All’Alba e al Tramonto, la Capanna sul Mare

di paiton
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Giorno Tre ***
Capitolo 2: *** Giorno Cinque ***
Capitolo 3: *** Giorno Dieci ***
Capitolo 4: *** Giorno Undici (i primi turisti alla capanna) ***
Capitolo 5: *** Giorno quattordici (Big Capitan Zero, “Il Grande Capitano Zero”) ***
Capitolo 6: *** Giorno Diciassette (surf nel mare inferocito) ***
Capitolo 7: *** Giorno Venti (la Cagnolina mi lascia) ***
Capitolo 8: *** Giorno Ventitré (Beach Volley, discoteca e corruzione) ***
Capitolo 9: *** Giorno Ventotto (Il sogno; l’olio di cocco) ***
Capitolo 10: *** Di Fronte allo specchio, Agosto 2017, Giorno “Il quaderno ha preso acqua e ho perso il conto” ***
Capitolo 11: *** ACHILLE (10 Agosto 2022) ***



Capitolo 1
*** Giorno Tre ***


Passeggiando sulla spiaggia
odore di purezza,
i primi raggi del Sole
iniziano a schiarire la brezza del crepuscolo.

La sensazione di freschezza si può respirare solamente in questo singolare momento della giornata. Non si vedono i corrotti mestieri delle persone, i loro passatempi noiosi, dettati più dal loro adeguamento allo stile di vita del cittadino medio che ad una vera voglia di vivere, di sperimentare;

Adesso tutto sprizza di curiosità, di Allegria! Le prime onde del mattino si risvegliano piano piano ed iniziano ad accarezzare il bagnasciuga, i piccoli mammiferi si rincorrono sugli alberi in cerca dell’uva e delle mandorle, vedo anche il mio animale preferito mentre sta aprendo una noce di cocco con le zampe superiori: il coati, che gli abitanti della zona chiamano Pizote, un animaletto carino con un lungo naso, molto intelligente e con una forza spaventosa; neppure i cani randagi lo avvicinano.

Mentre avanzo lentamente tolgo le ciabatte infradito per aumentare il contatto con l’ambiente che mi circonda e per entrare in sintonia con esso.

Passo davanti ad una ragazza, che a quanto pare si è svegliata prima di me, ha gli occhi chiusi ed è sistemata in una posizione rilassata e diretta verso l’oceano, suppongo che stia facendo Yoga. L’espressione del suo viso è chiara: è felice.

Vedo i ruderi di una capanna costruita con bastoni di bambù legati assieme da pezzetti di corda, pare abbandonata da tempo e mezza distrutta dall’ultima mareggiata. È proprio quello che cercavo! Prendo tutto ciò che può essermi utile: trovo tre legni resistenti, ben diritti e noto delle foglie di palma appartenenti al banano selvatico e ad un'altra pianta locale di cui non so il nome; controllo bene che non ci siano parassiti e metto le stecche di bambù sotto il braccio sinistro mentre col destro trascino il restante materiale recuperato.
 
Transito di nuovo davanti alla ragazza cercando di fare meno rumore possibile ma lei apre gli occhi. Mi fermo e ci fissiamo nelle pupille, entrambe le nostre iridi sono azzurre.

Dopo due secondi mi sorride e io faccio lo stesso riprendendo il passo.

Per fortuna non era la sua capanna che stavo razziando.

Arrivato davanti alla mia “abitazione” con vista mare, situata a circa un chilometro di distanza, deposito il bottino.
Ho impiegato molto tempo per trovare nuovi sostegni alla mia dimora e i primi turisti del mattino stanno iniziando a sistemarsi sulla sabbia; cerco di nascondere tutto quello che posso sotto alle palme e disegno il simbolo di un teschio per disincentivare i bambini a distruggere la mia costruzione e per fargli capire che aleggia una maledizione, poi pianto due bastoni nella sabbia in maniera che si incrocino a formare una X.

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Capitolo 2
*** Giorno Cinque ***


Il buio sta per sovrapporsi all’azzurro del cielo, nuvole dalle rosee sfumature stanno ferme sopra di me, sembrano pecorelle all’amarena che scappano dal tramonto saltellando. Mi rimane solo mezz’ora di visibilità così inizio a cercare ansiosamente fra le palme i due bastoni di bambù per raddrizzare il tetto della capanna.
 
Non so per quale motivo ho provato a costruirla, mi si era accesa la lampadina e senza pensarci due volte ho iniziato a darmi da fare, come se quel giorno avessi deciso, per la prima volta in vita mia: “Voglio vivere qui. Finalmente ho trovato una piccola fetta di mondo che mi piace, in cui mi sento realizzato, in cui posso stare tranquillo a fare semplicemente quello che mi va. Un luogo in cui non devo pagare le tasse, in cui non ho un vicino insolente, in cui non ho agi e mi va bene così”.
 
Un muratore, un elettricista un idraulico… tutte persone di cui non ho bisogno davvero. È il nostro modo di vivere… la storia e la tradizione della nostra Nazione ci spingono ad avere bisogno di questi mestieri.
 
Tutto ciò è necessario? Mi sto chiedendo. Ero forse più felice in Italia? Di sicuro avevo le mie abitudini, i familiari e gli amici… un turbine di eventi e di azioni da svolgere ogni giorno, più o meno volontariamente, che mi aveva inghiottito per anni… un sistema caotico e ramificato di relazioni sempre più complicate in cui ho cercato lo spazio del divertimento certo, del silenzio per scrivere anche, vero.
 
Ma è l’unico modo di vivere quello? Mi domandavo.
 
Qui non ho niente, è tutto più semplice e mi va bene anche così.

Oggi tutti rincarano i prezzi. Il denaro è la nostra merce di scambio e chi dice che il lavoro di qualcun altro è migliore del lavoro che faccio io?! Questo è ciò che ho imparato fino ad oggi... c’è sempre qualcuno che ti vuole imbrogliare, in ogni dimensione dell’esistenza.
 
È difficile discernere tra una persona onesta ed un malfidente… solo col passare del tempo riusciamo a schiarire la fumosa realtà. Molti tentano di fregarti su ciò che non puoi conoscere. Perché gli esseri umani non possono essere onesti a prescindere? E questo discorso non riguarda solamente la vita lavorativa ma tutta l’esistenza in ogni sua piccola parte.

È così semplice essere onesti… e porta anche buoni frutti! I disonesti non ti fanno solo arrabbiare ma mettono in cattiva luce loro stessi… non solo dal punto di vista economico, anche nelle relazioni sociali.

Dopo aver smontato e rimontato la casa gratuita con vista mare sono molto soddisfatto, rallegrato da una sensazione profonda di ottimismo e consapevolezza: basta seguire una vera volontà per avere successo.
 
Seduto su di un tronco pesante, che avevo trasportato giorni prima, sto sotto ad un tetto di palme a guardare il semicerchio rosso infuocato che entra nel Mar dei Caraibi.

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Capitolo 3
*** Giorno Dieci ***


Ho appena piantato quaranta file di Ananas per Delroy. Lavoro gratuitamente con questo cittadino costaricano di origine giamaicana, in cambio lui mi dà una stanza per dormire oppure tre pasti al giorno.

Questo è ciò che succede dal punto di vista materiale… dobbiamo ficcarci nella testa che la vita non è materiale… è emotività e spiritualità! In realtà sto imparando a coltivare le piante tropicali della zona, per questo il gioco vale la candela e ho accettato lo scambio.

Ad oggi ho imparato anche a trapiantare i banani: ogni albero di banane dopo un anno (oppure due, se arriva un clima troppo arido nella stagione secca) produce un casco. Dopodiché l’albero non produrrà più frutti, mai più! Però dalla base di questo albero adulto, che ha fruttificato, nasceranno tanti altri piccoli alberini di banane produttivi.
 
Tuttavia l’albero progenitore impedisce il loro sviluppo così non si recide solo il casco di banane bensì tutto l’albero, con un colpo di machete forte e deciso, sferrato più in alto possibile nel tronco acquoso. Successivamente il più grande dei figli viene lasciato dov’è mentre tutti gli altri, a volte cinque a volte sette, vengono trasportati e trapiantati in altre zone. L’albero progenitore, pieno di liquidi e sostanze nutritive viene usato per concimare gli altri alberelli.

Io non ho bisogno della stanza che mi offrono ma mangio volentieri tutto ciò che prepara sua moglie Veronica, una discendente dei Brì Brì, una popolazione indigena locale. La mamma e la nonna di Veronica erano “farmaciste”: conoscevano le erbe medicinali e hanno tramandato la saggezza a lei.

Sono tornato dal loro podere in bici, schivando i buchi e avanzando veloce, giù per la strada ghiaiosa della collinetta! Oggi ho finito di lavorare all’una e mezza. Tengo un grosso ananas, che mi ha regalato, nello zaino e voglio mangiarlo al più presto, peserà almeno due chili e profuma di floreale in una maniera che non puoi immaginare!

Dopo una mareggiata ho trovato due assi di legno piatti: li ho lasciati giorni ad asciugare e oggi ho costruito i piedi del tavolo. Ho appoggiato sopra le assi e ho sistemato il tutto finché non traballasse.

Adesso sto tagliando a fette l’ananas e lo sto gustando sempre in riva alla mia amata spiaggia con le braccia appoggiate sul tavolo, riparato dal sole cocente. Il gusto dei pomodorini ciliegini che mi coltivo in Italia è totalmente diverso dal sapore di quelli che compro al supermercato, i miei sono decisamente mille volte meglio.
 
La stessa cosa succede per tutti gli altri frutti ed ortaggi. L’agricoltura industriale ha abbandonato quasi del tutto la ricerca di un cibo buono e sano ed ha sacrificato la naturalezza per dar spazio a vizi di forma, quali la grandezza del frutto e la sua perfezione estetica.
 
In questa maniera la maggior parte degli occidentali mangiano vegetali che sembrano buoni ma che in realtà non hanno né il loro gusto naturale, né il grado corretto di maturazione né le sostanze nutritive che ci servono.

Questo succede perché piano piano, nel corso dei secoli, le persone hanno iniziato a pensare più al denaro che a tutto il resto, il senso civico oggi esiste? In quale misura esiste?
 
Se non ci prendiamo cura nemmeno di quello che mangiamo, possiamo avere rispetto e riguardo delle persone a cui vendiamo i prodotti del nostro lavoro?

Adesso conosco il vero sapere dell’ananas e non riuscirò più a mangiare quella schifezza piena di pesticidi che vendono ai supermercati.

Anche un paio di vespe1 la pensavano esattamente come me, loro non sono entrate al supermercato di Puerto Vieho per assaggiare il succo di ananas, infatti, ma hanno deciso di annusare l’odore della mia merenda da chilometri di distanza; dopo averle scacciate un paio di volte ho dovuto filarmela coraggiosamente a gambe levate e mi sono catapultato come un razzo dentro alle grosse onde spumose del bagnasciuga per evitare le punture dolorosissime. Accetto di buon grado questo prezzo da pagare per mangiare frutta vera.
 
La prima cosa che dobbiamo fare per essere liberi è mangiare davvero, io inizierò a guadagnarmi la libertà che piano piano ci hanno sottratto nei secoli. Una libertà ideale e totale chiaramente non esiste ma c’è molto margine di miglioramento!
 
Continuo a nuotare per un po’ cullato dalle onde, la giornata è stata dura perché abbiamo spostato una grande quantità di legna per far spazio alle piante di Ananas, il sole del tropico picchiava forte sulla collina e mi serve la tranquillità dell’oceano per recuperare le forze.
 
[1] Le vespe in Costa Rica sono almeno tre volte più grandi di quelle italiane e sono estremamente più pericolose. Non ti attaccheranno senza motivo ma non si sa mai… basta che si prenda paura o che la calpesti con il piede o la tocchi accidentalmente con la mano e lei ti punge per sopravvivere

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Capitolo 4
*** Giorno Undici (i primi turisti alla capanna) ***


Scroscia una bella pioggia mattutina
l’acqua scende calda e limpida dal cielo
e si raccoglie nelle conchette delle palme
dove la guaina si attacca al tronco.
Grosse gocce passano
sulla punta delle foglie
e volano in picchiata fino al suolo.
Una raganella dagli occhi rossi
scappa balzando lontano.

Mentre cammino nel podere rischio di spiaccicare una rana che, per fortuna, salta via. Non l'avevo nemmeno vista... Appena il cielo ha smesso di piangere è salita un’afa terribile.
 
Ho lavorato tutta la giornata raccogliendo avocado su alberi molto alti, arrampicandomi faticosamente su rami sempre più sottili tenendo in mano una lunga forbice da potatura. Tagliavo i frutti (che loro chiamano “pere”) e questi cadevano giù, a livello del terreno, dove Delroy lì prendeva al volo correndo a destra e a sinistra… beh, in realtà non li agguantava quasi mai… lui sosteneva che “rotti maturano prima”.
 
Dopo aver riempito varie casse in questo modo, abbiamo caricato il fuoristrada e finalmente, verso le tre del pomeriggio, ho raggiunto la mia solita spiaggetta attraversando in bici la foresta costiera. Lungo il sentiero ho raccolto tre o quattro noci di cocco dal terreno. Con l’esperienza ho imparato a scegliere quelle giuste evitando i parassiti microscopici che ti pizzicano peggio delle pulci e ti si attaccano addosso, sui vestiti e nel letto. Bisogna raccogliere solo quelle intere che hanno acqua all’interno: si ascolta lo scroscio scuotendole a fianco dell’orecchio, se contiene poca acqua vuol dire che è un frutto vecchio che sosta lì da chissà quanto tempo.

Spesso i turisti di passaggio utilizzavano la mia capanna… ovviamente lasciavo far loro quello che volevano. Tutti avevano sempre rispettato le mie fatiche, mai nessuno ha vandalizzato la creazione a cui tanto tengo: la utilizzavano per ripararsi dal sole cocente del pomeriggio.

Quando sono arrivato sulla spiaggia due ragazzi stavano seduti sotto la costruzione. Senza dire nulla ho lasciato lo zaino molto vicino a loro, mi sono seduto su di un grosso tronco e ho iniziato a tagliare, con il machete, il rivestimento esterno di una noce di cocco.

I due ragazzi non mi avevano sentito arrivare e si girano di scatto, il maschio si alza in piedi, un bonaccione che indossa una maglietta fluorescente con cerchi coloratissimi, capello lungo e occhiali da Harry Potter.

“Oh accidenti! Non sapevamo fosse la tua casa!” Si scusa un po’ impaurito, occhi attenti, parlando in inglese e cercando di capire se conosco la sua lingua.

“Non preoccuparti, l’ho costruita ma non è mia, è della spiaggia. Potete restare dove siete, adesso apro questo cocco se ne volete” gli rispondo con tranquillità nella sua stessa lingua. Forse si erano spaventati ma sinceramente non era mia intenzione... semplicemente non volevo disturbarli e sapevo bene che impiego molto tempo per aprire il frutto, nonostante abbia appreso la tecnica servono mesi di perfezionamento per togliere l’involucro fibroso che serve proteggere la noce di cocco vera e propria2.

Quando ho visto che stavano cercando di scappare il più in fretta possibile ho piantato il machete nel tronco, con un colpo secco, e mi sono avvicinato a loro lentamente e in maniera più inoffensiva possibile.
 
Mi sono presentato, ho spiegato loro che non vivo lì dentro anche se mi piacerebbe molto ma ho un monolocale a duecento metri, dentro alla foresta, sono in affitto da Francis, quello che cucina ottimi gamberetti nel suo semplice ristorante; ho spiegato loro che provengo dal nord Italia ma durante il giorno imparo a coltivare frutta tropicale supervisionato da abitanti autoctoni.

La ragazza è molto timida ma capisce che non sono un pericolo. Entrambi conoscono Ferrara e Bologna perché vengono dall’Austria! Sono molto giovani, hanno appena ventuno anni sulle spalle e sono due studenti fidanzatini in vacanza nel tropico!

Gli do qualche dritta su quali parti della nazione visitare perché decidono di giorno in giorno dove muoversi: Tortuguero, difficile da raggiungere ma bellissimo, Bahai Ballena molto interessante per il parco nazionale, Tamarindo, anche detto Tamagringo, è assolutamente da evitare perché troppo americanizzato anche se ottimo per il surf. Loro mi ascoltano incuriositi, mi raccontano le cose che hanno visto negli ultimi giorni ma alla fine non rimangono a mangiare il cocco di spiaggia, ringraziano e scappano.

Forse per loro è stato emotivamente troppo impattante vedere la lama da sessanta centimetri del mio coltellino portatile in una spiaggia praticamente deserta. Effettivamente chi non frequenta il Cetro/Sud America prova paura in simili situazioni ma qui tutti i lavoratori hanno il coltello affilato, serve per muoversi nel campo coltivato.
 
La natura è forte e dopo una settimana le foglie sono triplicate di volume, le liane hanno coperto i sentieri e sono addirittura nati nuovi alberi che crescono ad una velocità incredibile! È necessario farsi spazio tra le fronde per evitare che qualche ragno o serpente ti cammini in testa o peggio ancora ti morda!
 
Anche sugli autobus si possono portare le lame se vengono chiuse bene dentro alla fondina di cuoio.
I due ragazzi pensavano che vivessi in pianta stabile su quella spiaggia... bella come idea, magari un giorno ci proverò! Di certo la prova mi incuriosisce.
 
[2] Ho notato che la pianta di cocco utilizza una tecnica di riproduzione molto particolare. La noce marrone scuro (quella che tutti siamo abituati a vedere nei supermercati) sta all’interno di un involucro fibroso molto più voluminoso, di colore più chiaro e molto più difficile da aprire rispetto a quello che siamo abituati a vedere. La palma da cocco produce questo doppio strato protettivo, resistente e leggero che contiene acqua ma galleggia.
 
La noce di cocco cade nel terreno, molto spesso a causa del forte vento che si sviluppa durante le tempeste. Il mare la sposta su quella spiaggia oppure su altre spiagge.


Con l’acqua di mare, con l’attacco di parassiti, con gli animali selvatici e con il passare del tempo questo doppio strato protettivo si indebolisce (una noce di questo tipo si può mangiare anche sei mesi dopo che è caduta dalla palma, se integra). La noce interna all’involucro ha tre buchi e il primo germoglio della nuova palma nasce proprio sotto uno di questi tre buchi e inizia a spingere dall’interno per far nascere la prima foglia larga.
 
Inizialmente la palma utilizza l’acqua interna alla noce per far spuntare le prime foglie, il fusto e le radici. Successivamente la pianta sarà in grado, con le radici di prendere l’acqua piovana.
Si vedono sulla spiaggia centinaia di queste palmette nate dalle noci di cocco lasciate sulla spiaggia.

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Capitolo 5
*** Giorno quattordici (Big Capitan Zero, “Il Grande Capitano Zero”) ***


Ieri mi sono beccato il dengue.
Ha iniziato a girare tra molte persone del paese, alcuni hanno avuto febbre alta per una settimana… a me è venuta un’eruzione cutanea non dolorosa e non pruriginosa ma simile in apparenza alla varicella, ho avuto febbre a trentasette per un pomeriggio. Era pure domenica… ma per fortuna non avevo niente in programma…
 
Adesso è lunedì e sto comunque andando a lavorare, Veronica mi fa bere a colazione un the preparato con erbe medicinali e mi confessa di non aver mai avuto quel genere di malattia in sessant’anni che vive lì.
 
Il guacamole viene servito a colazione, pranzo e cena, mi sto stomacando a forza di mangiar avocado in ogni forma. In ogni caso non sono per nulla preoccupato di questa malattia.
 
Oggi abbiamo lavorato sodo per staccare le canne da zucchero: tali canne, molto simili a quelle che vediamo in Italia ai bordi di fiumi e laghi, vengono strizzate con un macchinario a manovella composto da due rulli. Dalle canne esce un liquido molto dolce che poi si mette ad evaporare ed è possibile creare bottiglie di dolcificante a varie concentrazioni di saccarosio. Loro non lo fanno mai cristallizzare a secco (come quello che arriva in Europa).
 
Manca mezz’ora al calar del Sole e il cielo è nero, grosse nubi minacciose arrivano dal mare e non si vede nessun bel tramonto rosa. Saluto Veronica e Delroy e, come una saetta, prendo la via stretta e piana di radici della costa. Cade qualche grossa goccia ma nessun fulmine per il momento; impiegherò più tempo ma mi bagnerò di meno. Qui è un disastro asciugare i vestiti, mi si è perfino ammuffita una maglietta nell’armadio per quanta umidità c’è.
 
Arrivo ad un fiume in piena, accidenti.
 
Avevo totalmente dimenticato quel piccolo particolare, dalla costa non esiste nessun ponte per superare il torrente…
 
Dovrei tornare indietro e prendere il doppio dell’acqua sui vestiti. Tra la strada costiera e la strada asfaltata che collega Puerto Vieho a Manzanillo hanno deciso di costruire stupidi hotel americani e casette private. Qui tutti hanno una gran paura dei ladri tossicodipendenti che entrano per rubare i soldi della dose giornaliera.
 
Il cancello aperto di una casetta mi incuriosisce: secondo i miei calcoli taglio di almeno quattro chilometri e prendo almeno sette litri d’acqua in meno addosso e sullo zaino. Se te lo stai chiedendo, qui gli ombrelli non vengono neppure venduti, il vento li porterebbe tutti via soprattutto se il tuo mezzo di trasporto è una bicicletta.
 
Sta piovendo come a quel tempo in cui Noè dovette costruirsi l’Arca; mi introduco nella proprietà privata entrando per il cancello aperto, camminando a fianco della bici, col manubrio in mano cerco di passare inosservato dritto per la mia strada, sperando che esista un’uscita sulla strada principale e pregando che questa casa non sia di un americano col grilletto facile.
 
Ci sono alti alberi pieni di frutti stella e una casetta in legno, abbastanza spoglia, sembra disabitata, alcune assi della veranda sono rotte. Volgo lo sguardo al cielo, che si fa spazio in un piccolo angolino fra le foglie grondanti acqua: non accenna minimamente a migliorare, il colore resta grigio scuro.
 
Un Amstaff mi osserva, rigido, probabilmente è appena sbucato dalla porta d’ingresso, prima non c’era… mi fermo all’istante e vedo un uomo, magro e pelato sulla sessantina, che esce dall’oscurità con una bottiglia di Gin schietto nella mano destra.
 
“Salve! Volevo raggiungere la carettera principal, mi scusi se sto passando per la sua proprietà” urlo a gran voce per sovrastare il rumore del monsone e intanto faccio un semicerchio con la bici per tornare indietro.
 
Il cane mi si avvicina correndo sotto all’acqua, sembra voglia farsi accarezzare, è molto docile e amichevole.
 
Allora vado verso il portico e appoggio la bici, l’ometto si è seduto su una piccola sedia di legno, anch’essa usurata dal tempo.
 
“He is Scuby” mi informa, facendo un cenno del capo in direzione dell’Amstaff da combattimento e mi passa una canna, poi fa un sorso dalla sua bottiglia di superalcolico e me lo offre sorridendo.
 
“No thanks” Gli dico facendo di no con l’indice, ha tutti i denti marci.
 
“You have found paradise” afferma lui convinto, apre le braccia verso i lati per mostrare il suo giardino pieno di frutti.
 
“I’m Big Capitaine Zero” Continua a parlare e racconta che suo padre proviene da Roma, la città eterna. Mi fa vedere la sua carta d’identità americana e mi invita a guardare su Youtube il suo video Big Capitaine Zero 72: “Ci sono io che mi fumo una canna gigante” e mostra con le braccia quanta era lunga quella che si era fumato.
 
Poi si rende conto che sta facendo buio, mi chiede cosa ci faccio qui in paradiso. Gli rispondo che sono italiano (cosa che lo stupisce molto) e che lavoro con Delroy, il marito di Veronica , quelli del Vorinica’s Place in centro: gli spiego che sono qui per imparare a coltivare le piante locali. Siamo entrambi molto contenti di esserci incontrati, io davvero sono rimasto sbalordito di fare la conoscenza di un personaggio come lui.
 
“La strada è di qua…” e inizia a camminare verso il retro del suo Eden “Oh non preoccupati del mio cane, lui vuole bene a tutti” Cerca un bastone lungo e inizia a colpire degli avocado come se fossero pignatte, li spara in giro per il giardino e poi li va a raccogliere e li mette in una busta (non volevo deluderlo dicendogli che da una settimana mangio solo quelli).
 
“Vuoi anche dei limoni? Ne sono pieno!”  Io annuisco “Yes, i like it!” e lo ringrazio molto, è come se mi leggesse nel pensiero. Ne mette sei o sette nella busta poi mi raccoglie degli Star Fruit tra cui uno enorme, il più grande che io abbia mai visto.
 
“Prendi la bici e seguimi, di qua!” Avanza precedendomi. Le zanzare mi stanno pungendo di brutto, sta smettendo di piovere.
 
Apre un cancellino mezzo scassato e mi trovo in un altro giardino su cui è stata costruita una chiesa Evangelista.
 
“Ritorna a trovarmi!” sorride con un dente si e uno no.
“For sure!” gli faccio un ciao con la mano e parto in quinta, questa è una tregua momentanea del monsone tropicale.
 
Ormai è buio, ho un sacco di frutta prelibata e quando sono solo a pochi passi dall’appartamento inizia di nuovo a piovere.
 
Giuro di non essere mai riuscito a ritrovare il suo video su youtube e da nessuna altra parte ma se tu ci riesci fammelo sapere. Tra tutte le cose che ha detto il Gran Capitano non so quali fossero reali e quali no ma la storia dell’Eden era sicuramente vera. Anche mio nonno era una persona molto generosa e diceva sempre: “Se puoi fare un regalo ad un amico o ad un familiare non tirarti mai indietro.” Penso che sia necessario essere più generosi e più grati rispetto a ciò che abbiamo, è nostro dovere essere riconoscenti per i doni della natura, lei non ci chiede nulla in cambio.

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Capitolo 6
*** Giorno Diciassette (surf nel mare inferocito) ***


Avevo già provato qualche giorno prima a prendere le ondine della spiaggia di Cocles, ma erano troppo basse e troppo veloci… un vero e proprio spreco di forze ed energie.
 
Oggi invece ho trovato un mare talmente arrabbiato che nessuno ha il coraggio di fare il bagno. C’è più schiuma che acqua e le onde talvolta coprono addirittura la piccola isoletta con le palme che sta ad un chilometro dal bagnasciuga e che viene utilizzata da molte specie di volatili locali come rifugio per la notte.
 
Noleggio subito la tavola ed entro in acqua… solo che la corrente è talmente forte che faccio fatica ad avanzare. Le onde mi sovrastano veloci e mi spingono indietro. Con un notevole sforzo provo a cavalcarne una, due, quattro… ma mi sorpassano più veloci del solito.
 
Dopo una mezz’ora, deluso e affaticato noto tre local3, un ragazzo di colore e due mulatti che surfano più al largo, dove si formano dei cavalloni davvero grandi e più lenti di quelli che si trovano vicini a riva.  
 
Decido di spostarmi verso di loro, ed effettivamente la corrente è molto meno invasiva.
 
Continuo a nuotare rilassato per raggiungerli ma mi sento ancora affaticato per gli sforzi fatti in precedenza.
 
Gli occhi mi si illuminano quando vedo una grande onda blu scuro che inizia a formarsi alle mie spalle, inizio a remare affannosamente con le braccia per prendere velocità ma sento due voci all’unisono che urlano: “No No No!”
 
Inizio a prendere una gran velocità, sto per mettermi in piedi e scappare dalla schiuma quando vengo proiettato verso l'alto, proprio come se fossi sopra ad un ascensore di un grande grattacielo.
 
Mi ritrovo sulla sommità di un muro verticale di acqua, a quattro metri di altezza. Sento che l’onda è velocissima e mi sta per scaraventare in basso. Con tutta la sua forza l’oceano mi sta lanciando verso contro la sua stessa superficie. I miei pensieri sono concentrati su come fare a sopravvivere e sto sperando che il fondale non sia scoglioso.
 
La tavola mi scappa da sotto ai piedi e vola in aria, io cado in avanti e sento la schiena che si iper-estende… allora mi aggomitolo e mi proteggo la testa accerchiandola con le braccia e le spalle; prendo il respiro.
 
Sono sotto l’acqua e roteo come un calzino nella centrifuga della lavatrice, non riesco a tornare in superficie e la botta di adrenalina, che mi è arrivata mentre volavo, mi sta facendo bruciare in fretta il poco ossigeno che ho inspirato qualche decina di secondi prima.
 
Sento di avere qualcosa agganciato al piede che mi tira in avanti.
 
Non ce la faccio più… ho bisogno di ossigeno.
 
Evvero! Penso… il laccio di sicurezza che ho legato alla caviglia4! Avvicino le ginocchia al petto riaggomitolandomi e agguanto prima con una mano poi con l’altra il filo di plastica resistente ed elastico, stirato al massimo, che continua a trascinarmi in avanti. Come se stessi salendo una fune verso l’alto riesco a mettere la testa in mezzo alla schiuma e finalmente inspiro a pieni polmoni.
 
Continuo nuotare in avanti per paura che ne arrivi un'altra anche se, effettivamente sono ormai molto distante da dove si infrangono.
 
Noi respiriamo tutti i giorni e non sappiamo quanto è importante farlo finché ad un certo punto ce lo impediscono.
 
Mentre ritorno a riva mi rendo conto di essere sopravvissuto per miracolo. Il Signore del Mare avrebbe potuto uccidermi in molti modi, se avesse solo voluto farlo: poteva buttarmi la pinna tagliente della tavola in testa, sul collo o sul corpo… con quella velocità mi avrebbe spento i sensi oppure mi avrebbe potuto procurare un’emorragia… avrebbe potuto avvoltolarmi attorno al collo il laccio di sicurezza e mi sarei strozzato… avrei potuto sbattere la testa o la schiena su uno scoglio e non sarei qui a scrivere adesso… Sarei potuto restare qualche secondo di più sott’acqua e mi sarei affogato.
 
A me piace pensare che voleva solo darmi una lezione e chissà… la mia esperienza potrà servire ad altri per evitare i miei stessi errori.
 
Del mare bisogna avere rispetto. Sempre.
 
Entrare nella natura è fondamentale, non è solo importante… perché ci riequilibra. Ci prende dalla civiltà degli eccessi, della frenesia e dell’inutile idealismo che abbiamo creato per scappare dai pericoli del mondo e ci fa capire quali sono le reali necessità di noi stessi, delle altre persone e di tutti gli animali.
 
Mentre camminavo sulla spiaggia, stremato, per riportare la tavola al noleggio molti turisti continuavano a guardare il mare mentre stavano seduti sui i loro teli sotto al cielo di nuvoloni vagabondi, bianchi e grigi. Uno di loro mi ha comunque fatto i complimenti per aver provato a domare quel mare irrequieto.
 
La verità è che non c’è nulla da controllare, bisogna semplicemente andarci d’accordo.   
 
[3] Il termine “local” sta ad indicare i giocatori di una squadra della città in cui viene disputata una qualsiasi partita sportiva. Nel gergo degli skate park ed in tutti i luoghi in cui si disputano discipline free style, invece (che non sono solo sport ma stili di vita!), i “local” sono coloro che vivono nella zona e frequentano il posto abitualmente, conoscono molto bene l’ambiente, i pericoli e la tecnica, sono spesso sprezzanti del pericolo ma dove si mettono loro, ti puoi mettere anche tu: soprattutto in una giornata di forti correnti che non sai dove ti possono spingere.
 
[4] Il laccio di sicurezza serve per tenere la tavola vicina al tuo corpo nel caso, molto probabile, che tu cada! Quando precipiti la tavola continua a seguire l’onda perché è leggera e galleggia mentre tu sei sott’acqua. Questo laccio per prima cosa mette in sicurezza tutti i natanti presenti in zona (una tavolata nei denti o in testa non è benefica per nessuno) in più ti permette di non dover ritornare sulla riva per recuperarla: un notevole guadagno di energia!
 
P.S. (pre scrittum) Il frammento sottostante è la mia prima esperienza a Tamarindo (Costa Rica), sul Pacifico:
 
Non ho mai preso l’istruttore perché faccio snowboard da quando avevo quattordici anni; poi queste discipline si fanno con lo spirito, non con la tecnica.
 
Forse lo chiamano mare pacifico perché le onde sono effettivamente tranquille… mi ero recato sulla spiaggia già munito di tavola (grande come un catamarano) in una giornata soleggiata con dei cavalloni belli grandi ma molto lenti: per prima cosa mi ero soffermato ad osservare le dinamiche della loro formazione e avevo notato una certa regolarità.
 
Ho provato varie volte a cavalcarle ma finivano sempre o per passarmi sotto prima ancora di infrangersi o per mangiarmi con la loro candida schiuma …
 
Allora ho iniziato ad osservare bene gli altri surfisti: alcuni di loro stavano seduti a cavalcioni della tavola oltre la zona in cui si potevano infrangere e si attivavano solamente con le più grosse, guardavano in lontananza l’oceano per la maggior parte del tempo.
 
Ho iniziato a scrutare la superficie del mare in lontananza per capire quando stavano arrivando le più grandi; su queste notavo una minor regolarità… tuttavia riuscivo a capire quanto alta arrivava l’onda dal colore! Quelle più scure erano più grosse e avevo almeno trenta secondi per prepararmi prima che arrivassero!
 
Il surf necessita di un profondo rapporto con l’elemento acqua e con sé stessi, è necessario avere molto equilibro, in tutti i sensi. Bisogna sfidare prima di tutto la paura dell’acqua, poi quella della profondità e infine la naturale propensione a sfuggire dai muri liquidi alti tre metri che ti arrivano addosso.
 
Appena capito il trucco ho iniziato ad aspettare le onde giuste: quando queste arrivavano a sette/otto metri da me iniziavo a remare più forte che potevo con le braccia e appena sentivo che il mare mi stava trasportando con sé (come avevo visto in un filmato) mi spingevo con le braccia verso l’alto come per fare un potente piegamento e mi mettevo con un piede in avanti e uno indietro tentando di mantenere l’equilibrio. Poi scappavo dalla schiuma! L’emozione che si prova è inspiegabile a chi non l’abbia mai provato.
 
 Anche i delfini surfano!
 
Fare surf è come giocare con il mare, lui vince sempre però!
È una sfida continua ad armi impari in cui, per ogni onda al massimo puoi arrivare pari: finché riesci a stare in piedi e correre veloce mentre il vento ti passa fra i capelli e la schiuma fresca e gli schizzi ti accarezzano i piedi e le gambe, allora stai pareggiando. Quando poi cadi giù ti senti sconfitto ancora una volta, ma ridi di gusto perché fin dall’inizio sapevi di essere dentro un gioco infinito creato da qualcuno molto più grande di te, il Signore dei Mari.  
Finché è rimasto il Sole in cielo ho continuato a surfare discostandomi dalle altre ragazze e ragazzi per paura di investirli, visto che dovevo ancora imparare a curvare bene a comando.
 
Eravamo io e Marcus, un ragazzo della zona, mi ha dato due dritte e l’ho ringraziato molto; ad un certo punto era venuto vicino a me per informarmi che la corrente stava cambiando e iniziava a diventare pericoloso, perché poteva succedere che i coccodrilli della riserva naturale si spingessero fino alla spiaggia. Così ho terminato gloriosamente la mia prima giornata di surf.

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Capitolo 7
*** Giorno Venti (la Cagnolina mi lascia) ***


Da qualche giorno la mia cagnolina fatica a respirare, le hanno diagnosticato un tumore alla gola tre mesi fa. Mia mamma mi chiama quasi ogni giorno e mi aggiorna sulle sue condizioni di salute; proprio questa mattina scopro che non ha superato la notte.
 
Avviso subito Delroy al cellulare e mi prendo la giornata libera, dicendo che non sto bene.
 
Per tutto il dì non ho toccato cibo forse per espiare il senso di colpa: non le sono stato vicino nei suoi ultimi dolorosi momenti di vita e questo non me lo sono tutt’ora perdonato.
 
Mi stendo sulla sabbia e guardo il cielo azzurro per ore. Mi passano davanti agli occhi tutti i momenti belli che abbiamo passato assieme, tutto quello che mi ha insegnato la piccola Debby con cui ho vissuto per metà della mia esistenza.
 
Non potrò mai più accompagnarla a fare lunghe passeggiate per le campagne, non potrò più portarla a correre attorno ai due laghi di Gambulaga, mai più ad inseguire gatti.
 
Quando la facevo uscire a tarda notte la liberavo. Solitamente prima di staccarle il guinzaglio (non ho mai sopportato gli animali imprigionati) controllavo che non ci fossero felini nelle vicinanze.
 
Ma quel giorno mi ero sbagliato, un gatto si nascondeva in una siepe, invisibile ai miei occhi, ma non al naso super-percettivo di Debby: ho visto una saetta bianca rincorrere il malcapitato finché questo si è arrampicato su di un alberello, una scena da cartone animato. L’albero era cresciuto storto in avanti e il felino stava attaccato solo per le unghie, penzolante nel vuoto strapiombante in una posizione per cui non sembrava risentire della gravità.
 
La corteccia ha resistito per qualche secondo dopodiché si è sgretolata sotto i suoi artigli e il gatto è caduto in testa al mio cane che stava sotto ad abbaiare.
 
Ovviamente non ha mai torto nemmeno un pelo ad un altro animale, faceva solo tanto baccano.
 
Era un cane davvero felice, faceva almeno un’uscita lunga al giorno visto che siamo cinque in famiglia: veniva portata a spasso dai miei genitori oppure dalle mie sorelle e da me. Stava talmente bene in casa che spesso non voleva nemmeno uscire in giardino!
 
Nel pomeriggio mi siedo nella capanna, perché fa davvero un gran caldo, il Sole è talmente potente che mi sembra di aver inserito la testa in un asciugacapelli. Mi sono portato solamente una bottiglia d’acqua e quando non resisto più mi tuffo nell’oceano a nuotare.
 
Mi sono messo a studiare la grammatica spagnola utilizzando un libro che avevo trovato per caso su di un tavolino. Probabilmente è un sussidiario per la scuola primaria ma mi piace quel tipo di didattica, mi serve apprendere le strutture basilari dello spagnolo, poi a stomaco vuoto studio molto meglio! La nostra mente è molto più arguta durante il digiuno.
 
Verso l'una sono arrivate sulla spiaggia due donne di mezz’età con un bellissimo esemplare, sembrava il Boarder Collie della pubblicità dell’Infostrada però col pelo completamente nero.
 
Le due donne entrano in acqua, oggi ci sono grosse onde solamente a riva che scrosciano fragorosamente, ognuna di esse si crea all’incirca ogni dieci secondi, ma dopo quattro onde hai venti secondi per non farti colpire. Alcune di queste sono più grosse di altre e se non fai attenzione finisci con la schiena per terra; ma le due signore lo sanno, vivono qui sicuramente.
 
Il cane nero inizia ad abbaiare… corre a destra e a sinistra con un bastone in bocca cercando di attirare la loro attenzione, ma non riceve quello che desidera.
 
Allora si lancia in mare e due onde lo colpiscono duramente. Ma lui come se nulla fosse, supera la prima, supera la seconda, finisce con tutta la testa sott’acqua e continua ad avanzare con il suo stile di nuoto a cagnolone. Per qualche minuto nuota solitario, deve fare una gran fatica poveretto… la sua padrona non lo considera. Sembra in difficoltà. Mi avvicino al bagnasciuga per controllare e faccio segno alle due signore alzando le mani a formare un semicerchio sopra la mia testa.
 
Loro mi salutano…
 
Rimango basito.
 
Sto per tuffarmi quando il cane inizia a nuotare molto veloce in direzione delle due donne.
 
Si sta semplicemente divertendo.
 
Inizia a scontrarsi con le onde volontariamente, è completamente digiuno di qualsiasi tecnica natatoria ma ha una forza straordinaria.
 
I cani sono veramente animali incredibili, non parlano e non scrivono ma riescono sempre a commuoverti, a rallegrarti, a farti giocare e con la loro purezza ti insegnano a vivere meglio. Come si può dire addio ad un’anima così innocente.
 
È profondamente ingiusto che nell’arco della nostra vita dobbiamo dire addio a così tanti animali che vivono così intensamente e genuinamente.
 
Noi esseri umani abbiamo una vita tanto lunga, ci sono animali che vivono molto più di noi è vero… come la Vongola Artica di cinquecento anni che hanno trovato a inizio anni duemila oppure lo squalo Artico di quattrocento anni (forse il freddo permette loro di conservarsi), o la medusa Turritopsis nutricula che riesce a invertire il ciclo di invecchiamento quindi si fa una vita normale come noi e un'altra esistenza come Benjamin Button, arriva alla vecchiaia, poi torna all’infanzia e così via, è probabilmente l’unico essere immortale di questo Pianeta.
 
Nella foresta tropicale del Costa Rica invece gli animali non riescono ad avere lunga vita, prendiamo il classico insetto stecco o la bellissima Blu Morpho, la farfalla azzurra che avete sicuramente visto nei documentari.
Questi grossi insetti possono vivere da qualche giorno a qualche mese e spesso finiscono mangiati dagli aracnidi; allora voi penserete che ci siano aracnidi millenari… invece anche loro devono cibarsi in fretta, nelle loro ragnatele, di ciò che trovano per competere con le altre specie di aracnidi e vengono spesso inghiottiti prima di diventare adulti da pipistrelli, scimmie, serpenti o altri animali insettivori.
 
In fondo i ragni sono un concentrato di nutrienti, sono un cibo molto ambito!
 
L’energia gira molto in fretta attraverso molte vite nella foresta tropicale, un giorno sei cacciatore e due minuti dopo sei preda… prendono tutto con molta leggerezza loro… forse dovremmo fare così anche noi, ci toglieremmo tanti pensieri superflui.
 
Niente cena per me questa sera, spero di riuscire a buttare giù qualcosa domani.

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Capitolo 8
*** Giorno Ventitré (Beach Volley, discoteca e corruzione) ***


Nei giorni che non ho documentato (prima di adesso) mi sono comportato come gli altri turisti della zona. A volte mi piaceva andare sulla spiaggia di Cocles, appena finito di lavorare con Delroy, fino all’arrivo della notte, a cinque chilometri di distanza dalla mia camera da letto, per giocare a pallavolo con i volontari del centro di recupero animali selvatici, il Jaguar Rescue Center5. 

Ogni giorno lavoravano una cinquantina di persone nel Centro, per lo più giovani americani ed europei, oltre alla dirigente che è una primatologa (il centro era stato inaugurato molti anni prima da un italiano, Sandro Alviani); lì, mentre giocavo a pallavolo ho incontrato anche il signor Peterson, un canadese che aveva regalato una vacanza-volontariato di due mesi alla figlia.

Non volevo utilizzare veicoli a motore e per le distanze brevi viaggiavo in bicicletta, per le lunghe distanze prendevo l’autobus.

Aiutavo uno dei veterinari più esperti del Centro a montare il suo campo da pallavolo portatile: scavavamo due profonda buche nella sabbia e poi ci sotterravamo i tiranti. Giocavamo fino al tramonto e chi voleva fare pausa e tuffarsi nell’oceano a prendere grandi onde spumose veniva subito sostituito da altri volenterosi agonisti.

Una sera siamo persino andati a ballare.
Trovo davvero assurdo che ci sia la discoteca in una spiaggia tropicale: questo dà veramente la cognizione di quanto il turista medio sia spiritualmente lontano dall’ambiente che lo circonda; per loro trovarsi a Puerto Vieho, al confine tra Costa Rica e Panama, oppure in piazza Roma è quasi la stessa cosa… le attività da svolgere sono le medesime.

Per me, che ho uno stile di vita da italiano, è consuetudine entrare in discoteca… così era per gli altri europei, per gli americani, per i canadesi… 

quella sera era presente anche il figlio maggiore di Delroy, un surfista autentico: il mese scorso vidi due esperte di comunicazioni televisive fargli un’intervista da inserire in un documentario. Un personaggio tosto davvero.

Lui non ballava, se ne stava fermo ad osservare la situazione, con un paio di amici. Comprendevo benissimo la sua profonda perplessità tuttavia quei giovani festaioli che bevano liquidi colorati in bicchieri di plastica, ridendo e scherzando con leggerezza cercavano di staccarsi momentaneamente dalle loro abitudinarie vite in stile occidentale, un pochino alla volta, oppure erano capitati in quella zona del mondo per caso… oppure per moda. 

Esiste una differenza fondamentale tra coloro che hanno assaporato il profumo sincero della vita e coloro che hanno sempre vissuto protetti da una campana di vetro, rimbalzando su morbidi, bianchi e confortevoli materassi. 

La nostra civiltà, che viene definita “evoluta” (Levi Strauss la definirebbe "calda"), ha per lo più lo scopo di proteggere la nostra esistenza dagli eventi naturali pericolosi, quali un temporale, un’inondazione, l’attacco di una bestia feroce… o per lo meno questo era il lato positivo agli albori della vita all’interno della società. 

A mio avviso la traiettoria iniziale è stata molto deviata e i più hanno totalmente perso il significato dell’esistenza. 

Tu vai in viaggio per vedere un mondo diverso da quello in cui ti trovi tutti i giorni e l’immagine, la rappresentazione ideale di quello che vedi, finisce per modificarti.

Dopo questo viaggio non riesco più a fare il turista.

Da adesso in poi devo per forza vivere come gli abitanti del luogo, e se possibile, imparare direttamente dai nativi che mantengono tutt’oggi la connessione con la grande madre che ci sostiene e che permette alla vita stessa di autoregolarsi in una varietà incredibile di forme emotive e cognitive. Ho capito qui che l’esistenza della vita è fondata sulla vita stessa.

Il significato della vita? 

Vivere!

Ovviamente quella sera ho ballato con loro bevendo superalcolici ma questo non mi dava più la libertà che avevo imparato a guadagnarmi giorno per giorno, dentro alla foresta. L’industria dell’alcol, come l’industria della carne, dei cellulari e via dicendo... tutte le industrie esistono per vendere e per creare dipendenza: si sono create illusioni persistenti nel tempo che hanno intrappolato un grande numero di persone e queste coercizioni si autoalimentano. 

L’individuo ha bisogno di una grande volontà per sconfiggere queste illusioni e liberarsi da catene millenarie. Per questo continuo a sostenere che la società occidentale “corrompe” e chi ci vive dentro viene via via “corrotto” col passare del tempo e portato sempre più lontano dalla sua vera identità.

Qui a Puerto Vieho davvero si può vivere mangiando solo i frutti degli alberi: Delroy e Veronica sono vegani da oltre dieci anni.

Quando a colazione mi davano le uova da mangiare chiedevo: 

“Come fate a non mangiarle?” 

la risposta di Delroy era sempre la stessa:

“Non ne sento il bisogno, adesso sto molto meglio a non ingerirle e mi sento anche più forte di prima.” Il giamaicano sessantenne mi ha raccontato di essere stato pescatore per tanti anni ma spesso accusava mal di stomaco. Diceva che il mare non è più facile da leggere. Addentrarsi troppo nell’oceano è diventato pericoloso ed è difficile prevedere l’arrivo dei temporali negli ultimi vent’anni.

Veronica mi ha spiegato che anche il cibo che mangio modifica il mio pensiero.

Proprio mentre sto pensando, seduto dentro alla capanna, vedo tre persone sulla riva che comunicano urlando, agitati… corrono a destra e a sinistra. Sembra che uno di loro abbia un filo invisibile in mano; Costui inizia a tirare, gli altri lo aiutano e alla fine riescono a sradicare dal mare un piccolo squaletto di mezzo metro.

Questo è esattamente ciò che continuo a chiamare corruzione:
l’allontanamento dello spirito umano dall’equilibrio naturale, dall'emotività. 
Ognuno di noi ha la responsabilità di mantenere ogni forma di Vita sul Pianeta in salute. Questo allontanamento ideale genera poi conseguenze sulle altre specie viventi. Visto che in Costa Rica la natura è florida credono di poter continuare a uccidere e distruggere gli animali che vivono in queste zone da sempre, pensano che queste specie esisteranno per sempre, nonostante il loro sfruttamento perpetuato nel tempo…
In Italia ormai non abbiamo più specie viventi libere confronto a quante ce ne sono qui in Costa Rica.

Per fortuna in questa parte del mondo si stanno concentrando molte persone coscienziose e questo fatto mi dà fiducia; una Nazione che vieta la caccia e che stampa banconote che raffigurano bradipi e delfini deve per forza muoversi nella direzione giusta.

[5] Il centro di recupero si occupa di accogliere, curare e reimmettere nella natura gli animali trovati dal personale del centro stesso, dai cittadini e dai turisti della zona. Le cause più probabili che portano un animale selvatico a rischiare la vita sono gli incidenti con i veicoli a motore e l’elettrocuzione; nel secondo caso, scimmie Urlatrici (Howler Monkey), cappuccino o le intelligentissime scimmie ragno (Spider Monkey) vanno ad attaccarsi a cavi della luce male isolati (pensando che siano liane) e si prendono la scossa.

Ho visto molti bradipi e piccoli di scimmia che sono stati introdotti in un complesso programma di riabilitazione, oltre a un formichiere che, dopo un incidente stradale andava in loop, e non finiva più di girare in tondo. 

Per non parlare dell’alligatore che è stato trovato nel bagno di un Hotel. 

Infine vi parlo di Pistacio, il pellicano che è finito nella rete dei pescatori: gli hanno rotto un’ala ed infine è stato portato al Jaguar Rescue Center dove gli hanno ingessato l’arto, l’hanno riabilitato e infine l’hanno liberato. Ogni tanto Pistacio torna, di sua spontanea volontà, a mangiare il pesce nel centro di recupero anche se è un uccello libero! Lo si può vedere spesso dormire sui sentieri interni, in attesa di qualche pesce facile donato dai volontari.

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Capitolo 9
*** Giorno Ventotto (Il sogno; l’olio di cocco) ***


Devo uscire da casa di mia nonna e sto aprendo il pesantissimo cancello di ferro scorrevole. Sull’argine erboso e verde brillante, in lontananza, vedo un puntino bianco molto veloce che diventa sempre più grande man mano che si avvicina. Ha la testa marrone e il muso allungato.
 
Ma è Debby! Sarà scappata da casa dei miei per venirmi a cercare! 
 
È molto pericoloso lasciarla andare in giro senza guinzaglio, e se vede un gatto sono spacciato! Neppure con la bicicletta riuscirò a stargli dietro…
 
Riapro faticosamente il cancello scorrevole e cerco di farla entrare nel cortile, ha la lingua fuori e ansima. Si sta riprendendo dalla folle corsa.
Cerco di accarezzarla abbassandomi ma noto che il suo pelo si stacca dalla pelle e mi resta in mano.
 
Guardando meglio noto che un lato del suo corpo è senza pelle, ma non c’è sangue… la struttura ossea del costato è intatta, e si intravedono alcune vertebre toraciche e tutte quelle lombari.
 
Allora capisco tutto.
 
Mi sveglio e sento un nodo alla gola… la cagnolina mi è venuta a salutare in sogno per l’ultima volta e potrò incontrarla solamente lì in futuro… è andata nel paradiso dove vanno tutti i Cani.
 
Sento il bisogno di fare una passeggiata… sta per albeggiare: prendo una busta di plastica abbastanza grande ed esco da solo. Mi dirigo verso il lato sinistro della spiaggia prendendo come punto di riferimento la capanna.
 
Un gruppo di scimmie cappuccino stanno attraversando la foresta costiera di palme e mandorli e si lanciano da un ramo all’altro facendo una gran confusione; una di loro, usa una liana come se fosse un’altalena oscillando avanti e indietro. Un’altra di loro prova a lanciarmi qualcosa ma non mi prende…
 
Sul bagnasciuga trovo di tutto: bottiglie di plastica, infradito, frammenti di altri oggetti, la testa di Topolino, cannucce da cocktail… tutto ciò che viene abbandonato più o meno volontariamente da turisti ed abitanti.
 
Nell’oceano di fronte al piccolo villaggio di Manzanillo, a sei chilometri di distanza da dove mi trovo, c’è la barriera corallina. Non sapevo della sua esistenza fino a pochi giorni fa, quando ho rinvenuto un pesce palla rosso intrappolato in una pozza d’acqua fra gli scogli. Dopo averlo fotografato l’ho subito preso in mano e l’ho rilanciato nel mare, sembrava morente ma con qualche pinnata è tornato al largo.
 
 
La spiaggia va preservata e non siamo a Rimini dove i proprietari degli stabilimenti balneari fanno pulizia! Difatti trovo anche una signora che si sta dedicando alla mia stessa attività: con una busta di plastica raccoglie i rifiuti che si vedono in giro; potremmo fare un museo con tutta la spazzatura abbandonata. 
 
Sulla spiaggia trovo vari tipi di semi, alcuni allungati (mangrovia), altri che sembrano un hamburger (difatti vengono chiamati sea hamburger) ma quelli che più mi hanno incuriosito sono i cuori del mare: particolari semenze che possono resistere anche un paio di anni prima di schiudersi, hanno la forma di un cuore e un colore rosso scuro. Mi hanno detto che questi semi danno vita ad una particolare specie di liana, l’Entada Gigas, fondamentale per molti esseri viventi della zona, scimmia e cercoletto compresi.
 
Questi Cuori del Mare vengono trasportati dalle correnti e avevano incuriosito anche Cristoforo Colombo; oggi sappiamo che tali sementi possono essere trasportati dal mare attraverso gli oceani e si sono diffusi dall’area caraibica fino alle coste dell’Africa e addirittura a quelle dell’Asia.
 
Il sacco dell’immondizia è piena, lo chiudo e lo lascio momentaneamente incustodito.
 
Trovo una striscia di spiaggia poco battuta, dopo aver guadato un piccolo ruscelletto.
 
Continuando a camminare trovo un centro per la reintroduzione delle Iguane; effettivamente dal lato del Pacifico stavo a prendere il sole accerchiato da iguane, alcune piccole, altre lunghe più di un metro. Mi divertivo a lanciare in giro pezzi di mango e subito loro correvano a mangiarlo. In questo lato caraibico invece non ne ho vista nemmeno una ma ho sentito dire che il loro sapore è simile a quello del pollo… probabilmente le hanno mangiate tutte… oppure le hanno rapite per rivenderle nei negozi di animali esotici di America ed Europa.
 
Qui in Costa Rica, come ho già detto, la Natura è forte e riesce a toccarti in una dimensione molto più profonda rispetto a quanto succede nel nostro vecchio continente Europeo, martoriato da millenni di guerre. Gli abitanti di una nazione in guerra mangiano tutto ciò che trovano per sopravvivere… oltre a questo fatto l’alta densità di abitanti ha prodotto un forte sfruttamento del territorio, soprattutto, negli ultimi secoli ed ha diminuito notevolmente la biodiversità che raggiunge il minimo storico proprio nei nostri anni.
 
Guarda a caso raggiungiamo anche il più alto tasso di disturbi mentali nella popolazione delle cosiddette “società evolute” proprio negli ultimi anni. Se non ci fossero i Parchi Naturali e le zone protette, in Europa, vedremo ancora meno animali rispetto ai pochi che già ci sono.
 
Più passa il tempo più mi rendo conto che ogni cittadino facente parte di un certo tipo di società, finisce col distaccarsi sempre più da quello che è il suo posto all’interno dell’ecosistema. Non possiamo scappare per sempre da ciò che siamo. Noi siamo arrivati dagli alberi e dobbiamo prenderci cura di tutti gli esseri viventi, piante comprese.
 
Torno indietro, ritrovo il sacco di plastica che ho raccolto, lo getto nel grande bidone della differenziata che si trova davanti al ristorante e prendo la bicicletta.
 
Dopo sette chilometri arrivo al Veronica’s Place, facciamo colazione dopo aver ringraziato il Signore per i frutti che ci ha donato (non credo nelle divinità ufficiali ma seguo comunque il loro rito; Veronica e Delroy fanno parte del movimento religioso degli Avventisti del Settimo Giorno e partecipano al progetto Eden: il movimento ha l’obbiettivo di mettere in comunicazioni i diversi gruppi di credenti che vogliono ripristinare il paradiso terrestre… e ci stanno riuscendo!).
 
Nel mese corrente Delroy ha raccolto dalla costa molti cocchi, anche io ne ho portato qualcuno, in più ne ha comprati una quarantina al supermercato.
 
Oggi è il grande giorno in cui mi insegneranno a produrre l’olio di cocco.
 
Delroy ha iniziato ad estrarre, con il machete, tutte le noci ad una velocità pazzesca; Veronica ed io lo abbiamo aiutato ma il nostro ritmo di lavoro è molto più lento.
 
È arrivata anche la figlia di Veronica con un’amica per dare una mano, la procedura si esegue con l’aiuto di tutta la comunità. Secondo gli studi di illustri antropologi anche la Palma di Cocco, assieme al Taro, all’Albero del Pane, al Banano, al Pulaka, al Sago e all’Igname vengono considerati alberi sacri dalle popolazioni native del centro America. Nel libro “Il totemismo oggi” Levi Strauss sottolinea che questi alberi sacri rappresentano dei veri e propri totem6 in tutte le culture più antiche.
 
Una volta che tutte le noci di cocco sono state tolte dall’involucro fibroso abbiamo iniziato a romperle per estrarre la candida polpa che deve essere grattugiata.
 
Dopo tre ore di lavoro abbiamo creato tre bacinelle di prodotto sminuzzato, il quale è stato lavato e strizzato tre volte con acqua.
 
Abbiamo lasciato le bacinelle a riposare per una notte, dopo aver tolto tutta la farina di cosso, cosicché l’olio si è stratificato sulla superficie superiore.
 
 
[6] Il Totemismo è un fenomeno per cui un uomo (o un gruppo di uomini) si legano con un rapporto di parentela e di mutua protezione ad una specie animale o vegetale. Secondo studi più approfonditi eseguiti sul campo dallo stesso Levi Strauss (che ha vissuto per decenni con le popolazioni di nativi autoctoni di tutto il mondo) “il totemismo è partecipe delle conoscenze e delle esigenze alle quali esso risponde e il modo stesso in cui cerca di soddisfarle sono in primo luogo d’ordine intellettuale. In questo senso non ha nulla di arcaico e di lontano.”

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Capitolo 10
*** Di Fronte allo specchio, Agosto 2017, Giorno “Il quaderno ha preso acqua e ho perso il conto” ***


Sono alla reception mentre cerco si sistemare una piattaforma informatica in cui viene pubblicizzata l’attività del Veronica’s Place. Mi chiedo come abbiano fatto a rispondermi su Helpx7, Veronica e Delroy sono digiuni per quanto riguarda la tecnologia, probabilmente è la figlia di nome Chanty che gestisce tutto.
 
Il ragazzo austriaco, un cliente pernottante, entra in bicicletta dal cancello; avevo sistemato quel ciclo qualche giorno prima. Il giovane ha due pipe8 nel cestino e altri frutti. Immagino che stia portando la colazione alla sua fidanzatina.
 
Dopo un’oretta li vedo uscire entrambi dalla stanza, visto che mi hanno messo alla reception vado a parlarci: scopro che stanno facendo una vacanza estiva di fine superiori e lui vuole provare a fare surf. Gli consiglio di non entrare in acqua se le onde sono troppo alte, e lo esorto a fare molta attenzione alle correnti che hanno quasi portato al largo una mia amica (due giorni dopo mi verrà a confidare che è stato mangiato da un’onda e la pinna della tavola da surf l’ha colpito sulla spalla, lasciandogli un taglio profondo).
 
Non dovrebbe arrivare nessun altro cliente, mentre vado al bagno incrocio il mio stesso sguardo riflesso nello specchio. Mi fermo ad osservarmi per bene e non mi riconosco, è come se l’immagine dentro allo specchio fosse un’altra persona, gli occhi non erano più gli stessi e quelli sono lo specchio dell’anima: un me che vive in Italia e un altro che vive in Costa Rica, uno che si affanna a lavorare, a muoversi in macchina per andare a trovare gli amici, la fidanzata, i genitori in una società caotica e piena di stress e un’altra che segue la sua natura, la necessità di ricongiungermi con me stesso, con uno stile di vita molto più vicino alla natura, molto più vicino all’io più profondo, più semplice, più vero… non posso dire più felice perché sono sempre stato bene ovunque mi sono trovato.
 
In ogni dove qui si trovano persone che hanno deciso di fermarsi e lanciare le proprie scarpe sul filo dell’elettricità proprio come in Big Fish ed hanno profondamente compreso significati importanti della nostra esistenza. Qui molti si sono comprati terreni per salvaguardare specie animali, altri cercano di raggiungere vette spirituali e tranquillità emotiva, ognuno fa quello che crede più giusto.
 
Mi si è presentata la possibilità di vedere la vita sotto un’ottica completamente differente rispetto a quella che abbiamo in occidente. Non mi fa nessuna paura modificare il mio punto di vista sul tipo di società che mi ha allevato, dentro le iridi dei miei occhi azzurri vedo chiaramente che il mio essere interiore ha raggiunto un livello più profondo di comprensione e compassione, un mondo ancora vicino alla parte animale, all’istinto di sopravvivenza, al rispetto degli spazi altrui e per altrui intendo quelli di tutti gli esseri viventi, piante comprese ovviamente.
 
Nella galassia esistono un’infinità di probabilità e non è possibile che i nostri Stati abbiano preso una strada che si sta allontanando così tanto dal nostro nucleo creativo, dalla nostra purezza di vivere, dalla nostra spensieratezza, dal nostro vero benessere.
 
Sento del rumore provenire dall’esterno, mi lavo le mani con calma ed esco dal bagno; un colibrì schizza da un fiore, lontano, a velocità della luce.
 
A pranzo faccio vedere a Veronica il video del pesce che ho trovato quella stessa mattina mentre facevo la mia abituale passeggiata sulla spiaggia. Mi dice che è un pesce palla e che in passato la barriera corallina era molto bella ma le coltivazioni intensive di banane hanno scolato pesticidi nel mare e hanno rovinato tutto.
 
Per cosa tutto ciò. Per permettere a dei viziati oltre oceano di mangiare frutti acerbi che non hanno nemmeno il loro buon gusto originario.
 
La corruzione ha una molteplicità di strade che diventano sempre più intrigate via via che la civiltà si fa più complessa col passare del tempo. Milioni di burattini che soffrono e che cercano una momentanea pace in un rapporto sessuale occasionale, in una partita di calcio, in una bottiglia di vino, in un lungo spinello… Ormai ho visto la verità, nessuno mi può imbrogliare ancora.
 

[7] Helpx assieme a Work Away e WWOOF sono piattaforme web create con l’intento di far conoscere persone con i medesimi obbiettivi che mettono in pratica le proprie idee e le proprie attività. Sulla piattaforma ci sono persone ospitanti ed ospiti, ciascuno ha il proprio profilo e le proprie abilità: solitamente l’ospitante, colui che richiede il lavoro dona alloggio o pasti gratuiti, oppure entrambi.
[8] La pipa è una noce di cocco non ancora matura che contiene molta acqua. Si può bere l’acqua di sei/sette pipe al giorno senza stare male, mentre in media una persona rischia di stare male se beve tutta l’acqua di una sola noce di cocco

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Capitolo 11
*** ACHILLE (10 Agosto 2022) ***


Notte di San Lorenzo e delle stelle cadenti.
Il cielo è completamente oscurato dalle nuvole. Il nove agosto ci siamo recati all’ATEC, una comunità organizzata che si impegna a valorizzare l’economia locale offrendo servizi differenti da quelli che possono essere elargiti dalle solite agenzie di esperienze turistiche. Il nostro obiettivo è fotografare qualche mammifero o rettile nella foresta del parco Naturale di Manzanillo, in confine tra Costa Rica e Panama.

È vietato entrare nel parco naturale di notte e senza una guida, per ovvi motivi: in queste spiagge è presente il serpente corallo (Micrurus fulvius), specie velenosa e mortale; è presente anche la specie detta volgarmente “finto corallo” (Lampropeltis triangulum), molto difficile da distinguere dalla prima.
Abbiamo assoldato così una guida locale per tre ore, la segretaria dell’ATEC ha dato il nostro numero alla guida.
Dopo pochi minuti ci sono arrivati sul telefono alcuni messaggi e un vocale in cui si riconosceva una persona affabile e bendisposta di nome Achille. Noi gli chiediamo subito se dobbiamo procurarci attrezzatura specifica ma lui risponde che possiamo presentarci anche in scarpe da tennis (fatto alquanto singolare dato che il parco naturale è una zona paludosa ed estremamente fangosa). Ci dà appuntamento alle ore diciotto del giorno successivo perché il sole scende alle cinque di pomeriggio, poi invia gif animate strambe. Io ho deciso di indossare le scarpe da trekking.
 
Il giorno successivo, mentre siamo a cercare di scattare fotografie a volatili detti Kingfisher, dei parenti del Martin pescatore italiano, ci arriva un altro vocale in cui, dal suo tono di voce, sembra palesemente fatto: “Oggi è il mio compleanno, poi hanno messo temporale nelle previsioni, va bene se posticipiamo alle otto di sera?”
Noi rispondiamo che non c’è problema ma inizio a preoccuparmi.

Verso le otto stiamo camminando al buio sulla stradina costiera per raggiungere l’ingresso del parco, il rumore delle onde che si infrangono sulla spiaggia, quando arriva una macchina con i finestrini abbassati, musica a palla da cui esce un denso fumo, come nella scena di Scary Movie quando arrivano Shorty e i suoi amici.
“Ecco! Quelli sono i miei ragazzi!” Dice mentre si affiancano con la vettura, ha una birra in mano e nell’istante in cui mi avvicino per salutarlo come se fosse un fratello di una gang di rapper sento l’odore della sua fiatella alcolica. Del resto cosa mi potevo aspettare, già lo sapevo, si sta solo verificando quello che avevo intuito fin dall’inizio ma in una versione peggiore delle mie aspettative già molto basse.
 
Sto pensando di annullare l’uscita notturna, andare a riprendere i nostri soldi e cercare un’altra guida per il tour notturno quando scende dall’auto ma non barcolla, anzi… ci informa che lui è un mezzosangue, per metà nativo e per metà costaricano, lui è uno dei pochissimi bambini nati all’interno del parco naturale ed è uno dei sacri guardiani della foresta. La sua abitazione è anch’essa all’interno del parco dove torna per dormire ogni notte. Noi due ci guardiamo increduli, poi estrae dalla tasca un caccolo bianco e solido mentre si rolla una sigaretta e ci chiede se può fumare questa particolare resina visto che è il suo compleanno e gli e l’hanno appena regalata, ci dice che allontana anche le zanzare. Non mi sembra cocaina… dato che lo sto fissando sottolinea nuovamente che tale resina è ricavata dalle radici di un particolare albero, di cui non ricordo il nome, è una sostanza utilizzata dagli sciamani, difatti lui è uno sciamano.
 
Mentre saluta i suoi amici Fabi ed io confabuliamo e ragioniamo cercando di capire se è conveniente posticipare il nostro tour notturno oppure no; effettivamente è una guida del parco ed ha sempre vissuto all’interno della foresta.
 
Quando ritorna nota, dalla nostra espressione, che le sue tossicodipendenze e vizi non ci hanno sconcertato più di tanto.
 
Ci confida di avere tre figli e una moglie, ha cinquanta anni e recentemente è andato in televisione dopo aver registrato un documentario sui serpenti di quella zona.
Tutte queste informazioni potrebbero essere vere come potrebbero essere solamente bugie tuttavia ci sta simpatico quindi decidiamo di continuare il giro con lui.
Ci inoltriamo nella foresta ma c’è fin troppa calma, gli animali non escono se piove e le brutte nuvole nere che lanciano fulmini nel mare non si sono ancora scaricate sulla terraferma, restano lì all’orizzonte senza avvicinarsi troppo.
 
Ci fermiamo nella sua abitazione costruita rigorosamente con il legno degli alberi più resistenti della foresta. Ci sono oggetti e giochi sparsi ovunque, fuori e dentro l’abitazione, sporcizia ovunque… sembra la casa di un alcolizzato.
Prende un rum invecchiato e ce lo offre usando il tappo come bicchiere, è pieno di zanzare anche se Achille continua a fumare quella sua strana resina sbriciolata nel drum.
Ci confida che qualche sera prima, mentre beveva rum sull’amaca assieme ad un amico, è passato un jaguarundi proprio davanti alla sua abitazione.
Quando è finito di piovere siamo ripartiti nella speranza di vedere qualche animale. Dopo un’ora e mezza abbiamo avvistato solamente qualche insetto ma di per sé, anche solo passeggiare per la jungla, a notte fonda, è un’esperienza molto emozionante e adrenalinica, soprattutto se stai procedendo con una guida di cui non ti fidi per niente! Una goccia che cade da un’alta palma, una rana che smette di gracidare appena ci passi di fronte… abbiamo deciso di prendere un sentiero poco battuto, difficile da percorrere; siamo ora costretti a passare in mezzo alle foglie, lentamente, senza disturbare nessuno. In altri tour notturni avevo appreso che è sempre meglio non toccare le foglie né nessun tipo di tronco: alcuni serpenti e ragni sono estremamente mimetici e rischieresti di metterci la mano sopra. Da dietro vedo Achille che continua a toccare tutto: sposta le foglie del sottobosco, spinge i rami… così ripeto a Fabi di stare molto ma molto attenta.
 
Ad un certo punto spegniamo tutte le torce e restiamo immobili, in silenzio ad ascoltare i suoni della jungla… respirare l’aria pura e umida a pieni polmoni in una zona ancora incontaminata del nostro bellissimo Pianeta. Mi capita spesso di chiudere gli occhi e fiutare il profumo della foresta, la pace dell’anima che questa ti lascia nel cuore.
 
Non mi interessa più di tanto vedere gli animali ormai ma Achille insiste e vuole mostrarci qualcosa. “Non vi lascio andare via finché non avete visto almeno un esemplare”.
 
Ci chiede se possiamo stare per un po' di tempo da soli a casa sua, un suo amico deve riportargli un oggetto che si è scordato in macchina.
 
“Si si vai pure” Gli dico “Noi non abbiamo orari, siamo in vacanza “e quando ci ricapita di stare così immersi nella foresta di notte!?”  
“Fabi, secondo me sta andando a prendere qualche animale per farcelo vedere”
Ritorna dopo un buon quarto d’ora (è impossibile che un suo amico sia arrivato fin dentro al parco naturale per portargli un oggetto… il paesino più vicino è a quindici chilometri di distanza…) e ci dice che adesso possiamo continuare l’esplorazione.
 
Appena prendiamo la via per la spiaggia sentiamo un forte rumore sugli alberi e vediamo dei kinkajou che scappano tra le alte fronde, animali dall’aspetto simpatico, molto diffusi in Centro e Sud America, che possono vivere anche trent’anni allo stato brado, hanno una lingua molto lunga e occhi scuri che riflettono la luce, si individuano facilmente e si riconoscono bene!
 
Contenti dell’avvistamento continuiamo sotto una distesa di palme da cocco, tira un forte vento e io guardo continuamente in alto, un cocco in testa può farti anche più male di un serpente corallo!
 
Avvistiamo un serpente a strisce nere e bianche, appoggiato su di una foglia, proprio vicino al sentiero (posizione alquanto particolare per un serpente visto che quel sentiero è parecchio battuto…).
 
Ritorniamo indietro coprendoci la testa con le braccia, le palme da cocco sono alte almeno venti metri in quella zona, salutiamo Achille che nel frattempo ci invita alla sua festa di compleanno che verrà celebrata domani. Noi accettiamo e lui ci informa che mangeremo un Jackfruit9 enorme, quello che abbiamo visto davanti alla sua abitazione, poi ci sarà birra, rum ecc…
È l’una di notte e il nostro tour è durato sei ore, molto soddisfatti dell’esperienza ritorniamo felici alla nostra stanza.
 
9] Il Jackfruit è ancora poco conosciuto in Europa ma vince il premio per il frutto più grande al mondo, ha notevoli proprietà nutrizionali tra cui l’alta percentuale di proteine.

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