poteva cambiare, e non sapeva se voleva. "Dove sei stato in questi ultimi mesi?"

Antonio si chinò verso Lovino , agitò le sopracciglia e sussurrò teatralmente. "Per regni lontani e terre magiche!"

Lovino sbuffò e roteò gli occhi. “Va bene, non dirmelo. Non è che mi importi, lo sai."

Antonio si accigliò e si sedette pesantemente contro il muro. 

“Oh, non sei divertente. In Francia, se proprio vuoi saperlo. Non così interessante, vero?"

Lovino si sentì subito indignato, ferito, le guance in fiamme per un'ondata di rabbia imbarazzata. Nessun divertimento... 

Sentì un po' della calma svanire, sostituita da una furia vecchia, familiare e offesa. "Allora, è perché è una domanda noiosa, è questo che intendi?"  

Antonio girò bruscamente la testa e sbatté le palpebre perplesso. "Scusami?"

Certo che era noioso, certo che Antonio non aveva tempo per lui, certo che non era divertente… “Non sono divertente, quindi sono solo noioso. Dev'essere così terribilmente poco interessante dover parlare con me. Beh, se sono così ottuso allora puoi... Di cosa stai ridendo, bastardo ?"

La risata familiare di Antonio era profonda e appassionata come sempre. “Oh, Lovino , tu sei molte cose, ma la noia non è certo una di queste. In realtà io sono sempre in attesa di vedere come si reagisce. E proprio quando penso di averti capito, allora scatta!”

 Antonio fece schioccare le dita e strizzò l'occhio. "Vai e mi sorprendimi."

Lovino lo guardò torvo e aprì la bocca, ma non seppe rispondere a quelle parole, al modo giocoso con cui Antonio le disse. Quindi espirò pesantemente e guardò in basso. "Stai zitto."

Ci fu un breve silenzio, perché per una volta Antonio sembrava davvero seguire l' ordine imbronciato di Lovino . 

Non durò a lungo, però. 

"Ero in Francia per motivi personali questa volta".

Questo attirò l' attenzione di Lovino e si mise a sedere più dritto, leggermente preoccupato. 

"Oh. Personali?"

"Sì." Gli occhi di Antonio scintillarono, il suo ampio sorriso si ridusse a un piccolo sorrisetto sulle sue labbra. "Sposerò un'adorabile ragazza francese, non hai sentito?"

Un ruggito improvviso si precipitò nelle orecchie di Lovino. Le sue guance diventarono fredde mentre il sangue gli defluiva dal viso. Non riusciva nemmeno a pensare di nascondere la sua reazione, troppo stordito, troppo scioccato, troppo sopraffatto. Le sue membra si irrigidirono; la sua gola si chiuse. Poteva solo guardare ciecamente, congelato, inorridito.

 L'aria divenne nebbiosa, calda e soffocante mentre il mondo crollava, cadeva, si rompeva intorno a lui...

“…vino… Lovino ! Lovino , sto scherzando, respira''. Lovino poté sentire di nuovo, e le parole ansiose di Antonio irruppero nella nebbia. Poteva di nuovo vedere, e Antonio gli apparve davanti, preoccupato, agitando la mano davanti al viso di Lovino . 

“Stavo solo scherzando, Lovino , non c'è nessuna francese, non mi sposo proprio…”

Lovino trasse un profondo respiro affannoso. 

Oh Dio, che imbarazzo, che stupido... 

"Non è che mi importi!" praticamente gridò, poi guardò subito la sua chitarra, torcendosi le mani, mortificato. "Ero solo... solo sorpreso che qualcuno volesse sposarti, bastardo." 

Lovino fece un altro respiro profondo e chiuse brevemente gli occhi. 

Per fortuna, Antonio non rise. In realtà, ha continuato come se nulla fosse successo.

“In realtà sto cercando di rintracciare un mio vecchio amico francese. Il suo nome è Francis. Passavo qualche settimana ogni stagione con lui e un altro nostro amico, Gilbert. Un tedesco." 

Antonio ridacchiò dolcemente. ''Ma non gli piacerebbe se mi sentisse. Si è sempre considerato prussiano''. Lovino ascoltò in silenzio, prendendosi il tempo per calmare il suo cuore e ricomporsi mentre Antonio parlava allegramente, evitando gli occhi di Lovino con un tatto insolito.

 “Oh, ci siamo divertiti così tanto. La vita era bella. Estati nella campagna francese; in bicicletta attraverso piccoli villaggi con solo pane e vino nei nostri zaini, dormendo ovunque capitavamo, sia sulle cime delle montagne infuse di lavanda o nelle stradine secondarie parigine. Inverni in Germania; bere grappa accanto al fuoco nelle birrerie di Monaco, andare in slittino sulla neve al confine con la Svizzera, trascorrere il Natale a Berlino, ascoltare le storie di guerra del nonno di Gilbert e prendere in giro il severo e serio fratellino di Gilbert. E la Spagna''. 

Gli occhi verdi di Antonio si illuminarono, scintillando alla luce del sole mentre sorrideva al cielo. Lovino ne rimase affascinato, il suo imbarazzo svanì rapidamente. 

“Oh, Lovino . Se solo potessi vedere la Spagna in primavera. Non c'è posto più bello al mondo. Che sia nel sud: giornate calde sulla sabbia dorata e notti affollate nelle animate cantine; o nel nord - vasti campi fioriti e strade strette e tortuose che conducono a nascondigli segreti e secolari. E sempre, solo noi tre. Fare in modo che i ricordi durino una vita.”

Lovino si ritrovò come sempre trafitto dalle parole di Antonio, dalla gioia e dalla passione nel suo volto. Lovino riusciva quasi a vedere ciò che descriveva; quasi sentire la sua gioia. “Un'estate”, disse Antonio, il sorriso lontano quanto i suoi scintillanti occhi verdi, “credo fosse il 1935 – decidemmo di provare ad andare il più lontano possibile. Credo che l'obiettivo fosse la Nuova Zelanda. Siamo arrivati fino all'Egitto''.

Lovino quasi sussultò, ma lo trattenne.

 Cercò di non sembrare stupito come si sentiva. "Sei stato in Egitto?"

“Oh, sì,” sorrise Antonio. "Gilbert era convinto di poter risolvere gli stessi misteri dell'universo sintonizzandosi con le energie mistiche delle grandi piramidi."

"Oh", disse Lovino , incerto su cosa significasse. "E, uh... l'ha fatto?"

"No." Antonio sbuffò divertito. “Ma si è rotto il naso al Cairo dopo una discussione con un antiquario. Dopo essere sfuggiti a una banda di teppisti armati di scimitarra e aver trascinato Francis fuori da un bordello, abbiamo passato la notte a bere vino scadente sui gradini delle piramidi. E Gilbert ha raggiunto la sua grande epifania''.

"Che era?" chiese Lovino , lo sguardo fisso sul volto vibrante di Antonio, affascinato dalla gioia di Antonio per i suoi ricordi.

Gli occhi di Antonio non erano a fuoco mentre rispondeva. “Che le piramidi non sono altro che interessanti arrangiamenti rock. E non esiste una cosa come l'energia mistica. E che tutto ciò che conta nella vita è bere a fondo, divertirsi e rimanere in vita".

Lovino abbassò la testa per nascondere il suo sorrisetto. “Devono significare molto per te. Non ho mai avuto amici del genere... o, beh, nessuno, davvero."

Antonio guardò di nuovo Lovino , scattando sull'attenti, i suoi occhi di nuovo concentrati. "Questo ti sconvolge?"

“No,” disse onestamente Lovino . "Le persone mi confondono".

"La gente vuole ciò che è facile". Antonio rise brevemente. "Ma niente che valga davvero la pena di avere viene facilmente."

Lovino non sapeva cosa intendesse, ma si sentiva accaldato e stranamente senza fiato, così tornò al suo solito cipiglio e tornò all'argomento precedente. 

"Bene comunque. Hai trovato il tuo amico?"

Antonio sospirò, il suo sorriso svanì. "No. È nell'intelligence francese e quindi è molto difficile da rintracciare, anche per me".

"Perché stai cercando di trovarlo?"

Antonio scrollò le spalle. “Vorrei sapere se è vivo. Lui è importante per me".

“Oh,” disse Lovino , cercando di ignorare la pungente ondata di gelosia che gli scaldava il sangue. “ Quindi tu e lui…”

"No. Mai." Antonio lo disse in fretta, ma poi inclinò la testa pensieroso. "Beh, a meno che non conti quella stretta a Pamplona."

 Ha fischiato. "Devo ancora a Gilbert per quello."

Lovino si mosse a disagio. 

Non voleva saperne più di quella storia. ''E Gilbert? Sai se è vivo?"

Antonio impiegò un po' a rispondere, la sua espressione si fece lentamente più cupa. 

"No. Io non. Gilbert…” Antonio fece una pausa, scosse brevemente la testa e sospirò, una breve esalazione di delusione e rimpianto. “Gilbert si è arruolato nell'esercito tedesco. Adesso è sul fronte orientale, credo''.

“Lui è... cosa? Santo cielo !” Lovino era scioccato, sbalordito. "Il tuo amico è un nazista?"

"No" disse Antonio con fermezza. 

“No, non l'ho detto. Ho detto che si è arruolato nell'esercito tedesco. Non si sarebbe mai unito a quell’odiosa proclamazione. È uno sciocco fuorviato, sì. Ma è un brav'uomo". 

Antonio fissò gli occhi di Lovino in uno sguardo serio. 

"Non tutti i tedeschi sono nazisti, Lovino ."

Lovino si è quasi vergognato. Non aveva mai nemmeno considerato cose del genere prima. Quando Antonio aveva un'opinione, o affermava un fatto, lo faceva con tanta certezza, con tanto fervore. Lovino in realtà non sapeva molto di Antonio, anche adesso, quasi cinque anni dopo che era caduto nella vita di Lovino per capovolgere tutto e rendere questo mondo strano e difficile più complicato di quanto già non fosse. 

"Perchè fai questo?" chiese all'improvviso Lovino. Si rese conto di non averlo mai chiesto. 

Non ha mai saputo perché Antonio ha fatto quello che ha fatto. 

“Non sei nemmeno italiano. Perché rischi così tanto per l'Italia?"

Antonio lo guardò intensamente, incuriosito. "A causa di ciò contro cui stiamo combattendo".

"Germania?"

Le labbra di Antonio si contrassero in un minuscolo sorriso. "Non la Germania".

"Fascismo."

Antonio all'inizio non ha risposto. 

Il suo sorriso cadde, i suoi occhi si incupirono e sembrava che stesse discutendo qualcosa con se stesso. Appoggiò la testa contro il muro e incrociò una gamba tesa sull'altra. 

Quando parlò, la sua voce era più calma, più calma. “Sono sempre andato alla deriva del vento, Lovino . Ovviamente la Spagna è sempre stata casa, ma ho viaggiato ovunque, ovunque potessi camminare, in tutta Europa.Mi piaceva semplicemente seguire il sole. Non sono mai stato da nessuna parte per troppo tempo - non ho mai avuto un piano; mai avuto un motivo. Mai avuto uno scopo. Penso che sia per questo che ero così felice".

 Antonio fece una risatina a metà, poi chiuse gli occhi. "Ma questo era prima."

"Prima di cosa?" Lovino si sentì in apprensione mentre chiedeva.

La fronte di Antonio si corrugò e la sua gola si mosse mentre deglutiva. 

Aprì lentamente gli occhi e fissò con sguardo assente le file di erbe e fiori. 

“ Aprile 1937. Ero in viaggio attraverso la Spagna. Sapevo che c'era la guerra civile, certo, ma non mi sono mai preoccupato di parlare di fascisti e repubblicani, di religione e monarchia. Niente di tutto questo significava niente per me. Mi importava di altre cose".

 Il viso di Antonio si illuminò appena. “Sulle persone che ho incontrato per strada, le loro case, le loro storie e la cucina. Sul trovare una fattoria dove lavorare per una settimana o due. Su ragazze e ragazzi carini nelle cantine e bambini ridenti che mi seguivano per le strade e ballavano intorno alle mie gambe per i pomodori nel mio zaino. E ho trovato tutto al nord, in un luogo non toccato dalla guerra, in una graziosa cittadina basca chiamata Guernica”.

Il cuore di Lovino sobbalzò mentre ricordava. ''Hai già menzionato Guernica. Al nonno". 

Antonio annuì.

 Lo stomaco di Lovino era stretto in nodi, i suoi muscoli tesi per la tensione mentre aspettava. "Cosa è successo lì, Antonio?"

Antonio deglutì di nuovo pesantemente, e le sue mani si strinsero a pugno. Era ovvio che gli faceva ancora male ricordarlo. “Era un pomeriggio luminoso e soleggiato - giorno di mercato, quindi le strade erano piene. Stavo uscendo da un'osteria, pieno di vino e di risate, quando udii il primo boato. Abbiamo tutti alzato lo sguardo e abbiamo visto gli aerei che si avvicinavano nel cielo limpido - un grande gruppo di loro, diretto verso la città. Non sapevo cosa fossero, né cosa stesse succedendo, e poi… poi…” 

Antonio sembrò improvvisamente confuso, come se, dopo tutti questi anni, ancora non riuscisse a capire.

“Poi tutto è semplicemente… esploso. È stato così improvviso che non riuscivo nemmeno a pensare. Tutto quello che sapevo era che il mondo si stava spaccando, e non c'era nient'altro che esplosioni rosse e nere ed esplosioni così forti da essere oltremodo assordanti. Solo le urla erano più forti. La gente correva ovunque, ma non c'era nessun posto dove correre. Mi ci è voluto troppo tempo per rendermi conto che gli aerei ci stavano bombardando. Sono caduto in una porta, guardando gli edifici esplodere in palle di fuoco, mentre la strada tremava, mentre le persone che correvano e urlavano cadevano a terra - proiettili". 

Antonio rise amaramente. "Potresti crederci? I piloti sparavano persino proiettili". 

I pugni di Antonio tremarono leggermente. “All'inizio non sentivo nulla. Era troppo irreale, troppo lontano. Ma poi mi ha colpito: il peggior terrore che abbia mai conosciuto. Sapevo che stavo per morire, ma potevo solo sdraiarmi su quella soglia e aspettare. Continuavo ad aspettarmi che finisse, ma non è andata così, è andata avanti e avanti e avanti fino a quando non riuscivo nemmeno più a sentire le urla". Il volto di Antonio era contorto in un'espressione agonizzante che Lovino non aveva mai visto prima; mai avrebbe voluto vedere di nuovo. Respirò profondamente e continuò.

“Ma alla fine è finita. Mi sforzai di alzare lo sguardo e il cielo era limpido, ma mi ci volle comunque così tanto per muovermi. Le urla ricominciarono. Non sapevo dove stavo andando, quindi ho continuato a camminare. Volevo aiutare, ho cercato di aiutare, ma c'erano troppe persone da aiutare – sanguinanti, morenti, ustionati, mancanti di braccia, mancanti di gambe…” Antonio si fermò un attimo, la sua voce si spense nel nulla. Chiuse gli occhi spalancati, prese un respiro tremante e continuò ancora più dolcemente di prima. 

“I morti erano disseminati per le strade appiattite e fumanti. Quando sono arrivato alla piazza della città è stato peggio. L'intera città fu distrutta. Fumo nero, fuoco che infuria, odore di carne bruciata e dappertutto... proprio ovunque persone ferite, urlanti, stordite, morte... tanti morti... centinaia...”

Lovino rimase colpito ancora: le sue mani, la sua spina dorsale, i suoi occhi. 

Si sentiva congelato in uno stordimento inorridito. 

Non poteva cominciare a capire. 

"Dio mio. Ma perché? C'erano soldati lì, o...”

"No." Antonio scosse la testa e sbuffò senza allegria. "No. È stato un esperimento''.

Lo stomaco di Lovino si contorse per la nausea fredda. "Un esperimento?"

“Un test per l'aviazione del nuovo governo fascista tedesco. Per vedere di cosa erano capaci i loro bombardieri. Per vedere cosa ci vorrebbe per distruggere una città. Per vedere con quanta facilità potevano decimare una popolazione civile. Ed è stato il leader fascista spagnolo a permettere che ciò accadesse nel suo stesso paese. Chi li ha praticamente invitati a entrare .”

Lovino era scioccato, stordito.

 Era troppo orribile. 

Come ha potuto Antonio passare tutto questo e sorridere ancora così allegramente, ancora ridere come ha sempre fatto? 

Lovino non sapeva cosa dire. 

Parole come "Mi dispiace" sembravano così vuote per qualcosa del genere. 

Cos'altro aveva visto Antonio... cos'altro c'era dietro quegli occhi verdi sorridenti?

“Non mi è mai importato del governo”, ha continuato Antonio. 

Non sembrava turbato dal silenzio di Lovino . “Non mi è mai importato di politica, e in un certo senso suppongo di non esserlo ancora. Tutto quello che so è che se posso fare qualcosa per impedire a persone innocenti di morire per niente... morire per una guerra non la loro... morire per un fottuto esperimento ... allora lo farò. 

Lovino non ha saputo rispondere. 

Non potevo parlare. 

Cosa c'era da dire alle parole più nobili che avesse mai sentito?

 “Oh,” disse infine Lovino , un brivido che gli percorse la pelle mentre una fresca brezza passava. 

"Non ho mai saputo... non ho mai..."

''Vorrei che tu non lo sapessi, Lovino . Ma è per questo che lo faccio. Perché scopro quello che posso da entrambe le parti in questa guerra, perché prendo informazioni dalle persone e le uso per prevenire qualsiasi spargimento di sangue di cui sono capace. Non è molto, davvero. Ma non ho mai avuto uno scopo.” Antonio si strinse nelle spalle, poi guardò Lovino con un piccolo sorriso, i suoi capelli castani disordinati che cadevano sul suo bel viso. 

Per la prima volta, Lovino pensò di sembrare più vecchio. "Ora faccio."

Lovino sentì il cuore gonfiarsi e la sua riluttante ammirazione approfondirsi.

 Non aveva mai veramente pensato al motivo per cui Antonio si era messo in tale pericolo. Aveva solo sempre avuto paura che lo facesse. Ma naturalmente Antonio conosceva i rischi - lo sapeva, e lo ha fatto comunque. 

Lovino sentì improvvisamente una sorta di vergogna bruciargli le guance. Perché sapeva che non avrebbe mai potuto essere così coraggioso. Senza nulla da dire, Lovino ha invece pizzicato a caso le corde della chitarra. I secondi di silenzio si allungarono in minuti, e le foglie autunnali danzavano nel vento intorno a loro mentre il tranquillo, dolce pomeriggio le passava lentamente. Lovino coglieva melodie spezzate e incuranti dalla chitarra, sentendo gli occhi di Antonio su di sé, sentendo il calore di Antonio accanto a lui sostituire la precedente vuota solitudine. Lovino perse il conto di quanto tempo passò prima che Antonio parlasse di nuovo.

"Mi scuso se ti ho messo a disagio, Lovino ."

“No,” disse Lovino velocemente, il collo in fiamme mentre fissava fisso le sue dita che strimpellavano la sua chitarra.

"So che deve essere difficile per te con me intorno... sapendo come mi sento."

Il cuore di Lovino batteva più veloce, un bagliore caldo, formicolio e confortante che gli riempiva il petto, insieme a quel vecchio, familiare, quasi doloroso nervosismo che non è mai andato via. "Oh. Ancora?"

Antonio fece una breve, sommessa risata che era più di un sospiro. “Sempre, Lovino .”

Antonio sapeva come si sentiva Lovino ? 

Lovino lo vuole?

 Certo che era difficile, ma Lovino si rese conto che avrebbe preferito che le cose fossero difficili con Antonio qui piuttosto che facile senza lui. 

“Sono sicuro che hai cose importanti da fare qui,” disse Lovino , inciampando nelle parole. 

“Tu... dovresti restare. Per la causa''. 

Silenzio. 

Lovino continuò a suonare la sua chitarra e, prima ancora che se ne rendesse conto , traeva dagli archi la melodia di ' Bésame Mucho '. 

Lovino sentì le sue spalle irrigidirsi e il fiato sospeso, ma per qualche ragione non riusciva a capire o esprimersi a se stesso, continuò ad andare avanti. Suonò l'intera melodia, Antonio immobile accanto a lui, le foglie che cadevano intorno a loro, finché l'ultima delle note sbiadì nel vento mentre passava dolcemente. Lovino fissò la chitarra nel silenzio, il collo in fiamme, chiedendosi cosa avesse cercato di dire, se l'avesse detto, e se Antonio avesse capito. Quando finalmente alzò lo sguardo su Antonio, su quei grandi occhi verdi e le labbra leggermente socchiuse, capì di averlo fatto.

 Lovino tornò subito a guardare.

 "Quindi, dovresti rimanere tutto il tempo che ti serve."

Il resto del pomeriggio trascorse in un lento, tranquillo stordimento di melodie ,cadenzate e sguardi rubati. Quando nonno Roma arrivò a casa, non sembrava troppo preoccupato di vedere Antonio e Lovino da soli – ma poi, Lovino pensò, nessuno avrebbe saputo dal suo comportamento nell'ultimo anno che provava tutt'altro che un'indifferente derisione nei confronti di Antonio. Roma e Antonio scomparvero nel soggiorno per parlare, ma Lovino rimase in giardino finché il cielo non fu buio e le stelle furono spente. Entrò in casa, oltrepassò Feliciano che preparava la cena e chiacchierava con lui inutilmente, e aprì di gomito la porta del soggiorno. Ha guardato come Antonio ha detto addio alla Roma e si è diretto verso la porta d'ingresso, ha guardato mentre sorrideva e si voltava e se ne andava. E Lovino sentì un dolore così straziante al petto, che per la prima volta si chiese se sarebbe stato meno doloroso cedere.

———————-

Antonio era seduto alla sua scrivania improvvisata nella stanza sul retro della Cantina Verde , canticchiando distrattamente mentre la radio senza fili accanto a lui faceva esplodere le ultime canzoni popolari nella stanza. Era tornato solo da un giorno ed era già sommerso dal lavoro. I tedeschi avevano un tale controllo su questa città ultimamente, ma con gli americani che stavano per arrivare... 

Sebbene cercasse di concentrarsi, Antonio trovò i suoi occhi e la sua mente che vagavano dai documenti davanti a lui, tornando al giorno prima nel giardino di Lovino . 

Non era sicuro che raccontare a Lovino i suoi ricordi di Guernica fosse stata una buona idea. Non aveva mai messo a nudo la sua anima in quel modo, non aveva mai voluto provare il dolore che il ricordo di quegli eventi inevitabilmente portava. Eppure aveva voluto dire tutto a Lovino , voleva che sapesse tutto. Antonio non era nemmeno sicuro che fosse giusto nei confronti di Lovino , ma Lovino gli aveva chiesto perché lo avesse fatto, e Antonio non avrebbe mai potuto essere altro che onesto con la persona più importante del suo mondo. 

Ma quelle immagini continuavano a girare nella sua mente. I bruciati, sanguinanti e moribondi che non poteva aiutare. I corpi spezzati semisepolti sotto i detriti frantumati. I sopravvissuti che sedevano con gli occhi spenti e confusi, quelli che correvano urlando per i propri cari. Antonio cercò di scrollarsi di dosso i ricordi strazianti, di ricordare perché si era tormentato riportandoli a galla. Per quanto fosse stato difficile parlare, per quanto brevemente, di eventi che aveva passato anni a sopprimere, come poteva Antonio mentire all'unica persona che significava il mondo per lui? 

Come poteva nascondere a Lovino una parte di sé ?

Guardando di nuovo la pila di carte sulla scrivania, Antonio si chiese brevemente chi stesse cercando di ingannare. Non aveva bisogno di passare tanto tempo in questo villaggio quanto lui. Roma era perfettamente in grado di gestire da solo questa fazione della Resistenza. Eppure Antonio era sempre attratto qui, cercando sempre di restare il più a lungo possibile, senza mai voler partire. 

Sì, era un villaggio incantevole. 

Sì, Roma gli piaceva e adorava il piccolo Feliciano. 

Ma c'era solo un vero motivo per cui Antonio tornava sempre, sempre. Antonio sobbalzò leggermente quando la porta della stanza sul davanti si aprì. 

Alzò lo sguardo, i ricordi oscuri svanirono e la stanza intorno a lui si illuminò. “ Lovino !”

Lovino si fermò barcollando, la mano ancora sulla maniglia della porta. I suoi occhi si spalancarono, le sue labbra si aprirono e abbassò immediatamente lo sguardo. 

"Oh. Cercavo il nonno".

Antonio sorrise. Non riuscì mai a controllare il suo sorriso quando Lovino entrò nella stanza. "Tornerà tra poche ore".

Lovino annuì, spostò il peso, si ravviò i capelli. "Va bene."

"Puoi aspettare." Antonio lo disse speranzoso, anche se aveva poche ragioni per aspettarsi che Lovino sarebbe rimasto davvero . 

Tuttavia, con sua grande gioia, Lovino annuì di nuovo.

"Va bene." Lovino rimase per qualche istante incerto, poi si precipitò e si dondolò su un tavolo vicino. Il sorriso di Antonio si illuminò, il suo petto si gonfiò al gesto familiare. Lovino non si è mai seduto su una sedia… ha sempre scelto un tavolo. Dondolava sempre le gambe così, guardandosi intorno come se cercasse qualcosa, troppo evidente nel cercare di evitare gli occhi di Antonio. 

Con quello stesso gesto si portava sempre i capelli dietro l'orecchio, guardava sempre a terra e si mordeva il labbro distrattamente, tamburellava sempre con le dita sul bordo del tavolo, alzava gli occhi, guardava con cipiglio Antonio, strizzava gli occhi, diceva sempre: 

''Che stai guardando, bastardo?"

Antonio si morse il labbro per fermare una risatina. "Scusami, Lovino ."

Antonio guardò di nuovo l'elenco degli ufficiali della Gestapo nella zona, canticchiando di nuovo alla radio senza fili. Sentì gli occhi di Lovino su di sé e si chiese se Lovino sapesse quanto fosse trasparente. Antonio era stato così sicuro l'altra estate, quando aveva finalmente terminato i suoi tre anni di esilio, aveva finalmente smesso di mentire a se stesso, era finalmente tornato qui nel luogo che lo chiamava da quando aveva lasciato il suo bel corazón con un sorriso e una chitarra e straziante, amaro rimpianto. Era stato così certo che Lovino era cresciuto a sentire lo stesso. Ma Lovino aveva fatto a pezzi le speranze e i sogni di Antonio, gli aveva detto chiaramente che non si sarebbe mai sentito così. E Antonio gli aveva creduto. 

Se n'era andato, era caduto a pezzi, si era ubriacato fino a perdere i sensi e aveva urlato alle stelle e fatto un buco nel muro di una taverna. Ma nel corso dei mesi, mentre veniva forzato, costretto, ricacciato, trascinato in questo villaggio, le cose si erano lentamente sistemate. Era diventato troppo chiaro, troppo chiaro; forse non a nessun altro, ma Antonio si vantava di poter vedere parti di Lovino che nessun altro poteva vedere. Lovino era insicuro, nervoso, terrorizzato. Ma Antonio poteva vedere cosa c'era in quegli occhi d'oro; e vedeva che Lovino lo voleva.  

Antonio lanciò un'occhiata a Lovino , alle sue lunghe dita che tamburellavano sul tavolo e si scostavano i capelli scuri dagli occhi scuri. Antonio si chiese cosa lo avesse attirato così tanto in sé. Certo, Roma era così protettivo nei confronti dei suoi nipoti, troppo protettivo. E nonostante quanto Lovino credesse di sapere, nonostante la sua evidente intelligenza e curiosità, questo villaggio era tutto ciò che avesse mai conosciuto.

Era strano; questo contrasto stridente del desiderio disperato di Lovino di una maggiore responsabilità nella resistenza con la sua paura costante e fuorviata. La sua esasperante testardaggine con la sua inebriante innocenza. Antonio voleva tirarlo fuori da tutto questo, togliere tutti gli strati protettivi che Lovino si era posto addosso. Voleva conoscere Lovino a fondo , voleva sapere chi era e chi poteva essere e farne parte. Antonio voleva stare con lui, senza separarsi mai da lui. Antonio semplicemente lo voleva.

Antonio si rese conto che Lovino stava ricambiando il suo sguardo proprio quando riconobbe la nuova canzone alla radio. Poche battute di corde gonfie e le parole iniziarono. 

Bésame , bésame mucho … 

Il cuore di Antonio sussultò e rise quando gli occhi spalancati di Lovino saettarono tra lui e la radio. Anche Lovino, ovviamente, ha riconosciuto la canzone. Velocemente, impulsivamente, Antonio spinse indietro la sedia, si alzò, colse l'occasione. Balzò su Lovino e gli tese una mano, sorridendo gioiosamente. “Un ballo, mi corazón !”     

Era la prima volta che Antonio usava quelle parole da quando Lovino gli aveva chiesto di non farlo, e si aspettava che Lovino rifiutasse. Si aspettava che lo prendesse in giro, e imprecasse, e lo respingesse con rabbia. Non si aspettava che lo fissasse muto, un grappolo di emozioni che danzava dietro i suoi occhi e una gamma di espressioni che gli attraversavano il viso, prima di annuire, alzarsi e prendere la mano tesa di Antonio. Antonio rise selvaggiamente, la gioia inondava i suoi polmoni e le sue vene semplicemente troppo da trattenere in silenzio. Ci fu un breve groviglio delle loro mani non giunte quando Lovino si rifiutò di appoggiare la sua sulla spalla di Antonio, e alla fine decisero per un compromesso di entrambi appoggiando le mani libere dall'altro lato. Antonio sentiva che le sue guance si sarebbero spezzate – Lovino non smetteva di aggrottare le sopracciglia.

La canzone era abbastanza nuova ; un Antonio che aveva sentito poche volte, una graziosa versione inglese. La musica è iniziata abbastanza lentamente e, sorprendentemente, Lovino ha seguito immediatamente l'esempio di Antonio. La cantante inglese aveva una voce adorabile e la traduzione si adattava perfettamente. Lovino manteneva tra loro una piccola distanza guardinga, e Antonio desiderava sentirlo più vicino, stringerlo tra le braccia e contro il suo petto. Ma si costrinse a mantenere la distanza mentre la musica si intensificava e trascinò Lovino sul pavimento. Lovino imitava perfettamente i suoi movimenti, i suoi fianchi si muovevano al ritmo sottostante, trovando facilmente il ritmo sfuggente. Antonio gli strinse scherzosamente la mano.

“Sei un ballerino meraviglioso, Lovino !”

Lovino alzò il mento, i suoi occhi si illuminarono. Ma si rifiutava ancora di sorridere. "Lo so."

"Dove hai imparato a muoverti così?" Antonio guidò facilmente Lovino tra i tavoli, fermandosi brevemente per spostare una sedia con un calcio.

Le labbra di Lovino si contrassero leggermente verso l'alto. “Non ho dovuto imparare. Sono italiano."

Antonio scosse indietro i capelli, agitò le sopracciglia e rivolse a Lovino il suo sorriso più seducente. "Ah, ma nessuno balla come gli spagnoli!" E come per dimostrare il suo punto, Antonio mosse i piedi con un breve passo e fece girare Lovino in pochi forti, stretti cerchi sul pavimento.

Lovino trattenne un sussulto e strinse la presa su Antonio. "Attento, bastardo, mi sbatterai contro un tavolo!"

Antonio ha colto l'occasione per avvicinare di poco Lovino . "Oh, Lovino , che poca fiducia hai in me!"

Lovino lo fissò con occhi stretti ma scintillanti. "Non so perché stai conducendo comunque."

"Perché sono il ballerino migliore."

"Non lo sei."

"Perché sono più forte!"

Lovino arrossì leggermente. "Non lo sei!"

"Perché ti ho chiesto di ballare, quindi ecco."

Lovino si morse il labbro e il polso ardente di Antonio accelerò. 

Oh, Lovino stava combattendo così tanto; stava cercando così duramente di non sorridere. Antonio sorrise subdolamente e Lovino ebbe appena il tempo di alzare un sopracciglio in apprensione. All'ampio interludio degli archi Antonio strizzò l'occhio, fece oscillare via Lovino e lo fece roteare sotto il braccio. 

E Lovino rise. 

Lo stomaco di Antonio si capovolse e il calore gli percorse le vene. 

Oh, quello era il suono più meraviglioso che avesse mai sentito – oh, doveva convincere Lovino a farlo di nuovo. Antonio lo tirò di nuovo a sé, poi si voltò subito Lovino e lo gettò a terra. 

Lovino sussultò, si strozzò con un grido, e non poté fermare un'altra risata che gli sfuggeva dalle labbra. Antonio rise allegramente e prese di nuovo Lovino tra le braccia. Lovino cercò di fulminarlo, ma i suoi bellissimi occhi dorati stavano danzando, le sue labbra contorte in un sorriso che non riusciva a controllare. Antonio lo condusse di nuovo sul pavimento, Lovino stretto al braccio di Antonio, questa volta senza cauta distanza tra loro.

"Te l'avevo detto che sono il ballerino migliore!" rise Antonio.

" Beh, se mi potevi dare qualche avvertimento!"

"Dove sarebbe il divertimento se no?" Antonio ha portato via Lovino un'ultima volta, l'ha fatto volteggiare due volte, e poi... Amami per sempre... 

Antonio stava sognando. 

Doveva sognare. 

La musica rallentò, sembrò fermarsi, sembrò fermarsi del tutto. 

Il corpo di Lovino premuto contro quello di Antonio, i loro petti che si sollevano insieme, le loro mani giunte, la mano di Lovino sul braccio di Antonio e oh, Dios, il braccio di Antonio intorno alla sua vita... Era passato così tanto tempo. 

Era così angosciosamente lungo da quando aveva tenuto Lovino così, ed era proprio come ricordava, ed era diverso da qualsiasi cosa avesse mai sperimentato. I loro occhi si incontrarono e Lovino era così vicino, i suoi capelli profumati e i suoi occhi scuri, che fissavano Antonio, le labbra leggermente dischiuse e il respiro leggermente affannoso. 

Antonio ricambiò lo sguardo, perso, immobile, tutto fermo e silenzioso tranne quelle ultime, lente, quiete parole. … e realizza tutti i miei sogni.  

La musica volgeva al termine. Lovino non si mosse. Ma, come sempre, i suoi pensieri e le sue emozioni danzavano nei suoi occhi. Antonio aspettò, osando appena sperare, osando appena respirare. Poteva vedere Lovino pensiero; vederlo combattere; vederlo cadere...

La porta si aprì sbattendo. Lovino si staccò dalle braccia di Antonio, incespicando freneticamente, e Antonio dovette trattenersi dal gemere di delusione. Fece un passo indietro immediatamente, ma i tre membri della resistenza che sfondarono la porta d'ingresso non sembravano aver notato nulla. Non c'era da sorprendersi, visto che stavano trasportando bottiglie di vino e bicchieri dal bar, e ovviamente ne avevano già avuti alcuni.

“Antonio!” gridò uno degli uomini ad alta voce, dirigendosi rumorosamente verso un tavolo vicino e cadendo su una sedia. Gli altri lo seguirono, sbattendo giù bicchieri e bottiglie. Antonio annuì con cautela, ma voleva prendere a calci gli uomini per il loro dannato tempismo assolutamente pessimo .

"Buon pomeriggio." Lanciò un'occhiata di traverso a Lovino , che sembrava decisamente nervoso. Antonio sapeva che Lovino non andava d'accordo con la maggior parte della Resistenza . Stava bene con le donne, anche affascinante, ma era goffo e a disagio con gli uomini. Antonio dovette quasi smettere di mettersi in mezzo a loro.

"E il piccolo Vargas!" disse l'uomo che aveva salutato Antonio. Ha dato il saluto condiscendente.

“ Lovino ”. Lovino ha praticamente sputato la parola. Spesso si è mostrato maleducato, ma era ovvio per Antonio che non sapeva come agire diversamente. Si chiese come nessun altro potesse vederlo.

“Ah, mi scuso . Lovino .” L'uomo sputò la parola in una rozza imitazione, e gli altri risero raucamente. Lovino sussultò e diventò rosso, i suoi occhi guizzarono brevemente verso Antonio prima di distogliere lo sguardo. Era imbarazzato. Antonio guardò l'uomo. Non conosceva nemmeno il suo nome indegno. Uno stupido contadino arretrato, che si comportava come un bambino, che pensava di essere più importante di quanto non fosse in realtà . 

“Sei in anticipo,” disse seccamente Antonio. " Roma non è ancora arrivata".

"Va tutto bene, possiamo aspettare." I partigiani cominciarono a versare il vino e Antonio strinse gli occhi. Cosa pensavano che fosse, una specie di gioco?

"Roma non è ancora arrivata?" disse uno degli uomini a voce alta, poi fissò Lovino . " Quindi puoi uscire senza che il nonno ti tenga per mano ora?" Gli altri risero di nuovo forte. Antonio fece per dire qualcosa, ma Lovino irruppe.

"Oh, sì, sono sicuro che pensi di essere così fottutamente divertente."

“Sei quello divertente, piccolo Vargas. Che diavolo ci fai qui comunque?"

"Sono qui per la tua stessa ragione!"

Il partigiano bevve un sorso di vino e si voltò verso gli altri ridendo. "Nient'altro che uno sciocco ragazzo che fa il rivoluzionario."

“Non dovresti portare alcolici alle riunioni”, disse Antonio, cercando di cambiare argomento. Ci è voluto molto per farlo arrabbiare, ma a questo punto era già infuriato.

"Oh, certo, il piccolo Vargas è troppo giovane per il vino, non è vero ..."

"Ho vent'anni!" gridò Lovino prima che Antonio potesse parlare. Antonio lo guardava, preoccupato. Le mani di Lovino erano serrate a pugno, le spalle rigide. 

Non è mai riuscito a gestire le sue emozioni...

Gli uomini rotearono gli occhi, borbottando. Sembravano stanchi di quel gioco crudele e stupido. “Non saprei. Il nonno non ti permetterà nemmeno di gestire una missione.”

Lovino era rosso e tremava. Aprì la bocca, come se cercasse di pensare a qualcosa da dire, ma riuscì solo a gridare: "Zitto!"

Il partigiano agitò la mano in modo sprezzante, concentrato sulla bottiglia davanti a lui. "Corri, piccolo Vargas, dovresti tornare a casa prima di andare a dormire."

"Smettila!" gridò Antonio. Il polso gli martellava il collo, la pelle bruciava di rabbia. Voleva caricare, afferrare per la gola quei bastardi ridenti , sbatterli a terra. 

“Non capisci quanto questo sia serio? Stiamo combattendo qui per la libertà del vostro paese e voi tre caricate qui ubriachi, comportandovi come bambini. Se non puoi comportarti in modo appropriato allora…” Antonio non si preoccupò nemmeno di finire la frase quando notò Lovino che correva fuori dalla porta sul retro. 

Ha solo giurato e lo ha seguito.

—————————

Lovino spinse la porta sul retro con mani tremanti, nel disperato tentativo di nascondersi in qualche angolo buio del vicolo dietro la cantina. Alcune casse rimaste per terra lo fecero inciampare e si tenne fermo con una mano sul freddo muro di mattoni. Ma non smise di muoversi, anche quando udì dei passi pesanti seguirlo subito dietro.

“Vattene via!" gridò, sperando che il leggero spezzare della sua voce non lo tradisse.

"No."

Lovino strinse i pugni e strinse i denti, arrabbiato e imbarazzato e leggermente in preda al panico. 

Era mortificato. 

Si vergognava. 

Aveva così paura dei sentimenti dentro di lui. 

Lovino arrivò in fondo al vicolo e non poté andare oltre, così batté i pugni contro il mattone freddo davanti a sé e vi appoggiò la fronte. "Dico sul serio", ha detto, quasi soffocando per le parole. “Vattene, Antonio, io non… non posso…” Lovino ansimò, la gola che gli si chiudeva per il pianto che saliva. "Oh Dio, per favore vattene."

" Lovino , non ascoltare quegli idioti."

Lovino si coprì le orecchie con le mani; volendo bloccare il suono della pietà di Antonio, bloccare i suoi falsi complimenti e la stupida gentilezza e la simpatia sbagliata. 

Lovino era troppo accaldato, troppo irrequieto; tremante, confuso, impaurito. 

Era tutto così meraviglioso tra le braccia di Antonio. 

Così meraviglioso sentirlo e tenerlo stretto; per respirare il suo profumo e vedere quel sorriso brillante e quegli occhi abbaglianti così vicini. Gli sembrava di appartenere a quel posto, come se ogni vuoto doloroso e solitario dentro di lui fosse stato finalmente riempito. 

Così perfetto, così luminoso, caldo ed esilarante. Così dannatamente meraviglioso che aveva quasi perso il controllo. Chissà cosa avrebbe potuto fare se quegli uomini non fossero arrivati e non avessero infranto i suoi sogni nascenti, ricordò ad Antonio che odioso sciocco fosse veramente Lovino . È arrivato e lo ha completamente, completamente umiliato. 

Chiuse gli occhi e sussurrò. “Lo sai che tutti mi odiano, vero ? "

"Non è vero…"

Adesso Lovino gridò. 

“Non provare nemmeno a negarlo, non sono stupido! Non sono mai piaciuto a nessuno. Non ho mai nemmeno…” 

Lovino sapeva di essere infantile, isterico, che si rendeva ancora più ridicolo, ma oh Dio non riusciva a smettere… 

“Non ho mai avuto amici, perché è così che pensano tutti io, proprio come quegli uomini lì dentro! E non potevi capire, perché piaci a tutti, le persone non possono fare a meno di piacerti! E, e Feliciano è sempre stato il preferito di tutti , e...”

"Non il mio." Antonio lo disse con tale fermezza che Lovino interruppe immediatamente la sua invettiva crescente. 

“Non mi interessa cosa pensa la gente. Sei il mio preferito , Lovino .” 

Antonio disse allegramente le parole successive. "Sei la mia persona preferita in tutto il mondo!"

"Ma... ma... ma perché?" Lovino finalmente si voltò, le sopracciglia aggrottate, le guance in fiamme. 

Era completamente sconcertato. 

Come poteva Antonio dirlo, pensarlo? 

Non vedeva il modo in cui la gente trattava Lovino ?

 Antonio inarcò un sopracciglio, ma Lovino proseguì con determinazione, oltre le lacrime che gli salivano in gola e gli si accumulavano negli occhi. 

"Davvero perchè? Nessuno mi ama di più. So cosa pensano tutti. Che sono irritabile, che sono difficile. Che sono una seccatura, sono un codardo, sono stupido, sono inutile…”

Antonio scosse la testa, l'espressione stranamente turbata. "Smettila, Lovino , fermati."

"Ma è vero! È tutto vero, quindi, perché io? Perché non qualcun altro? Perché non Feliciano?" Lovino si asciugò con rabbia le lacrime di traditore dai suoi occhi. Non aveva bisogno di ulteriori umiliazioni. Non avrebbe pianto, dannazione . Non avrebbe pianto per questo!

Antonio fece per ridere, ma si fermò. “Oh, Lovino . Hai sempre questo cipiglio arrabbiato, questo piccolo cipiglio carino. Ecco perché lo pensano tutti, perché è tutto ciò che vedono. Sono troppo ignoranti, troppo indolenti, troppo dannatamente stupidi anche solo per provare a guardare oltre".

 Lovino distolse lo sguardo. 

Non poteva guardare Antonio mentre diceva questo.

 Perché Antonio doveva essere così stupidamente gentile? 

Perché doveva renderlo così difficile?

 “Ti ricordi che te l'ho detto? La gente vuole ciò che è facile. Ma se non riescono a spendere lo sforzo per vederti davvero, Lovino , per conoscerti, allora non ti meritano.''

Il respiro di Lovino si mozzò al groppo in gola. Deglutì e respirò, cercò di scioglierlo con l'aria fredda. Se Antonio lo pensava davvero... anche se era stupido, e si sbagliava, se lo pensava davvero, allora forse... 

''Ma tu... tu avresti ...'' Oh perché non riusciva a smettere di chiederselo? 

“Ma tu lo faresti? Faresti uno sforzo?"

Antonio si avvicinò di un passo finché i loro petti quasi si toccarono. Lovino ancora non riusciva a guardarlo, ma sentiva il suo calore, poteva sentire il suo profumo, poteva ricordare come ci si sentiva tra quelle braccia... 

“Faccio proprio questo, mi corazón , ogni momento che sto con te. Ogni momento bello e perfetto sono con te. Perché quello che loro non capiscono... e quello che nemmeno ti rendi conto ... è che tutto ciò che sei, tutto ciò che senti, Lovino , è scritto nei tuoi occhi". 

Gli occhi di Lovino si spalancarono. Sentì immediatamente un impellente bisogno di nascondersi. Decise invece di abbassare la testa, lasciando cadere i capelli negli occhi. 

Perché queste cose stupide e drammatiche che diceva Antonio lo colpivano così tanto?

 "Che ridicolo", mormorò.

“Nel momento in cui ci siamo incontrati, l' ho visto. Ho visto in te . Sei una persona così meravigliosamente gentile, ma non vuoi che nessuno lo sappia. Hai profondità di passione segrete che nascondi dentro di te per paura. Ami troppo profondamente, ma cerchi di negarlo, perché sai che più ami profondamente, più fa male". Lovino sbatté le palpebre rapidamente, rifiutandosi ancora di guardare Antonio, ma gli permise di allungare la mano molto brevemente e sistemarsi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. 

Il semplice tocco gli fece rabbrividire la pelle. "Il tuo cuore è così fragile", sussurrò Antonio dolcemente, le dita che indugiavano sulla guancia di Lovino , apparentemente riluttanti a tirarsi indietro. "Ecco perché lo tieni chiuso in una gabbia di ferro." 

Lovino finalmente alzò lo sguardo e incontrò lo sguardo forte e uniforme di Antonio.

 Antonio era bravo, era onesto e vero e sincero.

 Non poteva mentire su questo. 

Non c'era niente di falso nel suo bel viso raggiante, e Lovino si chiese improvvisamente che diritto aveva di dubitare di ciò che credeva Antonio. "Una gabbia?" chiese Lovino , incerto su cosa volesse dire Antonio.

Antonio annuì, il suo sorriso piccolo e riflessivo. 

“Ma sono abbastanza sicuro che questa gabbia abbia un lucchetto. E se mi ci vogliono cinque anni, dieci o cinquanta... sono determinato a trovare la chiave. Perché, Lovino , non spezzerò mai qualcosa di così prezioso, solo per scoprire cosa c'è dentro”.

Lovino prese un respiro tremante, per calmarsi, e scosse la testa. Come poteva Antonio non vedere l'ovvio evidente: Lovino non lo meritava. “Ma non capisco! Sei coraggioso e bello e divertente e, sì, irritante e stupido, ma forte e appassionato e…”

 Lovino si fermò, imbarazzato alle parole, ma iniziando a chiedersi quale ragione ci fosse per nascondersi ancora. "... e perché mi vorresti?" terminò tranquillamente.

In questo vicolo buio e vuoto, le parole gentili e insondabili di Antonio risuonarono come un tuono nella testa di Lovino . “ Lovino . Potrei darti mille parole e descriverti in mille modi. Ma alla fine è molto semplice. Ti voglio perché ti amo. Nessun altro. Te, Lovino . Tu sei l'unico." Lovino sbatté le palpebre con forza contro le lacrime, ma cominciava a perdere la battaglia. 

"Tu sei il mio unico."

"Oh..." Questa dannata mancanza di respiro. 

Questa paura, euforia, incredulità, orgoglio, felicità... 

Il corpo di Lovino era troppo piccolo per contenere questi sentimenti. Si affollavano nel suo petto gonfio, gli inondavano le vene, gli sommergevano la mente; e Lovino aveva bisogno di gridare, ma poteva solo sussurrare. "Oh."

“E se decidi che non proverai mai sentimenti per me, allora lo accetterò. Non amerò mai nessun altro, ma lo accetterò. Ma se c'è la minima scintilla - la più piccola fiamma di speranza lì che forse, forse, un giorno puoi permetterti di provare solo una frazione di quello che provo per te - allora aspetterò, Lovino ''. 

Sorrise Antonio, il sorriso che scacciava tutto il resto dalla mente di Lovino , che gli toglieva il respiro e abbatteva le sue difese e lo costringeva a riconsiderare tutto ciò che credeva di credere. "Aspetterò tutto il tempo che ci vorrà finché non sarai pronto."

Lovino non ce la faceva più. 

Non poteva fingere. 

Non poteva allontanare Antonio, non poteva mentire come l'ultima volta. 

Non quando qualcuno così puro, buono e onesto si è aperto così davanti a lui, lo ha guardato con una speranza così bella e occhi verdi così profondi. 

Lovino sentì indebolirsi la sua corazza, sentì una lacrima sfuggirgli dall'occhio, e sussurrò. 

"Aspetteresti a così tanto?"

Antonio sospirò dolcemente, sorridendo, e seguì la lacrima con un dito caldo e gentile. 

“Per sempre, mi corazón .” 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Storia originaria di George DeValier.

Capitolo tradotto dalla sottoscritta, ne detengo i diritti di traduzione.

Inverno, 1943 

Un paesino in Italia

"Sei tornato in città, spagnolo."

Antonio sentì un'ondata di paura fredda e malata attraversargli le viscere. Alzò lo sguardo bruscamente, poi emise un breve sospiro di sollievo. Il turco lo fissò pensieroso, quel sorriso familiare sulle sue labbra, quel consueto fez rosso appollaiato sulla sua testa. Guardò acutamente la sedia di fronte, e Antonio fece un rapido cenno del capo.

"Così." Il turco si sedette pesantemente, appoggiandosi facilmente allo schienale della sedia. “Quindi facciamo presto. Non è una buona idea farmi vedere qui, lo sai.''

Antonio annuì e bevve un lungo sorso di vino per calmare i nervi. 

Quella costante ansia stava iniziando a consumarsi dentro di lui. La sensazione sconosciuta era fin troppo comune in quei giorni, ora che troppe persone in questo piccolo villaggio conoscevano il suo volto. "Capisco. Anche se ti rendi conto che per me è molto più pericoloso farmi vedere alla Cantina Rosso, amico mio''.

 Antonio rimise il vino sul tavolo poi si offrì di versarne un bicchiere per il turco, che, come sempre, scosse la testa.

"Perché altrimenti dovrei trascinarmi in questa parte della città?" Il turco si guardò intorno con sdegno nel salone quasi vuoto della Cantina Verde. "Ho sempre preferito il rosso al verde."

Antonio alzò un sopracciglio. "Veramente? E ho sempre pensato che il tuo preferito fosse l'oro". Lanciò una piccola sacchetto che tintinnava sul tavolo. Il turco ne ispezionò rapidamente il contenuto prima di mettere il sacchetto in tasca.

"Vedi, questo è il motivo per cui mi piace lavorare con te, spagnolo." Il turco sorrise. 

"Capisci l'assurdità degli appunti di carta."

Antonio rise piano. 

Era così facile lavorare con persone la cui unica lealtà era il denaro. 

Facile ma pericoloso, considerata la cifra che i tedeschi erano disposti a pagare per mettere le mani su Antonio. “La lira è inutile in questo momento. Non ti insulterei mai con quello.” Si sporse leggermente in avanti, un piccolo sorriso scaltro sulle labbra. "Non dimenticarlo."

Il turco sembrò capire. ''Sarei uno sciocco a consegnarti ai tedeschi. Perché lavorare per una parte quando puoi lavorare per entrambe?" Scrollò le spalle, come per suggerire l'assurdità della proposta. “Ma, per affari. Con la vicina base aerea tedesca, era solo questione di tempo prima che gli americani si unissero al nostro piccolo gruppo. Qui." Il turco tirò fuori dalla giacca un grosso fagotto di carta legata con lo spago, lo posò sul tavolo e lo spinse verso Antonio. ''Trascrizioni degli ordini del personale di vertice dell'aeronautica americana e mappe dei siti di atterraggio previsti. Gli americani vorranno causare più danni possibili mentre hanno l'elemento sorpresa”.

“Certo,” mormorò Antonio, sfogliando brevemente le carte. 

“Questo è ciò su cui ho cercato di ottenere informazioni…” Un'unità di caccia americana attualmente basata a Londra, un previsto atterraggio a sud di Anzio… sì, questo era proprio il materiale di cui aveva bisogno per trasmettere a Roma.

 Antonio aveva lavorato instancabilmente a questa missione per settimane - dopotutto, aveva bisogno di un motivo per tornare al villaggio. "Ora sappiamo che gli americani atterreranno presto, ma abbiamo bisogno di un modo per distruggere la base aerea tedesca e il suo personale più pericoloso in un colpo solo".  

"Lascia fare a me, amico mio." Antonio alzò lo sguardo dai giornali e il turco sorrise subdolamente. ''Troverò qualcosa. E nel momento in cui lo farò, ti informerò".

Antonio strinse gli occhi in un breve momento di sospetto. "Non daresti questa informazione ai tedeschi, vero?"

Il turco si appoggiò allo schienale e rise selvaggiamente. “E perdere le tue normali donazioni d'oro? Non ho appena detto che sarebbe sciocco? No, spagnolo, faresti bene a dimenticare questi sospetti. Ti suggerisco, tuttavia, di mandare qualcuno diverso da te a incontrarmi la prossima volta. Qualcuno... dall'aspetto innocente. Sei troppo riconoscibile da queste parti al giorno d'oggi''.

 Nei suoi occhi apparve un bagliore calcolatore. "Devo chiedermi perché torni insistentemente in questo piccolo villaggio quando il pericolo è così grande per te."

Antonio si strinse nelle spalle con nonchalance. “Sono riconosciuto in molti posti. Il mio lavoro è importante qui come ovunque”. Ma il turco aveva ragione.

 Era troppo pericoloso per Antonio stare in quel paese, lo sapeva. E tuttavia quanto più si prolungava questa guerra e tanto maggiore diventava il pericolo, tanto più Antonio si sentiva qui trascinato. 

All'unico posto e all'unica persona che contava.

Il turco non sembrava convinto. “Alcuni direbbero che sei più necessario al sud in questi giorni. Roma Vargas gestisce la resistenza in questa città come se fosse un'unità dell'esercito. Non ha bisogno del tuo costante aiuto.”

‘’Roma è sempre grata per il mio aiuto", ha detto seccamente Antonio, desideroso di abbandonare questa linea di conversazione. Piegò i fogli e li mise nella borsa. "E sono sicuro che sarà grato per questa informazione."

Il turco annuì, anche se nei suoi occhi rimaneva uno sguardo d'intesa, vagamente divertito. “Fai attenzione quando esci dalla città. Ci sono pattuglie tedesche sulle strade ultimamente”.

Antonio non se ne preoccupò. Conosceva ormai le strade secondarie, conosceva la strada per la fattoria di Lovino . “Sarò in città fino allo sbarco. Dubito, però, che ci rivedremo''. Si alzò velocemente, l'eccitazione cresceva nel suo petto quando finalmente si concesse di pensare a dove stava andando. 

Non aveva senso negarlo. 

Lovino era la vera ragione per cui Antonio era qui; Lovino era la ragione per cui stava rischiando tutto. Mentre si dirigeva rapidamente verso la porta, Antonio udì appena il turco parlare dietro di lui.

"Buona fortuna, spagnolo."

—————————

Lovino sbatté il sacco di farina sul banco della cucina e si girò per affrontare Feliciano. Il suo stupido fratello emise un piccolo squittio e fece un passo indietro. Lovino si accigliò. "Cos'è quella melodia irritante che hai canticchiato tutto il pomeriggio?"

Feliciano si è appena grattato la testa con quel suo sguardo vago e vuoto. “Eh? Oh." Scrollò le spalle. "Non è irritante, è carina." Poi continuò a canticchiare mentre riempiva allegramente di pomodori il cesto di frutta.

Lovino quasi ringhiò irritato. Feliciano era arrivato in ritardo alla riunione della Resistenza alla cantina, era saltato dentro e salutava come uno scemo, poi si era semplicemente seduto in fondo alla stanza a giocare con la radio senza fili. 

Era inaccettabile. 

Quando si sarebbe reso conto della gravità di questa situazione?

 Quando avrebbe smesso di comportarsi come uno stupido bambino e farla franca?

 E quando avrebbe smesso di canticchiare quella canzone ridicola?

 “È stupido,” disse Lovino . "Smettila. Smettila ora."

Feliciano mise il broncio e piagnucolò: "Ma Lovino ..."

"Devi prendere le cose un po' più sul serio, Feliciano." 

Lovino non riusciva a trattenere la frustrazione dalla sua voce. Sapeva che probabilmente stava reagendo in modo eccessivo, ma ultimamente non era stato in grado di controllare le sue emozioni. Era passato quasi un mese dall'ultima volta che aveva visto Antonio. Un mese da quando lo spagnolo incredibilmente meraviglioso aveva tenuto stretto Lovino mentre ballavano, da quando aveva toccato le lacrime di Lovino e aveva detto che avrebbe aspettato per sempre. 

Un mese lungo e immutabile che era sembrato un'eternità ed era passato come una vita. 

Lovino si sentiva ancora indegno, si sentiva ancora confuso. 

Si sentiva perso nella resistenza, sempre trattenuto dal fare qualcosa di utile per la causa. 

Ma soprattutto Lovino si sentiva dolorosamente solo e dolorosamente triste. Quindi ora, non poteva fare a meno di sentirsi irrazionalmente arrabbiato per il fatto che Feliciano potesse agire così dannatamente felice e spensierato. “Non puoi semplicemente passare riunioni importanti come quella seduto e cantando alla radio. Questo non è un gioco. Devi essere serio, come me e il nonno". Lovino sobbalzò improvvisamente quando una mano gli posò pesantemente sulla spalla.

"Cos'è tutto questo che sento sull'essere seri?" Nonno Roma ha messo un sacchetto di arance in panchina, lo stesso stupido sorriso che portava sempre Feliciano. Lovino digrignò i denti e lanciò un'occhiataccia. Proprio quello di cui aveva bisogno: anche suo nonno si comportava in modo stupidamente allegro.

 “Non ascoltare tuo fratello, Feliciano, è troppo serio per la sua età. E hai una bella voce, proprio come tuo nonno!” Lovino ha provato a rispondere con rabbia, ma la Roma ha alzato una mano. "Prova questo..." E poi il bastardo iniziò a cantare. Feliciano rise, batté con gioia, e, naturalmente, si è unito a lui. Lovino mise subito le sue mani sopra le orecchie .  

La donna è mobile, Qual piuma al vento, Muta d'accento - e di pensiero.”

"Nonno, non essere ridicolo!" Lovino maledisse silenziosamente Verdi, si allontanò dalla sua imbarazzante famiglia e si preparò a fuggire. A volte si chiedeva onestamente se fosse imparentato con queste persone... "Dico sul serio!"

Feliciano ha ridacchiato, Roma ha mantenuto quello stupido sorriso stampato in faccia, ed entrambi hanno alzato la voce mentre avanzavano minacciosi su Lovino .

Sempre un amabile, Leggiadro viso, In pianto o in riso, - è menzognero.

"FERMATEVI!" 

Seriamente, sapevano almeno quanto sembravano assurdi? 

Lovino si è guardato intorno disperatamente alla ricerca di una via di fuga, solo per essere ostacolato quando Roma gli è passata davanti e gli ha messo una pentola in testa. Di tutte le cose... ma Lovino non avrebbe riso, accidenti . 

Non era divertente, era infantile e ridicolo e… 

“Basta! Smettila! Lasciami in pace! Siete entrambi pazzi e io lascio questa famiglia!”  

La donna è mobile. Qual piuma al vento, muta d'accento - e di pensier !

Lovino riuscì finalmente a fuggire. Ha schivato il fratello infantile e il nonno assurdo, caricando attraverso la cucina mentre gli davano la caccia ancora cantando quella canzone esasperante. Combattendo la risata che gli cresceva in petto, Lovino spalancò la porta della cucina, corse in soggiorno e subito si immobilizzò. 

Un brivido gelido gli corse lungo la schiena. Il sangue gli uscì dal viso, il suo respiro si fermò e il suo cuore gli balbettò una convulsione selvaggia e frenetica nel petto. Antonio gli sorrise di rimando dalla porta d'ingresso. I suoi occhi verdi scintillavano di divertimento; le sue labbra trattennero uno scoppio di risata. Le guance di Lovino bruciavano per l'imbarazzo. 

Tirò fuori la pentola dalla testa e si accigliò con rabbia. "Cosa stai guardando, bastardo?"

“Antonio!” Roma si precipitò attraverso la stanza, sorridendo gioiosamente, e gettò le braccia al collo di Antonio calorosamente. “Ah, grazie al buon Dio! Speravo di vederti presto!”

"Saluti, Rom!" disse Antonio felice. "È bello vederti!" 

Suo malgrado, Lovino si sentì il cuore stringergli il petto quando si accorse di quanto fosse stanco Antonio. Deve aver viaggiato molto e aver lavorato sodo. Lovino improvvisamente si chiese come sarebbe se potesse camminare verso Antonio e prendere il pacco dalla sua spalla, portarlo al divano, sedersi accanto a lui, tenerlo e baciarlo e ridere con lui ... 

Lovino fu sorpreso della immagini che la sua testa creava. E aveva pensato che stava diventando così bravo a ignorare i suoi sentimenti.

“Antonio!” gridò Feliciano, correndo attraverso la stanza e saltando eccitato. “Mi hai portato un regalo? Eh, eh, vero?" Antonio rise e arruffò i capelli di Feliciano. Lovino incrociò le braccia e si accigliò, irritato e stranamente geloso.

“ Certo che l' ho fatto, Feli ! Questa volta ho…” Antonio lasciò una pausa drammatica prima di raggiungere la grande borsa a tracolla e tirare fuori un pallone da calcio. Feliciano sussultò forte e lo strappò dalle mani di Antonio.

"Sì! Perfetto! L'ultimo l'ho perso, anzi l'ha perso Lovino , ed è stato impossibile trovarne una nuova e ultimamente ne volevo una perché…” Roma diede una pacca sulla nuca a Feliciano. "Voglio dire, uh, grazie, Antonio!"

“Prego, Feliciano! E ho qualcosa di speciale per Lovino !”

Lovino si sentì gelare le ossa. Antonio sorrise attraverso la stanza in modo luminoso, seducente, così caldo, gentile e buono, i suoi riccioli castani disordinati un po' troppo lunghi e i suoi profondi occhi verdi così intensi e...

“ Lovino , mio caro ragazzo!” Le parole della Roma hanno scosso Lovino dal suo stupore trafitto. "Smettila di essere un piccolo bastardo maleducato e vieni qui."

Lovino si ricordò di se stesso e gli appoggiò un cipiglio sul viso, camminando lentamente attraverso la stanza con le braccia ancora conserte. Si fermò poco prima di Antonio, così vicino da poterlo toccare, così vicino da poterlo annusare... Antonio frugò nella sua borsa e tirò fuori un piccolo oggetto rosso. 

Lo lanciò in aria, lo afferrò e lo tese con uno svolazzo, gli occhi scintillanti di quella malizia luminosa e familiare. 

Lovino fissò incuriosito l'oggetto rotondo nella mano di Antonio.

Un pomodoro. 

Un pomodoro? Il bastardo aveva dato Feliciano un pallone da calcio, e tutto ciò che aveva per Lovino era un pezzo di frutta! 

Dopo tutte queste settimane, dopo tutto... "Un fottuto pomodoro?"

 Lovino fece una smorfia quando nonno Roma gli diede uno schiaffo sulla nuca.  

"Attento alle buone maniere, giovanotto."

Lovino quasi si dimenticò del pomodoro. 

Prima è stato beccato con una pentola in testa, ora suo nonno lo ha castigato come se avesse otto anni. Questa situazione potrebbe diventare più umiliante?

 Lovino si strofinò la testa e guardò la Roma con rabbia. 

"Perché dovrei volere uno stupido pomodoro, Feliciano ne ha comprati un sacchetto oggi."

"Non essere scortese e prendi il pomodoro."

"Non voglio il pomodoro!"

"Prendi quel cazzo di pomodoro, Lovino !"

Lovino ringhiò e afferrò lo stupido pomodoro. Tuttavia, invece del frutto morbido che si aspettava, il piccolo oggetto nella sua mano era in realtà duro e liscio. Lovino sentì la sua fronte incresparsi per la confusione, poi guardò Antonio con aria interrogativa. 

Il bastardo ha semplicemente strizzato l'occhio.

Roma allargò le mani in segno di scusa. “Antonio, mille scuse. Amo da morire i miei nipoti, ma possono diventare dei stronzi maleducati”.

Il collo di Lovino arrossì di rabbia, ma Antonio si limitò a ridere e diede una pacca sulla schiena alla Roma. “Per favore, Roma, non c'è niente di cui scusarsi . Sono io che dovrei scusarmi per il ritardo del mio arrivo. I percorsi di viaggio sono diventati così difficili negli ultimi mesi”.

Lovino si sentì in apprensione a quelle parole. Era proprio come dicevano Roma negli ultimi incontri: che la presenza militare intorno alla città era aumentata, che i tempi stavano diventando più pericolosi

. Ancora una volta, a Lovino è stato ricordato quanto fosse pericoloso il lavoro di Antonio. Feliciano sembrò a malapena notare la conversazione, guardando il suo pallone da calcio con uno sguardo sciocco e distante negli occhi. Roma ha appena fatto un gesto sprezzante con la mano. “Certo, certo, lo capisco. Mi aspetto che tu abbia informazioni per me?"

Antonio annuì. Lui e Roma si diressero verso il grande tavolo centrale, spargendo sulla superficie pagine di documenti dalla borsa di Antonio. Feliciano balzò sul divano vicino alle scale, lanciandosi la palla di mano in mano, ma Lovino rimase dov'era. Un'ansia familiare e sgradevole gli rotolò nello stomaco, gli salì nel petto. Doveva sapere quali fossero queste informazioni; doveva sapere quanto stava rischiando Antonio.

“Finalmente mi sono state fornite informazioni direttamente dagli americani”, ha detto Antonio. Passò una piccola pila di carte a Roma, che iniziò subito a sfogliarle.

"Posizioni di atterraggio", mormorò Roma. "Sapevo che la base aerea tedesca avrebbe portato guai".

Antonio scrollò le spalle. “ Naturalmente era solo questione di tempo prima che gli americani volessero questo villaggio. Quello di cui abbiamo bisogno ora è un piano per loro di abbattere una grossa fetta dell'esercito occupante prima dell'inevitabile battaglia. I tedeschi sono troppo magri in tutta Italia, non hanno le risorse per inviare aiuti immediati.''

"Hai qualche piano?"

Antonio si passò stancamente una mano tra i capelli.

 “Ho qualcuno che ci lavora. Ma Roma, più di ogni altra cosa, questo è fondamentale”.

 Antonio mise la mano sui fogli e fissò gli occhi di Roma in uno sguardo intenso e solenne. 

“Queste informazioni devono essere tenute nascoste ai tedeschi. Non devono assolutamente sapere dello sbarco”.

Lovino emise un lungo respiro silenzioso, ansioso e inquieto. Andò a sedersi pesantemente sul divano accanto a Feliciano, rigirandosi tra le mani il pomodoro liscio e solido. Feliciano lo prese subito e Lovino lo strappò via.

“ Lovino !” Feliciano piagnucolò infantile. “Fammi vedere, che cos'è? In realtà non è un pomodoro, vero?"

"No." Lovino esaminò attentamente lo strano regalo di Antonio. "È difficile, come se fosse fatto di vetro o qualcosa del genere." Lo scosse e questo sbatté leggermente. Sembrava esserci qualcosa dentro. Cosa intendeva Antonio dandogli una specie di puzzle di vetro? "Penso che tu possa aprirlo, ma non riesco a capire come."

" Oooh ." Feliciano sembrava affascinato. “Perché Antonio ti ha regalato qualcosa di così fantastico come quello?”

Lovino sbuffò. "Fantastico? Non so nemmeno cosa sia!” Lovino avvicinò l'oggetto all'orecchio e lo scosse di nuovo. 

Sì, c'era sicuramente qualcosa dentro. 

Bruciò per sapere cosa fosse. 

Antonio e i suoi stupidi giochetti… non sapeva quanto Lovino odiasse essere tenuto all'oscuro?

 “Stupido spagnolo. Questo mi farà impazzire".

Feliciano si strinse nelle spalle, perdendo rapidamente interesse e si concentrò di nuovo sul suo pallone da calcio. Lovino passò delicatamente le mani sul pomodoro di vetro, lanciando di tanto in tanto un'occhiata al punto in cui Roma e Antonio versavano sul tavolo dei documenti. 

Era evidente quanto le cose stessero diventando pericolose per Antonio. Se i tedeschi scoprissero la sua presenza nel villaggio, sarebbe catturato, torturato per avere informazioni... ucciso. 

Stava diventando così difficile per Lovino conciliare queste emozioni contrastanti.

 Per quanto si sforzasse, semplicemente non poteva negare quanto fosse attratto da Antonio. 

Non poteva ignorare quanto gli mancasse Antonio quando era via, quanto fosse disperato di essere con lo spagnolo al suo ritorno. 

Solo guardando l'uomo ora dall'altra parte della stanza - il suo viso bello e intento mentre parlava, il suo corpo forte e aggraziato mentre si muoveva - il petto di Lovino doleva per il desiderio semplicemente di toccarlo.

Ma era ancora spaventato. Aveva paura, perché man mano che i mesi passavano, più Antonio viaggiava e imparava e si occupava di questioni militari confidenziali.

 Quanto più aumentava il pericolo contro di lui; più ricercato e braccato diventava. 

Mentre allo stesso tempo, più Lovino sentiva che le mura intorno al suo cuore cominciavano a sgretolarsi. E più era probabile che si sarebbe fatto male.

Lovino impiegò un momento per rendersi conto che stava fissando Antonio, e un altro momento per rendersi conto che lo ricambaindo. 

Il cuore di Lovino gli balzò in gola.

 Ma prima che potesse pensare a come reagire, Antonio gli fece un sorrisetto e gli strizzò l'occhio. Lovino quasi si strozzò. 

Che cosa pensava di fare lo stupido spagnolo? 

Nonno Roma era proprio lì!

 Lovino cercò di non sembrare impressionato, roteando gli occhi mentre distoglieva lo sguardo. Non avrebbe sorriso.

 Non avrebbe riconosciuto questo caldo, luminoso bagliore che si gonfiava nel suo petto e gli formicolava lungo il collo. Non doveva sorridere , dannazione!   

Lovino quasi sospirò di sollievo quando Roma e Antonio si alzarono dal tavolo e si scambiarono altri documenti, la loro breve conversazione terminata. Lovino e Feliciano si alzarono subito per raggiungerli. "Sarò in città per qualche settimana, Roma, quindi ti terrò informato", ha detto Antonio, infilando disordinatamente una manciata di carte nella borsa.

Lo stomaco di Lovino sobbalzò. Qualche settimana... 

Era sia terrorizzato sia felicissimo al pensiero.  

Roma ha sorriso quando ha risposto: “Sì, sì. Per favore, vieni a trovarci ogni volta che sei libero. La nostra casa è la tua casa, amico mio".

A quelle parole lo stomaco di Lovino si girò in tondo. 

Vieni quando sei libero... 

Deglutì pesantemente. 

Sarebbe terribile, sarebbe meraviglioso, sarebbe...  

“ Certo che lo farò!” Antonio sorrise vivacemente e gli illuminò gli occhi, il viso, l'intera stanza… Lovino alzò gli occhi al soffitto ed emise un lunghissimo respiro.

 Oh, non pensava di poterlo fare ancora per molto. Il petto gli doleva gelosamente quando Antonio strinse Feliciano in un abbraccio. “Stai al sicuro, Feli .”

“Torna presto, Antonio!”

Antonio annuì, si voltò e, nonostante ogni disperato, dolorante grammo di desiderio nel suo corpo, Lovino fece un passo indietro. 

Il suo cuore iniziò a battere forte.

 Non qui... non ora... non poteva lasciare che Antonio lo abbracciasse, non poteva farcela, perché Antonio si chinava verso di lui, cosa era...

 Il battito del cuore di Lovino si fermò quando sentì il respiro di Antonio caldo contro il suo orecchio. “Sto ancora aspettando, mi corazón .” 

Lovino respinse il respiro affannoso che gli salì nel petto. 

I suoi occhi si spalancarono e il suo viso ardeva di un rosso vivo. Antonio si tirò indietro, lo sguardo ancora su Lovino , un piccolo sorriso felice sulle labbra e uno sguardo intenso, bruciante negli occhi. 

I loro occhi rimasero bloccati finché Roma non afferrò velocemente Antonio per un braccio, lo guidò con forza verso la porta e gli baciò le guance quasi con violenza in segno di saluto. "Alla prossima volta! Oh, e Antonio, dimmi. Sai cantare?"

Antonio sorrise un po' stordito, la sua espressione un po' confusa. "Cantare? Come mai?"

Roma socchiuse gli occhi. "Perché se guardi di nuovo mio nipote in quel modo, ti castrerò."

Lovino non poteva crederci. Sentì il suo viso contorcersi per il puro stupore.

 Quanto ne sapeva Roma? E come osa dirlo ad Antonio? 

"Nonno!" gridò Lovino , assolutamente mortificato. Cosa deve pensare Antonio?  

L'espressione di Antonio si fece vuota finché Roma non scoppiò in una fragorosa risata. Antonio emise un sospiro di sollievo e rise.

“No, no,” rise Roma, battendo pesantemente sulla spalla di Antonio. “Ma Antonio, davvero…” Roma smise subito di ridere e colse gli occhi di Antonio in uno sguardo cupo. 

"Sono mortalmente serio."

Lovino si batté la mano sulla fronte. Era preso tra il voler morire di imbarazzo e il voler sbattere qualcosa contro il muro. Feliciano sembrava trovarlo divertente. Antonio si avvicinò alla porta, sempre tentando un sorriso valoroso. “Noi... ehm. Parleremo presto, Roma".

"Noi!" Roma ha sorriso allegramente, salutando Antonio con la mano. Quando gli occhi di Antonio incontrarono i suoi, Lovino non sapeva se distogliere lo sguardo o cercare in qualche modo di scusarsi . Roma, tuttavia, ha fatto un netto movimento di taglio sotto la vita, quindi Antonio ha semplicemente fatto un ultimo sorriso a Lovino prima di precipitarsi fuori dalla porta. 

Lovino si chiese brevemente se fosse davvero possibile morire di imbarazzo.

Roma si limitò a battere le mani, si voltò e fece un largo sorriso. 

"Allora", disse allegramente. “Chi vuole la pasta per cena?”

"Ooh ooh!" Feliciano fece un salto e tornò di corsa in cucina.

Lovino ringhiò in gola mentre si trascinava dietro. “Voglio andarmene da questa famiglia".

—————-------------

Lovino non riusciva a dormire. Come poteva dormire ? 

La sua testa girava con pensieri esasperanti e costanti su Antonio, con paura ed eccitazione per il mattino seguente.

 Era la prima volta che Lovino sarebbe stato coinvolto in una missione con Antonio. 

Vero, ci sarebbe stato anche nonno Roma, ma Lovino non riusciva ancora a controllare il nervosismo, teso, quasi doloroso che gli si avvolgeva nello stomaco. Dopo l'imbarazzo paralizzante della sera prima, Lovino non aveva avuto modo di parlare da solo con Antonio. Ora che nonno Roma sembrava insospettirsi, Lovino stava iniziando a chiedersi se ci sarebbe mai stata una possibilità e, cosa più importante, se ne avesse voluta una.

Lovino aveva fatto del suo meglio per tenere Antonio lontano dalla sua mente nelle ultime settimane. Aveva fatto come sempre quando cercava di dimenticare. Si era concentrato sulla resistenza, cercando di dimostrare di esserne degno. 

Sembrava persino funzionare: nonno Roma aveva finalmente dato a Lovino la sua pistola. Si era buttato nell'organizzazione , si era buttato nel festeggiare. Si era completamente ubriacato qualche giorno prima durante una celebrazione non pianificata nella fattoria, solo per svegliarsi il giorno dopo con la bocca secca, la testa che batteva e il ricordo sfocato e orribile di ballare, cantare e suonare la sua chitarra sul tavolo. Eppure ancora, sempre, costantemente, Lovino pensava ad Antonio. Sognava di lui. Lo aspettavo. Era impossibile dimenticare Antonio mentre era via, figuriamoci ora che era qui in paese, a pochi passi. Naturalmente Lovino non riusciva a dormire.

E così Lovino giaceva in silenzio, fissando il muro, incapace di sentire il respiro di Feliciano nel letto dall'altra parte della stanza. Feliciano era stato stranamente ansioso di andare al mercato quel giorno, eppure era tornato a casa con nient'altro che un'inspiegabile tavoletta di cioccolato. Lovino ebbe appena il tempo di pensare a dove avesse preso una cosa del genere. Invece la sua mente era occupata dai ricordi di Antonio alla cantina quel giorno. 

I resistenti erano stati così felici di vederlo, ma naturalmente tutti erano sempre contenti di vedere Antonio. Lovino si era appena seduto su un tavolo in fondo alla stanza, guardando mentre stringevano la mano ad Antonio, mentre chiacchieravano allegramente, sorridevano felici, ridevano allegramente. Antonio piaceva a tutti. Ma come potrebbero non farlo? E ancora, Lovino non poteva fare a meno di chiedersi: come poteva amare qualcuno così dannatamente amichevole e popolare come Antonio ? 

“ Lovino ?” Apparentemente, anche Feliciano non riusciva a dormire.

"Hmm?"

La voce di Feliciano tagliò dritta i pensieri sparsi di Lovino . "Cosa ne pensi di Antonio?"

Lovino quasi si strozzò. Ansimò, poi tossì immediatamente nel tentativo di nasconderlo. 

Doveva ricordare a se stesso che Feliciano non riusciva a leggergli nel pensiero. 

Feliciano non poteva conoscere i sentimenti di Lovino per Antonio... sicuramente... 

"Perché mai me lo chiedi?"

"Beh, non ti piace?"

Lovino sbuffò e cercò di sembrare offeso. “Chi lui? Quel bastardo spagnolo ? Perché diavolo dovrebbe piacermi?"

“Beh, a me piace, e al nonno piace, e ho pensato che ti piaceva. Forse. Un po' più di noi''.

Il battito di Lovino accelerò e un fitto nodo di paura si formò nel suo stomaco. 

Ma no, Feliciano non poteva saperlo. Lovino l’aveva nascosto troppo bene, aveva nascosto completamente i suoi sentimenti. 

Com'è possibile che lo stupido piccolo Feliciano capiva tutto questo? 

"Beh, io no."

"Oh." Feliciano sembrava sorpreso. "Bene allora."

Lovino attese qualche istante prima di tirare un cauto sospiro di sollievo. Non sapeva cosa avesse avuto Feliciano per cominciare a chiederglielo, ma Lovino avrebbe dovuto stare un po' più attento d'ora in poi. Era già abbastanza brutto che nonno Roma cominciasse ad avere dei sospetti, ma Feliciano... 

Dio, Lovino doveva essere più evidente nelle sue emozioni di quanto si rendesse conto !  

“ Lovino ?”

Lovino digrignò i denti. "Che cosa?"

"Hai mai pensato di dire ad Antonio che a te... non piace?"

La mente di Lovino si svuotò . 

Feliciano lo sapeva... 

Le coperte si sentirono improvvisamente soffocanti mentre il sudore gli saliva sul collo.  

“ Lovino ?”

"Vai a dormire, Feliciano." Lovino sperava che Feliciano non potesse sentire la disperazione nella sua voce. Respirò profondamente e cercò di risolvere i pensieri frenetici che gli passavano per la testa. Se tutti sembravano conoscere i sentimenti di Lovino , che senso aveva cercare di nasconderli ancora? 

Dopotutto, non stavano andando via. 

Ma conosceva la risposta; conosceva il motivo. 

Perché aveva ancora tanta paura di essere ferito.

“ Lovino ?”

Lovino quasi sobbalzò. "Per l'amor di Dio, Feliciano, cosa vuoi?"

Feliciano sembrava più sicuro questa volta. “Ti piace Antonio e vorresti dirglielo, ma sei preoccupato per quello che potrebbe succedere quando lo fai. Non che ti biasimo davvero, perché nonno Roma ha minacciato di castrarlo e tutto il resto, ma forse... forse se solo spiegassi... "

“Feliciano”. Lovino parlava piano, quasi senza fiato. Pensò per un momento a come spiegare le sue emozioni, le sue ragioni. Quando finalmente parlò, era quasi da solo. Feliciano probabilmente non avrebbe nemmeno capito. 

“A volte proviamo sentimenti che non saremo mai in grado di esprimere. A volte abbiamo segreti che dovrebbero rimanere tali. A volte…” Lovino si fermò, vedendo nell'oscurità il volto sorridente di Antonio, e si accorse che non era nemmeno sicuro di credere a quello che diceva. "A volte ci sono cose che non valgono il rischio."

Anche mentre lo diceva, Lovino sapeva che stava mentendo a se stesso. Antonio era tutto ciò che contava; Antonio era tutto. Ha portato via l' incertezza di Lovino , l’ha portato via dalla solitudine. 

C'era un vuoto in Lovino che solo Antonio poteva colmare, ed era spaventoso quanto fosse vuoto Lovino senza di lui. Antonio raggiungeva Lovino , in un luogo che non sapeva nemmeno esistesse, e lo riempiva di una felicità, di un'appartenenza e di una gioia brillante che andava oltre qualsiasi cosa avesse mai creduto possibile sperimentare. 

Quando Antonio era via, Lovino esisteva. 

Solo quando era con Antonio Lovino viveva davvero .

Ed era quello che Lovino rischiava. Quella gioia, quella felicità, quel completamento. Era ciò che aveva così tanta paura di sentire e ciò contro cui aveva combattuto così duramente. 

Perché era quello che aveva paura di perdere. Lovino sapeva che se l'avesse accettato, creduto, sentito, e se poi l'avesse perso, non avrebbe potuto sopravvivere.

Ma poi si ricordò di quella sensazione perfetta tra le braccia di Antonio ; il tocco della mano calda di Antonio sulla guancia. Ricordava la speranza e l'amore negli occhi di Antonio, la gioia e la bellezza nel suo sorriso. Lovino fu attratto da Antonio con ogni singola parte del suo essere.

Era una cosa difficile da realizzare. 

Ma se Antonio non valeva il rischio, allora niente lo era.

———————————————

La "missione" era uno scherzo. Quattro ore di traversata per le strade secondarie fino a una remota postazione di montagna di partigiani combattenti, quindici minuti per ricevere la notizia delle pattuglie tedesche nella zona, e ora Lovino arrancava amaramente sulla strada di casa dietro ad Antonio e nonno Roma con la netta sensazione che lo avessero portato solo con sé per assecondarlo . Prese a calci un sasso sulla pista sterrata davanti a lui, le mani in tasca, accigliato tra sé. 

Si sentiva uno sciocco. A che serviva che Roma gli avesse dato una pistola se non avrebbe mai avuto la possibilità di usarla? 

Lovino voleva dimostrarsi degno. Voleva mostrare a tutti che, nonostante quello che pensavano, poteva essere anche lui un membro importante di questa resistenza. Poteva combattere per il paese che amava. E guardando Antonio che camminava lungo la strada davanti a lui, i capelli castani e ricci che svolazzavano al vento e il suo fischio stonato che portava la brezza, Lovino non poteva negare che, più di ogni altra cosa, voleva impressionare quell'uomo. Voleva che lo spagnolo coraggioso, bello, esasperatamente allegro sapesse che anche lui poteva essere coraggioso. Lovino voleva dimostrarsi degno degli insondabili affetti di Antonio.

Lovino diede un calcio alla roccia con forza lungo il sentiero, annoiandosi rapidamente del paesaggio immutabile che lo circondava. Un'alta e ripida collina incombeva sull'ampia strada di campagna e un pendio dolcemente inclinato conduceva ai campi verdi e alle valli sottostanti. Lovino alzò gli occhi e osservò le nuvole temporalesche lontane che si ammassavano al di là delle montagne. La giornata era stata insolitamente calda, ma stava diventando sempre più fresca mentre il cielo cominciava a scurirsi. Anche il vento cominciava a salire, soffiando vivacemente tra gli alberi che fiancheggiavano la strada. Sembrava che questo clima piacevole e soleggiato non sarebbe durato a lungo; forse ci sarebbe anche stata una tempesta a rompere quelle giornate invernali stranamente calde.

Lovino brontolò tra sé, asciugandosi il sudore dalla fronte. Questa noiosa e inutile passeggiata si rifiutava di finire, e sembrava che marciassero da sempre. Quando diavolo si sarebbero fermati? Prendendo un profondo respiro, Lovino stava per chiedere una pausa, quando un forte, acuto scoppio lo interruppe. 

Il cuore di Lovino balzò in gola mentre Antonio e Roma si voltarono rapidamente al suono, entrambi cercando le armi. In fretta, senza pensare, Lovino tentò di fare lo stesso, solo per appoggiare il piede sul sentiero instabile e inciampare.

 Un dolore acuto e bruciante gli attraversò la caviglia e gridò mentre cadeva.

“LOVINO!” L'urlo di nonno Roma era pieno di panico. Ma fu Antonio a raggiungerlo per primo, cadendo in ginocchio prima ancora che Lovino potesse capire cosa stava succedendo. 

Antonio passò le mani sulla giacca di Lovino , rapido, indagatore e confuso.

“ Lovino , sei colpito? Lovino ? Roma, vai a controllare. Lovino , rispondimi!”

Con il petto che batteva e la testa che gli girava, Lovino si tirò su e spinse via le mani di Antonio. “La smetti, qual è il tuo problema, è solo il mio…” Lovino si interruppe e ansimò, il dolore che gli bruciava la gamba in un'ondata improvvisa e agonizzante . “…CAVIGLIA, MERDA, OH MERDA!”

Antonio sospirò di sollievo. “Ah. Gracias a Dios.” 

Lovino cercò di guardarlo male, anche se dovette ricacciare indietro le lacrime per il dolore. "Grazie Dio? Mi sta uccidendo bastardo, cosa sei oh merda no non toccarlo ARGH!” 

Lovino sentì la mano di nonno Roma coprirgli la bocca per troncare il suo grido.  

“ Lovino . Sei a posto. Lascia che Antonio ti controlli la caviglia. Sembra che il suono era un ramo di albero che si è rotto, ma ci sono pattuglie tedesche lungo questa strada a volte, quindi è ancora necessario fare il meno rumore possibile. E lavati quella tua dannata bocca.”

Lovino si accigliò arrabbiato. Roma probabilmente lo diceva solo per farlo tacere. Sicuramente non percorrerebbero questa strada così apertamente se ci fosse una reale possibilità di una pattuglia tedesca. Indipendentemente da ciò, Lovino annuì e Roma gli tolse la mano. Contemporaneamente Antonio si tolse lo stivale e Lovino dovette occupare la bocca con la mano per non urlare. Lottò per impedirsi di prendere a calci Antonio mentre faceva scorrere dolcemente le mani sulla carne tenera.

“È solo una slogatura,” disse Antonio con voce sollevata. Sorrise vivacemente a Lovino . 

“Niente è rotto. Però non ci puoi appoggiare peso,, dovremo andare piano".

Roma ha respirato pesantemente. "Ah bene. Ma siamo già in ritardo, e dopo l'incontro di Feliciano con l'informatore di oggi…”

"Puoi andare avanti, Roma". Antonio ha parlato troppo in fretta. 

"Posso aiutare Lovino a tornare a casa."

Le sopracciglia di Lovino si alzarono, il battito del suo cuore accelerava in gola. Roma guardava da Antonio a Lovino e poi dall'altra parte della valle. Annuì con riluttanza.

 “Sai quanto può farsi prendere dal panico Feli . Farei meglio a sbrigarmi". Roma si è subito avviato lungo la strada, urlando di rimando mentre andava. 

"Sii il più veloce che puoi e stai attento."

Antonio gli fece un piccolo cenno con la mano. "Sempre, Rom."

Lovino ha quasi dimenticato la caviglia storta. Nonno Roma li aveva lasciati soli. Lovino era solo con Antonio. Sola per la prima volta da quella danza sbalorditiva nella cantina, da quella meravigliosa, terribile, travolgente conversazione nel vicolo. 

Lovino non sapeva come gestire questa situazione. Antonio gli sorrise, luminoso, gioioso e sorprendente. Lovino ricambiò lo sguardo. “Non ho bisogno del tuo aiuto. Posso camminare da solo".

Antonio sembrava dubbioso. "Se fai pressione su quella caviglia, si gonfierà come un pomodoro troppo maturo".

La menzione dei pomodori ha fatto volare i pensieri di Lovino direttamente al pomodoro di vetro seduto nel suo primo cassetto a casa.

 Il suo cuore batteva ancora più veloce, mandando il suo sangue caldo direttamente alle guance. Erano passati solo due giorni, ma Lovino era frustrato come l'inferno poiché non riusciva a capire come aprire quella stupida cosa. 

Cosa voleva Antonio con quei stupidi giochini? 

"Bene, allora salterò."

L'espressione dubbiosa di Antonio si contorse divertita. "Fino a casa?"

Lovino rispose con aria di sfida. "Sì."

"Posso portarti." Antonio sorrise ampiamente e agitò le sopracciglia.

Gli occhi di Lovino si spalancarono allarmato. "Oh no. No , dannazione, non puoi.” 

Si costrinse ad alzarsi in piedi, fece un passo avanti deciso e immediatamente inciampò quando un'ondata di dolore lacerante gli salì lungo la gamba. Antonio lo afferrò saldamente per le braccia.

“Oh, Lovino , sei così testardo. Per l'amor del cielo, lascia che ti aiuti''. Ma Antonio sorrideva mentre lo diceva, aiutando Lovino a zoppicare fino a una grossa roccia vicino alla parete rocciosa vicina.

“Non ho bisogno del tuo aiuto,” mormorò di nuovo Lovino , rifiutandosi di riconoscere il modo in cui la salda presa di Antonio gli aveva fermato il respiro nei polmoni e gli aveva mandato quel familiare brivido lungo la schiena.

“Beh, hai bisogno di qualcuno che fasci questa caviglia. Ora siediti e cerca di rilassarti, d'accordo? No seas tonto "   

Lovino si sedette pesantemente, fissando mentre Antonio infilava lo stivale nella sua borsa e tirava fuori una benda. "Non chiamarmi così."

Antonio ridacchiò mentre si inginocchiava e raggiungeva il piede di Lovino . "Va bene. No seas tan adorabile.” 

Lovino ardeva di rosso. "Non chiamarmi nemmeno così!" Si spostò sulla dura pietra, sentendo un fastidioso nodulo scavargli nella coscia. Infilandosi una mano in tasca, tirò fuori la sua pistola inutile e la posò sulla roccia accanto a lui.

Antonio fissò la pistola, completamente nera contro la roccia grigio chiaro. “Tuo nonno non te l'ha detto? Non mettere mai la tua arma dalla tua parte a meno che tu non abbia intenzione di usarla.”

Lovino alzò gli occhi al cielo. Antonio pensava che Lovino non sapesse niente a meno che non glielo avesse detto nonno Roma? 

“Lo so! Ma è solo per un momento, lo rimetto subito a posto".

Antonio inarcò le sopracciglia. «Non dimenticare», disse ammonitore.

“Non sono stupido,” brontolò Lovino . Poi sospirò e si rassegnò alla sensazione dolorosa, imbarazzante, gentile delle mani calde di Antonio sulla sua tenera caviglia. Lovino deglutì pesantemente mentre Antonio avvolgeva con cura la lunga benda bianca attorno all'arto gonfio. Cercò qualcosa da dire, piuttosto che starsene seduto in silenzio a fissare le mani forti e abbronzate di Antonio.

 "Oggi non è stata davvero una missione pericolosa, vero?"

Antonio guardò in alto con occhi verdi e luminosi anche se ricci scuri e selvaggi. “Ogni missione è pericolosa.”

Il cuore di Lovino batteva irregolarmente, così distolse lo sguardo da quegli occhi e posandolo verso l'orizzonte sempre più scuro. "Parli come il nonno."

Antonio rise, concentrandosi di nuovo sull'avvolgere il panno bianco intorno alla caviglia di Lovino . "Ma è vero, Lovino ."

“Ancora non mi lasciate andare in una vera missione. Vorrei che smettesse di proteggermi".

Antonio scrollò le spalle. "Beh, questo è quello che fai quando ami qualcuno."

Quel caldo tocco delle dita di Antonio ha inviato piccoli brividi formicolanti a tutto il corpo di Lovino . Doveva ammettere, a malincuore, che almeno gli aveva distolto la mente dal dolore. “Posso badare a me stesso. Sono in grado di gestire il pericolo".

"So che puoi."

Lovino fu sorpreso dalla sua forte euforia per le parole di Antonio, seguita dalla sua delusione quando Antonio appuntò la benda e lasciò cadere le mani. 

Accarezzò molto delicatamente la gamba di Lovino per indicare che aveva finito, ma non si mosse ancora per alzarsi. Lovino lo guardò pensieroso. "Mi sceglieresti per una delle tue missioni?"

Antonio si sporse leggermente in avanti, i capelli scompigliati dal vento che gli cadevano negli occhi. "Tuo nonno mi ucciderebbe se non gli coprissi le spalle." Lovino sbuffò, ma Antonio proseguì in fretta. “Ma potrei sempre aver bisogno di un aiuto leale, quindi forse ne parlerò con Roma. Inoltre, saresti sempre al sicuro con me."

La bocca di Lovino è praticamente caduta. Sbatté le palpebre un paio di volte, muto e stordito. Antonio lo consiglierebbe davvero per una vera missione? 

Per qualcosa di importante? 

"Sei serio?" Antonio annuì. 

Il cuore di Lovino sembrava volare nel suo petto, il dolore alla caviglia completamente dimenticato. Antonio si fidava di lui. Antonio credeva che lui era degno. La sensazione era stranamente esilarante. Ma più di questo... "Perché dovrei essere al sicuro con te?"

Antonio strizzò l'occhio. “Perché ti proteggerei, con la mia vita.”

Lovino cercò di riflesso di dare un calcio ad Antonio con il piede illeso, anche se il suo stomaco si capovolse gioiosamente. "Dici le cose più stupide, drammatico spagnolo!"

Antonio si limitò a ridacchiare. "Ma ho bisogno di una promessa da te, prima."

Lovino incrociò le braccia e fissò. Sempre questi stupidi giochetti... 

"Una promessa?"

"Che se mai saremo in pericolo, farai esattamente come dico io."

Lovino guardò attentamente Antonio con gli occhi socchiusi. 

Aveva già fatto quella promessa una volta. "Bene", borbottò.

Antonio girò leggermente la testa, portandosi la mano all'orecchio. 

"Che cos 'era questo?"

"Bene!" Lovino grugnì a denti stretti.

"Scusami?" Antonio si avvicinò, il suo sorriso si allargò: il bastardo si stava ovviamente divertendo troppo. 

Lovino alzò gli occhi al cielo.

" Oh per l'amor di Dio... te lo prometto."

Antonio rise e si appoggiò sui talloni. "Ecco, è stato così difficile?"

Le labbra di Lovino si strinsero in un piccolo sorriso traditore. "Dici davvero cose così stupide e melodrammatiche, però."

Antonio si gettò la borsa in spalla e sorrise. "Ah, ma se riescono a farti sorridere così, come posso resistere?"

Il cuore di Lovino palpitò fastidiosamente. “Oh, smettila già, pensi davvero…”

" Ssh ." Antonio sollevò bruscamente una mano e girò la testa, il suo sorriso svanì e i suoi occhi si indurirono. Lovino tacque immediatamente, lo stomaco che si gelò per il sorprendente cambiamento di comportamento di Antonio . 

Ascoltò attentamente, incapace di sentire nient'altro che il vento, anche se una terribile ansia cresceva orribilmente nel suo intestino. Antonio non si mosse. Lovino iniziò a chiedersi cosa non andava, quando un rombo basso risuonò sommesso a breve distanza. Si fece lentamente più vicino e più chiaro, finché, con una vampata di calore spaventoso, Lovino riconobbe il suono come quello di un motore di un'auto. Gli occhi spalancati e scuri di Antonio incontrarono i suoi, proprio mentre le parole di Nonno Roma risuonavano nella sua testa 

Ci sono pattuglie tedesche lungo questa strada, a volte… 

Il tempo sembrava fermarsi, confuso e distorto e durare troppo a lungo. Si ruppe quando Antonio si alzò freneticamente in piedi, afferrò Lovino per un braccio e lo trascinò dalla strada sterrata verso la bassa, salita in pendenza.   

Lovino sentiva appena il dolore alla caviglia. Non ebbe il tempo di pensare o sentire nulla che Antonio lo trascinò frettolosamente in un terrapieno a lato della strada - una delle tante trincee che da tempo erano state costruite in tutta la campagna italiana.

Caddero pesantemente a terra contro la conca scavata , invisibili e al riparo dalla strada. 

La testa di Lovino girò quasi dolorosamente. “Cosa stiamo per…”

" Ssh , Lovino ." Antonio parlava in un sussurro deciso, i suoi occhi severi e fermi, il suo corpo che quasi toccava quello di Lovino nel piccolo spazio angusto. “Esattamente come ho detto, ricordi? Stai in silenzio e rimani completamente immobile. Passeranno dritti".

Lovino deglutì e annuì, il stupore si trasformò rapidamente in paura. 

Tutto stava accadendo troppo velocemente. 

Cercò di respirare in modo uniforme nonostante il terrore crescente, aspettando e pregando che quel rombo nauseante del motore dell'auto li passasse accanto. Il suono si fece sempre più forte e più vicino, finché non esplose dalla strada di sopra e Lovino si dimenticò di pregare; dimenticato di respirare. Poi il motore si calmò, balbettò e si fermò completamente. Lovino sentì il suo cuore che si fermava. 

Perché spegnevano il motore? Perché la macchina si è fermata? 

Lovino guardò Antonio incuriosito, disperato, come se in qualche modo potesse ascoltare e rispondere alle silenziose domande di Lovino . Ma Antonio sembrò semplicemente confuso finché, con un improvviso lampo di comprensione quasi timorosa, le sue labbra si schiusero leggermente e i suoi occhi si spalancarono. 

E poi Lovino si rese conto . 

La sua pistola era ancora ben visibile su quella roccia a lato della strada.

Lo stomaco di Lovino piombò in piedi. Scosse la testa in un rifiuto rabbioso, il sudore gelido gli saliva sulla pelle, lacrime brucianti si accumulavano nei suoi occhi. 

Come ha potuto fare qualcosa di così stupido? Antonio gli ha detto di non posare l'arma! 

Lui sapeva di non mettere l'arma verso il basso! 

“Mi dispiace,” sussurrò Lovino , la mano che gli volava alla bocca.

 Le portiere delle auto si aprirono e si chiusero sbattendo sopra di loro; voci tedesche pesanti e inconfondibili soffocavano il vento. 

Paura e vergogna inondarono le vene gelide di Lovino . 

La sua voce si spezzò mentre sussurrava di nuovo. "Mi dispiace, mi dispiace così tanto, sono..."    

Antonio scosse la testa e toccò con le dita le labbra di Lovino . “ Ssh . No'', mormorò in silenzio. Poi rapidamente, con forza, allungò un braccio intorno alla vita di Lovino e lo tirò a sé.

 Al di là dell'orgoglio, al di là del pensiero, al di là della ragione, Lovino si gettò disperatamente contro di lui. Il ruvido passo degli stivali militari batteva sulla strada di sopra, scandito da grida e ordini e da quelle voci tedesche profonde, forti, paralizzanti. 

Lovino si è semplicemente aggrappato ad Antonio.

 Non riusciva a trattenere le lacrime, non riusciva a pensare di provare vergogna. 

Poteva solo nascondere il viso nel collo di Antonio e aspettare.

Respirando rapidamente contro la pelle di Antonio, il cuore di Lovino batteva all'impazzata mentre la sua paura si mescolava a qualcos'altro. 

Antonio era così vicino. Tenendo stretto Lovino , accarezzandogli la schiena e lisciandogli i capelli, toccandogli la guancia e asciugandogli le lacrime. Antonio lo calmò e lo rassicurò e lo confortò senza dire una parola. Lovino chiuse gli occhi.

 Non se lo meritava. Non meritava Antonio. 

A causa di Lovino , tutto ciò che ora tratteneva Antonio dalla tortura e dalla morte era questa trincea minuscola e poco profonda. Se questi soldati tedeschi lo prendessero adesso, sarebbe colpa di Lovino .

Lacrime calde e pesanti si rifiutavano di smettere di cadere. A Lovino non importava nemmeno di tremare in modo incontrollabile; poteva solo pensare che se Antonio fosse stato catturato, ucciso, tutto era causa del suo stupido errore ... 

Alzò lo sguardo all'improvviso, avendo bisogno in qualche modo di scusarsi , ma si fermò di colpo allo sguardo negli occhi stranamente gentili, rassicuranti e brillanti di Antonio. 

Non sembrava arrabbiato. Non sembrava spaventato. 

Antonio sembrava la persona più meravigliosa, gentile, bella e importante di tutto il mondo di Lovino . 

Ma quelle dure voci tedesche continuavano a gridare. Quegli stivali pesanti e martellanti continuarono a muoversi, avvicinandosi, più velocemente, finché non furono direttamente sopra la trincea. Lovino si rese conto che non si sarebbero fermati. 

I soldati stavano controllando il ciglio della strada. Il panico artigliava il petto di Lovino , nauseante e opprimente, troppo caldo, troppo sbagliato. Trattenne un singhiozzo, tremando e sudando, anche se Antonio gli accarezzò i capelli e lo fissò con calma negli occhi. 

Questo non era reale, non poteva farlo, non poteva respirare...

Una voce profonda gridò rudemente dall'alto. Antonio si irrigidì. La sua mano si spostò sul fianco e Lovino si rese conto con un'orrenda ondata di vertigini che stava prendendo la pistola. 

La mente di Lovino si gelò di terrore.

 Il suo sangue pulsava con esso, la sua gola era soffocata da una paura martellante e artigliante. Non aveva mai provato un tale terrore in vita sua.

 Antonio lo strinse forte, gli toccò l' orecchio con le labbra e sussurrò così piano che Lovino non poteva essere sicuro di averlo sentito. "Con la mia vita."

Un brivido corse su tutto il corpo Lovino come il respiro lo avesse abbandonato. Fu quasi doloroso quanto profondamente colpisse la realizzazione : Antonio credeva in quelle parole. 

Antonio morirebbe davvero per lui.

 Il petto di Lovino doleva mentre Antonio poggiava la fronte contro quella di Lovino , mentre i loro respiri si mescolavano e i loro cuori battevano rapidamente tra di loro. 

In quei momenti che potevano essere gli ultimi, tutto ciò che Lovino desiderava era stare con Antonio; abbracciarlo, sentirlo, accettare ciò che Lovino non si era mai permesso di accettare prima. 

Chiuse gli occhi e sentì le parole non dette pulsare in ogni parte di lui. 

Ti amo.  

Ma poi i passi tornarono sulla strada. 

Le voci urlanti si allontanarono ulteriormente. Lovino trattenne il respiro, incapace di muoversi, gli occhi ancora serrati. 

Paura di sperare; paura di respirare. 

Dopo quella che sembrò un'eternità, il motore dell'auto prese vita. Girò forte, stridette in modo assordante, e infine il suono lacerante decollò e scomparve in lontananza. Gli occhi di Lovino si spalancarono e non poté trattenere un singhiozzo di sollievo, anche se di nuovo si portò subito la mano alla bocca. Antonio espirò pesantemente e ripose la pistola. Rimasero ancora per qualche istante vicini, in silenzio, in attesa, finché Antonio finalmente alzò lo sguardo e cominciò a muoversi. 

Lovino fu subito preso dal panico. 

E se fosse un trucco? E se fossero ancora lì?

 “No, no, no,” sussurrò Lovino , scuotendo la testa, afferrando il braccio di Antonio e cercando di fermarlo.

Antonio sorrise rassicurante e prese la mano di Lovino , stringendola dolcemente.

 Poi guardò oltre la cima del terrapieno scavato . "Se ne sono andati."

Lovino rabbrividì per un sollievo travolgente, un sudore freddo gli ricoprì la pelle. Le sue lacrime terrorizzate si trasformarono in respiri affannosi di espirazione. 

"Oh, Dio, Antonio!" sospirò, portandosi una mano al petto ansante come se potesse aiutarlo a respirare. 

E poi, all'improvviso, lo colpì. Come si era comportato, cosa aveva fatto, cosa aveva detto... Lovino non si era mai sentito così imbarazzato in vita sua. Strappò la mano da quella di Antonio, si tirò su e si ritrasse. La vergogna che lo avvolgeva non faceva che peggiorare le sue vergognose lacrime.

“ Lovino ?” Antonio sembrava preoccupato.

"No!" Lovino tentò istintivamente di nascondere il viso. “No, no, sono un idiota! Ho fatto un errore così stupido! Poteva costare tutto, e...''

Lovino dovette deglutire. "E io sono un tale codardo!" 

Antonio sospirò dolcemente, e posò la mano sulla spalla di Lovino . “No, Lovino …”

"Fermo!" Lovino sussultò al tocco di Antonio, arrabbiato, confuso e umiliato.

 “Non essere gentile con me, smettila di essere sempre così gentile con me! Io sono solo un codardo, perché quando qualcosa del genere accade cado a pezzi! Non c'è da stupirsi che il nonno non mi lasci andare in missioni serie, perché guardami!

 Ho tanta paura! Ho paura che succeda qualcosa a te, o al nonno, o a Feliciano; Ho paura di essere catturato, torturato e ucciso, ho paura di quello che provo per te…”

 Lovino si interruppe e si portò una mano alla bocca. 

Oh merda, l'aveva detto. Lo aveva appena detto. "Merda, merda, dannazione!"

 Lovino si tirò in piedi, avendo completamente dimenticato la caviglia ferita. 

Fece un solo passo e cadde a terra. No, no, no... "MERDA!"   

Lovino ardeva completamente dall'imbarazzo. 

Voleva scomparire; voleva morire. Voleva che un enorme varco si aprisse nel terreno e lo inghiottisse al suo intero. 

Lovino si strinse le ginocchia al petto, mise le braccia intorno e appoggiò la testa sulle braccia. Forse questo era un sogno.

 Forse si sarebbe svegliato se solo lo avesse desiderato abbastanza. Forse…

"Va tutto bene, Lovino." Lovino sentiva che Antonio gli sedeva accanto, ma non riusciva ad alzare lo sguardo. L'aria intorno a loro diventava più fredda di secondo in secondo, la brezza fresca trasformava il sudore di Lovino in ghiaccio contro la sua pelle. 

Il calmo silenzio della prima sera sembrava molto più profondo dopo i precedenti eventi aspri e rauchi. 

Rimasero in silenzio per qualche istante prima che Antonio parlasse di nuovo. “Oh, mi corazón. Adesso va tutto bene''. 

“No,” mormorò Lovino. "Non è così."

Antonio si fermò un momento. “Lovino, non saresti umano se non ti spaventassi.”

Lovino sbuffò tra le sue braccia. ''È facile per te dirlo. Non hai paura di niente. Sei l'uomo più coraggioso che conosca, non capisci…”

"Pensi che non mi spaventi?" Antonio lo interruppe, poi rise dolcemente, senza umorismo. “Lovino, è stato terrificante. Naturalmente avevo paura. E ho paura di tutte quelle cose che hai menzionato. Di qualcosa che potrebbe succedere a Roma, a Feli - Dio non voglia, a te. Di essere catturato...” Antonio sospirò stancamente. "Di quello che mi farebbe la Gestapo."  

Lovino scosse la testa con forza. "Non farlo."

Non poteva parlarne. Non riusciva nemmeno a pensarci.

Antonio impiegò qualche istante per continuare. "Ho paura delle tue stesse cose, Lovino."

Lovino girò la testa tra le braccia, incontrando finalmente lo sguardo di Antonio. 

Il suo sorriso era troppo comprensivo, i suoi occhi troppo gentili, il suo bel viso incorniciato dai suoi riccioli cadenti e dal cielo che si oscurava. 

Il cuore di Lovino sobbalzò e si gonfiò a quella vista. 

Si è quasi dimenticato del imbarazzato.

“Lovino, tutti abbiamo paura. Ma per alcune cose vale la pena superare quella paura. Alcune cose sono più importanti". Antonio ha spazzolato una ciocca di capelli dietro l'orecchio di Lovino, un gesto familiare e mozzafiato che ha portato con sé una marea di ricordi ed emozioni. "Alcune cose ne valgono la pena."

Lovino non ha saputo rispondere. Poteva solo chiudere gli occhi e voltare la testa.

 Non sapeva nemmeno perché l'avesse fatto. Era incontrollabile, un istinto che aveva coltivato per così tanto tempo e sepolto così profondamente che non aveva scelta. 

Negare i suoi sentimenti per Antonio era diventato una parte strana di lui adesso. Lovino sapeva che non si stava più salvando dal dolore, lo stava solo causando, eppure non sapeva come smettere. Cercò ancora di dirsi che amare Antonio non valeva la pena. Lovino si asciugò accuratamente la coda dell'occhio prima che potesse cadere un'altra lacrima.

"Vieni, Lovino." Antonio prese la mano di Lovino e la strinse leggermente, rassicurante. "Si sta facendo buio. Appoggiati a me e io ti aiuterò''.

Lovino annuì in silenzio. Permise ad Antonio di aiutarlo a rimettersi in piedi, gli permise di mettergli un braccio intorno alla vita e di aiutarlo a camminare. Ma non riusciva a guardare Antonio. Non sopportava di vedere quella delusione nascosta in quei gentili occhi verdi.

Antonio chiacchierava senza meta mentre camminavano. 

Parlò dei soliti argomenti: luoghi in cui era stato, persone che aveva incontrato. Rideva, scherzava e ogni tanto cantava melodie spagnole sconosciute e versi che Lovino non riusciva a tradurre. Trattenne Lovino saldamente, fermamente, mantenendo la pressione sulla caviglia e impedendogli di cadere. L'incidente orribile e umiliante di prima svanì con la luce della mattina, svanì nella raffica della brezza. Lovino rimase in silenzio, ascoltando le parole di Antonio, acutamente consapevole di quel braccio fermo intorno alla sua vita e di quella mano ferma che teneva la sua. Appoggiarsi al suo calore, respirare il suo profumo, accettare l'antico conforto e sollievo della sua presenza. 

Sentirsi come se gli appartenesse.

C'era qualcos'altro tra loro adesso. Una tranquilla consapevolezza, una tacita comprensione che questo qualcos'altro stava portando da qualche parte. Ogni sguardo rubato, ogni pensiero incontrollato, ogni parola pronunciata lo stava costruendo, in modo incontrollabile, e per quanto Lovino potesse essere spaventato, niente poteva fermarlo.  

E mentre camminavano lenti, gradualmente lungo il sentiero instabile accanto alla strada principale, Lovino sentì un'improvvisa consapevolezza scorrergli nelle vene e esplodere nella sua mente.

Non sarebbe passato molto tempo prima che si sarebbe arreso.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Storia originaria di George DeValier.

Capitolo tradotto dalla sottoscritta, ne detengo i diritti di traduzione.

Quando lentamente ritornarono verso il sentiero alberato, il cielo era diventato scuro e la luna semipiena brillava attraverso un varco tra le nuvole ed illuminava debolmente i campi circostanti. Il vento profumato di erbe stava diventando più freddo di minuto in minuto, una brezza gelida che prometteva un rapido e amaro cambiamento verso un mite clima invernale. Eppure, per quel che importava ad Antonio, il cielo avrebbe potuto piovere fuoco. 

Poche ore prima, era stato ad un passo dalla morte. 

Ora, la sua testa era stordita dalla gioia, e doveva continuare a guardare il braccio intorno alla vita di Lovino per assicurarsi che fosse tutto vero. Lovino zoppicava pesantemente a causa della caviglia mentre camminavano, il corpo caldo premuto contro Antonio, le mani che si agitavano goffamente come se non sapesse cosa farne. 

Era ancora più bello al chiaro di luna.

“E quella lì…” Antonio indicò il cielo infinito, stellato, “…si chiama la carriola !”

“La carriola?" ripeté Lovino in tono piatto, la sua espressione un complicato miscuglio di allegria, derisione e totale pietà.

"Sì!" disse Antonio, ignorando allegramente il tono di Lovino. 

In quel momento era più che felice di subire il disprezzo di Lovino. Dopo quei momenti paralizzanti nascosti da una pattuglia tedesca, Antonio era più che felice di qualsiasi reazione di Lovino che non fosse terrore totale o imbarazzo fuorviante.

Era questo il vero dovere di Antonio , in fondo, quello di distrarre il suo piccolo italiano dalla sua stessa oscurità. Che significasse ballare in una cantina vuota, o fargli indovinelli a forma di pomodori, o, attualmente, fingere di essere un astronomo. 

"Le lune esterne formano le maniglie lì e là, e quella cintura di asteroidi sembra un po' d'erba incastrata nella ruota, capisci?" 

"No." Lovino non si diede nemmeno la pena di guardare. Il cielo era appena chiaro da mostrare l'oro nei suoi occhi e le risate represse dietro di loro. “Non esiste una costellazione chiamata la carriola. Te lo sei inventato. Ti stai inventando tutto quanto.’’ 

Antonio sbuffò esageratamente, fingendosi offeso. “Non è vero!"

Lovino inarcò un sopracciglio scettico. "Il Grande Pomodoro?"

"Hey?" Antonio in realtà pensava che quello fosse abbastanza credibile. “Il Pomodoro è una costellazione antichissima, importantissima!”

"A chi?"

"Per... uh..." Antonio pensò velocemente. "... i druidi."

"I druidi?" Lovino quasi sbuffò apertamente. "Nonostante il fatto che i pomodori siano originari del Messico e non siano stati coltivati in Gran Bretagna fino alla fine del XVI secolo?"

Antonio insisteva con determinazione. "Sì. Il Grande Pomodoro era una costellazione molto importante per i druidi messicani".

Il respiro di Lovino divenne caldo nell'aria fredda della sera, bloccandosi prima che potesse trasformarsi in una risata. Distolse rapidamente lo sguardo, sistemandosi con impazienza quel ciuffo dei suoi capelli che non voleva mai stare al suo posto. 

“La tua comprensione della storia è esaustiva quanto la tua conoscenza delle costellazioni.”

"Grazie, Lovino!" disse Antonio allegramente, ignorando l’occhiataccia di Lovino e il sarcasmo appena velato. Indicò di nuovo un brillante ammasso di stelle. "Quello, là, è il collare di Orione."

"Cintura, in realtà."

Antonio non aveva idea di dove stesse indicando, ed era ben consapevole che lo sapeva anche Lovino. “E poi c'è il Grande Orso…”

''L'Orsa Maggiore'', sospirò Lovino, ma con un leggero incurvamento delle labbra. "Ed è laggiù." 

"E oh, c'è il mio preferito." Antonio indicò direttamente la stella più luminosa del cielo, che brillava luminosa attraverso uno squarcio tra le nuvole grigie e nebbiose. 

Questa la sapeva. "Venus. Mi piace Venus."

“ Venere ” , corresse Lovino in italiano, “non è una costellazione”.

"No. È una stella", disse Antonio con orgoglio.

Lovino si portò una mano dolorante alla fronte. "Sbagliato. Ancora. Lei è un pianeta ". 

Antonio fece un sorriso felice. Non c'era modo di vincere a questo gioco, ma non importava. L'importante era che Lovino non fosse spaventato, né imbarazzato, né perso nei propri pensieri oscuri. Giusto, probabilmente pensava che Antonio fosse un po' sempliciotto, ma Antonio era piuttosto abituato al fatto che la gente lo pensasse di lui. “Va bene, Lovino, mi arrendo. Non posso competere con la tua intelligenza."

Lovino si tirò indietro, abbassò la testa e borbottò, quasi impercettibilmente: ''Non ho detto questo, idiota''.

Oh no. 

Non andava bene. 

Antonio rise più lievemente che poteva, mentre il petto gli doleva per la facilità con cui Lovino poteva offendersi e chiudersi in se stesso. “Ora, ancora una cosa su Venere…” 

Antonio prese la mano di Lovino e la sollevò con la sua per indicare il pianeta scintillante. Il tocco gli fece rabbrividire la pelle, e finse di non notare il respiro acuto di Lovino. "Sapevi che prende il nome dalla dea romana dell'amore?"

Lentamente, cautamente, Lovino alzò gli occhi per incontrare quelli di Antonio. Antonio poteva quasi vedere i pensieri che correvano dietro di loro, scintillanti d'oro nell'oscurità. Era così vicino; i suoi capelli profumavano di lavanda. Il cuore di Antonio balbettò un po', finché Lovino alzò finalmente una spalla in un evidente tentativo di indifferenza. "No. Non lo sapevo".

Al che, il cuore di Antonio quasi gli esplose nel petto. 

Naturalmente Lovino lo sapeva. Tutti lo sapevano, figuriamoci qualcuno intelligente come Lovino. Antonio si sentì quasi stordito che Lovino facesse finta che non fosse così per risparmiare i suoi sentimenti. Era affascinante quanto fossero profondi i pensieri di Lovino; come sono forti le sue emozioni, come sono dorati i suoi occhi... 

Prima ancora di rendersi conto di quello che stava facendo, Antonio portò la mano di Lovino alle sue labbra e la baciò. 

Immediatamente, gli occhi di Lovino si spalancarono, le sue labbra si aprirono, il suo respiro si accelerò... 

Troppo veloce. 

Antonio abbassò la mano di Lovino e guardò avanti. "Un giorno, Lovino." 

Strinse il braccio intorno alla vita di Lovino mentre continuavano a camminare al loro passo lento e ambiguo. “Un giorno andremo lassù. Solo persone normali, come te e me. Andremo sulla luna, e su Venere, e forse anche al Gran Pomodoro. Andremo lassù e toccheremo le stelle''. 

"Sei pazzo." Lovino sembrava un po' senza fiato, i piedi leggermente instabili sul sentiero.

"Ma immaginalo, Lovino!" Antonio raddrizzò facilmente Lovino, ignorando senza problemi i suoi improvvisi problemi di coordinazione. "Immagina se l'umanità raggiungesse le stelle invece di cercare così disperatamente di annientarsi a vicenda".

Lovino rimase in silenzio, e Antonio si stupì. 

Se l'umanità raggiungesse le stelle... 

Beh, allora non ci sarebbe tempo per cose assurde come carri armati e torture, omicidi e spionaggio; forse a quel punto l'umanità si sarebbe resa conto di quanto fosse veramente insensato estinguere la vita a milioni.

Ormai Antonio si accorse a malapena di dove stessero andando. Quando svoltarono una curva della strada, Lovino si fermò di colpo. "Fermati."

Antonio lo fece, il suo corpo teso per l'allarme. "Che cos'è?"

Lovino non ha risposto. 

Ha semplicemente guardato dritto davanti a sé. Antonio seguì il suo sguardo fino alle luci tenui e ardenti della fattoria dei Vargas più avanti. Lovino si avvicinò al minimo tocco, e Antonio non osò più chiedere. Perché Antonio poteva leggere le emozioni sul volto di Lovino. 

L'incertezza; il vuoto. 

Lovino non voleva tornare a casa.

Finora Antonio non si era reso conto di quanto fosse silenziosa la campagna nella sera stellata. Nessun motore lontano, né l'eco di esplosioni di bombe. Nessuno di quegli sgraditi ricordi che la guerra infuriava ancora intorno a loro. Con nient'altro che il vento impetuoso e il respiro tranquillo e gentile di Lovino, questa potrebbe essere una serata tranquilla e rilassata in una fresca notte d'inverno italiano. Ma nel momento in cui il caldo peso di Lovino si spostò, le sue spalle si afflosciarono e le sue braccia si strinsero al petto, Antonio capì che, sebbene quella notte sembrasse tranquilla, era tutt'altro che facile. 

Cercò qualcosa, qualsiasi cosa, per addolcire quella tristezza improvvisa.

"Hai già risolto il mistero del tuo pomodoro?"

Le parole arrivarono spontaneamente, ma sembravano funzionare. Lovino trasalì immediatamente. Sbatté le palpebre selvaggiamente, sembrando momentaneamente sconvolto, poi confuso, poi parecchio infastidito. 

Ogni traccia di tristezza è diminuita e lui ha semplicemente sputato: “Quella stupida cosa. Ci ho pensato a malapena".

Antonio si illuminò all'istante. La veemente smentita di Lovino era semplicemente la prova contraria. “È un vero peccato,” disse Antonio, casualmente. "Perché, vedi .. ." 

Si avvicinò, finché le sue labbra non toccarono i capelli di Lovino e il suo stomaco si girò in cerchi di fuoco. "... è un messaggio top secret", concluse in un sussurro.

Gli occhi di Lovino si allargarono, si oscurarono, prima di diventare sospettosi e rotolare verso l'alto. "Quindi sei uno scrittore di codici, ora?" chiese sarcastico.

Antonio gonfiò il petto e fece un cenno arrogante. "Uno dei migliori. L'esercito britannico mi voleva, sai, ma non sono mai stato bravo con i piccioni. E, naturalmente, il mio cuore è sempre stato per l'astronomia".

Era quasi troppo. Lovino quasi rise. Ha avuto un attacco di tosse per nasconderlo. ù

Antonio continuò avidamente, mentre era in vantaggio: “Devi decifrare il codice del pomodoro, leggere il messaggio segreto, poi riferirmi subito le parole, capito?”

" Codice pomodoro ?" Lovino smise di tossire per gemere incredulo. Spinse la spalla di Antonio con forza sorprendente e zoppicando goffamente. "Non devi prenderti gioco di me." 

“No, no, Lovino, non lo farei mai!” Antonio si affrettò a seguirlo, ridacchiando come un matto e cercando invano di tenere il braccio intorno alla vita di Lovino. Dopotutto, non voleva che Lovino cadesse, e il bisogno di vederlo sorridere era come un dolore fisico. 

“È molto importante, una volta che hai le parole segrete del pomodoro devi…”

" Parole segrete di pomodoro ?!" Il tono di Lovino si fece sempre più esasperato, le mani serrate a pugno, anche se non riusciva a controllare il sorriso mentre zoppicava furiosamente verso la casa. 

"Aspetta!" esclamò Antonio, piuttosto sorpreso dalla velocità di Lovino, e piuttosto euforico per il suo sorriso. "Aspetta, Lovino, la tua caviglia!"

Lovino trasse un respiro come un avvertimento e scacciò via la mano di Antonio, ma alla fine un sussulto di risa esplose dalle sue labbra. "Sto bene !" 

Il petto di Antonio si capovolse. La risata di Lovino era ancora il suono più meraviglioso che avesse mai sentito. 

Doveva saperne di più...

 "Non essere sciocco, sei ferito, appoggiati a me..."

Gli occhi di Lovino lampeggiarono selvaggiamente. “Sei un pervertito…”

Antonio gli posò una mano sulla schiena… 

“Zitto, è il dolore che parla…”

" Non ho bisogno del tuo aiuto !" Lovino inciampò prontamente sui gradini che portavano alla porta. 

Antonio si affrettò allegramente a sostenerlo. "Ecco, lascia che ti porti dentro..."

"CHE COSA?!" A questo punto Lovino tremava di una risata impotente, le sue braccia intrecciate con quelle di Antonio in un altro timido, inefficace tentativo di respingerlo. Gli occhi di Lovino brillavano di allegria, la gioia chiara e genuina del suo volto mandava in delirio il cuore di Antonio. 

"Lasciami, sei pazzo, io..."

La porta d'ingresso si aprì. 

Antonio si immobilizzò, Lovino quasi si strozzò, ed entrambe le loro voci morirono in gola. 

Roma era sulla soglia. La sua espressione era illeggibile, tranne per la forte, penetrante disapprovazione nei suoi occhi.

Bene, perfetto. 

Antonio soppresse il suo rimpianto, fece un passo prudente, difficile, lontano da Lovino, e gli impiccò un sorriso sul volto. "Sera, Rom!"

Senza distogliere lo sguardo da Antonio, Roma ha risposto con "Vai dentro, Lovino".

I muscoli di Antonio si tesero. Lovino esitò, strinse i pugni, aprì la bocca come per parlare... poi varcò la porta con un sospiro rassegnato. Antonio ha combattuto il proprio senso di delusione. Dopotutto, cos'altro poteva fare Lovino? 

Cosa potrebbe fare Antonio? 

Questa era la casa di Roma. 

Antonio osservò Lovino che zoppicava di qualche passo all'interno prima di voltarsi ad ascoltare, i suoi occhi guardinghi e le sue mani che si agitavano e i suoi capelli che scintillavano alla luce del caminetto acceso...

Antonio distolse a malincuore gli occhi, si schiarì la gola e balzò sui talloni. "Bene allora. Immagino che sarò…”

Roma ha interrotto duramente. “C'è stato un incidente. Un'esecuzione nella piazza del paese”.

Lo stomaco di Antonio si strinse, il suo sorriso cadde e la sua mente si mise a fuoco. Un'esecuzione. Le parole fecero scattare un interruttore dentro di lui, e l'ultimo del suo buon umore svanì. Un'esecuzione significava un interrogatorio. Un interrogatorio significava un possibile trasferimento di informazioni. 

Il trasferimento delle informazioni significava... 

Antonio si sentì le unghie affondare nei palmi. "Chi?" 

Roma risponde in modo vago, ovviamente con cautela davanti a Lovino. 

"L'operazione di questa mattina non è andata secondo i piani".

Lovino disse una parola; veloce, tagliente, in preda al panico… 

“Feliciano…”

"Feli sta bene", ha rassicurato la Roma con una breve alzata di mano. “E’ solo stanco. Sta già dormendo''.

Antonio pensò velocemente. Avrebbe dovuto agire in fretta su questo. 

Se Feliciano avesse assistito all'incidente, avrebbe potuto dire ad Antonio il numero dei soldati coinvolti; il metodo di uccisione; la reazione dei paesani…

 “Feliciano ha visto l'esecuzione?”

Il cambio di posizione di Roma ha risposto alla domanda. Era più alto, le braccia conserte, le spalle tese come se i muscoli si stessero ammucchiando sotto la pelle. 

Quando parlava, era pericolosamente controllato. "Non lo interrogherai, Antonio."

Il viso di Antonio si indurì alla risposta ferma, la sua pelle che formicolava in modo spiacevole. Si è mosso sottilmente per rispecchiare la posizione di Roma, e ha lottato per impedire alla sua frustrazione di filtrare nella sua voce. "Fare quelle domande è mio compito, Roma".

“Non è il tuo lavoro tormentare mio nipote.” Roma si sporse minacciosamente in avanti, bloccando la porta, e abbassò la voce in un ringhio ostile. “È abbastanza angosciato dall'esperienza. Non glielo farai rivivere.” 

Per un lungo momento, Antonio fissò Roma, lasciando che quell'espressione intensa e severa rispondesse altrettanto acutamente.

Roma era un uomo di coraggio, un leader di uomini, ma qui non capiva la posta in gioco. Non aveva più il lusso di trattare i suoi nipoti da bambini.

 Quell'esecuzione avrebbe potuto essere chiunque di loro. E mentre Antonio fissava senza battere ciglio quegli occhi duri e scuri, non riuscì a sopprimere la vocina cupa che gli sussurrava nella testa: 

Lovino non è più tuo da proteggere. 

Lui è mio.

Ma profondamente consapevole di Lovino che lo osservava, e attento a non lasciare che la vera rabbia si diffondesse, Antonio alla fine fece un cenno conciso. 

"Va bene. Ci sono altri modi per scoprirlo".

“Ci conto. Parleremo domani, Antonio''.

Contandoci. 

Certo che ci contava. 

Contare su Antonio per fare il lavoro sporco; contando su Antonio per accettare l'ordine di Roma e fare i suoi doveri. Antonio tenne la testa alta mentre si voltava. 

Non lo ha fatto per Roma. 

L'ha fatto per la libertà, l'ha fatto per l'Italia, l'ha fatto per quello che era giusto...

Bugiardo. 

Lo fai per Lovino .

Antonio non si voltò indietro mentre se ne andava.

——————-

Il tonfo della porta che si chiude fu come un colpo al petto di Lovino, che svanì rapidamente in una solitudine pesante, travolgente, quasi confortante nella sua familiarità. 

Lo scambio tra nonno Roma e Antonio era durato pochi istanti, ma aveva lasciato Lovino vuoto e arrabbiato, chiaramente consapevole che era appena successo più di quanto sembrava. Dubitava, tuttavia, che gli sarebbe stato detto qualcosa di più. 

Non lo è mai successo, dopotutto.

Le lampade erano basse, la maggior parte della luce della stanza proveniva dal fuoco scoppiettante. Il vento freddo batteva contro le finestre, promettendo un tempo più selvaggio in arrivo. Lovino si sentiva malconcio da quella giornata estenuante. Era così stanco di tutto, si sentiva così esausto. Così stanco di essere spaventato; così stanco di avere qualcosa di così meraviglioso, così giusto, così perfetto, solo per vederlo allontanarsi.

Nonno Roma si diresse al tavolo, dove una bottiglia di vino era posata accanto a una pila disordinata di carte. Era quasi vuota. Roma si versò un altro bicchiere e si sedette pesantemente. "È stata una lunga passeggiata verso casa."

Lovino scrollò le spalle imbronciato e cambiò argomento. 

"Credi sinceramente che Antonio tormenterebbe Feli facendogli qualche domanda?"

Roma ha bevuto un lungo sorso di vino. Lovino ormai sapeva che Roma beveva in due occasioni: quando era molto felice, e quando era vicino alla disperazione. In quel momento sembrava tutt'altro che felice. "Sai quanto si arrabbia Feli."

Lovino sbuffò. “Dai, nonno. Feli si arrabbia quando una delle piante d'appartamento muore".

Roma lo guardò attentamente. “Sei troppo sprezzante nei confronti delle emozioni di tuo fratello. Almeno ha il coraggio di mostrarle". 

Le guance di Lovino si gelarono, la sua mascella cadde prima che potesse controllarla. Roma alzò una mano stanca e abbassò la testa in segno di scusa. ''Mi dispiace, Lovino. Non lo intendevo così".

Lovino indurì gli occhi e la mascella. "Non c'è bisogno di scusarsi, nonno, sono abbastanza consapevole che tieni a Feli più di me." 

Era una cosa infantile da dire, ma Lovino provava ancora una breve soddisfazione nello sputare le parole prima di marciare verso l'atrio. Aveva dimenticato la caviglia gonfia , tuttavia, e prontamente inciampò, riuscendo solo ad afferrare una sedia per impedirsi di cadere. Strinse le mani e si morse la guancia, furioso.

Lo ha fatto arrabbiare ancora di più quando Roma ha chiesto, dolcemente: "Stai bene?"

No. 

Non sto bene

Sto bene solo quando Antonio mi sorride e me ne sono accorto solo perché ero così vicino a perderlo… 

“Sto bene. Gentile da parte tua chiedermelo, finalmente.» 

Roma scosse stancamente la testa e bevve un lungo sorso di vino. 

''Lovino, tuo fratello ha assistito all'uccisione di due uomini oggi. Due uomini che hanno combattuto, e sono morti, per l'Italia''.

Lovino sentì una dura fitta di colpa. Poi si è accorto che Roma non aveva nemmeno negato la sua accusa infantile e si è irrigidito ancora una volta. "Antonio combatte per l'Italia".

Lo sguardo fisso della Roma era troppo perspicace. "Tu non conosci Antonio."

Lovino strinse gli occhi, il senso di colpa si trasformò in rabbia. "Cosa diavolo dovrebbe significare?"

“C'è di più in lui di quello che vedi. Non è…” Roma si interruppe, agitando vagamente il bicchiere di vino come se cercasse la parola giusta. “…al sicuro,” terminò incerto.

“Al sicuro?" Lovino sbuffò. “Cosa diavolo è successo in questi giorni? Lo credevi abbastanza al sicuro da aiutarmi a tornare a casa, visto che non pensavi che potessi farcela da solo. Lo credevi abbastanza al sicuro da proteggermi quando è passata una pattuglia tedesca...''

Lovino si pentì subito delle parole. Roma si bloccò, gli occhi spalancati per l'allarme prima di appoggiare il bicchiere sul tavolo e si sporse in avanti con ansia. 

“Una pattuglia? Perché Antonio non me l'ha detto?"

Lovino dovette trattenersi dall'urlare per la frustrazione. " Te lo sto dicendo!" 

Roma sembrava inorridita. Lovino si ricordò improvvisamente della sua pistola e pregò che la Roma non si accorgesse che mancava. “Non vedi, questo è quello che voglio dire – mio Dio, Lovino, se ti avessero trovato con lui…”

"Beh, non l'hanno fatto", gridò Lovino. "Non l'hanno fatto perché ci siamo nascosti fuori strada, Antonio ha fatto in modo che non mi succedesse nulla, non è in pericolo, sarebbe morto prima che mi succedesse qualcosa!" 

Silenzio.

"O," Lovino si affrettò ad aggiungere, lo stomaco che si contorceva per il lapsus verbale, "o a qualcuno di noi."

Roma emise un sospiro pesante e fissò Lovino con uno sguardo penetrante. "Lo ami?"

La domanda arrivò dal nulla e colpì Lovino come un proiettile. 

La stanza oscillava pericolosamente intorno a lui. Tutta la rabbia defluì dal suo corpo, prosciugata come il sangue dal suo viso, lasciandolo congelato, bianco e completamente indifeso. Per un momento si rifiutò di accettare ciò che aveva sentito. Quando lo fece, la voglia di correre gli esplose nei nervi, ma semplicemente non riusciva a far muovere le gambe.

Il silenzio durò troppo, le ossa di Lovino diventarono di ghiaccio; finché, con tutte le sue forze, si costrinse a parlare. "È ridicolo." 

Ma le parole suonavano deboli e lontane.

"No." Roma sembrava quasi colpevole, e lui sembrava insicuro, ma allo stesso tempo sembrava più calmo di quanto Lovino lo vedesse da molto tempo. 

"Non lo è. Forse non capisco completamente, Lovino, ma riconosco il desiderio quando lo vedo. Antonio è infatuato di te.” La voce di Roma non sembrava accusatrice o arrabbiata. 

Semmai, sembrava preoccupata. “E non sto dicendo questo per giudicarti. Te lo dico perché... non capisci. Antonio è un ricercato, e se certe persone scoprono che ci tiene a te…” 

Roma si interruppe bruscamente, come se dicesse troppo. Appoggiò i gomiti sul tavolo, sporgendosi in avanti e passandosi le mani stanche tra i capelli. Poi ha semplicemente ripetuto: "Lo ami, Lovino?"

Lui lo sa. 

Il cuore di Lovino batteva forte, bruciando contro le sue costole, anche se il suo sangue sembrava congelato. 

Sii coraggioso. 

Le sue mani tremavano e il sudore caldo gli saliva alla fronte. 

Sì, il suo cervello urlava insistentemente. 

Sì. Lui è tutto. 

Lovino si fece forza e rispose. "No." 

Ma non riuscì a trattenersi dal chinare il capo, vergognoso, sconvolto, furioso. Non poteva guardare Roma mentre rispondeva, un po' dubbioso.

"Va bene. Parleremo in mattinata. C'è la cena in cucina per te.''

"Non ho fame."

Lovino afferrò una lanterna da un tavolino e uscì zoppicando dalla stanza. 

Mentre si dirigeva lungo il corridoio buio, tutto sembrava avvicinarsi a lui. La profonda, intensa chiarezza che aveva sentito in quel fossato al passaggio della pattuglia; la gioia formicolio di avere il braccio di Antonio intorno a lui; la brillante ilarità per i ridicoli tentativi di Antonio di osservare le stelle. E lui aveva negato tutto con una bugia debole e spietata.

No

Il respiro di Lovino si fece pesante, frenetico nel suo petto, come se dentro di lui infuriasse una tempesta e non avesse modo di farlo uscire. Perché è sempre stato così codardo? 

Questo era troppo. 

Troppo per un giorno. 

Tutto si affollava nella sua testa, lottava sotto la sua pelle, troppe emozioni in troppo poche ore, troppo da sentire e accettare, troppo da capire...

Sbatté la porta della camera da letto e i suoi pensieri volarono in un punto. Senza fermarsi a pensare, Lovino si avvicinò zoppicando al comò, afferrò lo stupido pomodoro di vetro, lo strinse per un brevissimo secondo... è un messaggio top secret... poi lo frantumò a terra. 

Un rimpianto straziante, un fruscio sommesso, poi… “Lovino, che fai?”

Lovino ignorò suo fratello. 

Cadde in ginocchio, posò la lanterna e frugò freneticamente tra le schegge di vetro. Un dolore acuto gli tagliò il dito ma lui lo ignorò - ecco, cos'era quello? 

Piccolo, argentato, liscio – Lovino afferrò l'anello con dita tremanti e lo sollevò alla luce. Due parole sono state incise all'interno del anello.

Te quiero.

E poi tutto si è fermato. I

l silenzio era come cotone nelle orecchie di Lovino, e non poté trattenere una risata amara. "Bastardo." Ma non era sicuro se intendesse Roma, o Antonio, o se stesso.

Lovino si accorse appena di Feliciano che si alzava dal letto, la voce assonnata e preoccupata. "Che cos'è?"

"Niente. Non è niente." Lovino si prese la testa tra le mani. La tempesta era passata, aveva rotto qualcosa di bello, e ora non avrebbe mai risolto l'enigma di Antonio. Perché non avrebbe mai potuto farlo bene? "Oh Dio, non è niente, niente."

Feliciano si inginocchiò accanto a lui e gli prese il braccio. Lovino lasciò che suo fratello gli aprisse la mano, gli fece prendere l'anello e lo esaminò. 

''Te quiero '' disse Feliciano incuriosito. "Che cosa significa?"

Un groppo salì come un avvertimento nella gola di Lovino. "Niente. Dimenticalo." 

Strappò l'anello dalla mano di Feliciano, se lo mise in tasca e cercò di parlare con calma. "Dimentica di averlo visto, e io dimenticherò di averlo visto, e dimenticheremo tutto questo come se niente fosse mai successo."

Il volto di Feliciano era preoccupato alla luce della lanterna.

 “Dimenticare cosa è successo? Lovino? Cosa è successo?"

Sciocco, innocente Feliciano.

Come poteva capire tutto questo? 

Che diavolo ne sapeva lui di volere qualcuno così tanto che non avrebbe mai potuto davvero averlo? 

Lovino scosse la testa e si alzò in piedi. ''Niente'', ripeté.

"Che ora è? Perché sei a casa così tardi? Dov'è Antonio? Il nonno ha detto che ti sei fatto male alla caviglia, stai bene? Lovino, sembri sul punto di cadere».

“Feliciano”. Lovino zoppicò tremante al suo letto, felice di sentire che Feli non sembrava eccessivamente traumatizzato dagli eventi della giornata. Feli si turbava così facilmente... "Torna a dormire".

"Mi lasci almeno fasciarti la caviglia?"

Lovino cadde sul letto e nascose la faccia in un cuscino. Era esausto, era mortificato e aveva voglia di dormire per sempre. “Argh Feli perché non puoi mai stare zitto…”

"Scusami?"

Lovino ringhiò in gola e parlò chiaramente. “Ho detto, Antonio l'ha già fatto. Adesso stai zitto».

Quando sentì Feliciano spazzare via i cocci, Lovino ardeva di vergogna, non potendo finalmente fermare queste lacrime esasperanti e colpevoli che gli salirono agli occhi. 

Lovino non sapeva molto lo spagnolo, ma questo lo capiva. 

Ti amo.

 Voglio te. 

Tutto ciò che vedeva nell'oscurità era il viso sciocco, desideroso e bello di Antonio al chiaro di luna, i suoi luminosi occhi verdi e i capelli scuri e selvaggi... 

Una volta che hai le parole segrete del pomodoro... 

Perché non dovrebbe essere così facile? 

Perché non poteva essere così gentile, sciocco e semplice? 

Lovino non si preoccupò nemmeno di spogliarsi, disperato di cadere nell'oblio il più velocemente possibile. Perché sapeva quanto stava diventando serio. 

Perché questo non era più il suo segreto, e non sapeva nemmeno se voleva che lo fosse. 

Perché non poteva continuare così ancora per molto. 

Qualcosa doveva dare.

——————-

"Cosa gli è stato chiesto?" Antonio tamburellò nervosamente con le dita sulla tazza del caffè. La tazza era quasi vuota: era chiaro che sarebbe stata un'altra notte insonne. «Devono essere stati interrogati. Cosa gli è stato chiesto?"

Il turco era seduto appoggiato allo schienale della sedia, immobile, con la faccia avvolta in ombra dalla luce della luna che filtra attraverso le finestre cantina. A parte l'unica candela sul tavolo in mezzo a loro, il resto della stanza era al buio. 

"Cosa ne pensi, spagnolo?" ha risposto casualmente. 

“Nomi. Sono la cosa di maggior valore più del'oro, in questi giorni.”

Antonio si frugò in tasca e posò sul tavolo un sacchettino di monete tintinnanti. 

"Una valuta con cui sei pronto a fare trading?" 

Antonio non si fidava di quell'uomo.

 Ogni volta che si incontravano, Antonio sperava che fosse l'ultima. Sapeva che era pericoloso. Sapeva che l'unica lealtà di quest'uomo era per l'oro, e che ogni giorno Antonio valeva di più per il nemico. Ma sapeva anche di aver bisogno di informazioni, e nessuno ne sapeva più del turco.

Il turco ha dato il sacchetto una fugace occhiata illeggibile. “Nomi? Posso darteli facilmente. Schmidt, Schneider, Hoffman, Assia.” 

Ha recitato i nomi in un elenco, tono annoiato, poi fece una pausa, uno sguardo curioso che cresce sulla sua faccia ombra. “In realtà, l'ultimo è interessante. Un interrogatore, ed ex prigioniero, appena arrivata dal fronte orientale. E 'stato lui a dare l'ordine per l'esecuzione “.

Ora, che è stato intrigante. "Un prigioniero dell'esercito a cui è stato assegnato un rango all'interno della Gestapo?" 

Il turco appena alzò un sopracciglio, la sua espressione accuratamente chiusa. “Sareste sorpresi di quanto sia facile questo mondo per gli uomini molto crudeli. Direi che in qualche modo si è guadagnato il loro favore".

"Come poteva permetterselo?"

“Non mi stai ascoltando? I nomi valgono più dell'oro. Tuttavia, non vedo perché dovresti pagare per loro.” Il turco diede un'occhiata acuta alla borsa sul tavolo. “Il tuo nemico ha un nome, ed è Germania. No, cosa vuoi veramente sapere?" 

Antonio si trattenne dal rispondere che no, la Germania non è mai stata sua nemica. Il turco non avrebbe capito, e poi questo aveva poca importanza in quel momento. "Voglio sapere se hanno risposto."

Il turco annuì, le mani saldamente intrecciate in grembo. “Ora stai facendo le domande giuste. No, spagnolo, sei stato dannatamente fortunato. I tuoi piccoli amici della resistenza sono stati catturati mentre cercavano di giustiziare un ufficiale delle SS di alto grado: erano quasi morti quando gli interrogatori li hanno raggiunti. Non sono stati molto utili per le domande, ma erano perfetti per un'esecuzione pubblica in un'intensa giornata di mercato".

“Uno spettacolo”.

"Una minaccia."

Antonio si appoggiò allo schienale pesantemente e bevve un sorso del suo caffè che si stava rapidamente raffreddando. Quindi gli uomini non parlano. I tedeschi non sapevano degli sbarchi americani. Alla fine, tuttavia, questo è stato solo un piccolo sollievo. I militari erano sempre più disperati, cercando di distruggere qualsiasi resistenza. 

"Va bene. Non hanno ricevuto risposta, ma... che hanno chiesto gli interrogatori?"

Il turco sorrise e disse semplicemente: “Bene, ti dirò questo. Se fossi intelligente, lasceresti la città".

Antonio sbuffò piano. Non era mai stato intelligente. "Mi vogliono."

"Certo."

Beh, questo Antonio lo sapeva già. Sospirò di sollievo, il petto pesante che si alleggerì, e sollevò il caffè in una specie di brindisi. Non c'è molto di cui preoccuparsi, dopotutto.

Ma poi il turco si spostò leggermente e continuò. "Ma... c'è un premio ancora più grande di te in questi giorni, spagnolo."

Antonio si immobilizzò, la tazza a metà delle sue labbra.

 La sensazione di leggerezza nel suo petto svanì, sostituita da una stretta spirale di ansia. "Cosa intendi?"

“Questa è una battaglia pubblica, ora - l'esecuzione di questa mattina l’ha reso molto chiaro. Ciò che i tedeschi hanno realmente bisogno è che qualcuno di questi civili che guardano - dirà il nome di chi la morte porterà più terrore. Qualcuno, forse, che detiene sorprendentemente successo nella Resistenza e la tiene unita in questa piccola città.”

Antonio si accorse di tenere ancora in aria la sua tazza di caffè e la abbassò tremante.

 "Vogliono il capo", sussurrò, la crescente ansia si trasformò in un terrore freddo e malato.

Il turco puntò il dito in un gesto affermativo. "Hai capito bene. Il nome più prezioso di tutti. E una volta che l'avranno, lo tortureranno per quello che sa, e mostreranno a questa città la sua disfatta".

Antonio quasi imprecò mentre si passava una mano sugli occhi stanchi. 

Avrebbe dovuto capire che sarebbe arrivato questo momento. 

Pensò a Roma Vargas, eroe dell'Isonzo; testardo e orgoglioso; con tutti i suoi difetti, l'uomo più forte che Antonio avesse mai conosciuto. “Perderebbero il loro tempo. Non parlerà mai''.

Il turco lo fissò per qualche istante, la luce della candela tremolante nei suoi occhi scuri, prima di riposare le braccia sul tavolo e lasciando fuori un respiro pesante. Quando parlò, era più tranquillo del solito, e Antonio si ritrovò sporgendosi in avanti per ascoltare.

 “Sei mai stato a nord, lo spagnolo? Voglio dire, davvero a nord, dove gli inverni durano tutto l'anno, e la notte dura per mesi.”

Antonio era un po' sorpreso, sia per lo strano cambio di voce del turco, sia per l'improvviso cambio di argomento. Immagini rapide e fugaci scorrevano selvagge nella sua memoria, di giorni in slitta attraverso foreste da favola; notti danzanti sotto soffitti di ghiaccio; le sere sdraiati sulla neve, Gilbert e Francis accanto a lui, a guardare il cielo trasformarsi in mille sfumature di rosa, verde e arancione... 

Le soppresse rapidamente. "Non per molti anni."

“Ci sono stato di recente. Un piccolo villaggio sulla costa norvegese, vicino a Trondheim. La loro resistenza è caduta la scorsa estate”. Il labbro del turco si arricciò nel più piccolo accenno di un sorrisetto. "Loro, inoltre, avevano un leader che 'non avrebbe mai parlato'".

Antonio non ha risposto. Si sedette lentamente, fissando il riflesso della candela nella finestra buia, temendo di sapere dove fosse diretto.

''La Gestapo ci ha provato, naturalmente. Si è rotto ogni osso nel tentativo, ma dannazione, questo ragazzo norvegese era un duro. Sembrava che non potessero fare niente per farlo parlare. Quindi, hanno cambiato tattica. Torturare lui non lo avrebbe fatto parlare. Torturare qualcun altro , comunque...” 

Il turco lasciò che le parole svanissero in una spiegazione silenziosa. 

Antonio deglutì pesantemente. "Qualcun altro…"

“Qualcuno a cui teneva. Qualcuno che amava. Un pilota danese, o qualcosa del genere ...”Il turco si strinse nelle spalle. “Ha svuotato il sacco in pochi istanti. Questo è il fatto, vedi. C'è sempre qualcun altro.Ora, tu dici Roma non potrà mai parlare. Ma ha dei nipoti, no?"

Improvvisamente, la stanza si tinse di rosso. Il respiro si fermò nei polmoni di Antonio, la luce della candela ruggiva come un fuoco, il pavimento è crollato sotto di lui ... “

No ...” Lui rimase a bocca aperta, il suo sangue ribolliva di rabbia, le sue mani afferrare il bordo del tavolo finché non sentì la scheggia di legno in la sua pelle...

 Come avrebbe potuto non rendersene conto?

 Come poteva essere così stupido? 

Se la Gestapo fosse arrivata a Roma, avrebbe raggiunto Lovino. 

E se avessero raggiunto Lovino …

“No. Non arriveranno a Roma. E 'me che vogliono, è sempre stato me che vogliono, deve essere me che vogliono!” 

Gli occhi del Turco si strinsero percettivamente, e Antonio ha combattuto per controllare la sua reazione, consapevole del fatto troppo tardi che stava urlando. Trasse qualche respiro attraverso i polmoni in fiamme e costrinse le sue mani a rilassarsi. 

“Sono più sacrificabile di Roma”, ha tentato di spiegare, anche se gli girava la testa, il suo sangue correva, la gola mi batteva forte ... 

“Devo rimanere il loro più alto obiettivo, io sono abbastanza forte, io ...”

Antonio lentamente si spense. La realizzazione l’ha rotto all'improvviso, un lampo di certa chiarezza, e sapeva subito quello che doveva fare. Alzò gli occhi lentamente, mascella serrata per la determinazione, a malapena notando l'espressione penetrante del turco. 

''Hesse, vero? E’ lui l'unico responsabile degli arresti?”

Gli occhi del Turco scintillavano di avvertimento alla luce delle candele. “Qualunque cosa stai prendendo in considerazione, lo farei con tanta cura. Quell'uomo è pericoloso.” 

Guardò il sacchetto d'oro, ancora seduto intatto sul tavolo. “E tu sei molto più prezioso vivo per me.”

Antonio lo ignorò. Il suo cuore batteva il fuoco, e tutto quello che poteva vedere era Lovino accigliato, Lovino ridendo, Lovino che urlava nelle mani della Gestapo ... 

“Dove posso trovare questo domani sera Hesse?”

Qualcosa nel tono di Antonio fece abbassare il sorrisetto al turco e rispondere chiaramente. “Probabilmente alla Cantina Rossa , a bere con gli ufficiali”. 

"Puoi assicurarlo?"

Il turco lo guardò attentamente per un momento. Sembrava leggermente curioso, ma non indagare ulteriormente. “Va bene, spagnolo.” 

Ha raggiunto l'oro sul tavolo, e lo mise nella tasca della giacca. "Lui sarà lì." 

Spinse indietro la sedia, ma Antonio alzò una mano per fermarlo.

"Un'altra cosa. Hai detto che Hesse era in una prigione prima del suo trasferimento alla Gestapo. Perché è stato arrestato?"

Il turco ha dato una breve risata priva di umorismo. “La guerra a est è brutale. Fucili non sono le uniche armi usate. Lo stupro e la tortura sono due dei più comuni. Il nostro amico sergente Hesse era piuttosto affezionato a entrambi - lo hanno catturato con le mani insanguinate e i pantaloni giù una volta di troppo “.

L'intestino di Antonio si agitò per il disgusto. Ora non aveva dubbi su quello che doveva fare.

Il turco si alzò e si diresse verso la porta d'ingresso. Dopo pochi passi stranamente esitanti si fermò, ma non si voltò. Quando parlava, era stranamente silenzioso, più sommesso di quanto Antonio l'avesse mai sentito. “Ho cercato qualcuno da proteggere una volta. Una vita fa».

Antonio sbatté le palpebre sorpreso. Fissò il turco, dritto e immobile in mezzo a una stanza di tavoli vuoti e in ombra, la sua struttura larga e alta sembrava stranamente piccola alla luce filtrata della luna. Antonio non sapeva nulla del passato di quest'uomo, né di ciò che parlava. Ha semplicemente alzato il mento con cautela a quelle parole criptiche. “Cosa ti fa pensare che sto proteggendo qualcuno?”

Il turco girò la testa un po ', un piccolo sorriso sulle labbra. “C'è sempre qualcun altro.”

Prima che Antonio potesse reprimere il panico, il turco si diresse verso l'uscita. Le sue ultime parole erano quasi troppo leggere per essere udite. "Tieniti forte, spagnolo."

—————

La mattina dopo, sembrava che l'inverno fosse finalmente arrivato. Feliciano era di nuovo ansioso di uscire presto, nonostante il freddo, ma furono solo ore dopo che Lovino finalmente si trascinò fuori dal tepore del suo letto. La sua caviglia era leggermente gonfia e un po' contusa, ma quel tipo di dolore era facile da gestire. Era il ricordo della notte prima che faceva davvero male. Lovino cercò di non pensarci, concentrandosi invece sul abbottonarsi la camicia, agganciando le bretelle nella cintura, chinandosi a tirare su i calzini ... si fermò al lampo di colore in un angolo del suo occhio. 

Lì, sotto il letto di Feliciano ... 

Lovino si avvicinò, lentamente, che scende per recuperare il colore arancione brillante involucro e ispezionare con curiosità.

 C'era scritto una sola parola: Schokolade. 

Lovino sentì il solco delle sopracciglia formarsi a causa della confusione. Un involucro di cioccolato tedesco. Feliciano gli aveva dato un po 'di cioccolato il Lunedi, il giorno dopo è arrivato Antonio, ma Lovino aveva appena pensato a quello. 

Ora doveva immaginars.. - dove aveva acquisito Feliciano il cioccolato tedesco? 

Vagamente turbato, Lovino mise l'involucro in tasca, solo per dimenticarsene immediatamente quando le sue dita sfiorarono qualcos'altro. Un'ondata di calore lo riempiva mentre chiudeva la sua mano sopra l'anello. 

Te quiero. 

Senza altro pensiero per l'involucro di cioccolato, Lovino fece scivolare l'anello sul dito e si diresse fuori nella mattina fredda, con quello che sembrava una tempesta all'orizzonte. 

Lovino si precipitò nella stanza davanti alla Cantina Verde , veloce quanto la sua caviglia gli ha permesso, nelle ultimi sedie vuote e camerieri silenziosi. L'incontro sarebbe già in atto nella stanza sul retro segreto. Nonostante tutto, c'era ancora una guerra, e Lovino era ancora un membro di resistenza, e lui era ancora in ritardo, e ... 

Lovino si fermò bruscamente.

Antonio era seduto contro il muro vicino alla porta, le ginocchia redatti, le mani intrecciate tra di loro. Indossava la stessa camicia sgualcita e pantaloni dal giorno precedente; i capelli non lavati, la barba lunga. Alzò la testa lentamente, guardando Lovino con gli occhi rossi per la mancanza di sonno. Lovino lo fissò, incerto sul da fare o dire, il suo respiro instabile e il suo il cuore stringersi al petto.

“I tedeschi sono più consapevoli che mai dell'influenza della nostra resistenza.” Le parole di nonno Roma echeggiarono attraverso la porta. Una volta, avrebbe ruggito, come una battaglia mescolando discorso a un esercito di ricarica. Ora, ha parlato in tono piatto, come se avesse fatto questo troppo a lungo, e non era più sicuro di quello che stava dicendo.

“Ieri, hanno cercato di minacciarci. Ma non funzionerà, e non ci fermeremo. Noi continueremo a prepararci per lo sbarco americano. Noi continueremo a minare le operazioni nemiche. Noi continueremo, fino a quando questo paese sarà il nostro nuovo “. 

Le parole erano come un fulmine nella testa di Lovino, mentre gli occhi di Antonio non lasciavano il suo sguardo travolgendolo con quella indissolubile stretta verde. No, non si fermeranno. Sembrava che non si sarebbero mai fermarsi. 

Anno dopo anno dopo anno ... 

E 'stata questa guerra che gli impediva di Antonio. E 'stata questa sanguinosa interminabile battaglia rotto che ha spinto la luce dagli occhi di Antonio e il sorriso dalle sue labbra. Questa paura, questo odio, questa costante, orrendo terrore di essa. Antonio era l'uomo più ricercato d'Europa, che ha combattuto per l'Italia, e probabilmente non sarebbe sopravvissuto a questa guerra.

La voce di Roma risuonò di nuovo, chiara e forte attraverso la porta chiusa. “Gli eventi di ieri mattina ci ricordano che nulla di ciò che facciamo è senza rischi. Nessuna missione è semplice. Non ho bisogno di parlarvi del pericolo crescente. Ho solo bisogno che voi ricordiate. Ricordiate perché lo stiamo facendo".

E Antonio che era l'uomo più sciocco, stupido, meraviglioso del mondo intero, che lottava per ciò che era giusto, e credeva nel toccare le stelle. Ma in quel momento non importava nemmeno, perché Antonio stava male, e Lovino non sapeva come aiutarlo. 

Antonio tentò un sorriso, piccolo, triste, forzato. "Sono stanco, Lovino."

E poi fu chiaro.

"Vieni con me." Lovino tese la mano. Antonio la prese subito.

—————-

Seduto contro il muro del giardino sul retro, con la lavanda che fluttuava nell'aria e il rosmarino che sbocciava davanti a loro, Lovino non era nemmeno sicuro di come fossero finiti lì. Sembrava l'unico posto dove andare. Sembravano sempre finire qui, dove le erbe e i fiori crescevano in fila, e dal mondo esterno entravano solo foglie di quercia e venti alla deriva. Questo piccolo angolo di mondo, dove c'era solo calma, quiete e pace, e tutto il resto sembrava lontano mille miglia.

Antonio appoggiò la testa contro il muro ed emise un sospiro soddisfatto. 

"Sì. Questo è meglio. Grazie, Lovino.»

Lovino si strinse le spalle, un po 'imbarazzato per il grazie di Antonio. Non che avesse fatto nulla, dopo tutto. Sapeva solo che voleva Antonio e che si sentisse meglio. Voleva far smettere di tutto ciò lo rendeva esausto; distruggere tutto ciò che gli faceva male. Lovino voleva che Antonio tornasse a dire quelle cose stupide come faceva sempre, e ridere in quel modo che illuminava l'oscurità, e stare con lui per sempre.

Antonio toccava distrattamente un fiore di campo che cresceva da sotto il muro di pietra. Lovino osservò quelle dita abbronzate accarezzare dolcemente i petali dei fiori, osservò le rughe stanche del suo viso levigarsi e un sorriso tranquillo posarsi sulle sue labbra. "Non ho mai avuto un giardino", rifletté, ignaro. “Penso che mi piacerebbe uno, un giorno. Coltiverei pomodori”.

Lovino non avrebbe mai smesso di ammirare la straordinaria capacità di Antonio di rimanere allegro nonostante ogni impulso contrario. Un secondo prima alla cantina l’aveva guardato sull'orlo della disperazione. Ora era appena seduto con calma, il vento freddo scompigliava i suoi riccioli scuri, la luce del sole pomeridiano che gli schiariva la pelle. Il calore è salito attraverso il sangue di Lovino nonostante l'aria gelida, e dovette ricordare a se stesso di rispondere con sarcasmo. “Tutto quello a cui hai pensato sono i pomodori?”

"No. Penso a un sacco di cose.” Antonio canticchiava pensieroso e batté i piedi insieme. “Treni. Stelle. Grappa. HG Wells ... spero che stia bene “.

Lovino non sapeva da dove cominciare. “Alle stelle qualche volta?”

"Venere, soprattutto." Antonio incontrò lo sguardo di Lovino e sorrise. "Mi piace Venere."

Il collo di Lovino formicolava. "È un…"

"Pianeta. Sì, naturalmente." Antonio trattenne una risatina e sollevò un sopracciglio allegro. 

"E tu? I pomodori sono tutto ciò a cui pensi?" 

Lovino doveva davvero chiedersi come funzionava a volte la mente di Antonio. "Perché diavolo dovrei pensare ai pomodori?"

Antonio si sporse di lato, sfiorando con la spalla quella di Lovino, e sussurrò: ''Perché sono buonissimi!''

 Il tocco scese lungo il corpo di Lovino fino a fargli sentire le gambe deboli, ma alzò gli occhi al cielo e quasi rise. Poi Antonio continuò con disinvoltura: "E perché indossi il tuo anello". 

Oh, merda. 

Lovino improvvisamente soffocò la risata, velocemente si infilò la mano nella giacca. Il cuore batteva pericolosamente nel petto e sentì la sua faccia bruciare rosso brillante. 

Come diavolo aveva dimenticato che aveva l'anello al dito?

E lui l’aveva indossato per tutto questo tempo!

 Cosa poteva spiegare dopo questo ?!

 Cercò disperatamente una scusa. Doveva pensare a cosa dire. 

Doveva ... 

“ Te quiero ...”

 ... in realtà non mormorare le prime parole che gli venivano in mente. Ha caparbiamente ignorato la reazione gioviale di Antonio e balbettò: 

“Il tuo ... il tuo stupido codice di pomodoro, non ha nemmeno senso, si ...” 

Antonio non riusciva mai a trattenere a lungo la risata. "Significa…"

"So cosa significa , idiota, quello che voglio dire è che non puoi darmi un dannato pomodoro di vetro e dirmi che c'è un codice e un indovinello perché è ridicolo, vero, è solo..." 

La mente di Lovino correva velocemente. “... è stupido,” finì debolmente. 

Si coprì brevemente il viso in fiamme con le mani e desiderò ardentemente, non per la prima volta, che un gigantesco buco nero si aprisse sotto di lui. 

Antonio sembrava abbastanza soddisfatto di se stesso, il bastardo. “Mi è piaciuto."

Lovino si portò le mani alla testa e tentò un'occhiata sdegnosa. “ Te quiero?” ripeté, per quanto sdegnoso potesse. 

Gli occhi di Antonio si illuminarono . “Yo también te quiero!” rispose lui allegramente, sorridendo come un pazzo. 

Lovino scosse la testa e lasciò cadere le mani in grembo. Nonostante il suo imbarazzo, doveva ancora fare uno sforzo per non sorridere. 

Come faceva Antonio a rendere tutto sempre così difficile? 

"Oh, non cercare di essere intelligente."

Antonio sussultò drammaticamente. “Mai, Lovino! Tu sei quello intelligente. Dopotutto, hai decifrato il codice del pomodoro!” 

"L'ho rotto." Lovino sollevò il mento, tentando di dirlo trionfante. 

Ma si sentiva subito infantile e colpevole, e suonava solo meschino.

Antonio, invece, si limitò a ridere. "Certo che l'hai fatto."

Lovino fece una pausa, non sicuro di aver sentito bene. Fissò per un momento confuso prima di chiedere in tono piatto: "Cosa?"

Antonio mormorò e scrollò le spalle, i suoi occhi verdi scintillanti. " In realtà , sono sorpreso che tu non l'abbia rotto nel momento in cui te l'ho dato."

Lovino socchiuse gli occhi, seccato e sospettoso. "Va bene, cosa?" 

Antonio sembrava nient'altro che divertito dall'intera situazione. Spinse molto delicatamente la spalla di Lovino. “Oh, Lovino. Come potevi non romperlo? Dopotutto, odi così tanto i segreti. E mio Dio, per qualcuno con una tale forza di volontà, puoi essere così impaziente." 

C'era troppo lì per cercare di decifrare. Lovino non sapeva se era lusingato o furioso. Tuttavia, sapeva due cose per certo. 

Uno: quello stupido sorriso gli fece vacillare il cuore e fargli girare la testa. 

Due: "Sei un bastardo".

Antonio ridacchiò con aria di sfida. ''Il pomodoro non è mai stato importante, Lovino. Volevo solo che tu sapessi...” Antonio si sporse in avanti con attenzione, il sorriso che svaniva dalle sue labbra e cresceva nei suoi occhi.

Lovino aveva già visto quello sguardo. Alzò una mano ammonitrice, il cuore che gli balzava a martellare in gola. "Sarai drammatico adesso, vero?"

Antonio si fermò, i suoi occhi guizzavano con aria colpevole. 

"No. Probabile. Va bene, sì, ma solo per un per poco".

“Oh, per Dio…” Lovino fece un respiro affannoso e si irrigidì quando Antonio gli posò leggermente una mano sul petto. In realtà sperava che Antonio non riuscisse a sentire il suo battito cardiaco ... 

Allora Antonio prese la mano di Lovino e la abbassò in mezzo a loro. ''A volte, Lovino, le cose si rompono. Ma cosa c'è dentro...” 

Il respiro di Lovino si fermò nei suoi polmoni mentre gli occhi verdi di Antonio s'infiammavano nei suoi, mentre il suo tocco caldo tremava sulla pelle di Lovino, sfiorandogli così delicatamente le dita, tracciando così dolcemente sull'anello d'argento, 

“… è ciò che conta. Perché questo è ciò che durerà per sempre... e non si romperà mai".

Oh, era completamente drammatico; eppure Lovino non riusciva a distogliere lo sguardo, e il sangue gli scorreva caldo nelle vene, e non riusciva a controllare il rapido sollevarsi del petto, e sapeva che Antonio diceva più di quel che sembrava, ma tutto quello che Lovino riusciva a dire era, "Mi dispiace di aver rotto il pomodoro." 

Per un lungo momento nessuno dei due si mosse. 

Le sopracciglio di Antonio si contrasse. Poi all'improvviso, senza preavviso, scoppiò a ridere. L'intero corpo di Lovino si illuminò, come un'enorme ondata di sollievo, e scosse la testa mentre Antonio si scioglieva in una risatina. 

Dio, era ridicolo ... ma che sciocchezza era come l'aria quando Lovino stava annegando, e la sua risata era come inseguire la luce via l'oscurità.

 Mentre rideva, Antonio diventava luminoso e sereno, e per la prima volta, Lovino si chiese - forse non era solo Antonio che riempiva il vuoto dentro Lovino. Forse, solo qualche volta, Lovino faceva lo stesso per lui. 

E così Lovino sorrise, la mano ancora intrecciata a quella di Antonio, lasciò che il vento freddo toccasse le sue guance riscaldate e portasse via le ultime tracce di risate. Il silenzio cadde naturalmente, l'aria tra di loro calda e contenuta e completamente giusta. Quella fu l'unica volta che Lovino si sentì così bene, quando c'erano solo lui e Antonio, insieme, a parlare di cose così sciocche. Alla fine Antonio fece un lungo sospiro e si appoggiò al muro. 

"Oh, ma sono stanco, Lovino."

"Dopo vai a letto."

E fu strano, in realtà era così semplice. 

Così semplice abbassare la guardia, a dire queste cose, a far affondare lentamente Antonio di lato fino a quando la sua testa si poggiava sulle cosce di Lovino. Il cuore perse un battito ma goffo e insicuro per Lovino quella che era probabilmente la più grande soddisfazione della sua vita. Ieri aveva pensato che sarebbe morto tra le braccia di quest'uomo.

 Oggi, non voleva altro che vivere tra loro.

Un raggio di sole brillò tra i capelli di Antonio, trasformando il castano scuro in rosso. Lovino lo fissò per qualche istante, l'esitazione familiare che gli trattenne la mano, finché non fu di nuovo così semplice allungare la mano e toccare i riccioli di rame. I riccioli si infilavano così facilmente tra le sue dita - non così sporchi come pensava, solo morbidi e caldi.

Il cielo pomeridiano si stava già oscurando di nuvole minacciose, ma con Antonio appoggiato a lui, Lovino non voleva più muoversi. E mentre la pesante quiete del giorno calava intorno a loro, Lovino si accorse appena quando cominciò a canticchiare; a malapena notato quando, come sempre, il mormorio indistinto si trasformò in parole. 

La canzone che gli veniva sempre in mente quando si sentiva così, come se il suo cuore riempisse il suo corpo e il suo corpo fosse legato a quest'uomo accanto a lui.

Bésame mucho,
Hold me my darling and say that you’ll always be mine.

''This joy is something new, my arms enfolding you,
Never knew this thrill before.
Who ever thought I’d be holding you close to me,
Whispering it’s you I adore.

Dearest one, if you should leave me…”

Lovino si interruppe a quelle ultime parole, portandosi una mano alla bocca, incapace di fermare un sussulto improvviso e strozzato.

Antonio aprì gli occhi e spaventato un po ', ma Lovino scosse la testa in silenzio. 

Non riusciva a spiegare. 

In quei ultimi giorni, la paura di Lovino di perdere Antonio non era mai stata così reale. 

I giorni sono diventati più scuri; le ore più pericolose. E tuttavia, non aveva mai permesso a se stesso di avvicinarsi a questo stupido, buono, frustrante, meraviglioso uomo che lui non poteva semplicemente amare nonostante quanto si sforzasse.

Quando finalmente Antonio parlò, fu dolce, malinconico e in qualche modo comprensivo. "Vorrei che cantassi più spesso, Lovino."

Lovino strizzò gli occhi in fretta. 

Dio, quanto era stupido ...

 “Canterò solo per te.” 

Era assolutamente stupido ... 

"Oh." Antonio sospirò felice. "Penso che mi piaccia ancora di più."

A disagio con questa emozione che gli artigliava la gola, Lovino tentò goffamente di cambiare argomento. "Cosa farai? Quando la guerra sarà finita?"

Anche con gli occhi assonnati, Antonio sembrava un po ‘ stravolto. Lovino si chiese quanto pensieri avesse Antonio sulla fine della guerra, forse non si sarebbe mai aspettato che finisse davvero. "Quando la guerra sarà finita..."

"Sarà?" Lovino fece una smorfia mentre glielo chiedeva, poi trattenne il respiro in attesa di una risposta.

"Vorresti che io?" La voce di Antonio era dolce, assonnata, eppure le sue spalle si tesero come in attesa.

Lovino appoggiò esitante la mano tra i morbidi riccioli di Antonio, e si lasciò immaginare – solo per un attimo – Antonio che varcava il portone, riposato e felice; passeggiare lungo la strada senza temere le pattuglie tedesche; seduto qui in giardino mentre sbocciavano i fiori di campo, nessun tramonto quando Antonio sarebbe dovuto partire... Per sempre. 

Prima che potesse pensare e fermarsi, Lovino disse la cosa più vicina a una confessione che avesse mai fatto. "Sì. Vorrei che restassi.''

Le labbra di Antonio si incurvarono in un sorriso, il suo petto si alzava e si abbassava in un lungo respiro soddisfatto. "Ottimo. Allora resterò. E cosa farai?"

"Io?"

"Dopo la guerra."

Lovino non aveva modo di rispondere. Non ci pensava spesso, e quando lo faceva, non riusciva mai a pensare a una risposta che lo soddisfacesse. "Non lo so. Lavorerò sui campo con il nonno, suppongo. L'orzo avrà sempre bisogno di essere raccolto…”

"Sei troppo intelligente per fare il contadino, Lovino." Prima che Lovino potesse rispondere con rabbia, Antonio fece un leggera risata.

 "Pensi troppo. Percepisci troppo. Hai bisogno di un modo per farlo uscire.”

Tutta la rabbia svanì e le guance di Lovino bruciarono di qualcosa di diverso dalla rabbia. "Smettila di parlare come se mi conoscessi."

Antonio sembrò divertito da ciò, anche se i suoi brillanti occhi verdi si chiusero di nuovo. 

“Ma io ti conosco. Ci sono così tante cose in questo mondo che tutti capiscono tranne me. Tu sei l'unico, Lovino, che capisco, quando nessun altro lo fa.

Ormai Antonio sembrava quasi parlare nel sonno. Il cuore di Lovino si gonfiò nel petto; si alzò come un groppo in gola. Passò una mano tra i capelli folti e disordinati di Antonio e, con un brivido straziante di realizzazione, capì che quello era il momento più bello della sua vita. "Okay", sospirò, incerto se volesse ridere o piangere o semplicemente urlare per la frustrazione. "Stai zitto. Vai a dormire."

———-

Lovino deve essersi assopito anche lui, in questo pomeriggio perfetto galleggianti, perché la prima cosa che sentì fu l'apertura della porta della cucina su retro. Fu un po 'sorpreso, poi alzò lo sguardo per vedere il nonno Roma entrando nel giardino. Lovino ricambiò lo sguardo, un brivido freddo che gli correva lungo la schiena.

 Ma di cosa doveva vergognarsi? 

Si fece coraggio e non staccò la mano dai capelli di Antonio. "Sta dorme."

Roma guardò in basso, dritto e alto, nessun accenno di emozione se non il lieve movimento della sua fronte. "Una spia dovrebbe svegliarsi più facilmente."

Lovino ha combattuto l'istinto di spiegarsi, di negare tutto, di scappare.

 Non si mosse. 

"Suppongo che si senta al sicuro qui." 

Per un lungo momento, i loro occhi rimasero bloccati. Lovino si rifiutò di distogliere lo sguardo. Alla fine disse: ''È esausto, nonno. Sai quanto lavora duramente. Per noi... per l'Italia''.

"Per te." Roma espirò e abbassò gli occhi, la rassegnazione nel volto e nell'atteggiamento. 

"Era sempre per te." Si voltò per andarsene, le sue spalle cadenti l'unico segno della sua stanchezza. “Fa freddo qui fuori. Quando si sveglia, vieni dentro. Accenderò il fuoco".

Lovino guardo Roman rientrare in cucina, con la gola che gli martellava incerta. 

Nonno Roma non aveva urlato, non aveva gettato Antonio fuori. 

Lovino non sapeva cosa pensare. 

Uno sguardo al cielo oscuramento gli disse che si stava facendo tardi. E inspiegabilmente, anche con Roma a pochi passi da loro e la testa calda di Antonio appoggiata sulle ginocchia, i pensieri di Lovino si sono rivoti verso un solo luogo: l'involucro di cioccolato tedesca ancora in tasca. 

Uno strano senso di terrore lo invase in quel freddo, tranquillo pomeriggio. 

Dove era Feliciano?

Note del traduttore: Sfortunatamente questo è l'ultimo capitolo pubblicato da George DeValier... 

Probabilmente la storia rimarrà per sempre incompleta, ma grazie per chi ha letto e sostenuto la mia traduzione! 

Ci vediamo alla prossima!

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