Infecta

di Doppiakappa
(/viewuser.php?uid=1135179)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 - Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


I fiocchi di neve cadevano delicati dall’oceano grigio che sovrastava la città, rapidi componevano danze eleganti per poi posarsi sul freddo asfalto delle strade. Lungo la via, alcuni bambini giocavano a tirarsi la neve sotto il vigile sguardo delle loro madri, un uomo aveva già cominciato a spargere il sale davanti all’ingresso della sua dimora, sbuffando parole incomprensibili mentre si teneva stretto nel suo cappotto.
Roy camminava a passo svelto, con lo sguardo fisso in quella distesa cinerea di nuvole, il suo volto faceva trasparire una forte malinconia. Quel freddo non sembrava disturbarlo, e silenzioso, procedeva lungo il piccolo sentiero che risaliva la collina al centro della città. Una fila di querce ormai prive di foglie riparava parzialmente il ragazzo dall’abbraccio gelido di quei fiocchi argentati, il piccolo ruscello al lato della strada si era congelato, lasciando però un flusso d’acqua corrente quasi impercettibile, che bagnava le foglie a terra, imbrunite dal gelo invernale.
Di tanto in tanto un fiocco riusciva a bagnare i capelli biondi del ragazzo, distogliendo la sua attenzione dalla musica che accompagnava il suo viaggio.
Senza quasi accorgersene era arrivato di fronte alla porta della villetta in cima alla collina, una graziosa casa moderna immersa in quella che era probabilmente l’unica grande parte verde presente nella metropoli di Queen City.
Prima di estrarre le chiavi dalla tasca, Roy posò le sue iridi smeraldine sul piccolo laghetto che ornava il giardino della villa: aveva faticato molto per mantenerlo di quel verde rigoglioso che tanto lo rilassava alla sola vista, ma era bastato il semplice calo di temperature invernale per vanificare tutti gli sforzi fatti durante l’estate. Il ragazzo fece una smorfia mentre guardava la superficie congelata della piccola pozza d’acqua, circondata dalla vegetazione ormai morta e ricordandosi del perché odiasse l’inverno.
La sua attenzione ritornò sulle chiavi di casa, che vennero tolte rapidamente dalla tasca del suo giubbotto e infilate in quella stretta serratura. Roy esitò senza rendersene conto, bloccato dal freddo crudo del metallo, prima di girare per la terza volta la chiave nel chiavistello.
La casa gli si presentava come al solito: vuota.
Vuota e silenziosa.
Silenziosa come lui, mentre si toglieva le scarpe e il giubbotto, mentre si sdraiava sul suo letto spossato da una stanchezza inesistente, ma che lo pervadeva sempre a fine giornata. Attorno a lui una pace muta, inquietante.
Triste.
Il ragazzo si alzò, stirandosi e dirigendosi verso il bagno. Lì rimase fermo davanti allo specchio, osservando le occhiaie che gli coloravano il volto: era da un po’ che aveva avuto problemi a prendere sonno la notte. Fece scorrere l’acqua nella grande Jacuzzi, per poi immergervisi dopo essersi tolto i vestiti. Chiuse gli occhi, facendosi avvolgere dal magnifico tepore dell’acqua che esplodeva nelle bolle dell’idromassaggio, tepore che tuttavia non riusciva a rimuovere quella fredda sensazione di solitudine che lo dominava dall’interno.
Aveva sedici anni ed era il figlio di Aiden Steinberg, l’uomo che aveva rivoluzionato il nuovo secolo con le sue ricerche sulla nanotecnologia e la biosintesi artificiale. Nacque a Eisendorf, un piccolo paesino Della Germania, nel cuore della Federazione Europea.  
A dieci anni si trasferì in America assieme al padre, dopo che la ricerca sulla biosintesi dei nano-tessuti artificiali aveva riscosso un enorme successo. Finì così nella grande metropoli di Queen City, solo, lontano dalla madre e dal fratello minore.
Parlava fluidamente l’inglese, il tedesco e l’italiano, masticava complesse nozioni di fisica, chimica e robotica a causa delle dure imposizioni del padre e praticava arti marziali da quando aveva quattro anni.
Tutti si aspettavano grandi cose da lui e i suoi risultati parlavano chiaro: i voti a scuola erano impeccabili, la sua mente lo portava ad avere brillanti intuizioni agli stimoli del padre, che gli dedicava appena una manciata di minuti del suo tempo quando il ragazzo visitava il laboratorio.
Roy a occhi esterni pareva il ragazzo perfetto, senza difetti, che viveva nel lusso e non aveva problemi, ma in realtà la vita del giovane non era altro che uno spesso guscio vuoto, cupo, solitario.
Era rimasto solo da quando aveva messo piede a Queen City, seguito da una delle tante educatrici pagate fior di quattrini dal padre per crescerlo nel migliore dei modi, persone che entravano nella sua vita come estranee e tali ne uscivano.
Vedeva il padre per poche ore al giorno, a volte l’uomo non tornava nemmeno a casa a causa delle proprie ricerche. La madre era una nota imprenditrice di origini italiane, era la donna a capo della Eisenhauer Technology, la più grande impresa sullo sviluppo tecnologico nella Federazione Europea. A causa dell’importanza del suo ruolo nell’impresa non le fu possibile seguire il marito in America e per non caricarlo di ulteriori responsabilità, aveva deciso di occuparsi del figlio minore, Emil, trattenendolo in Germania.
Roy riusciva a parlare con la madre solamente una o due volte a settimana, discutendo quasi solamente del suo andamento a scuola e dei suoi progetti di ricerca, discussioni che erano diventate ormai un pugno di frasi che, automatiche, uscivano dalla sua bocca prive di una qualsiasi empatia.
La parte più bella della giornata era per il ragazzo il momento in cui leggeva i messaggi del fratello, si raccontavano di tutto: dalle esperienze scolastiche alle impressioni sulle serie televisive che si guardavano nel poco tempo libero che avevano, si raccontavano della vita nei due continenti diversi, del desiderio di poter stare nuovamente assieme dopo sei anni di lontananza. Quello era l’unico momento della vita in cui Roy non si sentiva abbandonato a sé stesso.
A causa della solitudine aveva sviluppato un carattere estremamente introverso e chiuso, era una roccia che non poteva essere scalfita e chi cercava di inserirsi nella sua vita come “amico”, rinunciava subito. A scuola si sedeva in un banco isolato, lontano da tutti, attento solamente alle parole che uscivano dalla bocca del Professore. Non discuteva mai, non partecipava alle attività di gruppo né alle gite di classe, era estraneo a qualsiasi relazione al di fuori dell’ambito scolastico. In molti lo deridevano, in altrettanti lo compativano, c’era chi addirittura lo temeva per quel suo modo gelido di vivere la vita.
Uno dei più grandi sogni di Roy era quello di poter rompere quella gabbia di aspettative che si era costruito attorno, trovandosi degli amici e godendosi una normale vita da sedicenne. Questo sogno tuttavia veniva bloccato da un’immensa paura del giudizio altrui, di deludere le aspettative dei genitori, dei professori, di chiunque vedesse qualcosa in lui. Un enorme demone che lo schiacciava, lasciandolo inerme, abbandonato in quella buia prigione che era la sua mente.
Riaprì gli occhi, disturbato dal suono della sveglia.

“Sono le sette…” pensò, alzandosi e facendo scivolare l’acqua lungo tutto il corpo. Si passò una mano fra i capelli, liberando la fronte e inalando un grande respiro. Aspettò che anche l’ultima goccia d’acqua fosse fluita via dalla vasca, prima di uscire e posare i piedi sul morbido tappeto di moquette. Si asciugò minuziosamente i capelli davanti allo specchio, posando più volte lo sguardo sul suo corpo atletico e leggermente sottopeso: nell’ultimo periodo aveva cominciato a mangiare poco, sia a pranzo che a cena, pervaso da una sorta di continua nausea che non accennava ad abbandonarlo.
Si vestì rapidamente e con scarsa voglia si diresse in cucina, aprì il frigo e ci trovò all’interno solamente un piccolo contenitore con gli avanzi del giorno prima: una mezza bistecca e un pugno di riso. Un pasto più che sufficiente per il ragazzo, che venne consumato in pochi minuti. Roy spostò poi lo sguardo sul post-it fissato alla bacheca appesa sopra il tavolo, lesse l’unico appunto che macchiava il foglietto giallo:
Controllare stadio di avanzamento dell’analisi del Void

Nonostante passasse molto tempo nel laboratorio della villa, sia da solo che occasionalmente in compagnia del padre, il ragazzo non aveva mai avuto l’occasione di osservare l’ultimo soggetto dello studio dell’uomo: il Void. Non aveva idea di cosa fosse quella cosa, tutto ciò che sapeva era che quella ricerca era estremamente importante per il padre e che mai avrebbe dovuto ficcarci il naso. La curiosità era grande, quasi incontenibile: per mesi aveva guardato la vetrina oscurata nello studio dell’uomo, quasi cedendo al forte desiderio di aprirla, ma per paura di una possibile reazione del padre aveva sempre preferito mantenere le distanze da quella porta, quella maledetta porta che sembrava chiamarlo ogni volta che metteva piede nel laboratorio.
Il ragazzo finì di cenare, dirigendosi poi verso la camera in fondo al lungo corridoio della villa, ornato da un particolare e colorato tappeto, comprato dal padre durante il suo viaggio in India. Digitò il codice richiesto dal display della porta blindata che sigillava il laboratorio e ne varcò la soglia, prendendo e indossando poi il candido camice appeso al muro. Si avvicinò al suo bancone personale, sul quale giacevano diversi vetrini contenenti campioni vegetali disposti ordinatamente in file parallele. Ne prese uno della prima fila e lo mise sotto la lente del suo costosissimo microscopio. Guardò attentamente negli oculari, appuntando in un quderno alcune note:
Giorno 78 dall’ibridazione cito-robotica del campione I-2900: non si riscontrano cambiamenti a livello morfologico, condizioni del campione STABILI.”
 
Ripeté il procedimento per tutti i campioni sul tavolo, sbuffando una volta terminato il lavoro. Si lanciò all’indietro sulla sedia scorrevole, sbuffando nuovamente e alzando gli occhi al cielo. Anche quel giorno non aveva fatto progressi, come quello prima e quello prima ancora.
Ardeva dal desiderio di catturare l’attenzione del padre, sviluppando un nano-virus che sarebbe stato in grado di modificare la struttura cellulare delle piante per renderle praticamente immortali. Una ricerca estremamente complessa per un ragazzo di sedici anni, una ricerca alla quale aveva dedicato gli ultimi quattro mesi fra progettazione e sviluppo. Roy non aveva intenzione di mollare, non dopo tutte le notti insonne passate a scervellarsi su come sviluppare quel nano-bot, non dopo tutta la fatica che aveva fatto per seguire quel malato desiderio di farsi notare da quel padre quasi inesistente.
Prese in mano il quaderno azzurro che poggiava accanto al microscopio, sfogliò qualche decina di pagine e fermò l’attenzione sulla numero 58, il titolo della pagina recitava: “Applicazione del nano-virus alle forme di vita vegetali”. Rilesse i suoi appunti, le sue annotazioni sulle possibili reazioni della cellula all’ibridazione forzata, mugugnando parole incomprensibili e riscrivendo con furia su un foglio le reazioni riportate sul quaderno.
- Non ne vengo a capo, maledizione! - esclamò, gettando a terra la penna. Aprì poi un paio di libri, leggendo ferocemente intere pagine di formule e reazioni, impossibili da capire per un normale essere umano.
- Energia… energia… eppure sono sicuro di aver calcolato correttamente la quantità necessaria… - pensò ad alta voce, passando rapidamente il dito lungo una tabella di formule scritte accuratamente a mano, digitando poi nervosamente una serie di cifre nella calcolatrice.
 
- N-non è possibile… - balbettò, mettendosi le mani nei capelli. - Una tale energia è fisicamente impossibile da ottenere! La dissipazione è troppo alta per avere il quantitativo adatto! - urlò infine, sbattendo un pugno sul tavolo.
 
Infastidito, il ragazzo si alzò per raggiungere uno dei tanti raccoglitori di metallo appoggiati alla parete del laboratorio. Aprì uno degli scomparti, estraendone un cubo metallico per poi richiuderlo con forza. Si diresse verso un particolare dispositivo sulla sua scrivania, inserendovi il cubo e accendendo il grande display della macchina. Digitò un codice ed ebbe accesso a una complicata interfaccia, che configurò secondo le disposizioni scritte sul manuale che intanto aveva aperto su un leggio affianco a lui.
 
- Devo riconfigurare le caratteristiche basiche del nano-virus, dev’esserci un modo per correggere la soglia, cazzo… - disse a sé stesso, digitando una serie di comandi nell’interfaccia della macchina.
 
Un rumore di vetri infranti attirò l’attenzione del ragazzo, facendolo giare di scatto. Proveniva dal laboratorio, precisamente dallo studio di suo padre. Corse verso la porta dell’ufficio, dando involontariamente l’invio a un comando del display, non accorgendosene. Il vetro della porta era rotto e di fronte alla vetrina del padre giaceva immobile una figura femminile, stretta con tutte le sue curve in una divisa nera, che gli dava le spalle. La donna aveva sfondato la bacheca, rubandone il prezioso contenuto che fino ad allora era stato custodito con estrema cautela.  
 
- C-chi sei?! Che cosa stai facendo con il materiale di mio padre?! -esclamò il ragazzo, attirando così l’attenzione della donna. Lei si girò di scatto, mettendo mano alla pistola che teneva nella fodera attaccata alla sua cintura.
 
- Fai un movimento e ti ammazzo. Dì una parola e ti ammazzo. Da adesso prendo io in custodia questa sostanza, tuo padre non ha la minima idea di quanto ci sarà utile. - si impose la donna, avvicinando la pistola alla fronte del biondo.
 
- Hai i nervi piuttosto saldi, ragazzino. Mi fai quasi paura… - disse poi sorridendo, mentre osservava l’espressione risoluta di Roy.
 
Il ragazzo aveva il cuore in gola, respirava lentamente e cercava di non far trasparire la paura che lo stava pervadendo in quel momento. Aveva una pistola puntata alla testa, da quella che probabilmente era un sicario ingaggiato da qualcuno che voleva suo padre morto. Le sue iridi smeraldine si scontrarono con i bellissimi occhi azzurri della donna, due biglie glaciali che gli stavano consumando l’anima.
Aveva imparato a disarmare un avversario, praticando arti marziali per oltre dieci anni, ma non avrebbe mai pensato di trovarsi in una tale situazione. Sapeva esattamente cosa fare, ma sapeva anche che avrebbe avuto una sola possibilità, un singolo sbaglio e sarebbe morto. Fece un grande e silenzioso respiro, spostando poi lo sguardo verso la canna dell’arma. Con un movimento repentino afferrò il polso della donna, esercitando pressione in uno specifico punto per impedirle di premere il grilletto, girandolo poi verso il muro e piantando una ginocchiata nello stomaco dell’intrusa. La donna, colta alla sprovvista, fece cadere la pistola che venne immediatamente calciata via dal ragazzo.
 
 - Moccioso di merda… - mormorò la donna infuriata, inginocchiandosi a terra per il dolore.
 
Roy raccolse velocemente il contenitore rubato dalla ladra, correndo poi nell’altra stanza e cercando nervosamente l’allarme che avrebbe avvisato suo padre in caso di emergenza. Il ragazzo non fece in tempo ad aprire la teca dell’allarme che la donna gli si presentò davanti, sparandogli un proiettile nel fianco.
Roy cadde all’indietro, gridando atrocemente per il dolore e accasciandosi involontariamente sul display del macchinario utilizzato in precedenza. Durante la caduta, il materiale contenuto nella teca del padre si riversò nella macchina, causando un intenso flash e mandando in tilt il programma. Un allarme iniziò a rimbombare nel laboratorio, accompagnato dal rumore del surriscaldamento della macchina. Roy era inerme, accasciato a terra in una pozza di sangue, agonizzante.
 
- Qui Viper, missione compromessa, sono costretta a ritirarmi! - gridò la donna, attivando l’auricolare nel suo orecchio sinistro. Con un impossibile salto atletico, balzò successivamente nel condotto dell’aria dal quale era precedentemente entrata, abbandonando velocemente il luogo prossimo al disastro.
 
La luce emessa dalla macchina era diventata ormai incandescente, un rumore sempre più forte si stava diffondendo per il laboratorio e Roy, con uno sforzo disumano, iniziò a trascinarsi verso l’ingresso. Il rumore era diventato ormai assordante, il ragazzo penso che la sua vita sarebbe finita quel giorno: sarebbe morto da solo, lasciando tutto incompleto, incompleto come la sua vita. Si girò verso la fonte luminosa, per vedere il suo lavoro un’ultima volta, prima di essere ucciso dalla cosa che avrebbe dovuto cambiare la sua vita.
Non ebbe tempo di lasciarsi sfuggire una lacrima che la macchina di fronte a lui esplose in un violento vortice di fiamme, gettandogli addosso la misteriosa sostanza fusa per il calore con il nano-virus e facendolo volare contro la parete.
Passò un’ora prima che il professor Steinberg varcasse correndo la porta del laboratorio, trovando la stanza carbonizzata e il figlio accasciato in fin di vita al muro. Alla vista del ragazzo, gli occhi dell’uomo si riempirono di lacrime, e tremante, si avvicinò al corpo del giovane.
 
- Roy… Roy! Ti prego apri gli occhi…! Cosa ti è successo?! Apri gli occhi, ti prego! - la voce roca dell’uomo faticava a uscire, le sue labbra non riuscivano più a comporre le parole. Aiden strappò la maglia mezza incenerita del ragazzo, iniziando a premere ansiosamente le mani sul petto ustionato del figlio. Un colpo, due, tre. Sempre più forti, sempre più nervosi. - No… No! - Aiden gridò disperato, premendo un’ultima volta sul petto del ragazzo. Roy spalancò di colpo gli occhi, lanciando un atroce strepito mentre il suo corpo si contorceva in preda a violentissimi spasmi.
 
- Oddio, Roy! Roy! - urlò l’uomo, cercando di placare disperatamente i movimenti del figlio. Improvvisamente il ragazzo smise di muoversi, cacciando l’ennesimo orribile grido agonizzante. Sul petto del ragazzo, all’altezza del cuore, cominciarono ad apparire delle linee nere; la sclera del suo occhio sinistro, spalancato dal dolore, era diventata completamente nera, facendo spiccare l’iride che aveva assunto una colorazione arancione intensa. La pupilla era diventata triangolare.
Aiden guardava incredulo il corpo del figlio, osservando le intense linee nere che gli stavano cicatrizzando le ferite e ricostruendo i tessuti. Anche le ustioni vennero completamente eliminate, rigenerando perfettamente ogni tessuto compromesso dall’incidente.
L’uomo non ebbe la forza di cercare un senso in quello che aveva appena visto, del laboratorio distrutto non gli interessava nulla, il suo unico pensiero era il corpo privo di sensi di suo figlio. Non sapeva cosa fare, avrebbe dovuto chiamare un’ambulanza, ma non sarebbe stato in grado di dare una spiegazione a quello che stava succedendo sul corpo del sedicenne. Ancora sotto shock prese il ragazzo in braccio, portandolo di peso nella sua stanza e sdraiandolo sul letto. Il respiro del ragazzo si era stabilizzato, ma il battito cardiaco del Professore non accennava a rallentare.
Rimase immobile, seduto sulla poltrona accanto al letto, a guardare il volto del biondo. Gli stringeva una mano, con forza, sperando con tutto sé stesso di vederlo aprire gli occhi. Lo sorvegliò per ore, combattendo le lacrime che premevano per liberarsi dalla dura morsa delle sue palpebre. Venne assalito da un profondo senso di colpa: si era accorto di suo figlio solamente nel momento in cui aveva rischiato di perderlo. Si rese conto di essergli stato troppo lontano: per sei anni lo aveva lasciato da solo, ossessionato solamente dal proprio lavoro, trascurando il bambino che avrebbe dovuto essere la cosa più preziosa della sua vita. Avrebbe voluto chiedergli perdono, avrebbe voluto recuperare in pochi secondi i sei anni che aveva perso pensando unicamente alla propria ricerca. Mentre pensava questo, gli occhi dell’uomo iniziarono lentamente a chiudersi, e senza rendersene conto, il Professore sprofondò in un sonno inquieto, poggiando la testa sul caldo petto del figlio, venendo avvolto dal suo calore
.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Aiden si guardò attorno: uno spiraglio di luce illuminava debolmente un angolo della camera, lasciando danzare i granuli di polvere a intermittenza, uno spiffero di gelida aria invernale muoveva leggermente le tende, i led della sveglia elettronica lampeggiavano ipnotici sull’anta dell’armadio, immersa nell’oscurità.
L’uomo guardò il display dell’orologio: cinque in punto. Guardò poi il volto dormiente del figlio, posando una mano sulla sua guancia pallida. Roy respirava affannosamente, sudava, mentre le stesse linee nere che Aiden aveva visto il giorno prima sul petto del ragazzo erano ora apparse su tutta la parte sinistra del volto.

- Cosa diamine ti è successo Roy…? – sussurrò l’uomo, vegliando con sguardo preoccupato sul ragazzo. Aiden si alzò in piedi, lisciandosi la barba bionda di corto taglio e ben curata. La schiena gli doleva, si stirò più volte prima di ritenersi abbastanza sveglio. Chiuse la finestra della camera e silenziosamente si diresse in cucina, lì si versò un bicchiere di latte gelido che scolò senza problemi, sbuffando dopo essersi asciugato la bocca con un fazzoletto.
Sospirò, lui, prima di prendere in mano il cellulare e digitare il numero della scuola di Roy. Ci fu un secondo di totale quiete poi una voce femminile ruppe il silenzio dell’ampia cucina:

- Liceo Triumph, buongiorno.

- Buongiorno, sono Aiden Steinberg, il padre di Roy Steinberg.  Volevo avvisare che mio figlio è costretto a letto a causa di un’influenza e sarà assente finché le sue condizioni non migliorano.

- Certamente, può cortesemente dirmi la sezione di suo figlio? – Aiden riusciva a udire il suono meccanico dei tasti premuti dall’interlocutrice.

- Sezione B, terzo anno.

-Perfetto, abbiamo avvisato i professori. Provvederemo a fornirvi il materiale sulle lezioni svolte durante il periodo di assenza.

- La ringrazio. Arrivederci e buona giornata. – Disse l’uomo, sforzandosi di sorridere.

- A lei, arrivederci.
 
La chiamata si chiuse, facendo tornare il silenzio fra le mura calde della cucina. Aiden prese a camminare nervoso avanti e indietro, passando il dito lungo il lato del freddo tavolo in marmo e facendosi cogliere da un profondo e veloce brivido.Decise di uscire in balcone, fregandosene dell’aria gelida esterna.
Accese una sigaretta e con un lungo e intenso tiro s’infiammò i polmoni, compensando il gelo dell’ambiente. Espirò una nube scura che salì velocemente, prima di disperdersi volatile nel grigio mattutino di quella giornata d’inverno. La sua mente era annebbiata, qualcosa stava bloccando quell’ingegnoso ingranaggio che lo aveva portato a essere il più noto e importante uomo di scienza del Ventunesimo Secolo.
Cercava di concentrarsi.
Tirava dalla sigaretta, soffiava via la cortina cinerea.
Tirava ancora.
Nulla da fare, non riusciva a trovare un filo logico in quella situazione così onirica, ma al contempo così reale.
 
- Non ho scelta. – Le parole uscirono da sole, sfuggite alla sua mente ancora assopita.
 
L’uomo rientrò in casa assicurandosi di chiudere completamente la porta del balcone, per poi dirigersi velocemente nel laboratorio. La porta era ancora aperta e l’interno era ancora un disastro: i macchinari ribaltati, carte e campioni sparsi ovunque, un’enorme bruciatura spiccava al centro della stanza. Si limitò a farsi largo fra le schegge di vetro, evitando di tanto in tanto qualche pila di fogli mezza bruciata, fino ad arrivare alla porta del suo ufficio, anch’essa distrutta dall’esplosione. L’interno fortunatamente era rimasto inalterato, al di fuori della vetrina rotta dall’intruso la sera precedente. Si avvicinò alla sua scrivania, estraendo una valigetta metallica da uno dei due grandi cassetti laterali. Senza perdere tempo tornò nella camera del ragazzo, recuperando lungo il tragitto uno dei tanti laptop sparsi per la casa e una manciata di fili ed elettrodi per le analisi mediche.
Lì, aprì la valigetta, improvvisando una sorta di laboratorio di ricerca sulla scrivania del ragazzo. Collegò i fili al computer, aprendo numerosi programmi e montando diverse apparecchiature tecnologiche. Si avvicinò al figlio, scoprendogli il petto tremante e applicandoci poi gli elettrodi, calmandolo con una carezza quando si agitava. Estrasse dalla valigetta una siringa, con la quale prelevò un campione di sangue da Roy che mise subito in uno dei numerosi apparecchi sparsi in quel caos confusionale. File di dati cominciarono ad apparire sul monitor del suo computer, seguite da grafici incomprensibili da una persona comune. Grafici che tuttavia l’uomo lesse con un singolo sguardo, appuntando velocemente su un foglio una serie di note disordinate, creando una sorta di flow chart.
L’ingranaggio aveva ripreso a girare, portando un debole lume di chiarezza in quella disordinata e buia situazione.
 
- Non pensavo fosse possibile… - disse, osservando con curiosità il corpo del ragazzo mentre passava la mano lungo una delle linee nere che gli percorrevano il corpo, fermandosi poi con le dita sopra il punto dove la sera prima aveva visto le lacerazioni causate dai proiettili. - In qualche modo deve averlo assorbito… ma come? Perché il corpo non lo ha rigettato? – più l’uomo si immergeva in quel mistero, più la sua curiosità iniziava ad assalirlo.
 
Aiden dovette tuttavia fermarsi, di colpo Roy aveva ricominciato ad agitarsi in preda agli spasmi, gemendo grida di dolore, mentre le linee nere sul suo petto assumevano un colore arancione incandescente.
Il ragazzo si svegliò di colpo, urlando qualcosa di incomprensibile.

- Roy! Roy, sei sveglio! – esclamò l’uomo, lasciandosi scappare un velo di lacrime.
 
Roy era confuso, sudava e ansimava mentre si guardava attorno con aria terrorizzata.

- C-che cosa è s-successo… papà?

- Non ne ho idea Roy, ti ho trovato accasciato al suolo nel laboratorio… eri coperto di sangue… e… e… ho avuto paura di perderti… - Aiden strinse il figlio a sé, che ricambiò l’abbraccio scoppiando in lacrime a sua volta.

Roy rimase in silenzio, suo padre lo stava abbracciando, dopo anni che non lo aveva quasi considerato. Lo guardò negli occhi e poté vedere la preoccupazione, mai aveva visto quelle iridi cariche di così tante emozioni.
Esitò prima di parlare, avrebbe voluto godersi qualche attimo di più del calore del padre, ma in quel momento le priorità erano altre.

- E-ero nel laboratorio… stavo c-conducendo le mie s-solite analisi sui miei campioni… poi ho s-sentito un rumore… e… - iniziò a spiegare il biondo, interrompendosi di tanto in tanto a causa di un singhiozzo.

- E poi? – chiese l’uomo impaziente.

- Sono corso a controllare e una donna aveva sfondato la porta del tuo ufficio, aveva con sé la teca che tenevi sottochiave nella cassaforte… - tirò su col naso.

- Com’è riuscita a forzare il caveau? Era composto da leghe di titanio armato…

- Era una professionista… sapeva esattamente dove mettere le mani.

- Cosa hai fatto poi? – chiese Aiden sempre più agitato.

- Si è avvicinata a me, puntandomi una pistola contro… io ho reagito è l’ho colpita con un calcio, disarmandola. Sono poi corso con la teca verso il laboratorio, volevo cercare di far scattare l’allarme, ma lei mi ha raggiunto e mi ha sparato due colpi…  - Roy tastò la zona addominale dove avrebbero dovuto esserci i segni dei proiettili, non trovandone tuttavia alcuna traccia.

- Com’è possibile?! M-mi ha sparato qua… - esclamò con sorpresa, girandosi poi a cercare una qualche sicurezza nello sguardo del padre, invano.

- È proprio questo che vorrei cercare di capire Roy… cos’è successo dopo che ti ha sparato?  - lo sguardo di Aiden divenne improvvisamente serio.

- N-non riesco a ricordarlo… ho provato un dolore atroce… la mia vista si è annebbiata… l’ultima cosa che ricordo di aver visto è la luce di un’esplosione… - disse il ragazzino, massaggiandosi le tempie nel tentativo di ricordare qualcosa.
 
Roy non aveva ancora fatto caso a ciò che lo circondava, solo in un secondo momento aveva notato le diverse apparecchiature sparse sulla sua scrivania. Ancora più confuso e preoccupato guardò il padre, che subito iniziò ad agitarsi.
- Papà, che cosa mi è successo?

- È complicato…

- Papà! – il ragazzo troncò subito le parole dell’uomo, facendogli chiaramente intendere di evitare i giri di parole.

- Il tuo corpo ha assorbito l’oggetto delle mie ultime ricerche, la cosa che quella donna stava cercando di rubare.

- Il Void? – chiese secco Roy.

- C-come fai a sapere del Void? – chiese l’uomo sorpreso.

- Ho letto alcuni appunti sulla bacheca e ti ho osservato mentre lavoravi. Che cos’è questo Void, papà?

Aiden rimase in silenzio, cercando di evitare per qualche istante lo sguardo del ragazzo. A un tratto alzò lo sguardo, fissando il figlio dritto negli occhi, cercando di ignorare la sua innaturale pupilla triangolare. Roy lo guardò in silenzio, cercando di mascherare l’evidente curiosità che lo assillava.

- È un materiale esogeno, non riconducibile a nessun tipo di materiale presente sulla Terra. Molto probabilmente è precipitato assieme a un meteorite della pioggia del 2046, ho trovato assieme a esso dei campioni minerali identici ai campioni osservati in quell’anno.

- Un… materiale esogeno? Di cosa è fatto?

- Non ne ho idea…

- C-come, non lo hai analizzato?!

- Ci ho provato… ma…

- Ma?!

- Ma questa sostanza non ha massa, pur essendo chiaramente solida e tangibile.

- È impossibile…! – disse Roy sconvolto.

- È esattamente quello che ho pensato quando ho fatto le analisi… pensavo fosse un errore delle mie bilance, ma nemmeno la bilancia quantica del laboratorio principale riesce a rilevare la sua massa.

- S-sai altro su questa c-cosa?

- Sì, ed è altrettanto sorprendente… quanto impossibile…

Roy sentì improvvisamente un nodo in gola.

- Questo Void sembra produrre un’energia perpetua. – continuò Aiden, senza distogliere lo sguardo dal figlio.

- Energia p-perpetua?!

- Esatto, questa sostanza continua a scambiare energia sottoforma di lavoro, radiazioni luminose e calore tutte allo stesso tempo… è qualcosa di totalmente estraneo alle leggi fisiche della realtà… è qualcosa che nemmeno io riesco a comprendere…

Roy ebbe un improvviso attacco di panico, sentendo la descrizione di quella sostanza che ora sapeva essere dentro il suo corpo.

- E q-quella cosa è-è dentro d-di me?! – disse balbettando, toccandosi poi il petto ansiosamente.

- Sì, ed è proprio quella cosa che ti ha tenuto in vita…

- I-in che senso…?! – il ragazzo divenne sempre più spaventato.

- I proiettili ti avevano lacerato una buona parte dell’intestino, una ferita mortale dalla quale ti sei magicamente ripreso, senza cicatrici ne segni di alcun tipo. Saresti dovuto morire… ma in qualche modo i tuoi tessuti interni si sono rigenerati completamente.

- S-sarei d-dovuto morire… - le parole del biondo erano spente e colme di paura. Ansimava, avvertiva il panico pervadere il suo corpo sempre più forte: prima un calore nel petto, poi una paralisi totale delle braccia e infine la vista annebbiata.

- Beruhig dich, Roy! Calmati, Roy!  – Aiden ruppe la barriera di panico che stava imprigionando il ragazzo in sé stesso. Era da tanto che l’uomo non si rivolgeva al figlio parlando in tedesco, aveva cercato in tutti i modi di abituare Roy all’inglese, già dal primo giorno che si erano trasferiti in America. Quando Aiden parlava in tedesco significava che era arrabbiato, ma raramente si era dovuto mai arrabbiare con Roy.

Roy si riprese istantaneamente, sentendosi scivolare la paura fuori dal corpo, per poi cogliere lo sguardo gelido del padre.

- Non ti succederà nulla, Roy. Non posso permetterlo. – disse l’uomo, stringendo il ragazzo a sé.

- R-riuscirai a guarirmi…?

- Farò tutto il possibile, te lo prometto! – Aiden fece un grande respiro, stringendo poi nuovamente il figlio.

- Mi dispiace Roy… non sono stato presente in questi anni… la ricerca mi aveva completamente alienato… - le parole dell’uomo uscivano tremule, le sue mani premevano sul braccio del ragazzo mentre fissava con attenzione la sua iride ambrata e quell’innaturale pupilla triangolare.

- V-vorrei non fosse troppo tardi per potermi comportare da vero padre… - aggiunse, sforzandosi di sorridere.

Roy non rispose e improvvisamente abbracciò l’uomo, che sussultò leggermente per la sorpresa. Quel gesto valse più di diecimila parole. Valse molto per Aiden, sovrastando la paura di aver perso l’amore di suo figlio, e valse molto anche per Roy, che temeva non sarebbe mai stato capace di attirare l’attenzione del padre.
 
- Papà… la ricerca sul Void… la stavi conducendo in segreto vero? – Roy interruppe quel momento di serenità, colto da un’improvvisa insicurezza.

- Sì, in teoria nessuno oltre a me avrebbe dovuto sapere nulla in merito a questa scoperta… ma a quanto pare non è così…

- S-siamo in pericolo?

- Probabilmente sì, ma per adesso siamo in una situazione di stallo. Non so cosa ti sia successo esattamente, ma in teoria per chi stava rubando le mie ricerche, tu sei morto.

- Cosa facciamo adesso? Ne dobbiamo parlare con la mamma?

- No, è meglio se manteniamo la cosa segreta. Farò in modo di essere sorvegliato a distanza, finché non scoprono che il Void è nel tuo corpo, cercheranno me.

- E io cosa dovrei fare allora?

- Comportati in modo normale, mantieni un profilo basso, se percepisci anche solo un minimo pericolo fai in modo di contattarmi, manderò qualcuno a coprirti le spalle.

- Q-qualcuno a coprirmi le spalle?

- Lavoro per una compagnia molto importante, in teoria non permetterebbero mai che mi accadesse qualcosa, né permetterebbero che accadesse qualcosa a te.

- I-in teoria?

- Sono la loro fonte di guadagno maggiore sarebbe un suicidio perdermi, anche se probabilmente è proprio qualcuno del laboratorio che ci ha messo in questo casino…

- Perché dovrebbero volerti morto… - Roy si interruppe un attimo, per poi continuare – Papà, sento l’occhio sinistro pulsare… cos’ho?

Aiden allungò la mano verso il comodino del ragazzo, prendendo il piccolo specchio che giaceva a fianco della foto di famiglia, incorniciata con cura. Porse l’oggetto al figlio, osservando in silenzio la sua reazione.

- C-che c-cosa mi è-è successo all’occhio?!

- Non lo so, Roy. Sicuramente è collegato al Void, ma non ho avuto modo di poterlo analizzare adeguatamente.

Il biondo si toccò l’occhio con la mano tremante, sentiva la palpebra gonfia e un dolore intenso che lo martellava dall’interno.

- Ti fa male? – Chiese il padre, osservando i movimenti del ragazzo.

- Sì… sento come se stesse per esplodere…

- Tienilo chiuso, vado a prenderti un antidolorifico, torno subito.

L’uomo si diresse rapidamente in cucina, aprendo poi uno dei tanti sportelli bianchi con le maniglie cromate dallo stile moderno e ricercato, ne estrasse una scatola azzurra con delle bustine argentate al suo interno. Riversò il contenuto di una delle bustine nel bicchiere che aveva appena riempito d’acqua, tornando poi nella camera del ragazzo. Lì lo vide in piedi davanti allo specchio, a osservarsi il corpo costellato da quelle surreali linee nere. Roy però era rimasto sorpreso per un altro motivo.

- Papà…

- Che succede Roy? Riesci già a stare in piedi?!

- Sì… ma… guarda… - disse il ragazzo girandosi verso il padre, che rimase in silenzio, osservando incredulo il corpo del ragazzo.

- Roy… da quando hai il corpo così scolpito?

- N-non… n-non ho mai avuto il fisico così… - ripose il biondo altrettanto confuso, mentre curioso passava il dito sui suoi addominali sbucati dal nulla, come per magia.

- Il Void deve averti modificato i tessuti, questa è la spiegazione più logica che io possa trovare in questo momento…

- Come ti senti? – chiese poi, cambiando totalmente il discorso.

- A parte il dolore all’occhio mi sento bene, è come… è come se fossi rinato… mi sento energico, non so come spiegare…

- Cerca di non sforzarti, non siamo in grado di capire in che stato ti trovi.

- Va bene…

- Per adesso riposa, dopo vorrei fare un paio di analisi. Parlerò io con la mamma, ci inventeremo qualcosa.

- Un’influenza?

- Sì, un’influenza. – rispose l’uomo, forzando un sorriso.

Aiden uscì dalla camera, mentre il Roy si sdraiò sul letto ancora in preda alla confusione.
“Cosa diamine è successo…?” pensò, prendendo in mano la foto che lo raffigurava assieme al fratello.

- Chissà cosa diresti guardandomi… se solo potessi parlartene… - disse, prima di perdere completamente le energie, all’improvviso. La debole presa delle sue mani fece scivolare la foto sul suo petto, la testa gli sprofondò nel cuscino e sena rendersene conto cadde addormentato.
 
Aiden tornò nella stanza diverse volte, trovando con sorpresa e sollievo il ragazzo addormentato. Ne approfittò per eseguire le sue analisi, cercando di trattare il figlio il più delicatamente possibile.
Si spostò poi nell’enorme salotto, gettandosi sul divano e facendo comparire i grafici delle analisi e le immagini dei campioni di sangue osservati al microscopio sull’esagerato schermo al centro della parete.
Rimase a osservare il suo lavoro per ore, consumando centinaia di fogli fra appunti, bozze e scarabocchi. Voleva arrivare a una conclusione. Doveva arrivare a una conclusione, o almeno voleva accertarsi che suo figlio non fosse in pericolo di vita.

- Rigenerazione dei tessuti… crescita improvvisa dei muscoli… mutazione dell’iride e della sclera… il Void ha reagito come un vero e proprio mutageno, è riuscito a modificare il suo DNA… eppure non sono ancora riuscito a capire da cosa cazzo sia composto. – borbottò, volgendo il suo sguardo verso il nulla.

- L’unico effetto negativo che ha manifestato è stato quel dolore all’occhio… per il resto sembra essere tornato normale… - continuò, lisciandosi il fine strato di barba che gli copriva le guance.

- Devo monitorarlo, ma deve essere in condizioni naturali… forse è il caso che lo mandi a scuola fra un paio di giorni… che scelta ho? – concluse, guardando il cupo crepuscolo che aveva ormai inghiottito quella fredda giornata invernale.

“Si è fatto tardi eh…?” pensò, alzandosi per cercare qualche avanzo nel frigo da consumare, prima di tornare ad analizzare quell’infinità di dati raccolti durante la giornata.
L’uomo rimase alzato fino a notte inoltrata, finché non crollò sul divano dalla stanchezza, avvolto dalla marea di fogli che aveva macchiato di un inchiostro nervoso.
Per i tre giorni successivi Aiden si limitò a osservare il corpo del figlio, annotando ogni singolarità, ogni minima e impercettibile variazione delle condizioni vitali, speculando poi possibili situazioni che tuttavia rimanevano semplici ipotesi.
L’uomo decise infine di mandare il ragazzo a scuola, date le sue condizioni perfettamente nella norma e dalla necessità di osservarlo in un ambiente più movimentato.
 
Quella mattina Roy era teso, sentiva il corpo traboccare di energie ma l’ansia scatenata dagli eventi accaduti non aveva ancora accennato ad andarsene. L’occhio gli doleva ancora, un fastidio lieve ma costante, che lo turbava dall’interno.

- Mettiti questa benda medica. Non devi mostrare l’iride a nessuno, intesi? – si impose Aiden con tono serio.

- Certo.

- Comportati normalmente, avrai alcuni uomini del dipartimento che ti osserveranno da lontano. Se noti qualcosa di sospetto inviami subito un messaggio.

- Sanno quello che è successo?!

- Non tutto. Ho detto loro che qualcuno si è infiltrato nel laboratorio e che sia noi, che le mie ricerche sui nuovi nano-tessuti siamo a rischio. Cerca di nascondere il più possibile il corpo.

- Non preoccuparti, ora vado.

- Fai attenzione, tschüs.
 
Roy uscì di casa, lasciando nuovamente le sue orme sul sottile manto di neve che copriva le strade. Quel giorno era stranamente sereno, solo qualche nuvola solitaria osava tingere di bianco la fredda volta celeste. Un uccello si dilettava nel raccogliere un insetto ormai congelato dal suolo, fischiando una sorta di melodia accompagnata dal suono delle gocce che dai rami degli spogli alberi, si frantumavano in un piccolo specchio d’acqua, a lato del marciapiede.
Camminava veloce, come di consueto, immerso sempre nel mondo che la musica gli proiettava nelle orecchie. Camminava seguito a distanza da due ragazzi, sulla trentina, mimetizzati in borghese per non dare nell’occhio
Una terza presenza osservava il biondo, seduta al volante di una delle tante normalissime macchine parcheggiate ordinatamente in fila retta lungo la strada.

- Non è possibile… quel ragazzino dovrebbe essere morto… - mormorò incredula la figura femminile, mentre osservava minuziosa le movenze del ragazzo in fondo alla strada.

- Viper a rapporto. Signore, ho qualcosa che potrebbe interessarle… - pronunciò, facendo comparire un lieve sorriso sul suo volto.
 
Roy arrivò al Liceo Triumph, mantenendo il suo solito carattere freddo e distaccato nonostante la sfera di curiosità che la benda generava in chi gli volgeva lo sguardo.
Prese posto al suo solito banco, in seconda fila, vicino alla finestra dalla quale, in primavera, era possibile osservare un bellissimo acero giapponese esplodere nei suoi meravigliosi colori.
Un gruppo di ragazzi prese posto accanto a lui. Uno di loro richiamò l’attenzione del biondo.

- Ehi… Roy… vedo che ti sei ripreso dall’influenza… se vuoi dopo ti posso passare gli appunti… – disse gentilmente il ragazzo.

Era Blaze Felter, il rappresentante di classe. Un ragazzo castano, di media statura, con le iridi color nocciola. Blaze era uno di quei compagni che avevano provato a rompere la barriera gelida che separava Roy dal mondo. In molti avevano rinunciato, eppure Blaze non aveva mai perso la speranza. Lui ammirava Roy, ammirava la sua diligenza nello studio e la sua calma nel modo di vivere.
Colto alla sprovvista, il biondo tentennò prima di rispondere.

- Sì… per ora sto meglio… grazie per l’interessamento…- rispose con un briciolo di soggezione.
 
Al banco si avvicinarono altri tre ragazzi, il più alto dei tre posò un piede sulla sedia di Roy, attirando il suo sguardo smeraldino.

- Ehi Frankenstein, il papi ha fatto qualche esperimento su di te? Il bambino viziato voleva diventare un pirata e lo ha accontentato? – si intromise lui, caricando il tono in modo provocatorio.
Roy alzò lo sguardo, posando l’occhio sui bizzarri capelli dell’interlocutore: un taglio alla moicana, tinto di un falso biondo platino.

Chi lo stava provocando era Clint Mills, una delle tre teste calde della classe. Clint non aveva mai sopportato Roy: odiava vederlo eccellere in tutto, sentendosi superato in qualsiasi disciplina, provava invidia nei suoi confronti, detestava il fatto che fosse figlio di una persona famosa e lo associava al classico ragazzino ricco e viziato, a cui non veniva fatto mancare nulla.
Clint d’altronde era cresciuto solamente con la madre, dopo che il padre era fuggito prosciugando il conto della famiglia, svanendo nel nulla e lasciando la moglie e il figlio nella povertà. L’invidia nei confronti del biondo era pura e naturale.
Le iridi azzurre di Clint si scontrarono con quella di Roy.

- Visto che quello stronzo di tuo padre è così ricco, perché non te ne vai in un liceo per i bimbi viziati come te, eh?
 
All’udire di quelle parole, Roy sentì un impulso pervadergli il corpo, una rabbia incontenibile invase la sua mente e con lo stupore di tutti, senza nemmeno rendersene conto, alzò Clint per la maglia e lo sbatté contro il muro con violenza, trattenendolo per il collo.

- Perché non lo ripeti?! – urlò furioso, senza accorgersi che il dolore all’occhio stava divenendo sempre più intenso. Il tono della sua voce non era mai stato colmo di così tanta cattiveria, così come la sua reazione fu totalmente inaspettata.

- ROY, CALMATI! – la voce di Blaze riportò al biondo la lucidità, che subito mollò la presa e lasciò cadere a terra la stessa persona che poco prima aveva arrogantemente insultato suo padre.
Roy si premeva l’occhio, appoggiandosi col fianco al muro. Di colpo sentì il corpo pulsare e il dolore che prima martoriava solamente l’occhio sinistro aveva ora preso il controllo totale.

- Roy, ti senti bene? – chiese preoccupato il castano, vedendo il compagno accasciarsi al muro.

- Devo andare in bagno… dì alla professoressa che non mi sento bene…

- V-vuoi che ti accompagni?

- No. Lasciami stare. – rispose freddo Roy, uscendo barcollante dalla classe.
 
Una volta arrivato in bagno, il biondo si accasciò a un sanitario, non riuscendo a trattenere due getti di vomito. Il dolore diveniva sempre più intenso, di secondo in secondo, la stessa energia che lo aveva pervaso positivamente la stessa mattina, ora stava per farlo esplodere.
Di colpo l’energia divenne incontenibile. Roy cacciò un atroce urlo, provocando una violentissima onda d’urto che fece tremare l’intero edificio, frantumandone i vetri e gettandone gli occupanti nel caos.
La benda era scivolata a terra e una volta finito quell’incubo, non sentendo più alcun dolore, poté osservare l’iride del suo occhio sinistro riflessa in un frammento di vetro: una sfera che brillava incandescente.  Lungo le sue braccia erano ricomparse quelle linee, ora però di un colore arancione intenso.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Roy cercò di alzarsi più volte, cadendo ogni volta in ginocchio.
L’equilibrio gli mancava, la testa gli girava e il mondo attorno a lui gli pareva frenetico.

- C-cosa cazzo è s-successo…? – disse, in preda al panico.

Si guardò attorno, uscendo dal bagno: i vetri di tutto l’isolato erano andati in frantumi, rumori di clacson echeggiavano per tutto il quartiere, cani abbaiavano spaventati, accompagnati dal vociare dei padroni che, confusi, cercavano di dare una spiegazione logica a ciò che era successo.
Il ragazzo raccolse ansiosamente la benda precedentemente caduta, guardandosi nuovamente l’occhio sinistro.
Quell’iride triangolare riflessa nello specchio lo metteva a disagio, così come quelle linee incandescenti che gli percorrevano il corpo. Cercò di coprire entrambi, il meglio possibile, non avrebbe voluto farsi vedere in quelle condizioni.
Un rumore frenetico di passi anticipò l’ingresso di Blaze nella stanza. Il castano ansimava, mentre con lo sguardo preoccupato guardava Roy.

- Roy! Grazie al cielo, stai bene?!

- S-sì… sto b-bene…

- Non sei ferito vero?!

- No… m-ma cos’è stato quel boato? – chiese, fingendo un enorme stupore.

- Non lo so… è stato così improvviso… stai veramente bene?!

- Sì, ho solamente un po’ di nausea… scusami per prima, la mia reazione è stata esagerata…

- Non preoccuparti, ti capisco. Mills è uno stronzo, finisce sempre così con lui.

- Dovremmo tornare in classe però… i professori saranno preoccupati… - aggiunse Blaze, porgendo una mano al biondo, aiutandolo poi a rimettersi in piedi.

I due ragazzi si diressero cautamente verso la loro aula, al secondo piano.
Una voce richiamò la loro attenzione.

- Felter, Steinberg! Dov’eravate finiti?! – Il tono del professore era carico di preoccupazione.

- Ci scusi professore, Roy non si è sentito bene l’ora prima ed è corso in bagno. Dopo la scossa sono andato a controllare se gli fosse successo qualcosa…

- Capisco, ma non allontanatevi più da soli. Ancora non sappiamo cosa sia successo, non possiamo dirci al sicuro finché non avremo chiara la situazione.

- Sì, professore…

- Certamente… - risposero i due ragazzi.

Rientrati in classe, il biondo cercò di evitare lo sguardo dei compagni, ancora si sentiva in soggezione per ciò che era accaduto qualche momento prima. Inoltre, le linee sul suo corpo e la sua iride non rendevano le cose più facili.
Clint rimase in silenzio, guardando Roy con occhi carichi d’odio. Avrebbe voluto ucciderlo, ma si sentiva impotente dopo la reazione del biondo, non avrebbe avuto alcuna possibilità.
 
Aiden analizzava nervoso i dati che erano comparsi sul monitor, mentre cercava disperatamente di contattare Roy.

- Rispondi… rispondi, Roy! – borbottava nervoso, tamburellando le dita sulla scrivania.

Roy sentì il telefono vibrare.
Prese in mano il dispositivo e rispose rapidamente ai messaggi del padre.
 
“Roy, cosa è successo?! I tuoi parametri sono impazziti per una frazione di secondo!”

“Non ne ho idea, papà. Ho avuto una discussione con un mio compagno e improvvisamente ho perso il controllo.”

“Hai fatto male a qualcuno?!”

“No. Mi sono sentito male subito dopo la lite e sono corso in bagno. È lì che è successo un casino.”

“Che è successo?!”

“Il mio corpo è come esploso… non so come spiegare… ho prodotto come un’onda d’urto e ho disintegrato ogni vetro nelle vicinanze.”

“Non avevo previsto una cosa del genere. Devi tornare immediatamente a casa, provvedo io a chiamare la scuola.”

“Non ci lasciano uscire, il preside ha ordinato di tenerci al sicuro in palestra.”

“Vengo a prenderti io allora, sono preoccupato. Tu stai bene adesso?!”

“Sì, ma le linee sul mio corpo sono ricomparse e anche l’iride…”

“Coprile alla meglio che puoi, sto arrivando.”


Roy rimise il cellulare nella tasca della sua felpa verde, stringendosi la benda al meglio che riuscì.
Impaziente, si mise accanto a una finestra ormai distrutta, attendendo l’arrivo del padre.
 
Una donna uscì barcollante da una Mercedes parcheggiata sotto l’edificio scolastico.
Vestiva di nero, con un paio di Ray-Ban viola a coprirle gli occhi. Teneva i capelli fulvi legati a coda di cavallo, mentre sul suo orecchio sinistro spiccava un orecchino in granata, che splendeva ai pochi raggi di sole che filtravano tra la cortina grigia che copriva quella mattina d’inverno.

- Cosa cazzo è appena successo?! – si chiese confusa, contemplando il mare di schegge di vetro che copriva le strade dell’isolato.

Dall’auricolare della donna spiccò una voce:
“Diana, l’esplosione proveniva dalla scuola del ragazzo. È sicuramente collegata a lui e al Void.”

- Come devo agire, Signore?

“Infiltrati e segui il ragazzo e quando lo cogli da solo, rapiscilo. Lo voglio vivo, ho bisogno del suo corpo.”

- Ricevuto, inizio il pedinamento. – Diana spense l’auricolare e si diresse furtiva verso la scuola.

Due uomini seguirono la donna con estrema discrezione, perdendola di vista poco dopo aver svoltato l’angolo del vicoletto.

- Dov’è finita? – chiese uno dei due, il più grosso. Un uomo sulla trentina, biondo con gli occhi castani.

- Occhi aperti. – rispose l’altro, più minuto. Anche lui sulla trentina, ma moro.

- Certo che fate schifo a pedinare le persone… - la voce di Diana richiamò l’attenzione dei due uomini.

- Da che pulpito… sappiamo che stai seguendo il ragazzino, cosa vuoi da lui? – si impose minaccioso uno dei due.

- Non eravate previsti… che seccatura. – sbuffò lei, provocandoli.

- Rispondimi! Cosa vuoi dal ragazzino? – sbraitò il moro.

Diana sorrise – Non sono tenuta a dirvelo, anzi, ora dovrò cucirvi occhi e bocca dato che mi avete visto.

- Perché non ci provi troietta? – la sfidò il moro.

- Mantieni la calma, non abbiamo il permesso di ucciderla. Dobbiamo portarla con noi.

- Va bene, mi accontenterò di prenderla a pugni finché non perde i sensi.

- Che gentiluomo… - sospirò lei.

Diana fece un passo indietro, incrociando poi lo sguardo con i due uomini.
Tutti e tre erano in posizione di guardia, in attesa che qualcuno facesse la prima mossa.

- Non ho tutto il giorno, vedete di muovervi. – stuzzicò la donna.

Il moro partì alla carica, sfruttando il suo fisico atletico.
Senza esitare, Diana roteò una gamba, accompagnando il movimento dell’uomo e aggrovigliandolo in una morsa.
L’uomo cadde a terra.

- Maledizione… - grugnì fievolmente, mentre faticava a respirare.

Il biondo corse in soccorso del collega, trovandosi un pugnale conficcato dritto nella caviglia, pugnale che la donna aveva velocemente estratto da sotto la gonna e sferrato con precisione millimetrica.

- Argh! – l’uomo cadde in ginocchio, togliendo la lama dalla carne e gettandola via.

- Che signorine… siete veramente fatti di cristallo voi due… - li prese in giro la donna.

Il biondo fece un profondo respiro, per poi estrarre una pistola dal fodero che teneva sul fianco.
La punto contro Diana.

- Liberalo. – ordinò lui, facendo scivolare velocemente il carrello della beretta.

- Altrimenti? – provocò lei, stringendo la morsa sull’uomo.

- Ti pianto due proiettili in testa.

- Non ti consiglio di sparare, userò il tuo amico come scudo.

L’uomo sorrise – Non hai lo spazio per muoverti, è inutile bluffare. Te lo ripeto un’ultima volta: lascialo libero. – ordinò, tornando serio.

- Come vuoi… - sbuffò Diana, mollando la presa e balzando all’indietro con un salto atletico.

Diana estrasse una pistola da un fodero nascosto dietro la sua schiena ed esplose due colpi verso il biondo. L’uomo, senza accorgersene, cadde morente a terra, bagnando il freddo asfalto del suo tiepido sangue.

- Jacob! – urlò il moro, vedendo il collega a terra. – Bastarda! – gridò poi, tentando un ultimo e disperato assalto. Assalto che venne stroncato sul nascere da una pallottola sparatagli in fronte, che gli strappò la vita in meno di un battito d’occhi.

Diana riprese fiato, contemplando l’orrore che aveva appena compiuto.

- Mi tocca nascondere i cadaveri adesso, che rottura… - disse stremata, mentre si infilava un paio di guanti in lattice.

- Sapevano che avremmo attaccato nuovamente, devo informare il capo. Ma prima…

La donna nascose i corpi in un cassonetto della spazzatura, a cui diede fuoco poco dopo, non curandosi delle possibili conseguenze.
In passato aveva ucciso almeno una quarantina di persone in pieno giorno, senza lasciare tracce.
Senza fare una piega, si incamminò rapidamente verso la scuola, sistemandosi gli occhiali che nel mentre le erano scivolati sul lato.
 
Aiden arrivò velocemente, parcheggiando distrattamente in divieto di sosta.
Corse all’interno dell’edificio, inventando una scusa sul momento quando il bidello chiese il motivo della sua presenza.
Roy venne fatto scendere poco dopo, placando parzialmente l’ansia dell’uomo.

- Vieni, dobbiamo andare in fretta. – disse visibilmente sudato.

- Papà, che succede? – chiese preoccupato Roy.

- Te lo spiego in macchina, andiamo.

L’uomo riaccese rapido la macchina, eseguendo una folle manovra per risparmiare tempo.

- Mi hanno contattato dal laboratorio, hanno perso i segnali vitali degli uomini che ti stavano coprendo a distanza. Il segnale è stato perso proprio dietro alla scuola…

- C-cosa?!

- Dobbiamo sbrigarci.

- Non è troppo pericoloso tornare a casa?

- Manderanno una scorta a fare da guardia, lì saremo al sicuro.

Aiden curvò rapidamente, dovendo però frenare all’improvviso per evitare di schiantarsi contro una Mercedes con i vetri infranti che gli aveva bloccato la strada.

- Che cazzo fai in mezzo alla strada?! Levati! – sbraitò l’uomo nervoso, colpendo con violenza il clacson. 

Dalla macchina uscì una donna, armata di pistola, che a passo lento iniziava ad avvicinarsi all’Audi dello scienziato.

- Papà! Lei è la donna del laboratorio! Dobbiamo andarcene! – gridò Roy, in preda al panico.

Aiden cercò di tagliare la corda, inserendo la retromarcia e dando gas alla macchina, Diana però anticipò l’uomo sparando alle gomme dell’Audi, crivellando ulteriormente di colpi il cofano.
I due al suo interno furono costretti ad abbassarsi, fuggendo poi dalle portiere e nascondendosi sul retro della macchina.

- Roy, mettiti al sicuro quando te lo dico. Cercherò di contrastarla.

- Papà è troppo pericoloso! È addestrata.

- Ho praticato tecniche di difesa con l’esercito tedesco per venticinque anni, so come difendermi.

- È armata!

- Pure io lo sono. – disse estraendo una Colt da sotto la camicia, lasciando sorpreso il figlio.

Aiden fece un cenno a Roy, che subito iniziò a correre verso un albero. Diana non ebbe il tempo di puntare la pistola contro il ragazzo che si trovò costretta a difendersi dalla scarica di colpi, che l’uomo aveva sparato per coprire la fuga del figlio.

- Chi sei?! – gridò Aiden senza distogliere la mira dal cofano dell’Audi, in attesa che l’aggreditrice uscisse allo scoperto.

- Signor Steinberg… mi scuso per la maleducazione, ma ahimè non posso rivelarle la mia identità. Posso dirle però che sono una Sua grande ammiratrice, le Sue ricerche sono straordinarie.

- Cosa vuoi da noi?!

- Lo sa esattamente, Professore. Mi consegni il ragazzo.

- Cosa vuoi fare a mio figlio?

- Devo solo consegnarlo al mio capo, diciamo che ci serve qualcosa che ora è nel ragazzo.

Aiden rabbrividì.

- Come fai a sapere del Void?!

- Oh mamma quante domande... - ridacchiò. - Ci sono così tante cose che so sul Suo conto, Professore. Non ne ha idea… - la donna fece una pausa. - Una Colt M1911, calibro 45… pistola un po’ datata eh? – disse poi.

- Come…?!

- Caricatore da 10 colpi… e se non sbaglio lei li ha già sparati tutti… giusto?

Aiden rimase in silenzio.

- Adesso la prego, Professore, getti l’arma. – disse Diana, uscendo allo scoperto e puntando la pistola contro l’uomo.

Aiden gettò l’arma a terra, come chiesto dall’interlocutrice e pose le mani verso l’alto. Avrebbe voluto girarsi per controllare se Roy fosse al sicuro, ma von aveva la possibilità di muovere nemmeno un muscolo.

- Avanti ragazzo, esci fuori! Non vorrai mica che tuo padre si becchi un paio di pallottole in capo, no?! – gridò la donna cercando il biondo con lo sguardo.

- Roy, non uscire! Scappa e basta!

- Oh, ma che cazzo, faccia silenzio! – disse infastidita, sparando un colpo sul piede dell’uomo.

Aiden si piegò a terra dal dolore, gemendo.

- Il prossimo gli va in testa! Ti do dieci secondi, ragazzino!

Roy sudava freddo, paralizzato dalla paura.
Non sapeva cosa fare, era la seconda volta che si sentiva terrorizzato di fronte a quella donna.

- Dieci… nove… otto… sette…

Più Diana parlava, più il sangue ribolliva nelle vene del ragazzo. L’adrenalina stava per invadergli tutto il corpo.

- Tre… due… uno…

- Ferma! – Gridò Roy saltando fuori da dietro un albero.

- Troppo tardi, moccioso… - disse, premendo il grilletto.

Il tempo sembrava come se si fosse fermato, nella frenesia la benda era scivolata via dalla faccia del ragazzo, scoprendogli l’iride arancione incandescente.
Le sue pupille si muovevano rapide ad analizzare la situazione. Sentì i muscoli spingere verso l’esterno, come se volessero liberarsi dalla morsa della pelle.
Tese una mano verso il padre, nell’invano tentativo di afferrarlo per salvarlo dalla morte.

- Papaaaaaaaaaaaaà!

Un grido disperato precedette un boato assordante.
Un’enorme onda d’urto si liberò dal palmo della mano di Roy, deviando il proiettile che era arrivato a pochi centimetri dal padre, scaraventando poi con violenza la donna contro la sua Mercedes.
Il corpo del ragazzo era coperto da linee incandescenti, le vene sulle sue mani si erano gonfiate, parendo quasi sul punto di esplodere. Ansimava lui, mentre cercava di contemplare ciò che era appena accaduto. Di colpo riprese la lucidità, precipitandosi verso il padre ferito.

- Papà! Stai bene?!

- S-sì… ma tu… cosa…?

- Non lo so… Dobbiamo andarcene da qui, ce la fai a camminare?

- No, non riesco a reggermi in piedi.

- Appoggiati a me.

- Roy, sono troppo pesante… non ce la puoi fare…

- Papà. Non ti lascio qua con quella psicopatica, ti porto io.

- Ma, Roy… - Aiden non fece in tempo a finire la frase che venne improvvisamente caricato in spalla dal figlio.

- C-come fai a sollevarmi così?!

- Non ne ho idea, è come se stessi sollevando del polistirolo… non so come spiegare.

- Poco importa adesso. Andiamocene, prima che quella stronza si svegli!

- Sì. – annuì il ragazzo, iniziando a correre a una velocità improbabile per un sedicenne con in spalla un uomo.

Aiden guardò il ragazzo per qualche secondo, mentre veniva trasportato velocemente verso casa. Improvvisamente strinse il figlio, poggiandogli la testa sulla spalla.

- Ho avuto paura… ho rischiato di perderti una seconda volta…

Il ragazzo sorrise – Non mi sarei mai perdonato se ti avessi lasciato andare… siamo entrambi vivi per miracolo…

- La scusa dell’influenza non basterà più per tenere mamma all’oscuro… - disse l’uomo, sbuffando una lieve risata, che subito si unì a quella del figlio.
 
Diana si svegliò dolorante. Giaceva seduta a ridosso della Mercedes, con una scia di sangue che le partiva dalla fronte. Tossì tre volte, prima di tentare un lieve movimento delle braccia. Il dolore era infernale, le ossa delle braccia erano completamente fratturate, così come un paio di vertebre.

- Gaaah! – urlò, cercando di spostarsi di lato. Con uno sforzo enorme riuscì ad attivare l’auricolare, cadendo poi nuovamente a terra. - C-chiedo… so-so-soccorso… la… mi-missione è… fallita… - disse prima di perdere i sensi.

La zona dello scontro era deserta, trovandosi in mezzo alla strada di campagna che separava il quartiere residenziale dal quartiere scolastico.
I cadaveri delle due macchine facevano compagnia al corpo esanime della donna, mentre una leggera neve iniziava a coprire i dintorni.

Passò mezz’ora prima che una figura maschile si presentò di fronte a Diana.
Era un ragazzo giovane, dai capelli castano-biondi e dalla corporatura atletica e robusta. Prese la donna in braccio e lentamente si diresse verso il furgone che lo aveva precedentemente portato sul luogo.

- Signore, ho recuperato Diana. Ci avviamo verso la casa di Steinberg. – disse il ragazzo con tono apatico.

Una voce impartì un ordine dall’auricolare del ragazzo:
“No, tornate alla base. Se sono riusciti a mettere fuori gioco Diana non possiamo permetterci di rischiare ulteriormente. Ritiratevi.”

- Sissignore, ci dirigiamo allora al quartier generale. Chiudo. – disse, facendo poi una smorfia mentre spegneva l’auricolare.

- Come cazzo hanno fatto a ridurla così…? – disse poi, carezzando lievemente il corpo della donna. – Drake, metti in moto, andiamo alla base. – ordinò infine all’autista.
 
Roy aprì velocemente la porta di casa, fiondandosi in salotto e poggiando delicatamente il padre sul divano.
Non aveva provato la benché minima fatica durante il tragitto e si sentiva carico di energia.

- Portami al laboratorio, devo sistemarmi il piede e poi voglio farti un paio di analisi.

- Ma papà… non sarebbe meglio riposare?

- Non abbiamo tanto tempo, gli uomini del laboratorio stanno arrivando. Posso parlare dell’aggressione, ma se scoprono del Void siamo nella merda.

- V-Va bene...

Il ragazzo eseguì l’ordine del padre, portandolo in spalla fino al laboratorio, lasciandolo poi sedere su una delle sedie del bancone centrale, ancora mezzo distrutto dall’esplosione.

- Passami la valigetta nera e verde nel quarto armadio, per piacere. – chiese l’uomo, tirando poi fuori da uno sportello una sorta di pistola.

Il biondo passò ad Aiden la valigetta. L’uomo vi estrasse un’ampolla di vetro, contenente una strana sostanza grigia, collegata con dei tubi a un piccolo macchinario.
Collegò la pistola alla pompa principale e avviò il programma della macchina.
Si scoprì poi il piede ferito, gemendo per il dolore. Dopo che la macchina fece un segnale acustico, Aiden puntò la pistola verso il piede e premette il grilletto, rilasciando uno spray di particelle grigie sulla ferita. Gemette nuovamente, mentre le particelle cominciavano a ricostruire i tessuti interni del piede, cicatrizzando lentamente la ferita.

- C-cos’è quello?! – chiese stupito il ragazzo, assistendo a quella magia.

- È la mia ultima ricerca completata, una serie di nano-bot organici che permettono di ricostruire i tessuti danneggiati. Applicano tuttavia solo una cura primaria, ciò comporta il doverli utilizzare più volte per poter ricostruire i tessuti. Inoltre, si adattano a qualsiasi paziente perché vengono ignorati dal sistema immunitario.

- Come hai fatto ad alimentarli seguendo l’energia di legame necessaria?! Con i miei nano-bot sono arrivato a un punto cieco.

- Ho fatto in modo che oltre al nano-bot siano presenti degli zuccheri ad alto contenuto energetico, è l’unico modo che ho trovato… beh… oltre al possibile utilizzo del Void…

- Avevi in mente di unire le due ricerche?!

- Sì, ma non mi sarei mai aspettato che il Void a contatto con una nano-tecnologia e il corpo umano avrebbe reagito così… Ora dobbiamo essere cauti, quella donna era a conoscenza del nome della mia ricerca, ciò vuol dire che non mi stavano semplicemente spiando, hanno preso anche i risultati delle mie ricerche e i file che tenevo nascosti… se il Void finisse nelle mani sbagliate sarebbe un disastro… potrebbe diventare un’arma.

- Cosa facciamo adesso?

- Per il momento dobbiamo lasciarlo dentro di te, hai generato un’onda d’urto prima, se riuscissi a controllare una cosa del genere potresti difenderti mentre io cerco una cura…

- E se ci scoprono?

- Non ci scopriranno. Ora però siediti vicino a me e dammi il braccio.

- Huh?

- Ho notato che l’attività del Void aumenta all’aumentare dell’adrenalina, se le due cose sono collegate basta iniettare una sostanza inibitoria per tenerlo sotto controllo. Questa è una molecola simile alla morfina, non è pericolosa e agisce in modo più graduale. Ecco… - disse l’uomo, rimuovendo la siringa dal braccio del ragazzo e coprendo il piccolo foro con un cerotto.

- Vai a sdraiarti a letto, dormirai per circa un paio d’ore prima che la morfina esaurisca il suo effetto.

- Tu cosa farai nel frattempo?

- Cercherò di spiegare agli uomini del laboratorio cosa è successo. Dirò loro che il target di quei tizi è la mia nuova ricerca sull’esoscheletro per la riabilitazione motoria, è una ricerca estremamente delicata anche quella, dubito che provino qualche sospetto.

- Va bene, riesci a camminare da solo?

- Adesso sì, grazie Roy. Aspetta, ti accompagno. – disse l’uomo, facendo un lieve sforzo per alzarsi. Il dolore al piede si era affievolito molto, permettendogli di camminare da solo.

Aiden aspettò che il figlio si addormentasse, prima di sdraiarsi esausto sul divano in attesa che gli uomini della sua compagnia arrivassero.

- Se il Karma mi sta facendo passare tutto questo… devo aver combinato qualcosa di veramente grosso… - disse, sbuffando.

Qualche minuto dopo il cellulare squillò, Aiden si alzò dal divano e si diresse verso l’ingresso.
Aprì la porta e si trovò davanti un ragazzo piuttosto giovane, moro con occhi castani e un leggero filo di barba che gli decorava il viso.

- Professor Steinberg, sono Axel Klein. Mi hanno mandato per assisterla.

- Certo, prego si accomodi. – rispose il biondo, facendo cenno al ragazzo di seguirlo.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Il freddo dei vicoletti della periferia di Berlino penetrava nelle ossa di quel bambino castano, seduto sul ciglio di quella stradina, accanto a un bidone arrugginito, stretto nelle sue stesse braccia. Di fronte a lui il cadavere della madre, le spoglie di una donna provata dalla fame, dalla violenza del ghetto, una violenza a cui non ci si poteva sottrarre. La veste strappata della donna era intrisa del suo sangue, le mani, ormai pallide, parevano tendersi verso il figlio, non riuscendo tuttavia a raggiungerlo, accasciate così al suolo.
Un ruscello di sangue scorreva tra il rovinato asfalto di quella viuzza, donando a uno sciame di mosche un macabro pasto. Un paio di topi avevano incominciato già a scavare nella carne della donna, strappando via la pelle logorata dalle bugne che la ricoprivano, un fetido odore si spargeva nella malata aria di quella periferia.
Non una parola, non un gemito, nulla riuscì a uscire dalla bocca del ragazzino mentre sua madre veniva pestata a sangue, davanti ai suoi occhi. Era paralizzato, dalla paura, dal dolore, dall’odore della morte.
La donna era costretta a prostituirsi, vendere quel corpo logoro e fragile per racimolare quei due soldi che le permettevano di far mangiare il figlio. Lei non si ribellava, non controbatteva mai, ne contestava le richieste dei suoi sporchi clienti: criminali, tossici, spacciatori. Aveva conosciuto l’amore, o così aveva creduto che fosse, prima di venir abusata, violentata e abbandonata dall’uomo che credeva di amare.
Suo figlio era il frutto di tale violenza, l’indelebile conseguenza di quello stupro che sette anni prima le aveva demolito la vita. La donna però non riusciva a odiarlo, tanto era attaccata alla vita. Suo figlio era la sua vita e lo avrebbe difeso a costo di morire.
Per difenderlo avrebbe fatto di tutto, come quella sera alla fine di una fredda giornata di febbraio. Per la prima volta si era opposta a un cliente, lottando con tutte le sue forze per far scappare il figlio dall’orribile destino che lo attendeva. L’uomo non si sera accontentato del corpo della donna e aveva preteso di stuprare anche il bambino. La donna assalì quell’uomo depravato, graffiandolo e urlando al figlio di scappare, prima di venir massacrata di botte.
Il bambino grondava di lacrime, stringendosi a sé il più forte possibile. Non aveva il coraggio di guardare il corpo della madre, non aveva il coraggio di guardare la realtà, non aveva il coraggio di accettare il fatto di essere rimasto solo.
La notte era ormai avanzata, il freddo si era fatto sempre più intenso, facendo perdere la sensibilità ai piedi nudi del bambino, divenuti ormai viola. Tremava. Tremava accasciato a quel lurido bidone, l’unica cosa a sorreggere il peso del suo corpo moribondo.
Sentì dei passi avvicinarsi a lui, un rumore lento e costante, pareva facesse tremare l’asfalto del vicolo. Un colpo di vento fece precipitare l’ambiente di nuovo nel macabro silenzio di quella malata periferia.
 
- Dicono che il progresso sia inevitabile… - una voce maschile stroncò quel silenzio.

- L’uomo è in costante sviluppo, cerca sempre qualcosa di più dal mondo, dalla vita… - Continuò – Ma il progresso è veramente qualcosa di adatto all’uomo? Siamo nel 2075, a Berlino, una delle città più moderne del mondo… eppure… eccomi qua, a guardare l’orrore che il progresso ha scatenato nei luoghi poveri di questa città.
Il bambino, colto da un improvviso terrore, alzò di scatto lo sguardo, incrociando le iridi gelide dell’uomo. Rimase ipnotizzato, pietrificato da quegli occhi.

- Era tua madre? - lui annuì, quasi spontaneamente.

- L’hai vista morire, vero? - il piccolo annuì nuovamente.

- Avresti voluto fare qualcosa? Ma ti sei sentito impotente, mi sbaglio? - Il castano scosse lentamente la testa. - Impotente… il potere… il meccanismo che fa girare il mondo… - L’uomo si chinò verso il bambino – Il potere è ciò che distingue una persona dalla massa, è ciò che definisce chi ha il compito di governare questo mondo. Il progresso è il più grande potere dell’uomo, il progresso ha dato il potere all’uomo di creare ciò che Dio non ha creato per lui, il progresso è ciò che ha il potere di espandere e distruggere la società. Nella vita ci sono persone che nascono col potere, altre persone invece hanno la possibilità di ottenerlo.
Il bambino, colto da un istinto irrefrenabile, tese una mano verso l’uomo. Lui la strinse delicatamente, senza distogliere lo sguardo da quelle spente iridi celesti.

- Tu, ragazzino, sei nato senza il potere. Nel momento del bisogno non hai avuto il potere. E adesso, quando pensi che tutto sia finito, quando non vedi la luce alla fine del tunnel, hai una possibilità. Io sono la tua possibilità. Vieni con me, e ti darò il potere di cambiare il tuo mondo, di cambiare il mio mondo, di cambiare… il mondo!
Il bambino smise di piangere, gettandosi senza esitare tra le braccia dell’uomo. Il calore che sentì in quel momento gli si impresse nella mente, donandogli una nuova ragione per vivere. L’uomo avvolse il ragazzino nel suo cappotto, prendendolo poi in braccio. - Nella lingua latina c’è un modo di dire: Deus ex machina, significa “colui che compare per risolvere un problema”. Il mondo ha bisogno di un Deus ex machina e io voglio essere tale persona. Questo mondo è pieno di gente che ha il potere e non lo usa nel modo corretto, e questo è il più grande problema del mondo. Problema che io dovrò risolvere, ma non da solo, avrò bisogno del tuo aiuto. Ce l’hai un nome, ragazzino?

- Aren… Aren è il mio nome…
 
Aren… 

Aren…
 
- Aren! – il ragazzo aprì gli occhi, scosso dalla fastidiosa voce che lo stava chiamando.

- Bella addormentata, il capo ti vuole, ha una missione per te.

- Vaffanculo, Drake. Digli che sto arrivando… - rispose il castano, alzandosi dalla brandina e facendo scrocchiare le spalle.

Il ragazzo guardò le fredde pareti di quella stanza: erano grigie, il grigio era l’unico colore che prevaleva, nient’altro che grigio.
Grigie le pareti, grigie le brandine, persino il soffitto era di quell’inutile colore. Nonostante il suo essere introverso e freddo, Aren era una persona a cui i colori piacevano e quell’ambiente spento e apatico lo metteva a disagio.
Il castano indossò rapidamente la sua felpa nera, coprendo così il suo torace costellato da cicatrici. Aveva deciso di strappare le maniche, voleva poter muovere le braccia liberamente e voleva poter sentire il vento bagnarli le spalle.
A passo svelto si diresse verso i piani più alti dell’imponente edificio, entrando in un ascensore che poteva essere aperto solamente tramite scansione della retina. Le pareti dell’ascensore erano dello stesso grigio della sua stanza e ogni volta che ci entrava, si sentiva disgustato.

- Questa base fa schifo… perché non siamo rimasti a Berlino invece di andare in America…? – sbuffò, pigiando il bottone dell’ultimo piano, facendosi scansionare nuovamente la retina.
Le porte si spalancarono, gettando il ragazzo in un enorme salone arredato in stile moderno. Le pareti erano coperte da dipinti in stile vaporwave, a ridosso di ciascuna delle pareti, una coppia di statue in marmo sorreggeva un enorme scudo. Al di sopra del portone che separava l’ampio spazio dall’ufficio del capo, era appeso un rigoglioso stendardo, verde, con uno scudo nero e un artiglio rosso inciso in esso. Al di sopra dell’egida, spiccava la scritta “Ægis”; al di sotto, invece, richiamava l’attenzione un motto: “Deus ex machina”.
Al suo ingresso, Aren si trovò di fronte all’immenso attico del palazzo, ornato da una vetrata che copriva l’intera parete. Ai lati, due enormi acquari ricchi di rarissime specie tropicali completavano lo spazio, tanto grande da risultare quasi soffocante. Quei pesci lo affascinavano ogni volta che entrava in quella stanza, perso nei suoi colori: le movenze lente di quelle eleganti e sgargianti creature lo facevano rilassare.

- Ti sono sempre piaciuti, anche quando eri piccolo. Rimanevi a fissarli per ore. - una voce maschile attirò la sua attenzione.

- Sono l’unica cosa colorata in quest’ammasso di metallo.

- Non sembri così sentimentale da fuori…

- Qual è la missione? – lo interruppe il ragazzo.

- Dritto al punto come sempre… - l’uomo si schiarì la voce – L’obbiettivo è la Eisenhauer Technology, a Berlino. I nostri infiltrati ci hanno fornito informazioni sul completamento del progetto “Brain-Motion-Muscular-Device”, dobbiamo impossessarcene subito.

- A cosa stai puntando?

- A un esercito dotato di questi supporti, a cui il mondo non potrà che obbedire. Solo così posso risanare il mondo da chi fa cattivo uso del potere.

- E l’obbiettivo di Diana? È collegato a questa tua ambizione?

- Oh… quello è il filo conduttore che legherà insieme tutti gli elementi. Sarà il fulcro di una nuova umanità. – disse, alzandosi e raggiungendo il ragazzo, fermandosi accanto a lui con lo sguardo rivolto verso il portone.

- A volte mi chiedo se riuscirai mai a completare questa follia.

- Non senza il tuo aiuto… il vostro aiuto. – l’uomo posò la mano sulla spalla del ragazzo.

- Mi hai dato un motivo per andare avanti e mi hai promesso che cambierai questo mondo, farò qualsiasi cosa per farti mantenere la promessa.

- Conto su di te allora.

- Fammi preparare l’equipaggiamento e il jet, partirò il prima possibile.

L’uomo annuì e sorrise, seguendo con lo sguardo il ragazzo che lasciava la sala.

- Sei più importante di quanto tu possa immaginare, Aren… sei una pietra ancora grezza, ma quando arriverà il momento, splenderai come una gemma, gemma incastonata nella mia corona… - disse, tornando alla scrivania a fissare lo splendido panorama di Queen City al tramonto.
 
Queen City, villa dei Steinberg.
 
Axel prese posto sul divano, invitato dal gesto di Aiden, rimanendo in un silenzio ambiguo.
Il biondo osservava il ragazzo, in attesa di una sua parola, analizzandolo con veloci movimenti delle pupille.

- Professor Steinberg…

- S-sì?

- Vede... non sono venuto qua solo per difenderla, ma anche per cercare di far luce su una cosa che ci risulta un po' strana... ecco...

- D-di cosa sta parlando?

- Professore… mi può spiegare per quale motivo un biologo, anzi mi correggo, un biochimico esperto di nanotecnologie a un certo punto abbia deciso di interessarsi a fenomeni astronomici e geologia?

Aiden rimase in silenzio.

- Che cosa stava cercando Lei nel luogo dell’impatto della pioggia di meteore del 2046?

- Le mie ricerche non sono vostra competenza, o sbaglio? – rispose titubante il biondo.

- Professor Steinberg, La prego di collaborare. Non ha idea del pericolo che sta correndo in questo momento.

- Come posso fidarmi di voi?

- Il Void, era quello l’obbiettivo del gruppo che l’ha attaccata?

Aiden impallidì.

- C-come fai a sapere…?

- So molte cose, Professore. Ma non deve preoccuparsi, sono dalla sua parte, mi creda.

- Cosa sai esattamente sulla mia ricerca?

- Quello che Lei ha scoperto, nulla di più, nulla di meno.

- Quindi…

- Sappiamo anche che il Void è nel ragazzo, sì.

- Chi siete esattamente?

- Tecnicamente siamo suoi colleghi, Professore. Apparteniamo anche noi alla Eisenhauer Technology, ma non compariamo in alcun registro. Siamo una divisione facente parte dei servizi segreti Nato, ci facciamo chiamare Anonymous Asset. Il nostro compito è preservare la sicurezza delle ricerche della Eisenhauer Technology e di tutte le principali compagnie per evitare che vengano rubate e impiegate per scopi bellici da associazioni criminali.

- Chi vi comanda?

- Non posso rivelarle la sua identità, sarebbe troppo rischioso per entrambe le parti. Posso solo dirle che il nostro direttore si cela dietro lo pseudonimo “Gea” e coordina tutte le operazioni a noi assegnate.

- Mia moglie sa della vostra esistenza? – chiese Aiden, sempre più incredulo.

- No, l’amministratrice delegata D’Arco non è a conoscenza della divisione, ed è nel nostro interesse che rimanga all’oscuro della nostra esistenza, per evitare di metterla a rischio.

- Immagino sappiate anche chi è stato ad aggredirmi e a tentare di sottrarmi le ricerche.

- L’unica informazione che conosciamo è il nome di questa organizzazione: “Ægis”. Sospettiamo abbiano degli infiltrati nelle sedi della Eisenhauer Technology, ma non abbiamo altre informazioni a riguardo.

- Ægis… Come hanno fatto a venire a conoscenza del Void?

- Probabilmente hanno una talpa anche nell’Anonymous Asset, abbiamo aumentato i controlli dopo l’ultimo attacco.

- Come avete intenzione di agire ora che mi avete messo a conoscenza di tutto?

- Innanzitutto, vogliamo difendere il ragazzo, abbiamo analizzato i dati da lei raccolti e siamo pronti a fornirle il supporto per avanzare nella ricerca.

- Dove lavorerò?

- Le sistemeremo il suo laboratorio e le forniremo assistenza tecnica e sorveglianza a ventiquattro ore.
Il biondo sospirò, stringendo i pugni.

- Come intendete usufruire della mia ricerca?

- Come le ho spiegato, la nostra organizzazione mira a eliminare le potenziali minacce causate dallo sfruttamento delle nuove tecnologie in campo bellico. Il ragazzo possiede un potere ancora ignoto e se tale potere finisse nelle mani sbagliate si rischierebbe lo scoppio di una guerra.

- Ho motivo di pensare che non vi limiterete a tenerlo semplicemente d’occhio, mi sbaglio?

- Con le sue ricerche avremmo la possibilità di trasformare il potere di suo figlio in uno strumento di difesa…

- So dove vuole arrivare, non ho intenzione di trasformare la mia ricerca in un’arma. La mia scienza serve a curare le persone, serve a garantire all’uomo tecnologie sempre più all'avanguardia e utili alla sua salute. Io creo soluzioni, Agente Klein, non armi.

- La sua ricerca avrà l’obbiettivo di difendere, non di offendere. La prego, deve unirsi a noi.

- Perché dovrei rischiare così tanto? Si tratta della vita di mio figlio dopotutto.

- L’attacco al suo laboratorio, la morte delle guardie del corpo che le avevamo affidato, i continui attacchi informatici alla sede di Berlino, sono parte di qualcosa di più grande.

- Attacchi alla sede di Berlino?

- Esattamente, dieci negli ultimi tre giorni. Sono stati trafugati dati su diverse tecnologie ancora in prototipo.
Aiden divenne leggermente pallido in volto.

- È questione di giorni prima che arrivino al Void. Ci hanno provato due volte, non credo siano intenzionati a fermarsi. La supplico, Professore, ci aiuti…

- Dobbiamo aiutarli, papà! – la voce del ragazzo spezzò bruscamente la tensione che si era creata tra i due uomini, generando un lieve sgomento in entrambi.

- Roy… - disse l’uomo, guardando il figlio.

- Le tue ricerche hanno salvato milioni di vite, non puoi lasciare che vengano usate come armi. Non mi importa se dovrò diventare io stesso un’arma, finché potrò difendere il tuo lavoro.

- Le tue parole sono importanti, ragazzo. La decisione in fondo spetta a te… – disse Axel, con gli occhi carichi di speranza e il fiato sospeso.

- Papà.

- La tua determinazione mi spaventa, Roy. Ma se i miei lavori sono così importanti per te, non posso rifiutare.

- Vi ringrazio, non avrei saputo cosa fare senza il vostro aiuto…

- Vi aiuteremo, ma dovete garantirmi che la mia famiglia non corra rischi. Oltre a noi dovete difendere mia moglie e mio figlio minore.

- Sarà fatto. Esaudiremo ogni sua richiesta, glie lo posso garantire. – disse, stringendo la mano del professore. – Mi permetta di presentarmi ufficialmente allora: mi chiamo Axel Klein, comandante e supervisore di tutte le operazioni della divisione Anonymous Asset. Vi ringrazio ancora per aver accettato un incarico così importante, Professore, Roy. – continuò, stringendo poi la mano al ragazzo scambiando uno sguardo con Aiden.

- Spero di potervi essere utile.

- Il vostro contributo sarà fondamentale, ve lo assicuro.
 
Berlino, Caveau della Eisenhauer Technology, quella notte.
 
Aren era nella stiva del jet, stretto in una tuta alare in nano-tessuto aereodinamico, completamente nera, pronto a saltare verso l’obbiettivo.

- Due minuti al contatto! – Avvisò il pilota, dagli altoparlanti nel caso della tuta.

- Inizia ad aprire lo sportello.

- Sportello posteriore in apertura. Standby.

- Rattlesnake, pronto al lancio.

- Raggiunto il punto di contatto, Rattlesnake, lancio! – ordinò il pilota, virando leggermente per aiutare il ragazzo a lanciarsi.

Aren si gettò in picchiata verso il caveau nascosto all’interno di una base militare nei pressi di Berlino. La tuta, modificando la propria morfologia, permetteva al ragazzo di mantenersi stabile.

- Rattlesnake, stai per entrare nel raggio d’azione dei radar. – lo informò Drake, dalla base mobile a qualche chilometro di distanza.

- Ricevuto. – rispose, attivando il sistema di occultamento della tuta, diventando così invisibile ai detector delle difese aeree.

- Contatto con l’obbiettivo previsto fra un minuto, chiudo le comunicazioni.

- Ricevuto. Ti aspettiamo al punto di raccolta fra tre ore. Buona fortuna, Rattlesnake.

Il ragazzo portò le braccia a sé, accelerando la caduta verso la sua destinazione. Due minuti dopo era in posizione di fronte al terzo ingresso di quella fortezza, nascosto dietro lo sbocco di uno dei condotti di areazione.
Gli erano bastate le tre ore di viaggio per imparare la planimetria dell’intero complesso, comprese posizioni di telecamere, sistemi di difesa e posizione delle guardie. La struttura era immensa, divisa in sette piani, ognuno di essi separato da un condotto attraversabile solamente tramite una piattaforma mobile.
Ogni condotto prevedeva tre porte di massima sicurezza, attraversabili solamente con un pass e un codice a 45 cifre che cambiava a intervalli di 5 ore. Su ogni piano erano distribuiti sistemi di difesa a puntamento, dotati di sensori di movimento, vibrazione e variazione di luce.
Ogni settore era dotato di dieci guardie fisse e sette guardie in movimento che seguivano uno schema di movimenti scelto giornalmente. Le guardie avevano l’ordine di sparare a vista, mantenendo la posizione in attesa dei rinforzi, inoltre i loro parametri vitali erano monitorati da un’intelligenza artificiale che era in grado di percepire ogni minimo cambiamento.
A una qualsiasi squadra specializzata la missione sarebbe sembrata impossibile, ma Aren era il miglior agente che l’Ægis potesse disporre, assieme a Diana era capace di infiltrarsi nei luoghi più impenetrabili del pianeta senza lasciare traccia del suo passaggio. Il ragazzo era stato sottoposto a un addestramento speciale di dieci anni, aveva trasformato il suo corpo in una silenziosa e letale macchina da combattimento, capace di utilizzare ogni tipo di arma e di combattere in ogni possibile situazione.
Quella missione era forse la più complicata che gli fosse mai stata assegnata, ma non aveva dato il minimo cenno di tentennamento e con una lucidità mentale disumana aveva elaborato uno schema perfetto, senza margine d’errore.
Aren, inoltre, era equipaggiato di gadget all’avanguardia: nanotecnologie in grado di disabilitare i più complessi sistemi elettronici e informatici, simulatori di condizioni vitali, nano-tossine e sistemi di occultamento, un arsenale praticamente infallibile.
Con un rapido movimento, il ragazzo si catapultò in uno dei condotti d’areazione, lanciando un disturbatore magnetico per disabilitare i vari sensori.
Silenzioso come un felino sgattaiolò verso una delle porte che conducevano al condotto per accedere ai piani inferiori.
Aveva scovato una falla nelle tempistiche di apertura e chiusura delle porte per il passaggio delle guardie, una finestra di tre secondi per muoversi nel punto cieco delle due telecamere e della guardia. Avrebbe dovuto attivare il disturbatore di sensori nell’esatto momento in cui la tessera della guardia avrebbe lasciato la guida della serratura, per poi applicare il simulatore di condizioni vitali e neutralizzare la guardia, senza innescare la reazione dell’intelligenza artificiale.
Inspirò profondamente e si gettò verso la guardia, compiendo le azioni programmate sincronizzandosi al nanosecondo. Una volta superata la prima delle tre barriere, sparò dal bracciale il simulatore, colpendo precisamente il punto indicato dal suo visore e con un’agile capriola aerea torse il collo della guardia, uccidendola sul colpo.
La procedura funzionò per ogni porta fino al quinto piano, dove dovette fermarsi per elaborare una nuova strategia.
Non aveva molto tempo prima che le guardie si accorgessero dei colleghi privi di vita, di fatto non erano presenti luoghi dove poter nascondere i corpi. Le sue iridi celesti analizzavano rapide l’ambiente circostante, nella sua mente un percorso ben preciso stava prendendo forma. Il tempo che aveva stimato per agire era a malapena una manciata di minuti e qualche secondo, in questa finestra di tempo avrebbe dovuto penetrare la sicurezza degli ultimi due livelli, iniettare il nano-virus all’interno degli archivi e uscire. Una volta fuori avrebbe dovuto attendere lo stato di massima allerta per attivare il suo asso nella manica: un disturbatore in grado di mettere fuori uso per un minuto l’intero caveau.
Doveva spaccare il secondo, razionando l’ossigeno di ogni respiro per massimizzare l’efficienza dei suoi movimenti.
Con mosse disumane, si posizionò nel punto cieco delle due telecamere, attendendo l’arrivo della guardia di turno.
Questa volta, fu doppiamente rapido nel neutralizzarla e fu lui stesso ad aprire la porta con la chiave magnetica. Era finalmente giunto al sesto livello, l’ultimo prima di poter accedere all’archivio della grande società. Il sistema di occultamento della sua tuta lo aveva mascherato fino ad allora, ma non sarebbe durato ancora a lungo.
Attenendosi allo schema, neutralizzò tutte e sette le guardie in movimento del piano, ottenendo così le sette tessere necessarie ad accedere all’ultimo piano.
Una volta all’interno dell’archivio, sparò un ago in una delle porte d’accesso di uno dei molteplici server in quella camera.
Uscì dalla sala e col labiale contò gli ultimi secondi prima dell’attivazione dell’allerta totale del caveau. Tutte le porte si sigillarono, ogni possibile armamento celato nelle pareti fuoriuscì in cerca del bersaglio, una serie di squadre d’assalto stavano scendendo per neutralizzare il ragazzo. Era il caveau della società che lavorava in collaborazione con i governi di centodue paesi del mondo, dopotutto, una difesa simile non avrebbe potuto aspettarsela da nessun altro luogo.
Repentino, Aren disattivò il sistema di occultamento, spostando tutta l’energia della tuta nel sistema di combattimento. Nell’esatto istante in cui il cronometro nella sua testa raggiunse lo zero, Aren attivò il disturbatore, facendo piombare l’intero complesso in una fase di stallo.
Iniziò il conto alla rovescia nella sua mente, saltando agilmente lungo i binari verticali delle piattaforme, eliminando ogni guardia che gli si presentava davanti grazie alle armi da taglio a incandescenza in dotazione alla tuta.
Dopo un minuto, la luce tornò a illuminare i bianchi corridoi del caveau, macchiati ovunque del sangue delle innumerevoli guardie che giacevano morte al suolo. Un mosaico di corpi e armi ornava quell’ormai profanata fortezza, vittima del colpo di un fantasma.
A sei chilometri dal caveau, un jet a decollo verticale trasportava via Aren, che nel frattempo si era levato la tuta ormai scarica, rimanendo con le spalle nude a ridosso del freddo metallo della macchina.

- Sei fenomenale cazzo, una missione del genere sarebbe stata impossibile per chiunque altro. – disse incredulo Drake, tirando un leggero pugno alla spalla del compagno.

- Ti ringrazio… anche se ho rischiato di mandare tutto a puttane all’ultimo…

- Perché, che è successo?

- Ho fatto male i calcoli e la tuta ha esaurito l’energia un piano più in basso del previsto.

- L’importante è che tu ce l’abbia fatta, il nano-virus mi ha già trasmesso tutti i dati che mi servivano. Non si accorgeranno nemmeno di essere stati derubati.

- Base, qui Plague. Abbiamo estratto Rattlesnake, missione compiuta. Invio i dati al laboratorio centrale, chiudo. – disse infine, chiudendo la chiamata con la base operativa.

- Cosa vuole farci il comandante con questa tecnologia?

- Ha detto di volerla subito collaudare, per poterla modificare il prima possibile.

- Chi sarà la cavia?

- Ha detto che ha trovato la persona perfetta, ecco… - disse, mostrando al castano un file.

- Clint Mills… chi è?

- Non lo so, il comandante mi ha incaricato di prelevarlo appena rientriamo. Ha detto che è strettamente collegato con l’obbiettivo di Diana.

- Il figlio di Steinberg?

- Esattamente.

- Buona fortuna allora. Se permetti ora ho bisogno di chiudere gli occhi, ho il corpo a pezzi.

- Vuoi che ti canti la ninna nanna, fiorellino?

- Fottiti. – rispose secco, chiudendo gli occhi.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Quella mattina Aren fece fatica a svegliarsi, disturbato da un dolore immenso, diffuso in ogni parte del corpo. Si alzò e tentò di stirarsi, rinunciando però a causa dell’enorme quantità di acido lattico nei muscoli.

- Dormire sul jet è stata una pessima idea… - disse, tastandosi le spalle e sbadigliando.

Si guardò allo specchio: aveva i capelli spettinati e gli occhi ancora socchiusi.
Come ogni mattina, il suo sguardo cadeva sul tatuaggio sul suo fianco: un drago che con le sue spire si faceva spazio fra le diverse cicatrici che macchiavano il corpo del ragazzo. Ripensò a quando se lo era fatto tatuare, aveva tredici anni allora, fu la sua richiesta per il compleanno.
Il compleanno, una cosa stupida, pensava, priva di senso.
Quello fu l’unico regalo che chiese in tutta la sua vita, solo perché lui aveva insistito per regalargli qualcosa. Nonostante l’età, la richiesta non aveva suscitato nessuna reazione nell’uomo. Quell’aspetto di lui dava fastidio ad Aren, non riusciva mai a capire cosa stesse pensando, cosa volesse fare, cosa stesse provando. La persona che lo aveva salvato era rimasta lo sconosciuto che si presentò di fronte a lui quel giorno, un libro chiuso, con un titolo aperto, dalle mille possibili interpretazioni.
Il ragazzo riprese subito coscienza, riemergendo dai suoi pensieri. Mosse il collo, sentendolo scrocchiare rumorosamente. Rabbrividì.
Indosso una delle sue felpe, del suo colore preferito: nero. Aren amava il nero, affascinato da come i colori, così vivi e luminosi, potessero unirsi in un qualcosa di così scuro, omogeneo, perfetto.
Si diresse verso l’infermeria del plesso, bussando poi alla porta del suo medico personale.

- Permesso… - disse, entrando.

- Aren, ragazzo mio, buongiorno. – rispose l’uomo col camice – Cosa posso fare per te? – chiese poi, alzandosi dalla scrivania.

- La missione di ieri mi ha fatto a pezzi, ho il corpo bloccato.

- Fammi vedere… - disse, tastando i vari muscoli del torace del ragazzo. – Già, è tutto rigido. Cosa hai fatto?

- L’impossibile, non saprei spiegarglielo…

- Dovresti andarci più leggero, ragazzo mio. È vero che sei addestrato per resistere a qualsiasi cosa, ma comunque al tuo corpo sforzarsi troppo non fa bene.

- Cosa può fare?

- Per adesso posso solo consigliarti un bagno caldo, inoltre dovresti stare a riposo per un paio di giorni. - Aren fece una smorfia.

- Lo dico per il tuo bene, ti stai massacrando. Dovresti calmarti un po’ e riposare.

- Va bene… se non ho altra scelta, mi tocca ascoltarla…

- A proposito di stare meglio, Diana si è svegliata.

- Davvero?!

- Sì, ora è fuori pericolo, ma deve rimanere assolutamente ferma. Il suo corpo è ridotto male.

- Posso andare da lei?

- Sì, ma non trattenerti troppo, ha bisogno di tutto il riposo possibile.

- Grazie, Signor Hammer.

- Figurati, ragazzo. Ci tengo alla tua salute. – disse, sorridendo, mentre si passò la mano sulla corta e ben curata barba.

Prima di uscire dallo studio, Aren rimase qualche secondo a osservare quella piccola camera: l’arredamento aveva un ché di rustico ma delicato, rendeva accogliente quel posto, facendo riaffiorare nella mente del ragazzo i ricordi delle prime volte che ci aveva messo piede. Le pareti erano decorate con curiosi dipinti antichi, probabilmente risalenti al Diciannovesimo Secolo, il Signor Hammer ne era appassionato. In quel caldo ambiente l’unica cosa gelida era la foto della famiglia del dottore, posta in una piccola cornice sulla scrivania. La moglie e la figlia erano morte in un incidente, lasciandolo solo. Nonostante Hammer avesse perso tutto, Aren non aveva mai visto alcun cenno di tristezza sul suo viso, solo un gran sorriso. Il ragazzo stimava il dottore, ammirava il come riuscisse a farsi scivolare addosso una tragedia come la sua, rimanendo solido come una roccia.

- Tutto bene, ragazzo?

- Uh? S-sì, oggi sono un po’ distratto. Sarà la stanchezza.

- Riposati, mi raccomando.

- Sissignore, arrivederci. – disse Aren, uscendo e chiudendo dietro di sé la porta di quel piccolo e rilassante studio.

Il ragazzo era impaziente, insolito da parte sua, ma quando si trattava di Diana era come se diventasse un’altra persona.
Precipitoso, corse verso la stanza della donna, ignorando il dolore che gli stava consumando le gambe. Aprì lentamente la porta, tornando immediatamente pacato come era suo solito essere.

- Permesso, disturbo?

- Aren… entra pure…

- Come ti senti? – chiese, sorridendo.

- Come se mi fosse crollato il mondo addosso… è un miracolo che io sia ancora viva…

- Riesci a ricordare cos’è successo? – chiese, avvicinandosi e sedendosi accanto al letto.

- Ho la mente un po’ annebbiata, ma ricordo che a un certo punto sono stata scaraventata via da quel ragazzino…

- Steinberg?

- Sì, ma non mi ha toccata… qualcosa è uscito dalle sue braccia… come… una forza… non so spiegare…

- Non sforzarti, il Signor Hammer ha detto che devi riposare il più possibile.

- È meglio non contraddirlo allora… - sorrise.

- Già… - ricambiò lui, sorridendo a sua volta.

Diana rimase a fissarlo per qualche attimo.

- Sei così carino quando sorridi, dovresti farlo più spesso. - Aren arrossì.

- N-non mi viene naturale…

- Mi sento fortunata allora. – rispose, facendosi scappare una risata. – Ahia… - gemette poi, disturbata dal dolore nel torace.

- Ehi, tutto bene?

- Sì, non dovrei ridere troppo, ho il torace ancora rotto…

- Forse è meglio se ti lascio riposare, dovrei farlo anche io…

- Hai esagerato in missione, vero?

- Non ho avuto scelta…

- A volte dovrebbe capire che anche tu hai dei limiti…

- Va bene così, ho solo faticato più del solito.

- Vieni qua. – disse, facendogli cenno di prenderle la mano. – Non strafare, ricordati che sei un ragazzo, non una macchina.

Aren si limitò ad annuire, sforzando un leggero sorriso.

- Adesso è meglio che vada, ti vengo a trovare stasera, se non starai dormendo.

- Va bene.

- A dopo allora. – disse con un sorriso più naturale in viso.

- A dopo. – ricambiò lei.

Diana era l’unica persona in grado di penetrare lo spesso strato di ghiaccio che copriva il carattere di Aren. Come lui, era stata salvata dal comandante dell’Ægis, aveva solo dieci anni allora. Aveva conosciuto quel gelido bambino pochi anni dopo, si ricordava ancora la prima volte che lo vide: lui sedeva sulla poltrona del dottor Hammer, raffreddato, con i piedi viola e il corpo pieno di lividi. Ricordava di come si era avvicinata a lui, pervasa da un’enorme curiosità e uno strano senso di colpa. Un attimo dopo era diventata come la sua sorella maggiore, si era affezionata a lui.
Dall’altra parte, Aren si era completamente infatuato di quella ragazza stupenda, lei, che lo aveva accolto come fosse la sorella che non aveva mai avuto. Il suo sguardo cambiava quando lei ne era il bersaglio: da gelido ed ermetico qual era di solito, diveniva ammaliato e luminoso. Col tempo anche lei aveva cominciato a provare dei sentimenti verso Aren, desiderando sempre più di poterlo avere solo per sé, ma entrambi avevano deciso di mantenere il loro rapporto così com’era, per non compromettere il loro lavoro. Si amavano, ma erano devoti alla causa che gli aveva rimessi al mondo.
Aren passò davanti allo spogliatoio, notando Drake sul punto di uscire.
Drake era un’altra delle poche persone che riuscivano a cambiare il modo di essere del castano: in sua presenza diventava più spiritoso, accentuando il suo quasi inesistente senso dell’umorismo. Drake Whitman era un uomo di colore, originario di Detroit. Era un militare in congedo che si era unito all’Ægis dopo aver perso tutto quello che aveva, una volta tornato dal servizio in Medio Oriente. I due avevano uno strano rapporto, sembravano quasi due fratelli litigiosi, ma molto legati fra loro. Fra i due correva rispetto reciproco e molta competizione, tuttavia nei combattimenti d’allenamento era sempre il ragazzo ad avere la meglio.

- Stai andando a recuperare quel ragazzo? – chiese Aren, appoggiandosi al muro.

- Sì, spero solo che non opponga resistenza, non ho voglia di alzare le mani su un ragazzino.

- Contro di me ci combatti però, e le prendi anche.

- Tu sei un animale, non sei un ragazzino manco per il cazzo.

- Beh, buona fortuna allora.

- Grazie, principessa.

- Vaffanculo. – sbuffò, andandosene.
 
 
Queen City, periferia del Distretto Ovest, un’ora più tardi.
 
Clint era uscito di casa prima del solito, fermandosi nel piccolo parco lungo la via per la scuola.
Si era seduto sulla sua solita panchina, rollandosi e accendendosi una sigaretta, tirando poi a pieni polmoni. Sbuffò la sporca nube di fumo, senza curarsi degli sguardi schifati degli anziani che lo giudicavano dalla distanza.
Non gl’importava di quello che la gente pensasse di lui, aveva sedici anni e fumava. Chi non lo conosceva, sosteneva che fumasse soltanto per rendersi figo agl’occhi dei coetanei, sopraffatto da un complesso di inferiorità. La realtà, tuttavia, era completamente diversa: Clint aveva trovato nella dipendenza da nicotina una via di fuga, un piccolo angolo buio in cui rintanare il suo animo martoriato dalla sua stessa esistenza.
Pensava spesso a sua madre e a come lui potesse essere un peso per lei che da sola, lo aveva dovuto crescere nelle peggiori condizioni. Lei era la persona a lui più cara, nonostante il rapporto litigioso che avevano. Clint avrebbe fatto di tutto per aiutare la madre. Lui, che col suo carattere si faceva odiare da tutti. Lui, che sentiva il bisogno di sfogare la sua frustrazione su chi, come lui, aveva mostrato un punto debole.

Tirò una, due volte ancora, prima di gettare il mozzicone nel piccolo tracciato di ghiaia. Buttò un occhio sul suo cellulare, controllando l’ora.

- Che due coglioni… - disse, sbuffando e alzandosi dalla panchina.

Si guardò attorno, immerso in quell’ambiente tranquillo, guardò le madri che vegliavano sui pargoletti mentre giocavano spensierati sulle giostre, guardò il volto di quei bambini, volto che non ebbe mai l’occasione di apparire su di lui. Provava sentimenti che non conosceva, ne era infastidito, spaventato, geloso.
Strinse i denti, aumentando il passo e abbandonando quel luogo che da pacifico com’era, si era tramutato nel parco giochi dei suoi demoni che lentamente, gli stavano facendo venire la nausea. Il cuore aveva iniziato a palpitargli, sentiva mancare il respiro. A un certo punto si sentì costretto a sputare per terra, per liberarsi dalla morsa della tensione. Decise di fermarsi a prendere fiato, appoggiandosi a un muretto di mattoni.

- Questa zona mi ricorda molto Detroit… - una voce richiamò la sua attenzione, spaventandolo.

Il ragazzo alzò lo sguardo, vedendo un uomo di colore, appoggiato al muretto di fronte.

- Queen City è una città stupenda, piena di occasioni, possibilità, piena di sbocchi verso il futuro… - continuò l’uomo.

- Ti sei guardato intorno? – rispose sgarbatamente Clint.

- Sì… e quello che vedo è un’altra periferia malfamata, culla della feccia… - a quelle parole, Clint volse uno sguardo infastidito verso l’uomo – Feccia, come me, come noi. – concluse l’uomo.

- Chi sei, non ho tempo da perdere con le stronzate. Se vuoi soldi sei nel posto sbagliato.

- Non sono qui per soldi. Il mio capo mi ha gentilmente chiesto di portarti da lui.

- Che cazzo stai dicendo? Capo?! Con chi stai, Chris? Manuel? Non devo soldi a nessuno, cosa vuoi da me?!

- Calmati, non faccio parte di nessuna banda da due soldi di questo quartiere. Il mio capo ha chiesto appositamente di te.

- Chi cazzo sei?

- Mi chiamo Drake, non sono molto bravo a parole quindi ti prego di seguirmi senza fare storie.

- Ti rendi conto di quello che stai dicendo, cazzo? Perché non te ne vai a fanculo e mi lasci in pace?!

- Clint… giusto? Hai un bel caratterino del cazzo, sai? Sei fortunato che abbiano mandato me e non Aren, lui ti avrebbe già spaccato il culo.

- Che cazzo vuoi?! – gridò, avvicinandosi con fare minaccioso, non curante della mole dell’interlocutore. Nella tasca teneva un tirapugni, rubato a una gang rivale qualche mese prima.

- Cristo… - sbuffò l’uomo, bloccando il braccio di Clint e atterrandolo cercando di contenere la sua forza. – Ti potresti calmare, per piacere? – chiese poi, facendo pressione con un ginocchio sulla schiena del ragazzo.

- C-cosa vuoi da m-me…? – chiese a fatica, mezzo terrorizzato.

- Devo portarti dal mio capo, tutto qui. Non volevo ricorrere a questo metodo ma sei stato tu a rendere le cose complicate…

- P-perché io…?

- Non lo so, io eseguo solamente gli ordini. Allora, fai il bravo e mi segui o devo portarti di forza?

- V-va bene… - disse, fingendo di essersi rassegnato.

- Che fatica… prossima volta faccio a cambio col ragazzino… - sbuffò, mollando la presa e girandosi di spalle.

Drake corse contro il muretto di fronte a sé, usandolo poi come appoggio per compiere un salto all’indietro e atterrare di fronte a Clint, che nel frattempo aveva provato a scappare verso la strada principale. L’uomo prese il ragazzino per il collo, sorridendo amaramente.

- La mamma non ti ha insegnato a non dire le bugie? – chiese, sbuffando.

- L-lasciami… - tentò di gridare il ragazzo, prima di perdere conoscenza a causa del soffocamento.
 
Base Ægis, diverse ore dopo.
 
Clint sentiva la testa pesante, il corpo gli si era intorpidito e il duro freddo del pavimento lo aveva fatto tornare in sé. Di colpo si ricordò cos’era successo, alzandosi di scatto da terra e guardandosi spaesato attorno.

- D-dove sono?! – gridò, sperando che qualcuno potesse sentirlo.

- Calmati, ragazzo. – quella voce gli era familiare.

- Tu! Cosa cazzo mi hai fatto?! – sbraitò, premendosi il collo, ancora dolorante.

- Ti ho fatto fare la nanna, hai dormito per quasi sei ore, sai?

- Dove ci troviamo?

- Sei nella nostra base. Ora, se hai intenzione di darti una mossa il mio capo vorrebbe vederti.

- Poi mi lascerete in pace?

- Dipende da come vi accorderete tu e il capo.

- Portami da lui.

Drake scortò il biondo fino all’ultimo piano, conducendolo nell’ufficio del comandante. Subito, Clint era stato catturato dall’enorme stendardo e dallo stemma di quell’organizzazione, mettendolo in soggezione. Una volta entrato, Drake chiuse la porta alle sue spalle, lasciando il ragazzo solo nell’ufficio.
Clint poté notare un altro ragazzo, castano, probabilmente un suo coetaneo, seduto a terra, sotto uno dei due enormi acquari. Il ragazzo lo stava fissando, con due iridi che gli ricordavano quelle di un lupo: fredde e silenziose. Di fronte a lui, dall’enorme sedia in pelle dietro alla scrivania, si alzò un uomo. Era alto, stretto in un elegante completo bianco, portava i capelli corti, pettinati con una cura quasi eccessiva e una barba tagliata fine. Le sue iridi, più glaciali di quelle del ragazzo seduto per terra, parevano quasi bianche. Due biglie fredde che lo stavano studiando.
Clint non riusciva a dire una parola, bloccato da un inspiegabile senso di terrore trasmesso da quell’uomo.

- Clint Mills… benvenuto. Perdonaci per averti condotto qui con modi così poco ortodossi, ma ahimè Drake non è una persona dall’eccessivo tatto… - nonostante il tono pacato dell’uomo, il terrore nel ragazzo non accennava ad andarsene.

- Vorrei farti una domanda, Clint. Che cos’è per te il potere?

- I-Il potere…?! – chiese, balbettando confuso. – I-Il potere è q-qualcosa che distingue i deboli dai forti… almeno credo.

- Esattamente. Il potere è ciò che eleva chi lo possiede al di sopra di chi ne è privo. Il potere non è equo, il potere discrimina, ma questo non è un male. Nel mondo esistono fin troppe persone che fanno un uso sbagliato del proprio potere.

- C-cosa vuole d-da me?

- Al mondo ci sono diversi tipi di persone: chi nasce col potere e chi nasce senza, chi lo trova e chi non ha la possibilità di trovarlo. Tu, Clint, sei nato senza il potere, così come tua madre. Lei non ha avuto il potere di evitare la vostra situazione, tu non hai avuto il potere per uscirne, ma questo perché non avete avuto alcuna possibilità di trovare questo potere.

- Come fa a sapere di me e mia madre?!

- Mi piace scavare nel passato delle persone, mi permette di aiutarle più facilmente.

- La tua vita non ti piace, mi sbaglio?

- …Eh? – il ragazzo fissò le iridi gelide dell’uomo.

- Provi invidia per chi è messo meglio di te, per chi ha la possibilità di eccellere, di brillare, mentre tu rimani oscurato dalla tua stessa ombra.

- Dove vuole arrivare?

- Roy Steinberg… - gli occhi del ragazzo brillarono per un istante quasi impercepibile, infiammati da un odio incontenibile. Alla vista di quello sguardo, l’uomo sorrise.

- Roy Steinberg, ti ha umiliato vero? Lo detesti. Lui ha tutto, tutto quello che tu non riusciresti mai ad avere. Ebbene, Roy Steinberg è un elemento a noi indispensabile. Tu sei nato senza potere, io sono la possibilità che hai di ottenerlo. Ti serve il potere per aiutare tua madre, ti serve il potere per ripristinare il tuo orgoglio. Eccomi, sono qua.

- Se Lei mi promette che potrò strangolare Steinberg con le mie stesse mani, potrà fare di me ciò che vuole. – l’uomo sogghignò.

- Steinberg ci serve vivo, una volta che avremo finito con lui, sarà tuo. Tutto tuo.

- Posso sapere il suo nome?

- Chiamami Schwarz.

- Signor Schwarz, accetto la sua offerta.

- Drake ti accompagnerà in un luogo, domani fatti trovare lì alle dieci del mattino.

- Sissignore.

- Ti anticiperò una parte del compenso, so quanto tu ne abbia bisogno.

- D-di quanto parliamo?

- In tutto due milioni, ti suona bene?

- A-Assolutamente… - al ragazzo mancò il respiro, mai aveva potuto vedere una somma del genere e ancor meno poterla pensare sua.

- Cosa dovrò fare per Lei? – chiese poi.

- Dovrai testare una nuova tecnologia e questa tecnologia sarà la fonte del tuo potere. Mi porterai Roy Steinberg e diventerai uno dei miei uomini.

- Sissignore.

- Ti aspettiamo domani, mi raccomando sii puntuale.

- Lo sarò, Signore.
 
Clint fece per uscire dalla porta, prima di incrociare nuovamente lo sguardo del ragazzo seduto a terra.
Era cambiato da quando era entrato in quella sala, in quelle pupille celesti ora non riscontrava più ostilità, ma solo indifferenza. Quello sguardo lo mise a disagio, facendogli accelerare il passo.

Drake lo accompagnò fino al luogo indicato da Schwarz, scortandolo a bordo di una jeep dai vetri oscurati.

- Non possiamo rivelarti dove si trova la base, è una questione di rischio, nulla di personale, ragazzo.

- Non c’è problema, comprendo questa decisione.

- Sei sveglio ragazzino, fai poche domande e sembri ubbidiente… se solo prima non avessi fatto tutte quelle storie…

- Ti chiedo scusa… la situazione era abbastanza surreale… ero spaventato…

- Dovrei essere io a chiederti scusa, non sono molto bravo a rapportarmi con la gente… Eccoci arrivati, scendi pure dalla macchina.

Clint scese dalla jeep, trovandosi in un parcheggio poco lontano da casa sua. Lo aveva riconosciuto, qualche mese prima era stato luogo di una rissa fra la sua gang e un’altra gang del quartiere.

- Ti aspetto qui alle dieci di domani, stesso posto, stessa macchina.

- D’accordo.

L’uomo risalì nel bolide, lasciando il parcheggio e Clint, lì da solo. Il ragazzo guardò l’ora: erano le quattro del pomeriggio.

- Fanculo alla scuola… ora finalmente posso dare una mano alla mamma… e poi… Steinberg… - strinse i pugni, sorridendo e correndo poi verso casa.
 
 
Il giorno dopo, ore 10:00.
 
Clint si fece trovare nel luogo prestabilito, spaccando il secondo. Sulla jeep trovò il ragazzo del giorno prima, seduto di fronte a lui, che col suo solito sguardo freddo lo fissava in silenzio.

- Mi chiamo Aren, il comandante mi ha detto di sorvegliarti durante i test.

- Io sono Clint… piacere… - disse, porgendogli la mano, ma venendo ignorato.

- Devi perdonarlo, Aren ha un caratterino un po’ del cazzo. - disse Drake, ghignando. Aren non rispose.

In poco tempo la macchina raggiunse uno degli stabilimenti di ricerca segreti dell’Ægis. Drake, Aren e Clint si diressero verso uno dei laboratori principali, lì li attendeva una equipe di ricercatori, medici e tecnici, radunati attorno a un tavolo per le operazioni chirurgiche e diversi macchinari.

- Quando mi avete parlato di nuova tecnologia… pensavo a qualcosa di più sobrio… - disse spaventato Clint, facendo due passi indietro.

- Non ti preoccupare ragazzo, dobbiamo solo inserire una nanotecnologia nel tuo corpo, ti migliorerà le capacità motorie e la forza fisica.

- Inserirmi qualcosa nel corpo?

- Sono una specie di cellule artificiali, si fonderanno con le tue senza farti sentire nulla.

- D-D ’accordo… cosa devo fare?

- Semplicemente togliti la maglia e sdraiati sul lettino a pancia in giù, ti sederemo e ti inietteremo le cellule nel midollo.

- V-Va bene…

- Potresti sentire un leggero fastidio al tuo risveglio, ma non avere paura, non ti succederà nulla.

- Ok… - rispose perplesso, levandosi la maglia e sdraiandosi sul lettino.

Il sedativo fece effetto in un paio di minuti, facendolo sprofondare in un pesante sonno. La troupe attaccò degli elettrodi al corpo del ragazzo e preparò i macchinari, dopo aver controllato che tutti i parametri vitali fossero stabili. Con l’ausilio di un braccio meccanico, calibrato per inserire l’ago nel punto esatto del corpo di Clint, iniettarono il materiale biotecnologico nel midollo del ragazzo.
Dopo tre ore, Clint aprì gli occhi, trovandosi sdraiato su una brandina all’angolo del laboratorio. Di fronte a lui, Aren e Schwarz lo stavano guardando riprendere coscienza.

- L’operazione è andata a buon fine, come ti senti ragazzo? – chiese l’uomo.

- Mi sento normale… solo ho un leggero dolore alla schiena…

- È normale, il midollo è una parte delicata del corpo. – disse uno dei dottori.

- Per piacere, Clint, potresti venire qua un secondo? – chiese un altro ricercatore.

L’uomo diede in mano al ragazzo una tiara tecnologica e un paio di bracciali da mettere attorno ai polsi e alle caviglie.

- Indossa questi, per favore. – chiese al ragazzo. Lui eseguì.

Uno dei tecnici portò una lastra di titanio spessa dieci centimetri, montata su un piedistallo.

- Per favore, quando ti diamo il segnale, colpisci con un pugno la lastra.

- Ma che cazzo sta dicendo? È mezzo scemo per caso? - esclamò confuso, girandosi a guardare Drake e Aren.

- Clint, per piacere, ascolta i nostri tecnici.

- Ma è una lastra di metallo… mi sfonderò il polso…

- Non succederà. Ora mettiti in posizione, per piacere. – Clint eseguì e si mise di fronte alla lastra.

- B.M.M.D pronto all’attivazione. Attivato.

- Clint, prego.

Il ragazzo fece un profondo respiro e sferrò un pugno verso la lastra. Nell’istante prima dell’impatto, sentì il bracciò contrarsi e le ossa muoversi. Una volta colpita, la lastra venne frantumata con una forza devastante, scaraventando i frammenti ovunque nella stanza.

- Porca puttana...! - Clint cadde all’indietro,  imprecando spaventato per quello che aveva appena fatto.

Aren rimase in silenzio, stupito da quello che aveva potuto vedere. Schwarz si avvicinò al biondo, lentamente, sorridendo.


- Questo è solo un assaggio di quello che puoi fare adesso. Benvenuto nell’Ægis, Clint Mills.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Queen City, settimo distretto, struttura sotterranea Anonymous Asset.
 
Erano passati due mesi da quando Roy e Aiden avevano deciso di unirsi all’Asset, due mesi in cui il ragazzo, seguito dal padre e da una troupe di ricercatori, era riuscito a controllare alcuni aspetti di quel misterioso potere che lo pervadeva.
Dopo attenti studi del padre, erano finalmente riusciti a capire come il Void funzionasse: all’interno del ragazzo, la sostanza produceva costantemente energia e tale energia poteva essere concentrata in una determinata parte del corpo e poi rilasciata sotto forma di onda d’urto. L’energia poteva inoltre essere deviata a specifici muscoli per aumentarne la forza, come ad esempio le gambe e le braccia, permettendo al ragazzo di compiere scatti e salti disumani, spaccare a mani nude il metallo o sollevare carichi impossibili.
Roy si allenava ogni giorno, dovendo tenere sotto controllo l’energia aveva bisogno di una costante valvola di sfogo. L’intensità del suo allenamento gli permetteva di scaricare la tensione che il Void creava nel suo corpo.
Aveva inoltre imparato a controllare anche le strane linee nere che gli pervadevano il corpo quando utilizzava il suo potere; ciò gli aveva permesso di non dover più nascondere il proprio corpo, ad esempio saltando le lezioni di educazione fisica. L’unica cosa che non poteva ancora controllare era la sua iride sinistra, di quel colore arancione intenso e quella bizzarra pupilla triangolare.
Aiden dovette sviluppare così una lente a contatto con duplice funzione: coprire l’unica evidenza del Void rimasta sul corpo del ragazzo e trasmettere al laboratorio dell’Asset i parametri vitali e la posizione del ragazzo, per poterlo controllare a distanza.
Il biondo si era alzato alle cinque, come ogni giorno da quando aveva iniziato l’addestramento. Senza far colazione si era diretto nella nuova palestra di casa sua, costruita appositamente per contenere eventuali danni causati dall’estrema violenza del suo potere. Alla parete era fissato un padiglione composto da un materiale innovativo, una nuova invenzione del padre, capace di azzerare il novantanove percento degli urti che subiva, permettendo così al ragazzo di colpire liberamente, senza dover dosare troppo la forza. Il ragazzo scaricò una raffica di pugni e calci sul padiglione, sentendo un flusso enorme di energia percorrergli gli arti. Le sue braccia erano costellate dalle linee nere che brillavano incandescenti ogni volta che colpiva la parete.

- Buongiorno, non perdi mai tempo tu, eh? – la voce di Aiden lasciò trasparire una lieve risata.

- Buongiorno… - rispose Roy, ansimando.

- Sono due ore che ti alleni… ricorda che hai scuola.

- Sì, papà. Ora vado a cambiarmi.

- Ti aspetto in macchina fra mezz’ora.

- Va bene. – disse infine, girandosi e tirando un ultimo paio di calci al padiglione.

- Questo coso è stratosferico, papà… come hai fatto a svilupparlo? – chiese poi, incuriosito.

- Tutto si basa sul moto dei singoli atomi che lo compongono, ogni urto subito viene distribuito equamente sulla superficie esterna e poi viene assorbito verso l’interno in modo omogeneo. Così facendo è possibile disperdere praticamente la totalità dell’urto.

- Fantastico…

- Già, ma ha comunque una limitazione: nel punto dell’urto una parte della forza risulterà sempre dannosa alla struttura e a lungo andare si arriverà al consumo, è inevitabile.

- Da come ne parli sembra che tu l’abbia già utilizzata molto questa tecnologia.

- Era alla base di un prototipo che avevo sviluppato con un vecchio gruppo di amici. La tecnologia si chiama Brain-Motion-Muscular-Device, l’abbiamo sviluppata come un supporto per le persone con disabilità motorie o che necessitano di riabilitazione fisica. Questa tecnologia prevede nano-bot che vengono iniettati nel corpo del paziente e che si legano ai muscoli colpiti dalla disabilità, permettendo al paziente di alleggerire il carico del corpo sui muscoli e fornendo a tali muscoli una serie di impulsi locali, collegati direttamente al cervello.

- In pratica sostituiscono i nervi danneggiati?

- Sì, ma ne migliorano l’efficienza e la resistenza.

- Che ne è stato di quella tecnologia?

- È ancora in fase di elaborazione, negli archivi segreti della Eisenhauer Technology.

- Segreti? Perché una tecnologia simile dovrebbe essere tenuta segreta?

- Perché qualcuno potrebbe metterci le mani sopra… e trasformarla nel suo opposto… un’arma… Eravamo tre ragazzi quando l’abbiamo sviluppata, ci eravamo appena laureati. Io e il professor Del Forte abbiamo sviluppato i progetti mentre il nostro amico, Simon Wolf, ci finanziò le ricerche. – la voce di Aiden si fece sempre più triste.

- Poi cos’è successo?

- Poi l’America intraprese la guerra contro il Medio Oriente e il settore bellico esplose nella ricerca di nuove tecnologie. Simon, che era un esperto di marketing e borsa ci propose di trasportare il nostro progetto in ambito bellico. Il suo ragionamento era sensato, data la quantità di finanziatori disposti a pagarci cifre esorbitanti per una tecnologia del genere. Tuttavia, io non volli dare ascolto a quel consiglio, non volevo vedere una mia creazione trasformata in un’arma, soprattutto una tecnologia che aveva lo scopo di riportare le persone disabili a una vita normale.

- Avete litigato?

- Sì, ci siamo allontanati, tutti e tre… fino a qualche anno fa…

- Che è successo?

- Abbiamo deciso di prendere un bicchiere tutti assieme, chiarendo ciò che in passato non ci era stato possibile chiarire.

- Vi siete riconciliati?

- Non proprio, diciamo che abbiamo messo da parte il rancore, in onore della nostra vecchia amicizia.

- Da come ne parli pare foste molto legati.

- Lo eravamo. Eravamo coinquilini, amici, e infine siamo diventati un team. Pensa che è grazie a loro se ho conosciuto tua madre.

- Mi dispiace che vi siate allontanati…

- Dispiace molto anche a me, Roy, ma nella vita bisogna andare avanti. E anche noi dobbiamo andare, abbiamo chiacchierato abbastanza. Vai a prepararti.

- Uh? – il ragazzo guardò l’ora – Cazzo! – corse in bagno a sciacquarsi.

- Fai veloce!

- Ja! Sì! – rispose ad alta voce, dall’altra camera.

Il ragazzo si gettò sotto la doccia per poi uscirne di fretta dopo pochi minuti, si asciugò rapidamente i capelli senza badare al loro aspetto e indossando al volo i vestiti, corse poi verso l’uscio di casa.
Aiden non andò leggero con l’acceleratore, accompagnando il figlio a scuola a una velocità poco raccomandabile. Aiden era cauto e preciso in ogni cosa che faceva, tutto tranne guidare. Quando l’uomo era alla guida sentiva la necessità di spingere la sua macchina al limite, adorava il rombo del motore. La velocità però non era molto gradita dal ragazzo, che si teneva stretto alle maniglie della nuova Audi sportiva del padre.

- Papà… al ritorno guido io… o stavolta è quella buona che ci schiantiamo.

- Suvvia, sai che guido bene.

- Io guido meglio…

-Siamo arrivati. – disse, parcheggiando vicino all’edificio scolastico. – Fai attenzione, mi raccomando. Per qualsiasi cosa chiama Axel, sarà sempre nei tuoi paraggi.

- Va bene, ci vediamo dopo. Ciao papà. – il ragazzo entrò a scuola.
 
Roy prese posto al suo solito banco, guardando l’ora.

- Sono riuscito ad arrivare anche due minuti in anticipo…

- Roy! Quell’Audi così figa è la tua?! – la voce entusiasta di Blaze attirò l’attenzione del biondo.

- Blaze, ciao. Sì, mio padre ama le auto sportive.

- E te la lascia guidare?!

- Certo, anche se guidare non mi entusiasma più di tanto.

- Eh?! Sei pazzo? Hai una macchina così e non ti piace guidarla?

- Se vuoi uno di questi giorni ti porto a fare un giro.

- Serio?!

- Certo. – sorrise il biondo.

- Woah, che figata cazzo! – esclamò sempre più entusiasta. – Ah! A proposito... ti va di pranzare con me e una mia amica oggi? Pensavamo di andare a quel posto che hanno aperto da poco, quello che fa i panini enormi.

- Va bene, fammi solo avvisare a casa. – mentì, scrivendo invece ad Axel.
 
Nell’ultimo mese Roy era diventato più aperto, si era avvicinato molto a Blaze che era diventato il suo migliore amico.
Si sentiva strano, finalmente era riuscito a rompere quel guscio che lo isolava in sé stesso.
Si sentiva strano, sì, ma si sentiva bene.
 
Base Ægis, quella mattina.
 
Clint stava sferrando una serie di colpi verso Aren che tuttavia, non sembrava avere problemi nello schivarli e ritorcerli contro l’avversario, accompagnandoli con qualche altro colpo sferrato da lui.
I due ragazzi stavano combattendo da tre ore, senza sosta. I loro movimenti erano veloci, nonostante la stanchezza. Si spostavano rapidi sul legno della palestra, roteando e colpendosi violentemente a vicenda.

- Lasci troppi punti scoperti, ti esponi troppo quando attacchi. – disse freddo Aren, sferrando un calcio sul fianco di Clint, facendolo cadere in ginocchio.

- Gnn… - gemette lui.

- Hai una buona tecnica, considerando il fatto che non sei mai stato addestrato. Sei riuscito a resistere tre ore contro di me, sono colpito. – disse, porgendogli la mano.

Clint la afferrò, alzandosi e trovandosi faccia a faccia con il castano.

- Andiamo avanti, per piacere, insegnami.

- Facciamo prima una pausa, ho bisogno di sgranchirmi i muscoli.

- Va bene… - disse, sedendosi ansimante, vedendo poi l’altro uscire dalla palestra.

- È interessato a te, lo si vede da come si comporta. – una voce profonda interruppe il silenzio della sala.

- Dici? – chiese il biondo a Drake.

- Non è da tutti riuscire a resistere a un combattimento con lui per tre ore.

- Ci sta andando piano, ne sono sicuro.

- Piano o no, i tuoi risultati sono impressionanti, impari molto in fretta.

- È anche grazie a voi, mi state insegnando un sacco di tecniche, io… non so come ringraziarvi…

- Non devi, sei uno di noi ora, addestrarti è uno dei nostri compiti. – disse, sorridendo.

- Riprendiamo. – interruppe Aren i due. – Unisciti anche tu, Drake. Così vediamo come se la cava in due contro uno. – aggiunse, guardando l’uomo negli occhi.

- Perché no… avanti ragazzo, vediamo di che pasta sei fatto… - rispose, tirandosi su le maniche e facendo scrocchiare le spalle.

Clint deglutì, alzandosi e mettendosi in posizione di combattimento.

- Quando si è in svantaggio numerico bisogna concentrarsi sempre solo su uno degli avversari, tenendo a mente che bisognerà però evitare i colpi di più uomini. I tuoi attacchi devono concentrarsi su un obbiettivo alla volta, tutto il resto è schivare i colpi degli altri. – spiegò l’uomo, preparandosi ad attaccare.

- Ok…

- Il tuo obbiettivo sono io. – disse Aren, richiamando l’attenzione del ragazzo. – Iniziamo. – scattò poi verso di lui.

Clint bloccò uno dei colpi di Aren, venendo però colpito da un calcio di Drake a tradimento. Indietreggiò.

- Devi prestare attenzione a tutto ciò che ti circonda, non puoi limitarti a schivare solo il suo colpo.

- D’accordo! – disse, stringendo i denti per alleviare il dolore.

Aren scattò di nuovo verso il biondo, sferrando una rapida serie di calci che vennero però schivati dal ragazzo. Nel frattempo, Drake aveva cercato di colpire Clint con un pugno, vedendolo impegnato a schivare i colpi di Aren. Clint tuttavia, era riuscito a schivare anche quello.

- Cazzo, impari veramente in fretta tu. Ottimo lavoro, ragazzo.

Passarono altre due ore di quel frenetico caos al termine delle quali Clint si lasciò cadere al suolo esausto. Il pavimento, nonostante il focoso allenamento dei tre, era rimasto gelido facendo percorrere la schiena del ragazzo da un brivido freddo.

- Non male, Clint… - disse Aren, voltandogli le spalle e dirigendosi verso l’uscita.

- Grazie… - gli occhi del ragazzo, per quanto stanchi potessero essere, lasciarono trasparire una sorta di gioia. Aren non gli aveva mai dimostrato particolare interesse, per Clint, lui era la vetta che non sarebbe mai riuscito a raggiungere.

- Vedo con piacere che hai imparato a combattere. – Schwarz entrò nella sala, avvicinandosi a Clint.

- Devo ancora migliorare…

- Non è necessario, anzi, volevo dirti che ho deciso di mandarti in missione oggi stesso. Secondo il team di sviluppo sei pronto per utilizzare il B.M.M.D. in maniera efficiente.

- V-vuole veramente mandarmi in missione?

- Sì, vai a riposare adesso. Abbiamo tracciato Steinberg, alle due partirai dalla base.

- Sissignore. – rispose il ragazzo, diventando improvvisamente serio.

Clint si diresse nella sua stanza, era stremato, ma si sentiva al contempo carico per la missione che avrebbe dovuto compiere. Senza perdere tempo, si forzò ad addormentarsi, riuscendoci e sprofondando nel sonno.
 
 
Liceo Triumph, ore 13.30.
 
La campanella aveva espiato gli ultimi ritocchi, sancendo la fine delle lezioni. Un’orda di studenti invase i corridoi dell’edificio, tutti di fretta, a spintonarsi a destra e a sinistra per uscire e andare a pranzo.
Roy e Blaze se l’erano presa con calma, lasciando che l’impetuoso flusso di persone defluisse lasciando loro lo spazio per uscire.

- Che palle oggi… matematica non finiva più… - sbuffò Blaze con tono stanco.

- Non era la tua materia preferita? – chiese perplesso il biondo.

- Sì… appunto… ste cose le so già fare… stare in classe a far nulla è una tortura…

- Cambiando discorso… anche oggi Clint era assente…

- Già… Non viene a scuola da due mesi, chissà cosa gli è successo?

- Non vorrei che fosse a causa mia…

- Ehi, Roy! Non è colpa tua, è stato lui a fare lo stronzo quel giorno.

- Sì, ma io ho esagerato…

- Stavi male, lui ha solo peggiorato la situazione. Ah! Meglio se ci sbrighiamo, Ethel ci sta aspettando in fondo alla strada! – esclamò, guardando il messaggio della ragazza.
 
I due aumentarono il passo, macinando i metri che li separavano dalla ragazza che li stava aspettando.

- Oh, eccola! Ciao Ethel!

Roy guardò la ragazza: era alta, con una chioma di capelli ricci, rossi, che le coprivano tutte le spalle. I lineamenti del suo volto erano leggeri, i suoi occhi erano due stupende biglie turchesi, che risaltavano sulla sua carnagione pallida. La ragazza indossava una felpa verde che nascondeva parzialmente le sue curve, assieme a un paio di pantaloni di pile, neri.
Il biondo rimase imbambolato. Non aveva mai provato interesse verso una ragazza prima di allora, una volta aveva dovuto anche respingere una ragazza che le si era dichiarata. Ethel, tuttavia, aveva scatenato in lui qualcosa, una scintilla.
Roy non si scompose, mascherando totalmente il suo stato d’animo. Con una finta sicurezza, si avvicinò alla ragazza, presentandosi.

- Ethel, piacere mio. – ricambiò il gesto, sorridendo lievemente.

Le sue mani erano morbide, al ragazzo parve di toccare della seta.
Dall’altra parte, Ethel era rimasta colpita a sua volta dal bell’aspetto del biondo.
I tre ragazzi si incamminarono, iniziando a chiacchierare del più e del meno e arrivarono ai tavoli del locale che da poco aveva aperto nei pressi della scuola.

- Vado a ordinare allora, da bere cosa volete? – chiese Blaze.

- Per me una Coca Cola. – rispose la ragazza.

- Per me una bottiglia d’acqua, grazie. – rispose il biondo.

- Va bene, torno subito. – disse Blaze, voltandosi e sorridendo sotto i baffi, lasciando così gli amici da soli.

- Quindi sei il figlio del Professor Steinberg?! Dev’essere dura avere un padre come lui, vero?

- Sì… non è stato facile stare al passo con le sue aspettative. – rise.

- Però Blaze mi raccontava che a scuola sei bravissimo.

- Ho sempre cercato di impegnarmi il più possibile, un po’ per mio padre, ma soprattutto per me stesso.

- L’importante è stare in pace con sé stessi.

- Tu invece, dove studi?

- Frequento il liceo femminile Marie Curie.

- Oh, il liceo sportivo! Che sport pratichi?

- Da dodici anni faccio pallacanestro, l’anno scorso siamo arrivate ai mondiali under 18.

- Woah, complimenti. È un risultato strabiliante.

- Grazie… anche tu sembri uno che fa molto movimento, avanti, cosa fai?

- In realtà non pratico nulla a livello professionistico, ma da quando avevo quattro anni ho fatto diverse arti marziali e tuttora mi alleno per conto mio.

- Wow! Che cosa nello specifico? Karate? Judo?

- Ho praticato Krav maga, Jujitsu, Taekwondo e diverse discipline dell’est Europa.

- Impressionate, diciamo che ti sai difendere. – disse, facendosi scappare una risata.

- Non si può mai sapere. – ricambiò la risata.

- Hai fratelli? – chiese la ragazza, sempre più curiosa verso il biondo.

- Sì, un fratello più piccolo. Si chiama Emil ma vive in Germania con mia mamma.

- Oh, siete separati allora…

- Sì, sono venuto da solo con mio padre.

- Come mai, se posso chiederlo?

- Tranquilla, non c’è problema. Mia madre è l’amministratrice delegata di un’importante azienda in Germania e per motivi di lavoro è dovuta rimanere lì. Mio fratello era troppo piccolo per viaggiare e data la posizione di mia mamma, era troppo difficile per lei crescerci entrambi.

- Ti mancano?

- Molto, anche se fortunatamente riesco a sentirli quasi ogni giorno.

- È una cosa molto bella… anche se un po’ triste.

- Non lo so… sento come se la lontananza ci avesse unito di più.

- Che cosa strana… - sorrise. – Ma dov’è Blazy?! Sto morendo di fame… - si lamentò poi, ridendo.

- Eccomi, eccomi! C’era una coda che non finiva più. – disse Blaze, comparendo dall’ammasso di gente che occupava l’ingresso del locale.

Il ragazzo porse i panini agli amici, sedendosi con loro e azzannando il proprio pranzo come un leone affamato.

- Vedo che siete entrati in sintonia eh? – disse, mangiando un boccone.

- A differenza tua lui è una persona normale, non una bestia selvatica…

- …non una bestia selvatica… - Blaze le fece il verso.

- Da quanto vi conoscete voi due? – chiese Roy divertito.

- Da quando siamo nati, siamo vicini di casa e le nostre madri sono amiche.

- È praticamente mia sorella… - disse il castano con la bocca piena.

- Devo sopportarti come tale… e non si parla con la bocca piena…

- …non si parla con la bocca piena… - ripeté con tono idiota, ricevendo poi un calcio dalla ragazza.

L’attenzione dei tre si spostò rapidamente su una figura maschile, che dalla parte opposta della strada stava avanzando lentamente verso di loro.

- Ehi, Steinberg! – la voce suonò familiare al ragazzo.

- Ma quello è… - Blaze non fece in tempo a finire la frase, che Clint, con forza disumana prese una macchina parcheggiata e la scaraventò contro i tre ragazzi.

- A terra! – gridò Roy, gettandosi assieme a Ethel dietro al tavolo di marmo, evitando così la macchina.

La folla di persone che era nel locale si disperse in preda al panico, lasciando i tre ragazzi in un momento di paura e confusione.

- Ma che cazzo è stato?! – gridò Blaze spaventato.

- Non lo so, ma dobbiamo scappare! – disse Roy, sporgendosi per controllare la posizione di Clint.

- Non dovremmo aspettare la polizia?!

- Quello ci ammazza prima che la polizia arrivi!

Clint si avvicinava sempre di più, spaccando l’asfalto sotto i suoi piedi con dei pestoni e poi lanciando i detriti contro i tre ragazzi.

- Base, qui Underdog; bloccate la polizia, non devono interferire. – disse al microfono che portava sulla tuta.

- Affermativo. – rispose la base.
 
Roy era sotto pressione, il cuore gli batteva all’impazzata. Doveva decidere in fretta, avrebbe dovuto usare il Void, esponendo il suo segreto agli amici oppure avrebbe dovuto chiamare Axel in soccorso. In preda a un momento di lucidità cliccò sul suo smartwatch, mettendosi in contatto con Axel.

- Axel! Axel!

- Roy, che succede?! – chiese preoccupato l’uomo.

- Siamo stati attaccati da un mio compagno di classe, ma è in grado di tirarci addosso delle auto!

- Cercate di nascondervi, sarò lì al più presto!

- Fai veloce Axel, altrimenti dovrò usare il Void!

- Arrivo!
 
Chiusa la chiamata, Axel si precipitò verso la posizione del biondo, venendo però bloccato da un uomo di colore, che lo attaccò alle spalle, facendolo arretrare verso un muro.

- Mi dispiace… ma non posso permetterti di intralciare la missione…

- Sei dell’Ægis, vero? Maledizione…

- Perspicace… tu devi essere dell’Asset invece. Allora esistete davvero, hehe. – lo provocò Drake.

- Fammi indovinare, non mi lascerai passare, vero?

- Esattamente…

- Bene allora, vorrà dire che dovrò calpestarti.

- Fatti sotto, ragazzo.
 
Drake tirò fuori un coltello da guerra, l’arma che lo aveva accompagnato durante la sua missione in Medio Oriente, l’arma con cui aveva versato il sangue di numerosi nemici. Si tirò su le maniche e partì all’assalto.

- Roy! L’Ægis ha attaccato anche me, sono bloccato qua. Devi usare il Void! – disse al ragazzo, spegnendo poi il microfono. – A noi due. – disse infine, estraendo anche lui un coltello dalla sua cintura e avanzando verso l’avversario.

Axel impugnò la lama con il manico rivolto verso di lui, incrociandola con quella di Drake, facendo roteare poi il polso dell’avversario nel tentativo di disarmarlo. Drake, in risposta, girò su sé stesso, cambiando il braccio dominante sul suo coltello e aumentando la pressione. Per contrastare quella mossa, Axel si liberò dall’attacco avversario, facendo scintillare le due lame in un suono altrettanto tagliente.
Poggiandosi su una mano, roteò una gamba nel tentativo di colpire Drake ai piedi, così da sbilanciarlo e ottenere il vantaggio. Le dita del ragazzo premevano sull’asfalto, per imprimere al colpo una maggiore violenza. Con una mossa altrettanto veloce, Drake finse di cadere, passando poi il coltello nell’altra mano e attaccando con un colpo rovescio a sorpresa. Axel non ebbe il tempo materiale per reagire, dovendo parare il colpo alla meglio che poteva, finendo per subire una ferita superficiale al braccio.

- Merda… - disse, premendosi la ferita.

- Mi sto divertendo, ragazzo. Spero non sia finita qua…

- Te lo puoi scordare, ho tutto il giorno…

- Andiamo allora – sorrise.

Drake sferrò una serie di sferzate verso il ragazzo, che vennero bloccate dalla sua lama disperdendo nell’aria qualche scintilla. Durante una parata, Axel invertì l’impugnatura del pugnale, esercitando una forza che l’avversario non riuscì a contenere, sbilanciandosi e lasciando così un varco.
Varco che Axel sfruttò, colpendo rapidamente con un violentissimo calcio. Drake indietreggiò.
I due tornarono all’assalto, incrociando le lame più e più volte. Nei loro paraggi non c’era nessuno, gli unici rumori che risaltavano nel silenzio che li circondava erano l’incrociarsi delle lame e i loro respiri, che pesanti si sospendevano tra un’azione e l’altra.
L’asfalto bagnato da quello che restava della neve ormai sciolta, era diventato il loro campo di battaglia: una pista da ballo che ospitava una danza mortale di colpi e sferzate.
Il combattimento procedeva in una fase di stallo continuo, i due opponenti erano alla pari, nessuno dei due riusciva a prevalere sull’altro.
Di colpo, Drake lanciò il suo pugnale, disarmando Axel e gettandocisi contro.
I due finirono in uno scontro corpo a corpo. Drake sferrava pugni rapidi, mirando al torace del ragazzo, che tuttavia, egli difendeva sviando la traiettoria con i gomiti, restituendo in risposta delle ginocchiate dritte sugli addominali dell’uomo.

- Marines? – chiese Axel, ansimando.

- Già… tu invece… forze speciali? – anch’egli ansimando.

- Kommando Spezialkräfte…

- KSK… i tedeschi sanno il fatto loro, hehe… - sorrise, cercando di distrarsi dalla stanchezza.
 
Senza perdere tempo i due tornarono a colpirsi a vicenda, immergendosi nuovamente in quel combattimento perfettamente bilanciato.
 
 
Al locale invece, Roy, Blaze ed Ethel erano costretti a rimanere nascosti dietro al tavolo di marmo che li aveva protetti fino a quel momento.

- Roy! Cosa cazzo facciamo?! – chiese Blaze disperato.

- Non ho altra scelta… - disse il biondo a bassa voce. – Blaze… voglio che tu faccia una cosa… - disse poi, rivolgendosi all’amico.

- Eh?! – balbettò perplesso, guardando le iridi smeraldine di Roy.

- Quando ti do il segnale, prendi Ethel e andatevi a nascondere dietro quell’edificio!

- E tu che cosa vorresti fare?!

- Io me la caverò. Ti prego, fai ciò che ti dico e non farti domande, ok?!

- V-va bene… Fai attenzione, ti supplico…
 
Roy si mise in posizione, pronto a dare il segnale all’amico. Clint ormai si era fermato, in attesa del momento giusto per stanare la sua preda, afferrando una macchina pronta da lanciare.

- Blaze ora! – gridò Roy.

Il castano prese l’amica per mano e corse verso l’edificio più vicino, in cerca di riparo. Clint, vedendo i due scappare, decise di lanciare loro la macchina, in modo da far uscire Roy allo scoperto.
La tensione era salita alle stelle, Blaze ed Ethel non poterono fare a meno di girarsi, vedendo il bolide volare contro di loro. I due ragazzi chiusero gli occhi, stringendosi per l’ultima volta prima di venir travolti dall’ammasso di metallo. Un boato rimbombò per tutta la via, seguito da una nuvola di fumo enorme e un’esplosione.
Blaze ed Ethel riaprirono gli occhi, increduli di essere ancora vivi e increduli a quello che i loro occhi stavano vedendo: la macchina era stata scaraventata ai lati della strada, accartocciata e ridotta in due pezzi. Al centro della nube che ormai si stava diradando era rimasto in piedi Roy, con la felpa distrutta e il braccio sinistro coperto da linee arancioni incandescenti. La mano del biondo era tesa verso Clint e i due ragazzi poterono scorgere lo sguardo dell’amico: l’iride sinistra era diventata di un arancione intenso con una pupilla triangolare.
Quello sguardo, per quanto focoso fosse, gelò il sangue nelle vene dei due ragazzi, ancora confusi dell’accaduto.

- Vi prego… nascondetevi… a lui ci penso io…

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Le iridi di Roy erano fisse su Clint, il suo respiro era pesante, lento. Il petto del ragazzo si muoveva a un ritmo costante, costellato dalle innumerevoli linee nere che si illuminavano a impulsi, al ritmo del respiro.
La piazzetta era ormai vuota: una desolata e grigia distesa di cemento distrutto, fiamme e rottami. L’aria si era fatta pesante, il fumo cominciava a infastidire i polmoni e gli occhi dei presenti, rendendo l’atmosfera ancora più ostile.
Con un gesto secco, il biondo si strappò l’ormai distrutta felpa, gettandola a terra e mostrando ai suoi amici il suo corpo per intero: le linee nere avevano pervaso pure la sua schiena, perfettamente allineate con la sua colonna vertebrale. I muscoli erano tesi, i due ragazzi stesi a terra potevano distinguere ogni elemento dorsale sul corpo dell’amico.

- Cosa cazzo…?! – disse Clint, incredulo di fronte all’ex compagno di classe.

- Come hai fatto? – chiese secco Roy.

- Dovrei chiedertelo io piuttosto… - evase l’altro la domanda.

- Ti ha mandato l’Ægis, vero?! Sei qui per me.

- Sei molto desiderato dai piani alti, ora capisco perché…

- Cosa vogliono farmi?!

- Non lo so, Steinberg, ma mi hanno chiesto di portarti da loro vivo… anche se in questo momento la voglia di staccarti la testa è quasi incontenibile… potrei sfogarmi su Felter e la ragazza più tardi…

- Non alzerai un solo dito su di loro. Il tuo avversario sono io.

- Fermami, allora! – disse Clint scattando verso i due ragazzi.

Blaze ed Ethel videro il ragazzo correre verso di loro, a una velocità disumana. Spaventati, cercarono in tutti i modi di scappare. Era inutile, Clint li avrebbe raggiunti in pochi istanti. Blaze si voltò, assistendo a una scena che lo lasciò spiazzato: Roy era comparso fra loro e Clint, sferrando un violentissimo calcio sulla faccia del biondo, facendolo finire contro un muro, sfondandolo.
I piedi di Roy erano penetrati nell’asfalto, frenandolo dall’immensa velocità che lo aveva impregnato nell’azione e facendolo arrestare poco prima dell’amico. Le linee nere erano ora incandescenti, fumavano.

- State bene? – chiese il biondo.

- Sì, ma… che cazzo, Roy?!! – rispose terrorizzato Blaze.

- Non è il momento delle spiegazioni, prendi Ethel e mettetevi al riparo.

- Va bene… ma dopo ci devi spiegare ogni cazzo di cosa, intesi?!

- Ve lo prometto, ma adesso andate! – li esortò il ragazzo, vedendoli poi correre il più lontano possibile.

Roy si voltò verso la nube di polvere, rimanendo in allerta per ogni possibile situazione.
“Non posso averlo fatto fuori, da che parte attaccherà?” pensò, facendo fluire un debole ma costante flusso di energia nelle mani e nei piedi.
Dalla nube fuoriuscì Clint, proiettato a velocità esplosiva verso il biondo. Teneva i pugni stretti e le gambe leggermente divaricate, mentre fluttuava con la rapidità di un missile in quell’aria ormai infiammata dalla battaglia.
L’impatto fu violento: le nocche di Clint si scontrarono con le onde cinetiche di Roy, provocando un bassissimo boato e un’onda d’urto che fendette l’asfalto sottostante.
Clint iniziò a colpire il biondo senza sosta, cercando ogni apertura possibile per sferrare danni fatali, esattamente come Aren gli aveva insegnato.
Roy non poteva fare altro che parare tutti i colpi che l’avversario stava tirando, generando minuscole onde cinetiche per contrastare alcuni attacchi altrimenti imbloccabili.
Clint era veloce, potenziato dal sistema del B.M.M.D. e veloce era il dolore che iniziava a pervadere il corpo di Roy. Riusciva a parare ogni colpo, sì, ma era costretto a incassarne molti sebbene indeboliti.
Roy era alle strette, l’avversario lo aveva costretto a retrocedere, mangiandogli lo spazio utile per reagire. A un certo punto il biondo si trovò con le spalle al muro, mentre un rapido pugno di Clint stava per essergli sferrato in volto. Il ragazzo, senza farsi prendere dal panico, utilizzò il muro come slancio, afferrando il braccio di Clint e torcendogli contro la sua stessa inerzia lo fece schiantare di schiena contro il muro, mentre con un’onda cinetica si lanciò all’indietro, rotolando via da qual demone che voleva la sua vita.

- Come cazzo hai fatto…?! – chiese infuriato Clint, riprendendosi e sputando sangue.

- Puoi colpirmi quanto vuoi… - ansimò, prima di continuare la frase – ti restituirò tutto con gli interessi… - finì, mettendosi in posizione di guardia.

- Come faccio a non ucciderti, cazzo?! La tentazione è troppo forte… - gridò, guardando il biondo dritto negli occhi.

- Perché ti sei unito a loro?

- Perché mi hanno dato una possibilità… mi hanno dato la possibilità di annientarti!

- Cosa vuoi da me?! Cosa cazzo ti ho fatto, si può sapere?!

- La tua sola esistenza mi corrode… tu hai avuto tutto dalla vita, hai un padre, hai i soldi, sei un genio… tutte cose che io non ho avuto… e ancora tu vivi con quella merda di espressione in volto, quello sguardo vuoto… come se ti mancasse qualcosa… MA COSA?! – gridò, lanciandogli contro un mattone.

Roy schivò il proiettile, gettandosi a terra.

- COSA TI MANCA, STEINBERG?! CON QUALE CORAGGIO OSI SFOGGIARE QUELL’ESPRESSIONE DEL CAZZO?!

- È per questo che mi odi?! Per questo ti sei unito all’Ægis?! Perché sei invidioso di una vita che non ti ha scelto?!

All’udire di quelle parole, Clint perse il controllo, gettandosi contro il biondo a tutta velocità, sradicando nel mentre un palo della luce e usandolo come arma. Roy venne colpito tre volte, il dolore che provò fu intenso, talmente intenso da soffocargli le urla. Il biondo sputò inevitabilmente sangue, cercando di alzarsi.
Clint si avvicinò lentamente, prendendo poi la testa di Roy e stringendola in una massacrante morsa. Il ragazzo sentiva la testa esplodere, urlava dal dolore, troppo intenso. Pensò di morire, prima che Clint alleviasse la presa.

- Tu non hai passato minimamente ciò che ho passato io, tu hai avuto una vita perfetta, SEI NATO CON UN FUTURO! Io no… io sono qui per miracolo… e tu ancora hai il coraggio di dirmi che dovrei accettare il fatto di essere inferiore a te?! Solo perché la vita non mi ha scelto?!

- N-non…  ho… m-mai… detto… c-che…

- FAI SILENZIO! Non ho intenzione di ascoltare le tue fottute giustificazioni. Tu hai avuto tutto dalla vita, ora ti farò vedere come si rimane col culo per terra. Ti porterò via tutto: casa, amici, famiglia, non ti rimarrà nulla, Steinberg. E quando finalmente proverai ciò che mi ha tormentato per anni, ti porterò via l’ultima cosa a cui sarai aggrappato: la vita.

Clint prese il biondo per i capelli, sbattendogli la testa a terra, più e più volte.Se Roy avesse perso i sensi sarebbe stata la fine, non doveva accadere.
Con il briciolo di forze che gli rimanevano in corpo liberò il potere del Void, che fino ad allora era stato parzialmente represso. Le linee nere divennero soli incandescenti, il corpo di Roy venne pervaso da una quantità pressoché infinita di energia, ogni muscolo del suo corpo si era contratto, donandogli così la forza per liberarsi dalla morsa dell’avversario.
Con un colpo improvviso, Roy scaraventò lontano Clint, alzandosi lentamente e voltandosi verso di lui. L’occhio sinistro gli pulsava violentemente, la pupilla continuava ad allargarsi e restringersi seguendo il ritmo delle pulsazioni.
Roy aveva i denti stretti, quell’energia lo stava sovraccaricando, ma era l’unico modo per sovrastare la potenza di Clint.
L’alto si tirò su da terra, barcollando sanguinante. Ansimava.

- Possibile… possibile che ogni volta… ti rialzi… PIÙ FORTE DI ME?! – urlò infuriato, mettendo mano all’auricolare che aveva all’orecchio.

- Base, chiedo il permesso di rimuovere il blocco del B.M.M.D. – disse poi, stringendo i pugni e leccandosi il sangue che gli stava fuoriuscendo dal labbro, il tutto con un sorriso in volto.
 
 
 
Base Ægis, un mese prima.
 
Schwarz osservava Clint durante il suo allenamento, studiava ogni singolo movimento, ne analizzava i progressi, le lacune. Rimaneva stupito, da lui, da quanto fosse cambiato, da come riusciva a utilizzare il B.M.M.D., da quanto il suo progetto fosse più vicino alla realizzazione.
Schwarz non era tipo da cambiare idea facilmente, anzi, quello che pensava veniva sempre realizzato, esattamente come lo aveva pensato, nei minimi dettagli. Tuttavia, Clint era riuscito a scatenare in lui qualcosa. Eppure, era solamente una pedina, uno dei tanti tasselli del puzzle che componevano l’obbiettivo dell’uomo a capo dell’Ægis. Clint era solo un mezzo per arrivare a ciò che voleva, o così pensava prima di scoprirne il talento, la devozione.
Senza rendersene conto, si era affezionato a quel ragazzo, l’ultimo arrivato in quella famiglia improvvisata, in quella fortezza da lui costruita. Clint non era più una pedina, era diventato un membro dell’Ægis, uno di coloro che assieme a lui avrebbero ribaltato il mondo.
L’odio di Clint verso Roy era evidente, e Schwarz lo aveva colto all’istante. Lo aveva utilizzato come arma, per persuadere il ragazzo a unirsi alla sua causa, ma più il tempo passava, più quell’arma si stava tramutando in una a doppio taglio. Schwarz sapeva che Clint non sarebbe riuscito a contenere quell’odio, e la sua più grande preoccupazione era l’effetto di tale odio sul corpo del ragazzo e sul B.M.M.D.. Aveva così deciso di applicare un limite ai poteri che il biondo poteva ricevere dal dispositivo impiantato nel suo corpo, lo aveva fatto per proteggere lui e la ricerca che da tempo aveva sognato tra le sue mani.

- Un limite? Perché?!

- Per sicurezza, la tecnologia non è ancora del tutto pronta, non voglio che tu corra rischi inutili. Un sovraccarico potrebbe compromettere la tua vita, e la tua vita è preziosa per me, per la mia causa…

Clint guardò con occhi fedeli il suo salvatore, trattenendo l’infantile ma innato istinto di piangere.

- La ringrazio per tutto quello che sta facendo per me…

- Sono io che devo ringraziarti, ragazzo, senza di te il progresso delle mie ricerche sarebbe anni luce indietro. – disse, posando una mano sulla spalla del biondo. – Sono sicuro che se continui con questo passo, il potere limitato che hai sarà più che sufficiente per i tuoi obbiettivi. – continuò, sorridendo.

- Mi impegnerò affinché sia così, può contare su di me, Signor Schwarz.

- Non aspetto altro, ragazzo… - disse infine, lasciandolo alla sua routine.
 
Queen City, nel mezzo dello scontro.
 
L’animo di Schwarz era tuttavia scosso da un’inamovibile presenza, una macchia nera che silenziosa, influenzava la brillante mente dell’uomo. Tale macchia lo portava a considerare ogni cosa parte del suo gioco, ogni persona era una delle pedine che muoveva sulla sua scacchiera. Ad alcune si era affezionato, ma dentro di sé sapeva che se mai fossero dovute morire, lui lo avrebbe accettato senza esitazioni. Tutto avrebbe fatto parte dell’immenso disegno che Dio gli aveva inciso nella mente.
Questi pensieri lo tormentavano e la volontà di combatterli stava via via svanendo, oscurata dalla follia della sua fedeltà ai suoi ideali.
Avrebbe compiuto qualsiasi sacrificio necessario, seguendo ciecamente la sua fede, con lo stesso coraggio di Abramo sul punto di uccidere il proprio figlio.
Le parole di Schwarz fecero fatica a uscire, bloccate da un’ultima e disperata scintilla di umanità.

- Underdog, permesso accordato, il limitatore verrà rimosso tra 10 secondi.

- Schwarz?! È sicuro di quello che dice?! Ha idea di quanto rischioso sia per il ragazzo?! – chiese agitato uno dei ricercatori della troupe.

- Clint sta dando tutto sé stesso per la nostra causa, limitandolo lo stiamo intralciando. Volete veramente mancargli di rispetto così? Dopo tutti i sacrifici che ha fatto per noi?! – la voce imponente dell’uomo zittì i presenti.

- Gli farai veramente correre il rischio? – chiese pacato Aren, dal fondo della stanza, appoggiato con la schiena al muro.

- Non sono nessuno per impedirgli di percorrere la strada che ha scelto, mi fido ciecamente del suo giudizio.

- La tua risolutezza mi terrorizza…

- Le scelte fatte con risolutezza solo le più difficili, ma sono le più efficaci. Clint, ragazzo, la tua vita è nelle tue mani ora. – disse poi, chiudendo la chiamata.

- Cosa farai se fallisce? – chiese Aren.

- Maledirò me stesso per il mio errore… - disse, abbassando la voce.

- Non ti ho mai visto così.

- Perché non mi è mai capitato di rischiare così tanto. Quel ragazzo ci ha cambiato a tutti, te compreso. Se dovessimo perderlo… perderemmo una parte di noi stessi… tutto per un mio errore.
Aren rimase in silenzio.

- Ora preparati, abbiamo un’altra cosa da fare. – disse al ragazzo, voltandosi e incamminandosi verso l’uscita.

- Sì, arrivo… - rispose il castano, guardando un’ultima volta il compagno all’interno del gigantesco monitor al centro della sala.
 
Clint sollevò lo sguardo, sorrideva. Nella sua testa contò a uno a uno i secondi prima della rimozione del blocco, sentendosi esplodere una volta scoccato il decimo. Le mani gli tremavano, scosse dal movimento dei nano-bot fissati ai suoi muscoli, alle sue ossa.
Si avvicinò lentamente a Roy, sentendo le braccia appesantirsi. Roy fece lo stesso, muovendosi rapido verso l’avversario. I due si scontrarono a metà strada, facendo collidere le loro nocche. Una spaventosa onda d’urto si generò al contatto, demolendo tutto ciò che li circondava. I due ragazzi si scambiarono colpi violenti, indietreggiando e ripartendo subito all’attacco.
Clint sferrò rapido tre pugni, diretti al petto dell’avversario, venendo però bloccato dai palmi del biondo, che con una tecnica ereditata dal Krav Maga riuscì a sviare i colpi. Clint si trovò bruscamente in svantaggio, venendo colpito da un calcio roteante di Roy, che violento, lo scaraventò al suolo.

- Fermati adesso… - disse Roy, ansimando – Non… avevo idea di quello che stessi provando… Mi dispiace…

Clint si rialzò da terra, ripristinando lo status quo della battaglia. Con uno sguardo assassino mirò l’altro.

- Ti dispiace?! Ma davvero?! Ora vuoi risolvere le cose da amicone?

- Non… ho mai voluto scontrarmi con te… Anche a scuola… quel giorno è stata colpa mia…

- Certo che è colpa tua. Mi hai umiliato davanti a tutti, mi hai fatto sentire impotente… inutile…

- Mi hai provocato, Clint… ho sbagliato a reagire in quel modo… ma in fondo non sarebbe successo se non mi avessi infastidito…

- Stai dando la colpa a me, ora?!

- La colpa è di entrambi, Clint. Smettiamola con questo scontro inutile…

- Inutile… smettiamola… COS’È, VUOI SCAPPARE ADESSO? VUOI LIBERARTI DELLE TUE RESPONSABILITÀ?

- Voglio solo aiutarti! Non hai idea di cosa sono capaci quelli dell’Ægis, ti stanno usando!

- Usando? Cosa ne sai tu di cosa voglia l’Ægis? Loro mi hanno dato un’opportunità, mi hanno dato una nuova vita, mi hanno dato il potere di non essere inferiore.

- Vogliono il mio potere e stanno facendo di tutto pur di averlo, se ci mettono le mani sopra potrebbero scatenare una guerra!

- Anche se piegassero il mondo al loro cospetto… ora sono uno di loro.

- Hai idea di quante persone rischiano la vita?!

- Non mi importa. A nessuno è mai importato della mia vita, o di quella di mia madre. Siamo sempre stati delle ombre, ora che mi hanno donato la luce, pensi che mi importi veramente se qualcuno rimane oscurato?

- Perché non mi hai mai detto cosa provavi?

- Perché solo l’idea di rivolgerti la parola mi disgustava, e mi disgusta tuttora!

- Potevamo risolverla diversamente…

- No, non potevamo. – concluse secco Clint, partendo di nuovo alla carica.

- Facciamola finita allora. STAI A TERRA! – urlò Roy, piantando con un imponente pugno l’avversario nel cemento, colpendolo successivamente con un’altra scarica di pugni.

Stringeva i denti, Roy, mentre colpiva il corpo dell’ex compagno di classe, non avrebbe voluto finire in quella situazione. Se avesse saputo prima cosa avesse spinto Clint a odiarlo a tal punto, avrebbe cercato di aiutarlo, avrebbe cercato di risolvere la questione. Ma ormai era troppo tardi, l’Ægis lo aveva preso e non ci sarebbe stato modo di riportarlo indietro.
Attorno ai ragazzi si era innalzata una sorta di nebbia, scura, carica delle polveri sollevate dalla violenza che avevano gettato su quella strada. L’asfalto fumava incandescente, laddove fosse ancora intatto. I vetri dei negozi, degli appartamenti erano ormai frammenti morti al suolo, divorati dalle fiamme che coprivano il luogo. L’Ægis aveva fatto in modo che la polizia non potesse intervenire, assaltando le stazioni con metodi brutali, diversivi efficaci che impedivano agli agenti di uscire dalle loro basi.
Improvvisamente, Clint gettò via Roy con tutta l’energia che gli era rimasta in corpo, sollevandosi a fatica e rimettendosi in posizione di combattimento. Barcollava.

- Ti porterò da loro, a ogni costo… non deluderò il Signor Schwarz…

- Schwarz? È così che si chiama il comandante dell’Ægis?

- Avrai l’occasione di conoscerlo… - disse Clint, avvicinandosi nuovamente.

Roy era esausto, l’energia del Void lo stava facendo a pezzi dall’interno, ma non poteva mollare, non prima di aver vinto quello scontro.
Clint iniziò a concentrare tutta l’energia nel B.M.M.D., ingrossandosi e diventando una macchina da guerra. Ma non gli bastava ancora, voleva di più, in quella forma non sarebbe comunque riuscito a prevalere contro il ragazzo dagli occhi smeraldini. Voleva spingere al limite il B.M.M.D., e così fece. I suoi muscoli divennero più duri del diamante, il suo corpo divenne un’arma pronta a scagliarsi contro il drago che era il suo avversario. Iniziò a correre, sempre più veloce, come un rinoceronte alla carica, ma dentro di lui qualcosa iniziò a cambiare.
Roy non avrebbe avuto il tempo per schivare il colpo, decise così di respingerlo, generando un’onda cinetica carica di tutta l’energia che gli rimaneva in corpo. L’onda fu talmente imponente da generare un boato udibile da chilometri di distanza e talmente violenta da fermare la carica di Clint. Il membro dell’Ægis si ritrovò immobilizzato, senza la possibilità di muovere alcun muscolo. Il suo corpo aveva smesso di rispondere ai comandi, dentro di sé sentiva un calore che via via si stava espandendo, dall’interno all’esterno, sempre più intenso, sempre più rovente.

- C-che… cosa s-sta… s-succedendo…?! – balbettò, candendo in ginocchio.

- Ma cosa?! – l’attenzione di Roy cadde sul petto dell’avversario, che lentamente stava diventando incandescente.

- ARGH! – Clint urlò dal dolore, cadendo sulla schiena e contorcendosi in preda a violenti spasmi.

Un fischio sempre più forte echeggiò in quella che una volta era una piazza, diventando troppo alto per un qualsiasi udito umano.
Roy guardò spaventato Clint e lo sguardo che vide nei suoi occhi gli si impresse nell’anima: imploravano pietà, chiedevano aiuto. Ciò che accadde dopo fu veloce, troppo veloce. Il fischio aveva raggiunto frequenze ormai altissime, Clint sentì il corpo aprirsi in due. Un ultimo gesto concluse quel momento di terrore: Clint porse la mano verso Roy, sperando che egli riuscisse ad afferrarla. Il biondo, con lo sguardo del ragazzo ancora addosso, tese la mano. Voleva salvarlo.
Una brutale esplosione scaraventò via Roy, un rombo devastante, misto alle atroci urla di Clint si levò per la città. Il biondo riprese i sensi, spaesato in uno scenario apocalittico. Il centro della piazza era ormai carbonizzato e i resti di Clint con essa. Roy rimase paralizzato dal macabro panorama, una lacrima dolorosa gli bagnò le guance ormai coperte di sangue e lividi.

- Clint… non sono riuscito… non meritavi una cosa del genere… se solo gli avessi parlato prima… - il biondo cadde in ginocchio, vomitando per la tensione e svenendo poco dopo.
Axel, liberatosi dalla pressione di Drake, raggiunse il ragazzo, caricandolo in spalla e dirigendosi al sicuro assieme a Blaze ed Ethel, che nel mentre gli avevano fornito la posizione.
 
 
 
 
 Queen City, laboratorio della American Innovation, qualche minuto dopo.
 
Il professor Del Forte stava strisciando a terra, nel tentativo di raggiungere l’uscita. Il corpo gli doleva, ma quella finestra di luce in fondo alla stanza era la sua unica via di fuga. A un passo da essa, però, Aren gli posò un piede sulla schiena, premendolo a terra e facendogli scrocchiare le vertebre.

- A-ARGH…!

- Faccia il bravo e attenda un secondo, la prego…

- C-chi diamine s-sei…?!

- Aren Wolf, se conoscere il mio nome la fa stare meglio.

- C-chi… ti manda?!

- Lo mando io, Andrea. – l’uomo fece il suo ingresso nella stanza.

- S… Simon?! P-perché?

- Tu e Aiden avete nascosto bene le informazioni sul B.M.M.D., così bene che io, il proprietario di tale tecnologia ho dovuto rubarla alla stessa compagnia che finanziai anni fa.

- L’attacco alla Eisenhauer… era… opera tua?!

- Dammi i dati mancanti, Andrea. Non voglio farti ulteriore male, dopotutto sei stato il mio migliore amico nel momento in cui più ne avevo bisogno.

- Cosa vuoi farci?!

- Quello che non riuscii a farvi fare: trasformare quella tecnologia in un’arma.

- Sai già le conseguenze di questa azione, Simon. Non farlo… ti supplico…

- Dove sono i dati?

- Nel computer principale…

- Avete commesso un errore in passato, un grave errore, amico mio…

- Simon… ti prego…

- È stato bello rivederti, Andrea…

- SIMON! – le urla del professore fluirono insignificanti sulle spalle dell’uomo a capo dell’Ægis, che ignorandolo, lasciò la stanza.

Aren uccise istantaneamente lo scienziato, sena farlo soffrire, come richiesto da Simon poco prima di fare irruzione nel laboratorio, seguendo poi il comandante.
Simon giaceva in piedi, immobile, a guardare il cielo grigio di quella giornata di fine inverno.

- Quanto ancora dovrò sacrificare per compiere il mio destino…?

- Ha fallito, vero?

Simon non rispose, ma si limitò a voltare lo sguardo. Aren poté notare una nota di tristezza in quelle spaventose iridi criogeniche.

- Sai perché mi sono dato il nome “Schwarz”, Aren?

- No…

- Perché il nero è il colore che copre gli altri, che copre gli sbagli. Li copre, ma non li cancella… li amalgama, in una miscela omogenea. Io ho commesso un sacco di sbagli, e altrettanti sacrifici sono stati necessari. Ma alla fine… tutto il mondo sarà nero…

- E se quello che stiamo facendo fosse sbagliato?

- Sbagliato e giusto solo sono canoni di una società corrotta, una società che io voglio combattere, con il male e il bene necessari. Ora abbiamo tutto ciò che ci serve per muovere un grande passo avanti. Il prossimo obbiettivo è il Void, e sarà cruciale averne anche solo i dati.

- Sissignore.

- Andiamo.

- Sissignore.
 
L’animo di Simon era diventato un pozzo scuro, pieno di sentimenti freddi e dolorosi.
“Hai scelto la tua strada, ragazzo… una strada sulla quale io ti ho portato… la strada sbagliata…” pensò, stringendo il pugno destro.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Le iridi di Roy erano fisse su Clint, il suo respiro era pesante, lento. Il petto del ragazzo si muoveva a un ritmo costante, costellato dalle innumerevoli linee nere che si illuminavano a impulsi, al ritmo del respiro.
La piazzetta era ormai vuota: una desolata e grigia distesa di cemento distrutto, fiamme e rottami. L’aria si era fatta pesante, il fumo cominciava a infastidire i polmoni e gli occhi dei presenti, rendendo l’atmosfera ancora più ostile.
Con un gesto secco, il biondo si strappò l’ormai distrutta felpa, gettandola a terra e mostrando ai suoi amici il suo corpo per intero: le linee nere avevano pervaso pure la sua schiena, perfettamente allineate con la sua colonna vertebrale. I muscoli erano tesi, i due ragazzi stesi a terra potevano distinguere ogni elemento dorsale sul corpo dell’amico.

- Cosa cazzo…?! – disse Clint, incredulo di fronte all’ex compagno di classe.

- Come hai fatto? – chiese secco Roy.

- Dovrei chiedertelo io piuttosto… - evase l’altro la domanda.

- Ti ha mandato l’Ægis, vero?! Sei qui per me.

- Sei molto desiderato dai piani alti, ora capisco perché…

- Cosa vogliono farmi?!

- Non lo so, Steinberg, ma mi hanno chiesto di portarti da loro vivo… anche se in questo momento la voglia di staccarti la testa è quasi incontenibile… potrei sfogarmi su Felter e la ragazza più tardi…

- Non alzerai un solo dito su di loro. Il tuo avversario sono io.

- Fermami, allora! – disse Clint scattando verso i due ragazzi.

Blaze ed Ethel videro il ragazzo correre verso di loro, a una velocità disumana. Spaventati, cercarono in tutti i modi di scappare. Era inutile, Clint li avrebbe raggiunti in pochi istanti. Blaze si voltò, assistendo a una scena che lo lasciò spiazzato: Roy era comparso fra loro e Clint, sferrando un violentissimo calcio sulla faccia del biondo, facendolo finire contro un muro, sfondandolo. I piedi di Roy erano penetrati nell’asfalto, frenandolo dall’immensa velocità che lo aveva impregnato nell’azione e facendolo arrestare poco prima dell’amico. Le linee nere erano ora incandescenti, fumavano.

- State bene? – chiese il biondo.

- Sì, ma… che cazzo, Roy?!! – rispose terrorizzato Blaze.

- Non è il momento delle spiegazioni, prendi Ethel e mettetevi al riparo.

- Va bene… ma dopo ci devi spiegare ogni cazzo di cosa, intesi?!

- Ve lo prometto, ma adesso andate! – li esortò il ragazzo, vedendoli poi correre il più lontano possibile.

Roy si voltò verso la nube di polvere, rimanendo in allerta per ogni possibile situazione.

“Non posso averlo fatto fuori, da che parte attaccherà?” pensò, facendo fluire un debole ma costante flusso di energia nelle mani e nei piedi.
Dalla nube fuoriuscì Clint, proiettato a velocità esplosiva verso il biondo. Teneva i pugni stretti e le gambe leggermente divaricate, mentre fluttuava con la rapidità di un missile in quell’aria ormai infiammata dalla battaglia.
L’impatto fu violento: le nocche di Clint si scontrarono con le onde cinetiche di Roy, provocando un bassissimo boato e un’onda d’urto che fendette l’asfalto sottostante.
Clint iniziò a colpire il biondo senza sosta, cercando ogni apertura possibile per sferrare danni fatali, esattamente come Aren gli aveva insegnato. Roy non poteva fare altro che parare tutti i colpi che l’avversario stava tirando, generando minuscole onde cinetiche per contrastare alcuni attacchi altrimenti imbloccabili.
Clint era veloce, potenziato dal sistema del B.M.M.D. e veloce era il dolore che iniziava a pervadere il corpo di Roy. Riusciva a parare ogni colpo, sì, ma era costretto a incassarne molti sebbene indeboliti.
Roy era alle strette, l’avversario lo aveva costretto a retrocedere, mangiandogli lo spazio utile per reagire. A un certo punto il biondo si trovò con le spalle al muro, mentre un rapido pugno di Clint stava per essergli sferrato in volto. Il ragazzo, senza farsi prendere dal panico, utilizzò il muro come slancio, afferrando il braccio di Clint e torcendogli contro la sua stessa inerzia lo fece schiantare di schiena contro il muro, mentre con un’onda cinetica si lanciò all’indietro, rotolando via da qual demone che voleva la sua vita.

- Come cazzo hai fatto…?! – chiese infuriato Clint, riprendendosi e sputando sangue.

- Puoi colpirmi quanto vuoi… - ansimò, prima di continuare la frase – ti restituirò tutto con gli interessi… - finì, mettendosi in posizione di guardia.

- Come faccio a non ucciderti, cazzo?! La tentazione è troppo forte… - gridò, guardando il biondo dritto negli occhi.

- Perché ti sei unito a loro?

- Perché mi hanno dato una possibilità… mi hanno dato la possibilità di annientarti!

- Cosa vuoi da me?! Cosa cazzo ti ho fatto, si può sapere?!

- La tua sola esistenza mi corrode… tu hai avuto tutto dalla vita, hai un padre, hai i soldi, sei un genio… tutte cose che io non ho avuto… e ancora tu vivi con quella merda di espressione in volto, quello sguardo vuoto… come se ti mancasse qualcosa… MA COSA?! – gridò, lanciandogli contro un mattone.

Roy schivò il proiettile, gettandosi a terra.

- COSA TI MANCA, STEINBERG?! CON QUALE CORAGGIO OSI SFOGGIARE QUELL’ESPRESSIONE DEL CAZZO?!

- È per questo che mi odi?! Per questo ti sei unito all’Ægis?! Perché sei invidioso di una vita che non ti ha scelto?!

All’udire di quelle parole, Clint perse il controllo, gettandosi contro il biondo a tutta velocità, sradicando nel mentre un palo della luce e usandolo come arma. Roy venne colpito tre volte, il dolore che provò fu intenso, talmente intenso da soffocargli le urla. Il biondo sputò inevitabilmente sangue, cercando di alzarsi.
Clint si avvicinò lentamente, prendendo poi la testa di Roy e stringendola in una massacrante morsa. Il ragazzo sentiva la testa esplodere, urlava dal dolore, troppo intenso. Pensò di morire, prima che Clint alleviasse la presa.

- Tu non hai passato minimamente ciò che ho passato io, tu hai avuto una vita perfetta, SEI NATO CON UN FUTURO! Io no… io sono qui per miracolo… e tu ancora hai il coraggio di dirmi che dovrei accettare il fatto di essere inferiore a te?! Solo perché la vita non mi ha scelto?!

- N-non…  ho… m-mai… detto… c-che…

- FAI SILENZIO! Non ho intenzione di ascoltare le tue fottute giustificazioni. Tu hai avuto tutto dalla vita, ora ti farò vedere come si rimane col culo per terra. Ti porterò via tutto: casa, amici, famiglia, non ti rimarrà nulla, Steinberg. E quando finalmente proverai ciò che mi ha tormentato per anni, ti porterò via l’ultima cosa a cui sarai aggrappato: la vita.

Clint prese il biondo per i capelli, sbattendogli la testa a terra, più e più volte. Se Roy avesse perso i sensi sarebbe stata la fine, non doveva accadere.
Con il briciolo di forze che gli rimanevano in corpo liberò il potere del Void, che fino ad allora era stato parzialmente represso. Le linee nere divennero soli incandescenti, il corpo di Roy venne pervaso da una quantità pressoché infinita di energia, ogni muscolo del suo corpo si era contratto, donandogli così la forza per liberarsi dalla morsa dell’avversario.
Con un colpo improvviso, Roy scaraventò lontano Clint, alzandosi lentamente e voltandosi verso di lui. L’occhio sinistro gli pulsava violentemente, la pupilla continuava ad allargarsi e restringersi seguendo il ritmo delle pulsazioni. Roy aveva i denti stretti, quell’energia lo stava sovraccaricando, ma era l’unico modo per sovrastare la potenza di Clint.
L’alto si tirò su da terra, barcollando sanguinante.
Ansimava.

- Possibile… possibile che ogni volta… ti rialzi… PIÙ FORTE DI ME?! – urlò infuriato, mettendo mano all’auricolare che aveva all’orecchio.

- Base, chiedo il permesso di rimuovere il blocco del B.M.M.D. – disse poi, stringendo i pugni e leccandosi il sangue che gli stava fuoriuscendo dal labbro, il tutto con un sorriso in volto.
 
 
 
 
 
 
Base Ægis, un mese prima.
 
Schwarz osservava Clint durante il suo allenamento, studiava ogni singolo movimento, ne analizzava i progressi, le lacune. Rimaneva stupito, da lui, da quanto fosse cambiato, da come riusciva a utilizzare il B.M.M.D., da quanto il suo progetto fosse più vicino alla realizzazione.
Schwarz non era tipo da cambiare idea facilmente, anzi, quello che pensava veniva sempre realizzato, esattamente come lo aveva pensato, nei minimi dettagli. Tuttavia, Clint era riuscito a scatenare in lui qualcosa. Eppure, era solamente una pedina, uno dei tanti tasselli del puzzle che componevano l’obbiettivo dell’uomo a capo dell’Ægis. Clint era solo un mezzo per arrivare a ciò che voleva, o così pensava prima di scoprirne il talento, la devozione.
Senza rendersene conto, si era affezionato a quel ragazzo, l’ultimo arrivato in quella famiglia improvvisata, in quella fortezza da lui costruita. Clint non era più una pedina, era diventato un membro dell’Ægis, uno di coloro che assieme a lui avrebbero ribaltato il mondo.
L’odio di Clint verso Roy era evidente, e Schwarz lo aveva colto all’istante. Lo aveva utilizzato come arma, per persuadere il ragazzo a unirsi alla sua causa, ma più il tempo passava, più quell’arma si stava tramutando in una a doppio taglio. Schwarz sapeva che Clint non sarebbe riuscito a contenere quell’odio, e la sua più grande preoccupazione era l’effetto di tale odio sul corpo del ragazzo e sul B.M.M.D.. Aveva così deciso di applicare un limite ai poteri che il biondo poteva ricevere dal dispositivo impiantato nel suo corpo, lo aveva fatto per proteggere lui e la ricerca che da tempo aveva sognato tra le sue mani.

- Un limite? Perché?!

- Per sicurezza, la tecnologia non è ancora del tutto pronta, non voglio che tu corra rischi inutili. Un sovraccarico potrebbe compromettere la tua vita, e la tua vita è preziosa per me, per la mia causa…

Clint guardò con occhi fedeli il suo salvatore, trattenendo l’infantile ma innato istinto di piangere.

- La ringrazio per tutto quello che sta facendo per me…

- Sono io che devo ringraziarti, ragazzo, senza di te il progresso delle mie ricerche sarebbe anni luce indietro. – disse, posando una mano sulla spalla del biondo. – Sono sicuro che se continui con questo passo, il potere limitato che hai sarà più che sufficiente per i tuoi obbiettivi. – continuò, sorridendo.

- Mi impegnerò affinché sia così, può contare su di me, Signor Schwarz.

- Non aspetto altro, ragazzo… - disse infine, lasciandolo alla sua routine.
 
Queen City, nel mezzo dello scontro.
 
L’animo di Schwarz era tuttavia scosso da un’inamovibile presenza, una macchia nera che silenziosa, influenzava la brillante mente dell’uomo. Tale macchia lo portava a considerare ogni cosa parte del suo gioco, ogni persona era una delle pedine che muoveva sulla sua scacchiera. Ad alcune si era affezionato, ma dentro di sé sapeva che se mai fossero dovute morire, lui lo avrebbe accettato senza esitazioni. Tutto avrebbe fatto parte dell’immenso disegno che Dio gli aveva inciso nella mente.
Questi pensieri lo tormentavano e la volontà di combatterli stava via via svanendo, oscurata dalla follia della sua fedeltà ai suoi ideali.
Avrebbe compiuto qualsiasi sacrificio necessario, seguendo ciecamente la sua fede, con lo stesso coraggio di Abramo sul punto di uccidere il proprio figlio.
Le parole di Schwarz fecero fatica a uscire, bloccate da un’ultima e disperata scintilla di umanità.

- Underdog, permesso accordato, il limitatore verrà rimosso tra 10 secondi.

- Schwarz?! È sicuro di quello che dice?! Ha idea di quanto rischioso sia per il ragazzo?! – chiese agitato uno dei ricercatori della troupe.

- Clint sta dando tutto sé stesso per la nostra causa, limitandolo lo stiamo intralciando. Volete veramente mancargli di rispetto così? Dopo tutti i sacrifici che ha fatto per noi?! – la voce imponente dell’uomo zittì i presenti.

- Gli farai veramente correre il rischio? – chiese pacato Aren, dal fondo della stanza, appoggiato con la schiena al muro.

- Non sono nessuno per impedirgli di percorrere la strada che ha scelto, mi fido ciecamente del suo giudizio.

- La tua risolutezza mi terrorizza…

- Le scelte fatte con risolutezza solo le più difficili, ma sono le più efficaci. Clint, ragazzo, la tua vita è nelle tue mani ora. – disse poi, chiudendo la chiamata.

- Cosa farai se fallisce? – chiese Aren.

- Maledirò me stesso per il mio errore… - disse, abbassando la voce.

- Non ti ho mai visto così.

- Perché non mi è mai capitato di rischiare così tanto. Quel ragazzo ci ha cambiato a tutti, te compreso. Se dovessimo perderlo… perderemmo una parte di noi stessi… tutto per un mio errore.
Aren rimase in silenzio.

- Ora preparati, abbiamo un’altra cosa da fare. – disse al ragazzo, voltandosi e incamminandosi verso l’uscita.

- Sì, arrivo… - rispose il castano, guardando un’ultima volta il compagno all’interno del gigantesco monitor al centro della sala.
 
Clint sollevò lo sguardo, sorrideva. Nella sua testa contò a uno a uno i secondi prima della rimozione del blocco, sentendosi esplodere una volta scoccato il decimo. Le mani gli tremavano, scosse dal movimento dei nano-bot fissati ai suoi muscoli, alle sue ossa.
Si avvicinò lentamente a Roy, sentendo le braccia appesantirsi. Roy fece lo stesso, muovendosi rapido verso l’avversario. I due si scontrarono a metà strada, facendo collidere le loro nocche. Una spaventosa onda d’urto si generò al contatto, demolendo tutto ciò che li circondava. I due ragazzi si scambiarono colpi violenti, indietreggiando e ripartendo subito all’attacco.
Clint sferrò rapido tre pugni, diretti al petto dell’avversario, venendo però bloccato dai palmi del biondo, che con una tecnica ereditata dal Krav Maga riuscì a sviare i colpi. Clint si trovò bruscamente in svantaggio, venendo colpito da un calcio roteante di Roy, che violento, lo scaraventò al suolo.

- Fermati adesso… - disse Roy, ansimando – Non… avevo idea di quello che stessi provando… Mi dispiace…

Clint si rialzò da terra, ripristinando lo status quo della battaglia. Con uno sguardo assassino mirò l’altro.

- Ti dispiace?! Ma davvero?! Ora vuoi risolvere le cose in amicizia?

- Non… ho mai voluto scontrarmi con te… Anche a scuola… quel giorno è stata colpa mia…

- Certo che è colpa tua. Mi hai umiliato davanti a tutti, mi hai fatto sentire impotente… inutile…

- Mi hai provocato, Clint… ho sbagliato a reagire in quel modo… ma in fondo non sarebbe successo se non mi avessi infastidito…

- Stai dando la colpa a me, ora?!

- La colpa è di entrambi, Clint. Smettiamola con questo scontro inutile…

- Inutile… smettiamola… COS’È, VUOI SCAPPARE ADESSO? VUOI LIBERARTI DELLE TUE RESPONSABILITÀ?

- Voglio solo aiutarti! Non hai idea di cosa sono capaci quelli dell’Ægis, ti stanno usando!

- Usando? Cosa ne sai tu di cosa voglia l’Ægis? Loro mi hanno dato un’opportunità, mi hanno dato una nuova vita, mi hanno dato il potere di non essere inferiore.

- Vogliono il mio potere e stanno facendo di tutto pur di averlo, se ci mettono le mani sopra potrebbero scatenare una guerra!

- Anche se piegassero il mondo al loro cospetto… ora sono uno di loro.

- Hai idea di quante persone rischiano la vita?!

- Non mi importa. A nessuno è mai importato della mia vita, o di quella di mia madre. Siamo sempre stati delle ombre, ora che mi hanno donato la luce, pensi che mi importi veramente se qualcuno rimane oscurato?

- Perché non mi hai mai detto cosa provavi?

- Perché solo l’idea di rivolgerti la parola mi disgustava, e mi disgusta tuttora!

- Potevamo risolverla diversamente…

- No, non potevamo. – concluse secco Clint, partendo di nuovo alla carica.

- Facciamola finita allora. STAI A TERRA! – urlò Roy, piantando con un imponente pugno l’avversario nel cemento, colpendolo successivamente con un’altra scarica di pugni.

Stringeva i denti, Roy, mentre colpiva il corpo dell’ex compagno di classe, non avrebbe voluto finire in quella situazione.
Se avesse saputo prima cosa avesse spinto Clint a odiarlo a tal punto, avrebbe cercato di aiutarlo, avrebbe cercato di risolvere la questione. Ma ormai era troppo tardi, l’Ægis lo aveva preso e non ci sarebbe stato modo di riportarlo indietro.
Attorno ai ragazzi si era innalzata una sorta di nebbia, scura, carica delle polveri sollevate dalla violenza che avevano gettato su quella strada. L’asfalto fumava incandescente, laddove fosse ancora intatto. I vetri dei negozi, degli appartamenti erano ormai frammenti morti al suolo, divorati dalle fiamme che coprivano il luogo. L’Ægis aveva fatto in modo che la polizia non potesse intervenire, assaltando le stazioni con metodi brutali, diversivi efficaci che impedivano agli agenti di uscire dalle loro basi.
Improvvisamente, Clint gettò via Roy con tutta l’energia che gli era rimasta in corpo, sollevandosi a fatica e rimettendosi in posizione di combattimento.
Barcollava.

- Ti porterò da loro, a ogni costo… non deluderò il Signor Schwarz…

- Schwarz? È così che si chiama il comandante dell’Ægis?

- Avrai l’occasione di conoscerlo… - disse Clint, avvicinandosi nuovamente.

Roy era esausto, l’energia del Void lo stava facendo a pezzi dall’interno, ma non poteva mollare, non prima di aver vinto quello scontro.
Clint iniziò a concentrare tutta l’energia nel B.M.M.D., ingrossandosi e diventando una macchina da guerra. Ma non gli bastava ancora, voleva di più, in quella forma non sarebbe comunque riuscito a prevalere contro il ragazzo dagli occhi smeraldini. Voleva spingere al limite il B.M.M.D., e così fece. I suoi muscoli divennero più duri del diamante, il suo corpo divenne un’arma pronta a scagliarsi contro il drago che era il suo avversario. Iniziò a correre, sempre più veloce, come un rinoceronte alla carica, ma dentro di lui qualcosa iniziò a cambiare.
Roy non avrebbe avuto il tempo per schivare il colpo, decise così di respingerlo, generando un’onda cinetica carica di tutta l’energia che gli rimaneva in corpo. L’onda fu talmente imponente da generare un boato udibile da chilometri di distanza e talmente violenta da fermare la carica di Clint. Il membro dell’Ægis si ritrovò immobilizzato, senza la possibilità di muovere alcun muscolo. Il suo corpo aveva smesso di rispondere ai comandi, dentro di sé sentiva un calore che via via si stava espandendo, dall’interno all’esterno, sempre più intenso, sempre più rovente.

- C-che… cosa s-sta… s-succedendo…?! – balbettò, candendo in ginocchio.

- Ma cosa?! – l’attenzione di Roy cadde sul petto dell’avversario, che lentamente stava diventando incandescente.

- ARGH! – Clint urlò dal dolore, cadendo sulla schiena e contorcendosi in preda a violenti spasmi.

Un fischio sempre più forte echeggiò in quella che una volta era una piazza, diventando troppo alto per un qualsiasi udito umano.
Roy guardò spaventato Clint e lo sguardo che vide nei suoi occhi gli si impresse nell’anima: imploravano pietà, chiedevano aiuto. Ciò che accadde dopo fu veloce, troppo veloce. Il fischio aveva raggiunto frequenze ormai altissime, Clint sentì il corpo aprirsi in due.
Un ultimo gesto concluse quel momento di terrore: Clint porse la mano verso Roy, sperando che egli riuscisse ad afferrarla. Il biondo, con lo sguardo del ragazzo ancora addosso, tese la mano. Voleva salvarlo.
Una brutale esplosione scaraventò via Roy, un rombo devastante, misto alle atroci urla di Clint si levò per la città. Il biondo riprese i sensi, spaesato in uno scenario apocalittico.
l centro della piazza era ormai carbonizzato e i resti di Clint con essa. Roy rimase paralizzato dal macabro panorama, una lacrima dolorosa gli bagnò le guance ormai coperte di sangue e lividi.

- Clint… non sono riuscito… non meritavi una cosa del genere… se solo gli avessi parlato prima… - il biondo cadde in ginocchio, vomitando per la tensione e svenendo poco dopo.
Axel, liberatosi dalla pressione di Drake, raggiunse il ragazzo, caricandolo in spalla e dirigendosi al sicuro assieme a Blaze ed Ethel, che nel mentre gli avevano fornito la posizione.
 
 
 
 
 
 
Queen City, laboratorio della American Innovation, qualche minuto dopo.
 
Il professor Del Forte stava strisciando a terra, nel tentativo di raggiungere l’uscita. Il corpo gli doleva, ma quella finestra di luce in fondo alla stanza era la sua unica via di fuga. A un passo da essa, però, Aren gli posò un piede sulla schiena, premendolo a terra e facendogli scrocchiare le vertebre.

- A-ARGH…!

- Faccia il bravo e attenda un secondo, la prego…

- C-chi diamine s-sei…?!

- Aren Wolf, se conoscere il mio nome la fa stare meglio.

- W-Wolf?! No...

- Hai sentito bene, Andrea. – l’uomo fece il suo ingresso nella stanza.

- S… Simon?! P-perché?

- Tu e Aiden avete nascosto bene le informazioni sul B.M.M.D., così bene che io, il proprietario di tale tecnologia ho dovuto rubarla alla stessa compagnia che finanziai anni fa.

- L’attacco alla Eisenhauer… era… opera tua?!

- Dammi i dati mancanti, Andrea. Non voglio farti ulteriore male, dopotutto sei stato il mio migliore amico nel momento in cui più ne avevo bisogno.

- Cosa vuoi farci?!

- Quello che non riuscii a farvi fare: trasformare quella tecnologia in un’arma.

- Sai già le conseguenze di questa azione, Simon. Non farlo… ti supplico…

- Dove sono i dati? - lo ignorò l'uomo.

- Nel computer principale…

- Avete commesso un errore in passato, un grave errore, amico mio…

- Simon… ti prego… - provò a farlo ragionare, invano.

- È stato bello rivederti, Andrea…

- SIMON! – le urla del professore fluirono insignificanti sulle spalle dell’uomo a capo dell’Ægis, che ignorandolo, lasciò la stanza.

Aren uccise istantaneamente lo scienziato, sena farlo soffrire, come richiesto da Simon poco prima di fare irruzione nel laboratorio, seguendo poi il comandante.
Simon giaceva in piedi, immobile, a guardare il cielo grigio di quella giornata di fine inverno.

- Quanto ancora dovrò sacrificare per compiere il mio destino…?

- Clint ha fallito, vero?

Simon non rispose, ma si limitò a voltare lo sguardo. Aren poté notare una nota di tristezza in quelle spaventose iridi glaciali.

- Sai perché mi sono dato il nome “Schwarz”, Aren?

- No…

- Perché il nero è il colore che copre gli altri, che copre gli sbagli. Li copre, ma non li cancella… li amalgama, in una miscela omogenea. Io ho commesso un sacco di sbagli, e altrettanti sacrifici sono stati necessari. Ma alla fine… tutto il mondo sarà nero…

- E se quello che stiamo facendo fosse sbagliato?

- Sbagliato e giusto solo sono canoni di una società corrotta, una società che io voglio combattere, con il male e il bene necessari. Ora abbiamo tutto ciò che ci serve per muovere un grande passo avanti. Il prossimo obbiettivo è il Void, e sarà cruciale averne anche solo i dati.

- Sissignore.

- Andiamo.

- Sissignore...
 
L’animo di Simon era diventato un pozzo scuro, pieno di sentimenti freddi e dolorosi.
Hai scelto la tua strada, ragazzo… una strada sulla quale io ti ho portato… la strada sbagliata…” pensò, stringendo il pugno destro.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Queen City, distretto Sud-Ovest, periferia, la stessa sera.
 
 
Aren si aggirava per la periferia di Queen City, affiancato da cinque suoi uomini. Camminava lentamente, lui, in quell’ambiente morboso che gli ricordava la sua Berlino, la sua maledetta Berlino. Ovunque girasse lo sguardo poteva notare gente di strada, povera, malconcia, ridotta alla fame.
Si proiettò dieci anni nel passato, facendo riemergere quel bambino, il figlio di una delle innumerevoli puttane che vivevano di stenti nei vicoli della grande metropoli tedesca. Quel bambino che Simon aveva salvato, aveva cresciuto e aveva reso un arma. Guardò poi nuovamente le persone attorno a lui, rimanendo nel più totale silenzio, assieme sua stessa figura infantile, immobile accanto a lui.
“È veramente la cosa giusta da fare?” la voce del bambino fece voltare il ragazzo, lasciandolo perso in una figura immaginaria, proiettata dalla sua mente.
“Non lo so. Simon ha deciso così, dobbiamo fidarci di lui.” rispose a sé stesso, tornando a guardare la città.
“Tu ti fidi di lui?” chiese il bambino, cercando il contatto con le iridi di zaffiro del castano.
“Tu ti sei fidato.” disse, guardando il suo passato negli occhi.
“Siamo ancora la stessa persona?” furono le ultime parole di quell’illusione, parola che si unirono alla leggera brezza che l’aveva portata via, quell’illusione.
Aren sbuffò infastidito, voltandosi a parlare coi suoi uomini.

- Reclutate tutta questa gente, dategli i dettagli del luogo di incontro e dell’ora. Ricordate, niente domande. Date loro la speranza, non spiegazioni.

- Sissignore! – risposero all’unisono i cinque uomini, dividendosi le zone di quel quartiere.
 
Il ragazzo tirò dritto, entrando in uno dei diversi night club della città. Erano tutti uguali quei posti, l’esatta copia l’uno dell’altro, identici a quelli di Berlino, i maledetti night clubs in cui era cresciuto. Si guardò attorno, notando subito il pappone del locale: un uomo sulla sessantina, vestito in modo appariscente, con catene e anelli d’oro, un paio di baffi stile retrò e una nera chioma visibilmente trapiantata, pettinata accuratamente.
Analizzò lo spazio attorno a lui: due uomini alla sua destra, sette al bancone, dieci nella zona pole dance, altri dieci ai tavoli. Ventinove uomini, tutti armati, era chiaramente un club di un qualche clan mafioso. Il barista notò il ragazzo, gettando su di lui tutta l’attenzione dei presenti.

- Ehi moccioso! Non siamo un pochino giovani per entrare in un posto simile? O forse sei qua perché la mamma lavora qui?! – disse, facendo scoppiare gli altri a ridere.

- Immagino teniate le donne chiuse sul retro, mi sbaglio? – chiese il castano, ignorando le parole del barista.

- A te che cazzo importa delle mie ragazze, fottuto moccioso?! -  infuriò il pappone, avvicinandosi e puntando una pistola alla tempia del ragazzo. – Ascolta bene, marmocchio, sei già fortunato a essere in questo posto per più di dieci secondi, non hai la minima idea di chi siamo e di cosa possiamo farti. – lo minacciò, premendo la canna sulla pelle del ragazzo.

- Non mi hai risposto. Tenete le donne sul retro? – lo provocò Aren, preparandosi allo scontro.

- Va bene allora… Oggi mi divertirò un mondo bestiacce! Era da troppo che non torturavo un bambino. Fai la nanna adesso! – gridò, facendo per colpire il castano con l’impugnatura della Beretta.
Aren con un’azione fulminea torse il polso dell’uomo, rubandogli la pistola e ficcandogliela in bocca. Gli altri uomini si alzarono contemporaneamente, tirando fuori i ferri e puntandoli dritti verso il ragazzo. Aren premette il grilletto, seccando l’uomo con un colpo, utilizzando poi il suo corpo come scudo. Mantenendo la pistola nella bocca del cadavere, sparò altri tre colpi, eliminando il barista e altri due uomini accanto, colpendoli con precisione millimetrica in mezzo alla fronte. Con un rapido salto si mise dietro al bancone, gettando via la pistola e prendendo quella del barista. Estrasse il caricatore e contò i proiettili al suo interno: 7. Afferrò una delle bottiglie e sbucando dietro uno degli uomini, glie la fracassò sul cranio, usando poi il suo corpo come scudo. Neutralizzò sette dei dieci uomini nella zona pole dance, strozzando l’ottavo con una morsa e la pistola scarica, mentre si gettava all’indietro per usare la piattaforma come riparo. Frugò nelle tasche del fresco cadavere, trovandoci un coltello a farfalla. Quel tipo di armi non gli piacevano, tutta scena e poca versatilità, ma si doveva accontentare.

- Chi cazzo è questo qua?! Fatelo fuori subito! – gridò uno degli uomini rimasti in piedi, scaricando l’ennesimo caricatore verso la postazione da pole dance.
Aren scivolò verso uno dei tavolini, lanciando il coltello dritto alla giugulare di uno dei mafiosi, saltando poi addosso a un altro, torcendogli il collo con la sola forza delle gambe, utilizzando poi la sua Uzi per terminare il resto della banda.
Il ragazzo dagli occhi di zaffiro si alzò da terra, voltandosi poi verso le prostitute sdraiate al suolo, terrorizzate di fronte alla scena.

- Non preoccupatevi, sono venuto per liberarvi. Dove sono le vostre compagne? – chiese, cercando di rassicurare le donne in preda allo sgomento. – Non ho intenzione di farvi del male, ve lo giuro. Mia madre era una prostituta, so benissimo come venite trattate, sono qua per porre fine a questo orrore… dove sono le vostre compagne? – chiese nuovamente.

- N-Nel retro… L-La porta è-è l-lì… - disse, balbettando e indicando una porta metallica rossa, chiusa a chiave.

Aren tirò fuori dalla cintura una fiala, versandone poi il contenuto sulla serratura. Questa iniziò a fondersi, permettendo così al castano di sfondare la porta con un calcio. Ciò che ci trovò dentro gli fece venire un nodo in gola, venendo assalito poi da orribili ricordi. Sul pavimento giacevano una ventina di donne, così magre da poterne contare le singole vertebre. Alcune di loro erano ferite, altre erano prive di coscienza, altre ancora cercavano disperatamente un pezzo di pane nei luridi cassetti di un’ormai marcia scrivania d’ebano. Gridarono all’unisono, cariche di uno spaventoso terrore, il terrore di donne attaccate a quel che restava della loro vita.

- Vi prego di calmarvi… sono venuto per liberarvi… - disse Aren, indietreggiando lentamente e mostrando l’uscita sgombra alle donne. – Ho due furgoni medici all’esterno, andate lì e fatevi curare. Il mio capo vuole aiutare chi è in difficoltà, vuole aiutare voi, vuole donarvi il futuro che meritate.

- C-Chi siete? – chiese una delle donne più vecchie.

- Siamo il futuro di questo mondo, e vogliamo che anche voi possiate farne parte. Come voi mia madre era una prostituta, ma grazie all’aiuto del mio capo siamo riusciti a rinascere, con una vita, con una speranza.

- Cosa dobbiamo fare?! – chiese una delle altre, con voce carica di speranza.

- Andate all’esterno, fatevi medicare e fatevi dare le istruzioni dal mio personale. Vi chiariranno tutto loro.

- Grazie… ci hai salvato la vita…

- Non dovete ringraziare me, ma il mio capo. È lui che mi ha mandato qua. Avrete modo di farlo se vi unirete alla nostra causa. – concluse il castano, uscendo dal locale e dando ai propri uomini le indicazioni per terminare la mission.

Drake era arrivato con la sua Jeep, sgommando esageratamente di fronte al ragazzo.
Aprì la portiera del passeggero, invitandolo ad entrare.

- Arriverà il giorno che ribalterai sta macchina e io giuro che ti ci lascerò dentro. – disse Aren infastidito.

- Come siamo acidi stasera… ti è rimasta la cena sullo stomaco? – lo provocò ulteriormente l’uomo.

- Non ho ancora cenato, sono stanco, sono coperto di sangue, voglio solo farmi una doccia e concludere sta giornata del cazzo.

- Il bambino ha fatto troppi compiti?

- Una sola parola in più e ti rompo i denti. – minacciò il castano, lanciando uno sguardo omicida al compagno.

- Che peso… - sbuffò l’uomo, tornando a concentrarsi sulla guida.
 
I due arrivarono alla base in pochi minuti, a causa della guida spericolata di Drake. Aren scese dall’auto, girandosi verso il compagno.

- Chi cazzo te l’ha data la patente?

- L’esercito americano, perché, non ti piace la mia guida?

- Vuoi seriamente una risposta?!

- Poverino… non gli piace la velocità. – lo provocò l’uomo.

- Non ho intenzione di perdere altro tempo con le tue stronzate… - lo liquidò infastidito il castano, girandosi e dirigendosi nervosamente verso il suo alloggio.

- Buonanotte principessa! – gridò Drake, vedendosi ricambiare la cortesia con un dito medio. – Se penso alla prima volta che l’ho visto, non avrei mai detto che sarebbe stato così divertente da far innervosire. – ridacchiò poi fra sé e sé, parcheggiando la macchina e andando anche lui al suo alloggio.
 
Aren era arrivato in camera sua, gettandosi immediatamente sotto la doccia, lavando via così tutto il sangue e lo stress di quella giornata intensa.
Quell’apparizione gli era però rimasta impressa nella mente, era diventata un fastidioso pensiero che gli ronzava nella testa, mettendo a dura prova i suoi nervi.
Uscì dalla doccia con i capelli ancora bagnati, indossando la biancheria e un paio di larghi e morbidi pantaloni della tuta, rimanendo però senza maglia. Si asciugò la chioma castana, sdraiandosi poi sul letto a fissare il grigio vuoto del soffitto.
Pensava, lui. Pensava a ciò che il suo passato gli aveva detto, pensava a ciò che stava facendo, se fosse veramente la cosa giusta da fare.
Pensava a Simon, l’uomo che era diventato un padre per lui, i suoi pensieri, i suoi metodi, erano veramente la soluzione? Poche volte si era trovato così in conflitto con sé stesso, e quella sera il conflitto lo stava distruggendo dall’interno, era sul punto di una crisi.
Qualcuno bussò alla porta, richiamando alla realtà il ragazzo.

- Avanti. – rispose secco lui, cambiando subito espressione, vedendo Diana fare capolino nella sua stanza.

- Ehi, Drake mi ha detto che non hai ancora cenato, così ho pensato di prendere della pizza. – disse dolcemente, avanzando verso di lui e poggiando i cartoni della pizza sul tavolino vicino al letto del ragazzo.

- D-Diana… tu dovresti riposare ancora… n-non dovevi disturbarti…

- Aren. – il tono della ragazza ammutolì immediatamente il castano. – Per quanto tu possa negarlo, anche Drake capisce quando hai qualcosa che non va… vuoi parlarmene? – chiese poi, sedendosi accanto a lui.

Aren esitò, evitando lo sguardo della ragazza per qualche secondo, salvo poi ricercare conforto nelle sue iridi d’oceano.

– Ho avuto un’allucinazione… non riesco a capire se quello che stiamo facendo sia veramente giusto… stiamo condannando un sacco di innocenti… E poi… i suoi occhi… il suo sguardo… è cambiato, Diana… il suo sguardo mi terrorizza adesso… - disse con voce tremula, cercando di trattenere un’insolita lacrima.

La ragazza strinse il castano in un abbraccio, facendogli posare la testa sui suoi morbidi seni.

– Simon è rimasto lo stesso, Aren, lo stesso uomo che ci ha salvato la vita, lo stesso uomo il cui ideale brucia di passione e che è disposto a sacrificare tutto per raggiungerlo. Abbiamo sempre agito in questo modo: seguendo i suoi ordini, i suoi disegni, non ci ha mai deluso, e noi non abbiamo mai deluso lui. È normale esitare, Aren, anche per te. Te lo avrò ripetuto un milione di volte: non sei una macchina!

- Perché allora sto dubitando di Simon? Perché improvvisamente la fiducia che ho in lui i si sta torcendo contro? – chiese lui, stringendo la ragazza.

- Forse hai solo paura di deluderlo o di essere deluso da lui. Aren, Simon ci ha cambiato la vita, ci ha promesso un mondo in cui possiamo vivere assieme, lasciandoci i nostri passati alle spalle. Dobbiamo avere fede in lui, nel suo progetto e in noi stessi. Ehi, non c’è nulla di sbagliato nello stare male. – disse poi, carezzandogli la testa.

Il ragazzo rimase in silenzio, tirandosi su e guardando nuovamente le iridi della ragazza.

- Non mi piace vederti così, Aren. – disse la ragazza, spostandogli un ciuffo di capelli dal viso.

- Scusa… stasera non so cosa mi sia preso…

- Dovresti mangiare qualcosa, forse è la fame che ti ha reso così… - scherzò lei, vedendolo sorridere lievemente. – Questa è l’espressione che mi piace vederti in viso… - disse poi, avvicinandosi al ragazzo e rubandogli un bacio da quelle rosee labbra.

Aren esitò confuso, ricambiando però il bacio delicatamente. Le occasioni in cui i due ragazzi divenivano così intimi erano poche, a causa della loro ripromessa di non porre i loro sentimenti prima del lavoro. Tuttavia, i due sentivano di tanto in tanto la necessità di passare del tempo assieme, come una vera coppia. Nella loro mente risuonavano ancora le parole che Simon aveva rivolto loro, il giorno in cui venne a sapere della relazione fra i due:
“Ricordate figli miei, l’amore è il più grande sentimento dell’uomo, ma è anche il più doloroso da perdere. Per accettare veramente l’amore bisogna essere pronti anche ad accettare di poterlo perdere… perché quando accade e non si è pronti… il dolore è talmente grande da non abbandonarti più per il resto della vita…”
 
Diana guardò le iridi gelide del ragazzo, carezzandogli la guancia. – Ogni tanto sgarrare non è un male. – disse, sorridendo. – Ora che ne dici di mangiare, prima che la pizza si raffreddi? – chiese poi, spostando insistente lo sguardo sui cartoni.

- Va bene… - rispose rassegnato il ragazzo, ricambiando però il sorriso.
 
 
Berlino, quartier generale dell’Anonymous Asset, la mattina seguente, orario europeo.
 
La direttrice dell’Asset giaceva nell’ufficio all’ultimo piano di uno dei tanti grattacieli della nuova Berlino. Fissava la grande vetrata che la separava dal tetto verde, decorato in stile mediterraneo, una serra-oasi in mezzo al grigio cemento della città. I rami di rosmarino venivano delicatamente bagnati da un’onda di vento, danzando a un ritmo ipnotico, fondendosi coi movimenti delle foglie di mirto che leggere, dondolavano cullate dalla brezza. La donna era immobile, con lo sguardo colmo di una percepibile preoccupazione, teneva le braccia conserte, in una sorta di abbraccio confortante.

-Frau Gea, Axel hat uns die Analyse der Infiltration von vor zwei Monaten zur Verfügung gestellt. Signora Gea, Axel ci ha fornito l'analisi dell'infiltrazione di due mesi fa. – una voce femminile interruppe i pensieri della donna.

-Danke, richten Sie ein Support-Team ein. Grazie, prepara un team di supporto. – rispose lei, congedando l’agente.

Gea prese in mano il tablet con le informazioni sull’attacco alla struttura di contenimento: i sensori erano riusciti a captare solo una piccola quantità di movimenti, generando un grafico approssimativo di quelle che potevano essere state le capacità dell’intruso. Spostò poi lo sguardo sui dati trafugati, analizzandoli e scrivendo un proprio rapporto su un secondo terminale. Osservò poi i dati delle ricerche possedute da Andrea Del Forte, soffermandosi su una specifica del B.M.M.D. in particolare.
Colta da un’intuizione, Gea prese in mano il telefono del suo ufficio, contattando immediatamente Axel.

- Klein a rapporto, Signora Gea.

- Axel, sto guardando i dati che mi hai inviato, ho notato una cosa che potrebbe aiutarci nella ricerca dell’Ægis.

- Che cosa, Signora Gea? – la voce del ragazzo era seria, come suo solito.

- Ci sono delle incongruenze fra i grafici delle onde cerebrali necessarie al completo funzionamento della tecnologia. È possibile che adesso stiano cercando di correggere questi fattori.

- Quindi sta dicendo che…

- Hanno bisogno di qualcuno che s’intenda di neuroscienze. Una squadra di supporto arriverà entro domani, voglio un tracciato demografico di tutti i neurologi, neurochirurghi e neurochimici dello stato. Mandatemi gli esiti nel minor tempo possibile.

- Sissignora, la contatterò il prima possibile.

- Grazie, Axel. Buon lavoro.

- A lei. – rispose il ragazzo, terminando la chiamata.
 
La donna guardò nuovamente i dati, arrotolando nervosa i suoi lunghi capelli biondi attorno a una penna digitale.

- A che gioco stai giocando, Schwarz…? – disse tra sé e sé, volgendo nuovamente lo sguardo al piccolo giardino. – Non arriverai a Roy tanto facilmente…- concluse, aprendo le grandi porte di vetro e uscendo dall’ufficio.
 
 
 
 
 
Queen City, Villetta degli Steinberg, la stessa mattina, orario americano.
 
Roy e Aiden avevano iniziato a preparare il tavolo per la colazione, quando Blaze ed Ethel entrarono in cucina, ancora assonnati.

- Buongiorno… - disse Blaze, sbadigliando.

- Buongiorno ragazzi, dormito bene? – chiese Aiden sorridendo ai due.

- Benissimo, Signor Steinberg, grazie ancora per averci ospitato.

- Mangiate qualcosa adesso, ho preparato la colazione. – invitò poi i due a sedersi.

- Grazie mille Signor Steinberg! – rispose Blaze, tornando magicamente in vita.

- Ti vedo meglio oggi, Roy. – disse Ethel sorridendo.

- Un po’ mi va meglio anche grazie a voi. – ricambiò lui il sorriso, prendendo poi una delle numerose brioches alla crema

- Devo sbrigare delle cose al laboratorio adesso, rimanete qua anche a pranzo, Axel ha avuto un impegno improvviso, vi accompagnerà dopo.

- V-Va bene… grazie mille… - risposero i due all’unisono.

- Roy è abbastanza bravo ai fornelli, siete in buone mani. – salutò i tre ragazzi, gettando un po’ d’allegria nell’aria, per poi dirigersi verso il laboratorio.
 
I tre ragazzi finirono di mangiare, sparecchiando e spostandosi in soggiorno, sedendosi poi sul divano davanti all’enorme televisore. Volevano distrarsi un po’ davanti a un videogioco, per riprendersi dagli avvenimenti della sera prima. Roy fece un salto in camera sua, portando nell’altra stanza la sua console e tre controller, che distribuì agli amici. Montò l’apparecchio e prese posto vicino ai due ragazzi.

- Cazzo! Non ho mai giocato su uno schermo così grande, che figata! – esclamò esaltato Blaze, impugnando il controller e perdendosi nelle luci del maxischermo appeso al muro.

- A cosa giochiamo, ragazzi? – chiese Roy, facendo scorrere la selezione del menu.

- Hai l’ultimo Mario Kart? – chiese Ethel, guardando Blaze con aria strafottente.

- Certo, ora lo seleziono. – rispose il biondo, muovendo rapidamente le levette del controller.

- Stronza… - mormorò Blaze.

- Che c’è, paura di perdere? – lo provocò lei.

- Siete molto competitivi vedo. – disse Roy, ridacchiando.

- Oh sì, lei è una stronza infame su sto gioco, stai attento Roy. – lo avvertì il castano.

- Sei tu che sei scarso, Mr. Banana… - continuò a provocarlo la rossa.

- È successo una volta sola, ok?! Non avevo visto il muro! – gridò lui, cercando di mascherare una lieve vergogna.

- Mr. Banana? Come mai questo soprannome? – chiese incuriosito il biondo.

- Una volta sto scemo si è lanciato addosso le sue stesse banane… - Roy si fece scappare uno sbuffo divertito.

- Una sola volta!

- Haha… dai, vediamo cosa sapete fare. – riporto Roy l’attenzione sul gioco.
 
I tre ragazzi giocarono per un paio d’ore, immersi in un divertimento naturale, spontaneo, così forte da coprire i disastrosi sentimenti della sera prima. Roy si sentiva improvvisamente bene, era la prima volta che riusciva a divertirsi così dopo tanto tempo, da quando aveva lasciato la Germania non aveva più avuto qualcuno con cui giocare e passare il tempo.
A un certo punto Ethel dovette andare al bagno, lasciando momentaneamente soli i due ragazzi. Blaze sedette a gambe incrociate di fronte a Roy, guardandolo con una faccia allegra.

- Beh? Ci vogliamo sbrigare a fare la prima mossa? – chiese, punzecchiando l’amico con un dito.

- E-Eh? – il biondo fece finta di non capire.

- Avanti Roy, lo hai capito no? Ethel è interessata a te… fatti avanti con lei!

- S-Sì ma…

- Ma cosa?!

- Non sono molto abile a relazionarmi con gli altri… figuriamoci con una ragazza…

- Ascoltami, ti sei aperto con me. Con me, e mi vieni a dire che non riusciresti ad aprirti anche con Ethel?!

- Mi sento solamente un po’ insicuro… non so come comportarmi in queste situazioni…

- Cristo! Ti dico io come comportarti: quando ce ne stiamo per andare, tu le proponi di uscire. La conosco bene, Roy, è praticamente mia sorella. Dirà sicuramente di sì, fidati di me.

- V-Va bene…

- Di che parlate, ragazzi? – chiese Ethel, tornando in salotto.

- Nulla di particolare, scuola.

- Vi va se iniziamo a preparare il pranzo? Comincio a sentire un po’ di fame… - chiese il biondo, voltandosi verso la cucina.

- Buona idea, ti aiutiamo! – rispose Blaze, alzandosi agilmente dal divano.
 
I tre ragazzi prepararono un curry di pollo e verdure, scherzando e chiacchierando mentre tagliavano i vari vegetali che Roy aveva accuratamente lavato e posato sul tavolo.
Mangiarono con gusto, parlando del più e del meno, richiamando nuovamente gli avvenimenti del giorno prima, cercando di supportarsi a vicenda. Il tempo volò senza che i tre potessero rendersene conto, e come annunciato da Aiden, Axel venne a prendere i due ragazzi.

- Ringrazia ancora tuo padre per averci ospitato, è stato gentilissimo. – disse Ethel sull’uscio della villetta.

- Vero, ringrazia tuo padre anche da parte mia Roy. Ethel io vado intanto… ciao ROY! - Blaze guardò il biondo con uno sguardo particolare, facendosi capire al volo.

- Senti… Ethel… ti andrebbe di… uscire assieme uno di questi giorni? – chiese timidamente Roy.

- Certo, martedì va bene!

- Va b-benissimo… - balbettò lui.

- Mi faccio dare il tuo numero da Blazy, sono contenta tu me l’abbia chiesto. Grazie ancora per averci ospitato! – lo salutò lei, dandogli un bacio sulla guancia e dirigendosi verso la macchina di Axel.
 
Roy guardò immobile i propri amici allontanarsi sul bolide, rientrando poi in casa e stendendosi sul divano. Pensò alla giornata appena trascorsa, pensò a quanto si era divertito e a quanto gli mancasse avere qualcuno con cui passare del tempo assieme. Il biondo ripensò infine al bacio sulla guancia ricevuto da Ethel, arrossendo pesantemente e sentendo le parole di Blaze echeggiargli nella testa.
Non gli piaceva essere in imbarazzo, era una delle cose che più odiava in vita sua. Per distrarsi, decise di scendere in palestra e rimettere in sesto completamente i muscoli ancora indolenziti dallo sconto del giorno prima, anche se completamente rigenerati.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Queen City, base Ægis, laboratorio di Niklas Gunnarson.
 
Tutta quella tecnologia pareva un’allucinazione agli occhi delle persone che entravano nel laboratorio di Niklas Gunnarson, sorteggiate a caso fra i tanti candidati, reclutati durante la settimana dall’Ægis. Quel giorno era il turno di due ragazzini e una donna: i primi erano stati salvati dalla fame della periferia, la donna era una delle prostitute liberate da Aren.
Il più giovane dei ragazzini si avvicinò timidamente a Niklas.

- Mi scusi… cosa dobbiamo fare? – chiese con una voce angelica, innocente.

- Devo solo farvi delle analisi, per piacere sdraiatevi sui lettini là in fondo. – rispose dolcemente il neurochirurgo, carezzando delicatamente la testa del piccolo castano, mascherando perfettamente la sua eccitazione.

- Mi perdoni la domanda, dottore, ma come potremo mai essere utili a questa associazione? Loro sono solo due ragazzini, io ormai ho una certa età…

- Non dovete preoccuparvi, il mio capo ha una mansione per ciascuno di voi, quello che ci importa adesso è la vostra salute. Non possiamo farvi lavorare se il vostro corpo non è perfettamente sano. – continuò a mentire lui. – Ora prego, prendete posto. – disse infine, invitando i presenti a sdraiarsi sui lettini al centro del suo laboratorio.

I due ragazzini e la donna eseguirono gli ordini, sdraiandosi e attendendo l’operato del dottore. Quest’ultimo attaccò diversi elettrodi al corpo dei pazienti, inserendo anche a ciascuno una flebo nel braccio.

- Non vi preoccupate, questo è un liquido per aumentare la circolazione del sangue, mi serve per eseguire analisi più accurate. – rassicurò i due bambini, visibilmente spaventati dall’ago. – Perfetto, ora vado a eseguire le analisi al computer, mi raccomando rimanete dove siete, è importante che non facciate movimenti bruschi. – disse poi, dirigendosi verso il suo terminale, chiudendo la porta della piccola cabina medica alle sue spalle.

I tre pazienti non erano in grado di sentire ciò che veniva detto al di là delle pareti insonorizzate della cabina, se non tramite un altoparlante che li manteneva collegati con il professore.

- Stato? – chiese Niklas a uno dei suoi assistenti.

- La soluzione vaso dilatante-magnetica è stata completamente iniettata nei pazienti.

- Iniziamo l’innesto del B.M.M.D. potenziato. – ordinò, prendendo in mano un terminale e digitando una serie di comandi.

- Innesto B.M.M.D. in esecuzione, inizio monitoraggio parametri. – rispose prontamente un altro assistente. – Attivazione blocco magnetico dei pazienti. – disse poi, azionando un comando dal suo terminale.

Improvvisamente, i due ragazzini e la donna si sentirono attratti verso il basso, come se la forza di gravità si fosse fatta dieci volte più intensa.

- C-Che succede?! Perché n-non riesco a muovermi?! – gridò spaventato uno dei due bambini.

- Non lo s-so piccolo, cerca di rimanere calmo. Ehi! Cosa sta succedendo?! – chiese minacciosa la donna, guardando verso il dottore senza tuttavia ricevere risposta. – Sto parlando con lei! Perché non risp… - improvvisamente il corpo della donna iniziò a contrarsi, facendola gridare dal dolore.

Anche i due bambini tirarono urla strazianti, in preda ad atroci convulsioni, arrivando addirittura ad avere la schiuma alla bocca.

- I parametri sono instabili! – commentò uno degli assistenti, analizzando uno dei tanti grafici.

- Fermi. È tutto nella norma, fra cinquanta secondi avviate il programma di adattamento neurale forzato. – si impose Niklas, riportando l’ordine nel laboratorio.

- Sissignore. – risposero gli assistenti, tornando immediatamente al lavoro.

Le urla si erano fatte sempre più macabre, i tre poveri pazienti sentivano come se il proprio corpo stesse venendo smembrato, provando un dolore che andava oltre ogni possibile cognizione umana.

- Cinque… quattro… tre… due… uno… avvio procedura di adattamento neurale forzato. – disse uno degli assistenti, azionando un programma del protocollo.

- Onde cerebrali instabili a cinquanta hertz… Signore, i parametri sono sette volte quelli normali!

- Non importa, seguite la mia procedura. Inondazione cerebro-forzata a cinquecento hertz. – ordinò, facendo comparire sul volto degli assistenti un’espressione terrorizzata.

- C-Cinquecento hertz?! Signore, il loro cervello esploderà!

- FATE COME VI HO DETTO! I miei calcoli sono sempre stati perfetti. – sbraitò il professore, mettendo mano al suo terminale. I due operatori eseguirono, azionando uno dei macchinari all’interno della cabina.

Le convulsioni dei pazienti si fecero più violente, i grafici dei parametri mentali registrarono picchi disumani finché improvvisamente, tutto si fermò, smettendo di emettere qualsiasi tipo di segnale. Confusi, i due assistenti osservarono i loro terminali, cercando di interpretare quei dati assurdi.

- M-Morte cerebrale… abbiamo perso i pazienti… - disse uno dei due, guardando Niklas, in preda allo sgomento.

- Non date conclusioni affrettate, sembrate delle cazzo di matricole… Guardate e imparate. – rispose il moro, azionando un ulteriore programma dal suo terminale.

Improvvisamente i parametri vitali dei pazienti tornarono normali, generando grafici stabili e valori completamente diversi da pochi istanti prima. Senza perdere tempo, Niklas iniziò a digitare una sequenza di comandi al terminale a velocità incredibile. I suoi occhi si muovevano con la rapidità di un fulmine, scorrendo le numerose righe di codice del programma.

- Quello che abbiamo fatto è stato resettare completamente la loro mente, liberando il loro cervello da tutti i terabyte di memoria non utilizzati dall’organismo per le funzioni omeostatiche. Le onde cerebrali ad alta frequenza sono state assorbite dal B.M.M.D., permettendoci di stabilizzare le loro condizioni e impedendo alle stesse onde di ucciderli. – disse il neurochirurgo, mostrando ai due sorpresi assistenti come interpretare l’ultimo grafico comparso sullo schermo.

- Q-Quindi adesso… c-cosa intende fare? – chiese titubante uno dei due.

- Ho codificato una serie di informazioni sottoforma di onde cerebrali a sette hertz di frequenza. Sono onde dello stesso tipo di quelle emesse in fase REM. Faranno in modo di mantenere le funzioni vitali del loro organismo in condizione stabile e col consumo del minimo necessario. Forniremo loro nutrimento tramite una flebo contenente una soluzione da me creata, composta da minerali base e nutrimenti fondamentali per l’organismo umano. Verranno trasportati nella nuova struttura costruita dal capo, dove li manterremo in celle criogeniche in attesa di un loro futuro utilizzo. – la spiegazione del professore lasciò increduli i due scienziati che, nonostante la loro esperienza in materia, non riuscivano a digerire completamente un concetto macabro e affascinante allo stesso tempo come quello.

- Vuole applicare questo procedimento a tutti i reclutati?! – chiese il più giovane degli assistenti, titubante.

- Lo farete voi. In questo terminale ci sono tutti i passaggi spiegati nei minimi dettagli, avete due giorni di tempo per impararli a memoria. Nel mentre gli uomini di Schwarz amplieranno il laboratorio per permetterci di operare su un numero maggiore di soggetti. Il materiale che vi ho fornito è complesso, non avete tanto tempo, vi conviene iniziare. – consigliò, guardando i due con uno sguardo carico di fiducia e aspettative.

- S-Sissignore, ci mettiamo subito all’opera. – risposero all’unisono i due.

- Ottimo. – disse pacatamente, azionando poi il suo auricolare. – Schwarz, il test ha avuto successo, manda degli uomini a prelevare i primi soggetti. – disse poi a Simon, facendogli comparire un ghigno terrificante in volto.

- Ottimo lavoro, Niklas, sono ansioso di vedere il risultato finale. Fra un’ora inizieranno i lavori di ampliamento. – rispose il comandante dall’altra parte della linea.

- Perfetto, intanto mi occupo della seconda fase. Con permesso. – chiuse il moro la chiamata, uscendo dalla stanza e dirigendosi verso la palestra del plesso.
 
Nella palestra del plesso dell’Ægis, Aren e Drake aspettavano seduti su una panchina l’arrivo del professore, l’uomo stravaccato a gambe larghe, il ragazzo a gambe incrociate.
Alla vista del moro, i due si alzarono, andandogli incontro.

- Buongiorno Professor Gunnarson. – disse Drake, porgendo la mano al neurochirurgo.

- Buongiorno. Grazie per essere qui puntuali, mi scuso io per aver tardato. – rispose lui, stringendogli la mano.

- Non si preoccupi, Professore. – lo tranquillizzò Aren, stringendogli a sua volta la mano.

- Vado dritto al punto, signori. La seconda fase del progetto Legion consiste nel codificare uno schema di combattimento da impiantare nella mente dei nostri soggetti, generando una schiera di soldati potenziati con capacità combattive predefinite.

Aren e Drake si guardarono perplessi. – Quindi cosa dobbiamo fare per Lei, Professore? – chiese il ragazzo.

- Dovete simulare un combattimento, cercando di eseguire più schemi possibile, neutralizzandoli a loro volta. Lo farete con addosso questi speciali elettrodi. Dovete applicarli al petto, alla testa, agli arti e alle loro estremità.

- Come farà a… codificare il nostro stile di combattimento, perdoni la curiosità… - chiese incuriosito Drake.

- Gli elettrodi mi trasmetteranno i vostri parametri psico-motori, assieme a diverse informazioni su circolazione sanguigna, respirazione e impulsi visivi. Tramite un programma di mia invenzione mi è possibile ricreare questo schema di parametri sottoforma di un pacchetto di dati che, tramutati in segnali cerebrali, saranno poi innestati nella mente dei nostri soldati.

- Cazzo che figata… è sicuro di non venire da un altro pianeta, Professore? Questa cosa sembra fantascienza! – scherzò l’uomo.

- Può sembrare fantascienza, Drake, ma la fantascienza è solo una limitazione di ciò che l’intelletto umano può creare. La fantascienza nasce dalla paura di superare i nostri limiti. Io paura non ne ho mai provata, ed ecco che mi è stato possibile oltrepassare questa barriera, nemesi della scienza moderna. – disse con uno sguardo spaventoso. – Ma adesso è tempo che vi mettiate all’opera. Ecco, a voi gli elettrodi. – concluse, porgendo infine gli elettrodi ai due interlocutori.
 
Drake e Aren si tolsero i vestiti, rimanendo con solamente un paio di corti pantaloni sportivi. Applicarono i dispositivi nelle zone indicate dal professore, mettendosi poi in posizione di guardia, l’uno di fronte all’altro.
Drake fissava silenzioso il castano, osservando i vari dettagli del suo imponente corpo: dagli addominali scolpiti al dragone nero tatuato lungo tutta la parte destra del suo petto. Contro quel corpo aveva combattuto parecchie volte, trionfando e cadendo in numero praticamente pari di volte. Quel corpo, tuttavia, lo lasciava impressionato ogni volta di più.

- Pronto, ragazzo? – chiese, sorridendo.

- Pronto. – rispose lui, ricambiando il sorriso.

Aren non era tipo da rimanere divertito spesso, tuttavia, combattere contro Drake era una delle cose che più lo faceva divertire a quel mondo. L’uomo riusciva ogni volta a sopraffarlo con la sua estrema tecnica, anche se veniva sconfitto. Aren era affascinato dallo stile di quel marine di colore, e ogni combattimento contro di lui era come una prova delle proprie capacità. Il suo obbiettivo era quello di stupirlo e assorbire un po’ di quella magistrale mente guerriera.

- Cominciate. – ordinò Gunnarson, prendendo a osservare il suo terminale.
 
Aren fece un balzo in avanti, iniziando a colpire l’avversario con una serie di calci precisi al millimetro, mirando ai punti scoperti della difesa. Drake, in risposta, scostava i piedi fulminei del ragazzo con un incredibile gioco di mani, utilizzando la stessa forza dei colpi in entrata per bilanciare il proprio corpo in quella caotica frenesia. Rapidamente, Aren cambiò approccio, passando a uno stile incentrato su rapidi spostamenti delle gambe, seguiti da un colpo diretto alla testa dell’avversario. L’uomo incentrò la sua difesa in colpi calibrati, sferrati in perfetta sincronia con l’avversario, vanificandone così l’efficacia e dandogli spazio per contrattaccare. Anche lui fulmineo, approfittò del vuoto di qualche millesimo di secondo per posizionare dei micidiali calci sulle fasce laterali del corpo di Aren. Il ragazzo, prontamente, utilizzava i gomiti per deviare verso il basso i calci in entrata, accompagnando la parata con un movimento di gambe e bacino verso il basso, distribuendo la forza residua sul corpo, limitando lo sforzo che sarebbe andato a incidere sulle sole gambe.
Ogni singolo movimento andava a codificare una serie quasi infinita di dati che, con rapidità disumana venivano osservati e trasposti nel programma del professore dallo stesso. – Continuate così, è perfetto! – li incoraggiò Niklas, senza staccare lo sguardo dallo schermo.
Aren slittò all’indietro, frenando e riposizionandosi subito con l’ausilio dei piedi. Il vantaggio di essere scalzo gli permetteva di sfruttare appieno l’attrito fra la pelle e la materassina, bilanciando il corpo in qualsiasi situazione. Drake prese il dominio del combattimento, sferrando rapidi calci roteanti, seguiti da pugni e gomitate, in un caotico e al contempo estremamente ordinato schema. Aren perse la lucidità per un brevissimo istante. Aveva capito che il momento in cui avrebbe dovuto fare sul serio era arrivato, non aveva scelta se voleva combattere ad armi pari con la macchina da guerra che era il suo avversario.
Respirò istantaneamente, azionando una scarica di adrenalina che gli permise di utilizzare i riflessi al massimo della sua velocità. Roteava il bacino a una velocità fulminea, amplificando la minima quantità di forza che imprimeva nei colpi attraverso i suoi movimenti, contrastando così le fucilate sferrate da Drake. In una danza mortale, alternava braccia e gambe per rispondere ai colpi avversari.

- Impressionante cazzo! – gridò Drake, esaltato da una violenta scarica di adrenalina. Riprese poi l’assalto, sferrando una serie gomitate, utilizzando al massimo dell’efficienza ogni singolo muscolo del braccio.

Aren dovette indietreggiare, parando la raffica micidiale del marines. Il corpo del ragazzo era allo stremo, lottare al massimo delle sue capacità per così tanto tempo era logorante, anche per una macchina da guerra come lui. Lo stesso valeva per Drake, che rallentò la furia gradualmente, cercando di recuperare le energie.

- Già… spompato…? – chiese il castano, ansimando con tono provocatorio.

- Ti sei vista… principessa…? – rispose l’uomo, punzecchiando il ragazzo a sua volta.

- Professore… per quanto dobbiamo andare avanti ancora…? – chiese Aren al neurochirurgo.

- Per me può bastare così, ora potete riposarvi. Vi ringrazio per il vostro impegno, siete stati magistrali. – disse Niklas, ultimando la gestione dei dati nel suo terminale. – Ora ho tutto il materiale per completare la fase due. Potete togliervi gli elettrodi, grazie ancora per la disponibilità, Aren, Drake. Vogliate scusarmi. – concluse poi, dirigendosi nuovamente nel suo laboratorio.
 
Aren e Drake si lasciarono cadere a terra sfiniti, levandosi i fastidiosi elettrodi attaccati al corpo.

- Domani farà malissimo, cazzo. – disse Drake, massaggiandosi una spalla.

- Non mi capita spesso di finire in queste condizioni… - disse il ragazzo, stirandosi, allungando il corpo fino a toccarsi le punte dei piedi.

- Questo perché non esiste nessuno in grado di eguagliarmi. – rise l’uomo.

- E infatti guarda con cosa mi devo accontentare… 

- Oggi però mi hai veramente stupito, ragazzo. Ci ho messo tutto me stesso in questo giro di giostra, eppure, sei riuscito a starmi dietro.

- Se non avessi schivato alcuni di quei colpi, adesso sarei molto probabilmente morto. Hai idea di quanta forza stavi impiegando? – chiese Aren, leggermente irritato.

- Non abbastanza da farmi prevalere nell’incontro… tsk… - lo provocò l’uomo.

- Ho bisogno di una doccia, mi sento demolito…

- A chi lo dici…
 
I due si diressero nel bagno della palestra, gettandosi sotto i bollenti getti d’acqua delle docce.
Aren sentiva il caldo flusso scorrergli lungo tutto il corpo, lavandogli via la fatica di quell’intenso combattimento. Con gli occhi chiusi, immerse la testa nel getto d’acqua, sentendo un tiepido brivido scorrergli lungo la schiena. Improvvisamente vide nella sua mente un’immagine di Diana, oscurata poi da altri pensieri confusi: fiamme caotiche che bruciavano l’immagine della donna che amava.

- Aaah…! – gridò, tornando alla realtà in preda a un lieve sgomento.

- Tutto bene, ragazzo?! – chiese allarmato Drake, da una delle cabine al fianco di quella del castano.

Aren rimase in silenzio per qualche istante, ansimando, lasciando udibile solamente il fruscio dell’acqua.

- Drake… come hai conosciuto tua moglie? – chiese improvvisamente, con tono totalmente normale, come se ciò che era appena successo non fosse mai accaduto. Il ragazzo, tuttavia, era appoggiato con la schiena al muro, cercando di riprendersi da quella visione.

L’uomo ormai conosceva bene il ragazzo. Sapeva benissimo quando il castano aveva bisogno di lui, anche se non lo dava mai a vedere. Senza perdere tempo, Drake si mise a raccontare la sua storia.

- La conobbi quando avevo circa la tua età. Al tempo ero un giovane appena entrato all’accademia militare, lei era una studentessa di uno dei licei più rinomati della città. Iniziammo a frequentarci poco prima della fine dell’estate, passammo un sacco di serate assieme, e… finimmo per innamorarci. Passarono tre anni prima che potessimo considerarci una vera coppia, lei era impegnata con l’Università e io non avevo praticamente tempo libero, a causa del servizio militare. Lei era l’unica persona in grado di comprendermi appieno, sapeva tutto di me: quando stavo male, quando non volevo dire una cosa, quando avevo bisogno di aiuto. – si fermò per un istante. – Ci sposammo subito prima di andare a convivere e poco dopo, diventammo genitori di una bambina stupenda… aveva gli occhi di sua madre, gli stessi che mi avevano fatto innamorare anni prima. Era forte come il suo papà… - il tono dell’uomo divenne sempre più lento e carico di rimorso.

- Non mi hai ma raccontato come le hai perse… cos’è successo? – chiese Aren, con tono insolitamente delicato.

- Stavo tornando dall’ultima missione in Medio Oriente, mi avevano finalmente congedato da quell’inferno… tuttavia, quel maledetto giorno di dodici anni fa… fu il teatro del più grande attentato all’America dopo quello delle Torri Gemelle.

- L’attentato di Miami? – chiese il ragazzo.

- Esatto, quel giorno mia moglie e mia figlia erano andate a trovare mia cognata, proprio a Miami. L’esplosione di quella bomba rase al suolo la città. Ringrazio Dio per averle fatte morire velocemente. Mi avevano chiamato poche ore prima, ci eravamo parlati, avevamo mille progetti per il nostro futuro… ma la vita decise di farmi inseguire dalla stessa guerra che io avevo appena combattuto. – L’uomo fece una pausa, per poi farsi scappare una lenta e dolorosa risata. - I momenti che ho passato in guerra, ho sempre pensato fossero i peggiori… ogni giorno poteva essere l’ultimo, sarei potuto morire da un momento all’altro, su quella maledetta sabbia. Avrei perso tutto, lasciando sole le persone che amavo… ma poi… quando persi veramente ogni cosa… lì solamente capii cosa era il vero dolore. Capii che questo mondo era sbagliato, che la guerra non era altro che uno stupido capriccio che stava per distruggerlo, il mondo.

- Come sei arrivato da Simon?

- Tornato dal congedo non avevo più nulla, la mia famiglia era morta, la casa era troppo costosa per uno stipendio da militare in congedo, i miei genitori erano morti anni prima. Nulla, se non il rimorso di essere stato assente per tutta la vita di mia figlia, arrivando troppo tardi per morire almeno assieme a lei. Un giorno decisi di farla finita, volevo ricongiungermi a mia figlia, a mia moglie, volevo espiare i miei peccati, volevo redimermi per la guerra che io stesso avevo combattuto. Ero lì, sul punto di premere il grilletto con la canna della pistola in bocca, ma la mia mano tremava, avevo paura. Fu in quel momento che Simon si avvicinò a me. Mi conosceva, in qualche modo. Sapeva cosa avevo perso, e mi disse che lui stesso aveva perso la persona più cara a lui nell’attentato. Quel giorno mi aprì gli occhi, mi parlò del potere, mi parlò delle sue ambizioni, mi promise un mondo in cui la guerra non sarebbe più stata necessaria. Si avvicinò a me e mi tolse la pistola di bocca, stringendomi la mano con una forza che mi riaccese la scintilla nel petto.

- Lo hai seguito nonostante tutte le persone che abbiamo ucciso, perché?

- Perché ormai non avevo più nulla da perdere, ragazzo. La vita si è presa tutto ciò che avevo, se volesse prendersi anche me, non sarei in grado comunque di impedirlo e per arrivare al mondo che Simon mi ha promesso, arriverei a bruciarlo, il mondo.

Aren rimase per un istante in silenzio.

- Drake, ho appena avuto un’allucinazione… è la seconda questa settimana… non so cosa cazzo mi stia succedendo… - disse poi, cercando conforto nell’attesa delle parole dell’uomo.

- Hai visto Diana in questa allucinazione? – chiese l’uomo.

- Come…?!

- Non mi avresti mai chiesto la storia di mia moglie, altrimenti. Ti conosco bene ragazzo, ho visto crescere te e Diana da quando non eravate altro che marmocchi. Hai paura di perderla, ecco cosa ti succede.

- Ho paura che tutto ciò che stiamo facendo sia vano…

- È normale provare paura, quello che facciamo è complicato, è qualcosa in cui un ragazzino di diciassette anni non dovrebbe essere coinvolto. Ma eccoci qua, a farci una doccia dopo aver combattuto per uno scienziato pazzo. Il mondo è fottuto, ragazzo, e noi dobbiamo seguire le follie di questo mondo, o rimarremo fottuti pure noi. Dobbiamo avere fiducia in ciò che stiamo facendo e in colui che ci guida: Simon. Lui ci ha salvato quando il mondo stava per ingoiarci, ora tocca a noi supportarlo e impedire al mondo di ingoiare una grande figura come lui. Oltre a lui, io supporterò sempre anche voi. La guerra insegna che non c’è cosa più preziosa dei compagni, i compagni sono quelli che più di tutti riescono a tirarti fuori dalla merda che la vita ti getta ai piedi. Ormai sappiamo quando hai qualcosa che non va, Aren, non cercare più di nascondercelo. Saremo sempre pronti ad aiutarti, ragazzo.

- Grazie, Drake… - il ragazzo arrossì lievemente.

- Ora però mi è venuta una fame della madonna, vieni a prenderti un boccone? – smorzò l’uomo la tensione

- Va bene, ma offri tu… - rispose, provocandolo.

- Certo, così il bambino smette di frignare… - controbatté, rilanciando la frecciatina al ragazzo.

Aren fece una smorfia, sbuffando, scatenando poi una risata nell’uomo che, contagiosa lo raggiunse, facendolo sorridere. In quel momento Aren provò uno strano sentimento: si sentiva felice e sicuro, Drake aveva portato la pace dopo la tempesta che quell’allucinazione aveva portato nel suo animo. Si stava pian piano rendendo conto che quell’uomo imponente, quella sua forte personalità e il suo fare paterno erano una delle cose più preziose che possedeva e avrebbe fatto di tutto per proteggerle.
 
Quartier Generale dell’Asset, ufficio della comandante Gea, martedì mattina, orario europeo.
 
- Questo è il quadro completo di tutte le identità che combaciano col profilo che stiamo cercando, Signora Gea. – le parole di Axel echeggiavano per l’enorme sala.

- Ottimo lavoro, Axel. Da domani vi voglio operativi nella ricerca del possibile nascondiglio.

- Sissignora, io e la squadra di supporto ci metteremo subito al lavoro.

- Ordina lo stato di allerta per tutte le nostre basi americane, voglio eliminare l’Ægis appena riusciamo a scoprire dove si nascondono.
- Sissignora, sarà fatto.

- Perfetto, queste sono le direttive per adesso. Buon lavoro.

- Grazie, Signora Gea. – fece per chiudere il ragazzo.

- Ah… Axel, un’ultima cosa. – lo fermò la donna.

- …Mi dica, Signora Gea.

- Ho dato all’unità Hurricane l’ordine di raggiungervi e rimanere in stand-by.

- L-L’unità Hurricane?! – chiese stupito il moro.

- Sì, hai il completo controllo su di essa, non esitare a utilizzarlo qualora fosse necessario.

- S-Sissignora… - rispose leggermente titubante. - Ci vuole andare proprio pesante… - pensò tra sé e sé.

- Conto su di te come sempre, Axel.

- Li troverò, Signora Gea. Chiudo. – affermò il ragazzo con improvvisa sicurezza.
 
Gea si alzò dalla sua poltrona, muovendo lentamente i passi verso la vetrata che la separava da una fredda Berlino di fine inverno. Lo sguardo nei suoi occhi aveva assunto una nota di arroganza.

- Non hai più molto tempo, Schwarz… È arrivato il momento di uscire dal buco in cui ti sei rintanato.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Queen City, Liceo Triumph, martedì mattina, orario americano.
 
Roy e Blaze sedevano esausti in quella soffocante aula al terzo piano dell’enorme struttura scolastica, con i volti e le menti consumate dalla noia prodotta da quelle interminabili lezioni di storia.
Il biondo giocherellava nervoso con una penna, facendola roteare fra le dita. Il suo quaderno era completamente coperto da annotazioni e scarabocchi, alternate in un ordinatissimo caos d’inchiostro. Blaze, al contrario, era disteso con le braccia accasciate sul banco, la testa china e gli occhi socchiusi.

- Cristo Dio… quanto manca alla fine?! – chiese sfinito, volgendo le sue stanche iridi brune verso l’amico.

- Mezz’ora… - rispose Roy, ricambiando il castano con uno sguardo altrettanto pietoso.

- Porca puttana…

- Ti vedo pieno di vita, rappresentante di classe… - scherzò il ragazzo dalle iridi smeraldine.

- Tu piuttosto, oggi non devi uscire con Ethel? – chiese repentino lui, gettando l’amico in un momentaneo e improvviso panico.

- Eh… a proposito di questo… devi aiutarmi… - bisbigliò il biondo, per non attirare l’attenzione della professoressa.

- Aiutarti? Cos’è, devo venire a tenervi la mano mentre uscite?

- Non hai capito, scemo, devi dirmi cosa le piace fare! – sbuffò, alzando inconsciamente la voce.

- Steinberg, Felter! Volete anche un caffè per caso?! Fate silenzio! – urlò la professoressa, richiamando i due ragazzi.

- Ci scusi…

- Scusi… - risposero i due, scambiandosi uno sguardo divertito.
 
Finite la lezione, i due si avviarono verso casa, camminando l’uno di fianco all’altro stretti nei loro giacconi e berretti, ancora indispensabili per il freddo clima di fine inverno.

- Ethel adora il cinema, mi avrà fatto vedere diecimila film. Ogni volta che pioveva mi trascinava al cinema a vedere anche i film più beceri e trash che ci potevano essere. 

- Dici di andare a vedere un film? Che genere le piace in particolare?

- Horror, quelli gore se vogliamo essere precisi…

- G-Gli horror… g-gore?! – chiese perplesso il biondo, stentando a credere a ciò che l’amico gli aveva appena detto.

- Ethel sembra una ragazza normale, ma in realtà è fuori di testa.

- Un film gore però non è troppo appropriato per un appuntamento… no? – disse Roy perplesso.

- No, certo che no, cazzo! L’ora di storia deve averti fottuto il cervello.

- E allora cosa cazzo la porto a vedere?! Una roba smielata? Un film d’azione? Una commedia?!

- Sei nervoso? – ignorò lui la domanda, provocandolo.

- Sì che sono nervoso! Non sono mai uscito con una ragazza in vita mia! – rispose il biondo, infastidito.

- Allora, ascolta attentamente. – Roy annuì, prestando la massima attenzione. – Ethel adora tre cose alla follia: i film, lo sport e i dolci. Visto che è il vostro primo appuntamento direi che lo sport lo lasciamo da parte, quindi…

- …Quindi rimangono i film e i dolci.

- Bravo bambino. Portala a mangiare una fetta di torta, ha aperto una nuova pasticceria alla fine di Lincoln Street, sono sicuro al cento per cento che non ci è ancora mai andata.

- Va bene…

- Poi, una volta che siete seduti a mangiare, le proponi di guardare un film, così potete decidere assieme cosa vedere? Fin qui ci siamo?

- Sì… credo di sì…

- Bene, finito il film accompagnala a casa e se le cose sono andate come da programma, ti proporrà lei di uscire di nuovo. Te lo posso garantire. 

- Grazie Blaze, ti devo un favore.

- Ehi, farei di tutto per mia sorella e il mio migliore amico, lo sai. Però ti prego, proteggila e portala al sicuro qualora dovesse succedere qualcosa…

- Stai tranquillo, saremo seguiti da una squadra speciale dell’Asset, e non ho intenzione di perderla di vista nemmeno per un secondo.

- Allora buona fortuna. Io sarò impegnato tutto il giorno con la band, quindi non aspettarti che ti risponda al cellulare.

- Tranquillo, me la caverò in qualche modo. A domani! – lo salutò il biondo.

- Divertitevi, a domani! – ricambiò Blaze, svoltando verso casa sua.
 
Rimasto solo, Roy accelerò il passo, voleva tornare a casa il più in fretta possibile per potersi preparare al meglio per il suo primo appuntamento. Percorse rapidamente il piccolo giardino di fronte all’ingresso, rischiando di scivolare su un ciottolo inumidito dalla leggera pioggia che aveva bagnato la città nelle prime ore del giorno. Girò rapidamente la chiave nel chiavistello, venendo inondato da un getto d’aria calda una volta spalancata la porta.
Il biondo si tolse le scarpe, poggiando così i piedi scalzi sul pavimento termoriscaldato, ricevendo un tiepido brivido che gli pervase il corpo. Corse in cucina, aprendo frettolosamente il frigo e cercando distrattamente qualcosa di semplice e veloce da preparare per pranzo.
Scelse una bistecca di manzo, che preparò in pochi minuti in una padella presa a caso dal mobile. Consumò il pasto rapidamente, alzandosi poi e posando il piatto nella lavastoviglie.
Roy corse verso il bagno, levandosi la maglia e i pantaloni durante il tragitto, afferrò uno degli accappatoi appesi al muro del bagno e si gettò sotto un getto caldo d’acqua. Il ragazzo si lavò velocemente, utilizzando un bagnoschiuma dal profumo particolarmente piacevole, un regalo di una collega di suo padre, all’arancia ed estratti di melagrana.
Uscì dalla cabina e si precipitò davanti allo specchio, lì si asciugò accuratamente i capelli, guardando più volte il proprio riflesso. La presenza di quell’iride triangolare continuava a turbarlo, ma cercò di non farci caso, spostando il suo sguardo sul proprio corpo. Corse fuori dal bagno, dirigendosi in camera e indossando poi la biancheria. Aprì l’armadio al centro della stanza, rimanendo fermo dinnanzi ai numerosi capi al suo interno. Estrasse tre magliette, due camicie, due paia di pantaloni e due felpe, iniziando a provare le diverse combinazioni, riflettendosi nello specchio all’interno dell’anta sinistra dell’armadio.
Era indeciso, continuava a interrogarsi su cosa avrebbe pensato Ethel, ormai quei pensieri erano diventati un tormento. Di colpo sentì nella sua testa la voce di Blaze: “Che cazzo di problemi ti fai? Mettiti quel cazzo che vuoi, Ethel non è una attenta alla moda o a cagate simili!” Quelle parole potevano essere tranquillamente uscite dalla bocca del castano, anche se erano solo il frutto della sua immaginazione.
 
- Anche quando non sei presente ti fai sentire, eh…? – ridacchiò Roy tra sé e sé.
 
La scelta del biondo ricadde su una maglietta nera, coperta da una felpa verde-mela, abbinata a un paio di pantaloni cargo grigi e un berretto verde-militare. Si guardò un’ultima volta allo specchio, sbuffando e annuendo rassegnato.
 
- Speriamo così possa andare bene… - sospirò, indossando un paio di Vans verdi e dirigendosi verso la porta.

Il viale alberato che percorreva di solito gli sembrava più lungo di come se lo ricordava, probabilmente era la tensione, il fatto che fosse il suo primo appuntamento lo stava ancora consumando dall’interno. Doveva calmarsi.
Guardò le chiome degli alberi, rigogliose di piccole gemme ora finalmente libere dal gelo invernale e bagnate da un velo di rugiada, aveva piovuto quella mattina. La fine dell’inverno lo stupiva sempre: dal nulla ricompariva la vita, ricominciava un meraviglioso ciclo di colori, odori, sensazioni. Inspirò una lunga e fresca boccata d’aria, portando quello che rimaneva dell’inverno nei suoi polmoni. Rabbrividì lievemente.
Guardò l’orologio: era in largo anticipo, ma comunque decise di accelerare il passo.
Ai lati della strada una piccola scolaresca marciava in direzione dello State Theater, canticchiando allegramente una canzoncina che veniva insegnata i primi anni delle elementari. Roy li osservò divertito, gli ricordavano suo fratello.
 Attraversò le due viuzze che lo separavano da casa di Blaze e si appoggiò a un muro in attesa di Ethel. Si guardò attorno, osservando con attenzione i dintorni in cerca degli uomini che Axel gli aveva affidato come scorta a distanza. Incrociò lo sguardo con uno di loro, annuendo poi, vedendolo fare lo stesso.

- Ehilà! Sei arrivato super puntuale! – Ethel comparve dal nulla, abbracciando e facendo prendere un colpo al biondo.

- …! Oh… ciao Ethel… mi hai spaventato… - disse ancora confuso. La ragazza si mise a ridere, lasciandolo perdersi nel suo sorriso.

- Scusami… haha, ti avevo visto perso nel vuoto e non ho saputo resistere… dove andiamo di bello? – chiese poi a bruciapelo.

- Ha aperto un nuovo bar-pasticceria vicino al centro, all’incrocio fra Lincoln Street e Anthem Street, ti va se andiamo a provare?

- E me lo chiedi?! Andiamoci subito! – esclamò lei, prendendogli la mano e trascinandolo di corsa verso il centro, Roy non poté far altro che seguirla.


 
Queen City, settima sede operativa dell’Asset, poco più tardi.
 
Axel sedeva di fronte a uno degli innumerevoli computers del plesso dell’Asset, muovendo il cursore del mouse fra gli innumerevoli fascicoli riguardanti Niklas Gunnarson. In una finestra a lato teneva aperto un programma di scrittura, dove trasportava di tanto in tanto alcune note importanti di ciò che stava indagando.
L’uomo venne interrotto da una voce femminile, seguita dal suono di una molteplicità di passi.

- Generale Klein, abbiamo terminato l’avanscoperta, abbiamo tracciato quattro possibili luoghi in cui il target potrebbe nascondersi. – disse la donna, avvicinandosi alla scrivania e porgendo al moro una tavoletta digitale contenente la mappa con i luoghi d’interesse contrassegnati. Dietro a lei una squadra di nove uomini stava in attesa di ordini, disposta silenziosamente in fila.
Axel osservo con attenzione la mappa, passando repentinamente lo sguardo dalla tavoletta digitale al monitor del computer, collegando i luoghi marchiati alle informazioni che era riuscito a trovare.

- In cinque giorni, a partire da oggi, ci prepareremo per effettuare un blitz nei quattro luoghi da voi tracciati. Dobbiamo agire velocemente. Il nostro obbiettivo è prendere in custodia il professor Gunnarson prima che venga usato dall’Ægis. La comandante Gea ha inviato l’Unità Hurricane come risorsa e mi ha ordinato di usarla senza esitare. – spiegò, alzandosi dalla scrivania e avvicinandosi ai soldati. – Ci divideremo in quattro squadre da tre elementi, simulando i blitz nelle camere a realtà aumentata.  In questi cinque giorni dovremo diventare una mente unica, agire in perfetta coordinazione e muoverci in totale sincronia. Intesi? – esordì poi, voltandosi verso la donna.

- Sissignore! – gridarono all’unisono i soldati.

- Soldato Rees, porta la squadra ai piani inferiori e aspettatemi nelle camere a realtà aumentata. – ordinò infine, uscendo poi dalla sala.
 
L’uomo varcò una porta accessibile solo a una cerchia ristretta di agenti, trovandosi poi in un ampio salone. Di fronte a lui una figura maschile rimaneva immobile, voltandogli le spalle.
- Ben arrivato, Hurricane. – disse secco, avvicinandosi alla figura.
Egli si voltò, venendogli incontro. – Grazie Axel. – rispose, porgendogli la mano. Il moro non la strinse.
Era un ragazzo abbastanza giovane di poco più di venticinque anni, con due innaturali iridi cremisi e i capelli corti tinti di blu-elettrico, raccolti ordinatamente in una cresta al centro della sua testa. Axel lo fissò apatico. - Generale Klein, Hurricane, lo sai che non mi piace essere trattato con confidenza.

- Stronzo come al solito… che bello non trovarti cambiato! – ribatté l’altro, volgendo le sue iridi rosse verso il generale.

- Hai letto le informazioni sulla missione? – chiese Axel, ignorando la provocazione.

- Sì, mamma, le ho lette mentre venivo qua.

- Bene allora, dirigiti ai piani inferiori, iniziamo subito l’addestramento. – ordinò, dirigendosi verso l’uscita.

- Certo che non ti prendi mai un secondo di pausa eh… - si lamentò quello dai capelli blu.

- Te lo dico una sola volta, Diego: Gea non ti ha mandato qua per farti divertire e io non ho la minima intenzione di divertirmi con te. Devo dirigere un’operazione che potrebbe eliminare definitivamente l’Ægis e sventare qualsiasi cosa stiano tramando. Non ho tempo da perdere perché di tempo proprio non ce ne abbiamo, quindi: o inizi a comportarti come il soldato che dovresti essere, oppure puoi tornartene tranquillamente in Germania. Spero di essere stato abbastanza chiaro.- si impose il moro.

- E che cazzo… va bene… Generale Klein. Mi faccia strada però, non conosco il complesso. – rispose rassegnato il ragazzo, assumendo un atteggiamento totalmente diverso.

- Per di qua. – fece strada Axel.
 
La camera a realtà aumentata si presentava vuota, fredda, di un bianco angosciante. Al suo interno la squadra di soldati attendeva sull’attenti il comandante, che subito si mise di fronte a loro, seguito dal giovane Diego.
Gli uomini di Axel guardarono all’unisono il giovane dai bizzarri capelli blu, cercando di comprendere come fosse possibile il fatto che fosse proprio lui la famigerata “Unità Hurricane” dell’Asset.

- Lui è Diego Ferra, l’Unità Hurricane. Soldato Cold, Soldato Freeman voi sarete nel team con lui. Rees e Fray con me; Sahed, Collins e Gray team tre; Kane, Klopp e Neri team quattro. La simulazione avrà inizio fra cinque minuti, vi voglio tutti nelle rispettive arene entro questo intervallo. I dati delle simulazioni sono già stati caricati, buon lavoro.


 
Queen City, nei pressi del centro storico.
 
Roy ed Ethel erano quasi arrivati alla pasticceria, lei camminava all’incontrario, davanti al ragazzo, lui la seguiva cercando di tenere il passo. Gli sguardi dei due si erano evitati per qualche decina di minuti, colpevole il reciproco imbarazzo iniziale, sebbene poi i ragazzi erano riusciti a rompere il ghiaccio, abituandosi l’uno all’altra.

- E così triste che tu non possa essere andato in Germania a Natale… dev’essere dura stare così lontani dalla propria famiglia per così tanto tempo… - disse la rossa, affiancando il ragazzo.

- Non è facile, già, ma mi sento con loro ogni giorno, quindi è come se in un certo senso potessimo stare assieme.

- Sentire queste cose mi rende malinconica… mi sento fortunata al solo pensiero di avere praticamente due famiglie.

- Già… tu e Blaze siete veramente uniti, dev’essere forte avere un fratello della propria età…

- Non posso dire che non lo sia, solo che a volte può diventare stressante…

- Posso capire perfettamente, Blaze è un tipetto impegnativo, haha… - sorrise il biondo.

- Poi pure i nostri genitori sono pesanti… sono convinti che io e Blazy stiamo assieme e continuano a lanciarci frecciatine. Non ne possiamo più…

- Però vi vedrei benissimo assieme. – disse spontaneamente, immaginando subito l’espressione che avrebbe fatto l’amico sentendo quelle parole. “Ma sei scemo in culo?!” le poteva sentire perfettamente quelle parole.

- No, credimi, stiamo assieme praticamente ogni giorno, non ne possiamo più l’uno dell’altra. Se ci mettessimo assieme finiremmo per litigare e rovinare il nostro rapporto, siamo entrambi molto permalosi.

- Beh… penso che sia una cosa naturale… - rispose il ragazzo dagli occhi smeraldini, sollevato dalla risposta della ragazza.

- E poi sono mesi che cerco di far uscire quello scemo con qualcuno, ma nella sua testa c’è solo la musica…

- Mi ha detto che a breve avrà un concerto.

- Già, la sua band partecipa a un grande evento per band emergenti ogni anno, è come il Natale per lui.

- Mi piacerebbe andarlo a sentire allora! – disse il biondo, guardando Ethel.

- Ci andiamo assieme!? Il concerto è ad aprile. – gli occhi della ragazza si illuminarono.

- Certo! – Roy sorrise. – Oh! Siamo arrivati. – disse poi, fermandosi.

Il locale aveva una bizzarra struttura in stile moderno: una parte cilindrica centrale, nera, con avvolta attorno una struttura rossa dalla forma stravagante, quasi sembrava uno di quei dolci che si vedevano nei programmi di alta cucina alla televisione. Accostate alla struttura centrale, tre sbarre bianco latte rompevano in due parti l’immagine di quello strano negozio.
 L’afflusso di gente in quel posto era spaventoso, dai bambini e le loro mamme alle coppiette, da uomini d’affari ai golosi anziani.

- Certo che è un posto stupendo! – esclamò Ethel stupefatta.

- È enorme! – esclamò a sua volta Roy.

- Ci sarà posto? – chiese dubbiosa la rossa.

- Non scoraggiamoci, sicuro ci sarà, dai. – la rassicurò lui. – Dai, entriamo. – la prese per mano, senza accorgersene. Ethel arrossì.

L’interno della pasticceria si presentava come l’esterno: pieno zeppo di gente, quasi non si riusciva a respirare.

- Mamma mia… - esclamò spaventata la ragazza.

- Guarda, la fila scorre velocemente! – notò il biondo. – Se ci mettiamo in fila ora, riusciamo a sbrigarcela alla svelta.

- Hai ragione. Aspetta… - disse lei, cercando di infilarsi nel mare di gente attorno a lei, finendo per premere involontariamente il seno contro il ragazzo. Egli sentì un brivido, era imbarazzato come mai prima di allora.

- T-Tutto ok? – si limitò a dire, cercando di ignorare la sensazione che il corpo della ragazza premuto sul suo gli stava trasmettendo.

- Sì… scusa…

- N-Non ti preoccupare. – la tranquillizzò. “Cazzo, cazzo, cazzo, cazzo, cazzo! “ Pensò nel mentre, stringendo impercettibilmente i denti.

Passarono venti minuti in quella fila, un tempo tutto sommato onesto per la quantità di persone nel locale. Finalmente il biondo poté ordinare al bancone.

- Prendi quello che vuoi, offro io. – disse sorridendo.

- Ma no… non ti preoccupare… - cercò di dissuaderlo lei.

- Seriamente, non farti problemi. – insistette lui.

- Uff… va bene… - cedette la rossa, ordinando una torta alla crema coi lamponi, la scelta del ragazzo ricadde invece su un’invitante torta al cioccolato e mandarino.
La pasticcera servì i due giovani in fretta, ringraziandoli e salutandoli cordialmente dopo aver incassato il conto.
I due uscirono a fatica dal negozio, spossati dall’enorme densità di persone che li avevano circondati fino a quel momento. Roy si guardò repentinamente attorno, trovando conforto nella presenza degli uomini dell’Asset sparsi nelle vicinanze.
Ethel si avvicinò al biondo, indicandogli un piccolo parco in fondo alla piazza.

- Perché non andiamo a sederci al parchetto lì in fondo? Almeno respiriamo un po’ d’aria fresca, ne abbiamo bisogno dopo tutta quella coda…

- Hai ragione, poi stiamo anche seduti.

- Vieni! – lo chiamò lei, facendoli segno di seguirla.

I ragazzi arrivarono al parco, sedendosi su una delle numerose panchine avvolte dal verde. Attorno a loro due aceri giapponesi rompevano il mare di verde di quel parco coi loro colori rosso acceso, spiccando alla vista come stelle in un cielo notturno.
Ethel aprì delicatamente la confezione del pastificio, porgendo al biondo la sua fetta di torta.

- Ecco, tieni. – disse, sorridendo.

- Grazie, Ethel. – rispose lui, ricambiando il sorriso.

La ragazza affondò i denti nel morbido pan di Spagna, facendo esplodere in bocca i perfetti sapori di quel dolce. Un lampone, rompendosi al contatto coi denti, le macchiò il naso. Roy scoppiò a ridere, guardando la ragazza, che goffamente cercava di pulirsi il viso.

- Tieni. – le porse lui un fazzoletto.

- Grazie… - rispose imbarazzata lei.

- Questa torta è spettacolare! – esclamò il ragazzo dagli occhi smeraldini per mettere la rossa a suo agio.

- Anche la mia era buonissima, forse la migliore torta ai lamponi che abbia mai mangiato! – disse con un sorriso radioso.

- Vuoi assaggiare a mia? – chiese il biondo, vedendole luccicare gli occhi.

- Posso? – chiese la ragazza timidamente.

- Certo! – disse, facendosi scappare una risata.

Ethel prese il pezzo di torta offertogli dal biondo, gustandolo nel pieno dei sensi. - È strepitosa questa! La prossima volta la prendo pure io! – esclamò, agitandosi sul posto. – Grazie comunque… non dovevi offrirmela… - disse poi, cercando lo sguardo del ragazzo.

- Ehi, veramente, non devi preoccuparti, è un piacere poterti offrire qualcosa.

- Sei fantastico… - lui arrossì. – Grazie per avermi portata in una pasticceria, immagino tu abbia visto quanto adoro i dolci…

- Sei una divoratrice, haha! – scherzò lui.

- Giuro! Potrei vivere di dolci.

Il biondo mandò giù l’ultimo boccone di torta, pulendosi poi la bocca con un fazzoletto.

- Senti… ti va di andare al cinema dopo?

- Mi hai rubato l’idea! Volevo chiedertelo io!

I due scoppiarono a ridere.

- Cosa guardiamo? – chiese lui.

- Ti piacciono i film d’azione? – lo interrogò la rossa.

- Certo, che domande!

- Perfetto! Sapevo di poter contare sui tuoi gusti! – esclamò. – Ti va di guardare quel nuovo film d’animazione?

- Theory of Everywhere? – chiese il biondo.

- Esatto, quello!

- Va bene, allora ci conviene incamminarci, il cinema è piuttosto lontano. – disse alzandosi, vedendo Ethel annuire e fare lo stesso.

I due ragazzi camminarono a passo svelto verso il cinema, situato poco distante da casa della rossa. Al contrario della pasticceria, il cinema era praticamente vuoto, d’altronde era martedì sera. Fecero una fila quasi inesistente, acquistando i biglietti per i posti premium, offerti anche loro dal biondo, dopo una battaglia vinta contro le numerose lamentele della ragazza. Ethel tenne il broncio per una decina di minuti, mentre una buffa espressione le mascherava il volto. Roy si divertì a cercare di scusarsi invano per averle offerto pure il cinema, finché il film non iniziò.
La proiezione durò tre ore, mantenendo l’attenzione dei due ragazzi incollata allo schermo per tutta la sua durata. Al termine di essa, i due uscirono dalla sala, trovandosi in mezzo a una leggera pioggia di tardo inverno.

- Non ho l’ombrello, diamine… - mormorò, stringendosi fra sé e sé per il freddo.

- Aspetta… - disse levandosi la felpa e porgendola alla ragazza. – Mettiti questa, ha il cappuccio, così stai più calda.

- Sicuro?! E tu? – chiese preoccupata lei.

- Ho un modo per non bagnarmi… - sorrise, guardandosi attorno. – Bene, è notte e nessuno è nei paraggi.

- Cosa vuoi fare? – chiese perplessa la ragazza.

- Hehe, guarda! – Roy iniziò a scaricare dalle spalle una serie di piccole onde cinetiche, attivando il potere del Void. La sua pupilla sinistra brillò di un intenso colore arancione. Le onde crearono una sorta di ombrello etereo sopra la testa dei due giovani.

- Hahaha che forza! – rise Ethel divertita.

Il biondo accompagnò la ragazza fino a casa, proteggendola col proprio potere dalla pioggia che si era fatta più forte e intensa. Una volta arrivati sull’uscio di casa, Ethel si voltò, facendo per restituire la felpa a Roy, che però insistette per lasciargliela.

- Tranquilla, me la ridarai la prossima volta che ci vediamo.

- Oggi mi sembra di averti scroccato ogni cosa… - sbuffò lei.

-  Ma ehi, non è carino far pagare a una ragazza… sono giustificato, dai… - Ethel scoppiò a ridere.

- Grazie per la giornata, Roy, è stato divertentissimo.

- Anche io mi sono divertito un sacco, il film poi era stupendo.

- Già… ehi, ti va di andare a correre assieme qualche sera? – chiese la rossa, leggermente in soggezione.

- Certamente e… - esitò per un istante. - …che ne dici se domenica usciamo di nuovo? – chiese poi, racimolando quel poco di coraggio che gli serviva.

- Dico che è un’idea fantastica, grazie ancora per la giornata… - rispose, avvicinandosi al ragazzo e baciandolo sulla guancia dopo averlo abbracciato. Roy ricambiò l’abbraccio e il bacio, questa volta più disinvolto, anche se comunque rimaneva imbarazzato.

- Grazie a te, Ethel. Buonanotte! – disse il biondo, avviandosi verso casa, correndo.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Queen City, Liceo Triumph, venerdì, ore 9.
 
Roy guardava imbambolato il cielo cristallino, spoglio perfino delle solite nuvole primaverili, sporcato unicamente dalle macchie sulle finestre della classe. Fisicamente stava assistendo alla lezione di inglese, un noiosissimo ripasso sulla storia americana, ma la sua mente era altrove.
 
- Terra chiama Roy, hai visto la Madonna per caso? – cercò di riportarlo in vita Blaze, invano. – Ohi! È da tre giorni che sembri rincoglionito, che cazzo hai? – ritentò, scuotendo poi l’amico.

- U-uh?! Scusa… mi ero un attimo perso nel vuoto...

- Ma davvero?!

- Non so cosa mi stia prendendo… non riesco a stare concentrato…

- Aha! Ora capisco tutto!

- Eh?

- Sei totalmente rimasto sotto dall’appuntamento con Ethel. Guardati, sei cotto. – chiarì il castano, punzecchiando il biondo.

Roy non sapeva cosa rispondere, era costretto a distogliere lo sguardo dall’amico, colto da un improvviso e imponente imbarazzo. – Io… - fece per dire lui, venendo interrotto immediatamente.

- Cosa cazzo aspetti a dichiararti? Hai idea di quanto ci sia rimasta sotto pure lei? – chiese infastidito Blaze.

- V-Veramente?! – esclamò curioso lui: pendeva dalle labbra del castano.

- A cena da lei, ieri, ha rovesciato due volte la brocca, ha bruciato lo sfornato ed è andata a sbattere quattro volte contro la porta della cucina. Stava in un altro mondo. Ma dimmi te se bisogna diventare due cretini dopo un appuntamento… - rispose esasperato. – Quando uscite di nuovo? – chiese poi, fulmineo.

- D-Domenica… - rispose Roy, balbettando.

- Felter! Mi può gentilmente ripetere quello che stavo dicendo?! – urlò il professore dalla cattedra.

“Ecco, porca puttana!” Pensò il castano senza farsi prendere dal panico. – Il Trattato di Bruxelles nel 2046 ha sancito la nascita della nuova rotta commerciale Euro-USA, abolendo tasse di scambio e agevolando la reciproca importazione. – Zittì poi il professore, rispondendo esattamente alla domanda. L’uomo fece una smorfia, per poi tornare alla spiegazione.

- Come cazzo hai fatto?! – chiese affascinato Roy.

- Ho semplicemente ascoltato la lezione di ieri, invece di far volare la fantasia e il cazzo in qualche universo parallelo. – rispose Blaze, lanciando una frecciatina al biondo.

- Oh, andiamo…

La campanella suonò, lasciando così i due liberi di parlare.

- Hai detto che uscite di nuovo domenica, giusto?

- Sì.

- Bene, allora devi approfittarne per dichiararti.

- Così, al secondo appuntamento?! – chiese imbarazzato.

- Perché aspettare, se entrambi ci stareste?

- Perché…

- Perché un cazzo, perché! Capisci che è una cosa stupida?!

- Ok… ma come cazzo glie lo dico? – Roy aveva le mani intrecciate, strette fra loro in una morsa per alleviare la tensione.

- Crea un’occasione, che cazzo ne so… portala da qualche parte di speciale: hanno aperto un parco in stile giapponese verso Texas Street, deve essere una figata, c’è tipo la fioritura dei ciliegi.

- Va bene… però Texas Street è lontanissima da casa tua… - disse perplesso Roy, tamburellando le dita sul banco.

- Hai la patente no? Portala in macchina, così hai pure il luogo appartato se la cosa dovesse svilupparsi al meglio.

- Ma che cazzo stai dicendo?! – sbraitò il biondo in preda all’imbarazzo, Blaze scoppiò a ridere.

- Non lo faresti se ti si presentasse l’occasione? – chiese il castano a bruciapelo, con il suo solito e fastidioso sorriso.

- Io… non… ah! Vaffanculo, Blaze! Ci provi gusto vero?!

- Assolutamente, sei il mio giocattolo! – rispose spudoratamente, irritando ulteriormente il biondo.

- Il tuo giocattolo sta per romperti il muso se non la finisci. – lo minacciò Roy, spintonandolo leggermente.

- Ok, ok… certo che sei piuttosto suscettibile oggi eh? – lo rimproverò, prendendo le giacche dall’appendiabiti. – Vuoi venire da me a mangiare? – chiese poi, passando la giacca all’amico.

- Va bene… almeno quando mangi hai la bocca piena e non dici cazzate… - lanciò una frecciatina lui, infilandosi la giacca arancione fluo.

- Mamma mia… cosa devo fare per addolcirti un po’ oggi? Sei quasi corrosivo…

- Scusa, sono solo molto nervoso.

- Scusami tu, a volte mi diverto un po’ troppo a stuzzicarti. Comunque, stai tranquillo: se ti dichiari lei dice sì, sicuro al cento percento.

- Mi tocca fidarmi di te di nuovo…

- T’ho mai deluso?

Il biondo sbuffò. – No…

- Heh. – sorrise orgoglioso Blaze, tirando una pacca sulla schiena dell’amico
 
I due arrivarono a casa del castano, venendo accolti dalla madre, che subito li invitò a sedersi a tavola.
 due ragazzi mangiarono a sazietà, discutendo ancora dell’appuntamento che Roy avrebbe avuto con Ethel quella domenica. Anche la madre di Blaze si impegnò per dare dei consigli al biondo, vedendolo arrossire di tanto in tanto.
Finito il pasto, Roy e Blaze si diressero in camera del castano, dove al biondo venne mostrata la sua collezione di strumenti musicali: una batteria, un basso, una tastiera, una chitarra elettrica e un mixer audio professionale.

- Sai suonare tutti questi strumenti?! – chiese stupito Roy.

- Certo, anche se la batteria è il mio strumento principale, d’altronde diventare un compositore e produttore è il mio sogno. Vuoi sentire un paio di pezzi? – chiese poi all’amico, imbracciando la chitarra.

- Cazzo sì! – esclamò eccitato lui, sedendosi e roteando sulla sedia girevole.

Roy osservava alienato le mani dell’amico, che rapide scorrevano lungo la tastiera e pizzicavano le corde, producendo un suono metallico, pesante e basso. L’atmosfera nella camera da letto di Blaze si era tinta di una melodia tipica del metal, quasi confusionaria, ma questo al biondo non dispiaceva.

- Sei una cazzo di bestia! E non è nemmeno il tuo strumento principale, da quanto tempo suoni? – esclamo stupito.

- Da quando avevo quattro anni circa, ho sempre amato la musica.

- E si sente!

- Tu invece, hai mai suonato qualcosa? – chiese il castano curioso.

- No… non ho mai avuto interesse in qualcosa di diverso dalla chimica e dalle nanotecnologie… e poi i miei genitori non mi hanno mai dato chissà quale stimolo, non erano molto presenti nella mia vita.

- Serio?! Eppure, sembrate molto legati…

- È da quando mi è capitato tutto questo… la cosa è piuttosto recente… N-Non che mi dispiaccia, cioè… avrei solo voluto che si accorgesse di me un po’ prima…

- Comprensibile, ma sai, i genitori sono strani… a modo loro cercano di esserci anche quando sono lontani. Tipo mio padre…

- Non me ne hai mai parlato, anche lui non è stato presente?

- Sì, cioè… non proprio… In pratica lui lavora come rappresentante di una ditta che produce strumenti musicali e in un modo o nell’altro è sempre in viaggio da qualche parte.

- Posso capirti, mia madre è circa nella stessa situazione…

- La mia salvezza è stata Ethel, sua madre e la mia erano amiche d’infanzia e si sono trovate come vicine di casa, la sua è stata la mia seconda famiglia, ecco perché ci consideriamo fratelli.

- È una cosa fighissima in realtà, hai avuto una persona con cui crescere, avete costruito un rapporto pazzesco.

- A te invece non è andata così bene, vero?

- Beh… io ed Emil siamo stati separati dalla distanza, nonostante il nostro rapporto fosse molto forte, quindi diciamo che non ho avuto molta compagnia quando ero piccolo…

- Bella merda… - respirò, strimpellando debolmente la chitarra, facendo uscire un suono stonato. – Sai cosa, Roy? Fanculo il passato, non ha più importanza no?  

- Già… fanculo! – sorrise il biondo, vedendo l’amico posare la chitarra.

- Ti posso chiedere un favore? – disse lui improvvisamente.

- Uh? Certo, dimmi.

- Ecco… puoi aiutarmi a studiare fisica? Ti prego, non ho capito un cazzo delle ultime 5 lezioni… - chiese leggermente imbarazzato.

Roy guardo intontito il castano, tentennando dopo l’improvvisa interruzione dell’atmosfera che si era creata. Si riprese rapidamente posando una mano sulla spalla dell’amico. – Certo che ti do una mano, dopotutto te lo devo, con tutto l’aiuto che mi stai dando con Ethel.

- Grazie Roy, mi salverai il culo… - sospirò Blaze.

I due ragazzi si misero in cucina, tirando fuori un paio di libri e quaderni. Roy iniziò a spiegare le lezioni svolte dal professore la settimana prima, incantando l’amico con il suo metodo di esporre gli argomenti.
 
Queen City, settima base operativa dell’Asset, lo stesso pomeriggio.
 
I soldati della squadra speciale si erano riuniti in una delle tante sale di allenamento del complesso, dopo diverse sessioni di pratica in vista del raid che avrebbero dovuto condurre quella domenica.
Axel era immobile di fronte ai suoi uomini, analizzava i dati delle varie simulazioni, portando lo sguardo di volta in volta sul soldato, soggetto di tali analisi.

- Bene, adesso voglio misurare il vostro livello di combattimento come squadra. Qualora uno dei gruppi dovesse trovare l’hotspot corretto, è dovere degli altri raggiungere immediatamente la posizione e affrontare in team gli avversari. Per questa esercitazione ci divideremo in due gruppi: Hurricane con me, il resto comporrà l’altro gruppo.

- Eh?! – Diego si fece scappare un’esclamazione dal tono ebete.

- S-Signore… è sicuro di questi abbinamenti? Non sarete troppo in svantaggio, dieci contro due? – chiese perplessa il soldato Rees.

- Ho avuto modo di confrontarmi con uno degli uomini dell’Ægis, le misure che sto prendendo sono totalmente ponderate. Altre perplessità? – chiese il generale, guardando negli occhi ogni singolo soldato.

- Beh, veramente sì… - disse Diego, alzando la mano come fosse uno scolaro.

- Sentiamo, Unità Hurricane, qual è il dubbio che ti affligge? – Axel cercò di mascherare un lieve fastidio., invano.

- Non basto io da solo come allenamento per loro? – chiese prepotente, con una nota strafottente nel suo tono. Uno dei soldati si mise a ridere.

- Oh, andiamo! Sei veramente divertente, ragazzino. – esclamò il soldato Collins, guardando il ragazzo dai capelli blu con arroganza.

- Mi trovi davvero così divertente? Non credi che riuscirei a mettervi fuori gioco tutti e dieci da solo?

- Soldato Collins, Unità Hurricane, chiudete quelle cazzo di bocche. – Si impose il generale Klein, portando nuovamente l’ordine e il silenzio nella schiera di soldati. – Non è una dimostrazione di forza, è un allenamento mirato a non fallire l’occasione che abbiamo di eliminare quei bastardi dell’Ægis! Non ho intenzione di assistere a un’altra pagliacciata del genere, intesi?! – il suo tono era freddo, minaccioso e talmente tagliente che era riuscito a far paura al giovane Diego, nonostante la sua solita spavalderia.

- Sissignore… - risposero all’unisono i due, ritornando ai loro posti.

- Voi dieci, posizionatevi dall’altra parte della stanza; Rees sarà il leader del gruppo. Hurricane, tu vieni qua. – i soldati eseguirono. – Quando la spia della porta si accenderà e inizierà a creare il terreno olografico solido, avrà inizio la simulazione; preparatevi. – disse infine, disponendosi in posizione.

Le luci della camera si spensero per un istante, riaccendendosi poi e iniziando a simulare un campo di battaglia precedentemente scelto da Axel: un parcheggiò rialzato, tipico spazio chiuso, per prepararsi al meglio alla morfologia degli hotspots. La spia si accese, sancendo l’inizio della prova.

- Formazione d’ingaggio sei-quattro, andiamo! – gridò il soldato Rees, vedendo i suoi compagni prendere posizione.

- Neutralizza il fuoco di copertura, io mi occupo dell’avanguardia! – ordinò Axel a Diego; il ragazzo dai capelli blu annuì, scattando verso i soldati nemici.

Con un movimento repentino Diego si posizionò accanto a un muro, continuando a correre, mantenendosi a poca distanza da esso. I soldati incaricati di eseguire il fuoco di copertura dovettero riposizionarsi, lasciando solamente un uomo a supportare il gruppo da sei, che nel mentre stava attaccando la posizione del comandante Klein.

 - Ci sta tagliando lo spazio, manovra in contrattacco due-uno-uno! – ordinò il soldato Fray, incaricato di coordinare le retrovie. La squadra di supporto posizionò due soldati in avanguardia a correre verso il ragazzo, armati di pistola e coltello, dopo aver abbandonato i fucili pesanti; un soldato li copriva dalla distanza, segnalando gli spostamenti nemici e infine l’ultimo dei quattro forniva duplice supporto, coprendo anche la squadra del soldato Rees.

- Cambio di schema: Kane e Neri, andate a dare supporto alla retroguardia, noi quattro in manovra d’attacco due-uno-uno! – ordinò Rees, modificando lo schema d’attacco, rimanendo assieme ai soldati Sahed, Cold e Klopp ad attaccare la posizione di Axel.

Il generale, dopo aver analizzato attentamente la situazione, iniziò a seguire lo schema di Hurricane, ripercorrendo i suoi stessi passi, dirottando così la direzione dello scontro verso un punto preciso: il lato corto del perimetro.

- Rapporto. – chiese al ragazzo, attraverso l’auricolare.

- Meno dieci alla manovra. – rispose quello, schivando i colpi nemici con una velocità disumana.

Axel annuì, estraendo il fucile ed esplodendo una raffica verso la squadra che lo stava braccando, gettandola nel caos. Nel mentre, Diego raggiunse i soldati Collins e Freeman, scivolando sotto il primo e atterrando il secondo con una mossa impercettibile a quest’ultimo. Senza perdere tempo, accoltellò il soldato a terra, sparando poi due colpi in fronte all’altro. Le tute dei due soldati lampeggiarono di rosso, eliminandoli dalla simulazione.

- Merda! – imprecò Freeman, sbattendo un pugno a terra.

- Uomini a terra, ripiegare! – gridò Fray, tentando di allontanarsi. Improvvisamente però si trovò colpito in fronte da un proiettile del generale Klein, sparato nell’esatto momento in cui la morte dei due soldati d’avanguardia aveva lasciato lui lo spazio per mirare.

Senza lasciare respiro ai soldati, Hurricane si gettò contro i due soldati inviati a supportare l’unità nemica, non dovendosi più preoccupare della prima copertura.Si gettò addosso a Kane, usandolo come rampa per saltare al collo dell’altro, Neri, piantando a entrambi un colpo in testa, eliminandoli così anche loro dalla simulazione.
Axel si gettò in mezzo ai quattro soldati dell’altra unità, combattendo agilmente per non perdere il momento di vantaggio.
Prese per un braccio Klopp, usandolo come scudo verso i proiettili esplosi da Cold, eliminandolo poi con una scarica di colpi. Liberatosi del soldato, neutralizzò l’attacco di Sahed, che nel mentre si era avvicinato nel tentativo di accoltellarlo, girandogli il braccio e uccidendolo col suo stesso coltello.
Rees rimase sola, mentre Diego terminava Gray con una mitragliata.

- Merda… - imprecò la donna, gettandosi contro il suo superiore, riuscendo però a resistere pochi secondi allo scontro, venendo eliminata da un colpo alle spalle, esploso da Hurricane. Fece una smorfia, prima di cadere a terra, seduta, stremata dal combattimento. – Uff… - sbuffò.

- In una situazione in cui si è uno contro due non ha senso lasciare che sia uno solo dei due a terminare il lavoro, bisogna agire immediatamente e terminare lo scontro.

- Ma come cazzo hanno fatto…? – si rassegnò Klopp, sdraiandosi a pancia in su.

- È solo un ragazzino… che cosa cazzo gli hanno fatto per farlo diventare così? – disse infastidito Collins, guardando il ragazzo dai capelli blu mentre si levava la parte superiore della tuta, mostrando la sua schiena nuda ai soldati.
Agli uomini dell’Asset si presentò così un’aberrazione, la quale solamente guardandola generava sgomento e ribrezzo: la schiena del ragazzino era costellata da unità tecnologiche, che seguivano l’intero percorso della sua spina dorsale, disperdendo ai suoi lati delle specie di circuiti come scolpiti nella pelle.
Ai soldati mancò il respiro.

- Ehi… che cosa cazzo gli è successo?! – chiese scioccato Kane, indietreggiando involontariamente.

- Mi hanno trasformato in un’arma, impiantandomi una serie di moduli nel corpo. Se non lo avessero fatto sarei morto, diciamo che mi hanno salvato la vita…

Axel guardò il giovane con uno sguardo che poche volte i soldati erano riusciti a cogliere nei suoi occhi: puro dolore. – Tutto questo a che prezzo? – bisbigliò. Solamente Diego sentì quelle parole.

- Mi hanno condannato, in pratica, ma almeno sono ancora vivo…

- Quindi sei una macchina? – chiese perplesso Collins.

- No, non esattamente. Le unità impiantate nel mio corpo sono composte da tessuti simil-biologici; hanno la funzione di centrale di controllo per tutte le mie funzioni vitali, regolano le attività del mio corpo e sono in grado di espanderle. – chiarì il ragazzo.

- Cosa succede se si bloccano? – chiese Rees.

- Sono state progettate originariamente dal Professor Steinberg, la loro struttura gli permette di non condurre elettricità e di essere sostituite in tempo brevissimo da nuove cellule sintetizzate dal mio organismo. Diciamo quindi che sono fatte apposta per non bloccarsi.

- È una cosa assurda… come fai a vivere sapendo di avere quella roba nel corpo? – chiese Sahed inquieto.

- Non sento più la loro presenza, ormai mi ci sono abituato. Conviverci all’inizio non è stato facile.

- Dev’essere stato terribile… - disse Rees con tono carico di compassione.

- Per oggi può bastare così. Prendetevi il giorno libero, domani termineremo l’addestramento. – Interruppe la discussione il generale, congedando tutti gli agenti. Hurricane rimase solo con lui nella stanza.

Ci fu un lungo silenzio fra i due, finché il ragazzo dai capelli blu non prese parola. - Grazie… - disse, voltandosi verso Axel.

- So quanto ti fa male doverne parlare, ma loro non potevano saperlo.

- Lo so, non è colpa loro, tranquillo. Solo che pensare a questo aspetto di me mi ferisce dall’interno, è inevitabile…

- Stai bene? – chiese preoccupato il generale, vedendo Diego ammutolirsi e sedersi per terra.

- Sì… s-sto bene… non ti preoccupare… sono solo esausto.

- Mi dispiace, non volevo spingerti così tanto oggi, ma è una misura necessaria: non avete la minima idea di cosa sono capaci quelli dell’Ægis.

- Te la sei vista brutta contro quel tipo… non ti ho mai visto così preoccupato. – disse il ragazzo, incuriosito.

- Mi teneva testa in uno scontro corpo a corpo, con il coltello…

- La tua specialità, cazzo…

- Esattamente, non c’è da scherzare con un soggetto del genere.

- Gli altri elementi li conosciamo?

- Solamente due: la donna che ha attaccato il giovane Steinberg e l’uomo che stiamo cercando, Niklas Gunnarson. Le informazioni sono poche, per questo sto cercando di posizionare le nostre pedine nel modo più accurato possibile.

- Staneremo quei figli di puttana, Axel, la squadra è composta da persone capaci, ho potuto provarlo oggi. E poi… io e te formiamo l’unità più forte dell’Asset, un po’ mi mancavano le missioni con te…

- Dopo il mio trasferimento ho solto missioni molto diverse da quelle che facevamo assieme, quando eri solo un bambino… un po’ di nostalgia non ci farà male. Solo, non lasciamoci trascinare da sentimenti del passato, non dobbiamo compromettere la missione.

- Non lo abbiamo mai fatto…

- …E mai lo faremo. – concluse il generale, aiutando il ragazzo ad alzarsi, seguendolo poi fuori dalla stanza. - Vai a riposarti adesso, domani non vi darò un secondo di tregua. – disse poi, posandogli una mano sulla spalla.

- Ah, giusto… mi hanno messo nella tua stessa camera…

Axel sbuffò. – Non importa… verrò a prenderti per l’ora di cena, riposati.

- Va bene… a dopo allora. – lo salutò il ragazzo, dirigendosi verso i dormitori della struttura.

Klein guardò Diego allontanarsi, venendo investito da un’improvvisa nostalgia e preoccupazione. Erano passati due anni dall’ultima volta che lo aveva visto alla sede di Berlino, dall’ultima volta che aveva passato del tempo con lui. Lo aveva incontrato per la prima volta durante una missione, trovandolo con la vita appesa a un filo, in quel ghetto marcio di Berlino.
Lo salvò quel giorno, anche se dal suo punto di vista fu proprio lui la causa della condanna di quell’innocente ragazzo. Si sentiva colpevole di averlo fatto trasformare in un’arma. Diego non lo aveva mai incolpato, al contrario, lo considerava come un fratello, sosteneva sempre di dovergli la vita. Senza rendersene contro, quel ragazzo era diventato la persona a cui teneva di più nella sua vita.
 
Queen City, casa di Ethel, domenica, ore 16:00.
 
Ethel aveva svuotato l’armadio, indecisa cercava la combinazione definitiva da indossare per l’appuntamento, tutto ciò mentre Blaze la guardava confuso, mentre accordava il basso, seduto sul letto di lei.

- Cosa mettoooooooo?! – si lamentò lei, fingendo un capriccio.

- Roy non è un tipo particolarmente attento alla moda, non credo gli interessi più di tanto.

- Eddai, voi maschi avete sempre qualcosa che vi piace di più su noi ragazze. Come ti sembra questo? – chiese, mostrando un’elegante maglia verde e indaco, abbinata a un paio di jeans dal gusto sportivo.

- Boh, sì, ti sta bene… come ogni altro fottuto vestito che hai! Mettiti quello che vuoi, Roy ti starà aspettando! – rispose il castano, lievemente seccato.

- Utile come sempre… - sbuffò lei.

- Quello indaco e verde va bene… - disse rassegnato, provando a suonare un accordo.

- Grazie. Ora se non ti dispiace esci da camera mia, devo cambiarmi. – lo cacciò fuori dalla porta la rossa, sorridendo.

- Questo è ingiusto, quando sono in mutande in camera mia, tu entri senza bussare… - sbuffò lui, sedendo a terra.

- Io sono una ragazza! – urlò lei dall’altra parte della porta.

- Io sono una ragazza… fanculo. – le fece il verso Blaze.

Ethel uscì dalla porta, indossando la combinazione scelta dal fratello. Era stupenda.
“HAH! Roy, fratello mio… oggi ci rimani secco…” pensò Blaze, guardando la bellissima sorella mentre questa ultimava i preparativi.

- Come sto? – chiese lei.

- Molto figa devo dire…

- Dai scemo! Come mi sta?

- Bene cazzo, ti sta bene! – sbraitò lui.

- Merda, sono in ritardo! – esclamò lei, agitandosi guardando l’ora.

- Meglio se ti sbrighi allora, Roy è tedesco, sai che i tedeschi non ammettono ritardi.

- Quanto puoi essere imbecille?

- Non hai la minima idea, credimi. Ci vediamo stasera allora, mi raccomando: guai a te se torni ancora single. – la salutò lui, uscendo da casa della ragazza e vedendola arrossire mentre gli mostrava il dito medio.

Ethel corse fuori casa, trovando il biondo ad aspettarla fuori dal cancello.

- Scusa il ritardo… colpa di Blaze… - si scusò lei, avvicinandosi a Roy e dandogli un bacio sulla guancia. – È tanto che aspetti? – chiese preoccupata.

- No, tranquilla, sono appena arrivato. – la rassicurò, ricambiando il bacio. – Vieni, ho la macchina parcheggiata qua vicino. – disse poi, invitandola a seguirlo.

- Woah, hai la macchina?! Che figata… magari i miei me la lasciassero ogni tanto… - esclamò la ragazza.

- Mio padre mi ha lasciato la seconda macchina, la sua Audi è sacra… - borbottò, mostrando alla ragazza il suo bolide: una stupenda Jeep nera, di uno degli ultimi modelli.

- Questa sarebbe tua?! Cioè… la seconda macchina?! – chiese stupita Ethel.

- Sì…  diciamo che essere il figlio del Professor Steinberg ha dei vantaggi… - ridacchiò lui, aprendo la portiera alla ragazza. – Prego, mettiti comoda. – la invitò a salire.

- Grazie Roy, avevo letto di questo giardino su di una rivista, non vedevo l’ora di poterci andare!

- Ha incuriosito un sacco anche me, sono sempre stato un appassionato di giardinaggio. – disse il biondo, accendendo la macchina e mettendola in moto.

- Tu? Veramente?! – chiese la ragazza stupita, facendosi scappare un sorriso.

- Che c’è? Non ti sembro un tipo da giardinaggio? – rise lui, fingendosi deluso.

- Haha, no, solo che è curioso saperti interessato a un hobby così particolare.

- Beh, vedi, le mie ricerche le svolgo principalmente sulle piante. Il progetto a cui stavo lavorando prima che mi succedesse quell’incidente era basato proprio sui tessuti vegetali. Diciamo che ho unito due passioni…

- È una cosa fighissima, Roy! Io ad esempio avrei sempre voluto un secondo hobby oltre al basket… ma giocando nella squadra di serie A giovanile non ho proprio tempo da dedicare ad altro…

- Però hai una gran carriera di fronte a te, non è una cosa da poco.

- Sì, è vero… però mi piacerebbe avere più tempo per me stessa… ho sedici anni, non vorrei occupare tutto il mio tempo con il basket… penso che fra un po’ mi prenderò una pausa dall’agonismo.

- Ogni tanto prendersi una pausa serve, feci lo stesso con le arti marziali, volevo dedicare più tempo alle mie ricerche.

- Dovremmo prenderci del tempo per noi… che ne so… magari potremmo passarne anche un po’ assieme, che dici? – le parole della ragazza furono repentine; Roy arrossì pesantemente, rimanendo però concentrato sulla guida. Dopo un lungo silenzio riuscì finalmente a rispondere.

- Beh… n-non sarebbe affatto male… - rispose imbarazzato… notando lo stesso imbarazzo nella ragazza.

I due immaginarono contemporaneamente la stessa cosa: Blaze che li guardava schifato, urlandoli dietro e insultandoli per essere così rigidi e timidi l’uno con l’altra.
Ci fu un lungo silenzio, che lasciò i due ragazzi a cuocere nel loro brodo, mentre una leggera tensione iniziava a pervadere i due. Fu Roy a rompere tale silenzio, mentre con una manovra pulita e rapida parcheggiava l’auto.

- S-Siamo arrivati… - disse timidamente.

- Guidi benissimo… magari fossi brava come te… - sorrise lei, per alleviare la tensione.

- Diciamo che non ho preso da mio padre, lui è un folle al volante. Aspetta, ti apro la portiera. – disse, aiutandola poi a scendere dalla Jeep.

- Grazie. Woah! Già da fuori sembra una favola! – esclamò la rossa, guardando ipnotizzata l’ingresso dei giardini: una piccola oasi decorata con ciottoli tondi e canne di bambù, arricchita da qualche acero cinese rosso-fiammeggiante, che coi suoi colori accesi risaltava in contrasto col verde acceso delle canne.

I due ragazzi percorsero il piccolo sentiero d’ingresso, venendo poi accolti da una giovane ragazza dello staff, che invitò loro a togliersi le scarpe e a passeggiare a piedi nudi nel giardino, seguendo un percorso zen, creato da un esperto giardiniere giapponese.

- Che forza, non mi era ancora mai capitato di fare un percorso Zen; poi è del Maestro Ryunosuke Oshido, un giardiniere famosissimo. Seguo un paio di sue riviste. – disse entusiasta Roy.
- Sono curiosa adesso! – esclamò Ethel, togliendosi le scarpe.

I due iniziarono a seguire il percorso, composto da ciottoli tondi e piatti di un particolare tipo di granito, una macchia rossa che via via veniva inghiottita dal verde di quel prato. Ai lati del percorso, una serie di statue di giada e marmo rosa decorava il giardino, alternati ad altri aceri cinesi, questa volta più bassi, che riprendevano il colore rosso di inizio percorso. Qua e là erano disposti dei massi rotondi, coperti da un lieve strato di muschio, che col suo verde particolare donava alla magnifica vista un’atmosfera quasi mistica. Verso metà percorso appariva un piccolo stagno, sul quale vegliava un’enorme quercia. Al centro di esso due ninfee galleggiavano, immobili sulla superficie, una delle due con l’inizio di una gemma che sporgeva dalla foglia. La quiete di quel luogo era disarmante, i due ragazzi potevano sentire ogni singolo ciuffo d’erba che sfiorava loro i piedi, ogni singola foglia mossa dal vento, ogni onda che turbava la liscia superficie dello stagno.

- Che posto magnifico… - sussurrò Roy.

- Da togliere il fiato… - confermò Ethel.

Camminarono ancora per diversi minuti, prima di sedersi su alcune sedie create con rami intrecciati. Il paesaggio era così intenso da lasciare i due senza parole, in un silenzio piacevole, quasi rinfrescante.

- Roy… - disse Ethel all’improvviso, con voce bassa.

- S-Sì? – rispose lui, leggermente in soggezione.

L’atmosfera tra i due si era tuttavia calmata, la tensione di prima era scomparsa.

- Grazie per avermi portato qua, è davvero stupendo…

Roy fece un grande respiro, ripensando alle parole del suo amico. Era il momento giusto per dichiararsi, ma la decisione era dura da prendere. “Oh, fanculo Roy, vai!” pensò, sentendo una forza interiore spingergli la mano su quella della ragazza. Ethel arrossì, lasciando fare però al ragazzo.

- Non sarebbe stupendo se non ci fossi tu con me adesso… - era più complicato di quanto pensasse, arrossì imbarazzato. – Vedi… lo so che ci conosciamo da poco… però…

- Anche tu mi piaci Roy. – disse lei, senza lasciarlo finire.

- E-Eh…? – balbettò tentennante.

- Mi piaci, e anche un sacco, Roy. – ripeté lei, stringendogli la mano. – Non mi interessa se ci conosciamo da poco, mi piaci, ed è il pretesto perfetto per conoscerti meglio! – la ragazza era imbarazzatissima, ma al contempo sicura di sé.

- M-Mi sono innamorato di te, Ethel… quindi… vorrei chiederti… se ti va di metterti con me… ecco…

- Sì! Sì che mi va, sì! – esclamò lei, avvicinandosi al ragazzo. – Non vorrei sembrare troppo egoista ma…

- Ma…? – Roy divenne rosso in volto, vedendo il viso della ragazza avvicinarsi al suo.

Ethel si mosse un paio di ricci rossi dalla faccia, per poi rubare un bacio al biondo, che rimase rigido e tentennante. Le labbra dei due si staccarono per qualche secondo, fu il ragazzo questa volta a baciare lei, sciogliendo la tensione e godendosi quell’atmosfera quasi paradossale.
Le loro mani s’intrecciarono, mentre lei appoggiava il corpo a quello di lui, senza smettere di baciarlo.
All’improvviso, però, una violenta esplosione interruppe quel magico momento, rompendo quella stupenda quiete con un assordante boato.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Queen City, poco distante da Texas Street, ore 17.46.
 
Axel stava preparando il proprio armamento, montando i due fucili che avrebbe usato durante il raid alle presunte basi dell’Ægis. Di fronte a sé, nel vano posteriore del veicolo militare che lo stava scortando a destinazione, una parete carica di esplosivi, coltelli e pistole lo lasciava indeciso; prese e ripose diversi equipaggiamenti, più volte, cercando di decidere quale fosse il più adatto.
Dietro di lui, Diego rimaneva sdraiato all’interno di una capsula collegata a un macchinario, col torso nudo e i diversi moduli nella sua spina dorsale collegati a quella macchina.

- Sei pronto, Diego? – chiese il generale, voltandosi verso il ragazzo.

- Non ancora, sto tostapane ci sta mettendo una vita a controllarmi i parametri… - si lamentò lui, impossibilitato di fare un qualsiasi movimento all’interno di quella strettissima capsula.

- Cosa vuoi usare come equipaggiamento? Te lo preparo io. – si offrì Axel, lasciando al ragazzo dai capelli blu la possibilità di guardare l’arsenale.

- Che gentile! Grazie, mamma! – scherzò lui, vedendo l’uomo fare una smorfia. – Preparami un HK D-600, con caricatore aumentato, stabilizzatore di fuoco e mirino di precisione. Ah, e rimuovici il calcio, per piacere. Poi ho nella mia cassa personale il mio MC-116-ZT82, per piacere prendilo ed equipaggialo con il mirino tattico a tripla modalità di visione e con il silenziatore, grazie. – Axel assemblò il primo fucile come richiesto, dirigendosi poi verso la cassa di Diego.

- Codice? – chiese, preparandosi a digitare la cifra sul display.

- Zero. Nove. Zero. Cinque.

Axel riconobbe il numero. Nove maggio, era proprio quella la data in cui lo aveva salvato dal ghetto di Berlino. Tuttavia, il soldato rimase in silenzio, eseguendo la richiesta dell’amico e preparando anche la seconda arma. Nel frattempo, Diego aveva terminato il controllo del sistema Hurricane, il modulo nanotecnologico che lo teneva in vita, e subito aveva raggiunto il generale.
- Grazie. – disse, chiudendosi la tuta da combattimento e prendendo le armi ora montate.

- Cos’altro vuoi usare? – chiese curioso Axel, guardando il ragazzo dai capelli blu osservare indeciso la parete.

- Penso prenderò l’arco tattico con le frecce esplosive, un paio di panetti di C4 e un coltello a lama corta per lo scontro ravvicinato. – rispose l’altro, analizzando i vari coltelli appesi nell’arsenale.

- Sempre il solito esagerato…

- Tre armi sono meglio di due, e poi io mi muovo più velocemente, quindi diciamo che non mi intralciano in alcun modo… - il sorriso del ragazzo riportò Axel a quando lo aveva salvato. Quello stesso sorriso, sincero, radioso nonostante tutto il dolore, nonostante l’aberrante operazione, lo aveva marchiato nel profondo.

Il veicolo si arrestò.

- Comandante, siamo arrivati. – la voce del soldato Klopp riportò Axel in sé.

- Perfetto. A tutte le unità: terminate di equipaggiarvi e poi prendete posto nei vostri rispettivi hotspots. – ordinò il generale tramite il suo auricolare.

- Allora io raggiungo Cold e Freeman, buona fortuna, Axel.

- Non fare pazzie, mi raccomando. Agisci in modo professionale.

- Sì, mamma…

- Buona fortuna. – concluse, ignorando la frecciatina, imbracciando poi il proprio fucile d’assalto e raggiungendo i soldati Rees e Fray.
 
Tutte e quattro le squadre erano in posizione, pronte a infiltrarsi nei quattro edifici sospetti. La tensione fra i soldati era elevata, Axel si sentiva come alla sua prima missione: eccitato. L’edificio era enorme, pieno di vetrate larghissime e scure, in cima a esso spiccavano una serie di antenne dalle forme e dimensioni più varie e bizzarre. Attorno a loro, una folla di civili era stata allontanata dagli altri agenti dell’Asset, per evitare coinvolgimenti in quell’operazione.
Axel guardò negli occhi i due compagni, per poi ordinare loro di entrare.

- Bene, squadra uno in ingresso, buona fortuna soldati! – disse, entrando nell’edificio con il fucile in mano.

La squadra uno percorse rapidamente le scale principali, raggiungendo il tredicesimo piano. Lì, Axel si accostò alla porta, rimuovendo l’assicura al fucile. Con la mano fece un gesto ai due soldati e questi si disposero l’uno accanto all’altro. A un secondo comando del generale Klein, i due sfondarono la porta con un calcio coordinato, permettendogli di entrare e mettere in sicurezza la zona.
Contemporaneamente, gli altri tre team avevano agito nello stesso identico modo, coordinati alla perfezione. Quello che però i soldati si trovarono di fronte fu per loro una sorpresa, sorpresa mista a preoccupazione e confusione.

- Signore…

- Comandante Klein….

- Axel… - la voce dei tre soldati si sovrappose unisona. – Qua ci sono dei civili… - con lo stesso tono confuso e in attesa di risposte.

- Dei civili… cosa cazzo ci fanno dei civili in questi edifici? – disse guardando l’enorme folla di persone.

La situazione era cambiata improvvisamente, lasciando Axel in un attimo di stallo. Non aveva idea del perchénon fossero stati evacuati gli edifici, tantomeno non capiva come potesse esserci così tanta gente in un edificio adibito probabilmente ad ufficio per una grande società privata. Quelle persone erano troppe, anche perché erano presenti anche bambini e anziani fra loro.

- Comandante che facciamo?

- Dobbiamo assolutamente evacuarli, bisogna cambiare la priorità! – ordinò notando però che nessuno dei presenti aveva ancora fatto caso a loro, nonostante avessero appena sfondato rumorosamente la porta.

- Soldati, stand-by. – disse, lasciando le squadre nel silenzio radio.

- Signore, i civili sembrano non essersi accorti della nostra presenza… - disse il soldato Collins.

- Lo stesso qua. – confermò Klopp.

- Stessa situazione da noi. – concluse Diego.

- Si stanno muovendo come robot… che cazzo succede? – chiese confuso Sahed.

- Non lo so, ma non è normale. Provo a creare un contatto con loro. – rispose, avvicinandosi cautamente a un civile. – Ehi! Sono un agente di polizia, cosa ci fate in questo edificio? Avevamo dato l’ordine di evacuazione. – il comandante venne ignorato. – Ehi! Sto parlando con te! – alzò lui la voce, nel tentativo di richiamare il civile. Invano. – EHI! – al terzo tentativo, qualcosa fece cambiare l’atmosfera. Axel provò un brivido lungo la schiena.

- Qui Uppercut, i topi sono in trappola… - disse Rees a bassa voce, disattivando l’auricolare dell’asset.

- Ottimo lavoro Uppercut, lascia il resto a noi… - rispose una voce maschile da un altro auricolare.

- Agli ordini, buon lavoro, Signor Gunnarson! – concluse la donna, sorridendo.

Improvvisamente, in tutti e quattro gli edifici, tutti i civili si bloccarono, voltandosi verso i soldati.

- Ma che cazzo?! – esclamò Axel, voltandosi verso i suoi compagni, rimanendo però spiazzato dall’assenza del sodato Rees. – Rees, dove sei?! – chiamò nel panico, portando la sua schiena a quella del soldato Fray.

- Axel! Che cazzo succede?! – chiese preoccupato Diego.

- Non lo so! I civili sono impazziti e Rees è scomparsa.

- Ma io sono qua, comandante Klein. – la voce della donna richiamò l’attenzione dell’uomo. – È stato divertente recitare la parte del soldato, ma ora i giochi sono finiti. – disse, estraendo una granata.

- Rees che cazzo stai facendo?! – Axel era in preda al panico e alla confusione.

- Sto eseguendo gli ordini del Signor Schwarz, è stato fin troppo facile tendervi la trappola hahahaha. – rise lei, facendo per andarsene.

- Rees, non ti muovere o faccio fuoco!

- Fa pure, Klein, ho un paio di volontari per farmi da scudo. – disse strafottente, indicando i civili. – Questo è un regalino da parte dell’Ægis, buona fortuna! – concluse, innescando la granata e lanciandola verso i soldati.

Lo scoppio fu assordante, l’intera vetrata del palazzo andò in frantumi e una nube scura si levò dall’edificio. Axel aveva fatto in tempo a prendere Fray e lanciarsi giù dalle scale, evitando così l’esplosione.

- Axel! Axel! Cos’è successo?! – gridò Hurricane nel tentativo di contattare il comandante.

Axel si riprese, barcollando e senza perdere tempo rispose al compagno. – Rees ci ha tradito, i civili sono tutti uomini dell’Ægis. Fate fuoco senza esitare! – ordinò mettendo mano al fucile. – Fray, stai bene?! – chiese poi al soldato accanto a lui.

- Sissignore… non si preoccupi. – lo rassicurò lui, imbracciando il fucile e posizionandosi di fianco a lui. – Come agiamo adesso? – chiese, mirando verso la porta del piano superiore.

- Dobbiamo evacuare, seguimi! – ordinò, iniziando a scendere le scale.
 
Diego, Cold e Freeman iniziarono ad aprire il fuoco su quegli strani civili, come ordinato dal loro comandante, tuttavia, questi iniziarono a correre verso di loro, con fare animalesco, riuscendo anche ad arrampicarsi sulle pareti e sul soffitto.

- Ma che cazzo sono?! Scimmie?! – gridò Cold, incredulo.

- Facciamoli fuori, cazzo! – ordinò il ragazzo dai capelli blu, sparando una raffica verso gli assalitori.

Questi però sembravano immuni ai proiettili, continuando ad avanzare senza subire alcun danno apparente.

- Oh, merda… Axel! Questi non sono uomini comuni! Hanno tutti il B.M.M.D.! – gridò all’auricolare. – Ragazzi, dobbiamo andarcene subito da qua! – disse poi ai compagni, vedendoli annuire e coprendo così la loro fuga.

Cinque uomini dell’Ægis raggiunsero Diego, iniziando a sferrare una serie di calci e pugni mirati.

- Sono addestrati?! Merda! – esclamò il ragazzo, gettandosi nella mischia. Gli occhi gli si illuminarono di rosso, mentre il corpo iniziò a fremergli. – Modalità assalto, innesco. – disse, attivando il comando vocale della sua tuta, che gli chiuse un elmo sul viso e gli potenziò le capacità fisiche.

Con una rapidità disumana arrivò di fronte a uno degli assalitori, girandogli la testa e piantandogli nel collo un proiettile con la sua pistola. Con una serie di mosse contrastò i colpi di altri due uomini, tranciando loro la giugulare e gettandosi poi su un bambino e una donna, terminandoli con un colpo in testa preciso. Di fronte a lui però, un’orda di civili lo stava caricando animalesca e inarrestabile.

- Fanculo! Cold, Freeman, siete fuori? – chiese ai compagni.

- Affermativo! – risposero i due.

- Appena mi vedete uscire dall’edificio aprite il fuoco senza pietà! Sterminateli!

- Roger!

Diego iniziò a correre verso l’orda di nemici, uccidendone qualcuno rapidamente con l’uso del suo coltello balistico. Con una rincorsa, sfondò il vetro del diciassettesimo piano, aprendo la tuta alare e volando verso la strada. Nel mentre, i soldati Cold e Freeman avevano aperto il fuoco, nel tentativo di eliminare lo sciame di uomini dell’Ægis che stava traboccando dalle finestre dell’edificio. 
 
- Sembrano degli zombie, cazzo! Facciamoli fuori! – gridò Diego, estraendo il suo fucile di precisione e puntando verso l’orda. Esplose un colpo dopo l’altro, colpendo perfettamente la testa di quei mostri dell’Ægis, Cold e Freeman lo seguivano, scaricando i caricatori verso i nemici in modo sistematico, facendone fuori il più possibile.

- Colpirli alla testa è l’unico modo per ucciderli! – fece noto Diego attraverso l’auricolare, gli altri soldati annuirono.
 
Axel e Fray nel frattempo, si erano riuniti con il team quattro, creando una mischia caotica. I cinque soldati combattevano in cerchio, con pistole e coltelli, eliminando a uno a uno gli assalitori, che come uno sciame di insetti si stava gettando disperatamente su di loro.

- Signore, sono addestrati sti bastardi! – esclamò Collins.

- Voi siete addestrati meglio! Andiamo, uomini, dobbiamo aprire un varco!

- Sissignore! – risposero all’unisono, continuando a combattere.

Axel corse verso due nemici, una donna e un uomo, con un’acrobazia saltò al collo dell’uomo, perforandolo con la lama e usando il corpo come scudo verso il pugno della donna, una fucilata che fracassò la cassa toracica di quel cadavere ora martoriato.
 
- Vediamo di giocare un po’, Asset… - disse Niklas sorridendo, azionando un comando sul suo terminale.

Improvvisamente, il corpo dell’uomo ormai morto e altri cadaveri si illuminarono di bianco, producendo un fischio assordante.

- A terra! – gridò Axel ai suoi uomini, gettandosi sull’asfalto freddo di quello che ora era un campo di battaglia.

L’esplosione fu mastodontica, un cratere fumante era comparso una volta diradata la nube nera che aveva invaso totalmente la zona. Axel e i suoi uomini erano a terra, coperti di lividi e storditi dal boato. Le orecchie fischiavano, la vista era annebbiata e le articolazione dolevano anche solo al minimo movimento.
L’orda di pedine dell’Ægis invece pareva non aver accusato minimamente l’esplosione e dopo un breve stallo, ricominciò la frenetica carica verso i soldati feriti.

- Merda… - Axel non riusciva a muoversi, vedeva i nemici avvicinarsi sempre di più. – Mi dispiace… - disse rassegnato, guardando la morte avvicinarsi.
 
Una meteora cadde dal cielo, spazzando via gli uomini dell’Ægis. Di fronte ai soldati era comparso un ragazzo biondo, che senza alcun timore stava affrontando tutti quei mostri.

- Steinberg?! – gridò incredulo Axel.

Il ragazzo generò un’onda cinetica devastante, respingendo le prime file dell’orda. Con un salto rapidissimo si portò al centro dei nemici, tirando un pugno sul terreno, frantumando così la terra sotto i loro piedi. Senza perdere tempo, si gettò contro di loro, colpendoli con pugni e calci potenziati dal Void.

- Steinberg, devi colpire la testa! – disse il comandante, riuscendo a rialzarsi e impugnando il fucile.

- Hanno il B.M.M.D., com’è possibile?!

- Non lo so, ragazzo, ma non è il tempo di cercare risposte adesso! Uomini, riuscite ad alzarvi? – si voltò verso i soldati.

- Non si preoccupi, ci siamo… - rispose Gray.

- Steinberg, dividili in due gruppi! – ordinò Klein al biondo.

- Va bene! – rispose, generando due onde cinetiche che gettarono i nemici ai lati della strada. I soldati, nel frattempo, aprirono il fuoco eliminandone un gran numero. Roy si voltò, notando una seconda orda di uomini dell’Ægis caricarli da dietro, tagliando loro le vie di fuga. – Merda! Axel, dietro di noi! – avvisò il comandante, preparandosi al combattimento.
 
- Niklas, concentra le forze sul ragazzino. Dobbiamo raccogliere la maggior quantità di dati possibile. – Schwarz comparve alle spalle del professore, osservando con un sorriso il monitor.

- Certamente, Schwarz, lascia fare a me. – rispose il professore, digitando una serie di comandi nel suo terminale.

- Uppercut, tieni impegnati gli altri soldati, non voglio interferenze. – ordinò poi all’infiltrata.

- Sissignore. – rispose lei, caricando il fucile e lanciandosi verso il gruppo di Axel.
 
La donna venne però fermata da un proiettile che le esplose accanto, gettandola a terra.

- Non così in fretta, stronza traditrice. – disse Klopp, puntandole contro l’arma.

- Pensi davvero di riuscire a fermarmi da solo, Klopp? Patetico. – lo provocò lei, disarmandolo e gettandogli il fucile lontano dalla sua portata. – Avanti allora, fatti sotto. – lo caricò, iniziando a colpirlo con dei calci sul fianco. Klopp cadde a terra, fissandola impaurito.

- Perché ci hai traditi? – chiese, indietreggiando.

- Huh? Hahaha non sono mai stata dalla vostra parte, il mio ruolo è sempre stato quello di fare i doppio gioco con voi.

- E si vede che non sei mai stata una di noi… il comandante ti aveva detto di uccidere subito il tuo bersaglio, e noi ascoltiamo sempre il nostro comandante… - disse il soldato a terra, cambiando improvvisamente tono ed espressione, facendosi comparire un sorriso stampato in volto.

- Eh…?! – non fece in tempo a pensare che un proiettile le perforò il cranio, facendola rovinare al suolo, priva di vita.

- Ottimo lavoro, Klopp… - disse Hurricane, ricaricando il fucile di precisione.

- Non posso crederci che ci abbia tradito, tutto ok Klopp? - disse incredulo Cold, vedendo il compagno annuire.

- Si sono giocati bene le carte che avevano, ci hanno fottuto alla grande. – esclamò Freeman.

- Dobbiamo tornare immediatamente dal generale… – disse Klopp, rialzandosi da terra e prendendo un grande respiro. – Hurricane, riesci a vedere i civili impazziti? – chiese poi al ragazzo.

- Negativo, è come se fossero spariti. – rispose, osservando in lontananza tramite il mirino del suo fucile. – A ore 4 dalla nostra posizione, vedo del fumo. Axel è sicuramente lì. – disse poi, indicando ai soldati la direzione.

- Bene, precedici sul posto allora. – ordinò Klopp, che come stabilito dal generale Klein nel piano, era diventato il secondo in comando in caso della morte di Rees.

- Sissignore. – annuì, dispiegando la tuta alare e saltando dal palazzo sul quale si era appostato.


 
Queen City, Texas Street, qualche minuto prima.
 
- Cos’è stato?! – esclamò Ethel, stringendosi a Roy.

- Non lo so, ma ho un pessimo presentimento…

- In che senso, Roy?

- Il radar che mi ha dato mio padre mi indica la posizione di Axel e dei suoi uomini, per poter rimanere in costante contatto con loro. E…

- E cosa?! – chiese preoccupata.

- E Axel si trova proprio nella direzione dell’esplosione… - rispose, guardando la ragazza negli occhi.

- Vuoi andare lì, vero? – lo interrogò lei, con il volto pallido. – Ti prego non farlo, Roy…

- Ethel, se l’Ægis li ha attaccati significa che vogliono sbarazzarsi della mia scorta, vogliono farci uscire allo scoperto.

- E tu vuoi andare dritto nelle fauci del lupo?!

- Non se lo aspettano, e poi il Void è qualcosa che non possono ancora fermare.

- Roy, stiamo assieme da appena tre minuti e già mi stai facendo impazzire… E se ti succede qualcosa?! – la ragazza lo prese per la felpa, tirandolo a sé e fissandolo con uno sguardo carico d’ansia.

- Ethel, non mi succederà nulla. Te lo prometto. Ma devo proprio aiutarli… senza di loro… anche tu saresti in pericolo… - disse il biondo, posandole le mani sulle guance.

- Non fare follie, ti prego…

- Non ne farò, promesso. Tu però devi allontanarti da qua. Prendi la macchina e vai a casa mia, chiamerò mio padre e gli dico che stai venendo, spiegagli cosa sta succedendo. – disse il ragazzo, facendo per andarsene.

- Va bene… ehi! – lo richiamò lei, baciandolo all’improvviso quando egli si girò. – Buona fortuna. – Roy annuì sorridendo, per poi correre verso la nube di fumo in lontananza.


 
Queen City, luogo della battaglia, ore 18.09.
 
Roy era circondato dalle pedine dell’Ægis, che senza sosta lo stavano assalendo, ignorando completamente i soldati dietro di loro. Il biondo combatteva senza fermarsi, aiutandosi con le onde cinetiche per respingere l’assalto di quelle bestie. Nel frattempo, i soldati cercavano di eliminare i nemici più distanti dal ragazzo, per non coinvolgerlo nel fuoco incrociato.

- Steinberg, non riusciamo a sparare nella tua direzione, cerca di aprici un varco! – gridò Axel al ragazzo dalle iridi smeraldine.

- V-Va bene… c-ci provo… - rispose a fatica, impegnato a mantenere gli assalitori a distanza.

Caricando un’onda cinetica, Roy mosse la mano come per spostare l’aria di fronte a lui, scaraventando di conseguenza tutti gli uomini di fronte a lui verso un lato, permettendo così ai soldati di far fuoco.

- Certo che quando ci hanno detto che dovevamo difendere un ragazzo speciale… non pensavo fosse così speciale, cazzo! – esclamò Collins, guardando stupito la potenza di Roy.

- Poche chiacchiere, facciamo piovere su questi figli di troia! – ordinò Axel, aprendo il fuoco sugli avversari bloccati dal biondo.

Il numero di nemici tuttavia sembrava non diminuire, nonostante i soldati ne avessero eliminati più di un centinaio.

- Ma quanti cazzo sono?! – esclamò Gray, esplodendo una raffica verso l’ennesimo uomo che cercava di riavvicinarsi a Roy.

- Steinberg, dietro di te! – esclamò Sahed, avvisando il ragazzo.

Roy si trovò due bambini alle spalle, che tentarono di staccargli la testa con un colpo. Spaventato cadde a terra, sentendo un’improvvisa fitta al cuore. Avrebbe dovuto colpire dei bambini, probabilmente dell’età di suo fratello. Fu proprio questo a farlo esitare.

- Steinberg, levati da lì! – gridò Axel, vedendo il ragazzo nel panico.

I due bambini caddero a terra prima di riuscire a toccare il biondo, entrambi neutralizzati da un colpo esattamente al centro del cranio.

- Axel, gli altri stanno arrivando da est! – disse Diego dall’altoparlante, il generale annuì.

 I due cadaveri si accasciarono accanto a lui, gettandogli addosso un terrore doloroso, che iniziò a lacerargli l’animo.

- Erano… solo dei bambini… - delle lacrime iniziarono a scendergli dalle guance, cercando di sfogare la tensione e la paura che lo avevano pervaso e bloccato lì, a terra, su quel freddo asfalto ora coperto di sangue.

Axel si avvicinò al biondo, cercando di riportarlo alla realtà. – Steinberg, queste persone non sono più umane. È come se fossero già morte. Sono diventate delle armi. Se non li facciamo fuori, loro fanno fuori noi. Li stiamo aiutando, Steinberg. Non meritavano questo, ma l’Ægis ormai li ha già uccisi… non possiamo più farci nulla. – disse, posando una mano sulla spalla del ragazzo.

- Perché tutto deve diventare una cazzo di arma… perché… Prima Clint, ora queste persone… tutto questo a causa mia… perché… PERCHÉ?! – gridò il biondo, generando uno spostamento d’aria tutt’attorno a lui.
L’iride sinistra si era illuminata di un arancione incandescente, così come le linee nere sul suo corpo.

Gli uomini dell’Ægis si erano concentrati tutti davanti ai soldati, rinforzati dai gruppi provenienti dagli altri due edifici, riuniti in un’unica ed enorme orda.

- Comandante… abbiamo un problema… esclamò Freeman.

- Già… sono fottutamente troppi… - confermò Hurricane, stringendo i denti e atterrando accanto ai compagni.

- Mettetevi al riparo. – ordinò Roy con tono carico di odio, alzandosi improvvisamente da terra e facendo voltare tutti i soldati verso di lui.

- Cosa vuoi fare, Steinberg?! – chiese terrorizzato Axel.

- Mi sbarazzerò di loro e porrò fine a questa cazzo di follia. – disse il biondo, senza distogliere lo sguardo dall’orda.

- Steinberg, sono troppi! Non fare cazzate, nemmeno noi siamo in grado di respingerli! – cercò di farlo ragionare il generale.

- Roy, giusto? – chiese Diego, avvicinandosi. – Noi siamo qua anche per proteggere te, non possiamo lasciare che tu corra un rischio così grande. – Roy lo guardò negli occhi.

- Signor Klein, la prego di lasciarmi andare. Sono conscio di quello che sono in grado di fare. – disse il biondo, con un tono cupo e serio.

- Steinberg… - Axel si limitò a guardare il ragazzo negli occhi.

- Mettetevi al riparo. – ordinò di nuovo il biondo.

- Al riparo. – disse Klein ai suoi uomini.

- Ma Axel… - cercò di ribadire Hurricane.

- Ora! – intimò il comandante, allontanandosi assieme alla sua squadra.
 
Roy si piegò sulle ginocchia, come per caricare uno scatto. Con un balzo disumano si portò sopra l’orda di nemici, caricando con l’intero corpo un’onda cinetica. Sfogando tutto l’odio che aveva in corpo, il ragazzo piombò in picchiata verso i nemici. L’impatto fu apocalittico, tutti gli uomini dell’Ægos vennero spazzati via e ridotti a brandelli dalla tremenda forza del ragazzo. Non uno di loro riuscì a salvarsi da quella devastante meteora.
Una volta diradata la polvere generata dall’impatto, i soldati poterono rivedere la figura del ragazzo, che silenziosa e immobile giaceva in mezzo al cratere. Axel e i suoi uomini erano increduli e terrorizzati allo stesso tempo. Il generale si avvicinò al ragazzo, potendo così guardargli il volto: stava piangendo.

- Schwarz… ha appena demolito metà della nostra legione, in un solo fottutissimo colpo… - esclamò il Professor Gunnarson, ridendo mentre sbatteva il pugno destro sulla sua postazione all’interno del laboratorio del quartier generale.

- Sei riuscito a ricavare i dati da quel meraviglioso colpo? – chiese Simon, ammaliato dall’assurda visione, senza la minima preoccupazione in volto.

- Affermativo. Il programma ha elaborato una scheda precisa all’ottantasette percento, sono in grado di ricostruire i processi neurochimici dietro alla produzione di tale potere, quindi… considera iniziata la fase finale del nostro progetto.

- Bene allora, diamo inizio alle danze! Legion era solo il primo passo verso il nostro grandioso futuro, Infecta sarà lo strumento definitivo che ci condurrà alla vittoria. Ottimo lavoro, Niklas. Tienimi aggiornato. – disse Simon trionfante, uscendo dal laboratorio e tornando nel suo ufficio. “Non mi resta altro che portare Aiden da me e finalmente potrò iniziare la mia conquista.” pensò poi, facendo comparire un sorriso sul suo volto, guardando soddisfatto il suo riflesso nello specchio dell’ascensore.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Queen City, Villetta degli Steinberg, la stessa domenica, ore 19.00.
 
Roy sedeva sul divano, tremante, fissando il vuoto in un bizzarro dipinto sulla parete del soggiorno: una tavola dipinta da un amico del padre, in stile cubista, raffigurante una tigre. Ethel era seduta accanto a lui con la testa appoggiata alla sua spalla, con una mano stringeva la sua, mentre con l’altra accarezzava delicatamente la chioma bionda del suo ragazzo. Anche Aiden sedeva vicino a lui, guardando con uno sguardo carico di preoccupazione e sconforto.
Le iridi smeraldine di lui erano spente, gli occhi erano arrossati a causa delle tante lacrime che aveva versato. Aveva ucciso delle persone, le aveva sterminate utilizzando quel maledetto potere, causa di tutto quello che era successo nell’ultimo periodo.

- Ragazzo… - Axel si chinò verso il biondo. – Capisco perfettamente come ti senti. Uccidere per la prima volta fa male, molto male… ma non devi sentirti in colpa, quelle persone erano già morte, uccidendole abbiamo fatto loro un favore.

- A causa mia… Li hanno presi a causa mia… Tutto questo non sarebbe mai successo se non avessi fermato quella tizia, quel giorno… - Roy si portò le mani al viso, disperando in un doloroso pianto. – Il Void… ha portato solo morte e distruzione, attorno a me…

- Steinberg! Adesso basta! – Diego catturò l’attenzione del biondo, fissandolo dritto negli occhi. – Se non fossi intervenuto ci avrebbero ammazzati tutti, e chissà quante altre vittime ci sarebbero state dopo di noi. A sedici anni un ragazzo non dovrebbe dover uccidere nessuno, io più di chiunque altro posso dirlo, ma ci sono situazioni che non ti lasciano altra scelta se non quella di chiudere gli occhi e lasciare che sia il fato ad agire. Sai Steinberg, io sarei dovuto morire tanto tempo fa, ma il fato mi ha posto davanti due opzioni: morire o diventare portatore di morte. Non ho avuto grande scelta ed eccomi qua, ma piangersi addosso non è la soluzione. – Il ragazzo dai capelli blu si avvicinò a Roy, senza togliere lo sguardo dalle sue iridi. – Quei bastardi hanno ucciso centinaia di innocenti e piangere non li riporterà in vita. Quello che dobbiamo fare adesso è rispondere al fuoco con il fuoco.

- Cosa intendi, Hurricane? – chiese perplesso Aiden, alzandosi in piedi con fare interrogativo.

- Lady Gea mi ha mandato qua per una ragione: trovare dove si nascondono quelli dell’Ægis. Ci abbiamo provato, ma siamo stati traditi e non ce ne siamo accorti in tempo. Ma in questa sfortuna potremmo avere una pista da seguire.

- Che pista, Diego? – Axel si fece scappare un tono molto curioso, quasi impaziente.

- Le comunicazioni di Rees. Prima di spararle mi sono accertato di non colpire l’auricolare che aveva nascosto dietro l’orecchio sinistro. Ho provveduto ad estrarne il ricevitore, inviando i dati alla sede di Berlino, lì la squadra di ricerca ci potrà fornire delle tracce.

Axel sospirò, chiudendo gli occhi e posando una mano sulla spalla del ragazzo dai capelli blu. – Ottimo lavoro, Diego. Tienimi aggiornato.

- Sissignore. – disse, portandosi sull’attenti. Si chinò poi verso Roy, tirandogli un leggero pugno sul petto. – Avrai l’occasione di vendicarli, ragazzo. Quel tuo potere non porterà solo distruzione, al contrario, salverà delle vite… - posò una mano su quella del ragazzo. - Un fottio di vite, Steinberg! – la strinse, vedendo le iridi del biondo riacquisire una debole scintilla.

- Professor Steinberg, ora noi dobbiamo occuparci di placare le forze dell’ordine e i media, la prego di avvisarci qualora servisse qualcosa.

- Grazie Axel, ti contatterò se dovessi avere bisogno. – lo congedò l’uomo, vedendolo uscire dalla casa, seguito dai suoi soldati.
 
Nella villetta calò un silenzio appuntito, Roy era ancora scosso da ciò che era accaduto mentre Ethel e Aiden volevano lasciare al biondo il tempo per riappacificarsi, rimanendo al suo fianco, senza dire nulla.
Fu Aiden a rompere il silenzio. – Ethel, vorrei chiederti di passare la notte da noi, si è fatto tardi ormai e penso che la tua presenza possa aiutare Roy a riprendersi. – chiese cortesemente, guardando la ragazza negli occhi.

- Non c’è alcun problema, Signor Steinberg, mi faccia solo avvisare i miei genitori.

- Chiamami pure Aiden. – disse, sorridendo. – Sei di famiglia ora! – posò poi una mano sulla spalla di Roy. – Cerca di riposare stanotte, domani vorrei farti alcuni esami. Sono preoccupato per la tua salute…

- Va bene… papà… - rispose a bassa voce il biondo, voltandosi verso Ethel e aspettando che ella terminasse la chiamata.

Ethel mise giù, tornando subito accanto al ragazzo. – Ti va di distrarti un po’, prima di andare a dormire? – chiese con un dolce sorriso in volto.

- Va bene, Ethel… - si sforzò di sorridere lui, cercando di sopprimere l’angoscia e i pensieri negativi che lo stavano affliggendo.

- Io vado in camera mia, non andate a letto troppo tardi, mi raccomando. – disse Aiden, uscendo dal salotto e dirigendosi verso la sua stanza.

I due ragazzi rimasero in silenzio per una manciata di minuti; Roy aveva il respiro lento e pesante, irregolare, l’unico rumore che rompeva la stressante quiete di quel salotto. Ethel lo guardava, come una madre guarda il proprio figlio nell’addormentarsi. Improvvisamente lo strinse.

- Roy, ora è tutto finito, ok? Non devi tormentarti, non voglio vederti in questo stato… fa male anche a me… - gli posò una mano sulla guancia, lui fece lo stesso, posando la mano su quella della ragazza.

- Non è facile digerire ciò che è successo oggi… ma ci proverò, Ethel… è il massimo che posso prometterti adesso… - disse il biondo, rubando poi un bacio alla ragazza. – Grazie per essere rimasta, significa molto per me…
- Non devi ringraziarmi, sono la tua ragazza ora, è naturale che ti stia a fianco nel momento del bisogno, no?

- Hai ragione. – sorrise lui. – Abbiamo un po’ di cose da raccontare a Blaze… - disse poi, sforzando una risata.

- Già me lo vedo a farci seimila domande…

- Beh… e noi gli dovremo dare seimila risposte…

- Vero, dopotutto è anche grazie a lui che siamo qua, io e te, adesso. – gli strinse la mano.
 
Non passò molto prima che i due ragazzi cadessero prede alla stanchezza, addormentandosi abbracciati, stremati dagli eventi di quella giornata. Nonostante la presenza di Ethel, il sonno di Roy era disturbato, macchiato dalle ancora fervide sensazioni provate quel pomeriggio, dalle visioni macabre, conseguenza di ciò che aveva fatto: corpi carbonizzati, corpi di uomini, donne, bambini, anziani…
Axel aveva ragione: quelle persone non erano più umane, la loro vita era terminata il giorno in cui erano cascate nelle fauci dell’Ægis, ma al posto del volto di quel bambino che aveva dovuto uccidere per non venir ucciso a sua volta, al posto del volto di quel bambino vedeva suo fratello. Lui lo stava guardando, rimaneva immobile ad accettare il suo destino.
E lo guardava.
E lui voleva gridare, ma la voce non usciva.
“Scappa! Emil, scappa!” ma non erano altro che parole eteree. “Emil!”

- Emil! – Roy si svegliò di soprassalto, ansimando grondante di sudore.

Si guardò intorno, cercando sicurezza nelle forme geometriche dell’arredamento del salotto. Era buio e i suoi occhi facevano fatica a captare il filo di luce che illuminava la stanza, filo quasi invisibile, che donava un contorno bianco ai mobili. Si girò verso Ethel: lei era ancora lì, comodamente assopita sul morbido schienale del divano.
Il biondo si appoggiò al corpo della ragazza, coprendola con la coperta che aveva sulle gambe, probabilmente lasciata dal padre mentre loro dormivano. Tentò di riprendere sonno invano, tormentato da quell’incubo. Era solo la sua immaginazione, lo sapeva, ma la visione di suo fratello era così reale, lo sentiva presente in quella stanza, di fronte a lui, poteva quasi sentire il suo respiro.

- Roy, che succede? – fu la voce di Ethel a far dissolvere quell’ombra nel buio, riportando Roy alla realtà.

- Ti ho svegliata… scusami. – disse lui a bassa voce, cercando il suo volto nell’oscurità di quel salotto.

- Hai avuto un incubo, vero? – chiese lei dolcemente.

- Sì… il bambino che ho dovuto uccidere… oggi… ogni volta che chiudo gli occhi vedo mio fratello al suo posto… immobile… a farsi uccidere da me… - il ragazzo tremava.

- Ehi, ehi… era solo un incubo, era solo un incubo… - la rossa abbracciò Roy, facendogli posare la testa sulla sua spalla, accarezzando poi la sua morbida chioma.  

- Tutto questo mi sembra surreale… l’Ægis, il Void… è stato tutto così improvviso, sono stato trascinato dentro e ora non ho più modo di uscirne… l’unica cosa che posso fare è andare fino in fondo…

- Ricordati che non sei solo: tuo padre, il Signor Klein, io e Blaze, siamo tutti qui per te. Hai noi, Roy, non dimenticarlo. Qualunque cosa deciderai di fare, avrai il nostro supporto.

- Senza di voi non saprei che fare… - il biondo strinse la ragazza.

- Non ci pensare… assieme troveremo il modo di venir fuori da questa situazione. Loro non sono invincibili, con l’aiuto dell’Asset riusciremo a fermarli, Roy.

- Ho un sonno terribile, ma non riesco a chiudere occhio…

- Ti distraggo io, finché non ti addormenti… - disse Ethel, lasciandosi scivolare sul divano e trascinando il biondo su di sé.

I due rimasero abbracciati per una intensa e interminabile ora, il tempo sembrava essersi fermato in un magico e piacevole stallo, che silenzioso aveva portato la quiete negli animi dei due ragazzi, facendoli addormentare l’uno nelle braccia dell’altra.
 
La mattina arrivò rapida, inondando il salotto con una luce insolita per il mese di marzo.
Ethel e Roy si svegliarono lentamente, stirando ogni singolo muscolo, indolenziti dalla posizione nella quale si erano addormentati. Dalla cucina si potevano udire le notizie del telegiornale: suoni confusi misti a parole prive di contesto. Proprio in cucina Aiden sedeva al tavolo, guardando in modo distratto lo schermo del televisore, sorseggiando una tazza di caffè preparato rigorosamente con una moka. Da quando aveva conosciuto Erica, sua moglie, non riusciva più a bere caffè che non fosse stato fatto all’italiana.
Improvvisamente la sua attenzione fu catturata dal servizio che stava venendo mandato in onda:
“Siamo qui in Texas Street, luogo dell’attentato terroristico avvenuto ieri sera verso le sei e mezza. Abbiamo l’occasione di parlare con il proprietario dei quattro edifici esplosi durante l’attacco, il noto imprenditore Simon Wolf; Signor Wolf, la ringraziamo per la sua disponibilità.
Sono io a ringraziarvi per permettermi di diffondere questo mio appello. Vedete, la polizia non ha alcuna intenzione di rivelarmi cosa è successo in questo attentato, non mi hanno detto se sono morte persone, in un mio edificio. Come pensate possa sentirmi io? Potrei avere sulla coscienza le vite di decine di innocenti, magari di bambini.” Quelle ultime parole riuscirono ad eludere la stanchezza di Roy, divenendo chiaramente comprensibili e spiccando nel silenzio mattutino. Il senso di colpa che credeva essersi placato col sonno, era subito ritornato a stringergli il cuore, ferendolo silenziosamente. “Ma sono tenuto all’oscuro, non mi è permesso sapere chi ha attaccato una mia proprietà, non mi è permesso sapere se io sia in pericolo, se le persone a cui sono vicine siano in pericolo. Non mi è dato sapere nulla. Io voglio fare un appello a nome mio e dei miei concittadini, un appello alle forze dell’ordine che ci dovrebbero proteggere: vorrei ci fosse trasparenza da parte vostra, è un nostro diritto sapere se siamo in pericolo; in tempi come questi, dove il nostro paese è sull’orlo di riprendere la guerra in Medio Oriente, gli americani non si meritano di essere abbandonati. Vi ringrazio ancora per aver dato voce alle mie parole.”uelQ
 
- Oh, cazzo…! - esclamò Aiden, attirando i due ragazzi, che nel frattempo si erano diretti in cucina.

- Quindi gli edifici erano del Signor Wolf… - disse Roy, avvicinandosi al padre.

- Già…

- Cosa vogliono quelli dell’Ægis da lui? – chiese il biondo, cercando preventivamente la risposta nello sguardo dell’uomo.

- È questo il problema, Roy, non ne ho idea. Simon non è a conoscenza del completamento del B.M.M.D. e non riesco a trovare il motivo di questo attacco, perché proprio a lui?

- E da come ne parla non sembra la prima volta, vero?

- No, anche quando è stato ucciso Andrea mi aveva parlato di essere stato preso di mira.

- Cosa vuoi fare, papà? – chiese Roy lievemente preoccupato.

- Parlerò con Axel. Non voglio che anche Simon venga coinvolto in questa faccenda; ho già perso un caro amico per colpa di quei bastardi… - il ragazzo non aveva mai visto quell’espressione sul volto di Aiden – Ah, Roy, ora devi venire con me al laboratorio, devo controllare le condizioni del tuo corpo dopo quel che è successo ieri. – tornò immediatamente serio, alzandosi dal tavolo, avvicinandosi al ragazzo e poggiandogli una mano sulla spalla.

- Va bene. – si limitò a rispondere lui.

- Ethel, vieni anche tu. Dopo pranzo ti riporto a casa, non voglio trattenerti troppo. – disse poi l’uomo, sorridendo alla ragazza.

- Non si preoccupi Sign-… volevo dire, Aiden. Devo ancora abituarmi… - si fece scappare una lieve risata, che portò una leggera brezza di serenità nell’atmosfera.
 
 
Queen City, base Ægis, laboratorio privato del Professor Gunnarson, ore 14.30.
 
Niklas era sveglio dalla notte precedente, immerso nella progettazione di quella che sarebbe stata la sua più grande creazione. Sedeva alla sua postazione, circondato da monitor e apparecchi tecnologici per la trasmissione e il sequenziamento di onde cerebrali artificiali. Dietro di lui, una lavagna bianca era stata completamente imbrattata di schemi e formule, occupandone in modo disordinato la superficie.
Lavorava in parallelo, codificando con una mano una serie di dati che aveva precedentemente estratto dalle registrazioni radiometriche, mentre con l’altra mano impostava la macchina che avrebbe dovuto sintetizzare la copia artificiale del Void.

- Che cazzo di casino… - borbottava lo scienziato, mentre le sue dita scorrevano inarrestabili sulle due tastiere. – Non avrei mai pensato di poter vedere una singolarità come questa, haha… - continuò, ridendo per contrastare la stanchezza e la tensione che pervadevano il suo corpo.
Simon entrò nel laboratorio, venendo tuttavia ignorato dall’uomo alla scrivania. Si avvicinò lentamente, osservando con ammirazione i vari schermi e il loro contenuto. Tre sigle catturarono la sua attenzione:
I-ZEUS-A001, I-PHOENIX-A002, I-KINETIC-A003”.
 
- Come procede, Niklas? – chiese pacatamente l’uomo.

- Lentamente, Schwarz, molto lentamente.

- Noto tre sigle diverse, hai intenzione di sviluppare più prototipi di base?

- No, ho incontrato un problema che con i dati attuali non ho modo di risolvere. In pratica le codifiche che sto facendo mi permetteranno di sintetizzare un Infecta in grado di emettere energia in solamente una delle sue forme principali, ma non sarà in grado di produrre le altre in contemporanea.

- Quindi al momento non è possibile riprodurre il Void alla perfezione.

- No, e non penso sarà possibile senza prima sviluppare uno di questi Infecta e vedere il comportamento all’interno di un corpo umano.

- Sono comunque dei traguardi importanti, Niklas; ottimo lavoro.

- Ho una richiesta che potrebbe non piacerti…

- Sentiamo.

- Testare i prototipi su una delle cavie del progetto Legion sarebbe inutile, il loro cervello è stato programmato per eseguire delle specifiche funzioni e andrebbero in collisione con l’interfaccia biochimica dell’Infecta. E non posso nemmeno creare un altro fantoccio con già l’Infecta all’interno, perché mi sarebbe impossibile isolare le informazioni bioelettriche in una zona precisa del cervello, evitando di formattarlo…

- In parole povere? – lo interruppe spazientito.

- Devo eseguire i test su uno dei tuoi uomini speciali e se potessi esprimere una preferenza, proporrei Aren, il suo fisco, la sua età e le sue capacità lo rendono il soggetto perfetto. – Niklas guardò Simon negli occhi.

- Mi stai chiedendo di mettere a rischio la vita del mio uomo più forte per testare un prototipo?

- Beh, sì, è proprio quello che ho detto. – fece spallucce lo scienziato.

- Scordatelo. Devi trovare un altro modo.

- No! Sono pronto a testare quello che volete. – si intromise Aren, avvicinandosi a Simon e guardandolo con le iridi illuminate da un’insolita scintilla. – Te lo ripeto, Simon, tu hai bisogno di me, devi fidarti di me!

- La tua vita è troppo importante per me, Aren.

- Dici che sono diverso dagli altri, dici che sono la chiave per il tuo futuro. Il mio scopo è quello di farti arrivare a quel futuro che sogni, e ancora tu ti comporti come se io non fossi pronto. Perché continui a trattarmi come un bambino, Simon? – l’uomo rimase in silenzio, per poi avvicinarsi al castano.

- La tua vita, Aren, è troppo importante per me. – ripeté gelido l’uomo, posandogli una mano sulla spalla, stringendo poi con una forza esagerata.

- Sono il membro più forte di questa cazzo di organizzazione, cosa devo fare per far sì che tu ti possa affidare a me?! – gridò il ragazzo, levandosi la mano di Simon dalla spalla, infastidito.

- Se posso permettermi, Schwarz… l’Infecta, a differenza del Void è un prodotto sintetico, prodotto del quale io conosco l’esatta mappatura delle interazioni biochimiche col corpo umano. – si intromise Niklas, cercando di evitare un proseguimento della discussione.

- Questo cosa mi significa? – chiese l’uomo con tono apatico.

- Significa che così come l’Infecta viene inserito in un corpo, è possibile tirarlo fuori, essendo ancora un prototipo. Quindi posso lavorare sul ragazzo semplicemente inserendogli l’Infecta e aggiustandolo di volta in volta con le varie modifiche. Ho omesso i dati relativi alla totale simbiosi apposta per sviluppare dei prototipi da studiare.

- Hai sentito? Adesso hai la garanzia che non correrò alcun rischio, ti prego, usami come arma definitiva. Eliminerò Steinberg, l’Asset e chiunque si opporrà alla nascita del nostro futuro… - Simon non aveva mai visto Aren essere così tanto insistente.

- Niklas, mi garantisci che non gli succederà nulla?

- Ti ho mai deluso, Schwarz?

- E sia. Quando Niklas terminerà il suo lavoro, tu seguirai ogni singola cosa che ti dirà per tutta la durata del periodo di sperimentazione.

- Sissignore. – rispose serio il ragazzo, riuscendo a mascherare una felicità quasi incontenibile.

- Adesso andiamo via da qui, abbiamo rubato già troppo tempo alla nostra mente. – ordinò poi, facendo per uscire dal laboratorio.

- Appena ho qualcosa per le mani ti chiamo, Schwarz! – gridò Gunnarson prima che Simon lasciasse la stanza, vedendolo annuire.
 
Simon e Aren entrarono nell’ascensore per raggiungere l’ufficio dell’uomo.

- Cosa intendi fare adesso?

- Durante tutto il periodo di sperimentazione non dovremo attirare l’attenzione. Sospenderò tutte le missioni per conto dell’Ægis e scenderò invece in campo personalmente, non come Schwarz, ma come Simon Wolf.

Le porte dell’ascensore si aprirono, permettendo ai due di accedere all’ufficio.

- Non è troppo rischioso esporti direttamente? – chiese il ragazzo, non molto convinto, mentre attraversavano l’enorme porta in vetro.

- A volte, la miglior mossa per mettere in scacco l’avversario è muovere il re, ragazzo mio. – disse, sedendosi alla scrivania e facendo girare fra le dita una pedina-re nera dello scacchi.

- E cosa farà Simon Wolf?

- Mi avvicinerò all’unica cosa che ci potrà permettere di creare l’Infecta completo: Aiden Steinberg. Lui non sospetta ancora nulla di me, con la trasmissione di stamattina ho fatto in modo di presentarmi al mondo come una vittima. Sarà facile avere il suo aiuto e l’unica cosa che mi preoccupa è l’Anonymous Asset, dovremo tenere gli occhi bene aperti per loro.

- Ci siamo noi per questo. – disse deciso il castano.

- Tu non ti muoverai da questa base, è il compromesso se vuoi testare l’Infecta. Saranno Diana e Drake a occuparsi di coprirmi le spalle, ma anche loro non dovranno sottovalutare l’Asset.

- Agli ordini…

- Siamo vicini al traguardo, Aren. Ancora poco e potrò mantenere la mia promessa. – disse, appoggiando la pedina nera vicino al re bianco, facendolo poi cadere con un dito. – Vai a riposare, il tuo corpo dovrà essere in condizioni perfette prima della sperimentazione. – ordinò infine, facendogli cenno di andare.

- Come vuoi, Schwarz.

- Sai che odio quando mi chiami con quel nome.

- Potevi sceglierne uno migliore. – rispose secco, uscendo dallo studio.
 
Schwarz si fece scappare una risata, guardando il ragazzo che aveva cresciuto lasciare la sala. Prese poi un bracciale che teneva sulla scrivania, indossandolo e portandosi il polso alla bocca.
 
- Chiama Aiden Steinberg. – ordinò all’assistente virtuale progettato dai suoi tecnici. Passarono dei lenti secondi prima che la voce del biondo rompesse il silenzio di quella sala.

- Simon, speravo mi chiamassi. Ho visto il notiziario stamattina, tu sei salvo?

- Sì, io sto bene, anche se non posso dire lo stesso per le mie attività e la mia reputazione…

- Via telefono non è il modo migliore per parlarne, perché non ci beviamo qualcosa più tardi?

- La mia agenda è libera, è un’occasione rara ultimamente… - falsò una risata. – Passo sotto casa tua alle diciotto, va bene?

- Assolutamente, mi farò trovare pronto per quell’ora. Mi ricorda molto i tempi del college… - rispose Aiden, con un tono quasi triste.

- Tempi in cui non avevi la patente e dovevo farti da autista? – stette al gioco Simon, senza levarsi il sorriso dal volto.

- Proprio quelli, haha. Ci vediamo dopo allora.

- A dopo, Aiden. – chiuse poi la chiamata, alzandosi dalla sedia e guardando la città attraverso la grande vetrata alle sue spalle. – Lo so che non saresti fiera di me, Ashley… ma il mondo ha bisogno di me, il mondo ha bisogno di un nuovo futuro… il mondo ha bisogno di qualche sacrificio…
 
Queen City, Villetta degli Steinberg, laboratorio di Aiden, qualche minuto più tardi.
 
 
Roy era sdraiato su un lettino, collegato tramite elettrodi a una macchina. Su un monitor venivano trasmessi i suoi parametri vitali, assieme a dei grafici che esplicavano l’attività del Void in relazione all’attività cerebrale del ragazzo negli ultimi due giorni.
 
- Sembra che tu sia riuscito ad espandere enormemente l’energia totale prodotta per secondo, e questa cosa non sembra aver avuto conseguenze particolarmente allarmanti sul tuo corpo. Tuttavia, il radiogramma delle tue onde cerebrali mostra un enorme rallentamento nello smaltimento dello stress, soprattutto stanotte…

- Ho avuto un incubo, papà… - cercò una possibile spiegazione il ragazzo.

- Un incubo da solo non basta ad alzare così tanto i picchi del grafico, certamente ha influito anche quello, ma il danno principale è stato fatto dal Void. Qualsiasi cosa tu abbia fatto, cerca di non rifarla una seconda volta. Anche se non ho riscontrato problemi gravi, non posso sapere se sarà così tutte le volte.

- D’accordo…

- Ho discusso con Axel stanotte, la tua presenza sarà nuovamente necessaria all’Asset. So che è dura per te, Roy, e nemmeno io sono tranquillo sapendoti coinvolto in una faccenda del genere… ma non posso negare la realtà. Tu hai un potere enorme in grado di difenderci da quei bastardi, tu sei ciò che loro temono, sei indispensabile per fermarli.

- Questo potere è troppo grande… anche se cerco di controllarlo, ogni volta finisce per travolgermi e distrugge ciò che ho intorno…

- È per questo che sto progettando qualcosa che ti permetterà di controllarlo in modo più efficiente e sicuro. – disse, mostrando sullo schermo una bozza di un progetto.

- Cos’è quello? – chiese curioso il ragazzo dagli occhi smeraldini.

- È una tuta militare, che ho modificato utilizzando i dati del progetto Hurricane e adattandoli a quelli del B.M.M.D.. Sfrutta una connessione chimica con i nano-bot fusi al Void, grazie a questa tecnologia potrai utilizzare l’energia in modo più efficiente, senza risentire dei danni al tuo sistema nervoso.

- In pratica è un’estensione del sistema nervoso…

- Esattamente, agirà sul legame fra il Void e il DNA delle tue cellule: li impulsi verranno controllati e verranno ridirezionati in forma alternativa per non danneggiare i tessuti nervosi. Inoltre, ti permetterà di concentrare l’energia in modo più efficace, creando delle onde cinetiche più contenute.

- Ma è una figata… - disse incredula Ethel, rimanendo imbambolata dal discorso di Aiden. – Tutto questo mi sembra quasi surreale…

- È proprio questa la reazione che la scoperta dovrebbe far provare: stupore, ammirazione, speranza… Invece oggi si punta sulla paura, sull’intimidazione, si utilizzano le tecnologie per distruggere e non per creare e migliorare il nostro futuro… - fece un respiro profondo. – Voi siete il futuro, ragazzi miei, la vostra generazione dovrà prendere in mano ciò che la mia non è riuscita a concludere, è questa l’innovazione che serve al mondo! – disse poi, guardando Roy ed Ethel.

- Porterò avanti ciò che hai iniziato, papà, questo sarà di certo il mio futuro. – Aiden sorrise.

- Adesso vai a preparare il pranzo, io vi raggiungo appena ho finito di sistemare qua. – disse l’uomo, vedendo i ragazzi annuire e uscire dal laboratorio.

“Se solo potessi capire anche tu la mia visione delle cose… Simon…” pensò poi, guardando i vecchi progetti del B.M.M.D..

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Berlino, Istituto Scolastico Max Planck, lunedì, ore 13:00.
 
Il grigio del cielo filtrava dalle finestre di quell’aula al terzo piano della struttura, inondandola di una fioca luce assonnante.
Emil fissava annoiato la lavagna, piena di noiose formule che lui già conosceva e comprendeva alla perfezione.
L’istituto Max Planck era conosciuto per essere uno degli istituti più tosti ed esigenti di Berlino, che mirava a formare degli studenti modello ancora prima dell’istruzione superiore.
Studiare e comprendere, tuttavia, era un qualcosa di intrinseco ai geni degli Steinberg, rendendo la scuola una noia per il ragazzino. I suoi risultati erano ottimi, ma lui non si sentiva mai soddisfatto, una nota di carattere dovuta anche alla grande severità e rigidità della madre che lo spingeva a migliorarsi senza sosta.
Capitava così che il ragazzino si sentisse in dovere di passare intere giornate chiuso in sé stesso, con un libro in mano. Emil, tuttavia, odiava rimanere chiuso in casa e passava la maggior parte del tempo di studio nel giardino della villetta, sdraiato sull’amaca, o al Tiergarten, uno dei parchi più grandi della città. Adorava la sensazione dell’aria fresca che gli bagnava il volto mentre sfogliava le pagine, il profumo dei fiori che sua mamma curava minuziosamente, il cinguettare dei vari uccelli che trovavano casa sui rami del meraviglioso noce al centro del giardino, al quale era stata appesa l’amaca.
La madre pretendeva tanto da lui, conoscendo le capacità del ragazzino e vedendolo in futuro a capo dell’Anonymous Asset. Voleva che mantenesse una media molto alta a scuola, spronandolo a fare del suo meglio anche a costo di rinunciare a parte del suo tempo libero. Erica, tuttavia, si riguardava bene dal privare il figlio delle gioie dell’infanzia, assecondando ogni sua richiesta, senza volergli quindi far mancare nulla. Era un buon compromesso per non viziare il ragazzo: dare e pretendere, la stessa via che aveva scelto di intraprendere sua mamma, rendendola l’importante donna che era.
La fantasia volava in quella gabbia di cemento, ritraendo sullo schermo azzurro della lavagna digitale l’ultimo capitolo del fantasy che il ragazzo aveva cominciato a leggere, distraendo così la sua mente fino al suono della campanella, che violento e assordante lo riportò alla realtà.

- Steinberg, vieni con noi al bowling, oggi pomeriggio? – chiese uno dei compagni di classe e membro della combriccola del biondo, Alexander Haas.

- A che ora andreste? – chiese Emil, tirando fuori l’agenda dalla sua sacca e controllando gli impegni del pomeriggio.

- Müller voleva andare verso le quattro, che dici?

- Si può fare, ma devo chiedere a mia madre… alle sei ho lezione di tiro con l’arco e poi devo sistemare gli appunti di fisica…

- Ancora non ti è andato giù il due della settimana scorsa? Hai preso comunque il voto più alto della classe…

- No che non mi è andato giù! Avrei potuto tranquillamente prendere uno, se solo avessi scritto di più sulla terza domanda! – rispose il biondo, tirando un pugno sul tavolo.

- Cazzo, Steinberg, ti prendi mai un attimo di tregua? – chiese il castano, punzecchiando il compagno.

- Vallo a dire a mia madre…  ultimamente mi stressa più del solito.

- Fra, forse dovresti dire a tua madre di darsi una calmata… hai una media praticamente perfetta, che cazzo può pretendere ancora?

- Non abbastanza per lei, e quindi non abbastanza per me… comunque ti faccio sapere più tardi. – disse poi, riponendo le sue cose nella sacca e caricandosela in spalla. – Ho una fame che svengo, ci sentiamo dopo, ciao! – salutò infine il compagno, uscendo di corsa dalla classe.
 
La via verso casa era particolarmente lunga: il biondo doveva attraversare ben cinque quartieri per raggiungere l’enorme villa in cui abitava con la madre e i due nonni materni.
La distanza, tuttavia, non gli pesava affatto tant’era perso nella musica che gli plasmava nuovamente la fantasia nel mondo che lo circondava, unendo le note e il vento in una magica miscela che divorava il tempo e lo faceva “risvegliare” solo una volta arrivato di fronte a casa.
Lì, di fronte al cancello, veniva pervaso dal profumo dei primi glicini che facevano da guardia all’ingresso: dolce, trasportato leggiadro dal vento, che si univa alla fresca brezza di marzo. Si perse nei loro colori quasi surreali: un azzurro acceso con sfumature rosate, che spiccava sul verde primaverile di quel meraviglioso giardino, componendo un quadro morbido e rilassante alla vista.
Il ragazzo aprì il cancello, percorrendo poi il piccolo sentiero ciottolato che divideva a metà il giardino. Venne accolto poi dalla nonna, che radiosa e sorridente lo aspettava all’ingresso.
 
- Ciao, tesoro! – gli diede un bacio sulla fronte. – è andata bene a scuola? – chiese poi prendendogli la sacca.

- Ciao, nonna! – ricambiò il bacio, tirandosi via la giacca e le scarpe. – Tutto normale… - rispose poi.

- Ti ho preparato il pranzo, tesoro, dammi il cappotto e vai a mangiare. – disse, prendendo la giacca del ragazzino e appendendola sul portaabiti al muro.

Matilde era una donna dall’aspetto piuttosto giovane per una signora di settantaquattro anni, con dei lunghi capelli che avevano mantenuto un biondo brillante nonostante l’età. Le iridi erano smeraldine, come quelle di Roy e il suo volto era distinto da un sorriso morbido e caloroso che avvolgeva il nipote ogni volta che tornava a casa.
Con Emil parlava solo italiano, sotto richiesta di Erica, che voleva mantenere il figlio fluente in tutte e tre le lingue di famiglia.

- Vado subito, nonna. – rispose il biondo, affrettandosi a raggiungere la cucina.
 
Al tavolo era già seduto il nonno, un ometto di settantasei anni identico alla madre, con le iridi identiche a quelle del biondo e con una folta barba bianca che risaltava rispetto alla sua testa calva. Il suo nome era Claudio D’Arco, in passato aveva lavorato come programmatore e sviluppatore di programmi per le macchine industriali, tramandando così la passione dell’informatica al nipote.
 
- Ehilà, bocia! Andata bene la giornata? – chiese al ragazzino, con il suo solito tono allegro.

- Ciao, nonno. La solita noia…

- Oh, ragazzo mio, la scuola non piace mai a nessuno, ma più avanti vai più ti renderai conto di quanto bene ti abbia fatto andarci. – disse l’uomo. – È stata la scuola a rendere tuo padre e tua madre quelli che sono oggi, se ti impegni sono sicuro che avrai un futuro brillante pure tu. E chissà, magari seguirai le orme del tuo vecchio nonnino, di scienziati ne abbiamo già abbastanza in famiglia! – rise poi, dando una pacca sulla spalla del nipote.

- Non voglio diventare come papà, sai che non sopporto la chimica… - sorrise Emil, fiondandosi sul piatto di spezzatino preparato dalla nonna.

- Hai più sentito tuo fratello, tesoro? – chiese Matilde, sedendosi anche lei al tavolo.

- Sì, ci siamo scritti l’altra sera… - Fece una pausa, masticando un grosso boccone di carne. - Ultimamente mi ha detto di essere piuttosto impegnato.

- E come sta? È da tanto che non mi chiama.

- Mi ha detto che si è trovato la ragazza. – disse il ragazzino con tono totalmente indifferente.

- E bravo Roy! Rubacuori come il suo vecchio, haha! – esclamò il nonno, sorseggiando della birra dal suo boccale.

- Mamma non viene a pranzo oggi? – chiese poi il biondo, cambiando il discorso.

- No, tesoro, mi ha detto che è bloccata al lavoro con delle pratiche urgenti.

- Oggi pomeriggio volevo andare al bowling con dei miei amici, dovevo chiedere a mamma il permesso.

- Non ti preoccupare, bocia, vai pure! Se tua madre romperà le scatole ci parlerò io.

- Hai fatto tutti i tuoi compiti, Emil? – chiese la donna, guardando il marito con un lieve disappunto.

- Sì, nonna, li ho fatti tutti ieri sera. – rispose il biondo.

- Oh, Matilde, non ti ci mettere pure tu! Emil ha sempre fatto tutti i suoi compiti quando sua madre glie lo diceva, lasciatelo respirare un po’! Povero ragazzo! - esclamò il vecchio, in difesa del nipote.

- Va bene, tesoro, puoi andare. Ricordati però che alle sei hai allenamento, non fare tardi o tua madre si arrabbia. – disse la donna al ragazzino.

- Mi porto dietro la borsa, così vado direttamente al poligono.

- Ah, tesoro, fra poco dovrebbe passare una collega di tua madre, se ti metti in giardino a leggere, dalle poi questi. – disse, poggiando su un comodino un plico di fogli.

- Va bene! – annuì il ragazzo, finendo il pasto e posando le stoviglie sporche nella lavastoviglie.

Senza perdere tempo, Emil corse in camera sua, afferrando il grosso libro fantasy che giaceva sul suo letto e spostandosi nuovamente verso l’ingresso della casa.
Prese al volo i fogli che avrebbe dovuto consegnare alla collega di sua madre e si levò i calzini durante il tragitto, posando finalmente i piedi sull’erba fresca del suo giardino.
Adorava la sensazione dei fili d’erba che gli carezzavano i piedi, facendolo sentire un tutt’uno con la natura. Si lasciò cadere sull’amaca, la sua adorata amaca, compagna di mille avventure vissute fra le pagine dei libri.
Il vento lo cullava, leggero, facendosi spazio fra le fessure dell’amaca, rinfrescando così tutto il corpo del ragazzino. Quel fantasy lo ipnotizzava, effetto che solo pochi libri riuscivano a fargli, inglobandolo in un mondo astratto, mondo in cui, tuttavia, lui si trovava benissimo.
Venne interrotto dal suono di un clacson, rapido ma intenso, che lo riportò bruscamente alla realtà. Il suono proveniva da una moto parcheggiata fuori dal cancello, una Kawasaki nera, di ultima gamma, sulla quale era seduta una donna in tenuta da moto anc'essa nera. Lei era alta, con corporatura atletica, ma piuttosto robusta, i capelli castani legati in due trecce ben curate e uno sguardo freddo, ma caloroso allo stesso tempo.

- Buongiorno, Emil, devo prendere una cosa per tua madre! – disse la donna, salutando il biondo.

- Buongiorno, Signorina Klein! – Emil si alzò dall’amaca, correndo verso la donna, consegnandole poi i fascicoli. – Può dire a mia mamma che oggi andrò al bowling, per piacere? – chiese poi, vedendo la donna sorridere.

- Le dirò anche che hai fatto tutti i compiti e che non tarderai al tuo appuntamento, va bene? – sorrise nuovamente al ragazzino. 

- Grazie! – ricambiò lui il sorriso, correndo di nuovo verso l’amaca. – Arrivederci, Signorina Klein, buon lavoro! – la salutò infine.

- Ciao, Emil, buona giornata anche a te! – rispose lei, indossando il casco, riponendo i fascicoli nella borsa della moto e accendendo il bolide.


 
 
Berlino, sede centrale dell’Anonymous Asset, pochi minuti più tardi.
 
Erica era seduta alla sua scrivania, in videoconferenza con i vertici dell’Asset, ascoltando attentamente l’unità di tracciamento incaricata di analizzare l’audio dell’auricolare sequestrato al Soldato Rees.

- Siamo riusciti a tracciare sei possibili zone di trasmissione, FrauSignora Gea. Non sono di certo degli sprovveduti: hanno utilizzato più di un sistema di delocalizzazione del segnale e di anti-tracciamento, siamo dovuti ricorrere ai sistemi V-SAT a nostra disposizione, ma più di questi sei hotspot non siamo riusciti a trovare nulla.

- Non preoccupatevi, va bene così. Avete fatto un ottimo lavoro, come sempre. – si congratulò lei, incrociando le dita pensierosa.

- Cosa intende fare adesso, FrauSignora Gea? – chiese il responsabile del reparto di sviluppo tecnologico.

- L’ultimo assalto è stato quasi disastroso. Anche se fortunatamente non abbiamo subito danni, ne abbiamo causati troppi alla città, coprire le azioni dell’Ægis è stato più complicato del previsto…

- Abbiamo incontrato un ostacolo imprevisto: l’intervento televisivo di Simon Wolf. – aggiunse il responsabile dei rapporti esterni.

- Come volete procedere allora? – chiese impaziente quello del reparto di sviluppo.

- Scateneremo una guerra. – disse secca Erica, causando un sussulto in tutti i partecipanti alla videoconferenza. – Ho già parlato con i vertici del Pentagono e delle Difesa Unite, tutti quanti hanno definito l’Ægis una potenziale minaccia di grado sei.

- Grado sei?! – esclamò il responsabile delle relazioni.

- Sì, il più alto grado conferibile. Se l’Ægis riuscisse a mettere le mani sul Void, ci sarebbe il rischio di una vera e propria guerra. Sono più grandi di quello che credevamo: hanno alleati in diverse nazioni e non sarebbe toppo difficile per loro “persuadere” i possessori delle tecnologie più avanzate del pianeta. – esplicò la donna.

- Sono riusciti a sottrarci i dati del B.M.M.D. nel caveau principale, è chiaro che sono una minaccia che non possiamo più ignorare. – ribadì il responsabile della sicurezza dati.

- Il Pentagono si è già mosso: a breve il Generale Klein incontrerà il referente dei Servizi Segreti Americani, durante tale incontro verranno discusse le risorse a nostra disposizione per un attacco coordinato. Cercherò di organizzare un incontro con il presidente delle Difese Unite al più presto possibile, tutti i dettagli vi saranno forniti a tempo debito, per adesso concentratevi sul terminare lo sviluppo degli ultimi progetti non-bellici per conto della Eisenhauer.

- Sissignora! – risposero all’unisono i presenti, chiudendo la videoconferenza uno alla volta.
 
Rimasta sola, Erica si alzò dalla sedia girevole, stirandosi la schiena e massaggiandosi il collo.

- Ahia… è da stamattina che non stacco lo sguardo da quel computer… forse è anche ora di cambiare quella maledetta sedia. – sbuffò, portando il bracciale tecnologico che aveva al polso vicino alla bocca. – Promemoria: cambiare sedia ufficio. – ordinò poi all’intelligenza artificiale che governava lo studio.

La direttrice dell’Anonymous Asset uscì dal suo enorme ufficio, dirigendosi poi verso l’ascensore che l’avrebbe condotta alla mensa dell’edificio.
Uscendo dalla cabina, incrociò Ute, anche lei diretta verso la mensa.

- Buongiorno, Direttrice Gea, anche lei va a mangiare?

- Ciao, Ute! Sì, sto morendo di fame… è da stamattina alle sei che lavoro senza sosta.

- Ho letto il rapporto della squadra di tracciamento, le piste da seguire ora sono poche, sarà sicuramente più facile trovarli.

- Lo spero vivamente… il Pentagono e le Difese Unite mi stanno sul collo e pretendono dati affidabili, cosa che ancora non abbiamo... - Sospirò. - Piuttosto, Emil ti ha dato quei documenti? – chiese poi, avvicinandosi all’altra donna.

- Sì, non si preoccupi. Mi ha detto di dirle che oggi andrà al bowling. Ha fatto tutti i compiti e la Signora Matilde gli ha dato il consenso. – disse Ute, passando i fascicoli alla direttrice.

- Hmmm… spero solo non arrivi in ritardo… - sospirò Erica.

- Credo sia impossibile che quel ragazzino arrivi in ritardo, Direttrice. A volte penso sia troppo rigido sugli orari…

- Forse è colpa mia, gli ho sempre fatto una testa quadra sulla puntualità… devo averlo traumatizzato… - si lasciò scappare una risata.

- Lo sta crescendo nel modo corretto, Direttrice, un po’ di rigidità forma sempre il carattere dei giovani. - si aggiunse alla risata.

- Emil è un ragazzino molto testardo, testardo e incontentabile… ma non posso dire nulla, io da giovane ero esattamente così… però al solo pensare che suo fratello e suo padre siano coinvolti in qualcosa di così pericoloso, e che io non possa rivelargli nulla… mi viene da dubitare delle scelte che sto facendo in quanto madre…

- Sta facendo del suo meglio, anzi, sta facendo di più! Crescere un figlio dovendo dirigere un’organizzazione grande e importante quanto l’Asset è qualcosa che in pochi riuscirebbero a fare… - cercò di incoraggiarla, prendendo posto a uno dei tavoli della mensa.

- Se non ci foste voi, questo lavoro sarebbe un inferno peggiore di quanto già non lo sia.

- Non potremmo desiderare direttrice migliore, a guidarci in questi casini. – sorrise, facendo comparire un’espressione più serena sul volto della bionda.

- Piuttosto… da quanto non senti tuo fratello, Ute? Mi sento in colpa a dovergli affidare così tanta responsabilità…

- In effetti è da parecchio che non lo chiamo, anche se probabilmente non sente la mia mancanza. Comunque non si preoccupi, Axel non vede l’ora di poter dimostrare quanto professionale e affidabile sia, è così da quando era un bambino.

- Sembrate poco legati, è un peccato.

- Vede, nostro padre è sempre stato molto severo con noi, con Axel, soprattutto. Appena terminate le scuole elementari, mio padre mi ha mandato in un collegio di alto livello per farmi studiare lingue, così Axel è rimasto solo con lui, vista la morte prematura di nostra madre. Non siamo stati abbastanza vicini da sviluppare un vero rapporto fraterno, quindi siamo quasi come estranei l’uno all’altra. Le cose sono un po’ migliorate dopo la morte di nostro padre, ci siamo come riavvicinati, leggermente, ma tutto qua.

- Non so come sarà per Roy ed Emil, anche loro sono rimasti lontani per tanto tempo, nonostante si tenessero in contatto… spero solo di non aver rovinato il loro rapporto, trattenendo Emil con me in Germania… In sei anni non siamo riusciti a vederci di persona nemmeno una volta, io e Aiden non siamo stati esattamente dei bravi genitori, soprattutto nei confronti di Roy…

- Emil e Roy sono due ragazzini in gamba, Direttrice, quando saranno adulti capiranno sicuramente le vostre scelte, così come le abbiamo capite io e Axel.

- Sai, Ute, penso che saresti un’ottima madre, hai tutte le qualità… - la stuzzicò la direttrice, vedendola arrossire.

- Io e la mia compagna ne abbiamo parlato diverse volte, ma abbiamo concluso che i bambini non fanno per noi. Anche perché spostarsi con un bambino, per due viaggiatrici come noi sarebbe troppo impegnativo. – spiegò la castana, fermando il cameriere. – Cosa prende? – chiese poi.

- Capisco, un motivo più che giusto allora. – sorrise Erica. – Prendo il piatto del giorno, grazie. – rispose infine, mantenendo il suo dolce sorriso sul volto.


 
Queen City, villetta degli Steinberg, lo stesso pomeriggio, ore 18:00.
 
Aiden aveva accompagnato Ethel a casa, scambiando due chiacchiere con i genitori di lei, rimediando così un invito a cena nei giorni che sarebbero seguiti. Avrebbe preferito conoscerli in circostanze più tranquille, ma ovviamente si era dovuto adattare.
Salutata la famiglia della ragazza, tornò velocemente a casa, spingendo come suo solito sull’acceleratore della sua meravigliosa Audi argentata. Una volta giunto a casa guardò l’orologio: Simon sarebbe arrivato in un quarto d’ora scarso, quarto d’ora che Aiden volle utilizzare per scambiare due parole con Roy, ancora scosso dagli eventi recenti.

- Ethel è una ragazza d’oro, Roy, sono felice che tu abbia trovato una persona così da avere al tuo fianco. – disse con voce calda, mentre abbracciava il figlio, portandogli la testa sul suo petto. – Andrà tutto bene, SchatziTesoro, te lo prometto. – cercò poi di rassicurarlo.

- Farò il possibile per fermarli, lo devo a te, a Ethel, a Blaze e a tutti quelli dell’Anonymous che i stanno facendo in quattro per proteggermi.

- Sono sicuro che lo farai… oh! – guardò nuovamente l’ora. – È ora che io mi prepari, Simon spaccherà il secondo, come suo solito… - disse poi, correndo a cambiarsi.

Aiden non fece in tempo a infilarsi le scarpe che udì improvvisamente il suono di un clacson. Aprì la porta ed eccola lì: la Lamborghini bianca di Simon Wolf, parcheggiata davanti al cancello col motore ancora rombante. Quella macchina gli piaceva, ma la trovava troppo bizzarra nelle sue forme e nella sua aerodinamica, preferiva decisamente le Audi, a suo parere più sobrie ed eleganti.
Percorse velocemente il piccolo lastricato che attraversava il giardino, sedendosi poi nella macchina dell’amico, scambiando poi un saluto.

- Puntuale al millisecondo, come al solito…

- Essere in ritardo è una cosa che mi dà fastidio, mi conosci. – disse, facendo rombare il bolide,

- Dove vuoi andare?

- Che ne dici di andare dal buon vecchio Austin? – propose il castano.

- Campa ancora quell’uomo?!

- Whiskey e vodka fanno miracoli… o almeno così diceva sempre.

- Ci sta, offro io.

- Non se ne parla.

- Tu mi stai dando un passaggio.

- Sì, ma l’idea di andare a bere è mia.

Aiden si fermò un secondo, provando una nostalgia quasi incontenibile. – Sono passati anni, sono successe tante cose, anche di recente… e… sono felice di poter avere una conversazione alla vecchia maniera…

- Mi hai tolto le parole di bocca, Aiden… avremmo dovuto farlo prima, con Andrea…

- Ma siamo due coglioni… abbiamo lasciato che del vecchio e stupido rancore ci tenesse lontani.

- Non tutto è perduto però, possiamo ancora recuperare.

- Lo dobbiamo ad Andrea…

- Lo dobbiamo a lui, già…
 


Queen City, base Ægis, laboratorio del professor Gunnarson, qualche minuto più tardi.
 
Niklas scaraventò indietro la sedia, lasciandosi cadere a terra, sedendosi poi bruscamente a gambe incrociate.

- Porca troia! Mi hai fatto dannare per giorni… come nulla era riuscito prima d’ora, ma alla fine ho avuto la meglio io… eh, ZEUS? – esclamò ad alta voce, guardando con estremo orgoglio il macchinario davanti a lui.

Nella capsula di tale macchinario, una serie di minuscoli bracci robotici, seguiti da laser e spruzzi di vapori dalla dubbia natura, stavano sintetizzando quello che sarebbe stato il suo più grande successo.

- Professore, tutto bene? – chiese curioso Aren, allarmato dal rumore della sedia di poco prima.

- I tempi sono maturi, ragazzo. Domani l’Ægis avrà per le mani una delle armi più potenti mai create…

- Sono pronto a testarlo, Professore. – disse il ragazzo con tono carico di sé.

- È bene che tu lo sia, non vedo l’ora di vedere cosa riesce a fare il mio bambino!

Aren guardò il dottore, provando un leggero timore nei suoi confronti. Lo vide come una iena sbavante e in fremito, pronta a gettarsi sul corpo di un povero animale ferito. Ma quell’uomo era probabilmente la persona più intelligente e rivoluzionaria del mondo, tanto rivoluzionaria da catturare totalmente l’attenzione di Simon Wolf, e questo ad Aren bastava per nutrire nei confronti di quello scienziato, un rispetto genuino, tipico del suo carattere.

- Sai, ragazzo… ho passato la mia vita a cercare di decifrare i misteri della mente umana… e sono stato il primo a riuscirci. Ho compreso come la macchina più elaborata e meravigliosa della natura riesca a funzionare in un equilibrio perfetto, ho compreso i principi dietro le emozioni, dietro una cosa complicata come l’amore o la gelosia. Scoprire tutto questo mi ha reso insaziabile, la mia fame di conoscenza, di scoperta ormai era diventata incolmabile… capii che per ogni cosa scoperta, ce n’erano dieci da scoprire e il mio unico limite divennero i fondi per le mie ricerche. – Gunnarson si avvicinò al ragazzo, posandogli una mano sulla spalla. – Simon venne da me, offrendomi l’unica cosa di cui avevo bisogno. Mi parlò di futuro, mi parlò di come il mondo non sapesse valorizzare la mia mente, il mio genio. Simon è bravo con le parole, sa molto bene come usarle per aggirare la mente delle persone, e come portarle dalla sua parte…

- Ma Lei ha accettato, professore. – replicò Aren, fissando le pupille d’inchiostro del professore.

- Sarei stato un folle a rifiutare… Vedi, a me del futuro che vuole creare Simon non importa nulla; non mi importa se sono morte delle persone, se moriranno, se finirò per diventare un “cattivo”. Simon è venuto da me con due cose: una scusa per chiedere il mio aiuto, e l’unica cosa che mi poteva offrire per non dover avere scuse. Può non sembrare così, ma lui, lui che vi ha catturato dal primo momento, donandovi quella che lui chiama speranza… lui ha perso contro di me, avendo la presunzione di poter riuscire a manipolare anche la mia mente… la mente dell’uomo che ha compreso “La Mente”! – Aren sobbalzò, cadendo per un istante sulla difensiva.

- Lei è veramente dalla nostra parte, Professor Gunnarson? – chiese intimorito il ragazzo.

- Certo che sono dalla vostra. Ormai Simon è riuscito a darmi per le mani un qualcosa di surreale, di magico. E poi sono curioso di vedere fin dove vi spingerete… Ægis… Sarete veramente in grado di scatenare una guerra per questa vostra folle utopia? – sul volto dello scienziato comparve un sorriso. – Per quanto ancora ti lascerai usare, Aren? – chiese poi a bruciapelo, senza distogliere lo sguardo dalle iridi gelide del ragazzo.

- Simon non mi sta usando, Professore, sta mantenendo la sua promessa. – rispose secco il castano. – E se vorrà vedere fin dove ci spingeremo… dovrà spingersi lì assieme a noi. – disse infine, sorridendo in risposta all’uomo.

- Preparati allora, ragazzo, avremo molto lavoro da fare!

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Queen City, Pub Austin’s, lunedì, ore 19:30.
 
Simon e Aiden sedevano al tavolo al quale erano soliti sedere da giovani, sorseggiando una delle migliori Strong Ales di Queen City. Aiden aveva sempre adorato quel forte sapore maltato: amaro ma con un retrogusto quasi dolce, un sapore simile a quello di castagna. Faceva roteare il bicchiere, lui, osservando con estrema curiosità la luce che veniva rifratta in quella torbida bevanda ambrata.

- Vedo che non hai perso la tua passione, Aiden… - disse Simon, sorridendo.

- Scherzi?! Lo sai che per me la birra è come l’aria.

- Se penso a tutte le volte che ti ho trovato sbronzo sul divano, con il soggiorno tappezzato di lattine vuote…

- Oh, suvvia, ero solo un giovane ragazzo tedesco che si godeva i sabato sera come un normale studente. – cercò di giustificarsi il biondo.

- Quattro litri di birra, da solo, non mi sembrava tanto da “normale studente”.

- È colpa tua che non tiravi mai la corda, sempre con la paura di esagerare…

- Però non sono mai finito nei casini, a differenza tua. – ribatté il castano.

- Sì, certo, eri un cagasotto…

- Ma sentilo…

- Piuttosto, non sei ancora riuscito a capire cosa sia successo ieri ai tuoi edifici? – chiese il biondo, tentando di racimolare qualche informazione sull’Ægis.

- Nulla di nulla, la polizia non ha voluto riferirmi niente di più di un semplice “Stiamo ancora cercando analizzare l’accaduto.”. Io però ho deciso di muovermi e di fare appello ai miei concittadini, solo così riuscirò a smuovere qualcosa! – finse Simon, mascherando totalmente un sorriso dietro la sua espressione addolorata.

- Non è la prima volta che ti attaccano però, non è così?

- No, mi hanno già attaccato più volte in passato… Ægis, si fanno chiamare…

- Ægis?! Sono gli stessi bastardi che hanno preso d’assalto il mio laboratorio!

- Coincidenza spiacevole, cosa hanno cercato di sottrarti? – chiese il castano, muovendo nella sua mente un alfiere accanto a una delle pedine dello scienziato.

- Materiale di ricerca vario, soprattutto sui nuovi dispositivi prostetici e i macchinari medici di ultima generazione… tutto materiale prezioso. A te cosa hanno rubato?

- Armamenti, esoscheletri, veicoli, mi hanno prosciugato anche un caveau… sono stati scaltri, i sistemi di sicurezza sono stati neutralizzati prima che potessero fare qualcosa.

- Abbiamo di fronte una minaccia davvero enorme, Simon. Se combinano le mie tecnologie con le tue armi…

- Sarebbe un grande casino… come hai sempre cercato di ammonirmi tu, ma io non ti ho mai voluto dare ascolto… - finse nuovamente il castano, cercando di sembrare il più sincero possibile.

- Quel che è passato è passato, Simon. Abbiamo intrapreso strade diverse e abbiamo entrambi raggiunto il successo nel nostro piccolo. Diciamo che siamo diventati quello che siamo a causa del nostro egoismo.

- Forse hai ragione… e non riesco a decidere se ciò sia stato un bene o un male…

- Se adesso siamo di nuovo qua a bere assieme, forse è stato veramente un bene…

- Piuttosto, come sta la tua famiglia? Saranno secoli che non sento Erica.

- Stanno bene, d’altronde la vita in Europa è migliore di quella in America. Erica è impegnata più che mai: la Eisenhauer ha raggiunto il picco più alto di richieste e finanziamenti mai registrato, stiamo lavorando a mille progetti e lei si sta facendo in quattro per gestire ogni cosa. – Aiden sorseggiò un po’ di quel dolce liquido amaro dal bicchiere.

- È sempre stata una persona con le idee chiare, testarda come pochi individui al mondo, sono sicuro che sta svolgendo il lavoro alla perfezione. – disse Simon, questa volta con estrema sincerità.

- D’altronde era la studentessa migliore del tuo corso, no?

- Precisamente. – il castano si fece scappare una risata. – I tuoi ragazzi, invece, come stanno? – chiese poi, cercando di limare il discorso.

- Roy si è trovato la ragazza… mi sono distratto un solo secondo, ed eccolo così cresciuto da non riconoscerlo. Emil anche sta diventando un ometto, assomiglia in tutto e per tutto alla madre… Grazie al cielo ha la compagnia dei miei suoceri, almeno per tenerlo d’occhio…

- Sai, Aiden… - il castano sospirò. – Ti invidio. Hai una famiglia stupenda, e riesci a tenerla insieme nonostante la distanza fra voi… - disse sincero, gustando il retrogusto sciroppato della sua scurissima Porter canadese, la sua preferita.

-  Simon, non dirlo nemmeno. Quello che è successo ad Ashley è stato una tragedia, e non devi sentirti in colpa se non sei riuscito a superare quel trauma. Non voglio in alcun modo che tu ti senta inferiore a me, non dopo quello che hai passato.

- Grazie… lo apprezzo molto, lo sai… - la sincerità aveva preso il sopravvento fra i sentimenti del castano.

- Figurati. Sono sempre stato la tua spalla, Simon, ricorda che lo sono ancora.

- Vorrei chiederti una cosa: com’è essere un padre? – chiese con una lieve curiosità, mascherata quasi totalmente dalla serietà del suo tono.

- Essere padre significa dover costantemente pensare al futuro, pensare a come renderlo migliore per i propri figli. Significa fare dei sacrifici sapendo però che non saranno vani. Significa mettere te stesso in gioco, crescendo i tuoi figli in modo da non fargli commettere i tuoi stessi errori…

Quel discorso colpì profondamente Simon, che in quel momento aveva deciso di accantonare totalmente il suo obbiettivo, spinto dalla forte nostalgia di quel rapporto d’amicizia durato anni. In fondo anche lui era un padre, a modo suo.

I due andarono avanti a parlare per un’ora abbondante, riesumando ricordi piacevoli o meno, finendo col bere due bicchieri in più del previsto.
Simon accompagnò l’amico a casa, giocando col motore della sua Lamborghini come erano soliti fare da giovani. Tirò poi dritto verso la base, spingendo sull’acceleratore dopo essere stato messo al corrente dello stato d’avanzamento dell’Infecta, facendogli comparire un sorriso sul volto, sorriso che affogò tutte le emozioni precedentemente provate, riconcentrando la sua mente sull’unica sua ossessione.
 
 


Queen City, casa di Ethel, tre giorni più tardi, ore 20:00.
 
Ethel correva avanti e indietro, sistemando di volta in volta un elemento della tavola accuratamente apparecchiata per l’occasione: Roy e Aiden sarebbero arrivati a momenti, invitati qualche giorno prima dal padre di lei.
Anche la famiglia di Blaze avrebbe partecipato alla cena, sfruttando l’occasione per instaurare il tipico rapporto d’amicizia fra genitori. Il castano era lì, impegnato a osservare con un’espressione divertita la sorella.

- Ed eccola di nuovo ad agitarsi come una ritardata per il nulla… - commentò ad alta voce, nel tentativo di fomentare il nervoso alla rossa, riuscendoci perfettamente.

- Blaze, chiudi quella cazzo di bocca o giuro che ti rompo qualcosa in testa! – sbraitò lei, guardandosi attorno nel tentativo di scovare cosa ancora sulla tavola non fosse stato messo al posto giusto.

- Possibile che diventi una psicopatica ogni volta che hai un appuntamento? Cristo, ormai lo conosci, Roy: sai che non glie ne frega un cazzo se la tavola non è perfetta.

- Non è per Roy, testina di cazzo, è per suo padre!

- Bah! Tu sei tutta scema… - sbuffò lui, alzando gli occhi al cielo.

- Sei qua solo per rompermi i coglioni?! – chiese furiosa Ethel. – Se non hai di meglio da fare, vai ad aiutare i nostri genitori in cucina, cazzone! – gli gridò poi, tirandogli un calcio in culo.

- Ahia! Che cazzo di schizzata… vado, vado! – rispose seccato Blaze, lasciando la ragazza da sola.
 
Il castano non fece in tempo ad aprire il portone che il campanello suonò, cogliendolo alla sprovvista e facendolo sobbalzare.

- Aah…! E che cazzo… - esclamò, alzando la cornetta e aprendo il cancello all’amico.

Gli Steinberg vennero così accolti dal ragazzo, che prese loro le giacche e le appese sull’appendiabiti all’ingresso dell’appartamento di Ethel. Il castano fece accomodare padre e figlio nella moderna sala da pranzo, accuratamente allestita in vista della cena, attendendo lì l’arrivo dei genitori. Questi arrivarono pochi istanti dopo, scambiando il saluto con i due ospiti e portando nella sala la solita atmosfera allegra delle due famiglie.

- Vado a prendere i cestini del pane. – disse Ethel, facendo per alzarsi.

- Ti accompagno! – disse Roy, alzandosi a sua volta e seguendo la rossa nella cucina, sotto lo sguardo fiero dell’amico.

Una volta soli, Ethel si gettò fra le braccia di Roy, strappandogli poi un bacio dalle labbra.
Il biondo si godette ogni singolo istante di quel bacio: dal sapore di fragola delle labbra di lei, alla sensazione di calore che rapida gli aveva pervaso il corpo.

- Spero vada tutto bene stasera… - disse la ragazza, dondolandosi fra le braccia di lui.

- Sei agitata? – chiese Roy.

- Un po’… d’altronde è la prima volta che vi presento veramente ai miei…

- Tranquilla, mio padre non ha mai avuto problemi a fare nuove conoscenze, mamma mi raccontava che da giovane era un animale da festa… - il biondo riuscì a strappare una risata alla rossa, alleviando l’ansia che la pervadeva.

- Dovremmo andare di là… stanno aspettando noi… - disse lei, strappando un altro bacio al ragazzo.

- Già… dovremmo… - sorrise, rubando un altro bacio ancora e seguendo Ethel verso la sala da pranzo.

Una volta tornati a tavola, i due presero posto accanto a Blaze, che ne approfittò per tirare un colpetto col gomito all’amico. Bastò uno sguardo fra i due per intendersi, portando il sorriso sul volto di entrambi.
I presenti terminarono gli antipasti, iniziando a chiacchierare del più e del meno nell’attesa che i primi finissero di cuocere.

- Ora che ci penso, noi ci siamo già conosciuti in passato, Aiden… Sono Walker, ti ricordi? - disse il padre di Ethel, Abraham Walker, lisciandosi la barba hipster.

- Walker… oddio! Il Walker della festa al Green Hills di Queen City!? – esclamò Aiden. – Come ho fatto a non riconoscerti!?

- È passata un’eternità, che forza il destino, eh? – rise l’uomo.

- Cosa ci dovete raccontare, papà? – chiese curiosa Ethel, punzecchiando il padre.

- Esatto, cosa ci dovete raccontare? – fece pressione anche Roy.

- Che vi raccontiamo… beh… io e Abraham ci siamo conosciuti a una festa universitaria, in una delle più grandi discoteche di Queen City e… - cominciò a raccontare Aiden.

- E diciamo che la serata è finita in un modo curioso… - l’uomo trattenne una risata.

- Che è successo, dai! – lo incitò la rossa, pendendo dalle sue labbra.

- Quel che è successo al Green Hills, rimane al Green Hills. – disse Aiden, sorridendo e tirando una pacca sulla spalla del vecchio amico.

- E dai, papà! – si lamentò il biondo, scoppiando poi a ridere assieme agli altri.

La serata filò liscia fra racconti vari e chiacchiere, facendo volare impercettibilmente il tempo. Finito di mangiare, i tre ragazzi si ritirarono nella camera di Ethel, lasciando gli adulti a rinfrescarsi con qualche bicchierino post-cena.
Una volta chiusa la porta della stanza, Blaze guardò gli altri due con una particolare espressione: un misto fra confusione, disappunto e curiosità.

- Vedo che siete riusciti a superare la vostra demenza e vi siete messi assieme velocemente, huh? – li provocò il castano, sedendosi sul morbido pouf al centro della stanza. – Giusto per farvelo sapere: siete disgustosi con tutte quelle sdolcinatezze. – scherzò poi.

- E dai, scemo! – esclamò Ethel, lanciandogli un cuscino.

- Sì, proprio da vomito! - continuò lui, facendo scoppiare a ridere i due. – Scherzi a parte, Roy, che cazzo è successo quel giorno? Non me ne hai voluto parlare per messaggio…

- Un casino, ecco cosa è successo. Quelli dell’Asset hanno organizzato un raid contro delle presunte basi dell’Ægis, ma si è rivelata un’imboscata e in pratica si sono trovati contro un’orda di zombie con gli stessi poteri che aveva Clint…

- E tu come cazzo ci sei finito là in mezzo?!

- Abbiamo sentito un’esplosione ed era proprio nel luogo in cui il mio smartwatch mi indicava la posizione del Generale Klein, se non fossi arrivato io probabilmente sarebbero morti.

- Blaze, quel giorno Roy ha salvato non solo le vite dei soldati del Signor Klein, ma anche le vite degli innocenti che stavano per essere coinvolti in quel disastro. Roy ha dovuto uccidere quelle… cose… - disse Ethel, prendendo per mano il biondo.

- Roy, hai dovuto cosa?! – esclamò il ragazzo, cambiando totalmente espressione.

- Ho dovuto uccidere quelle persone, anche se ormai erano già morte…

- Porca puttana… p-perché non me lo hai detto subito? Roy… ci stai ancora male, vero?

- Sì… ma è colpa mia, sono stato egoista a pensare di non dovertelo dire, quando tu sei il primo che mi viene a parlare quando ha un problema… - il tono di Roy era carico di un senso di colpa opprimente, che il castano percepì subito.

- Ehi, ehi… è tutto a posto, bro, tranquillo. L’importante è che ora stai bene.

- Grazie, Blaze…

- Ehi, perché non giochiamo a qualcosa per distrarci e smorzare un po’ questa atmosfera? – propose Ethel, alzandosi dal letto e avvicinandosi alla sua scrivania.

- Ethel ha ragione, non pensiamoci. Fatti rompere il culo a Mario Kart, piuttosto!

Sul volto di Roy comparve un sorriso, sincero, genuino, per lui liberatorio. – Certo, Mr. Banana, come vuoi! – controbatté poi, sedendosi vicino alla rossa.

- Intanto chi è che vi ha asfaltato la scorsa volta? – disse Ethel, porgendo i controller ai due ragazzi.

- Tu conosci le scorciatoie, giochi sporco! – si lamentò Blaze.

- Senza quelle non vinceresti… - la provocò anche Roy, vedendola gonfiare le guance: adorava quell’espressione sul volto della sua ragazza.

- Va bene allora, niente scorciatoie, se volete farvi asfaltare il culo in modo normale…
 
 


Queen City, base Ægis, laboratorio del professor Gunnarson, la stessa sera.
 
Aren era disteso su di un lettino, collegato a una macchina tramite elettrodi, disposti ordinatamente su tutto il suo petto. Nel braccio aveva una flebo, anch’essa collegata alla stessa macchina. Il battito del ragazzo era normale, nonostante la tensione fosse decisamente alta, come alta era la curiosità verso quel potere che stava per ricevere.

- Sei pronto, ragazzo? – chiese Niklas, alzando lo sguardo dal monitor, in cerca di una risposta visiva oltre a quella verbale.

- Sì, professore, proceda pure. – rispose il castano, stringendo la mano di Diana, che nel frattempo si era avvicinata a lui.

- Andrà tutto bene, Aren. – disse la donna, guardandolo dolcemente.

- Puoi stare tranquillo, Aren, te la taglio io la terza gamba, se ti cresce… - lo stuzzicò invece Drake, ghignando come un bambino.

- Se sto coso funziona veramente, giuro che ti fulmino il culo. – rispose seccato il ragazzo, sbuffando e voltandosi verso Simon.

- Inizio procedura di innesto in tre, due, uno… procedura avviata. – disse Niklas, attivando il macchinario.

Un rumore infernale iniziò a pervadere il laboratorio: la macchina iniziò a iniettare l’Infecta nelle vene del ragazzo, senza provocare in lui nessuna apparente reazione. La procedura durò una decina di minuti, che una volta terminati fecero calare nuovamente il silenzio nella sala. Passarono cinque minuti prima che Niklas decidesse di avvicinarsi al ragazzo.

- Come ti senti, Aren? – chiese, tenendo sotto controllo i suoi parametri vitali.

- Non lo so… sento un qualcosa di diverso, ma non… - la voce del ragazzo si bloccò, strozzata da un lancinante dolore improvviso.

Sullo schermo del visualizzatore olografico di Niklas apparvero diversi segnali di emergenza, seguiti dalle grida atroci del castano.

- Aaaaaaargh! – urlò Aren, crollando a terra in preda a violenti spasmi, mentre il suo corpo si contorceva come se fosse mosso da qualcosa al suo interno.

La scena era raccapricciante agli occhi dei due compagni del ragazzo, che subito si precipitarono accanto a lui.

- Aren! Aren, amore mio, che ti sta succedendo?! – gridò allarmata Diana, chinandosi precipitosamente su di lui e cercando di placare gli spasmi.

- Che cazzo gli sta succedendo, Gunnarson?! – domandò Drake, avvicinandosi minacciosamente al professore, che tuttavia non sembrò minimamente spaventato.

- Calmatevi entrambi, ero preparato a una reazione come questa. Il corpo del ragazzo sta solamente accettando la presenza dell’Infecta, deve crearsi la simbiosi totale perché Aren possa usufruire dei poteri di quella sostanza. – spiegò, con un tono apatico e totalmente risoluto, che gelò il sangue nelle vene dei due soldati.

- Quanto dovrebbe durare questo adattamento? – chiese Simon, senza nascondere la sua preoccupazione verso il ragazzo.

- Potrebbero volerci diversi minuti, ore, per quanto ne sappia. La durata dell’adattamento dipende unicamente dalle caratteristiche del corpo ospitante, l’unica cosa che possiamo fare è attendere.

- Spero per Lei che quello che dica sia vero, Gunnarson, altrimenti… - tentò di minacciarlo Drake.

- Altrimenti? – chiese di tutta risposta Niklas, avvicinandosi al Marine e fissandolo negli occhi. Il soldato arretrò di un passo, colto da un improvviso timore. – Aren era a conoscenza dei possibili effetti collaterali, mi sono preso il tempo di informarlo nei minimi dettagli, per accertarmi della sua decisione. Ha accettato di sottoporsi a questo esperimento, sapendo a cosa andasse incontro. E poi Niklas Gunnarson non fallisce mai, ricordatelo bene. – disse poi, voltandosi verso il ragazzo e monitorando nuovamente i suoi parametri. – I valori stanno tornando stabili. – informò i presenti, senza perdere di vista il corpo del castano.

Gli spasmi si placarono, lasciando il corpo del ragazzo immobile sul pavimento in un inquietante silenzio. Su tutto il suo corpo si erano andate a formare delle linee nere che creavano motivi irregolari, contorti. Improvvisamente, il battito cardiaco di Aren aumentò in modo preoccupante, facendo spiccare il grafico sul visualizzatore del professore. Al contempo, Niklas rilevò un potenziale elettrico in aumento in tutta l’area circostante il ragazzo.

- Diana, Drake, allontanatevi da lui! – ordinò ai due, vedendo crearsi una serie di scintille elettriche tutt’attorno al ragazzo. – Tutti a terra! – gridò poi, gettandosi dietro uno dei suoi macchinari.

Drake prese Diana e si buttò a terra, facendole da scudo col proprio corpo, mentre Simon si protesse gettandosi dietro uno dei vari mobili.
Una scarica di fulmini iniziò a liberarsi dal corpo di Aren, distruggendo ciò che trovava sul suo cammino. Il ragazzo pareva levitare in una sfera elettrica, mentre le linee nere sul suo corpo erano ora di una colorazione blu-elettrica.
Quell’inferno cessò improvvisamente, riportando la quiete in quell’ormai devastato laboratorio.
Aren era nuovamente disteso a terra, stavolta con gli occhi aperti: era tornato cosciente. Il castano si alzò lentamente, sotto lo sguardo incredulo e incuriosito dei presenti,  tastandosi il corpo mentre si sentiva pervaso da un’energia incontenibile.

- Aren! Ehi, stai bene?! – chiese allarmata Diana, cercando lo sguardo del suo amato.

- Sì… ma non avvicinarti… - disse, facendole cenno di arrestarsi. - Professore…

- Ragazzo, guardami. – disse Niklas, incitando il castano ad alzare lo sguardo. Quando il ragazzo decise di mostrare il suo sguardo, al professore mancò l’aria.
Una follia di emozioni scoppiò nella testa dello scienziato: gioia, stupore, realizzazione, arroganza, onnipotenza. Niklas Gunnarson ce l’aveva fatta, aveva riprodotto artificialmente quell’assurdo e impossibile materiale, lo aveva riprodotto e innestato con successo in un corpo umano. – Ok, ragazzo, cosa senti in questo momento? – chiese poi, avvicinandosi lentamente. 

- Sento una quantità di energia assurda in tutto il mio corpo, e adrenalina, mi sento come se stessi per buttarmi da un aereo senza il paracadute…

- Mira quel muro, concentra l’energia che senti nelle tue braccia e prova a scaricarla. – ordinò, portandosi di nuovo a distanza da lui.

Aren annuì, voltandosi verso la parete e inspirando lentamente.
Chiuse gli occhi, riuscendo a percepire ogni singola cellula del proprio corpo, una sensazione surreale che mai avrebbe potuto immaginare di provare. Sentiva il flusso di energia nelle sue vene, nelle ossa, sulla pelle. Attorno alle sue braccia iniziarono a crearsi delle scintille uguali a quelle precedentemente formatesi quando era incosciente, le sue mani iniziarono a tremare, canalizzando il flusso di energia nel suo palmo.
Improvvisamente aprì gli occhi, gettando in avanti le braccia e scaricando la tensione verso l’obbiettivo, accompagnando il gesto da un urlo di dolore. La scarica elettrica che uscì dai suoi palmi fu di dimensioni titaniche, producendo un boato che ruppe gli schermi e i vetri di tutti i macchinari presenti in quel laboratorio sotterraneo. Il muro venne fatto a pezzi, come a pezzi erano le braccia del castano, che subito crollò a terra in un mare di sangue e in preda a un dolore atroce.

- Aren! – gridò Diana in lacrime, cercando di superare le macerie del muro per raggiungere il ragazzo.

Aren provò un dolore così intenso da fargli sanguinare naso e occhi, sentendo poi l’energia nuovamente fluirgli nelle braccia. Cercò di girarsi sul fianco, potendo così vedere coi suoi occhi, le proprie braccia rigenerarsi. In appena dieci minuti le braccia erano tornate quelle di prima, senza la minima cicatrice, con le linee nuovamente nere che coprivano entrambi gli arti. Quel dolore disumano era ormai solo un ricordo.

- C-Che… che cazzo è successo… - chiese ansimante, mentre veniva alzato in piedi e sorretto da Diana e Drake.

- È… straordinario! – esclamò Niklas, avvicinandosi al ragazzo. – Il tuo corpo non è ancora in grado di manipolare tutta quell’energia in un colpo solo, e non penso per come sia configurato ora ZEUS che tu riesca comunque a dosare l’energia. Tuttavia, il fattore rigenerativo è totalmente funzionante, anzi, sembra migliore della mia speculazione analitica… - spiegò poi, tastando le braccia del ragazzo ancora incredulo.

- É stato spaventoso, Niklas, ma posso dire che sei riuscito a stupirmi ancora una volta! – disse soddisfatto Simon, avvicinandosi ad Aren e posandogli una mano sulla spalla. – Ho avuto paura, Aren… come ti senti adesso? – chiese al ragazzo.

- Ora sto bene… - rispose ancora ansimante. – Spero voi non dobbiate mai provare una cosa del genere… - disse poi, sorridendo.

- Ho avuto modo di registrare tutti i dati necessari e sono riuscito a creare una speculazione di quanto mi ci vorrà per rendere perfetto il mio piccolo ZEUS…

- Di quanto tempo avrai bisogno? – chiese Simon, sulle spine.

- Dati le miriadi di fattori che vanno presi in considerazione, e dati i danni che il mio laboratorio ha subito… beh… non meno di due anni. – rispose il professore, non generando alcun cambio d’espressione sul volto del comandante dell’Ægis.

- Due anni?! – esclamarono i tre soldati all’unisono.

- È un sacco di tempo… è veramente sicuro, professore? – chiese Drake.

- Sì, se vogliamo che Aren possa padroneggiare questo potere alla perfezione, devo potermi prendere tutto il tempo per evitare errori potenzialmente fatali.

- E cosa farà l’Ægis in questi due anni. – chiese perplessa Diana, voltandosi verso Simon, che ancora non aveva proferito parola.

L’uomo si avvicinò all’enorme stendardo appeso sulla porta d’ingresso, guardandolo in tutta la sua imponenza e dando le spalle ai presenti.

- E sia, Niklas, entro domani avrai un laboratorio totalmente nuovo e un’equipe di supporto. Per quanto riguarda l’Ægis… approfitteremo di questi due anni per studiare l’Anonymous Asset, scopriremo i loro punti deboli e rinvigoriremo le fila del Progetto Legion. – disse, sorridendo allo scienziato; si voltò poi verso i suoi tre soldati. – Non importa quanto dovremo aspettare per poter raggiungere il futuro che sogniamo, abbiate pazienza, figli miei, e tutto volgerà in nostro favore. – disse infine, abbandonando il laboratorio.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Queen City, Villetta degli Steinberg, laboratorio sotterraneo, lunedì sera di due anni più tardi.
 
Roy sedeva alla sua scrivania, scrivendo con rapidità una serie di appunti presi dalla miriade di libri aperta davanti a lui. Nell’angolo, la foto scattata assieme a Blaze ed Ethel nel giorno del conseguimento del loro diploma decorava quella caotica postazione di studio.
Sia il lui che Blaze erano riusciti a diplomarsi con il massimo dei voti, chiudendosi in un’odissea di studio durata quasi due mesi, più odissea per Blaze che per lui. Grazie a quello sforzo, però, il biondo era riuscito a farsi ammettere alla Royal Trinity University of Queen City, una delle più prestigiose università di tutto il continente, la stessa che aveva visto laurearsi suo padre, anni prima. Era riuscito già a dare tre quarti degli esami totali, comprimendo in appena sei mesi i primi due anni di corso, data la sua incredibile capacità di apprendimento e di studio: i colleghi del padre lo chiamavano “Legacy Son”, per l’enorme somiglianza fisica e intellettuale.
In parallelo lavorava allo studio del Void, assistendo Aiden nelle ricerche sulla sostanza che da due anni aveva radicalmente cambiato la sua vita, perfezionandone così il controllo e comprendendone parzialmente altri segreti.
Quel periodo era molto intenso per lui: doveva studiare per conseguire gli ultimi quattro esami prima di poter lavorare sulla tesi di laurea, mantenendo però costante la sua attività di ricerca per conto dell’Asset e dovendosi allenare ogni giorno per mantenere stabile il controllo del Void.
L’Ægis non si era mai fatto vivo in quei due anni, rimanendo in un pericoloso silenzio che costrinse l’Asset a rimanere in allerta costante, dovendo impiegare un numero esorbitante di forze al solo scopo di evitare un nuovo attacco.  La ciliegina sulla torta arrivò con la notizia dell’imminente trasferimento di Erica ed Emil in America, notizia che colpì Roy come un’arma a doppio taglio: la cosa lo rendeva felice, quasi non vedeva l’ora di poter rivedere il fratello e la madre dopo tutti quegli anni di lontananza, ma era ben conscio delle complicanze che avrebbe incontrato, dovendo nascondere l’esistenza del Void e tutta la storia dell’Ægis.
In tutto quel casino, Ethel era l’unica cosa che riusciva a distrarre il ragazzo dall’enorme peso che gravava sulle sue spalle. La loro relazione aveva ormai raggiunto il passo successivo: i due si vedevano ogni giorno, passavano le sere assieme davanti a un film o a giocare ai videogiochi come avevano sempre fatto. Lei rimaneva a dormire da lui, facevano l’amore e poi si salutavano la mattina dopo, dovendo tornare alle loro mansioni quotidiane, lui a studiare per gli esami, le a studiare per passare il concorso pubblico per diventare un’insegnante di educazione fisica.
Roy sbatté la testa sulla scrivania, sbuffando esausto e lasciando cadere la penna sul quaderno.

- Cristo… se penso che ho ancora tre libri da riassumere… Biorobotica del cazzo… - pensò ad alta voce, esasperando sui manuali scientifici.

- Ti ho portato del tè, amore. – disse Ethel, comparendo dietro di lui e posando una tazza piena del dolce liquido bollente che tanto amava il biondo.

- Grazie, mi sa che mi dovrò alzare presto domani mattina, se voglio ultimare gli appunti in tempo per l’esame… - sbuffò lui, gettandosi indietro sulla sedia e guardando sotto sopra la rossa.

- Non dovresti esagerare così tanto, Roy… dovresti prendere le cose con più calma. – lo rimproverò lei.

- Mi piacerebbe, ma l’esame…

- L’esame lo passi, e anche senza problemi, cervellone… - lo interruppe la ragazza, rubandogli un bacio. – Dai, chiudi quei libri e riposati un po’… - lo invitò poi, massaggiandogli delicatamente le spalle.

Roy, sbuffò un’ultima volta, alzandosi e voltando le spalle alla scrivania che lo aveva visto impegnato nello studio da quella mattina. – Penso proprio che mi farò una doccia, ne ho bisogno… - disse poi, mettendosi una mano sul collo.

- Penso proprio che la faremo insieme, hehe… - lo provocò lei, pizzicandogli il sedere e poi scappando verso il bagno.

- Ahi! – esclamò il biondo, rincorrendola.
 
Poco dopo erano seduti nella comoda jacuzzi, col vapore che carezzava loro la pelle, abbracciati in quel tiepido idromassaggio. Roy era appoggiato al seno della sua ragazza, con gli occhi chiusi, mentre lei gli carezzava lentamente la chioma bionda, inumidita dal vapore.

- Sono tre notti che non chiudo praticamente occhio… ho troppe cose per la testa… - disse il ragazzo, inspirando il caldo e umido vapore.

- Te l’ho detto, Roy, ti stai massacrando con tutto quello studio… Capisco che sei agitato perché ti mancano solo quei quattro esami, ma credimi se ti dico che stai esagerando…

- Magari fosse solo l’università il problema, ogni sera vado a dormire con il pensiero che l’Ægis non ha più fatto nulla in questi due anni e che potrebbe scatenarsi da un momento all’altro. Poi arrivano mia madre e mio fratello, poi Blaze…

- Ehi… - lo interruppe la rossa, portando le sue mani sul petto de ragazzo, stringendolo a sé. – Non devi preoccuparti per Blaze, lo conosci bene, sai che non si affida mai al caso per le sue scelte. È stato improvviso, sì, ma ci ha pensato molto prima di prendere quella decisione.

- Quando mi diceva che avrei dovuto contare di più su di lui… mai avrei pensato che sarebbe finito col diventare un agente dell’Asset…

- Ma le cose stanno così, Roy. Lo sta facendo per noi.

- Ha deciso di accantonare il suo sogno per me… e io ancora non voglio accettare questa sua decisione… che razza di amico di merda che sono…

- Si incazzerebbe sentendoti dire ste cose… - disse la rossa, sbuffando.

- Si incazzerebbe sì… - rispose il biondo, chiudendo nuovamente gli occhi.
 
I due ragazzi rimasero accoccolati nella jacuzzi per un’altra ora, lasciando che la tensione e lo stress accumulato in quei giorni scivolasse via, respinto dai rilassanti getti d’acqua che massaggiavano loro i muscoli. Una volta usciti, spesero la sera sul divano, guardando un film: Roy si addormentò a metà, esausto di tutto il sonno perso nei giorni precedenti.
 
Queen City, quarta sede segreta dell’Anonymous Asset, la stessa sera, ore 23:00.
 
Il turno di pattuglia procedeva senza intoppi, si ripeteva uguale da due anni: nessun rilevamento dell’attività dell’Ægis, nessun movimento sospetto, niente.
La squadra sei della quarta sede era appena di ritorno dalla pattuglia nel quarto quartiere della città, quello più periferico; al comando della squadra vi era il Colonnello Collins, che in seguito all’assalto di due anni prima, aveva ottenuto una promozione.
Il soldato sedeva nel posto centrale della Jeep militare che lo scortava assieme ai suoi altri sette uomini.

- Anche stanotte nulla di nulla, ste ronde mi stanno iniziando a stancare… - sbuffò il soldato al volante, Jörg Lehman.

- Lehman, sarà la settantesima volta che ti lamenti… - lo richiamò uno dei soldati in fondo al veicolo, Paul Wallace.

- Ragazzi, vi prego… anche a me girano i coglioni, ma vi posso garantire che non sarebbe affatto piacevole incontrare chi stiamo cercando. Due anni fa ho rischiato la vita contro una cazzo di orda di zombie, e credetemi che ancora ho gli incubi… - li zittì Collins, massaggiandosi le tempie.

- Signore, rilevo una fonte anomala di energia a ore quattro. – fece presente il soldato Roman, indicando il radar sul suo display.

- Si sta… - disse il colonnello, prima di venire interrotto da una luce estremamente intensa, che rapida inondò la Jeep.

Lehman dovette curvare all’improvviso, riuscendo a fermare il veicolo senza farlo ribaltare. I soldati scesero immediatamente, imbracciando i fucili e posizionandosi in una formazione difensiva, in silenzio, cercando di riabituare gli occhi al buio della notte, dopo l’accecante flash di pochi attimi prima.
Il colonnello accese la torcia, puntandola nella direzione dalla quale era arrivato il fascio di luce, riuscendo ad illuminare una figura umana che rimaneva ferma di fronte a loro. Senza un secondo d’esitazione, i soldati puntarono le armi verso la figura, tenendosi pronti a sparare.

- Vieni avanti e identificati! – ordinò Collins, vedendo la figura avanzare.

Nonostante la luce della torcia, i soldati non riuscivano a inquadrare perfettamente lo sconosciuto che avevano di fronte: indossava una tuta nera, molto simile a quelle militari in loro dotazione, e una maschera anch’essa nera, completamente liscia, che gli copriva anche gli occhi.

- Identificati! – ripeté il colonnello, facendo un cenno con l’arma ai suoi di circondare l’uomo.

- Chi sono io? Beh… sono solo un avvertimento…

- Un avvertimento?! Da parte di chi? – chiese il soldato, senza distogliere il fucile dalla testa dell’interlocutore.

- Da parte dell’Ægis! – gridò Aren, caricando una scarica nelle sue mani e scattando verso i soldati.

I sette uomini aprirono il fuoco, cercando di tagliare le possibili vie d’attacco del nemico, risultando però troppo lenti, Aren infatti si muoveva a una velocità insana, macinando la distanza che lo separava dai soldati dell’Asset.
Con una scarica uccise sul colpo il colonnello Collins, colpendolo al collo e facendogli esplodere i bulbi oculari dalla troppa tensione elettrica. Si gettò poi contro i due soldati più vicini, colpendoli con due calci e scaraventandoli uno sulla Jeep e uno contro uno degli edifici circostanti, finendo entrambi con due saette lanciate dalla distanza. Gli altri cinque uomini iniziarono a scaricare su di lui i loro caricatori, cadendo nel panico di fronte a quell’imprevedibile e surreale nemico. Il ragazzo afferrò il fucile di uno dei soldati, propagando una scarica che immobilizzò l’avversario, permettendogli di staccargli la testa con un calcio. Senza perdere tempo scattò contro gli ultimi quattro uomini rimasti, neutralizzando le raffiche di proiettili generando un arco elettrico che le fece esplodere. Si posizionò esattamente al centro dei nemici, accumulando energia in una sfera attorno a sé, che fece espandere pochi secondi più tardi, carbonizzando i corpi dei soldati.
La quiete fece ritorno in quel pacifico quartiere di periferia, tramutato ora nel palcoscenico di un massacro, gettando nuovamente l’oscurità attorno al ragazzo. Aren dovette sedersi e riprendere fiato: il corpo gli pulsava, intriso di adrenalina ed energia proveniente dall’Infecta. Guardava incredulo le sue mani, tremando dalla quantità di energia fremeva nelle sue vene.

- Quindi è questo quello a cui puntavi, Simon… - pensò ad alta voce, alzandosi e sistemandosi la tuta. – Qui Rattlesnake, ho appena “mandato il messaggio”, faccio ritorno alla base. – disse poi, attivando il microfono nella sua maschera.

- Ottimo lavoro, Aren, vieni direttamente al laboratorio, Gunnarson vuole effettuare dei controlli. – rispose Diana, dall’altra parte dell’auricolare.

- Ricevuto. – chiuse lui la chiamata, montando poi sulla moto che aveva fatto arrivare col pilota automatico, comandata dalla tuta.
 
Il ragazzo fece un grande respiro, sentendo ancora l’adrenalina scorrere nel suo corpo, grondante di energia. Diede gas al bolide, sgommando sull’asfalto intriso di sangue e bruciature e percorrendo a tutta velocità le strade notturne di una silenziosa Queen City.
 Poco dopo aveva raggiunto Diana, Drake e Niklas nel laboratorio di quest’ultimo, andando direttamente a sdraiarsi sul solito lettino, levandosi la tuta durante il tragitto.
 
- Impressionate, Professore. – furono le uniche parole che uscirono dalla bocca del ragazzo.

- Zeus ha superato ogni mia aspettativa, inoltre adesso dovresti essere in grado di controllare l’output alla perfezione. – Gunnarson parlava come un bambino che aveva appena ricevuto delle caramelle.

- L’energia che questa cosa produce è quasi esagerata…

- Quindi se ti metto una lampadina nel culo si accende?! – lo stuzzicò Drake, vedendolo tentennare.

- Drake, giuro che… - sibilò il giovane con cattiveria, mezzo imbarazzato.

- Sono lieto che la simbiosi sia completa, Aren. – disse Simon, facendo il suo ingresso nella sala e troncando sul nascere l’ennesimo botta e risposta fra i due soldati. – Quanto manca per il completamento degli altri due, Niklas- chiese poi al professore, volgendo verso di lui il suo sguardo gelido.

- Kinetic e Phoenix sono sul punto di essere completati, devo ancora ultimare la codifica per l’output e per lo stadio iniziale della simbiosi, ma dovrei essere in grado di ultimare il tutto in settimana.

- Non mi deludi mai, Niklas. – si complimentò poi, voltandosi verso i suoi soldati. – Per quanto riguarda noi, dopodomani rapiremo Aiden Steinberg. Come vi ho già informato, la moglie e il figlio minore arriveranno alle quattro e mezza del pomeriggio, all’aeroporto principale di Queen City. Aren, tu ti occuperai di trattenere Roy, sei l’unico in grado di combattere alla pari con lui; Drake, assieme ad alcuni elementi del Progetto Legion tu ti occuperai di attaccare l’aeroporto, non importa chi uccidi, l’obbiettivo è attirare le forze dell’Asset lontano da me e catturare il bambino; Diana, tu mi coprirai nel rapimento di Aiden, appena lo avremo catturato ti recherai a dare supporto a Drake per la ritirata.

- Cosa farai una volta che lo avremo fra le mani, capo? – chiese Drake incuriosito.

- Lo costringerò ad aiutarmi nella codifica dell’Infecta definitivo: il nostro caro Gunnarson avrà accesso a tutto ciò che gli manca per ultimare la sua creazione. Suo figlio sarà la garanzia per la sua collaborazione.

- Come pensi di tenere occupato l’Asset, nel frattempo? – chiese Aren, chiudendo l’ultimo bottone della camicia.

- Utilizzeremo il Progetto Legion: attaccheremo scuole, ospedali, centri commerciali, luoghi affollati. Dobbiamo prima creare il caos per portare il mondo alla quiete di cui ha bisogno.

- Non ci siamo già presi le vite di abbastanza innocenti?! – chiese seccato il ragazzo, muovendo un passo verso il comandante dell’Ægis.

- Un numero insignificante, rispetto alle vite che illumineremo col nostro futuro. – l’uomo non traspariva alcuna emozione.

- Tutto questo non è necessario! – gridò il castano, tirando un pugno al muro, frantumandolo.

Simon si avvicinò al ragazzo, senza essere minimamente intimorito dal potere che ora scorreva nelle sue vene. Il suo sguardo era disarmante, glaciale, affilato. Si fermò a pochi centimetri da lui, senza distaccare le pupille quasi bianche da quelle azzurre del ragazzo. – Tutto quello che faccio fa parte di un disegno, Aren, un disegno che ormai sta per realizzarsi. Sono io che decido cosa è necessario. Sono io che decido come muovere le pedine sulla scacchiera. Sono io colui che porterà il fardello di questa impresa. – Aren era finito inconsciamente con le spalle al muro, indietreggiando come per istinto mentre l’uomo parlava. – Non c’è nulla che tu possa fare per quelle persone. Obbedirai ai miei ordini, Aren, intesi? – disse poi, afferrando il mento del ragazzo.
Il giovane si sentì come messo in ginocchio dalla voce di Simon, paralizzato da un terrore quasi naturale, strinse i denti e distolse lo sguardo, sentendo la rabbia ribollire nelle vene.
 
Drake e Diana distolsero a loro volta lo sguardo dal loro capo, come per istinto, sentendosi oppressi dalla stessa imponente forza di quelle parole. L’unico che manteneva il sorriso era Niklas, ammaliato dalla potenza oratoria di Simon.
“Sei sul punto di crollare, ragazzo. Non manca molto al momento in cui deciderai di ribellarti a lui, ma quanto resisterai ancora?” pensò lo scienziato, divorando il ragazzo con uno sguardo folle ed eccitato.
 
- Roy Steinberg possiede un potere da non sottovalutare, preparati al meglio per lo scontro: non ti è permesso perdere. – disse Simon infine, gelido e diretto, come un dardo ghiacciato che colpì il ragazzo dritto al petto, voltandogli poi le spalle e uscendo dal laboratorio.
Aren crollò a terra, in ginocchio, ansimante per la tensione. Venne subito raggiunto da Diana e Drake, che si sedettero accanto a lui, cercando di calmarlo.
 
 
Queen City, base operativa dell’Anonymous Asset, laboratorio di Aiden e Roy, la mattina dopo.
 
- Cosa…?! – Aiden sperava vivamente di aver frainteso le parole del Generale Klein, dovendosi sedere per placare il nervoso.

- Ha sentito bene, Professore, una delle pattuglie è stata assaltata: Collins e altri sei uomini hanno perso la vita. – disse Axel, non riuscendo ad alzare lo sguardo dalla rabbia.

- È stato l’Ægis, vero? – la voce del professore tremava.

- Sì… e c’è qualcosa di ancora più grave che devo rivelarle… - la tensione aveva pervaso il corpo del biondo, facendolo pendere dalle labbra del generale. – Le autopsie hanno evidenziato in cinque dei cadaveri la morte per voltaggio estremo.

- Li hanno fulminati?!

- Sì, ma non è il fatto che siano stati fulminati che mi preoccupa…

- E cosa allora?! – sbottò Aiden, perdendo involontariamente il controllo. – P-Perdonami, Axel… la tensione mi sta ammazzando… - si scusò subito, chinando il capo.

- Non si preoccupi, Professore, la capisco.

- Dicevi?

- La speculazione fatta sui parametri pre-mortem ha indicato un voltaggio di settecento milioni di Volt, che è stato applicato per un tempo totale di tre secondi e settantatré…

- S-Settecento… m-milioni… Cristo, è più del doppio del voltaggio di un fulmine… come hanno… - Aiden si bloccò all’istante, sentendo la sua più grande paura venire a galla. – Axel… stiamo pensando alla stessa cosa, vero? – guardò poi il generale, con lo sguardo colmo di terrore.

- Il Void, sì… Solo il Void può generare una potenza simile…

- Hanno messo le mani sul Void… come cazzo è potuto succedere?!

- L’Ægis ha messo le mani su cosa?! – gridò esterrefatto Roy, bloccandosi all’ingresso del laboratorio.
 
Aiden e Axel spiegarono tutto l’accaduto al ragazzo, vedendolo sedersi a terra, impallidendo improvvisamente. Aiden corse subito vicino a lui, chinandosi e posandogli una mano sulla spalla.
 
- Calmati, Roy…

- Una scarica elettrica… come hanno fatto a manipolare l’energia in quella forma? – ignorò il biondo le parole del padre.

- Huh? – l’uomo guardò il ragazzo confuso.

- Possiedo il Void da più di due anni, ormai, e sono riuscito ad avere il controllo totale dell’energia nella sua forma cinetica, riuscendo anche a manipolare in qualche modo l’energia in forma di calore… ma non sono ancora mai riuscito a generare una scarica elettrica… allora come hanno fatto?

- Non ne ho idea, Roy… il campione che hai nel corpo è l’unico che ho trovato in quel meteorite, sono sicuro non ce ne fossero altri…

- Devono averlo copiato allora… ma come?

- Niklas Gunnarson. – disse Hurricane, entrando nel laboratorio accompagnato da Blaze, e porgendo un fascicolo ad Aiden. – È grazie a lui se sono riusciti a riprodurlo. – continuò, mettendosi di fianco ad Axel.

- Lo stesso dietro a quegli zombie… - disse Blaze, porgendo una mano a Roy e aiutandolo ad alzarsi, venendo poi abbracciato da quest’ultimo.

- È da un botto che non ci vediamo… come te la passi, Blaze? – cercò di distrarsi un secondo il biondo, perdendosi nelle pupille castane dell’amico.

- Beh, sicuramente meglio di te… guardati, sembri uno scienziato pazzo. – lo rimproverò poi, tirandogli un pugnetto sulla spalla, strappandogli una risata.

- Cosa c’è in quei fascicoli? – chiese Roy a Hurricane.

-Dati riguardanti un progetto chiamato “Infecta”, e alcuni di questi dati combaciano con dei tuoi parametri biochimici e neurologici di due anni fa. – spiegò il ragazzo dai capelli azzurri.

- Come li avete trovati?! – chiese sconvolto Aiden, sfogliando sempre più rapidamente i fascicoli.

- Abbiamo hackerato un database di uno degli hotspots, riuscendo a ricavare solo questi dati, prima di venir tracciati e respinti. – spiegò Blaze.

- Gunnarson… ovviamente… - disse Aiden, con lo sguardo perso nel vuoto. – L’unica persona in grado di fare una cosa del genere…

- Lo conosce, Professore?! – chiese Axel stupito.

- Sì, ho partecipato in passato ad alcune sue conferenze. Era molto giovane, ma aveva una delle menti più contorte e al contempo più geniali di tutta la comunità scientifica… Ha vinto un Nobel per aver decifrato totalmente il funzionamento del sistema nervoso, permettendo alla medicina di svilupparsi in una nuova direzione… - raccontò il biondo, sedendosi alla sua scrivania e posando i fascicoli. - Non posso credere che si sia alleato con l’Ægis. – sospirò poi, accendendo il computer.

- Cosa facciamo adesso? – chiese Axel, attendendo una risposta dal professore.

- Mia moglie e mio figlio arrivano domani, quindi le cose si complicano ulteriormente, come se non ci fossero già abbastanza problemi, cazzo! – il biondo sbatté un pugno sulla scrivania.

- Penso che dovremmo dirlo a mamma… - disse Roy, guardando il padre negli occhi.

- Lo faremo, ma non domani… vorrei potermi godere un giorno con la mia famiglia al completo, senza che questi bastardi dell’Ægis si intromettano! – disse, accedendo al suo profilo. – Axel, Hurricane, voglio che cerchiate di hackerare nuovamente tutti gli hotspots rilevati dai sistemi V-SAT, utilizzate ogni mezzo possibile: voglio i dati di quel progetto.

- Sissignore! – risposero all’unisono i due soldati, nonostante non fossero abituati a ricevere un ordine dal professore.

- Blaze, rimani con Roy ed Ethel, ho bisogno che possiate stare al sicuro, soprattutto ora che quelli dell’Ægis si sono svegliati.

- Tu che farai papà? – chiese Roy.

- Io cercherò di elaborare ciò che abbiamo, e non abbandonerò questa cazzo di postazione finché non avrò qualcosa di concreto fra le mani.

- Va bene… è ora che io vada ad allenarmi, che poi mi tocca tornare sui libri… - si congedò il biondo, facendo per uscire dalla porta.

- Vengo con te. – lo seguì Blaze, sorridendo. – Anche io devo allenarmi.

- Felter, segui la scheda alla lettera. Intesi? – ordinò Axel al ragazzo.

- Signore, sissignore! – rispose lui, facendo il saluto militare.
 
I due giovani lasciarono il laboratorio, dirigendosi verso la palestra del complesso.

- Mi fa così strano vederti con quella divisa…

- A volte anche a me fa strano, ma alla fine è la strada che ho scelto... e cazzo se non me ne sono pentito! Il Generale Klein è riuscito ad addestrarmi in soli due anni, ora sono capace di fare cose che prima sognavo nei miei sogni più infantili…

- Pff… - Roy trattenne una risata.

- Che c’è? Non tutti hanno i superpoteri come te… lasciami ammirare le mie capacità da essere umano! – si lamentò il castano, saltellando per scaldarsi. – Piuttosto, Ethel come sta? – chiese poi, tornando improvvisamente serio.

- Sta bene, oggi aveva l’ultimo test del concorso… speriamo l’abbiano presa. Da quant’è che non torni a casa, Blaze? – chiese il biondo.

- Da troppo… lavorare per l’Asset mi porta via praticamente tutto il mio tempo, dopotutto. – rispose Blaze, massaggiandosi il collo.

- Ethel sarà felice di rivederti, stasera.

- Mi toccherà di nuovo assistere alle vostre sdolcinatezze disgustanti da coppietta… 

- Mi mancava il terzo incomodo, se devo essere sincero…

- Chiudi la bocca, haha! – gli triò un pugno sulla spalla.

- Ahia… hahaha! – i due ragazzi scoppiarono a ridere, genuinamente, dopo tanto tempo che non si vedevano, nonostante l’atmosfera tutt’altro che allegra.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Queen City, base operativa dell’Anonymous Asset, palestra, poco più tardi la stessa mattina.
 
Roy puntava la mano contro uno dei bersagli presenti nella stanza, creato appositamente per resistere all’enorme potenza dei colpi del ragazzo. Teneva lo sguardo fisso sull’obbiettivo, cercando di canalizzare tutta l’energia nel palmo. L’iride sinistra s’illuminò di un arancione incandescente, analogamente alle linee lungo tutto il suo corpo. Il ragazzo fece un respiro profondo, rilasciando con un gesto tutta la forza accumulata, generando così un’onda che sciolse istantaneamente parte del bersaglio.
 
- Porca troia! E sto trucchetto da dove cazzo lo hai tirato fuori?! – esclamò stupito Blaze, osservando il manichino mezzo liquefatto.

- Sono mesi che mi alleno. Ho finalmente capito come trasformare l’energia in calore, e ora posso fare questo… ma non basta, cazzo. L’Ægis riesce a controllare l’energia elettrica, in uno scontro potrei essere in svantaggio.

- Sei ancora in alto mare, eh?

- Abbastanza… questo è il massimo che riesco a fare… - rispose, mostrando all’amico come riusciva a circondare la sua mano da un lieve arco elettrico. – Non è come con le onde cinetiche o termiche… per qualche strano motivo non riesco a liberare l’energia dal mio corpo…

- Bella merda…

- Gran bella merda… - il biondo si incuriosì guardando l’amico indossare una catena di pesi alla vita. – Che tipo di allenamento devi fare? – chiese poi.

- Resistenza… Il Generale Klein mi sta massacrando nell’ultimo periodo: devo allenarmi indossando sto cazzo di affare, me lo devo portare anche al cesso…

- Klein è uno tosto eh?

- Klein è il demonio. – i due scoppiarono a ridere, per poi tornare alle loro sessioni di allenamento.
 
I due ragazzi si allenarono per tre ore abbondanti, trainati da un’insolita carica, una voglia incontrollabile di dare il meglio di loro.
Blaze si sedette al suolo, stremato dall’esagerata quantità di esercizi svolti col minimo recupero possibile. Roy passò al castano una bottiglia d’acqua, ne teneva sempre un paio in più nel suo borsone.

- Grazie Roy… - bevve un lungo sorso, tossendo alla fine.

- Che scemo, haha! – il biondo scoppiò a ridere.

- Merda… - Blaze tossì di novo. – Stavo per ammazzarmi… - si asciugò poi la bocca.

- Questo perché bevi come un animale… - lo provocò l’altro.

- Scusa, mamma! – rispose il castano. – Cos’hai in programma ora? – chiese poi.

- Penso andrò a farmi una doccia, e poi mi tocca mettermi a studiare nel laboratorio.

- Sono così felice che l’idea di fare l’università non mi abbia nemmeno sfiorato la mente, non ce l’avrei fatta a studiare altri cinque anni…

- Ti sottovaluti troppo, Blaze.

- No, al contrario: mi conosco bene. – il castano si alzò con un agile balzo.

- Riesci ancora a suonare? – il tono del biondo si fece più curioso.

- Sì, alla fine riesco sempre a trovare il tempo per sfogarmi un po’ sulla batteria. Ho anche scoperto che ci sono un paio di altri musicisti negli alloggi vicino al mio, ci siamo già trovati più volte a suonare assieme.

- Mi fa piacere… almeno questo lavoro non ti schiaccia completamente…

- Uh? – Blaze si accorse immediatamente del cambio di espressione dell’amico. – Sei ancora in pensiero per me? – chiese poi, guardandolo negli occhi.

- Nasconderti le cose è impossibile, quindi… sì, sono ancora preoccupato per tutto questo. Stai rischiando la vita per me, hai sacrificato un sacco per me e sento che non riuscirò mai a ripagarti per tutto questo… 

Il castano fece una smorfia. - Ti piace proprio farmi incazzare, eh? – disse poi, mettendo un braccio al collo dell’amico. – Lo sai benissimo che questa è stata una mia decisione, sono io quello preoccupato, Roy. Per te, Ethel, i miei genitori, tutto quello che ho, che abbiamo… Ho visto di cosa sono capaci quei bastardi e non voglio permettere che portino a termine la loro follia. – le sue parole fecero tornare il sorriso sul volto di quello dagli occhi smeraldini.

 - Faremo finire tutto questo, te lo prometto, Blaze. – i due batterono il pugno, scambiandosi uno sguardo intenso, particolare, che caricò gli animi di entrambi.
 
Erano passate qualche decine di minuti da quando i due ragazzi si erano separati, Roy dirigendosi verso il bagno della palestra e Blaze raggiungendo la propria squadra per l’allenamento di gruppo.
Il bianco delle pareti della doccia veniva sferzato qua e là da alcuni motivi floreali dal colore azzurro pallido, quasi indistinguibile. Roy si sentiva a disagio in quella doccia, ormai viziato dalla sua jacuzzi. Una cortina di vapore avvolgeva il corpo del biondo, mentre il caldo flusso d’acqua bagnava i suoi muscoli, sciacquando via la stanchezza dell’allenamento di poco prima. Il fruscio dell’acqua non bastava a mascherare alcuni pensieri, fastidiosi aghi che impedivano al ragazzo di sentirsi calmo.
Le parole del Generale Klein gli ronzavano in testa, persistenti: “Hanno messo le mani sul Void”.

- Hanno messo le mani sul Void… - ripeteva a bassa voce, passandosi una mano fra i capelli e coprendosi l’iride sinistra con l’altra.
Roy si asciugò in fretta, indossando poi il suo outfit da lavoro e chiudendosi nel proprio laboratorio a studiare. Studiava contemporaneamente due materie per ottimizzare il tempo a sua disposizione, dato che con il ritorno dell’Ægis non sapeva quanto tempo avrebbe avuto per studiare.
Passò l’intera giornata sui libri, trasformando una quantità esagerata di fogli bianchi in complessi ricettacoli di appunti e formule difficilmente comprensibili da un normale essere umano.
Guardò l’ora, riemergendo momentaneamente dalla trance in cui si era chiuso: 18:30.

- Porca troia… - esclamò, stirandosi sullo schienale della sedia. – Meglio che vada a vedere a che punto è papà, prima di andare a casa. – disse a sé stesso, mentre si massaggiava il collo, indolenzito dalle ore passate chino a scrivere.
 
Aiden era chino sul proprio computer, completamente catturato dal proprio lavoro. Non aveva staccato gli occhi dallo schermo da quella mattina, intento a capire come Niklas Gunnarson fosse riuscito a replicare una cosa tanto complessa come il Void.

- Papà… - L’uomo non si accorse della voce che lo stava chiamando. – Papà! – chiamò nuovamente Roy, senza ricevere risposta. – PAPÀ! – urlò infine, riesumando l’uomo dalla sua realtà.

- Aaah, Cristo…

- Benvenuto fra i vivi. – scherzò il ragazzo, lievemente preoccupato per suo padre.

- Scusami… ero totalmente concentrato su quel maledetto computer…

- È tardi, papà, e dobbiamo ancora ultimare la tuta.

- Hai ragione, dobbiamo terminare il lavoro entro oggi.  – disse, alzandosi e stirandosi la schiena.

- Vado ad avviare le macchine intanto.

- Ti raggiungo subito.
 
L’uomo guardò un’ultima volta i dati che aveva elaborato in tutte quelle ore di lavoro, grattandosi la barba e annotandosi gli ultimi appunti nel suo taccuino personale, per poi salvare il file e spegnere il computer.
Raggiunse velocemente il figlio, che nel mentre aveva avviato tutti i macchinari necessari per lavorare sulla tuta, posizionandosi alla sua postazione e facendo cenno a Roy di iniziare i test.
Il biondo, senza perdere tempo, posiziono le quattro unità tecnologiche su spalle, petto, polsi e caviglie, vedendo poi la tuta crearsi attorno al proprio corpo.

- Test resistenza, start. – disse Aiden, azionando uno dei tanti programmi.

Roy iniziò a caricare energia cinetica nei palmi delle proprie mani, vedendo i nano-bot della tuta agitasi e riposizionarsi, assorbendo a loro volta parte dell’energia, permettendo al ragazzo di caricarne ulteriore.

- Rilascio. – disse il giovane, rilasciando un’onda cinetica dalla mano destra che colpì il bersaglio, generando un boato quasi assordante.

- I valori registrati indicano un incremento della potenza all’impatto del trecentoventicinque percento! – esclamò Aiden, sorridendo. – Passiamo al test di shaping. – disse poi, azionando un secondo programma.

Con la mano sinistra, Roy rilasciò una seconda onda cinetica. Questa volta, però, i nano-bot sul palmo della mano si mossero in modo differente, assumendo a livello microscopico una forma particolare e influenzando la forma in uscita dell’onda. L’onda fu così rilasciata in una forma precisa, controllata dal ragazzo, che colpì il bersaglio, atomizzandolo in un’esplosione.

- Woah! – esclamò il biondo, guardandosi incredulo la mano.

- Sei… seicento percento di incremento della potenza all’impatto… ci siamo superati… - Aiden non riusciva quasi a respirare, aveva appena ultimato una delle armi più potenti esistenti a quel mondo, lui, che ripudiava l’uso della tecnologia per scopi bellici.

E faticava a guardare il ragazzo, lui, intimidito da quel casco completamente grigio, con due linee rosse al centro, intimidito dalla sua stessa creazione.

- Papà, tutto ok? – chiese preoccupato Roy, notando l’espressione del padre.

- U-Uh, sì, scusa. Passiamo al test termico. – rispose l’uomo, cercando di tornare lucido.

L’ultimo test fu il più rapido: Roy caricò il suo corpo di energia termica, scaldando via via sempre più intensamente l’ambiente circostante, rimanendo tuttavia perfettamente stabile.

- I nano-bot funzionano alla perfezione, la termo-regolarizzazione è operativa al cento percento. – disse distrattamente Aiden, chiudendo il programma e disattivando la tuta. – Abbiamo finito, non potevamo sperare in risultati migliori. – continuò poi, avvicinandosi al figlio, forzando un sorriso.

- Vedrai che con questa riusciremo a debellare l’Ægis una volta per tutte. – il ragazzo aveva capito il motivo dell’inquietudine del padre.

- Non ci sono altre possibilità… se anche loro hanno accesso ai poteri del Void, noi dobbiamo possedere un Void più forte… È così che funzionano le guerre: vince chi ce l’ha più lungo… - cercò di scherzarci sopra, per mascherare l’amara sensazione che lo pervadeva. Roy rise.

- So cosa pensi, papà, ma è stato necessario creare quest’arma. Sarà la prima e l’ultima che avrai creato, te lo prometto. – le parole del biondo fecero tornare il sorriso all’uomo.

- Si è fatto tardi, vai a recuperare Blaze e andate a casa.

- Cazzo, sono già le otto! – esclamò il ragazzo, guardando l’ora. – Tu non vieni? – chiese poi, guardando l’uomo.

- No, devo discutere di come ci muoveremo domani con Klein e Hurricane. Penso che tornerò tardi.

- Va bene, non esagerare però…

- Certo. – sorrise lui, dando una pacca sulla schiena del figlio. – Porta a casa la tuta, lasciala in laboratorio. – disse poi, vedendo il ragazzo annuire.
 
Roy aspettò Blaze al parcheggio della struttura, vedendolo arrivare completamente stremato dall’allenamento. Il biondo non perse tempo e accese il bolide, guidando più velocemente del solito verso casa. Nel frattempo, Blaze era caduto in un pacifico sonno, nonostante non fosse solito addormentarsi in macchina.

- Ehi, bella addormentata, wach auf!sveglia! – gli aveva gridato quello dalle iridi smeraldine, vedendolo riprendere i sensi in un’espressione a metà fra il terrorizzato e il confuso.

- O-Oh…! Che c-cazzo…?! – esclamò, sobbalzando sul sedile. – Siamo arrivati? – chiese poi, sbadigliando animatamente.

- Sì, dai che ho una fame della madonna, sbrighiamoci a scendere. – lo incoraggiò poi il biondo, vedendolo smontare dalla Jeep con molta fatica.

- Domani mi brucerà pure il buco del culo da quanto acido lattico avrò…

- Haha, Klein ti ha veramente massacrato oggi, eh?

- Puoi dirlo, cazzo…
 
I due ragazzi raggiunsero la villetta, precipitandosi al suo interno spinti da una fame quasi incontenibile. Blaze si nascose dietro il voluminoso appendiabiti appena a lato dell’uscio della casa, attendendo pazientemente l’arrivo della sorella.

- Ethel, sono a casa! – gridò Roy, scambiando uno sguardo di complicità con l’amico.

La ragazza si palesò rapidamente, con addosso un grembiule macchiato di qualcosa di indefinito, abbracciando e strappando un bacio al suo uomo.

- Ehi, bentornato… - disse dolcemente, mentre poggiava la testa sulle sue spalle.

- Mi puoi appendere un secondo la giacca, devo levarmi le scarpe… - chiese il biondo, vedendola totalmente ignara del “pericolo” in agguato.

- Certo, amore. Dai qua. – rispose lei, prendendo la giacca e facendo per appenderla.

- AHEI! – gridò Blaze, sbucando da dietro l’appendiabiti, vedendo la rossa fare un balzo e gridare terrorizzata. I due ragazzi scoppiarono a ridere, mentre Ethel rimase in un limbo confuso di emozioni.

- Blaze… - mormorò, gettandosi fra le braccia del fratello e stringendolo con tutta la forza che aveva.

- Mi sei mancata… - disse lui, dondolando leggermente.

- Razza di coglione… potevi tornare a farci visita ogni tanto… tua madre è stra preoccupata…

- Non ho avuto fisicamente la possibilità, Eth… anche se avessi voluto…

- Siete due stronzi, comunque! – borbottò lei, tirando un pugno a entrambi. – Tu dormi sul divano stasera. – disse poi a Roy, provocandolo.

- Eddai! – sbuffò lui, ridendo.

- Venite a tavola, dai, ho fatto il polpettone.

- Oh, sì! – esclamò Blaze, con il sapore di quel piatto già in bocca. Lo aveva mangiato così tante volte, era uno dei suoi piatti preferiti.
 
I tre ragazzi si sedettero a tavola, mangiando e chiacchierando felicemente. Tutti e tre sentivano la mancanza di quel tipo di momenti, dopo mesi in cui non si erano potuti riunire, solamente loro tre come quando si erano conosciuti.
Blaze aveva raccontato nel dettaglio le sue mansioni presso l’Asset, suscitando stupore e al contempo preoccupazione nella ragazza.
Roy aveva invece parlato ai due della tuta ultimata assieme al padre, promettendo una dimostrazione nel laboratorio.
Fu il momento di Ethel a raccontare della propria giornata. La rossa non riuscì a mascherare la felicità e il sollievo nelle sue parole, facendo intuire ai due ragazzi l’esito del suo esame.

- Mi hanno presa! – esclamò, poggiando la mano su quella del suo ragazzo.

- Bravissima, amore! – disse Roy, stringendole la mano.

- Ora tormenterai dei poveri bambini… pace all’anima loro… - scherzò Blaze, vedendo la sorella imbronciarsi.

- Se fossi tu un professore sarebbe la fine… - rispose la rossa.

- Confermo. – le diede corda Roy.

- Bello sapere quanta fiducia riponete in me, già.

- L’unica opzione sarebbe quella di insegnare musica, quella forse la sapresti insegnare… - lo stuzzicò il biondo.

- Forse?! – esclamò Blaze. – La musica mi scorre nelle vene! Sarei in grado di insegnarla anche a due ritardati come voi, che al massimo sanno suonare i citofoni… - scherzò lui.

I tre si misero a ridere, continuando la loro chiacchierata e finendo la serata sui videogiochi, come avevano sempre fatto in passato.
 



 
Base Ægis, laboratorio di Niklas Gunnarson, la stessa sera.
 
Simon osservava con estremo interesse il professor Gunnarson all’opera, intento a ultimare il nuovo programma per il Progetto Legion. Nel mentre, il comandante dell’Ægis stava pianificando la partita a scacchi nella sua testa, partita nella quale avrebbe messo in scacco Aiden Steinberg e avrebbe finalmente ottenuto l’ultimo tassello del suo grande mosaico. Ogni cosa era ormai al proprio posto, aveva calcolato ogni possibile imprevisto, d’altronde quella era la capacità che lo aveva reso uno degli imprenditori più ricchi d’America.

- Ho finito! – esclamò Niklas, alzandosi dalla propria postazione e sorseggiando il nero caffè dall’enorme tazza che aveva sulla scrivania.

- Ottimo lavoro, Niklas, in cosa consiste questo aggiornamento? – chiese Simon.

- Ho naturalizzato il comportamento dei soggetti, per renderli totalmente mimetizzati alla folla. Ora non sarà più possibile distinguerli da una persona comune, prima dell’attivazione del programma. – il comandante sorrise.

- Kinetic e Phoenix?

- Pronti per essere ultimati da Steinberg. Per quanto mi scoccia dirlo, sono arrivato al limite delle mie conoscenze e capacità con loro, la presenza di Steinberg è necessaria. – sbuffò lo scienziato.

- Avrai ciò che desideri, non ti preoccupare.

- Sono curioso, Simon… Voglio vedere come gestirai tutto questo potere…

- Il mio disegno ormai è completo, ed io sono l’unico in grado di sopportare una responsabilità simile. – rispose arrogante l’uomo dalle iridi criogeniche.

- Hai lasciato riposare il ragazzo? Il suo è il ruolo fondamentale alla riuscita dell’operazione di domani.

- Sì, gli ho lasciato la serata libera. Le mie parole sono state sufficienti a dargli la giusta motivazione.

Sei proprio sicuro? Quel ragazzo è sul punto di crollare, Simon, hai pianificato pure quello?” pensò lo scienziato, facendo comparire un rivoltante e inquietante sorriso sul suo volto.
 


Base Ægis, camera di Aren.
 
Il corpo nudo di Diana si muoveva lento su quello di Aren, in un’esplosione di sensi e piaceri. I due si erano trattenuti per troppo tempo, accumulando via via un desiderio sempre più intenso.
Il castano si portò sopra di lei, spingendo sempre con più foga, sentendo la compagna gemere, piegata dalla sua forza. I colpi si fecero sempre più lenti, finché entrambi non sentirono il piacere esplodere all’apice, vedendosi privati delle loro forze subito dopo.
Aren si gettò di lato del letto, affondando nel cuscino e chiudendo gli occhi, inspirando poi profondamente, col cuore che ancora batteva rapido. Diana poggiò la testa sui pettorali del ragazzo, stringendolo in un lieve abbraccio.

- Mi mancava… - sussurrò lei, carezzando il corpo del ragazzo.

- Mh. – annui lui silenzioso.

- Sei agitato, vero? – colpì nel segno lei. – Lo sento dal tuo respiro. – disse poi.

- Riesci a leggermi come un libro… - sviò la domanda lui.

- Mi fa male vederti così.

- Quello che stiamo per fare è una follia, Diana, una cazzo di follia.

- Da quando ti importa di quel che facciamo, Aren? Non hai mai esitato a uccidere da quando ti conosco.

- È vero, ho ucciso molte persone, e pensavo di averci fatto l’abitudine ma… più andiamo in fondo a questa pazzia, più sento un peso alla coscienza.

- Aren…

- Noi dovremmo creare un mondo migliore, non distruggerlo. Non ho mai voluto mettere in dubbio le scelte di Simon, ma quasi non lo riconosco più…

- Dobbiamo avere fiducia in lui… sento che siamo vicini a quello che sognavamo. Dopo questo non dovremo più uccidere: niente più Ægis, niente più missioni, niente più passato. Saremo io e te, in un mondo fatto apposta per noi.

- Voglio veramente credere a questo, ma ho un sentimento che non riesco più a ignorare…

- Resisti ancora un giorno, Aren, un solo giorno è il nostro compito sarà compiuto.

- Mh. – sospirò lui, abbracciando la donna.

- E poi ci sono qua io per distrarti… non pensarci più e vieni, non abbiamo ancora finito io e te… - disse lei infine, lanciandosi nuovamente sul proprio compagno.
 
 
 

 
Base Anonymous Asset, sala riunioni, più tardi quella sera.
 
Aiden sedeva all’enorme tavolo della sala riunioni, con un terminale olografico aperto di fronte a sé. Di fronte, sedevano Axel, Diego e diversi ufficiali dell’Asset, in attesa della spiegazione da parte del professore.

- Allora, mia moglie e mio figlio arriveranno alle nove e mezza, all’aeroporto. – mostrò ai soldati la piantina dell’intero aeroporto. – L’aereo atterrerà sulla pista tredici, raggiungibile solamente con un mezzo di trasporto dal gate più vicino. Voglio due squadre pronte a intervenire qualora vi fosse la necessità. Dai dati elaborati abbiamo scoperto che stanno cercando me, sono io il loro obbiettivo.

- Come ci muoviamo per lei, allora? – chiese Axel.

- Io sarò in macchina con Simon Wolf, un’altra vittima dei loro attacchi.

- Ne è proprio sicuro, Signor Steinberg? – domandò perplesso Diego. – Non è troppo a rischio?

- Sarò seguito da altre due squadre e dalla macchina di Roy, quindi, qualunque cosa dovesse accadere, avrei tutto il necessario per potermi difendere.

- Come gestiamo eventuali diversivi? – continuò Axel.

- Dovremo avere occhi e orecchie ovunque, tutti gli uomini non impegnati nell’operazione dovranno essere distribuiti per tutta la città. Hurricane, Klein, voi due andrete a coordinare le squadre in aeroporto, ho bisogno delle vostre abilità per difendere mia moglie e mio figlio, sono un punto debole che non posso permetter mi venga attaccato. – Aiden fece un grande respiro. – Ci siamo preparati a lungo per riuscire  contrastare l’Ægis, una volta messa al sicuro la mia famiglia, inizieremo la guerra…

- Sissignore. – risposero i presenti all’unisono.

- Queste sono le schede coi percorsi che prenderemo con le auto, vi prego di studiarli e organizzarvi al meglio per domani.

- Sarà fatto. Uomini, congedo. – ordinò il Generale Klein, uscendo dalla sala, seguito da Diego.
 
Aiden guardò un’ultima volta il terminale, eliminando dalla sua mente gli eventuali scenari catastrofici che avrebbero potuto verificarsi il giorno seguente. Uscì dalla sala, fermandosi nel suo laboratorio prima di abbandonare la struttura. Lì si avvicinò a un mobiletto scuro, probabilmente in noce.

- Non pensavo avrei mai dovuto ricorrere a queste… - disse fra sé e sé, intascando il contenuto di una delle numerose bustine presenti nel cassetto, che chiuse minuziosamente con il lucchetto digitale a impronte digitali e scanner della retina.

Ancora con la testa persa nei propri pensieri, l’uomo accese la sua bellissima Audi, sfrecciando nella notte verso casa. Erano ormai passate le due di notte, quando il biondo rientrò in casa, trovando i tre ragazzi addormentati l’uno vicino all’altro sul divano. Sorrise, lui, ripensando agli eventi degli ultimi due anni. Roy era cambiato così tanto, la loro vita era cambiata così tanto.
Si chiuse nella sua stanza, afferrando prima un paio di birre dal frigo, lanciandosi poi sul proprio letto e accendendo la televisione, finendo a guardare una vecchia serie televisiva che aveva visto una cinquantina di volte. Quella notte, Aiden sapeva che non sarebbe riuscito a chiudere occhio. 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Queen City, villetta degli Steinberg, la mattina seguente.
 
Ethel guardava divertita i due ragazzi, ancora addormentati sul divano, stretti in un buffo abbraccio. Scattò loro un paio di foto prima di svegliarli delicatamente.

- Ehilà, sveglia bambini, la mamma ha preparato la colazione! – disse, scuotendo lievemente il biondo.

- E-Eh?! – esclamò lui, riesumando immediatamente dal sonno mattutino. – Che ore sono? – chiese poi alla ragazza, accorgendosi dell’amico e scrollandoselo di dosso.

- Fai piano… - disse il castano, con gli occhi ancora chiusi.

- Sono le otto, muovetevi a fare colazione che dovete andare, dai! – li incoraggiò Ethel, dando uno schiaffo al culo di entrambi.

I due sbadigliarono in contemporanea, sedendosi poi al tavolo della cucina, al quale Aiden era già seduto da un pezzo.
L’uomo fissava il vuoto in una specie ti trance, le sue pupille erano perse in qualcosa di invisibile. Rimaneva in silenzio, lui, con la tazza di caffè nella mano sinistra e la sigaretta in quella destra. Sul suo volto spiccavano due occhiaie enormi, marchio della nottata in bianco appena trascorsa.

- Morgen… - chiamò la sua attenzione il ragazzo dalle iridi smeraldine.

L’uomo si girò, guardando il figlio in volto. – Guten Morgen… - rispose assente, sorseggiando il caffè.

- Hai un aspetto orribile, papà. Hai dormito male? -chiese il ragazzo.

- Non ho proprio dormito…

- E si vede, Signor Steinberg… - commentò Blaze, mentre versava del the caldo in una tazza.

- Tutto ok? – chiese preoccupato Roy, azzannando una fetta biscottata coperta da marmellata.

- Sì, tutto ok, ero semplicemente un po’ agitato. Sto bene, tranquillo. – lo rassicurò l’uomo, sorridendo.
 
I quattro terminarono rapidamente la colazione, ritirandosi ognuno nella propria stanza per cambiarsi. Poco dopo erano scesi nel laboratorio, in attesa dell’arrivo degli altri agenti. Nel frattempo, Roy aveva indossato la tuta ed eseguito alcuni rapidi test per verificarne la perfetta funzionalità. Ethel e Blaze rimasero colpiti dall’estrema potenza di quella tuta, venendo quasi spaventati dal suo aspetto minaccioso.
Le due squadre ausiliarie dell’Asset giunsero in pochi minuti, seguite dalla Lamborghini bianca di Simon. Questo subito andò a salutare l’amico, stringendo poi la mano a Roy, Blaze ed Ethel.

- Che piacere rivederti, Roy. – disse, poggiando una mano sulla spalla del ragazzo. – È un piacere fare la vostra conoscenza, Aiden mi ha parlato molto di voi due. – si rivolse poi ai due fratelli, scambiando loro un sorriso.

- Grazie per essersi offerto di accompagnare mio padre, Signor Wolf.

- Oh, per piacere, chiamami pure Simon. Non serve tanta rigidità. – rise l’uomo dalle iridi criogeniche. – È più forte di me, non posso lasciare tuo padre a piedi. – lui e Aiden scoppiarono a ridere.

- Questi sono gli uomini della squadra di sicurezza della Eisenhauer Technology, ci seguiranno come scorta.

- Capisco… Allora, vogliamo incamminarci? – chiese poi, facendo cenno all’amico di seguirlo in macchina.

- Certamente, fai strada. – rispose Aiden, seguendolo. – Ci vediamo all’aeroporto. Mi raccomando, guida con prudenza! – disse poi al figlio.

- Da che pulpito! – lo provocò Roy, sorridendo.
 
La Lamborghini di Simon abbandonò per prima la villetta, seguita a distanza da altre due macchine dell’Asset, in direzione dell’aeroporto.
Roy e Blaze terminarono i preparativi, il biondo indossando i bracciali della tuta e il castano montando gli ultimi accessori sulla sua arma e sistemando i caricatori nella propria cintura.
La situazione era particolare: entrambi sapevano che sarebbe successo qualcosa, nonostante desiderassero che quella sensazione fosse solo una paranoia.
I due ragazzi si guardarono negli occhi.
 
- Mi sembra di andare in guerra, cazzo… - commentò Blaze, sospirando lievemente.

- Chiamiamole “precauzioni”… - aggiunse Roy, montando sulla Jeep. – Ho paura, Blaze… paura per mio papà, mio fratello, mia mamma, noi…

- Qualsiasi cosa succeda, questa volta siamo preparati. Non l’avranno vinta facile, te lo assicuro.

- Grazie ancora per essermi accanto, Blaze. – disse l biondo a bruciapelo, vedendo l’amico tentennare.

- Metti in moto, altrimenti ci lasciano qua. – scherzò, rispondendo all’altro con uno sguardo e smorzando la tensione.
 

 
Queen City, Aeroporto, ore 9:20.
 
Il gate tredici era completamente blindato, messo in totale sicurezza per l’arrivo della direttrice Gea. Trecento uomini erano sparsi all’interno della struttura divisi in unità da due soldati, altri seicento coprivano lo spazio esterno, divisi per tutta l’enorme superficie dell’aeroporto. Una squadra di trenta cecchini forniva supporto dal tetto della struttura, capitanata da Hurricane, mentre Axel coordinava le operazioni direttamente dalla pista tredici: si era preso l’incarico di scortare la direttrice e il figlio fino al blindato che li avrebbe condotti nel punto d’incontro con Aiden e Roy.
Camminava, il generale, avanti e indietro nervoso, coordinando il posizionamento dei propri soldati in tutto l’edificio e l’esterno.

- Controllate ogni singolo civile: documenti, parametri vitali, comportamento. Al minimo sospetto date l’allerta a tutte le squadre. – ordinò attraverso il proprio bracciale, ricevendo una conferma da ogni squadra. – Hurricane, voglio occhi ovunque. Nulla deve avvicinarsi o allontanarsi dalla pista tredici, chiaro? – disse poi a Diego.

- Roger. – rispose quello dai capelli blu. – Stavolta non ci fottono, Axel. – disse poi, cercando di rassicurare il generale.

- Non riesco a stare calmo, Diego, non abbiamo idea di che cazzo sono capaci di fare dopo due anni di nulla…

- Steinberg e Felter stanno arrivando assieme al professore, se dovesse succedere qualcosa avremmo il potere del ragazzo a pararci il culo.

- Ti ricordo che pure loro possiedono il Void ora… - si interruppe, guardando l’ora. – Uomini, cinque minuti all’atterraggio. Tutti in posizione e occhi aperti. – ordinò infine, imbracciando il fucile e posizionandosi nel punto stabilito dal suo schema.

 
Queen City, Washington Road, ore 9.25.
 
La Lamborghini bianca stava seguendo il percorso indicato sul display, deciso la sera prima da Aiden e Axel. Dietro di lei, due van proteggevano i due uomini da un possibile attacco dell’Ægis, seguiti in chiusura dalla Jeep di Roy.
Aiden era nervoso, seduto sul sedile posteriore accanto all’amico. Quel giorno Simon aveva deciso di portarsi la sua autista personale, per poter conversare liberamente durante il viaggio.

- Ti vedo nervoso, Aiden, sicuro di sentirti bene?

- Sì… non ti preoccupare, Simon, ho solo dormito poco stanotte. Mi sento agitato come un bambino alla Vigilia di Natale. Sai, non vedo l’ora di poter vedere di nuovo Erica ed Emil.

- Posso immaginare, d’altronde è da tanto tempo che siete stati separati, penso sia una reazione naturale.

- Tutta questa situazione, Simon… l’Ægis, gli attacchi… mi sta mandando fuori di testa…

- Non ci pensare. Abbiamo gli uomini della Eisenhauer a farci da scorta, non dobbiamo temere nulla da quelli lì.

- Vorrei veramente essere risoluto come te, Simon… Riesci a stare calmo in qualsiasi situazione, sei sempre stato così.

- Vedi, Aiden, nel mondo del mercato se vai nel panico, sei fottuto. La calma è una cosa che dopo un po’ viene naturale, frutto di tanti errori e tanti colpi di fortuna. E se decidi di impegnarti a sufficienza, riesci addirittura a eliminare totalmente la fortuna dall’equazione.

- Che intendi? – chiese il biondo incuriosito.

- Non esiste la fortuna. Ogni cosa è causa e conseguenza di altre, il trucco sta nel riuscire a vedere i collegamenti.

- Interessante… fammi un esempio.

- Ad esempio, se in questo momento la mia Lamborghini non si è dovuta fermare al semaforo mentre gli altri due van e tuo figlio sì, non sono frutto di fortuna e sfortuna. – Aiden impallidì istantaneamente.

- C-Cosa…?!

- Vedi, il fatto che tu sia isolato dagli altri è una conseguenza di un mio calcolo. E le mie prossime parole saranno causa di un qualcosa di molto impressionante. -L’uomo dai capelli cinerei puntò la sua pistola alle tempie dello scienziato.

- Simon… che significa…?!

- Qual è il mio colore preferito, Aiden? – lo interruppe con la domanda.

Aiden rimase in silenzio.

- Qual è, Aiden? – ripeté lui, premendo la pistola sulla testa dell’amico.

- I-Il… n-nero… - rispose il biondo, tremando dopo aver realizzato il collegamento.

- Qua Schwarz; Rattlesnake, Plague, date inizio alle danze. – disse Simon, sfoggiando un inquietante sorriso.
 
 
Roy tamburellava nervoso le dita sul volante della Jeep, infastidito dal semaforo che era diventato rosso esattamente dopo il passaggio della Lamborghini. Erano fermi, loro, dietro i due furgoni neri, cercando di non perdere di vista la macchina bianca.

- Roy… - Blaze richiamò l’attenzione del biondo. – Perché ha girato a destra? Non è a sinistra l’aeroporto? – chiese poi, allarmato.

- Papà, dove state andando? – chiese Roy attraverso il microfono nel bracciale della tuta, senza tuttavia ricevere risposta. – Papà?! – lo chiamò nuovamente.
Nessuna risposta.

- Cosa sta succedendo?! – Blaze non fece in tempo a contattare Axel che una meteora precipitò sui due van di fronte, facendoli esplodere e facendo ribaltare la Jeep.
 
I due ragazzi uscirono barcollanti dal bolide, ancora storditi dall’esplosione. Blaze imbracciò il fucile e lo puntò verso la cortina di fumo nero, che nel mentre si era sparsa per tutta la strada, facendo scappare chiunque fosse nei paraggi.

- Che cazzo è successo? – gridò all’amico, mantenendo il mirino dell’arma puntato sull’ignoto spazio di fronte a lui.

- Ho un brutto presentimento… - rispose il biondo, vedendo una figura uscire dalla cortina di fumo.
 
Blaze aprì il fuoco, scaricando un intero caricatore verso l’essere che stava camminando verso di loro, a passo sempre più svelto. Una volta che il fumò fu completamente diradato dalla figura, i due ragazzi poterono vedere finalmente la minaccia: un uomo stretto in una tuta tecnologica, molto simile a quella di Roy, con un casco completamente nero.
Senza perdere tempo, Blaze ricaricò il fucile, esplodendo una seconda raffica contro il nemico. Questo, senza subire alcun danno dai proiettili del castano, iniziò a caricare una scarica elettrica nelle proprie mani.

- Oh, merda! – esclamò Roy, attivando istantaneamente la tuta e gettandosi contro quell’uomo.
 
Aren lanciò la scarica contro il biondo, vedendola venire bloccata da un pezzo d’asfalto che l’altro aveva prontamente utilizzato come scudo.
I due iniziarono un combattimento corpo a corpo, scambiandosi una serie di calci e parate reciproche, mantenendosi in una situazione di stallo, tutto questo sotto lo sguardo confuso di Blaze, che non riusciva a mantenere la mira sull’obbiettivo, nella paura di colpire l’amico.
 
- Dove cazzo siamo, in un episodio dei Power Rangers? Cristo! – esclamò, vedendo le due tute scontrarsi.

- Blaze, contatta il Generale Klein, veloce! – ordinò Roy, mentre parava con la spalla un violento calcio sferrato dall’avversario.
 
Aren iniziò a caricare una serie di scariche elettriche nei propri calci, scaricandole al momento dell’impatto, per massimizzare i danni. Roy, in risposta, generò due onde cinetiche direzionate dai nano-bot della tuta, che colpirono l’altro in pieno petto. Entrambi arretrarono e si riposizionarono, pronti per attaccare nuovamente.


 
Queen City, Aeroporto, ore 9.30.
 
Axel rispose rapidamente alla chiamata di Blaze, sentendo un nodo in gola nell’esatto momento antecedente alla risposta.

- Felter, che succede? – chiese preoccupato.

- Generale! – il tono di Blaze allarmò l’uomo. – L’Ægis ci ha attaccato, i due van di scorta sono stati eliminati, al momento Roy sta combattendo con un tizio in una tuta e abbiamo perso di vista la Lamborghini di Wolf, inoltre il Professor Steinberg non ci risponde! – Axel fece quasi fatica ad assimilare tutte quelle informazioni diluite nella parlata veloce del sottoposto.

- Mantenete la posizione, mando subito una squadra a darvi supporto e a rintracciare il Professore!

- Sissignore! – rispose Blaze, chiudendo la chiamata.
 
L’aereo nel quale sedevano Erica ed Emil era appena atterrato, rimanendo in attesa del permesso di far sbarcare i passeggeri. Una volta confermato l’atterraggio, Axel fece per voltarsi a dare l’ordine a una delle squadre in stand-by, venendo però interrotto da una forte esplosione dei quattro aerei parcheggiati nelle piste accanto.
Nell’esatto istante, ogni civile all’interno dell’aeroporto si voltò verso i soldati, assaltandoli in massa e sfondando i vetri della struttura, inondando poi le piste di atterraggio.
L’uomo guardò con terrore la scena, ricordando l’assalto di due anni prima.

- Uomini, eliminate qualsiasi cosa si muova e proteggete l’aereo della Direttrice! – ordinò, imbracciando il fucile e iniziando a esplodere una raffica dopo l’altra sull’orda dell’Ægis. – Hurricane, supporto! – ordinò poi al ragazzo, senza però ottenere risposta.- Hurricane!? – lo chiamò nuovamente.

- Axel! La mia squadra è andata, porca troia! – gridò in risposta quello dai capelli blu.

- Che cazzo significa?!

- Qualcuno ha fatto esplodere il soffitto, mi sono salvato per un soffio!

- Merda! Vieni qua, dobbiamo occuparci di questo delirio!

- Roger! – rispose Diego, facendo per lanciarsi con la tuta alare, venendo però placcato e gettato a terra da una figura misteriosa, piombata su di lui dall’alto.

- Hurricane! Hurricane?! – non ricevette risposta.
 
Diego cercò di alzarsi, ancora stordito dall’impatto, venendo però colpito in volto da un calcio, che lo scaraventò nuovamente a terra. Questa volta però, il ragazzo si rialzò rapido, premendosi dolente la guancia. Di fronte a lui, una possente figura avanzava lentamente, brandendo un coltello da guerra.
Senza perdere un solo secondo, il ragazzo dai capelli blu attivò le sue unità dorsali, potenziandosi e scattando verso il nemico immediatamente dopo. Sferrò una serie di pugni con le lame poste sui suoi guanti, che venne però parata completamente dall’altro , con un’abilità quasi disarmante.
Drake caricò nuovamente Hurricane, colpendolo con una spallata e lanciando un fendente del coltello, che nel mentre aveva fatto passare nella mano sinistra. Il ragazzo dovette gettarsi a terra per schivare la coltellata, venendo subito preso a calci dal marine.

- Merda… - esclamò quello dai capelli blu, rotolando all’indietro e alzandosi con un’acrobazia, riprendendo rapidamente la posizione di guardia.

- Avanti! Mostrami un po’ di pepe! – lo provocò Drake, battendosi un pugno sul pettorale e lanciandosi nuovamente all’attacco.
 
Diego estrasse le due lame dai bracciali che teneva ai polsi, brandendole saldamente per bloccare il colpo in arrivo. Drake cambiò la presa sull’impugnatura subito dopo lo scontro fra le due lame, girandosi e imprimendo ulteriore forza nel colpo, riuscendo a ritagliare una finestra di spazio per colpire l’avversario con un calcio sulla caviglia, facendolo sbilanciare.
In risposta Hurricane piantò un coltello nel terreno, utilizzando la mano ora libera per darsi uno slancio e capovolgersi per tornare in posizione.
-Tutto qua quello che sai fare?! – gridò Drake, gettando il suo coltello a terra. – Guarda, ti regalo pure un vantaggio… - disse poi, facendogli cenno di attaccare.
 
Hurricane sbuffò una risata, recuperando la lama dal terreno e riponendole entrambe nei bracciali, scattando poi in avanti, per colpire l’altro con tre calci consecutivi, tutti mirati alle aperture. Drake bloccò i primi due con gli avanbracci, afferrando la caviglia del ragazzo al terzo, scaraventandolo a terra con la sola forza del braccio. Diego accusò un duro colpo.
 
- Gaaah! – gridò, provando un dolore lancinante alla spina dorsale.
 
Senza lasciargli il tempo di riprendersi, Drake si lanciò su di lui, afferrandolo con una mano per il collo e riempiendolo di pugni, sferrati con l’altra.
Hurricane iniziò a tirare dei calci sugli addominali dell’avversario, nel tentativo di fargli mollare la morsa, invano. Venne colpito da uno, due, tre pugni in volto e due successivi nello stomaco, venendo infine scaraventato a terra. Sputò sangue.
Drake rideva, facendo scrocchiare nocche, collo e spalle, mentre si avvicinava minaccioso al ragazzo a terra. Diego non ricordava l’ultima volta che era stato messo in una situazione come quella, erano anni che nessuno gli teneva testa in un combattimento uno contro uno. Quel giorno però, l’avversario era totalmente su un altro livello.
 
- C-Chi cazzo sei…? - disse a fatica, mentre cercava di trascinarsi all’indietro.

- Il lupo cattivo. – rispose l’uomo con tono provocatorio. – Sono deluso da te, Hurricane. Da quello che ho letto dovresti essere il migliore dei soldati dell’Asset, ma è stato fin troppo facile finora… mi sto quasi annoiando… - continuò, avvicinandosi al ragazzo e facendo per colpirlo con un letale pugno, dovendosi però gettare a terra per evitare una raffica di proiettili.

- Diego, stai bene?! – chiese allarmato Axel, posizionandosi immediatamente davanti al ragazzo ed esplodendo una seconda raffica verso Drake, che attivò rapido lo scudo della sua tuta, bloccando i proiettili.

- Questo qua è un mostro… - disse Diego, ansimando mentre veniva aiutato a rialzarsi.

- Non possiamo abbassare la guardia, sa il fatto suo… - confermò il generale, gettando il fucile a terra. – Ho finito i caricatori, merda…

- Il generale delle KSK è tornato! Ah, finalmente si fa sul serio, cazzo! – esclamò Drake eccitato, saltellando sul posto e scrollandosi le spalle.

- Ce la fai a combattere? – chiese Axel a Diego.

- Sì. – rispose il ragazzo, stirandosi ogni muscolo del corpo e aumentando l’intensità del potenziamento.

- Bene allora, muoviamoci. A tutti gli uomini, priorità alla salvaguardia dell’aereo! L’esercito sta arrivando a darci man forte! – ordinò il generale, scattando poi verso Drake, seguito subito dietro da Diego.

- Professore, può procedere. – si limitò a dire il marine, premendo il pulsante sul suo bracciale e preparandosi allo scontro.
 
 
 
Queen City, Washington Road, nello stesso momento.
 
Roy e Aren erano immobili, l’uno di fronte all’altro, entrambi in posizione da combattimento.
Si osservavano, studiandosi a vicenda i particolari delle due tute tecnologiche che avevano addosso, attendendo che l’altro si muovesse per primo.
Il biondo sentiva il cuore battere a mille, carico di una quantità esagerata di adrenalina. Aveva paura. Era consapevole della potenza del Void, e ne aveva paura.
Esitò un secondo, per poi scagliare a tradimento un’onda cinetica verso l’avversario, costringendolo ad arretrare per schivare il colpo. In risposta, Aren gli lanciò contro due saette incandescenti, colpendolo con una al braccio sinistro.
 
- Aaah! – gridò quello dalle iridi smeraldine, incassando duramente la scossa. Il suo corpo rigenerò immediatamente i tessuti sotto la tuta, facendogli passare subito il dolore.
 
Roy iniziò a caricare energia nelle gambe, rilasciandola in un’onda che partì dai suoi piedi, facendolo propellere in avanti a velocità esagerata. Aren non ebbe il tempo di reagire, dovendo subire così un devastante pugno potenziato da un’ulteriore onda cinetica, che il biondo aveva caricato subito dopo la prima, venendo così scaraventato contro un’auto.
 
- ROY, CONFETTO! – gridò Blaze, avvisando l’amico e lanciando una granata verso l’auto.
 
Il biondo si spostò rapidamente, evitando l’esplosione e prendendosi un secondo per respirare. Nel mentre Blaze aveva ricaricato il fucile, pronto a dare supporto all’amico.
Aren uscì sparato dalla nube generata dall’esplosione, con scariche elettriche che gli pervadevano tutto il corpo. Si gettò aggressivamente contro Roy, iniziando a sferrare una serie di calci e pugni ad alta velocità, cambiando stile ogni tre colpi. Roy parò a fatica i primi colpi, non riuscendo a definire completamente lo schema avversario, adattandosi però a velocità sorprendente, finendo per contrattaccare con colpi altrettanto rapidi e mirati.
Improvvisamente, Aren iniziò a caricare i propri colpi con delle scariche elettriche, riuscendo a infliggere danni costanti all’avversario, che nonostante la parata era costretto l’influenza dell’estremo voltaggio. Roy si allontanò momentaneamente, venendo coperto dalla raffica di proiettili di Blaze che gli diede il tempo di riprendersi.
 
- L’energia elettrica gli sta dando un vantaggio esagerato… Mi colpisce anche se paro i suoi colpi, e la tuta non riesce a proteggermi completamente da tutto quel voltaggio… - disse a Blaze, senza distogliere lo sguardo da Aren.

- Io lo tengo occupato, tu gli usi contro tutto quello che hai? – gli propose il castano.

- Andata. – annuì, iniziando a caricare un’elevata quantità di energia in tutto il suo corpo.
 
Blaze iniziò a lanciare diverse granate contro l’avversario, costringendolo a muoversi in una zona aperta. Aren non ebbe scelta se non quella di posizionarsi esattamente dove Blaze lo voleva portare, vedendo investito da un raggio incandescente che gli ustionò completamente la spalla destra.
 
- Gaaaaaaah! – gridò atrocemente, gettandosi dietro un enorme SUV, contorcendosi dal dolore in attesa che l’Infecta gli rigenerasse i tessuti.

- Blaze! – gridò Roy, facendogli segno di lanciare un’altra granata.
 
Il castano lanciò l’esplosivo verso la parte destra del veicolo, intenzionato a stanare il nemico, costringendolo a esporsi a Roy.
L’ordigno esplose, forzando Aren a gettarsi indietro per non doversi scoprire, essendo ancora ferito. Roy non perse tempo e scagliò diversi proiettili cinetici verso il veicolo, nel tentativo di impedire il recupero dell’avversario.
 
- Professore, Drake, sbrigatevi a fare quel cazzo che dovete fare! Qua rischio di dovermi ritirare! – gridò il giovane, stringendo i denti dal dolore durante la rigenerazione.
 
Appena sentì il corpo pronto a riprendere lo scontro, Aren si gettò di lato, scagliando una folgore su una macchina accanto a Roy, facendola esplodere e danneggiando il biondo. Senza esitare si diresse poi rapido verso Blaze, tentando di colpirlo con un calcio. Egli schivò il colpo, rotolando all’indietro ed estraendo una pistola dalla fodera che teneva nascosta sulla schiena, esplodendo poi due colpi nella sua direzione.
Aren neutralizzò i due proiettili con due scariche elettriche, facendo per scagliare una terza carica su Blaze, venendo interrotto da un’onda cinetica che lo obbligò ad abbandonare la posizione.
 


Queen City, Aeroporto, nello stesso momento.
 
Axel e Diego sferravano calci coordinati contro Drake che, dinamicamente, riusciva a pararli e a guadagnarsi lo spazio per i contrattacchi. I due soldati tedeschi non gli davano tregua, continuando a colpirlo seguendo la tattica “Hyena”, una strategia messa a punto dai due durante una missione a Berlino.
Drake bloccava ogni singolo colpo, rispondendo con la sua elevata forza fisica e costringendo i due avversari a prendere le distanze.
 
- Mamma… cosa sta succedendo?! – chiese Emil alla donna, spaventato dagli spari e dai rumori all’esterno.

- Non lo so, amore, ma dobbiamo assolutamente rimanere qua dentro. Andrà tutto bene, ok? – cercò di rassicurarlo lei, stringendolo a sé. “Roy, Aiden… dove siete?!” pensò poi, temendo il peggio.
 
Improvvisamente, un forte urto scosse l’intero aereo, terrorizzando madre e figlio.
 
- Che è stato?! – gridò Emil, consumato dalla tensione.
 
Il tetto dell’aereo venne sradicato, permettendo l’ingresso in cabina di due agenti dell’Ægis modificati dal progetto Legion, che subito eliminarono le guardie armate all’interno e si avvicinarono ai due passeggeri.
 
Axel chiamò il colonnello dell’esercito incaricato di fornire supporto.

- Colonnello Trevis, dove cazzo sono i rinforzi!? La situazione qua è critica! – il suo tono di voce era quasi disperato.

- Signore, si sono verificati attacchi terroristici in tutta la città. L’Esercito ha dovuto distribuire le forze… la città è a ferro e fuoco!

- Merda! – imprecò il generale, voltandosi verso Drake, che nel mentre era scoppiato a ridere.

- Sorpresa! Pensavi veramente che avremmo attaccato senza un diversivo?

- Cosa volete?!

- Per farla breve, eliminarvi. Ah, giusto, ci stiamo presi il Professor Steinberg e ora ci prendendo una piccola garanzia, giusto per tenervi buoni… - rispose l’uomo di colore, volgendo lo sguardo all’aeroplano.
 
Axel e Hurricane si voltarono di scatto verso l’aeroplano, notando con sgomento Emil ed Erica che venivano trascinati fuori dal velivolo. D’istinto, Axel fece per scattare verso di loro, venendo però bloccato da un calcio di Drake, che aveva approfittato del momento di distrazione per colpire l’avversario. Il generale schivò, trovandosi costretto a combattere.
 
- Diego, vai ad aiutarli, veloce!  - gridò al ragazzo, vedendolo massimizzare il potenziamento dei moduli Hurricane e scattare verso l’aereo.
 
Il generale sferrò due pugni contro Drake, che li bloccò e si riportò al comando del combattimento. I due continuarono uno scambio violento di colpi, incrociando braccia e gambe in una danza mortale.
Diego era riuscito a raggiungere i due agenti modificati, sferrando un colpo che staccò la testa a quello che stava trascinando Erica. In quell’esatto istante, Drake si liberò di Axel, lanciandolo a terra con un calcio e attivando un dispositivo situato nel pettorale della sua tuta.
Un impulso elettromagnetico ad altissima frequenza si propagò per tutto l’aeroporto, giungendo fino a Hurricane e facendogli tirare un grido atroce e facendolo istantaneamente crollare a terra.
Senza perdere tempo, il secondo agente modificato afferrò Emil, bloccandolo e ritirandosi dal combattimento., svanendo, seguito dall’intera legione rimasta in vita, abbandonando in massa l’aeroporto.
 
- MAMMA! – gridò in lacrime il ragazzino.

- Emil, no! – urlò la donna, vedendo il figlio svanire in quella spaventosa orda.
 
Dopo aver utilizzato il dispositivo, la tuta di Drake si bloccò completamente, impedendogli qualsiasi movimento.
Alla vista del corpo di Diego a terra, Axel sentì un istinto omicida pervadergli il corpo. Si voltò verso Drake con lo sguardo carico di un odio profondo, di disperazione e dolorose lacrime.
 
“Aren, ragazzo, prenditi cura di Diana in questo nuovo mondo” pensò Drake, con un amaro sorriso sulle labbra. - Game over, Asset… hahahahaha! – furono queste le ultime parole del marine, prima che una furia di fendenti e affondi non lo fecero a brandelli, lasciandolo cadere a terra privo di vita e col corpo completamente lacerato.
 
Axel si avvicinò al corpo esanime di Diego, inginocchiandosi e poggiandogli la testa sul petto. Una scia di lacrime gli bagnò le guance, mentre un dolore incontenibile iniziò a stringergli il cuore in una morsa di spine. La desolazione dell’aeroporto gli riportò alla memoria il giorno in cui lo aveva trovato in fin di vita in uno dei tanti palazzi di Berlino, coperto di sangue e con ferite fatali su ogni parte del corpo.
L’aria gli bruciava nei polmoni, alimentando la fiamma di dolore che lo stava consumando. Non una singola parola riusciva a uscire dalla sua bocca.
Accanto a lui, Erica guardava incredula la scena, con le lacrime agli occhi, ibernate dal terrore che provava alla vista del corpo di Diego, dello scenario apocalittico di quell’aeroporto trasformato in un campo di battaglia, dal pensiero che l’Ægis avesse suo figlio.

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Queen City, Washington Road, pochi attimi dopo l’assalto.
 
Aren sedeva ansimante, nascosto dietro il tronco di una grossa palma ai lati della strada. Il suo corpo era pervaso dall’adrenalina, l’energia dell’Infecta gli pulsava nelle braccia, pareva come una bestia ingabbiata che si dimenava per liberarsi.
Aveva perso la visuale sugli avversari, che nel mentre si erano posizionati ai lati, senza perdersi di vista l’uno con l’altro, pronti a sferrare un attacco combinato.
Roy fece cenno con la mano a Blaze di lanciare una granata, mentre caricando le sue gambe con dell’energia spiccò un salto verso il lato sinistro della palma.
Aren fu costretto a gettarsi allo scoperta per proteggersi dall’esplosione, finendo dritto nel raggio d’azione del biondo, che non perse tempo e gli sferrò un letale pugno in volto. Il pupillo dell’Ægis finì a terra con la mascella rotta, in preda a un lancinante dolore che venne condensato in un atroce urlo.
Roy nel frattempo si stava avvicinando al nemico con i pugni serrati e carichi d’energia. Non aveva intenzione di ucciderlo, ma avrebbe fatto di tutto per renderlo innocuo e poterlo catturare.
 
“Aren, ritirati!” Sentì il ragazzo dall’auricolare della tuta. Raccogliendo tutte le sue energie e concentrandosi per ignorare il terrificante dolore, scaricò una saetta colossale verso Roy, attivando il comando remoto della tuta e saltando fulmineo sulla moto che subito era apparsa dal lato della strada, abbandonando il campo di battaglia.
 
- Blaze, fermalo! – gridò il biondo, cercando di rialzarsi dopo aver incassato il colpo.
 
Blaze tentò di bloccare la fuga dell’avversario con una scarica di proiettili, invano, gettando poi il fucile a terra in preda all’ira. Corse poi subito ad aiutare l’amico a rialzarsi.
 
- Ce lo avevamo in pugno, cazzo! – gridò nuovamente, sbattendo un pugno sul cofano di una macchina.
 
- Che cazzo di potenza aveva… - ansimò il biondo, appoggiandosi all’amico per riprendere fiato. – Dobbiamo andare subito all’aeroporto! – disse poi, facendo cenno a Blaze di salire nella Jeep, che nel mentre aveva rimesso in piedi.
 
Il ragazzo spinse al massimo il suo bolide, guidando per le strade infuocate di una devastata città ormai composta da macchine carbonizzate, vetrine distrutte e cadaveri di civili e militari sparsi ovunque.
 
- Ma che cazzo è successo?! – esclamò incredulo il castano, guardando la distruzione attorno a loro.
 
- Hanno distrutto tutto… - le parole di Roy erano spente, strozzate dall’assenza di fiato che quell’aberrante visione gli stava procurando.
 
Il biondo svoltò rapidamente gli ultimi due incroci, sfondando le barricate della pista dell’aeroporto con un’onda cinetica, portando poi il veicolo dai soldati dell’Asset.
I due ragazzi scesero immediatamente dalla macchina, correndo verso gli alleati. La preoccupazione dei due divenne terrore, quando avvicinandosi poterono notare il corpo di Hurricane a terra, privo di vita, e quello di Axel chino su di lui. I due rallentarono progressivamente il passo, arrivando a fermarsi di fronte al compagno caduto. Blaze s’inginocchiò accanto ad Axel, posando una mano tremante sul petto di Hurricane.
Erica sentì il fiato mancarle alla vista del figlio, scattando verso di lui e abbracciandolo, scoppiando in lacrime. Il biondo afferrò la madre, stringendola a sé come se stesse stringendo la propria vita.
 
- Roy… hanno… hanno preso Emil… - mormorò a fatica la donna. A quelle parole, Roy sentì il cuore venir schiacciato da una morsa spinata, invisibile e dolorosa.
- Hanno preso anche papà… - disse con un filo di voce, voce carica di rabbia, rimorso e dolore.
 
 
Queen City, Base Ægis più tardi lo stesso giorno.
 
Aiden sedeva in un angolo della stanza, in completo silenzio, tremante.
La situazione era assurda: Simon, il suo amico di sempre lo aveva tradito, colpendolo al cuore come una letale e dolorosa freccia.
Aveva paura, l’uomo, mentre pensava alla propria famiglia. Aveva paura che fossero tutti morti, uccisi dall’uomo di cui si era fidato ciecamente.
Il silenzio venne improvvisamente interrotto dal rumore delle porte, rumore che precedette l’ingresso nella stanza di uno degli agenti dell’Ægis potenziati. Questo lasciò cadere Emil a terra, abbandonando poi la stanza così come era entrato.
 
- Ahi… - gemette il ragazzino, premendosi sulla spalla.
 
Aiden non volle credere a ciò che stava vedendo. In lui si scatenò un miscuglio di emozioni: un primo sollievo nel vedere il figlio sano e salvo venne macchiato da un terrore incontenibile. Simon aveva messo le mani pure su di lui.
 
- Emil! Mio Dio, stai bene… - le parole del professore erano cariche di preoccupazione e sollievo allo stesso tempo.
 
- Papà, papà!!! – Emil corse ad abbracciare il padre, stringendolo più forte che poteva e cadendo in un pianto disperato. – Che cosa sta succedendo, papà?! – chiese, singhiozzando senza alleviare la presa sul padre.
 
- Non so come spiegartelo, cucciolo mio… Non so veramente come spiegartelo… - rispose addolorato l’uomo, poggiando una mano sulla spalla del figlio, mentre con l’altra lo aiutava ad asciugarsi le lacrime. – Emil, cosa è successo all’aeroporto?! – gli chiese poi, attendendo una risposta, quasi impaziente.
 
- Siamo atterrati con l’aereo e… - singhiozzò nuovamente. – All’improvviso il tetto dell’aereo è saltato via e due di quei tizi hanno preso me e mamma… - il ragazzino tirò su col naso. – Un soldato coi capelli blu è venuto ad aiutarci, ma dopo aver salvato la mamma è… morto… - ricominciò a piangere.
 
Ad Aiden si congelò il sangue nelle vene. – Hurricane… - mormorò, impallidendo e stringendo nuovamente il figlio
 
- Dove siamo…?
 
- Siamo stati catturati da dei terroristi. – rispose secco l’uomo.
 
- T-Terroristi?! – le lacrime del ragazzino non smettevano di scendergli dalle guance.
 
- Ascoltami bene, Emil, cercherò di spiegarti cosa è successo. Seguimi, ok? – il piccolo annuì. – Due anni fa è successo un incidente nel mio laboratorio: uno di questi terroristi ha cercato di rubare una mia ricerca, ma tuo fratello è riuscito a difenderla. Questa ricerca, tuttavia, è esplosa assieme al laboratorio, fondendosi col corpo di Roy e salvandogli la vita. – Emil sobbalzò.
 
- Roy…
 
- Da quel giorno Roy ha sviluppato degli strani poteri e questi terroristi hanno fatto di tutto per rubarglieli. Non sono riusciti a rubarli, ma sono riusciti a copiarli, e adesso hanno bisogno di me per completare il loro obbiettivo.
 
- Ma che spiegazione incredibilmente accurata che ha fatto, Professor Steinberg. – la voce di Niklas interruppe il discorso del biondo.
 
L’uomo si mise immediatamente davanti al figlio per difenderlo, stringendo denti e pugni.
 
- Gunnarson! – esclamò Aiden con cattiveria.
 
- Sono passati anni dall’ultima volta che ci siamo visti di persona. Vero, Professore? – il tono del giovane scienziato era impregnato di una nota provocatoria.
 
- Perché ti sei unito all’Ægis?! Perché usare il tuo incredibile talento per loro?! – chiese il biondo, con una delusione percepibile nelle sue parole.
 
- Per loro? Oh no, non mi fraintenda, io non credo nell’utopia di Simon Wolf. Quello che faccio è puramente per me stesso, nonostante io provi un enorme rispetto per quell’uomo. Lui è uno con le palle, Steinberg. Mi ha offerto tutto ciò di cui avevo bisogno per saziare la mia fame, e lo ha fatto senza pormi alcun limite, a differenza della nostra cara comunità scientifica.
 
- Tutto questo perché non ti lasciavano sperimentare sugli umani?! È una follia, Gunnarson!
 
- Lo so, ed è proprio la follia che permette all’uomo di compiere le sue più grandi imprese! – delirò Niklas, ridendo istericamente. - È un piacere fare la tua conoscenza, comunque. Emil, giusto? – si rivolse poi al ragazzino, guardandolo con uno sguardo malato, totalmente folle.
 
- Stai lontano da lui, è di me che hai bisogno. – lo minacciò Aiden, portando il figlio indietro con una mano.
 
- Non si preoccupi, non faremo nulla al ragazzo, sempre che Lei faccia il bravo e ascolti i miei ordini.
 
- Cosa volete da me?
 
- L’Infecta, il mio bambino... è la mia più grande creazione, ma è incompleta e per quanto cazzo possa rodermi, devo ammettere che non ho le conoscenze sufficienti a completarlo.
 
- Non sei riuscito a rendere disponibili tutte le forme di energia, vero? – Aiden sorrise involontariamente, innervosendo Gunnarson.
 
- Vedo che è già a conoscenza del mio problema, bene. Ha quarantotto ore per risolverlo, altrimenti mi vedrò costretto a trasformare Suo figlio in un giocattolo con cui sfogarmi… - le parole del giovane scienziato erano ora colme di fastidio e cattiveria. – Mi aspetto tanto da Lei, Professore. – disse infine, abbandonando la stanza.
 
- Figlio di puttana… - Aiden sbatté un pugno contro uno dei mobili della stanza, voltandosi verso il figlio. – Emil, cucciolo mio, non ti succederà nulla. Te lo prometto. – lo rassicurò, spostandosi poi sull’unica postazione di lavoro presente nella stanza.
 
- Cosa facciamo adesso, papà? – chiese il ragazzino, ancora scosso dalla situazione.
 
- Farò quello che mi ha chiesto.
- Ma papà, loro sono terroristi, se li aiuti poi… - venne subito interrotto dal padre.
 
- La tua vita è più importante della mia ricerca, Emil! – gridò, guardandolo negli occhi con sguardo carico di confidenza. “Non ti preoccupare, cucciolo, cercherò di guadagnare tempo per farti scappare.” pensò nel mentre l’uomo, guardandosi discretamente attorno per identificare la possibile posizione delle telecamere e premendo il proprio polso per una manciata di secondi.
 
L’uomo passò tre ore ad analizzare i dati elaborati da Niklas Gunnarson, potendo così mettere le mani sul famigerato Progetto Infecta. Rimase esterrefatto dalla perfezione di quella ricerca. I dati rappresentavano esattamente la sostanza che lui stesso aveva faticato a comprendere, le sue proprietà, i suoi effetti, i suoi misteri.
Agli occhi attenti del professore non sfuggirono due importanti particolari: due numeri, la falla nel progetto di Niklas Gunnarson che solo lui poteva rendere perfetta, la falla che avrebbe salvato la vita di suo figlio.
Iniziò a scorrere con lo sguardo le serie di dati sul monitor, appuntandosi velocemente formule, parole, numeri, ed eseguendo rapidi calcoli. Senza accorgersene, faceva scappare qualche parola, pensando ad alta voce, a volte imprecava, altre volte esultava.
Emil non smise di guardare l’uomo, ammaliato dalla sua dedizione, dall’immensità della sua mente e dalla scintilla nei suoi occhi. Aveva sempre ammirato suo padre, nonostante egli fosse praticamente assente nella sua vita. Molti lo elogiavano, quasi idolatravano per ciò che aveva portato all’umanità, e questo dava fastidio a Emil. Nonostante il poco tempo che aveva passato assieme a lui, il ragazzino sapeva com’era suo padre: una persona umile, una persona che era disposta a sacrificarsi per il bene del prossimo.
Le aspettative in Emil erano tante, quasi troppe per un ragazzo della sua età, ma lui era diverso da Roy, a lui non importava ciò che gli altri pensavano o volevano. Emil sapeva che non sarebbe mai stato come suo padre o come suo fratello, e nemmeno voleva essere come loro. I suoi interessi erano altri, e sarebbe stato disposto a fare di tutto per imporre i propri interessi nella sua vita.
Emil però sentiva mancare in lui una cosa che ammirava del padre e del fratello: la passione. Nella sua vita difficilmente si era mai appassionato a qualcosa di diverso dalla lettura, solitamente era la noia quella che prendeva il sopravvento, facendolo stancare di qualsiasi cosa. Guardare il padre lavorare per salvargli la vita, gli fece scoccare una scintilla: voleva vederlo lavorare ancora, e ancora, al suo fianco, al fianco di Roy e di sua madre.
I pensieri del ragazzo volarono effimeri mentre il sonno e la stanchezza, dovuti a tutti quegli avvenimenti ed emozioni stringevano il loro tiepido abbraccio su di lui, e senza accorgersene eccolo addormentato su di uno dei divanetti bianchi della stanza.  
 
Queen City, Base Ægis, sala privata di Simon.
 
Simon girava una pedina dello scacchi fra le dita, il re nero, sorridendo mentre si perdeva nel vuoto con lo sguardo. Il suo corpo era pervaso da un’impazienza quasi incontenibile, ogni tassello era al suo posto, nulla avrebbe più potuto fermarlo.
Conosceva Aiden Steinberg troppo bene: sapeva che avrebbe posto la vita di suo figlio di fronte a qualsiasi altra cosa e sapeva che l’Infecta sarebbe stato ultimato quel giorno.
C’era tuttavia un’altra persona che conosceva molto bene, di cui ne conosceva i sentimenti e come reagiva a essi. Posò il pezzo dello scacchi nuovamente sulla tastiera, nell’esatto momento in cui le porte del suo salone non si spalancarono, colpite dalla furia di Aren. Le iridi criogeniche di Simon si posarono su quelle azzurre del ragazzo.
 
- DOV’È DRAKE?! – sbraitò Aren, con una rabbia primordiale che gli pulsava nelle vene.
 
Simon non rispose, ma si limitò ad afferrare uno degli alfieri neri, mostrandolo al ragazzo e posizionandolo poi vicino al re bianco.
 
- DOV’È?! – chiese di nuovo, avvicinandosi alla scrivania dell’uomo e scaraventando sul muro la scacchiera.
 
- È morto, Aren. Ha sacrificato la sua vita per permetterci di coronare il nostro sogno. – rispose risoluto Simon, senza levare il suo sguardo dalle iridi del ragazzo.
 
- No… non si è sacrificato… TU LO HAI SACRIFICATO! NON MENTIRE A TE STESSO, SIMON… TU LO HAI SACRIFICATO!
 
- Drake è morto! – gridò, alzandosi all’improvviso e sbattendo le mani sul tavolo, facendo spaventare il ragazzo. – È morto, Aren, e che cosa ci puoi fare adesso, eh? – disse con tono più calmo e affilato, avvicinandosi a lui. Aren sentì il fiato mancargli.
 
- Perché… lo hai lasciato morire?
 
- La decisione di morire è stata sua. È stata sua la decisione di attivare l’EMP della sua tuta, sapeva benissimo cosa sarebbe successo dopo. Che… ipocrita sarei stato se mi fossi opposto alla sua decisone? Lui ha deciso di dare la vita per me, per noi, per il nostro sogno. Mai sarei stato in grado di oppormi.
 
- Non ha avuto scelta, Aren, è inutile piangersi addosso… - rigirò il coltello nella piaga Niklas, facendo il suo ingresso nella sala, seguito da Diana.
 
Aren sentì un istinto omicida pervadergli la mente, il cuore, le mani. Lanciò una scarica sul muro, facendo esplodere i vetri della stanza, per poi avvicinarsi allo scienziato, con gli occhi brillanti di un blu elettrico e il corpo pervaso da scariche elettriche.
- Era tutto un tuo piano vero…? Hai fatto tu in modo che Drake dovesse sacrificarsi…
 
- La rabbia è l’unico sentimento umano che può accumularsi all’infinito. La rabbia si diffonde in ogni neurone del cervello, come una macchia d’inchiostro in acqua. Rilascia dei segnali, annebbia ogni funzione volta al ragionamento, apre le porte della mente a quello che ingenuamente viene chiamato istinto…
 
- FINISCILA CON QUESTE STRONZATE! – gridò il ragazzo, afferrando il professore per il collo.
 
- Vedi…
 
- Dammi un motivo per non ucciderti qua e ora. – ordinò secco Aren.
 
- Uccidimi se vuoi, non m’importa di morire… anche perché… io non posso morire! Ahahahahahaha! – delirò Gunnarson, scoppiando in una risata isterica, inquietante. – ANCHE SE MI UCCIDI NON POTRAI RIPORTARE IN VITA DRAKE! – urlò infine, prima che la sua testa fu fatta esplodere da una scarica elettrica.
 
Il sangue macchiò l’intera sala, sporcando anche Simon e il suo vestito bianco, che senza il minimo tentennamento si avvicinò al ragazzo. L’uomo si pulì il sangue dal viso, trafiggendo il castano con il suo affilato sguardo. Aren ansimava, il suo corpo tremava dall’ancora presente rabbia, le sue mani non riuscivano a rimanere ferme.
 
- Sono deluso, Aren. – l’uomo distolse lo sguardo dal ragazzo e si incamminò verso la porta. – Non tollererò un’altra mancanza di disciplina. Tu farai ciò che ti dirò di fare, qualsiasi cosa sia e ne accetterai le conseguenze, qualsiasi esse siano. – disse poi, accendendosi una sigaretta. – Come stanno i nostri ospiti, Niklas? – chiese infine, scatenando al solo pronunciare quel nome un innato terrore in Aren e Diana.
 
- I nostri ospiti stanno bene, Simon, ma non si può dire lo stesso di me… - un uomo si avvicinò al comandante dell’Ægis. Il volto era completamente diverso da quello di Niklas Gunnarson, così come la voce, e l’aspetto fisico. Tuttavia, il modo di parlare e le sue movenze erano identiche. – Guarda come mi hai ridotto… ahahahahaha! La mente umana è così… prevedibile! – delirò l’uomo.
 
- Come… - la voce di Diana fece fatica a uscire dalla sua bocca.
 
- È molto semplice… - questa volta fu una donna a parlare, avvicinatasi all’uomo senza che nessuno se ne accorgesse. – L’uomo è limitato da un’unica cosa… - ora era un’altra donna a parlare, più anziana. – Un’unica cosa: sé stesso. – ora un bambino.
 
Aren e Diana guardavano quelle persone confusi, terrorizzati. Lei si avvicinò al castano, stringendogli il braccio mentre lui la portava a sé con l’altro.
 
- Niklas Gunnarson non accetta limiti, ed è per questo che ho smesso di essere me stesso e ho iniziato a essere qualcosa di più grande! – un ultimo uomo si aggiunse al gruppo di fronte ai due. – Quella che noi chiamiamo coscienza non è che un algoritmo, un disegno matematico complesso, fatto di legami, reazioni, segnali. Ho decodificato l’algoritmo della mia coscienza e l’ho impiantato in diversi corpi e macchine. Ora non sono più un singolo individuo, ora sono diventato qualcosa di superiore, qualcosa di non più umano…
 
- Niklas. – lo chiamò secco Simon.
 
- Oh, giusto. Perdonami Simon, mi stavo perdendo… Se volete scusarci, ora abbiamo una cosa da ultimare… haha! – dissero i nuovi corpi del professore all’unisono. – Ah, e un’ultima cosa, Aren… Simon è stato troppo clemente… se ti intrometterai un’altra volta ti strapperò il cuore dal petto, con le mie mani… le nostre mani… - ammonì infine il ragazzo, seguendo il comandante dell’Ægis fuori dalla sala.
 
 
Queen City, Base Operativa dell’Asset, la stessa sera.
 
Roy sedeva a capotavola dell’enorme tavolo della sala riunioni dell’Asset, con le mani intrecciate a sorreggergli la testa e lo sguardo perso nel vuoto. La rabbia in lui era diventata quasi incontenibile, il suo respiro era lento e il suo occhio sinistro brillava incandescente.
Erica guardava silenziosa il figlio, non riuscendo a trattenere delle amare lacrime, che anch’esse silenziose, le bagnavano il volto.
Una raccapricciante quiete era calata fra i presenti, quasi apposta per alimentare il dolore negli animi di tutti.
 
- Tu sapevi tutto fin dall’inizio, vero?! – chiese il biondo, con parole affilate e tono acido.
 
- Roy, non potevo…
 
- Non potevi cosa, mamma? Non potevi dirci che stavi a capo di coloro che ci hanno protetto in questi anni?! Non potevi dirci che già sapevi ogni cosa di questo Void del cazzo?! Hanno preso papà, hanno preso Emil, cazzo, e tu non ci hai detto niente! -gridò il ragazzo, sbattendo violentemente le mani sul tavolo e alzandosi di scatto, facendo cadere la sedia.
 
- Roy, ti prego…
 
- Non so più cosa fare, mamma… N-non so più cosa fare… - Roy crollò a terra, con le lacrime agli occhi. Era disperato, frustrato, demolito dalla situazione.
 
- Steinberg! – Axel si avvicinò al ragazzo, prendendolo per la tuta e alzandolo con forza, sbattendolo poi al muro. – Ho perso la persona a me più cara a sto cazzo di mondo… ma tuo padre e tuo fratello sono ancora vivi… COME OSI ABBANDONARTI ALLA DISPERAZIONE COSÌ, EH?! TU SEI IL MIGLIORE DI NOI, TU SEI L’UNICA SPERANZA CHE ABBIAMO DI DISTRUGGERE QUEI FIGLI DI PUTTANA. NON ACCETTO DI VEDERTI IN QUESTO STATO! – la furia del generale fece saltare il cuore in gola al ragazzo, bloccandogli istantaneamente il flusso di lacrime.
 
- I-Io…
 
- Abbiamo bisogno di te, Steinberg. Abbiamo bisogno di tutta la risolutezza possibile. – disse Axel, tornando gradualmente al suo solito tono. – Tuo padre aveva sicuramente pensato a un’eventualità di questo genere, tu lo conosci meglio di chiunque altro.
 
- Hai ragione… - disse, tornando in sé e asciugandosi gli occhi con la mano e tornando a sedersi. – Sicuramente aveva previsto che sarebbe potuta andare così, ma come… - improvvisamente al biondo venne un’illuminazione. Si alzò di scatto e si diresse al terminale più vicino.
 
- Che succede Roy? – chiese preoccupato Blaze.
 
- Prima di ultimare la tuta, papà aveva concluso un’altra sua ricerca…
 
- Che ricerca? – chiese Erica, calmandosi leggermente.
 
- Un segnalatore. – rispose rapido il ragazzo, digitando un codice nella barra di ricerca del database. – Eccolo! È un segnalatore biologico, emette onde radio a bassa frequenza, risultando invisibile a qualsiasi tipo di metal detector e radar. – Indicò un punto sulla mappa della città che era comparsa sul grande schermo olografico al centro della sala. – Papà si trova qui, secondo il suo segnalatore.
 
- Felter, che zona è?
 
- Si trova nella periferia a est della città, il vecchio quartiere industriale. Non dovremmo avere problemi a raggiungerlo. – rispose Blaze, studiando la zona dallo schermo del suo bracciale. - La città però è mezza distrutta, non riusciremo mai ad avere abbastanza soldati per combattere l’Ægis e i loro zombie del cazzo…
 
- Non servirà. – rispose secco Roy. – Le squadre del Generale Klein saranno sufficienti a coprire il mio ingresso nella loro base.
 
- E come farai con quel tizio con l’altro Void? – chiese il castano.
 
- Lo abbiamo già sconfitto, e soprattutto non ho usato il potere del Void al massimo. Mi spingerò all’estremo, non mi importa. Io voglio tirare fuori mio padre e mio fratello da lì.
 
- Ricordati che potrebbero avere altri soldati col Void, Steinberg, non possiamo permetterci di agire senza un piano. – lo invitò a ragionare Axel.
 
- Secondo me invece un All In potrebbe funzionare… - disse Blaze, mostrando ai presenti una planimetria della base dell’Ægis che nel mentre aveva recuperato da un database privato. – Ci sono tre ingressi: uno che si affaccia sulla piazza, l’altro più imboscato, in una strada laterale e l’ultimo è dall’enorme garage sotterraneo. Le squadre di Klein potrebbero tenere occupati gli zombie, attaccando dall’ingresso secondario e dal garage.
 
- Mi stai dicendo di andare a bussargli alla porta principale?! – chiese perplesso Roy.
 
- Non se lo aspetteranno. Mentre noi li distraiamo, tu entri di prepotenza col Void, fai casino, recuperi tuo padre e tuo fratello ed esci.
 
- Q!Questa strategia è una follia, Felter! Non potrà mai funzionare. – esclamò Klein, voltandosi verso il castano.
 
- Pensateci: loro devono assolutamente fermare Roy, ma Roy ha i mezzi per essere implacabile. Se dovessero concentrare tutte le forze su di lui, noi potremmo fare irruzione e liberare il Professore ed Emil. Se loro dovessero dividersi per occuparsi di entrambi i nostri gruppi, Roy avrebbe il passaggio spianato, e sicuramente loro non sarebbero in grado di fermare il Void alla sua massima potenza.
 
- Generale, per quanto assurdo possa suonare questo piano, sono dell’idea che forse potrebbe essere l’idea vincente.
 
Klein rimase in silenzio.
 
- Abbiamo altre alternative? – chiese Blaze.
 
- No, non ne abbiamo. – rispose il generale. – Va bene, Felter, seguiremo il tuo piano. Steinberg, entrerà dall’ingresso principale mentre noi faremo irruzione dagli altri due ingressi. L’obbiettivo è recuperare il Professore e il ragazzino, una volta recuperati dovremo ritirarci immediatamente. Saremo in svantaggio numerico, rimanere bloccati lì equivarrebbe alla nostra fine.
 
- Cercherò di causare più danni possibile dall’interno, per indebolirli, e una volta recuperati mio padre e mio fratello, tu coordinerai un attacco aereo, mamma. – disse alla donna, vedendola annuire.
 
- Vi guiderò dalla base utilizzando gli UAV e i satelliti. Una volta che sarete usciti avrete poco più di cinque minuti per abbandonare il luogo e dirigervi in una zona al di fuori del raggio dell’attacco aereo. Ve l’ho indicata sulla mappa. – disse la direttrice dell’Asset, ricevendo conferma visiva da tutti i presenti. – È la nostra unica occasione, conto su di voi.
  
- Sissignora! – risposero all’unisono i soldati, il biondo si limitò a sorridere.
 
- Roy… mi dispiace di avervi tenuto all’oscuro di tutto, volevo tenervi al sicuro, ma ho ottenuto l’esatto contrario… - disse poi al figlio, avvicinandosi e posandogli una mano sulla spalla. Lui la tirò a sé e la strinse in un abbraccio.
 
- Non avrei dovuto gridarti contro in quel modo… n-non sono riuscito a trattenere la rabbia che avevo in corpo… Non è colpa tua, ci siamo tutti fidati di Wolf e siamo caduti nella sua trappola.
 
- Mi sei mancato così tanto, mi siete mancati così tanto… e ora… rischiamo di perdere tutto…
 
- Non perderemo nulla, mamma. Non permetterò a quei bastardi di far del male a papà e a Emil, te lo prometto. A costo di ucciderli. – disse, stringendo il pugno.
 
La donna diede un bacio sulla fronte al figlio, stringendolo poi a sé e carezzandogli la chioma dorata. - Siamo nelle tue mani, Roy. – lo incoraggiò infine, vedendolo correre a prepararsi assieme agli altri soldati.

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


Base Ægis, laboratorio di Niklas Gunnarson, quella notte.
 
Aiden fissava terrorizzato il gruppo di persone di fronte a lui. Aveva capito perfettamente cosa fosse riuscito a fare Niklas Gunnarson, avendo anche potuto osservare i dati su quell’aberrazione di ricerca nel terminale da cui aveva lavorato all’Infecta. Una figura dietro quella massa fece però cambiare espressione dell’uomo, che da terrorizzata mutò ad addolorata e delusa: la figura di Simon.
Il comandante dell’Ægis si avvicinò al vecchio amico, fissandolo con le sue iridi criogeniche e rivolgendogli un mezzo sorriso.
 
- Aiden… - fece per parlare Simon.
 
Il biondo gli tirò un violento pugno in volto, arretrando e respirando molto lentamente, con un istinto omicida che gli brillava negli occhi. – Mi hai tradito… dopo tutto questo tempo… tu…
 
- È stato necessario, Aiden. Il mondo sta crollando ed io devo riportarlo in auge, devo donargli una nuova vita. – l’uomo si massaggiò la guancia, asciugandosi la goccia di sangue che gli era uscita dal labbro.
 
- Necessario un cazzo, Simon! Hai idea di quello che hai fatto?! Guardati attorno: hai distrutto mezza città, hai giocato con le vite di centinaia di persone, hai ucciso Andrea, il tuo cazzo di migliore amico! Tutto questo per cosa?!
 
- Per costruire un mondo migliore, Aiden, un mondo più giusto, un mondo senza povertà, fame e tutte le disgrazie dovute alla disparità di potere.
 
- Povertà, fame? Le stesse che pativano le povere persone che hai trasformato in zombie?!
 
- Erano già morti. La società li aveva abbandonati, non avrebbero avuto speranza. Io ho dato loro uno scopo.
 
- Tu sei pazzo, Simon…
 
- No, per niente. No... per niente… - Simon triò fuori dalla tasca un fazzoletto e si pulì le mani dal suo sangue. – Mi fa piacere che tu sia riuscito a risolvere il mio problema in così poco tempo, d’altronde non ci si poteva aspettare niente di meno dal geniale Aiden Steinberg, no? – lo provocò, vedendolo tremare per la rabbia. – Niklas, prepara la macchina. Voglio l’Infecta il prima possibile; ho come l’impressione che Roy e l’Asset non se ne staranno buoni ancora per molto… - ordinò poi, fissando con un sorriso le iridi azzurre di Aiden.
 
- Certamente, Simon, mi metto subito al lavoro. – rispose all’unisono il gruppo di persone dietro di lui, abbandonando la stanza.
 
- Molto bene, spero tu ti possa godere la permanenza, Simon. E non ti preoccupare, sono un uomo di parola, non vi verrà fatto nulla a te e al piccolo Emil.
 
- La tua parola ormai non vale più nulla per me, Simon… - il comandante dell’Ægis non mutò minimamente la sua espressione compiaciuta. – Roy verrà a liberarci, Simon, e credimi che né il tuo Infecta, né quello di quel ragazzo basteranno a fermarlo.
 
- Non sottovalutarmi, Aiden. – disse, sbuffando una risata e uscendo dalla stanza.
 
Aiden strinse i pugni, sbattendoli poi sulla scrivania a denti stretti. Avrebbe voluto saltare al collo dell’uomo e strangolarlo. Ripensò alle finte parole dette dopo la morte del Professor Del Forte, non riuscendo a trattenere una lacrima dalla tensione e dalla rabbia.
Avrai quello che meriti, Simon… te lo prometto…” pensò, mutando la sua espressione in un amaro sorriso di consolazione.
Il biondo si alzò poi dal tavolo, avvicinandosi a Emil, che era ancora intento a dormire sul divanetto. Nonostante l’accesa discussione il ragazzino non si era svegliato.
 
- Eri proprio distrutto eh…? – disse l’uomo, carezzando la chioma del figlio. – Ti porterò fuori da qua, Emil, ti porterò fuori… - il suo respiro si era fatto più rapido e ansimante.
 
La stanchezza riuscì a prendere il sopravvento sull’uomo nonostante il suo continuo cercare di non addormentarsi, facendolo scivolare seduto vicino al figlio, con la testa appoggiata a quella del ragazzino.
 
Base Ægis, stanza di Aren, qualche ora più tardi.
 
Aren camminava avanti e indietro per la stanza. Le mani gli tremavano dalla rabbia e il cuore gli batteva a mille. Sentiva in sé le scintille dell’Infecta ancora scorrergli nelle vene. Improvvisamente venne bloccato da Diana, che lo abbracciò da dietro, poggiando la testa sulla sua schiena.
 
- Aren… ti prego calmati… - lo pregò la ragazza, stringendogli il petto.
 
- Come posso calmarmi, Diana? Hai visto cosa ha fatto quel pazzo?! Ha lasciato morire Drake e poi… poi… - il ragazzo scoppiò in lacrime. Il dolore per aver perso il loro compagno era troppo anche per lui, che cercava di non mostrarsi mai debole di fronte a nulla.
 
- Fa male, lo so… nemmeno io voglio credere che sia morto… Ma non posso vederti ridotto così. Noi siamo meglio di quel pazzo bastardo, non possiamo farci calpestare così. – Aren si girò, guardando confuso ma al contempo sorpreso la sua donna.
 
- Che… intendi?  - chiese, asciugandosi le lacrime.
 
- Ha cambiato Simon, Aren, è colpa sua se si sta comportando così. È quell’uomo la causa di tutto questo, è quell’uomo che ha ucciso Drake ed è a causa sua che Simon non ha reagito. Ti ha minacciato, amore… e Simon non ha detto nulla! È chiaro che non è più in lui. Dobbiamo intervenire o ce lo porterà via definitivamente.
 
- Cosa vuoi fare? Hai visto anche tu cosa cazzo è diventato! Non possiamo più farlo fuori…
 
- Un modo ci sarebbe…
 
- A cosa stai pensando?
 
- Non a cosa, ma a chi. – Aren guardava confuso la donna, cercando di decifrare il suo sguardo provato dagli avvenimenti. All’improvviso una scintilla si accese nei suoi occhi: aveva capito dove voleva andare a parare Diana.
 
- Steinberg…
 
- Esatto. Solo lui è in grado di fermare quel mostro. – Negli occhi della fulva si poteva ora cogliere un lieve barlume.
 
- Come facciamo con Simon, però? Non ci lascerà mai avvicinare al Professore…
- La stanza in cui lo tengono rinchiuso è accessibile anche a noi. Ho controllato il livello di priorità richiesto ed è Alfa-4, noi abbiamo accesso fino ad Alfa-5.
 
- Entrare è un conto, ma non dobbiamo attirare l’attenzione di quel mostro…
 
- Dobbiamo provare, costi quel che costi! – la donna prese le mani del suo uomo, stringendole a sé.
 
- Sì! Ci riprenderemo Simon! – ricambiò lui, rubando poi un bacio alla donna.
 
 
 
Queen City, Base Ægis, piazzale esterno, la mattina seguente.
 
L’esterno della base dell’Ægis era invaso dai furgoni dell’Asset. I soldati, nel mentre, avevano costruito delle barricate tutt’attorno all’edificio, pronti a difendersi da una possibile risposta nemica.
Roy e Blaze sedevano nel furgone principale, ascoltando attentamente le parole del Generale Klein.
 
- Steinberg, tu farai irruzione da qui, mentre noi entreremo dal garage sotterraneo e dal tetto dell’edificio. Li spingeremo a dividere le forze e, qualunque cosa succeda, non fermare l’assalto. Tira giù tutto se necessario, l’importante è recuperare tuo padre. Forza, non perdiamo tempo!
 
- Sissignore! – rispose carico il biondo.
 
- Andiamo a fare il culo a quei bastardi! – gridò esaltato Blaze, caricando il fucile e indossando l’elmetto e la maschera.
 
Roy si mise davanti all’ingresso principale, attendendo che tutti i soldati di Klein e Blaze fossero in posizione. La pupilla sinistra si illuminò, incandescente, prima di venire coperta dall’elmo della tuta; il corpo del ragazzo iniziò a pulsare, caricandosi di energia.
Al segnale di Klein, sfondò le porte con un’onda cinetica, iniziando a correre lungo il corridoio, seguendo il percorso tracciato dal drone della tuta.
L’esplosione fu udibile in tutta la struttura. Simon, che nel mentre era sdraiato nella capsula della macchina del professor Gunnarson, fece una smorfia infastidita, guardando negli occhi una delle tante persone di Niklas. Egli annuì, mobilitando l’intero progetto Legion.
Negli occhi di Aiden, invece, si accese una scintilla. Il segnalatore che aveva nel polso aveva reagito alla presenza della tuta di Roy nell’edificio. In quell’esatto momento, Aren e Diana fecero ingresso nella stanza di Aiden ed Emil.
 
- C-che cosa volete?! – gridò terrorizzato il biondo, mettendosi davanti al figlio per difenderlo.
 
- Non siamo qua per farle del male. Abbiamo bisogno del suo aiuto! – cercò di calmarlo Diana.
 
- Del mio aiuto?! Cosa pretendete ancora? Vi ho aiutato a creare l’Infecta, ho fatto tutto quello che mi avete ordinato, non è abbastanza?! – la voce dell’uomo era un misto di astio e terrore, tremava.
 
- Ci serve il suo aiuto per eliminare Niklas Gunnarson, Professore… Ha visto anche Lei cos’è stato in grado di fare. È stato lui ad architettare tutto, Simon non si sarebbe mai spinto a tanto.
 
- Sembra che tu lo conosca molto bene, Simon… Chi diavolo siete e cosa avete a che fare con Simon Wolf?!
 
- Mi chiamo Aren Wolf, diciamo che sono suo figlio.
 
- Figlio?! – Aiden si fece scappare una risata nervosa. – Tu saresti il figlio di Simon?! – chiese incredulo.
 
- Mi ha salvato la vita dodici anni fa, mi ha dato una casa, mi ha dato una famiglia e uno scopo per cui vivere.
 
- Distruggere il mondo sarebbe questo scopo?! – gridò il biondo, vedendo il ragazzo stringere i denti.
 
- NO! Simon non avrebbe mai voluto una cosa del genere! Se siamo arrivati a questo punto è perché Niklas Gunnarson lo ha manipolato! Per questo abbiamo bisogno di Lei.
 
- Sai, ragazzo, pensavo di conoscerlo bene anche io, Simon. Ma mi sbagliavo, Dio solo sa quanto mi sbagliavo… E ora tu mi stai chiedendo di aiutare voi, le stesse persone che mi hanno rapito, che hanno rapito mio figlio e che hanno cercato di uccidere l’altro?! Come puoi pretendere una cosa così?!
 
- Il futuro di noi tutti è in pericolo! – si aggiunse Diana. – Simon aveva un progetto nobile e Niklas Gunnarson lo ha trasformato in un incubo! Dobbiamo fermarlo prima che sia troppo tardi, sappiamo che Lei ne è capace! La prego, Professore, La imploriamo… - disse, chinandosi a terra con la testa sul pavimento. Aren la seguì nel gesto.
 
Aiden era confuso. Sentiva il rimorso, la rabbia, la paura scontrarsi nel suo animo e mischiarsi in un sentimento amaro. Guardò suo figlio, guardò il suo volto terrorizzato e le sue mani tremanti.  Aveva promesso di salvarlo a tutti i costi e quella era l’occasione perfetta per aumentare le possibilità di sopravvivenza. Anche se nel profondo era assolutamente contrario all’idea, decise di ascoltare la parola dei due giovani.
 
- L’Asset è venuto a prendermi, ma penso questo lo sappiate già. Se volete il mio aiuto dovete promettermi di consegnare loro mio figlio. – disse ai due, scrutando nel profondo del loro animo attraverso le loro pupille.
 
- D’accordo, difenderemo il ragazzino con la vita, ma La preghiamo, salvi Simon da quel pazzo.
 
- In questo driver è contenuto un nano-virus che dovrebbe interferire con la sequenza sinaptica della coscienza di Gunnarson. Non sono sicuro possa ucciderlo subito, ma posso assicurarvi che rimarrà fuori gioco per un bel po’ di tempo. – il biondo mostrò ai due la piccola chiavetta nera, fissandoli con uno sguardo quasi assente.
 
- Dove dobbiamo inserirla? – chiese Diana, tirando un lieve sospiro di sollievo dopo aver visto il Professore accettare la loro proposta.
 
- Nel computer principale del suo laboratorio, è lì che tiene il nucleo della sua coscienza.
 
- Come fa a sapere la posizione? – domandò sorpreso Aren.
 
- Vi aspettavate che rimanessi buono a farmi manipolare da voi? Tutte le informazioni sui vostri progetti sono già state salvate su un dispositivo in remoto, ogni cosa. Anche se mi uccidete, l’Ægis è destinato a crollare. – i due agenti fecero una smorfia, dovendo però abbandonare immediatamente qualsiasi cenno di ostilità verso il professore.
 
Un’esplosione richiamò l’attenzione dei quattro, seguita da una seconda più vicina. In una manciata di secondi il corridoio esterno si era riempito di zombie del Progetto Legion, intenti a voler sfondare la porta della sala. Emil si strinse terrorizzato al padre, che subito cercò di calmarlo portandogli la testa verso di sé, accarezzandola.
- Professore, stia dietro di me. Diana vi proteggerà mentre io mi occupo di loro. – ordinò Aren, vedendo il professore annuire.
 
Il ragazzo si caricò di energia elettrica, facendo scintillare le sue iridi azzurre. Con un calcio sfondò la porta, che travolse i nemici subito all’esterno. Allargò poi le braccia, scatenando due saette che carbonizzarono bersagli su entrambi i lati del corridoio. Senza perdere tempo, si gettò in una furia omicida, sferrando ampi calci potenziati dall’elettricità, eliminando il maggior numero di abomini possibile con ogni colpo. Nel mentre, Diana uccideva con rapide coltellate gli occasionali nemici che riuscivano a sfuggire ad Aren, assistita dallo stesso professore, che con delle tecniche di Taekwondo riusciva a rallentare i movimenti degli zombie, facilitandone l’esecuzione.
 
Dall’altra parte della struttura, Roy correva inarrestabile verso la posizione segnalata dal navigatore della tuta, falciando con onde cinetiche  modulate i vari zombie che a fiumi iniziavano a riversarsi nel corridoio della base. Spiccò un salto verso uno dei due muri laterali, utilizzandolo come appoggio per lanciarsi in una piroetta, mentre dalle mani lanciava due raggi incandescenti che laceravano i corpi dei nemici attorno a lui. Senza fermarsi, caricò un’enorme quantità di energia, che rilasciò una volta raggiunto il salone alla fine del corridoio, scaraventando ed eliminando qualsiasi cosa nel suo raggio d’azione.
 
- Generale, sembra che abbiano concentrato il progetto Legion su di me, fate irruzione adesso! – gridò poi all’auricolare, continuando a correre in mezzo ai nemici.
 
- Affermativo, iniziamo l’invasione. – confermò Klein, dando l’ordine ai soldati di irrompere nella struttura.
 
 
Base Ægis, laboratorio principale.
 
Simon giaceva sdraiato nel macchinario di Niklas Gunnarson, con due flebo nelle braccia e una serie di elettrodi su petto. Il processo di iniezione dell’Infecta era completo all’ottanta percento. Il castano sentiva il corpo iniziare a reagire alla presenza di quella sostanza, mentre immobile doveva assistere all’assedio della propria base.
 
- Che sta succedendo, Niklas? – chiese risoluto.
 
- Sembra che Aren e Diana abbiano deciso di salvare il Professor Steinberg… posso ucciderli? – rispose una delle donne che stava di fronte al monitor principale.
 
- No. Quando un bambino sbaglia, è compito del genitore prendersi la responsabilità e punirlo. – la voce di Simon era calma e gelida come suo solito. – Quanto manca al completamento?
 
- L’Infecta è stato praticamente iniettato al cento percento, ora non resta che attivare il programma per accelerare la simbiosi… - disse questa volta un uomo, seduto al terminale del macchinario.
 
- Puoi farcela prima che sia troppo tardi?
 
- Mi sono letteralmente fatto in quattro per te, Simon… Non preoccuparti, è tutto sotto controllo. – Simon annuì, senza però mutare la sua espressione.
 
Una delle tante persone di Niklas iniziò a digitare una serie di codici, attivando la fase di simbiosi guidata del macchinario. Questo prese a erogare una serie di liquidi all’interno delle flebo, stringendo le cinghie attorno al corpo di Simon. L’uomo iniziò a contorcersi in preda al dolore. Dalla sua bocca però non usciva alcun suono, stava subendo l’atroce cambiamento nel silenzio più totale.
Sulla pelle iniziarono a comparire delle linee nere, che si diffondevano dal centro del petto fino alle braccia, lungo la schiena, seguendo la spina dorsale e in volto, terminando sugli occhi. Questi presero a brillare, macchiando le iridi cristalline dell’uomo di un rosso cremisi intenso. Entrambe le pupille assunsero forma triangolare. Simon sentì ogni muscolo del proprio corpo contrarsi, percepì ogni cellula reagire alla presenza dell’Infecta, mentre un’energia indescrivibile iniziava a pervadergli il corpo. Sorrise, lui, sentendo in sé la potenza dell’utopia che aveva rincorso per tutta la sua vita.
Il Progetto Infecta era quasi completato: in pochi attimi sarebbe diventato l’essere perfetto, l’essere che avrebbe portato il mondo a una nuova era.
 
Aren, Diana e i due Steinberg erano ormai arrivati al laboratorio di Niklas, facendosi largo fra gli innumerevoli zombie che continuavano a caricarli in orde. Aren squartava i nemici con calci fortissimi, carbonizzandone altri con le sue saette. Ne afferrò uno in corsa, cacciandogli le mani nella bocca e aprendogli il cranio con uno strappo secco, mentre con due saette generate da un suo calcio ne eliminò altri tre.
 
- Manca poco, seguitemi! – urlò il castano, falciando gli ultimi nemici prima del laboratorio.
 
Un rumore di spari iniziò a spargersi per la struttura: i soldati dell’Asset erano riusciti a penetrare nella struttura, guadagnando terreno sull’orda di potenziati. In capo al gruppo vi erano Axel e Blaze, che con l’ausilio dei loro coltelli militari eliminavano a uno a uno i nemici che gli si paravano davanti, coperti dal fuoco alleato.
Roy aveva di fronte a sé l’ultima orda di nemici, che muovendosi coordinatamente, creò una barriera per bloccare l’avanzata del ragazzo. Il biondo sprigionò una quantità enorme di energia, compiendo uno scatto a velocità mach 3, disintegrando il muro umano che aveva di fronte, dovendo controbilanciare l’eccessiva velocità con due onde cinetiche per frenare in tempo.
 
Il gruppo di Aren e Roy raggiunsero il laboratorio nello stesso momento.
I due possessori del Void si notarono a vicenda. Il biondo, vedendo la sua nemesi vicino al padre e al fratello, non perse tempo e scattò verso di lui, caricando un pugno potenziato. Aren fu costretto a bloccare l’attacco, rispondendo con un calcio rotante, per allontanarlo e riprendere spazio.
 
- Papà, Emil, andatevene! Lo tengo occupato io! – gridò Roy, facendo aprire il casco della tuta e osservando confuso il comportamento del padre.
 
- Aspetta Roy, mi stavano proteggendo! – rispose Aiden, cercando di placare la furia omicida del figlio.
 
- Roy! – gridò Emil in lacrime, vedendo per la prima volta dopo anni il fratello. – Roy, ci stanno aiutando… - disse poi, asciugandosi le lacrime e correndo verso di lui.
Il ragazzo abbracciò il fratello, stringendolo a sé il più forte che poteva.
 
- Emil… - sussurrò il suo nome, per poi voltarsi verso Aren. – Cosa avete intenzione di fare, eh?! – domandò aggressivo, attendendo impaziente una risposta dal ragazzo dalle iridi elettriche.
 
- Dobbiamo fermare Niklas Gunnarson, ha manipolato Simon ed è lui l’artefice di tutto questo!
 
- Mi rifiuto di credere a una stronzata simile! – gridò, caricando dell’energia nelle mani. – Avete cercato di ucciderci, ci avete rubato il Void, avete rapito mio padre e mio fratello, avete ucciso i nostri uomini… come posso fidarmi della vostra parola?!
 
- Non puoi fidarti di loro, hai ragione, Roy Steinberg… - un’improvvisa voce fece gelare il sangue nelle vene ai presenti. L’avevano riconosciuta: era la voce di Simon.
 
L’uomo camminava lentamente, muovendo un passo per volta, mostrando gradualmente il suo nuovo aspetto: il suo corpo era raddoppiato in dimensioni, con una muscolatura perfetta e la pelle che pareva titanio. Delle linee incandescenti coprivano il suo intero corpo. Incandescenti erano le sue iridi, così come l’aura che lo copriva. Era possibile vedere il flusso di energia che scorreva nel corpo dell’uomo.
 
- Sapete… non mi è mai andato a genio chi disobbedisce… Pensavate veramente che non mi fossi accorto delle vostre intenzioni? Eppure, io nutrivo così tanta speranza in voi, figli miei… - l’espressione sul suo volto era gelida come suo solito. – E tu, Aiden, pensavi che non ci saremmo accorti del tuo piccolo virus? Mi deludi amico mio… non ti ho mai visto venire meno alla tua parola…
 
- Simon, svegliati e guardati attorno! È questa la follia che desideravi?! Sei ancora in tempo per fermarti, Simon! Non lasciare che quel folle di Gunnarson ti controlli oltre!
 
- Steinberg ha ragione! Dov’è finito il Simon che ci ha salvato dalla strada, che ci dato una nuova vita?! Questo non è il tuo sogno, Simon! Ti prego, fallo per noi, fallo per l’ideale in cui credevi!
 
I due vennero ammutoliti dalla risata dell’uomo, che ora esibiva un’espressione di pura follia in volto. La terra iniziò a tremare.
 
- Farlo per voi?! Hahahahahahaha! Per anni ho pensato che avrei potuto condividere il mio ideale con le persone a me care, ho pensato che avrei potuto condividere il peso del fardello che porto sulle spalle. Ma non è così… io ed io soltanto sono destinato a cambiare il mondo… Alla fine Niklas aveva ragione, voi non siete stati altro che gli strumenti per raggiungere il mio scopo, e ora che avete compiuto il vostro compito… vi state ribellando a me… al destino che voi stessi avete plasmato… - Simon lanciò un’ultima occhiata ai suoi figli, al suo vecchio amico e ai due ragazzi. – Voi siete l’ultimo ostacolo prima di raggiungere il futuro della mia visione… e come tale… dovrò eliminarvi…
 
In un battito di ciglia, il terreno di fronte a Simon si sgretolò, generando due spuntoni che fulminei si gettarono verso Aren e Aiden. Appena prima dell’impatto, Diana riuscì a spingere Aren fuori dalla traiettoria, riuscendo a guardare il suo volto un’ultima volta prima di essere colpita.
Roy era rimasto troppo lontano dal padre per poter intervenire, dovendo assistere alla scena col fratellino fra le braccia.
I corpi dei due si accasciarono al suolo, venendo coperti dalle urla disperate di Aren, Roy ed Emil.
Aiden volse un ultimo sguardo verso i due figli, potendoli finalmente vedere insieme dopo anni. Un velo amaro di lacrime bagnò i suoi occhi, mentre un impercettibile “addio” riuscì a farsi strada fra il sangue che gli colava dalla bocca. Un ultima lacrima, e poi, il vuoto nei suoi occhi.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Base Ægis, stanza di Aren, sette anni prima.
 
Aren sedeva sul proprio letto, guardando con sguardo perso il soffitto. Grigio.
Tese la mano sinistra verso l’alto, guardandola quasi con paura. Stava tremando.
Il giorno prima aveva ucciso per la prima volta, aveva ucciso due persone per Simon, l’uomo che gli aveva salvato la vita.
Un vago ricordo di quello che sua madre gli disse gli passò rapido per la mente: “La vita è una cosa preziosa, amore mio. Darla e toglierla sta solamente a Dio, e diffida di chiunque ti dice il contrario.” Quelle parole gli erano rimaste impresse, impresse, ma parzialmente cancellate da una sensazione di rabbia e odio. Ricordava benissimo il giorno in cui sua madre era stata uccisa, e ricordava benissimo che a toglierle la vita non era stato Dio. Col tempo aveva iniziato a dubitare dello scopo della sua vita, della vita in generale. Era veramente tutto dettato dal volere di un dio?
Simon lo aveva salvato, lo aveva tirato fuori da quel dolore deciso da Dio, e Aren quel giorno aveva preso una decisione: se tutto quello che era successo fosse stato il volere di Dio, allora avrebbe reso Simon il nuovo dio, seguendo il suo disegno, la sua visione a qualunque costo.
Pensava questo, mentre tentava di dimenticare quella mostruosa sensazione che gli pervadeva il corpo.
 
- La prima volta è difficile da dimenticare… ci sono passata anche io… - una voce femminile interruppe il pungente silenzio in quella grigia stanza. Diana si avvicinò al letto del ragazzo.
 
- Come fai… ad abituarti? Sento come se la mano non mi appartenesse più…
 
- Non è semplice. Non devi pensare di averlo fatto, ma al perché lo hai fatto. Lo hai fatto per una causa, lo hai fatto per aiutare Simon a rendere il mondo un posto migliore.
 
- Non sono riuscito a dormire questa notte… Come chiudevo gli occhi, vedevo lo sguardo dell’uomo che ho ucciso. Era… terrificante… - Diana strinse il ragazzo in un abbraccio.
 
- Stanotte dormiamo assieme, e vedi che tutto andrà per il meglio. Ci sono io qua per te, ad aiutarti… - disse poi la ragazza, assaporando le labbra del castano in un bacio.
 
 
Base Ægis, presente.
 
I ricordi di Aren viaggiavano vividi, come flash nella notte.
Diana lo aveva aiutato ad abituarsi alla morte, rendendola un qualcosa di distante, di intangibile.
Eppure, in quel momento la morte sembrava così vicina, così materiale. Il ragazzo la stava stringendo fra le braccia, incarnata nel corpo senza vita della donna. Un velo di lacrime scendeva silenzioso sulle sue guance e non un filo di voce aveva il coraggio di liberarsi dalla gabbia serrata che ora era la sua bocca.
Un dolore gli lacerava l’animo, come un taglio più profondo di qualsiasi taglio mai ricevuto sul proprio corpo. 
Simon aveva raggiunto il proprio obbiettivo: era diventato un dio, e come tale, aveva privato Diana della sua vita.
Forse le parole di sua madre rappresentavano sul serio il vero.
 
- Vi avevo avvertiti, figli miei… Una volta che ti avveleni con l’amore, non sarai più capace a vivere senza… - le parole di Simon ferivano come aghi avvelenati, al solo suono.
 
Aren sentì la rabbia ribollirgli nelle vene, miscelata a una crescente energia. Il corpo gli si pervase di elettricità, che si liberava sulla sua pelle sotto forma di linee blu elettrico.
Il ragazzo si alzò in piedi, poggiando delicatamente il corpo della sua ragazza a terra. Volse uno sguardo verso l’uomo che lo aveva cresciuto, che gli aveva dato e ora tolto tutto quel che aveva. Le lacrime sul suo volto evaporarono dal calore generato dai suoi fulmini.
Sprigionò una quantità mostruosa di energia, condensandola in un raggio elettrico che colpì in pieno Simon, facendolo arretrare di qualche passo. Sul corpo dell’uomo, tuttavia, non era visibile più di qualche bruciatura.
Egli sorrise.
 
- Avevo proprio voglia di scaldarmi… Niklas, stai indietro. – ordinò Simon, facendo scrocchiare le ossa del collo senza levarsi quel sorriso malato dal volto.
 
Aprì il palmo della mano e lo puntò verso Aren, generando dal terreno delle spire di materiale indistinto che si attorcigliavano attorno al suo avambraccio.
Quando l’uomo rilasciò le spire, queste puntarono il castano a insana velocità, venendo però disintegrate da un’onda cinetica laterale.
Entrambi, Aren e Simon si voltarono verso Roy.
Il biondo aveva spinto il fratellino ancora in lacrime nelle mani dell’amico, che nel mentre era arrivato assieme a tutti i soldati dell’Asset, liberando la sua energia per salvare Aren dall’impatto.
 
Entrambe le iridi di Roy erano divenute arancioni, con la pupilla triangolare. Le linee incandescenti sul suo corpo riuscivano a emettere luce perfino attraverso la nano-tuta. Era possibile distinguere ogni singolo muscolo del corpo del ragazzo, mentre un’aura incandescente si liberava dal suo corpo.
Aren non perse l’occasione datagli dal biondo, gettandosi all’attacco verso Simon, accecato dall’ira. Roy lo seguì, scattando a velocità disumana.
I due iniziarono a colpire l’uomo con calci, pugni, onde cinetiche, fulmini e raggi di calore venendo però respinti quasi perfettamente dall’avversario. Il comandante dell’Ægis, infatti, si era fatto crescere due paia di braccia aggiuntive, con le quali bloccava ogni singolo attacco.
 
Roy lo guardò esterrefatto, cercando una possibile spiegazione.
 
- È molto semplice, Steinberg… il mio Infecta è così perfetto che mi permette di controllare l’energia di legame di tutto ciò che ho attorno. La materia, in ogni suo singolo atomo… è sotto il mio controllo… ED È TUTTO POSSIBILE GRAZIE AL LAVORO DI AIDEN! – gridò, scoppiando in una risata folle e lanciando verso i due ragazzi due spire gigantesche di materia.  
 
Aren schivò lateralmente, mentre Roy spezzò la spira a metà con un’onda cinetica, potenziata dalla rabbia causata da quelle ultime parole. Simon divise le due metà di spira in dieci lame più piccole, direzionandole verso i due ragazzi e verso i soldati alle loro spalle.
Roy, colto alla sprovvista ordinò al suo ora alleato di spostarsi, mentre con due raggi incandescenti tracciava un semicerchio che stroncò l’avanzata delle spire, difendendo tutti i soldati.
 
- Dobbiamo trovare una strategia, Steinberg. Non possiamo continuare a colpirlo così. – disse Aren, avvicinandosi al biondo.
 
- Il suo potere gli permette di controllare la materia… Se aumentiamo l’entropia dell’ambiente attorno a lui, gli sarà più difficile controllare il proprio potere. – suggerì Roy, guardando il castano negli occhi.
 
- Quindi dobbiamo distruggere il terreno attorno a lui?
 
- Sì, ma non solo. Dobbiamo inserire energia nel sistema. Sei in grado di sprigionare costantemente saette dal tuo corpo?
 
- Sì, posso farlo.
 
- Bene. Teoricamente, più energia inseriamo nel sistema, più forte sarà l’intensità del disturbo e più difficile sarà per lui controllare l’ambiente.
 
- D’accordo. Seguirò i tuoi comandi, Steinberg. – disse il castano, guardando il ragazzo con uno sguardo che aveva rivolto solamente a Drake.
 
Da lontano, Blaze guardava esterrefatto la scena: il corpo di Aiden privo di vita, Aren e Roy che combattevano contro un mostro che pareva uscito da un libro fantascientifico, Emil in lacrime e terrorizzato. Guardò il ragazzino, poi Roy, poi nuovamente il ragazzino e infine di nuovo Roy. Nonostante la situazione il biondo risultava risoluto, autoritario e determinato a compiere la sua missione .
Blaze si avvicinò a Emil, posandogli una mano sulla spalla e cercando il suo sguardo. Il ragazzino lo guardò con la vista ancora appannata dalle lacrime, confuso, cercando di capire chi fosse e cosa potesse volere in un momento del genere.
 
- Tu devi essere Emil, giusto? Non ti preoccupare, tuo fratello ci salverà, ne sono sicuro al cento percento! – disse il castano, stringendo delicatamente la spalla del ragazzino. – Ho sempre ammirato la sua forza e la sua determinazione, e ti posso assicurare che non l’ho mai visto arrendersi!
 
Emil sentì come una forza alleviargli il dolore, calmargli lievemente l’animo. Guardò il fratello distante e poi spostò lo sguardo su Blaze.
 
- C-Chi sei tu? – chiese con un filo di voce, asciugandosi le lacrime.
 
- Sono il suo migliore amico, e gli ho fatto una promessa, Emil.
 
- C-Che promessa? – il ragazzino stava via via diventando meno timido, mente interloquiva con il castano.
 
- Che ti avrei portato in salvo, qualsiasi cosa sarebbe dovuta accadere. E caschi il mondo che manterrò quella promessa, quindi… - Blaze prese per mano il ragazzino, indicandogli di seguirlo. – …dobbiamo sbrigarci e andare!
 
I due iniziarono a correre verso il corridoio più vicino, venendo tuttavia interrotti dall’ancora enorme numero di pedine del Progetto Legion. Blaze venne inondato di una serie di calci e pugni che lentamente lo stavano costringendo ad arretrare. Il castano guardò rapidamente Emil, ordinandogli poi di gettarsi a terra, mentre con le due mani ora libere estrasse coltello e pistola dal suo equipaggiamento.
Fece scrocchiare le ossa del collo, per poi lanciarsi rapido contro la massa di nemici che lo stava fronteggiando. Infilò il coltello nella gola di una, esplodendo due colpi perfettamente in mezzo alla fronte di altri due uomini. Con un calcio sulla caviglia destra atterrò l’ennesimo, finendolo con un fendente carico dell’inerzia del coltello appena sfilato dalla gola dell’altra vittima.
Si fermò per una manciata di secondi, riprendendo fiato e rigettandosi nella mischia. Sferzò due fendenti, recidendo la giugulare di due donne che lo avevano assalito, mentre con gli ultimi sei colpi della pistola neutralizzò esattamente altri sei nemici. Il ragazzo premette il grilletto a vuoto, guardando rapidamente la pistola e rendendosi conto di essere a secco. Fece cadere il caricatore scarico, mentre lanciò il pugnale in fronte a una delle cavie; estrasse un caricatore nuovo dalla tasca e lo ficcò in bocca a uno degli zombie, fracassandogli poi il cranio con la pistola, che nel mentre venne caricata nuovamente.
Prese infine il coltello, e con un misto di fendenti e proiettili si sbarazzò dei restanti nemici, fermandosi e guardandosi attorno ansimante, cercando Emil.
 
Lo sguardo del biondo incrociò quello di Blaze. Il ragazzino era confuso, terrorizzato ma al contempo affascinato dalle mosse di quel soldato. Respirava affannosamente, stava succedendo troppo e troppo in fretta, alimentando un forte attacco di panico.
 
- Ehi, ehi! È tutto ok, è tutto ok… Ci penso io a proteggerti, ci penso io… - cercò di rassicurarlo il castano, stringendolo in un lieve abbraccio. Il respiro di Emil sembrò tornare a un ritmo più normale, nonostante egli fosse ancora estremamente scosso.
 
Blaze si guardò attorno, stimando rapidamente il possibile numero di soggetti Legion ancora presenti nella sala. Deglutì quando la sua mente superò il terzo centinaio. Cercando di rimanere risoluto cercò Roy, richiamando la sua attenzione con un fischio.
 
- Roy! Sti zombie sono troppi, non posso portare fuori Emil! – gridò, attendendo ansioso una risposta.
 
Fu però Aren a rispondere. – Il Professor Steinberg mi aveva dato questo… - disse, lanciando con estrema precisione il driver che Aiden gli aveva affidato, che venne afferrato senza problemi dal castano. – Ha detto di inserirlo nel computer principale per fermare il Progetto Legion! – gridò poi, schivando nel mentre una delle numerose spire lanciate da Simon.
 
Blaze cercò il terminale nel caos di quella sala, mappando un percorso nella propria mente e calcolando il numero di avversari che avrebbe dovuto affrontare nel mentre: qualsiasi strada avesse percorso, le probabilità di arrivare al terminale senza subire alcun danno erano prossime allo zero.
Senza rendersene conto, però, una schiera di cavie del Progetto Legion aveva accerchiato lui ed Emil, complicando ulteriormente la già impossibile situazione.
 
- Merda! – esclamò Blaze, caricando rapidamente la pistola con l’ultimo caricatore e premendo nervosamente sull’auricolare. – Generale Klein, ho bisogno di supporto! – gridò, attendendo ansiosamente una risposta.
 
- Felter! Siamo circondati anche noi, ti prego di resistere!
 
- Quanto?!
 
- Non meno di cinque minuti, e sono ottimista!
 
- Cazzo! – esclamò il castano, iniziando a sferzare a uno a uno i vari nemici che spietati lo stavano iniziando ad assalire.
 
 
Dall’altra parte della sala Roy e Aren avevano iniziato ad attuare la strategia del biondo, cominciando a scagliare saette, raggi di calore e onde cinetiche tutt’attorno a Simon, che nel mentre aveva cessato il proprio attacco. Il terreno sotto i piedi dell’uomo incominciava a sgretolarsi, l’atmosfera attorno a lui si era fatta incandescente a causa di tutta l’energia che i due ragazzi avevano sprigionato contro il loro nemico.
Con la sua solita e gelida risolutezza, Simon sembrò non curarsi di ciò che stava accadendo tutt’attorno a lui, stupendo invece i due giovani con una mossa che mai si sarebbero aspettati: assorbì dentro sé tutta l’energia del sistema, balzando in aria con un salto. Senza attendere un secondo di più, scattò contro Roy a velocità esagerata, scaraventandolo contro una parete in un impatto violento.
Il biondo sentì le costole rompersi, cacciando un grido strozzato dall’impatto e sputando un’ingente quantità di sangue.
 
- Roy! – gridarono all’unisono Blaze ed Emil.
 
- Merda! – esclamò invece Aren, correndo verso la posizione dell’altro e scagliando una pioggia di saette per coprire la sua rimessa in sesto.
 
Il corpo di Roy iniziò a rigenerarsi, divenendo quasi incandescente e provocandogli un dolore talmente atroce da fargli credere di essere morto. Il biondo dovette abbandonarsi all’azione del Void, cadendo chino sulle ginocchia, ansimando e vomitando dal dolore. In una manciata di secondi, tuttavia, il suo corpo era come nuovo, quasi temprato da quel colpo.
Mai prima di allora aveva utilizzato il Void con quell’intensità, sentiva il corpo pulsare, carico di una quantità di energia mai così estrema.
Aren aveva assistito alla scena, provando dolore solo nel sentire le atroci grida dell’ora compagno.
 
- Tutto ok, Steinberg? – chiese, porgendo al biondo una mano.
 
- Sì… più o meno… - rispose Roy, afferrandogli la mano e riportandosi in piedi. – È più forte di quanto mi aspettavo, dobbiamo stare attenti.
 
- Cosa proponi?
 
- Intanto voglio restituirgli il favore, al resto ci penserò dopo. Tu colpiscilo con tutto quello che hai, voglio capire quali sono i limiti del suo Infecta.
 
- D’accordo, cerchiamo di non farci ammazzare.
 
I due si scambiarono un ultimo sguardo prima di tornare all’attacco.
Roy caricò una quantità spropositata di energia nel braccio destro, scattando a tutta velocità contro Simon. Sfiorò Mach Quattro prima di colpire dritto nello stomaco l’uomo, che come un proiettile perforò una decina di mura armate di quella base sotterranea. L’impatto generò un’onda d’urto che frantumò il pavimento sottostante, sbilanciando tutti i presenti nella sala.
Aren rimase esterrefatto dalla potenza di quel colpo, ma senza lasciarsi distrarre caricò una saetta da qualche miliardo di Volt che subito scagliò nel buco in cui era stato scaraventato Simon.   
Un gemito di dolore seguito da un ruggito si liberarono dal buco, precedendo Simon, che con estrema velocità aveva ripreso terreno e si era portato nuovamente addosso ai due.
Iniziò uno scambio violento di colpi fra Simon e Roy, con l’uomo che con le sue innumerevoli spire cercava di fare breccia nelle difese del biondo, invano perché bloccato dai repentini scudi cinetici.
Allo scontro si unì anche Aren, iniziando a sferrare una serie di calci sui fianchi dell’avversario, scagliando inoltre continuamente dei fulmini. I calci del castano si andavano a sommare ai colpi di Roy, ponendo Simon in una situazione estremamente svantaggiosa. Per riprendere in mano la situazione, Simon afferrò con alcune delle sue spire un pezzo del muro alle sue spalle, sradicandolo e scaraventandolo contro i due, che senza il tempo di reagire finirono a terra doloranti.
Simon non diede tempo ai due di riprendersi, che subito si fiondò contro di loro, afferrandoli per la testa e sbattendoli più volte a terra. Uno schizzo di sangue macchiò il pavimento, mentre i due ragazzi cercarono in qualsiasi modo di liberarsi dalla morsa dell’uomo.
Roy spalancò la bocca, soffiando poi un raggio di calore che sciolse completamente la mano di Simon, mentre Aren con una scarica elettrica di estremo voltaggio riuscì a sbloccare la presa, liberandosi.
Simon fece tremare il terreno con un pestone, sbilanciando i due ragazzi e guadagnando così quell’attimo necessario a rigenerare la propria mano. Si guardò attorno, sorridendo, per poi ricominciare il delirio di spire.
 
 
All’ingresso della sala, Axel si faceva largo fra l’orda di zombie comandata da Gunnarson, con un Uzi in una mano e il coltello nell’altra. Sferrò un calcio volante, staccando la testa a un uomo, esplodendo poi una raffica che colpì altre quattro cavie, finendo le ultime che aveva di fronte con coltellate precise nei punti vitali.
L’uomo ansimava in preda a un’insolita agitazione per lui: aveva già perso troppi uomini in quell’inferno, aveva perso la persona più cara per lui, e rischiava di perdere pure i due giovani che aveva giurato di difendere. Fece un profondo respiro, portando il bracciale della sua tuta alla bocca.
 
- Axel Klein, autorizzo il Protocollo Berserker. – ordinò al sistema, sentendo immediatamente una scarica di adrenalina pervadergli il corpo.
 
Il Protocollo Berserker era l’ultima spiaggia, un programma creato per gettare nella circolazione de soldato una quantità di adrenalina e altre sostanze psicoattive in modo da farlo combattere al massimo delle sue capacità, cancellando qualsiasi paura o esitazione.
Axel corse contro la massa di zombie che stava assaltando Blaze ed Emil, falciandone quattro con l’ultima scarica di proiettili e fracassando il cranio a un quinto con l’Uzi scarico. Prese poi in mano il coltello, sentendo il corpo fremere per l’effetto dell’adrenalina. Il coltello era la sua specialità, il coltello era ciò che lo aveva fatto emergere nelle fila dell’Asset, il coltello era ciò che avrebbe vendicato la morte di Diego.
Si gettò nella mischia, sferzando fendenti con precisione millimetrica sulle gole dei suoi avversari, che a uno a uno cadevano esanimi in un bagno di sangue. Axel si era ormai lasciato trasportare dall’adrenalina, si muoveva come un automa, lacerando qualsiasi cosa si muovesse attorno a lui.
Blaze osservava preoccupato il generale, temendo le conseguenze di quella sua decisione. Guardò poi Emil, ricordandosi della promessa che aveva fatto a Roy e subito tornò in sé.
 
- Emil, adesso devi fare come ti dico, ok? – disse, accovacciandosi per parlare col ragazzino. Il biondo annuì. – Quando ti darò l’ordine, tu corri verso quei soldati lì, intesi?
 
- S-Sì… - rispose agitato il ragazzino.
 
Non aveva altra scelta: per mettere al sicuro Emil avrebbe dovuto seguire il suo comandante. Senza pensarci due volte, Blaze fece un respiro profondo, volgendo in quei brevi istanti i suoi pensieri verso i propri genitori, verso Ethel e Roy.
 
- Blaze Felter, autorizzo Protocollo Berserker! – ordinò anche lui all’intelligenza artificiale della sua tuta, attivando così il protocollo.
 
Impugnando entrambi i coltelli si lanciò contro l’orda, eliminando con velocità disumana una trentina di nemici e creando così un varco per il ragazzino.
 
- Ora! Corri! – gridò poi, seguendo la corsa di Emil ed eliminando qualsiasi ostacolo si ponesse fra il ragazzino e la squadra di soldati.
 
Emil corse a perdifiato, senza guardarsi attorno, dritto verso i soldati. Questi lo accolsero dietro un muro di scudi antisommossa, difendendolo poi dagli zombie che inarrestabili cercavano di fare breccia fra le loro fila. Il ragazzo era agitato, respirava affannosamente dopo quella stremante corsa, sentendo i polmoni bruciare. Un soldato cercò di convincerlo ad abbandonare l’edificio, ma il biondo si impuntò. Non aveva intenzione di lasciare suo fratello in quel posto, dopo aver perso suo padre. Fu tutto inutile, per i soldati fu impossibile fargli cambiare idea.
 
Aren e Roy, nel mentre, soccombevano alla potenza di Simon, schiacciati dalla ferocità dei suoi attacchi. I due non avevano nemmeno il tempo di respirare fra un colpo e l’altro, che subito venivano sommersi dall’ennesima raffica.
Nonostante l’infinita energia del Void e dell’Infecta, i due ragazzi cominciavano inspiegabilmente a sentire la stanchezza, che lenta e inesorabile li prosciugava del loro potere.
La cosa non passò inosservata a Roy, che conoscendo alla perfezione le proprietà del proprio potere aveva subito intuito un’anomalia in quella situazione.
 
Com’è possibile che stia assorbendo la nostra energia a questa velocità?! Il tasso di produzione dovrebbe essere abbastanza elevato da non dover nemmeno risentire della sua presenza…” pensò Roy, schivando ripetutamente le spire dell’avversario. In un fugace attimo i suoi pensieri si ammutolirono, lasciando che una scintilla infiammasse la sua mente.
La stanchezza che percepiva era di fatto un’anomalia, ma era un’anomalia tutt’altro che inspiegabile. Il Void era una sostanza con la proprietà di produrre una quantità infinita di energia; nonostante gli studi condotti da lui e suo padre non erano riusciti a trovare una spiegazione fisica di quel fenomeno, i due erano riusciti a comprendere come la variazione di alcune variabili nel sistema biologico in simbiosi con il Void avrebbero potuto produrre l’effetto inverso: l’assorbimento dell’energia.
 
- Porca troia…! - esclamò  il biondo, sorridendo dal nervoso. – Sei un genio, papà… - sussurrò poi, cercando attorno a sé un qualcosa che avrebbe permesso a lui e Aren di guadagnare qualche attimo per riprendersi.
 
Guardò in alto, notando un’immensa sfera di metallo appesa al centro della sala. Subito fece convergere l’energia nei palmi delle sue mani, lanciando due raggi di calore sulle catene che fissavano la sfera al soffitto, facendola cadere dritta su Simon. Egli, colto alla sprovvista, si vide schiacciato da quell’ammasso di metallo, sprofondando poi nel terreno e vedendosi costretto a disperdere le spire.
Roy approfittò dell’occasione e corse da Aren, aiutandolo a rialzarsi. 
 
- Ho trovato il modo per vincere ma devi fare esattamente come ti dico. – disse ansimando, cercando poi una conferma nelle iridi glaciali del castano.
 
- Ti seguo, Steinberg. – annuì lui, riprendendo fiato dopo l’estenuante battaglia.

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


Simon non ci mise molto a frantumare l’enorme sfera di metallo, liberando delle spire con il materiale appena guadagnato.
L’uomo mantenne l’attacco fluttuante per qualche attimo, fissando le iridi ambrate di Roy mentre un sorriso compariva sul suo volto. Fece un profondo respiro, gonfiando il petto e facendo scorrere l’energia dell’Infecta nelle proprie vene, lanciando poi le spire ad altissima velocità contro il ragazzo.
Roy evitò il colpo all’ultimo, gettandosi di lato con dei riflessi spaventosi. Si gettò poi all’attacco, caricando il proprio avversario con un’insolita furia.
L’aria attorno a lui era pesante, carica delle polveri di quel campo di battaglia. I polmoni gli bruciavano e il fiato cominciava a mancargli. Gli effetti del potere di Simon si erano fatti invadenti, prosciugandolo del proprio potere.
Scambiò una serie di colpi con l’uomo, venendo tuttavia sopraffatto dal divario di forza che si era creato fra i due. Simon lo scaraventò contro una parete, rifilandogli un pugno dritto alla bocca dello stomaco e facendolo crollare a terra.
 
- Roy! – la voce disperata di Emil non riuscì a raggiungere il biondo, ora perso in un limbo di caos e dolore.
 
Vedeva bianco tutt’attorno a lui, cercando invano con sguardo perso un punto di riferimento. L’unica cosa che udiva era un fischio, alto e continuo, che mascherava qualsiasi altro suono proveniente dall’esterno. Con le mani si teneva lo stomaco e le costole, ora fracassate, mentre uno sbuffo di sangue gli colava dalla bocca.
Simon non perse tempo e afferrò il ragazzo per una gamba, sbattendolo più volte sul terreno e lanciandolo infine verso Aren, che prontamente riuscì ad afferrarlo e a rallentare la caduta.
 
- Steinberg! Steinberg! – gridò preoccupato il castano, scuotendo l’altro in cerca di un segno di vita.
 
Nulla.
Aren si sentì perso per un fugace attimo, ripensando alle parole che il biondo gli aveva detto poco prima: “Per quanto male possa ridurmi, non ti preoccupare. Voglio che tu riesca a guadagnare tempo finché la mia abilità rigenerativa non si attivi. Quando si attiverà, voglio che tu mi colpisca con la più forte delle scariche che riesci a creare.”
Aveva provato a ribattere, invano. Pensava fosse una follia, non capiva come un’azione così disperata avrebbe potuto condurli alla vittoria, ma ricordò che aveva promesso di seguire gli ordini di Roy Steinberg senza fiatare, e da solato non poteva non mantenere la propria parola.
 
“Tempo… devo guadagnare tempo…” pensò, guardandosi attorno in cerca di una soluzione.
 
Simon fece scrocchiare il collo, avanzando lentamente verso i due ragazzi. Aveva ritratto le spire, trasformandole ora in fasci di materia che andavano a comporre una sorta di fibra muscolare che gli copriva per intero le braccia.
In risposta, Aren caricò tutt’attorno a sé una sfera di energia, lanciando continuamente saette ai piedi dell’uomo, nel tentativo di rallentarlo. Una parte del pavimento cedette al peso di Simon e allo stress indotto dalle saette del ragazzo, crollando e immobilizzando temporaneamente l’uomo.
Aren iniziò a scaricare una serie di fulmini continua addosso all’avversario, aumentando di volta in volta il voltaggio. Sentiva il suo corpo esplodere, piegato dalla quantità di energia che l’Infecta stava producendo.
Dietro di sé, il castano sentì Roy gemere dal dolore e il rumore del Void che cominciava a ricostruirgli i tessuti. Era giunto il momento di agire.
Aumentò un’ultima volta la quantità di energia nelle sue braccia, arrivando a un punto che non era mai riuscito a raggiungere prima. Condensò tutta l’energia in una sfera elettrica della dimensione di una palla da baseball, tenendola a fatica in mano. In un impercettibile istante la sfera prese la forma di una saetta, prima di colpire in pieno Roy, sovraccaricandolo.
Ci fu un’esplosione, violenta, distruttiva.
Le grida di Emil e Blaze si persero nell’assordante boato che frantumò qualsiasi vetro nel raggio di un chilometro.
Una cortina di fumo si era innalzata attorno a Roy, impedendo ai presenti di vedere cosa stava accadendo. Simon, nel mentre, era riuscito a liberarsi dalle macerie, innervosendosi mentre cercava di capire cosa stesse accadendo attorno a Roy.
 
- A che gioco stiamo giocando, Steinberg?! – lo provocò l’uomo, con una leggera nota ironica persa nel suono metallico della sua voce.
 
Dalla nube uscì un impercettibile raggio di energia condensata, che fece esplodere la parte sinistra del volto di Simon. Egli con estrema rapidità iniziò a rigenerarsi la ferita, mettendosi immediatamente sulla difensiva. Il fumo si era ormai diradato, rivelando la figura del biondo, ora illuminata da una spaventosa luce accecante.
Tutti i presenti rimasero in silenzio a osservare il ragazzo: l’intero suo torace era coperto dalle solite linee incandescenti, i suoi muscoli pulsavano a intervalli regolari e le sue iridi avevano preso il colore del più ardente dei fuochi.
Il ragazzo avanzava lentamente, tremando dalla quantità di energia che gli scorreva nel corpo.
Volse lo sguardo verso Aren, cercando di capire in che stato fosse. Il castano gli fece un cenno con la testa, tranquillizzandolo.
 
- Tutto bene, Steinberg? – chiese poi, portandosi al suo fianco.
 
- Sì, la parte peggiore è andata… ora rimane una sola cosa da fare… - disse, guardando Simon rigenerarsi lentamente.
 
- Ti ascolto. – Aren cercò lo sguardo del biondo.
 
- Hai già usato un’enorme quantità di energia, lo so, ma ho bisogno che tu rifaccia quello che hai fatto prima, con almeno il doppio dell’energia. – a quelle parole Aren impallidì.
 
- Il mio corpo era al limite, Steinberg. Come pensi possa riuscire a raddoppiare quello che ho fatto?!
 
- L’Infecta e il Void non hanno limiti, se infondi i tuoi muscoli con abbastanza energia, dovresti riuscire a resistere.
 
- Ci vorrà un sacco di tempo, pensi di essere veramente in grado di tenerlo occupato finché non mi sarò caricato?!
 
- Devi fidarti di me, è l’unico modo che abbiamo per uscirne vincitori. – lo sguardo dei due si incrociò un’ultima volta. Aren annuì silenzioso, iniziando a caricarsi nuovamente, mentre Roy era subito partito all’attacco.
 
Il biondo arrivò come un proiettile addosso a Simon, colpendolo in pieno petto e lanciandolo all’indietro. L’uomo aveva intuito a grandi linee la strategia dei due ragazzi, e appena riprese la posizione, scagliò duecento spire verso Aren, facendole passare ai lati del biondo. Roy reagì immediatamente, caricando di energia le punte delle sue dita e realizzando un arco con le proprie braccia, generando così due raggi incandescenti che tranciarono le spire, indirizzandoli poi verso Simon.
Egli fu colto alla sprovvista, venendo colpito ai fianchi dai due raggi. Nonostante la copertura dell’Infecta, provò un dolore lancinante, accompagnandolo con un grido a denti stretti.
Riprendendosi rapidamente, Simon cambiò approccio, lanciandosi dritto sul biondo. Caricò il braccio destro con un’enorme quantità di massa, scagliando un devastante pugno contro Roy. Questo venne però deviato dal pugno a martello sferrato dal ragazzo, piantando il braccio di Simon nel terreno, incastrandolo.
Roy iniziò poi a sferrare una serie di pugni e gomitate dritte sulla testa dell’uomo con una furia che non gli apparteneva, sia Emil che Blaze rimasero colpiti da quella visione: mai avevano visto il biondo così accecato dall’ira.
Il ragazzo sentiva il corpo esplodere, trovando lo sfogo a tutta quell’energia nella rabbia con cui sferrava i suoi colpi. Colpiva sempre più forte, facendo sprofondare a poco a poco l’avversario nel terreno. L’unica cosa che vedeva era lo sguardo perso di suo padre nei suoi ultimi istanti di vita, le lacrime non facevano in tempo ad abbandonare la palpebra che subito evaporavano dall’enorme calore che il corpo del ragazzo emanava.
Sferrò un altro pugno, poi un altro e un altro ancora. Il quarto venne tuttavia bloccato da Simon, che lentamente e con enorme sforzo era riuscito a riprendere la presa sul terreno, frantumando il terreno attorno alle sue gambe. L’uomo stringeva la presa attorno al pugno chiuso di Roy, così forte da riuscire a frantumargli le ossa. Il biondo imprecò dal dolore, ma ricambiò la cortesia a Simon aggrappandosi al braccio che lo teneva bloccato, strappandoglielo brutalmente. Uno schizzo di sangue macchiò il volto e il petto del ragazzo, mentre l’uomo cacciò un atroce grido, tenendosi la spalla distrutta con la mano.
Aren, Blaze ed Emil guardarono esterrefatti la scena, quasi non riuscendo a riconoscere Roy.
 
- Puoi farti ricrescere gli arti quante volte vuoi… Arriverò a strapparti anche il cuore se necessario… - Roy ansimava, mentre le dita della sua mano si contorcevano e tornavano al loro posto in un’inquietante visione. – Pagherai per la morte di mio padre. Morirai per mano mia… a costo di portarti all’inferno con me…
 
Simon fece per alzarsi e ribattere, trovandosi però immediatamente Roy davanti. Il ragazzo ricominciò la zuffa, colpendo senza pietà l’avversario e impedendogli di recuperare anche il minimo respiro possibile. Gli tirò un calcio alla bocca dello stomaco, facendolo piegare in avanti e afferrandogli la testa con la mano sinistra. Gli sferrò un destro dritto in faccia, ficcandogli poi la mano in bocca e sfondandogli la mascella, tirando verso il basso con violenza. Con un calcio potenziato dal Void scaraventò poi l’uomo contro la parete, dovendo infine inginocchiarsi per lo sforzo, nel tentativo di recuperare le energie.
Roy guardò Aren, cercando di capire a che punto fosse con l’Infecta, ricevendo dal castano un cenno con la testa: era pronto.
Simon si alzò a fatica, rigenerando il proprio corpo con la materia attorno a lui. Si mise a ridere, guardando negli occhi il ragazzo ormai allo stremo. Aprì le braccia in modo provocatorio, con un cattivo sorriso stampato in volto.
 
- Ma che bravo… Tutta questa fatica per farmi qualche graffio… Te lo riconosco però, per un attimo ho creduto potessi mettermi in difficoltà. È un peccato doverti eliminare, mi sarebbe piaciuto giocare ancora con te Roy… E tu, Aren, pensavi veramente che allearti con lui avrebbe sistemato le cose? Pensavi che saresti riuscito a fare pace con i tuoi demoni? – il castano strinse i denti, sentendosi impotente di fronte all’uomo. – Senza di me non sei nulla, questa battaglia ne è stata la prova.
 
- Perché non chiudi quella bocca del cazzo, eh? – la voce di Roy tremava dalla rabbia, mentre il suo sguardo era diventato glaciale nonostante l’incandescenza del suo corpo. – Vuoi giocare con me? Bene, giochiamo allora… Aren, colpiscimi! – ordinò al compagno, venendo subito investito da una quantità inimmaginabile di energia.
Gridò dal dolore, ma subito si riprese, facendo scorrere tutto quel potere in ogni cellula del suo corpo. Aveva finalmente compreso la funzione più importante del Void: la sostanza non si limitava solamente a produrre energia, ma era in grado di amplificarla.
Dal suo petto iniziò a generarsi un vortice incandescente, che diveniva sempre più luminoso, arrivando a bruciare le immediate vicinanze.
 
- Puoi colpirmi con quello che vuoi, Steinberg, è tutto inutile! – gridò Simon, allargando le braccia e infondendo il proprio corpo di energia.
 
Con estremo sforzo Roy compresse tutta l’energia in una minuscola sfera del diametro di qualche millimetro, faticando a tenerlo nelle proprie mani. Chiuse gli occhi per qualche secondo, pensando a suo padre, a sua madre, al fratello, a Ethel e Blaze. Pensò a tutto quello che era successo, ai momenti felici, ai momenti di terrore, di tristezza e di dolore che aveva passato.
Fece un profondo respiro, aprendo gli occhi ora divenuti due fari incandescenti e sfogando tutte le sue emozioni in un ruggito animalesco. La sfera nelle sue mani divenne un sole, che con un enorme raggio di energia investì Simon, inghiottendolo in un fascio luminoso.
La terra iniziò a tremare, i presenti dovettero coprirsi gli occhi per non rimanere accecati dall’intensa luce, anche le molteplici persone di Gunnarson dovettero correre ai ripari, per non ustionarsi. Il fascio di luce non cessava di gettare fuori energia, era come se Roy avesse tramutato il colpo di Aren in un astro che emanava energia perpetua.
Una folle risata fece breccia in quell’accecante delirio, accompagnando la figura di Simon, che immensa emergeva dall’incandescente colonna.
 
- TUTTI GLI SFORZI CHE AVETE FATTO, TUTTE LE VOSTRE SPERANZE, NON SONO ALTRO CHE FUTILI TENTATIVI FALLITI! SIETE SOLO DELLE FORMICHE AL COSPETTO DI UNA MONTAGNA, IL MIO INFECTA È LA PERFEZIONE, IL MIO INFECTA È IL POTERE CHE DARÀ VITA A UNA NUOVA ERA!
 
Tutta l’energia che Roy emanava stava venendo assorbita dal corpo dell’uomo, vanificando totalmente il suo attacco. Simon, tuttavia, non vide lo sconforto sul volto del ragazzo, anzi, il biondo stava sorridendo con gli occhi lacrimanti dal dolore.
Il flusso di energia non cessava, continuando a caricare il comandante dell’Ægis che iniziò a percepire una sinistra sensazione scorrergli nel corpo.
 
- Cosa…?! - Di colpo, l’uomo perse la capacità di muoversi e di parlare, rimanendo immobile, bloccato in quel fasciò bianco. Sentiva un calore crescente pervadergli il corpo, diventando in pochi attimi prossimo all’incandescenza.
La vista gli si era annebbiata e il resto dei sensi aveva iniziato ad abbandonarlo.
 
- Non avresti dovuto tradire mio padre… Eri una persona importante per lui… - le parole del biondo colpirono l’uomo come lame taglienti,  vedendolo impossibilitato a ribattere.
 
L’energia nel corpo di Simon divenne troppa, causando una scossa che distrusse il terreno attorno a lui. Una luce incandescente avvolse l’uomo, mentre un fischio altissimo pervase la stanza, urtando l’udito dei presenti. Il rumore e le scosse cessarono improvvisamente, generando un impercettibile attimo di quiete, seguito dall’implosione di Simon. Un’onda d’urto scaraventò Roy e Aren dall’altra parte della stanza, facendo crollare a terra anche tutti i presenti.
Di Simon non era rimasto più nulla.
 
Ci fu un momento di profondo silenzio a condire il puro caos di quell’avvenimento. I soldati dell’Asset, Blaze, Emil e Axel si alzarono a fatica, barcollando in preda a una confusione disarmante.
Blaze andò immediatamente a controllare lo stato del ragazzino, sospirando di sollievo nel trovarlo sveglio. Crollò a terra subito dopo averlo raggiunto, accusando gli effetti del Protocollo Berserker.
 
- C-Che succede?! Stai b-bene?! – gridò preoccupato Emil, cercando di sorreggere il castano.
 
- Bene è una parola grossa… ma sì, sto bene… - sorrise lui, poggiando una mano sulla spalla del ragazzino.
 
- Roy! Dov’è Roy?! – chiese poi il biondo, mentre un filo di lacrime gli cominciò a bagnare il viso.
 
Dalle macerie in fondo alla stanza emerse Aren, col corpo stremato di Roy in spalla. Barcollando, raggiunse i due, posando poi il biondo a terra. Cadde seduto allo stremo delle sue forze, ansimando e tenendosi il cuore dal dolore: tutta quell’energia lo aveva distrutto dall’interno, e le capacità rigenerative ci avrebbero messo del tempo per farlo tornare in forma.
 
- Roy… Roy…! – il ragazzino scrollò il corpo del fratello, con la voce tremante e gli occhi carichi di lacrime. – Roy ti prego svegliati… Roy…! – iniziò a singhiozzare.
 
- Tuo fratello è vivo… - le parole di Aren ammutolirono il ragazzino. – Non… preoccuparti… - tossì del sangue.
 
Ora anche Axel e i soldati dell’Asset avevano raggiunto il gruppo, guardandosi attorno in cerca di pericoli residui. Klein tese la mano a Blaze, aiutandolo ad alzarsi.
 
- Stai bene, Felter? – chiese, controllando l’espressione del ragazzo.
 
- Più o meno… Lei sta bene, Generale? – chiese di ritorno lui, ansimando e guardando l’uomo negli occhi.
 
- Bene è una parola grossa… - lo imitò, sorridendo. Blaze sorrise a sua volta.
 
- È… veramente finita…? – chiese incredulo il castano.
 
Una risata isterica fece calare il terrore nei presenti, smorzando qualsiasi sollievo stessero provando. I soldati si misero subito sulla difensiva, coprendo coi propri corpi i due ragazzi a terra.
Un piccolo gruppo di uomini si alzò dall’altra parte della sala, andando a disperdersi per tutto il campo.
 
- Meraviglioso… Assolutamente meraviglioso, ahahahahahahaha!!! – le voci all’unisono di quelle persone ne avevano creata una unica, terrificante e quasi mistica. – Aiden Steinberg mi ha provato ancora una volta che l’intelletto umano è infinito… Celare una minuscola variazione all’interno di un codice pensando non me ne accorgessi. All’inizio pensai fosse un errore così banale da parte sua, ma solo ora ho capito… ha voluto che trovassi quell’errore e che lo correggessi! Un inganno degno di una mente come la sua! – delirò il gruppo.
 
- Hai perso, Gunnarson! Non avete più Simon, non avete più l’Infecta, non avete più nulla! Arrenditi! – gridò Axel, puntando il fucile contro uno degli uomini.
 
- Sul serio pensi che mi importi di aver perso Simon? Prevedibile, dopotutto sei un soldato, haha. Simon era solo una variabile in tutto questo, una variabile con cui mi sono divertito a giocare. Imprevedibile, radicata nei suoi ideali, eppure così propensa al cambiamento, che mente incredibile… è un peccato averla persa. E per quanto riguarda l’Infecta… credi veramente che non abbia pensato a un’eventualità come questa? – ogni elemento del gruppo aveva la stessa espressione: un inquietante sorriso a trentadue denti, un misto di delirio ed eccitamento.
 
- Cosa…
 
- Non avrei mai potuto perdere l’occasione di utilizzare personalmente l’Infecta su uno dei miei tanti corpi… - le mani delle varie persone di Niklas divennero incandescenti. – Quindi ho creato diverse copie dell’Infecta rimasto in laboratorio e le ho inserite nei mei diversi me.
 
- Bastardo… - Aren sputò sangue. – Ci hai ingannati dal primo giorno…
 
- Aren, ragazzo mio… era abbastanza ovvio! Pensavi veramente che mi sarei lasciato controllare come un cane da Simon? Per seguire una causa così assurda e utopica come la sua?! – uno degli uomini guardò il castano con uno sguardo sfottente. – Non posso permettere che usciate vivi da qui. Non fraintendetemi, non ho nulla di personale contro di voi… solo che le possibili complicazioni derivanti dal lasciarvi vivere sarebbero una variabile troppo imprevedibile e difficile da controllare… Mi preoccupa soprattutto il potere di Roy Steinberg… - le varie persone di Niklas iniziarono ad avanzare minacciose verso il gruppo di soldati.
 
- Aprite il fuoco! – ordinò Axel, scaricando un intero caricatore verso i nemici, che venne tuttavia disintegrato da un muro di energia cinetica.
 
Aren si alzò da terra, ancora barcollante. Il corpo si era parzialmente rigenerato, anche se la maggior parte delle ferite era ancora nel pieno del processo di guarigione. Fece scrocchiare tutte le ossa del proprio corpo, caricandosi di energia nonostante il dolore. Guardò i fantocci di Niklas con odio, sprigionando scariche elettriche lungo tutte le sue braccia. Blaze lo guardò incredulo.
 
- Sei a malapena in grado di reggerti in piedi, non puoi combatterlo, è un suicidio! – gli disse nel tentativo di fermarlo, invano.
 
- Sono l’unico che può combattere alla pari con lui, vi ammazzerebbe tutti. Il Dottor Steinberg mi aveva dato questo. – rispose al castano, porgendogli lo strano driver ricevuto da Aiden. – Mi ha detto che è l’unico modo per uccidere Gunnarson, ma deve essere inserito nel computer principale, ovvero quello in fondo alla sala.
 
- Dobbiamo passargli oltre in pratica… Porca puttana… - Blaze sospirò, stringendo il driver nella mano. – Tu tienili impegnati, al resto ci penso io. – disse infine, trovando la conferma nel cenno di Aren.
 
Aren spiccò un salto, piombando addosso a uno degli uomini controllati da Niklas, staccandogli la testa con un pugno potenziato. Gli altri elementi si bloccarono, assumendo un’espressione mista fra il fastidio e lo sgomento.
 
- Ancora in piedi, Aren?! – lo provocò una donna.
 
- Non mi importa se dovrò morire… ti porterò all’inferno con me… porterò tutti i tuoi esperimenti all’inferno con me! – rispose il ragazzo, alzandosi lentamente con il pugno intriso di sangue e carico di energia elettrica.
 
- Non ci fermerai tutti. – si limitò a dire lo scienziato, caricando con tutti i corpi rimasti il castano.
 
Lo scontro fu furioso: Niklas aveva circondato Aren con le sue persone, colpendolo senza sosta e senza pietà, non riuscendo però a piegarlo. Il castano, infatti, sfruttò tutta la sue esperienza in combattimento contro multipli avversari, riuscendo a contrastare diversi colpi, rimanendo in piedi a combattere, anche se il corpo iniziava a dare i primi segni di cedimento.
Nel frattempo, Blaze aveva iniziato la corsa verso il computer principale del laboratorio, sfrecciando fra le macerie sparse per la sala. Il corpo gli bruciava, l’effetto dell’adrenalina stava svanendo e sarebbe potuto crollare da un momento all’altro. 
Niklas si accorse di Blaze e in preda al panico gli lanciò una delle sue persone contro. Aren, utilizzando l’ultimo briciolo di energia rimastogli nel corpo, scattò verso il nemico, perforandogli la cassa toracica con un pugno e strappandogli il cuore, cadendo poi a terra stremato.
Il fantoccio di Niklas era però riuscito a liberare un debole raggio di energia, abbastanza forte da colpire e ferire alla gamba Blaze, che cadde a terra provando un dolore lancinante, non riuscendo più a muoversi.
 
- Merda! – gridò Blaze, cercando di trascinarsi verso il computer ancora troppo lontano.
 
A Niklas erano rimasti in vita solamente tre soldati, tre soldati che si lanciarono alla rincorsa dello strisciante Blaze.
Senza farsi notare, Emil era sgattaiolato oltre la barriera di soldati, rubando un arco da guerra a uno degli uomini dell’Asset morti al suolo. Aveva corso in direzione di Blaze, urlandogli di passargli il driver. Era riuscito ad ascoltare una parte della conversazione fra Aren e Blaze e aveva capito cosa andasse fatto.
Blaze con un ultimo sforzo disumano lanciò il driver dritto in mano a Emil, lasciandosi cadere a terra sfinito, e lasciando ogni speranza al ragazzino. Emil impiantò il driver nell’unica freccia caricata nell’arco e corse verso il computer.
Alla vista del ragazzino, Niklas si gettò contro di lui, cercando di afferrarlo disperatamente. Emil, sfruttando il suo allenamento e la sua estrema atletica, riuscì però a saltare sopra i tre soldati, eseguendo una rovesciata in avanti e scoccando la freccia con precisione millimetrica. Questa si conficcò dritta nel computer, permettendo al nano-virus di agire.
Improvvisamente i tre soldati si bloccarono, cadendo sulle ginocchia e cacciando delle urla atroci. I tre corpi si dimenarono per diversi minuti, facendo schiuma dalla bocca e perdendo sangue dagli occhi.
 
- NOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO… - l’ultimo grido di Niklas echeggiò nella sala, facendo calare un silenzio quasi surreale. Lo scienziato aveva perso, sconfitto per mano di Aiden Steinberg, l’uomo che sempre aveva creduto di superare in intelletto e capacità.
 
Emil si alzò da terra, ansimando. Era tutto finito, tutto finito grazie al coraggio che era riuscito a raccogliere in quel momento di disperazione. Corse dal fratello, tenendogli la mano e scoppiando in lacrime dalla gioia. Avevano vendicato loro padre, ce l’avevano fatta.
Blaze guardò con orgoglio il ragazzino, sorridendo mentre sveniva, privato di tutte le forze che gli correvano in corpo.
 
- È finita, Diego… è finita… - sussurrò, sbuffando una risata, prima di crollare anche lui a terra. 

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Capitolo 24 - Epilogo ***


Quartier Generale dell’Anonymous Asset, struttura medica.
 
Roy sedeva nel letto della struttura medica dell’Asset, guardando il sole sorgere da dietro i grattacieli di Queen City. Era rimasto incosciente per una settimana, svuotato di tutte le energie, a tal punto che pure il Void necessitò di tempo per tornare alla sua completa funzionalità.
Accanto a lui dormiva Emil, stringendolo in un debole abbraccio. Si era impuntato e aveva deciso di stare vicino al fratello finché non si fosse svegliato. Nessuno riuscì a imporsi.
Roy passò la mano fra i capelli del fratellino, arruffandoglieli dolcemente. Guardava il volto del ragazzino, così calmo e spensierato, sentendo però nel cuore solo un immenso dolore. Non era riuscito a difendere loro padre e si sentiva in colpa, sentiva come di aver strappato Aiden dalla vita del fratello. Un sottile velo di lacrime gli bagnò il volto, mentre a denti stretti cercava di mandare giù quella sensazione di colpa e quel dolore che lo stavano consumando.
Improvvisamente il biondo si sentì stringere la vita. Guardò verso Emil e lo trovò con la faccia affossata nel suo petto, a strattonarlo in un fortissimo abbraccio. Piangeva, lui, singhiozzando e cercando di nascondere il volto al fratello. Roy lo strinse a sua volta, baciandogli il capo e poggiando la testa contro la sua.
 
- È stata colpa mia, cucciolo… solo colpa mia… - disse, chiudendo gli occhi.
 
- N-No… No... T-Tu non hai colpa… - il ragazzino ebbe la forza di alzare lo sguardo, incrociando le sue iridi color zaffiro con quelle arancioni del fratello. – Tu non hai colpa, Roy. È stato quel mostro a uccidere nostro padre… tu ci hai salvato la vita…
 
- Grazie, Emil… grazie… - Roy scoppiò in lacrime, abbracciando il fratellino e stringendolo come stesse stringendo la propria vita.
 
I due rimasero abbracciati per diversi minuti, riprendendosi da quel toccante momento. Emil scese dal letto, indossando rapidamente le scarpe e correndo a chiamare la madre e i due amici del fratello.
I quattro non ci misero molto ad arrivare nella stanza. Erica si fiondò ad abbracciare il figlio, quasi stritolandolo. Gli posò una mano sul viso, con gli occhi carichi di lacrime e gli baciò la fronte, carezzandogli poi la chioma. Roy annuì, sorridendo e riabbracciando la madre.
Seguì immediatamente Ethel, che tremante si gettò fra le braccia del biondo, strappandogli un lungo bacio che assaporò nel pieno dei suoi sensi.
L’ultimo ad avvicinarsi al letto fu Blaze, trascinandosi con le stampelle e la fasciatura alla gamba: il colpo inflittogli da Gunnarson gli aveva perforato il tendine e lo aveva costretto a riposo. I due ragazzi si guardarono negli occhi in silenzio, per un lungo minuto, finché anche Blaze si gettò fra le braccia dell’amico, stringendogli la spalla con la mano. 
 
- Non ce l’avrei fatta senza il tuo aiuto… grazie per essermi stato vicino fino all’ultimo…
 
- Di nuovo con questa storia? – rise. – Avrei dato la vita per te, e lo stesso avresti fatto tu. E comunque non è me che devi ringraziare… - disse poi, voltandosi verso Emil e posandogli una mano sulla spalla. – Se siamo ancora vivi è solo grazie al tuo fratellino. Quel colpo con l’arco è stato spettacolare! - Emil arrossì.
 
Roy guardò stupito il fratello, sorridendo e arruffandogli i capelli. Spostò poi lo sguardo fuori dalla finestra, guardando la città illuminata dal sole mattutino.
- Dov’è il Generale Klein?! – chiese, leggermente preoccupato.
 
- Durante il combattimento ha subito danni ingenti, è stato operato a causa di emorragie interne ed è costretto a letto. Non preoccuparti, le operazioni sono andate alla perfezione e Axel sta bene. – le parole della donna sembrarono tranquillizzare il ragazzo.
- Aren? – il tono di Roy cambiò completamente, risultando quasi autoritario.
 
- Abbiamo provveduto a medicarlo e attualmente è tenuto sotto custodia nelle celle del nostro complesso. Rimane comunque un criminale, anche se ci ha aiutato. – Erica rispose con la massima serietà.
 
- Devo parlargli.
 
- Roy, tesoro, non ti sei ancora ripreso, non è il caso che ti alzi…
 
- Devo. Parlargli. – il ragazzo interruppe la madre, facendo chiaramente capire le proprie intenzioni. Erica si limitò a sospirare, dopotutto era uno Steinberg e gli Steinberg sapevano essere molto testardi. Lei più di chiunque altro lo sapeva.
 
Roy posò i piedi sul tiepido pavimento della stanza, cercando di alzarsi. Cadde inevitabilmente, non riuscendo a reggere il peso del proprio corpo. Emil ed Erica accorsero da lui per aiutarlo, venendo però respinti dal cenno della sua mano. Il biondo voleva rialzarsi da solo. Chiuse gli occhi e concentrò tutte le sue energie, attivando il Void e alzandosi in piedi poco alla volta.
Barcollò per qualche momento, spalancando gli occhi in cerca dell’equilibrio e mostrando nuovamente le sue particolari iridi.
 
- Tutto ok, Roy? Ce la fai a camminare? – chiese preoccupato Emil, guardando il fratello dondolare nel tentativo di mantenersi in piedi.
 
- S-Sì, ho solo bisogno di un appoggio… - senza che potesse finire la frase, si ritrovò Emil a reggerlo in piedi.
 
- Non dovresti usare il Void, Roy, sei ancora troppo debole. – lo rimproverò Ethel, accorrendo per aiutare Emil.
 
- Sto solo facendo in modo che il mio corpo distribuisca meglio le energie, non dovrebbe causarmi problemi…
 
- Roy, possiamo discutere in privato prima che tu vada nel settore delle celle, per piacere? – chiese Erica, chiedendo fra le righe agli altri di lasciarla sola col figlio. Ethel, Blaze ed Emil annuirono.
Roy fece un cenno con la testa, tornando a sedersi sul letto e guardando gli amici e il fratello uscire dalla stanza.
Solo una volta chiusa la porta, Erica si voltò verso il figlio, prendendo una delle sedie al lato della stanza e sedendosi di fronte a lui. Gli prese una mano, stringendola delicatamente e lo guardò con il suo solito sguardo gelido, il suo sguardo da leader.
 
- Siamo in un momento delicato, Roy. Quello che è successo non è potuto passare inosservato ai civili e al momento l’Asset sta cercando di mantenere la riservatezza sull’accaduto, anche se con tutti quei giornalisti sarà impossibile mantenere il segreto. Inoltre, l’Infecta e il Void sono ancora presenti, e questo rappresenta una minaccia alla sicurezza mondiale, che può essere usata contro di noi.
 
- L’Infecta di Aren è rimovibile, ho letto i fascicoli di Gunnarson e gli appunti di papà. Appena potrò riprendere a lavorare in laboratorio posso occuparmene io.
 
- E il Void?
 
Roy rimase in silenzio per qualche attimo. – Il Void ormai è entrato in completa simbiosi con il mio corpo, è fuso al mio DNA e non c’è modo di rimuoverlo… o almeno… un modo ci sarebbe, ma mi costerebbe la vita. – Erica sussultò, guardando terrorizzata il figlio.
- Roy… non penserai…
 
- È l’unico modo per eliminare questa sostanza, mamma, il mondo non è pronto per una scoperta simile! Gunnarson è riuscito a replicarlo analizzando i miei parametri biometrici, cosa impedirebbe a un nuovo Gunnarson di fare lo stesso? Se cadesse nelle mani sbagliate potrebbe essere la fine. – la voce di Roy tremava, mentre il suo sguardo pareva quasi spento.
 
- Ho già perso mio marito e ho quasi rischiato di perdere voi in questa guerra. Non ho intenzione di lasciarti prendere quella decisione, come madre e come comandante dell’Asset.
 
- Che altre possibilità abbiamo, mamma?! – Erica tirò un ceffone al figlio, vedendolo tentennare e ammutolirsi.
 
- Dietro quella porta c’è tuo fratello, che per otto anni non ha potuto vivere con te, ma che ti è stato accanto giorno e notte mentre eri privo di sensi. Dietro quella porta c’è la tua ragazza, c’è il tuo migliore amico… E davanti a te c’è tua madre. Come puoi dire una cosa così egoista, Roy?
 
- Mi dispiace… tutto questo… io non so che fare… - Roy scoppiò in lacrime.
 
- Troveremo un modo, Schatzi… - la donna abbracciò il figlio, placando i suoi singhiozzi come quando era un bambino. Rimasero abbracciati per qualche attimo, poi Roy tornò in sé, asciugandosi le lacrime e posandosi una mano sulla fronte.
 
- Cosa possiamo fare, mamma…?
 
- Innanzitutto, assumerai il comando del centro di ricerca dell’Asset, la posizione che avevamo pensato per tuo padre. Tu sei l’unico che può portare avanti il suo genio, sei l’unico che ha le sue capacità e il suo talento, Roy.
 
- I-Io a comando del centro di ricerca?! È una posizione troppo importante, non puoi affidarla a me!
 
- È proprio questa la chiave, invece. Pensaci, ricoprendo una posizione così alta, sarai al sicuro da indagini e soprattutto potrai selezionare chi avrà accesso al tuo laboratorio. Sono sicura che troverai un modo per tornare alla normalità.
 
- E se non lo trovassi? – il ragazzo guardò la madre con l’espressione più seria che lei avesse mai visto sul volto del figlio.
 
- Lo troverai, te lo assicuro. – disse lei, accarezzandogli la guancia.
 
Roy tornò silenzioso, cercando di metabolizzare tutta la conversazione. Si alzò nuovamente in piedi, facendo scorrere l’energia del Void in tutto il suo corpo, nonostante un fastidioso dolore che lo pervadeva mentre tentava di mantenere l’equilibrio. Scrocchiò le spalle e il collo, muovendosi lentamente verso l’armadio della stanza.
 
- Devo parlare con Aren. Magari facendolo mi schiarirò le idee… - il biondo aprì le ante e iniziò a cambiarsi.
 
- Fai attenzione, non sappiamo se sia in grado di utilizzare l’Infecta anche da bloccato. – disse la donna, con un velo di preoccupazione a macchiarle la voce.
 
- Non farà nulla, mamma. Non ha più motivo di combattere contro di noi. – la rassicurò  lui.
 
- Rimane un criminale, Roy. Fa attenzione. – ripeté Erica, lanciando un’occhiata severa al figlio.
 
- Va bene… - sospirò il biondo, abbottonandosi la camicia e chiudendo poi le ante dell’armadio.
 
Ci mise un po’ a stabilizzarsi, camminando avanti e indietro per la stanza per diversi minuti, finché non prese abbastanza confidenza col proprio corpo.
Uscì dalla stanza, spiegando agli altri dove stesse andando e chiedendo loro di aspettarlo, vedendoli annuire.
Raggiunse il settore delle celle in pochi minuti, sorprendendosi di come le guardie lo considerassero già un loro superiore. Chiese quindi di poter entrare nella cella di Aren, liberandolo e facendolo respirare dalle catene che gli tenevano mani e gambe in una morsa, dopo aver rassicurato le guardie.
Aren si passò una mano su entrambi i polsi, facendo scrocchiare rumorosamente il collo e rimanendo poi seduto in silenzio, con lo sguardo fisso sul pavimento. Roy sedette a terra, guardandolo a sua volta, silenzioso.
 
- Sono nato a Berlino, in un quartiere malfamato pieno di drogati, puttane, stupratori e mafiosi… - iniziò a parlare il castano, in tedesco. - Vivere lì era un inferno. Mia madre era una puttana, una delle tante donne costrette a vendere il corpo per sopravvivere in quel luogo malato. Mio padre la stuprò per poi scappare. Nacqui come un incidente, come una cicatrice… - Roy sentì il peso di quelle parole farlo sprofondare nel terreno. La voce di Aren si fece più debole. – Un giorno… un cliente iniziò a violentarla davanti ai miei occhi… Mi vide nell’angolo, pretendendo di violentare anche me. Mia madre si gettò contro di lui, permettendomi di scappare. La uccise, massacrandola di botte… - Roy sentì mancare il respiro e percepì come una morsa stringergli il cuore.
 
Il biondo rimase in silenzio, non riuscendo a trovare le parole per rispondere.
 
- Avevo solo lei… - riprese Aren. – Rimasi seduto accanto al suo cadavere, non riuscendo nemmeno più a piangere. Pensai che sarei morto di lì a poco, in quel vicolo di merda… Ma lui apparve come un sole in piena notte, di fronte a me…
 
- Simon? – chiese il biondo, l’altro annuì.
 
- Apparve come una visione, facendomi un discorso sul potere, sulla giustizia e sulla società. Ero troppo piccolo per capire, ma quelle parole… quelle parole mi riportarono in vita.
 
- Ti trasformò in un soldato, Aren… Ti ha sempre manipolato.
 
- No, non quando mi prese con sé. Lui era un’altra persona, i suoi ideali erano nobili e le sue azioni parlavano per lui. Io ero solo un mezzo per portare giustizia laddove non ce n’era.
 
- Avete ucciso degli innocenti.
 
- Lo so… e non c’è giorno che io non mi maledica per non essermi rivoltato contro di lui. Per tutto questo tempo mi sono sentito in debito con lui, sentivo l’obbligo di essergli leale, qualsiasi fossero i suoi ordini… Credevo in lui, credevo nei suoi ideali…
 
- E poi cosa è successo? – chiese Roy.
 
- È arrivato Gunnarson. Quell’uomo ha cambiato Simon: lo ha reso un mostro, lo ha manipolato… e ci ha trascinato in quella follia… - Aren scoppiò in lacrime. – Ero terrorizzato da lui… e per colpa sua Drake e Diana sono… - si ammutolì, facendo sprofondare la testa nelle proprie mani e cercando di sopprimere i singhiozzi.
 
Roy guardò il castano, non riuscendo a levarsi di dosso quell’orribile senso di colpa che lo aveva pervaso da quando l’altro aveva iniziato a raccontargli del proprio passato. Si alzò in piedi, sospirando e facendo per uscire dalla cella.
 
- Cosa ne sarà di me…? – la debole voce di Aren lo fermò.
 
- Dovrò estrarre ed eliminare l’Infecta che è nel tuo corpo. Cosa succederà dopo non lo so. – rispose,  voltandosi e sorridendo lievemente al castano. Egli annuì con sguardo vuoto, tornando a raggomitolarsi nell’angolo della cella.
 
 
Quartier Generale dell’Anonymous Asset, tre settimane dopo.
 
L’operazione di rimozione dell’Infecta era riuscita  alla perfezione, mantenendo intatta la creazione di Gunnarson e senza creare alcun problema al corpo di Aren, che fu monitorato per alcuni giorni in una cella medica.
Roy aveva analizzato la sostanza, ricavandone dei preziosi dati indispensabili alla sua ricerca di un metodo per rimuovere il Void, per poi distruggere completamente l’Infecta e ogni dato a esso correlato.
Aveva tenuto sotto controllo Aren per tutta la durata della sua convalescenza, analizzandone i parametri vitali dopo l’operazione.
I due non avevano più parlato da quel giorno.
Una mattina però, il biondo entrò nella cella, facendo cenno ad Aren di seguirlo. Nessuno aveva potuto obbiettare la sua decisione, in quanto possessore di uno dei gradi più alti dell’Asset. Roy si era limitato a giustificare l’uscita di cella di Aren come “necessaria alla riabilitazione del detenuto”.
Aren non poté vedere dove era stato portato, a causa dei vetri oscurati della macchina di Roy, ma al loro arrivo venne sorpreso dal maestoso verde di una collina.
Scese lentamente dalla macchina, guardandosi attorno e assaporando la brezza di quel magnifico posto. Roy fece cenno di seguirlo, portandolo poco più avanti, di fronte a due lapidi in marmo.
Aren si bloccò, venendo sommerso da un’onda incontrollabile di emozioni. Cadde in ginocchio, chinandosi in lacrime sulle lapidi.
 
- Ho voluto che gli venisse data una degna sepoltura. – si limitò a dire il biondo, guardando l’altro.
 
- Ti ringrazio… - disse Aren con voce tremante.
 
Roy cliccò lo schermo del suo bracciale, disattivando all’improvviso le manette che legavano il castano. Questo lo guardò confuso, perdendosi nelle sue iridi ambrate.
 
- P-Perché…? – chiese a fatica.
 
- Hai commesso degli errori nella tua vita, il più grande è stato quello di fidarti di Simon e rimanere nell’Ægis. Ma hai già pagato il prezzo di questi errori. – Roy guardò il castano dritto negli occhi. – Sei stato ingannato e sfruttato per tutta la tua vita, è ora che tu abbia la possibilità di riscattarti. Ti sto dando una seconda occasione per redimerti da tutto il male che hai causato e per utilizzare le tue abilità al fine di salvare vite, non toglierle. – gli porse poi la mano, aiutandolo ad alzarsi.
 
Aren rimase in silenzio, schiacciato dallo sguardo del biondo.
 
- Dirò che sei morto nel tentativo di scappare. – disse poi, porgendogli dei documenti falsi. - Ora vai, lasciati questa vita alle spalle e vivine una nuova votata al salvarne altre. E ricorda, se dovessi fare nuovamente del male, io ti verrò a cercare… e ti troverò. – concluse, voltandosi e facendo per andarsene.
 
Venne fermato dal castano, che lo trattenne per la spalla.
- Dimmi almeno il perché di tutto questo. Perché mi vuoi dare una seconda possibilità? Io non la merito! – chiese, cercando la risposta anche nel suo sguardo.
 
- Mio padre credeva nel buono delle persone, ha dedicato la vita a cercare di tirare fuori il buono da chiunque, donando la propria conoscenza e tutto sé stesso alla società. Anche io credo nel buono delle persone, e in te ho visto il desiderio di riscattarti, di cancellare il male che ti è stato e che hai inflitto. Non potevo perdere l’occasione di tirare fuori il lato buono che è in te, lo devo a mio padre.
 
Aren sorrise, sentendosi sollevato dall’enorme peso che gli schiacciava la coscienza. – Grazie. – si limitò a dire, voltandosi e correndo verso l’orizzonte.
Alle sue spalle lasciava Queen City, maestosa dietro quella piccola collina nella campagna.
Alle sue spalle lasciava Roy, il deus ex machina che nel vero momento più buio gli aveva dato una nuova seconda possibilità.
Alle sue spalle lasciava il sé stesso bambino, seduto accanto alla tomba di Diana e Drake, finalmente libero dalle catene della sua mente.
 
 
Queen City, villetta degli Steinberg, laboratorio di Roy.
 
Roy aveva lo sguardo fisso sull’enorme lavagna che decorava il muro del suo laboratorio, piena di formule e appunti incomprensibili alle persone comuni. Una serie di disegni, numeri e forme coloravano l’immensa tela della sua mente, concentrata come sempre sulla sua ricerca.
Ormai era vicino al traguardo, traguardo che gli avrebbe permesso di tornare normale, liberandosi del fardello del Void.
Dondolò più volte sulla sua sedia, prima di venire riportato alla realtà da Blaze ed Ethel, che entrando nel laboratorio lo fecero cadere.
 
- Ahi! Ragazzi mi avete fatto prendere un colpo! – disse, alzandosi in piedi con il cuore in fibrillazione.
 
- Ti abbiamo chiamato almeno dieci volte, siamo in ritardo! – gridò Blaze, vedendo l’amico impallidire.
 
- Oh cazzo, la gara di Emil! Devo andare a cambiarmi! – esclamò il biondo, correndo verso l’uscita in preda al panico.
 
- Tieni. – lo fermò Ethel, porgendogli il cambio. – Fai presto… - sbuffò poi, tirandogli una pacca sul culo. – Tu accendi la macchina intanto. – ordinò poi a Blaze, vedendolo scoppiare a ridere.
 
- Mi sembra di sentire gli ordini di Klein… - ghignò, facendo il verso alla sorella.
 
- Muovetevi imbecilli, non vorrete mancare alla prima gara olimpica di Emil? – fece pressione lei, vedendo i due scattare fuori dal laboratorio.
 
In quel momento, Roy vide tutti gli eventi degli ultimi due anni passargli davanti e finire alle sue spalle. Sentì come una folata di vento portargli via tutto lo stress accumulato, tutto il dolore e la tristezza provate con la morte del padre. Con Ethel, Blaze ed Emil al suo fianco ora non si sarebbe più sentito solo.
Si voltò un’ultima volta verso gli appunti, sorridendo mentre vedeva la figura di Aiden guardarlo con orgoglio.
Un sole caldo splendeva in quella mattina di luglio.
Caldi erano i colori di quell’estate, che rigogliosi donavano vita al bellissimo giardino della villa.
Caldi erano i canti degli uccellini, appollaiati sulle querce di quel lungo viale.
Roy chiuse a chiave la porta di casa, ora non più fredda, correndo incontro alla vita che aveva sempre sognato.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4013618